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Carlo Don MOGLI, FATE E LUPI MANNARI

In queste pagine vorrei esaminare, assai brevemente, di un gruppo di testi medievali che sono centrati sulla figura del licantropo. Si tratta essenzialmente di cinque testi abbastanza noti nel branco il caso di dirlo dei licantropologi: 1) Il Bisclavret di Maria di Francia (ante 1189); 2) lanonimo Lai de Melion (XII sec. ex.); 3) la storia del cavaliere Biclarel nella prima redazione del Renard le Contrefait (1319-1322); 4) la storia di Sir Marrok nella Morte Darthur di Thomas Malory (XV sec. ex.) e 5) un racconto latino di datazione incerta, la Narratio de Arthuro Rege Britaniae et Rege Gorlagon Lycanthropo1.

1.

Le edizioni a cui faccio riferimento sono, rispettivamente: Bisclavret, in Maria di Francia, Lais, a cura di G. Angeli, Roma, Carocci, 2003, pp. 150-169; Melion in Lais Feriques des XIIe et XIIIe sicles, prsentation, traduction et notes par A. Micha, Paris, Flammarion, 1992, pp. 257-291; Biclarel in G. Raynaud, H. Lemaire, Le Roman de Renart de Contrefait, Paris, S.A.T.F., 1914, pp. 235-39; Sir Marrok in Thomas Malory, La Morte Darthur, a cura di H. O. Sommer, London, 1889-1891, 3 voll., vol. I, cap. X, p. 790; Narratio de Arthuro Rege Britanniae et Rege Gorlagon Lycanthropo (ma il titolo moderno) in George Lyman Kittredge, Arthur and Gorlagon, Harvard Studies and Notes in Philology and Literature 8 (1903): 148-275. Per quanto riguarda la bibliografia secondaria sono innanzitutto utili alcune delle molte opere generali sui licantropi, quali Sabine Baring-Gould, The Book of the Werewolves, London, Smith, Elder & Co, 1865 (Rpt. London, Senate, 1995); Philippe Mnard, Les histoires de loup-garou au Moyen Age, in Symposium in honorem prof. M. de Riquer, Barcellona, Cuaderns Crema, 1986, pp. 209-238; e soprattutto Gal Milin, Les Chiens de Dieu. La reprsentation du Loup-Garou en Occident (XIe-XXe sicles), Brest, Centre de recherche bretonne et celtique, 1993 (trad. it. a cura di J. V. Molle col titolo Il Licantropo un superuomo?, Genova, ECIG, 1997). Circa la bibliografia specifica, mi limiter a segnalare i seguenti titoli.

Limmagine riflessa, Quaderni, 8 (2005), pp. 117-130.

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Sono opere su cui si scritto parecchio. Non solo hanno trovato tutte doverosa menzione nei molti saggi dedicati ai lupi mannari da Sabine Baring Gould e Willhelm Hertz a Gal Milin , ma hanno suscitato anche una notevole produzione specialistica, a partire dal fondamentale contributo di Kittredge su Arturo e Gorlagone che di giusto un secolo fa. Eppure, il mistero che circonda questi testi rimasto inviolato: il senso di queste storie, in realt, ci sfugge. E devo dire che io non pretendo assolu-

Bisclavret: Manfred Bambeck, Das Werwolfmotif im Bisclavret, Zeitschrift fr romanische Philologie 89 (1973): 123-147, poi in Id., Wiesel und Werwolf. Typologische Streifzge durch das romanische Mittelalter und die Renaissance, hsrg. von F. Wolfzettel and H. J. Lots, Stuttgart, Steiner, 1989; Salvatore Battaglia, Il mito del licantropo nel Bisclavret, in Id., La coscienza letteraria del Medioevo, Napoli, Liguori, 1965, pp. 381-389; Jeanne-Marie Boivin, Bisclavret et Muldumarec: la part de lombre dans les lais, in Amour et merveille. Les Lais de Marie de France, tudes rcueillies par J. Dufournet, Paris, Champion, 1995, pp. 147-168; M. Faure, Le Bisclauret de Marie de France, une histoire suspecte de loup-garou, Revue des Langues Romanes Montpellier LXXXIII (1978): 345-356; M. A. Freeman, Dual natures and subverted glosses: Marie de Frances Bisclavret, Romance Notes XII (1987): 5-26; G. Gros, O lon devient Bisclavret. tude sur le site de la mtamorphose (Marie de France, Bisclavret, vers 89-96), in Miscellanea Mediaevalia, Mlange offers Philippe Mnard, t. I, Paris, Champion, 1998, pp. 573-583; D. B. Leshock, The knight of the werewolf. Bisclavret and the shape shifting metaphor, Romance Quarterly XLVI (1999): 155165; Giosu Lachin, Bisclavret, Melion, Gorlagon, Limmagine riflessa N.S. II (1993): 251-270; J. V. Molle, La nudit et les habits du garulf dans Bisclavret (et dans dautres rcits de loups et de louves), in Le nu et le vtu au Moyen Age (XIIe-XIIIe sicles), actes du 25e colloque du CUERMA, 2-3-4 mars 2000, Aix-en-Provence, Publications de lUniversit de Provence, 2001, pp. 255-269; M. Tomaryn Bruckner, Of men and beasts in Bisclavret, Romanic Review 81 (1991): 251-269; F. Suard, Bisclavret et les contes du loup-garou. Essai dinterpretation, in Mlanges Charles Foulon, Marche Romane, Lige 1980, t. II, pp. 267-76. Melion: Jean Claude Aubailly, La fe et le chevalier. Essay de mythanalyse de quelques lai ferique des XIIe et XIIIe sicles, Paris, Champion, 1986, pp. 13-37, Melion et Bisclavret: le problme de lOmbre. Biclarel: C. Beretta, Una tarda rielaborazione del Lai de Bisclavret di Maria di Francia: lepisodio di Biclarel nella prima redazione di Renard le Contrefait, Medioevo Romanzo 14 (1989): 162-77. Sir Marrok: Gal Milin, Le bon chevalier loup-garou et la mauvaise femme. Lhistoire de Sir Marrok dans La Mort dArthur de Thomas Malory, Le Moyen Age 100 (1994): 65-80. Arturo e Gorlagone: Haggerty Krappe, Arthur and Gorlagon, Speculum VIII (1933): 209-222; Gal Milin, Pour une lecture ethnologique dArthur et Gorlagon, conte de loup-garou du XIVe sicle, in Journes dtudes sur la Bretagne et les Pays Celtiques, KREIZ 2, Centre de Recherche Bretonne et Celtique, Universit de Bretagne Occidentale, Brest, 1991-1992, pp. 163-199.

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tamente di riuscire a svelare questo mistero; mi contenter di raccogliere qualche disperso dato che a mio avviso pu essere utile per decifrarlo. Dato che lo spazio a mia disposizione assai limitato non dar il riassuntino di queste storie. Baster dire che raccontano, in pratica, la stessa vicenda, narrando, con sensibili differenze di dettaglio, ma con fondamentale uniformit, la storia di un esponente della nobilt che anche un licantropo. Si noti: un esponente della nobilt: Bisclavret un ber (v. 15); Melion riceve un feudo (v. 61) da Art; sir Marrok per antonomasia the good knyghte; mentre Gorlagon addirittura un re. E, sia detto per inciso, non lunico re-licantropo che la tradizione medievale ricordi: Sigeberto di Gembloux ( 1112), infatti, in un passo del suo Chronicon che, per quanto ne so, rimasto sino ad ora del tutto ignorato, ci parla di un Bajanus, figlio di Simeone I di Bulgaria, il quale in arte magica adeo valebat, ut quoties vellet lupus vel quaelibet fera fieri videretur2. Il contrasto rispetto ai licantropi classici del Cinquecento e del Seicento, quelli che conosciamo attraverso i processi dellinquisizione, Pierre Bourgot, Gilles Garnier, Pierre Gandillon, Roulet, Jean Grenier, non potrebbe essere pi netto. Questi ultimi sono sempre dei poveracci del pi infimo ceto sociale, spesso con evidenti tare psichiche in un paio di casi i giudici notano che sono quasi incapaci di parlare e le loro sono storie, tremende, di emarginazione, di povert e di solitudine. Non cos per i protagonisti dei nostri racconti; sempre inseriti nella pi alta societ del loro tempo, rispettati e apparentemente felici, sebbene possiedano una doppia natura quantomeno inquietante. Ciascuno di loro, infatti, periodicamente si trasforma in lupo o ha la possibilit di farlo, e in questo stato commette verosimilmente crimini e atti di predazione, perch, come afferma Marie de France, il lupo mannaro (garvalf) est beste slvage; / tant cum il est en cele rage / hummes devure, grant mal fait, / es granz foreste converse e vait (Bislcavret, vv. 9 ss.). Vale la pena di osservare che lo stato di questi uomini-belva sembra essere a suo modo equilibrato: il racconto non li presenta mai come dei mostri e non insiste mai sulle loro malefatte. La crisi interviene allorch la moglie del cavaliere-lupo viene a conoscenza delle sue abitudini metamorfiche ovvero delle modalit della trasformazione. Allora la donna, che sempre infedele, fa in modo che il marito non possa ritornare allo stato umano: per esempio sottraendogli il mezzo magico che permette la metamorfosi. Imprigionato nella sua forma lupina il cavaliere
2. Sigeberti Gemblacensis Chronica, a. an. 967, PL CLX.

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vaga infuriando per un lungo periodo di tempo; e le sue malefatte sempre descritte con sobrio distacco fanno infine s che contro di lui si scateni lira del re, che organizza una gran caccia per prendere lorrenda bestia. Messo alle strette, il lupo si salva prestando omaggio al sovrano, e questi, immediatamente e senza esitazione, prende la belva sotto la sua protezione, e la conduce a corte, dove il metamorfo finisce per imbattersi nella donna fedifraga o nel suo amante. Li assale, in qualche caso provocando loro danni fisici permanenti, e viene a sua volta assalito dai cortigiani. Il re, per, difende risolutamente la bestia e, compiute le necessarie indagini, scopre come sono andate in effetti le cose. Il lupo viene allora restituito alla forma umana, e la donna riceve per lo pi una punizione adeguata alla sua nequizia. Come interpretare queste storie? O meglio, che cosa ci raccontano in realt? George Kittredge, Alexander Krappe e, pi recentemente, Laurence Harf Lancner hanno avvicinato questi racconti alle fiabe di tipo AT 449 The Tsars dog3, che, secondo lo schema canonico di Aarne e Thompson, comprendono la seguente sequenza motivica. 1) Una moglie infedele trasforma il marito in cane; 2) luomo si pone in questa forma al servizio di un re (e spesso lo aiuta salvando suo figlio); 3) tornato a casa, viene trasformato dalla donna in uno sparviero che 4) viene catturato da un mago. Costui gli restituisce forma umana e gli insegna come fare per trasformare la donna in una giumenta. Chi si intende un poco di fiabe avr riconosciuto in questo schema un bel racconto delle Mille e una notte, la storia di Sidi Numan. Che questo tipo favolistico sia collegato ai nostri racconti indubbio: soprattutto Arturo e Gorlagone ha chiaramente subito linflusso di questo genere di storie. Daltronde, chi frequenta la tradizione popolare sa che molto spesso storie con particolari simili finiscono per ibridarsi: come se nella memoria collettiva divenissero contigue, e fossero quindi predestinate a sovrapporsi almeno in qualche misura. La prova di questa ibridazione lo notava gi Reinhold Khler nelle annotazioni alla fondamentale edi-

3.

Cfr. Kittredge, Arthur and Gorlagon, passim; A. H. Krappe, Balor with the Evil Eye, New York, Institut des etudes francaises, Columbia University, 1927, pp. 80 ss.; Id., Arthur and Gorlagon, e L. Harf Lancner, La mtamorphose illusoire: des thories chrtiennes de la mtamorphose aux images mdivales du loup-garou, Annales I (1985): 208-226; soprattutto pp. 217 ss. Ma cfr. anche Milin, Il licantropo, pp. 100 ss.

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zione dei Lais di Marie de France di Karl Warnke4 si ha in un racconto del Maasel-Buch yiddish (1602), che segue da presso lo schema di AT 449; ma anzich un cane luomo diviene in questo caso un mannaro, e lo diviene, come in Melion, perch sua moglie lo tocca sulla testa con un anello fatato che provoca la metamorfosi. E tuttavia, non mi pare che tra le fiabe di tipo AT 449 e i nostri racconti sul licantropo vi sia qualcosa di pi che una casuale vicinanza e una accidentale commistione. Le storie medievali presentano infatti a ben vedere uno schema del tutto diverso rispetto a quello del canovaccio folklorico. Nei racconti medievali la moglie, per quanto malvagia, appare sempre come una donna normale, infedele o spaventata dalla natura anomala del marito. Nella fiabe, viceversa, essa una strega che possiede spesso tratti inferici fortemente accentuati: nella versione delle Mille e una notte, per esempio, lamante di un Ghul e frequenta nottetempo i cimiteri per cibarsi di cadaveri (cio si comporta esattamente come un lupo mannaro!). Luomo, al contrario, che nelle fiabe un essere del tutto normale, coinvolto suo malgrado in una faccenda pi grande di lui, nei testi medievali possiede sempre indipendentemente dalla moglie il potere metamorfico e, almeno in Bisclavret e in Melion, ne fa sicuramente uso. Quindi egli di per s un essere a cavallo tra i due regni, fra la corte e la selva, fra lanimalit e lumanit. E i racconti, il caso di aggiungere, non fanno minimamente supporre che al termine dellavventura egli perda le sue consuetudini metamorfiche. Con ogni evidenza, restando in possesso del mezzo magico che assicura la trasformazione, il protagonista resta un lupo mannaro, almeno potenziale, sino alla fine dei suoi giorni. Queste osservazioni consentono, credo, di tirare una prima conclusione: le fiabe di tipo AT 449 e i nostri racconti rappresentano effettivamente tipologie narrative contigue e commiste, ma sono in realt affatto distinte: anzi a ben vedere si tratta di tipologie simmetriche (e quindi inverse) che veicolano a quanto pare significati del tutto diversi. Se nelle fiabe, con la loro classica struttura chiastica, abbiamo sostanzialmente una sorta di contrappasso metamorfico, i racconti medievali sembrano alludere a una realt pi variegata e complessa, in cui le categorie di buono e di cattivo, di giusto e dingiusto perdono peso e consistenza. Solo il principio di fedelt, asse portante del sistema di valori feudali, sembra reggere: in quan4. Die lais der Marie de France, hsgg. von K. Warnke mit vergleichenden Anmerkungen von R. Khler, Halle, Saale (Bibliotheca Normannica, 3), 1900, pp. XCVIII-CVII.

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to infedele la donna anche malvagia; in quanto fedele il licantropo, per quanto mostruoso e feroce, assume un ruolo sostanzialmente positivo. Ma cosa sono, in realt, queste donne infedeli e questi licantropi buoni? Giosu Lachin, in uno dei pi lucidi contributi dedicati a questi testi, concludeva con queste parole.
Mi limito a constatare la persistenza in essi [in questi testi] del rapporto fra la donna dotata di poteri magici e il mannaro e a supporre che, indipendentemente dalle relazioni intertestuali . . . che tra loro intercorrono, tutti rinviino in diversa misura a lontane esperienze sciamaniche, di cui traccia anche nella tradizione popolare5.

Ma neanche questa, devo dire, mi sembra una conclusione soddisfacente, ch, a differenza di quel che accade nelle fiabe di tipo AT 449, nulla nei nostri testi induce a credere, lo ripeto, che la donna fedifraga possieda in proprio conoscenze magiche n, tantomeno, che essa sia uno di quegli spiriti aiutanti che rendono possibili i viaggi e le metamorfosi degli sciamani6. Certo, alcuni racconti medievali concepiscono la licantropia come esperienza estatica, e in quanto tali presentano tracce evidenti di una prospettiva in senso lato sciamanica: ricordo in particolare, oltre al gi citato passo di Sigeberto, un brano del De Universo di Guglielmo dAlvernia (+1249), pars II, iii, cap. 13, in cui la licantropia vista come esperienza estatica, o il capitolo sui lupi mannari irlandesi nello Speculum Regale (Kongs Skuggsjo) norreno (ca. 1250). Si tratta di testimonianze interessanti, studiate alcuni anni or sono da Claude Lecouteux nel suo bel libro Fes, sorcires et loups-garous7, ma che appartengono a un altro strato culturale rispetto a quello della nostra documentazione. Tuttavia, sappiamo che effettivamente c un qualche legame fra le donne oltremondane che per comodit chiamer fate e i lupi mannari. Oltre che in AT 449 questo legame sembra esere attestato gi in un sermone di san Bonifacio di Magonza (sec. VIII), secondo cui il neofita al momento del battesimo deve smettere di credere in strigas et fictos lupos: si noti lendiadi, quasi che i due termini facciano riferimento alla stessa realt, e si noti quel fictos che far riferimento proprio alle credenze estatiche di cui abbiamo appena discorso. Il testo canonico in pro-

5. 6. 7.

Lachin, Bisclavret, Melion, Gorlagon, pp. 269-270. Solo in Melion il testo offre sufficienti indizi per supporre che la donna provenga effettivamente dallAltro Mondo. J. Cl. Lecouteux, Fes, sorcires et loups-garous au Moyen Age, Paris, Imago, 1992

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posito tuttavia un passo del Corrector di Burcardo di Worms ( 1025), in cui si biasima la credenza nelle parcae che darebbero ad alcuni la possibilit di trasformarsi in lupo, quod vulgaris stultitia weruvolff vocat. A livello narrativo una credenza simile attestata in un interessantissimo episodio della Vita Merlini di Goffredo di Monmouth, che varr la pena di riassumere brevemente. Merlino e Taliesino si trovano un giorno nel bosco, quando si imbattono in un folle in cui Merlino ravvisa un amico che era un tempo un miles bello, forte e di nobilissima origine. Con lui un tempo, Merlino insieme ad alcuni compagni, era giunto in un prato nei pressi di una fonte trovandovi alcune mele profumate che subito aveva distribuito, restandone privo. Le mele per avevano indotto negli uomini una subitanea follia, per cui, mordendosi lun laltro come cani rabbiosi, ululando e dimenandosi more lupino essi si erano dati alla fuga nei boschi. Il tutto era stato causato da una donna, gi amante di Merlino, per vendicarsi del fatto che questi ne aveva respinto i favori. Ancora pi interessante la testimonianza di uno straordinario romanzo della fine del XIII secolo, il Guillaume de Palerne8, un vero gioiello della narrativa medievale che ancora aspetta di essere riscoperto. Qui, il lupo mannaro il figlio primogenito del re si Spagna, Alphonse, che viene tramutato dalle malefiche arti della matrigna, desiderosa di assicurare la successione al suo proprio figlio. I suoi disegni per sono destinati al fallimento, Alphonse in forma lupina salver lerede del trono di Puglia e di Sicilia, Guillaume de Palerne, appunto, e questi, in contraccambio, obbligher la malvagia noverca a restituire al poveretto forme umane. Lintreccio senza dubbio ricorder ai filologi germanici una storia, molto simile ma dallesito nettamente pi tragico, contenuta nella saga di Hrolf Kraki (Hrolfs saga kraka), in cui un principe che porta il predestinante nome di Bjrn orso viene tramutato in un orso dalla matrigna (di cui, come Merlino, ha rifiutato i favori) e in questa forma viene ucciso dal padre e mangiato da tutta la corte. Ai filologi celtici, invece, la storia dovrebbe ricordare lEachtra an Mhadra Mhaoila, una specie di bizzarro centone arturiano in cui, sebbene soffocata da unesuberante ricchezza di espansioni narrative, si mantiene quasi intatta la storia della matrigna malefica che trasforma il figliastro in un cane selvaggio9.

8. 9.

Guillaume de Palerne, roman du XIIIe sicle, d. par A. Micha, Genve, Droz, 1990. R. A. Macalister (ed.), Eachtra an Mhadra Mhaoila, London (The Irish Text Society, 10) 1908.

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Rimangono forti echi di queste credenze nella tradizione orale: in una splendida fiaba rumena, per esempio, La fiaba del lupo prodigioso e di Ileana Cosinzeana, laiutante del protagonista un enorme lupo che dice di s Quando ero piccolo ho avuto dalla madre in sorte di essere lupo per quarantanni e di far del bene alle persone dallanimo buono10. Ci conduce a formulare una econda conclusione: ci sono dunque delle donne soprannaturali che trasformano in lupo (o in orso): fate madrine, madri, matrigne o amanti respinte. Questi lupi e questi orsi sono buoni e non sono necessariamente dei lupi o degli orsi nel pieno senso della parola ma non per questo vanno esclusi dalla categoria dei lupi mannari, come fa Philippe Mnard, in un articolo sullargomento pieno di imprecisioni e di inaccettabili approssimazioni11. A questo punto, forse, opportuna una precisazione di carattere generale. I nostri lupi mannari non sono sempre e ineluttabilmente dei canidi feroci. I racconti che ci interessano parlano in ogni caso di una trasformazione lupina, ma questo non significa che descrivano sempre e necessariamente una metamorfosi completa, anzi. Le testimonianze si scaglionano, senza soluzione di continuit, in un arco che va dal perfettamente fantastico al perfettamente realistico, e a seconda del tono scelto per la narrazione possono dirci la stessa cosa in modi molto diversi. Un racconto fantastico presentandoci un licantropo ce lo mostrer come un vero e proprio lupo, un racconto realistico come un uomo dal comportamento lupino, un racconto a met strada fra i due registri, magari, come un individuo peloso e zannuto, o come un essere ricoperto da una pelle di lupo: il che, sia detto per inciso, il modo normalmente scelto per indicare il processo metamorfico12. Ci nonostante ed importante capirlo si fa sempre riferi-

10. Fiabe romene di magia, introduzione di M. Mincu, Milano, Mondadori, 1994, p. 222. 11. Mnard, Les histoires de loup-garou au Moyen Age, cit. 12. La metamorfosi spessissimo un vero e proprio travestimento metamorfico: si indossa un vestito di pelle che diviene (per magia) una sorta di seconda pelle. Cfr. per esempio A. Coomaraswamy, La sposa laida, in Id., Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Milano, Adelphi, 1987, p. 307 n. 28: Va tenuto a mente che nella dottrina tradizionale relativa alla trasformazione o alla metamorfosi, ogni cambiamento nellaspetto interpretato come un mettersi o un togliersi una pelle o un mantello, atti attraverso cui unessenza particolare celata o rivelata, a seconda dei casi. Il licantropo, per esempio, non una specie, ma un uomo che sa come indossare una pelle di lupo come se fosse la sua. Questa concezione sta alla base del noto motivo della rottura dellincantesimo attraverso lo scorticamento. Gli esempi che si potrebbero addurre per confermare questa

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mento allo stesso corpus di credenze, allo stesso cerchio di idee, alla stessa realt spirituale. Dunque, raccogliendo il nostro dossier licantropico, da un lato dobbiamo stare attenti a non scartare testimonianze essenziali solo perch non soddisfano le nostre esigenze in proposito cio in sostanza non si accor-

tesi sono infiniti, ed appartengono alle pi diverse tradizioni culturali. Nella tradizione norrena ad esempio colui che possiede il potere metamorfico si chiama eigi einhamir, non di una sola pelle, e, come dimostra lepisodio di Sigmund e Sinfjtli nella Saga dei Volsunghi, acquista in particolare natura lupina indossando un mantello di pelle di lupo. Nella tradizione greca troviamo il pi illustre dei metamorfi, Atteone, che viene spesso raffigurato con una pelle di cervo addosso: cos nella splendita metopa di Selinunte conservata a Palermo. Nel Medioevo, per esempio, secondo la Vida che lo riguarda Peire Vidal si traveste da lupo e viene picchiato da dei pastori come se fosse un lupo vero: Et vesti una pel de lop per donar az entendre als pastors e als cans quel fos lop. E li pastor ab lur cans lo casseron e.l bateron si en tal guiza quel en fo portatz per mort a lalberc de la Loba de Pueinautier (cfr. J. Boutire, A. H. Schutz, Biographies des Troubadours, Paris, Nizet, 19732, pp. 368 ss.). Nella tradizioine favolistica, le fanciulle cigno o i principi incantati acquisiscono sempre il loro aspetto zoomorfo indossando una veste animalesca: cos gi nel remoto Asinarius mediolatino. Infine, per quanto concerne la tradizione folklorica si veda per esempio P. Y, Sbillot, Folklore de la Basse-Brtagne, Paris, Maisonneuve et Larose, 1968, vol II, p. 138: En BasseBretagne, vers 1870, on disait que les loups-garous (devleiz, homme loup, tud-vleiz au pluriel) rvtaient la nuit une peau de loup et prenaient en mme temps le naturel de cette bte, courant par les champs et les bois, attaquant les hommes et les animaux. Au point du jour, ils cachaient leur peau avec le plus grand soin et rentraient secrtement chez eux. Il y avait, entre cette peau et leur corps, une sorte de solidarit physique trs grande, qui persistait pendand le jour, alors mme que lhomme sen tait dvtu. Place dans un leiu froid, il prouvait lui-mme une sensation permanente de froid. De mme, lun deux avait acach sa peau dans le four; sa femme y ayant allum du feu, il se mit a crier: Je brle! et se dmener comme sil avait t plac dans une fournaise (Le Men, Revue Celtique I, 420). Questi travestimenti metamorfici sono da considerare assolutamente reali: lo si desume, per esempio, da un interessantissimo episodio del gi citato Guillaume de Palerne. Guillaume e la sua amata Melior fuggono travestiti da cervi, e giungono nel giardino della reggia di Sicilia. Vengono visti dalla regina, che, opportunamente preavvertita da un sogno profetico, sa che solo un gran cervo potr portarle aiuto nelle sue attuali difficolt, e capisce che quelle bestie (NB!) hanno sens et raison (v. 4967). La regina decide quindi di avvicinare i due cervi, e tal fine indossa a sua volta una pelle di cervo che la fa sembrare un cerf sauvaige; camminando a quatre pis comme autre beste (v. 5172) essa si approssima ai due amanti e riesce a superare i loro timori con un lungo discorso tutto giocato in chiave animalistica che a quanto si deduce dal testo viene tenuto a quattro zampe: solo quando i tre decidono di aiutarsi vicendevolmente, si azzardano a levarsi finalmente in piedi

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dano con la nostra idea aprioristica (e cinematografica) del Werwolf , dallaltro lato dobbiamo tener conto anche di quelle testimonianze in cui il lupo mannaro non viene esplicitamente menzionato come tale ma, per cos dire, si infila nei racconti senza dichiarare le sue generalit: in altri termini, dobbiamo discernere le tracce del mannaro anche quando non lo vediamo in carne ed ossa. Faccio un esempio, che, spero, chiarir un poco quel che voglio dire, e al tempo stesso mi permetter di ritornare al problematico rapporto tra i lupi mannari e le fate. Nella bellissima raccolta di fiabe fassane che Hugo de Rossi mise insieme fra il 1904 e il 1910 si trova un racconto particolarmente interessante, Le Vivane e il an13, in cui vediamo un pastore che scaccia una fata una Vivana affamata, e viene da questa maledetto. In conseguenza della maledizione il giovane si trova ad essere sempre affamato come un lupo e non trova pace, per quanto mangi. Per fortuna una vecchia sapiente gli spiega come fare per liberarsi dallincantamento: egli ci riuscir, ma non prima di essere divenuto peloso come un uomo selvaggio (Ombie e avei e barba te kresera, ke om dal bosc tu somearas). Dobbiamo considerare questo uomo peloso dotato di appetito lupino un uomo lupo oppure no? Io credo di s, tanto pi che la Vivana, scagliando su di lui la maledizione, lo scaccia chiamandolo lupo malvagio (ittene louva raskias): una espressione che, essendo inserita in una formula magica, non certo casuale. Ho citato questo esempio, che io trovo particolarmente interessante, perch permette anche di allargare il discorso in altre direzioni. Ci mostra, in particolare, quanto la tradizione popolare soprattutto, come in questo caso, quella di zone marginali sia conservativa. Non credo che nessuno abbia notato che in questa fiaba abbiamo a che fare, in forme appena dissimulate, con una storia che ci viene riportata anche in un mito classico: il mito di Erisittone, un tessalo che un giorno tenta di abbattere un bosco sacro a Demetra. Secondo la versione pi antica, quella che Callimaco ci ha conservato nel suo sesto inno, la dea gli compare innanzi assumendo laspetto di una sacerdotessa tiene in mano corone e papavero e sulle spalle aveva la chiave (v. 44) e tenta di sedare Erisittone (Figlio, che colpisci gli alberi sacri agli di, / figlio, fermati, figlio, vv. 47-48), ma sperimentando la sua rabbiosa empiet lo maledice: lo chiama due volte cane (v. 63: kuvon, kuvon: il rovescia-

13. Hugo de Rossi di S. Giuliana, Fiabe e Leggende della Val di Fassa, a cura di Ulrike Kindl, Vigo di Fassa, Istitut Cultural ladin Majon di fasegn, 1984, pp. 154-160.

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mento rispetto al tevknon tevknon dei vv. 46-47 palese) e subito in lui scagli una voracit dura e feroce, / bruciante e tenace: si logorava in grave malattia. Sciagurato, di quanto mangiava, di tanto lo prendeva desiderio di nuovo. (vv. 66 ss.)14. Tanto per completare il quadro, non sar inutile aggiungere che nel testo fassano la Vivana toglie la maledizione invocando Reza e le soe sozze, Rezza e le sue compagne (sociae): e in questa figura riconosciamo agevolmente la grande dea della civilt venetica, quella Retia usualmente identificata con Artemide Ortia che il disco di Montebelluna ci presenta, guarda caso, in compagnia di un lupo, con una grande chiave in mano, e circondata da una corona di fiori Ma torniamo a noi. I testi medievali, miti antichi come quello di Eristtone, e fiabe come quella fassana o quella rumena ci dicono dunque che in determinate condizioni le fate trasformano gli uomini in lupi. Le origini di questa credenza sono immensamente lontane. Il pi antico uomo-lupo (un personaggio che, sia detto per inciso, per quanto ne so non viene menzionato da nessuno dei licantropologi!) infatti addirittura sumero. In quel remoto capolavoro che lEpopea di Gilgamesh troviamo un grande dialogo fra leroe e la dea Ishtar, che, assetata damore, tenta di farne il suo predro: proponendogli di divenire, come ha ben capito Tzivi Abush, una sorta di sovrano dellaltro mondo15. Gilgamesh rifiuta le profferte della dea, e le ricorda i suoi molti amanti: Poi hai amato il pastore, il guardiano / che costantemente per te sollevava (focacce cotte nella) brace // ogni giorno egli per te sacrificava caprette, / ci nonostante lo hai percosso e lo hai cambiato in lupo: / gli stessi suoi aiutanti ora lo cacciano via / e i suoi cani gli mordono i polpacci16. Ma non posso esimermi dal ricordare che c, nei cromosomi della nostra tradizione culturale, almeno unaltra grande dea che trasforma gli amanti in lupi: la splendida Circe, dea tremenda, la cui casa circondata da lupi montani e leoni / che lei streg, dando farmachi tristi17. Ma alcuni testi favolistici sembrano andare pi oltre: sembrano insinuare che, per poter godere del connubio con la fata, bisogna avere in
14. Cito da Callimaco, Inni, Epigrammi, Ecale, a cura di G. B. DAlessio, Milano, Rizzoli, 1997, pp. 200 ss. 15. T. Abush, Ishtars Proposal and Gilgameshs Refusal: an Interpretation of the Gilgamesh Epic, Tablet 6, lines 1-79, History of Religions (1986): 143-187. 16. Cito da G. Pettinato, La saga di Gilgamesh, Milano, Rusconi, 1992, p. 172. 17. Odissea, X, 212-13.

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qualche modo una forma animale. In un contributo particolarmente acuto, per esempio, Mario Alinei, notava che spesso gli amanti delle fate portano dei nomi che alludono al mondo delle bestie18: cos nella fiaba fassana che abbiamo citato prima, il protagonista Cianbolpin, cio letteralmente, un cane volpino, mentre in un famosissimo cantare, ben attestato anche a livello folklorico, lamante della fata Aquilina porta il nome di parlante di Leonbruno. E si potrebbe cercare anche altrove: per esempio citando il Wolfdietrich tedesco, Teodorico il lupo; o il Cu-Chulain, il Cane di Culann della tradizione irlandese. Ancora, altre fiabe, per esempio il tipo AT 554 Grateful Animals, ci insegnano che per potersi guadagnare la donna soprannaturale bisogna possedere il potere metamorfico, mentre altri racconti ancora ci narrano come la fata ami trasformare i principi in bestie e come solo lamore di una donna mortale possa riportare indietro allumanit: pensiamo per esempio alla storia, universalmente nota, della Bella e della bestia (quasi sempre descritta, sia detto per inciso, con tratti tipicamente lupini). Le fate o le streghe che trasformano in lupo sembrano essere, ontologicamente, di unaltra pasta rispetto alle mogli fedifraghe dei racconti da cui siamo partiti, ma queste ultime storie ci permettono forse di capire un poco cosa si nasconde dietro a queste storie di licantropi malmaritati. Abbiamo detto che in essi il protagonista gi un lupo mannaro quando incontra la donna; abbiamo a che fare, dunque, con una sorta di redenzione fallita, con un racconto invertito rispetto a La bella e la bestia: la donna umana ha a che fare con un partner doppio ricordo che spesso nella tradizione folklorica, il mostro tale solo di giorno: di notte toglie la pelle ferina e acquisisce aspetto umano: cos per esempio nella Saga di Hrolfs Kraki , ma anzich operarne il disincantemento, tenta di ricacciarlo definitivamente nella sua natura oltremondana, nel suo aspetto selvaggio e bestiale. Non tenter di tirare ulteriori conclusioni da questo panorama complesso e in parte francamente contraddittorio. Qualche idea in proposito, sintende, ce lho, ma argomentarle richiederebbe un discorso troppo lungo, che spero di poter svolgere come si deve in altra sede. Mi limiter dunque, per concludere, a unultima osservazione, che potr forse chiarire un poco lintricata oscurit di queste storie. Cosa fanno venire in mente

18. M. Alinei, Silvani latini, Aquane ladine: dalla linguistica allantropologia, Mondo Ladino IX, nn. 3-4 (1985): 49-78.

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questi cavalieri cacciati nellanimalit delle donne fedifraghe? A me ricordano da vicino la schiera dei cavalieri pazzi, quei cavalieri che, essendo abbandonati da una donna, scivolano fatalmente nella follia. Il prototipo naturalmente lYvain di Chrtien de Troyes, che scacciato da Laudine (una tipica donna soprannaturale) gira nudo per i boschi, dimentico di s, nutrendosi di carne cruda comme homs forsen et sauvage (v. 2828). Ma dopo di lui moltissimi percorrono questa strada: Lancillotto per esempio, che perde la testa tre o quattro volte, e finisce vagando nella foresta nuz . . . teint et noir du soleil et du halle ; Tristano, che credendo Isotta infedele vet criant et braiant come une beste forcene, comportandosi come un vero uomo lupo il vivoit de char crue . . . et manjoit . . . la char a tout le cuir e mutando aspetto: re Marco lo vede grant et nu et depris, megre et pale et noir et taint del soulleil; il Fileno del Filocolo, che appare trasformato anche nel volto, ch I capelli con disordinato rabbuffamento occupavano parte del dolente viso, e similmente la barba grande era divenuta rigida e attorta. Al termine della serie troviamo ovviamente Orlando abbandonato da Angelica, che un lupo mannaro a tutti gli effetti, tranne che nel nome:
XXIV, 13 E quindi errando per tutto il paese dava la caccia e agli uomini e alle fere; e scorrendo pei boschi talor prese i capri snelli e le damme leggiere. Spesso con orsi e con cingiai contese, e con man nude li pose a giacere: e di lor carne con tutta la spoglia pi volte il ventre emp con fera voglia.

Non pretendo, sintende, che fra questi due gruppi di testi i racconti sul mannaro tradito da un lato, quelli sul cavaliere abbandonato divenuto folle dallaltro ci sia un qualche legame diretto, un legame certo e storicamente determinato. Ma come se si alludesse in entrambi gli insiemi alla stessa realt. Nel guerriero, e in particolare nel cavaliere medievale, si nasconde una specie di belva rabbiosa e sanguinaria, e basta relativamente poco per farla saltar fuori. La luce della luna, per esempio, alla quale si trasforma in lupo asssetato di sangue il miles fortis tamquam orcus di cui ci parla Nicerote nel Satyricon di Petronio: quella luna che non per nulla , in quanto Ecate, signora della magia e dea delle maghe, e in quanto Diana padrona dei boschi. O la perdita del feudo e della terra, come accade a un cavaliere di cui ci parla Gervasio di Tilbury:

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unum scio apud nostrates cotidianum esse, quod sic fatis hominum currentibus, quidam per lunationes mutantur in lupos. Scimus enim in Aluernia, episcopatu Claramoncensi, Poncium de Capitolio [= Pons de Capdeuil, il trovatore, + 1227] nobilem uirum, pridem exhereditasse Reimbaldum de Puiecto, militem strenuissimum et in armis exercitatum. Hic uagus factus et profugus super terram, dum solus more ferino deuia lustraret et saltus, una nocte, nimio timore turbatus, cum mentis alienacione in lupum uersus, tantam patrie cladem intulit quod multorum colonorum mansiones coegit esse desertas. Infantes in forma lupina deuorabat, sed et grandeuos ferinis morsibus lacerabat. Tandem a quodam fabro lignario grauiter attemptatus, ictu securis alterum pedem perdidit; sicque specie resumpta hominem induit, nunc in propatulo confessus sibi placitam pedis iacturam, eo quod illo amputato miseriam illam et maliciam cum dampnatione perdiderit19.

Su questa prossimit ontologica fra il cavaliere e il licantropo credo si debba ancora riflettere. , del resto, quello che a loro modo ci dicono altre tradizioni mitiche: per esempio quella greca, che per descrivere il furore guerriero qualcosa di simile al Wut germanico usa, non a caso, il termine lyssa, follia lupina.

19. Cito da Gervase of Tilbury, Otia Imperialia, Recreation for an Emperor, edited and translated by S. E. Banks and J. W. Binns, Oxford, Clarendon Press, 2002, III, cxx, De hominibus qui fiunt lupi, pp. 812 ss.

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