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Titolo | Tirocinanti e tutor

Autori | (a cura di) Leonardo Angelini, Deliana Bertani, Mariella Cantini


Copertina: Simona Valcavi
2022

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non a scopi commerciali, e a condizione che venga: riconosciuta una
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sono state effe uate delle modifiche; e che alla nuova opera venga
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Dino Angelini
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dinange@gmail.com
349719091
Indice

Cosa sono i Quaderni di Gancio Originale


Una premessa
Ragioni e riflessioni iniziali che hanno condotto ai sei seminari sul rapporto
tirocinante – tutor ed alla nascita di questo testo
1ª parte: Tirocinio, tutoring e professioni del welfare
Tirocinio e professioni del welfare ieri ed oggi
La professione e la professione di tutor
Funzioni del tirocinio nel mercato del lavoro oggi

2ª parte: Tirocinante e tutor nel processo formativo


Il tirocinio nel processo formativo
La funzione di tutorship

3ª parte: Verso l’età adulta: Volontariato e tirocinio come cerimonie di


aggregazione
Dagli ideali adolescenziali a quelli adulti: metamorfosi del tirocinante
L’accompagnamento nei processi maturativi dei giovani: le funzioni del
tutoring nei confronti dei giovani volontari e tirocinanti
La prospettiva del cambiamento: una minaccia o una promessa?
4ª parte: Sul tirocinio post-lauream in psicologia

Chi ha paura dei giovani psicologi?


La funzione riflessiva nel tirocinante in psicologia
Il tirocinio in psicologia: sperimentare e pensare nelle relazioni.
L’esperienza dell’AUSL di Parma
Il punto di vista di una psicoterapeuta tirocinante/giovane psicologa
Il tirocinante psicologo : involontario stimolo, inconsapevole supervisore
Idee per una ridefinizione del percorso di tirocinio degli psicologi
Scheda di auto-presentazione del candidato tirocinante

Gli autori
Cosa sono i Quaderni di Gancio Originale
 I Quaderni di G.O.contengono le relazioni tenute alle giovani e ai giovani
nostri volontari ed ai nostri tirocinanti all’interno dei vari momenti
formativi che inizialmente si svolgevano due volte l’anno, e che in seguito
si sono trasformati da una parte in atelier pratici tenuti durante l’anno,
dall’altra in una lunga serie di “Seminari al Seminario”, tenuti a Marola ai
primi di Settembre di ogni anno; ed in veri e propri cicli d’incontri su temi
specifici (è il caso, ad esempio di “Tirocinanti e tutor”) ai quali hanno
spesso partecipato -sempre gratuitamente- tirocinanti, psicologi, NPI,
educatori, docenti, pedagogisti, provenienti spesso da ogni parte d’Italia.
L’idea che abbiamo avuto fin dall’inizio è stata quella di non ripetere
sempre gli stessi argomenti, ma di partire ogni volta dalle esigenze e dalle
urgenze dei volontari e dei tirocinanti che operavano con noi. Ovviamente
questo andamento apparentemente discontinuo, basato sulle urgenze del
momento, unito al fatto che sia i volontari che i tirocinanti variavano di
anno in anno ingenerando un considerevole turn over, trovava un a sua ratio
nel lungo periodo solo nella misura in cui di ogni argomento affrontato nel
tempo fosse lasciata traccia in relazioni scritte che venivano ciclostilate e
offerte ai nuovi arrivati, in modo che ognuno avesse la possibilità di poter
attingere a ciò che era stato già discusso e ‘studiato’ negli anni precedenti.

Ogni tanto, allorché ci era possibile farlo, le varie relazioni: - o venivano


composte nei Quaderni, in modo tale da recuperare nel tempo il filo rosso
che le unificava (da ciò le frequenti ripetizioni riscontrabili nelle sei
raccolte!); oppure, di fronte ad argomenti che richiedevano una riflessione
più organica, diventavano l’ossatura di veri e propri percorsi formativi, dai
quali poi sono nati vari testi. Vedi ad esempio: e “L’adolescenza nell’epoca
della globalizzazione. Unicopli, 2005”, e “Free Student box. Counselling
psicologico per studenti, genitori e docenti. Psiconline, 2009”.

Un ultimo cenno ai relatori: nei limiti del possibile abbiamo cercato di


offrire a tirocinanti e volontari il meglio che era possibile trovare in città, in
provincia, e anche ‘fuori’. La maggior parte di loro non ha ricevuto alcun
compenso per questo impegno; per cui si può dire che anch’essi, in quanto
volontari, hanno fatto parte a pieno titolo di “Gancio Originale”. Li
ringraziamo ancora una volta per questa loro disponibilità. Così come
ringraziamo presidi, docenti, e tutti coloro che ha collaborato con noi in
quegli anni! 

“Dare, ricevere, contraccambiare”: è all’interno di questa logica che si sono


posti nei 25 anni scolastici intercorsi fra il 1990\91 e il 2014\15 i nostri
12.000 volontari, i nostri tirocinanti psicologi e no. Ed è all’interno di
questo scambio che abbiamo cercato di porci noi stessi, cercando di dare ciò
che potevamo, e ricevendo tantissimo da tutte e da tutti. (L.A., D.B., M.C.)
 
 
 
Una premessa
 
di Luciano Arcuri
 
 
Il volume che vi è capitato in mano vede la luce in un momento
cruciale per il mondo della formazione superiore italiana: da circa un anno
il sistema universitario nazionale ha imboccato la strada del 3+2, ossia la
nuova organizzazione degli studi basata sulla ar colazione di lauree di
primo livello e lauree specialis che. Gli Atenei, talvolta in maniera agile,
molto più spesso con difficoltà, lentezza, perplessità diffuse, hanno
ridisegnato la loro offerta forma va e hanno iniziato a ripensare alla
stru ura interna delle a vità dida che che ne cos tuiscono l’ossatura. Le
migliaia di studen che popolano le aule e i laboratori delle Università
italiane stanno sperimentando le innumerevoli ambiguità, sfuocatezze,
imprecisioni, indecisioni, che segnano questo momento di passaggio. I più
sfortuna sono coloro che entra in un sistema universitario che
immaginavano come gli uffici di orientamento alla scelta avevano loro
descri o, hanno poi dire amente vissuto il cambiamento che si stava
operando, trovando regole nuove, criteri di valutazione profondamente
trasforma , confrontandosi quo dianamente con esperienze poco
decifrabili e con proge di vita dagli orizzon incer .
Chi scrive queste righe di presentazione ha vissuto in maniera
estremamente sofferta questa fase di passaggio: responsabile delle a vità
di orientamento e tutorato des nate ai più di 60.000 studen
dell’Università di Padova, ha conquistato dal proprio Ateneo, proprio
nell’anno di passaggio al nuovo ordinamento degli studi, l’a vazione di un
nuovo servizio di tutorato, realizzato con l’obie vo di intervenire in
maniera molto precoce sugli studen in ingresso nel mondo dell’università,
in modo da individuare situazioni di debito forma vo da pagare. Gli
interven erano sta pensa per realizzare consulenze personalizzate
capaci di favorire l’acquisizione del metodo di studio, la ges one delle
situazioni di apprendimento, la comprensione degli obie vi forma vi, il
rapporto con i docen tolari dei corsi di base. In più, grossa novità per il
sistema universitario italiano, il decollo del proge o è avvenuto con il
reclutamento di 100 neolaurea con la funzione di tutor junior:
provenendo dalle 13 Facoltà dell’Ateneo, sono sta seleziona sulla base
della competenza e del merito ed opportunamente forma da una équipe
di esper delle a vità di tutorato.
Il proge o ha avuto un indubbio successo, ma i suoi obie vi iniziali
hanno dovuto essere ridefini , alla luce dei problemi che via via
emergevano: mol neoiscri conoscevano poco o nulla del nuovo
ordinamento degli studi e se chiedevano no zie precise agli uffici di
informazione, nelle presidenze, o ai singoli docen o enevano risposte
tuban o dichiarazioni di non conoscenza. Sono sta i tutor junior, fino a
poco prima studen essi stessi, a cos tuire la più documentata e credibile
interfaccia tra i dubbi delle matricole e le poche certezze del mondo
accademico. Ad essi, e non di rado solo ad essi, dobbiamo se tan inscri
hanno potuto superare momen di assoluta difficoltà nell’interpretare un
nuovo dai contorni così imprecisi.
Il sistema universitario italiano ha questa strana vocazione a rendere
difficile il conta o con i propri uten : come se una sorta di darwinismo
sociale fosse l’implicita e non dichiarata filosofia a cui tu ci rappor amo.
In tan Atenei che vivono stru uralmente in maniera precaria, le difficoltà
di funzionamento, la scarsezza delle risorse, le carenze dei servizi finiscono
per diventare lo scenario di un vero campo di ba aglia dove i più resisten ,
i più mo va , i più capaci riescono a sopravvivere, a tes moniare la propria
adeguatezza ad affrontare i campi di ba aglia della vita professionale e
lavora va. Gli altri, il più delle volte in maniera rassegnata e indolore,
trovano soluzioni alterna ve capaci di impegnare meno la propria
autos ma e di ridimensionare il livello di aspirazione a cui puntavano. Ma è
questa la funzione dell’Università? Quella, cioè, di diventare unicamente
una palestra in cui si an cipano gli scenari del mondo professionale, della
lo a per la valorizzazione delle proprie competenze e abilità? O forse non è
quella di costruire interessi, di sollecitare all’esplorazione dell’ignoto, di
suscitare il gusto dell’arricchimento culturale? In questo secondo caso, non
possiamo limitarci a fare la conta di chi vince e di chi perde, ma dobbiamo
porci l’obie vo di individuare il terreno che farà crescere il grano migliore,
anche se apparentemente è un terreno arso e spinoso.
Quello dei tutori è un capitale umano da inves re con un’o ca
preven va, prima che i problemi diven no troppo complica : i da dei
Nuclei di Valutazione degli Atenei italiani ci dicono che è il primo periodo di
inserimento nel mondo dell’università quello che produce le più frequen
occasioni di insuccesso, crisi, demo vazione. Se non siamo in grado di
intervenire per prenderci carico delle situazioni di carenza conosci va e
delle difficoltà di ges one delle proprie abilità di base che non pochi
studen presentano, corriamo il rischio di rendere ancora più arso un
terreno che potrebbe, se opportunamente tra ato, diventare fer le e
produ vo.
Ho parlato del difficile momento di partenza del nuovo ordinamento
degli studi che cara erizza tu o il sistema universitario italiano per arrivare
ad esprimere le mie ambivalen sensazioni a proposito del nuovo che ci
a ende, che dire amente viene illustrato dal caso degli psicologi. In
maniera estremamente semplificata possiamo dis nguere due visioni del
mondo molto diverse a proposito del modo in cui la formazione superiore
e il mondo delle esperienze professionali devono dialogare ed interagire.
Secondo una impostazione “tradizionale” che per tanto tempo ha segnato
le scelte culturali del mondo universitario, l’esperienza di formazione
doveva concentrarsi sull’acquisizione di conoscenze di base, di metodologie
di po generale, sullo sviluppo di una concezione cri ca rispe o ai modelli
e agli approcci teorici, lasciando i problemi della traduzione delle
conoscenze acquisite e del senso cri co maturato a fasi successive, quelle
del primo conta o con gli scenari del mondo delle pra che professionali,
in preparazione all’esame di stato e all’ingresso nella “tribù” degli psicologi.
Ma da alcuni anni, sulla spinta di un complesso di fa ori non sempre
coeren , è maturata un a “nuova” impostazione, che privilegia un conce o
di formazione basato sulle precoci incursioni nel mondo del lavoro, nel
panorama dei problemi e delle pra che professionali: sostanzialmente la
logica è quella che un percorso di formazione non può dirsi realizzato con
successo se non ci si prende carico non solo delle conoscenze ma anche
delle concrete operazioni che producono “azioni da psicologo”. Se il
pericolo del primo approccio era quello di col vare esperienze culturali
spesso inconsapevoli del mondo concreto dell’opera vità, il pericolo del
secondo è quello di considerare la cultura universitaria unicamente come
un mezzo per raggiungere i traguardi “veri”, quelli della piena realizzazione
professionale. E questa è una concezione che ha largo seguito tra i “nuovi”
studen , ma anche tra gli operatori professionali delle realtà industriali e
finanziarie in forte crescita. La richiesta è semplice e convincente:
“limitatevi a darci gli strumen conce uali per interpretare la realtà, quella
fuori delle aule universitarie, a darci gli strumen tecnici per intervenire, e
tu o funzionerà meglio”. La plausibile conclusione è che l’esperienza
universitaria è una sorta di “servizio militare” al quale nessuno può
so rarsi perché obbligatorio, ma dal quale è opportuno uscire il più in
fre a possibile, perché “la vita è altrove”.
La riforma dell’ordinamento degli studi universitari che abbiamo
appena intrapreso è decisamente più in sintonia con questa seconda
impostazione, tanto da prevedere che alla fine del primo triennio il giovane
laureato possieda le tecniche per rendersi opera vo nel mercato del
lavoro, anche se con una limitata autonomia decisionale. Ma abbiamo
costru vamente ragionato sulle cara eris che che uno psicologo deve
possedere per esercitare con competenza la professione e sui modi
concre con cui le abilità professionali possono essere acquisite? Il
problema non è banale tenuto conto che s amo parlando di un mercato
del lavoro che sta diventando sempre più ampio e ar colato, dato che lo
scenario non è più quello minutamente locale ma sta diventando quello
enormemente più vasto, segnato dai confini europei. Se vogliamo
seriamente rispondere alla domanda che ci siamo pos , non abbiamo
mol riferimen a cui richiamarci: paradossalmente gli psicologi hanno
a entamente studiato il lavoro delle altre figure professionali ma hanno
dedicato poca a enzione al loro ambito. Par amo allora da una semplice
definizione di Roe (2001) il quale afferma che” lo psicologo è un
professionista che ha avuto un’educazione accademica e che aiuta i clien
a capire e a risolvere i problemi applicando le teorie e i metodi della
psicologia”. Da cui si evince che il percorso di formazione che porta alla
professione è l’educazione di po accademico. Una seconda implicazione è
che non esiste un’area generale di professionalità in psicologia. In una certa
misura tu coloro che esercitano la professione lo fanno in qualità di
specialis . Insomma gli psicologi assomigliano molto di più agli ingegneri
che ai medici di base.
Ritorniamo allora al problema di descrivere gli aspe che qualificano
la professione dello psicologo. Per fare questo, possiamo concentrarci
sull’analisi del percorso educa vo che consente di raggiungere la
qualificazione per esercitare in maniera indipendente, ma possiamo anche
focalizzarci sulle competenze che uno psicologo deve possedere per
incarnare in maniera adeguata il proprio ruolo. Se scegliamo la prima via ci
riferiamo ad una idea di università di po “tradizionale”, se scegliamo la
seconda abbiamo in mente il modello di università che la riforma ci sta
proponendo. In ambedue i casi corriamo il rischio di limitare la nostra
a enzione solo ad un corno del dilemma. Abbiamo invece bisogno di una
archite ura più complessa ed integrata, in cui la competenza sperimentata
dal professionista nello scenario del suo impegno di lavoro derivi da una
combinazione non casuale di conoscenze, abilità e a eggiamen . Mentre
le conoscenze e le abilità possono svilupparsi anche in maniera isolata,
anche se la loro valutazione può essere effe uata separatamente, le
competenze con cui finiscono per interfacciarsi sono mul ple e coordinate.
Ma questo lavoro di connessione non può che realizzarsi se non
nell’ambito di un proge o coordinato, dove dallo stadio delle competenze
di base (quelle acquisite nel percorso interno di formazione) si passa alle
competenze iniziali (quelle che derivano da un impegno monitorato da un
supervisore) fino alle competenze avanzate (quelle che segnano il
passaggio dalla condizione di psicologo junior a quella di psicologo senior).
Come è possibile intuire, se diventasse operante un modello del genere,
non ci sarebbe più la sostanziale fra ura tra il periodo della formazione e
quello della costruzione delle competenze professionali, ma tu o si
inquadrerebbe nell’archite ura dei passaggi graduali, monitora , e
coordina . E questo significherebbe una rivisitazione dei rappor tra
mondo della professione e mondo dell’accademia, per il tramite dello
strumento prezioso del rocinio, prima e dopo la laurea. La le ura dei
capitoli che questo volume con ene può essere un punto di partenza per
prendere consapevolezza dello stato dell’arte maturato alla fine del secolo
scorso, ma può cos tuire un u le esercizio della nostra immaginazione per
rappresentarci scenari diversi realizzabili in questo millennio, solo che i due
mondi trovino un metodo civile ed intelle ualmente onesto per
collaborare.
 
 
Ragioni e riflessioni iniziali che hanno condo o ai sei
seminari sul rapporto rocinante – tutor ed alla nascita
di questo testo
 
di Leonardo Angelini
 
 
1. Due anni or sono un gruppo di psicologi che, a fianco alla propria a vità
professionale nell’AUSL di Reggio Emilia ormai da vari anni svolgevano una
a vità di tutoring rivolta ai giovani colleghi usci dalle università
convenzionate (che allora erano Padova e Cesena, alle quali di recente si è
aggiunta Parma), si posero il problema del senso che poteva avere per loro
e per i loro rocinan quell’insieme speculare di a vità di tutoring e di
rocinio, che fino al quel punto avevano svolto in maniera certo
soddisfacente, ma poco ponderata.
 
2. Nacque così un gruppo di lavoro e di riflessione sul rapporto tutor –
rocinante che comprese fin dall’inizio un cospicuo numero di giovani
psicologhe (ma anche di laureate in scienze dell’educazione e di neo-
specializza in NPI), rocinan , ma anche ex rocinan con le quali
avevamo mantenuto nel tempo un rapporto che andava al di là dell’ambito
puramente professionale, un legame che aveva assunto le cara eris che
del rapporto amicale o, in taluni casi, di po familiare, che rendeva
estremamente dolorosa la separazione e rischiava spesso di confondere i
due piani dell’opera vità e della familiarità.
 
3. E certamente – ne eravamo coscien fin dall’inizio – il tema della
difficoltà a separarsi, che accomunava queste due generazioni di psicologi e
di professionis presen e futuri del welfare, non fu ininfluente nel
determinare la nascita stessa del nostro gruppo di riflessione, che anzi fu
da noi scherzosamente visto (anche) come una ‘scusa’ per non separarsi.
 
4. Ciò faceva a pugni con la tendenza dell’università a proie are fuori di sé
e sostanzialmente a non prendersi cura di questo importante momento di
professionalizzazione delle giovani colleghe. Momento che - secondo una
riflessione nata negli anni scorsi all’interno del nostro Consultorio Giovani
(OPEN G) - per la sua coincidenza con l’ul ma fase dell’adolescenza, per il
suo essere alquanto cerimonializzato e per la presenza in esso di ‘sacerdo ’
(i tutor) che svolgono la funzione di introdurre il neo-professionista nella
professione - può essere visto come una vera e propria cerimonia di
aggregazione del giovane professionista nella professione, del neoadulto
nell’età alla quale ormai è prossimo.
 
5. Nei nostri primi incontri cominciammo così a chiederci varie cose: -
come possa nascere e crescere dentro ai due a ori presen sulla scena del
rocinio, il prossimo rocinante e il tutor, la loro disposizione all’a vità di
rocinio e di tutoring; - come siano vissu dal rocinante i momen di
selezione (ed ancor prima di autoselezione) dei luoghi di rocinio; - come
in effe si dispiega il rapporto tutor- rocinante nel corso del rocinio;
secondo quali fasi si scandisce il rapporto; quali siano i vissu riguardo agli
elemen della professione che passano (o meno) dall’uno all’altro polo di
questo par colare momento forma vo; quali le modalità del passaggio, le
a ese reciproche, le cose effe vamente date e ricevute nello scambio fra
queste due en tà; - come l’arrivo del rocinante possa riverberarsi sui casi
e le situazioni che gli vengono affidate, o alle quali in ogni caso partecipa; -
come viene affrontata ed elaborata la separazione a fine rocinio, sia sul
versante del rapporto con il tutor sia su quello del rapporto con i casi e le
situazioni che ha visto il rocinante compartecipe, insieme al suo tutor e
agli altri operatori is tuzionali coinvol . Queste le nostre curiosità iniziali.
 
6. Il fa o poi che fin dall’inizio ai nostri incontri abbiano partecipato tutor e
giovani volontari delle stru ure del volontariato europeo, nonché tutor e
giovani volontari della nostra stru ura di volontariato ‘Gancio Originale’, ci
ha permesso di cogliere alcuni elemen di profonda similitudine che
esistono all’interno di ogni processo di formazione e di cura che i giovani
fanno sul campo, indipendentemente dal fa o che essi siano rocinan ,
volontari, o altro.
 
7. Abbiamo scoperto, con nuando a vederci in questo contenitore iniziale
che ci comprendeva tu (tutor, rocinan , volontari), ed in base ad una
riflessione fa a a par re dall’e mologia dei due termini: ‘tutor’ e
‘ rocinante’ che il primo deriva dal la no tutor e sta per ‘colui che si
prende cura di...’ (originariamente “che è giunto a piena maturazione”),
mentre il secondo, rocinium, è di origine militaresca e significa
le eralmente “movimento delle reclute”: il che ci riporta immediatamente
in una atmosfera di disciplina, di obbedienza, di opera vità.
 
8. Quindi, ci siamo de , che, in base all’e mo, sulla scena del rocinio e
del volontariato giovanile: - da una parte emerge una situazione di scambio
diseguale che allude molto da vicino allo scambio diseguale presente sulla
scena scolas ca; - dall’altra un richiamo ad una atmosfera militaresca e
opera va, proveniente dal termine ‘ rocinante’, che ci allontana dalla
scuola, poiché mentre la skholé è un luogo a parte di non lavoro e di
riposo, in cui cioè non c’è alcuna impellenza di po produ vo, il rocinio
ed il volontariato rinviano ad un movimento che va, molto più decisamente
della scuola, verso il mondo dell’opera vità e della laboriosità. E
immediatamente, a questo punto, la discussione si è incentrata sulle
modalità confusive con cui oggi si esce dal mondo della scuola e si entra in
quello del lavoro, per cui abbiamo deciso di approfondire anche questo
tema.
 
9. Nel momento in cui poi tornavamo, nella nostra discussione iniziale, alle
analogie fra scuola e rocinio, abbiamo constatato, sulla scia di preceden
lavori svol con mol docen reggiani negli anni scorsi1, che le due figure
del rocinante e del tutor, così come le due funzioni di tutorship e di
apprendimento sul campo, sono interdipenden , esa amente come quelle
del docente e del discente. Ciò vuol dire che l’una è compresa nel rapporto
con l’altra sia per quanto riguarda l’aspe o dell’apprendimento secondario,
e cioè delle capacità professionali da passare e da acquisire, sia – e ancor
più - per quello primario, cioè per i processi di interiorizzazione e di
agglu namento dell’ogge o prote ore introie ato, responsabile del
desiderio di essere formato e di formare, che sulla scena del rocinio sono
ri-evoca in questo modo sia nel rocinante che nel tutor.
 
10. Abbiamo poi verificato, in base ai ricordi personali dei più anziani, come
fino ieri in Italia il processo di professionalizzazione fosse affidato, per tu e
le professioni del welfare (con rare eccezioni), ad una sorta di
apprendimento in i nere postumo, non curricolarizzato, che in realtà
risultava importan ssimo per il singolo neoprofessionista della cura e
dell’educazione. Un percorso di apprendimento pra co basato
essenzialmente sul prece orato e l’esempio in base al quale i più anziani
passavano le competenze ai più giovani all’interno di un quadro in cui la
gerarchia appariva stre amente legata all’anzianità.
Mentre oggi, nonostante tu i limi che contraddis nguono le strategie
a uali di rocinio, questa a vità e la speculare a vità di tutoring,
all’interno delle professioni del welfare si vanno sempre più espandendo e
meglio definendo come parte integrante del processo forma vo degli
operatori del welfare a uale.
 
11. Abbiamo constatato, che il rocinio - come i suoi equivalen dell’area
del lavoro aziendale, l’apprendistato ed il master - sia che si accompagnino
alla lezione formale, sia che seguano ad essa (o che, come più di rado
accade, la precedano), rappresentano ormai modalità sufficientemente
definite di ingresso nel mondo del lavoro che completano e pongono ‘con i
piedi per terra’ la formazione.
Per cui ci siamo propos di approfondire non solo gli aspe che legano il
rocinio all’oggi della scuola e dell’università, ma anche quali funzioni esso
assuma nei confron del domani, ormai prossimo, in cui l’ormai ex-
rocinante entrerà nel mercato del lavoro delle professioni del welfare, o
nei territori limitrofi in cui i processi di aziendalizzazione sono più avanza ,
o presen da sempre.
 
12. Ed alla fine del nostro percorso ci siamo propos , ritornando ai giovani
psicologi – cioè a coloro che per primi avevano fa o sorgere in noi il
desiderio di approfondire gli elemen che sono alla base del testo che ora
il le ore ha so o gli occhi - di abbozzare una proposta di revisione del
rocinio post-lauream, che non può non par re da una cri ca della
collocazione post-lauream del rocinio degli psicologi. E ciò per vari mo vi:
 
13. Innanzitu o la scissione fra apprendimento formale e rocinio (a vità
che in larga misura si basa sugli altri due perni dell’insegnamento, e cioè
l’esempio ed il prece orato) determina una pericolosa divaricazione fra
teoria e pra ca poiché, da una parte, circoscrive l’università come un
mondo a sè, collocato in una specie di ‘iperuranio’ separato
dall’esperienza, dall’altra riduce il terreno stesso dell’esperienza a quello di
una pra ca venduta (sarebbe forse meglio dire svenduta) al giovane come
qualcosa che non merita tante a enzioni. Si pongono così le premesse
sulle quali si costruirà poi un enorme equivoco sul significato che
l’esperienza in generale, e l’esperienza pra ca, in par colare, assumono nel
sogge o in formazione.
 
14. In secondo luogo con la collocazione post-lauream viene meno ciò che
proficuamente si è sviluppato da lunghissimo tempo nei paesi
anglosassoni, e che anche in Italia, in altri ambi della formazione dei
social worker, comincia a funzionare bene. Pensiamo alla ormai consolidata
esperienza di rocinio pico della formazione degli assisten sociali, e alle
recen disposizioni che pure in ambito universitario si è data la facoltà di
Scienze dell’Educazione. Pensiamo a ciò che prevedono la maggior parte
delle lauree brevi per i giovani che in esse si impegneranno nei prossimi
anni: e cioè la definizione del percorso di rocinio come momento
cos tu vo della professione e l’inquadramento dell’a vità di tutoring
come importante punto di sutura nel rapporto fra più generazioni di
professionis .
 
15. In terzo luogo viene meno ampiamente nel rocinio post lauream
quell’importante supporto che il tutor può dare al proprio rocinante
nell’a u re le ansie, le angosce e, più in generale, i problemi che lo
studente – rocinante affronta nell’impa o sia con il luogo di rocinio, sia,
ancor prima (non dimen chiamolo) nei confron dell’is tuzione università,
alla quale lo studente appar ene fino all’esame di stato. Altrimen
l’università diventa un luogo di massacro dei giovani, che – abbandona a
se stessi – sono so opos a criteri di selezione dei futuri professionis a dir
poco impropri (proviamo a chiedere ai neolaurea non affli dalla
Sindrome di Stoccolma nei confron degli ex – docen cosa dicono
dell’università di oggi).
 
16. Infine, a raverso il prolungamento di due anni della data di ingresso
nel mercato del lavoro, si determina un ar ficioso impedimento al lavoro,
che forse è l’unica vera ragione che ha spinto il legislatore all’invenzione
del rocinio post lauream, ma ciò, in una società che si dice basata sul
mercato, è un residuo paleo, oltre che una invenzione perversa tendente a
mor ficare i giovani. Qualcosa in ogni caso che non può vedere, ad
esempio l’Ordine degli psicologi schierato a difesa delle rendite di
posizione già acquisite, poiché così la professione è des nata a perire, o ad
essere fortemente ridimensionata.
 
17. Il fa o che prima dell’inizio dei sei seminari sia stato possibile, grazie
alla mailing list Psico-Prof, comunicare in nostri proposi ad un nutrito
gruppo di colleghi psicologi operan in Italia ci ha permesso di vedere ai
nostri seminari fino a 84 partecipan , molto dei quali provenien da altri
luoghi del welfare. Tracce di questa a va partecipazione sono rilevabili nel
presente testo.
 
18. Si può dire, anzi, che il rapporto con i colleghi di Parma, che fino
all’anno scorso erano a noi vicini territorialmente, ma estranei dal punto di
vista esperienziale, abbia visto in ques seminari un punto di partenza per
l’intreccio di ulteriori scambi e legami. Lo stesso pensiamo si possa dire nei
confron di quei colleghi più lontani che ci proponiamo di coinvolgere, ogni
volta che lo riterremo u le ed opportuno, in altri momen di scambio e di
riflessione.
 
19. Riteniamo che anche sul piano più specificatamente reggiano i sei
seminari siano risulta u li per mol colleghi non psicologi operan nei
vari compar del welfare di casa nostra, che hanno avuto modo di rifle ere
con noi del rapporto rocinante tutor. Ed anche questa dimensione
poliprofessionale del problema, questo ritrovare tracce di una omogeneità
di fondo all’interno dei processi forma vi di tu e le professionalità
impegnate nella sanità, della formazione e del sociale merita l’a enzione, a
nostro avviso, di tu coloro che hanno a cuore le sor del welfare italiano.
Abbiamo potuto constatare infa nei nostri seminari come tu e queste
professioni siano a raversate oggi, pra camente in egual misura, da quella
che ormai può essere definita come una vera e propria impellenza
forma va: la necessità di innovare imme endo nel circuito forma vo
ambi nuovi quali il rocinio e di integrare tali ambi all’interno del
circuito più tradizionale della formazione.
 
20. Infine un ringraziamento alla AUSL di Reggio Emilia ed alla Coop
Nordest che hanno creduto in noi e ci hanno permesso di svolgere questa
esperienza forma va e di pubblicare il testo che ora il le ore ha so o gli
occhi: speriamo che dalla sua le ura egli possa trarre lo stesso piacere che
abbiamo provato noi durante i nostri sei seminari.
 
 
 
 
 
 
 
 
1ª parte: Tirocinio, tutoring e professioni del welfare
 
 
Tirocinio e professioni del welfare ieri ed oggi
 
di Leonardo Angelini e Deliana Bertani
 
 
Tirocinio e professioni del welfare ieri
 
Solo da pochissimi anni in Italia si è cominciato a parlare e a rifle ere sul
rocinio. Nella storia dell’università italiana il rocinio è un illustre assente
e spesso anche le sedi forma ve degli operatori della sanità,
dell’educazione e del sociale sono ancor oggi cara erizzate dalla
sostanziale assenza di riflessione sui molteplici significa che il rocinio
assume per il giovane laureato o diplomato che si appresta ad entrare nel
mondo delle professioni della cura.
Nonostante l’assenza di luoghi ‘ufficiali’ del rocinio e nonostante l’assenza
di una riflessione seria e conseguente sul rapporto fra sapere e saper fare,
qualcosa che assomiglia al rocinio in Italia c’è sempre stato, anche agli
inizi della storia del welfare italiano. Per cui la prima cosa che ci
proponiamo di fare, con questa nostra relazione, è di tentare un
ragionamento su come agli esordi del welfare italiano (e cioè agli inizi degli
anni ’70) sia stato affrontato all’interno del welfare nascente il problema
dell’immissione delle conoscenze e delle competenze professionali, in una
situazione in cui fra l’altro mol di ques saperi e di queste pra che
avevano alle spalle iter forma vi funzionali a logiche teorico-pra che
affa o diverse dall’ambito di sperimentazione che in quegli anni si andava
facendo spesso in contrapposizione ed in polemica con i vecchi saperi e le
vecchie pra che2.
Ed il punto di partenza non può non essere che l’analisi di quelle poche
professioni del welfare nascente che prevedevano il rocinio, o qualcosa
che assomigliasse ad esso, all’interno dei propri percorsi forma vi.
In questo gruppo sono comprese sicuramente le professioni dell’assistente
sociale, dell’infermiere, delle ostetriche e delle assisten sanitarie.
Le ragioni in base alle quali fin dall’inizio gli assisten sociali videro il
rocinio collocarsi a buon diri o nel loro percorso forma vo è sicuramente
nel fa o che la loro professione è giunta in Italia risentendo molto
dell’impronta pra ca che questa professione aveva ricevuto negli USA e in
Inghilterra a par re rispe vamente dal New Deal e dalla prima
significa va esperienza del welfare inglese che risale ai governi laburis
dell’immediato dopoguerra.
Per quanto riguarda, invece, le professioni paramediche probabilmente le
ragioni che sono all’origine della definizione dei percorsi forma vi secondo
una impronta tesa ad immergere la teoria nella pra ca, ed a fondare una
pra ca in una teoria discendono dalla necessità di ancorare queste
professioni, che deve prendersi cura molto da vicino del corpo, alla
materialità di un percorso teorico-pra co che al corpo sia legato fin
dall’inizio dell’iter forma vo.
Diverso a nostro avviso è il caso dei percorsi professionalizzan del maestro
e dell’educatore per i quali, almeno apparentemente, in Italia da sempre
stato previsto un percorso pra co. Percorso però che relegava la pra ca in
un rito vuoto, molto limitato nel tempo, privo di responsabilità e di
valutazione. Qualcosa che aveva cara eris che di ciò che oggi
chiameremmo una ‘visita guidata’ e che traeva le sue origini
nell’impostazione idealis ca, non scien fica che la pedagogia aveva allora
nell’ordinamento universitario italiano, laddove la pedagogia veniva vista
come filosofia dell’educazione, e perciò distante dalle esigenze concrete
della cura dei bambini e dei giovani.
Questo l’universo delle professioni che alla fine degli anni ’60 prevedevano
all’interno degli iter forma vi qualcosa che somigliasse al rocinio. Molte
altre professioni, ad esempio quelle dello psichiatra, dello psicologo, del
neuropsichiatra infan le, della logopedista e anche quella di fisioterapista,
in quel periodo non prevedevano all’interno del proprio curriculum di studi
alcuna forma di rocinio.
Le ragioni che sono all’origine di queste modalità forma ve così astra e e
lontane dalla sperimentazione e alla riflessione su di essa sono ovviamente
diverse.
Dice Guerra: “Alla loro base è possibile rintracciare mo vazioni generali di
natura culturale…sul piano culturale, l’elemento fondamentale è legato alla
dominanza in ambiente italiano della cultura ca olica nell’intervento
sociale. Nelle interpretazioni più diffuse di questa cultura, della quale è
comunque necessario riconoscere i meri , le dimensioni tecnico
professionali dell’operatore assumono un’importanza secondaria rispe o
alla dimensione dell’impegno e della disponibilità esistenziale. Gli
innegabili risvol tecnici del ruolo dell’operatore vengono demanda ad
una pretesa vocazione che porterebbe l’operatore stesso ad essere tale :
una vocazione ‘naturale’, la cui assenza non potrebbe essere compensata
da nessuna competenza culturale, da nessun rocinio professionale”.
Ancora più ne a appare la situazione se noi coniughiamo quanto de o qui
sopra da Guerra con il dato dell’enorme influenza esercitata dalla cultura
idealista, specialmente fino all’inizio degli anni ’70, sull’università e sulla
scuola italiana. Influenza così ampia – nonostante la vigorosa virata verso
un approccio più scien fico alla cura – da improntare ancora oggi in
notevole misura la nostra cultura e le nostre is tuzioni forma ve. In base ai
postula dell’idealismo l’ogge vità del sapere non lascia spazio allo studio
delle sue diverse possibilità di mediazione. L’importanza della dida ca
viene così negata e la centralità dell’essere dell’operatore, del formatore
viene affermata a scapito della ricerca delle sue specifiche competenze
professionali.
In questo modo la pra ca è rido a a pra cismo, la mente è separata dal
corpo e l’alto dal basso, secondo una logica di separazione e di dis nzione
gerarchica in base alla quale viene negato ogni nesso diale co fra ques
due poli del problema.
Il caso dei maestri - che si pone a metà strada dell’alterna va ‘pra ca sì
pra ca no - può essere considerato esemplare per comprendere le ragioni
che nell’ambito scolas co erano alla base della svalutazione della pra ca.
Tu o ciò non significa che per queste professioni non ci sia mai stata la
pra ca, ma solo che la pra ca veniva rimandata ad un poi, ad un momento
‘secondo’ che era cos tuito, per tu , dai primi anni della propria carriera
professionale. Si definiva così un apprendimento in i nere postumo, non
curricolarizzato, che in realtà risultava importan ssimo per il singolo
professionista della cura e dell’educazione sul piano dell’apprendimento.
In concreto, poi, le professioni della cura (il logopedista, il fisioterapista
ecc.) prevedevano un percorso di apprendimento pra co basato sul
prece orato e l’esempio (vedi prossima relazione) in base al quale i più
anziani passavano le competenze ai più giovani all’interno di un quadro in
cui la gerarchia appariva stre amente legata all’anzianità.
Per quanto riguarda invece le professioni più legate all’educazione il
confinamento del giovane maestro, del neodiplomato, del neolaureato
all’interno della propria classe, impedivano una piena possibilità di
a uazione dell’apprendimento tramite l’esempio e il prece orato, ed in
questo modo il giovane era bu ato allo sbaraglio ed era di fa o costre o
ad assumere come modelli del proprio fare educa vo quelli introie a
individualmente a casa e a scuola.
 
 
 
Oggi: le professioni del welfare e il rocinio
 
In Italia è di fa o mancato un disegno unitario del welfare state e, più in
generale, un proge o organico nazionale di poli che sociosanitarie -
educa ve: la crescita dell’intervento pubblico e la regolazione
dell’intervento privato sono state infa frammentarie e fru o di scelte
scollegate.
Sul piano poli co l’assenza del rocinio dalla formazione dell’operatore
rimanda senz’altro alla complessiva condizione di arretratezza del sistema
dell’intervento sociosanitario nel nostro paese.
Oggi ci troviamo di fronte a servizi sanitari sociali ed educa vi che sono
na e si sono sviluppa nel trentennio scorso all’interno del welfare
italiano che, come è noto, nasce in Italia dopo il ’68 e si biforca in due
grandi tronconi, lo stato assistenziale e lo stato sociale.
Per stato sociale intendiamo il welfare dei servizi, cioè quel welfare che è
a ecchito solo in talune regioni d’Italia e che è basato sullo sviluppo di
servizi alla persona e alla comunità dai quali si irradia una cultura specifica,
figlia della storia e del patrimonio di conoscenze accumulate lungo il
percorso di crescita delle singole stru ure.
Per stato assistenziale intendiamo il welfare dei sussidi che u lizza le
risorse che provengono dalla fiscalità in generale non in termini di servizi,
ma in termini di assistenza alle persone e alle famiglie.
E’ chiaro che in questo secondo alveo del welfare non si sviluppa una
cultura dei servizi e che il profilo delle singole professioni assume significa
e spessori diversi a seconda che i professionis abbiano agito nel primo o
nel secondo po di welfare.
 
Fa a questa per noi importante dis nzione va de o in secondo luogo che
in ques trent’anni abbiamo assis to alla crisi dell’idealismo crociano e
gen liano che ha provocato importan trasformazioni nella scuola e
nell’università in base alle quali la pra ca e il rocinio hanno assunto via
via un’importanza sempre maggiore anche se in questo processo di
rivalutazione della pra ca e di collegamento fra pra ca e teoria in alcuni
se ori la scuola è stata più conseguente in altri meno.
 
Un terzo elemento importante è la nascita di nuove professioni: quella
dell’educatore della riabilitazione, dell’insegnante di sostegno, dell’OTA
ecc. che sono tu e accomunate dal fa o di essere nate nell’urgenza dei
problemi pra ci che sul territorio si evidenziavano mano a mano che il
welfare si ramificava e si impiantava. Si può dire per queste professioni che
le ragioni pra che che sono alla base della loro stessa nascita hanno
permesso l’is tuzione di corsi di formazione e di apprendimento che
vedono la pra ca e il rocinio come momen centrali del curricolo di studi.
Ed è sintoma co che spesso siano sta gli en locali, le USL, i CFP priva
che per primi hanno individuato il bisogno e is tuito, in accordo con le
regioni e con lo stato, i primi corsi, mentre la scuola e l’università sono
intervenu spesso dopo, in un secondo momento e con un fare che ha a
volte fa o da freno e svuotato di significa la pra ca.
Questo ritardo della scuola e dell’accademia denota, nonostante il
superamento dell'approccio idealis co, la presenza ancora in ques ambi
forma vi di un problema di integrazione fra teoria e pra ca in cui ancora la
pra ca e il rocinio vengono vissu come i paren poveri
dell'apprendimento.
Ma anche nel mondo delle is tuzioni del welfare esistono un insieme di
problemi sul piano della integrazione del rocinio all’interno delle
is tuzioni che si rifle ono sia sui giovani rocinan sia sui professionis
che svolgono azioni di tutoring e che hanno la loro origine in una mancata
chiarezza dei significa che il rocinio e la tutorship hanno dentro le
is tuzioni.
Da una parte infa è vero che le scuole e le università inviano e
distribuiscono i rocinan nelle varie sedi is tuzionali spesso non
chiedendo alcun rendiconto sul piano valuta vo del significato che il
rocinio ha assunto per il giovane rocinante. Ma è anche vero che nelle
is tuzioni del welfare non vi è ancora alcuna selezione seria del tutor, alcun
processo forma vo che faccia sì che un bravo professionista diven anche
un bravo tutor e quindi non vi è alcuna coscienza delle differenze tra
professione e professione tutor come abbiamo visto nel precedente
incontro con Mo ana.
 
 
 
Tirocinio, apprendistato e cerimonie d’ingresso nell’età adulta
 
Ciò che a livello fenomenologico oggi sta avvenendo all’interno
dell’adolescenza è so o gli occhi di tu : il protrarsi dell’adolescenza ben
oltre i 18\20 anni, dovuto essenzialmente alla dilatazione dei tempi della
formazione che prende un numero crescente di giovani.
Il fenomeno, almeno nelle aree metropolitane del mondo ha assunto
proporzioni così vaste da spingere gli scienzia sociali a individuare un
nuovo periodo, un nuovo spazio della vita, quello che va dai 18\20 ai 24\25
anni, occupato da un nuovo sogge o, il postadolescente, che viene così a
porsi in un’area che sta fra quella occupata dall’adolescente vero e proprio
e quella dell’adulto. Rispe o a questo primo elemento per noi, in questa
sede, è importante so olineare che questo nuovo spazio nasce
precipuamente in base a nuove e più complesse esigenze forma ve.
Ma, a fianco a questo, ci sono altri elemen che emergono da un’analisi
della fine dell’adolescenza nella società a uale e che - diciamo così - ci
aiutano a comprendere meglio di che cosa si tra a.
Intanto non si tra a solo di un prolungamento in termini temporali
dell’adolescenza, ma la definizione, in questo tempo, di procedure
professionalizzan che contengono elemen di complessità tali per cui si
può dire che oggi ogni professione ha propri percorsi forma vi accomuna
dal fa o che almeno verso la fine del loro iter viene prevista una qualche
forma di stage, di rocinio, di accompagnamento da parte di un adulto per
un periodo più o meno lungo.
La non coincidenza fra maturazione biologica e maturazione intesa in
termini psicosociali diventa par colarmente evidente oggi, ed assume
elemen di cri cità importan allorché l’ingresso nell’età adulta viene
procras nato fortemente, come abbiamo appena visto, per un numero
crescente di giovani, per i quali si va dilatando a dismisura quella specie di
Isola che non c’è, il cosidde o stato di margine, stato di lontananza dal
mondo del lavoro e della produzione, che in tu e le culture precede le
cerimonie di aggregazione del giovane nell’età adulta e segue quelle di
separazione del ragazzo dall’infanzia.
Una non perfe a coincidenza fra il polo biologico e quello psicosociale,
secondo Van Gennep, è riscontrabile in qualsiasi gruppo sociale, ma
l’enorme dilatarsi dello stato di margine ha fa o perdere di vista alla nostra
società il duplice significato che il passaggio assume per il giovane, come
funzione di sostegno e di ancoraggio alla sua iden tà in un momento di
rapido cambiamento, e all’adulto come funzione difensiva di fronte
all’emergere di una nuova generazione dagli incer confini. Tu o ciò, come
ha messo in evidenza Van Gennep, viene solitamente affrontato a raverso
la definizione di una triplice rete di cerimonie: di separazione, di
definizione dello stato di margine, di aggregazione.
Nelle culture tradizionali, gli elemen di fondo che definivano la triplice
ritualità del passaggio consistevano: - in un alto tasso di
cerimonializzazione, - nella presenza di adul che officiavano scientemente
il passaggio, e nel fa o che tu i rituali si svolgevano palesemente di
fronte alla comunità.
Nella nostra società invece, come afferma Le Breton, il giovane affronta il
passaggio sempre più solo e senza il conforto di cerimonie sociali che
a es no, agli occhi di tu a la società, il suo ingresso nella comunità adulta.
Questa cerimonia privata di passaggio, questo rito in mo parallelo (Le
Breton) da un lato tes monia l’importanza per il giovane di dotarsi di
segnali che a es no il cambiamento, anche in assenza di cerimonie
gruppali di passaggio, dall’altra ci lascia capire che la società adulta oggi
non sembra avere più al proprio interno quegli adul offician il passaggio
che nelle società tradizionali svolgevano l’importante funzione di rendere
sociale, e cioè condiviso da tu a la comunità, il passaggio stesso.
Afferma Vanni che oggi vi è una is tuzione, la scuola, che a raverso il
passaggio da una classe all’altra, da un ciclo all’altro ogge vamente
sancisce le tappe della crescita, ma la scuola spesso non è cosciente di
svolgere questa importante funzione anche se è proprio in ambito
forma vo che avviene quell’incontro finale, di cui parlavamo prima, fra
adul che svolgono funzioni di tutoring e di accompagnamento e giovani
che si apprestano a essere aggrega alla comunità degli adul .
La mancata messa a fuoco della pregnanza di significato che da un punto di
vista psicologico il rocinio, l’apprendistato, e l’accompagnamento
assumono per il giovane impedisce così di comprendere le problema che
dell’ul ma fase dell’adolescenza, quella della aggregazione nel mondo
degli adul , quella cioè in cui all’ordine del giorno vi è l’acquisizione da
parte del giovane di un ruolo sociale produ vo, che segna e sancisce la
raggiunta autonomia, intesa qui in termini e mologici, come capacità, nella
vita e nella professione, di ‘darsi da sé le proprie leggi’.
In questo modo si perpetua anche in questo ul missimo periodo
dell’adolescenza lo stato di imperfe a conoscenza, da parte della nostra
società, da una parte del significato stru urante che il rocinio assume per
il giovane come tappa del processo matura vo, dall’altra della
importan ssima funzione di accompagnamento e di formazione alla vita e
alla professione svolta dall’adulto tutor durante il rocinio.
 
 
 
Alcuni da quan ta vi sui rocini in Emilia-Romagna nel 1999
 
Il numero totale dei rocini avvia durante il 1999, documenta presso
l’ente regionale, ammonta a 2.760 proge . Si tra a di un dato aggiornato
al mese di Gennaio 2000.
Sono rocini che riguardano sogge più o meno in cerca di occupazione.
Le donne cos tuiscono il 61% del totale dei rocinan .
L’età media dei rocinan è di 26 anni.
Le fasce di età più frequen sono quelle comprese dai 20 ai 30 anni.
Il 46,4 dei rocinan ha un diploma di scuola media superiore, mentre un
23% è laureato.
Il numero di aziende coinvolte in a vità di rocinio è di 1359.
Di queste imprese però 362 (cioè 26%) promuovono ben il 63% di tu i
proge : questo probabilmente significa che, anche se in numero ancora
esiguo, le aziende hanno cominciato ad ado are il rocinio come uno
strumento di poli ca aziendale avente finalità di formazione e di
preselezione del personale.
Un altro dato interessante è che quasi la metà delle 1359 aziende riguarda
piccole realtà con meno di sei lavoratori.
L’incidenza maggiore di rocini si registra in imprese operan nelle
province “centrali” della regione: in ordine Modena (30%), Bologna,
(17,5%) Parma(14,2), Reggio ( 8%)
Il 37% delle 1359 aziende opera nel se ore terziario.
 
 
Bibliografia:
1. AA.VV., Istruzione, formazione, lavoro in Emilia e Romagna – Rapporto 2000, a
cura della Regione Emilia e Romagna, Bologna, 2001
2. Alberoni F., Ferraro F., Calvaruso C., I giovani verso il duemila, Torino, Edizioni
Gruppo Abele, 1986.
3. Angelini A., Immagini del corpo e dello s gma: il tatuaggio fra i giovani d’oggi.
Una ricerca sul campo fra i giovani di Reggio Emilia, tesi di laurea, Padova, anno
accad. 1998\99
4. Fofi G., Benché giovani. Crescere alla fine del secolo, Roma, edizioni E/O, 1993
5. Guerra L., Il rocinio nella formazione universitaria dell’operatore
socioeduca vo, in: Frabboni, Guerra, Lodini: Il rocinio nella formazione
dell’operatore socioeduca vo, Nuova Itali Sc., Roma, 1995
6. Jeammet Ph., Psicopatologia dell’adolescenza, Roma, Borla, 1992
7. Le Breton D., Passione del rischio, Torino, Ed. Gruppo Abele, 1995
8. Laffi S., Il furto: mercificazione dell’età giovanile, L’ancora del mediterraneo Ed.,
Napoli, 1999
9. Mo ana P., La funzione della tutorship nel processo affe vo di apprendimento,
in: SKILL, riv. dell’Enaip – Lombardia, N.4 del 1991
10. Mo ana P., Formazione e affe , Armando, Roma, 1993
11. Scabini E., Giovani in famiglia fra autonomia e nuove dipendenze, Vita e
Pensiero, Milano, 1997
12. Scanaga a S. (a cura di), Generazione virtuale: i giovani di un’area emiliana tra
benessere e ricerca dei valori, Roma, Carocci, 1999
13. Van Gennep A., I ri di passaggio, Torino¸ Bolla Boringhieri, 1988
 
 
 
 
La professione e la professione di tutor
 
di Leonardo Angelini e Deliana Bertani
 
 
1.Tirocinio e tutoring nel corso degli studi
 
Il ritardo con cui in Italia il rocinio va emergendo e si va intrecciando con
gli altri aspe della formazione ha impedito finora una riflessione
sistema ca sui significa di questo importante nodo di congiunzione fra
teoria e pra ca, ed anzi – come afferma la Manoukian Olive – rischia in
mol ambi forma vi di rappresentare ancora un elemento svalutato della
formazione: quello di una pra ca scissa dalla teoria e rido a a pra cismo
acefalo.
Noi riteniamo anzi che il concreto intreccio che nei vari ambi forma vi si
va determinando fra rocinio e altri momen forma vi possa essere visto
come una car na di tornasole del concreto sforzo che la scuola italiana va
facendo, o meno, su questo piano. Di modo che è possibile intravedere
pun di eccellenza in cui il rocinio è ben piantato all’interno del corso
degli studi, e via via soluzioni sempre meno felici che diradano verso pun
di totale discrasia fra rocinio e resto del processo forma vo, spesso
indicatori del fa o che, in quei luoghi il rocinio non solo non è stato
pensato dalla scuola, ma anzi sembra essere stato espulso e messo lì come
un a o dovuto.
La mancata integrazione del rocinio nel corso degli studi non significa ipso
facto per il rocinante che il tempo trascorso con i propri tutor sia una
inu le perdita di tempo, poiché, come vedremo fra un po’, molto dipende
da come in concreto questo tempo viene speso da entrambe le par in
causa: quella del rocinante e quella del tutor.
Certo è che il fa o che il rocinio sia pensato e programmato dalla scuola
pone le premesse affinché il rocinio assuma un pieno di significa che è
ben altra cosa rispe o alla semplice sommatoria di teoria più pra ca, e
sicuramente tu ’altra cosa dal me erlo lì, magari alla fine del corso di
studi, dopo il diploma o la laurea (vedi psicologia), come un’aggiunta
dovuta, come un fas dioso iter non governato da alcuno e sul quale
l’accademia non sente il bisogno di sapere nulla, quasi fosse un fa o
privato fra rocinante e tutor e non un aspe o fondante dell’ingresso nel
mondo della professione.
Programmare il rocinio da parte della scuola o dell’università vuol dire
presenza, a fianco al tutor di rocinio, di un tutor d’aula, e cioè di una
istanza capace di predisporre il rocinio pra co, di reperire il tutor di
rocinio e di mantenere con esso un rapporto che spesso va al di là
dell’esperienza del singolo rocinante, di prendersi cura sia del rocinante
che del tutor di rocinio; significa altresì che l’apprendimento o enuto
a raverso il rocinio sia valutato e pienamente compreso nel curricolo e,
conseguentemente, che i tutor di rocinio siano vis come parte di un più
generale processo forma vo e come tali forma essi stessi e cura dalla
scuola come suoi propri membri.
Questa pluralità di posizioni che la scuola e l’accademia italiane dimostrano
di avere rispe o al rocinio è indice, a nostro avviso, del fa o che s amo
a raversando un momento di passaggio fra quella situazione iniziale del
welfare italiano cui abbiamo accennato prima nella precedente relazione e
un nuovo asse o in cui, dentro le is tuzioni del welfare o fuori di esse, il
rocinio tenderà sempre più ad assumere un significato centrale. Per cui,
rispe o a questa linea di tendenza, ci possono essere situazioni più
avanzate e conseguen in cui il processo di integrazione fra rocinio e resto
del percorso forma vo si va già cementando, ed altre situazioni più
arretrate in cui, più che di una integrazione, si può parlare di una
sommatoria più o meno sincrona di percorsi che ancora fanno fa ca a
dialogare, nelle loro singole componen , e che tendono a scaricare sul
singolo rocinante lo sforzo necessario all’integrazione e al singolo tutor
quello derivante dall’assemblare, dentro di sé e nella pra ca is tuzionale o
aziendale, il mes ere col mes ere di tutor.
 
 
 
2.L’a vità di tutor: qualcosa che si fa ma su cui non si rifle e
 
Ancora pochi cioè sono dispos a rifle ere sul significato del rocinio, e
ancor meno sono coloro che rifle ono sul significato del tutoring. Perché,
se è vero che da una parte la scuola ancora in mol ambi non è in grado
di pensare realmente al rocinio come una risorsa, è ancora più vero che
né la scuola né le is tuzioni in cui il rocinio solitamente avviene, né noi
professionis che pure svolgiamo funzioni di tutorship siamo in grado di
fare una riflessione seria e conseguente sul significato che l’a vità di tutor
ha per noi stessi, per il rocinante e per le stesse is tuzioni in cui insieme
ad esso operiamo per un certo ambito temporale; su quali siano i
presuppos pedagogico-dida ci su cui si fonda l’a vità di tutoring, su
quali siano le disposizioni interiori che favoriscono o inibiscono l’a vità di
tutor; su quali basi infine sia possibile passare da una conoscenza intui va
ad una di po razionale e trasforma vo circa i contenu e i metodi che il
candidato - tutor deve acquisire per potersi dire realmente e
professionalmente tutor.
Si può anzi affermare, a nostro avviso, che - se i livelli di integrazione del
rocinio si possono disporre lungo una scala che, come dicevamo prima, va
dall’eccellenza al non pensato - la tutorship, in Italia almeno, non risulta
pensata, programmata, col vata da alcuno, di modo che il tutor è un
professionista che spesso presta una parte del proprio tempo al giovane
rocinante nell’assenza di consapevolezza dei par colari significa
forma vi che questa a vità ha, delle modalità pedagogico-dida che che
pure vengono da lui usate, degli strumen necessari ad un buon passaggio
delle competenze. E tu o ciò in una situazione in cui le cara eris che di
in mità e di non formalizzazione dei rappor , perlopiù duali, che il tutor va
instaurando col suo rocinante rendono del tu o par colare questo
momento.
Questa assenza di consapevolezza che sia le is tuzioni invian sia i contes
lavora vi in cui avviene il rocinio, sia gli stessi tutor mostrano di avere nei
confron dei significa specifici dell’a vità di tutoring e del fa o che
l’a vità di tutor è cosa diversa dall’esercizio della professione dimostra
quanto siamo ancora lontani dall’a ribuire a questa figura un contorno
preciso e condiviso.
Per fare un esempio che mostra, pensiamo a sufficienza, la distanza che ci
separa dal mondo anglosassone, in cui come è noto l’a vità di tutoring è
ben presente da lungo tempo in ogni ordine di scuola, quando una collega
ha cercato nella legislazione scolas ca inglese tracce giuridiche scri e in
cui fosse codificato cos’è e cosa fa un tutor ha scoperto con sorpresa che di
scri o vi era ben poco, ma per mo vi oppos ai nostri: il fa o è che in
Inghilterra la pra ca del tutoring è così chiara da non aver bisogno di
par colari pietre miliari che la evidenzino.
Spesso i percorsi pedagogico-dida ci hanno bisogno in un primo tempo di
essere esegui , per poi essere is tui ed infine interiorizza a tal punto da
non richiedere più alcuna formalizzazione sul piano norma vo. Un po’
come avviene quando si fa un’operazione laddove prima bisogna tagliare,
poi suturare e poi, allorché i pun si sutura non hanno più ragione di
esserci, toglierli poiché i tessu si sono ricompos . Ebbene, mentre in
Inghilterra siamo a quest’ul mo punto del processo di acquisizione del
tutoring, in Italia siamo ancora nel primo.
 
 
3.Il mes ere del tutor
 
Mol di noi qui svolgono o hanno svolto, qualche volta nella loro vita, il
mes ere di tutor. Si può dire anzi che coloro che, come noi, lavorano da
molto tempo nelle is tuzioni territoriali del welfare dei servizi lungo il
proprio iter professionale hanno dovuto fare con nuamente un’opera di
tutoring, a raverso l’integrazione dei nuovi arriva e la riqualificazione e la
formazione in i nere dei colleghi provenien dagli en disciol e da altri
ambi esperienziali supera .
E ancor prima mol di noi più anziani, proprio per l’assenza di un iter di
rocinio pra co ufficiale, collegato con i curricoli forma vi scolas ci e
accademici, sono sta rocinan , nei fa affida , agli albori della nostra
carriera professionale a colleghi più anziani che, in maniera informale si
disponevano nei nostri confron come tutor. Ma anche i più giovani fra noi,
lungo l’iter di rocinio (nell’autoaiuto fra pari), o immediatamente dopo
(ad esempio nella guida delle più giovani colleghe nei workshop) hanno
potuto sperimentare cosa significa il tutoring. Ciò perme e a noi tu di
potere rifle ere sul tutoring a par re da un ambito di esperienza molto
ampio e da una prospe va duplice, cioè con un doppio sguardo sul
problema, quello del più giovane ed inesperto, e quello del più anziano e
competente.
Ebbene se noi rifle amo un a mo sul significato che l’a vità di tutor ha
assunto in ques anni per noi stessi, per i rocinan che ci sono sta
affida e per le stesse is tuzioni in cui insieme ad essi abbiamo operato e
con nuiamo a farlo ancor oggi con sufficiente dedizione e a accamento al
lavoro, vediamo innanzitu o che essa implica il possesso da parte del tutor
di ciò che potremmo chiamare un insieme di predisposizioni che un po’ si
confondono con quelle del docente, un po’ se ne dis nguono. Come ci ha
egregiamente spiegato Paolo Mo ana la volta scorsa potremmo definire la
posizione del tutor a par re dalla sua propensione a svolgere un insieme di
funzioni insieme al docente, in quelle situazioni in cui il docente si affianca
al tutor, o da solo, allorché il docente non è compresente e in sincronia
sulla scena forma va. Così come, afferma sempre Mo ana, il docente, se è
solo, di fa o svolge funzioni di tutoring, pur senza avvedersene, poiché
docente e tutor sono come due facce di una stessa medaglia. Se ricordate
secondo Mottana sono quattro le funzioni che permettono al formatore di
definire il setting formativo e di tenerlo in piedi come tale nel tempo e nello
spazio sia per sé, sia per la propria udienza, che nel caso nella situazione più
canonica è la classe, per noi la diade tutor - tirocinante: la funzione
istituente, quella illudente, quella individualizzante, ed infine quella di
separazione.
La prima funzione, quella is tuente, che secondo Mo ana è di po
paterno, va vista essenzialmente come is tuzione di luoghi, tempi e campi
del fare opera vo, che nel nostro caso sono luoghi, tempi e campi del
lavoro in comune con il proprio rocinante, ma ancor prima luoghi, tempi e
campi is tui come ada al rocinio dalle is tuzioni ufficiali che hanno
convenuto nel definirli come tali.
La seconda funzione è cos tuita dalla definizione di una membrana (nel
nostro caso duale) illudente in base alla quale non solo deve convenire, col
suo rocinante, all'inizio di ogni singolo momento di rocinio, sul fa o che
quel luogo e quel tempo siano effe vamente per il rocinio, ma i due
devono anche condividere la stessa passione per l’argomento tra ato, che
nel nostro caso è in quell’insieme di pra che professionali che il primo ha
deciso di condividere con l’altro: momento materno poiché è in questo
momento che emergono le ansie e le angosce del rocinante, il che spinge
il tutor ad disporsi di fronte ad esso in modo tale che quest’ul mo intuisca
di trovarsi in un ambito prote o, in cui il tutor si disponga all’aiuto di fronte
alle esigenze di elaborazione e di contenimento dell’ansia che il più giovane
prova di fronte alla novità, agli enigmi della professione, nonché rispe o al
futuro.
La terza funzione, quella individualizzante, Ma una volta che il tutor abbia
espletato questa seconda funzione, non può non cominciare a nutrire ora
nei confron del suo rocinante un secondo po di preoccupazione di po
materno, quella che gli psicoanalis francesi chiamano funzione di rêverie
(cioè di immaginazione, di sogno su ciò che domani quel rocinante potrà
diventare). E se in un primo tempo il tutor, come una madre
sufficientemente buona, ha cercato di dare senso e spessore al lavoro del
rocinante invogliandolo sul piano dell'operatività e ad accogliere il sapere
pra co che da lui proviene come un cibo buono da introie are, in un
secondo tempo, in base alle modalità con cui il rocinante ha introie ato il
sapere che da lui proveniva e ha cominciato a farlo proprio, non può non
cominciare a cogliere questa specificità acquisi va. E’ questa a vità che
Mo ana vede come l’erede della funzione materna di rêverie in base alla
quale la madre, a raverso la propria a vità interpretante dei segnali che
derivano dal bambino, comincia a vederlo, ad individuarlo, a delinearlo in
maniera univoca e specifica.
Infine la quarta funzione, quella di separazione, che Mo ana definisce di
po paterno, ci ricorda che, come accade in ogni storia che si rispe ,
anche quelle che si raccontano sulla scena scolas ca, e nel nostro caso
sulla scena del rocinio finiscono e che occorre sapersi separare, alla fine di
ogni giornata, così come di ogni rocinio affinché ognuno possa riprendere
la propria membrana individuale e non sen rsi oppresso dal rocinio.
Qualora a fianco del tutor vi sia il docente, o una comunità di docen ,
solitamente, afferma sempre Mo ana, le funzioni paterne sono quelle
assunte dal tutor, e quelle materne dai docen . In assenza del docente è il
tutor che fa da docente, così come, in assenza del tutor, è il docente che fa
l’altro mes ere.
E’ chiaro che le funzioni paterne e quelle materne assumono un significato
molto circoscri o allorché lo scambio diseguale fra docente e discente
avviene non di fronte ad una classe o a una comunità di discen , ma in un
luogo più in mo fra due persone. Ma su questo punto ritorneremo alla fine
di questa nostra esplorazione.
 
 
4.I suoi strumen forma vi
 
Sulla falsa riga del rapporto fra genitori e figli, ma anche con tu e le
dis nzioni derivan dal fa o che il rapporto rocinante – tutor si pone in
un luogo e in un’atmosfera opera va, pena lo sconfinamento in un ambito
affe vo dal quale possono derivare solo guai, il tutor per il rocinante è
modello che, a seconda delle cara eris che personali di ciascuno, può
essere un padre che definisce confini, introduce in ambien , dà un nome e
una valenza al suo pupillo, una madre che con ene e che fa sen re il
rocinante in una membrana duale avvolgente e proteggente, una madre
in grado di far emergere e lievitare le vocazioni individuali del proprio
rocinante, di immaginarselo già grande e realizzato, e perciò definito,
circoscri o, ma non per questo sminuito, bensì scolpito nelle sue fa ezze,
o infine un padre capace di separarsi e di dare una piccola spinta affinché il
rocinante faccia da solo durante il rocinio a alla fine di esso.
Tu o ciò favorisce il flusso iden ficatorio che si instaura fra i due, fa si che
la visione delle cose dell’uno passi all’altro, con modalità diverse a seconda
delle cara eris che personali del tutor. A raverso questa strada è possibile
per il rocinante passare lentamente, se le cose vanno sufficientemente
bene, dalla dipendenza all’autonomia.
Si tra a di un lavoro maieu co che implica da parte del tutor la
propensione e gli strumen per rare fuori quello che il rocinante ha
dentro, per scoprire le vere vocazioni, quelle u li alla professione, ma
anche quelle più in generale u li nella vita, di rare fuori le conoscenze che
ciascun rocinante ha dentro, ordinate o meno, messe in fila nei
preceden percorsi della formazione, o in quelli che il rocinante sta
facendo a lato e in concomitanza col rocinio.
Il tutor poi è, come dicevamo nella precedente relazione, un sacerdote
dell’iniziazione, una guida di fronte alla quale, come nel rapporto fra Dante
e Virgilio, l’uno è debitore nei confron dell’altro per aver appreso dall’altro
“lo bello s lo che m’ha fa o onore” che nel nostro caso è l’insieme delle
modalità professionali, delle pra che, dell’e ca, della filosofia che
informano la professione. Ed in questo rapporto poi il tutor, come ogni
maestro deve sopportare che gli allevi non solo vanno via, ma che possono
superare il maestro, e non per questo egli deve sen rsi invidioso di essi,
poiché è proprio il sale che lui è riuscito a dare loro che ha permesso poi
agli ex allievi di affermarsi nella vita.
E, come è possibile dedurre in base alla nostra esperienza due sono gli
strumen dida ci, in assenza della lezione formale, che il tutor usa per
passare le proprie competenze: il prece orato in base al quale poiché il
tutor – grazie alla propria esperienza - coglie le cose prima del rocinante,
me e a disposizione questo acume e allena il più giovane e meno esperto
a coglierle sempre più acutamente; e l’esempio in base al quale il tutor
rallenta a bella posta il proprio operare e fa vedere al rocinante come si
fa.
A fianco di queste due modalità canoniche, riscontrabili in ogni mes ere, e
che sono alla base anche del rapporto maestro – apprendista, vi è nei
mes eri della cura la supervisione che consiste in un pa o in base al quale
il rocinante porta i suoi problemi sulle cose che gli sono state in
precedenza affidate e il tutor vede insieme al più giovane il problema,
lavora sulle sue difficoltà, pone delle coordinate nella le ura delle cose.
Da ciò che abbiamo fin qui de o deriva che le competenze e i saperi del
tutor e del professionista non sono assolutamente sovrapponibili e si
dislocano lungo l’ambito esperienziale del tutor in maniera diversa a
seconda dell’anzianità, delle circostanze is tuzionali in cui esso si trova ad
operare, dalle sue disposizioni a formare, cioè da come funzionano
a ualmente in lui i propri fantasmi forma vi.
In generale si può paragonare il rapporto fra competenze professionali e
competenze nell’a vità di tutoring a quelle che devono avere un oratore e
un retore.
Il professionista infa può (oggi, magari ieri non era così) essere un buon
professionista, come un oratore può essere un buon oratore, e l’uno e
l’altro essere incapaci o non disponibili a passare le competenze, cioè a
essere un buon tutor o un buon retore.
Il professionista può anche (oggi, magari ieri non era così) essere un ca vo
professionista, ma capace e disponibile a passare le limitate competenze
che lui ha.
Nei casi più fortuna ci potrà essere una buona accoppiata fra competenze
professionali e competenze nell’a vità di tutoring.
 
5. Fantasmi forma vi nel tutor
 
Ma quali sono le disposizioni interiori che possono favorire o inibire
l’a vità di tutor? Abbiamo visto in precedenza che una cosa sono le
competenze u li allo svolgimento della professione (di qualsiasi
professione), un’altra la disposizione a svolgere le funzioni di tutoring e che
non è de o che il possesso di uno dei due requisi implichi il possesso
anche dell’altro. Or cercheremo di approfondire cosa significhi propensione
a formare e quali sono i fantasmi forma vi nel tutor.
Käes afferma che dentro ciascuno di noi esiste un par colare personaggio
interno, più o meno integrato la cui origine va ricercata nella nostra
infanzia: per un verso ai giochi infan li del po "maestro-allievo", ai giochi
di modellaggio, al gioco con la bambola, etc.; per un altro verso all'area dei
sogni; per un altro verso ancora a tu o lo sforzo di ricerca delle proprie
origini, e quindi all'area in cui si definiscono dapprima le cosidde e teorie
sessuali infan li, ed in un secondo tempo le pulsioni epistemofiliche
sublimate.
Rispe o a quanto afferma Käes si potrebbe affermare (Angelini, 1998) che
l'ontogenesi del desiderio di formare, oltre alle componen fin qui
elencate, vada ricercata all'interno dei processi di introiezione delle imago
genitoriali allorché, sul modello dei nostri primi educatori, che sono per
l’appunto, i nostri genitori reali e fantasma ci, si è andato definendo
dentro ciascuno di noi un ideale di formatore che poi per tu a la vita, a
seconda del grado di confidenza che ciascuno di noi ha con esso, o ha
reclamato la propria presenza apparendo so o forma di vocazione, o ha
con nuato a sonnecchiare fino al momento in cui l'accesso alla
genitorialità o l'occasione di poter svolgere, in qualsiasi contesto, funzioni
educan non lo hanno risvegliato.
Ma le cose non sono così idilliache, come fin qui sono state esposte. A ben
vedere infa l'a vazione dentro al sogge o (così come nell'immaginario
colle vo) del desiderio di formare implica anche la possibilità che si
a vizzi il nega vo della formazione, e cioè la de\formazione. Alla
costruzione corrisponde la distruzione. Le ragioni che portano a formare
sono le stesse che portano a de\formare, a distruggere.
Cerchiamo di vedere ora come funzionano ques personaggi della
formazione (Käes), come sono fa ques introie , di che natura è il loro
desiderio. Nel fare ciò vedremo innanzitu o ciò che avviene nella classe,
ed in secondo luogo in quel luogo più in mo che è il rapporto tutor
rocinante:
a - Il primo po di personaggio interno della formazione è quello che Käes
definisce come fantasma narcisista. In questo caso la spinta alla
formazione è data da un desiderio che, più che di po forma vo,
potremmo definire di po con-forma vo. Un desiderio cioè di modulare
l'ogge o libidicamente inves to secondo una immagine di sé che il
formatore ha e che gli impone di conformare, appunto, l'altro, l’allievo, a
sé.
In questo moto ambivalente, qualora l'ogge o inves to (il discente) si
so ragga alla spinta con-forma va, le angosce che emergono nel
formatore sono quelle piche che si riscontrano in tu gli scenari
narcisis ci: la paura della differenza, dell'alterità, la paura della storia, cioè
del fa o che le cose abbiano uno sviluppo temporale che evidenzia la
marginalità del formatore, la paura della rela vità della sua potenza, etc.
b - Vi può essere però un formatore che prende un rapporto con i discen
simile a quello di una madre con il proprio bambino. Il formatore in questo
caso diventa, come dice Käes, o seno che con ene e che nutre, o bocca che
bacia, o mano che carezza, o sguardo in cui rifle ersi, o voce che ammalia,
o luce che rischiara, oppure (invece di ques ogge parziali di po
materno) madre, con tu e le accezioni che, su base culturale e personale,
è possibile fare convergere su questo termine.
Le angosce so ostan quando prevale in noi questo secondo po di
fantasma sono: il fa o che l'altro (il discente) cresce e se ne va, che
abbandona la grande formatrice, la quale perciò me e in a o tu a una
serie di "trucchi" per negare questa separazione.
c - Può accadere che nel formatore prevalga un desiderio di formare tu o
incentrato sull'istanza che controlla, che in lui, cioè, alberghi un vero e
proprio personaggio che controlla: il discente in questo caso deve crescere
così come il docente lo ha predisposto. Cosicché mentre nel caso in cui nel
formatore prevalga un personaggio narcisista il fa o più importante è che il
"prodo o finito" sia conforme al desiderio del formatore, nel caso in cui al
suo interno prevalga il personaggio che controlla, ciò che al formatore
interessa è il conformarsi del discente alle procedure forma ve, ai
protocolli e alle modalità da lui predisposte, e secondo le quali, a suo
avviso, si deve imparare.
Le angosce so ostan quando prevale questo po di desiderio di formare
sono: che l'altro (il discente) non sia conforme al modo con cui viene
predisposto, che emerga come qualcosa di mostruoso, di non riconducibile
all’universo cerimonializzato del docente.
d - Il formatore può essere abitato poi da un personaggio di po paterno
che dispensa il proprio sapere come questo fosse un seme capace di
fecondare i suoi discen ; ed allora le angosce so ostan saranno quelle
che il seme vada disperso, che il "pene" ingravidante non sia
sufficientemente in grado di fecondare, etc.
Anche nel caso in cui di fronte non ci siano tanto un docente e la sua
classe, ma un tutor e il suo rocinante ques qua ro fantasmi forma vi,
ques qua ro personaggi della formazione, da cui siamo abita , sono
presen con tu e le mille e mille coniugazioni che ciascuno fa fra queste
par interne e le altre par presen nel nostro mondo interno (par
giudican con più meno severità, par più o meno esigen , etc.). Però la
situazione di maggiore in mità prodo a dal rapporto duale, specie se non
temperata dalla contemporanea presenza di un tutor d’aula e di una
comunità di docen , crea una serie di problemi aggiun vi, di ansie e di
angosce nel tutor che rendono, se non più difficile, sicuramente più
specifica e intricata il suo vissuto di fronte al rocinante. Cerchiamo ora di
vedere gli elemen diversità rispe o alla docenza, per poi rivedere come
possono funzionare i qua ro fantasmi forma vi nel caso del tutoring.
La situazione duale pone ben presto (so o cer pun di vista ben prima
che il nuovo rocinante arrivi, e cioè nelle fantasie che il tutor fa su di lui) il
rocinante in una posizione che potremmo definire di ombra, di doppio, di
prolungamento del tutor, con tu e le fantasie e le angosce di po
confusivo che in questa situazione claustrale ben presto emergono. Il tutor
sa, o meglio intuisce che il percorso che il rocinante deve compiere è
quello che va dalla simbiosi all’individuazione, ma ciò innanzitu o procede
piano, necessita di cautela, ed in quel mentre le angosce di po
persecutorio che la presenza dell’ombra comporta avanzano e rendono
molto penoso spesso l’esordio e tu a la prima fase del rocinio, con
oscillazioni rispe o al rocinante che sono più o meno ampie a seconda di
come il tutor ha elaborato dentro di sé queste angosce.
La situazione di minore formalità, di maggiore in mità originata dal
rapporto diadico, la minore asimmetria rispe o alla classe (in fondo si
tra a di accreditare un giovane adulto e un giovane professionista come
tali), ed infine l’assenza – almeno in termini formali - della valutazione, o
meglio spostamento della valutazione in un altro luogo, danno origine a
maggiori tentazioni sublimate sul piano e dell’espressione dell’amore e di
quello dell’aggressività. Ciò è più evidente in quei momen in cui le varie
angosce, corrisponden a vari fantasmi forma vi, sono impellen : è in
ques momen che la perdita della giusta distanza con rocinante
(iden ficazione opera va, cfr.: Bertani) spinge verso situazioni di
manipolazione o di iden ficazione totale.
Il rapporto con l’is tuzione o l’azienda in cui il tutor opera così come con
quella forma va dalla quale il rocinante proviene, che – come ci ha
ricordato Mo ana – dovrebbero essere media per il meglio dal tutor, in
una atmosfera di in mità rischiano in ogni momento di andare in frantumi
poiché ciò che realmente il tutor pensa dell’is tuzione appare da mille
indizi.
E la separazione, infine, diventa spesso dolorosa o oscenamente liberatoria
e tende ad essere esorcizzata a raverso mille manovre elusive, fra le quali
è possibile forse me ere anche ques seminari.
 
Come vedete un approfondimento di ques temi perme e di passare da
una conoscenza intui va dei problemi ad una di po razionale e
trasforma vo circa i contenu e i metodi che il professionista candidato -
tutor deve acquisire per potersi dire realmente e professionalmente tutor:
noi pensiamo sia urgente is tuire presso tu e le istanze che u lizzano il
rocinio come momento importante del processo forma vo dei percorsi
professionalizzan per candida tutor.
 
 
 
Bibliografia
 
-Alberoni F., Ferraro F., Calvaruso C., I giovani verso il duemila, Torino, Edizioni Gruppo
Abele, 1986.
-Angelini L. Affabulazione e formazione, docen e discen come produ ori e fruitori di
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-Angelini L., Dall’e ca padana del lavoro all’este ca consumista: l’adolescente reggiano di
oggi a confronto con quello di ieri (e di avant’ieri), in: A del Seminario “Le stagioni della
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1999, pp.33-51
-Bertani D., Uso della tecnica riabilita va nel rapporto con il bambino, in Pollicino, N.1,
aut-inv 1984, pp.44-49
-Cahn R., Necessità e impasse dell’illusione, ovvero: il des no delle concezioni del mondo
nell’adolescenza e sul finire dell’adolescenza, in: AA. VV.: Diventare adulto? - Secondo
convegno nazionale sulla postadolescenza, Armando Ed.Roma,1998
-Castellucci A., Viaggi guida : il rocinio e il processo tutoriale nelle professioni sociali e
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-James H., Tutore e pupilla - Roma : Editori riuni , 1987
-Gibeault A., La weltanschauung: i rimaneggiamen dell’Ideale dell’Io e del Super Io sul
finire dell’adolescenza, in: AA. VV.: Diventare adulto?, op.cit., Armando, Roma 1998
-Guerra L., Il rocinio nella formazione universitaria dell’operatore socioeduca vo, in:
Frabboni, Guerra, Lodini: Il rocinio nella formazione dell’operatore socioeduca vo,
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-Jeammet Ph., Psicopatologia dell’adolescenza, Roma, Borla, 1992
-Kaes R., Qua ro studi sulla fantasma ca della formazione e sul desiderio di formare, in:
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-Laffi S., Il furto: mercificazione dell’età giovanile, L’ancora del mediterraneo Ed., Napoli,
1999
-Manoukian Olive , Per finire, a chi viaggia, in: Castellucci A., Viaggi guida , op.cit.
pp.290-312
-Mo ana P., La funzione della tutorship nel processo affe vo di apprendimento, in: SKILL,
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-Mo ana P., Formazione e affe , Armando, Roma, 1993
-Quaglino G.P., Fare formazione - Bologna : Il Mulino, 1985
-Scandella O., La funzione tutoriale: esperienze nella scuola secondaria superiore, in:
Castellucci A., Viaggi guida , op.cit. pp.272-284
 
 
 
Funzioni del rocinio nel mercato del lavoro oggi
di Stefano Laffi
 
L’ipotesi che sta alla base della presente riflessione è che il rocinio oggi sia
al centro di un mutamento sociale a raversato da forze in direzioni diverse,
la cui risultante è difficile da disegnare. Quasi chiunque sperimenta infa
sul piano personale una “stagione di vita” sempre più aperta rispe o alle
sue traie orie, con gradi di libertà inedi e igno alla precedente
generazione, ma al contempo vive una condizione giovanile che sembra
cooptata dalla società solo per esercitare alcuni comportamen
(sostanzialmente di consumo), mentre l’interlocutore cui si rivolge - il
mercato del lavoro - diventa così dinamico da lasciar disorientato chi vi si
affaccia.
 
L'impressione più generale è che qui, in qualche modo, si veda la
postmodernità al lavoro, ma insieme ad essa si colga quanto di
premoderno ancora oggi ci sia e quale esito ambiguo lasci questa strana
convivenza sul piano della libertà personale: il rocinante vive cioè una
condizione comune dell'a ore sociale, al centro di uno spazio inedito - di
riflessione, di dispiegamento di a eggiamen e di comportamen , quindi
di scelta e proge o - in corrispondenza di snodi biografici un tempo univoci
e "naturali", e oggi sdoppia o sciol in un con nuum che richiede una
decisione. Nei percorsi di vita, sopra u o nei loro primi tra , sono infa
aumenta i bivi, le ramificazioni, sono comparse domande nuove o sono
emerse a galla ipotesi un tempo socialmente s gma zzate: proseguire o
meno, e fino a quando, il corso di studi, entrare o meno, e con che spirito,
nel mercato del lavoro, convivere o sposarsi, procreare o meno, e quando,
e quan figli... Eppure questa apoteosi della scelta è più ambigua di quanto
si possa pensare: “si sceglie o si è scel ?” è la provocazione in cui mi pare si
sinte zzi la condizione opaca dei giovani che si affacciano al mercato del
lavoro e che più in generale cercano un ruolo per partecipare alla società in
cui vivono.
 
In una ricerca compiuta nel ‘97-’98 in occasione della tesi di do orato, mi
trovai a studiare le transizioni cri che sul mercato del lavoro, a raverso 60
interviste a persone che si erano rivolte al Centro Servizi all’Impiego della
Provincia di Varese perché disoccupate, in mobilità oppure in cerca di
primo impiego. Dopo una serie di colloqui preliminari coi responsabili
dell’informazione, della formazione e dell’orientamento di quel Centro,
decisi di ado are come chiave interpreta va l’idea di “transizioni
psicosociali” elaborata da Murray Parkes, che le definisce come “quei grossi
cambiamen dello spazio di vita che producono effe durevoli, che si
determinano in un lasso di tempo rela vamente breve e che scuotono in
maniera determinante la rappresentazione della realtà”. Così, combinando
il conce o di Lewin di “spazio di vita” - “quelle par dell’ambiente con cui il
sé interagisce e in relazione alle quali si organizza il comportamento” - e
una par colare accezione del conce o di Cantril di “assunzioni sul mondo”
- “l’insieme delle assunzioni che costruiamo sulla base dell’esperienza
passata per perseguire i nostri scopi” - Parkes arrivò a circoscrivere i
passaggi cruciali dei corsi di vita.
 
Quell’indagine mi portò a elaborare alcune riflessioni. Chi a raversa un
passaggio cri co vive una situazione di spiazzamento - culturale e
cogni vo, sicuramente, a volte anche emo vo - perché muta lo spazio di
vita, e in alcuni casi con esso il sistema personale di assunzioni sul mondo.
Seguendo un movimento a fisarmonica, è una sorta di esilio da una
dimensione sociale chiara e condivisa, in a esa di riprendere una posizione
definita, fosse anche quella di disoccupato. Le condizioni di rientro sono
poste dal mercato del lavoro, che in questo si rivela un agente di
risocializzazione severo ed esigente. Il prezzo chiesto è in ul ma analisi
quello di un asso gliamento dell’iden tà, rime endo in discussione parte
del percorso di vita fa o fino a quel punto.
 
La risocializzazione avviene per la verità su tu i piani temporali. Il passato
perde peso, la propria traccia biografica può non avere alcuna con nuità:
conta poco l’iter di studio perché fra carriera scolas ca e lavora va c’è
spesso una cesura ne a, con piena consapevolezza degli interessa anche
prima di a raversarla; non conta quasi nulla come e con quali meri si è
affrontato lo studio, perché sarà il luogo di lavoro a ridefinire cosa serve e
come va fa o; conta poco la famiglia d’origine, nel senso che laddove i
des ni individuali non sono già decisi per privilegi di censo i genitori
possono dare solo conforto morale e mo vazione alla ricerca, ma poco o
nulla sul piano informa vo e cogni vo, perché il mercato del lavoro ha
cambiato radicalmente le sue coordinate di ingresso rispe o alla loro
esperienza; ma conta poco anche il precedente percorso professionale, sia
esso di una vera carriera lavora va - perché a volte il lavoro che si è sempre
fa o può non esistere più - sia esso solo di qualche esperienza temporanea
- perché spesso i passaggi avvengono fra mansioni completamente diverse
e non prefigurano alcuna linea con nua va.
 
Il presente resta indefinito. Il mercato del lavoro mol plica le posizioni
possibili, le forme di ingresso, e gli intervista non sanno come collocarsi,
le carriere di studio, formazione e lavoro si sfrangiano e si intrecciano, si
perdono i confini definitori, sicuramente se ne perde la percezione perché
l’iden ficazione di un periodo come studio o lavoro, come volontariato o
prestazione professionale, formazione in vista di un’assunzione o puro
precariato è spesso possibile solo a posteriori. La percezione di status è
ogge vamente difficile, si capisce perché gli intervista non declinino mai
un “noi” e mostrino una certa vulnerabilità a forme di sfru amento,
sopra u o nella zona più grigia, quella intermedia della formazione.
 
L’afasia, rilevata sulla situazione a uale, è ancora più forte rispe o al
futuro, in cui è a maggior ragione più difficile proie arsi. La perdita della
traccia biografica e della collocazione lavora va nel presente privano le
ro e individuali del mone, inibiscono fortemente qualunque margine di
proge o. Ma il risarcimento è ambiguo, perché la rinuncia allo sbocco
professionale del proprio percorso di studi o alla con nuità del proprio
lavoro non viene ripagata con una semplice offerta, circoscri a e stabile
nell’indicazione di nuovi fabbisogni. Il problema è che alle transizioni
individuali si sommano quelle del contesto - sistema produ vo, mercato
del lavoro e servizi all’impiego - e da questo non possono giungere input
chiari e duraturi di domanda. Manca quindi anche un effe o pull, cioè un
mercato in grado di indicare tempes vamente e a rarre le carriere
individuali verso posizioni certe. L’orizzonte temporale dei singoli, priva di
proge o e con prospe va indefinita, non può che esser schiacciato
sull’oggi e sul breve periodo: si costruisce una quo dianità di ricerca
costante senza ipotecare nulla sul futuro, qualunque inves mento
forma vo tende ad asso gliarsi per massimizzare l’efficacia - cogliere in
tempo l’occasione del posto di lavoro resosi disponibile - minimizzando lo
sforzo - poiché si tra a di studiare o prepararsi ad un lavoro che non rientra
più nel proge o individuale, e non è de o che lo si o enga, o non occorra
invece un altro corso per tentare un’altra occasione.
 
Nei casi esamina l’impressione è quella della perdita di una sintassi
biografica, cioè della connessione di senso fra segmen e carriere nei
percorsi di vita. Il passato di studio, formazione o lavoro può non avere
alcun nesso col mes ere futuro e il presente è una cerniera debole, quasi
sempre già consapevole del distacco ma ancora in difficoltà emo va ad
acce are la perdita (del passato, del proge o) o incapace cogni vamente
di ricucire lo strappo. L’ingresso o il reingresso nel mercato del lavoro è in
ques casi un punto di discon nuità della biografia, in cui ricostruire il
proprio “discorso” - quale lavoro, in quale luogo, con quali colleghi, in quale
ci à, con quale s pendio, e quindi con quale tenore di vita... - cambiando
necessariamente l’incipit, che spesso non coincide col diploma o la laurea,
o la precedente qualifica.
 
A par re da quei casi varesini mi sembra formulabile l’ipotesi della
formazione di una razionalità parata ca, intesa come logica reazione al
disorientamento indo o dal mercato del lavoro, con azioni coordinate ma
non subordinate, cioè tenta vi paralleli tu protesi allo stesso scopo ma
deboli sul piano della regia e del nesso dell’uno con l’altro, e di tu con il
sogge o che li persegue. Manca infa la sintassi biografica cui affidare per
con nuità e proge o la scelta del lavoro e manca anche una linearità nella
regolazione del mercato del lavoro, i cui ingressi sono sempre meno decisi
per via is tuzionale e sempre più a raverso i canali informali (proprio a
proposito di quanto premoderno ci sia nel postmoderno). Ques ul mi
però non fanno che aumentare la casualità dei percorsi, l’imprevedibilità
degli esi , perché le relazioni fiduciarie agiscono sulle modalità di
trasmissione delle informazioni ma non sui contenu , cioè su quali
occasioni lavora ve agevolano.
 
La regola procedurale propria di questa razionalità prevede che la linearità
temporale della traccia biografica diven linearità spaziale della ricerca: si
me ono in a o mol ssimi tenta vi, si provano tu i canali di cui si ha
disponibilità, privilegiando alla sintassi personale la paratassi di azioni
simultanee, non subordinate e spesso prive di una sequenza logica e
temporale. Non è facile dar torto a questa scelta: se non conta il passato
ma l’occasione colta al volo perché la domanda non dà più indicazioni certe
e stabili dei fabbisogni, se non conta l’ufficio di collocamento ma il
passaparola di cui però si ha una dotazione limitata e quindi la necessità di
a vare tu i propri deboli anelli, allora appare ragionevole tentare, il più
possibile.
 
E’ una forma di razionalità allo scopo perché le diverse azioni sono sempre
avviate per perseguire l’obie vo occupazionale. Mancano tu avia alcune
condizioni della razionalità strumentale e di quella procedurale: quasi nulla
si può dire della relazione fra azione ed esito (non solo la probabilità di
successo ma anche l’individuazione di quale esito e di quanto tempo di
a esa) ed è spesso abdicato a priori un ordinamento di preferenze, anche a
causa del vuoto informa vo in cui ci si muove. Ciò che più colpisce è però
l’impossibilità di un’intelligenza: in mancanza della bussola di un proge o e
di una storia, proprio questa sospensione di giudizio cui si è costre
sull’efficacia e l’efficienza delle diverse azioni portano ad esser poco
sele vi, a privilegiare la perseveranza, l’os nazione, la disponibilità al
sacrificio.
 
Questa relazione ambigua col mercato del lavoro va inscri a nel più
generale rapporto dei giovani con la società cui appartengono, rapporto
non meno carico di contraddizioni, di “doppi legami” fra quello che è
chiesto di essere e quello che puoi realmente fare. La mia riflessione in
questo caso non parte da un contesto locale di ricerca, ma dal tenta vo di
ritrarre in estrema sintesi la pesan ssima cornice di sistema vissuta da chi
oggi ha vent’anni.
 
Se si scorre rapidamente l’indice della loro biografia generazionale si
capiscono gli ingredien del loro “romanzo di formazione” e se ne coglie a
colpo d’occhio la specificità generazionale: assenza degli adul (genitori
sempre più al lavoro, entrambi, e meno in casa), rarefazione demografica
dei coetanei (fratelli, sorelle, cugini e cugine), perdita del senso di
condivisione a favore di quello di compe zione in classi sempre più di figli
unici, perdita della casualità dell’incontro a favore di relazioni sempre più
intenzionali e preconfezionate (sempre coi propri genitori, coi propri amici,
con chi è uguale perché iden co target nel locale preferito), esplosione del
potere di spesa familiare, clausura domes ca passata in compagnia di
ogge (merci) e so o il veto dell’esperienza dire a ma con l’overdose di
quella indire a (viaggi virtuali, amicizie telema che, sesso immaginato),
esposizione quo diana alla tv commerciale - prima degli anni ‘80 non
esisteva, ce ne siamo dimen ca - che diventa il primo compagno di vita di
bambini e ragazzi, black-out degli adul nella trasmissione di un proge o di
vita, anzi trasmissione quo diana via tg dell’orrore del mondo (guerre e
corruzione) creato dagli adul .
 
La mia ipotesi è allora quella che il mercato - interce ando la solitudine
domes ca dei piccoli, la loro straordinaria esposizione media ca, la crisi di
tempo degli adul , la loro necessità di risarcire assenza fisica e silenzio di
valori verso i figli con doni, a enzioni e denari, la fantas ca estensione ai
30 anni della fase di vita in cui poter non lavorare ma spendere, senza la
coscienza cri ca della fa ca del guadagno - abbia arruolato le ul me
generazioni ad una funzione ben precisa, il consumo. Ma la pedagogia del
consumo ha prece ben precisi: conta l’io e non il noi (meno che mai
qualunque altro pronome), il qui ed ora, la soddisfazione immediata del
desiderio, il gusto e non il bisogno, l’uso e non la creazione. Insomma, si
instaura un regime di catene casuali brevi, quelle delle merci - ciò che
compro deve funzionare, subito, le istruzioni sono ormai di troppo, non
devo capire, non devo sapere, sono il terminale ul mo della filiera, nata
chissà dove e da quali mani - contro quelle lunghe dell’apprendimento
scolas co - fa o di manuali e di a ese assolutamente “ina uali” nella
nuova cultura del presente - o della militanza, dove regnano invece i fogli di
istruzione, cioè il confronto infinito di idee, la fa ca di una rielaborazione,
di comportamen non is n vi e immedia ma coeren con un’idea del
mondo. L’impegno poli co tocca il minimo storico nell’orizzonte mentale di
un 15-30enne e se l’associazionismo funziona non è perché consente
l’esercizio della generosità e dell’amor del prossimo, ma in quanto è azione
assai più che riflessione, spesso fra coetanei (in cui l’amore e l’amicizia
crescono all’ombra rassicurante del far del bene) e sopra u o perché
coincide col consumo in un tra o essenziale: è una catena causale breve, di
quello che fai vedi immediatamente i risulta , concre , non esige un
pensiero sul mondo o la verifica del tuo senso di appartenenza ad una
comunità più larga della tua piccola cerchia di familiari e amici.
 
In questo mutamento gli adul hanno grosse responsabilità e i giovani
hanno spesso colluso per trarne il massimo beneficio: i genitori hanno
risarcito la loro assenza e il loro silenzio eliminando ogni traccia della fa ca
nella vita dei figli e hanno cresciuto giovani che pensano già ad incassare
senza aver fa o nulla, se il solo fa o di “esser figli” fru a loro il potere di
spesa che aveva il padre al suo primo s pendio. Fra sé e la meta (di denaro,
di successo) non c’è più niente in mezzo, non c’è l’idea del lavoro e fra poco
neanche quella dello studio, non c’è la fa ca e quindi neanche l’esperienza
(di capire, di provarsi, di sbagliare, di misurare capacità e talen ), finché si
è s pendia in famiglia per una professione che si chiama consumo.
 
Ecco, il rocinio va pensato allora anche rispe o a questa congiuntura -
congiura, mi verrebbe da dire - sociale, dove le mete professionali sono
apparentemente richieste ma rese poco pra cabili, dove l’ingresso nella
vita adulta è ancora dichiarato come il compito dei giovani ma nessuno
davvero lo sollecita, perché nel fra empo è subentrato in modo strisciante
un nuovo mandato sociale, quello del consumo. In questa cornice il
rocinio deve arginare alcuni pericolosi insegnamen di quella pedagogia:
deve, io credo, ridare ci adinanza all’esperienza, de-virtualizzare la
conoscenza ricollocandola nelle pra che quo diane di un lavoro, reinserire
le singole azioni in un percorso di apprendimento, allungare le catene
causali divenute troppo corte allenando alla visione di un obie vo finale,
rime ere la ricerca di senso accanto a quella oggi dominante del piacere
come movente alle scelte, risaldare - nell’esercizio iniziale di un mes ere -
il futuro e il passato alla dimensione del presente, reso totalitario dal
consumo, che chiede solo il qui ed ora. Deve, in ul ma analisi, consen re di
perseguire la missione prima dell’età giovanile, cioè la scoperta del proprio
talento. Vale, in questo senso e al di là della pesantezza della cornice di
sistema, quella sfida che faceva intendere Gregory Bateson in uno dei suoi
dialoghi metalogici: «...una volta conoscevo in Inghilterra un ragazzino che
chiese a suo padre: "I padri sanno sempre più cose dei figli?" e il padre
rispose: "Sì". Poi il ragazzino chiese: "Papà, chi ha inventato la macchina a
vapore?" e il padre: "James Wa ". E allora il figlio gli riba é: "Ma perché
non l'ha inventata il padre di James Wa ?".»
 
 
 
 
 
 
 
2ª parte: Tirocinante e tutor nel processo forma vo
 
 
 
Il rocinio nel processo forma vo
 
di Luigi Guerra
 
 
1. I modelli del rocinio nella formazione dell’operatore sociale
 
L’analisi dei possibili “modelli” del rocinio viene effe uata nelle
pagine seguen a un livello prevalentemente teorico, tenendo comunque
conto della vasta esperienza accumulata in materia da università e is tu
post-secondari europei di formazione delle diverse figure di operatore
sociale. L'ipotesi dalla quale par amo è che si possano individuare con
chiarezza almeno tre categorie di modelli teorico - opera vi di rocinio,
rispe vamente in tolabili, con qualche inevitabile forzatura, ai conce di
separazione, di dipendenza, di integrazione problema ca.
I modelli della separazione prevedono una dis nzione stru urale
fra il momento della formazione all'interno dell'università e il momento
dell'apprendimento sul campo: il primo segue le linee curricolari, più o
meno razionalmente intrecciate, delle diverse discipline, il secondo
obbedisce invece alle logiche dei singoli servizi in cui avviene l'inserimento
dello studente. In questo caso, è evidente come l'inserimento del rocinio
nel percorso di formazione, quali che siano la sua collocazione temporale e
la sua durata, rappresenta una soluzione solo formale al problema della
professionalizzazione dello studente, in quanto non me e in discussione
l'asse o tradizionale degli studi, non comporta il ripensamento del quadro
di competenze che allo stesso devono essere garan te.
Opera vamente, ques modelli possono prevedere diverse
formulazioni, ognuna delle quali cara erizza in modo par colare il
rapporto tra formazione teorica e formazione pra ca. Quella più semplice
teorizza una dis nzione radicale tra i due momen : nella fase di studio
all'interno dell'università si affrontano contenu solo di natura teorica,
nella fase di rocinio solo esperienze di po pra co. Ma è facile che
prevalgano altre impostazioni che, pur mantenendo separa i due
momen , li vedano occupare campi forma vi di confine. Questo può
avvenire, per esempio, quando l'insegnamento nelle aule universitarie
arrivi a toccare non marginalmente contenu di natura metodologica, o
quando l'is tuzione che ges sce il servizio - intervento sociale in cui
avviene il rocinio intenda o pretenda fornire allo studente non soltanto
esperienze, ma anche sistemi di interpretazione teorica e metodologica
dell'esperienza stessa. Ancora, il peso dello scollegamento fra i due
momen di formazione può farsi sen re in modo differente in funzione
delle diverse possibili collocazioni temporali del rocinio nel percorso
forma vo. E’ chiaro che i modelli della separazione prevedono di norma
una collocazione “terminale" del rocinio: la sua effe uazione, cioè, solo
dopo la conclusione del percorso di studio ufficiale. In ques stessi modelli
non è comunque da escludersi, almeno in linea di principio, l'effe uazione
del rocinio stesso “in parallelo": cioè in contemporanea rispe o allo
studio teorico.
In quest'ul mo caso, ma più complessivamente in ognuna delle
possibili soluzioni opera ve dei modelli della separazione, si presenta con
evidenza un rischio di vera e propria schizofrenia tra competenze teoriche
ed esperienza professionale. In altri termini, teorizzare la separazione fra i
due momen significa, se tu o va bene, ipo zzare una formazione a due
livelli non comunican , solo ipocritamente componibili in un unico
proge o forma vo. Se qualcosa non funziona, se cioè uno dei due
momen espande il suo raggio d'azione, o se la compresenza delle due
esperienze fa esplodere la contraddizione legata alla rilevante diversità
delle competenze perseguite, si apre il rischio della reciproca
delegi mazione: si opera uno scontro, il prezzo del quale rimane
completamente a carico dello studente. Ma questo normalmente non
avviene, o almeno non emerge in forme documentate e pubblicamente
comunicate. Infa , l'innegabile possibilità di sopravvivenza di modelli così
deboli so o il profilo forma vo è garan ta dal fa o che essi rappresentano
potenzialmente una soluzione di comodo: una soluzione in qualche misura
conveniente sia per gli is tu di formazione universitaria, sia per i tolari
dei servizi o interven sociali, laddove evita di me ere in discussione lo
status quo e tende ad eliminare ogni contraddizione tra gli uni e gli altri
ra ficando come necessaria l'esistenza di uno scarto tra formazione teorica
e pra ca professionale.
Se come si è visto, i cosidde modelli della separazione
cos tuiscono una sorta di "collegamento simulato" tra formazione e
professione, altre anto non si può dire per i modelli che abbiamo
raggruppato nella categoria della “dipendenza". Essi prevedono un
collegamento stru urale tra studio teorico ed esperienza sociale concreta,
interpretando in sostanza quest'ul ma in termini dimostra vo - applica vi
rispe o alle teorie studiate e discusse all'università. In defini va, i modelli
della dipendenza assegnano al rocinio il compito di esemplificare sul
piano concreto le competenze teorico - metodologiche precedentemente o
parallelamente acquisite nel curricolo universitario. Questa stre a
connessione ovviamente è possibile soltanto laddove i servizi o interven
sociali nei quali lo studente effe ua il periodo di rocinio siano sta
preven vamente scel in modo oculato in funzione del loro non
presentare alcun mo vo evidente di differenziazione, denuncia o ro ura
nei confron della teorizzazione accademica. La relazione di dipendenza
culturale, ma obbligatoriamente almeno in parte anche funzionale, nei
confron dell'università che ques modelli presuppongono rischia di
snaturare la realtà originaria dei servizi - interven : essi diventano
tendenzialmente servizi per rocinan nei quali le contraddizioni e i
problemi corrono il pericolo di essere sterilizza a fini dida ci. Come dire
che la loro esemplarità, che li rende preziosi strumen di comprensione
"applicata" delle diverse teorie, rischia di essere perseguita a raverso
operazioni di riduzione di quella complessità che cara erizza i servizi sociali
reali.
Concretamente, i modelli della dipendenza possono prevedere
tu e le variabili temporali prima illustrate in relazione alla categoria della
separazione: possono pertanto consen re lo svolgimento del rocinio al
termine o anche durante il corso di studi tradizionale. Ipote che soluzioni
molto raffinate potrebbero anche iden ficare specifici periodi di rocinio
da effe uarsi in funzione delle par colari competenze fornite dalle singole
discipline o da raggruppamen disciplinari omogenei. Comune a tu e
queste soluzioni, oltre al potenziale pericolo di semplificazione già
ricordato, rimane il rischio di un non riconoscimento di rilevante dignità
forma va all'esperienza di rocinio: essa può assumere di fa o lo stesso
significato, soltanto di ripe zione e consolidamento della regola, che
avevano i vecchi "compi " rispe o alle lezioni nella scuola tradizionale.
Può quindi non aprire ad una reale a vità di problem solving, da
effe uarsi sì sulla base delle competenze teoriche acquisite in precedenza,
ma anche con un auten co a eggiamento di ricerca e con la possibilità di
validare/invalidare le competenze stesse.
In conclusione, i modelli della dipendenza hanno sicuramente il
pregio di collegare organicamente elemen di teoria e situazioni di prassi
sociale e possono quindi consen re l'applicazione e il consolidamento
significa vo di competenze in ambiente prote o. Possono però facilmente
degenerare in esperienze di falsa esposizione dei saperi alla realtà: falsa
perché giocata su realtà addomes cate e pastorizzate rispe o alle
contraddizioni dell'intervento sociale non prote o. Tali contraddizioni sono
poi fatalmente des nate ad esplodere al momento dell'inserimento
professionale dell'operatore sociale nel mercato "storico" dei servizi.
E’ importante ancora segnalare un altro aspe o, per ora non
rilevabile in Italia, ma fortemente presente (e in con nua crescita) in altri
paesi europei. In alcuni di essi, il maggiore potere dei tolari dei servizi -
interven sociali, unitamente al peso culturale e poli co delle associazioni
degli operatori, tende a far sca are dipendenze opposte rispe o a quelle
finora segnalate. In altre parole, sono le sedi di formazione universitaria,
indebolite sul piano finanziario da scelte dras che di contenimento della
spesa statale e alla con nua ricerca di entrate dire e, che rischiano di
aumentare progressivamente la loro dipendenza dal mercato dei servizi. In
ques casi, le università, a caccia di consenso presso gli en (che con le
loro poli che di assunzione sono in grado di incen vare o disincen vare
l'iscrizione all'uno o all'altro is tuto), rischiano di a vare meccanismi di
copertura ideologica nei loro confron consacrandone culturalmente le
scelte.
Rimane da esaminare l'ul ma categoria di modelli, che abbiamo in
precedenza in tolato al conce o di "integrazione problema ca". Può
risultare evidente da questa stessa in tolazione come tali modelli appaiano
essere i più convincen , quelli in grado di garan re un inserimento del
rocinio nel curricolo di formazione dell'operatore sociale di qualità
adeguata. Essi, in defini va, nascono dalla consapevolezza della necessità
di mantenere su di un piano costantemente diale co la relazione tra la
"teoria" e la "prassi" dell'intervento sociale. Tale consapevolezza consente,
da un lato, di affermare l'esigenza di una compresenza di tu e due i livelli
nel percorso di formazione dell'operatore sociale, dall'altro, di rinunciare
alla ricerca di un primato dell'uno sull'altro, evitando quindi sterili
contrapposizioni e gerarchizzazioni.
Da queste premesse scaturiscono due conseguenze che consentono
di so olineare ulteriormente la superiorità dei modelli dell'integrazione
problema ca su quelli della separazione e della dipendenza. La prima, dal
punto di vista dei tolari ufficiali della teoria, chiede all'università di fare i
con con la realtà dei servizi e, in generale, con le logiche opera ve
dell'intervento sociale. Quindi, di programmare un percorso di competenza
professionale in grado non tanto di legi mare, quanto di illuminare
(comprendere, analizzare, contestare ecc.) le diverse forme concrete
assunte da tale intervento. La seconda, dal punto di vista dei tolari
effe vi della prassi, domanda ai servizi di rendere trasparen le loro scelte
fonda ve, di esplicitare le loro strumentazioni, di acce are la messa in
discussione delle loro dimensioni empiriche. Quindi, di interpretare il
rocinante non tanto o non solo come un neofita da istruire, quanto come
una potenziale coscienza cri ca, come un posi vo elemento di
provocazione nei confron della realtà consolidata. In questa prospe va,
come meglio verrà discusso nelle pagine seguen , il rocinio non
appar ene né solo all'università né solo agli en : appar ene ad entrambi e
per entrambi cos tuisce un importante occasione di qualificazione.
Opera vamente, i modelli dell'integrazione problema ca prevedono
soluzioni anche molto differen accomunate, comunque, da alcune scelte
di fondo.
Innanzitu o, sul piano della collocazione temporale, rifiutano
l'effe uazione del rocinio in momen successivi rispe o al curricolo
disciplinare: la cosidde a collocazione “terminale” rende infa possibile
un'integrazione solo burocra ca, impedendo il feedback tra esperienza
concreta e formazione teorica. È quindi necessario che il periodo di
rocinio sia effe uato dallo studente quando il suo percorso di studio non
è ancora completato, per consen rgli di riportare all'università le
domande, i contribu , le provocazioni rispe o alle diverse teorie
disciplinari raccolte nei servizi. Peraltro, è altre anto chiaro che lo studente
rocinante non deve trovarsi nella fase iniziale del suo percorso di
formazione: in questo caso non disporrebbe di competenze sufficien per
assumere un a eggiamento consapevole e corre amente cri co nei
confron dell'esperienza. In defini va, il suo sarebbe un apprendistato non
un rocinio.
In secondo luogo, i modelli dell'integrazione problema ca prevedono tra
l'università e gli en che me ono a disposizione i loro servizi - interven un
rapporto che non si può esaurire nello “scambio" di operatori in
formazione. In altri termini, il peso dell'integrazione tra teoria e prassi non
può essere “scaricato" sugli studen : deve al contrario essere
accompagnato da una relazione costante e di qualità elevata tra docen
universitari e responsabili - operatori dei servizi. Tale relazione è necessaria
nel momento dell'individuazione della pologia di esperienze da proporre
allo studente rocinante, nelle fasi di inserimento dello studente stesso, al
termine delle singole esperienze per valutarne l'efficacia. Tale relazione
deve consen re di discutere e di arricchire reciprocamente le teorie e gli
strumen dell'una e dell'altra parte. Tale relazione, infine, deve passare
a raverso la definizione di figure specifiche sia nell'università, sia nei
singoli en (per esempio, il "tutor" e il "supervisore”), alle quali affidare il
compito di accompagnare scien ficamente lo studente nell'esperienza di
rocinio.
 
 
 
2. Curricolo e rocinio: l'analisi dei bisogni forma vi
 
Programmare il rocinio significa innanzitu o programmarne
l'incardinamento stru urale all'interno del curricolo forma vo. Come si è
già affermato in sede di discussione teorica dell'argomento, questo
traguardo può e deve essere ricercato sul piano della” ‘ingegneria
is tuzionale", ma deve anche essere perseguito sul piano
dell'individuazione dello specifico significato forma vo assegnato al
rocinio. In altre parole, non è sufficiente rendere obbligatorio il rocinio e
definirne le modalità tecniche di effe uazione, è necessario stabilire
preven vamente il significato culturale che ad esso si intende riconoscere
all'interno dei contenu del curricolo
Quindi, la programmazione del rocinio nasce dall'analisi dei bisogni di
formazione ai quali il rocinio stesso deve fornire adeguata risposta. Tali
bisogni possono in parte essere descri su di un piano generale, in parte
devono essere puntualmente individua all'interno del corso di diploma
che prepara l’operatore sociale. In altri termini, da un lato è senz'altro
possibile definire alcune rilevan conoscenze e competenze, da assumersi
a raverso il rocinio, che devono comunque appartenere alla formazione
dell'operatore sociale, quale che sia la sua specifica des nazione
professionale, da un altro lato è necessario chiedersi quali siano gli
elemen forma vi par colari, richies da singole professioni, che possono
trovare risposta nell'esperienza di rocinio. Tu o questo senza dimen care
che in nessun caso la formazione universitaria può essere appia ta nella
mera assunzione di singole pra che professionali.
 
 
3. Gli strumen : la predisposizione del rocinio
 
Nell'impossibilità, quindi, di definire in assoluto la mappa dei bisogni
forma vi cara eris ca di ognuno dei potenziali percorsi di formazione
dell'operatore socioeduca vo, ci limi amo in queste pagine a ipo zzare le
dimensioni di conoscenza-competenza che potrebbero essere riconosciute
all'esperienza di rocinio all'interno del curricolo universitario di
formazione dell'operatore sociale.
Per individuare tali dimensioni occorre elencare sinte camente le
dimensioni di competenza professionale chiamate in campo nelle diverse
fasi che cara erizzano normalmente l'azione dell'operatore sociale. Tali
fasi, secondo i modelli di intervento sociale più a endibili, possono essere
individuate nei momen dell’analisi, della programmazione, della
conduzione e della valutazione dell'intervento stesso. È facile dimostrare
l'esistenza di una connessione stru urale fra ques qua ro momen e la
necessità di un buon livello di competenza dell'operatore in ognuno di essi,
per evitare (pur senza negare l'u lità di eventuali specializzazioni)
fenomeni di frantumazione dell'intervento e ruoli socioeduca vi da "idiota
specializzato” che agisce senza possedere tu e le coordinate della sua
azione.
Ancora, è possibile sostenere che in realtà ognuno dei qua ro momen
cos tuisce una delle scansioni interne di un unico processo riassumibile nel
conce o generale di "programmazione". Fa e salve queste avvertenze, è
comunque u le, ai fini della costruzione puntuale della mappa dei bisogni
forma vi dell'operatore sociale, analizzare separatamente ognuna delle
fasi.
In par colare, il momento dell'analisi riguarda la rilevazione
approfondita del contesto complesso, delle condizioni del "campo" per il
quale è previsto l'intervento: una rilevazione che deve essere compiuta con
strumen di natura pedagogica, sociologica, psicologica, ma anche
giuridica ed economica. Il momento della programmazione prevede la
stesura del proge o teorico, cioè del modello generale di intervento e
l'elaborazione del conseguente programma di fa bilità, effe uata avendo
presen tu e le sue componen o comunque il numero massimo di
variabili in campo. Il momento della conduzione si ferisce alla realizzazione
opera va dell'intervento stesso, con l'u lizzazione delle strategie e
strumentazioni previste, ma anche con la necessaria flessibilità e capacità
di tener conto dei feedback provenien dall'utenza e dal contesto di lavoro.
Infine, il momento della valutazione richiede la rile ura cri ca e
l'interpretazione dell'a vità svolta, a par re dalla documentazione
necessariamente raccolta in i nere e da elemen specifici derivan da
adeguate misurazioni e con l'u lizzazione di criteri il più possibile coeren
con le intenzioni effe ve del servizio.
La realizzazione delle qua ro fasi descri e, nella loro specificità e nelle
loro interconnessioni, presuppone una figura di operatore in possesso di
competenze di qualità differenziata. Esse possono essere raggruppate in
tre dimensioni di professionalità, rispe vamente rela ve alle necessarie
conoscenze, alle competenze, alle meta-competenze dell'operatore stesso.
In sintesi, il piano delle conoscenze riguarda la padronanza degli alfabe
stru urali fondamentali (knowledge) rela vi alle varie fasi di un intervento
socioeduca vo: il possesso della le eratura scien fica in argomento, la
conoscenza delle informazioni di base rese disponibili dalla ricerca nel
se ore. La dimensione delle competenze si riferisce, da parte sua, alla
capacità di a vare dire amente e cri camente le competenze-abilità (skill)
rela ve alle varie fasi di un intervento socio-educa vo. Non si tra a più di
informazioni teoriche, ma di padronanze a ve dire amente u lizzabili
nelle diverse situazioni. Infine, il livello delle metacompetenze concerne
l'assunzione delle competenze complesse (comprensive degli orientamen
di valore - values - e degli s li di comportamento richies dalla deontologia
della professione e dai contes organizza vi) connesse alla capacità di
conce ualizzare e valutare l'esperienza in corso, di controllare il proprio
schema di decisione e di azione, di "apprendere ad apprendere" nelle
diverse situazioni professionali nella prospe va di una formazione
permanente.
Ovviamente, anche la dis nzione introdo a fra queste diverse
dimensioni di competenza professionale è in larga misura ar ficiosa. Tra di
esse, prevale sulla dis nzione l'esigenza di integrazione e di u lizzazione
contemporanea e congiunta.
Agli incroci tra le fasi dell'intervento socioeduca vo e le dimensioni della
professionalità dell'operatore si collocano i diversi nuclei di conoscenze,
competenze e metacompetenze che cos tuiscono la mappa dei bisogni
forma vi che potrebbero trovare totale o parziale risposta nel rocinio.
All'interno di ognuno di tali nuclei, possono essere individuate
conoscenze-competenze sia di natura generale, da inserirsi pertanto nel
percorso di formazione di qualsiasi categoria di operatore socioeduca vo,
sia di natura specifica, funzionali cioè alla preparazione di figure
professionali par colari, quale quella dell’operatore sociale.
Da queste scelte preven ve, di cara ere culturale e forma vo,
discende il disegno organizza vo del rocinio: la sua stru urazione
opera va in termini di quan tà delle esperienze previste, di calendario di
collocazione delle stesse all'interno del curricolo, di modalità "tecniche" di
effe uazione, a par re dai modi della individuazione dei rocini da parte
dell'università e degli studen e del controllo qualita vo e quan ta vo da
operarsi in sede orienta va, forma va e somma va.
Sulla quan tà si possono avanzare alcune riflessioni. Innanzitu o, il
rocinio dovrebbe consentire l'effe vo inserimento dello studente in un
servizio o comunque in un intervento socioeduca vo. Questo comporta
che l'esperienza non può essere troppo breve, per non risolversi in una
fre olosa e superficiale "visita" a situazioni opera ve con effe prevedibili
di ribadimento dei pregiudizi preesisten nello studente, di sostanziale
sfru amento turis co-forma vo dei servizi, di potenziale mascheramento
della realtà da parte dei servizi stessi.
La proposta di un periodo di rocinio non eccessivamente contenuto
può inoltre fornire risposta a un secondo risvolto del problema quan tà:
quello rela vo al numero di esperienze da effe uarsi all'interno del
rocinio stesso. Cioè, al numero di interven o servizi in cui svolgerlo.
Anche per questo aspe o, occorre fare a enzione alla diversa natura dei
servizi o interven socioeduca vi. Ve ne sono mol che, per la loro
complessità o delicatezza, richiedono un tempo di acclimatazione lungo:
per i quali, quindi, non è pensabile che si possa scendere al di so o dei
due-tre mesi di inserimento dello studente. È questo il caso, per esempio,
delle comunità per il recupero dei tossicodipenden , degli interven sul
po street-worker: in generale, dei proge per la prevenzione e il recupero
della devianza. Altri programmi socioeduca vi invece, sono per loro natura
servizi a tempo breve, funzionali a rocini rido . Nei quali, tra l'altro, non
è pensabile che si realizzi una ricchezza sufficiente di saperi nella
prospe va di una figura complessa e ar colata di operatore.
In defini va, quindi, occorre saper far coesistere problema camente
l'esigenza di fornire occasioni diversificate di formazione e la necessità di
evitare l'effe o globe-tro ng: il rischio di viaggiare da un servizio all'altro
rendendo superficiale anche un'esperienza lunga di rocinio. Sulla
collocazione dell'esperienza di rocinio all'interno del curricolo, si devono
ribadire le argomentazioni di fondo già poste alla base di un modello
problema co e integrato di rocinio. Se si prevedesse lo svolgimento
dell'esperienza al termine del percorso degli studi, se ne accentuerebbero
le interpretazioni professionalizzan , con grave rischio di separazione tra
dimensioni teoriche e dimensioni opera ve della formazione. D'altra parte,
se il rocinio fosse collocato nella prima parte dei corsi, troverebbe lo
studente ancora privo delle competenze necessarie per affrontarlo in
modo cri co e consapevole. È evidente allora come la/le esperienze del
rocinio debbano essere previste in una fase avanzata, ma non ancora
terminale del percorso curricolare: con la possibilità di ricadute reciproche
tra teorie ed esperienze, tra cultura dell'università e cultura dei servizi.
 
 
4. Le pologie del rocinio
 
Si è più volte affermato che la parola e il conce o di rocinio
possono definire esperienze di quan tà e qualità molto diversa. Uno degli
elemen fondamentali da chiarire, a fianco del diba to sul "contenuto"
forma vo di tale esperienza, riguarda le possibili diverse pologie di
approccio ai servizi-proge di intervento nei quali lo studente compie il
rocinio stesso. In altri termini, se il rocinio consiste nell'inserimento
dello studente in una situazione sociale o socioeduca va, è necessario
discutere i possibili diversi modi e significa che tale inserimento può
assumere.
In defini va, è evidente come non si possa programmare la collocazione
del rocinio nel curricolo di formazione dell'operatore sociale senza
iden ficare una pologia credibile di comportamen a esi da parte del
rocinante, formalmente ad esso richies . La costruzione preven va di tale
pologia cos tuisce tra l'altro un elemento di chiarificazione anche nel
rapporto con il servizio-proge o in cui avviene l'inserimento, nel senso che
contribuisce a difendere lo studente da u lizzazioni non concordate, da
possibili richieste di prestazioni prive di significato rispe o al percorso
forma vo che sta compiendo. In linea teorica, sono ipo zzabili almeno tre
diverse pologie di effe uazione opera va del rocinio, corrisponden ad
altre an approcci all'esperienza, con ricadute forma ve alquanto diverse.
La prima pologia, in un ordine solo funzionale, assolutamente non
gerarchizzato per qualità, può raccogliere i rocini di natura "osserva va".
Prevede che lo studente svolga la sua esperienza nel servizio-proge o
compiendo una raccolta sistema ca di da ogge vi (documen , materiali,
elemen di sviluppo storico e di anamnesi della situazione ecc.) e sogge vi
(protocolli osserva vi raccol con uso di tecniche e suppor differenzia )
che lo me ano in grado di conoscere e di descrivere il servizio stesso, o sue
par significa ve, sul piano quan ta vo e qualita vo. Nella sua formula più
avanzata (per esempio, nel caso di studen che u lizzino il rocinio per
elaborare una tesi di laurea "sperimentale") questa pologia può
contemplare la conduzione di una vera e propria ricerca da parte dello
studente, con finalità eventualmente non solo descri ve, ma anche di
monitoraggio e di elaborazione di proposte di modificazione e/o sviluppo
del servizio-proge o.
I pregi di questa prima modalità di effe uazione del rocinio sono
molteplici: la rela va rapidità di esecuzione, che però va valutata in
funzione della complessità dei singoli servizi, consente allo studente di
conoscere più situazioni. L'approccio di ricerca perme e di sperimentare
strategie e strumen di raccolta, classificazione e interpretazione dei da
stre amente lega alle discipline del corso di studi. I materiali raccol ed
elabora dallo studente, oltre a consen re una progressiva qualificazione
(con elemen di qualità che approfondiscono i da ufficiali) della banca-
da delle offerte di rocinio a disposizione dell'università, possono
cos tuire un notevole contributo per l'innovazione dei servizi-proge
stessi.
Anche i limi della pologia osserva va sono sufficientemente chiari.
L'inserimento dello studente rocinante nel servizio e/o proge o non può
che essere tendenzialmente limitato. La comprensione approfondita delle
logiche di fondo e delle diverse situazioni concrete del servizio-proge o
può richiedere tempi e strumen non compa bili con la durata del rocinio
e con la preparazione dello studente. Il pregiudizio o comunque il livello di
conoscenza precedente del servizio da parte dello studente rischia di non
essere messo in discussione nell'economia dei tempi a disposizione e di
funzionare quindi come occhiale ideologico nell'osservazione delle diverse
situazioni.
La seconda pologia prevede che lo studente venga inserito
stru uralmente nell'équipe degli operatori che stanno conducendo il
servizio e/o intervento e che quindi compia la sua esperienza affiancando
in ogni momento l'azione di personale già esperto. Le prospe ve posi ve
di questa interpretazione del rocinio sono eviden . Lo studente non viene
abbandonato a se stesso e riproduce nel servizio le logiche di una bo ega
ar giana: al riparo da frustrazioni derivan dall’incompetenza, può essere
accompagnato "per mano" nella conoscenza di metodi e strumen
difficilmente ogge o di apprendimento in sede teorica. Inoltre, un
inserimento di questo po impedisce esperienze di sfru amento dello
studente in quanto non ne contempla l'u lizzazione sos tu va rispe o a
personale organico dell'is tuzione che ges sce il servizio.
Sul fronte dei limi di questa pologia si colloca il rapporto
potenzialmente eccessivo di dipendenza che si viene ad instaurare tra
rocinante e operatori del servizio. La loro azione può essere non
sufficientemente qualificata e aprire ad a eggiamen imita vi acri ci da
parte dello studente: può verificarsi in questo modo una pericolosa
"schizofrenia" tra teoria e pra ca. È possibile, quindi, che si apprenda il
mes ere (nelle sue manifestazioni più o meno raffinate) senza
comprenderne le epistemologie, le mo vazioni, le finalità.
La terza pologia, infine, consente che lo studente venga inserito nel
servizio-intervento prevedendo che egli stesso conduca dire amente,
almeno in certe occasioni, alcune a vità. Per cer versi, pertanto, questa
modalità di effe uazione del rocinio rappresenta una variante di quella
illustrata in precedenza. I suoi aspe più significa vi sono
rappresenta dalla maggiore possibilità offerta al rocinante di misurarsi
con la realtà, impegnando e verificando di persona sia gli apprendimen
derivan dai corsi universitari, sia le conoscenze rilevate nei momen
guida del rocinio. In tal modo si prefigura la possibilità che anche in
questo caso l'esperienza di rocinio diven in effe un vero percorso di
ricerca (con le modalità della ricerca-azione), eventualmente anche
nell'ambito dell'elaborazione di una tesi di laurea sperimentale.
I limi di quest'ul ma pologia derivano prima di tu o dalla possibilità
di una degenerazione strumentale dell'u lizzazione dello studente
all'interno del servizio-proge o, laddove la sua collocazione sos tu va
rispe o a personale specifico mascheri soltanto la volontà di risparmio
dell'ente. Inoltre, si rischia in cer casi di esporre il rocinante ad
insuccessi, con conseguente caduta dell'autos ma e limitazione delle
aspe a ve, lega alla sua limitata preparazione. 0 alla inadeguatezza
ogge va delle condizioni opera ve proposte dal servizio. Ognuna delle tre
pologie evidenzia, come si è visto, pregi e limi . La prospe va, allora, non
è quella di individuare in assoluto la migliore, bensì di analizzare studente
per studente e servizio per servizio quella che può fornire risulta forma vi
più significa vi.
 
 
5. Gli strumen a disposizione per l’esperienza sul campo
 
Per un proficuo svolgimento del rocinio è necessario prevedere
una serie di strumen a disposizione dello studente, che gli consentano di
documentare il lavoro che sta facendo, di rifle ere su di esso, di
comunicare i risulta che ha raggiunto, di affrontare e risolvere eventuali
difficoltà.
Per quanto riguarda la documentazione del rocinio si può prevedere
di fornire allo studente un libre o di rocinio diviso in due par . La prima
dovrebbe prevedere una serie di spazi per la cer ficazione delle ore di
presenza all'interno dell'is tuzione e per la firma del responsabile delegato
dall'ente a svolgere questa funzione: un'ipotesi di cer ficazione delle ore
svolte potrebbe essere quella su base se manale, salvo casi par colari di
organizzazione oraria del rocinio. Nella seconda parte del libre o si
possono prevedere tre sezioni: la prima per la registrazione degli incontri
dello studente con il proprio supervisore; la seconda per una breve
relazione del tutor di rocinio; la terza per l'espressione della valutazione
finale da parte del supervisore. L’a enzione dedicata a ques aspe della
documentazione del rocinio non deve apparire come un ennesimo
esempio di inu le burocra zzazione, quanto piu osto la risposta ad una
esigenza di serietà e di trasparenza nello svolgimento di una esperienza
forma va così importante come il rocinio.
Uno strumento importante per un proficuo svolgimento del rocinio
è rappresentato dalla costruzione da parte dello studente della
documentazione della sua esperienza: di una sorta di diario che raccolga
sistema camente e sinte camente le annotazioni circa le osservazioni
compiute, gli strumen u lizza , i risulta consegui , i suggerimen del
tutor e del supervisore, le riflessioni che vengono via via elaborate; di un
dossier che raccolga i materiali che lo studente riceve dal tutor o dal
supervisore e quelli che autonomamente ricerca ed elabora.
Le decisioni circa la qualità e la quan tà della documentazione vanno
prese di comune accordo fra lo studente, il suo tutor di rocinio e il suo
supervisore nell'incontro previsto nella fase iniziale dello svolgimento del
rocinio, in relazione agli obie vi che sono sta iden fica all'interno del
contra o. Va comunque so olineata l'importanza di sviluppare nello
studente la capacità di “registrare” azioni, even , osservazioni in vista di
una successiva rielaborazione, come strumento che lo aiuterà a rifle ere
sulla propria esperienza, a interpretarla, a me erla in relazione con le
proprie conoscenze e abilità. Registrare deve dunque servire a ricordare
con accuratezza fa , even , osservazioni; a me ere alla prova la capacità
di rifle ere sulla propria pra ca; ad analizzare i propri comportamen e
quelli degli altri iden ficando i fa ori che hanno influenzato la situazione.
Un terzo strumento u le per un corre o svolgimento
dell'esperienza di rocinio è rappresentato dai servizi offer dallo
“sportello rocinio”. Occorre prevedere un luogo in cui siano presen , in
orari prestabili , sia personale che svolge funzioni di segreteria sia, a turno,
membri della Commissione di rocinio e a cui possano rivolgersi gli
studen , gli en che li accolgono, i tutor e i supervisori per segnalare
problemi e difficoltà. In par colare, lo studente deve rivolgersi allo
sportello per comunicare e gius ficare le sue assenze dal luogo di rocinio,
ma lo può usare anche per segnalare difficoltà nello svolgimento del suo
proge o: in questo caso il servizio funzionerà da filtro, come una sorta di
SOS pedagogico, per esempio rimandando al supervisore o conta ando
dire amente l'ente o il tutor. L'ente, il tutor del rocinio e il supervisore si
potranno rivolgere allo sportello per segnalare eventuali inadempienze
dello studente, che verrà convocato dalla Commissione di rocinio per
trovare una soluzione ai problemi emersi.
 
 
6. Il tutor di rocinio
 
Il tutor è, come si è visto, la figura di riferimento per lo studente all'interno
dell'is tuzione in cui viene svolto il rocinio e ha il compito principale di
aiutare lo studente a conseguire gli obie vi previs dal contra o, creando
le condizioni che rendano possibile una pra ca che è azione e con nua
riflessione sull'azione. Già l'espressione “tutor di rocinio” richiama
l'a enzione sul fa o che il sogge o prevalente del rocinio non è la
persona dello studente, ma il processo di apprendimento rappresentato dal
rocinio stesso, da una esperienza connotata dal “fare”, ma anche dal
“rifle ere” su quel che si sta facendo, in una permanente integrazione di
teoria e pra ca.
Il tutor di rocinio inserisce lo studente nel servizio - a vità e lo
“accompagna”, me endolo nelle condizioni di e fornendogli gli strumen
per:
- conoscere e rifle ere sugli elemen essenziali delle conoscenze e delle
competenze del ruolo professionale di riferimento, così come si declinano
nel contesto is tuzionale, organizza vo e relazionale del servizio - a vità
in cui si svolge il rocinio;
- iden ficare le teorie che so endono alle scelte compiute nel contesto
opera vo ed esercitarsi a tradurre le conoscenze apprese in azioni
concrete, coeren e appropriate;
- controllare il proprio sistema di decisione e di azione, conce ualizzando e
valutando l'esperienza in corso.
La prima fase di intervento del tutor riguarda la messa a punto del
proge o forma vo. Parliamo di “messa a punto” perché gli en che
accolgono i rocinan hanno già elaborato un proge o di rocinio: in
questa fase, a raverso un incontro fra studente, tutore supervisore si tra a
principalmente di precisare gli obie vi che a livello generale sono già
presen nel contra o, le modalità organizza ve, il po di registrazione -
documentazione dell'a vità che viene richiesta.
Per quanto riguarda le conoscenze il tutor deve me ere lo studente in
grado di:
a) conoscere l'organizzazione generale dell'ente in cui è inserito e la
legislazione rela va al suo ambito di appartenenza;
b) riconoscere e ricostruire la mappa organizza va del servizio - proge o
(utenza, modalità di accesso, pologia di risposta ecc.);
c) analizzare l'agire quo diano del proprio tutor con par colare riguardo
agli aspe metodologici e deontologici;
d) individuare lo specifico professionale del ruolo di riferimento, anche in
relazione con le altre figure professionali operan all'interno del
servizio-proge o.
Per raggiungere ques obie vi, il tutor dovrà seguire il lavoro di
osservazione e di analisi che lo studente condurrà sul contesto e sullo
svolgimento delle funzioni professionali, predisponendo materiali di
documentazione sull'organizzazione del servizio-proge o, griglie di analisi
dell'organizzazione e della professionalità, partecipazione alle riunioni di
proge azione-verifica, incontri con responsabili e operatori dell'ente.
Per quanto riguarda le abilità, il tutor dovrà me ere lo studente in grado
di:
a) iden ficare e analizzare gli strumen e le tecniche u lizza dalla figura
professionale di riferimento, anche in relazione ai modelli teorici che ne
supportano l'uso;
b) me ersi alla prova nell'uso di strumen e tecniche propri del ruolo, con
par colare riguardo all'elaborazione di un proge o di lavoro (che
preveda tu e le fasi, dall'analisi dei bisogni alla programmazione
dell'intervento, alla sua ges one e alla sua valutazione) e alla
conduzione guidata di interven rela vi a un'utenza individuale o di
gruppo.
Il tutor, anche in questo caso, dovrà supportare lo studente nel suo
lavoro di riconoscimento, analisi, appropriazione degli strumen e delle
tecniche, a raverso la predisposizione di una serie di osservazioni
sistema che, la costruzione di griglie di sistema zzazione degli elemen
più significa vi del percorso di lavoro, il monitoraggio degli interven
condo dallo studente stesso.
Per quanto riguarda le metacompetenze, il tutor ha il compito di
aiutare lo studente a saper iden ficare e valutare le tappe del proprio
processo di apprendimento rappresentato dal rocinio e in par colare a:
a) ricostruire e rielaborare l'esperienza compiuta, anche nella direzione di
iden ficare i nodi problema ci, di raccogliere le informazioni mancan ,
di ricercare il senso delle azioni compiute;
b) iden ficare con chiarezza che cosa ha appreso e come ha u lizzato gli
apprendimen ;
c) autovalutare il proprio apprendimento in relazione sia alle conoscenze
sia alle competenze.
Il tutor deve sostenere lo studente nell'analisi delle azioni compiute in
relazione sia all'organizzazione del servizio-proge o sia all'utenza; nel
ripercorrere, anche a raverso per esempio diagrammi di flusso e sintesi
per tappe significa ve, il percorso forma vo allo scopo di iden ficare i
procedimen ado a , le risposte date, le soluzioni trovate e le possibili
alterna ve alle scelte compiute; nell'individuare indicatori che consentano
la valutazione dell'efficacia e dell'efficienza delle relazioni messe in a o con
l'organizzazione del servizio, il tutor ed eventualmente l'utenza.
La relazione che il tutor stenderà sull'esperienza condo a con lo
studente offrirà un materiale di documentazione indispensabile per la
valutazione finale del rocinio; tale relazione dovrebbe contenere una
presentazione del percorso forma vo, una descrizione delle a vità svolte
dallo studente, una documentazione delle valutazioni forma ve condo e.
Il tutor svolge un ruolo di grande importanza nella conduzione
dell'esperienza di rocinio; non è sufficiente essere un buon operatore per
essere anche un buon tutor, occorre infa assumere intenzionalmente una
funzione forma va e declinarla in relazione alle cara eris che dello
studente, delle sue esigenze curricolari, delle potenzialità forma ve della
situazione. L'assunzione esplicita di questa funzione, la collaborazione con
lo studente, i conta periodici con il supervisore rappresentano
un'occasione importante di aggiornamento e di autoformazione
professionale del tutor. Può essere anche opportuno pensare a interven
di formazione dei tutor, organizza e ges dall'università, da sola o in
collaborazione con gli en e le associazioni di categoria, che possono
rappresentare una sorta di contro-par ta dell'impegno assunto dai vari en
nella formazione dei futuri assisten sociali.
 
 
7. Il supervisore
 
Il supervisore è, come si è visto, la figura di riferimento scien fico dello
studente, con compi di coordinamento e di valutazione degli aspe
qualita vi dell'esperienza di rocinio. È di norma un docente universitario,
a cui è affidata la responsabilità di assicurare il legame fra curricolo
accademico ed esperienza di rocinio, nella direzione di un proge o
forma vo che me a in relazione reciproca teoria e pra ca.
Il supervisore ha il compito di:
a) definire in maniera opera va, assieme allo studente e al suo tutor, gli
obie vi generali del rocinio che sono indica nel contra o;
b) concordare la qualità e la quan tà della documentazione richiesta allo
studente e al tutor;
c) monitorare l'andamento dell'esperienza di rocinio;
d) assistere lo studente nella stesura della relazione finale sul rocinio;
e) valutare in i nere e alla fine l'esperienza di rocinio dello studente e la
sua qualità forma va;
f) collegare l'esperienza di rocinio con il successivo curricolo dello
studente.
La definizione opera va degli obie vi è operazione importante e
delicata: la sua corre a conduzione è, infa , condizione necessaria per
assicurare la qualità forma va del rocinio. Da un lato essa deve tenere
conto dei bisogni forma vi dello studente, in relazione agli studi già
compiu , ma anche in funzione della valenza forma va dell'intero curricolo
forma vo; dall'altro deve tenere conto della cultura, professionale e non
solo professionale, presente nel servizio-proge o. Una esplicita definizione
degli obie vi forma vi me erà lo studente in grado di “controllare” via via
la propria esperienza, nella direzione di un'auto-valutazione del proprio
apprendimento, e insieme consen rà al tutor di predisporre le a vità e gli
strumen ritenu più funzionali al loro raggiungimento.
Conoscenze, competenze, metacompetenze che a livello generale
sono state indicate a proposito dei compi del tutor vanno precisate e
contestualizzate, perché possano diventare le linee-guida dell'esperienza
del singolo studente all'interno di un determinato servizio-proge o. La
messa a punto degli obie vi e delle a vità connesse potrà venire
effe uata in un incontro fra supervisore, tutor e studente, che potrà
tenersi sia prima dell'inizio del rocinio vero e proprio, sia
immediatamente dopo una breve fase di presenza dello studente, a scopo
di "orientamento", all'interno del servizio-proge o.
In questo primo incontro, vanno concordate anche le modalità di
raccolta della documentazione, la sua pologia, la scansione temporale.
Può essere u le prevedere, come si è già visto, due differen pi di
documentazione: il diario e il dossier.
Il primo è uno strumento che consente di registrare a scadenze
temporali definite e ravvicinate (per esempio ogni se mana) le a vità
svolte e gli strumen eventualmente u lizza ; dovrebbe essere usato dallo
studente con la funzione principale di registrare gli elemen che
consen ranno all'estensore la ricostruzione accurata dello svolgimento del
rocinio e al supervis6re la possibilità di monitorare tale svolgimento.
Il secondo po di strumento è u lizzabile dallo studente per raccogliere i
materiali che gli vengono forni (dal supervisore e/o dal tutor) o che ha
personalmente individuato durante e in relazione all'esperienza condo a:
ad esempio materiale illustra vo del servizio-proge o, tes legisla vi
rela vi all'ambito, schede di analisi, griglie u lizzate, indicazioni
bibliografiche di approfondimento, materiali prodo , risulta delle
osservazioni compiute, piani di lavoro, riflessioni ecc. Per evitare che la
documentazione sia solamente assemblata in maniera casuale o al
massimo cronologica, è opportuno dare allo studente alcune consegne,
come per esempio quelle di indicare per ciascuno dei materiali che
compone il dossier la fonte (libri, riviste, materiali interni del servizio-
proge o, produzione e/o ada amento propri), l'uso in relazione agli
obie vi forma vi (mi è servito a.…), la sua funzione anche al di là del
contesto specifico (può servire a.…).
Il dossier assolve per lo studente la funzione di documentare la
propria esperienza e di fornirgli gli elemen per una riflessione che vada
anche nella direzione di decontestualizzare l'esperienza stessa,
iden ficando aspe e problemi che sono generalizzabili. Il supervisore può
ricavare informazioni sia sulle cara eris che della situazione forma va del
rocinio, sia sulla capacità dello studente. di documentarsi/documentare e
di valutare le informazioni raccolte, gli strumen u lizza , le riflessioni
compiute. L'analisi della documentazione prodo a dallo studente ed
eventualmente dal tutor cos tuirà una parte rilevante dell'azione di
monitoraggio che il supervisore è chiamato a svolgere.
Monitorare l'esperienza del rocinio significa in primo luogo controllare la
qualità forma va del rocinio stesso, per confermare che il servizio,
proge o o a vità in cui lo studente è inserito consente di raggiungere gli
obie vi e offre le opportunità richieste dal rocinio o, in caso contrario,
per prendere i necessari provvedimen ; in secondo luogo, valutare
l'andamento del lavoro dello studente e del suo tutor e fornire le
informazioni e gli strumen u li a un proficuo svolgimento del processo.
Per monitorare il rocinio il supervisore ha a disposizione tre strumen .
1. Incontri con lo studente e il tutor. Anche per non richiedere un impegno
eccessivamente gravoso al tutor di rocinio, che con nua a svolgere le
proprie funzioni professionali, si possono prevedere tre incontri di questo
po:
- all'inizio, per la messa a punto degli obie vi e della tipologia di
documentazione;
- a metà periodo per analizzare la documentazione raccolta e per
effe uare una valutazione forma va; per risolvere eventuali problemi e
quindi confermare o introdurre modifiche al proge o originario;
- alla fine per una prima valutazione dell'esperienza e per predisporre la
relazione finale.
2. Incontri con Io studente. Si possono prevedere due incontri,
orienta vamente a metà fra il primo e il secondo e fra il secondo e il terzo
incontro tra supervisore, tutor e studente, per controllare l'andamento del
lavoro, anche a raverso l'uso di strumen che servano a una valutazione
forma va. A questo proposito si possono richiedere allo studente relazioni
da svolgere secondo uno schema po (una serie di pun individua dal
supervisore) e con lunghezza prefissata: si tra a di uno strumento che può
servire anche ad abituare lo studente a relazionare per iscri o su aspe
della propria esperienza.
Può rivelarsi u le condurre questo po di incontri anche per
gruppi di studen che, segui dallo stesso supervisore, stanno effe uando
esperienze diverse di rocinio: questo allo scopo di socializzare le
esperienze, ricavarne le, problema che comuni, offrire un sostegno per
l'im-pa o emo vo che le esperienze di rocinio possono avere sullo
studente.
Lo studente deve comunque, qualora lo ritenga necessario, poter
conta are il proprio supervisore in orari prestabili .
3. Visita al servizio-a vità in cui è presente Io studente rocinante. Il
supervisore può osservare dire amente lo studente nell'effe uazione dei
compi affida gli, le condizioni e il contesto in cui questo avviene, le
modalità di intervento del tutor.
Per quanto riguarda l'assistenza allo studente nella stesura della
relazione finale è opportuno che la Commissione di rocinio, iden fichi
uno o più schemi po di relazione: una serie di pun che devono essere
necessariamente sviluppa , per garan re la confrontabilità delle relazioni e
il loro valore documentario sia rispe o al curricolo universitario, sia per gli
en presso cui si è svolto il rocinio. Una copia della relazione finale
dovrebbe rimanere all'università (ove potrebbe essere u lizzata come
materiale di orientamento per gli studen che devono scegliere il proprio
rocinio) e una copia andrebbe inviata all'ente che ha ospitato il
rocinante come documentazione dell'esperienza svolta e delle riflessioni
cri che che l'esperienza ha sollecitato.
Aiutare lo studente a collegare l'esperienza di rocinio con il successivo
curricolo forma vo è un altro dei compi del supervisore, compito in cui si
realizza la funzione di legare la pra ca alla teoria, che è uno dei momen
fondamentali del rocinio come processo di apprendimento. Sulla base
della conoscenza del po di esperienza che lo studente ha fa o in un
determinato ambito di lavoro e delle conoscenze e delle competenze
acquisite, dell'individuazione delle necessità forma ve che l'esperienza
stessa di rocinio ha messo in evidenza, della valutazione delle opportunità
offerte dal curricolo universitario, il supervisore può svolgere molto
u lmente una funzione di tutorato per il restante percorso accademico
dello studente, in par colare consigliandolo per la stesura del suo piano di
studio e per la scelta della sua tesi di diploma.
 
 
 
 
La funzione di tutorship31
 
di Paolo Mo ana
 
 
Premessa
 
Mi è occorso in ques anni diverse volte e in diversi contes di programmare
sessioni di riflessione e di proge azione del ruolo di tutor con operatori di
servizi, con il personale di imprese, con educatori, psicologi e insegnan . Da
quando ho scri o il mio ar colo, nel 90, ad oggi, la funzione del tutor è
entrata con forza in mol ssime stru ure e servizi con obie vi di
formazione. Il che significa che il modo in cui oggi i processi forma vi si
danno, le esigenze che debbono fronteggiare e il po di stru ura
processuale con cui hanno a che fare in un certo senso richiede una funzione
di tutor.
Questo non significa affa o che tale funzione abbia assunto una fisionomia
chiara e condivisa. Come è ovvio, anche in dipendenza dai molteplici
contes e dalle differen pologie di occasioni forma ve all’interno dei quali
è maturata una sua emergenza, più o meno originaria, essa ha assunto vol
diversi, talvolta più solidi sul piano del loro fondamento organizza vo e
forma vo, talaltra, a mio giudizio, più improbabile e precaria.
Sull’argomento è oggi recuperabile una ricca produzione di studi42 e dunque
non intendo dilungarmi né in una rassegna cri ca, né tantomeno in uno
studio compara vo.
Per conto mio con nuo a ritenere che, fa e salve le necessarie
declinazioni che ciascun contesto impone, i necessari aggiustamen
all’interno di percorsi che hanno des natari diversi sia per cara eris che
che per numero che per necessità forma ve precipue, una teoria del ruolo
del tutor non possa prescindere da una riflessione teorica sulla funzione
della tutorship, intesa, così come ho cercato di esplicitare più di dieci anni or
sono, come una dimensione stru urale, dunque persistente, perlopiù o
comunque spesso latente, e comunque agita, a prescindere da una sua
effe va presa in carico e incarnazione organizza vo-funzionale, nel
processo forma vo, quale che esso sia. E’ dunque mio parere che
sintantoché tale cogenza stru urale non venga assunta e dispiegata anche in
termini di eventuali ruoli deputa ad espletarla, nei limi del possibile
(tenendo conto che si fa a di un elemento stru urale non pienamente
riconducibile ad una serie di procedure personalizzabili), le diverse idee sul
tutor resteranno, per quanto interessan e talvolta anche risponden a
singole esigenze organizza ve e forma ve, sostanzialmente caren .
E’ in questo senso che, in occasione della bella inizia va dell’AUSL di Reggio
Emilia “Il rocinio come cerimonia di aggregazione”, un corso di formazione
rivolto agli operatori in ambito sanitario sulla valorizzazione dell’esperienza
del rocinio e sulla sua stru urazione forma va tra il 2000 e il 2001, mi
sento di riproporre, come elemento di riflessione, la mia teoria della
funzione della tutorship, che ha come sfondo lo studio psicodinamico
realizzato sulla processualità forma va presentato nel volume Formazione e
affe del 1993. Rispe o al testo del 90, ho voluto revisionare solo alcune
espressioni e riscrivere qualche parte che, a seguito delle diverse esperienze
seguite, ritengo non più pienamente corrisponden o anche semplicemente
troppo contra e e opache. Mi auguro che tale studio, che ha indubbiamente
alcuni cara eri di rigidità, possa comunque essere considerato un elemento
di confronto con altre teorie che intendano affrontare la funzione e il
possibile (o i possibili) ruolo del tutor non soltanto come un insieme di
compi sfuggi di mano alle funzioni forma ve ritenute essenziali (i docen
, i proge s ), ma come una parte irrinunciabile anche se in parte
rimuovibile (come a lungo è stato fa o, in larga misura lasciandola assorbire
alla dimensione is tuzionale e alle sue ritualità e procedure) di tu i
processi forma vi orienta a conseguire un apprendimento significa vo.
 
 
La pensabilità della tutorship
 
Occorre innanzitu o poter pensare l'esistenza di uno spazio-tempo
specifico per nente ad una funzione di tutorship53. Tale luogo deve essere
immaginato anzitu o come un dato stru urale, non necessariamente
programmato intenzionalmente, anzi presente comunque in ogni
con ngenza di cara ere forma vo. La tutorship, in tal senso, come
stru uralità funzionale orientata verso il suo ogge o, e cioè il processo di
apprendimento da intendersi come fenomeno sia interpersonale che
intrapersonale, accade dunque anche a prescindere, spesso, dalla sua
personificazione organizza va. Si dà, in forma manifesta oppure latente,
"agita" oppure "agente", guidata oppure senza comando, nella trama
regolare di ogni evento forma vo.
La tutorship è, su un piano funzionale e simultaneamente simbolico, la
condizione di possibilità implicitamente operante del processo di
insegnamento-apprendimento. Ciò che realizza il luogo della trasformazione
e che lo riveste di una sua specifica forma e che gli conferisce uno specifico
significato. E’ questa funzione che, resa visibile a raverso la nostra
riflessione, perme e che un processo forma vo si collochi nell’ambito
dell’esperienza come un qualcosa di delimitato e di dotato di forma e di
significato.
Essa quindi, in quanto funzionante effe vamente a prescindere da una sua
incarnazione opera vo-organizza va, non richiede la figura reale di un tutor
né si iden fica necessariamente con essa. Funzionalmente, un ruolo di tutor
può tu avia, è ovvio, presidiare l'area della tutorship. Si tra a di un esercizio
tu 'altro che scontato e di un'iden ficazione il più delle volte irrealizzata,
poichè la tutorship è fondamentalmente una funzione stru urale complessa
di cui il cosidde o tutor può soltanto custodire una sezione di "opera vità" e
di rappresentanza simbolica oppure curarne e regolarne l’elaborazione.
La tutorship è lo spazio-tempo fisico e mentale che consente a un
formatore e a un formando di incontrarsi perchè si produca un episodio di
insegnamento-apprendimento, o, meglio ancora, perchè si dia l'opportunità
affinché un episodio di insegnamento fra un formatore e un formando possa
verificarsi (formatore e formando sono ovviamente definizioni neutre che
possono indicare sogge singoli o mul pli o anche funzioni interne alla
persona).
La tutorship, se presidiata, è all'origine del processo affe vo di
apprendimento ( e del suo scioglimento), in quanto è una funzione
"is tuente" (o "des tuente") e consente di creare l' "area potenziale" della
formazione64. Ma questa funzione appare spesso occultata e rimossa e
talvolta può essere effe vamente inoperante. Tale assenza può
destabilizzare o rendere irrealizzabile la creazione del territorio per un
"apprendimento" in cui la dimensione cogni va e quella affe va ,cioè
l'"apprendere dall'esperienza", non vadano disgiunte, 75.
 
 
 
Il processo affe vo di apprendimento
 
Per poterla "vedere", per registrarne l'emergenza, è necessario
cogliere la dinamica del processo forma vo, quello che ho definito a suo
tempo il "processo affe vo dell'apprendimento"(In Formazione e affe ,
p.131 segg..). Tale processo è stru uralmente presente ogni qualvolta si
verifichi l'apprendimento di "qualcosa" nel senso anzide o di "apprendere
dall'esperienza affe va" (in tal senso configura un i nerario per così dire
deontologico o stru urale del processo di apprendimento). Ogni qualvolta il
percorso sia di un po meno completo, cioè in eccesso o in dife o di
cara erizzazione affe va e di a vazione del tra amento conseguente (in
dife o o in eccesso di componente di legame, per dirla con Bion, interno o
esterno), la dinamica del processo non è meno funzionante ma può essere
disturbata e disturbante. Infa il processo, pur accadendo sempre su un
piano latente, è come de o frequentemente un puro "dover essere" nelle
situazioni forma ve per quanto riguarda un’assunzione della sua
complessità opera va e funzionale, in quanto non è riconosciuto, non è
concepito, non è compreso.
Il “processo” risulta scandito, o meglio, si può scandire anali camente,
secondo il punto di accesso che ho cercato di introdurre, in qua ro fasi:
is tuzione, illusione, modulazione, scioglimento. In defini va, ogni volta
che si verifichi un episodio di apprendimento, si succedono pressoché
regolarmente e linearmente queste qua ro fasi. Nello schema
riportato(fig.1) sarà dato rintracciare il coordinamento tra nodi processuali e
dinamici , pi di tra amento e codici affe vi e funzionali richiama nelle
qua ro fasi consecu ve.
In tale processo si può ulteriormente individuare due grandi fasi
coordinate e due possibili livelli di funzionamento: chiameremo fase
"esterna" o "di confine" la fase completa di funzionamento della tutorship
(connotata in senso affe vo come "fathering" me dunque sostenuta
prevalentemente da un codice affe vo di po paterno) e fase "interna" la
fase più picamente docente (connotata in senso affe vo come
"mothering", e dunque sostenuta prevalentemente da un codice affe vo di
po materno). In tal senso evidentemente intendo proporre una dis nzione
significa va tra due funzioni (o so ofunzioni), quella di docenza e quella di
tutorship come due funzioni stru uralmente implicate in ogni situazione
forma va effe va, due funzioni che andrebbero tenute dis nte non solo su
un piano teorico, ma anche su quello opera vo e di ruolo. Si può evidenziare
inoltre un altro livello di funzionamento processuale nei termini di una
funzione "agente" valida per tu e le fasi e di una funzione "agita" anch'essa
ipote camente valida per tu e le fasi in entrambe le aree della tutorship e
della docenza vera e propria, all'interno del complessivo "sistema
insegnante".
Prima di soffermarci sull'area di responsabilità della tutorship va
chiarito che il termine di funzione "agente" è riferito a ciò che nella tutorship
e nella docenza "deve" essere fa o per presidiare la coerenza del processo
affe vo orientato verso un apprendimento "dall'esperienza". La funzione
"agita" è ciò che di volta in volta viene fa o nell'area della tutorship e della
docenza per fronteggiare l'imprevisto e che quindi travolge il profilo
funzionale dei due ordini di competenza, oppure i frequen scambi di
funzione dove uno dei due ruoli sia assente o inoperante.
 
 
La tutorship
 
L'analisi che seguirà cercherà di fare chiarezza, per quanto possibile,
sulla funzione di tutorship, lasciando sullo sfondo la funzione più
picamente docenziale (per l’approfondimento della quale, secondo ques
riferimen teorici, rinvio al testo citato Formazione e affe ).Si tra a dunque
di una funzione "esterna", o, in termini sistemici, di una funzione di
"confine"86, fondamentalmente. Questo nella sua dimensione di "funziona
agente". Ciò significa che la tutorship "dovrebbe" essere a vata
fondamentalmente nella prima e nella quarta fase temporale del processo
affe vo di apprendimento e solo per emergenza nelle fasi intermedie. E' -
questa "esterna"- un'area picamente "is tuzionale" all'interno della quale
l'obie vo fondamentale in termini affe vi è quello di creare e di sciogliere
il disposi vo di contenimento del processo di modificazione intrinseco
all'apprendimento. Nella prima fase è in gioco la creazione di tale
disposi vo, che definiremo "se ng"97 o, ancor meglio, "quadro"108 del
processo. E' in questo quadro che il formando può depositare il proprio
corpo fantasma co, che può sen re contenu i propri nuclei più primi vi e
ansiogeni, i propri mori di manipolazione , di metamorfosi o di
smembramento, o enendo una rassicurazione fisica e simbolica, ma
sopra u o psichica, sulla possibilità di un cambiamento non destabilizzante:
qui egli deposita la proiezione della sua simbiosi con il corpo materno. Ciò lo
me erà in condizione di a vare i suoi nuclei interni e di sciogliere la corazza
della sua "sogge vazione" , cioè della sua stru ura esibita verso l'esterno
(persona in termini junghiani), del sogge o che vorrebbe apparire, in favore
della possibilità di una apertura e di una ristru urazione. In tale quadro o
confine ne va della consistenza e della credibilità o agibilità di tu a la
proposta forma va, poiché è essa a insediarsi nel rice acolo che il se ng
procura e promuove.
Il quadro, il se ng da tale punto di vista, vanno oltre ciò che la
tutorship può garan re a vamente, nel senso che investono anche la
pologia is tuzionale, la sua affidabilità simbolica, i sigilli gerarchici, il
"rango" della situazione forma va; tu avia, una parte fondamentale di tale
responsabilità può essere svolta posi vamente dalla tutorship: essa deve
infa garan re la "dimora" della formazione e di questa deve possedere "il
disegno e il controllo mentale". In tal senso un eventuale ruolo di tutor
dovrebbe anche assumersi il compito di de-cidere, an cipatamente e
coerentemente, il “confine” dell’esperienza e rendersene responsabile in
maniera complessiva, senza tralasciare nulla di ciò che una domus deve
garan re (dalla stru urazione fisica alle cure fisiologiche al contenimento
emo vo).
Deve dunque anzitu o is tuire uno spazio in cui possa nidificare il
processo forma vo, uno spazio fisico e mentale, un'area "potenziale":
dunque una trama temporale regolare fa a di orari, di scansioni, un re colo
norma vo, un contra o esplicito sul percorso e sulle sue ar colazioni, un
insieme di pra che insomma che aiu no il formando a insediarsi nel
perimetro dell'esperienza di apprendimento. E' in questo senso che,
mutuando i “codici affe vi" di Fornari, si può tentare di incorporare la
tutorship in un'area di valori affe vi paterni definendola come pra ca del
fathering, parafrasando Bion. Ciò proprio in senso fornariano119, in quanto il
tutor “bonificherebbe” l'area della genesi della formazione (e ogni inizio
richiama per analogia l'inizio per eccellenza, la nascita) dagli elemen
picamente paranoici che lo insidiano, i mori di insuccesso catastrofico, di
destabilizzazione, di metamorfosi e di perdita dell'iden tà. A raverso le
regolari procedure di alles mento fisico e di contra azione psicologica,
viene garan ta l' abitabilità dell'esperienza forma va. In questa fase è anche
necessario acce are e assumere la responsabilità che deriva dall'innescare
un primo transfert parentale in cui è fondamentalmente in gioco,
simbolicamente, l'affidamento appunto della propria vita mentale (ma in
taluni casi anche fisica, come nell' outdoor development o per esempio nelle
pra che educa ve di avventura).
Qui è più che mai evidente anche il vero e proprio "ruolo" del tutor,
come inauguratore del processo e vera rappresentanza in situazione della
"dimensione is tuzionale", che è poi la garanzia ul ma, “inconscio
dell'inconscio”, di ogni riferimento culturale e simbolico. E' in tal senso che la
credibilità is tuzionale, a prescindere da quella del singolo tutor, risulta
fondamentale per determinare la consistenza e la capacità di contenimento,
l'a endibilità del se ng forma vo. Non è un caso che la scuola a ualmente
riesca con fa ca a promuovere i propri obie vi di apprendimento: è in gioco
il pres gio e il senso stesso della sua finalità is tuzionale e della sua cultura
(sfugge il suo orizzonte di senso, il che vale più ancora che per gli allievi, per
gli insegnan ). Il se ng risulta determinante non solo perchè rende
possibile la fiducia (e quindi la dipendenza) del formando, ma anche per
la sicurezza e l'autocomprensione professionale del docente, che solo a
par re da un se ng ben configurato potrà elaborare la sua competenza fino
in fondo, potendo anch’egli soggiornare in una domus adeguata.
Simmetricamente, per ene alla tutorship la responsabilità dello
smantellamento e della dismissione della dimora fisico-affe va in cui
avviene il processo "temporaneo" (simbolicamente, giacché nessun
processo si arresta mai veramente) di apprendimento. Si tra a di elaborare
il momento della separazione del formando dall'"area potenziale", il "taglio"
che res tuisce il sogge o alla trama della propria "a ualità". E' qui in gioco,
ancora una volta in termini di codice affe vo, una competenza di ordine
paterno al cui centro si pone il "gesto" simbolico dello scioglimento, del
nodo che lega il formando al formatore in una relazione dalla forte analogia
con la dipendenza da un'area di valori materni. Da un lato ciò corrisponde
alla messa a fuoco della temporalità affe va del processo di apprendimento
e quindi della sua provvisorietà, dall'altro alla siglatura e ricomposizione,
ogge vazione, dei contenu percepibili di mutamento interno e
comportamentale. Ciò significa evidenziare la differenza fra tempo della
formazione e tempo della vita , fra uno spazio "in sicurezza" e uno spazio in
cui il contenimento non può essere delegato ma deve essere garan to
essenzialmente dalle proprie figure interne. Non importa quanto sia lungo in
realtà il tempo di questo processo, non importa se l'apprendimento dura
pochi minu . Tu o ciò può verificarsi anche in un brevissimo arco di tempo
perchè si tra a fondamentalmente di un percorso simbolico 1210.
 
 
Specifiche della tutorship
 
La funzione di tutorship, che pure deve esercitare il proprio controllo
su even ed ogge reali, si esprime tra l’inizio e la fine del processo
pressoché totalmente in termini simbolici, come "funzione-quadro". Nelle
fasi intermedie essa, pur potendo essere presente nella persona del "tutor",
è fondamentalmente "muta", cioè soggiacente, invisibile, oppure assume le
ves di un counselling proge uale (vale a dire legato a riscontri individuali o
gruppali ineren al rapporto con il percorso-proge o di insegnamento-
apprendimento). Il solo compito affe vo in queste fasi è quello del
"contenimento" del docente: il tutor può cioè, dove sia necessario, facilitare
la fa ca relazionale di chi si occupa della pra ca dell'insegnamento dire o
a raverso l'ascolto e la revisione in un'area di decompressione. In questo
senso il tutor in queste fasi intermedie, ma anche prima e dopo, "fa staff". A
grandi linee questa tre aree di responsabilità rappresentano il piano della
"funzione agente" della tutorship. Chiunque abbia fa o esperienza di questo
ruolo tu avia può facilmente verificare che il tutor deve occuparsi di molto
altro che travalica quanto de o. In par colare, e mi pare che questa sia la
dimensione più importante, il tutor è davvero il filtro affe vo di tu o il
processo, è per così dire il "buco nero" di ogni corso, o meglio ancora la
"pa umiera simbolica" del nega vo, della "spazzatura affe va" che ogni
percorso di cambiamento comporta .
A livello di funzione "agita", cioè di ciò che accade a prescindere da
ogni pianificazione processuale, il tutor può trovarsi a dover supplire il
"mothering" del docente quando ques va in crisi, può essere costre o a
supplire carenze di insegnamento, fornire consulenze metodologiche,
rammendare, turare falle. Cose queste che complicano il suo statuto di
ruolo, rendendolo incerto, confuso e a volte confusivo. Laddove si riesca per
lo meno ad arginare tu o questo, laddove cioè il docente faccia il suo
mes ere ( o dove siano conce ualmente separate le due funzioni esistendo
comunque una sola persona a rappresentarle), non è possibile evitare ciò
che D. Meltzer ha definito, a proposito del processo relazionale e di transfert
implicato nel se ng psicoanali co, la fase del "seno-gabine o"1311:
bonificare regolarmente il se ng, con la sola funzione di ascolto, anche
senza res tuzione, dai con nui a acchi, reali e simbolici, di cui è fa o
ogge o.
"Esserci" a raccogliere scorie, insul , piccole aggressioni o anche veri e
propri a acchi, resistendo, senza colludere e senza cedere. E' questo un
compito quasi sempre implicito in ogni situazione di cambiamento più o
meno imposto, in cui l’allievo tende a esportare il proprio vissuto nega vo o
anche semplicemente le sue difficoltà sul piano is tuzionale, sia per
rassicurare la propria posizione narcisis ca, sia per me ere alla prova la
solidità del contenitore (per intenderci, il tutor è fa o bersaglio di a acchi,
di cri che non necessariamente personali, ma che riguardano più in
generale il se ng, secondo una pica procedura evacua va: il suo compito è
tollerare ques fenomeni proie vi, dimostrando così che la stru ura è
solida e che le ansie che determinano tali a acchi non sono insostenibili; a
volte le cri che sono reali o lo sembrano: la preoccupazione è allora duplice,
decodificare la dimensione simbolica del messaggio ma anche apprestare un
se ng più sicuro). E' chiaro che il tutor o più in generale la funzione di
tutorship deve presidiare a questo proposito solo la "funzione-quadro" e
non il “contenimento primario” finalizzato all’apprendimento del contenuto
specifico che resta a carico della funzione docente. Come si è capito, la
funzione di tutorship con ene quella di docenza, che a sua volta con ene
quella di apprendimento in senso stre o dell’allievo ( e del docente insieme
con lui). In sostanza la tutorship si pone come condizione di possibilità del
processo di insegnamento-apprendimento, e il tutor è la figura che incarna
una responsabilità sovraordinata, in termini sistemici, a quella del/dei
docente (cfr. fig.2)
Questo è il quadro fondamentale delle responsabilità della tutorship,
sia sul piano che abbiamo definito forse impropriamente "agente" (meglio
sarebbe stato "da agire”, ma era meno efficace) sia sul piano "agito". E' ovvio
che tu o questo può anche non essere effe uato, anche se è da ritenersi
che comunque, anche inconsapevolmente, qualcosa del genere accada. Ma
la la tanza su ques aspe può insidiare notevolmente la buona evoluzione
del processo e generare distorsioni affe ve serie al punto da
comprome ere la possibilità stessa dell'apprendimento. Il processo può
bloccarsi a causa di fantasie in eccesso, di resistenze non elaborate, di giochi
dell'immaginario o semplicemente di disturbi della funzione di
apprendimento non sufficientemente presi in considerazione sul piano
simbolico: chi ha, per storia personale, problemi ad apprendere ha molto più
bisogno di un "contenitore" adeguato (come dimostra la fenomenologia dei
sogge considera difficili).
E' chiaro che non è sempre stre amente necessario un tutor in carne
ed ossa, ma la sua assenza significherà un sovraccarico di responsabilità per
il docente, che dovrà comunque sopperire a tale carenza riferendosi ad altre
figure is tuzionali spesso non preparate a giocare un tale ruolo e a coprire
un tale ambito di funzione. La formazione si svolgerà comunque dentro
un’area di tutorship e quanto meno essa sarà marcata e rappresentata, tanto
maggiori saranno le disfunzioni nella sua adeguatezza a realizzare un campo
di esperienza di apprendimento.
In tal senso, quanto più l'ingresso nell'"area potenziale" della
formazione e poi il recesso da questa viene ritualizzato e amplificato,
a raverso un'ar colazione di figure (capi, dire ori, responsabili ecc.) e di
ambien , tanto più a nostro giudizio sarà garan ta la solidità del se ng e
salvaguardata la possibilità del cambiamento. Non nel senso di trasformare
in un rito misterico il processo di apprendimento, né nel senso di
is tuzionalizzarlo oltremisura o in senso autoritario, quanto richiamando, in
una forma laicamente simbolica, le figure affe ve necessarie per imparare
senza mori e per confidare in un disposi vo pensato e valorizzato in modo
sensibile e coerente. Si tra a insomma di consolidare il "quadro" ed
elaborare le resistenze, di rassicurare e di marcare anche i confini di
un'esperienza che gode di uno statuto proprio, tu 'altro che banale, per
importare più apprendimento della "Verità"1412, e in cui la tutorship, si
risignifichi come dato cos tu vo, come condizione di possibilità.
 
 
La tutorship nei rocini
 
L’esperienza di Reggio Emilia insieme ad altre, pone in campo la figura
specifica del tutor di rocinio, che assume poi nelle diverse sedi is tuzionali
fisionomie differen , dando vita anche a figure a incastro, come nel Diploma
Infermieris co dove si assiste talvolta all’intervento di più figure di tutor, dal
Tutor d’Area al Tutor clinico. In queste situazioni non muta
fondamentalmente il profilo della funzione né ciò che può essere esercitato
dal tutor. Mutano tu avia i contes e dunque determinate forme di azione.
Come ha dimostrato l’esperienza di riflessione effe uata a raverso un
caso1513 proposto ai frequentan del corso organizzato dall’AUSL di Reggio
Emilia, i Tutor responsabili di taluni servizi, specie in Area sociosanitaria,
hanno una funzione sopra u o programma ca e di controllo. In tal senso la
Tutorship rischia di sovrapporsi esclusivamente al ruolo di Direzione del
percorso forma vo e di perdere la sua componente di contenimento in corso
d’opera.
Tu avia mi è parso che la sensibilità a comprendere che il tutor, oltre che
programmare, oltre che registrare il processo sul piano relazionale, è
sopra u o il creatore e il manutentore dell’ “area potenziale” cioè dei
luoghi in cui si verifica il percorso, e so olineo tu i luoghi, e che ciò
significa un raccordo raffinato e complesso con tu e le figure che lo
surrogano in situazione (per esempio i tutor clinici, che potrebbero essere
assimila a funzioni docen ), sia sufficientemente avver to.
Il tutor è il responsabile della casa della formazione e deve preoccuparsi che
tu o in essa funzioni, e se qualcun altro lo sos tuisce in determinate fasi,
questo altro deve essere consapevole che di tale funzionamento si tra a, e
non per esempio di un prevalente supporto psicologico o di una semplice
a vità addestra va1614. Inoltre è chiaro che in situazioni di rocinio le
procedure di monitoraggio, individuali e di gruppo, aumentano, e tale
monitoraggio deve per forza di cose essere diversificato rispe o alle figure
che intervengono nella processualità forma va - allievi, docen , affiancatori
- ma sempre nell’intento precipuo di far funzionare il disposi vo che
presiede, laddove sia corre amente organizzato, ad un apprendimento
significa vo.
 
Fig.1: Il sistema insegnante
Fasi Is tuzione Illusione Modulazione Scioglimento
Nodi
processuali A enuare le Generare Filtrare il Elaborare il
e dinamici ansie iniziali fiducia “dolore distacco
Siglare O enere mentale” Favorire
l’ingresso dipendenza l’interiorizzazione
nella domus Aiutare a
pensare
Tra amentoPredisporre il Insegnamento- Apprendimento- Chiudere il
“quadro” Se-duzione Con-duzione percorso
(Area Siglare
potenziale) ritualmente la
Presentare il fine
percorso Res tuire
Funzioni Agente di Agente di Agente di Agente di
tutorship docenza docenza tutorship
Codici Fathering di Mothering Mothering Fathering di
Bonifica e di primario di secondario di separazione
Contenimento holding rêverie
Tutorship di Tutorship di
contenimento contenimento e
e di di
manutenzione manutenzione
         
Funzioni (tu e le (tu e le (tu e le (tu e le possibili)
agite possibili) possibili) possibili)
 
 
 
 
 
3ª parte: Verso l’età adulta: Volontariato e rocinio come
cerimonie di aggregazione
 
 
Dagli ideali adolescenziali a quelli adul : metamorfosi
del rocinante
 
di Leonardo Angelini e Deliana Bertani
 
 
Vorremmo cominciare con due esempi:
1.È noto che il più precoce ingresso nell’età adulta degli uomini del
medioevo rispe o agli individui dei giorni nostri implicasse nei primi una
maggiore propensione all’impulsività ed all’agito ed una minore capacità
riflessiva rispe o ai secondi.
2. Una delle frasi più piche nel momento del commiato dai nostri
rocinan è questa: sei arrivata qui come laureata, ora hai acquisito le
prime capacità che perme ono di definir una professionista.
Ques due esempi per introdurre i due paragrafi secondo i quali sarà
scandita la nostra argomentazione sul passaggio dagli ideali adolescenziali
a quelli adul .
 
 
1.Dagli ideali adolescenziali a quelli adul
 
Uno degli elemen che cara erizza l’adolescenza è il marcato processo
confronto e di emancipazione del ragazzo, prima, e del giovane, poi, dalle
vecchie imago ideali dell’infanzia. Questa metamorfosi degli ideali, pica di
tu e le adolescenze, è parte integrante della seconda individuazione (Blos)
ovvero di quel processo di disiden ficazione (Octave Mannoni) che è
l’architrave sul quale ogni giovane potrà costruire alla fine, se le cose vanno
sufficientemente bene, il proprio profilo adulto, la propria visione del
mondo, il proprio proge o.
La seconda individuazione consiste in un complesso confronto - scontro
con le vecchie imago infan li che spinge l’adolescente a rivedere ogni
aspe o del suo mondo interno, così come ogni rapporto con le figure reali
importan dell’adolescenza.
E in questo processo l’abba mento dei vecchi idoli, cioè dei vecchi modelli
ideali dell’infanzia è imposto dalle spinte puberali che colorano di nuovi
significa i legami endogamici, rivelandone il loro so ofondo incestuoso e
spingono verso quella vera e propria virata di cento anta gradi che implica
l’uscita dall’endogamia e l’accesso all’esogamia, con tu e le discon nuità e
i tu i lu che questa virata impone non solo nel preadolescente, ma in
tu coloro che gli sono vicini, ed in special modo nei genitori, ma anche
con tu i con in sospeso che su questo piano sono sta aper nella prima
e seconda infanzia e nella fanciullezza.
Ma su quali basi si definiscono i nuovi ideali che intervengono
nell’adolescente a questo punto? Ognuno di noi ha vissuto quel momento
in cui nuovi modelli – diventare un calciatore famoso, o una a rice –
intervengono o si accendono di contenu molto più vividi di quelli della
fanciullezza. Ognuno di noi quindi può essere tes mone della presenza di
personaggi ideali, di personaggi eroici, che ci hanno abitato e che per noi
hanno assunto per un certo periodo una importanza par colare.
In psicoanalisi esiste una diatriba, non tanto sulla natura di ques
personaggi, la cui presenza è riscontrata da tu , non tanto sulle funzioni
da esse svolte che da tu vengono ritenute importan ssime, quanto sui
connota che ques personaggi eroici hanno e sulle loro ascendenze: è
come se noi avessimo tracce certe dell’esistenza di una persona, delle
azioni da lui svolte, ma non conoscessimo bene il suo profilo, non
sapessimo come si chiama e di quale famiglia egli faccia parte.
La diatriba a noi non interesserebbe in questa sede se non fosse per
qualche aspe o che risulta importante ai fini della individuazione della
natura delle problema che a uali del rapporto rocinante – tutor, e solo
so o questo punto di vista ci avvicineremo ad essa, invitando chi volesse
saperne di più alla bibliografia.
La divaricazione innanzitu o è fra coloro che, come Blos, pensano che
esista un personaggio interno, l’Io Ideale, dis nto dall’Ideale dell’Io, che è
l’erede di quel primissimo personaggio interno, figlio del narcisismo
primario, che ci ha abitato fin dagli esordi della nostra vita; tale
personaggio ci accompagna per tu a la vita, che cresce insieme a noi e si
modifica in base al rapporto con realtà: l’Io ideale secondo costoro in
adolescenza assume un significato par colare poiché impone al ragazzo e
alla ragazza un confronto sia con gli introie paterni che materni in
maniera sessuata, per cui le vicissitudini del personaggio maschile in
adolescenza sono diverse da quello femminile, ed in maniera
individualizzata, per cui ogni adolescente definisce un proprio percorso di
confronto e di emancipazione da ques personaggi interni ed esterni.
A fianco a queste posizioni ce ne sono altre, ad esempio quelle della
Schasseguet Smirgel, che negano l’esistenza dell’Io Ideale e sostengono
che è l’Ideale dell’Io, cioè l’istanza interna erede della introiezione delle
imago genitoriali ideali e più o meno capace di s ma e di autos ma, che
presiede a questa opera di confronto in adolescenza.
Più interessan , poiché più a uali ci sembrano le posizioni di Jeammet e di
Pietropolli Charmet. Il primo dis ngue fra Io Ideale ed Ideale dell’Io, e
a ribuisce all’Io Ideale le funzioni primordiali di assicurazione di un buon
equilibrio narcisis co allorché non si è ancora instaurata nel sogge o
dis nzione fra me e non me, allorché cioè il rapporto con l’ogge o
primario è ancora basato su una situazione di fusione indis nta; mentre
l’Ideale dell’Io, che rappresenta per Jeammet lo sviluppo dell’Io Ideale,
diventa per Jeammet una istanza che può instaurarsi nel sogge o a fianco
all’Io Ideale da un certo punto in poi, e precisamente dal momento in cui
diventa possibile per il sogge o viversi come una en tà ‘separata, sola e
nuda’ (direbbe Winnico ): da quel momento in base al modello
rappresentato dall’Ideale dell’Io si instaurano nel sogge o iden ficazioni
secondarie che provengono dalle imago parentali ideali più mature. La
ria vazione in adolescenza di queste par più mature o dell’Io Ideale
primario rappresenta le possibilità del sogge o di individualizzarsi o meno,
cioè o le possibilità di accedere ad un proprio profilo adulto, nato sul
modello genitoriale e contemporaneamente in polemica con esso, oppure
l’arresto e lo sprofondare dell’adolescente in situazioni di confusività con
l’ogge o primario che può essere vissuta come un claustrum in cui essere
costre o dal quale fuggire.
Pietropolli infine so olinea la natura nuova dei rappor fra genitori affe vi
e poco consisten sul piano superegoico e figli adolescen , pone in
evidenza, come del resto fa Jeammet, che da questo po di rappor - che
ovviamente si stru urano ben prima che i figli diven no adolescen -
deriva l’emergere nei giovani di stru ure di personalità di po anacli co:
Da ciò l’importanza, maggiore rispe o al passato, che in questo nuovo
quadro assumono per i ragazzi e per i giovani le influenze che vengono
dall’esterno della famiglia, e cioè dai media, dal gruppo, e dalla nuova
coppia adolescenziale, nonché la necessità per ques giovani anali ci di
sdraiarsi, di spalmarsi quasi, su queste istanze che diventano più importan
che in passato nel definire l’ideale adolescenziale.
Infine pensiamo che non vada so ovalutata l’immagine junghiana dell’Eroe
e tu e le sue declinazioni che vanno dall’Orfano, al Mar re, al Viandante,
al Guerriero, al Mago ed infine all’Innocente, unica di queste figure che non
si pone obie vi di crescita e di maturazione.
 
De o questo veniamo ora ai percorsi matura vi in base ai quali, così come
con l’ingresso in adolescenza erano state messe in crisi le vecchie imago, i
vecchi personaggi eroici dell’infanzia, anche con il progredire del giovane
verso l’età adulta a poco a poco anche i personaggi eroici dell’adolescenza
dovranno essere so opos ad un’opera di limatura e di maturazione. Come
avviene dentro al giovane questo processo matura vo? Ancora una volta
cerchiamo di fare un esempio: dalla nostra clinica dei postadolescen (dei
giovani adul , direbbe Pietropolli) emergono a ven o ven cinque anni un
insieme di personaggi eroici, più o meno integri, più o meno ammacca ,
che spesso sono in relazione gerarchica fra loro e che possono essere
dialogan o meno fra loro e con le altre par interne del sogge o: si
determinano cioè come un insieme di ipotesi (A, B, C etc.), di proge per il
futuro che già sono sta so opos alla prova di realtà, che si sono perciò
imborghesi , che hanno smesso i panni più eviden dell’eroe
adolescenziale, per diventare proponibile e raggiungibili nella prossima età
adulta.
Vogliamo dire cioè che se noi andiamo alla fine del processo troviamo una
realtà che, se le cose sono andate sufficientemente bene, è mutata non nel
senso dell’abbandono dei vecchi personaggi eroici, ma della loro
trasformazione in imago ideali adulte con cui mantenere un rapporto di
tensione e, diremmo, di emulazione.
A guardar bene il processo di disiden ficazione, che tanta importanza ha
avuto per tu a l’adolescenza, in buona parte si è rivelato alla fine molto al
di so o delle pretese di dis nzione s zzosa, angosciata, etc. di quel tempo,
e fra le pieghe delle nuove imago ideali è possibile riscontrare molte più
tracce di quante a prima vista se ne vedono delle influenze modulatrici
delle vecchie imago adolescenziali (ed infan li).
Certo è che il passaggio o meno dalla fantasia al proge o è la pietra di
paragone che perme e di comprendere se su quelle imago adolescenziali è
stato possibile per il neoadulto fare un’opera di limatura e di innesco di
filoni più o meno flessibili di dialogo interno.
Ciò significa che nel processo di trasformazione degli ideali adolescenziali ci
deve essere l’instaurazione dentro di sé non di una sola fantasia, ma di
varie fantasie e di vari proge in base ai quali più ipotesi (A, B, C, etc.)
possono essere fa e e verificate so o il fuoco della prova di realtà.
Ciò significa conseguentemente che il ragazzo e il giovane si trovano per
tu o questo periodo nella necessità di avere tempo, laddove il tempo è
quello derivante dalle occorrenze che la prova di realtà impone. Si
definiscono così luoghi di sperimentazione, che – come dice Pietropolli –
sono spesso anche luoghi in cui il nuovo adolescente possa sdraiarsi per
sperimentare insieme ed al riparo dalle imago confusive più arcaiche, ma
anche dalla solitudine che per le personalità anacli che risulta essere
ugualmente angosciante. Ed anche la crea vità giovanile, con tu i suoi
contenu genera vi specifici, andrebbe rivista so o quest’o ca.
Occorre dire della necessità di rispe o da parte degli adul per quest’area
in cui sono gli ideali, le fantasie, i proge , le creazioni adolescenziali?
Pensiamo di si, se è vero che uno degli elemen presen nei mi e nelle
fiabe sull’argomento è proprio l’a eggiamento dell’adulto nei confron di
questo emergere di una nuova generazione che avanza e che con il solo
suo emergere rappresenta una minaccia.
Per il giovane i problemi per tu o questo periodo sono: - la necessità di
affrontare la frustrazione, la depressione e il lu o derivante dalla
sensazione di perdita, allorché ques proge risul no irrealizzabili così
come erano sta pensa ; - la necessità di dis nguersi e di non essere
risucchia in proge altrui che riguardino la loro psiche ed il loro corpo; -
ed ancor di più la necessità di non essere risucchia , come dicevamo
prima, in un claustrum senza via d’uscita che non sia la confusività dei corpi
e degli spiri .
Un esempio derivante dalla nostra clinica: ci sono dei mes eri in cui non c’è
il tempo necessario per la elaborazione delle possibili perdite sul piano
ideale. Il calciatore, che a 16 \ 17 anni sa già se andrà in serie A, o se
questo proge o, a lungo inseguito, alla fine si rivela impossibile, se non ha
dentro di sè, nel suo background familiare la possibilità di elaborare la
perdita, o un proge o di riserva pronto per l’uso può andare in un
breakdown evolu vo severo.
Così come, al contrario, la possibilità di giostrare flessibilmente su una serie
di ipotesi può far si che esse alla fine risul no non alterna ve, ma
complementari e capaci di rafforzarsi l’una dall’altra.
C’è poi la possibilità di un mancato passaggio dalla fantasia al proge o, o
addiri ura l’assenza di tensione fantas ca (l’immagine junghiana
dell’Innocente, che non ha obie vi, né mori di sconfi a, poiché è rimasto
nello stadio in cui non c’è mancanza e tu o gli è dovuto). In ques casi non
c’è prova di realtà che faccia da contraltare alla fantasia, di modo che
quest’ul ma immobilizza il sogge o, lo porta ad eludere l’esperienza della
perdita, o nella impossibilità di ogni tenta vo di elusione in una situazione
di lu o che in ques casi appare come difficilmente elaborabile.
Gli a acchi da parte degli adul agli ideali adolescenziali – a acchi quali
derisione, sminuizione, castrazione, circoscrizione fobica dell’ambiente
(come accade per quel personaggio di Ricomincio da tre che è rimasto a
casa bambino a fianco ad una madre – drago vorace e confusiva) - si
risolvono spesso con la costruzione di percorsi di falso sé, che hanno il
significato di un ul mo tenta vo di elusione del dolore della perdita.
Quello che abbiamo definito come imborghesimento degli ideali, in ul ma
istanza potrebbe essere definito come possibilità di un raggiungimento
della riparazione, cioè costruzioni di ipotesi altre che possono essere o del
po a1, a2, a3, oppure del passaggio a quelle che in un primo tempo
apparivano come ipotesi b, o anche ad un mix dinamico fra ipotesi
primarie, secondarie, etc.-
 
 
2.Metamorfosi del rocinante
 
Il rocinante è spesso un postadolescente o, come alcuni dicono, un
giovane adulto cioè un giovane che è vicino all’ul ma fase dell’adolescenza
odierna, se si vogliono so olineare le parentele fra la postadolescenza e
l’adolescenza propriamente de a, o – se invece si vuole so olineare
l’allontanamento del giovane dalla fase precedente - di quella specie di
preludio all’età adulta che è ormai la vita fra i 20 e i 30 anni di mol giovani
di oggi.
Fra i nostri intendimen , nel proporre a colleghi della sanità, della scuola e
del sociale una riflessione sul significato del rocinio c’erano: quello di
cercare di comprendere quali funzioni il rocinio assuma oggi nel mercato
del lavoro delle professioni del welfare, e nei territori limitrofi in cui i
processi di aziendalizzazione sono più avanza ; quello di analizzare cosa
accade fra rocinante e tutor durante il rocinio, in questo luogo più
in mo dell’aula e meno connotato come scuola; come avviene in questo
luogo il passaggio di saperi e di competenze; come il giovane viene
introdo o in esso e accompagnato per tu o il percorso, da un par colare
sacerdote officiante la cerimonia di aggregazione, il tutor, in quella che sarà
la sua ul ma tappa prima dell’ingresso nell’età adulta; come infine il
rapporto fra tutor e rocinante si dipana lungo questo percorso, sia per ciò
che a ene gli aspe più propriamente professionali, sia sul piano dei
rappor e dei sen men ambivalen che intercorrono fra queste due
en tà.
Ciò che ci proponiamo oggi è di elaborare una riflessione sulla forma che
assumono gli ideali giovanili in questo momento che abbiamo visto essere
contemporaneamente finale ed iniziale: - fase finale dell’adolescenza in cui
il lavoro di levigamento degli ideali è già iniziato da tempo, ma ora si
approssima il momento delicato del redde ra onem che sancirà la distanza
fra ciò che si può effe vamente diventare e ciò cui, nonostante tu i
levigamen , ancora si aspira; - fase iniziale dell’età adulta in cui però, come
ci ha ricordato Laffi, la farraginosa immagine di sé che in questo momento
il giovane ha rispe o al lavoro, il fa o che egli non possa mai dire se
veramente è entrato nel mercato del lavoro o meno, gli impediscono in
effe di fare i con fino in fondo con le sue aspirazioni e rimandano sine
die questo importante momento di verifica, che è l’ul ma tappa verso una
effe va dimensione adulta.
E’ indubbio che lungo il percorso del rocinio il profilo del rocinante
muta, che l’immagine che egli ha di sé si trasforma. Questa metamorfosi
del rocinante, come ci hanno ricordato Mo ana e Guerra, in Italia si
ingigan sce poiché l’ordinamento dei nostri studi separa la teoria dalla
pra ca e tende a svilire quest’ul ma ed a volte ad espellerla da ogni
considerazione che l’accademia fa circa la reale crescita che il rocinante
fa, o meno, nei luoghi del rocinio.
Si determina così una divaricazione fra diploma e laurea da una parte e
percorso di rocinio dall’altra. Ed il passaggio dall’aula al luogo del rocinio,
da un sapere teorico a un sapere pra co, dalla laurea alla professione, da
una parte rappresentano un bagno di realtà, se le cose vanno
sufficientemente bene (ma Guerra ci ha fa o vedere quali siano i rischi di
vanificazione o di sminuizione di quest’esperienza, ancora molto presen
in Italia). Dall’altra sono relegate nella periferia della formazione, non
ancora integrate nel curricolo di studi, anzi vissute spesso come un inu le
fardello.
Inoltre, come afferma la Manoukian Olive , in Italia l’immagine grandiosa
di sé che l’università ha e per la scarsa capacità contra uale delle is tuzioni
in cui solitamente si fa rocinio non aiutano certo a colmare ques
squilibri, ed anzi solitamente li accentuano: bas pensare che in molte
situazioni non c’è una reale valutazione finale del rocinio (non parliamo di
quella in i nere!), che non esistono corsi di formazione di tutor, per cui –
come ci ricordava anche Guerra – questo mes ere viene fa o basandosi
spesso a par re da esigenze e dell’is tuzione e del tutor che risultano altre
rispe o alla formazione del rocinante.
Nonostante ques vincoli, queste sminuizioni e ques impedimen il
rocinio spesso è un momento importante per il giovane so o mol pun
di vista e sopra u o ai fini di una ridefinizione dei propri ideali
professionali ed umani. Il rocinio, allorché il fare quo diano abbia un
senso, è anzi un momento delicato di passaggio dalla fantasia al proge o.
Tale passaggio - che già nella scelta della facoltà, del corso di studi e nella
inevitabile riduzione di più opzioni, fra più possibilità di
professionalizzazione ad una sola, aveva visto un momento di importante
di ri\dimensionamento di se stessi – ora trova nel fare e nel rifle ere sul
fare fa o insieme al tutor un ulteriore momento che aiuta il giovane a
toccare con mano i limi e le possibilità (a volte impreviste) insite in se
stesso: poiché è vero che con il rocinio si ripropone il tema dello scarto fra
chi si è chi si vorrebbe essere, ma è vero anche che la vicinanza che in
questo momento è possibile sperimentare con i problemi, con la
conoscenza e la padronanza delle strategie personali, prima che
professionali, con cui tali problemi possono essere affronta e risol , la
coniugazione fra la nuova generazione e la vecchia che in questo momento
si verifica, sono tu e esperienze che solo nel rocinio possono essere
organicamente e, diremmo, statutariamente pianificate. Come dicevamo
allorché abbiamo tentato di fare una storia del rocinio in Italia, anche
senza rocinio tu a la fase iniziale del lavoro per mol di noi anziani è
stata professionalizzante, per gli stessi mo vi cui alludevamo sopra, ma la
differenza è che nel rocinio, e solo nel rocinio ciò che in altri luoghi
dell’apprendimento alla professione è lasciato al caso, può essere
pianificato e valutato appieno.
Entrando poi nel merito dei problemi delle modalità concrete secondo le
quali viene scandito il tempo del rocinio e vengono u lizzate in quel
tempo le energie che in questo luogo sono spese non possiamo non
evidenziare una par colarità: la vicinanza al rocinante di un adulto che lo
accompagna, il tutor, circoscrive una modalità di rapporto del tu o
specifica che abbiamo definito accompagnamento.
Accompagnare significa le eralmente ‘mangiare lo stesso pane’ ed allude,
come abbiamo già visto ad un’area di in mità fra pochi a ori, spesso solo
due, che per un tempo spesso piu osto lungo sono molto vicine ed in
comunicazione fra loro.
Ciò implica una serie di difficoltà sia per il tutor legate alla sua ambivalenza
nei confron del giovane, ambivalenza che si manifesta
fenomenologicamente in una serie di manifestazioni che oscillano, a volte
paurosamente, fra pulsioni di impossessamento e di soffocamento del
giovane a pulsioni espulsive che possono rappresentare per il giovane una
pericolosa somiglianza con fantasmi genitoriali e istanze più precoci
a nen l’area degli ogge - Sè, con tu a una gamma intermedia di
sen men e di emozioni più mature ed emancipatorie.
Ma anche per il rocinante il discorso dell’ambivalenza si impone, se non
altro come reazione alle oscillazioni del tutor, reazione che si esprime nelle
pulsioni a conformarsi e a perdersi quasi nell’area indis nta degli ogge -
Sè, nelle voglie di ribellarsi e di disiden ficarsi, nei travagli di gestazione
del vero sé professionale cui per fortuna spesso il rocinio allude.
Il modello dell’accompagnamento, con le sue pressan e ravvicinate
sollecitazioni, impone spesso al neoadulto di rivedere le posizioni
ribellis che nei confron dei vecchi idoli e di acce are, a volte ob torto
collo, le mediazioni che il modello di integrazione nella professione
proposta dal tutor, le sue ascendenze scien fiche, i suoi s li di approccio e
di risoluzione dei problemi impongono.
Su questo piano, come abbiamo già visto, un grande spazio è occupato dai
fantasmi forma vi del tutor che marcano l’accompagnamento, lo
riempiono, diremmo, degli odori del tutor. E il rocinante deve fare ancora
una volta un percorso di aggregazione e di iden ficazione, di adeguamento
e di smarcamento che già aveva dovuto fare in adolescenza e che, come in
adolescenza, sono des nate a lasciare segni profondi, anche se a prima
vista non eviden , nell’iden tà professionale di ciascun giovane.
Sul piano temporale, come ci diceva anche Guerra, il collocamento del
rocinio in un percorso pre-diploma o pre-laurea, che la scuola può
controllare ed integrare, o post lauream in cui la scuola scompare è
importante sia per le ragioni cui abbiamo accennato sopra, ma anche per
a vare quell’opera di rifinitura delle imago ideali professionali che, come
ci diceva sempre Guerra, dovrebbero anche potere orientare il giovane
all’inizio del percorso forma vo professionalizzante.
Altro rischio sul piano della temporalità è quello che il tempo del rocinio
diven un tempo che invece di avvicinare alla professione, allontana il
giovane, lo ene fuori ar ficiosamente da essa, dal mercato del lavoro, di
essere stato pensato unicamente per allungare i tempi di stazionamento
del giovane in un luogo forma vo inauten co, un luogo che in altri tempi,
nel ’68, avevamo definito: silos, cioè parcheggio del giovane, in base ad
una concorrenza sleale del vecchio, armato dei suoi poteri e dei suoi
privilegi (fra i quali vanno senz’altro colloca gli ordini professionali) nei
confron del giovane indifeso e vessato spesso di inu li, costosi e
fuorvian percorsi di ulteriore professionalizzazione (mol master spesso
lo sono).
Il rocinio, infine, allorché è fa o in maniera decente è un luogo di
deidealizzazione, in cui di fronte alle innumerevoli prove di realtà cui il
giovane è so oposto, avvengono tan micro-lu quo diani, nella cui
elaborazione l’aiuto del tutor è decisivo.
E, da questo punto di vista, la natura discreta dell’accompagnamento che il
tutor esercita nei confron del rocinante, la sua dimensione par colare
che esula sia dall’ammaestramento che dall’anarchia, fanno si che il
rocinio diven un’area transizionale in cui si passa dalla dipendenza alla
individuazione, in cui teoria e pra ca si coniugano, in cui ci può essere uno
scambio fra generazioni di professionis , di modo che il nuovo nasca dal
vecchio, se non altro in polemica con esso e non come un fungo strano che
non si capisce dove trovi la propria linfa vitale.
Ed in questo percorso arrivare a definire progressivamente un’immagine di
sé realis ca in cui la tensione fra ciò che sono e ciò che vorrei essere
rimanga sempre in piedi, in cui ciò che passi sia in fondo un’immagine di
perfe bilità, e cioè il socra co ‘io so di non sapere’, diventa il vero
messaggio che il tutor può dare al rocinante, ed il rocinante può
raccogliere per con nuare con convinzione lungo un percorso di crescita
che nelle professioni di cura non finisce mai.
 
 
 
Bibliografia:
 
Angelini L., Dall’e ca padana del lavoro all’este ca consumista: l’adolescente reggiano di
oggi a confronto con quello di ieri (e di avant’ieri), La Melagrana, Reggio E., 2000
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Blos P., L’adolescenza, F. Angeli, Milano, 1980
Jeammet Ph., Psicopatologia dell’adolescenza, Roma, Borla, 1992
Laufer M. e M.E., Adolescenza e breakdown evolu vo, Boringhieri, Torino, 1986
Laffi S., Il furto: mercificazione dell’età giovanile, L’ancora del mediterraneo Ed., Napoli,
1999
Manoukian Olive , Per finire: a chi viaggia, in: AA.VV. Viaggi guida – Il rocinio ed il
processo tutoriale nelle professioni sociali e sanitarie, F. Angeli, Milano, 1997, pp.290-312
Mannoni O., La disiden ficazione, Pra che Ed., Parma
Pearson C., L’eroe dentro di noi, L’astrolabio, Roma, 1990
Pietropolli Charmet G., I nuovi adolescen , R. Cor na, Milano, 2000
Winnico D.W., Adolescenza: il diba ersi nella bonaccia, in: La famiglia e lo sviluppo
dell’individuo, Armando, Roma, 1968 (cap.10°)
 
 
 
Tirocinan e tutor: riflessioni sui significa di una
esperienza di tutoring
 
di Angela Dardani
 
 
Ruolo dell’esperienza: mi sto chiedendo perché nonostante la mia
esperienza di qua ro, cinque anni nella funzione di tutor, sia così difficile
iniziare a parlarne…Ma questa domanda, mi rimanda all’importanza di
tenere conto, nel processo forma vo, dell’esperienza degli/delle altri/e:
indipendentemente dall’età, dal tolo di studio, dal lavoro svolto, chi arriva
a frequentare i corsi deve avere la possibilità di esprimere, raccontare,
condividere la sua storia. Non è solo una modalità per far nascere il
"gruppo classe", ma "la cura di sé come narrazione risca a la paura della
solitudine e ci autorizza a trasformarla in conquista". Il ruolo del/della
Tutor può favorire o meno relazioni concrete fondate sullo scambio di
parola,(lavoro di gruppo, colloqui individuali) nell’u lizzo di differen
strumen per la scri ura (in forma di diario, autobiografia, biografie,
schede osserva ve, schede di autovalutazione e di valutazione). La parola
perme e uno scambio da cui nasce sapere. "Possiamo, anzi dobbiamo dare
valore alla dimensione del sapere dell’esperienza, pensarla, farne discorso,
riconoscerla e dargli forza e autorità…. Nei corsi per Adde o/a
all’Assistenza di Base che seguo, l’interrogare, rifle ere sulla esperienza
sogge va e colle va, come uomo/donna nella cura (ambito familiare ed
ambito lavora vo o di stage) diventa ancor più indispensabile. Alla
domanda : "Quale sapere viene dall’esperienza?" prendo a pres to questa
risposta: "Si può dire di essere di fronte ad un sapere che nasce
dall’esperienza quando le idee e le strategie che lo stru urano cos tuiscono
la forma emergente di una pra ca di riflessione intorno al proprio vissuto. Il
vissuto è l’accadere delle cose che ciascuno vive; l’esperienza c’è laddove il
vissuto è accompagnato dal pensiero. Il sapere che viene dall’esperienza è
quindi, quello di chi si man ene in un rapporto di pensosità rispe o
all’accadere delle cose, di chi non acce a di stare nel mondo secondo i
criteri di significazione già da , ma è alla ricerca di una sua misura." . Con
par colare riferimento all’ambito dei nostri corsi dove l’esperienza del dare
e ricevere cura è un’esperienza esistenziale ancor prima che professionale,
che parte da un sapere quo diano femminile che si cos tuisce a par re dal
legame con la madre. Allora valorizzare l’origine materna, l’esperienza ,si
traduce nel valorizzare la sogge vità di chi si forma e di chi lavora nei
servizi, nel cercare di dare visibilità, consapevolezza anche alla dimensione
sessuata, alle iden tà corporee sia di chi dà, sia di chi riceve cura.
 
Rapporto tra Tutor e Tirocinante: la relazione perme e l’avvicinamento, la
curiosità, il superamento delle proprie difese (da parte di entrambi), è un
po di rapporto che definirei piu osto più vicino allo scambio. Certo, io
come Tutor d’aula o Tutor di rocinio, oppure come Docente, occupo una
posizione differente per le competenze che già possiedo e, come nella
relazione d’aiuto, offro un dare, un istruire, trasferisco risorse, conoscenze
"tecniche" ma anche valori, facilito un apprendimento, s molo la
formazione di a eggiamen cogni vi, opera vi, di ricerca e relazionali,
guido all’acquisizione di metodologie, del saper leggere il contesto, del
saper cooperare, negoziare, della capacità di assumersi responsabilità e
della capacità di proge are, e questo rapporto è di po complementare,
asimmetrico. Non dimen co comunque l’altra dimensione, anch’essa
presente nella relazione d’aiuto : ver cale, in quanto c’è una certa
dipendenza reciproca che ci consente di mantenere e ricostruire l’iden tà,
c’è un senso di uguaglianza di posizioni, entrambe tolari di diri ,
coinvolte in emozioni, rispecchiamen , in temute esplorazioni o in
fiduciose e generose aperture. Questa condivisione, che ci me e nel vivo
dei nostri limi , delle nostre inadeguatezze, delle nostre paure, così come
con le nostre autorevoli forze e conoscenze - esperienze – risorse ci
rinnova. "Orizzontale e ver cale: insieme si sostengono a vicenda: l’uno è
fru o dell’altra. Insieme, cos tuiscono complessi intrecci comunica vi dai
quali a nessuna delle par in gioco è dato di uscire. Le iden tà personali e
colle ve, le conoscenze e le competenze che ciascuna delle par imme e
in quell’intreccio, entrano fin da subito in un più ampio processo, ogni volta
unico e irripe bile, di reciproca ridefinizione e riposizionamento". Anch’io
Tutor o Docente imparo, faccio sì che anche l’imprevisto, l’ina eso prenda
il suo spazio, faccio spazio all’incontro (incontri di ammirazione, di alleanze
e comprensioni, ma anche di rifiuto, di cri ca e di chiarificazione che
necessita di ferma autorevolezza).E’ difficile stare in questo luogo dove
devono convivere regole e libertà, controllo e rispe o, necessità del
gruppo e dell’organizzazione con necessità sogge ve e con ngen ,
"neutralità" come garanzia di pari opportunità e simpa a, relazioni
privilegiate. Così come scrivono Vita Cosen no e Giannina Longobardi
alcuni ragazzi e ragazze "portano nelle scuole una domanda ineludibile di
cambiamento: scardinano il rapporto convenzionale,… fanno apparire nella
loro reale miseria gli armamentari del potere scolas co,…ma ho potuto
sperimentare come anche il maternage sia una finta risposta, si presta ad
essere usato strumentalmente da entrambe le par …portano a scuola
anche un bisogno di relazioni sociali…il senso solo mercan le della scuola
appare ai loro occhi nella sua irrealtà e non può bastare… non possono
rimandare al futuro, la scuola deve avere senso nel loro presente… nei fa
una scuola in cui si insegna una cultura legata alla vita…essere spazio
comune che vive di quanto in prima persona agiamo di desideri ,di passioni
di intelligenza delle cose…Curiosità e passioni nascono quando si vede che
ciò che insegni tocca, che c'è relazione tra te e la cosa che dici. La loro
sogge vità trova lo spazio di crescere e di esprimersi solo se tu mostri
sogge vità ed apertura all’ascolto. Sicuramente il/la Docente o/e Tutor
tengono presente gli obie vi ed i contenu forma vi, lo sviluppo delle
cosidde e competenze di base, trasversali e professionali, l’individuazione
del collegamento tra iden tà personale e ruolo professionale, ma il lavoro
di cura ci insegna (e si insegna) a me ere al centro le relazioni. E’ nella
relazione che misuriamo la nostra possibilità di influenzare la realtà, la
nostra capacità di agire, di cambiamento. In par colare per chi ha lavorato
da anni nel sociale, c’è la sensazione che "i saperi tecnico-specialis ci e le
procedure aziendali efficien ste" debbano essere accompagna da valori,
perché no, anche "dall’utopia di dare / di lavorare con "agio, benessere",
evitando la spersonalizzazione e so olineando che oltre alle prestazioni,
agli interven insieme viene scambiata la qualità di esseri umani, qualcuna
lo chiamerebbe "agire simbolico": "Acce are la disparità del nostro
rapporto con il reale non significa però rinunciare a indicare la direzione
verso la quale vogliamo muoverci" .
 
Un altro conce o che mi richiama la relazione (quindi anche la relazione
d’aiuto e la relazione tra Tutor e Tirocinante), è l’empa a. Empa a come
"forma di accesso al mondo mediante la relazione con l’alterità", scrivono
nell’introduzione Laura Boella e Annarosa Bu arelli ."contro molte
concezioni dell’empa a come immedesimazione o immediata
partecipazione emo va, la separazione, anzi la discon nuità tra me e
l’altra, l’altro, vuol dire una cosa molto importante: prima ancora della
partecipazione, anzi per darle la sua piena verità, conta entrare in
relazione. L’empa a ha tu a l’intensità del sen re, non è una forma di
conoscenza intelle uale. Il suo valore cogni vo è il rendersi conto
dell’essere in relazione, ossia una comprensione che è viversi come non
autosufficien , come limita e aper a qualcosa d’altro." Come io Tutor o
/e Docente traduco tu o questo in un "pa o forma vo"? Questa è la sfida
che ogni volta ci a ende: passando dalla strada dell’ascolto, dalla
valorizzazione delle esperienze, dalla costruzione di reciprocità e fiducia,
del rispe o, me endo in circolo le differenze e le diverse rappresentazioni
sociali (pensiamo al numero crescente di persone migran in questo
ambito lavora vo e forma vo) inoltre non negando che l’incontro può
anche essere confli o con altro/altra. Mi preme soffermarmi su questo
aspe o perché ritengo che, a tu i livelli, la ges one del confli o debba
entrare a peno tolo tra i saperi ed i contenu forma vi. Credo che in
par colare le esperienze e le poli che della differenza di genere abbiano
da insegnare rispe o alla mediazione. Mediazione che è cos tuta di senso
di appartenenza ma anche di differenza, di saper ascoltare a vamente ma
anche di saper argomentare, del saper comunicare non esclusivamente con
il registro verbale, di saper fare cri che ma anche di saper ricevere cri che,
del saper valutare ma anche del saper autovalutare, dell’accogliere pun di
vista differen senza troppo rinunciare a sé…Nel lavoro di gruppo in aula,
nel lavoro quo diano di equipe (o durante lo stage / rocinio), così come
nella relazione Tutor-Tirocinante, occorre promuovere la mediazione
(anche per la costruzione reale di "re di comunità" e per servizi meno
autoreferenziali).
 
Altro nodo che mi richiama la relazione è il ruolo dell’errore : insegnare ed
imparare a trovare noi (tu /e) la misura del nostro agire ci forma alla
responsabilità. E non sempre pur assumendoci questa responsabilità
troviamo soluzioni adeguate: "Cos tu ve di ogni sapere sono non solo gli
elemen di incertezza ma anche delle zone d’ombra. Un sapere che si dice
con lealtà non può non fare posto anche ai suoi la oscuri, alle zone
intessute di incertezze e di contraddizioni laceran . Del resto è proprio il
mantenere lo sguardo a ento ai vuo di sapere e alle sue contraddizioni
che genera la disposizione ad interrogare l’esperienza". Esperienza nostra e
dell’altro, dell’altra. Esperienza dei limi nostri prima ancora che altri.
Convergo quindi alla visione di Angelini su un ampliamento rispe o ai limi
del pa o forma vo, la difficoltà sta nel dare visibilità e dignità, far passare
tu o ciò come "esempio consapevole", metodo, valore.
 
Val più la pra ca della gramma ca? nei nostri corsi si svolgono 900 ore di
cui 450 di teoria e 450 di stage, per condurre al meglio l’esperienza di
rocinio la Tutor e la Coordinatrice a vano una serie di incontri (prima,
durante e dopo) con i servizi invitando le figure di riferimento in par colare
l’ADB Tutor (Tutor aziendale). Le/i corsiste/i sono informa di questo
stre o rapporto che ha l’obie vo di condividere gli obie vi forma vi, gli
strumen di valutazione e di cercare insieme soluzioni nel caso emergano
problema che. Inoltre nella proge azione dei contenu si cerca di
ada are la teoria alla pra ca e quindi ai differen contes locali della rete
dei servizi. Tu o questo lavoro di relazioni e comunicazioni sta ala base del
rocinio. Quindi la domanda iniziale vuole essere provocatoria: non
dovrebbe esserci un gap tra queste due dimensioni in quanto l’una
perfeziona l’altra se si rinforzano a raverso il racconto dell’esperienza ed
a raverso il confronto. Inoltre teniamo presente che il turn over in ques
servizi è alto: chi oggi lavora con gli anziani domani potrebbe lavorare nella
psichiatria o in altri contes nel sociale, quindi "la gramma ca" non può
accontentarsi di dare mezzi, metodologie, strumen "pron all’uso" per il
presente, ma deve cos tuire una visione più ampia per il futuro, dove è
importante imparare a pensare, a lavorare in gruppo e per proge , essere
capace di far fronte agli imprevis e ai cambiamen , acquisire capacità di
problem solving. Ma "Il punto è che la pra ca è una gramma ca. La rete di
nervature delle pra che stru ura e orienta potentemente il mondo, fa
mondo…La pra ca cos tuisce il primo riferimento sul quale si incardina
ogni determinazione di significato. In essa inoltre si sedimenta la
significazione riuscita, quella che ha fa o presa sul mondo e che diventa
senso comune, lo sfondo d’autorità dal quale sempre si stagliano i
successivi giudizi, e si formeranno le individuazioni. Anche per questo
stru urarsi della significazione è importante dare dei criteri per la scelta
dell’ADB Tutor, non solo che sia qualificata e con esperienza, ma mo vata al
lavoro sociale e mo vata ad essere formatrice, che possa in termini di
tempo e in termini cogni vi e relazionali condurre un affiancamento
costante e trasme ere non solo tecniche e metodologie ma anche valori,
a eggiamen , e ca. Oltre a insegnare e valutare occorre che si s molino
capacità di esercitare pensiero, giudizio, capacità di prendere decisioni ed
autonomia e di confronto e collaborazione nel lavoro di equipe. Quindi
pra che e tecniche sì, ma a enzione a "che non si trasformino in un morto
meccanismo che irrigidisce la fluidità del movimento della vita, che non
dimen chi la par colarità delle situazioni e dei contes in nome
dell’universalità, che non possa fare a meno della persona in carne ed ossa
e delle loro relazioni"… "Un sapere pra co non vive da solo, non si può
fissarlo una volta per sempre, si trasme e personalmente con le forme
della tradizione, con la relazione dire a, viva, in presenza.. . Dargli autorità
significa dare autorità al sistema di relazioni che lo sos ene...".
 
Concordo sulle opinioni che affermano che "è in a o un pericolosissimo
processo di mis ficazione, che fa di tu o per proporci come an te ci
esercizio della cri ca e formazione professionale".
 
 
 
 
 
L’accompagnamento nei processi matura vi dei giovani:
le funzioni del tutoring nei confron dei giovani
volontari e rocinan
 
di Leonardo Angelini
 
 
Nell’anno scorso, come OPEN G e come Gancio Originale, abbiamo avviato
un insieme di seminari, che si concluderanno il 12.12 ps., sul rapporto fra
rocinante e tutor, fra giovani volontari e tutor.
Vi è infa più un elemento che accomuna il giovane volontario al giovane
rocinante che cominciano a svolgere la loro opera nei mes eri della cura:
entrambi svolgono un lavoro non remunerato;
entrambi svolgono un doppio lavoro: sugli altri, cioè su coloro che hanno
bisogno di cure, ma anche su se stessi, sul flusso di emozioni e di
sen men che nascono nella cura, sulle trasformazioni che lungo questo
operare avviene dentro ciascuno di loro;
entrambi quindi svolgono un lavoro non remunerato che richiede un
accompagnamento, se non si vuole che il giovane sia travolto dalla cura;
entrambi hanno bisogno che il loro operare avvenga in contenitori che,
prima ancora del loro disporsi verso la cura si a ualizzi, siano ada o siano
sta ada a da altri, più adul di loro, alle disposizioni personali di
ciascuno; entrambi devono potere vivere questa esperienza come un
passaggio, o meglio come un momento del loro passaggio all’età adulta, e
quindi devono sen rsi sospin ad andare oltre, a non rimanere lì, e
sopra u o devono sen rsi liberi e non oppressi dalla colpa e dal rica o;
entrambi in defini va si trovano nella situazione in cui una serie di
elemen che indicano il percorso verso l’età adulta sono presen e
richiedono un certo tasso di cerimonializzazione, nonché dei sacerdo del
passaggio in grado di aiutare il giovane lungo questo per noi lunghissimo
percorso con tu a la discrezione e la cautela che quest’età richiede agli
adul che accompagnano i giovani, i cosidde tutor.
 
 
 
L’esperienza dell’accompagnamento: due pi di tutor
 
Nelle esperienze di rocinio che sono svolte in concomitanza con altri
momen forma vi svol in aula (cioè con le lezioni) nella pra ca
pedagogica anche da noi si vanno evidenziando due figure preposte
all’accompagnamento: il tutor d’aula e il tutor di rocinio.
Il tutor d’aula cura il reperimento delle sedi di rocinio, l’ada amento
ques luoghi alle esigenze dei prossimi rocinan , l’individuazione dei
tutor di rocinio, l’analisi delle propensioni individuali di modo che sia
possibile fare dei buoni abbinamen , il rapporto con i docen d’aula,
l’ascolto in i nere dei rocinan circa le difficoltà che incontrano durante il
rocinio, la ges one della valutazione finale del rocinio effe uato.
Il tutor di rocinio invece, a raverso gli strumen pedagogici dell’esempio
e del prece orato, più che con la lezione frontale, mostra al rocinante,
cerca di far passare in lui le competenze necessarie affinché impari a
operare, e con la sua osservazione partecipe esprime delle valutazioni
sull’operato del rocinante a lui assegnato.
 
Il volontario, così come il rocinante che svolge la sua opera in un
momento post diploma o post lauream, apparentemente non hanno un
tutor d’aula: in effe , almeno nel caso di Gancio originale, vi è una figura
per noi importan ssima in sede centrale, e spesso anche in scuola sono
presen figure che svolgono tu e le funzioni piche del tutor d’aula che
prima abbiamo elencato. Queste figure potrebbero essere denominate
tutor is tuen anche se la loro funzione va al di là di quelle, pur
importan ssime di precos tuzione di spazi ada e di abbinamento
o male.
Ma anche nei luoghi in cui concretamente si svolge l’opera di volontariato
sono presen tutor di rocinio che svolgono opera di guida nei confron
dei più giovani, di valutazione del loro operato al fine di un miglioramento
dell’opera svolta.
 

Il ‘prima’ dell’accompagnamento: predisporre dei contenitori ada al


giovane volontario
 
Si tra a di un lavoro che impegna non solo lo staff di Gancio Originale, ma
tu e le scuole medie inferiori della ci à e buona parte ormai delle
superiori.
Le cara eris che che ritroviamo in tu ques contenitori sono:
la liminarità di ques luoghi di cura, il loro essere al riparo dallo sguardo
adulto, come dicevamo prima, in modo da predisporre un terreno nel
quale sia garan ta una operosità discreta;
la delimitazione di un tempo per l’impegno che non sia molto intenso e che
non sia sovraccaricato di significa esterni a quelli che hanno spinto il
giovane ad impegnarsi;
la tutela del giovane volontario da parte di altri giovani solo un poco più
esper , di modo che la responsabilità risul diffusa e non concentrata in
mani adulte che di fa o esautorerebbero il giovane, lo ricondurrebbero a
figlio o allievo;
la predisposizione del luogo di apprendimento scolas co, ma come ‘luogo
di restaurazione’: questo risulta di difficile comprensione non per i nostri
volontari, ma per quegli spezzoni di scuola che non vivono un rapporto
dire o con Gancio, ma si limitano ad inviarvi i bambini i ragazzi in difficoltà
poiché vivono ques luoghi come una sorta di doposcuola;
la cura degli aspe teorico-pra ci che sono alla base dell’esperienza
a raverso la predisposizione di momen forma vi (cicli di conferenze,
seminari, atelier) che non partano dalla banalizzazione degli argomen , ma
al contrario da una seria riflessione sui significa intrinseci delle cose;
la cura per gli aspe rela vi ai movimen che il volontario deve compiere
per giungere nei luoghi della cura: non dimen chiamo che si tra a di
giovanissimi che spesso non sono pienamente autonomi sul piano degli
spostamen in ci à;
e, cosa più importante di tu e, l’estrema cura nel definire gli abbinamen ,
nel favorire i primi approcci, nel mantenere il rapporto con gli operatori
della sanità e della scuola.
 
 
Il ‘durante’ dell’accompagnamento, ovvero: accompagnamento e
discrezione
 
Nella pra ca è difficile che i più anziani fra noi si relazionino dire amente
con i volontari.
In effe ciò che accade è una specie di catena di Sant’Antonio in cui il
ragazzo a rischio è in relazione dire a con un volontario, che a sua volta è
guidato da un giovane rocinante dell’ul ma generazione, che ha agganci
con altri giovani rocinan della penul ma generazione, che sono guida a
loro volta da giovani psicologhe borsiste, che si relazionano con i più
anziani in luoghi is tuzionali del po: supervisione, o del po: verifica e
ri\programmazione.
Luoghi di relazione più dire a fra i più anziani e i giovani sono: il
reclutamento, il counselling individuale ad opera dei tutor is tuen , che
avviene solo su richiesta dei giovani volontari, e la formazione, che viene
definita in un rapporto diale co fra esigenze espresse dai giovani e
proposte che intui vamente il gruppo dei più anziani fa di tanto in tanto.
In questo modo viene tutelato il fare nella sua parte più nucleare e
frontale, che non è dire amente so o lo sguardo adulto e perciò può
diventare il luogo di proposizione e di sperimentazione della cura, e
sopra u o del nuovo che ci può essere nella cura che giovani prestano ad
altri giovani, di quegli elemen di crea vità, di informalità, di in mità, di
scambio che solo la scarsa distanza generazionale può far nascere e che
uno sguardo adulto potrebbe velocissimamente guastare.
Ciò è tanto vero che da qualche anno assis amo al fenomeno di
giovanissimi che hanno partecipato ai workshop e che alla fine desiderano
con nuare svolgendo per qualche tempo funzioni di assisten volontari
nella cura di cui fino all’anno precedente erano sta ogge o.
 
 
 
La fase finale dell’accompagnamento, ovvero: mangiare lo stesso pane e
separarsi
 
Accompagnare significa mangiare lo stesso pane.
E l’a o del mangiare lo stesso pane rimanda all’immagine di un desco
comune intorno al quale tu mangiano lo stesso pane: insomma
all’immagine di appartenenza ad una stessa famiglia.
Anche in una famiglia però la generazione dei genitori, ad un certo punto,
deve prendere a o che i figli crescono a vanno oltre i genitori,
abbandonano il desco familiare e pongono le basi per costruirsene uno
proprio.
Questa tendenza ad abbandonare il desco ed andare oltre è ancora più
accentuata nei luoghi del volontariato giovanile. Non per niente ci è venuta
in mente l’ascia di Washington quando abbiamo compreso questo: ascia
ancora là, in bella vista, anche se nel fra empo le sono sta cambia sei
volte il manico e due volte il ferro.
I giovani volontari passano e Gancio resta a disposizione dei nuovi venu ,
come l’ascia di Washington, che rimane se stessa nonostante non lo sia da
un punto di vista materiale.
E’ per questo che è difficile trasformare Gancio in una associazione; è per
questo che Gancio deve affrontare tu e le coniugazioni e tu e le
separazioni che derivano da questo con nuo transito; è per questo che
l’accompagnamento nelle stru ure di volontariato giovanile somiglia più ad
una a raversata di un passo alpino che ad un lungo viaggio.
 
 
 
La prospe va del cambiamento: una minaccia o una
promessa?
Considerazioni sull’esperienza del cambiamento a par re da ciò che
avviene in un gruppo di volontariato giovanile: Gancio Originale17
 
di Deliana Bertani
 
 
 
1. L’accompagnamento come elemento che a u sce le ansie e le angosce
che intervengono nell’imminenza del cambiamento
 
Nell’imminenza di un cambiamento in tu gli individui, e non solo in
coloro che sono o paiono più fragili, si accentuano le ansie e le angosce con
le quali solitamente conviviamo.
Allorché siamo sta avvisa dell’incontro odierno, sia voi che io, sia noi che
gli organizzatori dell’incontro abbiamo dovuto comba ere delle piccole
guerre interne fra par di noi che hanno vissuto bene quest’incontro e
par che invece lo hanno temuto. Da questo confli o interno derivano
l’ansia e l’angoscia nei confron del nuovo, che possono variare da
individuo a individuo, da circostanza a circostanza, ma che ci prende tu
ogni volta che all’orizzonte c’è qualcosa di nuovo.
Ansia e angoscia quindi hanno a che fare con il futuro, e non è de o che
siano solo elemen di disturbo nel definire il nostro a eggiamento nei
confron del futuro, ma anzi – a saperle usare bene - possono essere
trasformate in poten armi che ci perme ono di programmare meglio il
nostro futuro.
In effe , come sa qualsiasi studente che si appresta a fare un esame, un
certo tasso di ansia (non eccessivo e paralizzante) nei confron dell’esame,
cioè ciò che solitamente viene chiamata ‘la paura dell’esame’ è una
potente arma che ci perme e di rimanere concentra sull’esame e di
superarlo, ed al contrario l’assenza di ansia spesso ci porta a so ovalutare
lo sforzo occorrente per affrontare l’esame, ed infine a ‘saltare l’esame’.
Di fronte al cambiamento il problema non è quello di fare la poli ca dello
struzzo, ma di usare per il meglio se stessi e l’organizzazione in cui si è
inseri per trasformare l’ansia e l’angoscia che inevitabilmente sorgono in
queste occasioni in elemen che perme ono di non farsi travolgere dal
cambiamento, ma di governarlo, di programmarlo.
L’accompagnamento è una delle strategie più efficaci per governare il
cambiamento allorché, come avviene in Gancio Originale, sulla scena
organizza va vi siano più generazioni di operatori poiché perme e a tu
gli a ori di ricollocarsi l’uno rispe o all’altro in modo coordinato e
complementare, e di trasformare così le ansie in elemen di
programmazione e di cooperazione intergenerazionale.
Da noi avviene che i bambini e i ragazzi a rischio siano segui da giovani
delle superiori che a loro volta, come in una catena di Sant’Antonio
dell’accompagnamento, sono segui da giovani psicologi rocinan , che
sono supervisiona da psicologi più anziani, che a loro volta sono
supervisiona da un esperto esterno (che forse avrà da qualche parte una
persona più saggia che lo aiuta di tanto in tanto).
Accompagnare significa le eralmente “mangiare lo stesso pane”, cioè
diventare parte della stessa famiglia: qualcosa che ha un profondo
significato e da un punto di vista laico (compagni!) e da quello religioso
(‘prendete e mangiate...’).
Accompagnare significa introdurre nella ver calità di un raffronto
intergenerazionale degli elemen di compartecipazione e di condivisione
che a u scono le distanze e ci fanno sen re più vicini.
 
 
 
2.L’ascia di Washington: rimanere se stessi nel cambiamento
 
Nella casa natale di George Washington ancora è in bella vista l’ascia del
primo presidente degli USA. A coloro che chiedono coma abbia fa o
quell’ascia a giungere fino a noi gli adde spiegano che è la stessa, ma che
nel fra empo le sono sta cambia sei volte il manico e due volte il ferro.
Anche il nostro gruppo di volontariato è come l’ascia di Washington ed ogni
anno rinnova i suoi aderen , pur rimanendo se stessa nel cambiamento.
Rimanere se stessi nel cambiamento: cos’è che fa si che avvenga questo
fenomeno? Cos’è che perme e agli individui e alle organizzazioni
con nuare a riconoscere se stessi, pur di fronte a grandi cambiamen ?
Nel caso dell’ascia di Washington è l’aura che c’è intorno ad essa, cioè
quell’atmosfera incantata che i custodi della casa del grande presidente
hanno saputo creare e che fa si che il visitatore vede l’ascia e pensa
immediatamente alle mani del presidente che tanto tempo fa la strinsero.
Nel caso di Gancio Originale il fa o che per un insieme di circostanze i
pochi che rimangono ci tengono da una parte a mantenersi fedeli
all’elemento fondante dell’iden tà di Gancio, dall’altra la disposizione di
ques ul mi di ada are l’idea di Gancio e se stessi ai cambiamen impos
sia dalle novità che ogni nuovo bambino disabile seguito da noi ci pone, sia
dall’iden tà e dalle competenze dei nuovi volontari che nel fra empo
siamo riusci ad agganciare.
Rimanere se stessi nel cambiamento: un compito che per gli individui e le
organizzazioni è di vitale importanza.
Infa che cos’è un individuo che nel passaggio da una fascia di età ad
un’altra non è capace di ridefinire se stesso? Che cos’è un adolescente che
una volta diventato adulto non è capace di prendersi le sue responsabilità:
un vitellone des nato a rimanere ai margini dell’età adulta, una caricatura
di un adulto.
Allo stesso modo un’organizzazione che non è capace realizzare il
paradosso apparente di trasformarsi pur rimanendo se stessa, di
mantenere i connota originali della propria mission sapendoli ada are
alle mutate circostanze alla fine rischia di diventare la caricatura di se
stessa o di irrigidirsi in rituali che piano piano perdono i loro significa
originari per diventare altra cosa.
Nell’incontro fra due iden tà diverse, come può essere quello fra due
gruppi di individui che, pur accomuna dallo stesso ideale, appartengono a
generazioni diverse vi è sempre una osmosi che nei casi estremi avviene a
scapito dell’una o dell’altra iden tà generazionale, nella maggioranza dei
casi a raverso uno scambio in base al quale è possibile crescere e
collaborare.
So che a volte è difficile acce are quella specie di me cciato, cioè quella
specie di incrocio fra iden tà diverse che alla fine sono tu e le
organizzazioni. Lo è sopra u o allorché coloro che sono in esse da più
tempo e che in esse si sono spesi al massimo vedono arrivare gli ul mi, i
più giovani che con furia me ono mano a tu o ciò che la tradizione ha
fa cosamente costruito senza rispe o per i più anziani. Ma se si vuole il
cambiamento e non si ha paura di esso anche questo va acce ato,
esa amente come in famiglia gli ardori dei giovani, la loro voglia di
ribellarsi ai padri è sintomo della loro crescente capacità di andare da soli
per il mondo.
Di modo che il vecchio e il nuovo insieme affron no risolutamente le sfide
che l’oggi pone.
 
 
3.Il cambiamento come una minaccia e come una promessa
 
Tu e le ansie e le angosce che sen amo nei confron del cambiamento,
tu e le resistenze che incontriamo in noi allorché ci appres amo a
cambiare stanno a significare che dentro di noi ci sono almeno due istanze
che entrano in gioco in queste circostanze.
Vi è una parte più pavida e circospe a dentro di noi che vive il
cambiamento come una minaccia. E, a fianco ad essa, una parte più
coraggiosa, che a volte può diventate sventata, che vive il cambiamento
come una promessa.
La minaccia è quella che l’equilibrio a fa ca raggiunto sia messo in crisi e
che il nuovo risul troppo mostruoso, troppo diverso dall’oggi: di fronte a
questa minaccia la tentazione, come dicevamo prima, può essere quella di
fare poli ca dello struzzo, di me ere la testa so o la sabbia sperando che
nulla cambi nel fra empo, o peggio di sabotare il cambiamento, ma anche
quella di muoversi verso il nuovo con circospezione e con un tasso di
more che non impedisce di potere vedere le potenzialità presen nel
nuovo.
La promessa è quella che dal nuovo nasca qualcosa di bello che ci fa
sen re giovani, crea vi, produ vi. Il nuovo in questo caso è visto come un
lievito che pervade il cambiamento e ci fa immaginare il futuro come
gravido di cose importan che possono da noi essere pensate,
programmate, fa e. Se il nuovo viene sposato, però, in maniera acri ca e
senza alcuna manovra volta a vedere cosa in effe il nuovo significa può
dar luogo a svolte improvvise, ad un andamento a zig-zag che, se persiste,
può essere foriero non di un vero e profondo cambiamento, ma di un
procedere secondo le mode del momento.
In ogni caso è in base a queste due istanze, interne a noi individui e a noi
organizzazioni, che di fronte al cambiamento avviene come una lo a, a
volte senza esclusione di colpi fra voglia di cambiare e voglia di non
cambiare, fra par coraggiose e par pavide, fra par eccessivamente
preoccupate e par troppo o mis che di fronte al cambiamento.
Così che nell’individuo può succedere che le par pavide sviluppino tu a
una serie di strategie psicologiche volte a sabotare il cambiamento: una
mala a psicosoma ca, o una depressione dovuta al lu o per le par
vecchie che queste par nostalgiche di noi pensano di perdere nel
cambiamento, una fobia, etc...
Nelle organizzazioni spesso accade che ci si divida in gruppi e che alcuni
individui, di fronte al cambiamento, assumano su di sè tu mori e si
stru urino come gruppo contrario al cambiamento, mentre altri assumano
su di sè, come gruppo, il coraggio di cambiare e che le cose si me ano
pericolosamente sul piano di una lo a fra gruppi contrappos che spesso è
l’an camera della perdita di opera vità del gruppo e del suo degradare
verso modi ci convivenza di po familiare e non opera vo, per cui le cose si
fanno solo ‘se tu mi vuoi bene’ se appar eni al mio stesso clan, e non
perché servono all’organizzazione: ciò avviene se non c’è dialogo all’interno
dei vari gruppi e se non si è dispos a decentrarsi e ad ascoltare le ragioni
degli altri.
E’ chiaro che l’organizzazione non deve mai augurarsi che i gruppi arrivino a
ques livelli di distru vità, poiché di questo passo si arriva solo alla paralisi
opera va.
Fortunatamente il più delle volte si arriva ad un compromesso fra i vari
gruppi e fra i vari operatori che salva l’opera vità e che perme e a tu di
con nuare a sen rsi come parte di un tu o.
In ques casi ciò che accade è un dialogo che parte dal riconoscimento da
parte dei più audaci che in coloro che rappresentano le par morose vi
può essere il presen mento di pericoli reali nel nuovo, pericoli che vanno
affronta e non so ovaluta ; e - di converso - il riconoscimento, da parte
dei più pavidi, che coloro che più risolutamente vanno verso il
cambiamento contengono la rappresentazione di un nuovo punto di
equilibrio futuro che può essere visto anche da loro come perseguibile.
L’organizzazione cioè può trarre vantaggio sia dalle preoccupazioni degli
uni, sia dal coraggio degli altri per creare un impasto di azione e di
riflessione, di avanzamento verso il nuovo, ma anche di tutela delle cose
più importan della tradizione, che possono garan re un cambiamento
condiviso e realmente u le ed efficace.
 
 
 
 
 
 
 
4ª parte: Sul rocinio post-lauream in psicologia
 
 
Chi ha paura dei giovani psicologi?181
 
di Leonardo Angelini
 
C'è uno spe ro che si aggira per l'Italia: quello del giovane psicologo. Ne
parlano con terrore sindacalis delle corporazioni professionali e docen
delle facoltà, psichiatri imbarca nel Polo ed autorevoli membri dell'ordine,
corpora vis dell'ul ma ora e falsi "liberis " che alzano lodi al mercato
solo quando conviene a loro.
Sostanzialmente le proposte avanzate da tu e le par che hanno voce in
capitolo sono di erigere stecca , vere e proprie barriere doganali a difesa
degli or celli appena appodera , mol plicare gli esami, diversificare gli
sbocchi, squalificare i corsi di studio, tenere in una situazione di marginalità
le scuole non asservite all'accademia, e, nello stesso tempo, creare delle
sine cura des nate a formare, sul preclaro esempio di molte facoltà e
professioni già corpora vizzate, nipo , paren , compari e cumparielli.
E' ora di dire basta a chi fa scempio dell'impegno dei giovani!
E' ora che i giovani, sopra u o quelli che ancora non sono dispersi nei
mille luoghi del rocinio o a casa in a esa di un posto, ma che si
incontrano, si guardano in faccia, si studiano morosi di vedere nell'amico,
nel compagno di studi di oggi il concorrente di domani, è ora che loro,
insieme ai più accor dei loro colleghi più anziani facciano sen re la loro
voce solidale!
Ed a loro vorrei rivolgermi sopra u o nel proporre i cinque pun che
seguono che vogliono essere un primo contributo per s molare una
riflessione che sfoci nella espressione di quella parola che manca nel
diba to a uale sul des no della nostra professione, la loro.
1. Alla fine del biennio iniziale degli studi, a mio avviso, sarebbe opportuno
dis nguere fra coloro che hanno totalizzato, negli esami fondamentali, una
media superiore a tot\trentesimi e coloro che non l'hanno totalizzata: per i
primi, e solo per i primi, dovrebbe essere possibile iscriversi nell'indirizzo
sperimentale, quello dei futuri Proff. e ricercatori. In questo modo, a mio
avviso si potrebbe a u re quella tendenza da parte dei docen dei primi
anni a richiedere narcisis camente che lo studente di psicologia sia una
specie di fotocopia del proprio pensiero psicologico: questo va bene se la
selezione che il docente fa è quella di reperire coloro che perpetueranno
ed innoveranno il suo lavoro, non è per niente comprensibile per tu gli
altri. Togliamogli quest'ansia e forse saranno meno carogne!
2. An cipare il rocinio fin dal primo anno di studi, facendo degli ampi
accordi (remunera ) sopra u o con le is tuzioni pubbliche (Usl, etc.) e
private che hanno psicologi nei propri organici, oppure, sempre con forme
di tutoring esercitate da psicologi già patenta , in is tuzioni che possono
diventare terreno di osservazione per giovani psicologi (penso agli asili nido
ed alle scuole materne, o alle scuole dell'obbligo, ad esempio).
Si potrebbe prevedere un crescendo di impegno che da un minimo di ore
di rocinio nel primo anno, vada a definire, nel secondo triennio un monte
ore che alla fine consenta di eliminare l'odioso anno di rocinio e di
accedere all'esame di stato subito dopo la laurea.
Ciò consen rebbe al giovane futuro collega di vedere de visu che cos'è la
professione, all'anziano di esprimere, con una valutazione di fine anno, un
voto sulla capacità del giovane di procedere, ed un parere sulle difficoltà
eventualmente incontrate. Parere che potrebbe essere discusso in sede
accademica con i responsabili accademici del rocinio e che potrebbe
concludersi anche con la raccomandazione di cambiare aria (specie nei
primi due anni).
3.Centrare la tesi di laurea sull'indirizzo scelto dal giovane e prevedere la
possibilità che, insieme al relatore possa esserci anche un correlatore
esterno all'università.
Acce are proposte di tesi esterne agli esami di indirizzo solo se mo vate
dal giovane.
Questo per minimizzare il rischio che il grande sforzo fa o in questo
momento finale della formazione accademica sia fa o a vuoto.
4.Centrare l'esame di stato sul rocinio, che diventerebbe così il momento
finale della formazione in situazione. Sono d'accordo con Michelin sul fa o
che siano gli ordini ad organizzare gli esami di stato, a pa o che, però, le
commissioni di esame siano is tuite con le norme di un qualsiasi concorso
serio.
5. Promuovere la nascita, da parte delle università e dei priva di scuole di
specializzazione non solo in psicoterapia, ma in tu i campi applica vi
della psicologia, fissando dei criteri di validazione dei curricoli e dei docen
che siano discussi con i rappresentan degli psicologi che già lavorano e
che agiscano so o il controllo dell'ordine e dello stato.
Questo, a mio parere è l'unica possibilità concreta che la miriade di colleghi
sopravvissu alla selezione fa a da parte dell'università si distribuisca in
maniera oculata nel mondo del lavoro e vi acceda con il massimo di
competenza e di autoconsapevolezza di ciò che li a ende ed è a loro
richiesto, non tanto dalla scienza quanto dalla professione.
E che il mercato poi faccia il resto.
 
 
La funzione riflessiva nel rocinante in psicologia
 
di Marianna Pa ni
 
Vorrei so olineare innanzitu o che ho accolto con molto piacere la
proposta di relazionare a riguardo della mia esperienza di rocinio. Infa ,
per quanto fa coso sia ripensare alla propria esperienza e sopra u o
verbalizzarla ad altri, cercando di seguire un ordine più o meno logico, ho
vissuto tale proposta come un’o ma occasione per sospendere
temporaneamente l’azione e dare spazio al pensiero. Credo che la ricerca di
significato nella propria pra ca, sia essa lavora va o di rocinante, sia
fondamentale per una cos tuzione sufficientemente consapevole della
propria iden tà professionale. D’altra parte, ritengo che solo un’a enta
riflessione sul proprio percorso forma vo e professionale perme a di
riscoprire l’unità e la coerenza che lo connotano, al di là della molteplicità
delle esperienze che si vivono o degli ambi in cui ci si trova ad operare o
formare. In par colare, per un giovane che sta per entrare nel mondo del
lavoro e che presto si troverà di fronte ad una, direi ‘esasperata’,
molteplicità di campi applica vi in cui potersi inserire, credo sia
fondamentale usufruire di ‘spazi’ che lo s molino a ricordare
con nuamente a se stesso le sue aspirazioni più profonde, per non correre
il rischio di lasciarsi ‘scegliere’ dagli altri o, per lo meno, per farlo in modo
consapevole.
 
Negli ul mi qua ro anni del mio percorso forma vo, che coincidono col
triennio universitario, connotato dalle EPG, e col rocinio post-lauream, ho
avuto la fortuna di incontrare psicologi preoccupa non tanto di
trasme ere conoscenze o di promuovere un apprendimento nozionis co,
quanto piu osto di s molare una riflessione sull’ ‘essere-divenire’
psicologo e di far capire l’importanza della dimensione del ‘pensiero’ in tale
po di professione.
Da loro ho appreso che l’esperienza, per tramutarsi in conoscenza,
necessita di una ‘riflessione su’, per cui diviene fondamentale la con nua
interazione tra esperienza dire a ed elaborazione conce uale.
Nel corso dell’ EPG afferente a Psicologia dei Gruppi, ho verificato
dire amente che la conoscenza psicologica è ‘intrinsecamente dialogica’,
poiché deriva dalla condivisione delle riflessioni che ciascuno fa a riguardo
della propria esperienza della realtà: ho potuto constatare quanto la mia
personale interpretazione fosse arricchita dal confronto coi miei compagni
di studio, confronto da cui è esitato un ‘surplus’ di conoscenza che nessuno
di noi, individualmente, sarebbe stato in grado di produrre. Ho appreso
dunque che la conoscenza psicologica che apre alla complessità del sociale
è quella che si produce a raverso lo scambio dialogico, ma ho appreso
anche che tale conoscenza rimane parziale, poiché non esaurisce tu i
pun di vista, ed è inevitabilmente provvisoria, in quanto processuale. Tale
EPG mi ha dato insomma la possibilità di ripensare alla funzione del sapere
psicologico e di capire che il rischio che corre un neopsicologo è quello di
appesan rsi di un bagaglio di nozioni che, se possono for ficare chi le
possiede ed essere u lizzate a tutela del proprio ruolo, servono ben poco
per leggere la complessità del reale e per incontrare realmente l’altro
(senza cioè frapporre tra noi e lui tu e le nostre conoscenze). Dalla
frequentazione del Servizio di Neuropsichiatria Infan le e Psicologia Clinica
dell’Età Evolu va dell’ASL di Parma ho appreso che il sapere psicologico è
u le nel momento in cui riesce ad arricchire la nostra comprensione della
realtà, e che questo accade nel momento in cui ci si mostra aper a
molteplici approcci teorici e metodologici, pur aderendo, personalmente,
ad un unico orientamento. Ho infa conosciuto Psicologi-Psicoterapeu
che cercano di leggere le situazioni problema che assumendo
contemporaneamente un’o ca individuale, familiare, sociale e
comunitaria, senza rinnegare il proprio credo psicodinamico. Credo che le
teorie abbiano una funzione importante nel processo conosci vo in a o,
perché, partendo da queste, possiamo forse cogliere de agli più precisi
nella realtà che ci circonda. L’errore si compie nel momento in cui si
privilegiano gli ogge della propria teoria rispe o alle sfide poste dalla
situazione che si affronta.
Altra importante conclusione cui sono giunta grazie alle s molan
provocazioni del Dr. Kaneklin e a quanto ho visto presso il Servizio di
Neuropsichiatria Infan le riguarda la natura e la funzione degli strumen
psicologici. Dal momento che tali strumen servono ad avviare una
relazione con altre persone e che l’esito del loro uso dipende dal rapporto
che lo psicologo instaura con essi (pensiamo al colloquio, all’intervista, al
ques onario semi-stru urato ecc.), qualcuno li ha defini strumen -
relazione. Molto u le è stato per me rifle ere sul possibile uso difensivo di
tali strumen : esso può trasformarsi in un vero e proprio agito e celare, ad
esempio, il proprio bisogno di distanziarsi dalla sofferenza altrui. Pensiamo
ad esempio ai casi in cui si frappone all’auten co ascolto dell’altro la
tecnica e fredda somministrazione di un test. Inoltre, proprio per il fa o
che il risultato dell’u lizzo degli strumen -relazione dipende dall’uso che
se ne fa, essi si presentano come ‘tecnologie deboli’. Lo psicologo, allora
deve saper ges re non soltanto l’ansia connessa alla consapevolezza della
rela vità del proprio sapere, ma anche quella connessa alla consapevolezza
della ‘debolezza’ degli strumen di cui dispone.
Spesso il neolaureato inizia l’esperienza di rocinio con l’aspe a va di
conoscere, finalmente, un modello ideale di professionalità, una sorta di
‘rice ario’ di consigli per divenire un bravo psicologo. Per quanto io stessa
sia tentata di ascoltare il desiderio di apprendere ‘tecniche’, di imparare un
‘come si fa’, riconosco che sia fondamentale, nel corso del rocinio,
scoraggiare sia la ricerca di un modello sia quella di tecniche e creare
invece spazi in cui il neolaureato possa rifle ere sull’uso dei saperi e degli
strumen psicologici. Il bisogno, da parte del giovane psicologo, di
acquisire un ‘saper fare’ potrebbe essere l’espressione della sua esigenza di
sen rsi più competente e di mostrare anche agli altri le capacità acquisite
in anni di studio. Occorre aiutarlo a prendere conta o coi propri vissu di
inadeguatezza e col proprio is n vo bisogno di colludere con le aspe a ve
di chi guarda allo psicologo dall’esterno, magari con un po’ di sce cismo.
Per questo si dovrebbe costantemente ricordare al rocinante come
provare un ‘vissuto di incertezza’ non sia necessariamente indice di
incompetenza, quanto piu osto della disponibilità a lasciarsi interrogare
dalla complessità delle situazioni, che richiedono sempre una le ura
caleidoscopica e processuale.
Altre anto importante sarebbe, per un rocinante, potersi interrogare
sulle aspe a ve altrui circa lo ‘psicologo’ e sui propri vissu a riguardo.
Quo dianamente, anche un semplice studente, si scontra con la
convinzione diffusa che lo psicologo sia il depositario delle spiegazioni
ul me del comportamento umano, il decifratore dei misteri insondabili
presen nella mente degli uomini. Negli ul mi anni della mia formazione
ho appreso che lo psicologo, lungi dal corrispondere a tale aspe a va,
eme endo, dall’alto della sua posizione, interpretazioni assolute, dovrebbe
riconoscere la complessità delle situazioni sulle quali è chiamato ad
esprimersi e mirare ad una le ura ar colata delle stesse. In qualsiasi
contesto operi, lo psicologo, prima di agire ‘un’azione o un’interpretazione’,
dovrebbe infa ‘apprendere da quell’incertezza’ che è inevitabilmente
connessa alla consapevolezza di non poter far riferimento a leggi universali
o a protocolli crea a priori che perme ano di conoscere una specifica
situazione. All’incertezza si può rispondere con due modalità contrapposte:
o a raverso un agito, che non è guidato dal pensiero e che mira a placare
l’ansia ‘del non sapere’, o a raverso una riflessione ‘fa cosa’, da cui però
spesso esitano soluzioni crea ve. Mi hanno insegnato che solo
sospendendo momentaneamente l’azione ed agendo nella palestra
sperimentale della propria mente si può giungere ad un’interpretazione
corre a della realtà ed ar colare interven che consentano di operare in
modo adeguato su di essa. Durante i primi sei mesi di rocinio ho potuto
affiancare psicologi e neuropsichiatri nei primi colloqui psicodiagnos ci e
ho colto, talvolta con stupore, la loro capacità di aspe are che il processo
conosci vo compisse il suo corso, senza la preoccupazione di individuare,
sin da subito, una categoria diagnos ca appropriata o di giungere ad una
spiegazione esaus va dei casi. C’è sempre stato lo spazio per il ‘non ancora
chiaro’, per ‘l’ancora aperto’, per ‘l’irrisolto’, c’è sempre stata la possibilità
di dirsi ‘il non riuscire a capire fino in fondo’ e la capacità di accogliere
dentro di sé il ‘non compreso’.
Ques sei mesi di rocinio si sono rivela per me par colarmente preziosi
anche per divenire più consapevole circa il mio s le personale di vedere, di
leggere e decodificare le situazioni, di entrare in relazione e di comunicare
con l’altro, di cogliere difficoltà ed emozioni in me stessa e nell’altra
persona. Pur non avendo mai affrontato un colloquio da sola, ho affiancato
altri professionis ed ho potuto saggiare la mia capacità di ascoltare ed
osservare, di cogliere le informazioni importan , di fare domande
adeguate, di iden ficarmi con l’altro e nello stesso tempo differenziarmi da
lui. Inoltre, poter osservare diversi professionis (psicologi e
neuropsichiatri) mi ha permesso di verificare che il condividere un
determinato orientamento (psicodinamico) non significa rinunciare ad un
proprio s le personale. Queste persone sono state vissute da me come
ogge di iden ficazione da cui poter derivare la mia iden tà
professionale: riconoscendomi ora nell’uno ora nell’altro, mi sono
interrogata sullo psicologo che vorrei-potrei diventare, sul po di utente
per cui sarei più adeguata, sulle problema che che susciterebbero
maggiormente il mio interesse e sull’a vità per cui sarei più portata
(diagnosi, terapia, ricerca). Sostanzialmente, frequentare il Servizio di
Neuropsichiatria Infan le ha significato e significa per me cominciare a
sperimentarmi nei panni dello psicologo, in un contesto estremamente
prote o dove l’assunzione di ruolo non si accompagna a quella di
responsabilità e dove c’è ancora molto spazio per ‘giocarsi su un piano
meramente simbolico’. Il prevalere della dimensione del ‘fantas carsi come
psicologo’ rispe o a quella dell’ ‘essere psicologo’ o del ‘fare lo psicologo’,
lungi dal ridurre il valore dell’esperienza di rocinio, ne è il suo punto di
forza. Il neolaureato ha infa bisogno di un’area intermedia tra il mondo
universitario e quello lavora vo in cui poter confrontare l’immagine di
psicologo che si è costruito negli anni di studio con lo psicologo ‘reale’,
quello che opera quo dianamente, in un contesto specifico, con delle
persone concrete. Non dimen chiamo peraltro che ‘fare lo psicologo’,
specie se clinico, richiede, un’alta competenza emo va, competenza che il
rocinante spesso non possiede. Occorre quindi offrirgli un contesto
prote o in cui cominciare a prendere conta o con la propria dimensione
emo va ed imparare a ges rla: una sorta di ‘palestra emo va’.
Durante il rocinio ho anche potuto me ere in relazione me stessa con
temi e problemi stre amente connessi alla professionalità dello psicologo:
l’imprescindibilità del contesto in cui si opera, la relazione interpersonale
come matrice della conoscenza stessa, la comunicazione intrapsichica, cioè
il con nuo dialogo con se stessi, come strumento per monitorare e
rielaborare condo e e pensieri. Riprendere queste tema che, già
affrontate in alcuni corsi universitari, durante lo svolgimento del rocinio,
ha significato rivitalizzarle, ‘farle più mie e più vere’.
In conclusione, vorrei dire due parole sul ‘gruppo del mercoledì’, in cui i
rocinan dell’ASL di Parma hanno la possibilità di incontrarsi e di
condividere i loro vissu connessi al ‘divenire psicologo’, so o la
supervisione della Dr.ssa Mussi. Ricordo che un anno fa, quando dovevo
decidere dove svolgere il mio rocinio, ho dubitato molto se rimanere a
Milano, ci à in cui avevo studiato, o se rivolgermi a Parma. Ciò che mi ha
fa o decidere con entusiasmo per l’ASL di Parma è stata la proposta di
un’esperienza in cui si sarebbe cercato di dare molto spazio alla ‘riflessione
su’. Ciò che più temevo infa era il vivere un’esperienza senza la possibilità
di condividerne il significato con colleghi e professionis . Il ‘gruppo del
mercoledì’ mi ha richiamata sistema camente ad un’a ribuzione di senso,
perme endomi di percepire la coerenza e la con nuità del mio percorso
forma vo, nonché di condividere le ansie inevitabilmente connesse a
questo momento di transizione con altri rocinan . Di fa o, grazie agli
incontri del mercoledì, il rocinio si sta configurando per me come un vero
e proprio rito di passaggio che sos ene-accompagna-con ene il
neopsicologo alla ricerca della propria iden tà professionale.
 
 
 
 
 
Il rocinio in psicologia: sperimentare e pensare nelle
relazioni. L’esperienza dell’AUSL di Parma
 
di Fabio Vanni
 
 
Vorrei intanto esprimere il mio piacere nell’essere qui oggi a parlare con voi
dei rocini in psicologia, e di ciò devo ringraziare innanzitu o Dino Angelini
e Deliana Bertani, per una ragione non retorica che vorrei enunciare.
Quando ho iniziato a fare il tutor, oramai o o o nove anni fa, mi aveva
colpito una contraddizione:
da un lato l’esperienza di tutor e di formatore di laurea in psicologia ed
anche l’esperienza di rocinante, per come la ricordavo e per come me la
descrivevano i rocinan stessi era, e ancor più poteva essere, un
‘esperienza di grande ricchezza;
d’altro canto, come dire, non si faceva pubblicamente parola di questa
potenziale ricchezza, nel senso che non vi era pra camente traccia, nella
le eratura, ma anche nei diba interni al mondo degli psicologi, di
questo argomento.
Ricordo che quando mi fu assegnata la mia prima rocinante chiesi a
colleghi più esper qualche indicazione su come si faceva il tutor, ma le
risposte furono assai evasive.
Anche negli anni successivi e, diciamolo, talvolta anche oggi, ciò che veniva
fa o con i rocinan era traducibile sostanzialmente in un “portarseli
dietro mentre si lavora”.
Era un po’ come se non vi fosse un gran pensiero possibile dietro al fare il
tutor, come se si tra asse di un’a vità che non trovava uno spazio nel
quale rappresentarsi.
“Io posso anche fare il tutor ma non ci devo pensare”, si potrebbe dire, non
posso definire, affermare, magari, chissà, con legi mo orgoglio, questa
parte del mio ruolo professionale.
Tu o ciò mi pare abbia avuto, e abbia, un ovvio correlato nella mancanza
di esposizioni “pubbliche” sul tutoring in psicologia quali convegni,
seminari, momen forma vi per i tutors, ma anche discussione su come si
fanno le cose: zero o quasi.
Non è quindi affa o retorico per me ringraziare dell’occasione di essere
qui, luogo nel quale si parla e si pensa di rocini.
 
Occuparsi di questo tema infa significa occuparsi di un’area, a mio
parere, nodale della professione; proverò a me ere insieme alcuni pensieri
ancora parzialmente nuovi per me ma che mi pare trovino anche alcuni
pun di coagulo.
 
Inizierei intanto argomentando che il rocinio in psicologia vive su un
peculiare parallelismo:
sul piano personale vi è l’opportunità di svolgere un compito evolu vo
specifico che ha a che fare con l’appropriarsi di una visione più realis ca di
sé e dell’ogge o;
sul piano professionale vi è la possibilità di ridefinire le proprie competenze
in termini meno astra e idealizza e dunque più aderen al reale.
 
Consen temi una citazione, a mio parere assai efficace:
“la separazione accademica tra psicologia e psicologia applicata esprime
ancora oggi l’assunto secondo cui la psicologia dovrebbe avere i connota
una volta auspica per la sposa veneta: ‘che piasa, che tasa, che staga in
casa’. Così la psicologia pura consiste in ricerche molto belle, fa e bene
(che piasa), non prende posizione né me e in discussione problemi
socialmente rilevan (che tasa), non si allontana dai laboratori né instaura
significa ve relazioni extrauniversitarie (che staga in casa). E, per
differenza, la psicologia applicata, impura, sembra una meretrice più che
una sposa, una psicologia serva, più che una psicologia che serve.” (M.
Bello o, 2000)
 
Vi è quindi un problema di po epistemico, ovvero legato ai fondamen
conosci vi della disciplina: il sapere che viene trasmesso all’università è, in
qualche modo, un sapere che si chiede di assumere senza esperienza; ciò
che viene proposto è un insieme di conoscenze che erano, e mi pare siano
spesso ancora oggi, ben lontane dal cos tuire un corpus omogeneo
ancorché ar colato di teorie e di tecniche; ciò che veniva e viene proposto
è un panorama che è poco l’esito di una sintesi di saperi, ma sembra
piu osto più vicino ad un catalogo di saperi, talvolta neanche tanto
completo ed aggiornato.
Uscire da un corso di laurea in psicologia quindi, significa ancora oggi, mi
pare, trovarsi per la prima volta davan ad una realtà studiata ‘in vitro’
senza poter avere però idee molto chiare, ancorché previe, su com’è questa
realtà.
Nel rocinio il neolaureato ha possibilità di cominciare a confrontare
questo sfacce ato e contraddi orio sapere con le persone, i gruppi, i
contes organizza vi, le relazioni: ho studiato dei nomi, posso vedere delle
cose e posso provare a me ere insieme le due par .
Questa congiunzione però è tu ’altro che automa ca a ‘applica va’, per
così dire, anzi, sarebbe un’impresa, se condo a da soli, di quelle da far
tremare le vene ai polsi.
 
C’è da dire che l’a uale collocazione dei rocini in psicologia, post-lauream,
collocazione, come noto, in via di parziale superamento, rende questa
cesura fra sapere teorico e sapere pra co par colarmente ne a e
dramma ca.
Prima della laurea vi sono pochissime possibilità di verificare, di
confrontare con la realtà, di comprendere la reale portata in defini va, di
ciò che viene proposto; d’un tra o è, non solo possibile, ma diviene
‘doveroso’ farlo, un impera vo generazionale, ed inizia quindi un processo
di ri-costruzione del sapere che inevitabilmente ha due direzioni: una di
‘appropriazione’, concre zzazione del sapere stesso, ed una di verifica.
 
Ma ciò che mi sembra importante so olineare è che questa operazione
avviene in una sorta di vuoto di status: non sono più uno studente, non
sono più all’interno dell’università, sono solo, fra poco sarò un
professionista ma prima devo imparare come sono fa e e come si
affrontano le cose in concreto.
 
Io non credo che questa modalità di formarsi sia la più indicata (sarebbe
probabilmente preferibile, almeno da un certo punto in avan , un
confronto con nuo e mirato con l’esperienza), credo invece che produca
diversi possibili esi perversi: è evidente intanto il suo intento prote vo
del sapere accademico ma è anche palese l’enormità della richiesta che
viene fa a al giovane laureato.
Abbiamo infa ascoltato molte cose importan in ques seminari sullo
stato di margine, sulle cose che accadono quando vi è un cambiamento, un
passaggio di status, ebbene la laurea può essere considerata un passaggio
di questo po, forse l’ul ma prova di accesso all’età adulta: fino adesso mi
sono ‘preparato per’, potevo quindi sempre vedere un po’ lontano
l’orizzonte della concretezza opera va, adesso non più, è lì che mi aspe a,
ci sono, posso/devo fare.
 
Per la professione di psicologo il legislatore, forse preoccupato, chissà, ha
previsto che però prima di ‘fare’ bisognava a raversare questo guado
cos tuito dal rocinio, ed ha ritenuto che non lo si potesse fare da soli, ma
che si dovesse essere accompagna da un tutor, un professionista esperto,
che inoltre non fosse un professionista ‘single’, ma fosse collocato in un
contesto organizzato.
Chissà, forse il legislatore stesso avver va la pregnanza relazionale della
nostra professione e riteneva di doverla ‘contenere’ all’interno di
un’is tuzione.
Fa o sta che il rocinio giunge a questo punto, che è quindi un punto di
crisi, una crisi che è cos tuita dall’intrecciarsi di diverse dimensioni:
Una è la dimensione della relazione con l’ogge o reale esterno del
rocinio, ovvero quella del rapporto con il paziente, il contesto
organizza vo, il contesto professionale: qui si tra a di me ere in
contatto il mio sfacce ato sapere previo con il dato fa uale e
produrne una revisione che lo faccia diventare più concreto, meno
pregiudiziale, che tenga conto di più e meglio della realtà;
Ma, intrecciata con questa, vi è un’altra dimensione che è quella che
riguarda la relazione con quel par colare ogge o interno che è
cos tuito dal ‘diventare psicologo’, ovvero l’obie vo reale interno del
rocinio, obie vo che viene sancito socialmente con il superamento
dell’esame di stato e l’iscrizione all’albo.
Il rocinio cos tuisce d’altra parte, in questo modo, un vero laboratorio di
apprendistato professionale me endo appunto insieme la dimensione
della competenza sull’ogge o ed il suo funzionamento, sulla relazione
dire a con esso con le implicazioni su di sé del proprio esperire la relazione
stessa.
Come dire forse il nocciolo, o uno dei principali noccioli, del nostro lavoro.
D’altra parte e da un altro punto di vista, questa relazione fra ciò che sono
e ciò che voglio diventare, ‘l’idea di futuro’, direbbe Charmet, cos tuisce
l’ambito, la scena del manifestarsi dei fantasmi in ordine all’adul tà e
dunque all’abbandono, l’ennesimo, dell’adolescenza.
 
Il peculiare compito di sviluppo del rocinante consiste dunque nel passare
da un ‘andamento verso’ ad un ‘essere concretamente’.
 
Nel nostro modo d’intendere il rocinio riteniamo che il tutor possa avere
un’importante funzione nell’accompagnare e punteggiare con pensieri e
azioni questo delicato passaggio, ma un’altra istanza, un altro livello di
relazione, quella con il gruppo dei colleghi di rocinio, può arricchire
u lmente l’esperienza.
In ques anni la nostra riflessione (dico nostra perché condivisa con
Antonella Mussi, la collega che guida i gruppi, ma anche perché fru o del
confronto con altri colleghi tutors e con i rocinan ed ex rocinan stessi)
ci ha portato a proge are e poi a costruire un momento d’incontro
periodico del gruppo dei rocinan .
Ogni due se mane Antonella conduce il gruppo a raverso questo sen ero
che prova a me ere a fuoco quello che, per ognuno, è il divenire psicologo.
A raverso un metodo che ada a in modo originale tecniche
psicodramma che, si aiuta ogni rocinante a trovare uno spazio di
pensiero sulla propria nascente iden tà professionale: la possibilità di
condividere alla pari le esperienze provenien dal proprio rocinio, ma
anche le le ure che di esse vengono date dal gruppo e dalla condu rice
consentono un arricchimento considerevole del vissuto.
Il gruppo facilita poi la costruzione di una rappresentazione dell’esperienza
di sé nel tempo della formazione che ha interessan assonanze con la
funzione del gruppo adolescenziale, come una palestra di iden ficazioni
incrociate che consentono d’individuare possibili modi d’interpretare il
nascente ruolo professionale.
 
Consen temi infine di fare alcune considerazioni sul tutoring dal punto di
vista del tutor.
Talvolta accade, di rado per fortuna, d’incontrare colleghi che si
rappresentano il tutoring, ma io direi la formazione in generale, come
un’operazione sostanzialmente unidirezionale di trasmissione di sapere da
A a B, e dunque si sentono spesso oppressi, deruba , prosciuga dai
rocinan , dagli specializzandi, dagli studen , etc.
Queste persone possono essere forse o mi psicologi ma saranno
probabilmente pessimi tutor.
 
La mia esperienza di tutor è stata, devo dire, assai diversificata: in alcuni
casi era chiaro che il rocinio veniva vissuto come un pedaggio da pagare
prima di diventare psicologi, ma nella maggior parte dei casi ciò che mi
sembra cara erizzi il rocinante in psicologia è la sua esperienza
d’incompiutezza. , e dunque il porsi in termini dubbiosi e interroga vi sul
suo/nostro sapere.
Quando questo avviene, cioè in varia misura quasi sempre, il tutor è a sua
volta costre o ad interrogarsi sui fondamen delle sue conoscenze e mi
pare che, riprendendo ciò che diceva Marianna Pa ni, se c’è
consapevolezza dell’intrinseca debolezza epistemica del nostro sapere ed
operare (debolezza che non è fragilità) ciò cos tuisce uno s molo
vivificante e proficuo.
Quando ambedue, rocinante e tutor, si sollecitano reciprocamente al
pensiero sul proprio, più o meno evoluto e maturo, agire professionale,
credo che l’esperienza della relazione possa diventare trasforma va per
entrambi.
 
Va anche de o che c’è un altro livello di possibile sollecitazione reciproca
fra le due ‘generazioni professionali’ ed è quello appunto intergruppale,
ovvero vi è una relazione che il gruppo dei rocinan (da noi, di solito,
cos tuito da 10-12 persone) intra ene con il gruppo degli psicologi
dell’azienda (poco più di una tren na).
Il momento formale d’incontro fra i due gruppi è cos tuito dal Seminario
Clinico, che si svolge a mercoledì alterni con il Gruppo eterocentrato, e che
si cara erizza per un tema d’interesse trasversale ai vari servizi nonché per
una partecipazione altre anto trasversale degli psicologi come relatori.
Negli ul mi anni gli argomen tra a sono sta :
“Dalla domanda alla proge azione dell’intervento clinico in psicologia”
“La dimensione evolu va in psicologia”
“La tutela dei minori fra psicologia clinica e sociale”, che è l’argomento di
questo semestre.
Devo dire che, mentre individualmente ho potuto constatare una certa
disponibilità dei relatori, vi è stata una considerevole difficoltà a conne ere
i vari contribu fra loro e dunque, si potrebbe dire, a cos tuirsi, da parte
del gruppo degli psicologi, come un’en tà che assume su di sé funzioni ed
obie vi forma vi.
Vi abbiamo portato alcune copie degli a dell’incontro che si è svolto a
marzo scorso a conclusione del seminario “Dalla domanda alla
proge azione…”, incontro nel quale il gruppo dei rocinan ha res tuito
alla comunità degli psicologi dell’Azienda, e non solo, quanto avevano
ricevuto: una ma nata seminariale nella quale i rocinan erano i relatori
e ‘gli adul ’ ascoltavano ed integravano.
E’ stata un’esperienza per tu , credo, significa va che ha avuto, tra l’altro,
per i rocinan una valenza di rito d’ingresso in una comunità
professionale.
Non mi dilungo, anche perché eventualmente ci torneremo sopra nel
diba to, essendo oltretu o questo del seminario clinico un argomento del
quale si è ul mamente discusso con i colleghi e con i rocinan
apportando anche, proprio da questo semestre, alcuni significa vi
corre vi.
 
Accenno solamente ad un ul mo aspe o del seminario che ha a che fare
sempre con la pologia dei saperi:
il seminario clinico è un luogo nel quale è possibile, per il rocinante,
prendere conta o con un tipo di conoscenza molto diffuso nei nostri
servizi ma poco presente nel percorso di studio universitario, una
conoscenza che è molto radicata nella pra ca e nel contesto e dunque
molto ‘vissuta’ ed ‘opera va’.
Il mandato per i relatori, viceversa, è quello di cogliere l’occasione per una
migliore coniugazione di questo livello conosci vo con la teoria e quindi di
u lizzare questa occasione per approfondire ed elevare la formalizzazione
e la trasmissibilità del proprio sapere.
 
Mi rendo conto di aver toccato mol temi, alcuni in modo appena
accennato, realizzando un discorso forse un po’ disomogeneo ma che
spero ricco di sollecitazioni e possibili approfondimen .
 
In sintesi, ed in conclusione, se pensiamo al rocinio in psicologia come ad
una fase di transizione fra un prima fortemente astra o ed idealizzato ed
un dopo maggiormente concreto, definito, orientato, ne consegue
certamente l’esigenza di offrire ai nostri giovani l’opportunità di cominciare
a me ere ‘le mani in pasta’ nel fare, ma, parallelamente, riteniamo di
dover consen re ed accogliere uno spazio di ‘pensiero su’ ciò che si sta
facendo, proprio quello che, mi sembra, avete consen to a noi qui stamani.
 
 
 
 
Bibliografia:
 
ARDSU di Ferrara, ARESTUD di Modena e Reggio Emilia (2000), Tirocini per laureandi e
laurea
Bello o M (2000), Sulla formazione universitaria degli psicologi, in SIFORP (a cura di) “La
Formazione psicologica”, Franco Angeli, Milano,
Castellucci A., Saiani L., Sarchielli G., Marle a L. (1997),Viaggi guida : il rocinio ed il
processo tutoriale nelle professioni sociali e sanitarie, Franco Angeli, Milano
Charmet G.P. (2000), I nuovi adolescen : padri e madri di fronte a una sfida, Raffaello
Cor na Editore, Milano
Collau C. (2000), La tutorship nei percorsi di apprendimento, in SIFORP (a cura di) “La
Formazione psicologica”, Franco Angeli, Milano
Laffi S. (2001), Funzione del rocinio nel mercato del lavoro oggi, relazione al seminario “Il
rocinio come cerimonia di aggregazione”, Reggio Emilia, 7.5.01
Mo ana P. (1991), La funzione della tutorship nel processo affe vo di apprendimento, in
Skill, n°4/91
Sarchielli G. (1997), L’incontro con il lavoro, in Polmonari A. “Psicologia dell’adolescenza”, Il
Mulino, Bologna.
 
 
Il punto di vista di una psicoterapeuta
rocinante/giovane psicologa
 
di Giuliana Nico
 
 
Premessa
 
Trovo che iniziare le cose abbia una sua specifica difficoltà e potenzialità.
Essa si ritrova anche nello svolgere il ruolo di rocinante, nel cominciare il
primo lavoro, così come in tante situazioni connotate dal cambiamento,
dalla novità e dall’esigenza di imparare. In questa relazione affronto in
modo informale il tema del rocinio e u lizzo, in modo non del tu o
sequenziale, la mia esperienza dire a di rocinante in psicologia e
successivamente di rocinante in psicoterapia, posizione in cui mi trovo
a ualmente.
Un aspe o che ho osservato all’inizio del mio rocinio come specializzanda
in psicoterapia è stata la mia difficoltà a fronteggiare le dinamiche del
gruppo di lavoro nel quale mi inserivo e capire il mio ruolo nell’is tuzione.
Al contempo, da borsista presso un servizio dell’Ausl, altra funzione che
svolgo a ualmente, mi è sorto il dubbio che, in parte, i due ruoli si
assomiglino nella mente delle persone.
Questa relazione rappresenta un modo per cercare di dare un senso alla
mia esperienza a par re da una le ura psicodinamica del rocinio,
secondo il ver ce di osservazione gruppale/is tuzionale. Mi piacerebbe
verificare se le interpretazioni che abbozzo sono condivise da altri. 191
 
 
Inserirsi ed essere nuovi in una organizzazione
 
Ogni persona nuova che giunge in un gruppo comporta una
destabilizzazione. Chiunque voglia fare appello alle proprie inevitabilmente
molteplici esperienze di appartenenza a gruppi troverà con facilità
elemen che confermano questa idea. Tu avia, la qualità della
destabilizzazione vissuta dai membri senior del gruppo necessita di analisi
e approfondimento.
La destabilizzazione cambia in quan tà a seconda che al momento
dell’introduzione della persona nuova si verifichino alcune condizioni di
base (più avan faccio un esempio), e a seconda della modalità di
funzionamento dell’équipe come gruppo di lavoro202. Mentre alcune azioni
áncorano l’agire dell’équipe al funzionamento di un gruppo di lavoro,
viceversa la loro mancanza facilita l’insorgere (o semplicemente
l’emergere) di difficoltà che aumentano la probabilità che la persona nuova
sia vista a raverso una par colare lente emo va seguendo il meccanismo
della iden ficazione proie va213.
Agli occhi dell’equipe che si accinge ad accogliere la persona nuova, la sua
qualità più cara eris ca è l’ambiguità: il gruppo non la conosce
personalmente, non si conoscono le sue nascen competenze psicologiche,
non si sa che cosa imparerà e se sarà in grado di portare avan i compi di
responsabilità che le vengono assegna , perché il processo di
apprendimento è per sua natura un cambiamento sconosciuto. A queste si
sommano le più piche incertezze rela ve alle relazioni che il nuovo
arrivato avvierà con i membri e con il tutor e al modo in cui queste si
inseriranno nell’equipe. Se l’adozione nel gruppo di una persona nuova
me e sempre in evidenza i sen men lega al rischio e alla novità
(piacevoli o spiacevoli che siano), a maggior ragione ciò avverrà all’ingresso
di un rocinante, la cui professionalità in formazione accentua nelle
persone intorno il sen mento di incertezza legato al suo ruolo e alla natura
del coinvolgimento richiesto.
Spesso il processo di inserimento avviene in un modo singolare, per
esempio il nuovo (la persona, ma anche il cambiamento che questa
comporta) viene in un certo senso “avvolto” di proiezioni, di pregiudizi; in
un modo assolutamente specifico, con ngente, intrigante.
Di seguito propongo alcuni modi di vedere i rocinan /giovani
professionis che a me sembrano abbastanza a uali e che ho sperimentato
in prima persona oppure osservato in modo indire o.
 
 
Il rocinante osservatore
 
In alcuni casi mi è sembrato che il rocinante come nuovo membro
giocasse il ruolo di osservatore, come se i membri senior e il rocinante
stesso si sen ssero in questo modo più sicuri e tutela .
Nella mia esperienza, l’impa o di un osservatore su di un gruppo
solitamente s mola delle reazioni paranoiche, generalmente stemperate
dal tempo e dall’abitudine. Il processo è rela vamente veloce e indolore
quanto più l’osservatore designato si as ene dall’intervenire, nel nostro
caso, cioè, quanto più il rocinante impersona effe vamente il ruolo
a ribuitogli.
In quelle occasioni, mi sembrava che il gruppo richiedesse al rocinante di
s pulare un pa o implicito, che dal punto di vista dell’équipe sembrava un
pa o di non invadenza, ma che agli occhi del rocinante poteva essere
declinato nei modi più diversi. La capacità di impersonare il ruolo di
osservatore richiede infa capacità molto evolute, che si possono
riassumere so o la definizione di capacità nega va, cioè di stare in
situazioni di mancanza, di frustrazione, di imperfezione, cercando di capire
i propri e gli altrui sen men senza agirli. La persona rocinante mi sembra
cos tu vamente in difficoltà su ques pun , perché il lungo percorso di
studio che ha appena concluso la porta a voler sperimentare il più
possibile, senza tu avia la piena consapevolezza del fa o che ciò significa
in prima istanza sen re la sofferenza che “le cose che non vanno”
generano al suo interno.
In effe , lo stesso percorso di formazione per diventare psicologi ha
racchiuso finora questa trappola, prima idealizzante e poi deludente: un
lungo periodo di solo studio seguito da un pra cantato palesemente
insufficiente a produrre la professionalità richiesta. Così, diventa
par colarmente difficile capire che si sta lavorando duramente quando si
osserva, e che osservare non coincide con la mancanza di a vità, con la
mancanza di capacità e di idee. Osservare non assomiglia a morire, ma ad
acuire la capacità di sen re. Per quanto mi riguarda, per esempio, ci ho
messo molto a realizzare che quando non capisco qualcosa sto lavorando
lo stesso, oppure che aspe are e non soverchiare l’altro con esigenze mie è
duro lavoro.
Dal punto di vista interno del rocinante, credo che l’inizio dell’esperienza
di rocinio sia uno shock, essendo lui/lei invaso di curiosità, frustrazione,
delusione, paura, a esa, entusiasmo … e probabilmente una miriade di
sensazioni anche opposte tra loro difficilmente comprensibili all’inizio, così
tu e amalgamate.
Dal punto di vista del gruppo-équipe, generalmente il rocinante non viene
ritenuto affar proprio, ma del tutor, che ha il compito di mediare tra il
nuovo arrivato e ciò che gli accade all’esterno, e di trasformare la realtà in
qualcosa ogge o di apprendimento, incluse le riunioni d’équipe.
Così, rocinante e gruppo a volte sembrano accordarsi implicitamente, non
tanto sull’opportunità che il rocinante impari ad osservare, bensì sulla
opportunità che taccia. Per esempio che non faccia alla équipe domande
su quello che avviene, in quanto rafforzerebbero l’idea di essere invasi, di
essere deruba di un’esperienza o dello scarso tempo a disposizione,
oppure di essere, effe vamente, so o osservazione.
Quando queste esigenze dell’équipe e del rocinante sono così for mi
sembra molto probabile che il nuovo arrivato, principiante osservatore, sia
influenzato dal gruppo verso la negazione delle proprie idee, come a fare il
morto, negare la sua stessa esistenza, in un esercizio colle vo di
misconoscimento del suo ruolo di persona in apprendimento, ma anche
del ruolo di osservatore, che, pur essendogli stato a ribuito, non viene
tema zzato ed elaborato.
 
In effe , l’osservazione è un processo del tu o par colare in una
organizzazione, ricco di risorse e difficoltà che difficilmente vengono
contemplate al momento del suo inizio. Le potenzialità posi ve a engono
al cambiamento: anche la sola presenza dell’osservatore induce gli altri ad
osservarsi e, in parte, a modificare la loro condo a nella direzione da loro
percepita come più soddisfacente. Benché sia noto che, anche se la
realizzazione del “cambiamento” sia desiderata da tu sopra u o nelle
professioni d’aiuto, dove il lavoro per il cambiamento è stato
“professionalizzato”, non è semplice tollerare anche la più infima possibilità
che il cambiamento possa effe vamente avere luogo.
In parte perché è difficile lasciarsi guardare. Non solo perché ciò suscita dei
sen men collega all’idea di valutazione, che molto spesso è vissuta in
modo problema co nella nostra cultura, ma anche perché lasciarsi
guardare a ribuisce al tempo che passa, allo spazio, all’incontro tra le
persone che li condividono, una tonalità del tu o diversa. La presenza del
rocinante vissuto come un osservatore impone al gruppo di prendere in
considerazione il proprio osservatore interiore, e, a seconda di come
questa figura viene percepita, impone al gruppo di prendersi in carico, di
valutarsi, di cambiare, di percepire la propria inadeguatezza.
Credo che i gruppi, come gli individui singoli, abbiano bisogno di scegliere
di voler cambiare, di essere mo va da uno stato di bisogno o di
insoddisfazione, di poter u lizzare le proprie difese verso il cambiamento
sino a che sono necessarie per me ere ordine nella turbolenza della fase di
transizione, in a esa di trovarne altre. In altre parole, come si diceva
all’inizio, i gruppi hanno bisogno di poter rifle ere e negoziare i
cambiamen a cui sono so opos , mentre spesso non vengono coinvol :
non si sa se vogliono i rocinan (quan ?) e perché.
Sarebbe interessante invece redigere all’inizio del rocinio un vero e
proprio contra o di formazione o di collaborazione pubblico, che
esplicitasse gli obie vi di apprendimento, le modalità e i mezzi per il loro
raggiungimento. In questo modo sarebbe chiaro ad ognuno il ruolo del
rocinante e le sue finalità, che cosa offre e che cosa chiede al gruppo. Pur
nella mia limitata esperienza, questo apparentemente banale
accorgimento mi sembra di portata fondamentale, in quanto espliciterebbe
come gli accordi all’interno delle organizzazioni non sono solo accordi tra
singoli ma accordi colle vi, che i sogge hanno comune interesse ad
esplicitare come parte di una pra ca organizza va.
 
 
Il rocinante inviato speciale
 
Per quanto mi stato dato di osservare, la decisione di coinvolgere uno o più
rocinan nel servizio è invece solitamente una decisione presa dal tutor
sulla base di convinzioni tra le più diverse, raramente comunicate agli altri
membri dell’equipe. Il tutor può pensare che sia giusto, che desidera
contribuire alla formazione di una persona alla professione di
psicologo/psicoterapeuta, che il rocinante offra un servizio u le, che
desidera comunicare stre amente con una persona più disponibile di altri
colleghi dell’equipe, che il rocinante offra la possibilità di intra enere
conta con una is tuzione con cui non ci sono sufficien legami al
momento, che il rocinante sia occasione di s molo alla riflessione, ecc.
Sono tu e mo vazioni legi me, tu avia si agisce come se gli altri membri
del servizio in effe “non c’entrassero”. Forse per il tutor è scontato che si
debba/possa appartare con il suo rocinante, forse vuole offrirgli un riparo
dalle dinamiche d’equipe fa cose anche per lui, valorizzando le sue
domande ingenue all’interno di un contesto più prote o, raccogliendo i
suoi sorrisi di gra tudine, cogliere meglio gli eventuali spun di riflessione.
Tu avia, credo che a volte questa alleanza affe uosa tra tutor e rocinante
possa ricadere nega vamente sul rocinio, nella misura in cui questa può
assumere il significato di una reazione del tutor a dinamiche tra colleghi, o
il rocinante venga visto dall’equipe come un inviato speciale che sos ene
il tutor che cerca di somministrare il famigerato “cambiamento” di
soppia o. Addiri ura il rocinante può essere visto come un emissario
della Direzione, che mira a influenzare il gruppo in una certa direzione.
Da parte sua, il rocinante a volte ado a volen eri le ves di inviato
speciale a cui è tristemente condannato, anche se fortunatamente è
innocuo per tu tranne che per se stesso. Personalmente mi sono
esercitata spesso in discu bili esercizi di valutazione tentando di essere
imparziale, ma me endo in a o in realtà la più violenta negazione delle
mie emozioni, salvo indirizzarle poi verso le persone che osservavo con
atroce sadismo. Accarezzavo interiormente il dubbio di avere idee migliori,
se solo avessi potuto dimostrarlo, come se la concre zzazione di un
intervento non contemplasse anche il fa o di decidere e di scartare una
alterna va, e quindi andare verso l’imperfezione, la precarietà, la
mancanza, e quindi la perfe bilità.
 
Giovani, rocinan , inesper
 
Il ruolo a ribuito al rocinante è generalmente anche molto influenzato
dalle rappresentazioni dell’equipe e del sogge o rela ve alle differenze
d’età, perché la persona di cui s amo parlando è generalmente più giovane
dei membri già appartenen al gruppo ed è spesso considerata più
inesperta non solo della professione, ma della vita.
So o cer aspe , questa associazione tra l’essere giovani, rocinan ,
all’inizio della professione, è una consuetudine che scomparirà presto, in
quanto la crescente mobilità impone frequen cambi di lavoro,
reinserimen , formazione con nua, a cui i gruppi di lavoro italiani non
sono abitua , specialmente quelli all’interno delle aziende che offrono
servizi di pubblica u lità. Mentre in altri paesi europei è frequente trovare
che il manager di una azienda anche grande ha meno di trent’anni, questa
mi sembra un’evenienza più rara in Italia, dove la durata della carriera
forma va così come era organizzata fino a poco tempo fa lo rendeva
pra camente impossibile, facilitando all’interno dei gruppi di lavoro il
consolidarsi di ruoli correla al fa ore “età” e “anzianità di permanenza
nell’organizzazione” in modo molto scontato: i più vecchi sono in posizioni
dirigenziali più dei giovani (anche se non sempre “hanno studiato”
specificatamente per questo) e sono considera in generale più esper dei
giovani (che tendono gradualmente a risca arsi per la loro maggiore
conoscenza delle tecnologie informa che). Chiunque sia rocinante,
giovane, appena entrato nella professione, quest’ul mo quindi retribuito,
con maggiore forza contra uale e portatore di un approccio più
consolidato e più personalizzato, è sogge o a rientrare nella categoria
“giovane e inesperto”, a volte designato con l’epiteto di “ragazza” o
“ragazzo”.
Dalla consapevolezza precisa delle differenze di carriera professionale e
delle competenze acquisite discende invece una vita organizza va diversa.
E’ evidente infa che se i ruoli professionali sono dis n in base alle
diverse competenze le persone partecipano al lavoro apportando ognuno
un contributo differente e complementare a quello degli altri, in vista di un
obie vo comune, il cui raggiungimento incide sul riconoscimento delle
proprie capacità e sul sen mento di efficacia. Inoltre, contribuisce a
diminuire il more di depersonalizzazione che la partecipazione ad un
gruppo sempre comporta, ancorando il sogge o all’obie vo del gruppo di
lavoro piu osto che ad altri scopi non dichiara .
 
 
Il ragazzo interno del rocinante, del tutor, dell’équipe
 
Da quanto de o, un aspe o fondamentale dei rocini e dell’inserimento di
giovani professionis nelle organizzazioni sembra legato a come si vivono le
differenze generazionali. Qual è l’idea che il tutor ha dell’essere “giovani e
inesper ” e della relazione tra questo e l’essere un “professionista
esperto”? Cosa pensa il rocinante sullo stesso argomento? L’incontro tra i
due è forse avvenuto sulla base di messaggi in codice sui modi di tra are le
differenze generazionali, che tutor e rocinante si sono trasmessi e sui
quali sono entra in risonanza? E cosa pensa l’equipe?
Per esempio, riprendendo quanto de o più sopra, mi sono a lungo chiesta
con estremo fas dio perché in un servizio dove ero rocinante e dove
lavoravo non mi chiamassero per nome ma “ragazza”. Mi accorgo ora che
in questo desiderio legi mo di essere chiamata per nome sono insite in
realtà ancora più trappole di quelle che avrei voluto evitare rivendicando
questo diri o. Spesso i miei colleghi mi chiedevano che cosa c’era di male
ad essere una “ragazza”, come se io mi vergognassi di uno stato che loro
ritenevano posi vo o invidiavano. Più tardi ho realizzato che la chiave di
le ura della situazione in cui mi trovavo poteva essere il fa o che entrambi
stavamo colludendo, cioè stavamo usando la parte di me che è una ragazza
per mo vi a lei estranei, senza in realtà voler condividere con lei o starci
insieme.
C’era insomma il bisogno di un addomes camento reciproco, di
infan lizzazione, una difficoltà a ges re un ruolo intermedio: come verso
un adolescente, con il corpo di un grande e la mente di un piccolo, non si
sa se bisogna tra arlo da adulto o da bambino, se si può entrare in
confli o, se si può entrare in in mità, se si deve insegnargli tu o,
proteggerlo.
Spesso anche il rocinante collude, usa il ragazzo: invece di godere
dell’ingenuità, della leggerezza, dell’entusiasmo, della voglia di scherzare,
della sedu vità del ragazzo, egli fa il ragazzo quando non ha il coraggio di
fare l’adulto, quello più asser vo, che affronta il confli o, che me e in
gioco le sue idee, an cipa gli even e non si stupisce di tu o. E così anche
per i membri dell’equipe: si può gioire del vedere un ragazzo, farsi un po’
contagiare e forse iden ficarsi con i suoi innamoramen e delusioni (della
teoria? di un paziente? del servizio? del tutor? dell’idea di Sé futura?), cioè
ritrovarli un po’ anche dentro di sé; oppure si può richiamare “il ragazzo”
quando c’è una difficoltà nella relazione, che si cerca di appianare
proponendo un livello di rapporto meno responsabilizzato. Un po’ come se
rocinante ed equipe avessero bisogno di distanziarsi dalla posizione di chi
apprende, e cercassero a volte di a ribuivi una posizione infan le, a volte
di evitare l’in mità, l’imbarazzo, la problema cità di relazione che il lavoro
tra adul può comportare.
Parlando di in mità, tu coloro che hanno vissuto l’esperienza del rocinio
ricorderanno i tan momen teneri, di soddisfazione, di affe o, di euforia,
di confronto. All’opposto di quanto esposto sopra, a volte si sviluppa tra
rocinante e tutor all’interno dell’equipe un rapporto effe vamente molto
stre o. Di più, in certe fasi il rapporto può essere connotato da
corteggiamento, seduzione e desiderio sessuale, non infrequente tra
persone di età diversa in rapporto di apprendimento.
A volte ques sen men insorgono improvvisamente e diventano
inabilitan al lavoro, tali da far pensare di essere anch’essi collusivi. Ho
osservato infa che in alcune situazioni queste emozioni sembravano
legate ad un momento di difficoltà del percorso forma vo che non si
riusciva ad affrontare se non cercando di accorciare le distanze tra le
persone e sviluppando una relazione più “calda”, in grado di sos tuire in
questo modo la mancata soddisfazione derivante dalla eventualità di un
fallimento dell’insegnamento/apprendimento. In altre situazioni, il
tenta vo di seduzione era legato invece alla difficoltà di rielaborare i vissu
aggressivi emersi all’interno della relazione, allorquando il sen mento di
frustrazione e inadeguatezza a soddisfare l’ideale professionale di tutor e
rocinante era a un tra o diventato bruciante.
 
 
L’adulto interno del rocinante, del tutor, dell’équipe
 
Così come quella del “ragazzo” è una posizione facilmente
strumentalizzata, anche quella dell’adulto può subire lo stesso tra amento.
Alcuni servizi sono adultocentrici, ma non sempre sostengono la posi vità
dell’essere adul . Per quanto mi riguarda, mi rendo conto che ho spesso
assecondato la cultura diffusa che vede l’essere adul come una fase in cui
si è “arriva ”, sicuri, la si sa più lunga, si è al sicuro da idealizzazioni e se ne
prova nostalgia, si è “neutrali” e più distacca , non si hanno colpi di testa,
si è paca .
Credo che alcuni rocinan condividessero la mia idea e avessero trovato
temporaneo riposo dalle intemperie dell’inizio delle relazioni con i pazien
impersonando il ruolo dell’adulto neutrale e distaccato.
Altri rocinan sono par colarmente vigili, si tutelano, pensano al loro
futuro come non eccessivamente condizionato dall’esperienza in corso,
aderiscono a mille diversi proge come a nessuno in par colare, per
vedere quale ha più probabilità di realizzarsi e di conseguenza dosare le
energie sulla base di un calcolo cos -benefici. Come se avessero imparato a
non essere dei “ragazzi”, nel senso scanzonato, gratuito, graffiante,
scherzoso, ingenuo del termine.
Nella mia esperienza le differenze generazionali hanno influenzato molto
anche il lavoro con l’utenza. Mi vengono in mente alcuni episodi dove io mi
sen vo rigida nella corazza di severità che un paziente diciasse enne mi
aveva, con il mio consenso, messo addosso, e ho reagito rando fuori “la
ragazza”, come in un gioco dove io avrei voluto essere più giovanile del mio
stesso paziente e dimostrargli che sono, si, più vecchia, ma non per questo
severa, rigida, annoiata, accusatoria.
 
 
Conclusioni
 
Condivido l’idea di chi ha paragonato il rocinio ai ri di passaggio, perché
mi sembra che tu e le persone coinvolte nel processo esprimano, volen o
nolen , i loro vissu rispe o a quella che si presenta come una fase di
transizione in prospe va di un trapasso.
Vorrei finire con un desiderio legato ai passaggi, che intravedo in una
famosa parabola Zen:
Un uomo, tallonato da una gre, correva. Si spinse sino ad un precipizio e si
lasciò penzolare oltre l’orlo aggrappandosi ad una vite selva ca, quando,
tremando, si accorse che anche so o lo aspe ava una gre, e che due
topolini stavano cominciando a rosicchiare la radice della pianta. L’uomo
scorse accanto a sé una bellissima fragola; afferrandosi alla vite con una
mano sola, con l’altra spiccò la fragola: com’era dolce!
 
 
 
 
Il rocinante psicologo : involontario s molo,
inconsapevole supervisore
 
di Fabrizio Rizzi e Valen na Stenico
 
 
Accogliere qualcuno che viene da fuori – anche se si tra a di
un’accoglienza voluta e temporanea – non è mai facile. Lo è tanto di meno
quanto più questo ospite si me e molto vicino a noi : non solo nella nostra
nazione o nella nostra ci à o nel nostro quar ere, ma proprio in casa
nostra o nel nostro luogo abituale di lavoro, accanto a noi.
I rocinan psicologi sono ospi regolari e previs ormai da anni nella
nostra Unità Opera va di Psicologia dell’Azienda Provinciale Sanitaria di
Trento, un servizio composto soltanto da psicologi ed il cui spe ro di
azione spazia pra camente a 360° : dall’età evolu va a quella adulta,
dall'ambito del consultorio familiare a quello dei repar ospedalieri, dal
lavoro con le scuole per la Legge 104 alla collaborazione con i servizi
sociali, senza tralasciare i proge specifici come quello più recente rivolto
agli adolescen .
Una vera manna per chi vuole (e deve) offrire opportunità di
apprendimento e formazione ai giovani colleghi : non c’è che l’imbarazzo
della scelta.
Eppure non è facile accogliere ques ospi par colari che sono i rocinan
psicologi, perché – anche se la deontologia professionale e la solidarietà ci
spingono a farlo volen eri – l’essere tutori di ques giovani colleghi in
formazione ci me e poco o tanto di fronte all’inevitabile confronto con
l’esterno, con colui che viene da fuori per capire la cosa, il come ed il
perché di quello che è il nostro modo quo diano di lavorare e di essere
servizio di psicologia .
Quando iniziano, i nostri rocinan psicologi sono per lo più piu osto
midi e silenziosi, spesso esitan nel farci le domande. E tante di queste si
fermano sulla punta della loro lingua.
In realtà non solo in questo caso non esistono domande stupide, ma anche
quelle che sembrerebbero tali sono per noi occasione per fermarci a
rifle ere.
Lavorando da molto tempo (nel distre o dove opero io siamo tre
psicologi, tu con anzianità di servizio superiore ai 20 anni), capita
inevitabilmente di sclero zzarsi un po’. E quindi il rocinante, con i suoi
interroga vi, spesso ci porta a rifle ere su quello che a noi pare scontato
ed ovvio, ma che non sempre è davvero tale.
 
“Perché per questo paziente è più indicata una psicoterapia di gruppo?”
“Il sostegno psicologico può essere fa o anche dall’assistente sociale?”
“Ma quando uno psicologo parla con gli insegnan di un ragazzo che non
conosce dire amente, come può dare dei suggerimen ?”
“Con che criteri decidete di discutere un caso nella riunione d’équipe?”
 
Ecco dei buoni esempi di buone domande.
Come genitori di bambini nell’età dei “perché?”, noi tutor siamo porta
non solo a presentare ai rocinan un sapere teorico-tecnico, ma anche a
confrontarci con noi stessi e con la nostra modalità quo diana di operare
sia come singoli professionis sia come équipe di lavoro sia infine come
servizio nel suo complesso.
E questa è una grande opportunità per confrontarsi anche con i nostri
inevitabili accomodamen , razionalizzazioni, compromessi metodologici e
scorciatoie opera ve. Tu e cose spesso storicamente gius ficate,
opera vamente inevitabili e tecnicamente comprensibili.
Spesso, ma non sempre e non totalmente.
 
1
Gli eventuali rocinan le ori di questo nostro ar colo non si offendano :
se li accos amo ai bambini nell'età dei perché non è certo per una
considerazione a bassa definizione .
Tu 'altro.
Il rocinante "ingenuo" che fa tante domande può sembrare un
involontario intralcio ai lavori in corso. Ma in realtà può dare molto,
proprio come s molo involontario ed inconsapevole alla capacità
metacogni va ed autoriflessiva del singolo psicologo come dell'intero team
professionale.
 
Ma c'è un altro aspe o su cui vorremmo soffermarci. Il rocinante può
essere qualcosa di più ancora che un u le s molo, può essere una risorsa
preziosa che non solo riceve (se ha la fortuna di fare un buon rocinio) ma
anche dà.
S amo parlando di qualcosa di più complesso che forse non accade spesso
ma che non è nemmeno così raro. E' qualcosa che può verificarsi più
facilmente quando il rocinio si snoda sull'intero anno e prevede una
partecipazione dire a e con nua va dell'allievo al colloquio clinico.
Ci riferiamo alla possibilità che il rocinante - senza saperlo e senza
volerlo - possa svolgere una funzione di supervisore del suo tutor o del
gruppo di lavoro.
Si tra a ovviamente di una funzione e non di un ruolo (altrimen sarebbe
un caso estremo di "role reversal" come ne vediamo nella genitorialità
patologica) e di una funzione che comunque, quando esiste, è
assolutamente momentanea oltre che inconsapevole.
Come Patrick Casement nel suo bel libro "Apprendere dal paziente" ci ha
spiegato l'involontaria funzione dida ca che può avere a volte chi si rivolge
a noi, così potremmo tolare questa par colare condizione "Apprendere
dal rocinante".
Vorrei presentarvi, come esempio, un breve racconto clinico.
 
Si tra a di una consultazione con Clara, una studentessa universitaria di 21
anni la cui sorella minore Enrica è stata a suo tempo gravemente
anoressica. Per la sua strenua opposizione, Enrica non fu mai vista né dal
nostro servizio né da altri psicologi; tu avia la madre ebbe all'epoca - sei
anni fa - alcuni colloqui con questo stesso psicologo che ora la ragazza si
trova davan . Questa di Clara è una prima consultazione psicologica e
viene per una sintomatologia ansiosa con soma zzazioni plurime, in
par colare delle parestesie ed un quadro di fibromialgia. No amo subito
che Clara, nel suo discorso spontaneo, va ben oltre la mera elencazione dei
sintomi e del disagio che ques le provocano. Ci parla della sua storia
familiare, dei genitori separa da anni, della rannia imposta a tu a la
famiglia da una sorella gravemente disturbata e disturbante, della madre
troppo succube di questa rannia, del padre evanescente e sul quale nutre
il dubbio di un orientamento omosessuale. Racconta di una coppia
genitoriale in contrasto perenne e della sua a uale relazione di coppia,
apparentemente soddisfacente ma che le lasca delle incertezze che non sa
ancora ben spiegare. Oltre alle coppie di cui parla - la sua e quella dei suoi
genitori - Clara ha di fronte un'altra coppia ancora : una giovane psicologa
rocinante ed un più anziano collega che conduce il colloquio. Lo sguardo
della ragazza si distribuisce su entrambi, ma - in cer momen e passaggi
probabilmente non casuali - questo sguardo si sofferma di più sulla giovane
collega, quasi a cercare un conta o sen to più facile o più riconoscibile.
Alla fine del primo colloquio, lo psicologo fa solo un breve commento che
riprende il ricordo della consultazione di sei anni prima con la madre di
Clara, di una situazione estremamente difficile : "Dev'essere stato difficile
per lei. Sua sorella era al centro di tu e le a enzioni. Mi ricordo di essermi
posto il problema di come poteva stare lei, la sorella di Enrica, ma non
avevo trovato modo e spazio per parlarne con sua madre."
Al secondo successivo colloquio, Clara dice di essersi sen ta insoddisfa a
per il suo contributo dato la volta precedente : "Ho dipinto troppo di scuro
la figura di mio padre:" Tu avia poco dopo ripete che suo padre sente lei
parlare, ma in realtà non la ascolta davvero, proprio come - spiega - a volte
fa anche il suo ragazzo.
 
2
Subito a ruota aggiunge che, durante il colloquio precedente, ha notato lo
psicologo stropicciarsi ripetutamente gli occhi e s'era chiesta se lui fosse
annoiato e stanco. Non c'è tempo per par colari commen perché Clara
dice ancora di aver fa o un sogno, che ci racconta.
 
"Mi trovo qui, in questo ambulatorio, ma voi non ci siete. Al vostro posto
c'è un piccolo gruppo, sei persone, coordinate da un chirurgo il cui proge o
è di abolire la pena di morte. C'è una ragazza che sta male e nessuno
presta a enzione alla mia presenza. Nessuno sembra volermi ascoltare, io
sono molto angosciata, risen ta e delusa. Cerco di farmi ascoltare e di
protestare, ma il chirurgo mi liquida dicendo vieni, vieni che devo operare".
Mi fanno stendere su di un le no bianco ed accanto a me, immerso in una
vasca, si trova un uomo malato di tumore. Il medico mi infila un ago nel
braccio per prendermi il sangue e darlo all'altro."
 
Il sogno viene le o e res tuito dallo psicologo in questa chiave : per lunghi
anni tu e le energie, l'a enzione e le preoccupazioni della famiglia sono
state convogliate sulla mala a della sorella e su altri problemi
(recentemente la madre di Clara è stata operata di iseterctomia per
rimuovere dei fibromi uterini), me endo sistema camente in secondo
piano le esigenze affe ve della paziente. E' come se le avessero "tolto il
sangue" rilegandola al ruolo della "figlia che sta bene" e che quindi deve
sopportare il peso di grandi responsabilità.
Si tra a, come ben si può notare, di un commento interpreta vo molto
parziale, che coglie solo un aspe o della rappresentazione onirica,
escludendo completamente il versante transferale nonostante la sua
par colare evidenza. Lo psicologo, infa , nulla commenta e nulla dice a
proposito di quel chirurgo che - come il padre reale - non ascolta e non si
interessa veramente a Clara. E non si tra a di una omissione consapevole,
collegata una scelta voluta di non interpretare un transfert in un momento
così iniziale del rapporto terapeu co. Si tra a di una momentanea ma
significa va rimozione dello psicologo che, disturbato da questa immagine
di un chirurgo vampiro, sorvola allegramente qualcosa di assai vistoso.
Ma l'aspe o transferale non sfugge invece all'a enzione della giovane
collega rocinante. Il sogno ha su di lei un grande impa o, le assorbe i
pensieri per tu a la durata del colloquio e, nella sua posizione di ascolto
silenzioso, affiorano le altre possibili interpretazioni che il tutor non
nomina nemmeno vagamente. Sì : il chirurgo potrebbe essere lo psicologo,
verso il quale sono già in a o movimen transferali ambivalen di
abbandono e re cenza all'abbandono, di fiducia e di resistenza. Nel primo
incontro è stato offerto alla paziente di rientrare nella ricerca chiamata
"Proge o adolescen " che comporta la possibilità di qua ro colloqui
gratui e, alla giovane psicologa, sembra di scorgere nel sogno un derivato
simbolico di questa proposta nell'intento del chirurgo di abolire la pena di
morte. Il "proge o adolescen " diventa "il proge o di abolire la pena di
morte" : entrambi sono per lei qualcosa di buono ma anche di astra o, di
impalpabile, che ancora non si capisce se la riguarda dire amente. C'è
forse il more di essere, anche in questo caso, una lente trasparente che
viene usata per osservare qualcos'altro, come accadeva nei colloqui dello
psicologo con la madre, sei anni prima. Colloqui in cui lei, Clara, perdeva la
sua iden tà piena per essere solo "la sorella in salute di Enrica malata
d'anoressia". Il fa o poi che sua madre a suo tempo abbia fa o tali
colloqui con lo stesso suo a uale psicologo, le fa temere di non potersi
conquistare il suo spazio nel se ng terapeu co. Tale paura, indicibile a
livello consapevole, si manifesta con il linguaggio del sogno.
 
Nella discussione con il tutor dopo il colloquio, la rocinante ha modo di
verbalizzare questa sua interpretazione ben più completa ed ar colata
rispe o a quella del collega. Quest'ul mo, ascoltandola, si rende conto
della massiccia rimozione che è avvenuta in lui e così si spiega il vissuto di
inadeguatezza con cui aveva appena concluso la seduta : una specie di
sensazione di distrazione macroscopica di cui però non sapeva dare
compiuta ragione.
 
3
Le osservazioni che emergono da questo confronto, proprio grazie all'aiuto
dato dalla le ura della rocinante quale spe atrice presente ma meno
coinvolta dire amente nel transfert, si riveleranno molto u li anche nelle
sedute successive favorendo una buona evoluzione del percorso
terapeu co.
 
Questo resoconto clinico, seppur breve e parziale, dimostra non solo come
sia possibile che anche uno psicoterapeuta esperto possa a volte distrarsi
ed inciampare su qualcosa di molto evidente, ma anche che la presenza
apparentemente solo “passiva e discente” quale quella della psicologa
rocinante possa invece diventare, seppur momentaneamente, molto
“at va e docente”
 
 
 
Idee per una ridefinizione del percorso di rocinio degli
psicologi
 
di Susy Ammaini, Maria Mori, Simone Oliva
 
 
I contenu del percorso di rocinio
 
L’ambiente in cui il neolaureato si trova a dover affrontare il percorso di
rocinio post lauream è ricco di possibilità di apprendimento e
perfezionamento delle proprie capacità.
Tale ricchezza e varietà rimane inu le ed inefficace, però, se non viene
corre amente mostrata e messa a disposizione del rocinante, il quale,
non conoscendo il sistema in cui viene inserito, non può avere un quadro
completo per poter scegliere ed u lizzare al meglio le aree di lavoro.
Tu o è talmente nuovo e diverso dall’ambiente universitario che il
rocinante rischia di rimanere spaesato ed emarginato dalle a vità per
molto tempo prima di riuscire ad ambientarsi e inserirsi nel servizio.
Fondamentale, quindi, si rivela la presenza di alcuni pun di riferimento su
cui il rocinante possa basarsi per orientarsi il più possibile.
Tali pun di riferimento, in generale, consistono in professionis che già
lavorano nel sistema da oltre cinque anni e lo conoscono in modo
approfondito e chiaro, nonché in a vità ben precise, stabili e rivolte
par colarmente ai rocinan .
Fin dalla sua entrata nell’ambiente di lavoro, il rocinante dovrebbe aver
chiaro a chi rivolgersi sempre in caso di bisogno, per qualsiasi mo vo e per
quali a vità è richiesta la sua partecipazione.
Deve esistere, dunque, un “tutor d’aula” che lo orien all’interno del
sistema in base alle necessità del rocinante e dei servizi, e che lo segua
nei momen di difficoltà di qualsiasi po.
Ma è necessaria anche la presenza di un tutor ufficiale che si occupi della
formazione pra ca, professionale del rocinante accogliendolo in alcune
a vità proprie del suo ruolo per i servizi. Un tutor a cui poter sempre fare
riferimento per le a vità da svolgere e che rappresenta la parte più
consistente dell’esperienza di rocinio.
Deve rimanere, però, tempo sufficiente al rocinante per partecipare a
momen di lavoro mono e poliprofessionali in équipe del dipar mento di
salute mentale, a momen di formazione e aggiornamento tenu da
esper esterni con l’eventuale rilascio di a esta di partecipazione e
momen di supervisione dei casi clinici affronta dal servizio da parte di
professionis esterni all’azienda, o esterni almeno rispe o ai compi più
precisi di tutoring.
Sono u li, inoltre, incontri di supervisione rivol specificamente ai
rocinan , in modo che abbiano un parere clinico professionale sulla loro
personale a vità e i loro vissu durante il percorso di rocinio.
Per vivere al meglio l’anno di rocinio e talmente importante considerare i
pensieri e i vissu del rocinante che sarebbe bene creare la possibilità di
uno scambio e un confronto regolari e ricorren anche tra i rocinan ; sia
quelli dello stesso periodo di rocinio, sia quelli di periodi diversi, cioè di
altre generazioni di rocinio, sopra u o le più vicine alla propria, in modo
che il rocinante riesca ad elaborare meglio le esperienze affrontate
arricchendosi di pareri e pun di vista diversi dai suoi.
Sappiamo, inoltre, che la condivisione di pensieri, gioie, preoccupazioni in
un gruppo di pari o individui nelle stesse condizioni fa sembrare tu o più
semplice e talvolta più interessante. Si crea un clima di solidarietà molto
importante per sen rsi più sicuri nell’affrontare il nuovo e di conseguenza
svolgere meglio le a vità.
Infine, perché l’anno di rocinio sia completo ed efficace fino in fondo, è da
so olineare l’importanza di una valutazione finale che ripercorra tu i
contenu incontra , una specie di res tuzione, così come la si trova in tu
i buoni percorsi terapeu ci o di consultazione che più persone svolgono
insieme.
Questo sia da parte del tutor che, se ha seguito in modo sufficientemente
con nuo e a ento il rocinante, ha i mezzi per comprendere e giudicare il
lavoro svolto, sia da parte del rocinante che può e deve aumentare il
valore e l’efficacia dell’anno di rocinio per mezzo di un’elaborazione
approfondita e regolare delle proprie esperienze.
Può essere d’aiuto, in questo, la stesura di una relazione delle principali
esperienze ed a vità, in cui il rocinante è spronato a rifle ere ed
organizzare i propri pensieri ed impressioni.
L’elaborato, inoltre, nelle mani del tutor è un buon indice della qualità del
lavoro svolto notando par colari nuovi tramite gli occhi del suo rocinante
e un prezioso spunto per migliorare, eventualmente, il proprio metodo di
tutoring per il bene dei rocinan successivi. L’esperienza insegna.
 
 
I tempi
 
I neolaurea interessa a svolgere tu o o parte del loro rocinio annuale
presso l’azienda USL, dovranno far pervenire la loro richiesta entro il 10
febbraio/20 agosto, cioè un mese prima dalla data d’inizio.
Al momento della domanda verrà consegnato ad ognuno di loro una
scheda di auto-presentazione del candidato rocinante (vedi), riguardante
sia le loro aspirazioni, gli interessi, gli obie vi sia le a tudini, le
disponibilità e la propensione personale verso i differen ambi del se ore
clinico, sociale e di comunità. Tale scheda ha lo scopo d’individuare chi può
essere acce ato dall’azienda sanitaria e chi no, effe uando, pertanto, una
selezione tra le persone interessate.
I futuri rocinan verranno quindi invita ad un colloquio, condo o dal
coordinatore dei rocinan , dal quale estrapolare quante più informazioni
possibili sulle preferenze del ragazzo o della ragazza richieden , al fine di
assegnargli/le i tutor più ada .
 
Entro il 15 marzo/15 se embre verrà quindi fa a una griglia dei tutor,
che mostrerà in modo chiaro a quale tutor, per ciascun semestre, il
ragazzo/ a è stato/a assegnato/a.
 
Ad esempio:
 
Angelini Tromellini Bertani Pascarella
Tutor I° I° 2°  
Tirocinante 2°
Maria *              

          *    

Simone         *      

  *            

Susy     *          

      *        

 
 
 
 
 
Si inizia così una ulteriore fase, quella dell’orientamento, che terminerà
alla fine del mese, il 30 marzo/30 se embre. A questo scopo sono state
pensate diverse a vità condo e ciascuna da differen a ori, tra cui il
coordinatore ed il tutor “d’aula” che sono i riferimen principali per i
giovani rocinan .
L’orientamento prevede: visite guidate ai dipar men dell’AUSL nei quali
è possibile fare a vità di rocinio, presentazione delle a vità dei tutor,
illustrazione di tu i servizi che offre l’azienda agli uten , scambio di
esperienze tra nuovi e vecchi rocinan . Al termine di questo percorso sarà
compito del coordinatore, insieme al rocinante, costruire una seconda
griglia delle a vità che il neo- rocinante svolgerà nei vari servizi durante
l’anno. Sarà questo uno strumento che aiuterà ad individuare
immediatamente il po di esperienza che ogni rocinante farà e, a livello
pra co, aiuta a dis nguere i servizi già impegna da quelli disponibili ad
accogliere uno o più rocinan .
 
 
Ad esempio: scheda Susy
 
1° SEMESTRE 2° SEMESTRE
X Colloqui con pz. CUP
ore
Y Equipe di Esperienze con
neuropsichiatria disabili
infan le +
a vità au smo
Z Workshop con Workshop nelle
elementari medie
W Convegno cure pallia ve,
supervisioni età evolu va
(Pietropolli), supervisione ws… +
gruppo rocinan
X= a . monoprofessionali con il tutor
Y= a . poliprofess. nei primi 3 mesi del semestre
Z= a . poliprofess. negli ul mi 3 mesi del semestre
W= a . forma ve
 
Al termine di ogni semestre il/la rocinante è tenuto a svolgere un breve
elaborato scri o rela vo alle esperienze fa e, un resoconto che dovrà
essere riflessione e bilancio di ciò che è andato o non è andato, una
valutazione sulle a vità oltre che sulle persone con le quali si è
collaborato. Tali lavori dovranno essere consegna al coordinatore entro il
5 del mese successivo alla data di termine del rocinio (5 aprile/5 o obre)
che lo conserverà come prezioso contributo per una costante tendenza al
miglioramento.
 
 
La figura del Coordinatore dei Tirocinan
 
I compi del Coordinatore dei Tirocinan sono di accogliere e orientare i
nuovi rocinan . Comunque, iniziato il rocinio, rimane sempre un tramite
informa vo tra la stru ura e il rocinante che già sta svolgendo il proprio
servizio.
Il coordinatore deve avere un con nuo feedback con i referen dei servizi a
cui accedono i rocinan . I servizi infa hanno esigenze di personale che
possono mutare nel tempo. Nell’assegnazione egli deve tenere conto di
queste necessità in modo da non sovraccaricarli o privarli di rocinan .
Prima dell’assegnazione, ma anche in i nere, deve verificare con i referen
la effe va disponibilità dei servizi interessa a farsi carico della formazione
dei rocinan . tu o dovrebbe accadere o emperando le esigenze del
rocinante e del servizio di auten cità e di flessibilità del percorso di
rocinio.
 
Scendiamo nei de agli per vedere in che modo questo accompagnamento
avviene.
 
A) Accoglienza
 
Periodo: 10 febbraio-10 marzo
20 agosto- 10 se embre
 
Il rocinante che si presenterà all’ente, convenzionato per il rocinio, dovrà
avere come riferimento la figura del coordinatore dei rocinan .
Quest’ul mo consegnerà all’aspirante rocinante un ques onario costruito
‘ad hoc’ per saggiare le a tudini, le aspe a ve e le esperienze di lavoro
già svolte.
Successivamente alla res tuzione del ques onario si fisserà un colloquio.
A questo punto, se il ragazzo sarà ritenuto idoneo, si procederà con
l’assegnazione del Tutor, annuale o semestrale. Inoltre gli saranno
consegna i moduli da consegnare in Università per ufficializzare l’inizio del
rocinio.
 
 
B) Orientamento
 
Periodo: 15 marzo-30 marzo
15 se embre-30 se embre
 
Una volta che il rocinante è stato acce ato dall’ente comincerà il lavoro di
orientamento. Questo è propedeu co alla scelta delle a vità da affiancare
durante il semestre. Il Coordinatore dei rocinan dovrà stru urare:
- Visite guidate all’interno dei servizi
- Incontri con i rocinan di ‘Vecchia generazione’
- Consegnare elabora -valutazione (vedi punto E) che avrà raccolto dagli
altri rocinan .
 
 
C) La Scelta
 
Periodo: entro 30 marzo-30 se embre
Il Coordinatore dei rocinan dovrà, a questo punto, far incontrare le
aspe a ve dei rocinan alle possibilità dei servizi dell’ente. In questo
modo darà spazio agli interessi del giovane e perme erà un u lizzo
adeguato, da parte dell’ente, della sua forza lavoro.
Si costruirà così una tabella organizza va individualizzata che coprirà le ore
di lavoro del ragazzo. Il tempo del servizio sarà ripar to in qua ro macro-
contenitori.
 
- A vità di affiancamento dire o con il Tutor, assegnato già in fase di
accoglienza.
- Esperienze specifiche professionali, visionate nella fase di orientamento
presso i servizi dell’ente.
- Partecipazione a convegni, seminari, supervisioni, formazione…(vedi
punto D)
- Incontri con Tutor d’aula.
 
 
D) Il Coordinatore durante il semestre
 
L’ufficio del Coordinatore deve assomigliare ad un ‘Informa Giovani’. Infa
egli deve avere tu e le no zie che riguardano gli avvenimen che
interessano la stru ura in cui opera e gli en vicini. In questo modo tu e le
informazioni convoglieranno in quell’unico ufficio ed i rocinan potranno
avere no zie u li per pianificare le proprie ore adibite alla partecipazione
di convegni, seminari, supervisioni…
 
 
E) Il Congedo
 
Alla fine di ogni semestre il rocinante deve consegnare una
relazione scri a sulla esperienza svolta all’interno di ogni ambito da esso
scelto. Dovrà così indicare il suo grado di soddisfacimento dell’a vità
svolta nei servizi quanto con il tutor. Gli elabora saranno conserva dal
coordinatore che in fase di orientamento li me erà a disposizione dei
nuovi rocinan .
 
 
 
La figura del Tutor d’Aula
 
Il tutor d’aula è una figura esterna alla stru ura che, a cadenza mensile,
incontra tu i rocinan (eventualmente in sedi separate ‘nuovi’ e
‘vecchi’) per raccogliere le loro impressioni e le loro sensazioni sul lavoro
che stanno svolgendo nei diversi ambi .
 
 
La figura del Tutor
 
La figura del tutor verrà assegnata prima della fase di orientamento in
quanto il tempo trascorso con questo non sarà la porzione maggiore del
tempo totale. Il percorso che il rocinante farà con il Tutor sarà in linea con
gli impegni dello stesso Tutor. Seguirà alcuni colloqui e lo affiancherà nelle
a vità in cui sarà richiesto il suo aiuto.
Il tutor del servizio deve essere in con nuo conta o con il Coordinatore dei
rocinan per due mo vi.
Il primo riguarda l’andamento del rocinio del ragazzo. Comunicherà
eventuali problemi che possono essersi verifica .
Il secondo riguarda le necessità del servizio. Infa il Coordinatore dei
rocinan deve avere un referente all’interno di ogni servizio in modo da
tenere una rete di conta che gli perme a di essere sempre aggiornato
sulle loro effe ve necessità.
 
 
 
 
Scheda di auto-presentazione del candidato rocinante
 
di Susy Ammaini, Leonardo Angelini, Elena Manzini, Maria Mori, Simone
Oliva, Laura Panna
 
 
1^ parte - AREA GENERALE
 
DATI ANAGRAFICI :
 
Cognome _________________________________
 
Nome ____________________________________
 
Nato/a il _________________ a
___________________________________
 
Residente in via
_________________________________________________________
 
nel comune di ___________________________________
 
prov. __________________
 
Tel.
_____________________________________________________________
______
 
 
TITOLI DI STUDIO :
 
Maturità
_____________________________________________________________
__
 
Laurea in
_____________________________________________________________
_
 
conseguita presso
______________________________________________________
 
Titolo della Tesi
_________________________________________________________
 
Abstract
_____________________________________________________________
_________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
__________
 
ESPERIENZE FORMATIVE :
Esperienze forma ve non scolas che (volontariato, scout,
hobbies...)_________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
________________________________________
 
Esperienze di lavoro
______________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
______________________________
 
Aspe a ve professionali per il futuro
__________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
______________________________
 
2^ parte - TIROCINIO
 
Indirizzo universitario scelto
________________________________________________
Perché ?
_____________________________________________________________
__
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
____________________
Eventuali approfondimen in ambito universitario (seminari, convegni,
gruppi di lavoro...)
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
_____________________________________________________________
________________________________________
 
Quali di ques ambi di rocinio vedrebbe soddisfa o/a ? (Rispondere a
tu e le possibilità : 0 per niente ; 5 Mol ssimo ; )
 
Infanzia e 0 1 2 3 4
latenza 5
 
Pre-adolescenza 0 1 2 3 4
  5
Adolescenza - 0 1 2 3 4
Giovani adul 5
 
Adul 0 1 2 3 4
  5
Anziani 0 1 2 3 4
  5
Psichiatria 0 1 2 3 4
Adul 5
 
Neuropsichiatria 0 1 2 3 4
Infan le 5
 
SERT 0 1 2 3 4
  5
Immigrazione 0 1 2 3 4
  5
Disabilità 0 1 2 3 4
  5
Disagio in età 0 1 2 3 4
evolu va 5
 
Pensiero e 0 1 2 3 4
Linguaggio 5
 
Tes s ca 0 1 2 3 4
  5
Psicologia 0 1 2 3 4
Ospedaliera 5
 
 
In quali ambi tra quelli descri precedentemente non lavoreres
assolutamente ? Riesci a spiegare il perché ?
 
 

Gli autori:
 
- Susy Ammaini, psicologa rocinante, Reggio Emilia
 
- Leonardo Angelini, psicologo – psicoterapeuta, Responsabile
dell'OPEN G, il Consultorio Giovani dell'AUSL di Reggio Emilia
 
- Luciano Arcuri, Ordinario di Psicologia delle comunicazioni sociali
presso l'Università degli studi di Padova
 
- Deliana Bertani, psicologa – psicoterapeuta, Responsabile dell'Unità
Opera va di Psicologia clinica dell'AUSL di Reggio Emilia
 
- Mariella Can ni, referente e tutor di Gancio Originale, la stru ura di
Volontariato dell’U.O. di Psicologia Clinica dell'AUSL di Reggio Emilia
 
- Angela Dardani, assistente sociale, tutor del Consorzio Forma Futuro
di Parma
 
- Luigi Guerra, pedagogista, Presidente del Consiglio del Corso di Laurea
della Facoltà di Scienze della Formazione di Bologna
 
- Stefano Laffi, sociologo, ricercatore, Milano
 
- Elena Manzini, psicologa rocinante, Reggio Emilia
 
- Maria Mori, psicologa rocinante, Reggio Emilia
 
- Paolo Mo ana, pedagogista, docente di pedagogia presso l'Università
degli Studi di Milano-Bicocca
 
- Giuliana Nico, psicologa rocinante, Specializzanda in Psicoterapia ad
indirizzo psicosocioanalico
 
- Simone Oliva, psicologo rocinante, Reggio Emilia
 
- Laura Panna, psicologa rocinante, Reggio Emilia
 
- Marianna Pa ni, psicologa rocinante, Parma
 
- Marcella Paterlini, psicologa rocinante, Reggio Emilia
 
- Fabrizio Rizzi, psicologo – psicoterapeuta, dirigente dell'U.O. di
Psicologia dell'Azienda Sanitaria di Trento
 
- Valen na Stenico, psicologa rocinante, Trento
 
- Fabio Vanni, psicologo – psicoterapeuta, Responsabile della
formazione in psicologia e in psicoterapia dell’AUSL di Parma
Note

[←1]
Cfr: Angelini L., ‘’Affabulazione e formazione – Docen e discen come produ ori e
fruitori di tes ’, UNICOPLI, Milano, 1998
[←2]
Per quanto riguarda il confli o fra vecchio e nuovo in ambito psicologico Cfr.:
Angelini L. “Una nuova figura professionale: lo psicologo nei servizi pubblici, in
‘Simposio – Rivista di psicologi’, n.3, Firenze, 1995
[←3]
1 Milano, gennaio 2002 (riveduto sulla base di “La funzione di tutorship nel processo
affe vo di apprendimento , Skill, 1990)
 
[←4]
2 Cfr. tra gli altri Barrows A.H., Il processo tutoriale, Fondazione Smith Kline, Cosmo,
Milano 1980; Abba F.R., Teaching for be er learning, W:H:O:, Geneva, 1992; AAVV,
Funzioni e i nerari forma vi del tutor nell’università, A del Convegno nazionale 25-
26 o obre 1991, Macerata; A.Sellini, Funzioni del tutor nella valutazione degli
studen , degli specializzandi e nella formazione permanente, “Pedagogia medica” ,
n.2, 1988, pp.105-107; AAVV, Il sistema tutoriale nella formazione infermieris ca
universitaria, A del Seminario residenziale, 1-3 novembre 1993, Is tuto
universitario Campus bio-medico, Roma; M.G.Balice, S.Tosco, Le funzioni del tutor
nella formazione infermieris ca universitaria: riflessioni e prospe ve, in “Nursing
oggi”, n.4, 1996; AAVV, Il rocinio e il processo tutoriale nelle professioni sociali e
sanitarie, A del Convegno 20-21 novembre 1995, Bologna; A.Castellucci e al.,
Viaggi guida : il rocinio e il processo tutoriale nelle professioni sociali e sanitarie,
Angeli, Milano 1997; De Vecchi Pella D., Il tutor: dimensioni educa ve,
sperimentazioni e realtà, Tesi di Laurea in Le ere moderne, Università degli studi di
Milano, 1996
[←5]
3 . Da intendersi fondamentalmente come "prendersi cura di", servire, secondo la
restrizione inglesizzata di un significante originariamente la no, ma anche
proteggere, preservare, secondo un e mo e un radicamento metaforico che
sconfina nella “tutela” e nel tutare…
 
[←6]
4 . L’ “area potenziale” è appunto il luogo, la domus, intesa come realtà specifica,
stru uralmente determinata, so o un profilo materiale, simbolico e corporale,
secondo una principale dimensione di protezione e di potenzialità esperienziale, una
radura ma anche un crogiolo in senso alchemico, capace di propiziare, per molteplici
aspe , il dinamismo specifico e complesso dell’apprendimento. Su questo tema
rinvio per approfondimento a un precedente ar colo pubblicato sulla Rivista
dell'Associazione Italiana Formatori: P.Mo ana, La formazione come area
potenziale, in "Rivista AIF", n.8, 1990 e a Formazione e affe , cit.; inoltre a Riccardo
Massa, Cambiare la scuola, Laterza, Bari 1997, ma anche ai miei recen studi sulla
pedagogia immaginale, in corso di pubblicazione su “Studi sulla formazione” e
“Studium educa onis”.
 
[←7]
5 . Per una definizione sufficientemente chiara di ciò che si intende con
"apprendimento dall'esperienza" in senso bioniano rinvio principalmente a
W.R.Bion, Apprendere dall’esperienza, trad.it. Armando, Roma… e a D.Meltzer -
M.Harris, Il ruolo educa vo della famiglia.Un modello psicoanali co dei processi di
apprendimento, trad.it., Centro Scien fico Torinese, 1986: si tra a
dell'apprendimento che comporta il "diventare ciò che si è" in senso bioniano. Un
apprendimento in cui non viene acquisita solo una capacità o un comportamento
("apprendimento secondario") ma anche l'interiorizzazione delle modalità affe vo-
cogni ve u lizzate ("apprendimento primario") nell'apprenderli. Tale
apprendimento è condizionato dal possesso di un “ogge o interno buono” ed è
legato al meccanismo dell'"iden ficazione introie va", cioè della capacità di
elaborare internamente l'incertezza dello sconosciuto a raverso la "modulazione
dell'ogge o prote ore introie ato”: c'è quindi una buona coppia genitoriale che,
all'interno della mente, aiuta a sopportare la sofferenza di pensare e capire le cose.
Tale coppia può però essere non solo interna, ma anche esterna, nel se ng
forma vo ( e la tutorship ne è una parte).
 
[←8]
6 . cfr. a questo proposito il contributo di M.Bruscaglioni. Gli elemen di processo
nella formazione in M.Bruscaglioni, La ges one del processo nella formazione degli
adul , Milano, AIF-Angeli, 1991
[←9]
7 . il termine "se ng", di derivazione psicoanali ca, indica la contestualizzazione
specifica, spazio-temporale, norma va e simbolica all'interno della quale si realizza il
processo forma vo; per questo ordine di significato del termine "se ng" cfr.
R.Massa, Le tecniche e i corpi, Milano, Unicopli, 1986
[←10]
8 . La nozione di "quadro", come invariante del processo anali co e, per traduzione
analogica, forma vo, proviene da J.Bléger, Psychanalyse du cadre psychanaly que,in
AAVV, Crise, rupture et depassement, Paris, Dunod, 1979; anche in trad.it. in
C.Genovese (a cura di), Se ng e processo psicoanali co, Milano, Cor na,1988
[←11]
9 . cfr. F.Fornari, Il codice vivente. Femminilità e maternità nei sogni delle madri in
gravidanza, Torino, Boringhieri, 1981
[←12]
10 .Anche se il po di percorso, la sua lunghezza, l'obie vo di apprendimento,
possono determinare la qualità dell'area transizionale, nel senso di una maggiore o
minore profondità, di una maggiore o minore esigenza di "stacco" emo vo e
esistenziale: un T-Group e un corso di botanica nel tempo libero pongono problemi
di tutorship differen , anche se analoghi.
[←13]
11 . cfr. D.Meltzer, Il processo psicoanali co, trad.it., Roma, Armando, 1981, pp.54 e
sgg.
[←14]
12 nel senso in cui di apprendimento "Vero", di stru ure di personalità che non
mentono a se stesse e che vogliono conoscere le cose e non simulare la conoscenza,
parlano per esempio D.Meltzer e M.Harris in Il ruolo educa vo della famiglia,
trad.it., Torino, Centro Scien fico Torinese, 1986, passim
[←15]
13 Il caso so oposto al gruppo dei partecipan è stato il seguente:
IL TIROCINIO BRILLANTE
Astrid, 21 anni, frequenta il secondo anno del Corso di Diploma Universitario per
infermieri professionali e sta effe uando il suo rocinio pra co presso l'Azienda
Sanitaria di Sempretardi dove ha manifestato fin dall'inizio grande entusiasmo e
vivacità suscitando reazioni di apprezzamento e incoraggiamento da parte di tu
gli operatori. Fino ad ora Astrid ha lavorato in Medicina, Chirurgia e Oncologia dove,
grazie alla sua intraprendenza, disponibilità e desiderio di rendersi u le è stata
accolta posi vamente dal gruppo degli infermieri, ha ricevuto conferme ed
incitamen da parte della caposala ed ha o enuto o mi giudizi da parte dei tutor
clinici incarica di seguirla.
Al momento di ingresso in un nuovo reparto Modesto, il tutor responsabile del
tirocinio concorda con ogni allievo obie vi, programma di apprendimento e
modalità di svolgimento dell’esperienza in funzione delle par colarità del reparto,
delle occasioni di apprendimento offerte e del livello di preparazione del rocinante.
Modesto ene inoltre colloqui quindicinali individuali con tu gli allievi per
verificare i risulta o enu , ridefinire obie vi, tempi e modalità degli
affiancamen , discutere dei problemi incontra e per concordare eventuali
cambiamen nel percorso di apprendimento. Nei confron del personale dei repar
il tutor responsabile organizza un incontro annuale di presentazione e discussione
della programmazione e in seguito offre la sua disponibilità su richiesta per problemi
par colari rela vi al rapporto con gli allievi.
Considerando Astrid un sogge o rice vo, responsabile, capace di ges rsi
autonomamente e senza par colari problemi, Modesto le ha affidato il programma
degli affiancamen , ha discusso rapidamente con lei gli obie vi dell'esperienza del
rocinio e parla con lei telefonicamente ogni volta che emerge un problema o Astrid
desidera avere qualche chiarimento. In generale la lascia piu osto libera di
organizzarsi, di concordare con la caposala e con il tutor clinico le occasioni di
apprendimento che ri ene più significa ve, valorizza il suo impegno e incoraggia la
sua intraprendenza. Nel periodo precedente l’episodio Astrid non si è più rivolta a
Modesto per problemi che tende a risolvere con il tutor clinico o comunque
all’interno del reparto.
Il tutor responsabile organizza anche incontri mensili colle vi con tu i rocinan
coinvol e, nell’ul mo incontro, svoltosi circa tre se mane prima dell’episodio, ha
notato che Astrid è diventata un po' leader del gruppo e, tranne in qualche caso
isolato, è piu osto ammirata, apprezzata o comunque rispe ata.
Il rocinio di Astrid nelle aree ad alta specialità incomincia nel reparto di dialisi dove
la ragazza brucia rapidamente le tappe e, dopo una sola se mana affianca già gli
infermieri in diverse operazioni: preparazione delle macchine, assistenza ai mala
durante la seduta e, una o due volte ha anche staccato i pazien alla fine del
tra amento. Lunedì ma na si verifica una situazione di emergenza improvvisa
perché due infermieri restano contemporaneamente a casa per problemi di salute.
Inoltre arriva in reparto un paziente acuto e si crea una situazione di grande caos.
La caposala spiega ai pazien in a esa che l'assistenza verrà garan ta a tu nei
tempi necessari e, mentre due infermieri più esper ges scono l'urgenza, gli altri
due cominciano ad effe uare le dialisi programmate per la ma nata accordando la
priorità ai pazien più anziani e problema ci. Mentre le operazioni procedono con
una certa lentezza, uno dei pazien più giovani, dopo una lunga a esa, chiede ad
Astrid di a accarlo alla macchina.
Astrid reagisce dicendo che non ha mai punto, ma poi, dopo aver pensato che la
situazione può andare per le lunghe decide di effe uare l'operazione anche perchè
l'ha visto fare più volte e il paziente è giovane e senza par colari problemi. Nessuno
se ne accorge poiché tu sono estremamente impegna e il fa o si svolge in una
delle stanze a due le del reparto. Dopo aver preparato la macchina, Astrid prova
ad effe uare l'a acco, ma dopo aver tentato per cinque volte, si rende conto di non
riuscire ad inserire corre amente l'ago nella fistola del giovane che comincia a
sanguinare. A questo punto, spaventata, chiama un'infermiera che è però
impegnata altrove e non può allontanarsi dal suo paziente. Arriva allora di corsa la
caposala che aggredisce Astrid richiamandola violentemente per non aver effe uato
l'operazione con l'assistenza di qualcuno e sopra u o senza autorizzazione. A
questo punto ritorna anche l'infermiera che avrebbe dovuto a accare il giovane che
viene anch'essa richiamata. Astrid reagisce apparentemente con calma, poi si
innervosisce, si arrabbia e abbandona il reparto. Per due giorni non si farà più
vedere al rocinio. Modesto, avvisato il giorno stesso dell'incidente, convoca Astrid
per un colloquio individuale. Lei si presenta il terzo giorno.
Che cosa dice il tutor nel colloquio con Astrid?
Che cosa avrebbe dovuto fare?
Che cosa deve fare ora?
(La discussione del caso, da parte di partecipan esper e forma da un corso molto
ar colato sulla funzione di tutor nei rocini, è apparsa molto precisa e ben orientata
e ha saputo cogliere nella mancanza di una sufficiente a enzione per le a vità di
disposizione an cipata degli even e del loro monitoraggio una delle principali
carenze nel comportamento del tutor, ancor più che un’eventuale trasandatezza
relazionale o un eccesso di fiducia (che indubbiamente tu avia ha rafforzato il Sé
grandioso della partecipante)
 
 
 
[←16]
14 Con ciò non si intende minimamente so ovalutare le funzioni indicate da Luisa
Saiani di orientamento (professionale), di tutela (assimilabile alla funzione descri a),
di sostegno e le cara eris che dall’autrice delineate rispe o al “processo tutoriale”
nell’importante saggio: Il rocinio nelle professioni sociosanitarie ed educa ve, in
A.Castellucci e al. (a cura di), Viaggi guida : il rocinio e il processo tutoriale nelle
professioni sociali e sanitarie, Angeli, Milano 1997. Semmai di rilevarne la
dipendenza da una superiore funzione-quadro di po stru urale.
[←17]
Relazione tenuta al mee ng dei soci Coop Nordest – Salsomaggiore, 10.11.2001
[←18]
1 Inviato, e non pubblicato, alla rivista dell'Ordine degli psicologi nel 1997
[←19]
1 Sono debitrice di molte riflessioni verso il mio tutor e la mia supervisora.
[←20]
2 Alludo al conce o di Bion citato in “Esperienze nei gruppi”, Astrolabio.
[←21]
3 Cioè le si a ribuiscono par colari cara eris che, intenzioni, sen men in modo
da indurla a comportarsi come se fossero suoi, mentre invece convergono su di lui
da parte del gruppo.

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