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...Insieme, camminiamo!

Anno 9
numero 37 Il Presepe

I
Dicembre 2017
primi due capitoli dei vangeli di Matteo e Luca - i cosiddetti ‘vangeli
dell’infanzia’ - raccontano della nascita di Gesù, il Figlio di Dio venuto
in questa nostra umanità per manifestare la paternità e amore di Dio che
vuole tutti gli uomini e donne salvati dal peccato.
La più antica immagine di Maria con Gesù Bambino si trova nelle Catacombe
di Priscilla sulla Via Salaria a Roma, dipinta da un ignoto artista del III secolo.
Il presepe, come oggi viene costruito in tutto il mondo, è una tradizione preva-
lentemente italiana, che ha avuto origine all'epoca di San Francesco d'Assi-
si che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione della Natività.
Francesco era tornato da poco dalla Palestina e, colpito dalla visita
a Betlemme, intendeva rievocare la scena della Natività in un luogo, Greccio,
che trovava tanto simile alla città palestinese. Tommaso da Celano, cronista
della vita di San Francesco descrive così la scena nella Legenda secunda: «Si dispo-
ne la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l'asino. Si onora ivi la semplicità, si
esalta la povertà, si loda l'umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme».

Nel presepio di Greccio preparato da San Francesco, al contrario delle rappre-


SOMMARIO sentazioni successive, non erano presenti la Vergine Maria, San Giuseppe e
Gesù Bambino; nella grotta dove era stata allestita la rappresentazione erano
 Il Presepe pag.1-3 presenti una mangiatoia sulla quale era stata deposta della paglia e i due animali
 Cineforum pag. .4 ricordati dalla tradizione. Lo scarno racconto di Tommaso è poi ripreso da
Bonaventura da Bagnoregio in questi termini: «I frati si radunano, la popolazione
 Ho letto un libro pag. .5
accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e
 Il natale di Martin pagg.6-7 sonora di laudi armoniose. L'uomo di Dio [Francesco] stava davanti alla mangiatoia, pieno
 U Confeugo pag.8 di pietà, bagnato di lacrime, traboccante di gioia, Il rito solenne della messa viene celebrato
sopra alla mangiatoia e Francesco canta il Santo Vangelo. Poi predica al popolo che lo cir-
 Due preghiere pag 9 conda e parla della nascita del re povero che egli [...] chiama "il bimbo di Betlemme».
 Angolo delle politica pag 10 Questa descrizione di Bonaventura è la fonte che ha usato Giotto per compor-
re l'affresco Presepe di Greccio, nella Basilica superiore di Assisi.
 Un pensiero pag 11
 Racconti di natale e leggende Fin qui un poco di storia per ritornare all’inizio della tradizione del presepio.
pagg 12-13 Col trascorrere dei secoli sappiamo che sia le raffigurazioni pittoriche, come
quelle tridimensionali, hanno dato all’estro di tanti artisti una possibilità di
 Articoli ospiti pag 14
espressione secondo le tendenze e le caratteristiche culturali dei tempi e dei
 Percorsi d’arte pag 15 luoghi. Ne sono derivate raffigurazioni finemente notevoli ma che, forse, arri-
 Articoli ospiti pag 16 vano anche a distrarre l’attenzione dall’evento iniziale e fondante questa tradi-
zione - la nascita di Gesù -, spostando l’interessamento sulle forme artistiche,
 Essere giovani pag 18 sui giochi di luce e la molteplicità e estrosità della rappresentazione di perso-
 Ricette di Anna pag 19 naggi, mestieri e luoghi.
Il presepe che quest’anno caratterizza il periodo natalizio nella nostra chiesa,
 Anagrafe Parrocchiale pag 20 nell’intenzione di chi lo ha ideato, vuole tornare alla semplicità dell’evento
dell’Incarnazione, richiamando poi il messaggio evangelico con le esortazioni
del Vangelo, ribadite dal Concilio e dei Papi che chiedono alla vita della fede di
Miei cari, ecco il mio augurio: coinvolgersi in modo personale nella esistenza quotidiana. Per questo, ben
cercate di vincere ogni tristezza, lungi da una manifestazione di campanilismo (che suonerebbe sterile e anacro-
nistico), il situare la nascita del Redentore all’interno della nostra Città vuole
di voler bene a chi è con voi, far risuonare ancora una volta la domanda che il vangelo pone ad ogni cristia-
di stupirvi della vita. no di Genova: che senso ha oggi per te celebrare il Natale di Gesù?
( c o nti n ua)
(Enzo Bianchi)
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Gli oggetti che raffigurano la rappresentazione del presepe ci aiutano a dare qualche ri-
sposta e a far sorgere qualche ulteriore riflessione legate alle recenti vicende e ricorrenze
della nostra chiesa locale.
Innanzitutto la raffigurazione dello sfondo a Boccadasse e la Lanterna, caratterizzano con
pochi cenni la nostra Città dove Gesù ha posto la sua dimora. La barca, strumento di vita
per molte generazioni di genovesi marinai, è simbolo della chiesa-comunità cristiana che
vede in Cristo il suo nocchiero che la guida con la sua parola e il suo esempio nell’attra-
versare il mare della storia e della vita di ciascuna persona. Gli strumenti quotidiani del
marinaio - remi, reti, salvagente, ancora - hanno una facile collocazione e relazione alle
vicende della vita, come anche una loro trasposizione e applicazione spirituale. La fatica
quotidiana della vita è guidata coi remi, la raccolta dei frutti è garantita dalle reti, eventuali
pericoli vengono superati col salvagente, la stabilità è assicurata dall’ancora. Possiamo
raccogliere questi elementi nella figura dei Sacramenti, della sacra Parola, delle opere di
misericordia che ogni giorno sono a disposizione della vita del discepolo di Gesù.
Il questo contesto vogliamo fare un ulteriore riferimento alle ultime motivazioni che dan-
no senso alla nostra vita diocesana: all’inizio del nuovo anno pastorale che vede nella
chiesa cattedrale l’unità del suo cammino alla luce del vangelo e alla visita compiuta da
papa Francesco nel maggio scorso.
Papa Francesco ci ha esortati: «ricordiamoci ogni giorno di “gettare l’àncora in Dio”: portiamo a Lui i pesi, le persone e le situazioni,
affidiamogli tutto. È questa la forza della preghiera, che collega cielo e terra, che permette a Dio di entrare nel nostro tempo».
Il nostro Vescovo, nella presentazione del nuovo anno pastorale, ci ha esortato a «vivere ogni atto e momento con la coscienza
tutta nuova che ogni persona che incontriamo, ogni ambiente che frequentiamo forse ha bisogno di scoprire o di riscoprire Gesù». E riassumen-
do la visita del papa ha detto che «molti sono i messaggi del Papa. Su tutti emergono - come felice sintesi - tre parole: orizzonte, andare
allargo con coraggio, ancorarci in Dio. Sono parole da declinare in ogni ambiente di vita, nella Chiesa e nella Città. Tocca a noi, insieme, non
perdere quota. Porre ogni giorno l'ancora dell'anima nel mare eucaristico è la condizione per avere coraggio di andare al largo con la rotta verso
la meta alta ma possibile».
Davanti al presepe - quello della chiesa o quello che abbiamo preparato in famiglia -, lasciamo risuonare le domande che
scaturiscono dalla rappresentazione: se Dio ha voluto farsi uomo come noi nel suo Figlio benedetto, io come esprimo
concretamente ogni giorno la mia fede nel Signore vivo ed operante nella mia vita? Il Cristo che celebro nella nascita, è
Lui che guida gli affetti del mio cuore, che ispira gli atteggiamenti verso i miei simili, che suggerisce le parole del dialogo
fraterno, che dirige i miei passi all’incontro e apre le braccia nell’accoglienza, che indirizza i miei sguardi nella sincerità dei
rapporti e nel rispetto delle persone, che suggerisce i sentimenti del perdono e della misericordia?
Chiediamo allo Spirito, nella preghiera personale e comunitaria, che ci dia la forza di mettere l’àncora della nostra vita
nell’umanità del Dio fatto uomo.
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COSTANTE BENVEGNU’
ARMANDO GIAMMARINI
EUGENIO SANNINO
ROBERTO BRIGNOLE
ITALO DEMANDINA
NICOLA NIGRO
LUIGI ONETO
NICOLO’ AUCI
ANDREA FUGAZZA (linea grafica)
GIANFRANCO AGOSTINI
CLAUDIO HARASIN
ELPIDIO HARASIN
ANTONELLA GUIDUCCI

Il cantico dei pastori.


Natale, testimonianza da offrire

Nel mio presepe quest’anno non ho costruito colline né disegnato cieli stella- ti, non ho messo
statuine d’arte né meccanismi portentosi che muovono braccia di fabbri, accendono luci, trascinano pecore ver-
so la grotta di Betlemme.
Quest’anno il mio presepe è fatto di musica e parola, è un presepe di cantici.
Se potete fare silenzio e vi ponete in ascolto, riuscirete forse a sentire anche a casa vostra il cantico dei pastori
del mio presepe.
Il cantico dei pastori è testimonianza.

Non abbiamo meriti, non abbiamo sapienza, non abbiamo mandato.


Abbiamo visto e rendiamo testimonianza.
Siamo stati disturbati nella notte e invitati a partire: ma vi diciamo che ne valeva la pena.
L’umiltà del Bambino incoraggia anche noi che non valiamo niente e non godiamo di nessun prestigio a dire una parola, a conta-
giare con la gioia, a invitare al cammino. Siamo testimoni: non attiriamo l’attenzione su noi stessi, ma siamo lieti che anche voi
andiate fin là, dove c’è il motivo della nostra letizia.
Siamo testimoni: dobbiamo dire semplicemente quello che abbiamo visto e nessun complicato ragionamento, nessun disprezzo che ci
mette in ridicolo, nessuna minaccia che ci vuole zittire, nulla può convincerci a tacere quello che ci è stato donato. Siamo stati amati.
Proprio noi, povera gente da nulla, siamo stati amati e quel bambino ci ha resi capaci di amare. Di questo diamo testimonianza.

I pastori sono testimoni e il loro cantico condivide la sorpresa, l’esperienza e il suo frutto.

mons. Mario Delpini Arcivescovo di Milano


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CineBarnab.forum Il cinema “da dentro” – parte III ( Lino Giorgini)

N ei numeri scorsi di “insieme camminiamo” ci siamo soffermati in modo molto sintetico su soltanto due dei
numerosi aspetti che caratterizzano la “settima arte”, il cinema, e precisamente sugli aspetti tecnici, fotogra-
fia, tecnologie di ripresa e soprattutto sul montaggio che rappresenta uno degli strumenti che, per importanza ed eccellen-
za, promuovono la cinematografia al rango nobile citato, poi sugli attori e sulla loro cosiddetta “vita parallela” che uma-
namente parlando può apparire un paradosso ma che diventa fondamentale nell’economia generale e strategica di un la-
voro cinematografico che insegue nel modo più intenso e raffinato possibile la comunicazione di sentimenti e di concetti
elaborati dalla creatività di chi, per così dire, innesca la realizzazione di un film.
Anche per registi e sceneggiatori (tema di queste poche righe) vale il parallelo con gli artisti in generale, il regista soprat-
tutto deve essere un attento e curioso osservatore della realtà, deve avere capacità artistiche appunto, ma anche tecniche
ed organizzative che gli consentano di sovraintendere alla realizzazione di un progetto, come a dire che un film nasce nel-
la testa del suo autore, al quale occorre però avere, per così dire, sotto controllo, tutto l’insieme delle necessità correlate,
dall’ultima delle comparse, ai dialoghi, alla fotografia, al montaggio, un po’ come un direttore d’orchestra che conosce
l’apporto di ogni singolo strumento e ne avverte il contributo per ottenere l’effetto d’insieme della sinfonia (dal greco,
lett. insieme di suoni).
E’ come nelle sinfonie, l’effetto d’insieme deve essere armonico e coerente nel senso che immagini documentaristiche e
costruzione del racconto destinati al vaglio delle platee devono arrivare alle sensibilità non soltanto dei critici cinemato-
grafici, ma della generalità dei destinatari, delle platee appunto fatte di persone le cui emozioni ed il cui gradimento decre-
tano il successo dell’impianto progettuale.
Ebbene, sappiamo tutti chi sono stati e chi sono i grandi registi, gente da Oscar con fior di studi e lauree alle spalle, cele-
brati e osannati nei festival molto più di quanto non succeda ai grandi scrittori o ai grandi pittori o ai grandi fotografi;
questo è possibile perché a differenza delle altre arti, il cinema, grazie alle immagini e al loro montaggio, “ruba” espressi-
vità ad esse nel senso che ha un qualcosa in più rispetto per esempio alla letteratura che le immagini le deve evocare con
le parole, o rispetto alla pittura e alla scultura e quindi alla fotografia che fermano la bellezza e la plasticità di un’ opera
apparentemente priva di vita; certo non è una competizione tra arti, ognuna delle quali ha la sua ragion d’essere e i suoi
indiscutibili contenuti, di sicuro il cinema incontra con favore e successo la cultura del nostro tempo dalle caratteristiche
antropologiche molto differenti da quando all’inizio del secolo scorso si è presentato sulla scena della comunicazione e
dello spettacolo; da quest’ultimo punto di vista e a maggior ragione, la figura del regista che spesso è anche sceneggiatore
assume il ruolo che la sociologia della comunicazione chiama di “opinion leader” per l’enorme prestigio e per la risonanza
che può lasciare il segno nelle coscienze e, perché no, anche nel cuore degli spettatori assumendo una “responsabilità”
che definire “politica” non è esagerare.
C’è pure da dire che il cinema ha ormai la sua storia ed è già passato attraverso diversi stadi di sviluppo coerenti con i
contesti storici nei quali si iscriveva e ovviamente utilizzando diverse tecnologie man mano che il cosiddetto progresso le
metteva a disposizione degli addetti; fondamentale, per chi fa cinema e soprattutto per chi lo “scrive”, è conoscere a fon-
do il cinema per così dire storico; faccio un esempio per meglio farne capire l’importanza: recentemente abbiamo proiet-
tato il bel film di Gianni Amelio “La tenerezza” il cui contenuto sfaccettato aveva tra i temi il rapporto a volte difficile
tra padre e figli splendidamente interpretato da due grandi attori ma per il quale il regista stesso, in un intervista, diceva
anzi ammetteva di essersi ispirato ad un film di Vittorio De Sica di cinquant’anni prima “Ladri di biciclette”, uno dei ca-
polavori del nostro neo-realismo, e in particolare alla scena in cui un padre con il figlioletto per mano veniva accusato e
umiliato in quanto ladro appunto di biciclette, una scena drammatica e toccante replicata da Amelio in altro contesto e
con altri mezzi tecnici.
C’è ancora molto da dire sull’argomento registi, cosa che dobbiamo fare in modo compiuto e quindi occupando spazi di
stampa più ampi: se ne dirà in una parte IV, prossimamente.
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Ho letto un libro per Voi …. (Ines Caminiti )

Bruno Maggioni: “Profeti-Sette meditazioni bibliche”, 2017,


Vita e Pensiero, euro 7,99
Attraverso la voce di uomini schietti, legati alla Parola correttamente imparata, interpreta-
ta e messa in pratica, i profeti sono contemporaneamente conservatori e innovatori; coe-
renti e profondi, limpidi nel cuore e perseveranti nella critica di ciò che non coincide con
la Scrittura vissuta, essi annunciano con urgenza la volontà di Dio. La loro testimonianza
è sempre attuale e per questo messa in discussione dai potenti e dagli opportunisti di ogni
epoca. Il libro di M. sembra una sferzata urticante che mette “luce” in questo tempo di
vicinanza al Natale. Che questa “voce” di verità non si disperda, ma attecchisca con radici
profonde nei nostri cuori di cristiani in cammino…

Spazio per una riflessione ( Ines Caminiti )

“I giovani come alianti sulle fatiche del nostro tempo”

I giovani che conosco sono bellissimi, freschi e semplici, come alianti leggeri: vivono lievi il loro
tempo così contorto e superano le difficoltà con la gioia dello sguardo, ma hanno occhi umidi
per guardare i poveri davanti a loro, e mani generose per raccogliere e ri-distribuire il cibo offerto da chi
fa la spesa nei grandi market. Ci sono giovani che porgono il loro tempo con un sorriso nei meandri
angoscianti degli ospedali pediatrici, dove ingiustamente piccoli malati sono ancorati ai loro lettini di
acciaio e dolore, incomprensibili vittime innocenti di una malattia, inconcepibile alla loro età. Conosco
altri giovani coraggiosi che lottano contro ogni tipo di disagio e di strazio, si mettono in discussione, si
lavorano dentro e trovano la strada, nonostante lutti o violenze subite; altri che affrontano a testa alta il
ricordo dei capelli folti, che ora sono caduti e danno ancora al loro tempo una voce di speranza e un
colore di caparbietà, ancorati come sono allo stupore della vita. Ne vedo altri che teneramente sorreggo-
no vecchi stanchi, curvi di affanni antichi e acciacchi sempre nuovi. Ne vedo altri ancora ripiegati sui
cocci di ciò che resta in una famiglia frantumata, che non riconoscono più, perché il padre li ha lasciati,
non so bene se per correre da altri figli, nati dopo, ma fatti proprio come i primi. Ci sono giovani belli di
coraggio, che affrontano le fatiche della competizione sportiva per far gareggiare quelli non abili come
loro, offrendo invece il sorriso della corsa e la gloria di una medaglia. Ce ne sono altri che passano i sa-
bati in oratorio, nonostante molti loro compagni si siano fiondati al centro commerciale o siano partiti
per una gita a cavallo del loro scooter. E poi la folta schiera di giovani in coda alle agenzie di colloca-
mento, col loro ampio curriculum sul telefonino e il fresco volto stampigliato in alto, esperienza e ma-
ster tutti stampati in word e tinteggiati di fatica, studio, porte sbattute in faccia negli asettici colloqui in-
terinali. Questi sono i nostri giovani luminosi come il sole, leggiadri come una spiaggia di ghiaia rosa;
essi vivono con ardore il loro tempo contraddittorio e variegato di sfide. Questi i volti veri e buoni del
mondo positivo di domani. E’ vietato togliere loro il sorriso e la speranza, la gioia di vivere e l’attesa del
futuro. Che nessuno mai si permetta di criptare i loro sogni e i loro progetti, perché gli alianti sono fatti
per volare!
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Il Natale di Martin
di Leone Tolstoj

I
(lettura scelta da Luisa Montalto)

n una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con
una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma
ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene,
usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un
vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì
il suo cuore.

- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.


Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e
saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.
Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta co-
minciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa
sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore
disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con
le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece,
con unguento profumato ha unto i miei piedi.
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle brac-
cia e si addormentò.

All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Mar-
tin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi
si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così,
più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosce-
va, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic,
che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e
continuò il suo lavoro.

Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o ripo-
sando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. - Entra· disse - vieni a scaldarti. Devi avere
un gran freddo.
- Che Dio ti benedica!- rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto
che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'.
Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
- Ieri sera- rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti
onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito
qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e
per il corpo.Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna
con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un
bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo
indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della
zuppa. - Mangia, mia cara, e riscaldati - le disse.
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Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa
e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangia-
re. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. - È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi
passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che
voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito
passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e
la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. -
Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la paghe-
rò io, nonnina.
- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per
tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattut-
to a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la
tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arne-
si, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si
voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi riconosci?
- Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scom-
parvero.
- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svaniro-
no.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi
fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto
avete fatto a uno dei più piccoli dei miei
fratelli, l’avete fatto a me.
Così Martin comprese che il Salvatore era
davvero venuto da lui quel giorno e che lui
aveva saputo accoglierlo.
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Storia di Genova (Valerio Soati )

“ U confeugo “ e San Martino d’Albaro

F in da tempi antichissimi le tre Valli del Bisagno, del Polcevera e di Voltri erano le uniche ad avere rappresen-
tanza nel Governo di Genova con tre deputati con il titolo di anziani.
La legge del primo maggio 1413 stabili che in dette circoscrizioni fosse istituito un Abate Reggitore del Popolo funziona-
rio “probus,sapiens et status presentis amator” che doveva vigilare e sopperire alle necessita del popolo.
All’ Abate del Popolo della valle del Bisagno, residente nel palazzo del Governo di San Martino d’Albaro (oggi sede della
scuola Boccanegra) venne affidato il privilegio di conferire al Doge di Genova il confegu.

Goffredo Casalis nella sua monumentale opera - Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M.
il Re di Sardegna- nel volume XVIII pubblicato nel 1849, descrivendo il comune di San Martino d’Albaro, scrive:
“...Per costume invalso fin dai tempi in cui venne creato l'abate per la valle del Bisagno, doveva questi complire in forma pubblica il
doge della repubblica la vigilia della Natività del Signore, e fargli presente del confogo. Era questo confogo un gran tronco d'albero
ornato di rami verdeggianti e di fiori : si conduceva da un pajo o più di buoi a guisa di carro , e lo accompagnava l'abate preceduto
dagli alfieri della valle, che portavano diverse insegne e la bandiera del Bisagno: seguivali una numerosa comitiva: giunto il corteggio
al palazzo ducale, si lasciava il confogo nel cortile, e l'abate presentavasi al doge con parole d'ossequio e di riverenza: a notte inol-
trata il doge ed i collegi scendevano ad attaccare il fuoco a quel tronco, e vi gettavano sopra un vaso di vino, zucchero , ed una quan-
tità di confetti. Ma la cerimonia del confogo fu abolita con legge del 30 dicembre 1657, e le ne fu surrogata un'altra, che si man-
tenne in vigore sino al 1797: secondo questa l'abate dovea nel dì precedente a quello del SS. Natale partire dal pubblico palazzo
esistente in s. Martino d'Albaro vestito con toga e cappello senatorio, preceduto dagli alfieri colla bandiera della valle , e presentarsi
ad ossequiare il doge nella sua residenza ducale, in nome del Bisagno: ivi dovea essere ricevuto dalla guardia del palazzo a tambiu-
rio battente cogli onori militari, ed in mezzo alle guardie svizzere presentarsi al doge , offerirgli un mazzo di fiori , protestandogli la
fedeltà de' suoi valleggiani…..”
Con l’avvento di Napoleone e la soppressione della Repubblica di Genova nel 1797 il rito cessò.
Dal 1951, organizzata da A Compagna, la cerimonia viene ripetuta con il presidente della A Compagna al posto dell’Aba-
te del popolo ed il sindaco di Genova al posto del Doge.
Nota: Goffredo Casalis Dottore di Belle Lettere, Abate, Storico, pubblico la sua monumentale opera in 31 volumi, per
un totale di 26.408 pagine, il primo pubblicato nel 1833 e gli ultimi due nel 1856. L’opera elenca tutti i comuni e territori
del Regno di Sardegna con peculiarità e dettagli inimmaginabili se si considera che all’epoca non erano disponibili telefo-
ni, fotocopiatrici fax e tutti i mezzi a disposizione oggi per reperire dati, notizie e fatti storici.

La cerimonia del Confeugo riprende un’antica tradizione della Repubblica di


Genova, documentata dal secolo XIV, ma probabilmente più antica.
In occasione del Natale, e dell’imminente inizio di un nuovo anno, il popolo
rendeva un omaggio beneaugurante alle massime autorità della Repubblica,
presentando un tronco d’alloro decorato con nastri bianchi e rossi. In rappre-
sentanza della popolazione, il dono era recato dall’Abate del Popolo
(tradizionalmente il rappresentante della Val Bisagno) al Doge. Il tronco veni-
va poi bruciato, sempre per buon auspicio, e i presenti cercavano di portarne
a casa un tizzone, come amuleto.
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Per iodico di in for ma zione de lla
Parrocchia Gesù Adolescente

Preghiera per il nuovo anno.


Voglio vivere ogni giorno con ottimismo e
Signore,
bontà,
alla fine di questo anno voglio ringraziarti
chiudi le mie orecchie a ogni falsità,
per tutto quello che ho ricevuto da te,
le mie labbra alle parole bugiarde ed egoiste
grazie per la vita e l’amore,
o in grado di ferire,
per i fiori, l’aria e il sole,
apri invece il mio essere a tutto quello che è
per l’allegria e il dolore,
buono,
per quello che è stato possibile
così che il mio spirito si riempia solo di bene-
e per quello che non ha potuto esserlo.
dizioni
Ti regalo quanto ho fatto quest’anno: e le sparga a ogni mio passo.
il lavoro che ho potuto compiere,
Riempimi di bontà e allegria
le cose che sono passate per le mie mani
perché quelli che convivono con me
e quello che con queste ho potuto costruire.
trovino nella mia vita un po’ di te.
Ti offro le persone che ho sempre amato,
Signore, dammi un anno felice
le nuove amicizie, quelli a me più vicini,
e insegnami e diffondere felicità.
quelli che sono più lontani,
quelli che se ne sono andati, Nel nome di Gesù, amen.
quelli che mi hanno chiesto una mano (Arley Tuberqui)
e quelli che ho potuto aiutare,
quelli con cui ho condiviso la vita,
il lavoro, il dolore e l’allegria.
Oggi, Signore, voglio anche chiedere perdono
per il tempo sprecato, per i soldi spesi male, AL BAMBINO GESU’
per le parole inutili e per l’amore disprezzato,
perdono per le opere vuote,
per il lavoro mal fatto, Caro Bambino desiderato,
per il vivere senza entusiasmo rallegrati ti ho trovato.
e per la preghiera sempre rimandata,
per tutte le mie dimenticanze e i miei silenzi, Era tanto tempo che ti cercavo,
semplicemente… ti chiedo perdono. su per i monti mi arrampicavo,
Signore Dio, Signore del tempo e dell’eternità, su per le cime e giù per il piano,
tuo è l’oggi e il domani, il passato e il futuro, e, mi sono rovinata tutta una mano;
all’inizio di un nuovo anno,
io fermo la mia vita davanti al calendario ma non fa niente non sento dolore,
ancora da inaugurare basta che veda il mio caro Signore.
e ti offro quei giorni che solo tu sai se arriverò a Venite qui tutti bravi musicanti,
vivere.
a lodare il Santo di tutti i Santi.
Oggi ti chiedo per me e per i miei la pace e l’alle-
gria,
la forza e la prudenza,
la carità e la saggezza.
Poesie scelte da Francesca Lacapra
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L’angolo della Politica (Lino Giorgini)

Non è un paese per giovani…..

P arafrasando il titolo del bel film di Giovanni Veronesi ed in generale guardandoci attorno, penso sia bene, sia indice di
presa d’atto e quindi di consapevolezza riflettere sul fatto che la nostra società, il nostro mondo, la nostra cultura non han-
no più bisogno dei giovani dal momento che le leggi dell’economia hanno surclassato la politica subordinandone il necessario primato
ad un’idolatria sempre più pervasiva, quella del denaro: per denaro ci si attrezza con tecnologie sempre più utili a sostituire il lavoro
delle persone, per denaro si delocalizza spostando il poco lavoro che resta dove costa meno, per denaro si costruisce la ricchezza non
più con l’apporto umano ma con gli scambi finanziari e questo grazie agli sviluppi dell’informatica (basta un click per creare e di-
struggere enormi risorse).
Va da se che in questo contesto, con la politica ridotta a pura esecutrice degli ordini dell’economia, tracce di democrazia permangono
solamente nelle “arringhe” pre-elettorali.
Oltre al lavoro, con tutto il suo portato di dignità e di equilibrio sociale, ai ragazzi è negata pure la possibilità di ribellarsi e questo non
perché “millenials” avulsi dal contesto nel quale vivono, magari un po’ edonisti con la testa intontita da alcool e canne, magari delusi
da classi dirigenti troppo lontane da chi rappresentano, ma perché la “rivolta” o la “rivoluzione” sono possibili quando esiste un con-
flitto tra due volontà, quella del servo e quella del signore, quella del dipendente e quella del datore di lavoro, quella del cambiamento
e quella della conservazione; oggi, mi viene da dire purtroppo, il servo e il signore sono dalla stessa parte e sono in conflitto col
“mercato” e come si fa a configgere col mercato? Il mercato non ha volto, non ha rango sociale, il mercato è nessuno anche se a nes-
suno sfugge che “dietro” c’è un 1% che orienta e governa il denaro di tutti.
Una breve digressione geo-politica circa un argomento tipico del mercato globale, quello della “crescita”, che è la principale preoccu-
pazione di economisti e governi occidentali: il Programma ONU per lo sviluppo sostiene o quantomeno non nasconde che noi occi-
dentali appunto, per continuare col nostro modus vivendi, col nostro tenore di vita, abbiamo necessità del 75% (tre quarti) delle risor-
se di tutta la terra e noi siamo meno di un miliardo o giù di lì! Pensiamo forse che gli altri sei miliardi si contenteranno del restante
25% o faremo loro la guerra con i nostri potenti mezzi? Tutti lì a discutere sugli “zero virgola” di un PIL che se non cresce condanna
i politici a passare la mano senza riflettere su quanto sia scientificamente impossibile postulare una crescita all’infinito, continuiamo a
guardarci le “punte dei piedi” senza pensare ai passi che faremo e i giovani ne sono le prime vittime.
Sembrerebbe quasi un sistema in agonia se pensato in termini strutturali; ma come può una “civiltà” ( per usare un termine più am-
pio) rinunciare o tenere in “non cale” la parte di popolazione che, secondo natura, è nel momento centrale della potenza biologica e
quindi sessuale e creativa; povera “civiltà” quella che si riduce a far sopravvivere i giovani attingendo alla ricchezza dei padri e dei
nonni senza metterli in condizione di essere protagonisti e procurare, a loro volta, ricchezza ai loro figli, intendimento peraltro cui
molti di loro hanno già rinunciato a giudicare dal preoccupante calo demografico che le statistiche ci presentano; alcuni studiosi offro-
no una spiegazione tecnica, per così dire, di questo fenomeno regressivo postulando una “ciclicità” della storia politico economica nel
senso che ci sono periodi nel corso dei quali si creano le condizioni oggettive (come nel caso del nostro boom) perché economia e
demografia si prendano a braccetto e producano crescita così come piace sia agli economisti di oggi che fanno della crescita il loro
“mantra” sia a quelli classici prima di Keynes che decifrarono il capitalismo successivo alla rivoluzione industriale; il ciclo positivo,
per il nostro paese, dopo un lungo periodo di lavoro convinto e creativo per ricostruire e per creare il miracolo italiano, ha avuto
termine con la consapevolezza di aver messo insieme ricchezza effettiva e a quel punto si poteva scegliere se “capitalizzarla” per
crearne di nuova nell’interesse anche della nuove generazioni tenendo la famosa” forbice” il più possibile chiusa oppure rottamare
impegno, sobrietà e frugalità mettendoci a consumare al di là del necessario aprendo a dismisura la forbice come i Padri Costituzionali
proprio non volevano che si facesse e invece gli italiani l’hanno fatto e hanno messo in atto politiche masochiste che si sono occupa-
te più del “sacco dello stato” che non di un’ intelligente riconversione di un sistema saturo e bisognoso di essere ripensato.
Difficile dire se questo approccio analitico sia corretto e sicuramente non è generalizzabile, offre però una logica di comprensione
dell’enorme problema generazionale; non si può dire certo che abbiano governato governi che si ritrovano percentuali di disoccupa-
zione giovanile come le nostre suscitando scontento, per non dire risentimento, da parte di genitori che hanno “fatto studiare” con-
vintamente i propri figli, come pareva fosse meglio fare e ritrovandoseli ora laureati, disoccupati, precari oppure in giro per il mondo
e da parte anche di ragazzi per i quali occorre ragionare, come si sente, di “nuova forma di analfabetismo” nel senso che non sono
pronti a costruire un futuro; genitori e scuola, sempre ovviamente non generalizzando, hanno fallito oppure si sono adeguati ad uno
standard molto basso nel fornire valori e oggi molta parte delle persone sotto i 35 anni sono costrette a pensare solo al presente
immediato e questo spiega anche il perché del rassegnato disimpegno e delle serate alcooliche.
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(continua)
Girando per città tradizionalmente operose sembra che gelaterie e locali siano le uniche attività nuove come se il nostro paese fosse
diventato un enorme villaggio-vacanze dove il lavoro è un optional e per di più con gli ex sessantottini che accusano i ragazzi di ac-
condiscendere all’andazzo e di non fare la rivoluzione; come ho già detto sopra la rivoluzione, basta studiare un po’ di storia, ha sem-
pre dei presupposti e forse il declino, la fine dell’occidente paiono a molti già ben visibili proprio nella condizione dei giovani; che
dire, è caduto pure l’impero romano, morto un re o un papa se ne fa un altro, chissà che non abbia ragione Vasco: anche se tante cose
non hanno senso “domani arriverà lo stesso”.

Sempre la solita storia (effegi)

E’ inevitabile che in questo periodo le suggestioni le atmosfere i colori e le musiche ci allontanino ancora di più dal vero
significato del Natale.
Troppo facile fare esercizio di bontà lavandosi un po’ le coscienze con qualche gesto caritatevole in più, troppo contradditorio !
Vorrei fare un ragionamento a prescindere dalla Fede che ognuno di noi personalmente sente e pratica, un ragionamento che
non implica l’essere cristiano solo alla luce dell’osservanza dei dogmi e della partecipazione alle funzioni ma invece che riflette
sulla nostra esperienza umana nel quotidiano ,nel nostro agire tentando di seguire l’insegnamento di Cristo Gesù .
Mi interrogo tutti i giorni sul senso di questa vita che a seconda delle situazioni personali ci allontana o ci avvicina al fratello;
facendo attenzione si può osservare che ogni giorno ci vengono offerte delle buone occasioni per cambiare realmente noi stessi
aprendoci lo sguardo ad una prospettiva che non metta al centro solo noi stessi …
Ogni giorno abbiamo delle opportunità che dovremmo saper cogliere.
Il più delle volte non ci è possibile coglierle tanto forti sono le nostre resistenze ,le nostre difese.
Dovremmo semplicemente ascoltare con il sentire del cuore questi inviti lasciando da parte ragionamenti e pregiudizi che ne osta-
colano la messa in pratica. Sembra un passaggio facile, una inevitabile conseguenza di ciò che pensiamo di essere, soprattutto noi
Comunità che condividiamo l’esperienza concreta del raccoglierci intorno alla parola del Signore ogni domenica, in tanti, e presen-
tiamo con onestà a Lui il nostro vissuto personale.
Invece osservo, senza voler giudicare ,che anche tra i miei amici, e le persone a me care ,spesso un ostacolo insormontabile o
meglio “la paura” impedisce al “pensare” l’azione … il proprio intoccabile spazio vitale non può essere minacciato… tutto
questo sento che e in profonda contraddizione con l’essere Cristiano.
Mi fermo qui: nel mio cammino personale che certo non può essere d’esempio …poca preghiera e tanto dialogo “diretto” spesso
poco educato … ma mi sforzo però di andare avanti credendo ,questo si! che quel qualcuno tanto amato, tanto invocato, spesso
invano, abbia voglia di cambiarmi ogni giorno, in meglio, dal “di dentro”.
Lasciamoci invadere dall’amore dei fratelli e dall’amore di Dio.
Buon natale e che sia la festa dei bambini e dei nostri cuori
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Natale, racconti di gioia... (


Quattro Angeli dell’avvento ... Delicata leggenda da leggere ai bimbi Maria R.Ranalli

G li Angeli dell’ Avvento sono quattro, proprio come le quattro settimane che preparano al Natale.
Vengono in visita sulla Terra, indossando abiti di un colore diverso, ciascuno dei quali rappresenta
una particolare qualità.
L ‘ Angelo blu. Durante la prima settimana un grande Angelo discende dal cielo per invitare gli uomini a prepa-
rarsi per il Natale. E’ vestito con un grande mantello blu, intessuto di silenzio e di pace. Il blu del suo mantello
rappresenta appunto il silenzio e il raccoglimento.
L ‘Angelo rosso durante la seconda settimana un Angelo con il mantello rosso scende dal cielo, portando con la
mano sinistra un cesto vuoto. Il cesto è intessuto di raggi di sole e può contenere soltanto ciò che è leggero e
delicato. L ‘Angelo rosso passa su tutte le case e cerca, guarda nel cuore di tutti gli uomini, per vedere se trova
un po’ di amore. Se lo trova, lo prende lo mette nel cesto e lo porta in alto, in cielo. E lassù, le anime di tutti
quelli che sono sepolti in Terra e tutti gli angeli prendono questo amore e ne fanno luce per le stelle. Il rosso
del suo mantello rappresenta l’amore.
L ‘Angelo bianco. Nella terza settimana un Angelo bianco e luminoso discende sulla terra. Tiene nella mano de-
stra un raggio di sole. Va verso gli uomini che conservano in cuore l’amore e li tocca con il suo raggio di luce.
Essi si sentono felici perché nell’inverno freddo e buio, sono rischiarati e illuminati. Il sole brilla nei loro occhi,
avvolge le loro mani, i loro piedi e tutto il corpo. Anche i più poveri e gli umili sono così trasformati e assomi-
gliano agli angeli, perché hanno l’amore nel cuore. Soltanto colore che hanno l’amore nel cuore possono vede-
re l’Angelo bianco. Il bianco rappresenta il simbolo della luce e brilla nel cuore di chi crede.
L’ Angelo viola.. nella quarta e ultima settimana di Avvento, appare in cielo un Angelo con il mantello viola.
L’Angelo viola passa su tutta la Terra tenendo con il braccio sinistro una cetra d’oro. Manca poco all’arrivo del
Signore. Il colore viola è formato dall’unione del blu e del rosso, quindi il suo mantello rappresenta l’amore ve-
ro, quello profondo, che nasce quando si sta in silenzio e si ascolta la voce del Signore dentro di noi.

Al Luna Park ! ( Mario Avena)

Forse le stavano montando già da qualche giorno ma te ne accorgi solo quando le accendo- no, il
periodo natalizio è arrivato; sono arrivate le giostre! La grande ruota panoramica che quando sei in alto vedi
tutto l’arco della città con la lanterna che schiaccia l’occhio di sera. Gli autoscontri che scintillano e scoppietta-
no, il toboga con gli scivoli, il tagadà con i ragazzi in piedi che saltano e i mitici seggiolini volanti, la giostra pre-
ferita.
Cinque giri, sette euro. La signora del botteghino è sempre la stessa, tinta di biondo, robusta, imbronciata, luci-
da e sempre sudata. Quel piccolo ventilatore fucsia serve solo a far svolazzare la banconota appena appoggiata.
Un pugno di gettoni per volare!
Uno sta seduto davanti e uno dietro e si tiene all’altro seggiolino. Il rumore delle catene spezza la musica che
pervade l’aria satura di salsedine. Poi, c’è quell’attimo in cui tutto sembra fermo, immobile. Fino a che, un col-
po secco ti fa muovere lentamente e cominci a prendere velocità. Mentre riesci ancora a vedere le persone ri-
maste a terra con il naso all’insù ti senti un’astronauta in partenza per lo spazio. Cinque giri per volare! Ti senti
proiettato nell’infinito, solo le catene ti tengono ancorato al mondo, che sotto resta fermo e vederlo da lassù è
proprio bello, con il mare ed il cielo che si fondono all’orizzonte. Ecco, il trofeo che sospeso attende. Ci siamo,
è il momento di provarci: un calcinculo per andare ancora più in alto, afferrarlo e vincere un altro giro. Se non
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Articoli ospiti…

I volti della povertà


La povertà evangelica parte dall'assunzione della nostra piccolezza, debolezza e fragilità.
Del nostro limite, che non è una condanna, ma assunzione reale della nostra umanità

L a Giornata mondiale dei poveri, proposta da Papa Francesco quale "ulteriore


segno concreto" (MM n. 21) dell'Anno Santo della Misericordia, non ci chiede
innanzitutto un attivismo sterile. Chiede piuttosto, alla Chiesa intera e a ciascuno di noi, di maturare uno sguardo
contemplativo, di "apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la
fede... E questo differenzia l'autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di
interessi personali o politici" (EG, n. 1 99), Si tratta, allora, di riconoscere i poveri, di vederli! È quanto Gesù chiede ai
discepoli, forse intenti a guardare i ricchi che gettavano molte monete nel tesoro del tempio, invitandoli a imparare da
una donna senza nome: "Venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli,
disse loro. In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri... Vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto
quanto aveva per vivere" (Mc 12, 42-44).
Ma uno sguardo così, che sa vedere i poveri, è, a sua volta, uno sguardo povero, perché solo i poveri sanno vedere,
amare e servire i poveri. Il cammino, allora, è un cammino di spogliazione, del quale mi piace brevemente eviden-
ziare tre passi che mi paiono ineludibili.

1. - Si tratta, innanzitutto, di riconoscere la nostra povertà creaturale. Prima ancora di sfor-zarci di diventare poveri,
si tratta di riconoscere che poveri lo siamo già, strutturalmente (ontologicamente, col linguaggio della filosofia). Credo
che interrogarci su come vivere oggi la povertà evangelica debba proprio partire di qui, dall'assunzione faticosa (ma an-
che serena e gioiosa, perché siamo figli amati!) della nostra picco-lezza, debolezza e fragilità. Del nostro limite, che non è
una condanna, ma assunzione reale della nostra uma-nità. Le nostre ferite diventano allora feritoie attraverso le quali
entra il Si-gnore, e la nostra concreta umanità diventa materiale da costruzione di una Pienezza che solo Dio può do-
narci. Figli nel Figlio: questa la nostra vocazione.

2. - La povertà creaturale evolve, allora, nella beatitudine della povertà: da condizione, diventa scelta! È un cammino
lungo e faticoso, che ci chiede di affidarci a Dio che conosce i nostri cuori, che ci chiede di abbassare le nostre difese e di
assumere anche le svolte dolorose della vita come la porta stretta attraverso la quale passare... Chi vive allora la povertà
del Vangelo non fa più del possesso l'idolo che governa la sua vita, perché sa (per esperienza e non per sentito dire!) che
possediamo davvero solo quello che doniamo! Mi hanno sempre affascinato queste parole del Patriarca Atenagora:
"Bisogna imparare a disarmarsi. Io questa battaglia l'ho fatta per anni e anni. È stata terribile, ma ora sono disarmato. Non sono più
all’erta, gelosamente aggrappato alle mie ricchezze; accolgo e condivido... Quando non si possiede più niente, non si ha più paura". È uno
straordinario testo cristiano!

3. - Solo da qui sgorga quasi naturalmente la dimensione profetico-ecclesiale della povertà. Alcune parole forse pos-
sono mostrarne il volto variegato: povertà come condivisione e impegno per la giustizia, povertà come paradossale bel-
lezza, povertà e sobrietà. Ma l'elenco, evidentemente, sarebbe molto lungo. Si configura qui il volto evangelico di una
Chiesa povera per i poveri, capace di essere, quando necessario, ospedale da campo, magari "accidentata, ferita e sporca per
essere uscita per le strade" (EG, n. 49), ma obbediente al comando di Gesù: "Voi stessi date loro da mangiare" (Mc 6,37).

Termino ribadendo quanto scrivevo all'inizio. Prima che fare qualcosa per i poveri, si tratta di diventare poveri e di rico-
noscere i poveri come - le parole sono di San Vincenzo de' Paoli - "i nostri signori e padroni. Tutti quelli che ameranno i poveri
in vita non avranno alcun timore della morte".

di Mons. Calogero Marino - Vescovo di Savona-Noli


Pagina 15 Numero 37,Anno 9,2017

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Associazione Culturale :Incontriamo l’Arte (Roberto Peruch)

BOLOGNA
Dal 12 dicembre 2017 al 13 Maggio 2018 il MAMbo (MUSEO ARTE
MODERNA di BOLOGNA) propone REVOLUTIJA, una grande mostra realiz-
zata grazie alla collaborazione in esclusiva con il Museo di Stato Russo di San
Pietroburgo"

ROMA
9 Ottobre 2017 - 11 Febbraio 2018
il Vittoriano di Roma ospita la mostra dedicata al padre dell'Impressionismo,
"Monet. Capolavori dal Musée Marmottan": protagonisti dell'esposizione 60 ecce-
zionali prestiti, tutti provenienti dal Musée Marmottan di Parigi, che raccoglie il nu-
cleo più importante e numeroso delle opere del maestro.

MILANO
PALAZZO REALE dal 21 febbraio al 24 giugno 2018
La mostra di Dürer al Palazzo Reale di Milano è la prima, importantissi-
ma mostra che la città dedica al celeberrimo artista tedesco, che seppe coniu-
gare la grazia artistica rinascimentale con le moderne ricerche scientifiche e matema-
tiche.

LETTERA di NATALE (Eleonora Benvegnù)


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Articoli ospiti…
“Padre Nostro”, tutto da rifare

I n questi giorni molti giornali hanno riportati l’intervento di Papa Francesco che “corregge” il “Padre Nostro” (“Dio non ci induce in
tentazione, la traduzione è sbagliata”). Su questo argomento sono intervenuti in molti, ognuno con la propria riflessione e proposta.
Riportiamo questo intervento del biblista Alberto Maggi che può aiutare a chiarire i termini della questione.
Considerato il testo più complesso del Nuovo Testamento, poiché contiene un termine inesistente nella lingua greca, il
Padre Nostro, l’unica preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, è pervenuta in tre versioni diverse tra loro, nel
vangelo di Matteo (Mt 6,9-13), una più breve in Luca (Lc 11,2-4), e nella Didaché (8,2), primo catechismo dei cristiani.
Il testo del Pater andrebbe ritradotto per restituirgli la sua forza innovativa. La continua ripetizione di questa orazione per
ogni circostanza l’ha infatti usurata e ridotta al rango di pia devozione (“diciamo un padrenostro…”). Il Padre nostro non
è una preghiera, nel senso di un atto cultuale, devoto, ma la formula di accettazione delle beatitudini. Per questo l’evange-
lista Matteo ha composto lo schema del Pater (Mt 6,9-13) come quello delle Beatitudini (Mt 5,3-10), ponendo una stretta
relazione tra i due testi: può rivolgersi a Dio, come Padre, solo chi accogliendo le beatitudini si impegna a orientare la
propria vita per il bene dei fratelli. Per questo, fin dai primi tempi della Chiesa, il Pater era parte essenziale della liturgia
battesimale: solo al momento del battesimo il catecumeno poteva recitare la preghiera del Signore, quale segno di conver-
sione radicale della sua vita.
La preghiera inizia rivolgendosi al Padre che è “nei cieli”. Essere nei cieli o sulla terra è quel che distingueva la condizione
divina da quella umana. Quest’affermazione si comprende meglio se inserita in un’epoca nella quale l’imperatore preten-
deva di essere considerato di natura divina, e il rifiuto di adorarlo era causa di morte. I cristiani affermando che nei cieli
c’è solo il loro Dio, non riconoscono nessuna autorità se non quella del loro Padre celeste. Sfidando i detentori del pote-
re, i credenti rivendicano la loro libertà.
La prima petizione del Padre nostro riguarda la santificazione del suo nome, che non ha solo l’ovvio significato di rispet-
tarlo, ma esprime l’impegno del credente di far conoscere questo Dio come Padre con il proprio comportamento
(“Perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”, Mt 5,16).
La richiesta “venga il tuo regno” non ha il significato di chiedere quel che ancora deve arrivare, perché dal momento che
una comunità ha accolto le beatitudini di Gesù, il regno di Dio è già presente (“di essi è il regno dei cieli”, Mt 5,3), ma che
questo regno, la società alternativa fondata sulle beatitudini si estenda sempre più, offrendo così a ogni uomo una propo-
sta di vita piena.
Quella che riguarda la volontà divina (“sia fatta la tua volontà”) è per molti la richiesta più difficile, perché si pensa che
questa coincida con gli eventi tristi, luttuosi della vita. È infatti allora, quando non ci sono più speranze o alternative, che
sospirando rassegnati si dice “sia fatta la tua volontà”. In realtà l’evangelista non adopera il verbo “fare” che indica un’a-
zione umana, bensì “compiere”, espressione dell’agire divino. Non si tratta di fare la volontà di Dio ma si chiede che il
suo disegno d’amore sull’umanità si compia, permettendo a ogni uomo di divenire suo figlio, e ci si impegna attivamente
perché questo si possa realizzare.
L’espressione “come in cielo così in terra” non si riferisce solo all’ultima richiesta, quella della volontà, ma ingloba tutte le
altre. Cielo e terra indicano il creato: la preghiera di Gesù non è riservata a un solo popolo, ma universale, aperta a tutte le
genti.
Il versetto più difficile da tradurre è quello del pane, in quanto contiene un termine che non esiste nella lingua greca
(“dacci oggi il pane nostro, quello epiousion”), ed è stato da sempre lo scoglio per ogni traduttore. Dal quarto secolo la
traduzione latina, denominata Vulgata, tentò di superare la difficoltà presentata da questo termine sconosciuto traducen-
dolo in due diverse maniere: “supersubstantialem” in Matteo e “cotidianum” in Luca. Quest’ultimo termine, più facile a
pronunciarsi e anche più comprensibile, venne trapiantato dal vangelo di Luca in quello di Matteo per formare la versione
liturgica, originando però l’equivoco che la richiesta riguardasse il pane da mangiare ogni giorno, causando lo scandalo di
chi, pur pregando, non riceve nulla. Il pane che nutre l’uomo non va richiesto a Dio e non è inviato dal
cielo, ma è compito degli uomini produrlo e condividerlo generosamente con chi non ne ha. Questo pane
che viene richiesto al Padre, è la presenza di Gesù, il pane di vita (Gv 6,35), alimento essenziale per la
comunità, sia nell’eucaristia sia nella sua Parola.
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La sola volta in cui nel Pater una petizione viene motivata da una clausola, essa riguarda il condono dei debiti: “come
noi li condoniamo ai nostri debitori”. I credenti che hanno accolto le beatitudini non possono dividersi in creditori e
debitori. Il condono concesso dal credente al fratello non è condizione di quello del Padre, ma la sua conseguenza, e
permette la realizzazione della volontà di Dio sul suo popolo (“Non vi sia alcun bisognoso in mezzo a voi”, Dt 15,4).
La resistenza a condonare i debiti ha portato poi a spiritualizzare questa richiesta, trasformando i debiti da economici a
spirituali, in peccati. Mentre è possibile perdonare le colpe e restare in possesso dei propri averi, la richiesta del Pater
esige la rinuncia a questi.
Nella Lettera di Giacomo si legge che “Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può
essere tentato al male ed egli non tenta nessuno al male” (Gc 1,13-14). Purtroppo aver reso la petizione del Pater con
“non c’indurre in tentazione” ha da sempre sconcertato i credenti, restii a credere in un Padre che tenta i propri figli. La
traduzione CEI del 2008 ha cercato di migliorare l’espressione rendendola con “non abbandonarci alla tentazione”. L’a-
zione di Dio non è quella di indurre l’uomo nella tentazione bensì di liberarlo dalla stessa. “Non farci soccombere nella
prova”, è questo il significato della richiesta della comunità, che chiede di non cedere in una situazione che non è capa-
ce di gestire. Non si tratta delle prove che la vita presenta, ma il singolare “prova” indica un’unica prova, particolarmen-
te temuta, e dalla quale Gesù metterà in guardia i suoi: “Vigilate e pregate per non cadere nella prova” (Mt 26,41). È la
prova della cattura di Gesù, alla quale tutti i discepoli soccombono, nonostante le reiterate dichiarazioni di essere pronti
a morire con lui.

La richiesta di non cedere durante la persecuzione prepara l’ultima petizione, quella di essere liberati dal maligno (non
dal “male”). La contrapposizione tra il Padre e il maligno, tra colui che comunica vita e colui che la può distruggere,
marca l’inizio e la fine della preghiera. La fedeltà al Padre suscita avversione e persecuzione, ma questa anziché indeboli-
re la comunità la irrobustisce e la rende testimone visibile del suo amore incondizionato per l’umanità.

Teatro,16/12 2017,in scena “Paparino”, la nuova


commedia della Compagnia dell’Amicizia che ringrazia il
pubblico pre- sente!

Avete
donato
655,00 €
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Essere giovani in “questo tempo “ (Luca Marcato)

Quando vi chiesi: «Le cose si possono cambiare?».


E voi avete gridato insieme un fragoroso «Sì».
Papa Francesco -

Giornata Mondiale dei Giovani GMG Cracovia 2016


Voi siete l’avvenire del mondo, voi siete la speranza della Chiesa, voi siete la mia speranza"

P apa Giovanni Paolo II si rivolgeva così ai giovani per celebrare il suo 25 esimo anniversario di pontificato e
oggi scelgo questo spunto per parlavi di una vera opportunità, una Grazia che Papa Francesco e tutta la Chiesa
hanno in serbo per i giovani il prossimo anno: Il Sinodo dei Giovani 2018.
Cosa significa Sinodo dei Giovani? I vescovi si riuniranno insieme per affrontare il tema “I Giovani, la Fede e il Discerni-
mento Vocazionale” facendo “il punto della situa” (parlando come i nostri giovanissimi) sulla condizione dei giovani nella
chiesa cattolica nel mondo.
Ma quindi riguarda solo i vescovi? No, noi giovani parteciperemo attivamente e già da alcuni mesi è disponibile per tutti
noi un questionario per suggerire ai vescovi spunti di riflessione e domande concrete.
Tuttavia senza aspettare che qualcuno ci proponga il questionario credo che un primo passo noi giovani potremmo farlo
domandandoci: “Per me, che frequento la mia parrocchia, che frequento il gruppo, che animo l’ACR, gli scout, troppo
grande per essere un adolescente ma non ancora pronto ad essere un vero adulto, cosa significa essere un giovane cristia-
no?”
Mi sembra ieri quando Papa Francesco ci esortava a Cracovia, alla giornata mondiale dei giovani, di non essere giovani
divani ma di essere giovani che fanno Casino! (Parole del Papa).
Li per lì ci sentivamo euforici, grintosi, pronti a dare “la svolta” alla nostra vita di fede, al nostro coinvolgimento cristia-
no; al nostro ritorno sono sicuro che ognuno di quei ragazzi che era lì con me abbia fatto nel suo piccolo del suo meglio,
ma ovviamente quell’entusiasmo di circostanza oggi è diminuito parecchio. Quello che è tronato più carico di tutti ovvia-
mente è stato Papa Francesco e a distanza di quasi due anni dall’ultima GMG pensa sempre a noi giovani impegnandosi
concretamente affinché, tramite il sinodo, tutta la chiesa lo aiuti in questa missione al servizio della gioventù.

Nel nostro piccolo, qualcosa per prepararci al sinodo lo abbiamo già fatto; qualche settimana fa una piccola rappresentan-
za dei giovani della nostra parrocchia si è recata a Firenze insieme alle rappresentanze di altre realtà giovanili Zaccariane,
per ragionare sul significato del Sinodo come gruppo Giovani Barnabiti.
E chi si sente giovane da tanto tempo può dare un contributo? Assolutamente sì!!! Approfitto di questo spazio rivolgen-
domi a tutti gli adulti, alle mamme, ai papà, ai nonni e a tutti coloro che hanno trasformato l’entusiasmo della gioventù in
saggezza di vita, con queste parole che Papa Benedetto ci affidò alla GMG di Madrid nel 2012: “Andate a raccontare agli
altri giovani la vostra gioia di aver trovato quel tesoro prezioso che è Gesù stesso. Non possiamo tenere per noi la gioia
della fede: perché essa possa restare in noi, dobbiamo trasmetterla”.

Tra pochi giorni troveremo quel tesoro nel “Gesù Bambino” che metteremo con cura nei nostri presepi e sarebbe bello
se, partendo proprio dalla gioia di questo Natale, ciascuno di voi, nel modo in cui riterrà più opportuno, trasmettesse que-
sta Gioia ai giovani della nostra parrocchia con un consiglio, uno spunto di riflessione o una preghiera affinché il prossi-
mo Sinodo sia una vera occasione di dialogo e di crescita tra la Chiesa e tutti i giovani del mondo.
Pagina 19 Numero 37,Anno 9,2017
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Parrocchia Gesù Adolescente

Le ricette di Anna
Torta soffice pere e cioccolato
INGREDIENTI (per uno stampo da 24 cm)
4 pere grandi molto sode e dure (qualità coscia o kaiser)
170 gr di farina 00
30 gr di cacao in polvere
170 gr di zucchero
70 gr di olio di semi di girasole o 70gr burro fuso
2 uova
125 gr di yogurt classico bianco) a temperatura ambiente
130 di cioccolato fondente (in scaglie o in gocce)
10 gocce essenza vaniglia
1 bustina di lievito per dolci
Montate uova, zucchero e vaniglia per 2 minuti con le
fruste, fino a quando l’impasto non diventa spumoso e
chiaro. Aggiungete, sempre montando, l’olio a filo. Setac-
ciate insieme farina, cacao e lievito e aggiungetelo alle uova montate alternando cucchiaiate di yogurt..
Aggiungete il cioccolato in gocce o scaglie (avendo cura di metterne da parte 2 cucchiai per decorare) e
mescolate. Sbucciate le pere, dividetele in quarti per rimuovere il torsolo e tagliatele a fette. Versate l’im-
pasto in una teglia oleata o imburrata e perfettamente infarinata. Infilate le fettine di pere a raggiera fitta
Aggiungete infine una manciata gocce prelevate precedentemente dal totale oppure fuso e “sparato” con
una siringa a formare come una ragnatela. Cuocete in forno già caldo a 180° (160° se ventilato) per 40 –
45 minuti. La torta è pronta quando si è gonfiata in superficie e lo stecchino risulta asciutto alla prova.
Sfornate, sformate dopo 10 minuti e lasciate intiepidire.
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CAMMINIAMO !
periodico di informazione
 PARROCCHIA GESU’ ADOLESCENTE
della Parrocchia Gesù Adolescente
Via Padre G Semeria 38 - 16131 Genova
 CINEBARNAB.FORUM
tel. 0105220114
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 ASSOCIAZIONE CULTURALE ARTISTICA
Redazione: fabio.giuffra@gmail.com

Sono tornati alla Casa del Padre


Sono diventati Figlio di Dio
BONINI Anna CAMPANELLA Ernesta - anni 85
BONINI Laura ZAMBONI Giacomo - anni 81
BIANCHETTI MARINO Edoardo PERSICO Vito – anni 74
CLAVARINO Sofia Rosa Rosanna RESCIGNO Paola – anni 59
CONDIDORIO Lorenzo BEVEGNI Angela – anni 89
FORMICOLA Mario – anni 84

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