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MITO BABILONESE DI ATRAHASIS

ENUMA ELISH
EPOPEA DI GILGAMESH

MITO BABILONESE DI ATRAHASIS

MONDO DIVINO, CREAZIONE E DESTINAZIONE DELL'UOMO, PECCATO


E DILUVIO: IL MITO BABILONESE DI ATRAHASIS
il poema babilonese pi antico e, insieme, pi completo sugli
argomenti enunciati nel titolo: mondo divino, creazione e destinazione
dell'uomo, peccato e diluvio. Esso prende il nome dal suo protagonista,
Atrahasis; era originariamente redatto su tre tavole di argilla di complessivi
1245 versi, in lingua accadica e scrittura cuneiforme, di cui ci restano i due
terzi.
1.

Mondo divino

Il lavoro degli dei alle prime origini


"Allorch gli dei (erano come) l'uomo,
dovevano sopportare il lavoro (e) portare il cesto:
il cesto degli dei era grande,
il lavoro pesante, la fatica abbondante"
(Tav. I, 1-4).

Sembra, dunque, che all'inizio tutti gli dei erano costretti a lavorare
per soddisfare alle necessit della loro vita.
Il lavoro viene imposto ai soli Igigi
"I grandi Anunnaki, i Sette,
scaricano il lavoro sugli Igigi"
(Tav. I, 5-6).
Gli dei pi grandi, chiamati Anunnaki, pongono rimedio per s
stessi a questa penosa situazione, imponendo il lavoro ai soli dei minori,
chiamati Igigi. poi i primi sorteggiano tra loro i tre regni: ad Anum tocca il
cielo, ad Enlil la terra e a Ea il mondo delle acque sotterranee (l'Apsu).
Questa situazione, che vede gli Igigi impegnati "giorno e notte" nel
lavoro, ha una durata assai lunga.
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Gli Igigi si ribellano al lavoro


Si tratta per di un lavoro troppo faticoso che, dopo una lunga
sopportazione, conduce gli Igigi all'esasperazione e all'aperta rivolta. Uno
di loro sprona "gli dei suoi fratelli" all'azione, concludendo la sua arringa:

"Ed ora proclamiamo la guerra,


buttiamoci nella lotta e nella battaglia"
(Tav. I, 61-2).

L'arringa ottiene pieno successo e gli Igigi passano all'azione:


gettano al fuoco i loro strumenti di lavoro - vanghe e cesti - si portano
notte tempo e furtivamente al tempio di Enlil e lo circondano minacciosi.
Enlil viene svegliato, convoca Anum ed Enki, che propongono una
soluzione interlocutoria: conoscere il nome del sobillatore degli Igigi.
Questi si rifiutano e sottolineano il fatto che il duro lavoro loro imposto e da
giudicarsi micidiale.
2. Creazione e destinazione dell'uomo
Anum prende la parola e fa osservare all'assemblea divina che la
ribellione degli Igigi non priva di giustificazione. Enki a sua volta, prende
la parola associandosi dapprima al parere appena espresso da Anum,
proponendo quindi di creare l'uomo:

"Mentre presente B(elet-ili, 'il seno mater)no',


'il seno materno' generi e crei!
Sia l'uomo a portare il cesto del dio!
(Tav. I, 194-7).

Alla proposta di Enki presto si associano tutti gli dei, che pregano la
dea di farlo.

DUNQUE: l'uomo pensato e voluto dagli dei perch sostituisca gli


Igigi in quel duro lavoro che erano stati costretti a svolgere alle dirette
dipendenze di Enlil.
Alla richiesta unanime la dea creatrice chiede l'intervento di Enki
che, essendo anche il dio dei riti di purificazione, solo le pu offrire l'argilla
pura con la quale creer l'uomo. Enki traccia lo schema del rito di
creazione, da svolgersi in tre fasi: 1) bagno di purificazione degli dei nel
primo, settimo e quindicesimo giorno del mese; 2) uccisione di un dio e
successiva purificazione degli dei; 3) impasto, da parte della dea creatrice
(Mami), della carne e del sangue del dio messo a morte assieme
all'argilla:

"E (Enki) apr la sua bocca


e rivolse la parola ai grandi dei:
Nel primo, settimo e quindicesimo giorno del mese
voglio far allestire un bagno purificatore.
Uno degli dei sia messo a morte,
quindi tutti gli dei si purifichino con l'immersione.
Assieme alla sua carne e al suo sangue
la dea Nintu (Mami, cio la dea creatrice) mescoli
l'argilla:
il dio (ilum) e l'uomo (awilum)
siano mescolati assieme nell'argilla"
(Tav. I, 204-13).

DUNQUE: la natura e la dignit dell'uomo stanno nel fatto che egli


una 'mescolanza' o impasto di un duplice elemento divino (carne e sangue
di un dio messo a morte e di un elemento terreno (argilla).
Creato l'uomo, la dea Nantu-Mami pu dichiarare soddisfatta a tutti
gli dei che l'opera da lei compiuta li ha sollevati dal peso del lavoro che
tanto gli aveva turbati:
" Io ho portato a compimento l'opera comandatami da
voi.
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Voi avete ucciso un dio dotato di saggezza.


Io ho rimosso il vostro pesante lavoro
(ed) ho addossato all'uomo il vostro cesto.
Voi avete trasferito sull'umanit il grido (di intolleranza).
Io ho sciolto il vostro giogo (ed)ho (ristabili)to la pace"
(237).
In seguito vengono creati altri uomini.
3) La ribellione dell'uomo al lavoro: il peccato
Fattisi numerosi e potenti, gli uomini ripetono la ribellione degli Igigi
ed esprimono la loro protesta anche nella forma della contestazione
esterna gi adottata dagli Igigi:

"(Non erano ancora trascorsi 12)00 anni:


(il paese era diventato vasto e) gli uomini numerosi,
il pae(se) mugghia (come to)ri.
Per il (loro rumore) il dio (Enlil) s'inquieta.
(Enlil intese) il loro grido
(e cos parl a) i grandi dei.
Il grido dell'umanit (mi opprime):
(per il loro rumore) sono defraudato dal sonno!"
(352-59).

Constatata la pericolosa situazione nella quale si verrebbero a


trovare gli dei se avesse successo la ribellione degli uomini, Enlil passa a
porvi rimedio attraverso un triplice castigo: peste fame siccit. Ma tutt'e tre
le volte il castigo va a monte perch Enki-Ea ha svelato al suo protetto
Atrahasis il modo per sfuggire al castigo.
4) Il castigo definitivo: il diluvio
Constatato il fallimento anche del terzo castigo, Enlil ricorre al
castigo pi drastico e sicuro che si possa immaginare: il diluvio. Ma
perch questa volta il suo progetto non venga frustrato, Enlil chiede e
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ottiene la solidariet e la piena corresponsabilit degli dei attraverso un


giuramento.
Con uno stratagemma Enlil riesce a portare il suo aiuto ad
Atrahasis: anzitutto gli rivolge un pressante invito ad agire
"Distruggi la casa, costruisci la nave!
Rinuncia agli averi, ma salva la vita!".
Seguono i consigli sulla costruzione della nave perch risulti
robusta ed adatta allo scopo; tra i consigli anche quello di far uso del
bitume. Enki promette abbondanza di uccelli e di pesci; quindi fa
conoscere anticipatamente ad Atrahasis l'acqua del diluvio si scatener tra
sette giorni e per sette giorni. Si scatena cos il diluvio: il tempo cambia
minacciosamente, scoppiano i tuoni, venti impetuosi soffiano e rompono
gli ormeggi della nave, di cui Atrahasis ha sbarrato la porta chiudendola
ermeticamente con asfalto. La terra e l'umanit subiscono una terribile
devastazione, che pone gli dei di fronte al problema del loro
sostentamento. Inoltre la dea Nintu-Mami ed Enki-Ea, seguiti a poco a
poco dagli altri dei, si pentono del castigo inflitto all'umanit.
Alla fine del diluvio Atrahasis offre un sacrificio, i cui profumi
vengono avidamente adorati dagli dei per l'appagamento della loro fame.
Enlil, adirato che un uomo sia scampato al diluvio, chiama in causa EnkiEa, che si difende probabilmente rimproverando Enlil di aver agito
sconsideratamente sia per aver accomunato nel castigo buoni e cattivi sia
per aver scelto un castigo insensato. Convinto o accettando suo malgrado
ci che avvenuto, Enlil imparte ordini a Nintu-Mami circa una migliore
regolamentazione delle nascite e la propagazione del genere umano:
viene prevista l'esistenza di donne infeconde, un demone viene incaricato
di uccidere i bambini al momento del parto, vengono costituite tre
categorie di sacerdotesse 'interdette' al matrimonio, tutto con il preciso
scopo di limitare le nascite.
Il poema si conclude con queste parole:
"Ho cantato il diluvio per tutti gli uomini.
Ascoltatelo!"

LA COSMOGONIA BABILONESE: ENUMA ELISH, O IL POEMA DELLA


CREAZIONE
1.

Situazione originaria: Tiamat e Apsu

Quando in alto (= enuma elish, in accadico) il cielo non era stato


(ancora) nominato
(e) in baso la terra non aveva (ancora) un nome (= non esisteva
ancora),
(e) l'Apsu (= oceano di acque dolci), loro procreatore,
Mummu-Tiamat (= oceano di acque salate), genitrice di tutti loro,
le proprie acque assieme mescolavano,
(quando) i pascoli non erano (ancora) sistemati (e) le canne
(ancora) non si vedevano,
quando nessuno degli dei era (ancora) apparso
(e) non era (ancora) stato provveduto d'un nome e d'un destino,
allora vennero procreati gli dei dal loro seno.
2.

Creazione dell'uomo
Gli dei pi giovani generati da Apsu e Tiamat presto si emancipano

dai loro genitori e, alla fine, si coalizzano contro di loro. Adirato Apsu
decidere di sopprimere la propria discendenza, ma viene ucciso dagli dei
guidati da Ea (= dio della sapienza chiamato anche Enki). Tiamat vuole
vendicare quest'azione e prepara una (punizione?) terribile contro il
consiglio degli dei, formando un esercito di divinit mostruose (Anunnaki, i
grandi dei) guidati da Kingu, suo nuovo sposo. Su consiglio di Ea, viene
posto a capo degli dei Marduk, figlio di Ea, il quale affronta la dea
progenitrice e, dopo una drammatica battaglia, uccide Tiamat. Dal suo
corpo, squarciato in due parti come le valve di un'ostrica, forma il
firmamento

la

terra.

Dopodich gli Anunnaki, alleati di Tiamat, si arrendono e riconoscono di


essere stati trascinati alla ribellione e cos, invece di ricevere la giusta
punizione vengono graziati a condizione che su uno di loro cada la colpa
di tutti e venga ucciso al posto di tutti. Questi sar l'istigatore e la guida
della rivolta, Kingu, lo sposo di Tiamat e capo degli Anunnaki, che cos
viene messo a morte, le sue vene vengono squarciate e dal suo sangue
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Ea forma l'uomo, affinch, col suo lavoro, provveda al culto degli dei
(inteso come nutrimento di cui gli dei, come gli uomini, hanno bisogno e di
cui devono provvedersi col loro lavoro).
DUNQUE:
l'uomo viene formato dal sangue di un dio cattivo e ribelle
lo scopo per cui viene formato il lavoro, col quale deve provvedere
anzitutto al sostentamento degli dei e poi al suo sostentamento.
Quando Marduk ud la parola degli dei,
decise di creare una grande opera.
Egli prese la parola e parl con Ea
per conoscere la sua opinione sul piano
che aveva progettato:
"Un tessuto di sangue voglio fare, ossa voglio io formare,
per fare sorgere un essere: Uomo sia il suo nome.
Io voglio creare un essere, l'uomo.
A lui sia affidato il servizio degli dei per loro alleggerimento.
Io voglio formare ulteriormente le vie degli dei.
Concordemente siano essi adorati,
(certo) divisi in due (gruppi)".
A lui rispose Ea, rivolgendo a lui la parola:
"Uno dei loro (= degli Anunnaki), fratelli deve essere consegnato.
Costui deve morire, perch sorga l'umanit.
I grandi dei (gli Anunnaki), riuniti, (devono decidere)
se un colpevole deve essere consegnato,
affinch essi restino in vita".
Marduk riunisce i grandi dei,
li guida ragionevolmente, d loro ammaestramento.
Alle sue parole gli dei offrono attenzione.
Agli Anunnaki rivolge il re la parola:
"Se la vostra prima confessione fu verace,
ditemi la verit e giurate.
Chi colui che ha suscitato la guerra,
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ha istigato Tiamat alla rivolta, ha iniziato la battaglia?


Se mi viene consegnato il colpevole,
voglio imporgli la sua punizione,
ma voi resterete in pace".
Allora risposero a lui i grandi dei,
a lui, il consigliere degli dei, il loro signore:
Kingu stato colui che ha suscitato la guerra,
ha istigato Tiamat alla rivolta, ha iniziato la battaglia".
Quando lo ebbero legato, lo condussero davanti ad Ea.
Gli fecero soffrire la sua punizione,
aprirono le sue vene.
Dal suo sangue egli (= Ea) cre l'umanit.
Egli prescrisse ad essa il servizio degli dei,
per liberare costoro da esso.
(Tav. VI, 1-34)

IL DILUVIO BABILONESE: L'EPOPEA DI GILGAMESH O


DELLA RICERCA DELL'IMMORTALIT
Si tratta di un grande poema (11 o 12 tavole di argilla in lingua accadica e in
caratteri cuneiformi) che prende il nome dal suo protagonista, Gilgamesh,
leggendario

re

di

Uruk,

citt

della

Mesopotamia

meridionale.

Costui fortemente scosso dalla morte del suo vecchio amico Engidu, col quale ha
vissuto tante avventure e ha combattuto tante battaglie. Egli prende cos
dolorosamente coscienza della transitoriet dell'esistenza umana e, con ci, della
sua propria mortalit e si chiede se gli possibile sfuggire a tale destino. Si pone
allora alla ricerca dell'immortalit e giunge a Shuruppak (citt a nord di Uruk) presso
il re Utnapishtim e la sua consorte, i quali, unici tra gli uomini, partecipano
dell'immortalit degli dei. Utnapishtim racconta a Gilgamesh come sono giunti a quel
punto: c' stata un tempo una decisione da parte degli dei, in primo luogo Anum dio
del cielo e di Enlil signore della terra, di cancellare l'umanit dalla faccia della terra.
Un motivo per tale azione non chiaro. Ea, dio del mondo sotterraneo e della
sapienza, ha svelato il piano al suo sacerdote e protetto Utnapishtim e gli ha dato il
consiglio di costruirsi una nave quadrata sulla quale troveranno posto, oltre a
Utnapishtim e sua moglie, i rappresentanti di tutti gli esseri viventi e le provviste. Un
fortissimo uragano si scatena per sei giorni e sei notti sulla terra, al settimo giorno
l'opera di distruzione compiuta: ogni essere vivente, uomo o animale, giace sepolto
sotto le acque che coprono la terra, dalle quali spunta solo la cima del monte Nisir
(nell'odierno Kurdistan), sul quale si posata la nave di Utnapishtim.
Il settimo giorno questi invia dalla nave una colomba la quale, non avendo
trovato un luogo solido dove posarsi, poco dopo torna indietro. Lo stesso succede
con una rondine. Infine invia un corvo, che non torna indietro: il segno che le acque
del diluvio si sono ritirate ed riapparsa la terra asciutta. Utnapishtim esce fuori dalla
nave e, sul monte stesso, offre un sacrificio agli dei. Questi, appena annusato il
profumo del sacrificio, si precipitano "come mosche" attorno all'altare.
Dopo un'assemblea degli dei, Enlil sale sulla nave e, toccando la fronte di
Utnapishtim e di sua moglie, pronuncia questa benedizione:
"Finora Utnapishtim era solo un uomo,
da ora in poi egli e la sua donna devono essere simili a noi dei".
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In tal modo l'immortalit riservata, tra gli uomini, solo a Utnapishtim e alla
sua donna, dopo il diluvio, in forza di una decisione da parte degli dei.
Al momento della separazione, Utnapishtim svela a Gilgamesh il segreto di
una pianta che dona la vita e che si trova infondo al mare. Gilgamesh si tuffa e, di
fatto, riesce a trovare e ad impossessarsi di tale pianta. Ma sulla strada del ritorno in
patria, mentre si trova in fondo a un pozzo a rinfrescarsi dopo aver a lungo
camminato, un serpente si impossessa della pianta che d la vita. Il segno
dell'immortalit raggiunta l'abbandono, da parte del serpente, della sua antica pelle
(n.b.: il cambio di pelle del serpente era, per gli orientali, il simbolo della giovinezza
eternamente riconquistata).
Il senso complessivo dell'epopea racchiuso nelle malinconiche parole che
una donna rivolge all'affranto Gilamesh:
"Gilgamesh, dove corri?
La vita che cerchi tu non troverai!
Quando gli dei crearono l'umanit,
all'umanit diedero in retaggio la morte
e trattennero la vita nelle loro mani".

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