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STORIE DI BRIGANTI, MALANDRINI, FRODATORI E

CONTABBANDIERI IN VAL TIDONE E DINTORNI TRA 1530 E 1900

Elvy Costa Clerici

Con il patrocinio dell'Assessorato alla Cultura del Comune di


di Caminata Val Tidone
Dedico questa ricerca alla memoria di Enrichetto Viganego (Genova 1868 –
1945), piacentino di origine, personaggio eclettico, giornalista, insegnante,
impresario teatrale, attore per diletto col suggestivo nome d'arte di “Nelson le
Follet”, viaggiatore per passione, attraversò la Russia con la mitica
Transiberiana, agli albori del '900 si spinse in America del sud dove lavorò al
Theatre Royal di Buenos Aires.
STORIE DI BRIGANTI, MALANDRINI, FRODATORI1 E
CONTRABBANDIERI IN VALTIDONE E DINTORNI TRA 1530 e 1900

Una pergamena redatta tra il 912 e il 915 a beneficio del suddiacono Giacomo ci riporta
al tempo in cui gli abitanti dell'Oltrepò pavese e piacentino cominciarono a fortificare i
loro villaggi, la stessa ci ricorda che a causa del terrore ungarico venne chiesto a
Berengario di erigere un “castellum” in Media Val Versa. Dalla storia sappiamo che le
razzie degli ungari si erano verificate un decennio prima, ma per tutto quel periodo e
l'immediato successivo, il territorio dovette sottostare a scorrerie e scorribande di
razziatori non solo venuti da lontano, ma gruppi italici, addirittura locali, noti come “mali
Christiani” che vivevano rapinando le comunità rurali indifese, considerate loro prede
naturali. I boschi e le foreste, per tutto l'Alto Medio Evo erano il luogo dove l’uomo
svolgeva la sua attività agro pastorale, la caccia e l'allevamento e vi trascorreva tutta la
sua vita, i pastori e i taglialegna avevano lì il loro ambiente naturale, in questo stesso
momento erano attraversati da bande di predoni e turbe di invasori che calavano
dall'oriente dell'Europa. È a questo periodo che facciamo risalire la prima apparizione
della famigerata figura del bandito nelle corti piacentine. Attorno all’anno Mille, quando
il fenomeno dei pellegrinaggi assunse proporzioni notevoli e sorsero difficoltà oltre che
d'igiene anche d'ordine pubblico si fondarono gli xenodochia2, dove pellegrini e
mercanti potevano trovare cure e protezione. Gli spostamenti di queste masse migranti
che aveva con sè il denaro per i lunghi viaggi, avvenivano quasi sempre a piedi, a cavallo
o in carretta, lungo percorsi devozionali quali la via Francigena, la Strata Romea, la via
degli Abati, e in Val Tidone la Via della Costa, tortuosi e con passaggi obbligati dove
erano attese dai “latrones”. Questi avvenimenti non ci devono stupire se perfino a
quell'ascetico personaggio che era San Colombano avvenne di inoltrarsi nei boschi di
Annegray per pregare ed abbia dovuto affrontare bande di briganti, orsi e lupi affamati,
dove il cronista, Giona,Vita 9, accomuna i briganti alle fiere.
A Zavatterello luogo prospicente la valle del Tidone, nel secolo XII i Cistercensi
fondarono un convento, essi conducevano una vita povera e sceglievano di edificare i
loro monasteri nei luoghi più impervi, proprio dove si erge la chiesa di San Rocco
avevano disboscato e coltivato quel poco per loro e per i loro beneficati, presso la loro
badia vi era anche l'ospedale per i poveri, gli ammalati e i pellegrini che lì giungevano dal
Basso Tidone per avventurarsi verso il Penice e il passo del Calenzone e poi nel
genovesato. La vox populi ci informa che alcuni fra i più forti e vigorosi scelti fra i
“monaci bianchi” avevano il compito di scortarli e proteggerli armi alla mano, da possibili
brutti incontri. Sempre a Zavattarello, sul portale cinquecentesco d'ingresso al Castello vi
è un affresco raffigurante un drago legato all'albero di mele, sovrastato da un'aquila con
le ali aperte, pronta all'attacco, vi si legge:
“Praeda vilis vigilataque poma”
con queste parole e il forte simbolismo delle immagini si vogliono diffidare aggressori e
ladroni.
Per inciso, Zavattarello fino all'Unità fu terra di frontiera, a Moline vi era l'ufficio di
dogana, ancor oggi due vecchi edifici all'estremità della frazione sono chiamati “la
caserma” e il “dazio”, fu soppresso solo nel 1854, qui, le avverse condizioni di vita, le
difficoltà delle comunicazioni dovute all'asprezza del territorio, incoraggiarono il
contrabbando e numerosi furono i banditi e i malfattori che si diedero alla macchia.
Qualcuno definì il brigantaggio un'occupazione stabile, se pure mascherata da una
pennellata di protesta sociale. Gli oziosi, i vagabondi e i questuanti erano tenuti d'occhio!
Fra' Salimbene da Parma ci racconta in una colorita cronaca ciò che accadeva alla metà
del XIII secolo in particolare nell'inverno tra il 1247- 48 a causa dei contrasti fra guelfi e
ghibellini, fra papa e imperatore nelle campagne dell'Emilia: “...agli uomini non riusciva ne' di
seminare ne' mietere, nemmeno di coltivare le vigne e vendemmiare... si era costretti a lavorare la terra
sotto la guardia e la protezione dei soldati, era necessario ridursi a questo dal momento che il territorio
era infestato da malfattori che catturavano le persone e le mantenevano in prigionia per chiederne il
riscatto... Se non erano riscattate subito, le legavano ai piedi e per le mani agli alberi, e cacciavano in
bocca un rospo, erano briganti peggiori del diavolo”. Infatti allora gli uomini temevano i loro
simili come il signore delle tenebre, era impensabile che un rapinatore non stesse dalla
parte del demonio, tanto che quando riusciva a mettersi in salvo si diceva che aveva fatto
un patto col diavolo.
Il Capitano delle milizie del Ducato, Antonio Boccia, nella sua ispezione del territorio per stendere gli
appunti che gli serviranno alla compilazione del Viaggio ai Monti di Piacenza venne a
conoscenza che “già nel 1259 quando vennero consacrati il paese e la chiesa di Santa Maria del
Taro, da Gualtiero arcivescovo di Genova per ordine del cardinale Ottobono Fieschi, i monaci
Benedettini che vi si erano insediati, nel 1393 l'abbandonarono per sottrarsi, dicono, alle violenze de'
ladroni che rendevano infesto il luogo". Mentre da "un'antica memoria esistente in Borgotaro si trae
che, nel 1469, alcuni mercadanti, passando di qui, insieme a certo Damiano, furon morti dai ladroni e
quegli gravemente ferito”.
Qualche decennio più tardi, in tempi politicamente burrascosi, Guarino riferisce che
“...intorno a Castellarquato (1315) è facile trovare milizie raccogliticce costituite da malandrini e
banditi agli ordini di Alberto Scoto durante gli scontri con Galeazzo Visconti,che costringono gli
abitanti a riparare entro le mura”. É il periodo del “brigantaggio feudale”, da intendersi come il
diritto del più forte, i Malaspina signori di luoghi limitrofi alle valli Trebbia e Tidone
venivano conosciuti come “pubblici aggressores viarum” cioè ladroni di strada, la storia ci
racconta che le carovane provenienti dai porti della Liguria, per giungere nel piacentino
dovevano attraversare i loro feudi pagando esosi pedaggi. Le cronache ci tramandano un
significativo episodio avvenuto nel 1167: mentre il marchese Obizzo I cavalcava per i
suoi feudi accanto all'Imperatore, non mancò di confessargli “......cosa volete, in siffati paesi
che nulla producono bisogna pur vivere di rapina!”
Ancora il Boccia ci riferisce che a “Bobbiano, villa di Travi (oggi Travo) sulla sponda sinistra
del rivo Dorba è celebre un Bertolo o Bertoletto, che vivea in sullo svolger del XV secolo ed abitava in
questa villa. Capo di una terribile masnada che infestava la valle del Trebbia. Questo temibile assassino
destò nello stesso re di Francia Luigi XII tanta curiosità, ch'egli lo fece venire innanzi con salvo -
condotto in Milano, ed ammonitolo di cangiar vita, il rimandò assolto”.
Non sempre i briganti riparavano nel folto della foresta, il governo arrivò ad obbligare il
feudatario a farne il taglio per consentire maggior sicurezza ai viaggiatori, o nelle cavità
naturali, qualche volta si installavano in costruzioni vere e proprie come nel caso della
villa di Ozzola nel 1450, dove era stata costruita una torre, poi trasformata in “oscura
spelonca di ladroni”. Qui avevano trovato rifugio i malfattori che compivano incursioni e
ruberie nella valle. O come a Pradovera nel 1519, dove la fortissima rocca venne
occupata da un gruppo di banditi assoldati dal conte Pier Maria Scotti detto “il Buso”, che
con il pretesto di contrastare i francesi, compì ogni sorta di violenze, compreso l'assalto
al castello di Agazzano, che preso lo depredò di gioielli, monete d'oro, frumento e vino.
Le lotte di confine, e i conflitti per i dazi e pedaggi, partono da molto lontano: abbiamo
testimonianza di “grida” di feudatari già a partire dal 1540, quando i nobili conti Landi si
resero conto che nella loro giurisdizione si spostavano merci e vettovaglie senza pagare
dazio, la pena era una forte sanzione pecuniaria e la confisca della merce.
Il Beccaria non aveva ancora detto la sua sull'argomento!
Nelle continue dispute per frenare le invasioni dei propri territori, i Signori, dopo il 1580,
si videro costretti a dotarsi di “gurdaspalle” nei propri continui spostamenti, alcuni di
questi veri e propri “banditi capitali” come nel caso di Pantalino Massa e Antonio Pozzo
ricercati per vari delitti a Genova, o Giovanni Bacigalupo che agiva con una banda
sull'Appennino per taglieggiare villaggi e mercanti, tutti godevano di una sorta di
immunità. Quest’ultimo sotto tortura confessò di essere stato al servizio dei Nicelli, dei
Caracciolo e dei Landi.
É interessante ricordare che il 5 luglio 1596, vene stipulata una convenzione tra Federico
Landi e la Repubblica di Genova per l'estradizione dei banditi e dei ricercati, poichè i
feudi appenninici erano martoriati come la più parte delle località montane dal fenomeno
del “banditismo frontaliero”. Nel documento si legge che i banditi per delitto capitale, non
avrebbero potuto abitare a meno di otto miglia dal confine del dominio, e se fossero stati
trovati a meno del detto termine avrebbero potuto essere ammazzati impunemente.
I principi Landi avevavo recenti, cattivi ricordi: la banda del famigerato Aurelio Bertuzzi
nel corso di un’insurrezione antifeudale degli abitanti di Santo Stefano d’Aveto contro i
Doria, aveva sconfinato uccidendo contadini e violentando donne. Gli stessi fatti
criminosi si accentuarono negli anni seguenti, quando due criminali, banditi dalla
Repubblica, rifugiatisi in una cascina alle porte di Bardi, dopo averne ucciso il bargello e i
suoi aiutanti avevano incendiato e si erano arresi solo dopo lungo assedio.
In quegli anni alcuna parte del territorio era indenne da atti di violenza: tra il 1580 e il
1587 sono stati documentati reati contro la persona, percosse, ferimenti, uccisioni, tra le
denunce esposte dal console di Cortemaggiore compare anche un primo caso di
contrabbando del sale.
Nel 1682 il dominio dei Duchi Farnese comprendeva anche i feudi di Bardi, Compiano e
Bedonia e si estendeva sul territorio circostante, il percorso obbligato della Valle di Tolla
e Bardi portava al genovesato e alla Toscana, ciò avveniva attraverso il passaggio del
Monte Pelizzone e godeva di pessima fama,veniva evitato da viandanti e mulattieri
perchè infestato da briganti di strada che sorprendevano le vittime nel folto dei boschi
depredandole ed anche uccidendole.Vani furono i tentativi di repressione, i briganti non
si fermavano neppure davanti allo spiegamento delle guardie, abili conoscitori del
territorio in un baleno sconfinavano e riparavano presso l'antica chiesa di Santa Maria di
Monte Pelizzone probabilmente abbandonata per questa ragione. Il fenomeno che
avveniva in Alta Val d'Arda si può chiamare “banditismo sociale” poichè la situazione
economica era pesantissima di riflesso alla decadenza politica, gli abitanti erano costretti
a lavori stagionali in zone lontane,nascevano quei personaggi giramondo che sono i
saltimbanchi, i girovaghi cantastorie, i suonatori d'organetto, gli ammaestratori di
animali esotici, gli impresari d'artisti, mentre quelli che rimanevano per lo più erano
dediti al contrabbando, si scontravano frequentemente con i gendarmi e diedero luogo a
pesanti fatti di sangue che degenerarono nel banditismo. Furono famosi tali Gregori e
Perotti assassini del vetturino Casali che meritarono il primo l'ergastolo, l'altro
giustiziato, squartato e i suoi resti esposti in una gabbia di ferro come monito. In zona
pavese a Rocca de' Giorgi, nel 1786 agiva un certo Antonio de Vecchi, che aveva
costituito una banda di malfattori, “commise molte spoliazioni coi suddetti sicari assalendo
passeggeri, inseguendo i fuggitivi, conducendo via il bestiame e rubando a molti denaro in quantità”. Tra
la fine del settecento e l'inizio dell'ottocento la storia ci offre altri esempi di criminali
incalliti e di punizioni a dir poco raccapriccianti: Giuseppe Beretta detto Zoni, nato a
Cortina d'Alseno nel 1770, bandito da strada ebbe come pena la forca, la testa mozzata
da appendersi nella gabbia di ferro, mentre Paolo Callegari detto Tomarone ebbe la testa
mozzata.Draghin,nativo di Suzzi in comune di Ottone, viveva girovagando, chiedendo
l'elemosina entrando e uscendo dalla prigione di Bobbio, forse ladro o forse assassino,fu
il più antico suonatore di piffero di queste valli,egli stesso in un cantamaggio ci dipinge la
sua esistenza:
“la mia casa l'è la prigion
nà bransà di paja int'un canton”
Dunque per quanto esaltati dalla mitologia popolare i briganti non sono invulnerabili, ma
forse invisibili, come quando si avvicinano ai centri abitati e abbandonato lo sdruscito
tabarro indossano i panni usuali, ma sarebbe bastato sentirli parlare per riconoscerli, essi
si servivano di una loro lingua, un misto di dialetto locale e parole derivanti da lingue di
comunità girovaghe come gli zingari, qui chiamati “strolig” e dall' jddjsch degli ebrei
dell'Europa Orientale che dal Medio Evo avevano trovato sistemazione e commercio
nelle zone del piacentino.
Con la fine del secolo mentre gli episodi di banditismo raggiungevano il culmine
dell'efferatezza ad essi si affiancò prepotentemente il contrabbando.Anche la Valle del
Tidone non fu esente da episodi legati al contrabbando del sale, del tabacco, delle pelli,
del sapone, della polvere nitrica, e della seta, ma anche del pesce secco o salato
conservato in barile, portiamo ad esempio il piccolo paese di Creta, che rimase per secoli
terra di frontiera, posto a poca distanza dal confine tra il Ducato di Parma,Piacenza e il
Regno di Sardegna. Poco discosta dall'abitato sorgeva la dogana e il confine correva
lungo la via proveniente da Vicobarone, a circa un chilometro all'altezza di Bellaria
dov'era la dogana,ripiegava giù verso il Bardoneggia.
Il torrente segnava il confine ed era proprio qui il teatro degli scontri tra i “birri” e i
contrabbandieri spesso costretti ad abbandonare nell'acqua il carico per non incorrere
nell'arresto.
A Trevozzo in comune di Nibbiano si trova una targa stradale intitolata “vicolo mulattieri”
per ricordare che in quel luogo vi erano le stalle e quanto fosse diffusa questa attività al
di là del contrabbando.
Monsignor Luigi Molinari già Parroco nella Parrocchia di Pianello dedicata a San
Maurizio, nel suo “Pianello Val Tidone e i suoi Parroci” ci da una precisa rilettura delle
“minime” dalle origini al 1680 e dal 1680 al 1789 dal Libro dei Morti, dove vengono
annotati con esattezza tutti gli episodi di criminalità, il pentimento degli assassini in
punto di morte, e se sopravissuti le pene inflitte. Vogliamo trascriverne alcune a
testimonianza di quanto avveniva in quei tempi lontani:
“Il 6 ottobre 1605, muore ammazzato sul comune di Vairasco un tale Domenichino detto
Vezono, della Parrocchia di Casanova. Fu sepolto nella Chiesa di San Maurizio di Pianello.
Il 5 novembre 1611....e un'altra ancora, questa volta è la Giustizia che fa valere i suoi diritti.
Un tale Domenico Novelli, abitante alla Sala (Mandelli) viene giustiziato per la forca ossia mediante
impiccagione, e poi sepolto nel cimitero di Pianello.
Il 26 luglio 1711 G.A. Roveda di anni 23, abitante a Casa Peroni, muore per essere stato
ferito con "arma manuale" ossia non arma da fuoco.
Il 26 aprile 1713, altra morte violenta, a Casa Roveda uccisa da percosse, ma senza ferite,
muore Agnese moglie di Giacomo Ballarini, sepolta dopo che il pretore di Nibbiano e Sala ne ebbe fatta
la visita giuridica.
Il 15 giugno 1714 ancora un delitto, ne è vittima A.M.Barocelli che abitava nell'Osteria
alla Spada, di anni 31 circa, ferito al capo ucciso con uno schioppo, preso da un sonno profondo in una
cascina della Casa delli Roveda tosto morì senza Confessione e altri Sacramenti.
Il 22 maggio 1718 ritorna la violenza, Carlo Ferri di anni 34 circa, ferito di spada nella
piazza di Pianello, verso le ore cinque di notte, muore il giorno seguente dopo aver ricevuto i Sacramenti
della Penitenza e dell'Estrema Unzione. Il suo corpo è sepolto nella chiesa di Pianello dopo la visita sia
della Curia Criminale che di quella Vescovile.
Il 30 dicembre 1648, un altro omicidio, ne è vittima Domenico Scacabarozzi di
Zavattarello, ucciso verso le due di notte oltre il Tidone, non lontano da Case Peroni, da ignoti uomini
sanguinari.
L'8 agosto 1749 ferito con una schioppettata in località Strada, rende l'anima a Dio,
Bartolomeo Labò, di anni 21 circa.
Le frazioni pianellesi maggiormente esposte alle scorrerie dei ladroni sono Casa Mussi e
Casa Coraglia oltre il Tidone.
Il 20 marzo 1749 a Casa de' Mossi grave fatto di sangue: verso le due della notte è
stato ucciso un giovane tale Primo Cadenazzi. Nella triste vicenda è pure coinvolto un giovane diacono
G.M. almeno perchè si trovava in compagnia dell'uccisore nel momento del fatto.Accompagnato
dall'attuario, Don Inzaghi si reca a Casa Mossi il 22 marzo, il cadavere giace ancora in mezzo alla
strada: di sesso maschile........con un corpetto.. detto corpetto ha una macchia nera sul petto, di larghezza
in circonferenza oncie dieci in circa, quale si vede esser anerita come da combustione fatta da materia
ignea, in mezzo alla quale si scorge un buco, di larghezza in circa di un'oncia e mezza, e dal quale si
vede esser uscito materiale sanguinante...Insieme al Vicario foraneo era pure il chirurgo Zaccaria
Travini il quale riscontrò che "le ferite erano provocate da palle di piombo ho simile materiale, ussite
d'arma da focho mediante la violenza della polvere sulfurea come schioppo, ho simile, le quali certamente
secondo la mia pericia, sono state causa della di lui morte”.
Allora come oggi neppure i luoghi sacri erano risparmiati:
“il 6 maggio 1781 si presenta al parroco don Fontanella, Pietro Spezia abitante a Casa de' Manzini
ed espone quanto segue: nella notte scorsa han datto i ladri l'assalto all'Oratorio stesso, ma arrivati a
circa la metà del muro stesso, avendolo trovato assai forte, e di buona calcina, hanno desistito, ed hanno
datta la prova ad una fenestra avendo levata una verga di ferro”.
L'11 settembre 1658 Don Antonio Anguissola parroco di Pianello, così definisce con
lunga perifrasi l'uccisione di un chierico con tre colpi d'arma da fuoco:
“Instantis tormenti bellici laxata rota igneis globulis tribuspercussus”.
Seguono numerose altre annotazioni che fanno pensare a quanto fosse disatteso il
divieto di portare armi di qualunque sorta, anche nelle ricorrenze delle feste patronali e le
altre.
Siamo prossimi all'inizio dell'800 in Val Tidone, a Borgonovo, c'era povertà,il lavoro
quando c'era era saltuario e stagionale e quelli che erano più pressati ricorrevano per
sopravvivere a ladrerie e furti nelle campagne o nelle case dei ricchi.Le pene per questi
reati erano forti e i dragoni a cavallo usavano delle descrizioni, oggi li chiameremo
identikit, ed emettevano ricompense a chi forniva informazioni. Al colpevole spettava
l'esposizione in una gabbia di ferro sulla piazza della Rocca, nel giorno di massima
affluenza di pubblico, come quello di mercato. Per inciso, i Dragoni 3 a cavallo così
odiati dai malandrini, tanta presa avevano invece sulle fanciulle se le ultime strofe di un
“canta maggio” 4 terminavano così:
....E la mia figlia l'è giù per i valon
cercare i fior da regalà i Dragon.
Il perdurare di questi atti fece si che il Podestà giudicasse conveniente promuovere un
soccorso ai poveri da parte di un Consiglio di Carità formato da cittadini abbienti in testa
il marchese Luigi Giandemaria.
Nel 1828 a Piacenza si tenne il processo alla banda del bandito Cumini che per il gran
numero di accusati si tenne nel Palazzo Cittadella anzichè in quello del Tribunale,
dimostrazione di quanto fossero numerosi quelli che si spingevano oltre la legge.
Negli anni ottanta dell'800 fece la sua apparizione a Borgonovo una figura singolare di
malfattore che terrorizzò a lungo il paese e il territorio circostante. Le cronache ce ne
tramandano l'aspetto fisico: altissimo, magro, con occhi magnetici che impressionavano
chi lo guardava, pessimo soggetto, aveva fatto il fornaciaro "mutarò" ed era
incredibilmente forte, correva e saltava con grande rapidità, tanto da meritare il
soprannome di “Gattòn”.
Una rapina a mano armata dalle parti di Boioli lo fecero rimanere un po' di anni nel
carcere di Portolongone, una volta uscito per vendetta divenne assassino ed ebbe
l'ergastolo, purtroppo il suo esempio ebbe degli emuli.Se il banditismo sociale aveva un
senso, nel caso del Gattòn, delinquere era fine a se stesso: il crimine per il crimine.
A proposito del Gattòn ci è stato raccontato un aneddoto risalente a quel periodo:
“una bimba di Borgonovo di nome Teresa si trovava per caso da sola per strada nelle vicinanze di casa,
ad un tratto le appare sul cavallo un uomo che vuole attirare la sua attenzione, ma la piccola scappando
grida “va via che ghè al Gattòn” e l'uomo ghignando le risponde “sun mi al Gattòn”.
Sul finire del 1805, si affacciò sulle nostre terre l'immagine dispotica dei rappresentanti di
Napoleone, che mostrarono subito il loro lato peggiore svuotando le casse dei vari Stati,
gravando di tasse gli italiani per mantenere il proprio esercito,dando seguito alle
spoliazioni delle opere d'arte, ma ciò che fu dannoso nelle nostre valli fu l'imposizione
delle coscrizioni militari obbligatorie,non avevano fatto i conti con i parroci dei piccoli
paesi che non mostravano loro i registri parrocchiali con le date di nascita, e poi la
requisizione dei cereali, dei buoi, dei cavalli e dei muli, questi ultimi nelle zone collinari
rappresentavano l'unico mezzo di sostentamento per i somieri, le carovane erano i TIR
dell'epoca. Non a caso Giuseppe Covatti capo dell'insurrezione in Val Trebbia era un
mulattiere.
In una zona dove il servizio militare era stato volontario, la coscrizione obbligatoria per
ingrossare le file dell'esercito del Principe Eugenio, Vicerè di Napoleone era alquanto
indigesta, e i giovani fuggivano in montagna per sottrarsi alla chiamata, partivano armati
in modo approssimativo, con vecchi schioppi, vecchie pistole, sciabole, ma anche falci e
forconi, per sopravvivere scendevano al piano a scorribandare per prendere denaro e
animali da tiro, per questo motivo venivano bollati dai francesi come "briganti", senza
tener conto che essi erano dei patrioti. Da aggiungere, il rifiuto dello spirito giacobino
illuministico anticristiano, in Val Tidone gli insorti chiedevano di ristabilire le comunità
religiose, che i matrimoni fossero religiosi, che fosse ripristinata l'immunità ecclesiastica,
tanto,lo spirito religioso in queste insorgenze. Il generale Junot che voleva il disarmo
completo, fece incendiare villaggi tra l'Arda e il Bardonezza mentre a Caminata Val
Tidone gli abitanti sparavano contro chi era venuto per disarmarli, non ci stupisca,
Caminata, ha nel suo stemma assieme al richiamo al Monastero di San Colombano in
Bobbio, la figura araldica del falchetto che piomba sulla preda, simbolo di coraggio,
ardire, nobiltà, valore!
Ma anche in questa plaga fu fiorente il contrabbando, trattandosi di una zona allora
isolata e di confine. Briganti e contrabbandieri tenevano in scacco gendarmi e soldati, a
questo proposito voglio trascrivere una breve memoria fornitami da tanto gentile
persona:
“Caminata e la Casa dei Preposti.
Questa casa o Caserma è posta fra via dei Portici e via Vittorio Emanuele. Una Variana così
chiamata dai locali consentiva una scappatoia verso la campagna.
La Caserma dei Prepusè.
I Prepusè erano guardie di confine incaricati per riscossioni di diritto di pedaggio. Il confine con gli Stati
Parmensi si trovava a circa cento metri verso levante, dove esisteva un pozzo chiamato Chiappeto, è lì
dove nella notte succedeva il passaggio del contrabbando fra gli Stati Sabaudi e Parmensi. La merce più
ricercata era il sale 5.
Siccome fra la gente esistente allora come oggi c'era il bello, il brutto, il buono e il cattivo, così
raccontavano i miei vecchi, una di queste guardie un po' troppo osservanti delle leggi del governo di
Parma, Piacenza e Guastalla, fu preso per mani e piedi e adagiato su una siepe di rovi e "grattugiato".
Per essere più preciso la siepe era di Biancospino”.
Ma, la storiografia di parte e in malafede, i patrioti continuò a chiamarli “briganti”.
A Rocca d'Olgisio prospicente il Tidone si apre la Grotta dei Coscritti, una profonda
cavità naturale dove si nascondevano sia malfattori che patrioti.
Ancora nei primi anni del '900 a Borgonovo, dopo il mercato, gli uomini con le tasche
rigonfie del denaro frutto dei buoni affari venivano attirati al gioco proibito verso la
cinta della Madonna dei Frati il luogo era detto “al Barlinòn”, e quando terminato il gioco
a sera, si allontanavano, venivano assaliti dai briganti.
Anche nei dintorni di Caminata possiamo annoverare un episodio avvenuto in tempi
recenti: il 2 febbraio 1945 poco prima che terminasse il secondo conflitto mondiale. Ce
ne da puntuale resoconto sulle cronache parrocchiali, il Parroco di Caminata don Paolo
Mariani. Trascriviamo testualmente:
“2 febbraio
Stamane avvisato da un negoziante di Rossone che nella località detta Braghè 6, disteso nella neve vi era
un individuo boccheggiante che poteva essere ancora vivo, disteso nella neve presso la strada in mezzo ai
pini. Mio nipote 7, assieme ad altri tre uomini, munito dell'olio Santo si portò tosto nel luogo. Invece di
uno erano due, uccisi sin dalla sera avanti: colla fuoruscita della materia cerebrale – Furono uccisi da
una banda armata........non pare fosse escluso anche il furto, perchè nulla fu rinvenuto nei vestiti.”
Ma anche nelle altre regioni d'Italia prosperava il brigantaggio, quando per ragioni
politiche, patriottiche o per fame e epidemie. Terreno fertile a questa attività, offrì la
grande campagna laziale terra dello Stato Pontificio, che il pittore Bartolomeo Pinelli ci
offrì nelle sue celebri incisioni dei primi decenni dell'800, mai caricaturali ed eseguite con
l'elegante gusto neoclassico.
La storia ci racconta che il governo borbonico si servì di bande di briganti per
combattere i patrioti giacobini della repubblica Partenopea sostenuta dai francesi.
Diverso fu il brigantaggio nell'Italia meridionale quando durante la spedizione dei Mille il
popolo si sollevò contro i Borboni per i rincari del pane e del sale, tanto che le classi più
misere dei contadini si fecero briganti.
Nelle gesta di costoro trovarono ispirazione scrittori famosi, come Walter Scott che ci
narrò di Robin Hood, Cervantes che introdusse nelle sue opere i famosi briganti spagnoli
del XVI secolo, e poi Kemal, e Moricz, che scrisse su Sandor Rosza, ed anche la musica
si interessò a loro, Auber che nel 1830 musicò l'opera “Frà Diavolo” dove si identificano
le gesta di Michele Pezza bandito che operò in Calabria, in Campania e in Abruzzo, ed
uno per tutti Schiller che evocò le bande tedesche nell'opera i Masnadieri dove emerge
l’immagine romantica del bandito gentiluomo.
Solo verso la fine del 1864, dopo la capitolazione delle maggiori aggregazioni criminose,
cominciò a delinearsi la fine del fenomeno a seguito del primo atto ufficiale contro il
brigantaggio emesso dal generale Manfredo Fanti.

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Per la stesura di queste brevi note devo ringraziare l'Assessore alla Cultura del Comune
di Caminata Paolo Montalbano, il Signor Arturo Carobbio,la Dottoressa Pinuccia Bosi,
Katy Montalbano Pisanti, la pittrice Silvana Morra e i numerosi amici che mi hanno
supportata nella ricerca.

BIBLIOGRAFIA
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C.A. Facchino, A.Trazi, E.Baldazzi, Zavattarello, pagine di storia e di vita, a cura
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P. Ferrari, C.Gnoli, Z. Negro, Chi nasce mulo bisogna che tira calci,Viaggio nella cultura
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R. Zanuzzi, La spelonca di San Michele di Coli, Edizioni Pontegobbo, 2006
NOTE
1 Frodatore, colui che froda, dal latino fraus – fraudis, inganno che tende a ledere un
diritto altrui.
2 Xenodochio, s. m. dal greco csenodokeion, composto da csenoi – straniero, dechestai
– accogliere da cui ospedali o ricoveri dove i pellegrini trovavano cibo e cure.
3 Dragoni, reparti di cavalleria a cavallo, istituiti in Francia nel sec. XVI come fanteria
montata, il nome si estese ad altre formazioni di cavalleria.
4 Cantamaggio, è un canto popolare destinato a celebrare la festa di Calendimaggio ( il
primo maggio).
5 Sale, "leva del sale" consisteva nell'obbligo da parte di ogni Comune, di acquistare dallo
Stato una quantità di sale commisurata ai redditi del Comune stesso, ad un prezzo fissato
dall'Erario.Il sale veniva dalle saline di Salsomaggiore, si doveva comprare solo quello,
l'acquisto di sale dall'esterno era vietato.
6 Braghè – località prossima al comune di Caminata V.T. identificabile con la pineta
vicina al ristirante Delizia del Lago.
7 Il nipote di don Mariani diventerà Vescovo.

Stampato in proprio in Moncasacco di Caminata Val Tidone nel gennaio 2009

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