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Indice
Cosa sono i Quaderni di Gancio Originale
A. Gancio Originale: un gruppo di volontariato giovanile
Gancio Originale: un gruppo di volontariato giovanile
La bottega artigiana di Gancio Originale
Il mestiere del giovane volontario: offrire relazioni, offrire se stesso
B - Nei nostri Cantieri
Workshop ed altro: il profilo di Gancio Originale dieci anni dopo
Cos’è il workshop
Lavoro di gruppo nei workshop: attività principale ed attività secondarie
Il workshop come spazio mentale in cui il ragazzo a rischio possa ri\trovarsi
Peer education, peer support, counselling, tutoring
L’accoglienza nei gruppi di volontariato
Essere adulti, essere bambini oggi
C – Adolescenti e adulti oggi, a Reggio Emilia
Diventare adulto? Un’esperienza di volontariato giovanile nel percorso
dipendenza - autonomia
L’accoglienza e l’ascolto dell’adolescente
Per un counselling rivolto agli educatori di adolescenti “che non vedrò”
Atto di passaggio e passaggio all’atto: pluralità di significati dell’ acting out
in adolescenza.
Per l’adolescenza reggiana: analisi, risorse e programmi del Dipartimento
Salute Mentale
D. Altri ganci nel lavoro di rete
Domiciliarità per sentirsi a casa nella società
Mediazione in rete
Situazioni multiproblematiche Metodologia adottata nella discussione dei
casi proposti dal pronto soccorso dell’ASMN
La responsabilità dei genitori separati nei confronti dei figli
Genitore continuo e genitore discontinuo: cosa significa avere una mamma
ed un papà separati
E – Ganci multietnici
Insegnamento e apprendimento: l'integrazione a scuola dei bambini e dei
ragazzi immigrati.
Le Stanze di Dante: workshop d’accoglienza e scambio tra pari di culture
diverse nelle scuole di Reggio Emilia
L’integrazione nella città e nei luoghi dell’incontro
Migrazioni nel tempo e nello spazio
Cosa sono i Quaderni di Gancio Originale
I Quaderni di G.O. contengono le relazioni tenute alle giovani e ai giovani nostri volontari ed ai nostri
rocinan all’interno dei vari momen forma vi che inizialmente si svolgevano due volte l’anno, e
che in seguito si sono trasforma da una parte in atelier pra ci tenu durante l’anno, dall’altra in
una lunga serie di “Seminari al Seminario”, tenu a Marola ai primi di Se embre di ogni anno; ed in
veri e propri cicli d’incontri su temi specifici (è il caso, ad esempio di “Tirocinan e tutor”) ai quali
hanno spesso partecipato -sempre gratuitamente- rocinan , psicologi, NPI, educatori, docen ,
pedagogis , provenien spesso da ogni parte d’Italia.
L’idea che abbiamo avuto fin dall’inizio è stata quella di non ripetere sempre gli stessi argomen , ma
di par re ogni volta dalle esigenze e dalle urgenze dei volontari e dei rocinan che operavano con
noi.
Ovviamente questo andamento apparentemente discon nuo, basato sulle urgenze del momento,
unito al fa o che sia i volontari che i rocinan variavano di anno in anno ingenerando un
considerevole turn over, trovava un a sua ra o nel lungo periodo solo nella misura in cui di ogni
argomento affrontato nel tempo fosse lasciata traccia in relazioni scri e che venivano ciclos late e
offerte ai nuovi arriva , in modo che ognuno avesse la possibilità di poter a ngere a ciò che era
stato già discusso e ‘studiato’ negli anni preceden .
Ogni tanto, allorché ci era possibile farlo, le varie relazioni: - o venivano composte nei Quaderni, in
modo tale da recuperare nel tempo il filo rosso che le unificava (da ciò le frequen ripe zioni
riscontrabili nelle sei raccolte!); oppure, di fronte ad argomen che richiedevano una riflessione più
organica, diventavano l’ossatura di veri e propri percorsi forma vi, dai quali poi sono na vari tes .
Vedi ad esempio: e “L’adolescenza nell’epoca della globalizzazione. Unicopli, 2005”, e “Free Student
box. Counselling psicologico per studen , genitori e docen . Psiconline, 2009”.
Un ul mo cenno ai relatori: nei limi del possibile abbiamo cercato di offrire a rocinan e volontari
il meglio che era possibile trovare in ci à, in provincia, e anche ‘fuori’. La maggior parte di loro non
ha ricevuto alcun compenso per questo impegno; per cui si può dire che anch’essi, in quanto
volontari, hanno fa o parte a pieno tolo di “Gancio Originale”. Li ringraziamo ancora una volta per
questa loro disponibilità. Così come ringraziamo presidi, docen , e tu coloro che ha collaborato
con noi in quegli anni!
“Dare, ricevere, contraccambiare”: è all’interno di questa logica che si sono pos nei 25 anni
scolas ci intercorsi fra il 1990\91 e il 2014\15 i nostri 12.000 volontari, i nostri rocinan psicologi e
no. Ed è all’interno di questo scambio che abbiamo cercato di porci noi stessi, cercando di dare ciò
che potevamo, e ricevendo tan ssimo da tu e e da tu . (L.A., D.B., M.C.)
A. Gancio Originale: un gruppo di volontariato giovanile
Gancio Originale: un gruppo di volontariato giovanile
di Leonardo Angelini, Deliana Bertani e Mariella Can ni
1. Le intuizioni iniziali
Di solito la nascita di un nuovo servizio sia nel ‘pubblico’ che nel ‘privato’ è
legata alla presenza di un insieme di condizioni interne (ad es.: pianta
organica) ed esterne (ad es.: legislazione) che inquadrano la nuova en tà in
modo che risul no chiare fin dall’inizio sia le sue componen e le sue
finalità intrinseche, sia le connessioni a ese con gli altri gangli della rete
is tuzionale in cui questo elemento di novità va ad inserirsi.
Nulla di tu o ciò è accaduto allorché una dozzina di anni fa è nato Gancio
Originale, il gruppo di volontariato giovanile dell’AUSL di Reggio Emilia.
Gancio infa non nacque a tavolino: non fu il fru o di una
programmazione che mirasse ad espandere l’area di intervento del servizio
di NPI1 nel solco di nuove opportunità fornite da leggi nazionali o locali.
Semmai possiamo dire che Gancio nacque da una situazione di bisogno.
Da una parte infa già da alcuni anni all’interno degli ambulatori della NPI
erano sta porta avan da alcune educatrici della riabilitazione,
supervisionate dagli psicologi, dei “Gruppi per l’apprendimento”, cioè delle
a vità pomeridiane di po ripara vo nei confron di casi di disagio e di
lieve disabilità; dall’altra l’espandersi di centri appoggio semiresidenziali
per adolescen gravi e di stru ure per medio-gravi ci aveva spinto ad
allargare la convenzione che la USL aveva da tempo s pulato con il
ministero della Difesa e che perme eva l’accesso di giovani obie ori nei
nostri servizi.
Ciò che avevamo intuito – in verità pensando più al reclutamento degli
obie ori che dei volontari – era che bisognasse andare nelle scuole medie
superiori della ci à prima che i giovani uscissero da esse e si
disperdessero2 nei mille rivoli dell’impegno post diploma, e che occorresse
chiedere ai giovani in predicato di diventare obie ori di venire a svolgere la
loro a vità presso di noi, ed agli altri, e sopra u o alle altre, di venire a
darci una mano nei “gruppi per l’apprendimento” o in a vità individuali
pomeridiane rivolte a bambini e ragazzi disabili e a rischio.
Avevamo intuito anche che non potevamo chiedere molto a questa
seconda schiera di giovani poiché di fa o fin dall’inizio abbiamo chiesto
loro un impegno che non andasse oltre le due - qua ro ore alla se mana,
un impegno cioè di uno o due mezzi pomeriggi. Le risposte che seguirono a
questa nostra richiesta andarono subito al di là di ogni più rosea
aspe a va e fin dal primo anno l’adesione alle nostre a vità pomeridiane
superò la tren na di adesioni. Si tra ava prevalentemente di giovani
studentesse delle ul me classi delle superiori, anche se non mancarono
all’inizio adesioni di adul , recluta al di fuori della scuola, che
des navamo prevalentemente al lavoro di cura individuale con i disabili o
al lavoro in atelier presso le stru ure per disabili gravi e medio-gravi.
Cosicché nei primi anni l’a vità di Gancio si svolse prevalentemente nelle
stru ure delle équipe di NPI che allora erano ancora territorializzate, cioè
presen nei vari quar eri ci adini, e fu centrata, più che su a vità di
gruppo, in a vità di “volontariato singolo”, in cui cioè ogni volontario
lavorava singolarmente con il bambino o il ragazzino cui era stato
“abbinato” o partecipava a turno ad alcuni momen di a vità delle
stru ure per gravi e per medio-gravi della NPI.
Chiamammo questo nostro proge o “Gancio Originale” perché allora il
termine “fare un gancio” era di moda fra i giovani e perché noi in fondo
proponevamo loro un gancio un po’ strano: un gancio con un disabile o con
un ragazzo a rischio.
Un gancio per poche ore alla se mana e, come avremmo capito fin
dall’inizio, un gancio per uno o due anni: mai ci è venuto in mente di
chiedere loro di prendere la casacca di Gancio Originale “a vita”, anche
perché mol di loro (la “meglio gioventù” reggiana) poi, finite le superiori,
andava via da Reggio e magari proseguiva la propria a vità di volontariato
in altri luoghi dell’impegno e della cura. Un gancio mirato a farli lavorare
prevalentemente con bambini “diversi” e sopra u o ad individuare le loro
effe ve vocazioni e a curare in maniera precisa i luoghi della cura, di modo
che fossero ad es. vicini alle loro abitazioni.
Il combinato di tu e queste cose è stato Gancio Originale inizialmente.
Anche i nostri proge forma vi hanno risen to fin dall’inizio di
quest’o ca indu va in base alla quale abbiamo rinunciato a fare grandi e
de aglia proge iniziali, ma ci siamo propos un con nuo monitoraggio
di ciò che effe vamente andava nascendo e crescendo so o i nostri occhi
in modo da correggere la ro a in i nere.
Avevamo previsto il turn over degli obie ori, non avevamo invece previsto
il turn over così massiccio dei volontari. Eravamo assolutamente senza
risorse, per cui per esempio sul piano forma vo abbiamo fa o fronte a
questa “scoperta” con alcune cose: - innanzitu o ci siamo de che anche
la formazione doveva essere un momento di volontariato, per cui abbiamo
chiesto ai migliori esper della cura presen in ci à di venire a farci dono
delle loro competenze e del loro sapere; - in secondo luogo abbiamo
intuito che ripetere ogni sei mesi (come prevedeva la legge sugli obie ori)
sempre lo stesso schema forma vo avrebbe stufato qualsiasi formatore,
abbiamo perciò is tuito che “Paganini non ripete”, ma compensa vamente
ci siamo propos di dare in dote ai nuovi arriva la trascrizione delle
preceden ‘lezioni’ (cosa che da allora in poi abbiamo con nuato a fare
ogni anno con i nuovi arriva ); - ma sopra u o abbiamo deciso di andare
avan in un modo apparentemente rapsodico, ma che in effe era un
par re dagli a uali e reali pun di crisi dei nostri giovani volontari che
abbiamo ben presto imparato a riconoscere semplicemente chiedendo a
quelli che stavano per finire il loro percorso con noi quali erano gli
argomen sui quali pensavano di avere più bisogno di aggiornamen e di
approfondimen .
In questo modo Gancio Originale in quegli anni si è andato gradatamente
espandendo in ci à. Come era implicito nel suo a o di nascita, nel suo
stesso nome3, nella sua collocazione liminare e sfumata rispe o all’ambito
is tuzionale, specialmente all’inizio Gancio Originale ha assunto un profilo
cangiante e sempre alquanto scentrato anche rispe o ai nostri proposi e
alle nostre a ese. Non è stato facile accompagnare la nascita e i primi passi
di questa creatura apolide e squa rinata in mezzo a servizi paluda e di
lunga e sicura ascendenza.
2. Cambiamen is tuzionali e necessità di un ada amento
Nel 1994, a cavallo della fine della Prima Repubblica e degli albori della
Seconda, quasi come un movimento galvanico di un corpo morente, la
legge De Lorenzo ha aperto la stagione delle priva zzazioni e delle
aziendalizzazioni che (provvisoriamente) oggi si è chiusa con la legge
Mora sulla scuola. Cosicché è la sanità che all’inizio anni ’90 ha dovuto
sperimentare per prima quell’insieme di cambiamen che spesso si sono
pos in un rapporto di discrasia e di discon nuità con ogni elemento del
passato, compresi quelli più gloriosi. Ed anche in questo processo l’Emilia e
Romagna ha preceduto il resto d’Italia così come all’inizio degli anni ’70 era
stata parte non piccola nell’opera di costruzione dei servizi. Rimandiamo ad
un precedente lavoro di uno dei tre autori del presente scri o chi volesse
ripercorrere le tappe di quel percorso4 e concentriamo la nostra a enzione
a par re da quegli anni va accadendo nei servizi dell’età evolu va a Reggio
Emilia.
Su di essi, come su mol altri compar della sanità reggiana, la nuova
logica aziendalis ca impose l’emergere di un (supposto) criterio
efficien s co in base al quale i grandi contenitori e, sopra u o, la fissità
dei loro organici rappresentavano un impedimento al libero flu uare degli
operatori in ogni luogo fisico e is tuzionale in cui, mano a mano che il
tempo procedeva, fosse emerso un ‘bisogno’. Si chiusero così le grandi
canne d’organo dei vecchi servizi e si optò per i piccoli contenitori. Nel
nostro caso ciò significò lo smembramento del Servizio Materno Infan le in
qua ro servizi : Area Sociale, Pediatria di Base, NPI, Psicologia Clinica
Sociale e di Comunità.
Dalla NPI del Distre o di Reggio infa escono gli psicologi che confluisco in
un servizio monoprofessionale, il Servizio di Psicologia Clinica appunto, che
nel momento in cui comincia ad operare all’interno di questo nuovo
quadro viene a trovarsi in una situazione di difficoltà, specialmente di
fronte a quelle mansioni che richiedono un lavoro e, prima ancora, una
riflessione poliprofessionale, così come era successo negli anni preceden .
Cosa che aveva favorito il sedimentarsi nel tempo di una piccola, ma per
noi importante consuetudine di lavoro in équipe polifoniche che nel bene e
nel male avevano cara erizzato sia i nostri legami interni, sia le nostre
modalità di le ura della mutante realtà esterna con cui avevamo a che
fare.
E se è vero che in quest’ul mo decennio ogni piccolo contenitore ha visto
un aumento della produ vità, è vero anche che l’assenza di luoghi di
riflessione e di lavoro comune ha avuto pesan ripercussioni nega ve sul
piano qualita vo poiché da una parte la rinuncia ad una le ura aggiornata
e integrata di una realtà sociale complessa ed assolutamente non sta ca,
qual è quella reggiana, ben presto ci ha impedito di vedere, almeno a
livello is tuzionale, in che direzione andava mutando il territorio, quali i
bisogni emergen e quelli declinan , quali di conseguenza i necessari
ada amen che la nuova realtà richiedeva; dall’altra la logica efficien sta
ci ha spinto a dare risposte standardizzate, più facilmente rilevabili in
termini quan ta vi, che nel caso degli psicologi coincidono
prevalentemente con le risposte esclusivamente monoprofessionali:
prestazioni diagnos che, psicoterapie, counselling, consulenze. Ma anche
su questo versante, apparentemente più prote o, si è abba uta la valanga
della ristru urazione poiché l’elemento di novità rappresentato dal servizio
di psicologia, unito alla scarsa risonanza che la parte più nucleare del
lavoro degli psicologi - e cioè la psicoterapia e il counselling - aveva
all’interno dell’is tuzione spingevano i responsabili di budget verso
un’operazione di con nua riallocazione degli psicologi all’interno dei vari
‘programmi’ che, come la tela di Penelope, nascevano e si disfacevano
negli anni .
Tu o ciò ha comportato per gli psicologi un grosso lavoro che potremmo
definire di marke ng interno volto a salvare la parte più nucleare del
nostro lavoro e a trovare nuovi luoghi e nuove modalità di riflessione.
E Gancio Originale lentamente diventa uno di ques luoghi in cui, grazie ad
un insieme di fa ori che ora cercheremo di vedere anali camente, si
rinnova anno per anno, un ponte che unisce il servizio di Psicologia Clinica
e il Consultorio Giovani, la cui direzione proprio in quegli anni è affidata ad
uno psicologo del Servizio di Psicologia Clinica, col mondo giovanile e con
la scuola reggiana.
Cerchiamo di vedere ora ciò che in concreto accadde in quegli anni.
Innanzitu o va so olineato che il distacco degli psicologi dalla NPI di fa o
comporta una divaricazione per quanto riguarda la casis ca: molto
grossolanamente succede che la disabilità rimane alla NPI, mentre il
disagio passa alla Psicologia Clinica. Questa tendenza, che inizialmente da
entrambe le par si tendeva a negare, a Reggio Emilia poggia su due
capisaldi.
Da una parte sul fa o che il lavoro sulla disabilità richiede un approccio
poliprofessionale già nel momento della diagnosi, ma sopra u o nel
momento della definizione del piano riabilita vo5 e nei vari momen di
follow up: e questo aspe o, necessariamente poliprofessionale, del lavoro
riabilita vo, all’area di psicologia viene negato, per cui lentamente e
dolorosamente coloro che avevano cominciato il lavoro di
deis tuzionalizzazione e di ridefinizione dei percorsi riabilita vi devono
prendere a o che questo aspe o del loro lavoro sfila via e scompare mano
a mano che la casis ca cresce e “passa agli adul ”, cioè ai servizi per
l’handicap adulto.
Dall’altra sul fa o che l’esperienza di intervento sui ragazzi a rischio e, più
in generale sul disagio, fa a dai volontari di Gancio originale guida dagli
psicologi, si è andata embricando nel tempo con una pluralità di sogge
che mano a mano che il tempo passava sono diventa i protagonis
dell’intervento in questo importante se ore della cura in ci à. Cosicché,
oltre al Servizio di psicologia Clinica e al Consultorio giovani con i loro
rocinan , ben presto sul terreno del disagio si intesse una rete che ha
mol nodi fra loro variamente embrica : quello rappresentato dalle scuole
elementari e medie inferiori preposto alla tempes va selezione dei
candida alla frequenza dei vari momen pomeridiani che in quegli anni
vanno nascendo in ci à, a garan re l’apertura delle scuole di pomeriggio, a
tenere i conta con noi nei momen di verifica; quello delle scuole medie
superiori che, specialmente in alcune sue componen 6, si a vano nel
facilitare l’opera di reclutamento anno per anno dei giovani volontari; il
Comune che proprio in quegli anni con i suoi GET si va specializzando sui
casi in cui la componente sociale è prevalente rispe o a quella sanitaria; il
Servizio Sociale minori dell’AUSL col quale ben presto definiamo luoghi
comuni di riflessione e di proge azione; ed infine molte parrocchie, le
organizzazioni scout, e varie altre en tà personali7 e colle ve presen nel
tessuto sociale della ci à.
Tu o ciò, senza che all’inizio ce ne rendessimo conto, ha permesso a
questo insieme di en tà di mantenere alta l’a enzione sul problema del
disagio in ci à, a trovare luoghi nuovi di riflessione, di proge azione e di
verifica dei piani sul disagio, a definire insieme momen forma vi sul
tema8.
Nello stesso tempo, sempre in conseguenza della ristru urazione,
l’impegno per il reperimento degli obie ori “si sgancia da Gancio”
implementando in maniera indire a la componente femminile del gruppo:
ciò ci ha spinto a chiederci, sempre insieme ai nostri volontari quali
possono essere le ragioni in base alle quali anche a questa età la cura
sembra essere una preroga va quasi esclusivamente femminile9. Mentre la
chiusura degli ambulatori decentra in cui per decenni avevano lavorato le
èquipe di NPI, dovuta alla chiusura dei distre territoriali, porta Gancio ad
inves re ancora più fortemente sulle disponibilità spaziali che la scuola
poteva me ere a disposizione di pomeriggio. Nel 94 infa le equipe di NPI
sono centralizzate in un’unica sede e dopo un momento di “panico” dovuto
al fa o che non avevamo più spazi diventa “ovvio“ rivolgerci ai presidi delle
scuole medie di provenienza degli alunni segui per convincerli a
consen re che Gancio di pomeriggio trasmigrasse nei plessi scolas ci, ben
prima che il decreto Berlinguer vedesse la luce e sancisse l’apertura
pomeridiana delle stru ure scolas che alle a vità del quar ere.
Questa conquista è stata la base per la nascita delle a vità di gruppo - i
futuri workshop - che dal 94 in poi diventeranno di anno in anno sempre
più numerosi fino a coprire a ualmente quasi tu e le scuole medie del
Distre o di Reggio ( comune capoluogo e 6 comuni periferici) , parecchie
scuole elementari e 6 scuole medie superiori che sono sede di workshop
per gli alunni delle scuole medie ed elementari limitrofe.
E’ in questo momento che “i gruppi per l’apprendimento”, na inizialmente
anche per rispondere alle esigenze di po ripara vo dei disabili lievi, si
specializzano sul disagio e cambiano anche di nome diventando i nostri
workshop, cioè delle vere e proprie officine di riparazione per ragazzi a
rischio. Ciò da un punto di vista clinico comporta una importante
puntualizzazione sul piano ripara vo: infa mentre il lavoro clinico con i
disabili è centrato essenzialmente sui deficit presen a livello dell’Io, cioè
sulle loro rido e capacità di comprendere ed operare sulla realtà, quello
con i ragazzi (cui ben presto si affiancheranno i bambini) a rischio non può
non essere centrato che sulle ferite narcisis che che il ragazzo svantaggiato
o deprivato porta dentro di sé. Ciò significa che, mentre l’operatore che
opera con i disabili deve svolgere una funzione che è sta definita (Cannao e
More ) di Io ausiliario, gli operatori che hanno di fronte a sé il ragazzo a
rischio devono svolgere un’opera di restaurazione del suo Ideale dell’Io
che, riprendendo una efficace metafora, nata non per caso in un ambiente
scolas co par colare, potremmo definire come sgarrupato. Fin qui nulla di
par colarmente ‘originale’: il fa o è che nel caso di Gancio c’è un elemento
che determina una situazione di assoluta par colarità, che probabilmente
non può essere nemmeno ricondo a pienamente all’ambito della peer
educa on: il fa o cioè che nel nostro caso quest’opera di po restaura vo
non viene affidata ad un adulto (come pure noi stessi facevamo quando
all’inizio avevamo aperto i “gruppi per l’apprendimento” ai nostri
educatori della riabilitazione), ma a giovani di qua ro o cinque anni più
grandi dei ragazzi loro affida .
A par re da questa vicinanza anagrafica, e dalla similarità dei contenu
prevalen a quell’età che, come so olineano gli adolescentologi, sono per
tu a l’adolescenza quelli incentra su un’opera di convivenza, più o meno
penosa, con problema che che investono pesantemente l’Ideale dell’Io, si
determina nei workshop un terreno di restaurazione e di crescita che ha un
alleato anche nell’elemento spaziale.
Infa lo sfru amento degli spazi scolas ci il pomeriggio in questa nuova
atmosfera più ludica e confidente di quella che si determina di ma na,
allorché la presenza dei proff impone un altro po di impegno, spinge i
nostri ragazzi ad addomes care gli spazi, a farli propri. In questo modo
quegli stessi ambien - cioè la scuola - diventano loro meno nemici ed
essere lì, nei luoghi in cui ogni ma na, dall’inizio del loro “calvario
scolas co“, sono passate le ruspe so o le quali sono sta schiaccia i loro
sogni per l’avvenire, e poterli finalmente sen re come luoghi amici è già di
per sé un fa o terapeu co10.
Ed infine, last bad non list, c’è un ul mo elemento che in questo periodo
viene a complicare felicemente il concerto polifonico che si va
componendo intorno a Gancio: arrivano nel servizio di psicologia i primi
psicologi rocinan dalle università di Padova e di Cesena (ai quali poi si
aggiungeranno i rocinan di Scienze dell’Educazione e infine i giovani
psicologi neolaurea provenien dalla facoltà di Parma). Sono ques
giovani neolaurea che decidiamo di imme ere nei workshop con
funzione di coordinamento dell’a vità dei giovani volontari. Comincia in
questo modo un altro precorso di crescita che vedrà fino ad oggi molte
generazioni di neolaurea in psicologia trasformarsi, anche grazie
all’a vità svolta presso Gancio Originale, da laurea in psicologia in
psicologi, cioè in professionis capaci di muoversi con competenza nel
territorio e nella professione
Gli anni della crescita
I rocinan
L’arrivo nel servizio di psicologia, e conseguentemente in Gancio, dei
giovani rocinan di psicologia e di scienze della formazione perme e una
complicazione della nostra rete di cura, la estensione della catena
dell’accompagnamento in base alla quale ogni coorte coinvolta nella cura
può contare sul sostegno discreto e ravvicinato di una coorte solo di poco
più adulta e più matura, una maggiore professionalità nelle cure erogate
che, come vedremo, risulterà preziosa allorché – come sta avvenendo in
ques ul mi anni – l’età dei giovani volontari tenderà ad abbassarsi
ulteriormente.
Cerchiamo di vedere ora cosa accade dopo questo evento, per noi
importan ssimo. Nel fare ciò cercheremo di evidenziare, uno per uno,
quelli che a noi sono apparsi come gli elemen più significa vi che hanno
cara erizzato gli anni della crescita.
I workshop
Il processo di trasformazione dei “gruppi per l’apprendimento” nei
workshop avviene in concomitanza dell’arrivo dei primi rocinan e
possiamo dire che è stato uno degli elemen fondamentali nel processo di
solidificazione del rapporto con le scuole. Per cui vale la pena spendere
poche righe per sinte zzare la filosofia, gli scopi, le considerazioni sulle
quali e per le quali è nata l’idea dei workshop pomeridiani. Andando a
spulciare fra i documen ufficiali di allora leggiamo:
“……..L’obie vo generale consiste nella prevenzione secondaria e terziaria
del disagio giovanile mediante l’integrazione linguis ca, scolas ca e
relazionale dei bambini e dei ragazzi (autoctoni e immigra ) in età
dell’obbligo, segnala per disturbi d’apprendimento su base non organica o
cer fica secondo quanto prevede la L.104/1992
Nella consapevolezza che l’approccio ele vo per questo po di
problema ca debba essere mul disciplinare e ambientale, il workshop è
finalizzato a creare una sinergia tra is tuzione scolas ca, quella sanitaria e
famiglia per la programmazione di interven riabilita vi mira alle
par colari esigenze-carenze del minore.
Il workshop assume così la veste di un insieme limitato di minori con
cer ficate difficoltà negli apprendimen scolas ci, affianca da volontari
di Gancio Originale e coordinato da psicologi che si riunisce all’interno degli
ambien scolas ci(come previsto dalle recen disposizioni ministeriali in
materia), al di fuori dei normali orari di lezione, per lo svolgimento di
a vità riabilita ve, di recupero scolas co, educa ve, crea ve e forma ve
…”
Questo ha significato da una parte, come dicevamo prima, una maggiore
professionalità nella cura che si è riverberata sul piano clinico e sul piano
della ges one del gruppo; dall’altra l’impianto di una “ familiarità” fra
scuola e servizio sanitario, di una “alleanza” nei confron dei problemi e
della ricerca di modalità per affrontarli, di un reciproco arricchimento delle
o che di osservazione delle difficoltà e delle cri cità generali e dei singoli
bambini, e sempre di più il superamento di quella situazione di reciproca
diffidenza con il conseguente rimpallo di responsabilità e accuse che
solitamente viene a crearsi allorché si tra a di problemi che, più che gravi
da un punto di vista nosografico, appaiono come gravosi, cioè pesan per
la comunità scolas ca.
La messa a punto della rete di cura
Al coordinamento dei workshop da parte dei giovani rocinan risono ben
presto aggiunte altre componen che hanno permesso in quegli anni a
Gancio Originale di ampliarsi e di trovare delle risposte nuove e ada e alla
più complessa rete che si andava definendo con la scuola e le altre
is tuzioni con cui eravamo e siamo in rete: è stato curato meglio il
rapporto con gli insegnan , è sta prestata più a enzione alla formazione
dei gruppi e, prima ancora, alla selezione dei ragazzi e dei bambini da
inserire nei workshop. Su questa base e sulla base di un ampliamento del
numero delle convenzioni con l’università, che ha permesso una ulteriore
crescita dei rocinan , è nata l’idea di stru urare stabilmente la
supervisione dei rocinan , con una cadenza precisa (una volta ogni 3
se mane) ed un metodo (l’apertura a tu i rocinan , al di là del
percorso di laurea scelto) che ha favorito l’interscambio di esperienza e la
valorizzazione delle differenze.
La formazione e le sue trasformazioni
Mano a mano che al volontariato singolo si è aggiunto quello ‘per’ gruppi e
‘su’ gruppi sono sta necessari cambiamen anche a livello della
formazione dei volontari: non più cicli semestrali di lezioni frontali, ma da
una parte lavoro pra co in atelier durante l’anno per l’apprendimento di
tecniche dida che e di modalità espressive spendibili con il gruppo dei
ragazzi e dei bambini a rischio, dall’altra la stru urazione una volta l’anno
di una full immersion forma va consistente in un seminario residenziale in
un ex Seminario nell’Appennino emiliano (Marola): i seminari al seminario
che oltre la concentrazione e l’approfondimento teorico-pra co (anche in
questo momento sono previs atelier, che sono lega agli argomen delle
relazioni iniziali) perme e di fare squadra sia ai volontari che al sempre più
ampio gruppo dei rocinan .
Il cambiamento nelle modalità della formazione si è poi reso ancora più
necessario sia per l’accrescersi del numero dei volontari sia per la
diminuzione della loro età. - Dal 95 in poi infa con la sempre maggiore
stru urazione del lavoro con le scuole appaiono o, meglio, fanno irruzione
in massa in G.O. i minorenni, studen delle scuole superiori delle ul me tre
classi, questo è reso possibile dai protocolli di intesa che abbiamo
cominciato a fare con le varie scuole nei quali si concordava tra l’altro con
la scuola che la copertura assicura va dei volontari minorenni era di loro
competenza.
Abbiamo sperimentato le “verifiche“ come momen forma vi cioè tre
incontri annui ( all’inizio, a metà , alla fine dell’anno scolas co) nelle scuole
di provenienza in cui tu i volontari della scuola stessa discutono fra di
loro, con noi e con i vari coordinatori - rocinan e insegnan - le loro
esperienze , le confrontano nelle posi vità e nelle cri cità, portano le loro
scoperte, le loro soluzioni.
Ques incontri fa in orario scolas co si sono rivela essere un modo
estremamente efficace di formazione - supervisione in i nere così come gli
incontri a piccolo gruppo fa dai coordinatori per la programmazione delle
a vità di ogni workshop e per l’affronto delle emergenze .
La programmazione della formazione e le modalità della stessa hanno
sempre dovuto fare i con , per avere successo, con i tempi dei volontari
con i tempi della loro frequenza scolas ca. Abbiamo cioè dovuto tener
fede in modo preciso all’impegno iniziale: la richiesta di due tre ore al
massimo del loro tempo se manale.
L’esplosione di Gancio Originale in ci à
Una fortunata opera di found rising che ha permesso un accrescimento
improvviso delle risorse (sponsorizzazione della Coop Nordest e accesso a
fondi di Provincia e Regione) ci ha consen to la nascita di una nuova figura
che complica ulteriormente la nostra catena della cura e
dell’accompagnamento: ai volontari, ai rocinan di psicologia e di scienze
dell’educazione, alla nostra tutor (l’unica educatrice - una dei tre “soci
fondatori” di Gancio Originale - trasmigrata dalla NPI alla Psicologia Clinica)
e ai nostri psicologi si aggiungono ben cinque borsiste, in precedenza già
con noi come rocinan , che ora è possibile remunerare e che partecipano
ai momen di selezione dei ragazzi candida ad entrare nei workshop,
alla a vità di conduzione e programmazione dei workshop, ed entrano
stabilmente nello staff di Gancio Originale.
Si aprono così nuovi workshop; parte delle esperienze di workshop non più
solo nelle scuole medie inferiori, ma dentro le scuole medie superiori da
cui provengono i volontari, che così si trovano ad operare “in casa”,
workshop sempre aper ai bambini ed ai ragazzi a rischio provenien dalle
scuole medie ed elementari limitrofe. Ciò porta ad importan ssime
conseguenze sia sul piano della numerosità dei volontari, sia per la loro età
che cambia rispe o alle generazioni preceden : oggi infa , come
accennavamo sopra, la maggioranza dei volontari sono minorenni. I
risulta di questa ulteriore mutazione sono molteplici: si accorcia la
distanza fra il minore ogge o di cura e quello e che invece è sogge o di
cura ed aumentano considerevolmente i maschi.
La più giovane età dei volontari
Ques volontari sono comunque diversi rispe o a quelli di 10 anni fa :
potremmo dire per sinte zzare che sono ragazzi che agiscono in piccolo,
lontani dall’idea che così facendo stanno pensando in grande. Abbiamo
l’impressione che adesso fare volontariato rappresen un modo per
affermare la propria vitalità; un impegno per affermare nel proprio spazio
quo diano; un dover fare qualcosa per sfidare il nulla in un corpo a corpo
spesso inconsapevole con esso; il desiderio di riprodurre armonia, gius zia,
pace e amore: quei valori cioè che le vicende umane così spesso
calpestano ma di cui si serba nostalgia e bisogno; infine nello specifico del
lavoro di Gancio Originale il desiderio di cercare soluzioni caso per caso,
giorno per giorno che tengano conto delle esigenze dei bambini, dei
ragazzini con i quali essi hanno a che fare, dei loro problemi, delle loro
difficoltà e dei loro confli e anche dei propri.
Fare volontariato per queste giovanissime leve significa la possibilità di
lavorare con l’immaginazione, di poter pensare all’apertura di nuove strade
per sé e per gli altri; e nel contempo la possibilità di concre zzare
l’immaginazione stessa dimostrando a sé e agli altri che la speranza di
cambiare quello che non va non è un sen mento ingenuo e illusorio. E’ il
trovarsi lo spazio per chiedersi “ Cosa posso fare?” e potere mantenere
dentro di sé la pregnanza di questa domanda contro l’espressione “Ma chi
te lo fa fare?”
Questa impressione ci ha dato una un’importante indicazione di lavoro:
con ques volontari giovanissimi occorre fare proposte che non
“deprimano”, che partano dai bisogni e dai contras che essi osservano
so o casa, che contengano proge condivisibili, che facciano sca are la
domanda “Io cosa posso fare?” che spingano ad alzarsi dal divano per
superare la noia che spesso noia non è ma che a volte è depressione.
Il risvolto della medaglia di tu o questo è che la giovane età, il numero
ormai al ssimo di volontari, la loro provenienza da tu i pi di scuola
(licei, is tu tecnici, is tu professionali) tu e queste cose determinano
una più imprecisa e disomogenea propensione all’assunzione e,
sopra u o, al mantenimento della responsabilità da parte dei nostri ormai
giovanissimi volontari e questo impone a noi e a tu o lo staff dei
rocinan e dei borsis un più a ento, puntuale e quo diano lavoro.
Le modifiche del rapporto con le scuole
Negli anni con nuano a modificarsi i rappor con la scuola in senso
quan ta vo e qualita vo: Gancio Originale è presente orami nella maggior
parte delle scuole della ci à e dei comuni dell’immediata periferia; nasce
in ques anni la figura dell’insegnante referente, il che significa che gli
insegnan sono inves formalmente di questa funzione e che la presenza
di Gancio è riconosciuta dai consigli di Is tuto, che Gancio rientra nei POF e
che grazie questa a vità e a quest’impegno con Gancio le scuole
o engono contribu (a onor del vero poco più che simbolici) dalla
Provincia e dagli latri En Locali; si generalizzano i protocolli di intesa fra le
scuole e l’Ausl per le a vità di Gancio Originale. Per Gancio Originale è
stata fondamentale la coniugazione con la scuola e crediamo di poter dire a
questo punto che anche per la scuola questa coniugazione è molto
importante.
Infa nella realtà scolas ca quo diana odierna la simbiosi fra ruolo
affe vo di adolescente e ruolo sociale di studente si realizza solo
parzialmente; il più delle volte il ruolo affe vo di adolescente mal si ada a
al linguaggio del ruolo sociale di studente. Questo è uno dei mo vi più seri
di crisi dell’a uale sistema scolas co, cioè la scissione frequente fra ruolo
affe vo di adolescente e ruolo sociale di studente, il ruolo di studente
raramente è in grado di ca urare gli affe dell’adolescente. L’affe vità
domina l’opera vità e spesso la esclude ostacolando la partecipazione al
lavoro e impedendo il processo di trasmissione delle conoscenze. Il ruolo di
studente, cioè il ruolo opera vo dovrebbe aiutare l’adolescente a me ere
a regime la propria aggressività, a controllare l’ero zzazione dei rappor , a
modulare la qualità delle relazioni con gli adul e con il potere. Lo studente
dovrebbe essere al servizio dell’adolescente e può aiutarlo a realizzare il
suo desiderio di farsi ammirare dagli adul per lui importan e a
conquistare un livello adeguato di visibilità sociale.
Nella realtà odierna ciò avviene solo in parte e con molta difficoltà, la
fragilità narcisis ca dell’adolescente di oggi mal si confronta con le ferite
che inevitabilmente produce il confronto con una realtà che chiede sforzo e
confronto, che giudica, che promuove o no. Ma il ruolo di studente è
l’unico che la cultura degli adul propone agli adolescen tanto che chi
interrompe gli studi e va a lavorare, magari diventa economicamente
autonomo, capace ma si sente di aver fallito, si sente inferiore.
Il ruolo di volontario diventa, in questa situazione, importante perché è
opera vo, può aiutare l’adolescente a realizzare cose apprezzabili e
ammirevoli sia dai più piccoli, sia dai coetanei e sopra u o dal mondo
degli adul ed è esercitato in uno spazio che non è la scuola ma che è nella
scuola ed è riconosciuto e valorizzato dalla scuola, è un’a vità che avviene
in uno spazio che potremmo definire transizionale, né dentro, né fuori
dalla scuola, ma che perme e l’esercizio di un’opera vità che tra l’altro ha
a che fare con l’apprendimento, che assegna un ruolo sociale riconosciuto,
non facile ma scelto e più in grado di ca urare gli affe dell’adolescente ,
del giovane e può essere un ponte verso l’assunzione del ruolo di studente
o comunque di persona più grande che si assume responsabilità.
Vecchi e nuovi problemi, nuove idee
Le separazioni, i cambiamen
La storia ormai lunga di Gancio Originale ci ha fa o sperimentare con
sgomento che i borsis prima o poi ci ringraziano e se ne vanno: me ono
su bo ega per i fa loro.
Sono via via infa terminate collaborazioni significa ve con persone che
da anni lavoravano con Gancio prima come rocinan psicologi, poi come
borsis . Abbiamo preso a o noi, gli operatori, l’ul mo anello della ormai
famosa catena di sant’Antonio del tutoring, noi più vecchi che “i figli
crescono e vanno oltre, abbandonano la bo ega ar giana in cui sono
cresciu e pongono le basi per costruirsene una nuova per proprio conto“.
Ne abbiamo preso a o con soddisfazione ma anche con fa ca, non solo
perché abbiamo dovuto ricominciare da capo a ridefinire nuovi anelli della
catena, ad impiantare nuovi accompagnamen , ma anche perché, come in
ogni bo ega ar giana, l’allievo che si autonomizza dal maestro suscita in
quest’ul mo sen men fortemente ambivalen , fa di orgoglio per
l’avvenuta crescita e di senso di tradimento.
D’altra parte questa tendenza ad “abbandonare la bo ega ar giana in cui
per un certo periodo si è cresciu e andare oltre” è una cara eris ca di
Gancio Originale: è una cara eris ca dei luoghi di volontariato giovanile.
Non per niente ci è venuta in mente la metafora dell’ascia di Washington
quando già dai primi anni abbiamo compreso questo: l’ascia è ancora là in
bella vista, anche se nel fra empo le sono sta cambia cinque o sei volte
il manico e due volte il ferro. E così avviene da noi: i giovani volontari, i
rocinan , i giovani collaboratori passano e Gancio resta a disposizione
dei nuovi venu , come l’ascia di Washington, che rimane se stessa
nonostante non lo sia da un punto di vista materiale. E’ per questo che
Gancio deve affrontare tu e le coniugazioni e tu e le separazioni che
derivano da questo con nuo transito; è per questo che
l’accompagnamento, il tutoring nelle stru ure di volontariato giovanile
somiglia più ad una a raversata di un passo alpino che ad un lungo viaggio.
L’esperienza della con nua separazione ci ha confermato inoltre che
Gancio Originale è stato e con nuerà a essere una stru ura fragile perché
sogge a a con nui mutamen .
Abbiamo così imparato che di fronte al cambiamento non è produ vo fare
la poli ca dello struzzo, ma va bene usare il meglio di se stessi e
dell’organizzazione nella quale si è inseri per trasformare l’ansia e
l’angoscia che inevitabilmente sorgono in queste occasioni in elemen che
perme ono di governare e di programmare il cambiamento per non farsi
travolgere.
Abbiamo imparato infine che l’accompagnamento è una delle strategie più
efficaci per governare il cambiamento allorché, come avviene in Gancio
Originale, sulla scena organizza va vi siano più generazioni a confronto
poiché perme e a tu gli a ori di ricollocarsi l’uno rispe o all’altro in
modo coordinato e complementare e di trasformare così le ansie in
elemen di programmazione e di cooperazione intergenerazionale.
Accompagnare significa introdurre nella ver calità di un raffronto
generazionale degli elemen di compartecipazione e di condivisione che
a u scono le distanze e ci fanno sen re più vicini.
Il reperimento delle risorse e la marginalità di Gancio
Un altro grosso e an co problema è rappresentato per Gancio Originale
dall’oscillazione delle risorse. La scelta di con nuare ad essere
is tuzionalmente una a vità di un Servizio Sanitario e non una
Associazione di Volontariato ci ha sempre impedito di concorrere ai
finanziamen locali, regionali, così come a quelli nazionali ed europei.
S amo cercando di elaborare e fare proposte affinché il nostro modello di
volontariato giovanile possa avere una qualche connotazione is tuzionale
senza dovere diventare una associazione di modo che sia possibile
affrontare meglio i rischi ineren a queste oscillazioni. Le ragioni che ci
spingono ad essere molto dubbiosi circa la nostra trasformazione in
associazione sono nel fa o che riteniamo che è in ciò una delle ragioni
della nostra capacità di a rarre i giovani: nel fa o che andiamo da loro
come una istanza sanitaria e marginale che non chiede di fare proseli smo
a vita e può farlo in maniera credibile proprio perché non ha i connota di
una associazione.
D’altro canto però uno dei retrogus amari del successo è nel fa o che
Gancio oggi non è più marginale in ci à e, sopra u o nelle scuole. Ciò ci
spinge a amplificare le nostre richieste di cara ere finanziario e sopra u o
significa la perdita di una delle due condizioni che sono legate alla
marginalità: il fa o di non essere più liminari in ci à. Come risolvere
questo problema è, secondo noi, una delle sfide che ci a endono nel
prossimo futuro.
Nuove idee
Negli ul mi tre anni sono state ampliate e stabilizzate le a vità di
accoglienza per ragazzi immigra . E’ entrato in scena un nuovo po di
workshop “La stanza di Dante“. Uno spazio di accoglienza e avvicinamento
alla lingua italiana per ragazzi di recen ssima immigrazione colloca
sopra u o nelle scuole superiori Questo proge o stru urato e ar colato
in vari centri di a vità sta rivelando un aspe o “ entusiasmante”. I
volontari sono ormai tu a loro volta ragazzi immigra e residen a Reggio
da anni.
Sono i nostri primi e giovanissimi mediatori culturali che provengono da
tan ssime etnie (in provincia di Reggio sono presen ben 92 etnie) e che 2
volte la se mana lavorano fianco in una piccola Babele dove la diversità
diventa elemento di ricchezza e scambio.
Dall’inizio dell’anno s amo me endo a punto una stru ura di counselling
in due scuole medie superiori della ci à, Free Student Box, volta ad
ada are la catena dell’accompagnamento e della cura alla domanda di
aiuto che proviene non più dai ragazzi a rischio, ma dagli studen delle
superiori. Dove c’è un front office che è fa o di alcuni studen che
accolgono una domanda, quella dei sedicenni e dei diciasse enni che solo
di rado giunge ai servizi e la smista ai servizi della sanità pubblica che fanno
da back office, o risponde dire amente ad essa, qualora si tra di
problemi lievissimi. Il tu o supportato da un sito web che perme e di
mantenere l’anonimato e che offre anche molte altre possibilità di
informazione e di scambio.
La bo ega ar giana di Gancio Originale
Leonardo Angelini, Deliana Bertani e Mariella Can ni
1.L’accompagnamento
Se per peer educa on si intende l’aiuto che sul piano educa vo può essere
dato a bambini e ragazzi in difficoltà da parte di coetanei che appartengono
alla stessa classe di età allora l’esperienza di Gancio Originale, un gruppo di
volontariato giovanile reggiano che si prende cura dei bambini e dei ragazzi
a rischio, non può essere annoverata fra le esperienze di peer educa on.
Infa nel nostro caso coloro che si prendono cura dei bambini e dei ragazzi
svantaggia o depriva segnala dalla scuola e seleziona dagli psicologi
sono degli studen – più spesso delle studentesse – degli ul mi anni delle
scuole medie superiori della ci à. E quei qua ro o cinque anni di differenza
– che nel caso del lavoro in scuola elementare diventano anche se e, o o
o nove – a quell’età segnano un solco tale fra le due coor da rendere
alquanto problema ca l’a ribuzione di peer educa on al lavoro di cura
svolto dai giovani di Gancio Originale.
Di che cosa si tra a allora? L’immagine che ci è venuta in mente allorché
abbiamo cominciato a rifle ere su ciò che, mano a mano che il lavoro
procedeva, si andava concrezionando so o i nostri occhi, è sta in quella
della catena di Sant’Antonio dell’accompagnamento.
Come tu sanno la catena di Sant’Antonio connota operazioni,
solitamente truffaldine, in base alle quali un emi ente tenta di me ere in
piedi un trend di legami che si autoalimentano in base ad un vincolo che
obbliga ogni unità coinvolta ad estendere l’area totale delle unità coinvolte
ed a riproporre l’obbligatorietà del vincolo pra camente all’infinito.
Nel nostro caso, a parte gli elemen truffaldini che non sono presen , in
fondo in fondo ogni anno viene proposto dal nostro staff un ‘gancio’ a tu
gli studen delle superiori di Reggio Emilia che li “vincola” ad entrare in un
gruppo opera vo che solitamente comprende altri dieci o dodici studen ,
che è guidato da uno psicologo rocinante e che è des nato per un anno a
prendersi cura di un certo numero di bambini o di ragazzi a rischio.
Pra camente la stessa cosa viene fa a ogni sei mesi nei confron degli
psicologi rocinan che vengono a svolgere il loro rocinio da noi, e da
qualche tempo nei confron degli studen di scienze dell’educazione che
svolgono con noi il loro rocinio “in i nere” e ancora più recentemente con
i rocinan psicologi che in i nere debbono fare gli EPG (esperienze
pra che guidate)
Ed ecco che, se noi consideriamo che dietro ad ogni rocinante c’è un tutor
che si prende cura di accompagnarlo durante il suo percorso di crescita e di
professionalizzazione e che, a sua volta, quel giovane psicologo guida un
gruppo di giovanissimi volontari che a loro volta guidano e accompagnano
nel loro accidentato percorso di crescita psicologica un gruppo di bambini o
di ragazzi a rischio, ecco che il tema dell’accompagnamento diventa per noi
centrale, più che quello della “peer educa on”.
E allora è a par re dal significato che l’accompagnamento assume
all’interno di questa “catena” che dobbiamo par re se vogliamo
comprendere ciò che sta accadendo da 12 anni a questa parte in Gancio
Originale.
Accompagnare e mologicamente proviene dall’unione del prefisso “ad”
che significa “verso” con il termine “compagno” che significa “stesso pane”.
Vi è cioè nella parola accompagnare da una parte una indicazione di
direzione dall’altra un richiamo ad uno stato di condivisione confidenziale
che riconduce ad uno stesso desco, ad una stessa appartenenza. Nel nostro
caso la direzione è quella della crescita, l’appartenenza è una strana e
provvisoria casa, Gancio Originale, che comprende per qualche tempo (da
1 a 2 anni a qualche mese) un insieme variegato di sogge che sono
accomuna (compresi i 3 “soci fondatori”) dal fa o che si pongono in una
situazione di scambio (dare, ricevere, contraccambiare, direbbe Godbout)
in base alla quale tu alla fine risultano arricchi per quel che hanno dato
e ricevuto lungo questo percorso.
Cosicché i bambini e i ragazzi a rischio alla fine avranno ricevuto le cure
loro necessarie per crescere e superare le varie situazioni di impasse in cui
fino a quel momento si erano impantana ; ma avranno dato anche molto a
chi si prendeva cura di loro: ai volontari la fiducia nelle proprie capacità di
riparazione, nel proprio saper fare che spesso, anche nel loro caso, non
trova di ma na una scuola pronta a cogliere le loro più piene potenzialità;
ai giovani rocinan la possibilità per la prima volta di unire la teoria alla
pra ca e, per questa strada, vedere enormemente accresciute le proprie
possibilità sul piano professionale, nonché la possibilità di cimentarsi in un
non secondario capitolo della clinica dello sviluppo, apprendendo a far
tesoro delle sconfi e così come delle più rare vi orie e, prima ancora, a far
tesoro di quell’insieme di indizi, di sintomi, di grida e di ammu men , di
gestualità e di espressività che alla fine si comporranno in quella
semeio ca psicologica che diventerà il vero loro tesoro e che andrà
lentamente accumulandosi dentro di loro nel tempo.
E allo stesso modo i giovani volontari che si saranno da con tu se stessi
in questo lavoro riceveranno -oltre alle cose che abbiamo già de o
provenire loro dai ragazzi- tu o un insieme di cose nuove (abilità,
percezioni, concezione, ecc.) che provengono loro prima ancora che
dall’impegno, dal presupposto su cui esso poggia e cioè dall’assunzione
della responsabilità.
Assumersi una responsabilità infa comporta l’ingresso in una nuova
dimensione temporale in cui tra il fare e il v edere i risulta del proprio fare
c’è bisogno di tempo e in cui sicuramente occorre imparare a convivere con
la frustrazione originata dalla differenza esistente tra proge o e prodo o.
Ma anche il giovane rocinante, che spesso grazie alla sua età ha già fa o i
con con la frustrazione e la depressione derivante dalla non totale
coincidenza fra speranza e proge o e che già vede prossima la stagione
dell’ingresso nel mondo del lavoro pure può provare altri elemen , oltre a
quelli a cui si faceva cenno più sopra, di crescita e maturazione in Gancio
Originale. Ad esempio: imparare a lavorare in gruppo (nei nostri
workshop), ma anche a rifle ere in gruppo nelle riunioni di staff e nei
momen di supervisione, ad assumere un a eggiamento riabilita vo ( noi
amiamo più il termine “ripara vo”) che non implica solo impadronirsi del
terreno diagnos co ma anche – e le eralmente - impra chirsi nel saper
cogliere quando intervenire e come, come rapportarsi con la scuola e le
altre is tuzioni limitrofe, ecc.
Ed infine anche per i so oscri , i 3 membri permanen dello staff, quel
partecipare al lavoro di impasto, confezione e co ura di quel pane comune
che si chiama Gancio Originale, significa certamente un dare: sul piano
della con nua reinvenzione di Gancio, della sua conduzione e della sua
tutela in ambito is tuzionale più vasto, così come del lavoro selezione, di
individuazione delle vere vocazione dei singoli, di abbinamento con una
casis ca ad hoc ed infine di tutoring, di follow up, di formazione e di
supervisione. Ma è anche un ricevere che va dalla possibilità di entrare in
un rapporto vivo con i giovani, di partecipare con loro alla costruzione di un
proge o fino alla possibilità di trovare nei nostri interlocutori professionali,
i giovani psicologi rocinan (cui da ul mo si sono aggiun i nostri giovani
borsis ) degli s moli che ci obbligano ad aggiornarci, a mantenere vive in
noi le nostre propensioni allo scambio.
2. Nella bo ega ar giana di Gancio Originale
Come ci ricorda Vertecchi è errato pensare che il ping-pong che
quo dianamente avviene tra docen e discen si esaurisca nel set della
lezione frontale. Ci vogliono, afferma Vertecchi, almeno altri due set perché
si possa ritenere di aver giocato la par ta insegnamento-apprendimento
fino in fondo: l’esempio è il prece orato.
Anzi, aggiungiamo noi, ci sono dei luoghi – come ad esempio la bo ega
ar giana- in cui la lezione frontale non c’è e tu a la par ta che si gioca tra
le due generazioni che a raverso la formazione si confrontano sulla scena
sociale avviene a raverso l’esempio e il prece orato. Dove per “esempio”
si intende far vedere all’allievo come impadronirsi del mes ere, delle
competenze, del sapere semplicemente proponendo ogni passaggio in una
specie di rallenty; e per “prece orato” far notare all’allievo ciò che
all’interno del processo che conduce al compimento dell’opera solo
l’esperienza accumulata dal maestro11 perme e di cogliere prima(prae-
capio=colgo prima).
Ebbene, come cercheremo di dimostrare, Gancio Originale ha in sé tu a
una serie di componen che sono metodologicamente riconducibili a ciò
che succede in una bo ega ar giana. Con essa senz’altro condivide, come
abbiamo già visto, quelle che partono dal tema dell’accompagnamento e
della situazione di scambio stra ficato presente in ogni bo ega ar giana
degna di questo nome ma che non si esauriscono in esso.
Il lavoro con i bambini e con i ragazzi a rischio, rispe o al più tradizionale
lavoro sulla disabilità, comporta sul piano contenu s co il passaggio
dall’approntamento di piani di lavoro centra sulle problema che dell’Io
ausiliario, a problema che centrate sull’Ideale dell’Io. E il ripris no di una
immagine di sé decente, raggiungibile, realis ca che occorre perseguire nel
lavoro di cura. La scena riabilita va rimane legata al dato cogni vo, ma,
mentre nel caso del disabile il background affe vo che perme e il
passaggio delle competenze è centrato sul tema del recupero di funzioni
egoiche, nel caso del disagio è centrato invece sul recupero di una
immagine di sé presentabile prima di tu o a sé stesso e ai contes di vita
del bambino e del ragazzo. Tu o ciò da un punto di vista metodologico
implica la messa in gioco in termini di controtransfert educa vo12 dei
propri introie ideali e allora ecco che per i giovani volontari più bravi
tu o ciò significa tornare a me ersi in sintonia con proprie par interne
evocate dall’insuccesso del caso di cui essi si prendono cura, par di cui
grazie al loro successo scolas co avevano perso le tracce. Per i meno bravi
trovare sul piano del rispecchiamento quegli elemen di opera vità,
garan in ogni caso dalla differenza di età che facilitano il mantenimento
di un a eggiamento ripara vo. E, mentre ques ul mi troveranno
nell’opera vità ripara va la loro più auten ca occasione di crescita e
maturazione, al contrario per i primi sarà proprio il riemergere – sempre
evocato dal sogge o di cui ci si prende cura - di ansie e angosce legate la
mancato successo a svolgere un’opera di ridimensionamento delle proprie
par megalomaniche.
La stessa cosa accade nel rapporto tra volontari e giovani psicologi
rocinan e tra ques ul mi e i più anziani psicologi della Psicologia
Clinica13.
Ma questa stra ficazione di aspe a ve e frustrazioni, a vate a livello
transferale controtransferale in ciascuna en tà coinvolta non è altro che la
trasposizione in Gancio di una stra ficazione e di una gerarchia che
ritroviamo in qualsiasi bo ega ar giana laddove all’interno della diale ca
tra maestri e allievi e cioè tra il dare e il ricevere da un punto di vista
metodologico e cioè sul piano della definizione dei se ng di cura contano
molto le modalità secondo le quali si dà e si riceve, ci si incontra e ci si
separa, si comunica al proprio interno ed in rapporto a sogge che
operano in luoghi limitrofi (nel nostro caso la scuola e la famiglia).
Vediamo ora in par colare ques 3 pun .
Nella bo ega ar giana il dare e il ricevere sono media dal fare e sono
scandi in base ad un processo di apprendistato sufficientemente scandito
di modo che ciascuno degli a ori in bo ega sappia a che punto egli è nel
processo di maturazione professionale. Nel nostro caso il front office della
cura è il workshop: una officina di restaurazione in cui si tenta di rime ere
in piedi ciò che in precedenza è stato “sgarrupato” dalle avversità della
vita. Mentre il back office sono i luoghi della programmazione, della
selezione, della scoperta delle vocazioni, degli abbinamen , del follow-up,
della formazione ed infine della supervisione. In ognuno di ques luoghi il
fare opera vo incentrato sull’esempio e il prece orato prevale sulla parola
e ancor di più su quell’insieme formalizzato di parole e di ges pico della
lezione con la sola eccezione della formazione e ancor più della
supervisione che però abbiamo imparato a smi zzare so o questo punto
di vista e a ridefinire, non sempre con rigore e coerenza nelle loro
componen stru urali. E cioè come modelli scandi e gerarchizza di un
percorso che prende in maniera discriminata ( e al limite individualizzata,
come avviene nel rapporto che ognuno ha col proprio tutor) tu gli a ori
della cura, tranne i bambini e i ragazzi.
L’inquadramento del lavoro di Gancio in una atmosfera opera va non
esclude né comprime l’affe vità che erompe anzi nei momen della festa
e dell’incontro, ma che più spesso traspare tra le righe in ogni gesto
opera vo che abbiamo imparato a decifrare nei suoi significa affe vi.
Possiamo dire anzi che una grande parte dei nostri momen forma vi, così
come in maniera più evidente avviene nella supervisione, possono essere
vis come uno sforzo di le ura del significato comunica vo e d affe vo di
ciò che avviene nei workshop.
Insomma siamo lì non perché i nostri bambini e i nostri ragazzi diven no
più competen , ma perché riacquis no fiducia in sé stessi ed imparino ad
essere meno impulsivi e più riflessivi.
E forse proprio in questo punto l’esperienza di Gancio si allontana da quella
della bo ega ar giana: nel fa o che mentre nella bo ega alla fine l’opera
proge ata prende luce, in Gancio gli ar giani della cura dovranno
sopportare uno scarto tra intenzione e a uazione molto superiore di
quello che, come giustamente ci ricorda Jaques, c’è da a endersi nel
compimento di ogni opera. Ciò genera frustrazione e senso di impotenza
nei più anziani di noi, che fra l’altro provengono dall’esperienza con i
disabili: figuriamoci tra i più giovani! Sicuramente il paracadute della
supervisione ( che pure comprende solo i laurea e i laureandi e non i
nostri giovani volontari) aiuta a smal re e a metabolizzare la frustrazione, a
fare in modo che il senso di colpa derivante dalla sensazione che,
nonostante i nostri sforzi, poco o nulla cambia, si trasformi in sprone e in
ulteriore impegno ma non basta: e forse possiamo dire che è qui una delle
sfide più grandi che i nostri giovani collaboratori devono affrontare: loro
così propensione al sogno e all’utopia, devono fare i con con la durezza
della realtà e con la convivenza in un “topos” così avaro di soddisfazioni.
Anche in una bo ega ar giana, così come in una classe scolas ca, ci si
incontra e ci si separa. In Gancio questo percorso - che sul piano della
formazione professionale di un sarto o di un falegname poteva durare o o
o nove anni, e che in una classe dura dai tre ai cinque anni – dura
mediamente uno o due anni. Il grande turn over che prende l’o anta per
cento dei nostri giovani volontari ci ha spinto anzi a fare un’analogia fra
Gancio Originale e l’ascia di Washington che da oltre due secoli è lì in bella
mostra in quella che fu la fa oria del primo presidente degli Usa, anche se
nel fra empo le è stato cambiato due volte il ferro e 5 o 6 volte il manico.
E’ ancora lì e ciò che fa si che sia percepita ancora come l’ascia di
Washington è l’aura che è intorno a lei, fru o della sua passata
appartenenza.
Anche Gancio Originale è ancora qui nonostante, a parte i suoi tre soci
fondatori, non uno di coloro che hanno collaborato con noi, non solo 13
anni fa, ma di chi lavorava con noi 3 anni fa non ne sono rimas più di 3/ 4.
Sappiamo che mol di loro sono anda poi a prestare la propria opera di
volontariato, da altre par , proprio come avviene – certo più lentamente –
in una qualsiasi bo ega ar giana. Presumiamo che dentro ciascuno di loro
alla fine dell’esperienza con Gancio Originale si sia amplificata la
disposizione allo scambio e siano emerse più chiaramente le vocazioni
individuali. Speriamo che quel doppio lavoro, cui accennava la Manoukian
Olive 14, sui ragazzi loro affida e su di sé, li aiu a conoscersi meglio e ad
usarsi per il meglio.
Noi che rimaniamo dobbiamo sopportare tu e queste separazioni e, come
Ecuba, madre di cinquanta figli, dobbiamo scontare di non ricordare alla
fine i nomi di tu , ma nella confusione derivante da questa nostra
genitorialità trasbordante, che onestamente non presupponevamo di
avere, rimangono dentro di noi i ricordi delle opere che insieme abbiamo
compiuto e la soddisfazione di averli accompagna per un tra o delle loro
crescita e di essere sta presi per mano da loro per un tra o del nostro
cammino (e se Benjamin ci ricordava che occorre sempre chiedersi “chi
educherà gli educatori?” noi possiamo ben dire di essere sta educa da
ciascuno di loro).
A raverso l’esempio si comunica: se io rallento ad arte il mio operare
perme o a chi mi sta a fianco ed è più inesperto di me di darsi il tempo di
apprendere. Ed anche a raverso il prece orato io comunico, a pa o
ovviamente di aver fa o una opzione che va nella direzione del me ere in
comune il pane del mio sapere e del mio saper fare e non
dell’arroccamento in me stesso: comunico me endo sull’avviso il mio più
inesperto collega o allievo circa la natura delle cose che stanno accadendo,
circa il significato degli indizi (la semeio ca cui accennavamo prima), circa
le strategie degli interlocutori “is tuzionali e non” con cui abbiamo a che
fare, la natura del loro linguaggio, dei segnali – anche infinitesimali – che
da loro ci proviene (una telefonata, uno scambio di parole sulla porta, nel
momento del saluto).ma, come opportunamente ci ricordano Fabrizio Rizzi
e …, ciò non significa assolutamente dare per scontato che tu o il sapere
sia dalla nostra parte, che solo i nostri occhi siano capaci di cogliere la reale
natura delle cose.
Infa apprendere dagli allievi significa anche questo (oltre che vederci
narcisis camente conferma nel nostro sapere in base alla loro crescita
‘ubertosa’): osare confrontare le nostre capacità ‘visive’ ed interpreta ve
con le loro osservazioni, con il loro sapere e le loro capacità autonome di
operare.
3. Gancio Originale e la scuola
Le rappresentazioni sociali della scuola di Reggio Emilia potrebbero essere
viste come una serie di immagini che vanno, al di là del po di funzioni da
essa effe vamente svolte nella pra ca educa va, da un versante più
assistenziale, con a ese di po supple vo rispe o all’a vità educa va
svolta dalla famiglia, come avviene nel caso delle scuole per l’infanzia e
sopra u o per i nidi, e un versante meno sussidiario rispe o all’a vità
educa va svolta dalla famiglia, e via via più autonomo e
professionalizzante.
Dall’assistenza all’istruzione, potremmo forse dire con uno slogan, con una
doppia serie di equivoci circa la natura della con guità fra formazione ed
educazione e circa il rapporto che l’educazione e la formazione hanno da
una parte con l’assistenza, dall’altra con l’istruzione.
Cosicché spesso non si vede che il lavoro di levigamento esercitato
dall’educazione è dentro il percorso forma vo, anzi nel cuore di questo
percorso e non a latere di esso. Così come non si coglie ancora da parte
della famiglia15 che la frequenza al nido e in scuola per l’infanzia, al di là
degli ovvi significa di po assistenziale, cioè integra vo, è per il bambino
un nuovo modello educa vo che lo accompagna in forma del tu o nuova
nelle varie tappe della sua prima crescita.
Così come non si percepisce – e qui siamo molto vicini all’area
problema ca in cui operano Gancio Originale ed il Consultorio Giovani -
che anche alla fine del percorso, all’epoca delle superiori – dentro ogni ora,
in ogni materia, in ogni passo verso la professionalizzazione vi è ancora un
quid legato all’educazione, al rapporto, allo scambio, all’affe vità, per
quanto denegata ed ogge vata essa sia nei profili, nel rappor no di fine
quadrimestre, etc. -
E se agli inizi del percorso è la famiglia che ancora persiste in una
rappresentazione sociale del nido e della scuola per l’infanzia che non
comprende, se non accidentalmente, l’educazione, è la scuola che spesso
indulge in una visione ridu va del proprio mandato mano a mano che lo
studente cresce.
Ma fortunatamente occorre dire che, come c’è una crescente richiesta da
parte delle famiglie di un nido più educa vo, c’è anche a Reggio una parte
consistente della scuola (maestre, proff) che non vivono bene la costrizione
del loro mandato all’interno delle anguste stanze dell’istruzione: ad
esempio cominciano a montare anche nelle superiori richieste di
supervisione rispe o agli aspe relazionali del lavoro, richieste di “
me ere in piedi “ nuovi presidi delle a vità di Gancio
E’ su questo humus che fin dall’inizio si è impiantata l’a vità di po
restaura vo sulla quale è nato Gancio Originale. Se si considera ad esempio
che la maggior parte di coloro che sono a noi segnala per problemi di
disagio viene da questa parte della scuola media ed elementare, e se si
considera altresì che molto raramente ci sono state delle interferenze circa
l’a vità sele va che noi di Gancio facciamo a seguito di quelle
segnalazioni, allora si coglie che non è per scaricare i casi che esse
avvengono. Tanto più che le nostre a vità sono pomeridiane e perciò
integra ve, e non sos tu ve di quelle ma u ne e scolas che.
E, d’altra parte, la individuazione e la presenza ormai in ogni scuola media
superiore di proff che collaborano stabilmente con noi nell’a vità di
selezione e a volte perfino di accompagnamento – di pomeriggio – dei
giovani volontari, tes monia di una iden ca sensibilità ai problemi
educa vi anche a questo livello.
Si è andata così definendo nel tempo una consuetudine, che da qualche
tempo è sancita a raverso accordi scri ( quei protocolli di cui si diceva
sopra) che perme ono una tutela nei confron di quella parte della scuola
meno sensibile ai problemi educa vi e ai temi del disagio.
In base a questa consuetudine e a ques accordi è stato possibile fissare
dei veri e propri se ng, estremamente mobili e nello stesso tempo
coeren , in base ai quali nella maggioranza dei casi la scuola è diventata
una interfaccia vicina e disponibile a me ersi in rete con Gancio sul tema
del disagio. E in alcuni casi i proff si sono colloca stabilmente nella catena
dell’accompagnamento.
E’ in base a questo dialogo fra istanze indipenden e paritarie che sono
nate le nostre stru ure: gli stessi workshop all’inizio; ma poi
significa vamente sia le esperienze nelle scuole medie superiori, sia le
cosidde e Stanze di Dante, cioè i workshop d’accoglienza per ragazzi di
recente immigrazione; le sperimentazioni di musica con i pazien
lungodegen psichiatrici, tenu dagli studen dell’IPSIA Lombardini: la più
recente espansione di Gancio Originale in provincia; per giungere infine
alla nascita del servizio di counselling psicologico per le scuole medie
superiori, in tolato Free Student Box, che nel 2007\08 è al suo quinto anno
di vita e che – sul modello di Gancio originale - si avvale significa vamente
di un enorme numero di giovani volontari (i peer counsellor) che aiutano i
giovani psicologi che lavorano agli sportelli a raverso un insieme di
contribu specifici e non marginali, che a nostro avviso sono uno degli
elemen di fondo del successo di quest’ul mo prodo o di Gancio
Originale16.
Il mes ere del giovane volontario: offrire relazioni,
offrire se stesso
Gustavo Pietropolli Charmet
Cercherò di dire qualcosa rela vamente a questo tema - che è quello che
trovate nella locandina: “analisi della propensione alla cura dei giovani:
fa ori che la favoriscono e fa ori che la inibiscono”- ma preferisco tra are
sopra u o la prima parte del tema che mi è stato assegnato: e cioè vorrei
provare a chiedermi se i modelli educa vi, i percorsi di crescita, i contes
evolu vi in cui crescono i ragazzi, contribuiscono ad armare loro le mani di
coltelli o di kalashnikov o no; se creiamo cioè dei guerrieri, dei mostri,
oppure se creiamo dei volontari.
E siccome presumo che modelli, percorsi e contes evolu vi favoriscano la
crescita sia degli uni che degli altri, penso che sia opportuno provare a
me ere in luce gli elemen specifici, sui quali possiamo concordare, che
possono contribuire a creare dei volontari, cioè dei giovani propensi a
prendersi cura di sé e dell’altro. Giovani che sentano che diventare
volontari può diventare un modo di esprimersi, un modo di realizzarsi, un
modo di esercitare un’azione trasforma va su sé e sul mondo, un modo
per prendere la parola, ed intonare un proprio canto: quello di offrire
relazioni, e cioè non offrire professionalità o competenza, ma offrire
relazioni, offrire affe , in sostanza offrire se stessi e la propria giovinezza.
Abbiamo mo vi per ritenere che nell’ecosistema di crescita e di vita dei
ragazzi ci siano dei fa ori che favoriscano lo sviluppo di questa vocazione e
di questa propensione? Costruiamo volontari o solda ?
Per rispondere a queste domande proviamo a passare in rassegna gli
elemen che cos tuiscono e che stru urano una relazione educa va, il
contesto educa vo, la poli ca, il modello, eccetera e ad individuare quegli
elemen che paiono essere indizia come a a favorire lo sviluppo della
tendenza a prendersi cura.
Prendersi cura non è una metafora semplice che però so ntende
l’esistenza di una costellazione di elemen , quali “responsabilità”,
“iden ficazione”, “riparazione”, “relazione”. Per cui dobbiamo chiederci se
la scuola, la famiglia, ed quell’altra grande organizzazione educa va che è il
gruppo di coetanei sono propensi a sviluppare questa a tudine, oppure se
favoriscono l’egoismo, l’appropriazione, la prevaricazione, l’organizzazione
di bande, ecc., ecc.
Proviamo a vedere prima di tu o la famiglia, per capire bene se in essa
costruiamo dei “sogge relazionali” o dei “sogge guerrieri”. È inevitabile
che si debba fare un confronto tra la famiglia di oggi, e la famiglia di un
tempo, che sicuramente era propensa a trasformarsi facilmente in
caserma, ed ad organizzare la crescita di solda ni pron a morire per la
patria, e a conquistare le cose appartenen agli altri.
Allora, sicuramente mi sembra che si possa dire che, per quanto possa
sembrare paradossale in ques giorni, noi oggi ci troviamo davvero di
fronte alla crisi complessiva della guerra come meccanismo per risolvere i
confli fra i popoli; e credo che ciò sia dovuto alla presenza delle armi
nucleari, che impediscono di fare la guerra, perché oggi la distruzione del
nemico corrisponde alla distruzione dell’amico, di se stessi, che il more
della guerra nucleare abbia messo radicalmente in crisi questo
marchingegno basato sul pensiero che il modo per risolvere i confli sia la
distruzione dell’avversario. Lo so che in ques giorni può sembrare
paradossale, però è un fa o che la presenza delle armi atomiche costringa
a spingersi fino ad un certo punto, ma non più in là di questo.
E se riteniamo che nel passato la soluzione dei problemi e dei confli
implicasse l’individuazione del nemico, del responsabile, per dichiarargli
guerra al fine di occupare il suo territorio, bombardare le sue case e
distruggerlo, dobbiamo dire anche chi all’interno della famiglia
tes moniava e documentava questa opportunità e questa soluzione
inelu abile dei confli in nome della quale si dovevano acce are dei
sacrifici e prepararsi alla guerra, alla inevitabilità di un confronto con il
nemico che raggiungeva il massimo della distru vità, per cui o si moriva, o
si riusciva ad uccidere il nemico.
E credo che sicuramente toccasse al padre farsi carico di questa
incombenza, e che l’esportazione della responsabilità e l’individuazione del
nemico, fosse un compito paterno. E sono d’accordo con tu quegli autori
e studiosi della famiglia e della guerra - c’è una scienza della guerra che si
chiama polemologia! - che individuano nel padre il signore della guerra,
colui che è deputato in qualche modo ad esportare il male su un’altra
famiglia, sui vicini di casa, e poi sull’altro quar ere e poi su una razza, ecc.,
ecc. -
Ma, da quando sono entra in crisi i meccanismi della guerra e
dell’esportazione della responsabilità sugli altri, è chiaro che è entrata in
crisi anche l’autorità del padre. Su questo si è a lungo discusso in ques
ul mi tempi, e la maggior parte degli affanni odierni della pubblica
opinione sono rela vi proprio a questo punto: c’è la crisi dell’autorità –
so ointeso: del padre! - e quindi diminuiscono le responsabilità, i ragazzi
non possono più confrontarsi con il principio di autorità, quindi sono
irresponsabili, e sono deresponsabilizza , sono molli, ecc., ecc., ecc. -
Io credo che questa ques one vada approfondita e credo che, da quando il
padre ha smesso di fare o di fingere di essere il signore della guerra, c’è da
chiedersi che cosa sia diventato: io credo che sia diventato un personaggio
all’interno della famiglia che, più che indicare ai figli i nemici, indica loro le
risorse; e credo inoltre che sia entrato nel repertorio del padre e nel ruolo
di padre in generale più il tenta vo di fare capire ai figli le ragioni del
nemico per organizzare una pace conveniente che la sua distruzione.
Io anzi me erei l’a uale esercizio del ruolo del padre come uno dei
capisaldi dell’educazione alla pace all’interno della famiglia, e penso ai
giovani padri che portano i bambini in giro per il mondo, che gli indicano le
risorse, che cercano di spiegar loro la complessità sociale, che cercano di
dare un nome alle cose, che cerca, in sostanza, di trovare le ragioni: le
ragioni del confli o, le ragioni dell’avversario, le ragioni del male, le ragioni
della distruzione.
Perché il padre fa questo? perché sa che è l’unica strada possibile è quella
di aiutare il figlio ad iden ficarsi con le ragioni dell’avversario, di capire le
ragioni dell’avversario. Se il bambino riesce a capire le ragioni
dell’avversario, cioè dell’altro bambino che gli vuole portare via il
gioca olo, se il padre riesce a spiegargli che non è che quel bambino voglia
distruggerlo ed annientarlo, ma solo che magari vuole giocare con lui, non
ha il gioca olo ed allora è invidioso, allora si può organizzare una pace
conveniente!
Però per organizzare una pace conveniente, cioè per giocare assieme, ed
arricchirsi tu e due nella condivisione della grande esperienza del gioco e
della comunicazione, bisogna assolutamente trovare il modo, sia al
giardine o, sul pezze no di sabbia scalcagnato che c’è, sia nel nido e nella
scuola materna, di organizzare paci convenien e, per farlo, bisogna capire
le ragioni degli altri bambini, che nel fra empo sono anche non solo di
altre famiglie, ma anche di altre razze, di altre religioni, ecc. -
Il padre indica la strada del tenta vo, a volte disperato, di capire le ragioni
dell’altro bambino, non per arrendersi, non per so ome ersi o per fare la
pace a tu i cos , ma per vedere quale è lo spazio per organizzare
a raverso contra azioni e negoziazioni una pace con i bambini del
caseggiato, del condominio, dell’area del gioco e della spiaggia.
No tu i padri sono così. Credo anzi che esistano tan padri che declinano
la loro funzione educa va con altre modalità, e cioè indicando la strada del
sopruso, della lo a a tu i cos , di rare fuori i muscoli, i den e tu o il
resto, la strada del farsi valere, di rispondere occhio per occhio etc. - Ma a
me sembra che ques altri padri siano in ribasso, e che s ano prevalendo
giovani padri che interpretano la paternità nella direzione della
comprensione delle ragioni dell’altro e del negoziato, e che si muovono in
questa direzione non a caso, ma in base ad una analisi complessiva di un
contesto in cui risulta evidente che non è più possibile fare la guerra,
perché questo corrisponde alla propria morte e alla propria distruzione.
Se penso a questo padre che “si è dimesso” – diciamo – “dal ruolo di
signore della guerra”, e che quindi deve per forza giocare con altre
sostanze, che non siano la volontà, la forza, il sopruso, la virilità, deve
giocare con altri elemen : e cioè con gli affe , con la capacità di
condivisione, con la capacità di capire le ragioni degli altri, ecco che mi si
presenta un nuovo profilo del padre: un padre che sostanzialmente si
dispone a fare questo lavoro di “tradu ore simultaneo delle contrastan
esigenze” per vedere se si riesce in questo modo ad organizzare una pace
nel condominio.
E assieme al padre c’è una madre che per tan ssimi mo vi (che in realtà
sarebbe u lissimo approfondire) chiede ai figli di fare un esercizio
straordinario. Poiché ha meno tempo, dato che lavora anche fuori casa, per
forza di cose deve contra are e negoziare con il figlio e nel far ciò gli chiede
di capire le sue ragioni, di tenere basso il livello del confli o in casa con lei,
di non alzare il confli o, di acce are il rispe o di un minimo di regole
flessibili, assolutamente non rigide, ma anzi reversibili, accompagnate da
cas ghi blandissimi, e di rispe arle perché c’è poco tempo e ci sono tante
cose da fare.
Tener basso il livello del confli o, e organizzare più che appartenenze
commia , separazioni, dopo le quali ci sono tan ssime ore al nido e a
scuola materna, la scuola tempo prolungato, eccetera. Insomma vi è tu o
un lungo percorso durante la giornata in cui lei va in azienda, in fabbrica,
mentre i bambini vanno alle is tuzioni para-familiari, e nel breve periodo
giornaliero in cui si sta insieme bisogna stare bene, anche perché dopo
bisogna separarsi, andare a le o, alzarsi, reinserirsi di nuovo nelle
is tuzioni, separarsi, … ma per separarsi bisogna separarsi bene, bisogna
separarsi in pace. Ed è per questo che la madre ha una necessità assoluta
di tenere basso il livello del confli o.
Ma per tenere basso il livello del confli o, bisogna che il bambino capisca
che quella poca pressione educa va che la madre è costre a ad esercitare,
quelle poche regole che sono rimaste in famiglia, vanno rispe ate! Cioè
vanno contrastate, negoziate, discusse, ma alla fine vanno so oscri e, e
bisogna assolutamente rispe arle!
In base a quale istanza bisogna rispe arle? Bisogna rispe arle a raverso
l’iden ficazione con lei. Questo è il mo vo sostanziale della madre quando
chiede ai figli di fare uno sforzo e di capire. Essi devono capire, acce are,
iden ficarsi e schierarsi in favore del bene supremo di tu o il proge o
educa vo, che è la difesa della relazione, della buona relazione.
Ma una buona relazione vuole dire, appunto, tenere basso il livello del
confli o, eliminare il dolore, evitare di spararsi reciprocamente dei missili,
di denigrarsi, di fare un corpo a corpo domes co in cui apposta uno,
sapendo, avendo imparato, avendo appreso quale è il modo per far soffrire
lo fa apposta. La madre esorta a fare esa amente il contrario: avendo
capito che quella cosa fa soffrire, bisogna sme ere di farla, bisogna
sme ere perché può provocare dolore e solitudine, può esasperare l’altro.
E questo è il massimo! è il peccato mortale sulla scena della famiglia
affe va e relazionale!
Il fa o che i genitori chiedano al figlio - in una situazione di contrazione dei
tempi a disposizione e in cui c’è bisogno che i figli siano precoci, autonomi
poiché il tempo a disposizione per organizzare la comunicazione è poco- di
tenere bassissimo il livello del confli o e di eliminare tu e le situazioni che
si sa già per statuto che innescano la guerra e la distruzione reciproca:
tu o questo, a mio avviso, è una grande novità educa va.
Quindi, io credo che il padre che è dimesso dall’esercitare il ruolo di signore
della guerra e di colui che troverà il nemico, e che in nome dell’esistenza
del nemico organizzerà la famiglia come una caserma, costringendo i figli a
fare i solda ni, ad obbedire alle regole, ed a esercitarsi a tollerare il
confli o, lo scontro armato in famiglia, il padre da una parte, ed i figli
dall’altra, fino a quando i figli prenderanno il potere e sconfiggeranno il
padre.
Vecchie scene e, vecchie gag che però cara erizzavano il percorso di
crescita, uccidere il padre era lo sport nazionale, dei giovani, dei minori, dei
minorenni, degli adolescen di un tempo, ma non era una metafora, era la
metafora, il più delle volte ci si limitava all’uccisione simbolica, qualche
volta ci scappava anche il morto, ma era una metafora convincente, sulle
piazze, nelle strade, le ci à erano in subbuglio perché i ragazzi erano
occupa ad uccidere simbolicamente il padre, il ché voleva dire lo Stato, il
Preside, la scuola, la fabbrica, il potere, il capitalismo. bisognava farlo.
Bisognava ucciderlo e non c’era la possibilità di negoziare, di contra are la
propria realizzazione e la realizzazione della propria libertà, l’iden tà, la
sessualità, il piacere, il godimento, la coppia, il gruppo, la ci à, la civiltà,
erano legate all’uccisione del padre.
Adesso padri che abbiano questa intenzione di farsi uccidere, così come
figli che organizzano addiri ura gruppi, associazioni e movimen per
uccidere il padre ce ne sono pochi. È chiaro che qualcosa è successo, è
chiaro che il padre di ques nuovi ragazzi dice: facciamo pace se è
possibile, evi amo che ci scappi il morto, non vedo il mo vo, volete che
ridistribuiamo il potere? ridistribuiamo il potere! volete che le regole siano
separate dai valori e dalle tradizioni? Separiamo, per carità! cioè
organizziamo delle regole domes che che servano soltanto per lo spazio
domes co: si esce, ci si alza, ci si lava i den , si cerca di arrivare tu più o
meno nella stessa fascia oraria, non lasciamo il bagno in disordine! ma
questo non lo dice Dio, o la patria, ma lo dice la mamma perché è nervosa,
il papà perché ha poco tempo, e lo dice il buon senso, de o questo è finita
lì. È finita lì!
Allora, fra il padre che sulla scena domes ca gira davvero disarmato - ed il
disarmo del padre è il principale mo vo del pacifismo dei figli - e la madre
che in affanno dice: guardate, non fatemi questo, vi prego, iden ficatevi,
iden ficatevi non con la mia bellezza o con la mia intelligenza, ma con la
mia fa ca, con la mia spossatezza, ed anche con la mia tendenza ad avere
crisi di nervi; per cui evitate che io abbia una crisi di nervi!
Questo duplice invito ad iden ficarsi con il dolore dell’altro, avviene in
difesa di un principio fondamentale: che ciò che conta non è il rispe o dei
valori e dei principi; ciò che conta è costruire buone relazioni. Questo è il
principio educa vo, il valore cruciale della famiglia a uale.
Per questo, giustamente, abbiamo definito la famiglia affe va rispe o alla
famiglia e ca e guerrafondaia di un tempo, in cui la guerra era il principio
basilare: volevi il potere dovevi comba ere e distruggere il nemico,
simbolicamente.
E io credo che questa famiglia sia un vero e proprio laboratorio di
educazione alla pace, con alcuni inconvenien , secondo gli educatori e i
sociologi.
È chiaro, ad esempio, che – come alcuni sostengono - a forza di me ere
tu o l’accento sulla relazione, a forza di tenere basso il livello del confli o i
ragazzi non sanno più stare “nel” confli o, non sanno più confrontarsi
duramente. È chiaro che noi “famiglia italiana” che abbiamo costruito in
esclusiva questo modello educa vo, a forza di contra are regole abbiamo
finito col consen re una eterna convivenza fra le tre generazioni, nonni,
genitori e nipo , e ciò a differenza delle altre famiglie europee, dove invece
si esce abbastanza precocemente di casa e dove il confli o evidentemente
non ha tu e queste mediazioni, come avviene da noi. Per cui, quando
adesso i ragazzi di tu a Europa dovranno confrontarsi fra di loro, tra i
nostri trentacinquenni che vivono ancora con la mamma, e i francesi, i
danesi, che sono tu fuori di casa a diciasse e, dicio o anni, può darsi che
perdiamo il confronto: personalmente penso di no, e che comunque se lo
perderemo non sarà questo il mo vo, ma comunque forse non c’è neanche
alcuna guerra, e si tra solo dei consumi di cose, non della guerra che si
faceva un tempo.
Quindi, insomma, se il valore è quello della relazione io direi: s amo
a en , perché abbiamo una famiglia che in sé e per sé favorisce ed è un
grande protagonista dell’educazione alla pace. Ed educare alla pace vuol
dire incitare i figli a costruire relazioni, sapendo che quelli che sono più
capaci di costruire relazioni sono i figli più obbedien , quelli che tengono
basso il livello del confli o, i bravi ragazzi, quelli che agli occhi dei genitori
hanno successo.
E perché hanno successo? Perché sono sempre invita a tu e le fes ne, fin
dal nido, fin dalla scuola materna, in quanto hanno imparato a ballare ed a
cantare, hanno più relazioni, più amicizie, sono i più no , quelli che proprio
“è una soddisfazione andare in giro con loro” perché tu i bambini li
riconoscono, e tu gli telefonano, e sono i più ge ona , sono quelli cioè
che sono diventa abili a costruire relazioni, e le mamme hanno tu o
l’interesse che i figli abbiano buone relazioni, perché visto che bisogna
stare separa tu o il giorno, se i figli hanno tan amici buoni, seleziona ,
ecc., ecc., questo vuol dire che hanno accesso a forme sociali di
nutrimento, extrafamiliari: e un figlio ben nutrito di amicizie, di amori, e di
affe , è un figlio che sta bene.
È un figlio che sta bene, anche perché con tu o questo affe o che riceve
a raverso l’esperienza di gioco, di condivisione, ecc., è sempre più pacifico,
è sempre più buono, non viene a casa incazzato: ha giocato, si è diver to,
ha avuto gli amici, è stato soddisfa o; quindi, viene a casa ed è buono, è
buono anche con la mamma, e quindi non vorrà mica fare la guerra appena
arrivato, e sarà ancora più facilmente in grado di tenere basso il livello del
confli o.
In base a questa “educazione sen mentale” è chiaro che nel caso che tu
senta vagamente in colpa, nel caso che tu senta di avere un piccolo debito
potrai offrire la roba che hai imparato a fare: cioè costruire relazioni,
facendo il volontario perché a raverso il volontariato offri relazioni, offri la
possibilità di scambiare affe , di condividere tempo, di costruire assieme
proge .
Per cui – dico - la famiglia affe va avrà tan dife , ma non si può dire che
essa sia un’officina dove si prepara la guerra, anzi si deve riconoscere che
essa sia un piccolo laboratorio domes co all’interno del quale si
costruiscono volontari: poi saranno felici o infelici. Poi ogni tanto, se
sbagliano la mira, diventeranno dei mostri, non lo so! fa o sta che
l’orientamento sarebbe questo: di provare a vedere che cosa succede se si
me e come valore di riferimento principale quello di avere una buona
relazione e di costruire relazioni, piu osto che so ome ersi a dei valori, a
dei principi.
Se infine guardiamo all’altra famiglia all’interno della quale si formano i
giovani, cioè la “famiglia sociale”, e cioè il loro gruppo di coetanei, beh!
anche lì si impara a tessere relazioni; e tu quelli che hanno studiato le
modalità di organizzazione, ed i valori di riferimento di questa società che
corre parallela a quella degli adul - a volte con dei pun di conta o, a
volte proprio parallela, senza conta con essa – hanno verificato che,
grazie anche ai sistemi di comunicazione, alle grandi autostrade
rappresentate dalle realtà virtuali, ciò che viaggia fra i giovani è la
sensazione di appartenere ad una generazione globale, che avere quell’età
oggi è di per sé un fenomeno che globalizza più di tu i globalizzatori; che
avere qua ordici, quindici, sedici anni è effe vamente qualche cosa che
stabilisce connessioni planetarie, consente di condividere esperienze,
costumi, valori, idoli musicali, pra ci, ecc., ecc. -
E io credo che sia vero che il gruppo - proprio perché è un’esperienza
precocissima, e proprio perché sono gli stessi genitori che hanno tu o
l’interesse perché i ragazzi stabiliscano dei vincoli precoci, e diven no
sogge sociali precoci e sappiano godere delle esperienze di gioco
condivise, o di crescita comune, e sappiano fare la pace, ecc., ecc. - nasce
già con funzioni consolatorie, cioè già cara erizzato da funzioni di
contenimento, di “dare ci adinanza agli esuli”, a tu i bambini soli della
terra. Nasce già come famiglia, cioè come già abitato dall’idea di dovere
me ere da parte tu o ciò che crea differenza e che crea confli o, per
creare accoglienza.
Infa non c’è mai stato nei decenni preceden , sulla base delle ricerche
che sono state fa e, un gruppo più fraterno e solidaris co di quello
a uale, cioè un gruppo dove non ci sono i capi, i cape , e dove non si
deve lo are per il potere, dove i maschi non devono ba ersi per la
conquista del territorio, delle donne, del potere, ecc. -
Si tra a anzi di un gruppo dove chi vuole fare il capo lo me ono subito al
posto: quindi è un gruppo orizzontale, parite co, fraterno, solidaris co,
quindi un gruppo che non può decidere niente, un gruppo a cui manca
tu a l’organizzazione della leadership, in cui non funziona la presa di
decisione. Ma lo ha fa o apposta il gruppo a rinunciare a prendere
decisioni! Questa è una delle cose di cui i ragazzi si lamentano di più: che il
gruppo non decide mai niente, che si sta sempre lì, che si passano delle
ore, che si discute, si discute, si cerca di decidere e non si decide mai
niente, non si decide mai niente apposta! apposta perché naturalmente la
decisione crea confli o, e la lo a per fare prevalere una decisione
piu osto che un’altra è, inevitabilmente, la lo a per il potere. Si creerebbe
una gerarchia, un’organizzazione ed una volta presa la decisione, ci sarebbe
anche chi non sarebbe d’accordo e se ne andrebbe a casa: cosa
temu ssima dal gruppo, che invece vuole fare in modo che si s a sempre
assieme, a tu i cos , alzando mol ssimo anche il livello di tolleranza, il
rispe o di diversità.
Questo consente, ad esempio, la convivenza pacifica all’interno della
scuola fra gruppi di diversa impostazione poli ca. Ma anche all’interno
dello stesso gruppo di amici è consen to una convivenza pacifica fra quelli
che fumano le canne e quelli che per qualche mo vo non lo fanno, e quelli
che hanno una tendenza fortemente deviante possono stare assieme con
quelli che invece sono pacifici perché il gruppo è massimamente tollerante.
E questo finisce con l’essere un valore di riferimento: finché uno non fa
delle cose che rompono gravemente le scatole agli altri, è libero di fare
qualsiasi cosa! Ques valori contraddis nguono il gruppo: l’accoglienza e la
condivisione profonda e radicale di una fantasia comune: e cioè che il
gruppo abbia - come dire? – “un proge o”, che il gruppo sia legato dalla
necessità di tenere vivo questo proge o che non si sa bene che cosa sia,
ma che dovrebbe incarnarsi da un momento all’altro in una decisione per
diventare quello che si fa la sera, al sabato, l’estate e quello che succederà,
ecc., ecc.
Questo, secondo me, rende i ragazzi straordinariamente capaci di
sacrificarsi per gli amici, straordinariamente capaci di sacrificarsi per il
gruppo, ed è quello che a me sembra giusto chiamare l’e ca masochis ca
degli adolescen nei confron del loro gruppo. C’è l’impressione che il
gruppo abbia delle esigenze, chieda molto, e cioè chiede di sacrificare il
proprio desiderio del momento, chiede di diventare fortemente altruis , di
me ere da parte il proprio egoismo personale in vista di un proseguimento
di un fine comune, e quindi chiede di acce are tu e le mediazioni, chiede
di dare accoglienza, ecc. -
Quindi, da questo punto di vista, a me sembra che le due famiglie, la
famiglia naturale, quella dei genitori, e la famiglia sociale, quella degli
amici, lavora a staffe a da questo punto di vista, perché tu e e due le
famiglie me ono come valore di riferimento centrale la relazione e
chiedono ai membri famiglia, ai membri del gruppo, di contra are,
negoziare, di non volere a tu i cos fare prevalere la propria opinione, di
non lo are per la conquista del potere, ma di farsi valere per acquisire
ci adinanza, per diventare visibili e sogge contra uali, ma non più di
questo!
I ragazzi lo sanno che nel loro gruppo il gruppo chiede. Chiede e dice: “di la
tua opinione, proponi qualcosa, non essere di peso e basta, fai qualcosa
anche te, sacrifica , impegna , pensa, assumi delle responsabilità,
proponi, di qualcosa anche tu, esprimi”. Il che vuol dire partecipare
responsabilmente alla ges one della sopravvivenza del gruppo, perché
anche il gruppo è sempre sull’orlo di una crisi di nervi; è sempre lì, lì per
sfaldarsi, è sempre lì, lì per morire; e non muore mai, naturalmente, ma dà
questa impressione di essere dietro ad annoiarsi mortalmente, a non
riuscire a combinare mai niente, ad essere tris ssimo, ad essere oramai
quasi in coma, e di non riuscire più a sopravvivere se non in una situazione
di ebbrezza, con qualche birre a e qualche canna, ma insomma, è sempre
molto sfilacciato così. Poi, finalmente si rianima grazie all’impegno, grazie
alla generosità di tu , che con uno sca o di reni riescono a rivitalizzare il
gruppo.
Sappiamo che ci sono tante altre componen : che dentro la famiglia e al
gruppo ci sono delle forze che lavorano in direzione contraria, che il gruppo
è spesso lì, lì per trasformarsi in banda. E la banda è crudele, la banda
compie rea , deriva dal gruppo, ma rappresenta il momento in cui il
gruppo si ammala e non ce la fa a rimanere gruppo, inteso come gruppo di
amici, ma anzi deve delegare ad un gruppe o, ad una task force il compito
di compiere un’azione stupefacente, rischiosa, deviante e trasgressiva per
risolvere il problema, che in realtà hanno tu .
Quindi sappiamo che è dall’interno del gruppo che poi decolla l’esperienza
deviante e trasgressiva, sappiamo che l’aumento di rea minorili non è che
dipenda dall’aumento del numero dei ragazzi delinquen , ma dipende dal
numero sempre maggiore dei rea commessi dal gruppo; quindi, è un
sogge o psicologico quello che comme e rea , un sogge o che però è un
gruppo e non l’individuo.
Quindi sappiamo che il pacifismo, il solidarismo, l’organizzazione
orizzontale del gruppo, l’invito del gruppo ad assumersi responsabilità, poi
nasconde delle insidie, perché il gruppo, la mente del gruppo pensa in
termini molto primi vi, ecc., il gruppo è tendenzialmente un po’ paranoico,
va un po’ alla ricerca del nemico, ha bisogno di segnare i propri confini, ha
bisogno di presidiare un’area del territorio, ha bisogno, se è in crisi, di
emblemi, di gagliarde , di inni, di can . Insomma, ci vuole poco per
trasformare un gruppo in banda, ma finché il gruppo funziona favorisce
l’interiorizzazione di ideali. E questa è la funzione del gruppo, in
adolescenza, quella di me ere a tacere il super io familiare dentro ad una
mente individuale e sos tuirlo con degli ideali sociali, con degli ideali di
gruppo, appunto.
Per cui se è in salute il gruppo tendenzialmente lavora anch’esso nella
direzione di aumentare il sen mento di responsabilità nei confron della
relazione, invita tu i suoi membri ad essere leali, ad essere generosi, ecc.,
ecc. - Non è un gruppo portato all’azione, ma all’essere, al costruire
relazione, a scambiarsi affe , sen men , farsi compagnia, ad essere molto
solidale con chi in quel momento è in difficoltà, non è un gruppo in cui si
lo a per il potere, ma è un gruppo in cui ci si impegna per stare bene, per
scambiarsi, per diver rsi, ecc., finché le cose funzionano, perché anche la
famiglia è pacifica e lavora per tenere basso il confli o.
L’assunzione di responsabilità significa - nel mio linguaggio psicoanali co,
di po depressivo e non paranoideo – che vi è una tendenza a costruire più
ragazzi tris che ragazzi ca vi: ragazzi che si assumono le responsabilità
nei confron del des no dell’altro, e che si assumono le responsabilità nei
confron del fa o che la loro giovinezza è des nata a fare invecchiare i
genitori, a condannare a morte la famiglia, perché se ne andranno, ecc. –
Ed è stata la famiglia che è andata in questa direzione, che cioè ha fa o
della relazione un ogge o di culto, dello stare bene assieme a costo di
sme ere di parlare, perché magari viene fuori il confli o, un programma.
Si tra a di una famiglia che sta costruendo dei sogge relazionali.
E allora dopo non stupisce di vedere che i figli della famiglia a uale, che
sono sogge relazionali, costruiscono relazioni, relazioni sociali precoci,
costruiscono molto precocemente, fino dalle elementari grupponi,
gruppe molto lega , dove c’è uno scambio affe vo molto intenso, e c’è
una fame di relazioni sociali molto visibile, e c’è una richiesta alla famiglia
di avere più tempo da dedicare ai propri amici: quindi c’è, insomma, la
costruzione di sogge relazionali, sogge sociali.
Il culto della relazione vuole dire non chiedere e divorare, ma scambiare,
iden ficarsi, capire ed entrare nella mente dell’altro. Ma nel far ciò il nuovo
padre e la nuova madre sostanzialmente a ribuiscono una responsabilità
tremenda ai figli perché gli chiedono di entrare nella loro mente. I genitori
del passato non lo facevano, non avevano nessuna intenzione di fare capire
niente delle loro debolezze, delle loro stanchezze, delle loro delusioni, delle
loro crisi coniugali ai figli: stavano blinda ! invece qua si condivide tu o, e
quindi l’invito al figlio è: cresci, sviluppa questa abilità, questa competenza,
cioè quella di capire, quella di iden ficar , e quindi quella di assumer
delle responsabilità affe ve, e non e che, non valoriali.
Sul tema della riparazione, cioè del prendersi cura, a me sembra che
abbiamo tu a una serie di elemen che rendono comprensibile come
possa esserci - in base alla percezione che ognuno di noi ha, ma poi ci sono
le sta s che nazionali - una maggiore propensione nei giovani d’oggi a fare
i volontari piu osto che i solda , a fare il servizio civile, piu osto che il
servizio militare, a fare più i volontari che i guerrieri. Poi naturalmente,
siccome non ci sono solo queste belle famigliole, ques bei gruppe , ma ci
sono anche tante altre esperienze nei contes educa vi, che favoriscono
altri sviluppi, altre propensioni, verranno fuori le guerre, le bande, la
criminalità giovanile, ecc., ecc. –
Però, credo che se andiamo in cerca con il lanternino, dei fa ori che
favoriscono la vocazione, a offrire relazione, penso che possiamo seguire a
ritroso tu o il percorso che porta il bambino a diventare un volontario, e a
trovare nel suo ecosistema di vita tu o un percorso che in qualche modo lo
sospinge in quella direzione, è una direzione alla quale si può anche dire di
no, si può anche dire “sono stufo di offrire relazione”, e preferisco la
solitudine, la separatezza, la crea vità solitaria, faccio altre cose. Però
bisogna dire che fra le aspe a ve che la famiglia a uale ha nei confron
dei propri figli non c’è quella non di vederlo in divisa, ma semmai quella di
vederlo con il camice della Croce Verde o della Croce Bianca, o di tu e le
Croci della terra, ad offrire relazione e soccorso, a prendersi cura di chi non
è “dentro”, di chi sta fuori, per farlo venire dentro, dentro nella relazione,
dentro nella condivisione, dentro nell’accomunamento.
Poi naturalmente ci sono forze che giocano in direzione contraria.
B - Nei nostri Can eri
Workshop ed altro: il profilo di Gancio Originale dieci
anni dopo
Mariella Can ni
Buongiorno a tu ed adesso con nuiamo questa ma nata così intensa,
con interven mira a farvi conoscere più in profondità quello che
facciamo concretamente, e quello che in dieci anni abbiamo o enuto:
l’a vità che maggiormente si è concre zzata in ques anni sono sta i
workshop, sul lucido vedete una car na ed è la car na del Distre o di
Reggio Emilia, e potete localizzarli ques gruppi pomeridiani, che si
svolgono all’interno delle scuole medie inferiori, delle scuole medie
superiori, delle scuole elementari con le frecce che sono state inserite,
sono così disloca : se e all’interno delle scuole medie inferiori, alla Emilio
Lepido con tre proge , alla Dalla Chiesa, alla Amedeo d’Aosta, alla
Fontanesi, alla Per ni, a Castelnovo Sopra, ed a Rivalta; tre nelle scuole
medie superiori e dopo torneremo su questo punto perché in effe è stato
un grosso successo aprire la scuola media superiore al territorio, cioè ai
ragazzini delle scuole medie inferiori limitrofe alla scuola media superiore,
si recano nella scuola per imparare dai ragazzi più grandi, e sono tre ques
workshop, al Liceo Aldo Moro, all’Is tuto Agrario Zanelli, e quest’anno
abbiamo avuto il piacere di aprire anche al Blaise Pascal.
Tre sono le scuole elementari della ci à, la Don Milani, la San Giovanni
Bosco, e Via Premuda, un Is tuto Comprensivo di Bagnolo, e la scuola
elementare di Qua ro Castella, Qua ro Castella e Castelnuovo Sopra sono
in due situazioni limitrofe, a Reggio, e direi che sono state l’acquisto di
quest’anno.
I workshop complessivamente sono qua ro di più rispe o allo scorso
anno, come dicevo prima, sono gruppi che si riuniscono due volte alla
se mana, per circa due ore, ogni gruppo accoglie dai dieci ai dodici
ragazzini, i ragazzini sono tu segnala , o incaricano i servizi di
neuropsichiatria o psicologia clinica, ques gruppi sono coordina da
rocinan , o da borsiste, i volontari che collaborano in questa a vità sono
240, sono veramente tan , e come vedrete dal grafico che subito dopo vi
farò vedere, provengono tu quan dalle cinque scuole medie superiori
della ci à.
Alla fine dell’anno scolas co del 2001, gli allora 150 volontari delle scuole
medie superiori avevano raggiunto un quorum di monte ore di 3.300,
vedremo quest’anno dove arriveremo: diamo una risposta a ualmente a
166 ragazzini, con proprio il lavoro di ques ragazzi, come potete vedere
dal grafico direi che dal ’99 ad adesso il numero dei volontari si è triplicato,
da 80 che eravamo nel ’99 siamo arriva ai 240 di quest’anno, e direi che
quasi triplicato è il numero dei ragazzini a cui diamo una risposta concreta
di accoglienza in ques gruppi pomeridiani.
Ora in questo vorrei passare a dare altri numeri, se così si può dire, ma
penso che siano necessari, ed è l’altra fe a del nostro volontariato, molto
significa va e molto importante, ed è il rapporto del volontariato con il
singolo ragazzino, o la singola ragazzina, che cosa fanno ques volontari?
Aiutano a fare i compi a casa, a scuola, nelle biblioteche, presso le
parrocchie, accompagnano a conoscere la ci à, in sala poi avremo la
tes monianza di alcuni ragazzi che fanno queste a vità con noi, gli
accompagnano in ludoteca, a musica, a ginnas ca ed insegnano loro anche
a giocare a tennis, alla fine del 2001 erano circa 70 i volontari impegna in
questa a vità, e altre anto erano i nostri ragazzi.
Facciamo poi altri interven , all’interno delle stru ure della AUSL e sono:
la dramma zzazione, presso il Corso speciale che si ene al Centro di
addestramento professionale Simonini, e presso gli atelier della
neuropsichiatria infan le, l’atelier di musica, […] la cucina, la pi ura, l’arte
terapia ed a vità di bricolage, sono circa 10 i volontari impegna in ques
proge .
Quest’anno si è aggiunta anche un’altra a vità molto gradita ai due
volontari impegna , ed è il sostegno della squadra di basket, dei ragazzini
con disabilità motoria presso la palestra di Sesto, e qui seguono un gruppo
di ragazzini dell’Associazione Sport Disabili, assieme all’istru ore;
dobbiamo aggiungere con una nota di piacere e di soddisfazione anche,
che ci siamo inseri nel filone dell’a vità promossa dalla CEE il
Volontariato Giovanile Europeo, questo grazie alla collaborazione con Dar
Voce, a ualmente ospi amo Mar ne, una ragazza francese, e dopo
sen rete.
Vorrei ritornare un a mo, un a mo alla percentuale dei volontari
minorenni, che quest’anno abbiamo appena finito, diciamo, di reclutare è
una bru a parola, però di avere con noi, e come vedete da questa torta, le
scuole hanno contribuito con ques numeri, e proprio questa ma na lo
Scaruffi mi ha invitato a portare questa esperienza anche all’interno di
questa scuola.
Adesso, cercherò di essere veramente breve, però vorrei parlare un po’ di
quello che è la mia funzione all’interno di Gancio Originale, e che è la
funzione di tutor, allora, a ualmente abbiamo de o, come ha de o prima
la Do oressa Bertani, sono 300 i giovani che ci danno una mano, e sono
più di 1.000 i giovani che dal ’91 ad oggi si sono forma , ci hanno
conosciuto, hanno collaborato con noi, ci hanno lasciato, oppure ritornano,
è un numero veramente molto grande.
Mentre facevo, preparavo queste cose, mi sono venu in mente i cinque
vol delle prime cinque volontarie ed i loro nomi, che ricordo con molto,
diciamo, piacere perché sono state proprio loro dalla riflessione fa a, sul
lavoro che hanno fa o nel ’91, o obre, novembre e dicembre che è nato
come il filone portante e gli interven che si sono venu a definire per il
percorso di voi giovani, sono sta Elena, Sara, Chiara, Sonia, Veronica, e la
presente qui in aula, la Daniela, oggi siamo 300 non sono più in grado di
ricordarli tu per nome, però insomma, i vol oserei dire di sì.
Allora, che cosa faccio io, la mia funzione si è notevolmente modificata
dall’inizio di questa a vità, e mi sono dovuta adeguare alle trasformazioni
che Gancio stesso ha subito, sono io la tutor di Gancio che per la prima
volta incontra ques studen nelle scuole, per promuovere a vità di
volontariato, è un incontro informa vo e forma vo: informa vo su come
svolgere il volontariato, e forma vo per i messaggi che do, per le scelte e le
decisioni che chiedo di prendere, porto i ragazzi a rifle ere.
Dopo avere illustrato che cos’è Gancio Originale, chiedo il loro aiuto
quan ficato e definito in ore ed in giorni della se mana, ribadisco a ques
giovani che mi ascoltano, che fare volontariato non è facile, ma è
coinvolgente, s molante, significa vo per la loro crescita, spiego il perché e
poi passo alle tes monianze dire e dei ragazzi, di solito sono ragazzi più
grandi della scuola, che raccontano ai loro compagni quello che fanno nelle
a vità di volontariato, dopo l’incontro non raccolgo dire amente le
disponibilità, che invece devono essere segnalate dai ragazzi stessi
all’insegnante referente di Gancio Originale, all’interno della scuola, che
con noi collabora con una collaborazione direi preziosa, dire a.
Nelle cinque scuole medie superiori, quest’anno dobbiamo unire alle
nostre canoniche qua ro, IPAF di Rivalta, infa siamo diventa cinque, con
le quali collaboriamo in ques ul mi anni, c’è una figura un’insegnante, che
si è evidenziata e si è meglio connotata, e questa figura è il referente che
ha con noi un rapporto come ho de o, dire o, raccoglie le adesioni dei
ragazzi che vogliono fare volontariato, e la sua conoscenza viene coniugata
con le nostre competenze, per meglio individuare il proge o in cui
collocare il volontario.
Tra noi il tutor e l’insegnante di Gancio passa un messaggio educa vo per
loro, per noi un messaggio di cura, riparazione, formazione, e colgo
l’occasione anche se i ringraziamen sono già sta fa , ai Presidi che
hanno creduto all’inizio a questa nostra a vità, ci hanno aiutato, ai Presidi
a uali, e sopra u o un caloroso ringraziamento alle insegnan che ci
danno una mano, Sandra de Chie del Liceo Aldo Moro, Ornella Chievo
dell’Is tuto Magistrale, Tomaselli Patrizia del BUS, Mirabile dello Zanelli e
Fornaciari Maria Paola dell’IPAF.
Incontro una seconda volta i ragazzi a scuola ed ascoltandoli uno per uno,
almeno ho la presunzione di dire questo, cerco di capire la loro
predisposizione, la loro voglia di sperimentarsi, tengo presente la
territorialità, il luogo più vicino possibile alla loro abitazione, o alla scuola
dove andranno a lavorare, e definisco con loro i proge in cui saranno
inseri ; teniamo presente che quasi tu i ragazzi delle scuole medie
superiori lavorano nei workshop, tranne qualcuno che sperimentandosi
negli anni preceden , arrivando in quinta, magari ha voglia di trovarsi in
proge diversi, di po individuale, direi che si è creato un rito, un rito di
Gancio Originale, un rito di iniziazione, le scuole mi perme ono di entrare
nel loro spazio di scuola, per incontrare gli studen , ques scelgono di
venire o no, e gli insegnan raccolgono le loro scelte, e favoriscono la loro
venuta, il rito che cos’è?
Il rito è la presentazione del proge o, gli strumen per a uarlo, delle
regole di comportamento necessarie, la verbalizzazione delle conseguenze
delle loro scelte, e sopra u o delle loro azioni; c’è un messaggio chiaro di
accoglienza, che sempre mi piace dare: noi abbiamo bisogno di te, così
come sei, sarà poi lungo il cammino che vedrai come modificar , come
cambiar , c’è poi il successivo momento, direi molto importante, ed è
l’incontro che avviene nella scuola media e nella scuola elementare, dove i
volontari svolgeranno la loro a vità, è in quell’occasione che conoscono la
psicologa rocinante, o borsista, che conduce il workshop, e che diventerà
il punto di riferimento dire o, e che è in con nuo conta o con il tutor, e
con lo staff di Gancio Originale.
Si crea veramente una catena di collaborazione e di riferimen , i volontari
sanno e questo lo dico ad ogni incontro, che il lavoro è sempre monitorato,
il tutoring di Gancio che cos’è?
È un accompagnamento nel cammino che loro iniziano, che a raverso
incontri singoli, sopra u o per chi lavora nel volontariato individuale, o
a raverso incontri di gruppo si cerca di dare loro ascolto, informazione, ed
aiuto, si cerca di comunicare ai giovani percorsi di impegno per
concre zzare momen di crescita personale, creando per loro uno spazio
importante, che possono u lizzare o no.
Come tutor in ques anni, in ques ul mi anni devo constatare come ha
de o già la Do oressa Bertani, che i giovani sono cambia , sono giovani
più giovani, un po’ più incer , un po’ più morosi, ma facili agli entusiasmi
e desiderosi di portare a termine un proge o scelto da loro con noi, giovani
che devono essere abitua a chiedere aiuto, questo io lo dico spesso a loro,
spesso mi ritrovo a doverli rincorrere, per fermarli, per farli rifle ere su
quello che stanno facendo, per analizzare insieme dove stanno andando,
per indirizzarli a trovare gli aiu necessari in quel momento par colare
della loro crescita, per modificare, correggere o cambiare il proge o
iniziale scelto con loro.
Ogni volta ha un significato diverso, una cura par colare, ed è cercando di
valorizzare ogni volontario nella sua specificità di persona che abbiamo
o enuto, un Gancio Originale forte, gancio Originale si avvale anche della
collaborazione di ragazzi più grandi e sono i ragazzi che fanno l’Università, il
volontariato diventa per loro uno sperimentarsi prima della professione, un
imparare facendo, dove la pra ca compensa la teoria, per alcuni è
diventato anche l’an camera di un vero e proprio lavoro, ecco, lo scorso
anno, forse non lo abbiamo fa o vedere il grafico […], sì, in effe , allora,
come potete vedere dal grafico, diciamo, mentre l’ascesa è andata a picco
per i minorenni, per i maggiorenni la situazione è leggermente in ascesa,
ma direi stabilizzante, come abbiamo avuto stabile per tre anni il numero di
cento, ecco volevo solo comunicarvi questo.
C’è, diciamo, tornando al discorso del volontariato grande, al volontariato
degli universitari, c’è poi il ritorno di chi ha già fa o una scelta di vita e di
lavoro, e che a ricordo del volontariato fa o da studente, si ritaglia il tempo
da dedicare a noi, Filippo lo ha definito così, Mariella: “ho il mal di Gancio,
trovami qualcosa da fare”, c’è chi con nua dopo la spinta data da noi, a
nostra insaputa, e lo scopriamo incontrando i genitori per caso, che
con nuano ad andare a casa del ragazzino, indubbiamente questo ci
riempie di molta soddisfazione, perché il valore del volontariato è proprio
questo, dare e ricevere, contraccambiare nello stesso tempo.
E poi una parola in più verso il volontariato europeo: e con questo termino,
che da tre anni, grazie a come dicevo prima alla collaborazione con Dare
Voce ci arricchisce di giovani provenien da vari paesi della Comunità
Europea, a ualmente, Mar ne è una ragazza francese, che è con noi da
se embre, e Silvia, una nostra volontaria è par ta per la Spagna, e sta
lavorando a San ago di Compostela, ci ha mandato un messaggio dicendo
che sta molto bene, che non vede l’ora di tornare per portare quello che
impara e quello che ha portato lei, e fare così un discorso di
contaminazione.
Allora negli interven che faranno i nostri giovani, constaterete più da
vicino quello che vi ho de o, però vorrei dire un’altra cosa, e riguarda la
propaganda informa va, la promozione di questa a vità, non solo
a raverso gli incontri che posso fare io nelle scuole, nelle parrocchie, e sì è
conosciuto Gancio, ma sono sta i volontari stessi che si sono fa
promotori di questa nostra inizia va.
Un grazie a tu voi giovani, che veramente siete sta splendidi, ed ai
meno giovani, quindi ringrazio Isa, Maurizia, Franca, Daniela, Adriana,
Agos no, e qualcuno forse me lo dimen co, sono vol che con noi hanno
iniziato negli anni indietro e che alcuni con nuano, e che in ques dieci
anni ci hanno veramente aiutato, dando loro del tempo che è stato
sicuramente un tempo tolto da impegni, tolto al tempo libero, libero da
impegni e di studio, ho finito.
Cos’è il workshop
Margherita Clò
Buongiorno a tu , sono molto emozionata per questo compito che ho di
introdurvi i workshop, si sente adesso? Si sente, adesso? Perfe o, stavo
dicendo che oggi io vi devo parlare dei workshop, che in realtà tu voi
conoscete, quindi mi sono chiesta che cosa dirvi perché quando si parla di
una cosa molto nota e poi è facile cadere nella banalità e dire delle cose
poco interessan , comunque, voi sapete che i workshop sono un’a vità
riabilita va ed educa va che è stata pensata, e poi con il tempo è stata
perfezionata, ed è rivolta ai ragazzini che hanno disagio…, c’è una
sovrapposizione di audio, e no, mi dà fas dio, e che è rivolta appunto a
ques ragazzini con disagio psicosociale che sono ragazzini delle scuole
medie e delle scuole elementari, da alcuni anni tu in carico ai servizi.
Ogni workshop accoglie un circa dieci, dodici di ques bambini, ed è
coordinato da una psicologa e viene aiutata da un gruppo di volontari, che
appunto siete voi qua presen : le a vità del workshop si suddividono
come sapete, in due momen : il primo momento è dedicato ai compi ,
non tanto nei termini del recupero scolas co, ma nei termini un po’ diversi,
nel senso che si fa in modo che ques ragazzini possano raggiungere con
l’aiuto dei volontari un’autonomia organizza va nella ges one del
materiale e delle a vità scolas che.
La seconda parte del pomeriggio, invece è dedicata a dei laboratori pra co
- manuali che servono proprio a s molare la crea vità di ques ragazzi,
favorendo il loro saper fare, e quindi con la speranza che anche la loro
autos ma possa giovarsi di queste produzioni che loro hanno.
Ecco, questo era in modo molto sinte co, offrendo un po’ così, per
presentare quello che sono i workshop, io però oggi volevo con voi provare
a pensare quello che succede davvero dentro di voi, e dentro ai workshop,
pensando, la prima cosa che mi è venuta in mente, è che nei workshop si
fanno dei ganci, si fanno dei ganci nelle due ore che ciascuno di voi me e a
disposizione, con alcuni bambini sono dei ganci che sono più sul piano
dell’accudimento, perché sono magari bimbi piccoli, sono bimbi buoni che
fanno tu o quello che voi gli dite, si fanno quasi fare le coccole, con altri
invece ci sono ganci un po’ più turbolen , perché sono ragazzini molto
provocatori, è difficile stare con loro, vogliono andare via prima, non
portano i compi , arrivano in ritardo, insomma, tu e le cose che voi
sapete.
È chiaro che a seconda di come ciascun volontario è fa o, gli sarà più facile
stare con alcuni ragazzini, piu osto che con altri, però il risultato è sempre
un coinvolgimento par colare, un coinvolgimento strano, che fa venire il
mal di Gancio poi, è un coinvolgimento che ci prende a tal punto da
cominciare a pensare di volere risolvere tu i problemi della vita di ques
bimbi, e di poter…
… e mi sembra di avere ges to tan ssimi bambini, allora credo che
l’impressione è che ci siano mol più bambini di quan in effe sono,
dipenda proprio dal fa o che nel gruppo ciascuno di loro fa emergere delle
par diverse di sé, e le proie a anche sugli altri, per cui alla fine ci viene un
teatro pieno di aspe di sé che ognuno si porta il proprio aspe o ma si
porta dietro anche l’aspe o che l’altro gli ha bu ato addosso, per cui
l’osservatore a ento può cogliere tu e queste cose, ed anche un bambino
ha la possibilità nel gruppo di vedere riflesse, come se fosse in una camera
degli specchi dove può vedere tu e queste par di sé, che sono in a o,
quindi, per farvi un esempio, e spero di essere chiara, vi sarà capitato per
esempio, non so, di avere una ragazzina che da voi è estremamente
esuberante, non sta mai zi a, parla con nuamente, disturba, quando
andiamo a parlare con i professori ci dicono che questa qui è una che
assolutamente rasenta l’inibizione, il mu smo ele vo, adesso per
esagerare, però è una che non alza mai la mano, che non parla mai, e credo
che sia esperienza comune, in mol workshop capitano queste cose.
Allora, io credo probabilmente che questo dipenda dal fa o che questa
bimba a scuola si sente molto svalutata, e per cui si è come mu lata di
quella parte intelle va che lei viveva come molto bru a, perché non
portava niente di fa o, mentre nel gruppo, dove viene aiutata riesce a
parlare, perché ha avuto la possibilità di proie are queste par di sé che le
facevano paura sugli altri, e con l’aiuto del volontario che fa i compi con
lei, e che non si sos tuisce a lei mandandole un messaggio “guarda lascia
stare, te lo faccio io il compito, perché poverina, non ce la fai”, ma il
volontario che si me e lì, a cercare la regola, ed a farle vedere che in fondo
quella parte ignorante sua, non è una parte che fa così paura, è una parte
che abbiamo tu e che si può ges re.
E credo che questo vostro agire molto naturale, che a voi viene naturale nei
workshop, sia invece una cosa ricca di significa , perché date la possibilità
a ques bambini di riappropriarsi di par di sé che loro avevano messo da
parte perché sen vano che il mondo adulto, giudicante, le considerava
troppo bru e, troppo scomode, per cui è meglio tacere.
Mentre appunto in ques contes , c’è la possibilità di riappropriarsi di
queste par di sé, e quindi credo che il volontario funzioni un po’ come
uno specchio, che res tuisce un’immagine coesa, al ragazzino, spero di
essere stata chiara, perché è una cosa a cui tenevo molto, perché credo
che le cose che voi fate nei workshop poi ci sia sempre poco tempo per
rifle erci sopra, mentre invece questa credo che sia una cosa che vi rende
molto onore.
Ecco, volevo poi invece riservare la parte conclusiva su una riflessione che
riguarda il vostro…, il fa o che c’è un cambiamento molto grosso tu gli
anni, tra i volontari di Gancio, così come tra i bambini, perché abbiamo
schiere di volontari che arrivano, schiere di volontari che ci lasciano, e
bambini che con nuano a venire nei workshop e bambini che invece non si
fanno più vedere, e la mia riflessione oggi si rivolge a quei volontari che
stanno con noi alcuni anni, e che si trovano a seguire dei bambini sempre
diversi, proprio perché appunto alcuni restano, ed alcuni se ne vanno.
Io penso che dobbiamo riconoscere a ques volontari che non è facile
dopo un anno di lavoro, in cui uno, è vero, ha dedicato due ore ogni
se mana, che sono tante e sono poche, però ce le ha dedicate con il
cuore, e non è facile poi alla fine dell’anno salutarsi, e in se embre, o obre
non ritrovare quei bambini a cui avevamo insegnato così bene a fare le
addizioni, a cui avevamo insegnato così bene a dividere il quaderno per
materie, e tu e queste cose.
E tu o questo lavoro, credo, di elaborazione della separazione che noi
chiediamo ai nostri volontari, è un lavoro molto fa coso, e credo che meri
proprio un riconoscimento molto grande, ed anche un aiuto, perché come
persone voi avete dato a quel ragazzino tante cose, tu e quelle che
dicevamo prima, così come credo che lui ve ne abbia insegnate, ve ne
abbia date tante a voi sul piano umano, affe vo e relazionale, e la portata
di tu e queste cose, che a me piace immaginarla come un Gancio
Originale, non è facilmente cancellabile, perché volontario e ragazzino si
portano dentro tu ques ganci e sono ques ganci che ci perme ono di
esplorare dei lidi nuovi, di fare delle nuove esperienze, proprio perché siete
for di ques ganci.
E credo che la difficoltà sia proprio nell’elaborare, nel compiere questo
passaggio, cioè elaborare la perdita sul piano concreto, e riuscire a sen re
che il legame con quella persona si è trasformato come un qualcosa che
invece resterà sempre dentro di voi e che forse per ciascuno di voi avrà un
nome diverso, nel senso che per qualcuno sarà fiducia, per qualcuno
umiltà, per qualcuno il rispe o e la tolleranza, e l’amicizia, ecc.
E credo che questo lavoro di elaborazione sia un lavoro sul quale forse
abbiamo rifle uto poco insieme, ma che ne valga la pena di ritornarci, e
per concludere brevissimamente, se mi chiedete che cos’è un workshop,
ieri Mariella diceva è un posto dove si sta bene, è vero, è un posto dove si
sta bene, però io penso che sia un posto dove si sta bene perché si fanno
delle esperienze che ci insegnano a vivere, perché si affrontano le difficoltà,
si affrontano delle diversità, perché voi venite a conta o con dei bambini
che portano delle diversità, si sperimentano delle relazioni umane, si
elaborano dei lu , e quindi si fanno delle esperienze di vita ma in un
microcosmo molto prote o, e credo che sia questo il mo vo per cui fare
Gancio è fare un’esperienza bella, io vi ringrazio e lascio la parola.
Lavoro di gruppo nei workshop: a vità principale ed
a vità secondarie
di Leonardo Angelini
Nell’organizzazione del lavoro riabilita vo dei nostri workshop spesso un
momento di impasse è dovuto al fa o che non tu i nostri bambini e
ragazzi problema ci hanno gli stessi tempi di a enzione e concentrazione.
Ciò fa si che, se la nostra preoccupazione è solo per la definizione
dell’a vità principale, e cioè di quell’a vità di po riabilita vo che noi ci
proponiamo di svolgere in termini programma ci, tale a vità viene
fortemente inficiata dal fa o che a un certo punto, e precisamente allorché
i tempi di a enzione e di concentrazione dei più veloci o dei meno mo va
del gruppo cominciano a venir meno ques ragazzi finiscono ben presto col
disturbare gli altri, poiché non hanno più nulla da fare.
Buona regola allora è allora pre\occuparsi, cioè programmare per tempo
a vità secondarie:
che si affianchino alle a vità principali;
che siano raggiungibili dai ragazzi che abbiano terminato
l’a vità principale;
che risul no per loro u li e piacevoli.
Programmare implica innanzitu o osservare i ragazzi in modo da
comprendere quali possano essere le a vità e gli strumen riabilita vi e
dida ci (giochi, libri, schede, etc.) per loro u li piacevoli; in secondo luogo
sperimentare il loro u lizzo dopo averli dispos a entamente nel luogo in
cui si svolge il workshop, fare una prima verifica dopo averne saggiato le
qualità a ra ve, ed infine is tuirle, magari affrontando qualche piccola
spesa.
Avremo così la compresenza, sulla scena riabilita va, di molte opportunità
che si aggiungeranno a quella che il gruppo delle rocinan e dei volontari
avrà programmato come a vità principale.
Vediamo ora rapidamente come u lizzare il tu o:
1. nel momento iniziale, quello che avvia all’a vità principale,
occorre spiegare ad alta voce e con fare autorevole di che cosa si
tra a a tu o il gruppo, nonché come intendete suddividere i vari
membri del gruppo intorno ai tavoli;
2. allorché le a vità sono iniziate tu i volontari e i rocinan
devono stare a en a che ogni membro del gruppo sia concentrato
sul compito: qualora si no no segnali di disaffezione da uno o più
ragazzi non è più opportuno rivolgersi loro ad alta voce, ma
avvicinarsi a coloro che mostrano difficoltà di a enzione e
concentrazione, assumere una postura che vi perme a di parlare
loro a bassa voce e usare l’arma del rinforzo posi vo (che, badate
bene, non significa adulazione). In questo modo vedrete che i tempi
di a enzione di ques ragazzi aumenteranno già visibilmente.
3. Allorché infine neanche il rinforzo posi vo sarà in grado di aiutare il
ragazzo a mantenersi applicato al compito questa è l’ora delle
a vità parallele: esorterete allora il ragazzo ad avvicinarsi ad una
delle opportunità che in precedenza avrete sistemato nel luogo del
lavoro di gruppo e, se avrete fa o in precedenza delle buone scelte
sul piano del reperimento degli strumen delle a vità parallele, vi
troverete di fronte ad una scena che dovrebbe essere la seguente:
chi ancora deve terminare l’a vità principale lo potrà fare senza
interferenze eccessive, coloro invece che avranno terminato si
disporranno ai la della scena in uno stato di applicazione in
a vità secondarie ugualmente u li per la loro crescita psicologica.
Se poi vediamo la situazione in termini dinamici e se sarete sta in grado di
far comprendere a tu i ragazzi la funzione delle a vità parallele potrete
osservare, dopo un certo periodo in cui sarà necessaria la nostra
esortazione all’uso di tali a vità, una sempre più spontanea disposizione
dei ragazzi a usare le a vità secondarie (che non è un caso che vengano
chiamate anche a vità parallele).
Il workshop come spazio mentale in cui il ragazzo a
rischio possa ri\trovarsi
Leonardo Angelini
Emerge spesso nell’a vità di supervisione il tema del rapporto del ragazzo
a rischio con la spazialità, intesa non tanto in termini fisici, quanto mentali.
Cerco di spiegarmi meglio: i vissu che ciascuno di noi ha della spazialità
sono, allo stesso tempo, personali e culturali.
Ad esempio fare un giro in vasca a Reggio Emilia assume un significato
specifico, che solo un giovane reggiano è in grado di cogliere nei suoi
significa più profondi ( fare vari giri, su e giù, lungo la strada principale
della ci à per incontrarsi,farsi vedere,cogliere i cambiamen nei gruppi ,
sancire prese di distanza,ecc). Un giovane immigrato, da poco arrivato a
Reggio non è in grado di comprendere ciò che significa, per un reggiano, o
anche per un immigrato ormai inserito in ci à, fare un giro in vasca.
Sicuramente quel giovane immigrato avrà abbandonato, con la sua terra,
anche l'equivalente di quel giro in vasca all'interno della sua ci à o del suo
paese: certo è che quel giovane impiegherà del tempo prima di sen re
anche come proprio il giro in vasca. Ed anche quando lo avrà compreso nei
suoi significa può darsi che, in base alla profonda ambivalenza che lo lega
alla ci à, scelga una modalità polemica di integrazione in quel luogo basata
sulla provocazione e sull'esibizione.
Insomma la spazialità è una importante componente della iden tà i noi
tu , una componente che contribuisce a farci sen re, allo stesso tempo,
come appartenen ad una cultura, ed in termini più par colari ad una
famiglia (la nostra casa), ma anche, infine, come degli individui, unici, non
riconducibili a nessun altro (pensiamo ad esempio al significato che
assumono in adolescenza quei luoghi più in mi e personali, che sono nostri
e solo nostri).
Ebbene l'adolescente, e sopra u o il preadolescente17, con i cambiamen
mentali radicali che accompagnano e seguono ai cambiamen corporei,
insieme a tu o il resto, me e in discussione anche i vecchi conce di
spazialità che avevano definito le fondamenta dell'età infan le: bas
pensare al diverso ed opposto significato che ora assumono i conce di
stare in casa ed uscire, rispe o a quello che avevano nell'infanzia, per
rendersene conto.
Il problema si complica ulteriormente nei workshop:
1. poiché tu i ragazzi che li frequentano, hanno alle spalle, per mille
mo vi riconducibili sempre alle tema che del disagio, un vissuto
della scuola come luogo del fallimento ,dell’inadeguatezza,della
marginalità e spesso dell’emarginazione,della ruolizzazione come
ca vi;
2. poiché i ragazzi immigra sommano a questo vissuto nega vo della
scuola quello di estraneità alla ci à, che viene vissuta, con
sen men di profonda ambivalenza, o come luogo salvifico o come
luogo nemico e pieno di insidie(18).
Cosicché i nostri workshop, che sono alloca all'interno delle scuole - e che
sono condo da psicologhe rocinan e da volontarie spesso reggiane doc
- diventano per i nostri ragazzi luoghi che facilmente si prestano a una serie
di malintesi che, come sappiamo, non possono essere risol venendo
meno ai nostri compi riabilita vi. S amo apprezzando molto l’arrivo da un
paio di anni a questa parte, arrivo che è diventato massiccio nel 2003, di
giovani volontari immigra che dentro le loro scuole ma anche in altre (La
stanza di Dante) ci perme ono di rendere lo spazio di accoglienza per
bambini o ragazzi di recente immigrazione più famigliare, riconoscibile,
fruibile oltre che di fare sen re loro stessi, nostri “mediatori culturali “ più
accasa ,più appartenen alla scuola, alla ci à in cui vivono e studiano
Sappiamo anche che tali compi vanno coniuga con il gioco per cui, alla
fine, il nostro fare oscilla fra due polarità: quella del fare come studio e
come esercizio; e quella del fare come gioco. Ma il problema è che, se non
riusciamo a coniugare bene l'una all'altra queste due polarità, l'esercizio
per i nostri preadolescen a rischio diventa un ricondurre troppo da vicino
il workshop alla scuola ed al fallimento, mentre il gioco, disgiunto
dall’esercizio e dallo studio, rischia di apparire ai loro occhi come una
situazione di gratuità e di di\ver mento, cioè di disa enzione rispe o a
quei problemi scolas ci e di crescita psicologica, che sono poi la ragione
per cui sono lì con noi.
Il problema, come sanno tu coloro che hanno prestato la propria opera
nei workshop, è spesso aggravato da tre elemen .
Innanzitu o dal fa o che la scuola esercita pressioni perché questa officina
della riabilitazione del ragazzo a rischio lo faccia in fre a e seguendo le
indicazioni della scuola stessa. Questa visione ancillare del workshop rende
la situazione par colarmente ansiogena poiché taglia i tempi di
realizzazione del proge o riabilita vo, ed, a volte, finisce con l'essere vista
come una indebita e pericolosa intrusione in ques luoghi che invece
meriterebbero una par colare tutela sul piano dei vissu della spazialità. In
secondo luogo dal fa o che, così come il giovane immigrato può scegliere
anche una modalità polemica di integrazione in ci à, allo stesso modo, e
ancor di più - da i temi all'ordine del giorno - nei workshop i nostri
preadolescen a rischio possono me ere in a o modalità di
partecipazione quali: la provocazione, la regressione, il ri ro in una
situazione di coppia o di piccolo gruppo non opera vo, un agire impulsivo e
tu o centrato l’irriflessività, l’assunzione di un ruolo sociale debole
(insomma un lavorare al minimo che può fare apparire il ragazzo molto più
opaco sul piano intelle vo di quanto in effe egli sia), etc.
Infine anche noi, possiamo - di fronte a queste difficoltà - a volte vivere
male i workshop e reagire in maniera inappropriata.
Che fare? La risposta è ovviamente in una con nua opera di osservazione,
di riflessione, di programmazione e di verifica in i nere.
Ma intanto, riconducendoci alle due modalità dell’esercizio e del gioco può
essere un buon punto di partenza, forse, per le nostre riflessioni
considerare che il fare come esercizio è u le, poiché definisce la strada
della professionalizzazione, ma ha il suo limite nel fa o che non si riferisce
alla totalità del sogge o, bensì alla periferia del sogge o stesso; mentre il
fare come gioco è importante nel definire una alleanza con i nostri ragazzi
poiché si riferisce alle par nucleari del sé loro e nostro, ma se non
collegato con l'apprendimento, può diventare gratuito e fuorviante.
Allora, dato che il nostro compito di ri\abilitatori è quello di fare ri\avere ai
nostri ragazzi a rischio ciò che hanno perso, o che finora non hanno mai
avuto, competenza ed agio, e cioè abilità sul piano degli apprendimen e
buona immagine di sé, la scommessa è nel sapere coniugare sempre
esercizio e gioco, in modo tale che l’esercizio sia proposto so o forma di
gioco, ed il gioco serva a crescere emo vamente e mentalmente.
Solo colorando coi colori del gioco i workshop ques spazi potranno essere
vissu sempre più come spazi propri dai nostri ragazzi. Così come solo
mantenendo sempre all'ordine del giorno un proge o riabilita vo
realis co, per ciascuno di essi e per tu o il gruppo, avremo fa o capire
loro che crescere mentalmente costa fa ca, ma che – intanto - il gioco vale
la candela, e sopra u o che il workshop è un’officina, uno spazio che serve
a loro per crescere mentalmente e che, come tale, noi vogliamo che loro se
ne approprino.
Peer educa on, peer support, counselling, tutoring
Claudio Renze
Riassunto in “tre minu ” dell’essenza della relazione
Le relazioni d’aiuto se sono efficaci poggiano su qua ro assi, qua ro
conce , qua ro pra che, parole chiavi: e ca; metodo; immaginazione;
tempo.
Non so se vi ricordate cosa dichiarava Konnisberg, quel signore asciu o che
passeggiando diceva: “Le cose che mi guidano sono due, la legge morale su
di me e il cielo stellato sopra di me”.
Se intendiamo per e ca ciò che guida le relazioni di cura allora è la lista dei
valori che orientano la nostra vita, avrà a che fare con il principio di
solidarietà, con il principio d’inclusione che si oppone a qualsiasi
meccanismo di esclusione, con il principio di autodeterminazione. Ma più
in generale l’e ca che dovrebbe guidare le relazioni di cura si riassume in
un conce o: “ Agisci in modo da mol plicare sempre il numero delle
opportunità di scelta, cioè fai si che la persona che hai di fronte si trovi a
considerare la propria condizione e ad avere di fronte una lista di
opportunità, risorse da u lizzare come meglio gli sembra”. L’e ca dal mio
punto di vista ha questa funzione, ossia quel motore che ci me e in una
disposizione posi va verso gli altri perchè vediamo gli altri portatori di
diri .
Il secondo conce o che deve essere insos tuibili in una relazione d’aiuto
ha a che fare con il metodo, ovvero ha a che fare con la domanda, come
raggiungere un certo obbie vo qualunque esso sia, per quanto riguarda la
mia a vità lavora va non sono un monoteista, non inseguo verità che
sono stabili e costan nel tempo, mi piace il bricolage, mi piace mescolare
da questo punto di vista credo che il metodo che può ispirare la relazione
d’aiuto mescola e contamina diversi sguardi, diverse prospe ve, diversi
approcci sapendo sempre che l’altro, il nostro interlocutore è un sogge o
quindi è espressione di una volontà, di una condizione, di un bisogno, di
preferenze, di saperi e che rispe o a queste variabili qualunque tecnica
noi u lizziamo dobbiamo porci sempre nell’o ca di considerarlo un
sogge o che ha un pensiero, che ha dei bisogni, una volontà, una lista di
valori. L’altra cosa che io so olineo quando parlo di metodo è di cercare di
privilegiare uno sguardo ecologico che significa considerare ciascuno di noi
parte di un ambiente , di re relazionali e considerare che qualunque
intervento o ha una sensibilizzazione dei contes di vita o è un intervento
che rischia di sgonfiarsi di non durare nel tempo.
La terza parola chiave è l’immaginazione che ci perme e di rispondere alla
domanda: “ Chi è l’altro?. E io rispe o a lui come sono percepito?… Qual è
il punto di conta o tra me e l’altro?”. L’immaginazione ci perme e di
considerare noi come pazien prossimi non soltanto come rogatori di
risposte, ma come portatori di domande d’aiuto. Immaginare la condizione
dell’altro significa riuscire a vedere oltre il visibile accogliere dei movimen
degli sguardi, dei significa che non sono spesso verbalizza ,
l’immaginazione è ciò che ci perme e di realizzare un’indicazione che ci
dava tempo fa un filosofo tedesco che ha usato un ossimoro si chiama
Gadamer (padre dell’ermeneu ca contemporanea), lui ha usato
quest’espressione “guaritore ferito” l’idea del “guaritore ferito” è un’idea
straordinaria, significa riuscire a vedere nell’ altro che sta portando una
domanda di aiuto la parte sana le risorse che può me ere in moto per
rimediare una ferita e significa vedere in te come guaritore la parte ferita.
Questa è l’immaginazione, l’immaginazione ci fa considerare il rapporto
d’aiuto come un rapporto circolare, che accomuna due gradi diversi di
vulnerabilità e due risorse che non si percepiscono forse pienamente, ma
che in qualche modo devono cercarsi.
Questa è l’essenza del ragionamento che io farò, queste saranno le parole
chiave della relazione che state per sciropparvi.
In una relazione d’aiuto prendere tempo e donare tempo, andare a tempo
è fondamentale, il tempo è l’unica risorsa non integrabile. C’è una canzone
di Mia Mar ni che dice “il tempo non torna più” e quindi quando noi
doniamo il tempo doniamo qualcosa di unico, speciale. Una relazione
d’aiuto si fonda proprio su questa forma di generosità radicale, di dare una
parte di te inteso come dare una parte della tua vita,
dare tempo significa anche andare a tempo cioè sincronizzarsi rispe o al
tempo dell’altro. I tempi di vita sono diversi e se io non riesco a
sincronizzarmi a me ermi sulla sua stessa lunghezza d’onda non riesco a
interce arlo; quindi, qualsiasi relazione d’aiuto è des nata a fare flop.
Questa è la quarta parola chiave che avevo clamorosamente dimen cato e
so olineo che il termine tempo fa riscoprire il senso della durata,
dell’intra enimento, il senso della lentezza perché le parole possono
scivolare e diventare in qualche modo densità, significato pensiero.
Relazione
I vostri responsabili mi hanno affidato un tema importante: peer
counselling, peer support, peer educa on, tutoring. Io vi dico subito che
non farò una relazione tecnica, non sto qui a spiegarvi il senso di queste
parole perché sarebbe una cosa molto povera. Sicuramente cercherò di
indagare il senso di ques qua ro conce però per farlo devo costruirmi
una cornice, un’area tema ca e solo partendo da lì posso problema zzare
e conce ualizzare i qua ro termini. Peer counselling, peer support, peer
educa on, tutoring sono diverse forme a raverso le quali noi decliniamo
la relazione d’aiuto. Per conce ualizzare i qua ro termini ho bisogno di un
espediente, parlerò delle relazioni d’aiuto in rapporto al rischio inteso
come paradigma della nostra contemporaneità che una scelta arbitraria e
credo opportuna. Questa cornice interpreta va vede il rischio come
paradigma della nostra contemporaneità. Non so se è una scelta
appropriata, ma io ci provo.
Io devo cominciare con una confessione, io sono cresciuto in un’epoca in
cui lo sport più seguito era il giro d’Italia, negli anni Cinquanta le nostre
maglie e a righe erano molto sbiadite e facevamo merenda con pane e
zucchero, solo dopo è arrivato il calcio inteso come foseria di massa,
allora nella miseria dignitosa degli anni Cinquanta quelli della mia
generazione, da ragazzini collezionavano palline con le figure dei ciclis dei
nostri campioni. Quello era uno sport duro fa o di tenacia, una passione
tosta per gente tosta. Bene perché ho rievocato questa cosa molto
personale, perché oggi leggo sui giornali che il 50% dei dile an della bici,
giovani o meno giovani che sfrecciano sulle strade fa un largo uso di
sostanze dopan e che i da sui professionis siano ancora più allarman ,
bisogna scandalizzarsi, intris rsi, ciascuno si regola come meglio sente.
Sicuramente vale la pena di chiedersi perché lo fanno, ci sono dei da
altre anto allarman sui frequentatori delle palestre in Gran Bretagna che
fanno rabbrividire. Perché me ono in gioco se stessi perché rischiano?
Perché rischiano sul piano della propria credibilità, della salute …-
Semplificando verrebbe da dire, se una squadra di serie C per decreto
governa vo po’ essere ripescata e promossa in B, allora tu o è possibile,
verrebbe da dire che le regole sono saltate di fronte all’altare della
convenienza, del vantaggio del consenso poli co. Ma io credo che la
spiegazione sia un’altra e se c’è una spiegazione, è sicuramente più
complessa.
In ogni forma di convivenza cioè nelle società organizzate il confine tra il
lecito e l’illecito è sempre stato mobile ipote co, abbiamo sempre
corteggiato il rischio con maggiore o minore intensità, però credo che oggi
ci sia una novità, ci si affida al rischio come s le di vita, con la so le
convinzione di farla franca, cioè di sopravvivere alla droga e questo
riguarda non solo i giovani, ma tu e le generazioni e sfere diverse della
nostra esistenza. Provate a pensare che un brocco, uno scar no, un
dile ante possa sen rsi un campione grazie all’uso di sostanze dopan è
vissuto quasi come un miracolo. Pensate, essere indifferen alla
stanchezza, scivolare sulla strada come un nastro di seta, credo che questo
sia molto inebriante, appe bile, esaltante. Non sto generalizzando non ce
l’ho con i ciclis di oggi, anzi non ho nemmeno la patente e penso che un
mondo a due ruote sia meglio di un mondo a qua ro ruote. Quello che
voglio dire è che siamo di fronte ad un’epidemia ad un’epidemia di
comportamen estremi rispe o ai quali abbiamo quasi stabilito un
rapporto di familiarità. Per provare a fare una lista di ques comportamen
estremi: quelli che si lanciano con il paracadute ad apertura ritardata,
quelli che fanno acrobazie in moto senza casco, quelli che si lanciano dai
pon con l’elas co a accato alla caviglia, quelli che rano di coca per
resistere dietro lo sportello di banca o per sopravvivere ad una
contra azione aziendale, quelli che fanno sesso con le ragazze nigeriane
offrendo più soldi pur di evitare l’impiccio di un profila co non
considerando il rischio di sieroconversione, quelli che si giocano tu o al
videopoker e fanno debi per con nuare a giocare, quelli che tracciano
graffi sulle pare delle metropolitane, quelli che vanno a fari spen la
no e per vedere se è così facile morire, quelli che segnano il loro corpo
con tatuaggi, marchi a fuoco e chiodi. E’ una lista infinita che può essere
riassunta usando uno slogan che aveva la Tim qualche anno fa.... A cosa
serve un confine…. ad essere superato, quindi superare i confini del lecito
della propria forza fisica è diventato la nostra linea di condo a, allora
perché giochiamo così, con tanta tenacia con il rischio? Certo la lista che ho
fa o prima rimanda a comportamen diversi però tu a raversa dalla
dimensione del rischio come tensione esistenziale costante. C’è una frase
bellissima che ha de o quel genio di Gregory Bateson era uno
completamente fuori di testa, si è occupato di tu o di comunicazione tra i
delfini, di schizofrenia, dei popoli della Guinea, non so cosa fosse, credo
che neanche lui sapesse cosa fosse: un antropologo, uno psicologo, era un
vagante, un nomade del sapere. Lui dice un pensiero molto bello: niente
male se per una volta sfido l’universo per vedere se esso è dalla mia parte,
se pra co il rischio sfidando l’universo, ma se questa sfida la ritento
con nuamente e in modo sempre più incalzante (guardate che quelli che si
lanciano dai pon con l’elas co la prima volta si lanciano da 200m la
seconda da 300m e così via) mi imbarco in un’impresa il cui unico scopo
sarà di dimostrare che l’universo mi odia. Allora perchè rischiamo, perchè
lo facciamo? Io ci provo a dare un senso a questa domanda.
La prima spiegazione è che noi abbiamo un senso di essere mancan ,
claudican , cioè non ci sen amo all’altezza di richieste pressan che ci
vengono da una realtà che ci assedia e ci chiede di più e meno. Noi siamo
segna , circonda e sollecita da contes cara erizza dalla gara, dalla
compe zione e se non ci sen amo all’altezza allora ricorriamo ad ar fici.
Io se ho una giornata par colarmente impegna va, beh! mi concedo una
pas glia di guaranà (rimedio so ).
La seconda spiegazione è che abbiamo perso il senso dell’a esa e della
durata, siamo di fronte alla scomparsa della lentezza perchè considerata
come impotenza. Tre c’è un rifiuto della nostra vulnerabilità, della vecchiaia
e della morte quasi come se fossimo dentro ad una sindrome di Dorian
Gray.
La quarta spiegazione si riferisce ad un senso di invisibilità l’idea che
nessuno si accorge di me, se non mi me o in mostra nessuno mi prenderà
in considerazione. mi parlerà. Poi la ricerca di un brivido di vita, di una
scossa ad alto voltaggio, unica cosa che ci fa capire che non s amo
morendo dentro.
Infine, il desiderio di inseguire un senso di protagonismo di esaltazione
della propria individualità a tu cos . E’ vero che mai come oggi abbiamo
a disposizione tan ssime opportunità per andare fuori di testa e combinare
queste offerte è uno degli esercizi più intrigan , la verità è che la gente si
sente offesa dalla mediocrità della vita e allora tu o deve essere
esagerato, straordinario, senza dolore e l’insuccesso è insostenibile e la
sconfi a è una vergogna in qualunque campo della vita dallo sport
pra cato dai ragazzini a 6 anni al concorso della pubblica
amministrazione. Noi programmiamo le nostre emozioni in maniera
puntuale e rassicurante, siamo disponibili solo per quelle che ci evitano la
noia o quelle che hanno a che fare con gli sta di abbandono o esaltazione.
Costruiamo ar ficialmente il nostro corpo che deve essere lucido, sodo e
sca ante, ci limi amo a relazioni epidermiche, re niche e indifferen
all’altro e pensate la ricerca del piacere non è più un’esplorazione
reciproca, non è un dono, un a o d’amore, ma è operazione ar ficialmente
programmata a tempo definito. Per dirla con le parole di un signore che a
me piace mol ssimo Alen Enemberg che ha scri o “La fa ca di essere se
stessi” noi annulliamo chimicamente i livelli che cara erizzano l’esistenza e
non siamo più in grado di farci i con . Nella lista che prima ho fa o una
delle situazioni più preoccupan sono le uscite del sabato sera, gli sballi , le
corse in macchina l’essere fuori come un balcone. Io credo se noi pensiamo
al rischio come paradigma della nostra contemporaneità se pensiamo che il
rischio riguarda i figli dei nostri vicini di casa noi diamo prova di miopia. Se
noi pensiamo che la soluzione per ges re il rischio sta nel vedere gli altri
come teste da riempire o mala da curare ci sbagliamo, è meglio che ci
dedichiamo all’apicoltura. Noi dobbiamo acce are l’idea che siamo
implica e siamo implican e quindi con molta modes a dobbiamo
chiederci che fare. Io credo che nessuno di noi qui dentro sia più vi ma
della “sindrome di Alessandro il Grande” questo omino che arriva nella
ci à di Gordion e vede questo nodo strepitoso che lega il carro del re di
Fidia e gli dicono scioglilo e lui che aveva 30 anni e non aveva tempo da
perdere con un colpo di spada risolve il problema. Credo che noi abbiamo
superato questa sindrome. Noi sappiamo che i nodi della nostra vita, i nodi
pesan che ci por amo dentro, alcuni sono inavvicinabili perchè qui ed
ora non sono tra abili, ma altri che riguardano la nostra esistenza si
lasciano avvicinare e si possono allentare esercizi di pazienza. Quindi di
fronte a questo panorama che ho tra ato fino adesso noi dobbiamo fare
esercizi di pazienza e non pensare che esiste una risposta vera, unica e
defini va che possa risolvere il nostro rapporto con il rischio. Allora come
difendere e fronteggiare ques problemi, scoraggiare i comportamen a
rischio sapendo che da solo l’approccio norma vo da pessimi risulta ,
quando è necessario e non se ne può fare a meno raccogliere mor e
curare feri , ma nella maggior parte dei casi una relazione d’aiuto deve
favorire un uso cri co e consapevole di alcune pra che del rischio, se
pensiamo all’uso di sostanze stupefacen io parlo di uso cri co delle
sostanze alteran cosa significa? Aiutare le persone a cercare il proprio
limite sogge vo.
In una relazione d’aiuto prendere tempo e donare tempo è fondamentale,
dare tempo significa sincronizzarsi sul tempo degli altri. Il tempo è una
risorsa non integrabile.
La cornice in cui i qua ro temi della relazione verranno analizza , sono le
relazioni d’aiuto in rapporto al rischio inteso come paradigma della nostra
contemporaneità.
In ogni forma di convivenza il confine tra il lecito e l’illecito è sempre stato
mobile, oggi ci si affida al rischio come s le di vita, con la so le
convinzione di farla franca: ad esempio un dile ante che con l’uso di
sostanze dopan si possa sen re un campione.
Siamo di fronte ad un’epidemia di comportamen estremi rispe o ai quali
abbiamo quasi stabilito un rapporto di familiarità.
Superare i confini del lecito, ad esempio, della nostra forza fisica è
diventato normale, allora perché giochiamo così con tanta tenacia con il
rischio?
La prima spiegazione è che siamo segna , circonda e sollecita da
contes cara erizza dalla gara, dalla compe zione e se non ci sen amo
all’altezza ricorriamo ad ar fici.
La seconda spiegazione è che abbiamo perso il senso della durata, la
lentezza è considerata come impotenza, inoltre c’è un rifiuto della nostra
vulnerabilità, della vecchiaia e della morte.
La quarta spiegazione si riferisce ad un senso di invisibilità, se non mi me o
in mostra nessuno mi prenderà in considerazione. Poi la ricerca di un
brivido di vita, di una scossa, unica cosa che ci fa capire che non s amo
morendo dentro.
Infine, il desiderio di inseguire un senso di protagonismo a tu cos e
l’insuccesso è insostenibile e la sconfi a è una vergogna in qualunque
campo della vita.
Se noi pensiamo che la soluzione per ges re il rischio sta nel vedere gli altri
come teste da riempire o mala da curare ci sbagliamo. Tu noi abbiamo
superato “la sindrome di Alessandro il Grande” e i nodi pesan della vita
che ci por amo dentro si possono allentare con esercizi di pazienza e
quindi non esiste una risposta vera, unica e defini va che possa risolvere il
nostro rapporto con il rischio. Allora come difendere e fronteggiare ques
problemi, sapendo che l’approccio norma vo da solo da pessimi risulta .
Cercare di creare una relazione d’aiuto che favorisca un uso cri co e
consapevole di alcune pra che del rischio, ossia aiutare le persone cercare
il proprio limite sogge vo.
Spesso quando si parla coi giovani di uso delle sostanze, il giovane guarda
come per dire: “Ma tu che ne sai?”. E loro si ritengono, credo giustamente,
depositari di un sapere esperienziale o perché, come dire, hanno avuto un
rapporto in mo con le sostanze alteran , o comunque hanno avuto un
rapporto in mo di frequentazione con persone che consumavano sostanze
alteran e quindi, come dire, hanno studiato e osservato da vicino
l’andamento farmaco-cine co di queste sostanze.
Allora io credo che noi dobbiamo rassegnarci a questa cosa: cioè che le
persone con cui abbiamo a che fare sono portatrici di un sapere, da una
parte di un sapere esperienziale che in qualche modo va messo in
comunicazione (cioè se io adesso sme essi di parlare e facessimo un
gruppo soltanto con i giovani sul consumo di sostanze, beh, come dire,
avremmo voci diverse di esperienze diverse che vanno in qualche modo
connesse, fa e comunicare) e a loro volta queste conoscenze esperienziali
devono me ersi, come dire, in conta o con un sapere esperto, con il
sapere dei tecnici, dei professionis , dei medici, psicologi, sociologi, quelli
che hanno studiato, che hanno fa o i corsi di specializzazione, quelli che in
qualche modo hanno preso in considerazione da un altro punto di vista,
non necessariamente esperienziale, il mondo dell’altro. Allora io credo che
la grande sapienza della peer educa on s a proprio in questo: cioè nel
valorizzare, come dicevo prima, la qualità del sapere esperienziale dei
giovani in par colare, e di me erlo in comunicazione dialogica con altri
saperi.
Questo significa per esempio alles re in CAG (qui ci sono i CAG? Centri di
Aggregazione Giovanile. Come li chiamate voi? Ah, forse è una specialità
della Lombardia o del Piemonte). Questo significa alles re (non nei CAG,
perché qua non ci sono), ma per esempio in una scuola, un laboratorio per
produrre ad esempio materiale informa vo sulla droga. Cioè questo
significa sme ere di pensare che ad esempio io e Dino Angelini ci
me amo in una stanze a e scriviamo un dépliant bellissimo sulla droga e
poi lo somministriamo come fossero os e benede e. Ma facciamo un
gruppo e ci chiediamo: cosa ci scriviamo qui sopra? E questo è … (non
facciamo dei nomi per piacere). Nessuno si me e a parlare con noi. No,
però appunto in un rapporto di peer educa on, dove il condu ore o il
facilitatore della comunicazione non ha un dato generazionale così vistoso
e non sta lì a salire in ca edra, la domanda da cui parte è: “Ma che cosa ci
scriviamo qui sopra?”.
A Messina per esempio l’abbiamo fa o. A Messina in alcune scuole
abbiamo de o: “Facciamo un CD!”. E quindi facciamo una compila on di
brani musicali sul tema dell’alterazione, dello sballo, del piacere, del
diver mento insomma. E quindi voi scrivete ques tes , li me amo in
musica, li compiliamo e ci facciamo su uno spe acolo. Quindi noi par amo
da quello che loro sanno, da quello che i giovani sanno e lo valorizziamo,
non per prenderlo come oro colato, ma perché appunto il sapere di
ciascuno non diven un sapere assoluto, au s co, ma sia messo in
connessione con altri saperi. Questo io credo che sia la sapienza dietro la
peer educa on.
Il peer support invece è quello che ha a che fare col supporto tra pari e cioè
un supporto tra persone che condividono una stessa situazione percepita
come problema ca e nella quale si vogliono limitare i danni. Penso ad un
esempio che mi ha fa o un collega americano …
Fin dove ci sono pra che, non tanto di consumo di sostanze, ma pra che
sessuali a rischio. Cioè fare sesso senza quelle precauzioni che ci
perme ono di evitare le siero-conversioni. Allora, lui gira con un paio di
guan bianchi insieme ad altri in questo enorme rave e quando è di fronte
ad una situazione in qualche modo cri ca, cioè assiste a qualcosa che
ri ene fortemente a rischio, lui apre la prima mano e c’è scri o STOP! E
nella seconda c’è scri o THANK YOU!
Quella è una forma di supporto tra pari, cioè quella è una forma di
scoraggiamento delle pra che di rischio fa e da persone che condividono
una certa situazione. Cioè persone che partecipano ad un rave-gay e quindi
sono dentro una certa cultura, sono dentro un certo costume, però in
qualche modo, sono in grado di marcare il limite.
Quelli che fanno peer support sono quelli, per esempio, che sono
promotori del “buco pulito”.
Non so se sapete, ma in Italia ci sono dei servizi molto originali nel campo
delle tossicodipendenze. Si chiamano servizi a “bassa soglia” e sono servizi,
come dire, di facile accesso. Sono sostanzialmente di due pi: ci sono
servizi realizza a raverso delle unità mobili, oppure servizi, come dire,
realizza in spazi stabili. Quindi unità mobili oppure drop-in.
Le persone che accedono a ques servizi sono tossicodipenden a vi.
Sono persone che non vogliono sme ere di usare sostanze alteran però
sono invita a seguire delle precauzioni: “Un buco, una siringa!” per evitare
uno scambio promiscuo di siringhe. Significa appunto micro-trasfusioni con
tu o quello che ne consegue. Le persone tossicodipenden che incontrano
altre nell’uso del “buco pulito” sono persone che pra cano il peer support.
Quelli che in qualche modo condividono una certa condizione di
tossicodipenden , sono a en a marcare la differenza tra il possibile, il
lecito e l’illecito.
Vado più veloce rispe o agli altri termini.
Beh, il tutoring lo sapete è una pra ca del tutor, cioè di colui che in una
relazione di aiuto favorisce una scelta, una scelta accurata, a par re da una
descrizione di dove mi trovo, quali sono gli aspe di problema cità
rispe o alla situazione di cui mi sto occupando e qual è il cambiamento
possibile e desiderabile. E’ una tecnica centrata prevalentemente sulla vita
scolas ca e forma va e sui dilemmi che i percorsi scolas ci e forma vi
pongono. Invece il counselling è (non sto a farvi una lezione sul counselling
perché sarebbe deprimente sopra u o per me) è un modo per
sperimentare un ascolto a vo, non giudicante. E’ quella relazione che ci
perme e di aiutare l’altro a fare una scelta che ha un valore sensato
rispe o alla propria vita e alla sua salute.
Peer educa on, peer support, tutoring, counselling!
Che cosa accomuna ques approcci? Ecco, questo invece mi preme
so olinearlo. Quali sono gli aspe che in qualche modo qualificano
posi vamente ques approcci.
1- il superamento della ne a dis nzione tra cliente ed esperto. Questa
ne a dis nzione si fa sempre più sfumata in maniera differente (cioè c’è
una differenza sostanziale tra peer educa on, peer support, tutoring e
counselling), però, come dire, questa ne a barriera, dis nzione tra cliente
e operatore viene messa fortemente in crisi. Il cliente è l’espressione di una
domanda di aiuto. Punto! L’esperto l’erogatore di risposte, di prestazioni.
Punto! Ecco questa dis nzione penso cominci ad essere fragile.
2- altro aspe o significa vo che cara erizza queste relazioni di aiuto: il
passaggio da un sapere ve oriale ad un sapere circolare. Il sapere
ve oriale è un sapere che va da me a te e viceversa da te a me. Un sapere
circolare è un sapere che circola, che si autoalimenta progressivamente
a raverso questa dimensione dialogica, colloquiale.
3- lo accennavo prima: in queste pra che di aiuto c’è una saldatura o la
ricerca di una saldatura tra il sapere esperto (il sapere dei professori, dei
tecnici, degli psicologi, dei sociologi, dei medici) e il sapere esperienziale (il
sapere di chi vive una certa condizione come condizione precaria).
4- l’altro aspe o importante di queste relazioni di aiuto è il fa o che
esprimono un a eggiamento “inesigente”. Esprimere un a eggiamento
inesigente significa accompagnare le persone verso un esito predefinito.
Questa cosa di cui parlavamo prima non ha niente a che fare con la
maieu ca. La maieu ca significa in qualche modo aiutare a partorire le
persone, cioè in qualche modo io aiuto, a raverso questo gioco di
domande e risposte, ad arrivare ad una risposta che io ho già in testa. Beh,
non c’entra niente!
Le nostre relazioni di aiuto, così come le cara erizzo, non c’entrano niente,
nel senso che essere inesigen significa non me ere il cappello sulla testa
delle persone. Non dire: “Tu arriverai lì!”.
Il rischio grosso è quello che io chiamo del “solidarismo autoritario”: “Io so
qual è il tuo problema, io aiuterò ad affrontare il tuo problema, io
aiuterò, che tu lo voglia o no!”.
Che Dio ci scampi da questo! Da questa visione delle cose.
5- la convinzione che i comportamen a rischio, le pra che indesiderabili
sono gius ficate da buone ragioni.
Guardate che i comportamen a rischio non sono genera dalle cause, ma
sono generate dalle ragioni. Perché le cause si possono rimuovere, le
ragioni aspe ano delle risposte. Le ragioni richiedono delle domande che
aspe ano delle risposte. Ad esempio uno che mi dice: “Beh, si è drogato
perché ci sono i pusher in giro”. Questa è una visione ridicola delle cose: c’è
la droga in giro allora la gente si droga. Ma questo è stupido.
Tu e le volte che noi ricorriamo alle sostanze alteran s amo rispondendo
ad una domanda. Quello che voglio dire è che i comportamen a rischio
sono gius fica da buone ragioni e quindi da convinzioni, da verità.
Uno che mio dice: “Guarda, io uso solo sostanze naturali!”, “No, mi fa
schifo, non le uso!”.
L’eroina è una sostanza naturale.
La cannabis, l’alcool …
Cosa significa sostanze naturali?
Esiste una forma, come dire, di dissonanza cogni va.
Sapete cos’è la dissonanza cogni va?
Se io “mi sba o” per acquistare una macchina e alla fine l’acquisto, poi mi
guardo bene dal vedere le riviste o gli altri autosaloni per poi magari
scoprire dramma camente che potevo comprare un’altra macchina più
bella ad un prezzo minore.
La dissonanza cogni va è proprio questa: cioè, le persone inseguono una
coerenza necessaria tra comportamen , a eggiamen , valori, verità.
Quindi noi non dobbiamo concentrarci sui sintomi, ma su quelle verità, su
quei valori, su quei pensieri che in qualche modo alimentano i
comportamen .
E quindi dicevo appunto che nella lista delle buone ragioni che legi mano
quelle forme di aiuto, noi dobbiamo pensare che quei comportamen
indesiderabili sono spesso gius fica da ragionamen , da argomen con
cui noi dobbiamo fare i con .
6-in una relazione di aiuto noi dobbiamo tenere presente sempre che i
processi di cambiamento sono inevitabilmente reversibili, len , a volte
improvvisamente ci arrivano addosso senza averli previs e sono
comunque reversibili. “Ah, è uscito fuori! Ah, ha smesso di …!”.
7-quelle relazioni di aiuto, quelle forme di aiuto si fondano sulla
convinzione (per dirla con le parole di un signore che si chiamava Elias
Cane ) che conta soltanto il sapere che esita; quindi, conta soltanto un
sapere che si presenta come un sapere ipote co, ipote co nella stru ura
conce uale e probabilis co sul piano dei risulta , sul piano dell’efficacia.
Quindi un sapere che è in grado di integrarsi facendo sorgere in sé
elemen di crisi.
Io ripeto, mi occupo essenzialmente di due cose e forse l’avrete capito. Mi
occupo di tossicodipendenza e mi occupo di psichiatria. Il mio lavoro è un
lavoro di supervisione metodologica all’interno delle équipe poli-
professionali. La supervisione metodologica non è una pra ca misteriosa, è
una pra ca fa cosa.
Devo creare una coerenza apprezzabile tra quello che si fa (cioè le azioni
che cara erizzano il funzionamento di un servizio) e quello che si vuole
o enere. E quindi il mio compito è quello di invitare gli operatori ad
esplicitare quello che fanno, a descrivere quello che fanno e a ipo zzare
meglio quello che vogliono o enere. Mi creda, non è così semplice!
Quello che io ripeto con nuamente è una banalità. La mia banalità è
questa: la salute mentale è una ques one troppo seria per lasciarla solo
nelle mani degli psichiatri. La tossicodipendenza è una ques one troppo
seria per lasciarla solo nelle mani dei medici, degli psicologi.
Questa non è una provocazione, non è un a o di poco riguardo. Io penso
che se noi ci me amo in quella prospe va, cioè pensiamo che la salute
mentale è un affare di infermieri e di medici, come dire, autorizziamo,
generiamo una delega terribile, onerosa.
Io penso che ciascuno di noi sia a raversato da sta variabili di
vulnerabilità. Sta variabili di vulnerabilità significa che ciascuno di noi ha
un grado di vulnerabilità. Io ho delle idiosincrasie, ma più che idiosincrasie
ho delle for vulnerabilità che sono diverse dalle vostre. Ma la mia
vulnerabilità è anche vero che si modifica nel tempo. Quindi ciascuno di noi
è cara erizzato da sta variabili di vulnerabilità e queste condizioni sono
ineliminabili, perché nessuno può pensare di diventare invulnerabile. Forse
la condizione extraterrestre è una condizione di invulnerabilità (forse, non
lo so! Su questo non azzardo previsioni!).
Quindi questa condizione è ineliminabile e si può soltanto affrontare con
delle strategie complesse. Questo significa che per tra are le situazioni di
problema cità abbiamo bisogno di comporre un patchwork. Non so se
avete presente. Un patchwork è una coperta mul colori, fa a con stoffe
diverse, che hanno trame diverse, consistenze diverse.
Comporre un patchwork significa sostanzialmente pensare che le funzioni
di cura in una relazione di aiuto si fondano su tre cose:
- su un’idea di cura, che non è soltanto “tout court”, ma è anche “to care”,
come ci ricordava ieri la vicepresidente della Provincia.
Un’idea di cura di po transi vo: io curo te, io mi occupo di te. Ed è la
prestazione degli esper che in situazioni par colari costruiscono col
paziente un consenso informato, ma si assumono anche delle
responsabilità dei loro ges .
Io non voglio contra are tanto con uno che mi deve fare un intervento
cardiaco. Mi affido a lui e voglio che, come dire, il suo sapere sia realizzato
al meglio. Quindi c’è un’idea di cura di po transi vo.
- c’è un’idea di cura di po riflessivo che è la capacità di badare a sé stessi,
di ascoltarsi. Di formulare a ese ragionevoli, io mi voglio bene.
C’è una bellissima frase che adesso mi sta venendo in mente di Rabbi
Hillen.
Dice: “Se io non sono per me, chi è per me?
E se non sono per gli altri, chi sono io?
E se non ora, quando?”.
Quindi un’idea di cura transi va e un’idea di cura riflessiva.
- la terza dimensione è una dimensione di cura orizzontale, tra pari. E
quindi l’auto-aiuto, il sostegno tra persone che condividono una
condizione, che condividono uno stesso grado di vulnerabilità. L’idea di una
relazione orizzontale è l’idea di rappor di prossimità, di vicinanza.
Ecco io credo che nelle funzioni di cura e nelle relazioni di aiuto noi
dovremmo essere, la nostra sapienza, la nostra saggezza sta nel riuscire ad
intrecciare queste tre cose: l’idea della cura transi va, riflessiva e
orizzontale.
C’è questo bellissimo film, non so se lo avete visto, di una regista di cui non
ricordo il nome (un’ebrea americana, newyorkese). S’in tola “Kissing
Jessica Stein”.
Ci sono queste due donne che sono sul taxi e stanno andando ad un
fes no. Ad un certo punto Jessica si rivolge alla sua amica. La guarda e le
dice: “Hai delle labbra bellissime, ma che rosse o usi?”. E Hellen, la sua
amica, le dice: “Ne uso tre! Il primo mi serve per fare una base, il secondo
mi dà il tono giusto, il terzo mi lucida”. E Jessica dice: “Ma io in tu a la mia
vita ho cercato il rosse o giusto, la risposta alla mia domanda!”. E Hellen
dice: “Non c’è rosse o giusto, mescola, è la cosa migliore!”.
Ecco, io credo che noi dovremmo essere altre anto bravi nelle relazioni di
aiuto, nelle funzioni di cura nel mescolare. Io mi sono molto concentrato
sulla dimensione orizzontale, ma ci sono anche le altre due dimensioni che
sono appunto la cura transi va e la cura riflessiva.
Io credo che per arrivare a tanto, a questa sapienza, noi abbiamo bisogno
di costruire però contes valoriali differen , cioè noi dobbiamo avere la
forza di me ere in discussione la prevalenza di una logica medicalizzante,
per favorire un approccio mul prospe co. E poi credo che dovremmo
dare più spazio alle emozioni.
Voi sapete che c’è questa bellissima discussione a distanza tra due signori
che non si sono mai incontra .
Un signore si chiamava Baruk Spinosa, ebreo, cacciato dalla comunità di
Amsterdam, insomma irrimediabilmente ebreo. E l’altro signore si
chiamava Nietzsche. Quindi non si sono incontra .
Baruk diceva: “Non bisogna né ridere, né piangere, ma capire”. E Nietzsche
diceva che: “Bisogna piangere, ridere e capire perché sono par di uno
stesso processo, dove ogni elemento è intrecciato all’altro”. Ecco io credo
che questa capacità di recuperare le varie dimensioni del nostro essere
sono quelle che in qualche modo ci schiudono orizzon differen anche
rispe o ad un tema così complesso come è quello della cura e delle
relazioni di aiuto. Io credo che più in generale chi ci aiuta non è, non può
essere un “persuasore insonne”.
Colui che ci tormenta fino alla nostra conversione, fino all’abiura: “Giuro
che non lo farò mai più, giuro che non userò mai più questo, che non farò
più quest’altro. Insomma non mi farò tentare dai comportamen a rischio,
giuro che sarò perfe o, monocroma co, a senso unico”.
Non è questa. Non è questa la sensibilità che ci aspe amo da chi si occupa
di relazioni di aiuto.
Un signore che si chiamava Tajlor dice: “Se una storia non mi prende
abbastanza e comprende il disordine quanto l’ordine, l’assurdo quanto il
senso, lo sce cismo quanto la fede, allora non è sufficientemente grande”.
Provate a pensare all’esperienza della nostra vita, l’esperienza della nostra
esistenza. Contengono tu e queste cose: il lecito e l’illecito, gli sta di
abbandono e gli sta in cui noi pensiamo di essere padroni di noi stessi, il
dicibile e l’indicibile. Allora io credo che una relazione di aiuto diven
efficace se non soltanto include tu o questo, le par che ci abitano, le voci
che ci abitano, ma in qualche modo ci aiuta a riconoscerle e a me erle in
comunicazione tra loro.
Io credo che una relazione di aiuto sia sostanzialmente il tenta vo di dare
forma …
Provate a pensare ad un’esperienza che mol di voi hanno fa o. Provate a
pensare ad una no e stellata. Ad una no e calda, con questo cielo terso.
Noi siamo lì, sdraia sul prato a guardare questa no e stellata e poi
qualcuno affianco a noi: “Vedi laggiù? c’è il Piccolo Carro e poi c’è il Grande
Carro, lì c’è la Costellazione del Capricorno”. E provate a pensare cosa fa. Fa
un esercizio molto curioso: unisce dei pun e dà forma, a raverso
l’immaginazione, a quello che è privo di una forma predefinita.
Qualcuno diceva che la natura non ha confini. Siamo noi che diciamo:
“Questo è un fiore!”.
Qualcuno che ci aiuta a leggere le stelle, ci aiuta a familiarizzare con
l’indefinibile, che conteggia l’infinito. Ecco, spesso una relazione di aiuto ha
bisogno di questo: ci succedono delle cose, ci sono degli avvenimen , degli
accadimen dentro di noi e non sappiamo congiungerli, non sappiamo
dargli una forma plausibile, una forma che ci perme a di riconciliarci con il
mondo.
Ecco, questa immagine di una persona che ci aiuta a leggere il buio, a
vedere nel buio le stelle e provare a congiungerle perché acquis no una
forma che chiamiamo Costellazione del Capricorno piu osto che Grande
Carro, forse è l’essenza principale di una relazione di aiuto.
Chiudo qui.
L’accoglienza nei gruppi di volontariato
(relazione svolta nell’aggiornamento del gruppo di volontariato reggiano “
La Melagrana”)
Deliana Bertani
Come prima cosa vorrei me ere a fuoco il nucleo centrale del discorso che
dobbiamo affrontare: cos'è la vostra accoglienza, quella che fate qui , qual
è quindi l’ogge o del vostro lavoro.
Dovete accogliere qualcuno , non "qualcosa", una cosa che si prende, si
sposta, che rimane lì ferma, ma qualcuno, qualcuno molto simile a noi.
Questo fa sì che i problemi, le difficoltà, le sensazioni, l'atmosfera nella
quale vi me ete siano oltremodo complica , ar cola , sfuma e mutevoli.
Ci sono, infa , due persone che stanno per me ersi in relazione fra di loro
che stanno per fare "qualche cosa". Questo è un dato al quale non si può
sfuggire: ci sarà una relazione, uno scambio dinamico di comunicazioni
verbali e no, ci sarà un incontro, un conta o sul quale ci fermeremo per
discutere e cercare di individuare la peculiarità, le connotazioni, i problemi
che emergono .
Questo conta o si determina, si svolge , si costruisce e lascia un segno in
entrambi gli “a ori”
Voi siete – nell’accoglienza- in una situazione, in rapporto con qualcun altro
per fare "qualcosa" insieme: siete lì per un mo vo. Abbiamo parlato di
incontro di scambio , di relazione, di conta o, di rapporto . Da una parte ci
siete voi, dall'altra un‘altra persona.
E, ancora, chiediamoci “in quali aree, su che temi si svolgerà il vostro
conta o?”
Mi pare grosso modo che sia una sola grande area quella che può
racchiudere tu a la tema ca che voi incontrerete, con la quale lavorerete:
l'area della sofferenza ,del dolore e della voglia di tornare a vivere
Chiediamoci ancora: “Dove si svolgerà il vostro lavoro? In quale luogo
fisico?”
Mi preme definire e connotare in maniera precisa questo luogo , sia come
luogo fisico che come luogo mentale. Questo per cominciare a dire una
cosa fondamentale: il rapporto che voi state avviando ,costruendo è
qualche cosa che non è occasionale, che non è affidato al caso, che non è
indifferenziato. E', invece, qualche cosa che avviene in un luogo definito,
preciso, alla quale voi dedicate un pezzo della vostra vita, uno spazio del
vostro tempo che dovrebbe essere altre anto definito ed altre anto
delimitato.
Dicendo questo entriamo in un problema estremamente importante e
delicato: uno spazio di vita vostro, un momento preciso e definito. Quando
avete cominciato a lavorare qui avete dato una disponibilità di un'ora, due
ore, tre ore, un pomeriggio a seconda delle vostre possibilità. Questo
perché avete tu a una serie di altri impegni.
Cosa può succedervi? Per esempio vi potrebbe capitare ,a un certo punto
del vostro intervento ,che questo spazio, questo tempo, ha perso la
dimensione iniziale ed è diventato più vasto, più grosso, invece di un'ora è
un'ora e mezzo, invece di due ore sono due e mezzo, ecc. ecc.
Oppure vi potreste accorgere che magari il tempo fisico, il tempo materiale
è rimasto lo stesso ma che la vostra testa è con la donna che avete appena
incontrato, e ve la “ portate a casa” e questo avviene sempre più spesso . E
ve la portate dietro in momen diversi da quelli che avevate stabilito di
dedicare a questo lavoro.
E' un bene, è un male? Poniamoci la domanda.
Ritorniamo al discorso di partenza: quando si ha a che fare con un altro
essere umano è difficile staccare e salutare e non pensarci più, anche
perchè abbiamo a che fare con qualcuno che parla, che discute, che prova
dei sen men , che interagisce con noi, che è stato male o sta male magari
come noi lo siamo state , qualcuno che ci fa arrabbiare, perché ha fa o o fa
cose che sappiamo essere sbagliate e, quindi, è difficile, è pra camente
impossibile, riuscire a "chiudere il rubine o". E' un bene nel senso che, in
questo modo, il rapporto che si me e in piedi è qualcosa d'interessante, di
importante, è qualche cosa che avete in testa. Da questo punto di vista è
un "bene".
Dobbiamo però stare a en perchè, nella misura in cui questo spazio che
dedicate all'altro diventa troppo esteso, diventa anche troppo invasivo
degli altri spazi vostri. A questo punto dovrebbe suonarvi un campanello
d'allarme che vi dovrebbe portare
1) a dire: cosa mi sta succedendo?
2) a pensare e, perciò, a rare i remi in barca.
Non è un bene che lo spazio che voi avete dedicato, avete programmato di
dedicare al lavoro che state facendo, diven troppo invasivo degli altri spazi
e delle altre a vità, degli altri momen vostri. Perchè questo implica una
serie di altre ques oni.
Per esempio, la prima che mi viene in mente è questa: se lo spazio, non
soltanto fisico ma anche mentale, che questa a vità vi porta via diventa
troppo ampio, può essere che vi sia capitata una cosa del po: ho a che
fare con persone che stanno male o, comunque, che hanno dei problemi.
Come sarebbe bello riuscire a risolvere ques problemi! Come sarebbe
bello che, venendo qui se la mia accoglienza funziona ,questa persona non
stesse più male almeno psicologicamente.
Orbene, questa cosa sarebbe molto bella, ma accade molto raramente
Allora qual'è l'immediata conseguenza? E' che dall'entusiasmo e dalla
situazione nella quale lo spazio che voi avevate previsto si era dilatato, ora
rischia di restringersi, di diventare molto, troppo, stre o, di essere
annullato in conseguenza della frustrazione che inevitabilmente si prova se
si parte o se ci si lascia travolgere dall'idea: adesso arrivo io e risolvo il
problema.
Non è una cosa semplice né cosa facile riuscire ad evitare di passare
a raverso questo po di fase, questo po di esperienza, perchè è qualcosa
che capita e non soltanto a chi fa volontariato come state facendo voi .
Capita a chi fa un mes ere che ha come ogge o del proprio lavoro l'altro.
Perchè succede? Banalizzando si può dire : perchè a tu piacerebbe essere
bravi, buoni, necessari, risolu vi e, perchè no, magici.
Il fa o di essere magici, essere bravi, essere buoni, essere sopra u o
risolu vi, è un'idea che abbiamo accarezzato tu , che accarezziamo
spesso -magari di nascosto -. E' un'idea che ci induce in tentazione, che ci
piace molto ma è, comunque, un'idea pericolosa e perciò mi sento di dirvi:
state a en , andateci piano e pensate bene al po di inves mento che
me ete nel lavoro che state facendo, perchè la qualità e la quan tà
dell’inves mento che me ete è determinante.
Il rischio qual'è? Di me ercene troppo o troppo poco. Me ercene troppo
poco nel senso di stare molto sulle difensive.
Se uno lo fa di mes ere, ha più modalità per poter stare sulle difensive. Per
chi lo fa volontariamente, per chi lo fa come un a o di solidarietà, stare
molto sulle difensive è in contraddizione con il fa o stesso di fare del
volontariato. Ma può capitare. Il pericolo più grosso però è quello di calarsi
troppo nella situazione che si ha davan , iden ficarsi troppo con la
situazione dell’altro, farsi troppo carico delle problema che, delle difficoltà
e dei guai con i quali si ha a che fare: i guai con i quali avete a che fare sono
guai grossi, pesan e dolorosi. Allora, il problema qual è? E' di sapere che il
vostro spazio di intervento va a coprire non tu i bisogni, non tu e le
problema che, ma solo una minima parte, va ad intervenire su una parte
del bisogno, su una parte del problema.
Riprendiamo il discorso dell’accoglienza e della conseguente necessità di
definire un'alleanza.
C'è un rapporto da costruire, abbiamo individuato dove lo costruiamo e il
tempo che vogliamo dedicare a questo po di lavoro. Cosa dobbiamo e
cosa possiamo fare, ancora?
Abbiamo de o che è importante, è necessario, è significa vo sapere che
non interveniamo su tu o il bisogno ma solo su una piccola parte. Sarà
proprio del vostro ruolo di” accoglien ” individuare questa piccola parte,
individuare l'ambito del vostro intervento, cioè, sapere dall'inizio qual è la
piccola parte del bisogno che voi andrete ad affrontare.
Individuare l'ambito del proprio intervento, del proprio operare, significa
costruirsi una difesa, se non altro, interna, propria. Ma anche esterna, nel
senso che, appunto, i bisogni sono tan , voi però sapete che è su quello
che dovete accogliere e se per caso vi viene in mente di fare altro, sapete
che state andando fuori dall'ambito del vostro intervento. Sapete che state
facendo un'altra cosa. Non solo è una difesa interna, ma è anche una difesa
esterna nel senso che vi potrà capitare che vi vengano fa e delle richieste
extra, che esulano dall'ambito del vostro intervento. Sapere, quindi, perchè
siete lì, sapere che cosa state facendo, quale problema state affrontando,
direi che è essenziale. E questo va sempre nella direzione di con nuare a
definire che il vostro incontro con quella persona non è occasionale ma
collocato in una situazione precisa, finalizzato ad uno scopo.
Quindi, un'altra ques one importante, un altro nodo nella costruzione del
vostro lavoro è questo: sapere che scopo avete.
Allora, per ricapitolare e non perdere di vista quello che abbiamo de o fino
ad ora : l’accoglienza è un incontro che avviene in un luogo preposto a
questo ed è finalizzato ad uno scopo.
Un'altra cosa importante e determinante che si aggiunge a queste ed è,
comunque, una loro conseguenza: quando si ha a che fare con qualcuno
che soffre, che è bisognoso, si può pensare che la proposta per la quale
s amo facendo l’accoglienza sarà esclusiva, assoluta. E questo dipende dal
fa o che è facile scivolare nell'idea: questa persona ha bisogno, sta male, è
depressa, ha dei problemi, evidentemente le persone che hanno avuto a
che fare con lei ( i paren , i coniugi, i figli, i genitori, gli amici, gli operatori
) non sono state capaci di aiutarla. Il loro rapporto è stato fallimentare.
Quindi sarà la mia proposta quella che va bene, quella che conta non dico
in assoluto ma quasi.
Allora l'altro fa o fondamentale è: collocare la vostra accoglienza
all'interno di una costellazione molto vasta di tan ssimi altri rappor . Il
vostro è uno dei tan rappor .
Voi non siete le uniche persone che hanno a che fare con chi sta venendo
da voi.
Se questa cosa può, in un certo senso, rischiare di svilire la visione, l'o ca,
la modalità con la quale guardate e vedete il vostro lavoro, certamente, se
ci pensate un a mo, è anche molto tranquillizzante nel senso che, se si ha
la sensazione o l'impressione di essere soli la cosa diventa immensa,
pesan ssima e, quindi, tragica. Se, invece, si parte con la consapevolezza
che insieme al mio ci sono tan altri rappor e luoghi, la cosa diventa più
tranquilla , meno ansiogena.
Abbiamo de o: individuare la peculiarità del vostro incontro, del vostro
colloquio e questa peculiarità si può dedurre da quello che si diceva prima,
cioè, dallo scopo che vi siete da , che avete trovato, dallo scopo,
dall'obie vo del vostro lavoro che si colloca nell'ambito precedentemente
individuato dell’ intervento della vostra associazione.
Quindi, la peculiarità del vostro rapporto deriva dall’individuazione
dell'ambito del vostro operare e dall'individuazione dell'obie vo che vi
siete da all’interno di questo contesto.
Allora, abbiamo più o meno definito che questo incontro non è
occasionale, è finalizzato ad uno scopo, avviene in un luogo preposto ed è
professionale. Vediamo questo ul mo termine.
E' vero che voi fate un altro mes ere però, nella misura in cui avete chiaro
lo scopo, l'obie vo che dovete raggiungere, siete voi che vi prendete la
responsabilità di dirigere l’interazione : questo fa sì che il vostro rapporto
abbia una connotazione di professionalità.
Cos'è che dà al vostro rapporto una connotazione di professionalità?
Un fa o preciso: il ruolo dell'operatore si sviluppa su due linee:
l'opera vità e l'affe vità. Per es. i rappor che una qualsiasi persona trova
all'interno della propria famiglia, sono rappor che si sviluppano
essenzialmente su una linea che è quella dell'affe vità; i rappor familiari
si sviluppano, nascono, si svolgono all'insegna dell'affe vità.
L'affe vità non è qualcosa che non c'entri nel vostro incontro perchè,
come dicevo all'inizio, abbiamo a che fare con un'altra persona; quindi non
si può fare a meno dell'affe vità. Salta fuori anche se non vogliamo.
Però, cosa c'è di fondamentalmente diverso nel nostro incontro, nel nostro
rapporto rispe o a quello che si ha all'interno della famiglia?
Ci sono alcune cose estremamente significa ve che sono:
1) la nostra possibilità di vedere le cose con una maggiore distanza, nel
senso che siamo meno implica rispe o alle persone della famiglia;
2) il nostro rapporto è cara erizzato, è delineato nella maniera in cui
dicevamo prima, cioè è finalizzato ad uno scopo preciso ed è un rapporto
che ha individuato un ambito altre anto preciso.
I rappor che avvengono all'interno della famiglia sono rappor vas ,
globali, che investono sostanzialmente tu e le aree, tu e le
problema che, che non è possibile delimitare.
Il nostro è qualche cosa che è delimitabile, che deve essere delimitato ,
deve avere uno scopo, una finalità precisa,e perciò assume la cara eris ca
della professionalità. Cioè, insieme all'affe vità, il rapporto che voi state
me endo in piedi si sviluppa sopra u o sulla linea dell'opera vità : voi
state accogliendo qualcuno per fare qualcosa ; c’è quindi una asimmetricità
fra chi accoglie e chi è accolto
De o questo, riprendiamo il discorso che si faceva prima rispe o alla
delimitazione del tempo.
Dicevamo che, quando ci si accorge che il tempo che dedichiamo si è
ampliato troppo, anche se solo nella nostra testa, quando ci accorgiamo
che ci por amo troppo dietro, per troppo tempo, i sen men , le emozioni,
che abbiamo provato nel rapporto con la persona con la quale abbiamo
avuto a che fare (la rabbia, l'amore, la soddisfazione o la frustrazione, ecc.),
quando ci accorgiamo che queste cose ci coinvolgono troppo, quando
perdiamo la capacità di capire fino a dove c'è l’altro con il suo mondo, la
sua affe vità, i suoi sen men , ecc. e fino a dove ci siamo noi, cioè
quando c'è una sovrapposizione fra noi e l’ altro, proprio perchè questo
altro è bisognoso, proprio perchè ci chiede tanto, allora siamo in una
situazione di pericolo presente e reale. E' come se ci sovrapponessimo, ci
iden ficassimo con questo altro e ci me essimo completamente nei suoi
panni, perdendo i nostri.
Ecco, in questo momento, evidentemente, abbiamo perso la nostra
funzione di aiuto, abbiamo perso la nostra funzione di ausilio.
Conserviamo la capacità di essere disponibili nella misura in cui non
perdiamo la nostra iden tà, non perdiamo la nostra presenza, non ci
perdiamo nell'altro, non ci lasciamo coinvolgere dalla cima dei capelli fino
alla punta dei piedi.
Allora, siamo arriva a dire che dev'essere un incontro professionale, e
questo sarà, se riusciamo a tener presente che il nostro rapporto con
questa persona è un incontro non occasionale, finalizzato ad uno scopo,
che avviene in un luogo preciso. Se noi riusciamo ad avere presen ques
pun di riferimento, a dare una risposta a ques agge vi che abbiamo
usato per la definizione dell’ incontro, allora siamo, credo, nella situazione
nella quale siamo riusci a ge are le basi per definire un'alleanza che potrà
essere fa va e produ va di risulta , risulta che riguarderanno un
determinato ambito, un determinato problema, una piccola parte del
bisogno, come abbiamo de o prima.
Allora, un incontro non occasionale, professionale, finalizzato ad uno
scopo, in un luogo preposto. Questo significa aver presente dentro di sè
l'area che si è disponibili ad usare, il pezze o di sè, della propria vita, del
proprio tempo, della propria testa, del proprio "cuore" che si è disponibili a
me ere in gioco e ad usare. Un'area governata "dal vostro buon cuore, dal
vostro buon senso e dalla vostra intelligenza".
Il vostro buon cuore e il vostro buon senso, senza che ci sia la delimitazione
dell'area di vita che siete dispos a me ere in gioco, rischiano di me ervi
nei guai, come dicevo prima, rischiano di farvi sommergere dalle
problema che che voi vi siete, così generosamente, presta ad affrontare
o, comunque, a dare un contributo perchè vengano affrontate.
Alcune note di riflessione sull’accoglienza:
- Posizione di acce azione e di comprensione che significa me ersi
nelle condizioni di “ vedere” secondo le modalità con cui vede
l’altro che avete di fronte.
- A eggiamento non valuta vo
- Tenere presente che chi sta di fronte a voi può avere una scala di
valori diversa dalla vostra
- Che c’è un tempo e un modo per dire ciò che si deve dire: non si
può dire tu o nel primo incontro altrimen non lasciamo parlare
l’altro
- Vivere il “mondo “ dell’altro come se fosse il nostro mondo, senza
che ci sia una messa in campo del “ mio” mondo. Infondere calore e
sicurezza non significa assumere a eggiamen di po prote vo o
rassicura vi
- Il numero dei partecipan al colloquio va valutato
- I toni della voce devono essere consoni al contenuto di quello che si
sta dicendo ( no al doppio legame)
- Fare a enzione allo sguardo e all’a eggiamento posturale
- Muoversi nell’o ca che sono più importan i sen men con cui ci
vengono date le informazioni che le informazioni stesse
Alcuni consigli :
1. L’ambiente deve me ere a proprio agio sia chi accoglie sia chi è
accolto, non ci devono essere disturbi o interruzioni
2. Chi viene deve avere l’impressione di avere a disposizione tu o
il tempo necessario
3. Non scrivere durante il colloquio , se si devono raccogliere dei
da farlo subito quindi procedere
4. Non parlare di sè
5. Non prendere posizione prima di aver capito qual è, dai vari
pun di vista
6. Usare il riassunto alla fine
Penso a questo punto di aver chiarito che l’accoglienza è un incontro di po
speciale che avviene a raverso un incontro sempre di po speciale che
lascia comunque un segno cioè me e in piedi un rapporto. E’ un incontro
che non si fa per caso, all’interno del quale non avviene una conversazione
ma un colloquio perché è un dire fra persone precise che hanno ruoli
diversi , è programmato, richiede impegno, ha uno scopo che, poiché non è
quello di diver rsi insieme, non evita fa e sen men spiacevoli.
Mol indizi che ci inducono a pensare che le modificazioni culturali e
sociali intervenute nella realtà reggiana di ques ul mi anni si riverberano
sulla latenza del bambino di oggi rendendola diversa da quella di ieri.
Ieri, ad esempio, vi era coincidenza fra ingresso in latenza e inizio della
scuola. Oggi tu o cambia poiché già durante la seconda infanzia i
programmi delle nuove materne che perseguono fini educa vi (e non più
assistenziali)
Ciò rende del tu o nuovo quel processo di “decantazione” del fare
opera vo dalle esigenze della sfera pulsionale-affe va.
Cosicché, mentre trent’anni fa il passaggio dalla materna all’elementare
rappresentava l’uscita dal gioco e l’ingresso nell’opera vità, oggi il processo
di decantazione e di passaggio dall’una all’altra dimensione necessita di
una preoccupazione da parte delle operatrici delle materne che non può
limitarsi alla dida ca dei processi cogni vi, ma deve estendersi alla
regolazione dei comportamen interpersonali, ad un esercizio per il
controllo delle energie pulsionali, al rafforzamento del Super-Io e allo
sviluppo del senso d'iden tà in rapporto con la realtà psico-sociale.
Favorire la decantazione in questo senso può diventare il leitmo v che
accomuna scuola materna e scuola elementare, che perme e il
superamento della confli ualità fra i due ordini di scuola e che valorizza le
possibilità di riorganizzazione della personalità del bambino che proprio lo
stacco può favorire.
. Ma chi è questo bambino che ci troviamo di fronte tu i giorni,
indipendentemente dal nostro umore, dal nostro stato di benessere o
malessere, dai nostri problemi personali? È il bambino che sta entrando in
latenza.
È un bambino che ha vissuto un delica ssimo momento di passaggio e che
sta preparandosi per affrontarne un altro.
Vediamo il primo:
il primo giorno di scuola, infa , per il bambino rappresenta l’ingresso in
una nuova dimensione della sua vita.
L'apprendimento scolas co richiede al bambino disciplina nel
funzionamento intelle uale, assunzione di nuove responsabilità e di ruoli
più differenzia nel comportamento sociale, organizzazione e
differenziazione dell'Io, una maggiore autonomia. In scuola, diversamente
che in famiglia, sia i rappor ver cali coi docen , sia quelli orizzontali con i
pari assumono delle connotazioni che si basano sull'opera vità piu osto
che sull'affe vità.
Quindi - anche se, come dicevamo prima, nel caso del fanciullo reggiano di
oggi l’incontro con un adulto che svolge funzione docente c’è già stato in
scuola materna - ora ci sono nuovi obblighi, nuovi valori su cui essere
valuta , c'è l'accesso ai segni scri , alla le ura, ai numeri e al mondo degli
adul .
L'ingresso nella scuola elementare rappresenta per il bambino, e non solo
per lui, una sorta di inves tura, di iniziazione che è di grande valore
simbolico.
La scuola si colloca in una fase in cui l'Io e gli altri, il mondo esterno e gli
ogge , sono separa e si pongono fra di loro in una relazione dinamica.
Ciò rappresenta un passaggio importante nel cammino verso
l'indipendenza e segna.
La scuola rappresenta un passaggio molto importante nel cammino verso
l'indipendenza. Andare a scuola significa per il bambino uscire
dall'ambiente familiare conosciuto per accedere ad un altro nuovo e
sconosciuto, ma creato appositamente per lui. La scuola contribuisce alla
differenziazione e fa sì che il bambino prenda coscienza di se stesso.
S amo occupandoci di quell’età in cui solitamente nella società occidentale
inizia la scuola19 e, più in generale, è l'età in cui in tu e le culture lo stato e
la società cominciano a prendersi cura del bambino, senza più deleghe
totali, o quasi, a quell’importan ssimo primo intermediario di cultura
rappresentato dalla madre come avviene dappertu o nella prima e nella
seconda infanzia.
Se noi ci chiediamo il perché di questo cambiamento che da sempre
avviene in ogni cultura, la risposta è nell’intuizione che gli adul hanno
sempre avuto di trovarsi solo a quest’età di fronte ad un bambino capace
d’industriarsi nello studio e nell’applicazione
È questo il terreno par colare sul quale, se le cose in precedenza sono
andate sufficientemente bene20, si impianta il lavoro dei docen di scuola
elementare
Dai nuovi adul , quindi, così come dai nuovi pari con cui entra in conta o,
il bambino impara le materie, ma non solo, impara che i legami affe vi
sono legato al "fare", cioè al lavoro, alla produzione .
questo accesso più pieno all'area dell'opera vità, reso possibile dalla
precedente a vità gratuita di gioco, implica una nuova o ca in base alla
quale la famiglia lentamente acquisisce, agli occhi del bambino, una
posizione passata, comincia cioè lentamente a stemperarsi in un tempo
passato, in un tempo mi co - importan ssimo21 peraltro, e non solo per il
periodo di latenza, ma per tu a la vita -;
In questa nuova palestra che è la classe il bambino, lo ripeto, non allena il
proprio spirito solo sul piano dei contenu scolas ci, ma anche sul piano
del riconoscimento delle emozioni e dei sen men 22 in partenza ed in
arrivo, che provengono sia dal versante degli adul in essa presen , sia dai
pari.
Se le cose vanno sufficientemente bene, invece, quella del docente di
scuola elementare appare come un’importan ssima funzione di ponte:
Ponte fra l’affe vità e l’opera vità in un’epoca di grandi cambiamen nel
mondo interno del bambino; ponte fra il mondo della famiglia e quello
dello studio (e domani, su questo stampo, del lavoro) in un momento felice
per mol bambini, in cui l’industriosità, fru o delle nuove tendenze alla
sublimazione, può espandersi; ponte fra il gruppo primario ed i gruppi
secondari, an camera di future, più ardite migrazioni.
Funzione ponte che non impedisce al docente accorto di mantenersi ben
vicino al mondo degli affe del bambino
Il docente di scuola elementare sa anche, però, che le pietre più importan
che compongono questo ponte sono quelle piche del fare opera vo che si
basa essenzialmente su un’espressione delle emozioni e dei sen men
mediata dal fare opera vo stesso, e non dire amente giocata sulla
rica atoria mozione degli affe .
In questa età il gruppo dei coetanei assume un significato par colare che
rifle e proprio la specificità del momento evolu vo che il bambino sta
a raversando, è un “gruppo opera vo”, teso a maturare nuove
competenze, a conoscere ed apprendere, ha finalità che coincidono, a
grandi linee, con gli obie vi scolas ci.
Il gruppo è in qualche modo il primo spazio in cui il bambino s’inserisce con
un compito, un “ruolo sociale”, nei confron del quale genitori ed
insegnan maturano aspe a ve di produ vità e di risultato.
Il gruppo classe rappresenta, quindi, un modello in miniatura del
funzionamento e della convivenza sociale ed è principalmente la scuola a
dover sostenere il compito di formare tale gruppo. Il bambino (così come
l’insegnante) porta nella classe la sua personale idea di società e di rappor
tra le persone che, essendo fortemente influenzata dai modelli di
convivenza e di relazione che egli assorbe dagli adul , può risultare anche
estremamente dissonante tra i vari bambini.
L’idea di gruppo fa quindi pensare ad un sen mento di appartenenza a
qualcosa di comune ad altri ma anche, contemporaneamente, d’interno e
d’in mo, con significa influenza dalla propria storia personale, da come
abbiamo vissuto le relazioni nel nostro gruppo primario e dal ruolo che
abbiamo assunto all’interno di questa prima configurazione di rappor . I
gruppi umani si cos tuiscono su queste emozioni molto primi ve e
regressive che, è evidente, sono lontane dal gruppo opera vo di cui
abbiamo parlato all’inizio.
. Se i gruppi si formano all’interno di un’area di pensiero comune condivisa,
è in realtà la differenza che perme e l’arricchimento.
La differenza suscita l’aggressività e questo è palese (sia dentro che fuori la
scuola) quando sono presen in classe bambini “diversi” (stranieri,
portatori di handicap), Rapportarsi con qualcuno che ci è estraneo, che è
molto diverso da noi, può far emergere il conta o con le nostre par
interne sconosciute, paurose, confuse.
Da quanto è stato de o finora, sembra chiaro che l’adulto che si trovi a
dover ges re un rapporto con un gruppo di bambini a scuola dovrebbe
riuscire a prendere a o che, per lavorare e per seguire degli obie vi
concre di apprendimento, è necessario sperimentare e convivere con
emozioni for e complesse. L’insegnante in classe potrà avver re
sen men di espulsione e tenta vi d’invalidazione della propria presenza
di adulto che, in qualità di rappresentante della realtà, riporta la delusione
del non essere magicamente onniscien e superpoten . L’insegnante può
rappresentare un nemico, una fonte di confli o, perché con la sua stessa
presenza innesca movimen di differenziazione tra i bambini: alcuni
bambini vorranno accaparrarsi il suo affe o uscendo dal “mucchio”,
emergendo con le loro capacità intelle uali e sedu ve, rischiando
l’isolamento tra i compagni; altri bambini, più in difficoltà con la loro
dipendenza interna dalle figure genitoriali, diverranno accani oppositori
dell’insegnante e lo screditeranno di fronte ai compagni creando tra i
bambini e nell’insegnante un confli o doloroso e lacerante (come può
capitare tra i fratelli in famiglia). L’insegnante solitamente rappresenta la
“regola” pica del mondo degli adul ; di conseguenza può suscitare nel
gruppo dei bambini dei desideri trasgressivi o demolitori che vanno a
scapito dell’evoluzione, dell’apprendimento e della crescita del gruppo
stesso.
Il gruppo classe è quindi un complesso di relazioni in trasformazione che si
definisce nel tempo).
L’adulto possiede, a differenza del bambino, una idea più precisa circa le
aspe a ve sul futuro e sul compito del gruppo e ciò lo aiuta a conservare
la fiducia nell’arrivare a stare bene insieme. L’insegnante può riconoscere,
iden ficare e facilitare le relazioni, senza avere la pretesa di preordinarle,
facendo da tes mone alla storia del gruppo (che è anche la storia di ogni
bambino). Può ascoltare, comprendere (nel senso di prendere dentro di
sé), metabolizzare e res tuire senza violenza anche le tendenze distru ve
del gruppo; può, inoltre, s molare il confli o e la compe zione
(compe zione per qualcosa, non per qualcuno) come strumen per
esporsi, per rischiare e per conoscersi.
L’insegnamento e l’apprendimento in età di latenza dei codici simbolici
(scri ura, matema ca) u lizza nella nostra cultura per riconoscere il
“reale” rappresenta un percorso fondamentale di questo processo di
costruzione dell’Io maturo e dell’iden tà personale, culturale e sociale del
bambino. A raverso la conoscenza del linguaggio verbale prima e del
linguaggio scri o e matema co poi, il bambino impara a riconoscere, dare
un significato e un ordine, non solo al mondo esterno, ma anche al proprio
mondo interno. Il pensiero, u lizzando ques nuovi strumen , può dare un
“nome” e quindi un significato almeno a una parte dei sen men , affe ,
fantasie, buoni e ca vi, che popolano il mondo interno e, gradualmente,
realizzare un’integrazione nella mente delle sue varie par , in par colare di
quelle problema che o “ca ve”.
In età di latenza dovrebbe essere ormai possibile per il bambino
abbandonare l’”onnipotenza”, acce are di non sapere, di dover imparare,
acce are la dipendenza dall’adulto; ma, come si diceva prima, la società e
la stru ura familiare sono notevolmente cambiate, la tv ha invaso la vita
dei bambini. Di fronte all’esposizione amplificata e ripetuta di immagini
problema che e impietose del mondo esterno, è sempre più difficile, per i
bambini, l’idealizzazione del mondo adulto, l’iden ficazione con gli adul ;
non è possibile capire situazioni e problemi sempre più complessi e virtuali
(il contrario dell’apprendere dall’esperienza), sono sempre meno gli adul
disponibili a spiegare, ad essere con; nonostante l’età di latenza favorisca il
desiderio e il piacere di conoscere e crescere, si rischia che sempre più
bambini si chiedano, come Peter Pan, se vale la pena crescere o an cipino
le fasi di sviluppo e passino dire amente ai modelli adolescenziali sempre
più propos dai media.
Anche mol adul , sopra u o genitori, sembrano aver sempre più paura
di aiutare i propri figli a crescere; forse si sentono inadegua ; il venir meno
della certezza delle regole e dei valori ha prodo o confusione; il tempo per
stare insieme è sempre minore; la delega alla scuola, agli esper delle varie
discipline è sempre più diffusa. I bambini rischiano di ritrovarsi soli di
fronte a richieste sociali di competenze e prestazioni sempre maggiori e
complesse.
l’a razione e la paura dell’ignoto che rompe equilibri e certezze. È la fa ca
di crescere.
Il dolore mentale può essere anche dell’insegnante-genitore che considera
la “meta” del viaggio (il mondo esterno) un posto pericoloso, confuso, che
forse non vale la pena raggiungere o troppo sconosciuto (pensiamo ai
genitori immigra ), quindi fa ca ad indicare la via; oppure l’adulto può
sen re troppo diverso il mondo interno del bambino rispe o al proprio e
può aver paura ad avvicinarsi per trovare una via comprensibile ad
entrambi (succede spesso con i bambini immigra e “diversi”) e si rischia
d’indicare la via sbagliata.
Anche solo indicare la via è complicato, perché significa interrogarsi, come
adul , su quali siano per noi il viaggio e la meta, poi trovare gli strumen
per scegliere ed affrontare la via.
In altre parole, potremmo dire che, nel processo di apprendimento, non è
importante aumentare la quan tà d’informazioni, ma la disponibilità ad
apprendere, ovvero lo spazio mentale disponibile a ricevere nuovi da e
nuove esperienze. L’apprendimento auten co, cioè, comporta un
cambiamento mentale nel modo di essere.
Quindi la mente di chi insegna è lo strumento principale di lavoro.
L’altro grosso cambiamento è l’ingresso IN PREADOLESCENZA:
quel momento della vita in cui, parafrasando il linguaggio dei computer,
serve un nuovo programma che consenta soluzioni diverse, perché quello
vecchio non è più in grado di raccogliere e organizzare le nuove
informazioni che provengono dalla realtà esterna e dal mondo interno: da
questo momento, inizia una nuova fase della vita la cui direzione è
imprevedibile perché mentre la vita passata era ritmata da abitudini e da
comportamen divenu familiari, ora si aprono nuove strade.
Uscire dalla latenza significa entrare nell'adolescenza;
Gli ormoni li fanno sen re più aggressivi e scatenano reazioni che fino a
qualche tempo prima erano inconcepibili. I genitori diventano i primi
bersagli, ma a cambiare sono anche i sen men che ora entrano in
collisione con il proprio vecchio modo di pensare, inducendoli a rimuginare
su se stessi e sulla propria famiglia.
È iniziato un viaggio che porta il ragazzo/a in una direzione sconosciuta: in
questo viaggio ci si guarda intorno, si scrutano i propri compagni di ventura
e si osserva anche se stessi, chiedendosi cosa si sta facendo e sopra u o
dove si sta andando.
In questa situazione è difficile voltarsi a guardare il luogo della propria
infanzia; il ragazzino/a parte per il suo viaggio e i genitori rimangono a
terra.
Nell’età della latenza il bambino sembrava prevalentemente occupato a
cercare d’impadronirsi delle qualità mentali possedute dai genitori e che
egli iden fica nell’onnipotenza e nell’onniscienza.
Quando il bambino inizia ad andare a scuola, durante gli anni che
cara erizzano la latenza, il conce o di imparare viene focalizzato
sopra u o sull’apprendere il nome delle cose, ed egli crede di sapere tu o
di quella cosa: sta esercitando il suo senso di onnipotenza.
Questa convinzione, insieme a quella che i suoi genitori sappiano e
facciano tu o, si frantuma però quando inizia la pubertà. I bambini si
rendono conto piano piano che il padre e la madre non sempre sanno cosa
fare e questo perme e loro di liberarsi dalla so omissione ai genitori vis
come divinità.
Quando, però, il ragazzo riesce a liberarsi, prorompe in lui tu o il mondo
della confusione, che fino ad allora era stato nascosto e tra enuto dalle
preceden convinzioni: la confusione tra buono e ca vo, tra le diverse
zone del corpo, i diversi modi in cui tali zone possono entrare in rapporto
con il mondo esterno e con le altre persone, quella tra maschio e femmina,
tra adulto e bambino. Tale confusione si acuisce con la pubertà, non
appena nel corpo cominciano a svilupparsi le cara eris che dell’adulto
(l’area pubica, il seno, lo sviluppo dei genitali). Il corpo, con tu i suoi
cambiamen , comincia a diventare una grossa fonte di preoccupazione:
non potendo acce are se stessi per una quan tà di ragioni emo ve, il
ragazzo proie a fisicamente le sue preoccupazioni su alcuni aspe della
propria immagine.
Il ragazzo che esce dalla latenza si viene a trovare in una posizione in cui
non si fida più del mondo degli adul , ma nemmeno di quello dei bambini;
è in una posizione in cui disprezza ambedue i mondi. È una crisi d’iden tà
profonda, quella che il ragazzo sperimenta con la perdita dell’iden tà
familiare: non più bambino, non ancora adulto. La decisione di acce are
temporaneamente l’iden tà di semplice preadolescente rappresenta un
fa o fondamentale e il gruppo dei pari diventa un “luogo essenziale di
crescita, di possibilità di iden ficazione”.
Sta cominciando una nuova separazione-individuazione, una nuova nascita.
Ciò che nell'infanzia è "una nascita dalla membrana simbio ca per
diventare un bambino individuato",23 nell'adolescenza diventerà il distacco
dalle dipendenze familiari, che avviene a raverso il viaggio di cui si parlava
prima, viaggio che inizia nell'età di cui s amo parlando: l'uscita dalla
latenza.
Il distacco dalle dipendenze familiari, cioè dai legami ogge uali infan li,
apre la strada alla scoperta di ogge di amore e di odio esterni,
extrafamiliari, nuovi.
La costruzione e la distruzione, la regressione e l'avanzamento saranno le
più specifiche cara eris che dell'adolescenza, e l'andamento a zig-zag
comincia ad apparire nell'epoca di cui s amo parlando, all'inizio di quel
percorso che è la premessa per la costruzione di una propria immagine
sociale (come membro della società e non solo come figlio di una famiglia)
e per l'avvio dei rappor eterosessuali.
per tu gli adul che si pongono in rapporto con i preadolescen sul piano
del fare opera vo, pedagogico, il problema rimane quello del viaggio che il
preadolescente si accinge a compiere e dell’a eggiamento che l’adulto ha
nei confron dell’immanenza di questo viaggio, dei pericoli che in esso
sono insi , dei problemi di separazione cui tu gli a ori presen a casa,
come a scuola, vanno incontro.
In tu gli adul che si accingono a lavorare con gli adolescen , quindi,
qualsiasi sia la loro par colare professionalità o la loro posizione nei
confron del preadolescente, nascono dei problemi ineren il rapporto con
il viaggio che il preadolescente sta cominciando a fare, ed in par colare: il
fa o che si tra a di un viaggio verso l’ignoto; il fa o che ci si trova di fronte
un viandante che si accinge a par re per il viaggio senza le certezze che
aveva durante la latenza; il fa o che le condizioni in cui comincia il viaggio
sono quelle dell’accentuazione dell’ambivalenza nei confron delle figure
adulte; il fa o che il viandante da una parte è impaziente di cominciare il
viaggio, di a rezzarsi autonomamente per avventurarsi in mare aperto,
dall’altro è tentato a regredire, a dipendere ancora dall’adulto.
Il che, beninteso, non significa compiacerli e porre i presuppos per
acconsen re a costruire, ad esempio, una banda di po para-
delinquenziale; bensì essere disposte a definirvi come modelli deboli,
fallibili, raggiungibili, ripara vi, ma fermi, rassicuran , costan nella
dedizione, estremamente discre e pron , sopra u o, a ri rarsi al primo
accenno d’insofferenza e di disagio.
C – Adolescen e adul oggi, a Reggio Emilia
Diventare adulto? Un’esperienza di volontariato
giovanile nel percorso dipendenza - autonomia
Deliana Bertani
Perché questo tolo :
* Esiste dal 1991 un ‘ esperienza di volontariato giovanile all’interno
dell’azienda USL che ha pian piano assunto dimensioni quan ta ve
importan - sono ormai anni che il numero dei volontari in a vità si
aggira sui 100- 120 , nel 1998 il numero di ore lavorate è stato di 4542
cui vanno aggiunte il grosso pacche o di ore prestate da giovani
minorenni - ; che ha esteso ,ar colato gli ambi di a vità e le
inizia ve.
Mi è sembrato una buona occasione questa per far conoscere ai colleghi il
proge o e per proporre alcuni elemen di riflessione sull’esperienza
stessa, su alcuni significa che sono anda evidenziandosi nel tempo.
Infa il proge o e la sua organizzazione non sono sta tu pensa e
disegna a priori ma sono cresciu nel tempo rielaborando il lavoro
compiuto e le esigenze via via emergen , ar colandosi a raverso
definizioni formali e nel contempo esplorando e valorizzando aree
informali, si sono colloca in maniera flessibile entro spazi inters ziali, non
occupa dalle is tuzioni e dai campi specifici di competenza.
* La quasi totalità dei volontari di Gancio Originale - questo è il nome
del proge o- è formata da giovani che hanno un ‘ età che va dai 18 ai
24 anni, età che può essere definita sia come tarda adolescenza che
come prima età adulta.
Anni ponte fra due stadi di sviluppo: l’adolescenza e l’età adulta. Due stadi
di cui sappiamo facilmente riconoscere e collocare ( quantomeno abbiamo
i riferimen fisiologici) l’inizio del primo. Non altre anto facilmente , oggi
nella nostra società, riusciamo a collocare la fine dell’adolescenza, l’entrata
nell’età adulta , perché come ben sappiamo anche se i compi evolu vi -
raggiungimento della separazione e di uno stato di indipendenza dai
genitori, configurazione stabile di un’iden tà sessuale, sviluppo di un
personale sistema di valori, capacità di stabilire relazioni sociali durature e
relazioni sessuali di in mità e di sessualità genitale, riavvicinamento ai
genitori so o il segno di un rapporto basato su una rela va uguaglianza -
sono sta porta a termine , allorché non ci può essere l’impegno nel
mondo del lavoro diventa difficile per un giovane
raggiungere un legame durevole con la società, acquisire un ruolo sociale
che gli fornisca un esame di realtà autonomo e gli perme a di impadronirsi
stabilmente della chiave di volta dell’età adulta cioè della capacità di
comprendere e acce are le conseguenze dei propri a e delle proprie
credenze e di assumersene le responsabilità .Non è una novità che la
nostra società a fa ca riesca a fornire appoggi alle iden ficazioni future ai
giovani che si trovano alle prese con il problema di trovare ruoli adul
gra fican e significa vi.
Questa situazione può sfociare in sen men ambivalen verso il fa o di
entrare nell’età adulta.
Gancio Originale è nata come un’inizia va semplice , dare risposte a un
‘area di bisogni aggiun vi che non possono essere soddisfa dai servizi
eroga da se ori specialis ci - il proge o è nato all’interno della NPI e
della Psicologia Clinica- risposte consisten essenzialmente nel prestare
aiuto a minori disabili e a rischio per quanto concerne l’a vità scolas ca e
di tempo libero.
La semplicità ha preso rapidamente spessore ed è diventata un lavoro
complesso e raffinato, oserei dire, su due versan : 1)quello appunto
dell’aiuto a minori disabili e a rischio che è diventato sopra u o vera e
propria a vità preven va e di recupero con categorie a rischio ,infa si
sta facendo un grosso lavoro con preadolescen in difficoltà scolas che,
comportamentali e relazionale grazie anche alla successiva alla
coniugazione di Gancio Originale con gli psicologi rocinan e con l’Open
G.
2 ) l’altro , scoperto cammin facendo , di vero e proprio intervento e
influenza sulla crescita psicologica dei volontari stessi . Ci siamo resi conto
di essere diventa un punto di riferimento, un pale o nel percorso
evolu vo di ques giovani che hanno lavorato e che lavorano con noi.
Siamo entra nel vivo della contraddi orietà delle spinte che ques
ragazzi ricevono durante il passaggio verso l’età adulta : spinte a muoversi,
spinte a rimanere fermi, ad a varsi in impegni altruis ci, a rimanere
blocca dagli al livelli di ideologizzazione che spesso a tali spinte si
accompagna.
Abbiamo capito che G.O. ,con il rispe o dei tempi individuali e con le
proposte di lavoro risultate essere ro e tracciate chiare, scandite, elas che
,interessan , spesso ha suggerito risoluzioni concrete e semplici al
dilemma “divento adulto ? “ Le proposte di lavoro sono risultate essere
ro e tracciate chiare ,scandite, elas che ed interessan .
In questo senso la formazione è stata ed è molto importante. Nata come
formazione collegata all’a vità si è trasformata in un momento che non è
solo di acquisizione di strumen dida ci e di pronto intervento, ma anche
di riflessione intesa sia come invito che va nella molteplice direzione del
fle ere l’altro ( il disabile, il ragazzino problema co) verso le esigenze del
vivere in società, del fle ersi, cioè dell’andare verso l’altro, ma anche del
rifle ere cioè del considerare il significato di
ciò che si sta facendo ed il rifle ersi inteso sia come riconoscersi nell’altro
sia come riconoscersi più cresciu , adul . Da sempre due volte l’anno per
tre serate consecu ve facciamo formazione su
temi , sempre diversi, che traduciamo in piccole dispense da dare ai “
nuovi “. I toli di ques incontri rendono bene il senso del cammino fa o.
Dicevamo che la quasi totalità dei volontari sono persone di età compresa
fra i 18 e i 24 anni, il numero di coloro che sono passa da G.O. in ques
anni si aggira sui 500 circa. Se a ques aggiungiamo l’altro cen naio di
ragazzi fra i 16-17 anni che abbiamo coinvolto , collaborando con le scuole
superiori per la realizzazione di proge specifici, si può vedere l’en tà
numerica dei giovani reggiani con la cui crescita siamo venu a conta o in
un’età par colare difficile tormentata .
* Altro punto interessante su cui rifle ere è lo spazio in cui questo
conta o è avvenuto .
Innanzi tu o uno spazio creato nell’ incontro del servizio sanitario con la
scuola. Uno spazio dentro la scuola ma lasciato libero dalla scuola. Uno
spazio, che nel Convegno del 1 Dicembre1995 , avevamo definito, di
avventura. Nella scuola capita spesso che i ragazzi vivano una situazione
inglobante, is tuzionale, spesso ingessata, poco viva, una situazione in cui
al di là della disposizione, della buona volontà, delle capacità degli
insegnan , vi è la dis nzione dei ruoli e del potere, vi è l’ineludibile fine
sele vo che impedisce lo sviluppo di certe potenzialità. All’ interno della
scuola i ragazzi vivono spesso l’avventura non tanto in spazi di ricerca o di
sperimentazione o di laboratorio, quanto più a raverso il recupero e
l’invenzione di momen di trasgressione . Questo fa o si sta
appesantendo negli ul missimi anni nonostante le proposte ministeriali di
partecipazione dei ragazzi a ciò che li riguarda, i tenta vi di a vizzazione
nell’ambito di proge di educazione alla salute perché essi stessi diventino
protagonis nella ricerca del proprio benessere. Lo spazio proposto da G.
O. si è rivelato acce abile , un’avventura un apprendere dall’esperienza,
uno sperimentare la dimensione dell’inedito e del rischio. Avere a che fare
con l’altro con il diverso perché più piccolo, perché in difficoltà, perché con
handicap, perché appartenente ad una cultura sconosciuta, è un inedito
pieno di sorprese belle e bru e. Avere a che fare con l’altro in questo
spazio è stato per mol ragazzi un inedito, una scoperta di capacità, di
propri aspe sicuramente poco sperimenta .
Questo spazio con ene in nuce alcuni obbie vi che spesso diventano “
nuovi modi dell’essere“ dei ragazzi stessi:
1. autonomia : c’è un contesto che me e di fronte alle proprie
responsabilità, ci sono compi che esigono un esame di realtà, che
fanno sperimentare
1. avventura, cioè la sfida contro se stessi. Si chiedono a vità e
imprese che incanalando la compe vità e l’aggressività
perme ono la sperimentazione delle proprie capacità e dei propri
limi
2. Un rapporto con l’adulto, con l’is tuzione non confli uale e fuori
dal giudizio: siamo noi ad avere bisogno di loro e ad andare a
cercarli - andare nelle scuole classe per classe è stata una mossa
vincente perché , a de a dei giovani stessi , si sentono cerca
personalmente.
Le esperienze proposte sono sempre chiare, precise, condivise con adul in
un confronto dove nessuno ha perso o messo in discussione la propria
iden tà. L’adulto non è presente per proteggere - le protezioni se mai
fanno parte determinante dei vari se ng : non da soli ma in coppia nelle
situazioni più gravi, quasi mai a casa ma in ambien più neutri- per
controllare o passivizzare, ma interviene concretamente per aiutare nel
fare ( programmazione del lavoro, cambiamen negli orari, discussioni nei
momen di crisi, ecc.)
Questo è il senso con cui ho usato il termine avventura, come confronto
con se stessi ,non come evasione, non come regressione verso il mondo
magico dell’infanzia, non come ricerca di sensazioni for , eccitan ,
avventura non come consumo rapido di emozioni e di esperienze, ma
come lavoro paziente, nel quo diano fa o di piccoli passi, di assunzione di
responsabilità e questo penso vada nel senso del “ prendersi cura di sé “, di
trovare delle risposte autonome , appropriandosi di funzioni che
solitamente sono svolte dagli adul e che spesso sono state svolte fino a
quel momento solo dai genitori . Ovviamente la cura di cui sopra è
qualcosa che si svolge nell’ambito della prevenzione della mala a : i
giovani che vengono a lavorare da noi non sono affa o mala se non di
quella “ crisi “ che è so esa nel percorso del divenire adul .
Tu o quanto de o fino a qui, ci riporta alla domanda del tolo : “
Diventare adul ?”
Ci siamo convin che l’esperienza di volontariato di G.O. va nel senso di
aiutare a trovare delle risposte a questa domanda, a capire che le risposte
che si trovano sono sempre parziali, ad apprendere l’incertezza ,
a raverso l’esperienza.
Le cerimonie a uali di passaggio all’età adulta
Leonardo Angelini
1. Labirinto e ri di passaggio
Le cerimonie di passaggio sono un insieme di strategie che tu e le culture
me ono in a o, in determina momen cri ci, per vincere la paura del
cambiamento, del nuovo che arriva.
Queste cerimonie riguardano non solo il passaggio dalla fanciullezza all’età
adulta, ma anche altri momen fondamentali per l’individuo e per il
gruppo sociale, come la nascita, la morte, il matrimonio, il noviziato ecc.
Una delle immagini arche piche che hanno rappresentato il passaggio
dalla fanciullezza all’età adulta è quella del labirinto.
Oggi l’immagine del labirinto riporta alla mente l’idea di un luogo in cui
facilmente ci si può perdere. Ma questa è una concezione recente del
labirinto, riconducibile approssima vamente al Rinascimento (vedi ad
esempio i giardini delle ville rinascimentali).
L’immagine più arche pica, invece, è quella del labirinto come luogo in cui
ci si perde e ci si ritrova : ci si perde come bambini e ci si ritrova come
adul .
Infa , nell’an chità, in tu o il bacino del Mediterraneo, così come in
molte altre par dell’Europa (ad es. la Scandinavia), il labirinto era, come
hanno dimostrato gli archeologi, un luogo inizia co, il luogo principe dei ri
di passaggio dall’età infan le all’età adulta: luogo ele vo di rinascita
psicologica, che veniva proposto, a cavallo della crisi puberale (arrivo del
menarca e della capacità ere va), a ragazze e ragazzi al fine di aiutarli a
ri\definirsi, a ri\iden ficarsi come adul .
Rito di passaggio, quindi, e rito di iniziazione all’età adulta, che veniva
cerimonializzato dalla comunità a raverso una procedura che consisteva
nell’ingresso e nell’uscita dal labirinto.
In questo modo era possibile togliere il non più bambino ed il non ancora
adulto da una penosa e pericolosa condizione di assenza di significato e di
ri-collocarlo nella gerarchia sociale, all’interno di un più confortevole e
meno angosciante universo di cose conosciute e definite.
Infa , terminata la cerimonia, a cui tu a la comunità assisteva, i sacerdo
me evano i ragazzi a conoscenza di quelli che, nella propria cultura, erano
considera i segre della vita. Solo a questo punto diveniva possibile per il
giovane entrare nel “mondo degli adul ” a pieno tolo.
Presso le culture primi ve il luogo inizia co era una caverna, all’interno
della quale vi erano dei dipin di animali feri in pun “mortali”: in questo
modo venivano rivela al ragazzo i segre per sopravvivere in una società
di cacciatori.
In tempi più recen , nelle culture preindustriali, erano in uso delle
cerimonie di apprendistato, che potevano durare anche vari anni, con le
quali il maestro ar giano guidava il passaggio del giovane verso il mondo
del lavoro adulto, rivelandogli i segre del mes ere.
Ma per quale ragione sono così importan , in culture anche tanto diverse,
ques ri di passaggio?
Fondamentalmente queste cerimonie perme ono di superare una
condizione penosa per il sogge o appena pubere e pericolosa per la
società di cui quel sogge o fa parte. Infa l’adolescente si trova in una
situazione di liminarità, posto com’è sul confine tra un mondo che ha ormai
perso ed un universo in cui non è ancora entrato. Contemporaneamente la
società ritualizza per esorcizzare la paura verso un individuo che, essendo
in una fase di cambiamento, non è definibile all’interno di codici cer che
ne perme ano il riconoscimento, la discriminazione e il controllo.
La mimesi della rinascita, rappresentata le eralmente a raverso l’ingresso
e l’uscita, di fronte a tu a la comunità, del neo-pubere nel e dal labirinto
perme eva un rapido ingresso nel mondo degli adul , riducendo il
momento di pericolosa discon nuità ad un insieme di a dovu e
cerimonializza che duravano qualche ora o al massimo pochi giorni,
riducendo il rischio di manifestazioni che avrebbero potuto minare alle
fondamenta l’armonia e la pace fra le generazioni.
2. Ri di passaggio oggi
Si può dire oggi che la nostra società non sente più il bisogno di ri di
passaggio dalla fanciullezza all’età adulta ?
La risposta questo quesito non è semplice.
Innanzitu o va dis nto ciò che effe vamente succede a livello funzionale
dalla coscienza che la società, o, meglio, alcune sue par hanno di svolgere
certe funzioni.
La scuola, così come altri luoghi dell’adolescenza, ad es. le discoteche,
rimane uno dei pochi “labirin ” della società moderna, all’interno del
quale seguendo un percorso che dura 10-15 anni si conduce il fanciullo
verso l’età adulta, a raverso una vaga cerimonializzazione delle tappe della
crescita psicologica. Purtroppo però gli agen adul di queste cerimonie
sono spesso totalmente ignari di essere i sacerdo offician di un simile
rito.
Per il ruolo occupato, gli insegnan potrebbero “dare risposte” in grado di
svolgere la funzione di rinforzi posi vi o nega vi per i ragazzi; invece essi
tendono a produrre risposte tangenziali, cioè risposte che apparentemente
entrano nel merito del problema proposto dal ragazzo, ma in realtà
rimangono in una posizione periferica e superficiale, contribuendo a
mantenere la condizione di liminarità dell’adolescente e delegando
esclusivamente ai genitori il ruolo di sacerdo offician .
Quest’ul mi sono, in genere, più consapevoli di rives re tale ruolo,
sopra u o quando con il figlio adolescente iniziano i confli e si crea la
cosidde a “area di contra azione”, all’interno della quale avviene
progressivamente e lentamente il passaggio verso una sempre maggiore
autonomia, fino a giungere all’uscita dalla famiglia, al distacco sia in termini
fisici che psicologici.
Sono individuabili due esigenze all’origine stessa del prolungamento, nella
società moderna, di quel momento di passaggio, di quella vera e propria
divaricazione fra fanciullezza ed età adulta che abbiamo chiamato
adolescenza (adolesco = mi nutro) e che è il tempo occorrente a nutrire il
non più fanciullo ed il non ancora adulto affinché possa giungere all’età
adulta ben forte e preparato a sos tuire la precedente generazione.
Queste esigenze sono sia di ordine materiale - l’estrema complessità che è
implicita nella formazione di una forza-lavoro ada a alle a uali esigenze
produ ve - sia di ordine spirituale - il fa o che la sogge vità nella società
complessa, per potersi realizzare pienamente, compor un rapporto fra le
generazioni molto meno armonico ed organico di quello occorrente nelle
società più semplici.
In questo modo però l’adolescenza diventa un lunghissimo momento
liminare (per i post-adolescen , cioè gli universitari, pra camente
interminabile) in cui il sogge o che si va formando si trova come sospeso
in un’ “ Isola che non c’è” , cioè in un luogo a parte che ha tu o il fascino,
ma anche tu e le illusioni dell’Isola che non c’è.
La non-coscienza, da parte del mondo adulto, della funzione
cerimonializzante che molte azioni esercitate sui o dai giovani hanno
(pensiamo ai passaggi da una classe all’altra, e da un ciclo scolas co ad un
altro, pensiamo al significato della conquista della no e ed al fa o che ciò
sia fa o spesso in totale mancanza di sintonia col mondo adulto, e con
l’aiuto, sempre rela vo, che può derivare dal gruppo di pari), appare legata
alla enorme dilatazione del cerimoniale, che diventa così una componente
del paesaggio abitato dall’adolescente che risulta invisibile poiché troppo
incombente.
3. Iden tà individuale e gruppale di fronte ai ri di passaggio
Come abbiamo evidenziato il fine ul mo delle cerimonializzazioni era
quello di rivelare agli iniziandi i segre della propria cultura: nelle società di
cacciatori i segre della caccia, in quella agricole quelli che potevano fare
del giovane un buon contadino ; e per le ragazze le a ese di ruolo
connesse con il loro ingresso nella casa come buone madri e buone custodi
del focolare domes co.
Ma, a fianco di queste informazioni, ve n’erano certo altre più legate alla
sessualità e quindi alla ri\definizione di quella che era l’iden tà prepubere
in quella che stava per diventare l’iden tà adulta.
Il labirinto, le iniziazioni in fondo alle caverne preistoriche, i ri
dell’apprendistato, etc. erano cioè i luoghi della rivelazione dei misteri più
profondi ineren al mondo della produzione e della riproduzione : misteri
che, una volta rivela , sancivano l’ingresso in una nuova dimensione sia del
corpo che dell’anima dell’iniziando, che veniva così in\segnato delle
s gmate (spesso reali, oltre che simboliche : pensiamo alla circoncisione)
che a estavano la nuova appartenenza.
A ben vedere la simultaneità con cui sca avano dentro all’iniziando i tre
mer che ne perme evano l’accesso all’età adulta (1. maturità biologica ;
2. maturità emozionale ; 3. autonomia) non perme eva al sogge o di
vivere pienamente la propria sogge vità e quindi di inserirsi in quanto tale
nella società adulta, non gliene lasciava il tempo.
Ne derivava una iden tà adulta in cui l’Io sociale e gruppale avevano
ne amente il sopravvento su quello individuale.
Oggi invece il dilatarsi dei tempi è certamente all’origine del mancato
riconoscimento da parte degli adul dell’importanza del labirinto, e cioè
del rito di passaggio, la cui significazione viene così pressoché totalmente
scaricata sulle spalle del giovane, ma perme e a quest’ul mo di costruirsi
come una palestra della maturità emozionale e dell’autonomia, che gli
perme e di diventare sogge o adulto, con una iden tà gruppale, ma
anche (è questa la novità più sconvolgente) individuale, e perciò
potenzialmente unica e diversa, rispe o a tu o l’universo adulto cos tuito.
Iden tà gruppale ed individuale si pongono così in un equilibrio dinamico
in cui il dato della sessualità (della riproduzione) è ancora una volta,
insieme a quello della produzione, l’elemento centrale intorno al quale si
definisce il mondo dell’adolescente in un rapporto di confronto\scontro
con la generazione precedente.
L’integrazione nella ci à e nei luoghi dell’incontro
Leonardo Angelini
'Tendete la mano ai giovani stranieri che vivono in mezzo a voi.
Sono venu per ricevere, ma anche per dare''.
Carlo Azelio Ciampi
a. Luoghi
1. Quando pensiamo ad un luogo da noi dire amente conosciuto di
solito non ci limi amo ad immaginare le sue coordinate
geografiche, ma tendiamo a riempirlo di una pluralità di significa
che sono il precipitato di tu o ciò che consciamente o
inconsciamente ci riconduce ad esso.
2. Chiamiamo memoria di quel luogo quel precipitato, fru o
dell’esperienza, che rimane dentro di noi e si modifica, più o meno
ampiamente a seconda di tu a una serie di coniugazioni fra passato
e presente, mano a mano che la nostra esperienza si estende col
passare del tempo (Halbwacks).
3. Lo stesso accade allorché pensiamo ad un luogo che magari non
abbiamo mi visto dire amente, ma di cui abbiamo sen to parlare:
ciò che ci riconduce ad esso è la memoria, sedimentata in noi in
base alla esperienza indire a, che è so oposta agli stessi criteri di
sedimentazione e di modifica che presiedono allorché riandiamo ai
luoghi da noi dire amente conosciu .
4. Cosicché, allorché io penserò, ad esempio, al mio paese natale lo
farò par re dalla coniugazione fra l’occasione che ha suscitato il
ricordo e tu o ciò che dentro di me si è andato agglu nando nel
tempo intorno al luogo delle mie origini.
5. E, allo stesso modo, se io faccio il paragone fra ciò che pensavo
delle Torri Gemelle prima dell’a entato dell’11 Se embre e ciò che
associo ad esse dopo quell’evento lu uoso non potrò non notare
che i mo vi che sono evoca in me da quel luogo oggi (che non per
nulla ha cambiato nome: Ground Zero) sono molto diversi da quel
che associavo ad esso prima dell’11 Se embre.
6. E, a pensar bene, anche i famosi “non luoghi” (Augé) di cui si vanno
riempiendo le periferie del mondo assumono un significato diverso
a seconda che noi li a raversiamo veloci e distra nelle nostre auto
o che, per un qualche accidente, vi capi amo dentro e vi res amo
intrappola , in balia dell’aura di anomia e di violenza che da essi
promana.
7. Se poi passiamo dalle associazioni e dalle memorie dei singoli a
quelle dei gruppi sociali ciò che accade è lo stesso: cosa sarebbe per
noi italiani il Piave se l’Italia avesse aderito al pa o di Londra, come
voleva Gioli , e non fosse intervenuta nella I Guerra mondiale? -
Un fiume come un altro. Che cosa sarebbe Auschwitz se non ci
fosse stato il nazismo? - Una anonima ci adina polacca. Cosa Pearl
Harbor se il Giappone non avesse a accato gli USA in quel fa dico
dicembre del ’41? - Al massimo un luogo di vacanze.
8. Cos’è quindi che fa si che i luoghi acquisiscano quei significa sia
all’interno della psicologia dei singoli individui, sia per i gruppi
sociali? Molteplici sono gli appara interpreta vi che nell’ambito
delle scienze umane ci aiutano a comprendere: a. ciò che fa si che
un mero spazio geografico diven per noi un luogo carico di
memoria e pregno di significa simbolici; b. come tali simboli si
modificano nel tempo.
9. Io ve ne voglio proporre tre o qua ro che – pur partendo da
background teorici diversi – presentano una serie di analogie e di
convergenze sia a livello sta co che dinamico, cioè sia come chiavi
interpreta ve della sincronicità che della diacronia: 1. il conce o
sociologico di memoria colle va di Halbwacks; 2. quelli
etnoanali ci di cara ere etnico e inconscio etnico di J. Devereux; 3.
quello di rappresentazione sociale di derivazione psicosociale; 4. ed
infine quello di rappresentazione culturale di Nathan e della Moro.
10. Le analogie e le confluenze presen in ques qua ro approcci sul
piano della interpretazione dei significa che i luoghi assumono sia
per i singoli che per i gruppi sociali sono innanzitu o nell’invito che
da ognuno di essi proviene a non assolu zzare mai ciò che un
luogo (così come del resto ogni altro aspe o della socialità)
rappresen , a storicizzarlo, a cogliere gli elemen di obsolescenza
simbolica sono presen anche nella più grani ca rappresentazione,
e allo stesso modo a guardare con a enzione partecipe ad ogni
indizio che possa preludere ad un nuovo modo di concepire un
luogo.
11. Ma ciò che almeno a me pare come l’elemento di maggiore
confluenza e sovrapponibilità è nel fa o che in tu e qua ro gli
approcci il processo di cambiamento dei significa , così come – si
badi bene – i processi di resistenza a tale cambiamento che ogni
corpo sociale pone in a o, anche nelle situazioni in cui il
cambiamento è più impellente, sono interpreta in base a criteri di
po funzionale e – potremmo dire – sistemico che perme ono di
comprendere la fondatezza e le ragioni sia di chi patrocina il
cambiamento, sia di chi vi si oppone.
12. Cosicché se una ci à, un quar ere, una qualsiasi porzione del
territorio che fino a ieri aveva un proprio profilo, una propria
iden tà, e che oggi, in base la processo migratorio, tende a
modificare tale profilo, a raverso le chiavi interpreta ve che da
ques approcci deriva sarà possibile non solo comprendere le
ragioni che sono alla base del cambiamento e la sua direzione, ma
anche i perché e i percome una parte dei ci adini si acconcia ad
esso o, addiri ura, lo patrocina, mentre un’altra parte vi si oppone
e un’altra ancora rimane disorientata.
13. E nel caso dei problemi della seconda generazione, quella dei
bambini dei ragazzi e dei giovani figli dei migran e degli esuli, sarà
possibile comprendere: a. cosa accade dentro di essi allorché si
ritrovano da una parte a frequentare i luoghi metropolitani dello
studio, del lavoro e del loisir, dall’altra a con nuare a sen rsi figli dei
loro padri e delle loro madri senza eccessive confusioni e
contraddizioni (le contraddizioni fra filiazione e affiliazione, di cui
parlano Natan e la Moro); b. cosa succede nei loro pari autoctoni
allorché si ritrovano con essi a condividere quei luoghi e a ridefinirli;
c. cosa succede infine sul piano intergenerazionale sia fra i migran
sia fra gli autoctoni; come le a ese della generazione che declina si
sposano – se si sposano – con quelle della generazione che avanza;
quali livelli di tolleranza c’è nell’una nei confron delle aspirazioni,
dei proge , degli s li di vita dell’altra.
14. E’ per questa via - io penso – che sarà possibile programmare
processi di po preven vo e azioni sociali volte a governare il
cambiamento indo o dai processi migratori, renderlo più so per
tu gli a ori sociali, ridare significato ai luoghi e alle cose in base
alle esigenze del presente, alle immanenze, consce o inconsce, del
passato, ai proge futuri.
b. Ci adinanza
15. Limitandoci alla storia della borghesia europea il termine ci adino
allude all’inizio – e cioè alla fine del Medioevo - alla condizione di
coloro che, a par re dalla rinascita dei borghi e delle ci à, vengono
a trovarsi in una condizione nuova e più libera rispe o agli abitatori
della campagna.
16. I ci adini cioè sono all’inizio coloro che in un luogo specifico - la
ci à - si vengono a trovare in una condizione di emancipazione dal
servaggio e di inserimento in una rete di scambi materiali e culturali
che fa da substrato alla nascita e allo sviluppo di una nuova classe
sociale, la borghesia, e di nuovi stra , di nuove classi, che intorno
ad essa ed in rapporto ad essa crescono e si trasformano in i nere
in base alle sempre più emergen esigenze urbane.
17. Queste nuove comunità che via via si emancipano dai mille vincoli
che inibivano, se non impedivano la crescita nella vecchia comunità
medioevale, pure hanno bisogno di definire dei confini che le
dis nguano dal resto. Confini che delimitano dei nuovi luoghi, le
ci à, ma anche un universo in fieri fa o di nuovi mes eri, di
competenze nuove, e basato - cosa per noi importan ssima – sul
restringimento dell’area di coloro che per legge hanno diri o a
frequentare quei luoghi, ad accedere a quei mes eri, ad assumere
quelle competenze. Per cui si può dire che la ci à protoborghese
non è solo cinta da mura merlate che veglino sulla nuova ricchezza
fra di esse accumulata, ma anche difesa da ferrei regolamen
corpora vi che delimi no rigorosamente l’ambito della
ci adinanza.
18. Con la Rivoluzione francese, che apre la strada alla vi oria della
borghesia in Europa, il conce o di ci adinanza è come so oposto
ad una improvvisa accelerazione: esso non allude più alla
condizione degli abitan privilegia dei borghi, ma a tu a la
comunità nazionale.
19. Anzi potremmo dire che il collegamento fra ci adinanza e nazione
racchiude in sé molte delle ragioni che furono alla base della
rivoluzione: - l’esigenza di definire un’area ampia per il libero
scambio, coincidente con i confini nazionali, appunto; - la
conseguente delimitazione di un universo interno in cui valesse la
stessa legge per tu ; - la determinazione di un insieme di simboli
collega la conce o di nazione, in cui tu si riconoscessero e in
nome dei quali fossero dispos anche a morire.
20. Si arriva così all’ “Aux armes citoyenne” , a Valmy, alla coscrizione
nazionale, alla nuova concezione della guerra come salvaguardia
degli interessi nazionali, che ben presto diventano interessi in base
ai quali verranno gius ficate la guerra di conquista, l’imperialismo, il
colonialismo.
21. Si arriva così celerissimamente alle varie forme di democrazia
rappresenta va, ma anche - sulla base della san ficazione degli
interessi nazionali - alla nascita delle varie forme del totalitarismo e
della prepotenza delle nazioni ricche nei confron di tu gli altri
(non dico delle nazioni povere perché l’estensione del nostro
conce o di nazione agli altri popoli è di per sé già una operazione
acculturante).
22. Si tra a cioè ancor una volta da una parte di un ampliamento del
conce o di ci adinanza, dall’altra di una sua ulteriore circoscrizione
escludente sia le altre sogge vità presen al di là dei confini
nazionali, sia l’universo di coloro che sul piano interno non
emergono come sogge for : i reclusi, i ma , i disabili, le donne, i
bambini. Insomma di tu coloro che erano lontani dal lavoro -
23. Questo conce o di ci adinanza va in crisi qui in Europa nel secondo
dopoguerra allorché di fronte al nazifascismo, che aveva fa o
strame degli spazi di ci adinanza e di libertà, si sen il bisogno di
estendere ancora l’area della ci adinanza a tu i ci adini europei,
o meglio a coloro che so oscrissero i pa dell’Europa comunitaria.
24. Tale opzione però fin dall’inizio fu contraddis nta da una riduzione
di po economicis co delle ragioni di questa più vasta
appartenenza che si sommò ben presto ad una più ne a riduzione
esercitata nei confron di chi, dall’esterno dell’Europa comunitaria,
premeva per entrarvi e farvi parte.
25. La ci adinanza europea in questo modo è diventata
contemporaneamente l’ul mo confine e l’ul ma barriera connessa
col conce o di ci adinanza e l’avvento in Europa, da una parte,
della società dei consumi, dall’altra della globalizzazione non
possono che acuire l’esigenza di chi è fuori di quest’area di
pervenirvi: da ciò da una parte le richieste dei governi di estendere
l’area dell’Europa comunitaria, dall’altra quella dei singoli di
accedervi aggirando le regole poste dai governi e facendo esplodere
i flussi migratori.
26. In entrambi i casi si tra a di una richiesta di estensione dell’area
della ci adinanza europea, di abba mento delle barriere o di una
loro estensione che vada ben al di là dei fragili confini esisten ad
Est e Sud. In entrambi i casi il risultato è l’innesco di poderosi
processi accultura vi e, conseguentemente, la messa in crisi di un
sistema, di una iden tà colle va alla quale si può rispondere in vari
modi.
27. O arroccandosi sul piano della vecchia ci adinanza e perfino sulla
linea Maginot delle piccole patrie e degli obsole diale locali;
oppure aprendosi al nuovo ed estendendo non solo l’area della
ci adinanza, ma – cosa più importante e prioritaria – andando al di
là di ogni barriera e predisponendosi a diventare ci adini del
mondo. O a raverso processi accultura vi violen in cui la cultura
egemone tende a comprimere e a cancellare tu o ciò che viene
dalle culture vinte (Dupront) oppure a raverso processi
accultura vi so in cui ciascuno – come dice il nostro Presidente –
dà e riceve; riceve e dà.
28. Nel fra empo, da una parte lo sviluppo del welfare ha permesso la
tutela di quei ci adini di serie B che fino a qualche decennio fa non
godevano pienamente dei diri di ci adinanza (anziani, donne,
bambini, etc.), dall’altra le sempre più complesse esigenze
produ ve hanno comportato all’estensione del tempo per lo studio
e per la formazione, che a sua volta ha condo o al
procras namento del passaggio all’età adulta e all’esplosione
dell’adolescenza.
29. Tu o ciò sul piano della ci adinanza implica la nascita di un terreno
nuovo di diri e di a ese che viene ulteriormente sconvolto
dall’emergere della seconda generazione e che si complica
ulteriormente se prendiamo in considerazione i problemi e le
contraddizioni che, sempre sul piano dei diri e delle a ese,
nascono allorché cominciamo a coniugare ci adinanza, confli
intergenerazionali e genere / ci adinanza, migran , confli
intergenerazionali e genere (Spivak).
30. Per comprendere la natura dei problemi presen sul tappeto bas
considerare, da una parte, a ciò che sta accadendo nella scuola, nel
mercato del lavoro giovanile e nei luoghi del loisir di queste nuove
generazioni; dall’altra al tortuoso cammino che le ragazze e le
giovani immigrate devono fare per emanciparsi sia dai richiami e dai
pesan rica del passato patriarcale sia dalle lusinghe e dalle
trappole più so li della società metropolitana: per disiden ficarsi e
re-iden ficarsi sul piano dell’auten cità.
c. Possibilità di scambi e di integrazioni nei luoghi della ci à, oggi
31. Appurato quindi che ciò che intendiamo per luogo è in effe la
rappresentazione sociale e culturale di quel luogo oggi e che l’area
della ci adinanza, nonostante la sua tendenza ad espandersi, non
comprende ancora pienamente i migran e tantomeno i giovani
migran , cerchiamo ora di capire come possa essere possibile
incidere oggi a livello delle rappresentazioni sociali della ci à e della
definizione a uale della ci adinanza in modo che e le une e l’altra
rendano possibile ed incremen no le possibilità di integrazione, di
incontri interculturali e di scambi nelle nostre ci à.
32. Il punto di partenza non può che essere la constatazione che si
tra a indubbiamente di una scommessa e che questa scommessa
può essere persa. Qualcuno ha de o che non sempre io e tu e
uguale a noi (B. Brecht). Perché nell’incontro i tan io e i tan tu
possano confluire in un noi che non mor fichi il profilo di alcune
delle sogge vità che convivono oggi nelle nostre ci à occorre che
si inneschi un processo di rispecchiamento e di contaminazione
capace non solo di rendere obsolete le vecchie rappresentazioni
sociali della ci adinanza e dell’”altro da me”, ma anche di
determinare una direzione di marcia al cambiamento che, come ha
de o di recente il Presidente Ciampi rivolto proprio ai giovani, vada
nel senso dello scambio interculturale.
33. Tale direzione, che gli etnologi chiamano me cciato sociale, infa
non è garan ta dal mero processo di vicinanza e di mescolanza dei
sogge coinvol nel processo migratorio, ma richiede il dispiegarsi
di un insieme di poli che sociali a ve da parte di tu gli a ori
presen sulla scena ci adina, siano essi autoctoni che immigra ,
siano essi sovraccarica del peso delle responsabilità is tuzionali
che gente comune.
34. La posta in gioco, come ancora ci ricorda Ciampi, non è la
definizione di una linea di fra ura con la storia dei singoli e dei
gruppi sociali, come vogliono farci credere i passa s presen in
tu i campi, ma la confluenza di tu e le storie in una nuova storia
che sia il fru o di tu gli scambi materiali e culturali e di tu e le
contaminazioni che lungo il cammino saremo riusci a a uare.
35. Franz Fanon cri cava il conce o di negritude al fondo del quale egli
intravedeva il mito di un impossibile ritorno alle origini precoloniali
da parte dei popoli coinvol nel processo di decolonizzazione. Egli
intuiva che la nuova cultura di quei popoli sarebbe stata quella che
fosse scaturita dal processo di trasformazione in a o, dalla stessa
lo a di liberazione nazionale, in una parola dalla commis one fra
vecchio e nuovo.
36. Allo stesso modo oggi per noi europei non è possibile tornare a
immaginare la nostra cultura così com’era prima dell’avvento dei
processi migratori collega alla globalizzazione. Così come per
ognuna delle sogge vità culturali coinvolte nel processo migratorio
non è possibile compiere quest’a o senza esporsi alle influenze
sociali e culturali che l’Europa ed ogni nostra piccola contrada
rovescia loro addosso fina dal momento in cui cominciano a venire
fra di noi, fino dal momento in cui cominciano a pensare di venire
fra di noi. Che cosa potrà accedere quindi sul piano della
ridefinizione delle iden tà e dei luoghi?
37. Una quindicina di anni fa mi è capitato di passare da Bamberg, una
bellissima ci à tedesca famosa per la sua archite ura barocca.
Mentre camminavo per le strade di Bamberg a un certo punto – era
l’ora di pranzo – no amo una ros cceria. Si tra ava di una
ros cceria turca in cui abbiamo potuto gustare per la prima volta
nella nostra vita – un panino al kebab.
38. Un venditore turco di kebab aveva trasferito con sé a Bamberg
un’arte an ca di cucina mediterranea. Poniamoci ora alcune
domande legate e quindici anni fa e qualcuna all’oggi: a. Come
cedeva allora quel venditore di kebab la ci à che lo stava
ospitando? b. come i ci adini di Bamberg vedevano lui e i suoi
prodo ? c. come noi – mediterranei, ma ignari dell’esistenza del
kebab, e fino quel momento ignari della bellezza di questa ci à
tedesca, vedevamo sia Bamberg che il venditore turco di kebab? d.
e, venendo ad oggi, come vivrà il figlio di quel venditore turco di
kebab l’impresa paterna, Bamberg, se stesso e i suoi biondi
coetanei tedeschi? Le sue rappresentazioni sociali della ci à –
Bamberg in che rapporto saranno con quelle che oggi avranno i suoi
coetanei autoctoni? etc. etc.
39. Dipende da come quel migrante è stato accolto, da come lui e i suoi
si sono dispos di fronte al processo migratorio, da come gli altri
elemen della sua cultura visto che il kebab sicuramente lo era
stato) avevano potuto coniugarsi con quelli della cultura egemone,
da come suo figlio aveva potuto elaborare il confli o fra filiazione e
affiliazione (Moro), da come gli abitan autoctoni di Bamberg
avevano reagito al suo arrivo, etc.- In una parola dalla reale e
specifica modalità con cui sono avvenu lì i processi accultura vi.
40. Sicuramente, di fronte ai mille e mille turchi, italiani, spagnoli, etc.
etc. immigra , quel posto, Bamberg, non è rimasto più quello che
era prima del loro arrivo. Se poi ieri a Bamberg ed oggi a Reggio la
ci à, i suoi luoghi, sono diventa o stanno diventando luoghi
dell’incontro e dello scambio, e non luoghi della discriminazione e
della ghe zzazione dell’altro da me dipende dalla nostra capacità
di estendere il conce o di ci adinanza fino a comprenderli e dalla
loro disposizione ad affrontare il nuovo con coraggio e senza
infingimen eccessivi.
41. Le sfide e le scommesse che, in par colare, i giovani devono
affrontare lungo questo cammino di trasformazione sono tante.
Innanzitu o i luoghi dello studio in ques ul mi decenni (e quindi
ancor prima che i migran arrivassero da noi) sono cambia : in essi
l’atmosfera prevalente non è più quella ossessiva del rituale
pedagogico (Furstenau) volta instaurare in classe un’atmosfera
rarefa a e formale, ma quella isterizzante e ben più carica di
passioni, di informalità e di vicinanza fra docen e discen di cui i
nuovi docen un po’ si gloriano, un po’ si lamentano oggidì
(Angelini, 2003.a). Inu le dire che in questo clima ele rico l’arrivo
delle seconde generazioni contribuisce a bu are benzina sul fuoco
della teatralità e dell’isterizzazione della scena scolas ca.
42. Nei luoghi del lavoro poi i giovani immigra a autoctoni per ora
sono accomuna da un iden co des no di precariato che, però, a
fronte di una congiuntura favorevole (almeno a Reggio Emilia), si
conclude dopo qualche anno con una assunzione a tempo
indeterminato che perme e un recupero di proge ualità che la
condizione precaria impediva. Ma, come ci ricorda Seravalli, se il
ciclo dovesse diventare nega vo (e le ormai eviden tendenze alla
stagnazione ed alla recessione purtroppo vanno in questa
direzione), nei luoghi meno compe vi del mercato globale e negli
impieghi più espos probabilmente si assisterebbe ad una
compar mentazione fra i giovani che con nuerebbe a vedere da
una parte l’uscita, sia pure ‘postuma’, da una condizione di a picità
e di precariato dei più qualifica fra di essi; mentre dall’altra per i
meno qualifica , ed in special luogo per gli immigra , il rischio
sarebbe quello di una cronicizzazione della loro condizione di
a picità con conseguente progressiva marginalizzazione e
svalutazione della loro forza lavoro. Inu le so olineare quali
conseguenze avrebbe sul piano sociale una compar mentazione di
questo genere (Angelini, 2003.b).
43. Interessan mi paiono poi, sempre sul piano del mercato del lavoro,
le considerazioni di Leon e Rebeca Grinberg sulla tendenza delle
seconde generazioni di accedere ai lavori di cura con mo vazioni
preconosce o inconsce di po ripara vo nei confron degli sforzi e
delle sofferenze compiute da parte della prima generazione. Al di là
della rilevanza in termini sta s ci, ora e qui, di questo fenomeno da
loro studiato in Argen na, noi sappiamo che una delle scelte più
dilaceran che il giovane immigrato di seconda generazione deve
compiere è ancora una volta quella di seguire le esigenze presen
sul piano della filiazione (andare subito a lavorare per aiutare l
famiglia ad inserirsi nella realtà metropolitana) oppure di seguire la
propria vocazione, che sicuramente è il fru o di una coniugazione
interna fra esigenze del passato e influenze del presente.
44. I luoghi del loisir ormai da tempo sono luoghi altri, spesso sero ni,
sicuramente liminari e bandi agli adul . Sono gli eredi di quei
luoghi liminari in cui il giovane delle società semplici tendeva a
passare solo il limitato tempo del passaggio, prima di essere
riaggregato nella società in quanto neoadulto. In ques luoghi che i
giovani sono costre con nuamente a re-inventare perché insidia
dal mondo dei consumi che li invade e li svilisce sul piano
dell’auten cità, l’arrivo del giovane immigrato può essere vissuto
dal pari autoctono come una promessa di cambiamento e di
me cciamento oppure come una minaccia e un’intollerabile
intrusione. E, di converso, il giovane migrante può avvicinarsi a
ques luoghi del loisir so o il peso del rica o della vecchia cultura
d’origine dei propri cari e con la sensazione di tradire, oppure
facendo ponte fra vecchio e nuovo. E su questo piano l’arte e la
musica, così come le modalità del ves re e dell’esibirsi, del parlare e
dell’approcciarsi gli uni agli altri mi paiono i terreni di più feconda e
crea va contaminazione.
45. L’importante però è essere coscien che l’estensione del conce o di
ci adinanza, nonostante la nostra buona volontà, è un traguardo
ancora lontano, che l’incontro è una scommessa, che ciò che
diventeranno alla fine le nostre ci à, la nostra lingua, le nostre
abitudini alimentari (etc. etc.) ancora non lo sappiamo.
46. L’importante inoltre è essere consapevoli che ques traguardi non
si raggiungono una volta per tu e, che nella longitudinalità del
passaggio intergenerazionale – come ci ha insegnato Marie Rose
Moro - tu o viene rimesso sempre in discussione.
47. L’importante infine è da questa auspicabile estensione dl conce o
di ci adinanza possa scaturire una pra ca dell’obie vo fa a di
nuove consuetudini, di nuovi usi e nuovi costumi fru o di
rappresentazioni mentali comuni della convivenza e della
democrazia, oltre che dei luoghi e della ci à.
Bibliografia:
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vedrò”, in: Ricerca psicoanali ca, 2003.a , Anno XIV, N. 2, pp. 169 \ 178
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nell’epoca della globalizzazione, op. cit. pp. 25 – 70
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Migrazioni nel tempo e nello spazio
Leonardo Angelini e Deliana Bertani
Se mo seminario al Seminario – Marola 7 e 8 Se . 2004
migrare e mo = dalla radice indoeuropea: mei = passare, da cui il greco:
meibo = io scambio quindi “migrare”allude al passaggio ed allo scambio
Raramente un e mo con ene al proprio interno un insieme di allusioni
così icas camente pregnan : cioè così rappresenta ve di un discorso
profondo sul significato del termine
1. Migrazioni nel tempo 1: da una fascia d’età ad un’altra (tema
dell’IDENTITA’)
– Erikson: i vari passaggi nella vita di ciascuno di noi:
- ogni passaggio una sfida
- tu e le sfide riconducibili ad un unico tema: rimanere se stessi nel
cambiamento
- idem e autos
1.4.1:idem = iden tà = essere uguale a … = tema dell’appartenenza
1.4.2:autos = auten cità = essere se stessi \ autonomia = darsi da se la
propria legge \ tema della dis\appartenenza
1.4.3:emanciparsi (ex – mancipa o) mancipa o = funzione paterna,
equivalente al nostro ba esimo, che segnava l’ingresso in un ambito
preciso dell’appartenenza quella familiare (oggi il cognome)
– diale ca, in ciascuno di noi, fra appartenenza e dis\appartenenza,
fra iden ficazione e disiden ficazione (Octave Mannoni), fra idem e
autos
– tale diale ca si ripropone, in termini più dolen – in ciascuno di noi
ad ogni passaggio:
es. il corpo prepubere del bambino \ il corpo pubere del ragazzo
es. l’adesione alla legge dei padri \ l’is tuzione dentro ciascuno di noi della
propria legge interna
es. le ipotesi che i miei facevano (e ancora fanno) su di me e sul mio futuro
\ quelle che oggi io faccio su me stesso
– ogni sfida implica un lavoro di decostruzione e ricostruzione
dell’iden tà, in cui nulla si perde, ma tu o si ricompone (o tende a
ricomporsi) in un quadro nuovo che si a rezza a dare una risposta
sufficientemente buona alle sfide odierne (che sono diverse da quelle
di ieri e di avan eri)
– in questo lavoro di con nua rimodulazione di se stessi fa ori che
favoriscono una buona rimodulazione devono esserci:
a. nel sogge o (mondo interno sufficientemente integrato e ripara vo) ;
b. e nel contenitore ambientale in cui il sogge o viene a trovarsi (famiglia,
gruppo di pari, scuola)
2. Migrazioni nel tempo 2: trasformazioni all’interno delle singole
culture (tema della TRASMISSIONE CULTURALE)
– Levi Strauss: dis nzione fra società fredde e società calde soc.
fredde = quelle che, nel passaggio da una generazione ad un’altra, si
riproducono sempre uguali a se stesse (oggi pra camente non
esistono più, ma fino alla fine dell’800 Reggio Emilia …)\ soc. calde =
quelle che nel passaggio da una generazione ad un’altra, invece
cambiano in maniera consistente
- la nostra è una società calda .... anzi bollente! a Reggio, nell’arco di
due generazioni passaggio da una società rurale ad una industriale e
post – industriale (in Inghilterra e Francia: 7 – 8 generazioni!!)
- pericolo di anomia: valori vecchi obsole – valori nuovi non ancora
sufficientemente condivisi
- come accade ai singoli individui, anche le società calde (e perciò
anche la nostra) sono so oposte alla sfida: rimanere se stesse nel
cambiamento i problemi, ovviamente, in questo caso diventano
problemi di iden tà gruppale: problemi dell’integrazione fra vecchio e
nuovo: proge , idee, credenze, rappor sociali: immigrazione!
– appartenenza dis\appartenenza nel cambiamento
2.5.1: aggrapparsi ai valori pici della vecchia appartenenza: passa s fuori
dal tempo es. diale o locale e koinè (unione) a livello ‘globale’
2.5.2: aderire entusias camente al nuovo: sospe o di volere bu ar via
diale camente il vecchio (quando noi sappiamo che il nuovo è sempre
figlio del vecchio)
2.5.3: doloroso processo di decostruzione e di ricostruzione es. diale o e
nuovi vocaboli che vengono dall’incontro con i nuovi venu
– Anche questo lavoro – non più (solo) individuale, ma culturale - di
con nua rimodulazione della cultura, cioè di trasmissione culturale
(inculturazione – socializzazione) da una generazione all’altra implica
la presenza di fa ori che favoriscono (o meno) una buona
rimodulazione:
a. all’interno della cultura: plas cità, cioè disposizione dinamica al
rimodellamento
b. e nei contenitori in cui la cultura viene rimodellata:
famiglia Ver cal Transmission
scuola – rapporto con gli altri adul Oblique Transmission
gruppo di pari Horizontal Transmission
.
3. Migrazioni: da un luogo ad un altro (tema dell’ACCULTURAZIONE)
3.1 – Se noi guardiamo al patchwork mul colore delle culture globali in
un momento x (ad es. ora) abbiamo l’impressione che esistano dei
luoghi, corrisponden alle varie culture, suddivisi da confini rispe o a
culture limitrofe, ed omogenei al proprio interno
3.2 – se abbandoniamo però lo sguardo sincronico e guardiamo in
termini diacronici al nostro mondo vediamo che quel patchwork è
andato cambiando nel tempo in maniera a volte len ssima, a volte
(guerre) velocissima
3.3 – uno degli elemen fondamentali che mobilizza il patchwork, che
cioè spinge le culture a rapportarsi fra loro, a contaminarsi l’un con
l’altra è il processo migratorio degli individui e dei popoli
3.4 – ciò viene enormemente accentuato oggi, in base al processo di
globalizzazione, che obbliga anche la cultura più autarchica e remota ad
entrare in conta o con il resto del mondo, con le altre culture
3.5 – il processo di contaminazione e di scambio che solitamente
avviene fra culture limitrofe, e perciò obbligate a entrare in rapporto fra
loro, è chiamato in antropologia: acculturazione campo di studi degli
interscambi che avvengono fra cultura egemone e culture subalterne
allorché entrano in rapporto fra di loro
3.6 – acculturazione violenta \ acculturazione so , e scambio:
es: Roma e Cartagine
es: Roma e la Grecia
es: cris anesimo e ‘gen li’
3.7 – acculturazione oggi: sguardo totalizzante \ sguardi incrocia che si
scrutano e decidono di porsi in una situazione di scambio e di reciproco
arricchimento
3.7.1: sguardo totalizzante = sguardo metropolitano occidentale che
pretende di definire l’altro, che arriva a definire come l’altro deve
definire se stesso (epistemic violence, Spivak)
3.7.2: oppure sguardo che amme e che l’altro ha dei propri occhi, che
producono un proprio sguardo, un proprio sen re, una propria visione
del mondo, una propria capacità interpreta va
3.7.3: ma, anche nel caso in cui la nostra sia una opzione per la
tolleranza: a enzione alla tolleranza repressiva
3.8 – migrazione nel tempo: trasformazione nel tempo: da una fascia
d’età ad un’altra (iden tà) \ trasformazioni interne alle singole culture
(trasmissione culturale)
migrazione nello spazio: da un luogo ad un altro (acculturazione –
autoctonizzazione)
3.9 - differenza fra spazio e luogo:
spazio = conce o fisico, geografico
luogo = ambito dell’appartenenza spazio psicologico (il mio luogo),
culturale (il nostro luogo)
4. Dal mio luogo ad un luogo ‘altro’ (tema della MIGRAZIONE e
dell’ESILIO)
4.1 – Io, la mia famiglia, la mia casa, la mia ci à, il mio paese, la mia
lingua, la mia religione, etc. etc.: la mia iden tà
4.2 – migrare nello spazio: passare da questo luogo ad un luogo altro \
metafora della pianta che viene sradicata e trapiantata in un altro
humus
4.2.1: partenza e rinuncia alla possibilità, alla necessità di par re: chi
resta ed il migrante
4.3 – cause della emigrazione: economiche \ poli che (esule) \ religiose
(USA) \ etc.
4.4 – differenza fra migrante ed esule (Propp: eroe cercatore ed eroe
vi ma)
4.4.1: in più l’esule non ha tempo di fare le valige, di salutare i cari, di
prepararsi (mentalmente) al viaggio
4.5 – il viaggio: le proiezioni nel luogo d’arrivo idealizzazione
4.6 – l’arrivo Totò e De Filippo a Milano (lo stereo po)
4.7 – Come abbiamo già visto, anche il processo accultura vo, connesso
al fenomeno migratorio, implica la presenza di fa ori che favoriscono (o
meno) un buon incontro, uno scambio reciprocamente arricchente:
a. all’interno della cultura ‘vinta’: plas cità, cioè disposizione dinamica al
rimodellamento
b. e nel nuovo contenitore rappresentato dalla cultura ‘egemone’
all’interno della quale il migrante si trova a vivere.
c. entrambi ques elemen funzionano in maniera profondamente
ambivalente
5 Migran e autoctoni nel luogo d’arrivo (tema
dell’AUTOCTONIZZAZIONE)
5.1 – luogo d’arrivo: cultura d’arrivo: nuovi usi nuovi costumi, nuova
lingua, nuova scuola, etc.
5.2 – la doppia ambivalenza del migrante: dalla prima fase
dell’accoglienza all’autoctonizzazione (qui \ lì – acce azione \ rifiuto)
5.3 - la doppia ambivalenza dei figli della cultura egemone: (ora \
prima – acce azione \ rifiuto)
5.4 – incrocio di sguardi \ accavallarsi di ipotesi da una parte e dall’altra
\ ognuno diventa ‘sen na’ delle proiezioni altrui; e\o il contenitore delle
aspe a ve dell’altro
5.5 – ma la sproporzione delle forze in campo e ne ssima: si va dal
rischio della epistemic violence (Spivak) allo scambio solidale e
rispe oso delle altrui visioni del mondo
5.5.1 la violenza epistemica si raddoppia allorché si rivolge contro le
donne e si somma alla violenza esercitata su di esse dai valori
maschilis delle culture d’origine (es. il chador, la clitoridectomia, etc)
5.6 – tu e queste visioni del mondo – metropolitane e patriarcali - sono
des nate ad essere sconvolte dall’impa o fra le varie culture, con
diverse possibilità:
5.7 – cosicché in prospe va:
- o prevale l’imperial I-eye (Spivak) : l’occhio del bianco maschio,
occidentale: che presume il proprio sapere come unico, democra co,
ogge vo e tu o viene ricondo o alla sua dimensione
- oppure dal mix mul colore di culture che si mescolano nasce il nuovo:
NB1: importanza della seconda generazione degli immigra su questo
piano!!
NB2: il ritorno indietro non è possibile sia per i passa s metropolitani,
sia per quelli dei migran vedi cri ca di Franz Fanon al conce o di
negritude
NB3: il nuovo non può prescindere dal vecchio, laddove - nel nostro
caso – sarebbe più opportuno parlare di una pluralità di ‘vecchie
culture’ che sono des nate a ridefinirsi nel nuovo.
Suppor psicopedagogici per l’osservazione e la costruzione di un
rapporto di relazione con il ragazzo straniero
Leonardo Angelini
Reggio E., 5.5.04
a. Suppor psicopedagogici per ragazzi stranieri: un’occhiata agli e mi
1. “Supporto” (sub-porto) significa sostengo; mentre la parola “psicologo”
ci riporta all’area della conoscenza della psiche, e quella di “pedagogo”
(le eralmente paidòs agogòs) all’accompagnamento dei fanciulli: nel
nostro caso di fanciulli, o meglio, di ragazzi stranieri.
2. Il termine “ragazzo” proviene dall’arabo magrebino raqqās: ma guarda
un po’ quali scherzi combinano i processi migratori ... delle parole! E
raqqās significava originariamente corriere, messaggero.
Infine “straniero” proviene dal la no “exstraneus” che significa estraneo,
strano, insolito.
“Ragazzo” quindi è una parola esse stessa ‘straniera’ e, direi, sintoma ca di
quanto i percorsi accultura vi possano essere paradossali.
b. Acculturazione, e acculturazione linguis ca
3. Con il termine acculturazione s amo già in media res: per
“acculturazione” infa di intende un processo in base al quale due o più
culture, nel momento in cui si incontrano, si influenzano reciprocamente.
In questo incontro-scontro vi è sempre una cultura ‘egemone’ ed una
cultura ‘vinta’, con una gamma di possibilità che derivano da questo
incontro-scontro. Ma della natura di questo processo abbiamo già parlato
nei capitoli preceden e ad essi rimandiamo chi volesse approfondire.
4. Acculturazione linguis ca rappresenta uno dei fenomeni più imponen
interni a qualsiasi processo accultura vo. Si tra a di un processo in base al
quale la cultura egemone impone la propria lingua ai sogge delle culture
vinte. Ad esempio, gli italiani che sono emigra negli Usa hanno dovuto
imparare l’inglese; quelli che andarono in Argen na lo spagnolo, ecc.
5. In ques casi solo alcuni elemen della lingua delle culture vinte, dei
diale originari, dei lessici familiari sono passa nell’inglese o nello
spagnolo (ad esempio: il termine “pizza”), mentre fino a un certo punto
hanno fa o parte del linguaggio di una enclave di migran appena arriva ;
e la stessa sorte hanno fa o tante altre componen della cultura originaria
(ad esempio: la religione ca olica).
6. Tu o ciò sempre con una varietà di accen che vanno dall’eclissi delle
lingue delle culture vinte, confinate in enclaves culturali e rido e ad
elemen subculturali e marginali, o ancora a lessici incomprensibili al di
fuori delle mura domes che; fino ad una commis one, e ad un
me cciamento linguis co più o meno accentuato.
7. Vi è qui una prima indicazione di cara ere psicopedagogico: ce la danno
sia Ammon che Baratz - due sociolinguis (cita in: Mioni) che hanno
studiato il rapporto fra lingua nazionale e diale regionali.
Sia Ammon che Baratz parlano dell’importanza per la lingua nazionale (per
la lingua burocra co-curiale, direbbero i sociolinguis italiani) del
confronto e dello scambio fra lingua burocra co-curiale e diale , e danno
un’indicazione di po pedagogico-dida co che chiamano “linguis ca
contras va” in base alla quale dal raffronto e dalla contestualizzazione dei
linguaggi discende una valorizzazione sia della lingua burocra co- curiale
sia dei vari diale .
8. Noi a Reggio Emilia abbiamo portato avan anni fa un’esperienza a
par re dalle indicazioni della linguis ca contras va in una situazione in cui
erano presen sia bambini autoctoni, sia migran provenien dalla
montagna reggiana, sia migran interni provenien dal Sud, sia bambini
sin , con risulta eccellen .
Si tra erebbe di sapere se oggi, di fronte alle 105 culture presen a Reggio
Emilia un approccio sociolinguis co basato sulla linguis ca contras va
potrebbe avere senso, e come.
c. La scuola come luogo basilare dell’acculturazione linguis ca
9. Par amo sempre dall’e mo: “scuola” - come ci suggerisce il Devoto -
significa “riposo”, “non lavoro”. Mentre il termine “studio” ci riporta alla
funzione dell’“appoggiarsi, dell’applicarsi a qualche cosa”. Quindi la scuola
può essere vista come un luogo che precede quello del lavoro, e lo studio
come un’applicazione che per ora è gratuita, ma che nel tempo potrà
diventare più funzionale alle esigenze sociali; ma quest’ul ma
considerazione, a ben vedere, è già una forzatura.
10. La scuola però è anche luogo di acculturazione linguis ca per
eccellenza, poiché è il luogo di acquisizione della lingua burocra co-curiale
che, in una società complessa, è uno degli strumen più importan di
integrazione, di acquisizione di una coscienza nazionale, ecc. .
In una società che ha un mercato limitato l’apprendimento della lingua
burocra co-curiale è limitato solo alle élite: pare che al momento dell’unità
d’Italia solo 200.000 persone conoscessero l’italiano. Poi quando i
contadini hanno cominciato a lasciare il lavoro nei campi e si sono
trasforma in operai hanno potuto farlo solo grazie al fa o che in parallelo
la scuola pubblica ha insegnato loro una lingua con la quale potevano
comunicare anche al di fuori delle anguste mura del proprio municipio.
11. Grazie a questa collocazione che la pone prima del lavoro e grazie a
questa propensione alla propagazione della lingua burocra co-curiale oggi
la scuola può con nuare a svolgere - qui da noi lo fa -
quest’importan ssima opera di propagazione della lingua nazionale.
E lo fa a raverso l’acculturazione linguis ca che serve a preparare al lavoro
ed all’integrazione la seconda generazione degli immigra . Può farlo in
diversi modi, più o meno feroci. Educare - da ex-ducere, e cioè “portar
fuori” - allude sempre ad un’operazione ‘violenta’ che comporta una
trasformazione del sogge o educato!
12. La scuola è stata ieri, e con nua ad essere oggi per gli autoctoni luogo
di incontro e di sutura fra due generazioni, in cui la generazione che declina
passa alla più giovane che emerge la cultura, le competenze, la scienza,
ecc.; e la più giovane fa propria, agglu na, ciò che ha ricevuto in eredità!
Ma oggi la scuola è anche luogo di incontro e di sutura, e cioè di
acculturazione fra esseri che provengono da diverse culture, che sentono
dentro di loro il peso di diverse appartenenze.
d. L’osservazione e la costruzione di un rapporto di relazione
13. In questo caso l’e mo non aiuta poiché allude ad un significato arcaico
del termine, che alludeva all’obbligo dell’osservanza (conservo-verso).
Sappiamo invece che, nel nostro caso, e cioè in ambito psico-pedagogico,
l’osservazione è alla base della spirale della programmazione, seguita dalla
stesura dell’ipotesi, che dovrà avvenire in base all’osservazione; dalla
conseguente sperimentazione e dalla verifica in base alla quale sarà varata
una seconda e poi una terza …. osservazione.
14. Sappiamo anche che in Italia nasce, insieme alla programmazione di cui
è parte, in polemica con i programmi centrali di gen liana memoria, che
proponevano programmi preconfeziona e funzionali ad altri fini più
circoscri rispe o a quelli che a ualmente la scuola si propone di
perseguire.
La programmazione cioè nasce con la scuola di massa ed è uno strumento
volto a comprendere i bisogni a uali di studio di una platea molto più
ampia e variegata di quella cui si rivolgeva la scuola gen liana.
15. Sappiamo quindi che la programmazione è il segno dis n vo
dell’innovazione. Per noi che ci riferiamo alla psicoanalisi però
l’osservazione è monca se non comprende anche l’auto-osservazione, cioè
la riflessione su se stessi. Un me ersi in gioco che il rapporto con l’alterità,
come vedremo fra un poco, esaspera.
16. La parola “costruire” - da cum-struere, cioè ammassare, me ere
insieme - collegata alla relazione, ci suggerisce che all’interno del rapporto
di relazione non c’è niente di dato; che tu o va tu o costruito, va sub-
portato.
17. Vi è qui l’allusione ad un doppio sforzo: - di comprensione di ciò che
avviene fuori di noi allorché arriva uno straniero, sforzo compiuto in base al
primo fondamentale movimento di estroflessione e di successiva
riflessione che è l’osservazione; - di comprensione di ciò che avviene
dentro di me di fronte all’alterità, allo straniero: sforzo compiuto in base ad
un secondo e complementare movimento di introflessione e di successiva
riflessione su ciò che ho visto guardandomi dentro che è l’auto-
osservazione.
18. Il “rapporto di relazione” invece implica - anche con la sua ridondanza
(che non è mia ma di chi mi ha fornito la traccia di questo nostro incontro)
- la costruzione di una connessione, di un riferimento (re-ferre) che ci ri-
porta sul piano dei difficili processi di iden ficazione con l’altro da me.
e. Quali suppor psicopedagogici?
19. Vediamo ora quali a mio avviso possono essere i suppor
psicopedagogici che perme ano l’iden ficazione con l’altro da me e la
costruzione di programmi vol all’integrazione ed al me cciato sociale. Ne
elenco una decina. È chiaro che per ognuno di essi sarebbe necessario
volgere una più par colare a enzione:
a. l’affinamento delle capacità osserva ve ed autosserva ve;
b. la disposizione a entrare e rimanere in conta o, sul piano
iden ficatorio, con elemen che vengono dall’estroflessione e
dall’introspezione, dalla loro coniugazione con le altre nostre par interne,
senza eccessivi mori di esserne sconvol ;
c. la conoscenza e l’amore per la conoscenza: la conoscenza in questo caso
sarà anche di po etnologico ed etnografico (il che in Italia, dove non esiste
ancora un percorso di studi specificatamente etnologico, è una vera e
propria sfida sul piano della conoscenza, e della conoscenza trasforma va
in par colare);
d. la confidenza con il proprio preconscio, cioè con le proprie intuizioni; e
la capacità di far seguire alle intuizioni i fa , che nel nostro caso sono i
programmi;
e. la disposizione a stendere ipotesi di lavoro psicopedagogico che ‘li’
comprendano in termini discrimina ed individualizza , così come
facciamo solitamente con gli autoctoni; nel rispe o per la loro iden tà e
nella consapevolezza che ogni sforzo fa o oggi dovrà fru ficare domani
(capacità di tollerare le frustrazioni);
f. osare, sperimentare ciò che deriva dalla mia osservazione, dal mio
sapere, dal mio intuito; prendere appun a caldo; rifornirsi di maestri ad
hoc che supervisionino il nostro operato;
g. non scartare mai alcuna idea;
h. nei follow up, nelle verifiche osare, par re dagli insuccessi;
i. imporre alle autorità una formazione con nua, contro il semplicismo in
base al quale (per risparmiare) basta la buona volontà e qualche
giaculatoria;
m. evitare l’acquisizione di una formazione narcisis ca, che si bei dei
risulta raggiun , ma fissarla a par re dai reali momen di crisi.
20. Ed, in conclusione, prevedere una supervisione individuale o, meglio, di
gruppo per potere a uare in maniera professionale quanto de o nei dieci
pun preceden .
Bibliografia:
- Mioni A. M., Sociolinguis ca, apprendimento della madre lingua e lingua
standard, in Renzi L., Cortellazzo M. (a cura di), La lingua italiana oggi, un
problema scolas co e sociale, Il Mulino, Bologna, 1977, pp. 75\92
- Devoto G., Avviamento all’e mologia italiana, Mondadori, Milano, 1979
Note
[←1]
Di cui allora faceva parte chi scrive.
[←2]
oltretu o Reggio Emilia in quegli anni non era ancora una sede universitaria.
[←3]
La Manoukian Olive , che ci ha scoperto e ci ha proposto all’a enzione di una ci à
e della comunità dei social worker ci adini che nei primi anni non aveva dato
soverchio peso a Gancio (dato che non costava niente!) a proposito del nostro nome
ebbe a dire: “.. Lo stesso nome che è stato dato al proge o - "Gancio" - è il nome di
un ogge o semplice che fa parte della quo dianità di tu noi: è però un ogge o
che può assumere significa nuovi e diversi, "originali". E allora la "semplicità" si
stacca dall'esilità del senso comune, prende spessore e diventa risultato importante
ed efficace di un lavoro raffinato e complesso che ha visto all'opera persone
imprendi ve e generose a cui chi si occupa, come me, di servizi sociosanitari, è
davvero grato.” (da: Franca Manoukian Olive , Prefazione al testo: “Volontariato –
Gancio Originale. Processi di informazione formazione trasformazione”, a cura di L.
Angelini, D. Bertani e M. Can ni, Provincia di Reggio Emilia, 1995
[←4]
Cfr.: L. Angelini, “Il caso Reggio Emilia – La parabola del welfare emiliano”, in: La
rivista del Manifesto, Aprile 2002 – n.27, pp. 49\54
[←5]
Lavoro riabilita vo che in età evolu va richiede anche la collaborazione della
scuola e di vari altre en tà istituzionali, diventando così anche un lavoro
interis tuzionale.
[←6]
E ci piace ricordare qui il compianto Prof. Bortolani, preside del BUS Pascal come il
primo nostro interlocutore ‘organico’.
[←7]
Si pensi ai vari professionis della cura che con nuano a spendersi gratuitamente
con noi sul piano formativo!
[←8]
Il testo “Bambini e ragazzi a rischio fra famiglia, scuola e strada” infondo non è che
la sommatoria di due percorsi forma vi da noi svol in quegli anni: uno con gli
operatori GET e con la prima generazione dei nostri giovani psicologi rocinan che
– come vedremo fra un po’ recuperammo in quelli anni al lavoro con Gancio, l’altro
con i docen delle scuole elementari e medie.
[←9]
Cfr. in proposito la relazione di F. Romano: ”Donna: presenza concreta e discreta”,
in: "Gancio Originale " – Processi di informazione, formazione e trasformazione” op.
cit.
[←10]
Usiamo qui il termine ‘terapia’ nel suo significato originario di ‘cura’.
[←11]
Non è per caso che era proprio questo il nome che nella bo ega ar giana assumeva
il più anziano che poi era spesso anche il tolare della bo ega.
[←12]
Cfr. : Angelini L., Affabulazione e formazione, Docen e discen come produ ori e
fruitori di tes , Unicopli, Milano, 1998
[←13]
come abbiamo cercato di me ere in luce nella nostra riflessione del rapporto tra
rocinan e tutor. Cfr.: Tirocinan e tutor: il rocinio come cerimonia di
aggregazione del giovane nell’età adulta, del neoprofessionista nella professione,
Coop Nordest, Reggio Emilia, 2002, a cura di Leonardo Angelini, Deliana Bertani e
Mariella Can ni
[←14]
Cfr. F. Manoukian Olive , Prefazione al testo: “Volontariato – Gancio Originale.
Processi di informazione formazione trasformazione”, 1995, op. cit.
[←15]
come conferma una recente ricerca svolta dall’Osservatorio per le famiglie reggiano:
“Storie di Famiglie: bisogni e risorse nei raccon di vita familiare a Reggio Emilia”, a
cura di Vanna Iori e Marita Rampazi, Strumen N. 3; Comune di Reggio Emilia, 1998
[←16]
Cfr: Sportelli e re di counselling nelle scuole della provincia di Reggio Emilia, L.
Angelini e D. Bertani, in: Animazione sociale N.6\7 del 2006, pp.72\83
[←17]
Cfr. D. Bertani, Workshop ed ingresso in preadolescenza: difficoltà, problemi, in: L.
Angelini, D. Bertani, P. Bevolo, P.G. Fagandini, Bambini e ragazzi a rischio fra
famiglia, scuola e strada, Unicopli, Milano, 1999
[←18]
Cfr. L. Angelini: Insegnamento e apprendimento: l’inserimento a scuola dei
bambini e dei ragazzi immigra , in: L. Angelini, D. Bertani; M. Can ni (a cura di),
‘Volontariato – Gancio Originale, Amministr. Prov. di Reggio E., 1995
[←19]
[←20]
[←21]
[←22]
[←23]
[←24]
Sul conce o di liminarità nei momen di passaggio Cfr. Van Gennep
[←25]
Cfr. in proposito il 2° Cap. di “Affabulazione e formazione”, in tolato “Learning
diseases e teaching diseases: il desiderio dei docen e dei discen fra sublimazione
e difese patologiche”.
[←26]
Per sistema educa vo Egle Becchi intende quel tessuto, fa o di pra che educa ve,
che comprende la scuola, ma non si esaurisce assolutamente in essa, e che si dirama
all'interno di varie is tuzioni, o in luoghi meno formali (Becchi, 1987), che hanno
come fine più o meno esclusivo, più o meno marginale, più o meno autocosciente,
quello dell'educazione, secondo procedure che sono inscri e all'interno delle
singole tradizioni is tuzionali e non, e che sono sogge e a più o meno rapidi
cambiamen a seconda delle concrete condizioni storiche in cui concretamente
operano i sogge che a tali pra che sono socialmente prepos .
[←27]
Invece a livello formale il quadro dell’is tuzione – scuola è rimasto ancorato alle
vecchie regole della scuola tradizionale ingenerando non poche ambiguità
aggiun ve ad una situazione che già presenta in sè, come vedremo, mol elemen
di confusione e di malessere lega alla nuova situazione.
[←28]
Teatralizzazione che, si badi bene, non è ‘la’ difesa presente nella scuola d’oggi (così
come la cerimonializzazione non era ‘la’ difesa di quella di ieri), ma semplicemente,
nell’un caso e nell’altro, il mbro secondo il quale si esprimono le difese
[←29]
Ad esempio è in ques luoghi che, di fronte a domande quali: ‘Quan sono i giovani
che usano droghe leggere?’, si innescano risposte del po: ‘Da noi nessuno, ma da
una inchiesta fa a in ci à emergerebbe una percentuale di …. (e giù cifre da far
tremare i polsi)’, che paradossalmente fanno da megafono alle più angoscian
leggende metropolitane sui giovani.
[←30]
Per ‘pseudosegnalazione’ intendo quel po di richiesta fa a a volte in scuola,
sempre in momen e tempi inters ziali, che non vanno lasciate cadere poiché
spesso riemergono in sede di consun vo di fine anno so o forma di ‘ma io le avevo
chiesto .. e lei non ha fa o niente’ che però si riconoscono per il semplice fa o che
cadono non appena il counsellor me e mano all’agenda per fissare un
appuntamento sull’argomento.
[←31]
Cfr. il recen ssimo studio sull’industria reggiana a cura di Basini e Lugli, che - fra
l’altro - riferendosi all’intera regione Emilia e Romagna dice: “Secondo l’Ufficio
regionale del lavoro, dal ’37 al ’52 la piccola industria e l’ar gianato , che vivono
delle commesse della grande industria, perdono il 40% dei pos di lavoro. Le 74.000
unità produ ve, che nel ’37 occupavano 295.000, nel ’51 si riducono a 58.000 e
occupano 268.000 persone.” (ivi, pag. 143)
[←32]
Ma le possibilità che il dato del solidarismo, pico degli esordi del modello
emiliano, valga anche per situazioni come la Lombardia o il Veneto, andrebbe più
a entamente studiata. Certo è che, ad es. nel mantovano e nel cremonese, la
nascita del movimento coopera vo bianco alla fine dell’800 è un segnale che va in
questa direzione.
[←33]
Da : “La popolazione reggiana”, Amministrazione Provinciale di R.E., 1990, pp.60-61