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Paleariza: Piazze armoniche e soni a ballu Alessio Surian* I concerti del 23 e 24 agosto hanno chiuso quella che probabilmente

la migliore edizione di Paleariza. Lo hanno fatto aprendo una finestra sulla Tracia con Ebritiki Zygia ed una sul vorticoso incontro fra Transglobal Underground e Fanfara Tirana, prima di riprendere le danze ad agosto 2014. Questa sedicesima edizione di Paleariza, dopo un paio danni appannati, aveva ripreso il dromo, il sentiero che lega i comuni dellarea grecanica proponendo musiche del mondo aprendo le danze il 2 agosto a Pentedattilo con il fado di Margarida Guerreiro e il 3 agosto a Chora tu Vua/Bova con Saba Anglana. E un festival che invita e esplorare lAspromonte e a salire in quota. A oltre 600 metri, nel cuore dellAspromonte, il borgo di Gallician la quintessenza di una Calabria grecanica che resiste a dispetto e forse in virt di incerte vie daccesso. Aff acciata sulla valle dellAmendolea, accoglie il visitatore dallalto di una chiesetta ortodossa di Panagha tis Elladas che mette in chiaro lanimo bizantino dei suoi circa sessanta abitanti. Qui ogni concerto si protrae fino a notte fonda grazie a tamburelli ed or ganetti che propongono soni a ballu fra i pi tonici dellarea. Se il suo incanto di remoto presepe e gli ottimi piatti locali ne fanno un sicuro richiamo per i turisti, labitudine a vivere la musicale locale a volumi sparati non la rende una piazza semplice per chi arriva da fuori. Ma nel caso dei Trillanima, il trio di Valentina Farraiuolo di scena il 4 agosto si percepisce subito che si tratta di musicisti abituati ad ascoltare e a dialogare, condividendo le proprie passioni musicali e narrative in modo sempre coinvolgente. La chitarra di Francesco Ruggiero e il violoncello di Marco Pescosolido interagiscono con la voce e i tamburelli di Ferraiuolo dando vita a dinamiche che nulla hanno da invidiare a un ensemble pi numeroso, accompagnando il pubblico a percepire sussurri e silenzi, ma anche liberando alta la voce della festa e della protesta presa a prestito da compositori e ricercatori di oggi e di ieri, da Domenico Modugno a Ambrogio Sparagna, passando per Rota, Zanazzo, Simeoni, inanellando quasi senza soluzione di continuit strambotti, ninne nanne, serenate, e persino filastrocche, fra Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. Puntualmente, Paleariza ha saputo rinnovare lappuntamento con gli strumenti desueti delle musiche meridionali: lira, mandolino, flauto armonico, ciaramelle e zampogne. Queste ultime, a Staiti il 7 agosto, sono state le protagoniste del concerto, letteralmente mozzafiato, di Giuseppe Moffa, Aldo Iezza, Antonello di Matteo e Massimiliano Mezzadonna: la Zampognorchestra. Nome altisonante per un quartetto? Nemmeno per sogno, visto che, di fatto, le voci s ono spesso una decina, quando non addirittura sedici: magia di un strumento che sa raccontare quattro storie contemporaneamente e che nelle mani di Moffa e compagni rilegge con irriverente passione un repertorio che spazia dai Beatles e i Rolling Stones ai Blues Brothers: se non avete la fortuna di ascoltarli dal vivo, ascoltare per credere il recente Bag to the future. Chi ha il coraggio di salire su un p alco dopo quattro zampognari funky? Probabilmente solo Ciccio Nucera, lorganettista e maestro di cer imonia che nella Calabria greca un punto di riferimento per i soni a ballu, specie se a dialogare con lui il groove dei tamburelli a tutto volume di Peppe Z indato e Domenico Romeo, un trio che da Gallician semina volentieri il ballo in Aspromonte e che a notte inoltrata ha continuato a tener sveglia Staiti dando vita ad una rota in cui trovavano spazio ballerini esperti e nuove leve. E questo uno dei tratt i distintivi di Paleariza: concerti fino ad oltre la mezzanotte, per poi lasciare spazio, senza amplificazione, direttamente in piazza, alle sonate a ballu, coinvolgendo ogni volta musicisti diversi. Laltra faccia del festival il profondo senso della storia delle musiche popolari e di protesta, una storia che la voce e la chitarra di Massimo Ferrante, in apertura della serata di Staiti, incarnano con la maestria di chi sa fondere in un viaggio coerente laffabulazione delle ballate (una la nuvella ca te vog lio cunt, damm'aurienza, stamm'a sent, quann' doppo te la puoi scordare), i testi di Buttitta e Pasolini, e una strina, che da canto augurale, in Calabria diventa grido di denuncia, come nella Strina du Judeo (vulera cammutassiru i putienti, e a s trata annittassiru ccu a lingua, davanti u cchiu strazzuni di pizzienti). Se Ferran te sa scavare nel repertorio di regioni musicalmente poco note, come il cosentino, Le Antiche Ferrovie Calabro Lucane, di scena a Palizzi il 9 agosto, sanno viaggiare, a ritmo di littorina, fra litorale grecanico (sulle orme di Lomax), Serre e Sila calabresi e periferie rurali della Basilicata. La voce scartavetrata di Domenico (Micu) Corapi si intreccia di volta in volta con lorganetto di Giampiero Nitti, la lira di Ettor e Castagna, la zampogna a chiave di Peppe Ranieri dando linfa ad un repertorio che dalle raccolte di canti popolari sa distillare linfa sempre nuova spremendo il meglio dagli stessi strumenti che li hanno generati, scandendo, quando necessario, ritmi ballabili con lausilio di rullante e grancassa o di due sassi o, ancora, di una bottigl ia di vetro. Un bel contrasto rispetto allestetica dei Jedbalak, il trio che fonde il guimbri e la vocalit gnawa di Abdullah Ajerrar con lesuberante batteria di Mimmo Mellace e le tastiere (ma anche il mandolino e il sax soprano) di Gianluca Sia: un set che ha acceso lo spirito danzante della piazza, nutrendolo con lo sterminato e ispirato ventaglio di brani intonati da Ajerrar, protagonista anche con le craqbl (le grosse nacchere metalliche gnawa) delle sonate a ballu a notte inoltrata, protagoniste, nuovamente, organetto e zampogna, a contendersi, fra presente e passato, il ruolo di motore del ballu. Ma la zampogna ha anche ben altre doti e a Condofuri superiore l8 agosto stata proprio lei a ispirare il momento migliore del concerto di Otello Profazi o, infaticabile cantastorie, qui in compagnia dei Fabulanova. La capacit narrativa e di dialogo col pubblico permette a Profazio di trasformare ogni brano in un esercizio di bravura. Ma ogni brano risulta anche un momento a s stante, forte di decenni di esperienza. Diverso il clima che riuscito a creare intonando un canto, raccolto qualche anno prima a Roccaforte del Greco, col solo, sensibile, accompagnamento

della zampogna di Oreste Forestieri. In chiusura della seconda settimana del festival il 10 agosto il mandolino di Mimmo Epifani ha sfidato le gocce di pioggia della prima serata e ha raccolto intorno a s e ai suoi sei compagni tutta la Piazza di San Lorenzo, mettendo nella giusta tensione arrangiamenti ispirati dalle tradizioni pugliesi e di tutto il meridione, con la sua capacit di improvvisare e interagire con gli ascoltatori, forte della solida direzione artistica del maestro e chitarrista Sas Praudo e di ottimi strumentisti quali il mandoloncellista Giuseppino Grassi. La dedica finale per unItalia pi ospitale verso chi approda alle sue coste: un momento di commozione, prima di lasciar guidare gambe e orecchie dai maestri di Cardeto, insuperabili nello scandire i soni a ballu. Per la prima volta, questo festival itinerante ha saputo anche creare due, riusciti, momenti teatrali: a Roghudi vecchio (ormai abbandonato), per ricordare a tutti che una macchia nella luna altri non che Loiciuzzu che suona la ciaramedda, una delle poetiche suggestioni de La Dolcezza del Mandorlo; e a San Lorenzo, con le percussioni di Gianluca Bottoni e lorganetto di Matteo Mattoni a sostenere la verve narrativa di Gaspare Balsamo, impegnato in Camurria a rievocare, solo col suo corpo, lepopea del teatro dei pupi, un cantastorie che sa rinnovare la tra dizione proprio perch lontano da ogni filologia, ma profondamente immerso nel dialogo fra storia e memoria. Al centro delledizione di questanno c stata soprattutto la capacit di intercettare orchestre in sintonia con il pubblico multiforme presente in queste occasioni fra i borghi montani dellAspromonte: dagli eclettici organetti dell Orchestra Bottoni guidata da Alessandro DAlessandro e dalla voce di Antonella Costanzo, l11 a Pentedattilo, ai romani Takadum che alle percussioni sapientemente arrangiate da Simone Pulvano e Gabriele Gagliarini sanno abbinare la tromba di Gianpaolo Casella e ka chitarra di Alessandro Floridia, per un viaggio nel meridione italiano e nel Mediterraneo che ruota intorno agli espressivi voce e violino di Lavinia Mancusi, il 17 a Palizzi. Impareggiabile il 16 la banda di Bova, mantice che soffia sui fuochi che affascinano e spaventano la piazza che balla intorno al camiddu, la struttura di bamb che Mimmo Vazzana sa trasformare per una notte in una creatura che mentre danza sa anche sprizzare fiamme e vortici di luce, a coronare la notte dedicata ai suoni dei greci di Calabria. Questanno la tradizionale serata del 16 a Bova ha provato ad essere meno ecumenica e a lasciare sotto i riflettori le solo l e generazioni pi giovani, pur con qualche eccezione. Coraggioso il direttore artistico, Ettore Castagna, a ricordare ad ogni gruppo durante il concerto di stare entro i tempi: una missione impossibile quella di ricondurre su un palco suonate nate per stare in cortile o in piazza e durare anche tutta la notte. Nondimeno, stato un modo per poter apprezzare ottimi musicisti sia di Bova stessa come i fratelli Milea accompagnati dalla chitarra e dalle voci di Valentino Santagati e Elena Gallo, sia dalle zone limitrofe: la lira di Gabriele Trimboli insieme alla chitarra battente di Pino Rubino e ai tamburelli e alla zampogna di Nicola Pelle; gli organetti e tamburelli di Danilo Brancati, Marco Manti e Peppe Miceli; la zampogna di Giuseppe Buraca e gli organetti dei fratelli Andrea e Alessio Bressi dalla pre Sila catanzarese; una piccola banda con tanto di gran cassa, rullante, ciarammedde e zampogne animata da Nocola Sanzo, Peppe Ranieri e Micu Corapi; organetto e tamburello di Francesco Stelitano e Paolo Nucera; e poi i protagonisti dei soni a ballu (il lapa concert) che volentieri a Paleariza si protraggono fino a mattino, sotto i l palco o pi (s)comodamente sullApecar, qui ribattezzato lapa: Mimmo, Carmelo e Bruno da Gallician, e i fratelli Mimmo e Leo Morello di Palizzi. Oltre ai suoni della tradizione, al teatro e alle orchestre, Paleariza ha saputo offrire alcune gemme strumentali: in particolare il guimbri di Nour Eddine in compagnia, nel turban project di scena a Pentedattilo l11, delle tabla Rashmi Bath e del sax e flauti di Thomas Vahle, e, sempre in trio, la straordinaria chitarra battente di Francesco Loccisano, insieme a Vincenzo Oppedisano al basso elettrico e da Micu Corapi al cajon e alla voce, quel timbro ruvido e profondamente espressivo che ha fatto da filo conduttore a questa edizione del festival. *Una versione precedente di questo articolo stata pubblicata in forma di blog dalledizione on -line del Giornale della Musica

Foto: http://www.flickr.com/photos/61734990@N08/

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