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Titolo | Volontariato Gancio Originale: processi di informazione, formazione,

trasformazione
Autori | (a cura di) Leonardo Angelini, Deliana Bertani, Mariella Cantini
Copertina: Simona Valcavi
 2022  
--
Dino Angelini
Via Ettore Barchi 8 - 42123 Reggio Emilia
dinange@gmail.com
3497190911
Indice

Cosa sono i Quaderni di Gancio Originale


Prefazione
L'originalità di Gancio Originale
Necessità di definire una "Alleanza per ..." - Il rapporto adulto-bambino
Onnipotenza e impotenza
Per saperne di più sulla patologia
L'osservazione del diverso da me: guardare, sentire, vedere
Cosa accade in una famiglia quando nasce un bambino disabile
Handicap, disagio e attività espressive
I linguaggi non verbali: una risorsa da sapere utilizzare
Egoismo - altruismo
Immigrazione: diversità, uguaglianza
Pedagogia e didattica dell'integrazione scolastica dei bambini e dei ragazzi
immigrati
Insegnamento e apprendimento: l'integrazione a scuola dei bambini e dei
ragazzi immigrati
Donna: presenza concreta e discreta, ovvero: la presenza invisibile. Perchè
nel volontariato vi sono per la maggior parte donne?"
Sessualità e identità
"Odi et amo": aggressività e amore nel giovane handicappato
I quattro luoghi dell’adolescenza
Lo specchio impossibile: problemi di identificazione con ragazzi
handicappati
La rete delle associazioni di volontariato reggiano operanti nella fascia
dell'età evolutiva
Il disagio minorile in provincia di Reggio Emilia
Coniugare, coniugarsi: i "ganci" interni ed esterni che permettono di
operare creativamente
Il preadolescente a rischio e l'adulto
Postfazione - "L'impegno nella cura ed il disimpegno dalla adolescenza: il
giovane e la giovane nel volontariato aspetti psicologici"
Gli autori
 
Cosa sono i Quaderni di Gancio Originale 
I Quaderni di G.O. contengono le relazioni tenute alle giovani e ai giovani nostri volontari
ed ai nostri tirocinanti all’interno dei vari momenti formativi che inizialmente si
svolgevano due volte l’anno, e che in seguito si sono trasformati da una parte in atelier
pratici tenuti durante l’anno, dall’altra in una lunga serie di “Seminari al Seminario”, tenuti
a Marola ai primi di Settembre di ogni anno; ed in veri e propri cicli d’incontri su temi
specifici (è il caso, ad esempio di “Tirocinanti e tutor”) ai quali hanno spesso partecipato -
sempre gratuitamente- tirocinanti, psicologi, NPI, educatori, docenti, pedagogisti,
provenienti spesso da ogni parte d’Italia.
L’idea che abbiamo avuto fin dall’inizio è stata quella di non ripetere sempre gli stessi
argomenti, ma di partire ogni volta dalle esigenze e dalle urgenze dei volontari e dei
tirocinanti che operavano con noi. 
Ovviamente questo andamento apparentemente discontinuo, basato sulle urgenze del
momento, unito al fatto che sia i volontari che i tirocinanti variavano di anno in anno
ingenerando un considerevole turn over, trovava un a sua ratio nel lungo periodo solo nella
misura in cui di ogni argomento affrontato nel tempo fosse lasciata traccia in relazioni
scritte che venivano ciclostilate e offerte ai nuovi arrivati, in modo che ognuno avesse la
possibilità di poter attingere a ciò che era stato già discusso e ‘studiato’ negli anni
precedenti.
Ogni tanto, allorché ci era possibile farlo, le varie relazioni: - o venivano composte nei
Quaderni, in modo tale da recuperare nel tempo il filo rosso che le unificava (da ciò le
frequenti ripetizioni riscontrabili nelle sei raccolte!); oppure, di fronte ad argomenti che
richiedevano una riflessione più organica, diventavano l’ossatura di veri e propri percorsi
formativi, dai quali poi sono nati vari testi. Vedi ad esempio: e “L’adolescenza nell’epoca
della globalizzazione. Unicopli, 2005”, e “Free Student box. Counselling psicologico per
studenti, genitori e docenti. Psiconline, 2009”.
Un ultimo cenno ai relatori: nei limiti del possibile abbiamo cercato di offrire a tirocinanti
e volontari il meglio che era possibile trovare in città, in provincia, e anche ‘fuori’. La
maggior parte di loro non ha ricevuto alcun compenso per questo impegno; per cui si può
dire che anch’essi, in quanto volontari, hanno fatto parte a pieno titolo di “Gancio
Originale”. Li ringraziamo ancora una volta per questa loro disponibilità. Così come
ringraziamo presidi, docenti, e tutti coloro che ha collaborato con noi in quegli anni! 
“Dare, ricevere, contraccambiare”: è all’interno di questa logica che si sono posti nei 25
anni scolastici intercorsi fra il 1990\91 e il 2014\15 i nostri 12.000 volontari, i nostri
tirocinanti psicologi e no. Ed è all’interno di questo scambio che abbiamo cercato di porci
noi stessi, cercando di dare ciò che potevamo, e ricevendo tantissimo da tutte e da tutti.
(L.A., D.B., M.C.)
 
 
 
Prefazione
 
di Franca Olive Manoukian
Milano, Maggio 1995
 
 
E’ curioso a vedere che quasi tu gli uomini
che valgono molto, hanno le maniere semplici;
e che quasi sempre le maniere semplici sono
prese per indizio di poco valore.
G. Leopardi
 
L’inizia va che viene descri a in questo testo può sembrare “semplice” sia
per i suoi contenu che per i modi con cui si è sviluppata, che per le forme
in cui viene comunicata. Lo stesso nome che è stato dato al proge o -
“Gancio” — è il nome di un ogge o semplice che fa parte della
quo dianità di tu noi: E' però un ogge o che può assumere significa
nuovi e diversi, “originali”. E allora la “semplicità” si stacca dall’esilità del
senso Comune, prende spessore e diventa risultato importante ed efficace
di un lavoro raffinato e complesso che ha visto all’opera persone
imprendi ve e generose a cui chi si occupa, come me, di servizi
sociosanitari, è davvero grato.
Il proge o “Gancio Originale” rappresenta in modo tangibile la
realizzazione di un’impresa sociale, intesa come “intrapresa, che produce il
sociale, che crea valore sociale aggiunto”, Come sperimentazione di
“un'assistenza che intraprende”, di un’assistenza che u lizza il mercato e le
sue potenzialità (0. De Leonardis, D. Mauri, F. Rotelli, “L’impresa sociale”,
Anabasi, Milano 1994).
E’ opportuno ed u le che sia conosciuto, e riconosciuto non solo e non
tanto a scopo di documentazione o di esemplificazione, quanto piu osto a
scopo di ricerca: rileggere e rifle ere sui percorsi e i materiali costrui per
mantenere, riformulare e sostenere la finalità di un proge o nel sociale,
consente di apprendere dall’esperienza, di esplorare e individuare i fa ori
che qualificano il proge o stesso, di iden ficare modalità e competenze
che più di altre vanno messe in campo per dare concreta a uazione a ciò
che mol auspicano ma ancora pochi riescono a portare a compimento.
E’ in quest’o ca che mi perme o di segnalare al le ore, con qualche
indicazione schema ca, qualche elemento degno a mio avviso di
par colare a enzione.
Il proge o prende vita all’interno di un servizio specialis co, come quello
di "Neuropsichiatria Infan le"1, dal riconoscimento che gli interven
professionali propri del Se ore possono essere u lmente affianca da
inizia ve che promuovano per i bambini esperienze di conta sociali, di
tempo libero, di supporto all’a vità scolas ca. Questo significa che gli
orientamen di lavoro presen nel Servizio fanno riferimento ad un
paradigma di conoscenza e di azione, aperto alla complessità. I saperi e i
metodi professionali si pongono rispe o ai problemi in modo parziale,
proponendo il proprio contributo e al tempo stesso riconoscendone la
specificità e i limi . A fronte di problemi che si radicano e si sviluppano per
una pluralità di fa ori che non possono essere elimina o influenza da
tra amen specialis ci, si ipo zza che sia opportuno a vare risorse
mul ple su più fron e a più livelli e che sia possibile convogliare diverse
energie su obie vi circoscri di contenimento e miglioramento delle
difficoltà dei bambini e delle loro situazioni di vita quo diana.
Il proge o promuove una stre a collaborazione tra Servizio pubblico e
volontari, giovani ci adini - priva - che me ono a disposizione tempo ed
interesse. Negli ul mi anni si sono da ogni parte leva cori di
raccomandazioni per il coinvolgimento del volontariato, per la
combinazione di interven pubblici e priva , per lo sviluppo di sinergie tra
en pubblici e inizia ve private: raccomandazioni forse suggerite da
constatazioni di frequen diatribe e confli , di divergenze e accuse o
svalutazioni reciproche.
Nell’esperienza del “Gancio Originale” mi pare che la cooperazione sia
stata e sia par colarmente feconda perché si avvia e si costruisce in
un’o ca per così dire di “basso profilo”, in cui è molto presente
l’inves mento sui problemi che ci si propone di ges re, sugli aspe
concre dell’a vità o almeno ques non sono appia e del tu o
subordina a richieste di adesioni totalizzan a principi e scelte ideali.
I ragazzi volontari vedono riconosciuto il loro contributo di solidarietà a
famiglie e bambini appartenen a cer gruppi e a certe fasce che hanno
difficoltà di integrazione sociale a raverso i significa intrinsecamente
presen nel loro stare e fare con i bambini: è un contributo che si fonda
sulla condivisione di valori di cui è pubblicamente riconosciuta
l’importanza, ma che non devono essere afferma ad ogni costo in
contrapposizione ad altri orientamen e ad altri gruppi.
il proge o è sostenuto da un’organizzazione più centrata sugli obie vi che
sulle gerarchie, più a enta a collegare a vità e gruppi diversi che a
definire ruoli e compi ; un’organizzazione che non è stata tu a pensata e
disegnata a priori ma che è cresciuta nel tempo rielaborando il lavoro
compiuto e le esigenze via via emergen ; un’organizzazione che si ar cola
a raverso definizioni formali e al contempo esplora e valorizza aree
informali: un’organizzazione flessibile che si va collocando entro spazi
inters ziali, non occupa dalle is tuzioni e dai loro campi specifici di
competenza, che richiede molta cura e a enzione alle comunicazioni e al
coordinamento.
Il proge o sos ene l’a vità dei ragazzi volontari con inizia ve di
formazione, collegate al lavoro che viene loro chiesto di svolgere con i
bambini. Non si tra a tu avia di un addestramento all’acquisizione di
abilità, né di una trasmissione di conce . Non vengono date spiegazioni di
comportamen , consigli o prescrizioni; vengono piu osto presentate
conce ualizzazioni e riflessioni che aiu no a leggere la complessità dei
problemi e delle situazioni relazionali, ad individuare risorse ed
opportunità e a cogliere i significa di quello che si sta facendo. I temi
tra a accompagnano l’accostarsi alle diverse difficoltà che si incontrano a
conta o con l’handicap e con i processi educa vi.
A raverso l’a vità forma va l’impegno dei giovani volontari diventa
un’esperienza di vita matura va, significa va per la propria vita e per la
propria crescita.
In tempi tanto difficili per i Servizi sociosanitari, tempi in cui si invocano
ristru urazioni radicali, riduzioni degli inves men nel se ore pubblico,
appal ad organizzazioni private, si proclamano principi di efficienza e si
rischiano paralisi opera ve, credo che proge come questo “Gancio
Originale” offrano davvero spun originali per sviluppare quei percorsi di
cooperazione e quelle azioni crea ve e efficaci che possono servire ai
problemi dei bambini, degli adolescen e delle loro famiglie.
 
 
 
 
L'originalità di Gancio Originale
 
L.A., D.B., M.C.
 
 
 
- La nostra specificità
 
Era chiaro fin dall'inizio della nostra storia che alla specificità della nostra
casis ca dovesse corrispondere una specificità della domanda. Secondo la
nostra ipotesi c'era ancora inespressa, ma potenzialmente grande,
un'offerta di prestazione di volontariato.
La domanda, come abbiamo già visto, riguardava un insieme di esigenze
del bambino e del ragazzo disabile che si aggiungeva a quella di po
riabilita vo alla quale, già da più di vent'anni, il nostro se ore forniva
risposte.
L'individuazione degli studen degli ul mi due anni delle superiori e dei
primi anni dell'università come possibili sogge capaci di fornire
prestazioni aggiun ve alle risposte riabilita ve, come aiuto nei compi ,
aiuto in situazioni di tempo libero (uscite, piscina, atelier), animazione
nelle stru ure (Proge o 10, Centro Appoggio), baby-si er per bambini
piccoli e adolescen gravi, é stato il fru o di una iniziale intuizione cui é
seguita una ricerca sul campo che era già "aggancio". Aggancio che ci
proponevamo fin dall'inizio come possibilità di una coniugazione fra due
en tà: il bambino e il servizio che lo aveva in cura da una parte e il
candidato volontario dall'altra, che si ponevano in una posizione di
scambio.
La nostra proposta nelle scuole e nei gruppi giovanili é sempre stata chiara:
2, 3, 4, ore se manali per fare cose precise su un bisogno già individuato
dal servizio, in un luogo altre anto preciso, su di un se ng di volontariato
con scadenze programmate insieme, in cambio di "supervisione" sui casi,
formazione, copertura assicura va ed eventuale rimborso spese.
So olineare la ques one dei luoghi, del se ng ecc., può sembrare banale
e pleonas co, ma non é così ove si consideri che un'altra originalità del
nostro servizio di volontariato sta nel fa o che l'is tuzione di cui facciamo
parte non è accentrata in un luogo unico, non é definita a raverso
protocolli e procedure molto standardizzate, ma é una is tuzione
territoriale che richiede una grande flessibilità ed un alto livello di
interpretazione personale nel lavoro frontale con i pazien e le is tuzioni in
cui sono inseri .
Insomma, quello che si chiedeva e si con nua a chiedere ai nostri volontari
é l'acquisizione di un abito mentale che é quello dell'operatore territoriale
"re della strada, re della foresta" che dà una prestazione reinventandola in
con nuazione in base ai processi di rispecchiamento che il disabile innesca
nel volontario esa amente come accade per gli operatori del servizio.
L'unica differenza é nella qualità della risposta: per ques ul mi é
professionalità, tecnicità, appartenenza alle varie "ar " vecchie e nuove del
welfare; per i volontari é qualcosa di nuovo e di molto specifico, l'incontro
con il "diverso da me" in età evolu va da parte di sogge essi stessi in età
evolu va che si spendono in un "gancio" che dura quanto un viaggio,
viaggio che conduce il disabile a livelli di maggior competenza e
autonomia, ed il volontario ad altre esperienze più ricche e consapevoli.
 
 
- I vantaggi del turn-over
 
Un proge o così stru urato, all'interno del quale si rimane per un periodo
che varia da qualche mese a qualche anno, fa sì che nella nostra breve
storia ci sia già un alto livello di turn over.
Sono 210 i volontari passa da Gancio Originale.
La storia che ci é venuta in mente quando abbiamo cominciato a rifle ere
su questo fa o é quella dell'ascia di George Washington che ancora oggi é
in bella mostra nella sua casa di campagna, anche se sono sta cambia 7
volte il manico e 2 volte il ferro.
Perchè ciò é un vantaggio ?
Perchè, proprio come per l'ascia di Washington, ciò che rimane é l'aura,
l'odore, la funzione che in quell'aura ha preso quelle cara eris che che la
rendono così a raente per chi oggi la osserva. Allo stesso modo Gancio
Originale con nua ad essere se stesso, a svolgere le sue funzioni in un'aura
che é quella che tu coloro che l'hanno abitata anche per poco tempo
hanno lasciato impressa, con la differenza rispe o all'ascia di Washington
che anche chi é andato via ha portato dentro di sè una parte di quell'aura
come patrimonio da spendere in altri incontri.
Una cristallizzazione avrebbe fa o correre a Gancio Originale e ad ogni suo
componente il rischio della fossilizzazione in una rou ne finendo per
congelare la crea vità, l'inven va che, come abbiamo visto, sono essenziali
nel nostro lavoro.
La realis ca acce azione dei grandi appor che i nostri volontari riescono a
dare come un flusso magma co in con nua ebollizione, che in un primo
tempo entra nel nostro alveo e in un secondo tempo, anche molto breve
(ma quanto intenso!) può uscirne, ci ha permesso di apprezzare e di
dimensionare con sufficiente puntualità l'impegno di tu .
Tu o ciò, contrariamente alle nostre aspe a ve sulla specificità, non era
stato da noi previsto. E' stata la dinamica stessa delle cose, sono state le
cara eris che specifiche dei nostri giovani volontari, la loro stessa età, la
loro stessa mobilità a suggerirla. Nulla é stato da noi fa o che andasse nel
senso di una forzatura anche nei confron della dedizione più costante e
meno rapsodica ed anche coloro che per 3, 4 anni sono rimas con noi
hanno potuto cambiare il loro "se ng", il loro impegno secondo una
scansione che tenesse presente gli altri mille impegni che la loro giovane
vita imponeva.
Due righe ora per i nostri collaboratori meno giovani, pochi per la verità ma
accomuna da una curiosità e da una capacità di osservazione e di
intervento sui minori in difficoltà che l'esperienza ha rinforzato, ma che
sicuramente erano laten in loro pronte a me ersi in gioco non appena
l'occasione da noi fornita gliene ha dato il destro.
 
 
- Chi fa crescere chi
 
Un'altra cosa che non avevamo messo in conto e che con stupore abbiamo
rilevato in seguito alle telefonate dei genitori dei volontari ed in seguito
alle loro stesse affermazioni e alle loro domande, anche rela ve ai temi
della formazione, é stata l'influenza che tu a l'a vità di volontariato ha
avuto sulla crescita psicologica dei volontari stessi. Un vero e proprio lavoro
di prevenzione che in cer casi ha cos tuito (anche per la giovanissima età
della maggior parte di loro) un punto di riferimento, un "pale o" nel
percorso che dall'adolescenza porta verso l'età adulta.
Winnico nel descrivere gli sta mentali che a volte precedono questo
momento parla di "diba ersi nella bonaccia" con una metafora che
evidenzia efficacemente la contraddi orietà delle spinte che l'adolescente
riceve durante il passaggio: spinte a muoversi, spinte a rimanere fermo, ad
a varsi in un impegno altruis co ed a rimanere bloccato dall'alto livello di
ideologizzazione che spesso a tale impegno si accompagna.
Gancio Originale, con il rispe o dei tempi di uscita dalla "bonaccia" con il
tracciare ro e chiare, scandite e nello stesso tempo elas che ed
interessan , ha suggerito una risoluzione concreta e semplice al dilemma.
La formazione, nata come informazione, come è possibile notare scorrendo
i toli dei nostri dicio o incontri, si è trasformata in un momento di
crescita che non è solo di acquisizione di strumen dida ci e di "pronto
intervento", ma anche di riflessione intesa sia come invito che va nella
molteplice direzione del fle ere l'altro (il disabile) verso le esigenze del
vivere in società, del fle ersi, cioè nell'andare verso l'altro, ma anche del
rifle ere cioè del considerare il significato di ciò che si sta facendo ed il
rifle ersi inteso sia come riconoscersi nell'altro sia come riconoscersi più
cresciu , adul .
 
 
- La marginalità is tuzionale di Gancio Originale
 
Per "marginalità is tuzionale" qui si intende il fa o che Gancio Originale
non ha mai avuto quel supporto is tuzionale, appunto, e finanziario che
avrebbe richiesto una proge ualità più centrale rispe o ai fini is tuzionali.
Anche rispe o ad altre consimili esperienze di volontariato nelle is tuzioni
pubbliche, il "prezzo" non solo in termini economici che G.O. costa
all'Azienda USL è risibile se confrontato al monte ore di servizio gratuito
(1.632 all'anno) prestato dai volontari.
Sicuramente questa situazione non ci entusiasma e rappresenta un piccolo
esempio di opacità is tuzionale che speriamo venga superato al più presto.
D'altro canto è vero anche, e nemmeno questo avevamo previsto, che la
posizione di marginalità, proprio per l'eccentricità del suo punto di
osservazione, riesce a me ere a fuoco, ad inquadrare ed a riconoscere
prospe ve ed occasioni che la rou ne is tuzionale, col suo scontato punto
di osservazione, impedisce spesso di vedere.
Il basso livello di gerarchia rappresentato sia dagli psicologi responsabili del
proge o che sopra u o da chi organizza a livello centrale e giornalmente
conta a, contra a, fa incontrare, in una parola tesse la tela del proge o in
una situazione che è ai margini della scena is tuzionale, paradossalmente
diventa un vantaggio poichè definisce il proge o agli occhi dei candida
volontari con alcune cara eris che di under statement che l'appartenenza
ad un apparato troppo scopertamente legato all'is tuzione avrebbe
certamente impedito.
Invenzione, flessibilità, individuazione precisa delle risorse disponibili,
rispe o per i limi e valorizzazione delle possibilità offerte dai volontari,
tutorship, garanzie di appoggio e riconoscenza per l'opera da loro
spontaneamente data: ques sono gli ingredien del proge o "Gancio
Originale".
 
 
 
 

Necessità di definire una "Alleanza per ..." - Il rapporto adulto-bambino


 
Deliana Bertani
Reggio Emilia, 9 Aprile 1992
 
 
Come prima cosa vorrei me ere a fuoco il nucleo centrale del discorso che
dobbiamo affrontare: cos'è l'ogge o del vostro lavoro.
Possiamo iniziare col dire che non è "qualcosa", una cosa che si prende, si
sposta, che rimane lì ferma, ma è qualcuno, qualcuno molto simile a noi.
Questo fa sì che i problemi, le difficoltà, le sensazioni, l'atmosfera nella
quale si lavora siano oltremodo complica , ar cola , sfuma e mutevoli.
Ci sono, infa , due persone in relazione fra di loro che stanno facendo
"qualche cosa". Questo è un dato al quale non si può sfuggire: c'è una
relazione, uno scambio dinamico di comunicazioni verbali e non, c'è un
rapporto sul quale ci fermeremo per discutere e cercare di individuare la
peculiarità, le connotazioni, i problemi che emergono man mano.
Questo rapporto si determina, si svolge e si costruisce.
Abbiamo dato un tolo e un so o tolo all'incontro di oggi: "Il rapporto
adulto-bambino-ragazzo: la necessità di definire un'alleanza".
In questo tolo, a mio parere, è contenuta una cosa fondamentale per il
vostro lavoro: voi siete in una situazione, in rapporto con qualcun altro (un
bambino, un ragazzo) per fare "qualcosa" insieme: siete lì per un mo vo.
Perchè questa cosa si possa realizzare è necessario definire un'alleanza.
Come si fa a definire questa alleanza? Come si riesce a creare un feeling
tale che ci perme a di condurre, insieme a questa altra persona che
abbiamo davan , un cammino, un i nerario che ci por alla definizione, al
raggiungimento dello scopo per il quale siamo lì?
Abbiamo parlato di rapporto adulto/bambino, vediamo un po' di definire
un po' meglio i poli di questo rapporto. Da una parte l'adulto, cioè voi,
dall'altra il bambino.
E, ancora, chiediamoci: in quali luoghi, in quali aree, su che temi si svolge?
Mi pare che siano due i luoghi, le aree che possono racchiudere tu a la
casis ca che voi avete conosciuto, con le quali state lavorando: l'area della
normalità disturbata e/o sofferente, i ragazzini bisognosi, i ragazzini che,
per qualche mo vo, vanno male a scuola, i ragazzini disada a , i ragazzini
che passano per essere insufficien mentali, i ragazzini che hanno avuto
degli impedimen o che, comunque, hanno incontrato degli ostacoli nel
loro cammino per diventare grandi. Quindi, l'area della normalità
disturbata e/o sofferente e l'area dell'handicap. Queste sono, credo, le due
aree nelle quali il vostro ruolo, il vostro lavoro si sta svolgendo.
Dove si svolge? In quali luoghi fisici?
Nella famiglia del ragazzino col quale avete a che fare, in ambulatorio (cioè
uno spazio della stru ura pubblica) e in spazi del tempo libero, in piscina,
in palestra, in giro, in qualsiasi luogo di a vità e di incontro giovanile.
Mi preme, quindi, definire e connotare in maniera precisa ques luoghi, sia
come area di interesse, sia come luoghi fisici. Questo perchè credo che, in
questo modo, cominciamo a dire una cosa fondamentale: il rapporto che
voi state costruendo o avete costruito è qualche cosa che non è
occasionale, che non è affidato al caso, che non è indifferenziato. E',
invece, qualche cosa che avviene in un luogo definito, preciso, una cosa alla
quale voi dedicate un pezzo della vostra vita, uno spazio del vostro tempo
altre anto definito ed altre anto delimitato.
Dicendo questo entriamo in un problema estremamente importante e
delicato che riprenderete sicuramente domani sera e che, comunque,
cominciamo a me ere sul tavolo: uno spazio di vita vostro, un momento
preciso e definito. Quando cominciate date una disponibilità di un'ora, due
ore, tre ore, un pomeriggio a seconda delle vostre possibilità. Questo
perchè avete tu a una serie di altri impegni.
Cosa può succedervi? Vi potrebbe capitare, per esempio, che questo
spazio, a un certo punto del vostro intervento, questo tempo, ha perso la
dimensione iniziale ed è diventato più vasto, più grosso, invece di un'ora è
un'ora e mezzo, invece di due ore sono due e mezzo, ecc. ecc.
Vi potete accorgere che magari il tempo fisico, il tempo materiale è rimasto
lo stesso ma, spesso e volen eri, la vostra testa è con il ragazzino che avete
riportato a casa sua; sempre più spesso lo portate anche a casa vostra. E ve
lo portate dietro in momen diversi da quelli che avevate stabilito di
dedicare a questo lavoro.
E' un bene, è un male? Poniamoci la domanda.
Ritorniamo al discorso di partenza: quando si ha a che fare con un altro
essere umano è difficile staccare e salutare e non pensarci più, anche
perchè abbiamo a che fare con qualcuno che parla, che discute, che prova
dei sen men , che interagisce con noi, che ci fa arrabbiare, che ci da
soddisfazione, ecc. e, quindi, è difficile, è pra camente impossibile, riuscire
a "chiudere il rubine o". E' un bene nel senso che, in questo modo, il
rapporto che si me e in piedi è qualcosa d'interessante, di importante, è
qualche cosa che avete in testa. Da questo punto di vista è un "bene".
Dobbiamo comunque stare a en perchè, nella misura in cui questo spazio
che dedicate all'altro diventa troppo esteso, diventa anche troppo invasivo
degli altri spazi vostri. A questo punto dovrebbe suonarvi un campanello
d'allarme che vi dovrebbe portare:
1) a dire: cosa mi sta succedendo?
2) a pensare e, perciò, a rare i remi in barca.
Non è un bene che lo spazio che voi avete dedicato, avete programmato di
dedicare al lavoro che state facendo, diven troppo invasivo degli altri spazi
e delle altre a vità, degli altri momen vostri. Perchè questo implica una
serie di altre ques oni.
Per esempio, la prima che mi viene in mente è questa: se lo spazio, non
soltanto fisico ma anche mentale, che questa a vità vi porta via diventa
troppo ampio, può essere che vi sia capitata una cosa del po: ho a che
fare con persone che stanno male o, comunque, che hanno dei problemi.
Come sarebbe bello riuscire a risolvere ques problemi! Come sarebbe
bello che, alla fine del mio lavoro, questo ragazzino non avesse più il
problema per il quale sono intervenuto!
Orbene, questa cosa sarebbe molto bella, ma avviene molto raramente che
il problema sparisca, sopra u o se ci me amo a rifle ere sull'area
dell'handicap, sopra u o se ci me amo a rifle ere in generale sull'area
del disturbo pesante, sull'area della grossa sofferenza, sull'area del
disada amento e sull'area della deprivazione.
Siccome è molto difficile che il problema sparisca o venga risolto, qual è
l'immediata conseguenza? E' che dall'entusiasmo e dalla situazione nella
quale lo spazio che voi avevate previsto si era dilatato, ora rischia di
restringersi, di diventare molto, troppo, stre o, di essere annullato in
conseguenza alla frustrazione che inevitabilmente si prova se si parte o se
ci si lascia travolgere dall'idea: adesso arrivo io e risolvo il problema.
Non è una cosa semplice ne una cosa facile riuscire ad evitare di passare
a raverso questo po di fase, questo po di esperienza, perchè è qualcosa
che non capita soltanto ai volontari o agli obie ori. Capita a chi fa un
mes ere che ha come ogge o del proprio lavoro l'altro. Perchè succede?
Semplicis camente perchè a tu piacerebbe essere bravi, buoni,
necessari, risolu vi e, perchè no, magici.
Il fa o di essere magici, essere bravi, essere buoni, essere sopra u o
risolu vi, è un'idea che penso abbiamo accarezzato tu , che accarezziamo
spesso. E' un'idea che ci induce in tentazione, che ci piace molto ma è,
comunque, un'idea pericolosa e perciò mi sento di dirvi: state a en ,
andateci piano e vedete bene il po di inves mento che me ete nel lavoro
che state facendo, perchè il po di inves mento che me ete è
determinante.
Il rischio qual è? Di me ercene troppo o troppo poco. Me ercene troppo
poco nel senso di stare molto sulle difensive.
Se uno lo fa di mes ere, ha più modalità per poter stare sulle difensive. Per
chi lo fa volontariamente, per chi lo fa come un a o di solidarietà, stare
molto sulle difensive è in contraddizione con il fa o stesso di fare del
volontariato. Ma può capitare. Il pericolo più grosso è quello di calarsi
troppo nella situazione che si ha davan , iden ficarsi troppo con il
bambino e con la situazione, farsi troppo carico delle problema che, delle
difficoltà e dei guai con i quali si ha a che fare: i guai con i quali avete a che
fare sono guai grossi, pesan e dolorosi. Allora, il problema qual è? E' di
sapere che il vostro spazio di intervento va a coprire non tu i bisogni, non
tu e le problema che, ma va a coprirne solo una minima parte, va ad
intervenire su una parte del bisogno, su una parte del problema.
Riprendiamo il discorso del rapporto adulto/bambino: necessità di definire
un'alleanza.
C'è un rapporto da costruire, abbiamo individuato dove lo costruiamo e il
tempo che vogliamo dedicare a questo po di lavoro. Cosa dobbiamo e
cosa possiamo fare, ancora?
Abbiamo de o che è importante, è necessario, è significa vo sapere che
non interveniamo su tu o il bisogno ma solo su una piccola parte. Sarà
proprio del vostro ruolo di adul individuare questa piccola parte,
individuare l'ambito del vostro intervento, cioè, sapere dall'inizio qual è la
piccola parte del bisogno che voi andrete ad affrontare.
Individuare l'ambito del proprio intervento, del proprio operare, significa
costruirsi una difesa, se non altro, interna, propria. Ma anche esterna, nel
senso che, appunto, i bisogni sono tan , voi però sapete che è su quello
che dovete intervenire e, se per caso vi viene in mente di fare altro, sapete
che andate fuori dall'ambito del vostro intervento. Sapete che state
facendo un'altra cosa. Non solo è una difesa interna, ma è anche una difesa
esterna nel senso che vi può capitare (vi sarà già capitato) che vi vengano
fa e delle richieste extra, che esulano dall'ambito del vostro intervento.
Sapere, quindi, perchè siete lì, sapere che cosa state facendo, quale
problema state affrontando, direi che è essenziale. E questo va sempre
nella direzione di con nuare a definire che il vostro rapporto, il vostro
incontro di adulto con quel bambino non è occasionale ma collocato in una
situazione precisa, finalizzato ad uno scopo.
Quindi, un'altra ques one importante, un altro nodo nella costruzione del
vostro rapporto per lo svolgimento del vostro ruolo, è questo: sapere che
scopo avete.
Allora, per ricapitolare e non perdere quello che abbiamo de o fino ad ora:
il rapporto è un incontro che avviene in un luogo preposto a questo ed è
finalizzato ad uno scopo.
Un'altra cosa importante e determinante che si aggiunge a queste ed è,
comunque, una loro conseguenza: quando si ha a che fare con un
bambino, un bambino in difficoltà, un bambino bisognoso, si può pensare
che il nostro rapporto con quel bambino sia esclusivo, assoluto. E questo
dipende dal fa o che è facile scivolare nell'idea: questo bambino ha
bisogno, ha dei problemi, evidentemente se questo bambino ha dei
problemi le persone che hanno avuto a che fare con lui (gli insegnan , i
genitori, gli amici, tu gli operatori, tu quelli che hanno circolato intorno
al bambino) non sono state capaci di risolvere il problema. Il loro rapporto
con questo bambino è stato fondamentalmente un rapporto fallimentare.
Quindi, il mio rapporto è quello che va bene, quello che conta; il mio
rapporto è, non dico assoluto, non dico esclusivo ma, comunque, quasi.
Allora l'altro fa o fondamentale è: collocare il nostro rapporto con quel
bambino all'interno di una costellazione molto vasta di tan ssimi altri
rappor che lo stesso bambino ha. E' importante non dimen care che il
vostro rapporto si colloca insieme a: il rapporto che ha con la vicina di casa,
il rapporto che ha con gli amici, il rapporto che ha con l'insegnante di
do rina, il rapporto che ha con l'istru ore della palestra, il rapporto con la
fisioterapista o con l'ortofonista se è un bambino handicappato, il rapporto
con i genitori, con i paren , con i fratelli, con gli insegnan , ecc. ecc.
Il vostro è uno dei tan rappor .
Voi non siete le uniche persone che hanno a che fare con questo bambino.
Se questa cosa può, in un certo senso, rischiare di svilire la visione, l'o ca,
la modalità con la quale guardate e vedete il vostro rapporto, certamente,
se ci pensate un a mo, è anche estremamente tranquillizzante nel senso
che, se si ha la sensazione o l'impressione di essere soli la cosa diventa
immensa, pesan ssima e, quindi, tragica. Se, invece, si parte con la
consapevolezza che insieme al mio ci sono tan altri rappor che questo
bambino ha, la cosa diventa più tranquillizzante.
Abbiamo de o: individuare la peculiarità del vostro rapporto con il
bambino e questa peculiarità si può dedurre da quello che si diceva prima,
cioè, dallo scopo che vi siete da , che avete trovato, che vi hanno
suggerito; dallo scopo, dall'obie vo del vostro lavoro e, precedentemente,
dall'individuazione dell'ambito del vostro intervento.
Quindi, la peculiarità del vostro rapporto deriva, evidentemente, dai
discorsi che abbiamo fa o prima, cioè dall'individuazione dell'ambito del
vostro operare e dall'individuazione dell'obie vo che vi siete da .
Allora, abbiamo più o meno definito che questo rapporto, come dice il
tolo del nostro incontro di stasera, è un rapporto che prevede un incontro
non occasionale, finalizzato ad uno scopo, che avviene in un luogo
preposto e che è professionale. Vediamo questo ul mo termine.
E' vero che voi fate un altro mes ere però, nella misura in cui avete chiaro
lo scopo, l'obie vo che dovete raggiungere, questo fa sì che il vostro
rapporto abbia una connotazione di professionalità.
Cos'è che dà al vostro rapporto una connotazione di professionalità? Un
fa o preciso: il ruolo dell'operatore si sviluppa su due linee: l'opera vità e
l'affe vità.
I rappor che il bambino trova all'interno della propria famiglia, per
esempio, sono rappor che si sviluppano essenzialmente su una linea che è
quella dell'affe vità; i rappor familiari si sviluppano, nascono, si svolgono
all'insegna dell'affe vità.
L'affe vità non è qualcosa che non c'entri nel vostro rapporto perchè,
come dicevo all'inizio, abbiamo a che fare con un'altra persona; quindi, non
si può fare a meno dell'affe vità. Salta fuori anche se non vogliamo.
Però, cosa c'è di fondamentalmente diverso nel nostro rapporto rispe o a
quello che il bambino ha all'interno della famiglia?
Ci sono alcune cose estremamente significa ve che sono:
1) la nostra possibilità di vedere le cose con una maggiore distanza, nel
senso che siamo meno implica rispe o alle persone della famiglia;
2) il nostro rapporto è cara erizzato, è delineato nella maniera in cui
dicevamo prima, cioè è finalizzato ad uno scopo preciso ed è un rapporto
che ha individuato un ambito altre anto preciso.
I rappor che avvengono all'interno della famiglia sono rappor vas ,
globali, che investono sostanzialmente tu e le aree, tu e le
problema che, che non è possibile delimitare.
Il nostro è qualche cosa che è delimitabile, che deve essere delimitato e
che, quindi, assume proprio perchè è delimitabile, deve essere delimitato e
deve avere uno scopo, una finalità precisa, assume la cara eris ca della
professionalità. Cioè, insieme all'affe vità, il rapporto che voi state
costruendo si sviluppa anche sulla linea dell'opera vità.
De o questo, riprendiamo il discorso che si faceva prima rispe o alla
delimitazione del tempo.
Dicevamo che, quando ci si accorge che il tempo che dedichiamo si è
ampliato troppo, anche se solo nella nostra testa, quando ci accorgiamo
che ci por amo troppo dietro, per troppo tempo, i sen men , le emozioni,
che abbiamo provato nel rapporto con il bambino (la rabbia, l'amore, la
soddisfazione o la frustrazione, ecc.), quando ci accorgiamo che queste
cose ci coinvolgono troppo, quando perdiamo la capacità di capire fino a
dove c'è il bambino con il suo mondo, la sua affe vità, i suoi sen men ,
ecc. e fino a dove ci siamo noi, cioè quando c'è una sovrapposizione fra noi
e il bambino, proprio perchè è un bambino bisognoso, proprio perchè è un
bambino che ci chiede tanto, allora siamo in una situazione di pericolo
presente e reale. E' come se ci sovrapponessimo, ci iden ficassimo con
questo bambino e ci me essimo completamente nei suoi panni, perdendo
i nostri.
Ecco, in questo momento, evidentemente, abbiamo perso la nostra
funzione di adulto, abbiamo perso la nostra funzione di aiuto, abbiamo
perso la nostra funzione di ausilio.
Potremmo usare una frase per capirci meglio. Potremmo dire questo, visto
che parliamo di bambini: c'è una grossa differenza fra prendere per mano e
lasciarsi prendere per mano.
Prendere per mano cosa significa? Significa che io prendo il mio bambino,
me lo ro dietro e, in questo modo, fondamentalmente mi sovrappongo a
lui.
Lasciarsi prendere per mano significa, invece, che con nuiamo ad esserci in
due, c'è lui e ci sono io.
Il bambino sa, perchè gliel'ho fa o capire, gli ho dimostrato, che sono
disponibile e, quindi, sa che quando ne ha bisogno può "chiamarmi".
Questa capacità di essere disponibili io operatore la conservo nella misura
in cui non perdo la mia iden tà, non perdo la mia presenza, non mi perdo
nell'altro, non mi lascio coinvolgere dalla cima dei capelli fino alla punta dei
piedi.
Allora, siamo arriva a dire che dev'essere un incontro professionale, e
questo sarà, se riusciamo a tener presente che il nostro rapporto con
questo bambino è dato da un incontro, non occasionale, professionale,
finalizzato ad uno scopo, che avviene in un luogo preciso. Se noi riusciamo
ad avere presen ques pun di riferimento, a dare una risposta a ques
agge vi che abbiamo usato per la definizione di questo rapporto, allora
siamo, credo, nella situazione nella quale abbiamo definito un'alleanza.
Siamo riusci a creare e a mantenere viva un'alleanza; siamo riusci a
mantenere questa alleanza fa va e produ va di risulta , risulta che
riguarderanno un determinato ambito, un determinato problema, una
piccola parte del bisogno, come abbiamo de o prima.
Allora, un rapporto non occasionale, professionale, finalizzato ad uno
scopo, in un luogo preposto. Questo significa aver presente dentro di sè
l'area che si è disponibili ad usare, il pezze o di sè, della propria vita, del
proprio tempo, della propria testa, del proprio "cuore" che si è disponibili a
me ere in gioco e ad usare. Un'area governata "dal vostro buon cuore, dal
vostro buon senso e dalla vostra intelligenza".
Il vostro buon cuore e il vostro buon senso, senza che ci sia la delimitazione
dell'area di vita che siete dispos a me ere in gioco, rischiano di me ervi
nei guai, come dicevo prima, rischiano di farvi sommergere dalle
problema che che voi vi siete, così generosamente, presta ad affrontare
o, comunque, a dare un contributo perchè vengano affrontate.
 
 
 
 
 
 
Onnipotenza e impotenza
- Scilla e Cariddi sui cui scogli è facile andare ad infrangersi. Qualche
indicazione per una ro a che non ci faccia fare tan naufragi.
 

Leonardo Angelini

 
Introduzione
 
Questo tolo è stato immaginato a seguito dei primi incontri che sono
avvenu nelle scuole: là dove serpeggiava una domanda sul po di
impegno che veniva richiesto e serpeggiava anche un dubbio in alcune
situazioni.
L'ho notato, sopra u o, nel primo incontro che abbiamo avuto con vostre
coetanee, con vostre colleghe, che non dichiaravano la loro disponibilità e
per questo si sen vano un po' in colpa. Quindi abbiamo pensato che
questo discorso della disponibilità o della non disponibilità, cioè tu o
quell'insieme di sen men e di emozioni di cui avete già parlato con la
Dr.ssa Bertani (l'iden ficazione con il ragazzo in difficoltà, il moto di
avvicinamento che ci unisce, che ci spinge verso di lui, etc.) possa essere
giocato in termini di eccessivo coinvolgimento. Con il rischio di oscillare fra
momen in cui ci si sente onnipoten e momen in cui ci sente impoten
di fronte al caso che abbiamo scelto di seguire.
L'onnipotenza, nel nostro caso, corrisponde al dato, al momento in cui uno
pensa: di fronte a questo ragazzo posso fare tu o, posso dare tu o me
stesso, tu a me stessa.
 
 
L'impotenza è corrispe va magari ad un momento successivo là dove,
nonostante questo moto di iden ficazione, di adesione alle problema che
del ragazzo, di fronte alla mancata crescita, al mancato sviluppo, al
mancato miglioramento, può intervenire un senso di impotenza.
Spesso ci può essere in mol (c'è in mol di noi professionis , quindi
figuriamoci se può non esserci nell'obie ore, nella volontaria) un oscillare
fra momen in cui ci si sente più onnipoten e momen successivi in cui ci
si sente impoten . E' per questo che noi diciamo nel so o tolo: "Scilla e
Cariddi sui cui scogli è facile andare ad infrangersi."
Questo non solo per chi, come voi, non ha una professionalità specifica che
perme a un avvicinamento, "un'alleanza per", su contenu già defini in
un mansionario, ma anche per chi ques contenu , questo mansionario, ce
l'ha. E' un pericolo che corriamo tu : lo psicologo, l'educatore, il
logopedista, il fisioterapista, il medico, etc.
Quindi, il tenta vo che farò stasera è quello di cercare insieme a voi
"qualche indicazione per una ro a che non ci faccia fare tan naufragi",
dando per scontato che qualche naufragio lo faremo sicuramente: lo
facciamo tu .
 
 
 
 
1) Il significato delle parole
 
Cercheremo di par re dal significato delle parole "onnipotenza" e
"impotenza".
Entrambe rimandano ad una parola-chiave che è "potenza".
Che cos'è la potenza? Andando a vedere sul vocabolario, viene fuori che il
termine potenza, potere, deriva dall'unione di due parole: "pot" che
significa signore ed "es" che significa essere; essere signore, padrone,
padroneggiare. Quindi, gli altri due termini, impotenza ed onnipotenza, si
spiegano abbastanza facilmente.
Impotenza: non essere signore, non padroneggiare, non sen rsi padrone di
qualche cosa. Onnipotenza (omnis pot esse): sen rsi signore di tu o, in
tu o e per tu o.
Quindi, come vedete, partendo dalla radice della parola, si può capire, si
può cominciare ad intuire qual è la problema ca derivante dalla
oscillazione fra onnipotenza e impotenza. E' un'oscillazione fra alcuni
momen in cui uno si sente signore e padrone di tu o ed altri in cui non si
sente padrone, in cui si sente "zero".
 
 
 
 
2) Onnipotenza - potenza - impotenza: di fronte a chi?
 
Ma di fronte a chi io mi sento onnipotente, potente o impotente?
Qual è l'en tà giudicante?
Perché evidentemente c'è qualcuno che sta giudicando se io mi sento
potente, impotente o onnipotente, c'è qualcosa dentro di me o anche fuori
di me.
Una prima risposta sta proprio in questo: c'è qualcuno, un'en tà che può
essere esterna a me o interna a me.
A volte, anzi, c'è una contemporaneità di presenze, di personaggi, alcuni
interni, altri esterni a me, che mi parlano.
Per cercare di capire meglio par amo da un esempio abbastanza classico: il
bambino che ruba la marmellata.
Il bambino che ruba la marmellata ha bisogno, all'inizio, di una mamma o
un papà, qualcuno che dica "no", che lo inibisca: "adesso aspe a un
momento, prima mangiamo il primo e il secondo e dopo mangeremo la
marmellata". Il bambino, cioè, all'inizio non ha un'istanza interna che gli
perme a da subito di autoregolarsi, di valutarsi. Quindi, all'inizio c'è
bisogno di un qualcuno di esterno che imponga degli obblighi, dei divie ,
che ponga dei confini, che definisca delle strade, dei sen eri e che definisca
delle priorità.
Alla fine di questo processo, se le cose sono andate bene, ques
personaggi diventano nostri, diventano interni, diventano cioè par di noi.
Il mio punto di riferimento scien fico è la psicoanalisi. Ebbene, secondo la
psicoanalisi, tale processo vien definito "introiezione", una specie di
incorporazione, non di cose fisiche ma di idee, di sen men , di emozioni,
di obblighi, di divie , ecc. ecc. Alla fine queste cose diventano nostre ma
c'è una tappa intermedia che è quella in cui ques personaggi sono
"esterni/interni"
Per farvi capire questo passaggio vi leggerò dieci righe di un libro che è
molto bello Perché è un'introduzione ai problemi psicologici del bambino
piccolo fra 0 e 6 anni, di una psicoanalista americana che si chiama Selma
Fraiberg.
La Fraiberg, per far vedere come nasce questa cosa, porta un caso di una
bambina che si chiama Giulia.
 
"Giulia, di 30 mesi, si trova sola in cucina mentre la madre è al telefono. Sul
tavolo c'è un vassoio pieno di uova. Giulia prova un impulso a fare delle
uova sba ute: allunga le mani sulle uova ma ora prova con uguale forza il
senso della realtà. Cioè la voce della madre. La madre non approverebbe. Il
confli o risultante nell'io si esprime nelle forme: "io voglio" e "no, non
devi"...... "Si riconoscono le ragioni di entrambe le par e sul momento si
arriva ad una decisione. Quando la madre di Giulia ritorna in cucina, trova
la figlia che rompe allegramente le uova sul linoleum e che rimprovera
aspramente se stessa dopo ogni ro ura: "Giulia! no, no, no! Non devi farlo!
no! no! no! non devi!"
A enzione! Questa è la mamma, la voce della mamma che sta entrando
dentro di lei.
Così il bambino che prende la marmellata che la mamma gli aveva proibito,
la mangia e dice: "no, no, la mamma non vuole! Non devi!"
Anche qui c'è una voce, "non devi", che per ora si rivolge a lui in seconda
persona e che è proprio la voce della mamma e che, alla fine, si
trasformerà in un "non devo".
A enzione ora al passaggio dal secondo stadio al terzo stadio. Nel secondo
stadio abbiamo un "non devi", nel terzo stadio, invece, quando questo
personaggio fra virgole e è diventato interno, abbiamo un "non devo, io
non devo".
Due parole ora sulla natura di questa madre (o di questo padre). E' chiaro
che non s amo parlando di madri o di padri nella loro interezza. Ques
personaggi, infa , (come poi quelli interni) sono par della madre e del
padre di ognuno di noi, par che, insieme ad altre par ed a ciò che deriva
dall'esperienza complessiva che il bambino va facendo, entrano in lui a
concorrere nella formazione della personalità.
 
 
 
 
3) MA CHE COSA FANNO I PERSONAGGI ESTERNI E QUELLI INTERNI ?
 
La terza domanda che mi sono posto è questa: ma cosa fanno ques
personaggi, esterni o interni che siano?
Ci valutano, ci s mano (l'autos ma, non dimen chiamolo, è ciò che ci
perme e poi l'impegno, ecc.).
Autos ma. Allora vediamo anche il significato di questa parola. Anche
questa parola deriva da un verbo: s mare. Gli Spagnoli dicono "es mar" e
sono un po' più vicini al la no di noi. E sì, perché anche s mare deriva dal
la no: "aes" più " mus".
Aes in la no significa "bronzo", "cosa preziosa". Timus è un suffisso che
indica l'esistenza di un superla vo. Quindi, il significato di s mare sarebbe
"ciò che è più prezioso". Pertanto, vedere e s mare stanno a significare:
vedere ciò che è più prezioso.
 
 
 
 
4) SPECCHI ESTERNI E SPECCHI INTERNI.
 
Quella parola, "vedere", ci ricongiunge poi al quarto punto; quindi, mi sono
de o, è come se avessimo dentro di noi uno specchio, anzi, una specie di
camera degli specchi.
Ci possono essere degli specchi esterni che sono l'insieme di quei
personaggi che nella nostra infanzia hanno contribuito a formarci, ad
educarci. Ma anche degli specchi interni e cioè l'insieme di tu quei
personaggi che si vengono ad accumulare dentro di noi, a par re dalla
nostra esperienza e dalla "diges one", dalla assimilazione, che
nell'esperienza concreta di tu i giorni facciamo dei personaggi esterni.
Quindi vediamo meglio cosa sono e come funzionano ques specchi.
Par amo dagli specchi esterni.
L'insieme degli specchi esterni che ci giudicano, ci s mano, può essere
diviso in due categorie: a) i personaggi ama ; b) i personaggi temu .
Prima di cominciare le presentazioni, però, vorrei ancora ricordare due
cose:
1- ques personaggi non sono mamma e papà in carne ed ossa, ma par di
essi;
2- non dobbiamo vedere ques personaggi in termini manichei: non è che
il personaggio amato dev'essere per forza la mamma e il personaggio
temuto il papà o viceversa ma, per dirlo con parole semplici, noi
prendiamo un po' tu o da tu .
Quindi, a enzione a non pensare mai a ques personaggi in termini
manichei, come se tu o l'amore venisse da una parte e tu o il more
dall'altra. Certo poi è chiaro che in famiglia c'è sempre una specie di
"divisione dei ruoli" fra i genitori, magari diversa da figlio a figlio. Ma se
andiamo a vedere bene dentro di noi quali sono le cose reali che abbiamo
ricevuto, vedremo che c'è sempre sia il primo po di personaggio interno,
che sarà il fru o di tu i personaggi esterni ama , sia l'altro po, quello
temuto, che sarà l'erede di tu i personaggi temu .
Veniamo ora ai personaggi ama .
Di fronte ai personaggi ama noi proviamo un sen mento di ammirazione.
La bambina di 3/4 anni vorrebbe tanto assomigliare alla mamma (alle par
della madre amata), la stessa cosa vorrebbe fare il suo coetaneo maschio
con il papà (con le par amate del papà). Ma poiché tali par sono quelle
che il bambino più ammira nel genitore, ne deriva spesso un senso di
emulazione ma anche un senso di inferiorità rispe o ad esse.
L'insieme delle problema che che nascono su questo versante ci riporta a
ciò che noi, che ci rifacciamo alla psicoanalisi, chiamiamo "Ideale dell'IO"
che, potremmo dire, è l'insieme di ciò che ci proviene da tu ques
personaggi ama .
Ciò che ci proviene, invece, dai personaggi temu è de o Super Io. In
poche parole è la coscienza morale, l'insieme degli ordini, degli obblighi,
dei divie , ecc. -
Sul modello dei personaggi temu si forma il senso di colpa, che noi
abbiamo già scorto nell'episodio della Fraiberg.
Qual è, infa , il passo successivo che farà Giulia fra un poco, fra qualche
anno? Che quando farà le marachelle si sen rà in colpa. Di fronte a chi?
Ora di fronte al personaggio temuto esterno, alla fine di fronte a se stessa,
di fronte ad un'istanza interiore (è il passaggio, cui accennavamo prima, fra
"non devi" e "non devo")
Quindi, riassumendo, dai personaggi ama ci viene il senso d'inferiorità,
dai personaggi temu nasce in noi il senso di colpa.
Raccontavo all'inizio che, in un'assemblea di 200 vostre colleghe, a un
certo punto è venuta fuori da una ragazza la domanda: "ma io veramente
non sono disponibile a fare, non ho tempo".
Al che ricordo che a noi conferenzieri venne da dire: "non si senta in colpa!
non si deve sen re obbligata!".
Evidentemente in quella ragazza era emersa una voce, un personaggio (non
sappiamo se interno o esterno) che l'ha fa a sen re in colpa.
Ritorniamo ai nostri specchi: il momento successivo è quello della nascita
di uno specchio interno.
Questo specchio interno è la risultante, il fru o delle iden ficazioni, delle
proiezioni, degli insegnamen che gli adul cui siamo affida me ono
dentro di noi.
Quindi, cosa succede? Che prima l'ideale dell'io è esterno, è una parte della
mamma e del papà e poi diventa nostro. Il Super-Io idem: all'inizio è
esterno, una parte della mamma, una parte del papà, poi diventa nostro.
Allora a enzione, lo specchio interno è quello che viene fuori da questo
processo di "diges one" di tu e le iden ficazioni, di tu e le proiezioni, di
tu gli insegnamen che ci vengono dalle persone importan della nostra
vita. Ed è a raverso quest'opera di "diges one", di amalgama, che si
formano queste due istanze che stanno dentro di noi e sono chiamate
Ideale dell'Io e Super Io.
A guardare bene, però, c'è un'istanza ancora più vecchia dentro di noi che
è l'Io Ideale, erede del narcisismo primario.
Cosa significa Io Ideale? Il bambino, quando è piccolo, in un certo qual
modo tende a ritornare all'omeostasi, a ritornare come se fosse ancora nel
ventre materno, in una posizione, quindi, in cui non ci sono s moli, non ci
sono pericoli, non ci sono rumori, non c'è fame: questo stato Freud lo
chiama "stato del narcisismo primario". E' una situazione di onnipotenza
totale, dove il bambino non ha bisogno di niente, che viene superata
a raverso l'azione di illusione-disillusione della madre che, a poco a poco,
porta fuori il bambino da questa condizione di totale onnipotenza ed
autosufficienza.
Però, diciamo così, esiste un erede, un discendente di quel narcisismo
originario che Freud aveva chiamato l'Io Ideale e che non ha niente a che
fare con l'ideale dell'Io.
L'Ideale dell'Io è l'erede dei personaggi ama .
L'Io Ideale ha come eredi quelle che noi chiamiamo le iden ficazioni
eroiche.
Farò un esempio, tra o dalla mia esperienza personale, per farmi
comprendere.
Il personaggio eroico è pico dell'adolescenza. Ebbene, in adolescenza, io
fantas cavo, prima di addormentarmi (badate! prima di ritornare, cioè, in
certo qual modo in una posizione di omeostasi), di diventare una specie di
storico al seguito di Annibale. Immaginavo di essere uno storico al seguito
di Annibale e che Annibale vincesse contro i Romani. Quindi, volevo
cambiare la storia. Si tra ava di un'idea assolutamente assurda, fuori dalla
realtà, che mi perme eva però di addormentarmi facilmente.
 
 
 
 
5) IL GRANDE MEDIATORE.
 
Personaggio amato, Personaggio temuto, Ideale dell'Io, Super-Io, Io Ideale:
se ci fossero ques personaggi e non ci fosse un mediatore fra ques
personaggi, le cose rischierebbero di me ersi molto male per noi. Ci
troveremmo, infa , in preda a delle tensioni al ssime, in una "babele" di
lingue, di ragioni le più diverse e controverse. Finiremmo col diventare o
schiavi di quello fra ques personaggi (e fra gli altri che ci sono dentro di
noi) che fa la voce più grossa, oppure nella più totale confusione.
Ma, in effe , cosa succede?
Succede che, a poco a poco, c'è una parte di noi che comincia ad emergere,
la parte più razionale, la parte che più tende a fare gli interessi della
globalità del nostro essere, e questo è l'Io: se dentro di noi prevalesse il
personaggio eroico saremmo tu in manicomio.
Poniamo, ad esempio, che la mia fantasia adolescenziale sia stata: io vorrei
essere grande come Napoleone. Se non ci fosse stato l'Io a dirmi che io
Napoleone non lo sono, molto probabilmente sarei diventato ma o.
Vorrei, in proposito, raccontarvi un episodio che mi è capitato all'inizio
della mia a vità di psicologo.
Dovete sapere che ven anni fa ho lavorato in montagna, per i primi due
anni. Venivamo giù al San Lazzaro per cercare di aiutare, ovviamente,
coloro che erano originari della montagna, sopra u o quelli che stavano
per uscire dal manicomio per sistemarli fuori nel territorio. Allora avevo la
barba, i capelli lunghi e mi sono trovato al Besta che è un reparto del San
Lazzaro. Era so o Natale: ricordo, appunto, che c'erano gli addobbi e siamo
anda da una donna che stava per uscire, doveva passare il Natale a casa.
Eravamo lì quando arriva un vecchio con la barba bianca, anche lui con i
capelli lunghi e tu o pieno di medaglie che, quando mi ha visto, ha de o:
"Oh, il Generale Giuseppe Garibaldi! Il Generale Comandante Giuseppe
Garibaldi!" Allora io avevo appena finito il servizio militare e sapevo come
ci si comporta in queste circostanze: "Comodo! Comodo!" gli ho de o
"Grazie Generale" mi ha risposto il vecchio e mi ha dato una medaglia.
Ecco, quel vecchio è dentro di me ancora adesso l'immagine vivente di cosa
succede quando il personaggio eroico non è in rapporto con un Io
sufficientemente forte e raziocinante.
Questa mediazione si esercita anche nel rapporto che l'Io ha con la realtà:
questo è importante perché l'Io fa da ponte, dice: "no, guarda che tu non
se Napoleone, tu non sei Garibaldi". Perché? Perché siamo nel 1992! etc.
Questo ragionamento, che a noi adul sembra una bazzecola, in effe è
fru o di una costruzione di un'istanza interna nostra - che è l'istanza di
mediazione - che è l'istanza che ci fa vivere in maniera equilibrata e che è
poi, come vedrete, quell'istanza che ci perme e di capire quando s amo
scantonando sull'onnipotenza o quando ci s amo abbassando,
deprimendo, nell'impotenza.
Quando le cose non vanno bene, spesso è proprio quando l'Io non
funziona, quando è debole, non in grado di esercitare un'opera che non è
solo di mediazione, ma anche di ancoraggio alla realtà.
Mi viene in mente quando, a Roma, il vincitore arrivava so o l'Arco di
Trionfo e c'era sempre uno dietro di lui che diceva: "ricorda che sei
mortale!" Ebbene, possiamo dire che quell'individuo, delegato dai Romani
a proferire quelle parole, rappresentava l'Io del vincitore e che quella voce
era la voce della realtà che dice: "guarda, è inu le che mon la testa".
L'Io, infine, oltre che avere a che fare con la realtà, deve confrontarsi anche
con le nostre pulsioni, con l'Es, con il nostro mondo pulsionale. Non
dobbiamo mai dimen care, infa , che noi apparteniamo al regno animale
e che, quindi, in noi c'è la "libido", la forza vitale, e la "destrudo",
l'aggressività, ed anche queste istanze sono in uno stato di perenne
tensione con tu gli altri personaggi.
Concludendo, quindi, il grande mediatore deve, in certo qual modo, fare
un'opera di mediazione e deve cercare di ordinare tu o questo insieme di
tensioni che ci sono dentro di noi.
 
 
 
 
6) IL NOSTRO ESTIMO
 
Esamineremo ora a entamente la figura qui di seguito:
Questa figura rappresenta il complesso dialogo
interno che avviene in ciascuno di noi, fra i vari
personaggi presen "sulla scena", ogni volta che
c'è da s mare quello che facciamo, pensiamo,
desideriamo.
Come vedete, sullo sfondo ci sono i personaggi
esterni: i personaggi ama e i personaggi temu .
Poi gli specchi interni: l'Ideale dell'Io che è l'erede
dei personaggi ama e il Super-Io che è l'erede
dei personaggi temu . E "in testa" gli eredi di
quell'Io Ideale dell'infanzia che sono le
iden ficazioni eroiche.
Per terra ho rappresentato la realtà (teniamo i piedi per terra!).
L'Io, infine, è quell'istanza che cerca di me ere d'accordo tu e le
preceden istanze.
Nella parte inferiore della figura ho cercato di evidenziare in che cosa
consiste la funzione di mediazione dell'Io fra le varie istanze perennemente
in tensione fra di loro.
Ho definito i personaggi ama e quelli temu con il termine di "imago
parentale" idealizzata e/o temuta, per ragioni che spiegheremo meglio in
seguito.
 
 
 
 
 
7) IL MEDIATORE E I SUOI RISSOSI CLIENTI
 
7a) Allora, se l'Io è in grado di fare da mediatore, vi è un dialogo fra tu
ques personaggi. Se, cioè, l'Io è forte, se è sufficientemente raziocinante,
allora c'è un equilibrio fra tu e queste istanze e la nostra personalità è
plas ca, nel senso che riusciamo a dare ascolto un po' all'una un po'
all'altra, in cer momen più all'una, in cer momen più all'altra, di
queste istanze. Quindi, non saremo rigidi.
 
Domanda:- Anche esternamente, rispe o alle altre persone?
Certamente, con noi stessi e con gli altri.
La plas cità è intesa sia in senso intrapsichico sia in termini relazionali.
Sia nel nostro mondo interno e sia con gli altri.
Il discorso è che gli altri hanno anche loro degli specchi. Facciamo un
esempio: se io vedo un bambino handicappato che sputa e se io ho
ricevuto una profonda repressione su questo piano, sono rigido con me
stesso con lo sputare, allora non riuscirò a controllare, ad acce are che lui
ancora non riesca a controllarsi. Allora sarò repressivo, per esempio,
oppure sarò lì fermo, imbambolato, ingessato (e, in ogni caso, tenderò a
dare delle risposte inadeguate).
Se, invece, i miei personaggi interni si sono forma plas camente, se c'è un
dialogo interno per cui anche il personaggio mio interno, diciamo così
"sporcaccione", ha diri o di emergere di tanto in tanto, allora riuscirò ad
essere molto più adeguato a quel compito di fronte all'handicappato.
Quindi, la plas cità è molto importante.
Ma se l'Io non è in grado di svolgere adeguatamente la funzione di
mediazione, cosa significherà?
Significherà che le tensioni che ci sono sempre si risolveranno senza la
mediazione dell'Io e questo è un guaio.
 
7b) Allora, semplificando molto, l'importante è che voi comprendiate che ci
può essere la prevalenza dell'uno o dell'altro personaggio, dell'una o
dell'altra istanza, per cui se prevale il personaggio amato, ci sarà
un'accentuazione delle problema che del senso di inferiorità. Per esempio,
ci può essere un personaggio amato molto alto, io non riesco a
raggiungerlo e allora mi sento oppresso da un senso di inferiorità.
Se io mi ficco in testa che devo diventare Presidente della Repubblica
perchè ho dentro di me una voce paterna, materna, ecc., che mi spinge
prepotentemente in quella direzione e poi non lo divento, se ho inves to
tu o su questo mi sento venir meno.
Può emergere il personaggio temuto e allora si ha un'accentuazione delle
problema che legate al senso di colpa.
Io seguivo un adolescente, in quei primi due anni di lavoro in montagna di
cui ho parlato prima. Ricordo che veramente mi fece un'impressione
tremenda, perchè ero all'inizio del mio lavoro.
Si tra ava di un ragazzo che aveva una serie di manie di persecuzione, cioè
un senso di colpa enorme. Ricordo la prima volta in cui io e lo psichiatra
siamo entra in casa sua, per una visita domiciliare. Si inginocchiò di fronte
allo psichiatra e disse, in diale o: - A son curiòs, a son gulòs -
Si autoaccusava "io sono curioso, io sono goloso", sono questo, sono
quest'altro: questo è, ovviamente, un caso in cui l'io non c'è più del tu o.
Se l'io sparisce totalmente, allora veramente, questa accentuazione può
dare adito anche a degli scompensi pesan ssimi.
Dell'accentuazione delle problema che della grandiosità abbiamo già
parlato in occasione dell'aneddoto del vecchie o del San Lazzaro che
pensava di essere un generale di Giuseppe Garibaldi.
Se, infine, è la nostra impulsività che prevale, allora ci troviamo di fronte un
po' a quello che succede nei delinquen , nei droga : cioè di fronte ad
un'impulsività che nessun'altra istanza è in grado di bloccare, per cui fra
pensiero e azione c'è un corto circuito, c'è un "agito", diciamo noi
tecnicamente, cioè, un agire senza riflessione.
 
7c) Allora, riassumendo, o il dialogo interno si frantuma in una rissa, o il
dialogo interno ci irrigidisce in comportamen ingessa .
Per esempio, ci potrebbe essere una cosa di questo genere: una richiesta
troppo forte di adesione ad un personaggio amato troppo alto, l'emergere
di un personaggio temuto che fa sen re in colpa perchè non l'hai
raggiunto.
Oppure ci si può irrigidire in comportamen ingessa . E' il caso di coloro
che mostrano una dedizione più o meno assoluta al fine di emulare un
personaggio amato o di ingraziarsi un personaggio temuto (dedizione per
colpa), oppure ci può essere il confronto con un personaggio eroico.
In conclusione, la perdita di un Io che in un certo qual modo pone dei limi
alle cose, può far emergere anche questo po di personaggi che sono
"paren " della vostra dedizione al volontariato, all'obiezione, ecc. Qui mi
ricollego di nuovo alle cose che avete ascoltato dalla Dr.ssa Bertani
sull'"alleanza per" perchè non dobbiamo diventare tu dei missionari che,
per emulazione, per colpa o per confronto con qualche "personaggio
eroico" che è dentro di noi, perdono il senso e il limite del loro impegno.
 
7d) Alcune note finali.
Prima nota: è importante che i personaggi idealizza siano effe vamente
introie a o meno. Cioè, a enzione, che i personaggi idealizza ,
personaggi ama e personaggi temu insieme, siano veramente
interiorizza ; quel processo per cui, a un certo punto, il bambino non ha
bisogno, non deve più dire a se stesso: "tu devi", ma "io devo". Questo è
molto importante.
Perchè? Perchè se questo non avviene, su questa mancata introiezione si
innescano problema che che sono in mol di noi, per cui noi s amo
sempre aspe ando il "bravo" dell'altro, della persona che conta, del capo.
Se non abbiamo un'introiezione di questa istanza, se cioè il personaggio
amato e il personaggio temuto non sono sta introie a dentro di noi,
passeremo tu a la vita a cercare il "bravo" da qualcun altro che
rappresenta gli eredi del papà e della mamma (e sono queste le famose
"imago parentali" idealizzate e/o temute cui si accennava prima).
E' importante, inoltre, che l'area della grandiosità non sia troppo invasiva,
altrimen l'altro, il diverso da me, esiste solo come eco delle mie parole,
come specchio che deve confermare la mia grandiosità. Ad esempio, se
uno è molto pieno di sè, di fronte ad un insuccesso o finge di non vederlo,
fa la poli ca dello struzzo, oppure si arrabbia e dà la colpa a chi gli sta
vicino.
Questo è un comportamento ingessato, appar ene all'area dei
comportamen ingessa .
Ul mo punto: è importante che i personaggi siano effe vamente presen
perchè, altrimen , entriamo nel regno dei comportamen an sociali. Se
c'è un'assenza di personaggi interni (il personaggio temuto, il personaggio
amato, l'ideale dell'Io e del Super-io, ecc.) c'è la probabilità che nasca un
comportamento an sociale, delinquenziale. Se io non ho un'istanza interna
che mi dica: "queste cose non si fanno", se io non ho un personaggio
interno che mi dice: "rubare i soldi dalla macchina automa ca è un reato,
non si fa", alla prima occasione cercherò di farlo.
Chiaramente, se poi entro in un gruppo in cui tu e queste cose, ques
comportamen an sociali, sono esalta , se non ho alle spalle una famiglia,
ecc. ecc., alla fine diventerò un delinquente.
 
 
 
8) IL MEDIATORE, I SUOI RISSOSI CLIENTI E LA REALTA'.
 
 
Ul mo punto.
Anche qui date un'occhiata a questa figura: le
due re e con nue sono le nostre Scilla e Cariddi
(i nostri limi e le nostre possibilità). La linea
ondulata (a) rappresenta quella che io ho
definito la visione realis ca di sè: è
l'autovalutazione che parte dall'essere consci
delle proprie possibilità che sono dinamiche e che sono diverse (le mie
sono diverse dalle tue, ecc.).
Ho scri o "qui e ora" perchè io adesso ho queste possibilità. Domani, se
studio, se approfondisco il mio sapere, avrò più ampia possibilità.
La stessa cosa vale per i miei limi . Ho reso la linea (a) ondulata perchè
avere un comportamento plas co significa sen rsi a volte più vicini ai
propri limi , a volte alle proprie possibilità.
Vediamo ora cosa succede quando le cose non vanno bene.
Ci possono essere due pi di visione irrealis ca di noi stessi: la prima è
quella che qui ho definito come visione troppo elevata; la seconda come
visione troppo bassa.
Abbiamo già visto che il comportamento plas co è quello in base al quale a
volte mi sento un po' più vicino alle mie possibilità, a volte più vicino ai
miei limi , ecc., ma all'interno del quale, grosso modo, mantengo una
visione realis ca di me.
Ci sono però alcuni (b) che hanno stabilmente una visione troppo bassa di
sè, ed alcuni (d), infine, che hanno una visione di sè oscillante: in cer
momen , cioè, si sentono "zero via zero" e, in cer momen , si sentono
dei "Padreterni".
Questo è il rischio che voi correte giornalmente, che tu noi che lavoriamo
con gli handicappa corriamo ogni giorno, perchè abbiamo a che fare, per
esempio, con dei pazien che non guariscono. Cioè, a enzione! badate! un
paziente che non guarisce, paradossalmente, può s molare la nostra
onnipotenza. (Inguaribile? Vedrete! Quando intervengo io vi faccio vedere
io cosa faccio!).
Poi ci sono alcuni fra di noi che con questa onnipotenza ogni tanto ci fanno
i con , altri invece che non si so opongono mai ad una prova di realtà ed
altri ancora che hanno questa oscillazione.
Vediamo meglio queste qua ro posizioni:
- la prima è la dimensione (a), quella che io ho chiamato la dimensione
della propria potenza: "io sono signore di me stesso perchè conosco le mie
possibilità e i miei limi e mi valuto in base a quelli".
Ad esempio: so di poter dare questo al tal bambino handicappato e non
quest'altro perchè troppo elevato per le mie possibilità. D'altro canto io
non posso dare quello perchè è troppo alto, ma non è vero che non posso
dare niente, qualcosa posso dare. Ho studiato, so scrivere bene in italiano e
posso fare da insegnante per il pomeriggio per il tal ragazzino a rischio.
Questo è il modo di ragionare, di valutarsi, di un volontario che è "signore
di se stesso"
La seconda strategia (b) è quella di chi si sente stabilmente onnipotente.
Facciamo un esempio di quello che accade, in questo caso, sul piano
relazionale. L'altro (il bambino, l'Amministrazione, la famiglia) deve
rispecchiare la mia grandiosità, altrimen ...!
E qui gli esi possono essere diversi: si va da una situazione di po
allucinatorio dove il riabilitatore ad esempio, "vede" progressi che non ci
sono, fino al comportamento ansioso di chi, per veder confermata la
propria onnipotenza, si deve so oporre a con nue prove.
Oppure possiamo scegliere la strategia "c" che è quella di chi si sente
stabilmente impotente.
Quando noi ci sen amo impoten , spesso siamo in depressione perchè
abbiamo un lu o. Ad esempio, io ho perso la potenza, presupponevo di
averla ma l'ho persa. Allora sono in lu o, sono in depressione, perchè
piango la mia potenza perduta. Ma non tu sopportano la depressione, la
sofferenza per il lu o. Al suo posto ci può essere, per esempio, rabbia e
a acco verso l'altro.
Facciamo un esempio sempre legato ai bambini handicappa .
I familiari dei bambini handicappa , subito dopo la diagnosi, spesso hanno
un a eggiamento maniacale. Si illudono che il loro figlio possa guarire e
girano tu gli specialis , i maghi, i guaritori finché, magari, non trovano
qualcuno che li prende in giro. Alla fine, vanno in crisi. Ebbene, da questa
crisi, da questa depressione, a volte può finalmente nascere un
cambiamento importante in loro verso il proprio figlio, un a eggiamento
realis co e riparatorio.
A volte, però, ciò non accade.
Una delle reazioni piche della famiglia è l'a acco all'équipe curante. "Voi
dovevate dare di più" ci dicono "La situazione non va avan perchè voi
siete incapaci, perchè voi non ce la fate".
Ecco una situazione in cui, pur di non riconoscersi impoten di fronte alla
guarigione del proprio figlio, l'impotenza si trasforma in rabbia.
M. Can ni: "Ma forse per i volontari il discorso è un po' diverso dal punto
di vista della gra ficazione, del riconoscimento da parte del genitore!"
"Sì, è vero, per loro si tra a di un pa o, di un contra o specifico"
M. Can ni: "E' un servizio di volontariato, quindi una cosa in più rispe o a
quello che l'Ente pubblico offre e, per questo, i genitori coi quali avete a
che fare non sono aggressivi nei vostri confron . Semmai lo saranno nei
nostri."
Una volontaria: "Questo comportamento lo possiamo avere noi normali,
diciamo, ma anche gli handicappa ?"
"Sì, sì"
"E allora volevo chiedere, una bambina che vive in un mondo tu o suo
come si fa a comprenderla?"
"Beh, dobbiamo stare a en , perchè a volte sono i mezzi espressivi che gli
handicappa non hanno adegua . Per esempio, può essere che manchi il
linguaggio verbale, allora il problema è leggere il loro comportamento non
verbale per capire qual è il po di strategia che loro usano.
Facciamo un esempio: al "Proge o 10" c'è un handicappato, che
chiameremo Francesco, il quale è un po' sul versante della grandiosità,
pensa di essere il più bravo. A livello mentale è poco più che un bambino,
cioè ha un'età mentale che non è corrispondente all'età anagrafica e, in
più, non ha una gran capacità di autoconsapevolezza. Ciò nonostante,
presenta delle problema che legate alla grandiosità poichè, la pur vaga
autoconsapevolezza che ha, lo porta a rappresentarsi mentalmente ed a
riconoscere dentro di sè tu o l'insieme di personaggi di cui, fin qui,
abbiamo ampiamente parlato.
L'ul ma strategia (d) è rappresentata dalla oscillazione tra onnipotenza e
impotenza.
Ad esempio, ci può essere un passaggio da una fase 1 in cui io mi bu o a
pesce (a enzione a questo punto poichè ciò succede meno spesso al
volontario) ad una fase 2 in cui rimango deluso, per poi tornare ad una fase
1 in cui mi ribu o a pesce e poi ancora in una fase 2 in cui rimango ancora
deluso, e così via.
Ci possono essere storie che, addiri ura, vanno avan all'infinito in questa
oscillazione! E qui, cos'è che manca? Manca il passaggio ad una visione
realis ca dei propri limi e delle proprie possibilità.
Questo non sca a mai perchè fare un esame di realtà, vedere quali sono i
propri limi e le proprie possibilità per cer individui è troppo doloroso. Ci
sono persone che, pur di non vedere i propri limi e le proprie possibilità,
con nuano perennemente ad oscillare. Ed anche queste non sono storie
troppo lontane da noi, perchè, ad esempio, anche il nostro servizio, anche
le scuole materne comunali di Reggio Emilia, anche le giovani
professionalità come quella dello psicologo e dell'educatore (come la
vostra esperienza che sta per cominciare) sono so opos e, direi, sospin ,
ad oscillare, rinunciando spesso ad un confronto con la realtà che, se pur
doloroso, è l'unica àncora che invece abbiamo per non montarci la testa
(ricordiamoci anche noi di essere mortali) o per non sen rci "zero via zero".
 
 
Cosicché l'indicazione finale è: a enzione a quelli che sono i nostri limi e
le nostre possibilità a uali, perchè solamente così diminuiremo il rischio di
fare tan naufragi. Ciò non vuol dire che non ne faremo più, anzi,
con nueremo a farne "allegramente" ogni giorno ma diminuiremo, se non
altro, il rischio di farne troppi e, sopra u o, di rimanere sempre in preda
ad una visione irrealis ca di noi.
 
 
 
BIBLIOGRAFIA
 
 
BERTANI D. (1992) "Il rapporto adulto-bambino. La necessità di definire una "alleanza
per..." nella presente collana.
CHASSEGUET SMIRGEL J.V. (1991) "L'ideale dell'Io", Raffaello Cor na Ed., Mi
DEVOTO G. (1979) "Avviamento all'e mologia italiana", Mondadori, Milano
FRAIBERG S. (1974) "Gli anni magici", A. Armando, Roma
GRINBERG L. (1978) "Colpa e depressione", Ed. Il Formichiere, Milano
KOHUT H. (1976) "Narcisismo e analisi del sè", Boringhieri, Torino
LAPLANCHE e PONTALIS (1968) "Enciclopedia della psicanalisi", Laterza, Bari
cfr. sopra u o le voci: Ideale dell'Io, Io, Io Ideale, Narcisismo, Super-Io.
MANCIA M.(a cura di) (1979) "Super-Io e Ideale dell'Io", Il Formichiere, Milano
NAPOLITANI D. (1987) "Individualità e gruppalità", Boringhieri, Torino
 
 

 
 
Per saperne di più sulla patologia
 
 
Giuliana Giache

 
 
Paralisi Cerebrali Infan li
 
Il termine Paralisi Cerebrale Infan le (PCI) sta per una patologia che
coinvolge il movimento (paralisi) originata da un danno al cervello
verificatosi prima, durante o poco dopo la nascita.
Il danno (sofferenza fetale, durante il parto o poco dopo) produce una
distruzione di sostanza cerebrale ed è irreversibile.
A seconda della sede e della estensione della perdita di sostanza cerebrale
si hanno le varie forme di PCI, con varie pologie di disturbo del
movimento e di problemi associa .
La classificazione delle PCI a seconda della sede della paralisi riprende la
classificazione delle paralisi negli adul :
1) EMIPLEGIA: paralisi degli ar di un lato del corpo (ad es. braccio e gamba
destra) e, precisamente, il lato opposto a quello della lesione cerebrale
che, in questo caso, coinvolge un solo emisfero. Proprio perchè è colpita
solo una metà del cervello, le funzioni più elaborate della parte lesa
possono con facilità, in un cervello ancora molto immaturo e plas co,
essere sos tuite dall'emisfero sano ed è per questo che, di solito, ques
bambini non hanno complicazioni nella sfera cogni va.
La paralisi dell'arto inferiore non impedisce l'acquisizione del cammino
autonomo, anche se questo appare incerto e asimmetrico per lo schema di
spas cità della parte compromessa (piede in punta, ginocchio ed anca
flessi). Anche l'arto superiore pare co presenta lo schema spas co: intra-
rotazione, flessione del gomito, del polso e delle dita.
Il bambino impara ad usare per tu e le a vità l'arto sano e a non
coinvolgere, quasi a dimen care, quello paralizzato.
 
ATASSIA: in questa forma il danno ha sede nel cervelle o e si manifesta
prevalentemente con difficoltà di equilibrio e di coordinazione dei
movimen . Il cammino viene acquisito con molto ritardo, quando il
bambino riesce a trovare strategie per compensare le difficoltà.
 
DIPLEGIA: sono colpi i due ar inferiori, entrambi spas ci, mentre la parte
superiore del corpo appare indenne.
Anche ques bambini imparano a camminare senza suppor , pur
mantenendo una modalità di cammino molto par colare e cara eris ca: in
punta di piedi, con le ginocchia e le anche flesse ed il bacino oscillante.
Molto spesso sono bambini di intelligenza normale.
Talvolta possono essere presen disturbi associa che descriverò in
seguito.
 
TETRAPLEGIA: sono interessa dalla paralisi tu e qua ro gli ar . A
seconda della sede e della gravità della lesione, che comunque coinvolge
entrambi gli emisferi cerebrali, gli ar superiori possono essere poco
interessa , oppure possono essere anch'essi molto compromessi. Spesso è
presente una differenza di gravità fra i due la del corpo.
Nella tetraplegia è sempre presente il coinvolgimento del tronco che è
ipotonico, mentre gli ar sono rigidi, ipertonici (cioè spas ci) o distonici
(con un tono flu uante fra la rigidità e l'ipotonia). La mancanza di un
sufficiente tono del tronco è la causa principale dell'incapacità del bambino
ad assumere posizioni sempre più ver cali, come dovrebbe avvenire nello
sviluppo normale. Quindi, il bambino con tetraparesi impara molto tardi a
reggere e a controllare la testa nello spazio, a sollevarla da prono, a stare
seduto e poi in piedi. Queste tappe, nei casi più gravi, non vengono mai
raggiunte.
E' quasi sempre compromessa la mo lità degli occhi (strabismo, incapacità
di muovere gli occhi intenzionalmente) e della bocca (difficoltà ad
inghio re, mas care, parlare).
Se la compromissione degli ar superiori è seria da entrambi i la , ques
non possono venir usa per manipolare, conoscere, giocare, mangiare,
scrivere, ecc. Questo, insieme all'incapacità di spostamento autonomo,
rende ques sogge completamente dipenden .
 
Disturbi associa nella PCI
In modo spesso indipendente dalla gravità della compromissione motoria
fin qui descri a, ma dipendente dalla sede del danno che, in queste forme,
è spesso esteso sia alle zone so ocor cali del cervello che ad aree della
corteccia cerebrale, sono spesso presen , in modo variamente combinato,
disturbi associa .
 
DISTURBI PERCETTIVI: cioè della percezione del corpo nello spazio come
corpo separato, autonomo.
Ques bambini hanno una grande angoscia rispe o alla separazione dal
corpo della madre, che li con ene e sos ene, che si manifesta come
con nua paura di cadere e che interferisce pesantemente con la loro
inizia va, intenzionalità nell'agire, mo vazione all'autonomia e, quindi, con
le possibilità di riabilitazione, per lo meno per i primi 6/7 anni di vita.
 
AGNOSIE: incapacità di integrare i da della percezione per a ribuire
significato ai da trasmessi al cervello dagli organi di senso: sento un
rumore ma non riconosco lo squillo del telefono, vedo un ogge o metallico
con qua ro punte ma non so che serve per mangiare e si chiama forche a.
Le agnosie visive, in par colare, sono abbastanza frequen e producono
una notevole difficoltà a conoscere la realtà e, quindi, ad acquisire
autonomie.
 
DISPRASSIE: si riconoscono clinicamente dalla impossibilità di eseguire un
gesto su comando o su imitazione.
La difficoltà è di programmare la sequenza motoria necessaria a
raggiungere uno scopo.
Per ques bambini è estremamente difficile imparare a fare qualsiasi cosa
(compiere un percorso, aprire una scatola, usare un gioca olo, accendere
un fiammifero, copiare un quadrato o una le era dell'alfabeto) finché non
sia stata insegnata, in modo specifico, in ogni componente e ripetuta
infinite volte, fino a diventare automa ca e a non richiedere, quindi, più il
pensiero e la coscienza per essere compiuta.
 
DISTURBI DI LINGUAGGIO.
Il linguaggio è una competenza complessa della mente umana e richiede
per realizzarsi l'integrità di varie stru ure che, nella PCI, possono essere
alterate in modo se oriale o variamente combinato:
1) Può essere alterata la capacità ar colatoria per la compromissione
motoria delle stru ure fonatorie ed ar colatorie necessarie; il linguaggio è
presente ma risulta incomprensibile perchè la pronuncia è pessima.
2) Può essere compromessa la capacità di programmare in corre e
sequenze i suoni all'interno della parola o le parole nella frase: la pronuncia
può essere corre a, ma ci sono inversioni di suoni o di par del discorso.
3) Ci possono essere difficoltà ad esprimersi in modo gramma calmente o
sinta camente corre o: mancano ar coli e preposizioni, i verbi sono mal
coniuga , la frase è molto semplificata e scorre a.
4) Può mancare la capacità simbolica necessaria allo sviluppo del
linguaggio, cioè la capacità di considerare un suono ar colato (parola)
come segno di qualcos'altro (ad es. un ogge o).
Per esempio: vedo una cosa che si me e nel piede. Sia quelle che si
me ono al mio piede, che quelle della mamma, che quelle che ho visto
illustrate sul giornale, vengono chiamate da tu “scarpe”; quindi, anch'io
tenterò di imparare ad usare questo suono quando voglio designarle. Se il
bambino non compie questo salto cogni vo, non può sviluppare la
competenza linguis ca.
Queste difficoltà possono essere presen isolatamente o, più spesso,
combinate fra loro, come pure con difficoltà se oriali di le ura, scri ura,
logica, conce ualizzazione, ecc. Va anche considerato che il serio problema
motorio, di per sé, (intervenendo su un individuo in sviluppo in una fase in
cui la motricità è il mezzo privilegiato di conoscenza e di definizione di sé e
del mondo, strumento di autonomia e di crescita psicologica) incide
pesantemente sulla maturazione e sullo sviluppo dei processi cogni vi e
sull'armonico sviluppo della personalità.
 
 
 
INSUFFICIENZA MENTALE
 
Può essere anche definita: Ritardo mentale, Deficit Intelle vo, Deficit
Cogni vo, a seconda degli autori e delle scuole.
In effe , durante l'età evolu va, si manifesta in gran parte come ritardo di
tu e le acquisizioni matura ve dell'individuo e, dall'en tà del ritardo, si
può misurare la gravità del deficit intelle vo e, quindi, valutare la
prognosi.
Oltre al ritardo è, però, sempre presente una certa disarmonia o
eterocronia, cioè le varie linee di sviluppo(motricità, linguaggio, capacità di
gioco, capacità sociale, sviluppo psico-affe vo) non hanno un ritardo
omogeneo e questo complica ulteriormente il rapporto del ritardato
mentale col mondo della conoscenza e degli affe .
Il conce o di insufficienza mentale è storicamente associato all'uso dei test
d'intelligenza, insieme di prove standardizzate, cioè tarate su migliaia di
individui, che definiscono l'età mentale di un sogge o, ovverosia a quale
età mentale corrispondono le sue prestazioni. Sono sta molto cri ca
perché è difficile che i risulta non risentano di implicazioni culturali
(risponde meglio il sogge o meno svantaggiato dal punto di vista culturale
o sociale); perché, essendo somministra in modo rigido, non tengono
conto della condizione emo va e dell'aspe o della mo vazione o interesse
ad una a vità (per cui io so che un bambino non ha risposto, ma non so
perché, cioè se questo ha a che afre con l'intelligenza); perché non
consentono di individuare come quel bambino può imparare meglio, cosa è
pronto ad imparare, qual è la sua area di sviluppo potenziale.
Per ques mo vi i test sono inu li a catalogare sogge ma non a
riabilitarli.
Stabilire in un sufficiente mentale le potenzialità e le modalità più idonee di
apprendimento è, invece, indispensabile allo scopo forse più importante
nell'educazione e nella riabilitazione di ques sogge : fare le proposte
giuste, adeguate alle capacità del sogge o; non troppo facili perché
produrrebbero caduta di interesse, né troppo difficili perché causerebbero
eccessiva frustrazione, oltre a non perme ere un reale processo cogni vo.
Per fare questo è comunque indispensabile farsi un'idea della gravità del
ritardo. Questa è stata storicamente definita, per comodità di
classificazione, in tre grandi categorie: ritardo mentale grave, medio e lieve
anche se, naturalmente, il passaggio dall'una all'altra è sfumato.
Il ritardo mentale grave comprende quei sogge , che al termine dello
sviluppo cogni vo (all'incirca alla fine dell'adolescenza), hanno raggiunto lo
sviluppo di un bambino di 2-3 anni circa; talora anche meno per i sogge
gravissimi.
Sono bambini che iniziano molto tardi a camminare e ad esplorare
l'ambiente e con nuano a farlo in modo goffo e poco efficiente. Il
linguaggio può non venir acquisito o restare molto rudimentale, come
appunto quello di un bambino piccolo. Non sono possibili acquisizioni di
po scolas co convenzionale (le ura, scri ura, ecc.).
Lo sviluppo psico-affe vo può essere disarmonico rispe o alle altre
competenze, producendo confusione ed incertezza rispe o all'iden tà
personale e al senso di realtà.
Talora mancano le autonomie personali elementari (controllo degli sfinteri,
alimentazione, cura della propria persona) che, comunque, sono fra gli
obie vi principali del programma educa vo e riabilita vo, assieme alla
promozione di una migliore comunicazione e di uno sviluppo della
personalità il più possibile ada ato ed armonico.
Il ritardo mentale medio (dis nguibile in medio-grave e medio-lieve)
comprende sogge che, al termine dello sviluppo, hanno raggiunto
capacità fra i 4 e i 7 anni circa di età mentale.
L'evoluzione è anche qui molto lenta e spesso disarmonica fra le varie linee
di sviluppo. Per esempio, un bambino - insufficiente mentale medio - di 5
anni di età, potrebbe avere capacità motorie paragonabili ai 4 anni, il
linguaggio di un bambino di 18 mesi (spesso il linguaggio è più
compromesso rispe o alle altre competenze), capacità di gioco e rispe o
delle regole sociali più vicine ai 3 anni.
Ques bambini hanno uno sviluppo del linguaggio variabile ma, in genere,
sufficiente ed una discreta capacità comunica va, pur restando povero dal
punto di vista sinta co e superficiale nel contenuto.
E' acquisibile la capacità di compiere operazioni manuali finalizzate ed
ordinate in sequenze, sia nell'ambito delle autonomie personali elementari
(che vengono acquisite abbastanza bene se si svolge un buon lavoro
educa vo) sia, più tardi, rispe o ad autonomie più evolute: andare in un
negozio a fare acquis avendo una conoscenza superficiale dell'uso del
denaro, prendere un mezzo pubblico per compiere un percorso definito e
rou nario, svolgere un'a vità lavora va ripe va, sia pure con modalità
prote e.
Le capacità scolas che saranno probabilmente limitate ad alcuni
meccanismi: leggere in modo lento e poco funzionale o anche solo
conoscere le le ere e scrivere so o de atura le era per le era, contare
ma senza la capacità di operare con le quan tà, disegnare in modo
stereo pato.
Tu o questo sarà possibile se il processo di crescita sarà accompagnato da
un contesto di aspe a ve adeguate, che valorizzi le autonomie personali
acce ando, nel contempo, i limi inevitabili.
Il ritardo mentale lieve comprende ragazzi che possono raggiungere
capacità paragonabili agli 8-11 anni circa di età mentale.
In ques sogge lo sviluppo motorio può essere abbastanza nella norma. Il
linguaggio, invece, è generalmente in notevole ritardo, ma viene poi
acquisito in modo abbastanza completo, anche se possono mancare le
stru ure sinta che più complesse. Le difficoltà diventano più pesan con
l'ingresso alla scuola elementare dove le competenze da acquisire si
spostano sempre più dal piano pra co a quello simbolico e conce uale.
Le autonomie personali e le capacità sociali di ques sogge sono
sufficientemente adeguate, anche se c'è il rischio di disturbi del cara ere e
del comportamento quando lo squilibrio fra potenzialità reali e richieste
dell'ambiente pesa troppo su una stru ura psicologica ancora immatura e
fragile.
Raggiungono le competenze scolas che di base (le ura, scri ura, calcolo
semplice) e, se viene mantenuta una discreta stabilità psicologica, anche
una certa capacità lavora va come svolgere semplici mansioni in modo
autonomo e, in certa misura, produ vo.
 
 
Pseudo-insufficienza mentale
Esprime il conce o di un ritardo di competenze dovuto, non ad una
irreversibile mancanza di stru ure cogni ve, ma a carenze ambientali,
culturali o sociali o a difficoltà psicologiche che impediscono il
raggiungimento del potenziale intelle vo.
Quando la difficoltà è di origine psicologica si usa il termine di inibizione
intelle va.
L'importanza di una diagnosi corre a sta nel fa o che, un ritardo
determinato da fa ori ambientali, può essere compensato da interven sul
contesto ambientale (esperienze posi ve e s molan , provvedimen
sociali, recupero scolas co, intervento sull'ambiente psico-affe vo, ecc.).
Va comunque so olineato che, col passare del tempo, le carenze
ambientali, determinando una grave povertà di esperienze, producono
difficoltà cogni ve non completamente reversibili, così che dis nguere il
vero ritardo mentale lieve da una pseudo-insufficienza mentale diventa ad
una certa età molto difficile.
 
 
 
 
 
 
L'osservazione del diverso da me: guardare, sen re, vedere
 
Deliana Bertani
 
Il tema di questo incontro è "L'osservazione del diverso da me: guardare,
sen re, vedere" ed è, per mol versi, la con nuazione dell'incontro
dell'anno scorso.
Innanzitu o perchè abbiamo scelto questo tema: ci sembrava di vitale
importanza nell'incontro che avviene fra voi e l'individuo, cioè il ragazzo col
quale svolgete il vostro lavoro di volontariato.
Vediamo di entrare nell'argomento.
Cosa significa osservazione?
Osservazione è conoscenza, costruzione, possibilità, metodologia
a raverso la quale portare avan un obie vo, un lavoro.
Chi è che osserva? Chi è l'osservato?
Direi che possiamo fare una prima osservazione: chi osserva è qualcuno
(un volontario nel nostro caso) che rappresenta in quel momento una
specie di "organizzatore di obie vi", rappresenta, cioè, qualcuno che
rende possibile il compimento di esperienze mediante il proprio fare delle
cose sulla base di un proge o, basandosi sulla conoscenza dell'altro che ha
di fronte.
Come si acquisisce questa conoscenza? Stando con il ragazzo, sentendolo e
sentendosi con lui. La conoscenza che si acquisisce mediante tu a questa
serie di azioni si può definire con un unico termine: conoscenza acquisita
mediante l'osservazione.
Se non osserviamo la persona, l'individuo che abbiamo di fronte,
evidentemente non riusciamo a sapere, a capire, a conoscere chi è
quest'individuo, non riusciamo a sapere quello che con questa persona
possiamo o non possiamo fare.
Allora, che significato ha l'osservazione?
Possiamo dire che ha un significato a vo ed uno passivo.
A vo in quanto dovremmo cogliere le proposte che l'individuo che
abbiamo di fronte ci lancia: quello che fa, perchè lo fa, come vuol fare certe
cose, quello che vuole o non vuole fare, i suoi sen men . Quindi a vo
perchè dobbiamo stare a en per vedere, per sen re, per capire.
Passivo perchè tu o questo (l'azione) passa a raverso chi osserva,
a raverso la nostra esperienza, la nostra emo vità, la nostra storia,
insomma passa a raverso noi stessi.
Capita che, di fronte ad uno stesso evento, voi date un'interpretazione
mentre il vostro amico ne dà una diversa. Questo avviene non perchè in
quel momento il vostro amico "dava i numeri", ma perchè le stesse cose
acquistano un significato diverso a seconda di chi le guarda, di chi le
osserva. Quindi passivo perchè tu o quello che avviene viene filtrato
a raverso noi stessi, la nostra esperienza, le nostre emozioni.
Vi sarà capitato di notare, per esempio, che la stessa cosa se siete
tranquilli, felici, sereni, ha un significato, se siete arrabbia ne ha un altro.
Quindi chi osserva è una figura determinante rispe o all'azione
dell'osservare.
 
Riprendiamo un conce o sul quale ci siamo sofferma l'anno scorso: il
lavoro che voi fate (volontari, obie ori, voi ed io) ha per ogge o della
propria azione un altro sogge o; è un lavoro che ha come principale
strumento, non una macchina o un paio di occhiali (anche se servono)
bensì se stessi.
Ciascuno di noi, nel lavoro che facciamo quando siamo con il ragazzo o il
bambino col quale abbiamo deciso di passare parte del nostro tempo, usa
come strumento "se stesso". Allora, se ognuno di noi usa sostanzialmente
se stesso, non può non interrogarsi su "quale se stesso?", o meglio, su
quale occhio sta usando. Non può non interrogarsi su quale orecchio sta
facendo funzionare. Non abbiamo tan ssimi occhi o tan ssime orecchie,
ma i nostri occhi e le nostre orecchie vedono e sentono in maniera
estremamente influenzata dal nostro stato d'animo, dalle nostre emozioni
del momento e anche da come siamo, cioè dalla nostra storia personale e
dalla nostra stru ura psicologica.
Il significato passivo dell'osservazione sta in questo: non possiamo non
interrogarci su quale occhio e orecchio s amo usando e, per capirlo,
occorre evidentemente "stare fermi" per sen rsi, per ascoltarsi, per essere
in conta o con se stessi anziché fuggire da sè, dalla relazione che s amo
me endo in piedi a raverso il fare.
Vediamo un po' ques due conce .
Credo che sia estremamente importante il discorso della passività perchè la
nostra cultura è prevalentemente una cultura centrata sul fare, per cui la
passività viene comunemente connotata in modo dispregia vo: una
persona si definisce "passiva" quando è un'ameba, qualcosa di amorfo,
qualcuno che non reagisce, che non si dà da fare, un incapace, come si
evince dal linguaggio comune. Per questo spesso, se non sempre, questo
discorso sull'osservazione, come sen rsi, come stare fermi un a mo per
capire quello che sta succedendo, è qualcosa che abbiamo difficoltà a
me ere in a o. Molto più facilmente cosa facciamo? Cerchiamo di
manipolare la situazione, interveniamo perchè in questo modo ci sembra
di fare, di "produrre" di più, di risolvere qualcosa.
Perchè stare fermi?
Non so se siete mai anda a funghi. Quando siete in montagna e
camminate in un bosco, per sen re da dove provengono i rumori bisogna
fermarsi, altrimen si sente solo il rumore dei propri passi. Fate conto che
noi dobbiamo fare la stessa cosa. Dobbiamo fermarci per capire da dove
vengono i rumori, dobbiamo decifrarli. Cosa capita spesso se siamo in un
bosco e sen amo un rumore? Facilmente ci spaven amo e magari ci
me amo a correre, risolvendo il disagio facendo. Se, invece, ci fermassimo
un a mo, potremmo scoprire che quel rumore non è niente se non una
pigna che sta cadendo o uno scoia olo che sta cercando da mangiare.
Questo per dire che occorre star fermi, prendere tempo per capire, proprio
perchè, spesso e volen eri, se capiamo riusciamo, primo a non avere
fre a, secondo a non fare delle cose che poi ci pen amo di aver fa o
(correndo nel bosco si può inciampare e cadere), terzo ci possiamo rendere
conto che quello che abbiamo davan non è qualcosa di pauroso, ma
qualcosa di facilmente riconducibile a quello che già sappiamo, qualcosa di
riconoscibile e che per questo non ci spaventa.
 
Il tolo di questo incontro è "L'osservazione del diverso da me". Il diverso
spaventa poichè non è conosciuto.
Il diverso, quando si avvicina, ci me e in una situazione di ansia, allora o
scappiamo o ci fermiamo un a mo per conoscere, per vedere, per
osservare.
La passività nell'osservazione, quindi, significa non lasciarsi sopraffare dal
desiderio di invadere, di penetrare con il proprio mondo il mondo altrui,
perdendo la possibilità di capire e di comprendere.
Il sen re, il comprendere, la passività nell'osservazione, appunto, ci
perme e di poter u lizzare ulteriormente dei messaggi, nel nostro caso
quei pochi messaggi, che ci vengono lancia . Messaggi che spesso e
volen eri sono molto labili, molto deboli (chi ha già lavorato, chi ha avuto a
che fare sopra u o con ragazzi handicappa ma non solo, anche con
ragazzi disada a , anche con quelli che voi aiutate a fare i compi , ha
potuto constatare il linguaggio povero, limitato e la scarsa capacità di
comunicare, di farsi comprendere e di capire che essi hanno).
Se questa è la situazione, se abbiamo a che fare con tu a una serie di
segnali verbali e non che sono molto piccoli, poveri e inadegua , per
sen re e capire dobbiamo porci con una mentalità, un a eggiamento, una
modalità che comprende tu a una serie di cose che ciascuno di noi ha
abbandonato perchè considerate come superate.
Per capire chi ha poche parole per esprimersi, per capire chi è inadeguato,
dobbiamo diventare noi pure inadegua , poco esper . Per osservare e
capire dobbiamo far ricorso a quel bambino che eravamo e farcelo
ritornare alla mente, recuperare quella esperienza e quella inadeguatezza,
perchè, se non facciamo ricorso a questo bambino che è in noi e lasciamo
parlare soltanto l'adulto che siamo diventa , rischiamo di me erci in
ca edra, non riusciamo a vedere e comprendere il mondo dei bisogni,
delle goffaggini, delle inadeguatezze che ci sta davan . Il conta o con il
bambino che è dentro di noi ci dà maggior familiarità con l'essere, con il
sen re. Quindi, avvicinare l'ogge o dell'osservazione a raverso il sen re,
l'esserci, il pensare, senza perderci nell'ogge o stesso e senza scappare.
Prima abbiamo de o che una possibilità è quella di scappare. Un altro
rischio che possiamo correre è quello di perderci nell'ogge o che abbiamo
di fronte. O fuggiamo o cerchiamo di far diventare l'altro qualcosa che
conosciamo, ten amo di trasformare questo sconosciuto in qualcosa di
nostro, di rassicurante. Come? Manipolando, sovrapponendo, facendo finta
che l'altro che abbiamo di fronte non sia diverso ma uguale a noi, quindi
a ribuendogli le nostre idee, bisogni e desideri.
Come possiamo sovrapporci all'altro? Cosa facciamo? Cosa succede? Quali
meccanismi me amo in a o?
Abbiamo de o che sen amo a raverso noi stessi e i nostri desideri. La
nostra storia personale distorce ed influenza ciò che osserviamo; i nostri
desideri influenzano i giudizi che diamo, selezioniamo i fa da osservare,
la memoria predetermina i risulta dell'osservazione stessa.
Se osserviamo e pensiamo al passato o al futuro diven amo ciechi e sordi
rispe o all'essere presen a quello che avviene lì e ora.
Qual è lo spazio ideale dell'osservazione?
Lo spazio ideale dell'osservazione è il "qui"; il tempo ideale è l'"ora".
Questo è un fa o fondamentale se parliamo di handicappa .
Il loro spazio e il loro tempo hanno delle dimensioni diverse dalle nostre,
inconsisten e sfilacciate. Il tempo di ques ragazzi non passa mai; farlo
passare con un senso dipende da noi.
I desideri e le memorie sono due elemen che possono influenzare e
rendere distorta la nostra osservazione. Quindi potremmo dire evitare i
desideri e le memorie affinché non interferiscano, sapendo però che
questo non significa scordare ed ignorare se stessi, bensì significa una cosa
molto semplice ma estremamente complicata nello stesso tempo:
ricordare per poter dimen care, prendere coscienza delle proprie fantasie,
dei propri desideri, delle proprie paure, della propria storia, per poter
osservare realmente, senza memoria e senza desideri.
In altre parole possiamo dire: nella misura in cui mi me o lì per fare
qualche cosa con questo ragazzo che ho davan , mi occorre conoscere
questo ragazzo ma, contemporaneamente, è necessario che io conosca
anche me stesso per evitare che l'altro ed io facciamo una confusione nella
quale io non capisco più quale è il mio, quale è il suo, quali sono le mie
emozioni, quali sono i miei desideri, qual è la mia esperienza, qual è la mia
comunicazione e la comunicazione dell'altro. Mi verrebbe da dire che è
un'occasione buona, importante, quella nella quale vi rendete disponibili al
fare volontariato. C'è la possibilità di stare con qualcuno che ha bisogno di
fare delle cose, ma anche l'occasione per conoscersi, per sapere "di che
pasta siamo fa ".
Conseguentemente a quello che abbiamo de o, ogni osservazione richiede
una nuova relazione fra osservatore ed osservato, una nuova scoperta e,
senza more di usare parole troppo grosse, una nuova scoperta e una
nuova creazione. L'osservazione di un altro vi può servire solo
parzialmente, proprio perchè ogni osservazione è una "nuova
osservazione".
Possiamo dire, usando una metafora: per osservare è necessario fare buio
sull'ogge o per perme ere all'ogge o stesso di eme ere la propria luce e
non di vedere luci riflesse.
Se guardiamo il cielo stellato vicino ad una fonte di luce (ad esempio un
lampione) riusciamo a vedere ben poco; per riuscire a vedere il cielo
stellato dobbiamo andare in un posto buio. Se facciamo buio riusciamo a
vedere le stelle, le costellazioni, i piane , ...
Fare buio, però, cosa implica? Implica che possiamo avere paura.
Il buio ha sempre fa o paura. E' vero che l'angoscia, la paura, l'incertezza
fanno parte dell'osservazione. Tornando al discorso di prima, l'ogge o
della nostra osservazione è qualcosa di diverso da me che non conosco e
può, pertanto, provocarmi paura e incertezza. D'altra parte è una
situazione nella quale ci troviamo spesso quando ci me amo in rapporto
profondo e significa vo con una persona.
Far buio, fermarsi per poter osservare, per poter leggere il resto e non
assumere, al posto del testo, un pretesto.
Spesso, anziché osservare, anziché conoscere. ci muoviamo, basiamo il
nostro fare su degli stereo pi, su dei pretes preconfeziona , su qualcosa,
cioè, che ci preserva dall'angoscia, dalla paura, perchè ci dà subito un
pia o preco o, precos tuito, da far funzionare.
L'osservazione implica il dividere i fa , gli ogge , lo spezze arli per
conoscerli e comprenderli meglio ed implica, poi, il ricucirli ed il ricollegarli.
Questo è ciò che rende un rapporto vero, reale, reciproco, un rapporto che
vi può veramente dare qualcosa.
Io credo fermamente che per dare si debba ricevere qualcosa; bisogna che
il nostro dare sia nutrito, altrimen alla fine non ci rimane più niente da
dare. Allora il ricucire, il ricollegare, il conoscere per conoscersi, il
conoscersi per conoscere, stanno alla base del rapporto che andiamo
cercando o cerchiamo di me ere in piedi.
Un'ul ma cosa: per capire non è sufficiente "me ersi nei panni di", può
essere sviante; per capire è meglio dire "me ersi i panni di". Non è un
gioco di parole fine a se stesso, ma il passaggio da una situazione dove
predomina l'azione (me ersi nei panni di) ad una situazione dove
predomina l'a endere (me ersi i panni di qualcun altro).
Me ersi nei panni di... significa che io mi me o e faccio, significa
sos tuirmi a...
Me ersi i panni di... significa indossare i ves di un altro e vedere ad
esempio se sono stre . L'altro con nua ad esserci, non sparisce con le sue
cara eris che, con le sue misure.
La so olineatura del passaggio dall’agire all’a endere implica la rinuncia
agli stereo pi, alla sovrapposizione, alla manipolazione. Tu o ciò per
me ervi sull'avviso che stando con una persona ci sono momen felici,
altri meno felici, altri ancora dolorosi; c'è una gamma di possibilità, di
sen men , di star bene e di star male. Occorre capire perchè le cose vanno
bene o vanno male.
Spero che alcune delle cose che vi ho de o stasera vi aiuteranno a capire
quando le cose vanno bene e quando vanno male (perchè le cose possono
andare bene o possono andare male) senza per forza trovarvi in una
situazione in cui dal sen rvi bravissimi precipitate nel sen rvi incapaci.
 
 
 
Cosa accade in una famiglia quando nasce un bambino disabile
 
Carlo Vasconi
 
 
 
La tes monianza che illustrerò fra breve è quella della mia famiglia, non
perché essa sia straordinaria, ma semplicemente perchè é la realtà che
conosco meglio.
Non so se la mia esperienza sia valida per tu e quelle famiglie in cui nasce
un bambino con problemi, anzi ne dubito, però ho potuto constatare, in
ques anni di incontri con altri genitori, che esistono delle situazioni, dei
bisogni che si ripetono in modo costante.
E' su ques elemen che cercherò di soffermarmi.
La ragione per cui voglio parlarvi di quo dianità più che di diagnosi e di
riabilitazione del bambino, è che sono fortemente convinto che non è mai,
e so olineo mai, possibile avere un approccio corre o con il bambino
disabile, senza tener conto del contesto in cui egli vive, in par colare quello
famigliare.
Addiri ura, credo che non si possa riabilitare il bambino senza rispondere
anche ai bisogni della sua famiglia.
Il vostro impegno di volontari può rappresentare una esperienza
importante sia per il ragazzo con problemi che per la sua famiglia, ma
anche e sopra u o per voi, se riuscirete ad inserirvi in modo corre o nella
vita di quella famiglia.
Vivere accanto a ques bambini, vi garan sco, è un'esperienza talmente
forte da modificare radicalmente i valori dell'esistenza.
Però non vi nascondo la difficoltà primaria: entrare in sintonia con la
famiglia, oltre che con il ragazzo.
 
Sono sposato con Nicole a dal 1986 e, nel se embre dell'anno successivo
è nato Lorenzo.
Lorenzo è nato prematuro (33 se mane). La prematurità, o qualcos'altro
che nessuno è stato in grado di dirci con esa ezza (scarsa ossigenazione
durante la gravidanza; sofferenza durante il parto; ecc.), ha determinato
una grave lesione cerebrale. Il cervello è un organo assai strano. Le sue
cellule, al contrario di ciò che fa la pelle, o il cuore, o il fegato, quando
muoiono non ricrescono, non si riproducono, pertanto, una lesione
cerebrale è sempre permanente, anche se è possibile diminuirne gli effe
nega vi con una buona azione terapeu ca e riabilita va. Ma la guarigione
non esiste.
Si parla tanto di progressi, innegabili, della scienza e della medicina, ma di
fronte alle patologie del cervello siamo ancora molto lontani dalla
conoscenza di cause e rimedi.
Nasce Lorenzo dunque.
Il primo figlio. Desiderato, voluto, cercato.
Chiunque, anche chi non ha figli, sa bene cosa significhi "Il primo figlio": i
genitori, durante l'a esa, si riscoprono bambini e cominciano a fare
proge e ad immaginarsi insieme a lui. Cosa faremo, come giocheremo,
cosa gli insegneremo, come rideremo, dove correremo, ecc...
Dopo la nascita accorgi che le cose sono andate in modo diverso rispe o
alle tue aspe a ve: tuo figlio non è come te lo eri immaginato.
Immediatamente si percepisce che qualcosa è andato storto, che forse
occorre rivedere i proge futuri: ciò che mamma e papà si erano
immagina non corrisponde a ciò che accadrà. E questo è il primo impasse,
il primo stop, il primo freno all'idea di vita che la famiglia si era data.
Nasce una famiglia "diversa".
E, spesso, il trauma è amplificato da un rapporto confli uale con la
stru ura sanitaria che ospita, per il primo periodo di vita, tuo figlio. La
confli ualità può essere considerata da due pun di vista: uno come dato
inelu abile, in quanto i genitori, rifiutando, in qualche modo, la diagnosi,
rifiutano anche coloro che l'hanno fa a; l'altra, invece, dipende
esclusivamente dalla scarsa sensibilità riscontrata spesso in ques
ambien , organizza non sui bisogni della famiglia, ma su quelli della
stru ura stessa.
La diagnosi di nostro figlio (emorragia o asfissia cerebrale) ci è stata data in
piedi, in un corridoio, come se si parlasse di una appendicite.
Ma, siamo entra in un argomento diverso.
In un primo periodo (che, purtroppo, può anche durare anni), sopra u o
quando non vi sono malformazioni visibili, i genitori vivono la diagnosi con
una certa diffidenza: che cosa ne sa questo medico, che in qua ro e
qua ro o o sba e in faccia ciò che non avres mai voluto sen r dire;
forse non è neanche bravo, anzi credo proprio che si sbagli.
I bambini piccoli sono tu uguali: la cerebrolesione, la spas cità, il ritardo
mentale e, sopra u o, la coscienza della famiglia verso queste realtà,
crescono con la crescita del bambino.
Per me e Nicole a il pensiero dominante era: va bene, adesso non regge la
testa, ma quando diventerà grande, i muscoli diventeranno più for e
reggerà la testa; davamo per scontato un processo che scontato non è.
Quando la realtà di ciò che è capitato comincia a farsi strada nella tua
testa, crolla il mondo.
La famiglia a quel punto è intra abile: non c'é psicologo, volontario,
servizio che possa colmare il senso di impotenza che il genitore vive nei
confron della mala a.
Crolla la speranza, crolla la vita pianificata: di fronte solo un buco nero.
La prima ragione di ciò è proprio la mala a: che cos'é, come è potuto
accadere, di chi è la colpa, potevamo fare qualcosa, ecc...
Spesso nasce una specie di senso di colpa nei genitori: un senso di colpa
ingius ficato, ma presente.
Cercare di capire, cercare soluzioni, rimedi, cercare una impossibile
guarigione.
Purtroppo accade anche che alcune famiglie rifiu no in toto la situazione:
vogliono convincersi che tu o sia normale, che il proprio figlio non abbia
nulla, rischiando esse stesse di cadere in una situazione che si potrebbe
definire patologica.
In altri casi, e in associazione ne abbiamo anche degli esempi, la famiglia si
sfascia. Quasi sempre è il padre che, vedendo un figlio con problemi, o non
così bello come sperava, si crea una nuova esistenza. Ciò amplifica il senso
di colpa nella madre.
Ma vi sono anche tante realtà dove il figlio crea un legame ancora più forte
tra i genitori, una solidarietà vera fra marito, moglie e figli.
E' in questa fase che possono nascere "speranze" di guarigione: esistono
metodologie sanitarie o pseudo-sanitarie che prome ono la guarigione o
un alto grado di recupero delle funzionalità del bambino. Vi sono famiglie
che cominciano il "viaggio della speranza" in Italia e all'estero.
Ques metodi (il Doman è quello più noto) hanno al cos , non solo
economici ma, sopra u o, di impegno per la famiglia, alla quale viene
richiesto di concentrare tu a la sua esistenza sul tenta vo di guarire il
figlio. Se, ad una prima valutazione, ciò può sembrare logico e dovuto, ad
una valutazione più a enta si rischia di creare famiglie completamente
scollegate con la realtà quo diana.
Mi spiego meglio.
Di che cosa ha bisogno un bambino disabile ?
Di una famiglia normale, il più possibile equilibrata e solidale.
I viaggi della speranza rischiano di portare la famiglia in una condizione di
"stress riabilita vo". Non so se mi sono spiegato bene e se questo è il
termine giusto ma, concentrarsi solo sul recupero del figlio, può portare il
genitore a perdere di vista la propria esistenza, i propri bisogni: cosa può
comportare ciò nella psiche umana ? Onestamente non lo so. Di certo so
che, quando anche noi per diversi mesi ci siamo dedica ad un metodo
riabilita vo che comportava molte ore di lavoro al giorno, mia moglie ed io
avevamo riposto aspe a ve talmente elevate (anche grazie alla
presentazione che ci era stata fa a di queste metodologie) che ci avevano
fa o dimen care il benessere di Lorenzo e la nostra vita sociale.
Occorreva fare e fare, seguire le indicazioni, compiere gli esercizi, al di là
dell'acce azione di essi da parte di Lorenzo. Non possiamo, però,
colpevolizzare chi segue ques metodi: possiamo solo, ed é ciò che
facciamo come associazione, cercare di far rifle ere i genitori sull'aspe o
troppo fideis co nei confron di questo o quel metodo, prepararli,
insomma, a dei risulta che non sempre possono essere quelli che ci si
aspe ava.
Tenete conto che i genitori non sono disabili, per cui non vivono l'handicap
sulla propria pelle, ma a raverso il figlio. E' una considerazione che può
apparire scontata, ma ha una sua ragione, in quanto occorre che la
famiglia, oltre a prendere coscienza dell'handicap, impari a comunicare con
un figlio che si esprime in maniera diversa dai canoni conosciu .
Questo processo di conoscenza reciproca (genitore-figlio) può durare
molto tempo ed é sogge o ad al e bassi, spesso in coincidenza con la
condizione sanitaria del bambino.
La medicina, i neuropsichiatri, i fisiatri, i fisioterapis , ed anche i vicini di
casa, gli amici, i paren , a volte anche i genitori, si soffermano sempre su
ciò che il bambino non può fare: non parla, non sta seduto, non cammina,
non..., non…, non..., ecc...
Possiamo compilare un elenco interminabile di "non".
E se provassimo a ribaltare il conce o ?
E se ci soffermassimo su altre domande ?
Ad esempio, cosa sa fare mio figlio ?
A volte, forse per pudore o per la paura di non essere capi , i genitori
tengono per sè questo po di domande.
"Cosa sa fare mio figlio ?" - che domanda bellissima.
E allora ci si accorge che le risposte sono tante.
Mio figlio comunica, ride, piange, esprime, a modo suo, i suoi sen men , i
suoi sta d'animo, le sue paure...
E' sufficiente non aspe arsi che lui comunichi con i nostri codici, ma creare
con lui nuovi codici. E per fare questo occorre uno sforzo da parte di tu :
imparare a comunicare in modo diverso, scendendo, con umiltà, noi "sani"
dal nostro piedistallo fa o di certezze, per avvicinarci ad un mondo nuovo,
fa o di pochi ma significa vi e fondamentali elemen .
Ma come fare per avvicinarsi al bambino che comunica in modo così
diverso da noi ?
Guarda caso, capi amo proprio li: l'amore.
Amore e non carità. Amore e non beneficenza. Amore e nient'altro.
L'amore e l'amicizia sincera sono gli strumen per entrare in questo
mondo. Non il dover fare, ma il piacere di incontrarsi, di conoscersi.
Riscoprire le posi vità del figlio, riscoprire le posi vità del bambino che
abbiamo di fronte é un passo indispensabile per avere un rapporto corre o
con lui.
Se rifle amo su ques semplici conce , ci accorgiamo che se eliminiamo
il termine "disabile", il discorso diventa applicabile a tu e le realtà: ecco la
normalità, l'integrazione con la società.
Integrazione o inserimento, spesso negato da una totale mancanza di
sensibilità da parte della amministrazione pubblica. Un esempio classico
per tu : salite su una carrozzina a rotelle e provate ad usufruire dei servizi
della ci à. Dopo poco vi accorgerete di essere un debole, un vinto nella
ci à dei for .
Qualunque disabilità il ragazzo abbia, egli si accorge degli ambien in cui
vive e pretende, come tu , delle conferme differen a seconda delle
persone con cui é in conta o. Questo aspe o potrebbe essere molto
importante per la vostra a vità: non dovete pensare di ricreare le
dinamiche famigliari, ma dovrete cercarne di nuove, con tu e le difficoltà e
le opposizioni che incontrerete, anche dai genitori stessi.
 
Posi vità del bambino significa considerarlo prima di tu o una persona,
alla quale é dovuto rispe o, dignità ed educazione.
Il più bravo terapeuta del mondo non o errà niente dal bambino disabile
se non si rapporta a lui in questo modo.
C'é un bisogno estremo di affe vità nel bambino, dove affe o non
significa vederlo ogni giorno per 15 ore, ma creare con lui un rapporto di
estrema corre ezza.
Cercare lo scambio, trovare il modo di colloquiare, di vivere posi vamente
insieme: é una cosa che necessita non solo di tecniche, ma anche di un
avvicinamento che nasce da dentro, che nasce dalla voglia di stare insieme
a lui.
Non mi interessa se siete religiosi o atei, non credo che questo sia
determinante. L'importante é che la vostra azione sia guidata dal cuore e
dal cervello.
E guardate che i nostri ragazzi percepiscono perfe amente la differenza fra
un rapporto tecnico e un rapporto affe vo.
Alle volte si vedono ragazzi gravissimi, apparentemente persi nel loro
mondo: in realtà quel mondo é for ssimamente legato con la realtà e
l'affe vità, l'amicizia, rappresentano il ponte di collegamento fra ques
mondi.
Guai se non ci accorgiamo di questo: rischiamo di perdere la sua e la nostra
sensibilità.
Prima parlavo di famiglia normale.
Cosa significa normalità ?
Cercare fondamentalmente di avere una vita di relazioni come tu .
Mi rendo conto che siamo alla pura teoria, ma ritengo che conoscere tali
problemi, possa aiutare anche a capire i possibili percorsi per la vostra
a vità di volontari.
Vita di relazione non sempre semplice. Può accadere di perdere amici di
infanzia, perchè essi non riescono a capire cosa é successo; oppure di
non riuscire, per la madre, a con nuare la propria a vità lavora va;
oppure, quando il bambino é cresciuto, anche una cena fra amici diventa
una complicazione, se essi abitano in una casa con barriere archite oniche;
o ancora, la difficoltà di organizzare una vacanza al mare.
Oltre alle relazioni sociali, anche la vita di coppia subisce profondi
mutamen . La mancante o scarsa autonomia del figlio fa si che le cose più
semplici (fare la spesa, una passeggiata o andare dal parrucchiere)
diven no complesse.
E non entro nel discorso sull’affe vità tra coniugi, che, seppur molto
importante, rischia di portarci su un'altra strada.
 
Mi sono soffermato molto, spero non troppo, sul discorso della famiglia,
durante e dopo la scoperta che il figlio é e sarà disabile per sempre. L'ho
fa o perchè di solito si parla del po di handicap del ragazzo e quasi mai
dei sen men della famiglia, con la quale voi dovrete necessariamente
rapportarvi.
Ripeto: sarebbe un errore considerare questo percorso valido per tu e le
famiglie in queste condizioni, in quanto ogni realtà é diversa e deve essere
affrontata in modo differente.
Due ul me considerazioni: una sul perchè nasce una associazione come la
nostra e l'altra sul rapporto fra volontario e famiglia.
Vi sono tante associazioni in Italia; perchè é nata, dunque, l'Associazione
Famiglie Cerebrolesi (Fa.Ce) ?
Si é tra ato di un fa o spontaneo.
Incontrarsi per capire, sopra u o. Per comunicare con persone che hanno
affrontato i tuoi stessi problemi e che stanno cercando quella posi vità di
cui parlavo prima.
Incontrarsi anche per reagire ad is tuzioni spesso insensibili, a volte
inadeguate, quasi sempre lontane dai bisogni della famiglia. La Fa.Ce. é,
come si diceva un tempo, una realtà di base, dove i genitori diventano
protagonis in tu o e per tu o. Noi non forniamo servizi alle famiglie, non
abbiamo pulmini per i traspor , non organizziamo viaggi al mare...
Crediamo sia molto più u le aiutarci, insieme, a capire i nostri figli e a
valorizzarli per ciò che sono, e non per ciò che vorremmo che fossero.
 
L'ul ma riflessione: il volontario e la famiglia.
Se vi dicessi che il rapporto é tu o rose e fiori, vi ingannerei. Si tra a di un
rapporto assai complesso e certamente non immediato.
Vi faccio un esempio personale.
Mio figlio Lorenzo ha quasi sei anni.
Il rapporto con lui non é immediato e, tantomeno, non può esserlo tra il
volontario e la famiglia.
Io e mia moglie abbiamo bisogno di capire perchè tu, volontario, vuoi stare
con Lorenzo. Vogliamo sapere chi sei, cosa mangi, cosa pensi, in quanto noi
non lasceremo mai, tranne in un caso di emergenza, nostro figlio in mani
sconosciute.
E noi dobbiamo dire a te, volontario, chi siamo. Vogliamo invitar a pranzo
perchè tu ci conosca nella nostra quo dianità, perchè tu veda dove vive
Lorenzo.
Occorre, insomma, un rapporto di conoscenza profondo per avvicinarsi in
modo corre o alla famiglia ed al bambino.
Anche in questo caso, non prendetelo come fa o usuale: ogni genitore é
diverso dagli altri.
Il rapporto con il ragazzo disabile é certamente meno problema co rispe o
a quello con la famiglia.
Potrete incontrare genitori diffiden , distacca , problema ci. Certo, hanno
bisogno di voi, ma mol vi me eranno alla prova, consciamente o
inconsciamente; vorranno vedere come ve la cavate di fronte alle difficoltà;
vorranno vedere se vi rapportate corre amente con il figlio.
Mol non vi riconosceranno come benefa ori, anzi cercheranno di
me ervi in difficoltà.
E allora come fare ?
Se riuscirete ad abba ere con la vostra personalità e il vostro affe o il
muro di diffidenza che i genitori vi creeranno, avrete trovato dei grandi
amici.
 
 
 
 
 
Handicap, disagio e a vità espressive
 
Simona Valcavi
 
Le esperienze
 
La mia collaborazione con il Servizio Materno Infan le è iniziata tre anni
fa con l'avvio del "Proge o Atelier '90".
In quell'anno, grazie ad un finanziamento regionale, sono sta a va
dall'U.S.L.9 di Reggio Emilia n.4 atelier (musica, pi ura, cucina e serra)
intesi a promuovere a vità extrascolas che a favore di minori portatori di
handicap.
Ques laboratori hanno accolto ogni anno oltre cinquanta ragazzi e offerto
ad ognuno di loro l'occasione di vivere, individualmente o a piccolo gruppo,
nuove esperienze basate sul "fare a vità insieme", potenziando crea vità
ed abilità individuali.
La funzione di ques laboratori è, quindi, assai più ambiziosa della
semplice occupazione del tempo libero e si pone come obie vo lo
sviluppo delle potenzialità di ogni ragazzo a raverso l'occasione di nuove
scoperte ed il piacere di nuove conquiste.
Nel 1992 ho, inoltre, condo o l'atelier di A vità Espressive presso il Centro
di Formazione Prof. le del "Nuovo Proge o 10" che accoglie ragazzi con
handicap medio-grave.
Le a vità, guidate per piccoli gruppi con la collaborazione di un obie ore,
si sono innestate nell'ipotesi di lavoro più ampia, predisposta dall'équipe
del Proge o in base al deficit, alle abilità ed ai bisogni individuali.
Anche questa esperienza ha privilegiato la dimensione crea va ed
espressiva, s molando percorsi di ricerca a raverso la sperimentazione di
tecniche e materiali adegua alle esigenze ed al temperamento di ogni
allievo.
A se embre '92, infine, con la collaborazione di due obie ori ed alcuni
volontari, ho condo o presso i giardini pubblici ci adini un'esperienza
ludica di una se mana a cui hanno partecipato 7 ragazzi con handicap
medio-lieve. Questo proge o li ha coinvol nell'alles mento di un piccolo
spe acolo all'aperto a cui tu hanno partecipato in veste di a ori.
I disegni, le scene, i costumi e le maschere sono sta dapprima proge a ,
cioè pensa ed organizza , in un ambiente chiuso e, in seguito, realizza
all'aperto con materiale povero o di recupero ed u lizza durante la recita
finale.
Questa breve esperienza di animazione, cara erizzata dall'intensità delle
a vità proposte, ha offerto ai ragazzi l'occasione di un approccio
comunica vo globale, coinvolgendoli a raverso la dimensione corporea,
ludica, crea va e cogni va.
Il rapporto elas co tra spazio interno e spazio esterno, reale e
immaginario, e la dinamica di gioco condiviso tra adul e bambini, hanno
reso essenziale e insos tuibile il lavoro di ognuno come parte
fondamentale del tu o.
 
 
Arte e Terapia
 
Per quale ragione il Se ore di Neuropsichiatria Infan le del Servizio
Maternità Infanzia promuove, a margine della terapia riabilita va vera e
propria, laboratori di a vità espressive come sostegno ad alcuni dei
giovani portatori di handicap?
La risposta investe l'intera famiglia.
Innanzitu o i ragazzi, il loro bisogno di esprimersi e comunicare, di
rafforzare un senso d'iden tà spesso fragile e scomposto a raverso la
conferma delle potenzialità residue, rese visibili nel prodo o del proprio
lavoro. Di conseguenza, a raverso la conferma delle potenzialità del figlio,
anche i genitori vengono sostenu nel difficile compito di accompagnare la
crescita del ragazzo che spesso procura, nelle dinamiche interne familiari,
profonde crisi e lacerazioni.
Condurre un atelier di pi ura per ragazzi socialmente depriva o portatori
di handicap fisici e psichici, ha significato per me ricercare un metodo di
tra amento che potesse offrire ad ognuno di loro soddisfazione e gioia
a raverso i risulta del proprio lavoro. Per questa ragione a ribuisco alle
a vità ar s che in genere un compito terapeu co essenziale che diviene,
come sos ene l'arte-terapeuta americana Edith Kramer, "un mezzo di
sostegno dell'Io, ada o a favorire lo sviluppo di un senso d'iden tà e a
promuovere una generale maturazione".
Per cogliere a pieno le relazioni che intercorrono tra Arte e Terapia occorre
precisare il loro significato dis nto, così come ce lo rimanda il vocabolario.
Arte: qualsiasi forma di a vità dell'uomo come riprova o esaltazione del
suo talento inven vo e della sua capacità espressiva.
Terapia: branca della medicina che tra a dei mezzi e delle modalità usa
per comba ere la mala a.
Per ARTE-TERAPIA s'intende, quindi, un processo di cura o trasformazione
basato sull'a vità, un cambiamento posi vo del sogge o a raverso la
rappresentazione este ca degli ogge .
 
 
Le origini dell'arte
 
Alcuni autori a ribuiscono all'arte una base biologica che si esprime, ad
esempio, negli ar fici di rappresentazione a cui ricorrono alcuni animali
durante la lo a o il corteggiamento. In par colare è stata osservata una
correlazione tra la funzione ormonale gonadica e la funzione creatrice di
alcune specie di uccelli nidificatori, i quali, per sedurre la femmina,
costruiscono nidi straordinariamente belli, decora con orchidee, fiori e
polpa di fru e ricoper di ogge colora e brillan . Ques uccelli, priva
delle gonadi, non presentano alcuna forma di esibizione edificatrice fino a
quando non si ristabilisce in loro la corre a funzionalità ormonale.
Inoltre, studi condo sui prima hanno evidenziato in essi a tudini
grafico-este che nient'affa o casuali e assimilabili, per alcuni aspe , agli
scarabocchi infan li.
Tale a tudine, unita alle capacità di simbolizzazione proprie dell'uomo,
avrebbe dato origine all'arte colta e raffinata che i nostri antena hanno
prodo o oltre 6.000 anni fa.
Possiamo evidenziare due aspe essenziali dell'origine dell'arte: quello
colle vo, legato al bisogno sociale di una data cultura di prendere
possesso della realtà a raverso l'imitazione del modello nel rituale magico,
e quello individuale, legato ai bisogni del bambino di entrare in conta o col
mondo.
La psicologa americana Rhoda Kellogg individua nella produzione non
pi orica di 20 scarabocchi infan li fondamentali la comprensione di ogni
altra forma di arte grafica. Nel fanciullo vede un creatore spontaneo in
grado di produrre, tramite una naturale predisposizione alla composizione
este ca, ciò che l'ar sta tenta fa cosamente di conquistare.
 
Atelier di pi ura, arte e gioco
 
Il gioco rappresenta una vera e propria matrice dell'arte che consente,
a raverso la finzione, la rappresentazione e rivisitazione simbolica dei
vissu infan li.
Nel gioco, così come nell'arte, è possibile scaricare senza pericolo passioni
ed affe ; ma, mentre nel gioco il bambino deve solo imparare a
dis nguere la finzione dalla realtà, nell'esercizio dell'arte me e in campo
una complessa funzione dell'Io che lo impegna in uno sforzo crea vo,
coinvolgendo tu e le sue facoltà: intelle uali, manuali ed emo ve.
La Kramer, a questo proposito, osserva come "talvolta gioco ed arte si
sovrappongono, è allora possibile osservare come il gioco ne risul
momentaneamente trasfigurato. (...) Nella sua forma auten ca, l'arte pone
richieste ben maggiori alle capacità del fanciullo e al suo coraggio morale
del gioco. Il gioco è preroga va della fanciullezza. Nella vita adulta, l'arte gli
sopravviene come una delle poche zone di vita simbolica che rimangono
accessibili."
L'atelier di pi ura, quindi, a raversando lo spazio immaginario a vato nel
gioco, si propone come ambito crea vo stru urato e organizzato secondo
le esigenze egocentriche di ogni ragazzo. In questo luogo le loro energie
vengono mobilitate per svolgere un'a vità che, oltre a me ere in campo
le risorse individuali, li costringe ad un confronto stre o con i propri
confli e con il rischio dell'insuccesso.
Il rapporto con i compagni diventa scambio comunica vo, specchio e
confronto con l'altro simile-diverso da sè.
Il ragazzo handicappato vive, a causa del deficit organico, una
frammentaria e fragile stru urazione del Sè e un difficoltoso rapporto col
mondo esterno. Le difficoltà si riacu zzano durante l'adolescenza; è in
questo momento che l'ambiente può intervenire per favorire il processo di
iden ficazione e stru urazione della personalità.
L'atelier diventa, quindi, un'"area transizionale" in cui il ragazzo, tramite la
libertà crea va, può ridefinire il rapporto con il Sè ed elaborare una propria
le ura originale della realtà. La funzione dell'insegnante è quella di
instaurare una relazione mo vante e significa va con gli allievi e fornire,
tramite la guida opera va, le risposte adeguate alla ricerca di ognuno. Per
questa ragione occorre precisare che il significato terapeu co dell'a vità,
così come io la pra co, non risiede nella le ura interpreta va degli
elabora dei ragazzi, ma nell'intenzione di condurli, mediante tale le ura, a
realizzare prodo este camente ed emo vamente significa vi per loro
stessi.
 
 
La crea vità
 
Quali sono i meccanismi che entrano in gioco nel fenomeno ar s co?
Per tentare di coglierne alcuni aspe , possiamo fare riferimento tra le
tante, a tre differen scuole di pensiero: quella psicodinamica, quella
neurofisiologica e quella gestal ca.
Il modello psicodinamico pone in risalto i meccanismi inconsci che
regolano l'individuo e che sono basa principalmente sulle pulsioni sessuali
ed affe ve. Nel capitolo dedicato al rapporto tra "Terapia d'Arte e
problema della qualità", la Kramer precisa puntualmente quali sono le
cara eris che che dis nguono il prodo o ar s co da altri manufa meno
definibili per qualità e contenuto, quali: lo stereo po figura vo, la
pi ografia, lo scarabocchio, ecc. Indica, ad esempio, lo stereo po quale
espressione del fragile senso d'iden tà espresso dall'autore e la sua
difficoltà di autoesprimersi per il more di contravvenire le regole del gusto
convenzionale.
"L'arte si dis ngue per economia di mezzi, coerenza interna e potere
evoca vo" e rappresenta dunque la sintesi suprema tra slancio emo vo,
conoscenza dei mezzi e trascrizione formale. Tale sintonia viene raggiunta
a raverso l'equilibrio delle forze interne che, in termini psicoanali ci, si
iden fica nel processo di sublimazione e si manifesta nella capacità
dell'uomo di u lizzare in senso costru vo l'energia pulsionale per o enere
il soddisfacimento dei bisogni come massima fonte di piacere e
affermazione di sè.
Le a vità crea ve rappresentano, dunque, la via d'accesso al processo di
sublimazione e rispondono in larga misura alla conquista d'iden tà.
Alla luce di queste considerazioni, l'atelier di pi ura può rappresentare un
"luogo di fron era" in cui le energie is ntuali vengono rielaborate
a raverso gli s moli culturali e si trasformano, grazie ai mezzi e ai
contenu , in opere di qualità. Da parte dell'atelierista che lavora con
ragazzi handicappa , è necessario ricorrere a differen modalità e s moli
opera vi, tenendo conto sia del deficit fisico, psichico o sensoriale, sia del
temperamento, sia della capacità di sublimazione di ogni ragazzo, che può
essere sollecitata a raverso a eggiamen gra fican ed incoraggian .
Il modello neurofisiologico pone par colare a enzione alla comprensione
scien fica del processo crea vo e definisce la qualità dell'opera nel
risultato della produzione analogica dell'allievo.
I neurofisiologi formulano l'ipotesi del doppio cervello in cui l'emisfero
sinistro, deputato al controllo dell'area verbale, traduce le percezioni in
rappresentazioni logiche ed anali che, mentre l'emisfero destro,
specialmente nella percezione globale della realtà, si avvale della le ura
analogica, intui va e sinte ca.
Anche a livello istologico gli emisferi presentano una diversa archite ura
cellulare; mentre in quello sinistro è più diffusa la materia grigia che
consente, a raverso l'organizzazione sequenziale dei circui neuronali, lo
svolgimento di un lavoro di analisi, nell'emisfero destro è più diffusa e
distribuita la materia bianca che corrisponde alle fibre nervose della
connessione inter-neuronale deputata alla le ura dell'informazione diffusa
e circolare.
Il cervello è, dunque, un insieme di due sistemi che, pur elaborando in
modo diverso le informazioni, lavorano in stre a comunicazione.
Numerose esperienze hanno mostrato che l'area emo va della percezione
spaziale-globale afferisce all'emisfero destro. Sulla base di queste
premesse, il lavoro dell'insegnante o del terapeuta s mola le facoltà
perce ve dell'emisfero destro e guida a vamente l'elaborazione crea va
degli allievi, a raverso percorsi formali analogici che favoriscono il
potenziamento delle capacità di osservare, intuire, inventare e
immaginare.
Altri s moli sulla crea vità ce li offre, infine, l'ipotesi gestal ca che, come
precisa la Kellogg, vede nell'arte infan le un sistema logico visivo basato
sui fondamentali pa ern formali e sui riconosciu principi che regolano la
figurazione. Il disegno realis co non è, quindi, che lo sviluppo di forme e
stru ure semplici geometriche in composizioni formali più complesse.
Questa teoria, basata sulla genesi della forma, si ricollega alla teoria della
figurazione di Paul Klee - ar sta e scri ore del '900 - che vede nello slancio
crea vo lo strumento vitale per intraprendere la ricerca ar s ca. A questo
proposito scrive: "La forza crea va non si può definire: essa permane in
ul ma analisi misteriosa. Tu avia non è un mistero quel che ci ha scosso
dal profondo: questa forza ci pervade tu , fin nelle più so li fibre. Non
possiamo esprimere l'essenza, ma ci è dato, per quanto lontana sia, di
risalire la sua fonte. Comunque questa forza dobbiamo rivelarla nelle sue
funzioni, com'essa è manifesta a noi stessi. Probabilmente è essa stessa
una forma di materia, solo non percepibile, come tale, con gli stessi sensi
validi per le specie materiali conosciute. Tu avia essa deve manifestarsi
nelle specie materiali a noi note, deve agire a esse congiunta,
compenetrandosi con la materia, deve assumere un'effe va forma
vivente.
Muoversi così lungo le naturali vie della creazione è un'o ma scuola
forma va. Essa è in grado di smuovere dal profondo il creatore che, mobile
egli stesso, potrà curare la libertà dello sviluppo lungo le proprie vie
figura ve." (Teoria della forma e della figurazione - Dessau 1920/25)
I disegni che seguono, realizza dagli allievi dell'atelier di pi ura,
rappresentano il tenta vo dida co di adeguare le tecniche di approccio
metodologico e culturale in funzione dei bisogni di ogni piccolo autore. La
"individualità" è la chiave di le ura auten ca che guida la "comune ricerca
crea va".
Questo sforzo consiste, per me, nella capacità di riconoscere i percorsi
possibili per ognuno e di indicarne la via e, per i ragazzi, di inves re al
meglio l'energia vitale delle proprie risorse crea ve.
 
 
 

I linguaggi non verbali: una risorsa da sapere u lizzare


 
 
Carla Rinaldi
20 Aprile 1993
 
 
 
Il mio lavoro, la mia esperienza è con bambini da 0 a 6 anni e questa sera
spero di riuscire a dare un contributo al vostro impegno, all'operazione
estremamente importante che state conducendo.
Come dicevo, il mio lavoro mi porta ad avere a che fare con bambini piccoli
e piccolissimi e questo per alcuni aspe - la comunicazione in par colare -
accumuna i sogge con i quali io e voi lavoriamo.
Prima di inoltrarci nel discorso dei linguaggi non verbali vorrei fare una
premessa.
Noi siamo in questo momento in una situazione che si può definire di
comunicazione. Io sto dicendo delle cose a raverso quello che è il
linguaggio per eccellenza (quando si parla di linguaggio si pensa
immediatamente al linguaggio verbale) e voi siete in una situazione di
ascolto. Quindi c'è un'emi ente - che sono io - ed un ricevente - che siete
voi. Si può presupporre che nell'arco del discorso le par possano
scambiarsi: il ricevente diventa emi ente e viceversa; può accadere che chi
ascolta possa parlare e chi parla ascol .
Abbiamo colto così i due elemen ritenu essenziali in una situazione di
comunicazione. Semplice, si potrebbe dire, ma in realtà la ques one è
molto più complessa ed è proprio su questa complessità che dovremo
lavorare insieme. Infa , in questo momento, oltre al linguaggio verbale
che è il codice di comunicazione più avanzato, c'è una serie di suoni che si
susseguono sui quali esiste una convenzione per cui suppongo voi s ate
cogliendo il significato di ciò che vi sto dicendo.
In questo momento io sto usando in realtà mol altri linguaggi diversi da
quello verbale, per esempio il tono della voce.
Avete notato che il tono, al di là di quello che sto dicendo, ha delle
sfumature differenziate: alto, con delle pause, delle sospensioni. Qualcuno
più a ento ha notato un iniziale tremore ed anche in questo momento sto
usando pause e tonalità per so olineare i passaggi, e questo è so o il mio
controllo, poi ci sono sfumature e coloriture che non controllo, dovute alla
mia emozione.
Inoltre, se mi guardate bene, ho cominciato fin da subito a dire che mi sarei
alzata in piedi. Questo non solo per rendermi visibile a voi, ma per poter
fare un'altra operazione essenziale: controllare con lo sguardo quanto state
seguendo la mia relazione ed ho assunto una postura che mi sta
consentendo di avere una relazione fino all'ul ma fila in fondo alla sala.
Sto usando un veicolo di comunicazione sostanziale, essenziale: lo sguardo.
Non è un caso che in certe occasioni si sfugge lo sguardo, si abbassano gli
occhi o si cercano gli occhi dell'altro: si parla con gli occhi. Questo è ciò che
mi ha suggerito, oltre che il bisogno di controllare la situazione, questo po
di postura.
A volte si possono poi esprimere alcune cose come meraviglia, schifo,
stupore, eccetera, solo modulando la voce, senza parole.
Possiamo aggiungere un altro linguaggio che io uso molto, che noi Italiani
usiamo molto: il linguaggio gestuale.
Se noi adesso avessimo una telecamera, se facessimo una pausa e voi mi
guardaste togliendo l'audio, potreste vedere quante cose ho cercato di
so olineare, magari di aggiungere, solo muovendo le braccia, perché sono
dietro un tavolo e non ho molta possibilità di movimento.
Il linguaggio mimico-gestuale accompagna e a volte sos tuisce quello
verbale, la parola stessa e, comunque, la so olinea, la evidenzia, la colora.
E' tanto potente questo po di linguaggio che io potrei con le parole
trasme ere una serie di informazioni e con ques altri pi di linguaggio
meno codifica dirvi esa amente il contrario.
Se ci pensate bene questo succede spessissimo; le stesse parole messe in
circolazione con diverse gestualità, diversa mimica facciale, diversa
tonalità, assumono significa diversi.
La vicinanza o la distanza fisica con cui mi pongo rispe o all'altro, esprime
ancora un altro linguaggio: quello prossemico, cioè la vicinanza fisica che io
scelgo di avere con un sogge o o un ogge o che mi interessa e mi sta a
cuore.
Se mi seggo vicino a qualcuno in una platea già tu a occupata non c'è altro
significato che la casualità. Se la platea è vuota, c'è intenzionalità. Se mi
siedo in un determinato modo vicino ad un altro, posso esprimere
desiderio di conta o, di a accare discorso, di esprimere apprezzamen , di
fare avances, oppure posso anche esprimere con il corpo, i ges , ecc.,
l'intenzione di non avere nessun po di rapporto.
Osservare i propri compagni di viaggio in uno scompar mento di treno può
essere estremamente esemplifica vo: chi si rannicchia nell'angolo, chi fa
a enzione a non toccare e a non farsi toccare, chi si protende in avan , chi
guarda gli altri e ascolta per inserirsi nella conversazione. E tu o questo,
pur senza parole, esprime comunicazioni molto precise.
E' un linguaggio, quello prossemico che, insieme agli altri descri , si danno
per sconta , che si conoscono perché tu li u lizzano spesso
inconsapevolmente, ma che consideriamo sicuramente minori rispe o a
quello verbale, a quello scri o e a quello matema co.
Quindi lo studiamo poco, lo osserviamo ancora meno e, sopra u o, non lo
poniamo quasi mai tra gli obie vi da raggiungere nei piani di lavoro, anche
quando abbiamo a che fare con bambini piccoli o con ragazzi handicappa ,
con persone, cioè, che usano poco o per niente il linguaggio verbale, ma
usano molto gli altri pi di linguaggio. Eppure sono linguaggi molto efficaci,
tanto che a volte vanificano quello verbale.
Assieme al linguaggio prossemico - posizione delle persone - non possiamo
tralasciare quello dell'arredamento, cioè la disposizione delle cose, che è
un altro capitolo molto interessante.
Chi entra in questa sala, dalla disposizione dell'arredo può capirne
immediatamente l'u lizzo anche se la stanza è vuota. Se cambiamo posto
al tavolo e, anziché in fondo alla sala con tre sedie dietro ed un microfono
sopra, lo me amo al centro con le sedie intorno, la donna delle pulizie
capirà che qui stasera c'è stata una riunione, non una conferenza.
Il linguaggio dello spazio è uno dei linguaggi più universali e, nello stesso
tempo, più diversi da cultura a cultura. Quindi, non solo la distanza ma
anche il modo in cui collochiamo le cose è un linguaggio favorente o
inibente la comunicazione. E' un modo per comunicare delle cose.
Sarebbe affascinante parlare di un altro linguaggio, quello
dell'abbigliamento: l'abbigliamento, oltre ad essere moda, è
comunicazione. Pensiamo ai giovani, agli adolescen che con il loro modo
di ves rsi ci comunicano conformismo, an conformismo, appartenenza,
rabbia, dissacrazione, ricerca di iden tà, voglia di essere avvicina ,
desiderio di essere il più possibile scostan ...
Credo che, quando sono entrata, ciascuno di voi, come d'altro canto io nei
vostri confron , mi abbia fa o una radiografia: "Ha queste cara eris che,
veste in questa maniera, si pone in un determinato modo."
Se io fossi entrata fasciata in un ves to rosso avrei usato un altro
linguaggio, come hanno ben chiaro i medici quando indossano il camice. Lo
abbiamo ben presente anche noi quando, per presentarci ad un esame, ci
ves amo in un modo anziché in un altro per veicolare un messaggio di un
certo po.
Voi con nuate a seguire le parole che uso ma, contemporanea- mente, la
voce, i ges , la postura, i movimen , la mimica, il tono, eccetera. Tu o
questo sta creando una comunicazione tale per cui, se togliessimo l'audio,
rimarrebbero comunque tan ssimi messaggi in aggiunta, a completamento
o in contraddizione a quello che sto dicendo.
La cosa più interessante è che a voi sembra che fino ad ora io sola abbia
parlato, in realtà mi avete de o un sacco di cose anche voi, perché solo
apparentemente siete ascoltatori mentre, invece, mi avete inviato una
serie di importan ssimi messaggi usando tu i linguaggi cui ho accennato
prima. Mi sono servi i sorrisi, l'alzare lo sguardo, i cenni del capo,
l'a enzione, il fa o che siate sta fermi.
Tu voi mi avete de o delle cose, sia quando avete usato i linguaggi di cui
si è parlato, sia quando non ne avete usa .
Anche quelli di voi che non hanno cambiato posizione, che non si sono
mossi, che hanno mantenuto sempre la stessa espressione, mi hanno
lanciato messaggi.
Questo per riprendere il discorso da cui eravamo par e cioè che qui non
siamo in una situazione semplice di emi ente e ricevente, ma in una
situazione complessa dove, non solo ci sono possibili alternanze fra chi
parla e chi ascolta, ma c'è con nuamente un reciproco scambio a raverso i
vari linguaggi. Quindi, c'è molta più comunicazione e mol più messaggi di
quan non ne siano passa a raverso le parole.
A enzione ora a questo conce o che sto per dirvi e che è centrale nel
nostro discorso.
Se io non sono in grado di controllare ques altri messaggi non verbali, la
comunicazione può passare solo parzialmente; il contenuto della
comunicazione verrà sicuramente impoverito, non solo, sarà una
comunicazione a senso unico. Cioè non saranno compresi nella
comunicazione stessa tu quei rimandi che, come i vostri, hanno
sicuramente influenzato il mio dire.
Questo è vero sempre ma lo è ancora di più con i bambini, nei quali il
linguaggio verbale sta maturando ma non è ancora assolutamente
sufficiente per farci capire la quan tà e la qualità dei loro messaggi e dei
loro vissu .
Cercherò di essere più chiara: sono ques i sogge più sensibili e più in
grado di usare ques pi di linguaggi non verbali. Perché non così
codifica , perché più personali, più in mi ed originali. Il bambino, e per
cer aspe il ragazzo, è estremamente sensibile a ques linguaggi, a
questo po di comunicazione che non si affida solo al linguaggio verbale o
scri o, proprio perché ne è un grande produ ore.
In sintesi: la comunicazione non è solo un processo intenzionale che si
veicola a raverso i diversi linguaggi, ma tu o il comportamento è
comunicazione.
 
 
Egoismo - altruismo
 
Leonardo Angelini
 
Reggio Emilia,21\4\1993
 
 
 
1.DEFINIZIONI
 
Par amo dando una occhiata al vocabolario.
Sullo Zingarelli alla voce "egoismo" corrispondono le seguen definizioni:
esclusiva cura del proprio comodo; soverchio amore di se stesso; tu o per
sè, anche senza pensare all'altrui.
Alla voce "altruismo”, invece: amore verso gli altri; contrario di egoismo
(altruista, quindi, secondo lo Zingarelli, sarebbe il contrario di egoista).

"Ego" qui viene usato come sinonimo di sè: è implicito in questo approccio
"lessicale" il fa o che il termine "ego" qui è inteso in senso molto lato, e
cioè come sinonimo di "sè" e non come "rappresentante della parte più
organizzata e più razionale del nostro essere", come sarà poi per la
psicoanalisi.
Anche il termine "sè”, inoltre, viene inteso in senso lato, come sinonimo di
"tu o se stesso”. Secondo la psicoanalisi, invece, tu a la problema ca del
Sè si riferisce non a tu o quel che siamo, ma a ciò che siamo in termini di
autorappresentazione (vedi la metafora del teatro di Sandler).
 
Il termine "altruismo" inoltre ci riporta all'altro, all'alterità, e più
precisamente all'amore verso l'alterità, verso chi mi è "altro”, verso il
fores ero, verso chi è al di là della porta ("foris") che delimita la mia
"domes cità".
Egoismo allora diventerebbe: amore solo per ciò che mi è domes co.
 
 
2.EGOISMO E ALTRUISMO SECONDO LA PSICOANALISI
 
Secondo la psicoanalisi il significato del termine "egoismo" è molto simile,
in termini analogici, a quello del termine "narcisismo".
Ma, per comprendere meglio cosa possono significare in area
psicoanali ca egoismo ed altruismo, forse è meglio par re dal conce o di
libido. La psicoanalisi dis ngue fra libido dell'Io (che rappresenta ciò che
comunemente vien chiamato interesse) e libido sessuale (che
comunemente viene chiamata amore).

Ma non sempre la libido viene rivolta verso ogge esterni a se stessi: può
accadere che venga rivolta verso di Sè da parte dell'individuo. In questo
caso la libido dell'Io è denominata, in psicoanalisi, egoismo; mentre la
libido sessuale è denominata narcisismo.
 
Inoltre, se andiamo ad indagare meglio all'interno di queste "pieghe
lessicali", vi può essere un egoismo con for inves men libidici ogge uali
(cioè un egoismo senza narcisismo) ed allora l'egoismo, in questo caso,
"baderà che l'aspirazione all'ogge o non rechi alcun danno all'Io".
Oppure un egoismo senza inves men libidici ogge uali: si avrà allora
scarso bisogno di ogge sessuali, oppure scarso bisogno di ogge nei
confron dei quali nutrire sen men eleva : sen men eleva "deriva
dal bisogno sessuale, che talora siamo soli contrapporre alla sessualità col
nome di amore" (cioè egoismo più narcisismo).
 
Analogamente anche il significato del termine "altruismo" è so oposto in
psicoanalisi come ad uno sli amento rispe o al significato che
comunemente viene a ribuito ad esso, uno sli amento ed un
approfondimento. Per cui se a monte dell'a eggiamento altruis co vi è un
inves mento ogge uale desessualizzato assenza cioè di tendenze al
soddisfacimento sessuale, ma for inves men ogge uali allora è corre o
in psicoanalisi mantenere il termine altruismo, per esprimere questo po
di inves mento affe vo.
 
Se invece l'inves mento ogge uale è sessualizzato allora quello che sta
avvenendo dentro l'individuo in psicoanalisi si definisce innamoramento.
L'ogge o inves to, in questo caso, a ra su di sè una parte del narcisismo
dell'Io e ciò dà origine a quella sopravvalutazione sessuale dell'ogge o
amato, che tu noi abbiamo provato quando ci siamo innamora .
Nei casi in cui a ciò si aggiunge una trasposizione altruis ca dell'egoismo
sull'ogge o sessuale di cui ci si è innamora , allora "l'ogge o sessuale
diviene strapotente, ha per così dire assorbito l'Io".
 
3.ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL RAPPORTO FRA I CONCETTI
PSICOANALITICI E LE DEFINIZIONI TRADIZIONALI
 
Ten amo ora di fare un confronto fra i conce psicoanali ci e le definizioni
tradizionali dei due termini.
 
a-Nella definizione tradizionale il termine egoismo è usato nel senso di
"egoismo senza inves men libidici ogge uali".
La dis nzione freudiana allora a quali conseguenze conduce?
E' certamente un grosso cuneo dentro l'universo dei significa della parola
che finisce con l'assumere significa diversi, e a volte oppos , a seconda
della sua connessione con forme di libido (dell'Io o sessuale) o direzioni
della libido (verso ogge esterni al Sè o verso se stessi).
Per cui, ad esempio, dall'abbinamento "egoismo meno narcisismo" può
derivarne un grande aiuto nella definizione dei legami d'ogge o
dell'individuo.
Da quello "egoismo più narcisismo", invece, una incapacità di definire dei
legami ogge uali for .
Cioè l'approccio freudiano ci perme e di fare una prima dis nzione basata
sulla capacità o meno di definire dei legami ogge uali for .
Ad esempio un mio paziente che aveva imparato troppo precocemente a
sbrigarsela da sè nella vita aveva dovuto fare un ripiegamento su se stesso
che gli impediva alla fine di sen re gli altri intensamente, di innamorarsi
profondamente.
 
b-Il termine altruismo, e questo penso sia una delle cose più importan
che emergono da questo confronto, nell'accezione freudiana, non è più il
contrario di egoismo.
Anche l'egoista infa , secondo Freud, può amare se non è anche
narcisista.
L'altruista, inoltre, ha sempre a che fare con un inves mento di po
ogge uale (cioè va sempre verso qualcun altro esterno a se stesso);
semmai varia il po di inves mento che l'altruista fa, che può essere
desessualizzato o sessualizzato, dando luogo alterna vamente all'altruismo
vero e proprio o all'innamoramento.
 
c-Il fa o che in psicoanalisi si usi il termine inves mento ci perme e di
capire che s amo parlando di conce "economici": io investo o su di me o
su di un altro. Ma allora vien da chiedersi che cosa effe vamente sto
investendo? La risposta è "energia is ntuale”: libidica ed aggressiva.
Ma come avviene questa scelta? Come mai scelgo me stesso o un'altra
persona? In base alla mia storia personale, ai modelli di iden ficazione che
mi hanno condo o ad inves re più in una direzione che in un'altra.
Vedremo meglio in uno dei nostri prossimi incontri questa storia dei
modelli di iden ficazione, per ora limi amoci alle due immagini del
"fores ero" e del "domes co".
Perchè alcuni di noi si ritraggono di fronte al fores ero ed altri ne sono
invece a ra ?
Perchè in alcuni momen noi stessi sembriamo più aper e disponibili in
altri no?
Perchè la stessa oscillazione avviene nei confron della "domes cità"?
E' su questa "poli ca economica"- fa a di inves men e di disinves men ,
di spinta verso l'ignoto, verso l'altro, verso il viaggio, e al contrario di
more, di paura, di chiusura in noi stessi- che occorre par re se si vuol
comprendere cosa sono l'altruismo e l'egoismo, come nascono DENTRO di
noi e come si dis nguono dal narcisismo più o meno patologico.
 
 
 
4.ULISSE E LA SPINTA AL VIAGGIO
 
Come punto di partenza propongo di usare due poesie di un autore che
amo, Costan nos Kavafis.
Le due poesie- a mio avviso- evidenziano due a eggiamen nei confron
del viaggio: entrambi ques a eggiamen sembrano di personaggi che
amano l'avventura, ma - come vedremo - le mo vazioni dei due "Ulisse",
che poi sono i protagonis del viaggio, sono profondamente diverse.
Inu le dire che Ulisse siamo tu noi, che affron amo il nostro viaggio, i
viaggi della nostra vita; tu noi nella duplice versione, con la duplice
mo vazione che Kavafis ha saputo così ben sen re!
 
 
Itaca
 
 
Quando me erai in viaggio per Itaca
devi augurar che la strada sia lunga
fer le in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni o i Ciclopi
o la furia di Ne uno non temere:
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sen mento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi o Lestrigoni no certo,
né nell’irato Ne uno incapperai
se non li por dentro
se l’anima non te li me e contro.
 
Devi augurar che la strada sia lunga,
che i ma ni d’estate siano tan
quando nei por – finalmente e con che gioia-
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre,
tu a merce fina, e anche profumi
penetran d’ogni sorta, più profumi
inebrian che puoi,
va in molte ci à egizie
impara una quan tà di cose dai do .
 
Sempre devi avere in mente Itaca –
Raggiungerla sia il tuo pensiero costante.
Sopra u o, però, non affre are il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
me a piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumula per strada
senza aspe ar ricchezze da Itaca.
Itaca ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai sares messo
in viaggio: che cos’altro aspe ?
 
E se la trovi povera, non per questo Itaca avrà deluso.
Fa o ormai savio, con tu a la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
[Costan nos Kavafis
Cinquantacinque poesie, Einaudi, To]
 
----
 
La ci à
 
Hai de o:” per altre terre andrò, per altro mare.
Altra ci à, più amabile di questa, dove
Ogni mio sforzo è votato al fallimento
Dove il mio cuore come un morto sta sepolto
Ci sarà pure. Fino a quando pa rò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo intorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina.
 
Non troverai altro luogo, non troverai altro mare.
La ci à verrà dietro. Andrai vagando
Per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quar ere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
Farai capo a questa ci à. Altrove, non sperare,
non c’è nave, non c’è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
Tu l’hai sciupata su tu a la terra.
 
[K. Kavafis
Cinquantacinque poesie, Einaudi, TO]
 
 
Vediamo di commentare ora le due poesie mantenendo ferma dentro di
noi la convinzione che GLI "ULISSE" DI CUI KAVAFIS PARLA SIAMO NOI:
 
-Innanzitu o vediamo il problema delle mo vazioni del viaggio: da una
parte l'amore per la conoscenza, la gioia che proviene dal sen re,
dall'osservare, dall'apprendimento ("impara una quan tà di cose dai
do ") dall'assaporare la vita, dall'altra il livore, la noia, la vita vista come il
ripetersi sempre uguale di vecchie storie ("sempre farai capo a questa
ci à").
 
-Vediamo poi l'a eggiamento nei confron delle proprie radici, della
propria famiglia, della propria etnia: da una parte la capacità di riparazione
("e se la trovi povera, non per questo Itaca avrà deluso.\ fa o ormai
savio, con tu a la tua esperienza addosso\ già tu avrai capito ciò che Itaca
vuole significare".); dall'altra l'impossibilità di una riparazione ("dei lunghi
anni, se mi guardo intorno\ della mia vita consumata qui, non vedo\ che
nere macerie e solitudine e rovina")
 
-Infine vediamo l'a eggiamento nei confron dello scambio,
dell'apprendimento, della crescita psicologica: da una parte
l'apertura("devi augurar che la strada sia lunga\ fer le in avventure e in
esperienze"); dall'altra la chiusura ("Non troverai altro luogo non troverai
altro mare.\ La ci à verrà dietro. Andrai vagando\ per le stesse strade...\)
 
 
 
-Lasciamoci prendere dal senso profondo di queste parole.
 
Si determinano così DUE MODI DI VEDERE L'ALTRUISMO: da una parte la
spinta genuina verso l'altro, verso il nuovo, come avviene con il primo
Ulisse, dall'altra la spinta compensatrice di confli irrisol che non si ha il
coraggio di affrontare a viso aperto dentro di sè, e che ci vengono dietro,
dovunque noi andiamo("non c'è nave non c'è strada per te").
 
 
 
5.IL BACINO DI CARENAGGIO
 
Con nuando con la metafora di Ulisse e del viaggio, e cioè di tu noi di
fronte agli infini cambiamen (agli infini "viaggi") che dobbiamo
affrontare nella nostra vita, diamo un’occhiata ora al bacino di carenaggio
in cui la barca di ogni Ulisse si prepara al viaggio, e presso il quale ogni
tanto ritorna per una revisione.
Allora: Ulisse, come abbiamo de o, siamo sempre noi; la barca è la nostra
personalità; il bacino di carenaggio l'educazione che abbiamo ricevuto.
 
Prepararsi al viaggio per noi quindi significa a rezzare, in un tempo dato,
uno "scafo" sufficientemente robusto che ci perme a di affrontare la vita
in mare aperto .
Itaca è la nostra famiglia, la nostra "gens", il gruppo sociale all'interno del
quale, e sul modello del quale il nostro scafo si è, mano a mano, forgiato
per potere poi, in un secondo momento, affrontare senza more il mare
aperto.
Chi con nua a studiare rimanda questo momento alla fine degli studi, ed
intanto con nua ad allenarsi so o costa, con qualche rapida puntata in
mare aperto; chi comincia subito a lavorare vede accorciarsi i tempi di
sperimentazione del proprio scafo e deve rendersi più velocemente
autonomo per poter non temere le procelle che senz'altro troverà lontano
dal porto sicuro dal quale è par to.
Certo è che tu prima o poi fanno il grande passo, e per fare quel passo
occorre essere egois , nel senso che occorre imparare a volersi bene: in
questo senso l'EGOISMO può esser visto come una delle a rezzature
necessarie per affrontare il viaggio della vita.
 
Ma (qui c'è un ma grande come una casa): c'è egoismo ed egoismo!
E, più precisamente c'è un EGOISMO "BENIGNO" che è improntato su
questo assunto: cerco di star bene con me stesso per poter star bene con
gli altri.
In questo caso il mio egoismo è funzionale al mio altruismo: da ciò il
paradosso dell'egoismo benigno: occorre esser egois per essere altruis .
Per comprendere meglio facciamo alcuni esempi. Entrare in psicoterapia
implica per il futuro psicoterapeuta un impegno di po egois co che poi
però gli perme erà di far meglio il proprio mes ere con i propri pazien ;
intraprendere un qualsiasi altro "viaggio" con la voglia di conoscere e di
scambiare con gli altri le proprie ricchezze implica un ricevere che è anche
un dare.
 
Ma vi è anche un EGOISMO "MALIGNO" che invece è improntato
sull'assunto: sono egoista per difendermi dagli altri.
In questo caso cioè si diventa egois per paura degli altri. E' il caso del
razzista, del prepotente, del sessista, etc. Questo rinserrarsi in se stesso
rifiutando qualsiasi scambio immiserisce l'individuo e lo riduce al lumicino.
Pensiamo, per comprendere meglio, a coloro che intraprendono un
qualsiasi viaggio con supponenza e senza voglia di scambiare niente, ma
pensando solo di esser lì per dare. Oppure pensiamo a chi non vuole
intraprendere alcun viaggio poichè si ri ene già ricco, pieno, potente,
vissuto, etc.-
 
Nella saggezza popolare è possibile trovare forme "poe che" che
suggeriscono al bambino oggi, ed indis ntamente al bambino ed all'adulto
ieri, la profonda verità che è in questa dis nzione fra egoismo benigno e
maligno.
La fiaba ad esempio ha in proposito una funzione educante non
secondaria, tanto più importante proprio perchè espressa in forma
"poe ca”: consideriamo ,ad esempio l'invito a par re che in ogni fiaba è
contenuto, che è già di per sè estremamente significa vo. Ma poi
consideriamo anche chi parte: ebbene, ci avete fa o caso, parte sempre il
più piccolo ed indifeso, che però è anche il più curioso, ed anche questo è
un incitamento a non avere paura e ad intraprendere risolutamente il
viaggio. Consideriamo la funzione simbolica che la povertà e la ricchezza
assumono nelle fiabe, quella della pigrizia (rappresentata spesso dai fratelli
più grandi che non vogliono mai par re),quella della riparazione e del
perdono, etc.
Riconosceremo facilmente, so o altre spoglie certo, tu e le manovre, di
cui parlavamo prima e che "sen vamo" nel testo di Kavafis, che aiutano il
bambino a forgiarsi egois camente, in un egoismo benigno però, per
affrontare il mare aperto della vita.
 
 
6.EGOISMO ED ALTRUISMO NELL'INDIVIDUO E NEL GRUPPO
 
Abbiamo imparato quindi a definire meglio l'egoismo e l'altruismo,
abbiamo poi cercato di spezzare una lancia a favore dell'egoismo benigno
che ci aiuta a crescere ed a stare fra gli altri e per gli altri.
Vedremo, in quest'ul mo paragrafo di fare alcuni esempi in cui egoismo
benigno e maligno, nonché altruismo genuino e compensa vo (propongo
di definire con i termini di benigno e maligno anche queste due forme di
altruismo) possano esser messi a confronto nel loro funzionamento dentro
l'individuo e nel gruppo.
 
a-Egoismo benigno ed individuo. Un esempio lo abbiamo so o gli occhi: ed
è proprio questo nostro momento forma vo sia per me che per ognuno di
voi.
 
b-Egoismo benigno e gruppo. Guardiamo, ad esempio, a come la cultura di
tu i popoli insegna a voler bene a sè stessi come "gens”, come gruppo
sociale: l'arte, il lavoro dell'uomo, che veicolando in maniera sublimata
pulsioni altrimen distru ve o pericolose, ci "illustra" e ci me e in
comunicazione con le par migliori di noi
 
c-Egoismo maligno e individuo. Ad esempio se noi consideriamo la
eziopatologia del razzista (cioè perchè un tale a un certo punto diventa
razzista) vediamo che sempre ad un determinato punto del percorso di vita
di quel tale (che potremmo essere tu noi, non dimen chiamolo) c'è stato
un qualcosa che ha impedito il riconoscimento di par che pure sono
dentro di lui, in maniera non integrata, ma ci sono (l'esempio di Hitler che
aveva una nonna ebrea che non si era mai sposata con un "ariano”, che
pure l'aveva messa incinta, è lampante in proposito).
 
d-Egoismo maligno e gruppo. E' il caso di quella che Dupront chiamava
"acculturazione violenta", e cioè l'incontro fra due culture che si odiano
visceralmente. Ciò provoca a volte la distruzione totale della cultura che
soccombe (come, ad esempio accadde a Cartagine dopo la sconfi a finale,
quando fu distru a dai romani e sulle sue rovine fu sparso il
sale).Normalmente invece l'incontro fra due culture è più so e più pieno
di scambi (Graecia capta …)
 
e-Altruismo benigno e individuo. Ad esempio osare andare al di là delle
Colonne d'Ercole del proprio essere: è quello che voi state facendo
avvicinandovi agli handicappa , al dolore, alla sofferenza, ai terzomondiali
portatori di valori che ci me ono in crisi, etc. -
 
f-Altruismo benigno e gruppo. Ad esempio osare andare al di là delle
Colonne d'Ercole della propria cultura. Ricordate quel tra o degli A degli
Apostoli: la religione cris ana deve essere degli Ebrei o anche dei Gen li?
San Pietro e San Paolo risposero "anche dei Gen li". Siamo al I concilio
della storia del Cris anesimo: il Concilio di Gerusalemme(A degli
Apostoli, pag.69 e seg.).Cosa sarebbe successo se invece avesse prevalso
l'egoismo di chi voleva il Cris anesimo solo come religione degli ebrei: il
Cris anesimo sarebbe divenuto una delle tante se e che pullulavano a
quei tempi in Pales na.
 
g-Altruismo maligno e individuo. E' l'eroe dei film di avventura americani
che vive in un posto eso co in cui beve per dimen care, è capace magari di
un gesto eroico, ma lo compie con furore masochista. E' la grinta dolente di
H. Bogart in tan suoi film.
 
h-Altruismo maligno e gruppo. Vedi l'azione esemplare, di sessanto na
memoria, in base alla quale le avanguardie dovevano dimostrare alle
masse a raverso un'azione "esemplare", per l'appunto, come era possibile
emanciparsi. In ques casi ciò che è passa è solo il disprezzo per chi non è
in grado di liberarsi da sè .
 
 
Bibliografia:
 
-A degli Apostoli,1968,Edizioni Paoline, Roma.
-A.Dupront,1966, L'acculturazione, Einaudi, Torino.
-S.Freud,1969,Introduzione alla psicoanalisi, Boringhieri, To.
-C.Kavafis,1968,Cinquantacinque poesie, Einaudi, To.
-H.Kohut,1976,Narcisismo ed analisi del Sè, Boringhieri, To.
 
 
 
 
 
Immigrazione: diversità, uguaglianza
 
 
Carlo Menozzi
 
 
Fino al 1982 a Reggio Emilia esisteva una scuola speciale che ospitava i
bambini zingari del campo nomadi di Baragalla. Nello stesso anno la scuola
venne abolita conseguentemente all'obbligo dell'integrazione dei ragazzi
nomadi nelle scuole normali.
Io ho iniziato la mia esperienza proprio nel campo nomadi di Baragalla. In
occasione del mio servizio civile fui infa assegnato come insegnante alla
scuola speciale, dove lavorai l'ul mo anno di apertura della scuola stessa. Il
mio lavoro consisteva appunto nel favorire l'integrazione, cosa che a
quell'epoca allarmava molto la scuola reggiana ed italiana in generale.
Dovevo fare da ponte tra le famiglie nomadi e la scuola.
Dopo questa esperienza di un anno a livello provinciale, venni distaccato
dal Ministero della Pubblica Istruzione per impiantare il lavoro in tu a
l'Italia del Nord. Quindi, per 4 o 5 anni ho lavorato in tu i campi nomadi
dell'Italia se entrionale ed ho mantenuto un rapporto sistema co a Roma
con gli altri se e insegnan italiani distacca dal Ministero della Pubblica
Istruzione per fare questo lavoro.
Dopo di che ho cambiato mes ere e sono andato a dirigere il Villaggio, ma
mi è rimasta ugualmente questa grossa esperienza. Certo è che il tema di
stasera mi è molto caro perchè non solo è stato ogge o dei miei studi, ma
sopra u o è stato vissuto ed è da questa esperienza che ho tra o le
riflessioni che cercherò di trasme ervi.
Il mio difficile compito consisteva, come dicevo prima, nel favorire
l'integrazione scolas ca dei bambini nomadi e garan re così un diri o
sancito dalle leggi dello Stato. Poteva essere una grossa opportunità
educa va a raverso la quale porre in discussione e, in qualche modo,
auten care i fondamen del nostro agire pedagogico, scolas co e della
nostra convivenza democra ca.
Infa , come ben sapete, a livello teorico e ideologico si fa presto a parlare
di accoglienza, di solidarietà, di comprensione della diversità, di tolleranza,
di interscambio culturale, di democrazia, di acce azione del diverso: un
conto è il dire un conto è il fare. Un conto è essere solidali a raverso la
raccolta di scarpe vecchie da inviare ai bambini poveri della ex-Jugoslavia,
un conto è avere i bambini poveri della ex-Jugoslavia in classe. Un conto è
far disegnare bambini di diverso colore che si danno la mano o insegnare
canzoncine che esaltano la tolleranza, l'amore e l'amicizia, un conto è avere
in classe il negre o, il cinesino o il nomade.
Per assurdo e per provocazione, non riscuotendo mol successi nel mio
lavoro, dicevo che era vero che i bambini nomadi avevano bisogno di
andare a scuola, ma ancor più era vero che la scuola aveva bisogno dei
nomadi proprio per recuperare almeno in parte la coerenza tra quello che
si diceva e quello che si faceva. Tra i dife della scuola, infa , a volte c'è
quello di essere distante nel suo dire e nel suo fare dalla realtà sociale.
Questa introduzione per dire che l'incontro di stasera potrebbe essere re-
in tolato almeno in parte "l'elogio della diversità": è da questo che
dobbiamo par re. Sicuramente stasera non esauriremo tu o il tema che ci
è stato assegnato, anche perchè i termini stessi di uguaglianza e diversità
evocano un'altra catena di termini che dovrebbero essere approfondi . Tra
ques ricordiamo: disuguaglianza, diri o, gius zia e un'altra serie di
espressioni che hanno valore pedagogico, culturale, sociale, civile,
giuridico.
Se penso al volontariato possono venirmi in mente nello stesso tempo le
Dame della S. Vincenzo o gli operatori del CEIS. Voglio dire che ciascuno di
voi ha una mo vazione diversa che lo ha condo o a questo po di scelta,
ognuno di voi ha una storia che lo ha condo o qui, ma una storia
assolutamente diversa e irripe bile. Allora se io cercassi di iden ficarvi tu
in un modo di vita, in una vocazione, in uno s le di pensiero, vi farei un
grave torto.
Se qualcuno entrasse qui e dicesse "Toh, c'è il gruppo dei volontari", vi
iden ficherebbe come gruppo che fa un certo lavoro e questo è, per cer
aspe , un'operazione inevitabile che però può portare a gravi stereo pie
e può creare pregiudizi per i singoli. A nessuno di voi farebbe piacere
essere 'infilato' in una categoria e lì rinchiuso con la perdita completa della
propria individualità e della propria storia. Se ci pensiamo, spesso
addiri ura ci disturba essere iden fica in maniera sommaria con la
categoria degli Italiani.
Il giudizio colle vo di solito è pesante e massificante e rischia di gravare in
modo anche distru vo sulla comunità.
Oggi assis amo alla ripresa della capacità di leggere la realtà in maniera
diversificata, alla condanna delle le ure sommarie omogeneizzan e
acri che. La cultura che abbiamo prodo o fino ad ora è stata quella
dell'omologazione e della massificazione, una cultura reificante ed
alienante. Per essa l'uomo non è più un individuo irripe bile, con la sua
dignità di persona, ma è uno fra tan e deve comportarsi
conseguentemente.
Noi per primi nella scuola, nella società, nel contesto di lavoro siamo
espos al rischio di un a eggiamento pregiudiziale da parte dell'altro che ci
cataloga e ci e che a.
Quando un bambino entra in prima elementare gli stampiamo addosso
un'e che a che, solo con difficoltà, riuscirà a modificare.
Il nostro modo di pensare ci induce a fare delle riflessioni che, se non sono
verificate nella realtà, possono creare pregiudizi. L'aspe o fisico, il modo di
ves re, l'a eggiamento, la voce, la mimica facciale provocano delle
aspe a ve. Non si può catalogare un gruppo di persone secondo gli
stereo pi che abbiamo magari imparato a scuola. Per esempio io ho dei
ricordi scolas ci di po sloganis co; non ricordo la storia di Roma, ma
ricordo la lupa, i se e re di Roma, Mazzini, Cavour.
Siamo abitua a classificare l'evento o la persona che ci sta davan con gli
schemi che ci hanno insegnato (il po di informazione, ad esempio, che
riceviamo dal telegiornale). E' chiaro allora che il nostro modo di conoscere
è totalmente empa co, iconografico, racchiuso nella foto del bambino
ferito, nel tolo in grasse o. Pochi di voi sapranno che la RAI nelle riprese
del terremoto dell'Irpinia fece disporre i solda in de- terminate posizioni
perchè l'inquadratura desse un certo effe o.
 
Questo per dire che il nostro modo di conoscere, di entrare in relazione
con la realtà, dovrebbe essere posto in discussione o quantomeno rivisto,
proprio per il rispe o dovuto a ciascun individuo.
Nella scuola da parecchio tempo si parla di un insegnamento il più
possibile individualizzato, che tenga conto che ogni bambino all'interno
della classe, pur facendo parte di un gruppo per mol aspe omogeneo,
ha comunque un suo modo di essere, di esistere, una sua storia
completamente diversa dalle altre. Tu o ciò acquista maggiore rilevanza
nel momento in cui ci avviciniamo a quello che definiamo 'il diverso' per
antonomasia: il nomade, lo zingaro, il terzomondista, il negro. Anche
all'interno delle singole etnie vi sono differenze profonde; non basta
conoscere un terzomondista per diventare un esperto: occorrerà
approfondire il rapporto con questa cultura così diversa.
Quindi prima so olineatura: se è vero che noi teniamo tanto alla nostra
diversità e a non essere classifica in categorie sociali o culturali o etniche,
anche se siamo accumuna da una storia, allo stesso modo dobbiamo
avere rispe o per coloro che non conosciamo e che, comunque,
rappresentano un'ulteriore diversità. Quest'ul ma va in ogni caso
concepita come valore e non come 'errore della natura' (per noi la cultura
è quella europea mentre tu e le altre sono subculture; la musica è il rock
inglese, ma non i ritmi afrocubani).
Non dobbiamo far finta di ignorare che mol dei mo vi che ostacolano
l'inserimento dei terzomondis sono gli stessi problemi ancora irrisol che
abbiamo nella relazione tra nord e sud d'Italia. Il giudizio che gli uni diamo
degli altri è pesante, pregiudizievole, a volte è una condanna. Non mi si
venga a dire che io 'lego' con i calabresi ed ho qualche problema con il
ghanese. Voglio dire: è come trovarsi in auto con degli zingari e chiedere
loro "Volete un caffè ?", "Sì, ferma là", "No, è pieno di 'terroni'"...
Occorre passare a raverso un percorso che valorizzi la diversità come dato
culturale di partenza, che la esal e la favorisca.
Con questo introduco un conce o molto ampio che potrebbe essere
definito come la "pedagogia delle azioni divergen ", o come uno s le
educa vo che suscita ed esalta la crea vità, la fantasia, l'originalità di
ciascuno. Questo non solo come dato di partenza, ma anche come
traguardo, tenendo sempre conto che la diversità non deve essere
finalizzata a creare una miriade di suddivisioni e di individualismi
esaspera .
In altri termini la diversità è una ricchezza per la colle vità e non soltanto
perchè perme e a ciascuno di essere se stesso, ma perchè se ciascuno è se
stesso la comunità diventa la somma delle diversità e tu ci guadagnano.
Quindi la diversità è per il bene comune.
Una classe di 12 individui diversi è una classe ricca; una classe di 12 automi
è una classe povera; una classe di 12 alunni medi è insignificante. I
programmi scolas ci sono sta fa per una persona che non esiste: invece
di essere i programmi che si adeguano all'uomo, nella scuola a uale è
l'uomo che si deve adeguare ai programmi. Per cui mio figlio che è in
quarta elementare fa cose che mi ricordo vagamente di aver studiato alle
medie ed io sono già in difficoltà ad aiutarlo nei compi . Dramma colle vo
dei genitori che iniziano già alle elementari a mandare i figli a ripe zione...
Parlo per esperienza dire a perchè nella nostra comunità (Il Villaggio)
troviamo dei gruppi-famiglia dove sono inseri ragazzi con grossi problemi
di ritardo scolas co (non dovu ad handicap) e gli educatori che al
pomeriggio devono far fare i compi a 10 ragazzi di scuole diverse si
trovano in grande difficoltà. Servirebbe una cultura enciclopedica !
Inoltre il problema non è solo sapere le cose ma saperle trasme ere a chi è
in difficoltà. E' giusto ripetere (se non sai fare una cosa ripe la mille volte!)
ma se mancano le basi, i prerequisi , come si fa a far leggere 30 pagine di
storia ?
Questa problema ca viene poi esasperata quando ci troviamo di fronte alle
diversità culturali.
Un esempio. Un bambino nomade va a scuola. E' il primo giorno, in prima
elementare. Torna a casa con la lista precisa delle cose da acquistare. I
genitori non hanno soldi e decidono di non acquistare nulla di ciò che è
stato consigliato. Il bambino per 10 giorni porta a casa note perchè non ha
il materiale richiesto. A quel punto sono dovuto andare dalla maestra
dicendole che, essendo nomadi e non sapendo leggere, consideravano la
scuola poco importante (oltretu o la cultura nomade è una cultura orale).
Anche quando il bambino acquistava il materiale, riportava a scuola tu a la
roba rovinata. La maestra gli ripeteva "Devi riporre tu o nella cartella,
nella tua camere a". Avete mai visto una roulo e ? Quale camere a ? La
camera polivalente che è soggiorno, ristorante, bar... La roulo e è abitata
da una miriade di fratelli... Per cui c'erano dei bambini che, innamora si
della scuola, chiedevano di poter lasciare lì la cartella come segno di
patrimonio personale. Questo veniva considerato dalla maestra come una
mancanza gravissima "Vuol dire che a casa non impegni !"
In questo caso come in altri analoghi è mancato un a eggiamento di
conoscenza reciproca e, di conseguenza, non si è riusci ad innestare il
discorso di integrazione che veniva proposto.
Di fronte al diverso dal punto di vista culturale abbiamo tre a eggiamen :
- il neoilluminista, colui che dice che tu gli uomini sono uguali e perciò vi
è un'uguaglianza da promuovere per tu ;
- il solidarista, colui che accoglie l'altro con un interesse di solidarietà, di
acce azione della diversità;
- l'indifferente, colui che non capendo le ragioni dei primi due dice "Non è
colpa mia. Siete venu qui in Italia ? Bene, dovete imparare le nostre leggi,
le nostre regole. Dovete inserirvi nella nostra società in modo adeguato,
ada andovi".
Quest'ul mo a eggiamento è di per sè abbastanza diffuso perchè u lizza i
meccanismi psicologici di difesa contro il 'diverso' che suscita paura.
C'è poi il discorso rela vo alle abilità. L'abilità di un bambino nomade nel
montare una giostra non è nemmeno paragonabile alla mia: io che ho 37
anni non saprei proprio da che parte cominciare. L'abilità che un bambino
nomade ha nel muoversi nello spazio è molto superiore a quella di uno dei
'nostri' bambini. Nel mondo del campo nomade io mi trovavo a vivere la
condizione di handicappato. Di solito, infa , non si ene in considerazione
che l'ingresso di una persona nuova provoca un mutamento che deve
verificarsi nel contesto e non viceversa.
E' questa la base della relazione affe va: se io ho due figli e me ne nasce
un terzo non posso pretendere che quello che arriva si adegui
immediatamente ai ritmi che la famiglia ha già. La famiglia in sè cambia:
trasme erà al nuovo venuto un'impostazione di massima, ma certamente
si adeguerà a lui.
Non si può con nuare a sostenere che la scuola ha i suoi ritmi e i suoi
programmi e che l'unica soluzione nel caso dei 'diversi' è l'insegnante
d'appoggio. Poi, che po di appoggio ? In classe o fuori dalla classe,
escludendo il bambino dal resto dei compagni ? Si ha paura di me ere in
discussione il contesto ?
E' questo, credo, un punto sul quale si dovrà intervenire perchè,
comunque, il nostro contesto (la società) è des nato ad evolversi in una
realtà pluriculturale. Mai come nel prossimo ventennio si vedranno degli
sconvolgimen così grandi. Adesso siamo ancora agli inizi di un fenomeno
di riequilibrio del pianeta che porterà ad una commis one di popoli senza
preceden . Tu o questo richiederà una preparazione culturale che riveda il
modo di confrontarsi e porsi in relazione con l'altro.
In tu o ciò la scuola dovrà avere un ruolo decisivo. L'adeguamento dei
programmi sarà necessario di fronte ai mutamen culturali. Oggi la scuola
presenta un grave disinteresse per coloro che la frequentano: passa nozioni
che sono ormai superate e non fanno parte del vissuto dei bambini, anzi
spesso si scontrano con la realtà. La storia è solo ripe zione delle nostre
origini italiane e non scoperta delle origini dei vari ceppi culturali; il
linguaggio, la comunicazione, la musica, dovranno per forza de-
provincializzarsi. Ciò non vuol dire perdita di iden tà, ma confronto di
iden tà.
Il 'diverso' evoca difese di po territoriale perchè la sua presenza nei nostri
spazi di vita e di lavoro cos tuisce una minaccia per l'equilibrio del nostro
ecosistema, per i privilegi acquisi come gruppo stanziatosi in un dato
contesto urbano, per la possibile perdita dei valori e delle tradizioni che, a
ragione o a torto, riteniamo capisaldi per la nostra sopravvivenza. Quando
l'altro pone in discussione il nostro modo di vita scatena confli ualità. Il
cambiamento suscita paura.
Per questo è indispensabile una educazione alla diversità.
Solo se c'è questo presupposto, solo se c'è il riconoscimento della diversità
si potrà parlare di uguaglianza. Perchè non c'è peggior gius zia di dare cose
uguali a persone diverse.
L'uguaglianza non si o ene dando a tu la stessa cosa ma dando a tu
ciò di cui hanno bisogno.
Questo conce o comporta un livello di maturità al ssimo. E' provato che
dare a ciascuno la stessa cosa provoca l'insoddisfazione generale, quindi, la
conoscenza della diversità altrui perme e una reale uguaglianza di
opportunità, di diri e doveri, perme e di trovare strade diverse per
raggiungere fini comuni, un dialogo ed una comunicazione totali.
Concludo precisando che questo discorso non va circoscri o alla diversità
di pelle o di territorio. Un dato da approfondire è la relazione che abbiamo
all'interno del nostro gruppo sociale con coloro che presentano
a eggiamen che escono dalla norma e che quindi rappresentano, anche
al nostro interno, delle diversità con le quali facciamo fa ca a relazionare,
proprio per l'a eggia- mento culturale e mentale di cui siamo partecipi, o
con coloro che vivono in una condizione temporaneamente diversa dagli
altri (carcera , droga , ...).
Certo è che se per le persone che per qualunque mo vo escono dal gruppo
spesso abbiamo trovato soluzioni reclusorie o di accoglienza, lo stesso non
è possibile fare per i diversi dal punto di vista etnico culturale, perchè la
diversità di questo po non può essere considerata né una patologia, né
una mala a.
 
 
 
 
Pedagogia e dida ca dell'integrazione scolas ca dei bambini e dei ragazzi
immigra
 
Paola Orlandini
 
Il fine primario della scuola è l'apprendimento.
Nei primi due anni della scuola elementare apprendere significa imparare a
scrivere, a leggere e a far di conto (acquisire, cioè, gli elemen di base).
La scuola dell'obbligo è comunque un luogo produ vo in cui l'integrazione
e la socializzazione passano anche a raverso le capacità di acquisire gli
strumen di base.
La maggior parte dei bambini reggiani frequentano le scuole materne, sia
comunali che statali o parrocchiali. C'è quindi una preparazione allo
sviluppo delle competenze chiamate prerequisi all'apprendimento
sopra u o nell'ul mo anno di frequenza, cioè a cinque anni.
Fino a quest'età non ci sono differenze notevoli fra i bambini immigra che
frequentano ed i bambini reggiani (ma purtroppo non sono mol gli
immigra che frequentano le stru ure prescolari).
La frequenza alle stru ure prescolari sarebbe già un'o ma prevenzione
alle future probabili difficoltà negli altri ordini di scuola.
Perché non sono mol ? Perché non rientra nella cultura degli
extracomunitari e dei nomadi allontanare il bambino dalla madre quando è
piccolo. E' più facile per i meridionali sopra u o della seconda
generazione, quelli cioè na a Reggio.
I bambini nomadi, extracomunitari e immigra entrano, quindi, nella
scuola dell'obbligo con un bagaglio di competenze inferiore ai coetanei.
Inizia per loro la difficoltà di essere adegua in un contesto socioculturale
comunque diverso dal loro, con richieste da parte della scuola che,
nonostante gli sforzi e il reale impegno degli insegnan , li pongono di
fronte a difficoltà legate alla lingua diversa, al diale o parlato in famiglia,
ad abitudini e valori differen che inducono in loro un senso di
inadeguatezza e di frustrazione.
E' fondamentale, quindi, che le persone che si trovano a lavorare con
ques bambini abbiano la consapevolezza dell'importanza che ha per loro
desiderare di impadronirsi degli strumen e delle conoscenze
dell'apprendimento quale condizione indispensabile per una loro auten ca
integrazione.
Questo non vuol dire assolutamente che ci sia da parte nostra la richiesta e
la volontà di "renderli uguali a noi".
Il lavoro delle persone che si occupano dei problemi di apprendimento di
ques bambini deve sempre orientarsi sia sugli aspe cogni vi che su
quelli affe vo-relazionali. E' chiaro che per "lavoro sull'apprendimento"
non si intende un insieme di ar fici tecnici da somministrare, ma "essere lì
con lui" con tu a la pienezza del nostro essere per compiere insieme un
cammino che lo por all'allargamento della propria personalità, all'uso
o male delle sue potenzialità e ad una integrazione reale che rispe il
suo senso di appartenenza alla cultura da cui deriva.
Non a caso ho de o 'insieme' e 'quel bambino'; insieme vuol dire il
bambino, il suo gruppo di appartenenza, le is tuzioni e noi che lavoriamo
con lui. 'Quel bambino' Perché nello stabilire un rapporto dobbiamo tenere
presente chi è e quale esperienza si porta addosso.
E' fondamentale, pertanto, essere auten ci.
Per essere auten ci bisogna che noi per primi riconosciamo i nostri confli
rispe o a certe loro tradizioni (ad esempio i ruoli defini rigidamente
all'interno della famiglia o il conce o di furto per i nomadi).
Riconoscere i nostri confli non significa rinunciare ai nostri valori ma
confrontarli con i loro insieme a loro.
Nel privato, nel gruppo di appartenenza si possono mantenere tradizioni
diverse, ma di fronte alle is tuzioni (scuola, leggi) debbono acce are le
nostre regole. Perché vivono qui e Perché anche noi, se trasgrediamo,
subiamo le conseguenze.
Il bambino sente subito se noi siamo suoi allea o suoi giudici e le sue
risposte saranno conseguen al nostro stato d'animo. Stato d'animo che si
rivela non solo con le parole, ma con lo sguardo, con il sorriso, con
l'a eggiamento.
Spesso si nota nei confron degli immigra un a eggiamento 'tollerante'.
La tolleranza presuppone un conce o di superiorità: "io sono buono,
quindi aiuto e tu mi devi essere grato".
'Alleanza', invece, significa riconoscere all'altro pari dignità.
In un rapporto educa vo vuol dire dare pari opportunità. Per far questo
bisogna dare loro ancora più strumen che agli altri bambini, perchè
partono culturalmente svantaggia .
Per i bambini extracomunitari il primo grande svantaggio è il bilinguismo,
per i meridionali è il diale o (la lingua usata quo dianamente in famiglia),
per il nomade è il sinto.
Anche noi abbiamo un diale o che varia dalla montagna alla bassa
reggiana e che, se parlato in fre a, risulta incomprensibile a chi non è del
circondario.
Allora riconosciamo ad ogni lingua materna la sua dignità', il suo valore.
Non diciamo che non la si deve usare, ma che la si può' usare
contestualmente nel gruppo di appartenenza.
Diciamo anche che per tu è fondamentale imparare la lingua italiana se si
vuole capire ed essere capi .
Il linguaggio è un'acquisizione che tu raggiungono più o meno
rapidamente e più o meno bene, perchè il bambino sente il bisogno di
comunicare e di esprimersi. Le difficoltà si manifestano nella le ura e nella
scri ura dove è più difficile trovare una mo vazione, un interesse.
Quando ques bambini arrivano da noi sono già molto demo va , hanno
già subito grosse sconfi e e spesso (quasi sempre) hanno assunto
a eggiamen di difesa di vario po a seconda del loro cara ere. Possono
essere diffiden oppure assumere un a eggia- mento di opposizione (fare
gli sciocchi) o ancora, e questa è la cosa peggiore, depressi. Tu ques
a eggiamen so ntendono una grande paura: la paura di non essere
ama per quello che sono, per quello che non sanno, per il fa o di non
corrispondere al modello, a quello che gli altri vorrebbero che fossero.
Sta a noi riuscire a dimostrar loro che possono. Come ?
Ogni caso è diverso dall'altro, però spesso si riscontra nella famiglia
(sopra u o nelle famiglie del meridione) una contraddizione di fondo: i
genitori vogliono che il figlio impari, però gli propongono sempre il loro
modello (quasi gius fica vo) che anche loro a scuola andavano male.
Quindi il bambino si trova di fronte ad una scelta: il modello che presenta
la famiglia e le richieste che fa la scuola e si sente in qualche modo
legi mato a non essere bravo.
Noi dobbiamo fin dall'inizio proporre un rapporto chiaro, far capire che
siamo qua per aiutarli e che crediamo in quello che facciamo. Nel lavoro
pra co dobbiamo par re con una mediazione. Io ad esempio uso questo
sistema: quando devono studiare e mi accorgo che fa cano a riconoscere
le par rilevan del testo e facilmente si perdono nei de agli, inizialmente
questo lavoro lo faccio io, poi, gradualmente, diminuisco il mio intervento
dimostrando così loro che possono farlo da soli.
A volte dico di un bambino: "Non ha voglia di studiare". In realtà è che non
si vuole me ere in compe zione perchè si sente già sconfi o in partenza,
ha paura di non riuscire. In ques casi dobbiamo insistere, spingerli a fare e
dimostrargli che, oltre alle cose che non riescono a fare, ce ne sono altre
che possono gradatamente conquistare. Occorre trovare situazioni che
siano s molan ma non compor no immediatamente un prodo o finale
da dare. Ad esempio leggere insieme un libro, un giornale cercando
argomen che possono interessare il ragazzo e, quindi, tenere alto il livello
d'a enzione.
Se ci limi amo a somministrare delle tecniche non o eniamo niente
perchè è solo instaurando un rapporto che si possono far conquistare degli
apprendimen .
Tornando a parlare dei nomadi: è necessario tener presente che hanno una
cultura molto diversa dalla nostra che, credo, vada salvaguardata. Sto male
quando vedo un bambino nomade che vuole essere uguale a noi, perchè in
questo modo non è più nessuno. Tanto uguale a noi non riesce ad esserlo e
così perde la sua iden tà, il senso di appartenenza che per i nomadi è
molto forte.
In conclusione, non pensate di aver facilmente la confidenza dei nomadi,
dei meridionali; è una meta difficile da conquistare perchè hanno paura
dell'intrusione, temono di dover modificare la loro vita. Difficilmente si
riescono ad avere rappor alla pari. Per riuscire ad avere la loro fiducia
bisogna non essere invaden , saper aspe are, rendere la famiglia
consapevole che il nostro lavoro vuol essere solo un aiuto alla loro
integrazione.
 
 
 
 
Insegnamento e apprendimento: l'integrazione a scuola dei bambini e dei
ragazzi immigra
 
 
Leonardo Angelini
Reggio E.18.11.93
 
 
1-Appartenenze
 
Questa che sto per cominciare, in un certo senso, è una autobiografia:
infa s amo qui a parlare di immigrazione, ed io stesso sono un
immigrato.
Reggio Emilia, come si sente anche dall'accento, non è il luogo delle mie
origini.
Sono nato in Puglia, a Locorotondo, nella Murgia barese, e sono molto
fiero della mia meridionalità, anche se la mia appartenenza ormai non è
più solo quella che mi proviene dal luogo delle origini, ma anche quella che
è dentro di me come risultato di tu e le esperienze fa e negli altri luoghi
in cui ho avuto la ventura di vivere, e sopra u o a Reggio Emilia, ci à nella
quale vivo ormai da 22 anni.
Qualche anno fa, poco dopo la pubblicazione di un mio libro, in tolato "Le
fiabe e la varietà delle culture", libro che era stato acquistato dalla nostra
(a enzione! mi sto definendo come reggiano) Biblioteca Panizzi, riceve
una telefonata da uno storico reggiano che mi invitava a partecipare ad un
incontro di studiosi di storia locale. Seppi in quel momento che venivo
considerato uno storico reggiano.
Ebbene non ho ritegno a dire che in quel momento provai una forte
emozione dentro di me: quelle parole, de e al telefono, avevano per me il
significato di un ba esimo. Mi resi conto che, fino a quel momento, nel
mio in mo non ero ancora sicuro di questa mia più recente appartenenza,
e, a dire la verità, ancora oggi, di tanto in tanto, torno a non esserlo.
Tendo a farlo quando le cose non vanno bene, quando non sono in pace col
mondo, e in par colare con questo piccolo mondo che è Reggio Emilia.
Allora è come se dentro di me una voce che viene da lontano mi
richiamasse ad an chi amori, an che appartenenze in polemica con quelle
più recen , viste come terreni inospitali e ingra .
Voce, badate bene, che sento anche in altri momen , quelli in cui sono più
in pace col mondo e con me stesso, ma allora gli accen polemici dentro di
me non li sento più, ed il richiamo del passato non preme nel senso della
non integrazione, ma al contrario mi spinge ad una visione più integrata del
rapporto fra passato e presente.
 
Ecco, l'immigrato è sempre comba uto, dilacerato, ambivalente nel tentare
di risolvere il rapporto fra proprio passato e situazione presente, fra
appartenenza primaria e secondaria che sempre dentro di lui sono in bilico
fra rifiuto dell'integrazione e voglia di lasciarsi coinvolgere pienamente.
 
 

2.Ambivalenza ed integrazione nel caso dell'immigrato


 
Il problema dell'ambivalenza però non è un problema che prende solo
l'immigrato. In generale, infa , in tu noi c'è sempre ambivalenza
quando in ballo sono i nostri rappor con le persone alle quali siamo più
lega . Amore ed odio, crea vità e distru vità, spinta all'integrazione e
spinta alla dis-integrazione sono paren molto più prossime di quanto ad
una analisi superficiale possa sembrare, e tendono ad enfa zzarsi quando
gli ogge inves da queste for passioni sono persone a noi care o noi
stessi. L'ambivalenza, all'interno di ciascuno di noi può risolversi in svaria
modi.
Ho avuto modo di seguire in passato una madre che, finché la propria figlia
era rimasta piccola era stata una madre fin troppo buona ed amorevole,
ma che poi, quando la figlia era diventata una ragazza, non avendo mai
fa o i con con la propria ambivalenza, ed in par colare con le proprie
par ca ve, aveva avuto un vero e proprio scompenso psico co di fronte
alle proprie pulsioni aggressive nei confron di colei che con la propria
giovinezza so olineava il fa o che lei stava invecchiando.
In questo caso l'ambivalenza si era (provvisoriamente) risolta in modo
catastrofico poiché non vi era stata una consuetudine, in quella signora,
con le proprie par ca ve, per cui, una volta che quelle par erano
emerse, non era stato possibile riconoscerle, acce arle, integrarle insieme
alle altre par compresen all'interno della psiche della signora.
Fortunatamente molto più spesso la risoluzione che all'interno di ciascuno
di noi si prospe a al problema dell'ambivalenza è meno trauma ca. Certo
è che è l'integrazione il modo più maturo di risolvere l'ambivalenza,
intendendo per integrazione quella tendenza dinamica (cioè non fissata
una volta per sempre all'interno di noi, ma flessibile, plas ca) ad
armonizzare "dentro" tu e le par , tu i personaggi dai quali siamo
abita : quelli buoni e quelli ca vi, quelli adul e quelli infan li, quelli
maschili e quelli femminili, etc. -
 
Nel caso dell'immigrato, però, il problema dell'ambivalenza si complica per
un insieme di circostanze che comprendono l'immigrato, ma anche coloro
che lo accolgono, così come coloro che non lo hanno seguito nel suo
viaggio di allontanamento e di separazione dal luogo delle origini.
1.Intanto, se concentriamo la nostra a enzione su colui che emigra,
vediamo -come ho tentato di dimostrare parlando di me stesso- che chi
emigra ha una doppia ambivalenza: a- verso le proprie radici, nei confron
delle quali l'immigrato oscilla fra una tendenza ad un ritorno più o meno
nostalgico ed una pulsione al misconoscimento; b- verso il nuovo che lo
accoglie che dal sogge o immigrato, in maniera altre anto dilacerante,
viene vissuto come luogo di acce azione o luogo di rifiuto.
2.Ma anche chi accoglie (es.: le maestre\i vicini\ i riabilitatori\ la pubblica
amministrazione, etc) è ugualmente ambivalente nei confron del nuovo
venuto, dell'ospite. Se è vero infa che nelle culture mediterranee l'ospite
è sacro, non bisogna mai dimen care che le cerimonie di accoglienza
dell'ospite so endono sempre la tendenza opposta a quella che porta alla
sacralizzazione, che è proprio quella della distruzione dell'ospite visto
come en tà minacciosa che rompe un equilibrio stabilito dall'abitudine.
Chi accoglie quindi può vivere il nuovo arrivo come promessa o come
minaccia, a seconda che prevalgano in lui le par più aperte e fiduciose nei
confron dell'ignoto, o quelle più morose e conserva ve.
3.Ed infine anche chi rimane è ambivalente. Colui che parte infa , per
coloro che rimangono, con la sua partenza ha compiuto un gesto che non
vale solo per se stesso, ma per tu a la comunità che è stata abbandonata
(famiglia, cerchia di amici, etc.). Al di là delle intenzioni dell'emigrante, quel
suo gesto di ro ura di un equilibrio preesistente può suscitare in ciascuno
di coloro che rimangono, e nella comunità nella sua in erezza, o
ammirazione e comprensione, o la sensazione di essere tradi , oppure
ancora un moto di invidia verso chi ha compiuto un gesto che chi rimane
non ha osato (ancora) compiere.
 
 
3.La scena metropolitana e l'immigrato
 
a. L'acculturazione: in generale l'acculturazione è quel fenomeno di
scambio che si determina quando due culture si incontrano. Scambio non
sempre definito in termini di uguaglianza, ma anzi spesso in termini
diseguali poiché l'incontro di due culture spesso nasce da uno scontro più o
meno violento che vede una cultura vincere e l'altra soccombere.
L'acculturazione perciò è sempre un fenomeno doloroso, in base al quale
ciascun a ore presente sulla scena deve rinunciare a qualcosa per
prendere qualche cos'altro. Come ci ha insegnato Dupront vi possono
essere varie specie di acculturazione che sono determinante dal modo con
cui culture egemoni, vi oriose e culture vinte, perden interferiscono fra
di loro.
a.1- Si dice che vi è un processo di acculturazione violenta quando la
cultura egemone schiaccia la cultura vinta e rifiuta qualsiasi scambio con
essa. Ad esempio è ciò che successe fra Roma e Cartagine: le tendenze
distru ve, presen nell'uno e nell'altro campo ( non dimen chiamo il
giuramento di Annibale bambino di votare la propria vita alla distruzione di
Roma, e di converso il famoso "delenda Cartago!" dei romani) non
potevano che risolversi con la distruzione totale del vinto e la non
integrazione (almeno a livello cosciente) di alcuna istanza culturale che
provenisse dall'altra parte. Lo spargimento di sale sulle rovine di Cartagine
affinché nessun filo d'erba potesse sorgere lì da allora in poi la dice lunga
sui proposi di non integrazione di dis-integrazione dei vincitori.
a.2-Ma l'acculturazione può risolversi anche come scambio paritario e
reciprocamente arricchente. E' ad esempio quello che accadde fra Roma e
la Grecia nel momento della conquista di quest'ul ma da parte dei romani
("Graecia capta ferum victorem cepit"); è ciò che accadde fra Longobardi e
civiltà la na (si pensi al grande processo accultura vo che da quell'incontro
si innestò sul piano giuridico, ad es.); è infine ciò che sta avvenendo so o i
nostri occhi fra Usa ed Europa, laddove un ricco scambio su tu i piani,
favorito dalla capacità mol plicatrice dei mass media, sta determinando da
una parte e dall'altra una trasformazione foriera di ulteriori scambi e
contaminazioni.
a.3- In mezzo a ques due poli estremi c'è una ricca gamma di possibili
scambi più o meno paritari ed è sempre la modalità concreta di risoluzione
dell'ambivalenza dei confron dell'altro da sè che definisce il grado di
contaminazione tollerato dall'una e dall'altra parte.
 
b. Lo scambio ineguale e la ci à: Nel caso dell'immigrato lo scambio fra la
cultura di cui lui è il portatore e la cultura che lo accoglie è uno scambio
ineguale.
Il territorio metropolitano spinge l'immigrato ad un ada amento.
Lo sforzo all'ada amento, la lo a interna che da una parte lo spinge
all'integrazione, dall'altra alla chiusura, prende tu o il suo essere. Tempi,
spazi, lingua, usi e costumi, sistema dei valori, aspe a ve, priorità, visione
della paternità e della maternità, della mascolinità e della femminilità,
sistemi educa vi, a eggiamento nei confron del lavoro, del denaro, del
consumo, etc., tu o viene rimesso in discussione nell'impa o con la ci à
metropolitana.
 
c. L'ambivalenza così si ripropone nella famiglia immigrata in tu e le sue
sfacce ature.
Chi di voi ha avuto modo di vedere quel grande film che è "Rocco e i suoi
fratelli" si ricorderà certamente dei vari "s li di integrazione" che tu i
personaggi della famiglia di Rocco me ono in a o nei confron di Milano
nonchè del mutare di a eggiamento e di s le che, nel tempo, la famiglia
ed i vari suoi membri usano per integrarsi, del lungo e travagliato lavorìo
interno in ciascuno di loro per superare le tendenze a risolvere in maniera
non integrata l'ambivalenza, dei fallimen e delle vi orie che ci sono lungo
questo tragi o.
Per le ragioni de e all'inizio, cioè, l'ambivalenza non si risolve facilmente
nella integrazione fra par acce an e par rifiutan il nuovo. Lungo il
percorso che porta all'integrazione la famiglia immigrata lascia "mor e
feri ", ed anche la più felice delle integrazioni lascia all'interno del sogge o
immigrato un insieme di s gmate, di ferite, più o meno cicatrizzate.
 
d. I problemi della ci à che accoglie: ma, a fianco dei problemi della
famiglia immigrata, vi sono anche quelli della ci à che accoglie l'immigrato.
In primo luogo esiste la cosidde a "soglia sociologica dell'accoglienza",
cioè una certa soglia numerica percentuale, al di so o della quale
l'immigrato non crea problemi di accoglienza nella ci à che accoglie, al di
sopra della quale però, come i sociologi hanno dimostrato, comincia
diventare problema co ogni nuovo arrivo.
 
Ma, al di là di una visione così ogge vis ca del problema, che fra l'altro ha
-nel modo stesso in cui il problema è posto- un vago sentore di
intolleranza, resta il fa o che l'immigrato, come si diceva all'inizio, diventa
alterna vamente per chi lo accoglie o sen na di tu i mali e di tu i vizi
(le proiezioni nega ve del più forte), oppure il portatore di una promessa di
cambiamento (le proiezioni posi ve del più forte).
 
e. L’ambiguo richiamo della foresta: vi è poi un complesso gioco a
rimpia no fra coloro che "son venu su" e coloro che "son rimas giù".
Per cui c'è chi da giù grida al tradimento, e vorrebbe che l'emigrato
ritornasse come il figliol prodigo; c'è chi qui lavora per costruire giù una
casa che è des nato a non abitare mai; c'è chi da giù preme per venire a
"sistemarsi" su, a ra o dalla sirena metropolitana, ma ancora moroso di
fare il gran passo e perciò o invidioso verso chi quel passo lo ha già
intrapreso, o ammirato ed anzi pericolosamente entusiasta della cultura
della metropoli che finora ha conosciuto solo a raverso le sirene dei
media; c'è infine chi qui vuol diventare più realista del re e si me e a
scimmio are i metropolitani rinunciando alla propria ricchezza culturale ed
anzi vivendola come peso (era l'a eggiamento che Pasolini, grandemente
sensibile ai fenomeni accultura vi, più aborriva).
 
 

4.Il bambino immigrato e la scuola


 
a. Differenza fra Sè nucleare e Sè orbitale: Nell'accingerci a vedere ciò che
accade al bambino immigrato nel momento in cui frequenta la scuola non
possiamo non affrontare un piccolo nodo teorico la cui comprensione però
è importante per comprendere in maniera discriminata ciò che avviene
dentro di lui, rispe o a ciò che avviene in qualsiasi bambino "autoctono".
Si intende per sè nucleare la parte più centrale, più auten ca, più piena del
nostro essere, quella all'interno della quale ci sono gli introie , le
iden ficazioni più importan sulle quali e costruita la nostra personalità.
Per sè orbitale, al contrario, intendiamo la parte più periferica del nostro
essere, quella all'interno della quale vi sono gli introie meno importan
in base ai quali ci definiamo e ci auto-rappresen amo.
 
Il bambino autoctono, quando arriva a scuola, ha dentro di sè un Sè
nucleare che si va definendo in termini sintonici con il cara ere etnico e
con l'inconscio etnico della propria società, cioè con quell'insieme di
modalità di vita, piche di quella determinata società, che si definiscono
a raverso l'educazione e tu gli altri meccanismi in base ai quali,
consciamente o inconsciamente, quella società dinamicamente è formata.
E' per questo che il Sè nucleare del bambino autoctono non sarà
so oposto ad eccessivi scossoni quando arriverà a scuola e tu o il suo Sè
potrà essere u lizzato "al meglio" nello studio.
 
Il bambino immigrato ha invece dentro di sè un Sè nucleare più o meno
distonico con il cara ere etnico e con l'inconscio etnico della società che lo
accoglie che per lui è riassunta dalla figura del maestro.
E' per questo che per lui la scena scolas ca diventa un'altra scena (rispe o
a quella del suo pari autoctono):tempo, spazio, lingua, usi e costumi,
sistema dei valori, aspe a ve, priorità, eccetera, tu o è ri-osservato da lui,
a raverso la mediazione del maestro, a par re da un punto di osservazione
nuovo ed a volte distonico rispe o a quello originario, familiare.
Il suo Sè nucleare già stava facendo fa ca ad ada arsi, ad introie are, a
me ersi in una posizione di scambio. Ora viene sconvolto dalla inusualità
stessa del punto di osservazione al quale la scuola lo conduce, al di là di
ogni sforzo volontaris co dei docen e del gruppo dei discen , che non
possono fare a meno di essere quello che sono per lui, e cioè "altri da sè".
Tu o, perciò, è in mano alla figura del maestro (ed in misura minore, ma
mica tanto dei pari) che devono sopportare le proiezioni spesso nega ve
del bambino e della famiglia, che con nueranno per lungo tempo a
sfuggire, e -nello stesso tempo- devono mediare il nuovo e renderlo
appe bile al bambino.
 
Ma questo spesso cozza: 1.con i fantasmi forma vi del maestro 2.con le
sue resistenze interne al cambiamento.
Che fare?
Innanzitu o par re dalla consapevolezza che l'integrazione sociale è
stre amente intrecciata con l'integrazione interna che avviene a fa ca nel
bambino immigrato (così come nel suo genitore, e sulla scia di
quest'ul mo).
In secondo luogo esser consapevoli che l'integrazione interiore avviene
len ssimamente e con grande rischio sul piano dell'equilibrio personale
(vedi la fine di Simone in "Rocco e i suoi fratelli").
In quest'o ca porsi come mediatori che non pretendono niente sul piano
immediato, ma che, nonostante la scarsa riconoscenza, con nuano nella
loro opera riparatrice e integratrice.
 
 
BIBLIOGRAFIA:
 
-G.Devereux,1978,Saggi di etnopsichiatria generale, Armando, Roma.
-A.Dupront,1967,L'acculturazione,Einaudi,Torino.
-L.Grinberg,1982,Teoria dell'iden ficazione, Loescher, Torino.
-L. e R.Grinberg,1976,Iden tà e cambiamento, Armando, Roma.
- L. e R.Grinberg,1990,Psicoanalisi dell'emigrazione e dell'esilio, F.Angeli, Milano.
 
 
 
 
 
 
Donna: presenza concreta e discreta, ovvero: la presenza invisibile. Perchè
nel volontariato vi sono per la maggior parte donne?"
 
Fortunata Romano (Tina) Romano)
 
 
Una constatazione degli operatori che lavorano nel campo della cura e
dell'assistenza, è che la maggior parte di loro sono donne, nonostante vi sia
un costante aumento dell'universo maschile in professioni considerate, per
tradizione, picamente femminili. Ciò perchè?
Per tradizione, sia nell'ambito della famiglia che delle is tuzioni,
l'assistenza, la cura a persone per un qualche mo vo bisognose, anziani,
bambini, mala , etc., è culturalmente compito della donna. Infa gran
parte dell'a vità quo diana delle donne, sia in casa che nei servizi sociali,
ha come fine l'accudire, il far crescere, il dispensare assistenza e cura,
l'insegnare (è, infa , la madre il veicolo dell'educazione.
Tali a vità sono spesso svalutate o so ovalutate perchè producono beni
invisibili, appartengono infa ad un'economia sommersa e, quindi,
difficilmente misurabile. I prodo sono in genere di immediato consumo
(pensate al tempo che occorre per s rare o per preparare il pranzo) o sono
tangibili in tempi più lunghi (9 mesi di gravidanza, mol anni di più per
crescere i figli).
Spesso si sentono mari che annullano il prodo o di fa che, di crea vità
della donna con l'accusa: "tu non contribuisci all'economia della famiglia,
sono io che mantengo te ed i figli, tu pensi solo a spendere". Ciò si verifica
anche in situazioni dove la donna lavora fuori casa e, quindi, contribuisce
economicamente in modo evidente.
Cosa vi è alla base della nostra constatazione ? La divisione del lavoro in
maschile e femminile, divisione che rifle e la contrapposizione degli
elemen maschili e femminili dell'uomo e della donna, contrapposizione
che porta all'unidimensionalità dei ruoli, al rischio di una cristallizzazione
psicologica in comportamen maschili e femminili ed a confli interni fra
gli elemen maschili e femminili.
Per la donna, cui vengono a ribuite qualità quali spirito di abnegazione,
spirito materno, obla vità, docilità, è peculiare assistere i mala , allevare i
bambini, assistere gli anziani. Al contrario a ribu quali forza, vitalità,
aggressività, razionalità vengono a ribui agli uomini che vengono
considera esen dal prendersi cura. La divisione del lavoro in maschile e
femminile è così radicata che la si riscontra anche negli ordini religiosi.
Pre , fra , monache hanno in comune nella scelta del loro status l'amore
per il prossimo, anche se chi ges sce i servizi assistenziali negli ospedali e
nelle scuole materne sono per lo più le monache.
La divisione del lavoro supportata dalle qualità maschili e femminili
a ribuite rigidamente o all'uno o all'altro sesso è un fa o di natura o di
cultura ?
Per trovare una risposta a tale domanda complicata e un po' controversa
soffermiamoci su due pun :
1) l'educazione
2) storicamente la mascolinità è stata iden ficata con la ragione, la
femminilità con le emozioni.
1) L'EDUCAZIONE
Cosa si vuole che gli uomini apprendano ? Gli uomini in quanto universo
maschile non vengono educa a prendersi cura degli altri e ciò è
culturalmente interiorizzato anche dall'uni-verso femminile: l'assistenza
spe a alle donne. Giannina Belo nel suo libro "Dalla parte delle
bambine" racconta che in Ucraina quando nasce un maschio si versa una
brocca d'acqua in strada a simboleggiare che il nuovo nato è des nato a
percorrere le strade del mondo. Viceversa quando nasce una femmina
l'acqua viene versata nel focolare a significare che la sua vita futura si
svolgerà nel chiuso delle pare domes che. Non so se ancora oggi si
ricorre a tale gesto simbolico ma, comunque, credo che in Ucraina come
altrove il conce o sia ancora a uale, anche se non saldamente monoli co.
Le donne vengono educate a prendersi cura degli altri, le femmine fanno
compagnia in casa e aiutano nelle faccende domes che. Quindi ne
consegue che le donne vengono allenate a me ere gli interessi degli altri
prima dei propri. Questo porta spesso molte donne ad avere difficoltà a
capire cosa vogliono e di cosa hanno bisogno per se stesse. Un uomo che si
occupa degli altri, della cura della casa, è "buono", "aiuta la moglie".
Spesso si sentono donne che dicono: "mi aiuta con i bambini, se non faccio
in tempo a s rare mi aiuta lui". Come se i figli e la casa non fossero anche
affar suo.
Soffermiamoci ora sull'educazione della donna. La donna ancora oggi è
considerata "angelo del focolare". Definizione che racchiude in sè tu e le
funzioni che la società le richiede sia all'interno che all'esterno della
famiglia. La parola angelo evoca infa bellezza, fragilità, tenerezza,
dedizione, protezione, ecc. I ves di un angelo sono colora , s molano
allegria, l'angelo ha le ali che proteggono (contemporaneamente le viene
insegnato che è debole e che deve appoggiarsi all'uomo) ed è sempre
presente perchè è il "custode dell'individuo".
La parola focolare evoca il fuoco, l'in mità, qualcosa che deve essere
tenuto vivo perchè serve a scaldare, cucinare, far luce. Il des no biologico
di madre porta la donna ad essere catalizzatore della vita familiare, nume
tutelare della casa. Perciò la stessa donna che lavora non sfugge
all'adempimento dei lavori domes ci ed è così so oposta a doppio lavoro.
Per tale mo vo la donna cerca lavoro sopra u o nell'ambito del
commercio, negli uffici, nell'insegnamento, nelle professioni paramediche.
Il grosso impiego di donne nei servizi assistenziali rispecchia il fa o che la
donna nella scelta del lavoro è indo a dalle qualità che le si a ribuiscono:
dolcezza, comprensione, pietà, pazienza.
Tu a l'educazione delle bambine sia primaria che secondaria è mirata,
a raverso un lungo rocinio, a formare la donna "angelo del focolare".
Durante tale rocinio alla donna, accanto ad un ruolo prote vo nei
confron del maschio (marito, fratello), viene inculcata l'idea della sua
debolezza e, quindi, il bisogno di essere prote a.
L'educazione e tu e le s molazioni pubblicitarie definiscono l'importanza
della rilevanza este ca della donna.
Fatevi venire in mente i giochi e i gioca oli che vengono prodo per le
bambine. I giochi di movimento, infa , non sono ritenu confacen per le
bambine e in alcuni casi addiri ura vieta : se una bambina sale su un
albero è un maschiaccio e non sale perchè le piace. Una giovane donna che
ho seguito in psicoterapia e da cui ho imparato molto sul "sen re" delle
donne nel rapporto sessuale (si definiva frigida o così altri l'avevano
definita) mi raccontava che da piccola, vivace e piena di energia, pur
misurandosi nei giochi di forza con i maschi, provava disagio e senso di
colpa. Ciò perchè se era comba va e indipendente non veniva approvata,
mentre veniva lodata se era docile.
E' importante anche il ruolo delle famiglie nell'educazione-ne. Oggi le
favole vengono raccontate poco perchè vengono sos tuite dalla
televisione, ma soffermiamoci su due vecchie favole che tu conosciamo:
Biancaneve e Cenerentola.
Biancaneve, in primo luogo, fa la figura dell'oche a: acce a la mela che le
viene offerta anche se era stata avver ta di non fidarsi di nessuno. E' bella,
evanescente, sperduta, ma quando i nane acce ano di ospitarla i ruoli si
definiscono e Biancaneve non risulta affa o eterea: I nani vanno a lavorare
mentre Biancaneve ene la casa in ordine e cucina aspe ando il loro
ritorno. Si me e in situazioni intricate e chi la salverà ? Il principe azzurro a
cui lei sarà certamente di u lità così come lo era stata per i nane .
Cenerentola è il proto po delle a vità domes che: umile, paziente,
servile. Anche lei sarà salvata da un uomo.
Quindi, l'educazione porta la donna ad occuparsi degli altri, a dare, ad
immedesimarsi nei bisogni altrui. Cosa ne ha in cambio dal punto di vista
delle soddisfazioni personali ? Domanda che invita i partecipan alla
discussione.
Gli uomini, invece, I tradizionali conce di mascolinità che tengono i
maschi a distanza dalla vita emo va, oltre che ad allontanarli dai propri
bisogni emo vi, impediscono loro di accostarsi e risponde-re ai bisogni
degli altri. E' per questo che è difficile per loro offrire sostegno a chi ne ha
bisogno. Un amico raccontava quanto era stato duro per lui imparare a
prendersi cura di suo figlio perchè pensava che gli amici lo avrebbero
biasimato.
A questo punto so olineo quanto il more di entrare in conta o con i
propri bisogni emo vi e con quelli degli altri (sia per l'uomo che per la
donna) influisca e condizioni le relazioni interpersonali.
 
2) RAZIONALITA' O EMOTIVITA' ?
Domanda oziosa e provocatoria. Come se l'uomo fosse solo ragione o solo
emozioni. Gli uomini più che le donne considerano le emozioni, il sen re,
come segno di debolezza e questo crea idiosincrasia fra la vita emozionale
e relazionale dell'individuo. Importante e soddisfacente nelle relazioni
umane e, quindi, anche con le persone a cui ci si accosta perchè bisognose,
è rapportarsi non in modo unidimensionale (ragione o cuore), ma
integrando la parte che "valuta" e la parte che "sente".
E per finire una domanda: la donna, abituata dalla madre, dà molto di più
dell'uomo ma, a mio avviso, in questo dare vi è un ricevere. Nel lavoro di
volontariato quale parte soddisfa il dare? Cosa si riceve in cambio?
 
 
 
Sessualità e iden tà
 
 
Deliana Bertani
 
 
 
Il tolo va nel senso di collocare la sessualità nel quadro complessivo della
personalità.
Sono mol gli aspe che concorrono a rendere problema ca la
formazione dell'iden tà e la crescita della personalità nell'handicappato. Li
enumereremo soltanto .Sommariamente dunque possiamo dire che le
interferenze che intervengono nel processo di crescita sono:
1) Le più o meno vaste lesioni del SNC e, più in generale, le patologie
organiche;
2) Le interferenze che subisce da subito il rapporto madre-bambino
handicappato, genitore bambino handicappato, e che pongono delle gravi
ipoteche su una buona iden ficazione primaria e conseguentemente sulle
successive iden ficazioni;
3) Le alterazioni della motricità e della percezione dello schema corporeo e
del conce o di spazio e tempo, nonchè i disturbi del linguaggio;
4) La difficoltà di interpretare a vamente ruoli sociali.
5) I condizionamen sociali che più che favorire la crescita tendono a
mantenere il ragazzo handicappato in una situazione infan le e
infan lizzata. Ci sono altresì mol fa ori che concorrono a determinare
una "patologia della comunicazione", quindi una disarmonia relazionale di
fondo che, ben lungi dallo sviluppare nel bambino sen men di fiducia, di
benessere diffuso, di sicurezza interiore, producono vulnerabilità, per
rea vità alle frustrazioni, a accamento ai primi vi rappor ogge uali
gra fican , immaturità affe va, egocentrismo, fissazione alle fasi precoci
dello sviluppo, insicurezza, nega vismo, sensi di colpa, dipendenza. Spesso,
per non dire sempre, questa situazione non cambia, anzi tende ad
aggravarsi con l'età. . Da quanto de o è ovvio che il ragazzo handicappato
difficilmente riesce a raggiungere quell'autonomia e quel controllo
interiore che solo con l'indipendenza dagli ogge d'amore primari si riesce
ad o enere. La maturazione sessuale che si elabora nel periodo
adolescenziale avviene pertanto in maniera incompleta. Vediamo
schema camente cosa avviene nell'adolescenza, prima però sgombriamo il
campo dello sviluppo sessuale dell'adolescente da alcune idee e conce
ricorren . La sessualità non è solo la genitalità, non è l'a o amoroso visto
dalla angolatura e con i significa che l'adulto a ribuisce ad esso, non sono
le norme religiose e le credenze delle varie culture, ma è un difficile
percorso mentale e comportamentale che conduce il ragazzo dagli
a eggiamen infan li alla formazione di una iden tà complessiva e,
pertanto, anche di un ruolo sessuale acce ato individualmente e
riconosciuto socialmente. La sessualità quindi come area di relazione fra il
mondo interno e mondo esterno, come somma di genitalità, amore,
affe vità, corporeità, ricerca del piacere e comunicazione. Sessualità come
ricerca di una nuova iden tà dopo la perdita delle certezze che avevano
cara erizzato l’età infan le: certezze sulla propria iden tà, certezze sulla
famiglia, certezze sugli adul , certezze sul proprio futuro, certezze sulla
propria immagine fisica, certezze sulle proprie capacità intelle ve,
certezze sulla propria emo vità.
Nell'adolescenza sca ano tre mer: quello biologico quello emozionale
quello economico. I problemi da affrontare sono quindi: pubertà
autonomia dal gruppo primario
scoperta di se stessi
scoperta della limitatezza delle conoscenze ipersignificazione della realtà
scoperta della "maschera" e della "ambiguità degli adul ". I luoghi in cui si
svolge questo dramma co processo sono.
1) La famiglia (caduta dei mi , ribellione),
2) Gruppo dei pari (visione caleidoscopica di sé
3) Lo stare da soli (autoconsapevolezza)
4) La coppia (maturità sessuale). Sono luoghi fisici, ma sopra u o luoghi
psichici che esistono nella mente del ragazzo separa fra di loro.
L'adolescente è in con nuo movimento tra ques qua ro luoghi, nel
cammino fa coso e doloroso che fa per diventare grande, cioè per
integrare in modo sufficientemente equilibrato queste qua ro situazioni
affe ve ed esperienziali. La maturazione sessuale che si elabora nel
periodo adolescenziale avviene nell' handicappato in modo incompleto,
non realizzandosi mai adeguatamente quella convergenza della pulsione
sessuale, del desiderio di un partner privilegiato e del sen mento amoroso
nel quale si esprime tale maturità. Dei tre mer ne sca a uno solo, quello
biologico. I qua ro "luoghi" presen nella vita reale e fantasma ca
dell'adolescente non sono pra cabili in modo adeguato. Nella famiglia non
c’è quel processo che dalla ribellione porta all'autonomia. Agli impedimen
ogge vi si aggiunge la tendenza, spesso accentuata della famiglia stessa,
alla infan lizzazione che si poggia sulla difficoltà di passare da una visione
illusoria ad una immagine realis ca dei limi ma anche delle possibilità
residue del ragazzo. Un a eggiamento simile a quello della famiglia si può
riscontrare anche nella scuola e spesso nello stesso ambiente riabilita vo,
sopra u o in quelle aree, come la sessualità, in cui stereo pi culturali,
norme sociali e religiose, storie personali dei singoli operatori, concorrono
nel rendere par colarmente difficoltoso il riconoscimento degli elemen di
crescita che nel ragazzo, che è di fronte a noi, ci sono. Nel gruppo ci sono
poche occasioni per il ragazzo handicappato di sperimentare un'affe vità
diversa da quella del gruppo primario. Ci sono incapacità ad assumere
compi adegua all'età. C'è poca disponibilità da parte del gruppo stesso a
farsi carico di qualcuno che così pesantemente presen fica tu e quelle
istanze con le quali si sta lo ando: la dipendenza, l'incapacità, la
pulsionalità incontrollata, meccanismi di difesa inopportuni (vischiosità,
gregarismo, stereo pie, modalità schizo-paranoide). Lo star da solo è
cri co, laborioso, fa coso, pressoché impra cabile per l'handicappato. Le
spinte all'infan lizzazione tendono a produrre esa amente bisogni oppos
e contrari. La confusione domina in quello che dovrebbe essere il percorso
verso l'autoconsapevolezza. L'ul mo luogo, quello della coppia, è quello
meno agibile, meno sperimentato, meno pra cabile per l'handicappato.
L'uscita dalla condizione di figlio è ina uabile, difficile e anche il passaggio
dalla condizione di figlio piccolo a quello di figlio competente. La
condizione di dipendenza non solo limita la crescita, ma ostacola
pesantemente anche il bisogno di privacy. Inoltre il condizionamento
dovuto all'equazione coppia sessualità = matrimonio\ procreazione, toglie
quasi del tu o questo quarto luogo all'handicappato psicofisico. La società
sembra disponibile a tollerare l'handicappato solo a prezzo di una perdita
di iden tà compiuta, matura permanente, l'unico ruolo che gli riconosce è
quello di eterno bambino. Lo sviluppo sessuale non può che essere
incompleto, la sessualità genitale, quando si esprime, lo fa in forme
regredite ed autoero che. Dico quando si esprime perché vari fa ori
rendono di fa o pra camente impossibile anche l'ero smo individuale:
1) la proibizione parentale e sociale e talmente repressiva, sopra u o
verso le donne, da essere vissuta come negazione della sessualità stessa,
2) l'isolamento sociale in cui vive l'adolescente handicappato gli limita la
possibilità di apprendere il "sesso" dagli amici,
3) c'è la mancanza di spazio individuale, di privacy,
4) l'autonomia motoria è spesso inadeguata.
Ma torniamo al conce o iniziale. Avevamo tentato di sgombrare il terreno
dai preconce e dagli stereo pi per affermare che la sessualità non è
sinonimo di genitalità ma è qualcosa che abbraccia il significato di
corporeità, conta o, tenerezza, affe vità. Nell'uomo ha un significato ricco
di implicazioni psicologiche: è un risultato contemporaneamente un
elemento imprescindibile di completezza della personalità umana,
sopra u o in quanto la sessualità è comunicazione e relazione, conta o,
desiderio, piacere, sofferenza e tu o questo passa a raverso il corpo e
viene vissuto nel corpo. Ci troviamo di fronte all'ennesimo ostacolo
nell'acquisizione di un'iden tà sessuale nell'handicappato, nella
pra cabilità di un'area così importante per l'acquisizione di una iden tà
definita e stabile. Il corpo dell'handicappato, infa , è un corpo segnato, è
un corpo diverso, fiacco, spesso ogge ualizzato e programmato da altri. E'
un corpo che da sempre e stato poco amato. Lo sviluppo del bambino
handicappato e stato accompagnato da "mancanze" di corporeità. Il
ragazzo è arrivato all'adolescenza in questo modo ed allora le chances che
avrà per riconoscere e riferire a se questo corpo che per tu in
adolescenza diventa uno sconosciuto, spesso pericoloso e bru o, sono
molto poche. Ho so olineato le diversità, o meglio gli aggravi rispe o alla
norma che l'handicappato deve affrontare nello sviluppo sessuale perché
queste diversità devono essere riconosciu da chi ges sce l'educazione, la
formazione e l'istruzione del ragazzo handicappato, devono essere
"accolte" e "contenute" se vuole affrontare quest'area di problemi senza
cadere nella negazione, nella repressione o nell'ideologia. Questo significa
essere in grado di dare risposte per nen alle domande, di dare
informazioni e conoscenze commisurate alla capacità di comprendere.
Avere chiaro che non esistono regole di soddisfazione ero ca valide per
tu . Non sos tuirsi all'handicappato decidendo per lui. Cercare di capire
qual è il reale bisogno so ostante le espressioni verbali o comportamentali
manifestate, capire cioè che i comportamen sessuali possono essere:
stereo pie, cioè a vità di riempimento che sopravvengono quando il
sogge o è lasciato a sé; ripiegamen au s ci; manifestazioni di affe o
troppo dimostrato; bisogno di conoscere; bisogno di capire. Si diceva
affrontare quest'area senza cadere nella negazione e nella repressione.
Non è semplice perché significa acce are l'angoscia che si prova nel
confronto con la loro in mità, confronto che inevitabilmente porta a galla
la nostra e quindi la difficoltà a risponderci a temi quali normale/
anormale, lecito/illecito, sessualità/affe vità. Per tu la sessualità va a
toccare corde in me. Infa a determinare il comportamento sessuale di
ciascuno di noi intervengono i meccanismi di difesa, di ada amento,
l'evoluzione dei processi primari, delle relazioni ogge uali, dei processi di
iden ficazione; il bisogno di affe o, di conta o fisico, le difficoltà di trovare
espressioni soddisfacen ; il bisogno di parametrarsi con quello che la
società definisce inacce abile, immorale, illegale; la diminuzione della
capacità di agire razionalmente che e poi inversamente proporzionale
all'aumento della tensione emo va. Per concludere quindi si può dire che e
solo dopo aver fa o "alcune" considerazioni sulla propria iden tà sessuale
e possibile passare a fare considerazioni su quella degli altri. Ed è inu le
so olineare le difficoltà di queste operazioni. L'ul ma considerazione che
vorrei fare e che sul problema sessualità ed handicap da poco si e
cominciato a rifle ere e non solo per le difficoltà su accennate, ma
sopra u o perché fino a pochi anni fa il problema era racchiuso dentro le
alte ed impenetrabili mura degli is tu , così ch'era possibile avere un
a eggiamento di s le vi oriano.
Bibliografia
Winnico D. "La famiglia e lo sviluppo dell'individuo" ed. ARMANDO 1976 Materiali di:
"Sessualità ed handicappa " Convegno svoltosi a Milano ed. Feltrinelli, 1977
Montobbio E. e coll. "Studio delle reazioni dell'ambiente familiare e degli aspe socio-
culturali dell'I.M. grave"
A del V Congresso SIMPI, "Quaderni di neuropsichiatria infan le" n.l9, I973
Lussier A. "L'handicap fisico e l'Io corporeo" INT./Psicho.Anal.1980, 61 179\185
 
 
"Odi et amo": aggressività e amore nel giovane handicappato
 
 
Leonardo Angelini
 
Cadelbosco S.,31\3\1994
Seminario di Pasqua del Nuovo Proge o 10
 
 
a) L'amore
 
Coloro, come i familiari e gli operatori, che vivono accanto agli
adolescen handicappa sanno quanto facile sia per costoro esprimere
senza alcun filtro le proprie pulsioni sessuali ed aggressive.
L'azione educa va svolta in precedenza, e tu ora presente nelle
preoccupazioni sia della famiglia, sia degli operatori scolas ci e sanitari,
sembra non avere più -sopra u o in cer momen della quo dianità del
giovane handicappato- una grande "presa" su di lui.
All'origine di questa più o meno improvvisa sordità del giovane
all'educazione ricevuta dagli adul ai quali è affidato c'è senz'altro la crisi
puberale che, nel caso dell'handicappato, assume delle cara eris che di
specificità sul piano non tanto del concatenarsi dei fenomeni che la
determinano e la accompagnano, quanto sul grado di autoconsapevolezza
che il giovane handicappato è "a rezzato" ad avere di fronte alla crisi
medesima.
La capacità ere va per il ragazzo ed il menarca per la ragazza giungono
esa amente come e quando giungono per i loro più fortuna coetanei
normodota . Solo che ques ul mi -pur rimanendo anch'essi sconvol da
ques even - sono molto più in grado dei ragazzi con handicap di farvi
fronte poichè intelle vamente più dota per potersi ri-definire lungo
questa nuova tappa della crescita psicologica.
Non dimen chiamo, a proposito di ridefinizione, che gli psicoanalis
dell'adolescenza (6) parlano di una vera e propria seconda individuazione
a proposito di tu a la problema ca trans-forma va che si verifica nel
preadolescente a seguito della crisi puberale e dell'uscita dalla fanciullezza.
Ebbene questa trasformazione deve essere non solo esperita, ma anche
vissuta in termini di autoconsapevolezza (1) affinché il preadolescente, con
fa ca e pena certamente, possa definire la propria iden tà sessuale,
ria raversare tu i vecchi confli preedipici ed edipici, sublimare o
neutralizzare le istanze profonde che li avevano contraddis n , ed infine
superare diale camente l'endogamia per accedere alla esogamia.
E' sul terreno di questa autoconsapevolezza che l'adolescente con
handicap psicofisico fa dife o, con una significa va differenza fra i più lievi
ed i più gravi.
I più gravi infa , avendo dentro di sè una quasi nulla capacità di
autorappresentazione, non accedono alla autoconsapevolezza e quindi
diventano puberi solo da un punto di vista fisico.
I più lievi, invece, avendo una sia pur approssimata capacità
autorappresenta va, affrontano la pubertà in termini non solo fisici, ma
anche emozionali, e sono in grado di autorappresentarsi come sogge che
possono giocare se stessi sul piano della esogamia. Possono farlo più o
meno adeguatamente a seconda del grado di lievità che li contraddis ngue
sul piano intelle vo, ma tu accedono a questa autoconsapevolezza che è
anche coscienza dei loro limi e della loro "diversità".
 
E' in questo momento, fra l'altro che spesso l'adolescente lieve, medio-
lieve o medio-grave piomba in una vera e propria crisi depressiva: "piange"
cioè la scoperta della propria marginalità (2) e la situazione di lu o che ne
deriva, oppure rea vamente -per non vivere la depressione- ed il dolore
che ne deriva- "ne combina di co e e di crude".
 
"Giocare se stessi sul piano della esogamia" però spesso comporta la
nascita di storie d'amore che hanno i connota della irrealtà.
Sopra u o nella preadolescenza dei lievi ci sono spesso storie di
innamoramen con personaggi inesisten , come quelli dei fume , ad
esempio, con divi della TV, etc, che, rispe o a quelli dei coetanei
normodota , non hanno quel grado di "disincanto" che perme a loro di
essere autoconsapevoli del fa o che si tra a solo di loro desideri e di loro
fantasie e che l'ogge o amato non c'entra per niente (quando non è
addiri ura un "cartone").
Vi sono storie più "concrete”, ma sempre con un alto coefficiente di
irrealismo, che implicano l'innamorarsi di coetanei, o di adul (spesso gli
educatori) con i quali si definiscono storie di a accamento molto for e
profonde, accompagnate a volte dal vagheggiamento di proge di vita,
appunto, irrealis ci.
Il passaggio all'a o, quando c'è, difficilmente si esprime in termini
genitali; più spesso assume le forme di un legame che mima quello che il
sogge o stesso ha ricevuto sul piano corporeo dai genitori: per cui nel
rapporto con l'ogge o amato il sogge o assumerà -a volte
alterna vamente, a volte no- le ves del genitore amorevole o del
bambino vezzeggiato.
Si determina così una specie di sli amento fra un'area di scambio e di
piacere sessuale pregenitale che viene vissuta in termini di
autoconsapevolezza ed una seconda area, quella genitale, che-sia pur
massicciamente presente- rimane fuori dall'universo dei significa .
La stessa masturbazione, quando è presente, non sembra andare al di là
di una a vità che provoca un più o meno momentaneo stato di assenza di
tensione.

 
b) L'aggressività
 
Anche le pulsioni aggressive sembrano, nel caso dell'adolescente
handicappato psicofisico, avere la stessa sorte.
Anche in questo caso, nonostante l'opera educa va della famiglia, della
scuola e dei riabilitatori, una parte dell'energia che in latenza sembrava
essersi legata alla produzione -connessa con la libido e, come quest'ul ma,
sublimata, intelle ualizzata, o almeno neutralizzata e rimossa-
all'improvviso, a seguito della crisi puberale, si slega più o meno
parzialmente e ricompare in termini distru vi.
 
Nel grave questa nuova situazione viene solamente agita e fa emergere a
volte quelle crisi "pantoclas che" che possono essere a loro volta
"aggredite" solo in sede medica, a livello di contenimento farmacologico, a
volte una condo a aggressiva che può essere compresa ed affrontata in
sede educa va e riabilita va se si accompagna ad una a enta osservazione
del sogge o e dei suoi comportamen non verbali.
 
Nel lieve l'agito aggressivo si conne e in maniera più comprensibile con
la colpa o la vergogna e pone in essere tu o un bagaglio di risposte che
dalla colpa e dalla vergogna scaturiscono e che ad esse vanno ricondo e in
termini interpreta vi e di intervento.
Importante è quindi considerare, di fronte alla condo a aggressiva del
giovane handicappato, innanzitu o la presenza o meno della colpa (o della
vergogna).
Infa l'assenza della dimensione della colpa può essere ascri a o
all'accentuato livello di gravità da un punto di vista intelle vo che non
perme e alcun livello di autoconsapevolezza della natura aggressiva del
gesto compiuto (le crisi pantoclas che di cui sopra), oppure -a livelli meno
accentua di ritardo- allo stabilizzarsi nel giovane di una stru ura della
personalità tu a incentrata sull'impulsività e sull'agito.
Qualora invece la dimensione della colpa sia presente va a entamente
valutata, esa amente come si fa per i normodota , la natura della colpa
stessa: a)qualora si tra di una colpa persecutoria (cioè di una colpa che il
sogge o non può vivere come presente dentro di sè e che perciò proie a
su un ogge o esterno, che in questo modo diventa un ogge o
persecutore) allora il prevalere di massicce proiezioni comporterà
l'a ribuzione all'altro (al coetaneo, all'educatore, allo psicologo, al genitore
assente, etc) di ogni malvagità che gius fica l'emergere della condo a
aggressiva; b)qualora invece nel giovane prevalga la colpa depressiva (cioè
di una colpa che il sogge o può ascrivere a se stesso), sempre come
avviene per i normodota sarà più facile innescare un processo che
conduca il giovane alla riparazione (8).
Ciò che nell'un caso e nell'altro cara erizza il vissuto dell'handicappato
rispe o al normodotato è, oltre ad una certa opacità nell'appercepire e nel
verbalizzare i vissu della colpa, sopra u o il fa o che la debole
membrana individuale dell'handicappato (3) lo pone nelle condizioni di
agire e di pensare in uno stato di grossa confusione fra se stesso ed i propri
familiari, fra se stesso ed i genitori sopra u o, così come, nelle stru ure
intermedie, fra se stesso ed una qualche figura adulta che, per le sue
cara eris che diventa, in una sorta di equazione simbolica (9), un genitore.
Lo stesso meccanismo, basato su una equazione simbolica, è quello che
si a va in presenza di un ogge o "candidato" a diventare l'ogge o
aggredito.
 
Facciamo adesso due esempi che ci perme ano ci comprendere meglio
le differenze fra i due pi di colpa.
 
1°Esempio:Ho seguito in passato un adolescente handicappato che
proveniva da una famiglia monoparentale, dalla quale il padre era
"scappato" quando il bambino era molto piccolo, lasciando la madre ed il
paziente da soli. La madre aveva reagito a questo abbandono ge ando
ogni colpa per qualsiasi cosa capitasse a lei ed al proprio figlio sul padre
assente. Anche il bambino, cresciuto in questo clima, cominciò ben presto
ad usare un meccanismo scissionale e proie vo non solo per qualsiasi
problema familiare, ma anche ad esempio per le ques oni a nen la
scuola e la riabilitazione, per cui o si era con "lui-loro" ed in questo caso
non vi erano colpe o responsabilità, o si era contro di "lui-loro" (dove il
secondo polo, oltre il "lui" era rappresentato da quell'operatore che, di
volta in volta rappresentava la diade originaria) ed in questo caso gli altri
erano, in termini proprio di equazione simbolica, "il" padre ca vo che
gius ficava ogni pensiero aggressivo, ogni rimprovero, ogni aggressione
verbale che con nuamente l'adolescente in ques one poneva in essere.
 
2°Esempio:Dopo un momento molto cri co, susseguente al momento
della scoperta, da parte di un ragazzo Down, del proprio deficit, il ragazzo,
aiutato da una famiglia in cui aspe ripara vi avevano fa o fa ca ad
emergere, ma alla fine si erano stabilizza a sufficienza sia nella figura
materna che in quella paterna, cominciò ad applicarsi nello stage che
avevamo approntato per lui. Dopo qualche tempo alcuni aspe di
ipomaniacalità che si erano dilata nel momento della crisi, e che erano un
modo per negare a se stesso il dolore e la colpa, si contrassero per lasciare
il posto ad un agire meno maniacale e più sereno.
 
 
c) Che fare sul piano educa vo e riabilita vo
 
Così come avviene nei normodota , anche gli handicappa , di fronte
all'emergere delle proprie pulsioni libidiche ed aggressive, hanno la
possibilità o di "me erle in a o", senza trasformazioni di sorta, o di
trasformarle più o meno grandemente nei loro contenu e nelle loro mete:
si definiscono così tre aree (7), l'area della messa in a o, quella nevro ca e
quella della sublimazione, che sono diverse in ciascuno di noi a seconda del
po di educazione ricevuta, del po di ambiente familiare e sociale in cui
siamo vissu , e sopra u o delle cara eris che par colari di coloro che si
sono presi cura e che con nuano a prendersi cura di noi.
Libido ed aggressività in ogni caso, quando le cose procedono
sufficientemente bene, convivono in uno stato di fusione e determinano, in
maniera diale ca, le basi di ogni a vità ludica e produ va.
Nell'a vità sessuale, quindi, così come nel gioco e nel lavoro, nel
rapporto con gli adul , così come in quello con i coetanei, qualora
permanga uno stato di fusione fra libido ed aggressività, l'una (la libido)
determina l'invenzione, il pensiero, l'azione, l'altra (l'aggressività) funziona
in termini costru vi come plas ca istanza di controllo.
Qualora, invece, prevalga uno stato di defusione allora da una parte della
libido, senza un rapporto diale co con le istanze di controllo, si esprimerà
in maniera impulsiva, cioè so o la spinta dell'ac ng out, oppure sarà
inibita dalla presenza di una istanza di controllo troppo rigida. Dall'altra
l'aggressività, non più in grado di esercitare un du le controllo
sull'invenzione, sul pensiero e sull'azione, si trasforma in distru vità, se
associata ad istanze proie ve, in autodistru vità, in assenza di tali istanze.
Perciò elemento centrale perchè "odi et amo" si mantengano in uno
stato di fusione, l'uno al sevizio dell'altro ed entrambi al servizio della
libera a vità crea va e produ va è ciò che gli psicoanalis chiamano
tolleranza dell'ambivalenza, vale a dire la presenza di un Sè integrato in
tu e le sue componen , in grado di riconoscere ed acce are dentro di sè
ogni cosa (il bene e il male, l'amore e l'odio, le par adulte e le par
bambine, quelle a ve e quelle passive, quelle maschili e quelle femminili,
etc).

Cos'è che perme e il raggiungimento ed il mantenimento di uno stato di


integrazione dentro di noi? Cos'è che perme e l'acce azione
dell'ambivalenza?
E' quel determinato po di educazione che, come è accaduto nel
secondo esempio fa o prima, favorisce l'emergere dentro di noi della
colpa depressiva e dispone alla riparazione.
Ma tu noi sappiamo che spesso le famiglie degli handicappa fanno
fa ca ad abbandonare la situazione di colpa persecutoria che cara erizza
in mol casi la prima fase successiva alla diagnosi di handicap psicofisico
del proprio figlio.
Ciò vuol dire che è molto probabile che anche nel figlio handicappato
proveniente da questo po di famiglie prevalga, come esito dell'educazione
ricevuta in un clima in cui scissionalità e proiezione sono in primo piano, lo
stru urarsi di uno stato di non acce azione dell'ambivalenza e di
cristallizzazione in una posizione tu a incentrata sulla colpa persecutoria, e
quindi o sui meccanismi di proiezione o su quelli di autodistruzione.
L'ambiente educa vo e riabilita vo quindi si trova nella situazione
difficile di chi deve disconfermare il ragazzo handicappato in queste sue
posizioni che la lunga consuetudine con una educazione di questo po ha
solidificato dentro di lui.

Gli strumen che il riabilitatore e l'educatore hanno per rendere


credibile agli occhi del ragazzo quest'opera di disconferma sono
eminentemente due.

In primo luogo l'esempio che deriva dal proprio comportamento volto


alla acce azione ed alla integrazione (ogni cosa al suo posto) di tu e le
par di cui il singolo e tu o il gruppo in cui il singolo è inserito sono
portatori. "Ogni cosa al suo posto" nel senso che deve esser chiaro
all'handicappato che esiste una du le gerarchia di comportamen , a
seconda della situazione in cui ci si trova: ad esempio l'autoero smo può
esser compreso nel comportamento del giovane, ma si fa "in luogo
segreto"; le parolacce non si dicono in certe circostanze, possono scappare
in altre, etc. .
In secondo luogo grande importanza hanno le a vità di stage e di atelier
poiché, come abbiamo già spiegato in altra sede (5) (6), favoriscono
l'integrazione, il mantenimento di uno stato di fusione fra istanze libidiche
ed aggressive, trasformazione di tali istanze in istanze sublimate e,
finalmente, l'accrescersi del grado di autos ma derivante dal fare.
Queste due vere e proprie leve che l'educatore ed il riabilitatore hanno a
disposizione possono essere integrate, qualora la famiglia sia disponibile,
da un lavoro di couselling sulla famiglia stessa; lavoro che però, a mio
avviso, nel caso della famiglia dell'adolescente handicappato -dopo una già
lunga consuetudine all'handicap e dopo che già qualcuno ha svolto in
precedenza il couselling stesso- è meglio che sia una sorta di couselling
indire o, implicito, in cui l'elemento in discussione sia il fare più che
l'essere: il fare negli atelier, negli stage, ed il fare a casa, o meglio il vissuto
che del fare del ragazzo ha la famiglia.
E' par re da questo fare che è possibile, indire amente, promuovere
una solidificazione interna nel ragazzo di uno stato di fusione fra istanze
libidiche ed aggressive, l'innesco di una spinta alla sublimazione ed alla
produzione e quindi una contrazione dell'aera della messa in a o sessuale
ed aggressiva (ed anche un rimodellamento del cara ere del ragazzo stesso
su basi meno rigide e stereo pate).
Vi è però un nemico da ba ere che si oppone, spesso con tenacia
scoraggiante, a questo processo di integrazione e di arricchimento della
personalità del giovane handicappato. Questo nemico della crescita
psicologica è quella modalità di pensiero cui abbiamo accennato nel
paragrafo precedente e che facilmente, a causa del po di educazione
ricevuta, alberga dentro l'handicappato: l'equazione simbolica.
Di fronte alla sorda forza di resistenza rappresentata dall'equazione
simbolica l'unica arma a disposizione dell'educatore e del riabilitatore è la
perseveranza.
L'equazione simbolica distorce la realtà, per cui la scena che il giovane
handicappato vede ora, a scuola o nelle stru ure intermedie, non è solo
simile a quella originaria che ha ingenerato in lui la spinta alla messa in a o
sessuale o aggressiva, ma per lui è proprio la stessa.
Il "paio di occhiali" che l'educazione fin qui ricevuta gli ha permesso di
inforcare deforma la realtà e la riconduce sempre, in termini proprio di
"equazione simbolica", alla scena originaria tu a incentrata si istanze di
po scissionale e proie vo: per ritornare al primo esempio fa o in
precedenza, hai voglia a far intendere a quel ragazzo che il riabilitatore o
l'educatore che non gli andavano a genio non erano il padre ca vo che,
nella storia famigliare raccontatagli dalla madre, aveva lasciato la famiglia
nelle peste! chiunque non fosse disposto a me ersi in una situazione
simbio ca con lui diventava ipso facto quel padre.
Per spingere l'handicappato ad abbandonare quel "paio di occhiali" e ad
inforcarne uno nuovo che perme a una visione meno rigida e pia a della
realtà occorre perseverare nell'esempio e nel fare produ vo e crea vo, al
di là di un lungo periodo di sconfi e, che sarà tanto più lungo e penoso
quanto più radicata è nel giovane la modalità di pensiero basata
sull'equazione simbolica.

 
BIBLIOGRAFIA
 
-L.Angelini, L'adolescenza dell'handicappato psicofisico, in: Se ng riabilita vi con gli
adolescen handicappa , Usl N.9 di Reggio Emilia,1992,pag.13\25.
-L.Angelini, Processi di iden ficazione, meccanismi di difesa e possibilità di
ria raversamento, in Op.cit., pag.25\36.
-L.Angelini, Membrana individuale e membrana gruppale nell'adolescente handicappato,
in: Op. Cit.pag.135\148.
-L.Angelini, Dal gioco al lavoro,in:Op.Cit.pag.185\194.
(-L.Angelini, D.Bertani, Desessualizzazione e sublimazione nei bambini e nei ragazzi
handicappa , in Op Cit,pag.159\168.
-P.Blos,1988, L'adolescenza come fase di transizione, Armando, Roma.
- J. Chasseguet Smirgel, 1987, Crea vità e perversione, R. Cor na, Mi
- -L.Grinberg,1978,Colpa e depressione, Il Formichiere, Milano.
-M. Pontecorvo, Socioanalisi di una stru ura scolas ca, in: Scuola e
ci à,N.8,Ag.1980,pag.350\354.
 
 
 
 
 
I qua ro luoghi dell’adolescenza
 
Leonardo Angelini
 
 
1.L'adolescenza da un punto di vista "storico".
 
Parleremo stasera dei qua ro luoghi dell'adolescenza.
Il termine adolescenza e mologicamente deriva dal la no "adolescere"
che significa, alla le era, "nutrirsi". Vi è perciò nel termine "adolescenza"
un qualcosa che ha a che fare con il nutrimento e con la crescita. Quindi,
considerato il fa o che ha ragione Erikson quando dice che
psicologicamente non si sme e mai di crescere, potremmo dire che il
tempo dell'adolescenza è il tempo della crescita, per eccellenza.
Se, mantenendoci sempre sul piano terminologico, diamo un'occhiata al
vocabolario Zingarelli rileviamo che l'adolescenza viene definita come "l'età
della vita che sta tra la fanciullezza e l'età adulta, cara erizzata dalla
maturazione sessuale". Quindi "adolescenza", oltre che per tempo della
crescita, sta anche per tempo del passaggio all'età adulta.
Se noi guardiamo ora al problema non più in termini e mologici, ma in
termini antropologici e storici scopriremo che in qualsiasi società esiste un
tempo del passaggio, della crescita, che tale tempo è diverso da società a
società, poiché ogni cultura affronta e risolve il problema del passaggio in
maniera diversa, ma che ogni società non può esimersi dall'affrontarlo con
cerimonie di passaggio che segnano l'uscita da una fascia d'età e l'ingresso
in un'altra fascia. Ad esempio in tu e le culture mediterranee preistoriche
il passaggio veniva affrontato a raverso un insieme di cerimonie che
duravano qualche ora o qualche giorno e che consistevano nel condurre
in un labirinto il gruppo dei ragazzi e delle ragazze che stavano uscendo
biologicamente dalla fanciullezza. Questo labirinto non corrispondeva,
come comunemente oggi intendiamo, al luogo in cui ci si perde, ma era un
luogo concavo, una specie di grande utero in cui si entrava fanciulli e si
usciva adul . In questo modo e con questa cerimonia veniva mimata una
rinascita. I nostri progenitori affrontavano questo passaggio dalla
fanciullezza all'età adulta coinvolgendo tu a la comunità.
Per fare un altro esempio, più legato all'oggi, alcuni popoli primi vi
dell'Africa centrale che hanno scarsi conta con la civiltà, ancora oggi
ritualizzano il momento del passaggio con cerimonie che spesso si
accompagnano a tu a una serie di a di coraggio, quali rimanere per un
determinato tempo soli nella foresta, procurarsi da soli il cibo, o rimanere
per un determinato periodo di tempo digiuni, so oporsi alla circoncisione,
etc).
Alcune culture, quasi a voler so olineare l'elemento di discon nuità che vi
è in questo passaggio, in questo trapasso da una età ad un'altra,
prevedono addiri ura un cambiamento di nome per il giovane o la giovane
che stanno per diventare adul . Ciò è in contrasto con la nostra tendenza
ad armonizzare quello che eravamo (fanciulli) con quello che diventeremo
(adul ), ma può essere, in ogni caso, una soluzione al problema della crisi
di iden tà che prende tu gli individui, di qualsiasi cultura essi siano, di
fronte al cambiamento. Un altro esempio che viene da un mondo più
vicino a noi è quello cos tuito dalle cerimonie di apprendistato. Coloro
che, nella cultura ar giana di un paese del Sud degli anni '50, non
proseguivano gli studi e venivano inseri precocemente nel mondo del
lavoro entravano nel gruppo di lavoro secondo una procedura altamente
cerimonializzata che era diversa a seconda del mes ere, dell'"arte"
all'interno della quale si entrava.
Se noi consideriamo invece la società odierna consta amo che oggi ci
troviamo di fronte a un tempo della crescita che si prolunga sempre di più:
quella che in una cultura primi va era una cerimonia che si concludeva in
pochi giorni, o in poche ore, diventa oggi una complessa procedura che si
dipana in un tempo molto dilatato, e definito in base a quelle che sono le
odierne esigenze della produzione.
Per comprendere il perché di tale prolungamento del tempo del passaggio,
nonchè della macchinosità e, nel tempo stesso , della scarsa visibilità delle
cerimonie del nostro passaggio, occorre par re da una analisi delle
esigenze produ ve della nostra società. Oggi per formare una forza lavoro
capace di essere al passo con lo sviluppo tecnologico è necessario
allungare i tempi di formazione, per cui, ad esempio, oggi si parla di elevare
l'età dell'obbligo fino ai 16 anni poiché altrimen non saremmo in grado di
formare lavoratori ada a svolgere i lavori che lo sviluppo tecnologico
richiede.
Ebbene il conce o odierno di "adolescenza" è legato a questa dilatazione,
è figlio di questa dilatazione, dovuta alle nostre esigenze forma ve che, a
loro volta, sono legate alle nostre esigenze produ ve.
Concludendo su questa prima parte, diciamo così, terminologica e storica,
possiamo constatare come in ques ul mi anni ci sia stato un ul missimo
cambiamento nel significato del termine "adolescenza": fino a poco tempo
fa il tempo e il luogo dell'adolescenza erano abbastanza immuni da
ingerenze esterne, erano tempi e luoghi "a parte" in cui l'adolescente si
rintanava, lontano dal mondo degli adul , geloso della propria appena
scoperta in mità ( i luoghi e i tempi dell'"isola che non c'é" di Peter Pan,
tanto per intenderci).
Ebbene questo luogo oggi (cioè nell'ul mo ventennio) é stato occupato dai
mass-media, per cui non é più "l'isola che non c'é" al di fuori del tempo e
dello spazio, ma un luogo dove il tempo viene scandito in maniera molto
precisa dalla società degli adul : la pubblicità, ad esempio, che con le
mode che riguardano l'abbigliamento, il cibo, i diver men , etc, impone
un determinato ritmo al tempo dell'adolescente, ne occupa gli spazi,
finisce con l'abba ere i confini dell'"isola che non c'è" e di introdurre
l'adolescente (ed anche il bambino, ormai) nel mondo degli adul ,
violando l'in mità dell'adolescente prima ancora che si sia formata.
 
 
 
2.I qua ro luoghi dell'adolescenza odierna
 
Possiamo considerare l'adolescente della nostra società come un viandante
che frequenta o, almeno, si propone e si a rezza a frequentare 4 luoghi:
a) la famiglia;
b) il gruppo;
c) la coppia;
d) lo star da soli.
Tu a la sua esperienza si svolge su ques scenari che, di volta in volta,
potranno essere luoghi ricerca o fuggi , luoghi di tranquillità o di
confli o, luoghi di arricchimento o di impoverimento.
Pertanto sapere come l'adolescente vive e si serve di ques luoghi
significa, in fondo, sapere cos'è l'adolescente dei giorni nostri.
Prima di addentrarci in ques luoghi, però, potrà essere u le vedere quali
sconvolgimen derivano dal prolungamento nel tempo dell'adolescenza
odierna, prolungamento le cui ragioni abbiamo visto nel paragrafo
precedente e che per alcuni, per coloro che frequentano l'università, ad
esempio, va ben al di là della soglia dei 18\19 anni, età in cui si vota, si fa il
servizio militare, etc., età insomma che solitamente oggi si considera come
spar acque fra adolescenza ed età adulta.
Perché un individuo possa considerarsi adulto è necessario che dentro
all'adolescente sca no 3 " mer":
1) un primo " mer" di cara ere biologico cos tuito dal sopraggiungere del
menarca nella ragazza e della capacità ere va del ragazzo;
2) un secondo " mer" di po emozionale che implica l'acquisizione di una
piena genitalità intesa sia come capacità orgas ca, sia come capacità di
sublimazione degli is n e perciò di accesso all'a vità crea va e cri ca;
3) ed infine un terzo " mer" di natura "economica" che implica il
raggiungimento dell'autonomia e la conseguente capacità di programmare
il proprio futuro in termini responsabili e indipenden dalle leggi
eteronome fissate dai genitori e dagli altri adul da cui fino all'adolescenza
si dipende.
Come abbiamo visto in molte società con esigenze forma ve (e produ ve)
più semplici delle nostre i tre mer sca ano quasi all'unisono, in altre
società i mer sca ano ad una certa distanza temporale l'uno dall'altro, ma
secondo un iter che rimane ugualmente molto cerimonializzato. La nostra
società non solo dilata i tempi della crescita e del passaggio, ma -fa o non
sempre considerato con la dovuta a enzione- non marca più con
cerimonie visibili questo passaggio e, nel far ciò, finisce con il ge are sulle
spalle dell'adolescente tu o il peso della crisi di iden tà che accompagna
questa fase. Blos in proposito parla di una vera e propria seconda
individuazione per il giovane: ebbene in questa fase delica ssima molte
istanze forma ve, educa ve (ad esempio la scuola) non sembrano esser
coscien del fa o che uno dei compi , o dei "meta-compi ", loro affida è
quello di cerimonializzare il passaggio all'età adulta dei ragazzi loro affida ,
di diventare dei veri e propri sacerdo del passaggio.
De o questo accingiamoci ora ad un breve viaggio nei qua ro luoghi in cui
"si spende la miglior parte" dei giovani d'oggi, nel tempo, ormai lungo, in
cui si accingono, "lie e pensosi", a "salire" "il limitare" della loro gioventù.
 
2a) L'adolescente e la famiglia
Il primo luogo di cui parleremo è quello in cui il ragazzo vive "da una vita":
quello più domes co, più conosciuto, che pure -come vedremo-
all'improvviso diventa un luogo nuovo in cui la posizione degli a ori, il
canovaccio che essi recitano sul palcoscenico delle qua ro mura
domes che cambiano quasi da un giorno all'altro, ponendo spesso in crisi
anche i genitori, da troppo tempo ormai abitua ad assumere un ruolo
centrale presso i loro figli e che vedono messa in crisi la solarità della loro
posizione precedente.
Il confli o fra adolescente e famiglia, banalizzando e frammentando un
processo che altrimen è con nuo e altalenante, io uso visualizzarlo in
questo modo:
 
 
schema
 
 
 
A- Nella fase A i genitori sono in posizione, appunto, solare e i bambini
orbitano intorno a loro. Vi è già una tensione fra Idem e Autos nel
bambino, cioè fra "essere iden co a.." (Idem) ed emergenza come
individuo autonomo (Autos) (Napolitani). Ma fino alla fanciullezza nessuno
di sogna di porre in dubbio la posizione solare dei genitori in questo
sistema.
 
B - Nella seconda fase l'adolescente comincia sempre più a pretendere di
essere autonomo, indipendente.
Viene messa in crisi la solarità della posizione genitoriale e su questo
ciascuno esprime realmente la propria autonomia, la propria indipendenza.
 
C - Infine l'avvento dell'età adulta è contrassegnato dalla capacità
tendenziale a "creare nuove unità", cioè a vivere pienamente la propria
genitalità: che vi siano o meno nuove unità sul piano le erale.
 
 
2b. L'adolescente e il gruppo dei pari.
 
Il gruppo, non solo per l'adolescente, può essere visto come un
caleidoscopio, o come una camera degli specchi che ci perme e di vedere
riflesse in ogni componente del gruppo, e nel gruppo nella sua interezza,
varie par di noi.
Ciò però è par colarmente importante in adolescenza dal momento in cui
il sogge o che si rispecchia nel gruppo, e cioè l'adolescente, da una parte,
come abbiamo de o prima, è un sogge o in rapida trasformazione,
dall'altra, in un certo qual modo, pur avendo frequentato gruppi esterni
alla famiglia da lungo tempo, non ha mai fa o degli inves men così
massicci su di essi come quelli che si appresta a fare in adolescenza. Ciò
perché, mentre fino alla fanciullezza ha preferito rispecchiarsi sul versante
familiare, ora, in preadolescenza sopra u o, sente come ormai vecchie e
stan e le immagini parentali, e si sente più disposto a trovare fuori delle
qua ro mura domes che nuovi modelli cui ispirarsi, nuovi sogge con cui
parametrarsi. Cosicché l'adolescente può provare ad avventurarsi nel
gruppo per conoscere le par di sè con cui fino ad allora ha avuto meno
confidenza, cosa che prima non riusciva a fare, per poi magari ri rarsi, non
riconoscendosi, non iden ficandosi fino in fondo con gli altri componen
del gruppo, quando queste par , da loro rappresentate e con le quali
l'adolescente non ha gran confidenza, diventano troppo minacciose per la
sua integrità personale. Quindi in questo gioco di rifrazioni per
l'adolescente é possibile ritrovare tu e le varie colorazioni, tu e le varie
par , tu i vari "personaggi" da cui è abitato, tu e le varie introiezioni che
nelle esperienze preceden ha avuto modo di fare in maniera più o meno
integrata.
Quanto de o in queste ul me righe ci perme e di capire anche quand'è
che il gruppo non funziona bene: infa se il gruppo funziona come
abbiamo de o finora diventa un luogo di arricchimento, mentre se ripete
in maniera monomaniacale sempre la stessa immagine, se me e in moto
solo e sempre lo stesso introie o diventa un luogo di impoverimento: è
questo il caso, ad esempio, del gruppo delinquenziale che ripete in modo
monomaniacale sempre la stessa immagine, lo stesso agito, quello delle
par distru ve, aggressive.
 
 
2c.L'adolescente e la coppia
 
All'interno dei gruppi preadolescenziali, solitamente verso la fine
dell'adolescenza, si formano dei so ogruppi. Sempre in base ai processi di
iden ficazione, cioè, è possibile che nel gruppo si definiscano delle
alleanze composte da amici o amiche "del cuore", delle alleanze dalle quali
nascono delle vere e proprie coppie omoero che (non omosessuali, cioè
basate su for corren ero che sublimate nell'amicizia , e non sulla messa
in a o delle pulsioni sessuali), cioè coppie di adolescen dello stesso sesso
che definiscono per ciascuno di noi la base sulla quale si stabilisce la
nostra disposizione successiva a stringere le amicizie profonde. La coppia
omoero ca, é l'an camera della coppia eterosessuale, é come un ponte tra
il gruppo preadolescenziale e la coppia eterosessuale, che nello stesso
tempo però diventa il luogo in cui "ci si allena" a quel comune sen re, a
quel giocare sul piano delle amicizie che sarà molto fecondo di scambi e di
arricchimen nella vita adulta.
In termini di maturazione psicologica la disposizione ad una vita di coppia
rappresenta un salto che porta l'adolescente dalla endogamia, cioè dai
legami esclusivi all'interno della famiglia, alla esogamia, che va vista come
genera vità, come possibilità di "me ere al mondo dei figli" sia in termini
materiali, sia pure in termini simbolici, genera vità che viene giocata non
più dentro la famiglia d'origine ma fuori di essa. Cosicché quando parliamo
della capacità emozionale da parte dell'adolescente di definirsi come
adulto, noi parliamo della capacità del giovane di immaginarsi e proie arsi
in un futuro, di definirsi sul piano dell'autorappresentazione come capace
di genera vità. E nel far questo non bisogna pensare che ci sia bisogno di
un partner, ma della disposizione interna a coniugare ed a coniugarsi: a
coniugare par di sè che nel fra empo di vanno scoprendo nei qua ro
luoghi di sperimentazione, ed a coniugarsi, ad unirsi con quei membri della
comunità con i quali si sente più in sintonia.
E, mentre in un primo tempo, in preadolescenza, questa capacità di uscire
fuori dalla famiglia d'origine e sen rsi autonomi, passa a raverso la
ribellione, quando si avvicina al "limitare di gioventù" il giovane non sente
più il bisogno della ribellione poiché è già sicuro dei suoi limi e delle sue
possibilità di adulto. Alla provocazione del preadolescente, che è un
richiamare l'a enzione su di sè poiché non si è sicuri di se stessi, segue ora
una più piena e tranquilla genera vità che, ripeto, può essere giocata sia
sul piano materiale che simbolico, sia su entrambi i piani.
 
b4. Lo stare da soli dell'adolescente
 
Il terreno "principe" di sperimentazione dello stare da soli é proprio quello
della ribellione, che rappresenta la via a raverso la quale l'adolescente
impara ad andare da solo nel mondo nella misura in cui me e inizialmente
alla prova se stesso e gli altri -sopra u o le persone care- a raverso una
serie infinita di prove. In questa età l'esigenza principale é quella di trovare
un luogo al nostro interno, che è nostro e solo nostro, all'interno del quale
il preadolescente impara ad autorappresentarsi, e lo fa prima in maniera
"mitologica" (è questo il momento in cui è più a vo dentro di noi quel
"personaggio eroico" di cui abbiamo parlato in un precedente nostro
incontro), poi in maniera sempre più realis ca. Questo luogo in mo può
essere visualizzato come quel luogo psicologico in cui é possibile fare tu e
le esperienze, per lo meno sul piano immagina vo (per cui questo luogo è
anche il luogo della masturbazione in cui l'adolescente impara a conoscere
il proprio corpo ed i propri desideri sessuali). In questo modo l'adolescente
costruisce lentamente dentro di sè quello che, crescendo, egli va
diventando, quello che vorrebbe essere, la propria proge ualità, il proprio
futuro. E' un terreno di crescita interna che si forma come raddoppiamento
di quello che si è fuori e come capacità di riflessione sull'esperienza vissuta
che si conclude proprio nella definizione di se stessi come individui soli,
intendendo per "soli" l'essere autonomi, cioè essere capaci di definirsi in
base ad una propria legge.

Questo processo, come dicevamo prima, nella nostra società é molto più
complicato che nelle società più semplici per via del nostro lungo iter
forma vo, ma è complicato anche per un'altra ragione, legata alla natura
par colare del nostro essere soli, che adesso cercherò di spiegare. Il fa o è
che nella società a uale a ciascuno di noi è richiesto di raggiungere una
propria iden tà individuale e non solo di gruppo. Nelle società più semplici
a ciascun componente viene richiesto di raggiungere solo una specie di
iden tà gruppale in cui tra i membri del gruppo non c'é alcuna dis nzione
significa va sul piano delle singole par colarità. La sfida che impone la
nostra società è invece quella di diventare un individuo nel senso più pieno
del termine e di diventarlo senza un aiuto esplicito, cerimonializzato, direi
consapevole, da parte delle varie istanze forma ve che sono inves te nel
periodo di crescita e di trasformazione dell'adolescente in adulto.
 
 
BIBLIOGRAFIA
 
- Amerio e Borgogno; "Introduzione alla psicologia dei piccoli gruppi", Giappicchelli BO,
1975.
- Blos: "L'adolescenza" Franco Angeli, MI, 1980.
- G. Fara e C. Esposito: "Fantasia e ragione nell'adolescenza". Il Mulino, BO, 1984.
- A. Freud: "L'io e i meccanismi di difesa", Mar nelli, FI, 1967.
- D. Kiley: "Gli uomini che hanno paura di crescere: la sindrome di Peter Pan" Rizzoli, MI,
1985.
- G. Levi-Strauss: "Razza e storia ed altri studi di antropologia", TO, Einaudi, 1967.
- D.Napolitani: "Individualità e gruppalità" Boringhieri, TO, 1987.
- J. Piaget: "Dal bambino all'adolescente: la costruzione del pensiero" Nostra Italia Ed., FI,
1969.
- D. Winnico : "Il diba ersi nella bonaccia" in: "La famiglia e lo sviluppo dell'individuo" A.
Armando, Roma, 1976.
 
 
 
 
 
Lo specchio impossibile: problemi di iden ficazione con ragazzi
handicappa
(cosa accade nel rapporto educa vo quando lo specchio all'interno del
quale l'adulto deve rifle ersi rimanda immagini che rendono
estremamente doloroso e difficile il rispecchiamento)

 
Deliana Bertani
 

 
Come appare dal tolo le riflessioni che proporremo non sono centrate né
sugli strumen , né sul metodo di lavoro, ma sulla necessità di capire la
natura e le dinamiche del rapporto educa vo, la "parte" cioè che l
'educatore ( così chiameremo l'adulto ) fa nel viaggio che il ragazzo
handicappato sta compiendo per crescere.
 
_ Gli educatori( voi, io, gli insegnan ) affrontano esperienze emo ve e
difficoltà simili a quelle dei genitori anche se ci sono notevoli differenze di
ordine qualita vo e quan ta vo. Prenderemo come punto di riferimento
proprio i genitori, il loro ruolo, i contenu del loro mondo interno nel
rapporto con i figli)
 
differenze
 
Le differenze vanno cercate nel polo della formalità: l'educatore ha un
ruolo e\o fa un mes ere. Queste differenze possono essere riassunte in
queste parole: l’educatore è in parte esonerato dal tema della colpa e
prote o dal se ng, dal fa o cioè di" essere lì" per mo vi professionali e
con limi di tempo e di luogo ben defini . Chi ha avuto a che fare con
genitori di bambini handicappa sa come la colpa pesa in modo massiccio
sul rapporto, sulla vita, sull'esperienza del genitore e quindi del ragazzo. Il
genitore si a ribuisce la colpa di quello che è successo, dello stato del
ragazzo, del suo star male della non guarigione. L’educatore è in gran parte
esonerato dalla colpa come si diceva più sopra o comunque dalla colpa
originale; se di sensi di colpa si può parlare, saranno per il more di non
aver fa o, di non fare tu o il possibile. Inoltre l'educatore è prote o dal
se ng nel quale opera, dalla situazione nella quale è, perchè questa ha dei
limi di spazio e di tempo ben precisi e defini , l’educatore ha dei da
ogge vi che lo difendono
 
 
analogie
 
Vediamo le analogie fra genitori e insegnan . Queste vanno cercate nel
polo dell'informalità, cioè in tu o quello che succede, nella interpretazione
di questa "parte",
sul piano dell'affe vità, dell'intensità e della coloritura dei sen men .
1)La prima analogia, quella centrale , è l'esigenza per l'educatore come per
il genitore di trovare una misura nella relazione tra il troppo lontano e il
troppo vicino. Il troppo lontano che significa fuga e manipolazione, il
troppo vicino che significa adesione, iden ficazione totale,
sovrapposizione.
Esigenza di trovare la misura e esigenza di fare i con con i propri
meccanismi di difesa, con la rea vità che ciascuno di noi ha e me e in a o
consapevolmente o inconsapevolmente nelle situazioni di difficoltà. Fare i
con con tu o questo significa avere almeno avere un'idea delle nostre
par che me amo in gioco nel rapporto, che proie amo nel ragazzo con il
quale s amo lavorando; significa avere almeno un'idea dell'orecchio e
dell'occhio che s amo usando nell'osservare, nel guardare, nel capire,
nell'ascoltare la situazione. Meccanismi di difesa che possono distrarre
dalle esigenze educa ve del ragazzo stesso, che sono a va da sen men
di angoscia ,di paura che spingono a trovare dei ripari, degli aggiustamen
per stare il meno male possibile, che ci por amo dietro spesso sempre
uguali o che cerchiamo fa cosamente di rendere adegua .
Necessità di trovare una misura, di capire cosa sta succedendo dentro di
noi, necessità di equilibrare l'interesse verso la persona con la quale
abbiamo a che fare, verso l'altro da me, verso il diverso da me con" i miei
interessi" .De o in altri termini necessità di integrare L'INVESTIMENTO
OGGETTUALE CON L' INVESTIMENTO NARCISISTICO
.Cosa significa? Le componen ogge uali del rapporto sono quelle
componen correlate con la capacità dell'educatore di iden ficarsi con
l'alunno, di me ersi nei suoi panni, sono quelle componen correlate con
l'interesse, l’a enzione verso l'altro da sè. La capacità, la possibilità da
parte dell'educatore di me ere a disposizione dell'alunno stesso uno
spazio mentale. La capacità di pensare a quell'alunno che ha davan e che
nella fa specie è un ragazzo handicappato. Uno spazio mentale all'interno
del quale il ragazzo possa essere compreso, preso dentro, possa essere
pensato e dove possano essere messe a punto delle strategie educa ve,
riabilita ve emancipatorie, dove l'educatore possa me ersi in una
POSIZIONE DI OPERATIVITA'.
Questo implica da parte dell'educatore un'iden ficazione introie va-
opera va, cioè riuscire a capire quanto c'è di personale e quindi ges rlo e
quanto c'è del ragazzo in modo da non manipolarlo, non sovrapporsi e non
scappare. Cercare l'opera vità significa avere la capacità di fare i con con i
propri sen men , le proprie par messe in gioco, i propri meccanismi di
difesa. Queste sono le componen ogge uali.
Vediamo "i nostri interessi”, le componen narcisis che. Queste sono
correlate con il fa o che l'educatore è professionalmente interessato al
successo del suo allievo. Quando l'interesse diventa però troppo
personale, il rischio di frustrazioni e quindi di a eggiamen educa vi
inadegua si fa vivo. Anche qui bisogna trovare una misura. E' chiaro che si
cerca una soddisfazione nel lavoro che si sta facendo, però questo
arricchimento personale, questa soddisfazione non deve prevaricare tu o
il resto. Per esempio nella misura in cui l'educatore vive il disinteresse
come un rifiuto a vo nei suoi confron , come una conferma del fa o che
non è bravo, che non ci sa fare, allora la componente narcisis ca diverrà
troppo forte e rischierà di rendere l'a eggiamento educa vo inadeguato,
perchè la frustrazione sarà troppo pesante
2).Per capire meglio e so olineare l'analogia genitore\educatore, diciamo
che siamo nel campo delle componen narcisis che allorché il genitore,
davan a suo figlio che non mangia, vedrà crollare la propria immagine
ideale di genitore e si sen rà rifiutato, sminuito nelle sue capacità
3).Ancora analogie fra educatore\ genitore: la presenza del ragazzo
handicappato produce un effe o perturbante che è collegato sia alle
cara eris che psicologiche del ragazzo stesso sia alla presenza nella mente
del genitore, dell'educatore di problemi non risol , di bisogni insoddisfa .
Cosa significa? Quello infa che me e in moto la presenza di un ragazzo
handicappato è tu a una serie di problemi non risol , di bisogni
insoddisfa . La presenza di una persona in difficoltà, di una persona
dipendente, inadeguata, inevitabilmente ci porta alla mente, ci evoca i
nostri bisogni insoddisfa i problemi non risol . Bisogni e problemi an chi,
vecchi perchè la persona che abbiamo davan è grande e nello stesso
tempo piccola, è un adolescente ma è come un bambino di 3,4,5 anni.
.Rappresenta, presen fica in maniera reale ed esasperata il fa o che
ciascuno di noi è grande ma si porta dietro ,volente o nolente, anche il suo
essere piccolo, il suo essere adolescente e comunque il suo essere
bisognoso. E questo viene fa o riemergere a dispe o dei tenta vi di
annullare, rescindere i legami con il bambino che c'è dentro di noi, quello
che noi eravamo.
Il ragazzo handicappato che abbiamo davan ci fa tornare alla mente
elemen che sono anche nostri, che ci turbano che ci fanno stare male, che
ci perturbano ,che ci me ono in discussione, che ci costringono a rivedere
il nostro equilibrio ,che ci fanno me ere in moto le difese. E tanto più gravi
e grandi sono i problemi e i bisogni tanto più massicce devono essere le
difese per preservarci dall'angoscia
A questo punto vorrei invitarvi a rileggere il materiale dell'incontro con il
Do . Angelini su: “Onnipotenza - impotenza”.
 
Lo specchio interno
 
Ritorniamo al discorso degli specchi. Lo specchio interno è ciò che risulta, il
fru o delle iden ficazioni, proiezioni, degli insegnamen che gli adul cui
ci siamo affida hanno messo dentro di noi. Quindi prima il super-io e
l'ideale dell'io sono esterni al bambino, sono una parte del papà e della
mamma e di altri adul significa vi, poi sono esterni-interni e infine interni.
C'è un'altra cosa più vecchia, arcaica in noi l'io ideale, erede del narcisismo
primario quella situazione cioè di onnipotenza totale data al bambino dalla
fusione\confusione con la madre. Quindi mentre l'ideale dell'io è erede dei
personaggi ama l'io ideale lo è delle iden ficazioni eroiche.
Come fanno a stare insieme il super io, l’Ideale dell'io, l’Io ideale? A poco a
poco c'è una parte di noi che comincia ad emergere, la parte più razionale,
la parte che tende a fare gli interessi della globalità del nostro essere, e
questo è l'io. Se non ci fosse prevarrebbe o l'uno o l'altro e la fine sarebbe
il manicomio. L’Io che esercita una mediazione fra i personaggi interni e la
realtà, l'istanza che ci perme e di capire quando s amo oscillando troppo
fra onnipotenza (io ideale)e impotenza. L'io che segna la ro a del viaggio
per non naufragare sugli scogli. Rischio molto grande quando si ha a che
fare con ragazzi handicappa , tanto più forte quanto più il ragazzo è grave.
Avere a che fare con persone che non guariscono paradossalmente può
s molare la nostra onnipotenza arrivo (io e vedrete!!)
 
 
LA NASCITA DELL'INATTESO
 
Chiudiamo la parentesi su questo tema centrale nel capitolo delle analogie
fra educatori e genitori e fermiamoci a considerare il ragazzo handicappato
con il quale gli uni e gli altri hanno a che fare.
Chi è questo figlio, chi è questo alunno ?
E' qualcuno non a eso
Quando una coppia fa un figlio accompagna tu a la gravidanza con
fantasie sul bambino che deve nascere. Fantasie di coppia, fantasie
personali che vanno a costruire man mano un'immagine ideale del
bambino e parallelamente un'immagine ideale del genitore, come
dovranno essere l'uno e l'altro. Alla nascita questo bambino ideale dovrà
fare i con con il bambino reale che nasce. Il genitore farà il confronto fra
quello che si era immaginato e il bambino vero che ha davan ; dovrà
quindi rinunciare al bambino ideale per rapportarsi con quello vero.
Abbandonata l'immagine ideale elaborerà un lu o per quello che ha perso
e si rivolgerà al bambino vero. La capacità dei genitori di rinunciare a
questo bambino ideale si basa anche sulle capacità vitali del bambino.
Come hanno fa o i genitori a costruirsi questa immagine ideale?
A ngendo i vari elemen dalla propria storia, dai desideri, dai ricordi, dai
sen men posi vi e nega vi, dai personaggi ama o temu . Si sono servi
degli specchi di cui si parlava prima, dei loro riflessi, dei loro rimandi.
Il bambino vero è un bambino che presenta subito dei bisogni che hanno
risvol sul piano organizza vo, sul piano affe vo e sul piano interno della
propria stru urazione psicologica. Il bambino vero ha bisogno di spazio a
tu e tre ques livelli. Se i genitori non pensano a lui ma con nuano a
pensare a quello che avrebbero voluto che fosse, il bambino vero non
riuscirà a crescere, non potrà crescere perchè nessuno gli darà gli elemen
per me ere insieme la stru ura della sua personalità. Se il genitore non
pensa a lui, non lo "vede", ma "vede" il bambino ideale e gli rimanderà
qualcosa che non ha niente a che fare con lui, che riguarda qualcuno che
non c'è. E questo è un problema che accompagna tu a la crescita del
bambino fino alla sua autonomia
 
 
Quando lo iato fra bambino reale e bambino ideale diventa una voragine
.
Quando nasce un bambino handicappato lo iato fra bambino reale e
bambino ideale diventa una voragine un abisso, qualcosa che produce
un'esplosione di dolore, sofferenza, delusione, stupore, annichilimento.
Quando nasce un bambino handicappato, nasce qualcuno che nessuno si
era immaginato, qualcuno che ha pochi, pochissimi, nessun elemento in
comune con il bambino immaginato. Nascita dell'ina eso quindi. Allora
succede che la capacità di pensare al bambino vero, quello che si ha di
fronte, di immaginare si inceppa di fronte all'ina eso, è qualcuno che non
sta nei tempi, nei pun di riferimento nella mente dei genitori. Quando
nasce un bambino handicappato assis amo alla nascita e alla progressiva
formazione di un sistema relazionale stabile e sofferente, di un sistema che
ha nel dolore e nella sofferenza il suo elemento di stabilità.
 
genitori_________ferita narcisis ca
| scacco
senso di colpa
|
|
figlio__________bambino danneggiato che manda messaggi angoscia ,
che non può interiorizzare ogge buoni a loro volta danneggia
 
La nascita del bambino non a eso dà il via alla formazione di un sistema
relazionale stabile e sofferente cioè stabile in quanto sofferente
 
Il bambino non a eso è qualcuno che delude, qualcuno con cui si riesce a
fare i con solo parzialmente, solo difendendosi in modo massiccio.
E' qualcuno che produce una distanza difficilmente colmabile ,per il quale è
possibile una messa a fuoco precaria, che richiede un abbandono totale e
immediato delle fantasie narcisis che
che produce una ferita narcisis ca che disorienta e taglia ogni punto di
riferimento interno ed esterno, che fa piombare in uno stato di melanconia
per il bambino reale scomparso, che sollecita sen men di svuotamento,
auto denigrazione, auto accusa.
E' qualcuno che spesso si può affrontare solo "facendo finta che"
Anche a questo punto possiamo cercare di schema zzare nel modo
seguente ciò che accade:
 
*FALSO SE' dei genitori________STABILE IDENTITA' PRECARIA del figlio
handicappato
 
difese dei genitori______tra maniacali
enfa zzazione delle proprie azioni
situazione simbio ca
negazione
difese dei figli_____psico zzazione, asintonia, ossessività, negazione,
infan lismo, sedu vità, ansia, insicurezza, depressione
 
 
ANCHE L'EDUCATORE INTERAGISCE CON QUESTI RAGAZZI.
 
La funzione dell'educatore come si diceva all'inizio è intrisa di genitorialità,
anche lui deve fare i con con l'ina eso.
Se l'educatore non nega il polo dell'informalità si trova ad avere a che
fare, seppur con tonalità diverse e con una dramma cità molto
stemperata, con gli stessi sen men , con gli stessi problemi di auten cità,
con le stesse interruzioni iden ficatorie, con gli stessi lu da elaborare. Per
es: anche l'insegnante costruisce le sue fantasie all'arrivo dei nuovi alunni,
fantasie che dovranno fare i con con gli alunni veri, reali, così come
l'immagine ideale di sè come insegnante dovrà fare i con con la
quo dianità: lu o dell'immagine di studente ideale\lu o dell'immagine di
docente ideale. Anch'io quando aspe o un paziente nuovo faccio delle
fantasie.
Il gioco degli specchi è simile a quello dei genitori: il ragazzo, il bambino
che si ha di fronte evoca il bambino che è dentro e le immagini che
vengono rimandate sono quelle fornite dalle par più maldestre, incapaci,
inadeguate.
 
L'EDUCATORE INTERAGISCE CON LA FAMIGLIA
 
La relazione che si viene costruendo sarà inevitabilmente caricata nei due
sensi di significa affe vi e di elemen transferali.
Una relazione dove gli specchi che vengono a va me ono a confronto
con immagini che provocano dolore angoscia e sofferenza, che
propongono frustrazione, sen men di onnipotenza e impotenza, che
rimandano immagini che possono essere destru uran
Specchio impossibile si diceva nel tolo, specchio comunque molto difficile
da usare se non c'è nell'educatore la comprensione dei propri limi e delle
proprie difficoltà. Se l'educatore si me e nella posizione di cercare i
problemi e le difficoltà solo nell'altro, nel ragazzo o nella famiglia, la
situazione non potrà che peggiorare, il solco, la non comunicazione
diventerà sempre maggiore.
 
 
L'educatore incontra la sofferenza dei genitori e in qualche maniera viene
incluso dai genitori nel complesso lavoro psicologico di elaborazione del
lu o e dovrà affrontare: frustrazione
colpevolizzazione
idealizzazione
delega
Questo rapporto è ogge vamente complesso perchè entra in modo
massiccio nel gioco degli specchi di cui si parlava nel tolo ed è inserito in
un rapporto triangolare dove le dinamiche sono confuse, dove l'INATTESO
scalza le previsioni e le immaginazioni, vanifica i pun fermi
 
SPECCHIO IMPOSSIBILE o comunque molto difficile da usare se non c'è
nell'educatore comprensione dei propri limi e delle proprie difficoltà
,come si diceva prima, se non c'è almeno un vago sentore delle difese che
possono essere messe in a o.
 
Difese che possiamo così riassumere:*evitamento\ ogge vazione
(trincerarsi dietro al ruolo)
*angoscia\dipendenza (a esa dei superiori o degli esper per avere
soluzioni magiche)
*soluzione fusionale(interruzione della crescita, proposte regressivan
derivate da un'iden ficazione totale)
*complicità con il ragazzo (colpevolizzazione dei genitori e degli altri
operatori)
*"tu o va bene"
*negazione della situazione
 
 
 
GLI EDUCATORI sono anche dei modelli sui quali si stru ura l'iden tà del
ragazzo, hanno la possibilità di rafforzare in lui un'immagine di sè
acce abile e auten ca nella misura in cui possono avere a che fare con il
ragazzo vero che hanno di fronte con meno dramma cità rispe o ai
genitori. L'educatore può stare meno male e può guardare quello che
davvero c'è davan con più con nuità e con più stabilità. Può pensare di
più al ragazzo, può immaginarselo di più e può conseguentemente
assegnare a questo ragazzo dei ruoli adegua che aiutano il ragazzo a darsi
delle risposte alla domanda "io chi sono?" L'educatore ha quindi,
sopra u o in adolescenza, un ruolo importante nella formazione
dell'iden tà del ragazzo anche nella misura in cui riesce ad assegnare dei
ruoli sociali veri e auten ci.
 
 

La rete delle associazioni di volontariato reggiano operan nella fascia


dell'età evolu va
 

Don Vi orio Chiari, Marco Ferrari, Samuela Spaggiari


 
Mariella Can ni introduce l’argomento con una breve storia di "Gancio
Originale":
L'a vità di volontariato dell'allora Se ore di Neuropsichiatria Infan le e
iniziata nella tarda primavera del '91. In quel periodo si e cominciato ad
impostare il lavoro e a verificare la possibilità concreta di operare.
Si tra ava infa di accertare quale presa e quale impa o una proposta di
volontariato fa a da un ente pubblico, e specialmente da un se ore come
quello di N.P.I, con funzioni e a vità tanto precise e par colari, poteva
avere. Inoltre si e cercato di capire quale collocazione potesse avere la
nostra a vità nel mondo del volontariato locale e quali interlocutori
privilegiare nella ricerca delle forze da impiegare.
Il nucleo centrale del problema a orno al quale coniugare tu a la
preparazione e impostazione dell'a vità è stato di affiancare agli interven
di diagnosi, sostegno, riabilitazione e cura, propri del se ore, una rete di
percorsi dire ad ampliare la possibilità di conta sociali e di rappor
nuovi che si potessero
concre zzare facendo esperienze nell'ambito del tempo libero e
dell'a vità parascolas ca.
Tu o questo nel tenta vo di dare risposta a una serie di bisogni esterni
all'ambito di intervento is tuzionale del se ore, ma ineren e
complementari all'a vità del se ore stesso.
A questo proposito mi è stato dato l’incarico di organizzare a livello
centrale l’a vità del volontariato.
Con questa stru ura organizza va iniziale e con l’assoluta convinzione che
l’a vità di volontariato non avrebbe dovuto in nessun caso sos tuirsi ad
a vità proprie del se ore, si e par con la promozione individuando
come punto di partenza il mondo giovanile (i gruppi giovanili, parrocchiali,
culturali, la scuola).
Nel Maggio '91, e stata fa a un'analisi delle forze organizzate di
volontariato presen nel territorio; si è cominciato a prendere conta o con
i responsabili e i referen delle associazioni giovanili organizzate.
Nel Luglio '91, si sono sperimentate le prime disponibilità di volontariato in
inizia ve es ve (campi gioco).
Nel Se embre '91, hanno dato la loro disponibilità 5 ragazze scout che
sono state u lizzate per "uscite" con adolescen con handicap, aiuto nei
compi e
"animazione" nel Proge o 10. In O obre, Novembre e Dicembre e stato
fa o un intenso lavoro per aprire possibilità di inserimen in situazioni di
gruppi giovanili, di tempo libero, di integrazione nella vita associa va
territoriale.
Sempre nel '91 si e cominciato a lavorare su di un proge o di produzione e
di informazione. E' nato allora lo slogan "GANCIO ORIGINALE" e il volan no
che e stato usato per la campagna informa va del '92 nelle scuole.
Infa nei primi mesi del '92 si e comunicato ufficialmente alle scuole
medie superiori e alla Regione, la nascita del proge o e sono comincia gli
incontri con Is tuto Magistrale, I.T.F., I.P.R. Liceo Scien fico Moro, Is tuto
Chierici.
Nell'Aprile del '92, i volontari erano 15.
Nell'estate del '92 sono state u lizzate le risorse del volontariato in a vità
di tempo libero: 10 ragazzi sono sta ospi di soggiorni es vi e 7 di campi
es vi.
Dall’1 all’8 Se embre '92 abbiamo organizzato per la prima volta
un'esperienza ludico-riabilita va con un gruppo di 7 bambini dai 9 agli 11
anni ai giardini pubblici di Reggio ripetuta negli anni successivi.
Tale esperienza e stata possibile solo per la presenza di due volontarie e un
obie ore. Questa inizia va, a ualmente coges ta dal se ore di NPI e dal
se ore di Psicologia Clinica, è stata la prima di una serie di esperienze che
coniugano insieme spinte di solidarietà, altruismo, competenze specifiche
e professionalità.
Alla fine di O obre i volontari erano 25.
Il buon andamento del volontariato e il plauso incontrato nel contesto
ci adino ci hanno portato alla seconda serie di incontri per la formazione. I
temi tra a sono sta fru o di una a enta analisi, che gli stessi volontari
hanno fa o con noi, rela va ai loro bisogni e alle loro necessità.
In questa occasione sono sta distribui i primi tre fascicoli rela vi agli
argomen della formazione di
Aprile; questa diventerà una prassi abituale.
Alla fine di Dicembre gli iscri erano 47 di cui 25 collaboravano con il
nostro se ore nei filoni: aiuto nei compi , aiuto in situazione di tempo
libero, animazione all'interno delle stru ure.
Nel '93 sono state conta ate 8 scuole medie superiori portando così il
numero dei volontari iscri a 62.
A queste tre serate hanno partecipato anche persone non dire amente
coinvolte in a vità, ma interessate a prendere conta o con noi; questo ha
aperto una serie di canali e di prospe ve nuove.
Come traspare da quanto de o fino ad ora il volontariato ha assunto una
dimensione quan ta va notevole, ampliando i suoi campi di intervento.
Questo ci ha posto l’esigenza di fissare alcuni pun chiave: 1) L'a vità del
volontariato e aggiun va, ma a nente la riabilitazione e fa parte di un
conce o di salute
inteso non solo come cura, ma come prevenzione e ricerca del benessere.
In questo senso non e sos tu va dei compi is tuzionali dei Se ori e del
loro personale.
2) Ci deve essere una tutela di chi fa volontariato e questo avviene con: a)
colloquio;
b) selezione dei bisogni evidenzia dai distre ;
c) abbinamento mirato volontariato \ utente;
d) assicurazione;
e) cicli di formazione organizzata;
f) formazione permanente;
g) firma del volontario di un foglio di presenza;
h) ufficio centrale (Mariella Can ni) a disposizione per procedure e
informazioni.
3) Abbiamo dovuto individuare spazi diversi da quelli familiari per molte
situazioni di volontariato e ques spazi sono sta reperi nelle sedi
distre uali (solo in presenza di personale dipendente), sedi di associazioni
giovanili, sedi di parrocchie, scuole.
Questo per evitare situazioni di disagio e difficoltà ai volontari stessi.
Ecco in sintesi una panoramica su quello che e stato fa o in ques anni per
raggiungere i risulta a uali.
 
---
 
 
Ora lascio la parola a Samuela Spaggiari e a Marco Ferrari
dell'Associazione Scout AGESCI di Reggio IV e III:
 
 
Nei gruppi scout si ha una divisione a seconda delle fasce d'età dei ragazzi.
Il primo gruppo in cui entra a far parte il ragazzo e quello dei "Lupe " (8-
11anni) il cui ambiente educa vo e la "giungla". Qui vengono raccontate
fiabe e storie tra e dal "Libro della Giungla" di Kipling. Gli educatori
prendono i nomi di personaggi di questo libro (Baloo l'orso, Bagheera la
pantera) ed hanno un ruolo ben definite con cui il bambino si iden fica;
per cui c’è chi segue l’a vità fisica, chi la fede, ecc...
In questo modo i bambini, anche se sono piccoli, hanno pun di
riferimento precisi e crescono in un mondo di fantasia imparando I prime
regole del vivere comune. Ques bambini provengono da realtà molto
differen e non e semplice me ere assieme fino a 20 bambini diversi,
ognuno con la sua storia, i suoi problemi, il suo modo di fare confusione, e
far si che imparino a rispe arsi vicendevolmente, a rispe are le regole di
un gioco, ad ascoltare.
A raverso queste esperienze imparano a ges rsi autonomamente.
Vengono poi suddivisi in gruppi più piccoli. Le ses glie, dove i più grandi,
quelli di 11 anni, aiutano i più piccoli ad inserirsi.
Oltre gli 11 anni abbiamo gli "Esploratori" e le "Guide". Ques ragazzi sono
in un’età difficile in cui vi sono vari sconvolgimen fisici e mentali. Gli
ambien educa vi che gli vengono propos sono l’avventura e il conta o
con la natura.
L'avventura perme e di spaziare con la fantasia, mentre in un bosco o in
un prato si gioca e si imparano tante cose. Anche qui ci sono dei
so ogruppi. le squadriglie, formate da ragazzi di diverse età in modo che
quello più "anziano"
abbia la responsabilità di quelli più piccoli.
Trascorso questo periodo molto difficile ma bello, lo scout entra nel
"Noviziato"
(dai 15 ai 16 anni), dove rimane un anno. In questo periodo gli vengono
proposte tre alterna ve, tra le quali sceglierà l’anno successive quando
entrerà a far parte del "Clan": la strada, la comunità e il servizio.
La strada nel senso di camminare; durante tu o l’anno, in qualsiasi
condizione atmosferica, si effe uano
spedizioni a conta o con la natura. Durante queste "gite" si acquisiscono
valori fondamentali come la fede (noi siamo un gruppo ca olico),
l’essenzialità, la
semplicità e la gioia di trascorrere il tempo insieme, imparando ad
affrontare i problemi quo diani. Queste esperienze sono molto costru ve
per la formazione del cara ere dell'individuo.
La comunità intesa come imparare a convivere, acce ando le esigenze dei
compagni e aiutandoli a risolvere i loro problemi.
Il servizio inteso come volontariato. I ragazzi, una volta raggiunta la
maggiore età, possono collaborare ai proge dell'USL (5 ragazzi hanno
collaborato con il se ore di N.P.I, nell'anno '91-'92).
Cosa ci ene lega tu insieme?
Noi presen amo le nostre regole e chiediamo una promessa. Quando una
persona ha capito in cosa consiste e vuole provare a mantenere questa
promessa, prende l’impegno con una cerimonia davan a tu a la
comunità, impegnandosi ad essere fedele alla legge e a rispe are la
promessa di "fare del mio meglio per compiere il mio dovere verso Dio,
verso il mio paese, nell'aiutare gli altri in ogni circostanza, nell'osservare “la
legge scout". E' la promessa che dis ngue gli scout.
Chi ha fa o questa promessa la sente sua, la vive in qualunque posto dove
vada, ha qualcosa di speciale
perchè cercherà sempre di fare del suo meglio nei confron delle persone
che ha intorno. Questo suo meglio è il limite di ogni persona, un gesto
d'amore.
Ogni passaggio da un gruppo all'altro e segnato da una cerimonia di
inves tura che segna anche il passaggio da una età all'altra.
E' un a o ufficiale che responsabilizza.
I problemi dei ragazzi portatori di handicap non sono un ostacolo per noi.
La strada rappresenta un mezzo, e non un fine. La cosa più importante è
riuscire a creare un dialogo, a far prendere coscienza dei propri limi , a far
perdere la
"maschera" che indossiamo quo dianamente. A noi interessa il ragazzo in
quanto persona, non che sappia camminare 8 ore di fila con lo zaino sulle
spalle.
E' molto più problema co il ragazzo che verbalmente non comunica che il
ragazzo con problemi motori.
Il nostro problema principale e quello di non riuscire a soddisfare tu e le
richieste che ci vengono avanzate durante l'anno, in quanto dobbiamo
essere sicuri che il rapporto numerico tra il gruppo e gli educatori sia tale
da perme erci di seguire effe vamente ogni ragazzo. L'Agesci negli ul mi
vent'anni ha triplicato il numero degli iscri , purtroppo però l’impegno di
tempo che comporta essere capo-gruppo fa si che mol debbano ri rarsi.
L’inserimento nel gruppo di un ragazzo portatore di handicap o con
problemi rappresenta per noi un grosso arricchimento. Purtroppo
sappiamo che i condizionamen mentali sono più for nell'adulto, quindi
far vivere delle esperienze comuni ad un ragazzo con problemi insieme a
ragazzi normali e per tu fonte di grossa crescita personale. I "normali"
scoprono che con ques ragazzi si possono instaurare dei rappor veri di
aiuto \ affe o e questo e una grande soddisfazione sia per chi da che per
chi riceve.
Quello che possiamo offrire e poco e tanto allo stesso tempo. II poco
consiste nella nostra mancanza di specializzazione però possiamo offrire la
possibilità di crescere nel calore di un gruppo.
Il confronto con nuo con gli altri ragazzi più che con l’adulto e senz'altro
costru vo, in quanto il giovane giudica diversamente una cri ca fa a da
un suo coetaneo
Come riusciamo ad abituare i ragazzi all'autonomia ?
Mol genitori si lamentano che a casa non riescono a far fare niente ai loro
figli, mentre negli scout si danno da fare spontaneamente.
Alcuni ragazzi ci dicono :"Non raccontate niente a casa di quello che faccio
qui, se no per noi e la fine!".
Infa a casa hanno una situazione di comodo che vogliono mantenere.
Nel nostro gruppo invece ognuno ha il proprio compito e i ragazzi sanno
bene che quello che non fanno
loro. non lo farà nessun altro.
 
 
 
 
Parla ora Don Vi orio Chiari responsabile degli oratori ci adini e
provinciali:
 
 
E' molto importante avere gente che scopra la voglia di stare con i ragazzi
per aiutarli a crescere. Sono convinto che tra i tan volontaria il più
impegna vo sia il volontariato educa vo.
Si vedono mol giovani prestare servizio in a vità come la Croce Rossa, la
Caritas, il WWF che sono cose bellissime, insegnano il rispe o per la natura
e, di conseguenza, per l’uomo. Ma il campo dove oggi ci si deve impegnare
di più e il campo educa vo ed è proprio quello in cui il volontariato e meno
presente.
Il mio lavoro, che si svolge su tu o il territorio della provincia, consiste
principalmente nel sensibilizzare le persone a ques problemi.
Ho potuto notare che nel mondo giovanile ci sono alcuni fenomeni
emergen .
Tra i bambini delle scuole
elementari, ad esempio, si nota la difficoltà a stare e a giocare insieme,
sono instabili, incer , hanno come modelli solo i personaggi televisivi.
Presentano sintomi psicosoma ci: improvvisamente hanno mal di testa,
vomito, mal di pancia. E questo e sopra u o un modo per richiamare
l’a enzione dell'adulto.
Un fenomeno che si manifesta sopra u o nella bassa reggiana e quello dei
ragazzi di 14-15 anni che si ubriacano. Ancora più grave e il fenomeno del
suicidio, la voglia di morire che si sta diffondendo tra i giovani. E inoltre c’è
il fenomeno della droga.
Tu ques segnali lancia dai giovani sono un richiamo all'a enzione
dell'adulto: "Noi esis amo, perché non ci ascoltate?". L'adulto deve
ritrovare il momento dello stare insieme ai ragazzi non solo per educare,
ma anche per lasciarsi educare. Non esiste niente che possa educare gli
adul come l’esperienza con un ragazzo più giovane.
Fin dall'inizio il mio obie vo e stato quello di creare uno spazio libero e
aperto, una sala polivalente.
Il tolo che voglio dare e "Fron era Giovane", non nel senso di divisione
(fron era = confine), ma uno spazio dove ognuno si possa trovare per
confrontarsi con chi non condivide le sue idee, dove possa rapportarsi agli
altri per cercare di comprendersi, di capirsi; uno spazio in cui ragazze e
ragazzi possano essere protagonis di un qualcosa per il quale vale la pena
vivere.
Secondo me e molto importante l’esperienza che sta portando avan il
Comune con il proge o GET (Gruppo Educa vo Territoriale) dove vengono
inseri ragazzi (a ualmente sono 26) segnala dalla scuola o dal Servizio
Sociale. I volontari che ci lavorano sono entusias di aiutare ques ragazzi
nei compi ma, sopra u o, di riuscire a stabilire un rapporto che li
valorizzi.
Provate a pensare a un ragazzino che va a scuola e a cui tu dicono "Tu
sarai bocciato, non capisci niente".
Se un ragazzo più grande, un paio di volte alla se mana, lo va a trovare, lo
aiuta, stabilisce un rapporto personale, questo ragazzino si sen rà
importante per qualcuno.
Racconto un episodio molto significa vo: un ragazzo diceva "io non so chi
sono, non so da dove vengo, non sono di nessuno, non sono nessuno"; due
mesi dopo questo ragazzo si e bu ato da un ponte di 60 metri senza
lasciare niente di se.
Quando io ho pensato a questa sua voglia di scappare dalla vita mi sono
chiesto come era possibile. La risposta l’aveva già data lui "io sono
nessuno".
Il rapporto educa ve e un modo di far sen re a un ragazzo che qualcuno gli
e vicino, che si preoccupa
per lui, che si accorge della sua assenza. Qualcuno che gli dice "Tu sei
importante". Quando un ragazzo si sente di qualcuno trova il gusto e la
voglia di vivere, trova energie per andare avan .
Questo non vale solo per i giovani, ovviamente, ma per tu e per tu e le
età.
Presso le tribù indios e sempre l’anziano che organizza I feste. Da noi
l’anziano e considerate niente e ha dentro questo senso di inu lità.
Noi cerchiamo di dare un senso di appartenenza a ques ragazzi.
Un'altra cosa che ci sembra importante e far trovare un ambiente
piacevole: se l’ambiente e un campo verde può aiutare a limitare
l’aggressività, se e un locale
accogliente e pulito fa pensare al ragazzo "Io sono a eso".
Al momento a uale abbiamo circa 130 persone che ci danno una mano in
vari modi nelle nostre a vità.
L'ideale sarebbe che aumentassero ancora di più perché le esigenze nel
nostro quar ere sono tante. Ci sono ad esempio ragazzi che vengono da
fuori Italia ed hanno bisogno di aiuto per inserirsi.
A questo proposito vorrei riportare l’esperienza fa a l’anno scorso dai
ragazzi del proge o GET che hanno organizzato una festa per la scuola
media. A presentare il suo gruppo c'era un egiziano, simpa cissimo, che
aveva imparato il discorso a memoria con tanto di inchini un po' orientali.
I compagni sono rimas a bocca aperta quando li hanno vis prodursi in
esibizioni di judo, karate ...- Sono rimas sorpresi gli stessi insegnan .
Quello di cui abbiamo bisogno e gente con la voglia di fare qualcosa per gli
altri.
Ricordiamo che il lavoro educa ve e il miglior lavoro di prevenzione. Io non
conosco nessuna forma migliore di prevenzione se non l’educazione,
appunto, intesa come saper stabilire rappor posi vi con gli altri, sen rsi
valorizza e responsabilizza . Noi non pretendiamo che un ragazzo venga
per forza in chiesa, ma chiediamo il rispe o per le persone, per la natura,
per le cose.
 
 
 
 
Il disagio minorile in provincia di Reggio Emilia
 
Lorenza Davoli
 
Credo che l’esperienza di “Gancio Originale” cos tuisca un esempio delle
varie possibilità ed inizia ve del volontariato. E’ esemplare proprio perché
si e trovata una formula di collaborazione tra il lavoro volontario, che non
sos tuisce in alcun modo il ruolo, le competenze e la professionalità del
servizio pubblico e degli operatori che in esso lavorano, e le a vità proprie
del servizio pubblico.
Cos tuisce una proposta ed una sintesi migliore che va a beneficio dei
ragazzi che sono segui . In questo modo si valorizza una potenzialità che
c’è nei giovani della nostra ci à e della nostra provincia, una potenzialità
che non solo è posi va perché consente di aiutare altri ragazzi, ma perché
consente di maturare una consapevolezza di valore rispe o alla solidarietà
e all’aiuto che si può dare agli altri.
Vorrei darvi qualche elemento di conoscenza rispe o alla realtà di
volontariato nella nostra provincia. Alla data odierna sono 111 le
organizzazioni di volontariato aven sede ed operan nella Provincia di
Reggio Emilia ed iscri e al Registro Regionale. Questo vuol dire che 111
associazioni si sono poste il problema di stabilire un rapporto, un conta o
con gli En Pubblici per trovare delle forme di collaborazione. E’ opportuno
so olineare che l’iscrizione al Registro Regionale non è necessaria o dovuta
da parte di un’associazione, ma è essenziale per stabilire rappor con
l’Ente Pubblico.
Il vostro impegno e la vostra originalità hanno colpito molto posi vamente
la Do .ssa Franca Olive Manoukian, esperta delle problema che sociali,
che ha acce ato di scrivere una prefazione alla pubblicazione del materiale
forma vo scaturito da ques incontri. Credo sia u le evidenziare il fa o
che questa a enzione conferma la s ma che si ha nei confron della vostra
esperienza e della freschezza, dell’originalità ed importanza che essa
riveste.
Credo di poter affermare, e non so se ve ne rendete conto, che potete
considerarvi dei giovani fortuna , perché non sempre è possibile riuscire a
cogliere opportunità che consentano una crescita personale di questo po.
Una ricerca realizzata sulla tradizione civica delle regioni italiane dimostra
che in questa regione e in questa provincia abbiamo un grandissimo
capitale sociale di partenza, dato dalla fiducia che c’è tra le persone, dato
dalle regole non scri e che regolano la convivenza, dato
dall’associazionismo, dalle forme di volontariato e da ogni forma di
cooperazione. Questo capitale sociale cresce se viene u lizzato e inves to,
altrimen diminuisce, si disperde, perde la capacità di esprimersi in forme
u li. E allora l’importanza della vostra esperienza sta anche nel contribuire
ad accrescere la civiltà di questa ci à nel momento in cui coinvolge dei
giovani per i giovani.
Voglio anche ricordare che Reggio Emilia è una realtà che ha espresso
sempre una grande sensibilità rispe o ai temi dell’infanzia ed ai bisogni dei
bambini. In questo contesto non voglio ricordare più di tanto la già più
volte richiamata vicenda delle scuole dell’infanzia di Reggio, ma
certamente la costruzione e l’affermazione del metodo del Prof. Malaguzzi,
che adesso viene tanto valorizzato anche nel contesto internazionale, ha
tra o origine da una realtà già fer le che ha reso possibile questa
a enzione verso l’educazione dei bambini.
Aggiungo che nella nostra provincia ancora oggi ci sono is tu na nel
1700-1800 per occuparsi dei bambini illegi mi, abbandona , poveri. Ora si
occupano di bambini che sono allontana dalla famiglia con grande
competenza e grande qualità, come ad esempio l’O.S.E.A. (ex Is tuto
Belvedere) che è stato ogge o di alcune trasmissioni televisive che ne
hanno messo in evidenza l’originalità; o ancora i proge promossi da
svariate associazioni che si occupano di affido e
adozione a distanza. Mi riferisco a bambini provenien da Chernobyl,
albanesi o della ex Iugoslavia. Esiste in provincia un re colo di inizia ve e di
a eggiamen culturali che si rivolgono posi vamente nei confron di
ques sogge .
Anche a Reggio Emilia esistono problemi lega alla presenza di bambini
albanesi clandes ni, che per fortuna sono pochissimi e non hanno la
rilevanza che hanno assunto in una metropoli come Milano, ma deve
essere chiaro che le problema che legate a questa presenza sono
comunque rilevan .
Mi è stato chiesto di portare alcuni elemen sul disagio minorile nella
nostra provincia. lo posso proporvi alcune considerazioni che fanno
riferimento in modo par colare ad una ricerca che abbiamo
commissionato alla Dr.ssa Manoukian, appunto su questo tema, che voi
potrete poi approfondire.
La situazione nella nostra provincia é una situazione non grave, il disagio
minorile è quan ta vamente limitato e sembra essere abbastanza
stabilizzato e circoscri o. Non abbiamo segnali di par colari aumen di
situazioni difficili, non ci sono rilevan incremen di sogge segui dal
Tribunale dei Minorenni; la nostra realtà è cara erizzata da una presenza
consistente di servizi sia pubblici che priva impegna sul fronte del
contenimento
del disagio minorile. Quindi si può dire che non emerge una specificità
reggiana nel contesto regionale e nazionale rispe o all’insorgere di
par colari problema che familiari o di comportamen devian di
par colare rilievo.
Concordo con la Dr.ssa Bertani nel dire che questo dato generico non deve
farci illudere che tu o vada bene. In realtà noi sappiamo che il disagio
minorile ha una rilevanza specifica perché chiama in causa una fascia di
popolazione che, dal punto di vista quan ta vo, e in diminuzione nella
nostra ci à/regione/nazione, ma che, dal punto di vista qualita vo, è
importante in quanto rappresenta le opportunità di sviluppo, di crescita, di
vitalità della nostra società negli anni a venire.
Siamo anche consapevoli che i minori sono la sola dimensione sociale che
è priva di una rappresentanza dire a di fronte agli organi di potere; quindi,
le loro necessita e i loro problemi ricevono risposte che sono sempre
decise dagli adul .
Nel caso del disagio minorile non si può dire che quello che non si vede
non c’è, piu osto questo e considerato un aspe o della vita privata e
quindi demandato alla famiglia, che spesso è proprio il luogo dove le
difficoltà del singolo hanno origine.
Nella ricerca della Manoukian vi è anche lo sforzo di definire il disagio in
modo differenziato, se legato a situazioni molto gravi come
tossicodipendenza, rea o tentato suicidio, o se legato a difficolta ad
assolvere i compi evolu vi che sono a esi dalla comunità (ad es.
l’abbandono scolas co).
Il dato, anche in questo caso, e omogeneo con quello della nostra regione: i
ragazzi che una volta completata la media inferiore non proseguono sono il
10%, tra quelli che si iscrivono alle superiori solo il 62% arriva al diploma (la
media regionale e del 58%). E’ quindi evidente che di per sé l’insuccesso
scolas co non corrisponde ad una forma di disagio, però può denunciare
dei rischi potenziali rispe o alla crescita, o delle insufficienze o delle
trascuratezze che possono determinare questo insuccesso e che possono
avere origine dal contesto familiare. A volte ci sono condizioni di disagio
che hanno origine da handicap ed è questo uno dei fa ori di maggior
incidenza sull’equilibrio di una famiglia, sulla sua “tenuta”.
Alcuni anni fa e stato fa o un censimento dell’handicap nella nostra
provincia che ha verificato come, su un totale di 1.300 persone seguite dai
servizi, i minori fossero circa 700, più del 50%.
Le diverse is tuzioni del territorio hanno competenze differenziate rispe o
all’handicap e ci sono molte difficoltà nell’integrare i diversi ruoli e le
diverse funzioni. La Provincia ha competenza dire a sui minori non
veden , sordi, illegi mi ed espos all’abbandono, categorie abbastanza
datate perché a ribuite alla fine del secolo scorso. Abbiamo cercato di
trovare forme di integrazione con le competenze a ribuite ai Comuni e, da
diversi anni, sia i Comuni che la Provincia delegano alla U.S.L. la ges one
delle loro competenze in materia di minori.
E ciò al fine di favorire una proge ualità comune da parte dei servizi e per
dare una risposta il più possibile integrata alla persona rispe o ai bisogni
che esprime, quindi, per evitare una scissione legata alle “categorie”
dell’handicap, indipendentemente da chi finanzia e da chi paga.
Mol elemen concorrono a far si che si determini una condizione di
disagio minorile. Nella maggior parte dei casi c’è una famiglia con
problemi: difficolta di cara ere economico, psicologico, relazionale, di
ada amento sociale, storie di emarginazione. Una parte rilevante di
problema cità deriva dall’immigrazione.
Più del 50% delle famiglie coinvolte in questa casis ca, infa , provengono
da altri paesi.
L’immigrazione pone il problema dell’integrazione culturale, sociale ed
economica che e un’importan ssima ques one che la nostra società deve
affrontare; anche i cos sociali che si determinano in virtù di questa
situazione sono rilevan sia per i singoli sradica dal contesto di
provenienza sia per la comunità in cui queste situazioni si determinano.
Bisogna dire che nella nostra provincia esistono molte a vità di
prevenzione, discorsi di socializzazione che i Comuni portano avan : i
sussidi di cara ere economico, l’organizzazione del tempo libero, ecc.
Esiste poi una grande mobilitazione da parte dell’USL e forme di
associazionismo privato sul fronte della prevenzione delle
tossicodipendenze.
Credo di poter affermare che tu alla fin fine svolgono l’a vità che si sono
is tuzionalmente prepos , però manca ancora un vero coordinamento tra
le diverse is tuzioni per realizzare un’a vità di prevenzione che sia
realmente concertata tra tu i sogge che sono coinvol , che costruisca
le condizioni per un intervento sociale a lungo termine e che consenta
anche di valutare i possibili risulta . Infa le difficolta di coordinamento
fanno si che ancora non si sia realizzato a mio avviso quel salto di qualità
che consente di fare meglio insieme.
 

Coniugare, coniugarsi: i "ganci" interni ed esterni che perme ono di


operare crea vamente
 
 
Leonardo Angelini
 
Spesso i volontari e gli obie ori devono simbolicamente "coniugarsi", cioè
"accoppiarsi" con dei sogge deboli (disabili, ragazzi a rischio, bambini con
problemi di apprendimento, etc.) con i quali, almeno a prima vista, non
sembra possibile mantenere un'atmosfera crea va.
Sembra venire meno, cioè, in ques casi, la dimensione personale
dell'impegno, che rischia di esser visto come qualcosa di ripe vo e di non
crea vo.
Ciò che mi propongo di dimostrare questa sera è l'inesa ezza di un
ragionamento che parta da questo presupposto. Per far ciò par rò,
innanzitu o, da una rapida analisi di alcuni aspe del nostro mondo
interiore.
a-La camera degli specchi che ciascuno di noi si porta dentro Il termine
"individuo", come è implicito nella stessa radice della parola (in\dividere),
fa pensare a qualcosa di indivisibile, ad una en tà grani ca all'interno della
quale non è possibile dis nguere alcuna parte. Ed effe vamente, in
rapporto ad en tà sociali più ampie, quali la famiglia, il
gruppo, la classe sociale di appartenenza, l'etnia, etc, il riconoscimento
della unicità di ciascun individuo, della non riconducibilità di ciascun
sogge o a nessun’altra en tà che lo comprima o lo cancelli, è una recente
conquista della nostra civiltà che qui non si vuol me ere assolutamente in
discussione.
Quello che qui si vuole so olineare è un'altra, e ancor più recente
conquista, circa la natura interna del sogge o, circa il modo con cui
internamente il sogge o si vive e si rappresenta.
Se noi par amo da questa più in ma prospe va tu a la grani cità
dell'individuo si frantuma e l'unicità apparente del sogge o si duplica, si
triplica, si mol plica in un gioco di rispecchiamen che sono il precipitato
di tu gli "introie " che lungo il processo di crescita psicologica ciascuno
di noi ha incontrato, cioè di tu e quelle par che sono entrate dentro di
noi grazie al rapporto con i nostri genitori e con tu e le persone che ci
hanno "segnato" sul piano educa vo. Tali introie , a loro volta, sono il
fru o delle proiezioni che, dinamicamente, queste persone importan
hanno fa o su di noi lungo le varie fasi secondo le quali si è definito il loro
rapporto con noi.
Alla fine ciò che si andrà sedimentando dentro di noi, è il precipitato, più o
meno sta co, più o meno dinamico, a seconda di come ciascuno di noi è
fa o, di tu e queste proiezioni ed introiezioni.
Ma, accanto a questa prima camera degli specchi, interna al singolo
sogge o, ciascuno di noi quo dianamente è compartecipe di una seconda,
e più esterna camera degli specchi, quella cos tuita dai gruppi. Anche i
gruppi sono dei contenitori in cui si solidificano e si sciolgono tu i
precipita delle proiezioni e delle introiezioni che sono fa e sia dai singoli
sogge che li compongono, sia dagli altri gruppi che, dire amente o
indire amente, li influenzano. Il gruppo diventa così anche il contenitore, il
precipitato della propria storia, storia che travalica quella di ogni singolo
membro che lo ha storicamente composto, storia che rimane dentro il
gruppo al di là della presenza in esso di tu i componen che lo hanno
cos tuito.
Anche per il gruppo alla fine ciò che si andrà sedimentando è un
precipitato, più o meno sta co più o meno dinamico, a seconda di come è
fa o il singolo gruppo, che è il fru o di questa storia di proiezioni ed
introiezioni.
Si definiscono così all'interno del sogge o e del gruppo un insieme di re ,
un groviglio, un groppo, un "gruppo" di re (per l'appunto), composte da
tante polarità, da tan nodi che possono essere fra loro più o meno in
comunicazione, che possono cioè coniugarsi in maniera più o meno ricca, a
seconda di come queste par sono state proie ate dentro di noi e da noi
introie ate. Dove per
"come" si intende con quali modalità, con quali toni, con quali tempi, in
quali spazi (interni ed esterni) sono state "autorizzate" a collocarsi da
autorità, a loro volta interne, e prima ancora esterne. Per cui, in base
all'educazione ricevuta, vi saranno in noi par interne che godranno di
posizioni solari e di pres gio, e par meno centrali, più periferiche, da
nascondere, o addiri ura a noi ignote poiché ritenute troppo mostruose ed
impresentabili.
Sorge così il problema dell'integrazione fra queste polarità che non sempre
è facile, sopra u o per quelle par che hanno meno diri o di parola nel
nostro universo gruppale interno o esterno (cioè quelle che sono ritenute
ego-distoniche o socio-distoniche).
Il processo di integrazione di tu e queste par (e non solo di quelle più
solari) è la premessa della ricchezza interiore sia del sogge o che del
gruppo, cioè della definizione di quel "tasso" di patrimonio interiore che,
come abbiamo de o all'inizio, è la premessa della comunicazione e dello
scambio. Per cui se c'è integrazione c'è ricchezza, se non c'è integrazione ci
ritroviamo poveri, nonostante il fa o che dentro di noi, come nel gruppo,
vi sia sempre un angolo buio in cui le possibili risorse sono confinate da
un'educazione troppo rigida e monocorde.
Per farvi comprendere l'importanza dell'integrazione per il nostro stesso
equilibrio interiore, prima ancora che per un miglior uso di sè, vi farò due
esempi, diciamo così, in nega vo riferi ad un sogge o e ad un gruppo.
Il primo esempio è quello di una madre che, per un'educazione
par colarmente severa circa il "collocamento interno" della propria
aggressività che l'aveva condo a ad una mancata integrazione di questa
sua parte interna, aveva avuto un vero e proprio crollo psico co nel
momento della crisi puberale della figlia che evidenziava, nel contempo, la
crescita della figlia, ma anche l'invecchiamento della madre stessa, cosa
che l'aveva condo a a fare per la prima volta, ed in maniera devastante, i
con con le proprie par interne aggressive e distru ve.
Il secondo esempio è quello rappresentato dalla stru ura monocorde del
gruppo
preadolescenziale di po delinquenziale in cui gli unici introie che hanno
diri o di ci adinanza sono quelli che suggeriscono gli agi , appunto,
delinquenziali. Il gruppo, in questo caso, diventa una camera degli specchi
in cui ci si può rifle ere solo con queste par . Infa l'autorità interna che è
in ciascuno dei suoi membri, unitamente all'autorità esterna (il leader) non
potrebbe sopportare altre presenze sulla scena delinquenziale perché le
riterrebbe troppo tenere, troppo femminili, troppo tu o ciò che non è
stato integrato perché ritenuto impresentabile.
 
b. Tre dimensioni del nostro vivere
Ma, per capire come è possibile coniugarsi internamente ed esternamente,
quanto abbiamo de o a proposito della "camera degli specchi" non è
sufficiente.
Occorre vedere anche "che aria ra" dentro questa camera, qual è
l'atmosfera che vi si respira ogni volta che ci accingiamo a fare qualcosa:
quella che abbiamo imparato a respirare nel nostro gruppo primario? o
piu osto quella che ci viene dalle fervide sugges oni dei luoghi crea vi che
ci comprendono? oppure quella più ordinata e pianificatrice che ci viene
dall'inserimento del nuovo nel vecchio al fine di trasformare e vivificare la
tradizione?
Queste tre dimensioni dell'esistenza: la dimensione transferale, quella
crea va e quella opera va, sono compresen dentro di noi e, nel rapporto
più o meno dinamico che intercorre fra di loro, determinano il tono della
nostra vita interiore.
Vediamole più in de aglio:
La dimensione transferale è il luogo (e il tempo) in cui prevalgono le leggi
dei genitori, in cui il passato, la tradizione si propongono come istanze che
mi condizionano, ma mi danno anche senso.
Ad esempio è ciò che accade dentro di me quando io mi sento psicologo,
erede di una "arte" tu a definita dai miei "antena " (Freud, la mia analista,
i miei formatori, i miei supervisori, la mia is tuzione, etc.), quando prevale
internamente l'istanza che mi spinge a considerare il presente come
stre amente dipendente dal passato.
La dimensione crea va per me è stata ad esempio quella che ho
(ri)\trovato nel gruppo del CIM (Centro di Igiene Mentale) di Jervis
nell'epoca eroica in cui il CIM di Reggio Emilia era un luogo crea vo:
gruppo fusionale polarizzato intorno ad un tema, quello dell'incontro con
l'alterità, gruppo in cui, nel fervore crea vo, spesso si giungeva a non
dis nguere le singole sogge vità che, insieme ed indis ntamente, in uno
stato di eccitazione crea va, concorrevano a creare il nuovo. (Anche nel
singolo sogge o è possibile che si instauri un clima fusionale di fervore
crea vo in cui quelle par interne che popolano la nostra personale
camera degli specchi creino qualcosa di nuovo.)-
La dimensione opera va, infine, è il luogo ( e tempo) in cui prevale
l'orientamento rispe o al compito, in cui vi è una mediazione fra tradizione
e innovazione, in cui il passato è u lizzato in funzione del pro\je o: cioè
del futuro.
Ad esempio è quello che accade quando io come psicologo, nel mio fare
opera vo, da una parte mi sento vincolato (più o meno intensamente)
dalle regole della mia "arte", dall'altra "autore" unico della concreta forma
che va assumendo il mio operare.
E' indubbio che vi è un legame fra queste tre dimensioni del nostro vivere,
fra queste tre tonalità della nostra esistenza, per cui non si può dire mai
che l'una sia presente a danno delle altre. Purtu avia, a seconda del
momento e della occasione, è possibile che una di esse prevalga fino al
punto di sospingere in angolo le altre par , di invaderle con i propri colori,
di ricondurle ai propri fini.
Per cui ogni volta che operiamo possiamo legi mamente chiederci in
quale dimensione s amo vivendo, quale fra le tre, su quel par colare
momento del nostro fare, sta avendo a ualmente il Sopravvento. Di modo
che: a. se prevale la dimensione transferale staremo, sostanzialmente, a
ripetere le vecchie storie del passato. E' il caso, ad esempio, della
volontaria che agisce sul piano dell'aiuto nei compi secondo quanto le è
stato indicato dal tecnico che l'ha istruita, dal docente che l'ha formata, o,
in ogni caso, secondo la propria tradizione.
b.se prevale la dimensione crea va staremo in una posizione di fervore,
prodo a dai molteplici "accoppiamen " fra varie par interne di noi, e\o
fra queste par interne e tu o ciò che dal paziente che ci è stato affidato ci
proviene. E' il caso, per fare ancora l'esempio della nostra volontaria, di
quei momen in cui nell'aiuto nei compi essa prova a sperimentare un
metodo dida co che le viene suggerito dal proprio intuito, un metodo,
cioè che si distacca dalla tradizione in cui essa si è formata.
c.se prevale la dimensione opera va quegli elemen di novità che il nostro
intuito in un primo momento ci ha suggerito in un secondo momento noi li
inseriamo nella tradizione, a più o meno parziale correzione della
tradizione stessa, in modo che la tradizione non si trasformi in qualcosa di
morto, di incartapecorito, ma sia con nuamente ri\definita, vivificata dal
nostro fare crea vo.
c. Coniugare\coniugarsi: sogge o (e gruppo) fra tradizione ed innovazione
Verificata la ricchezza dei rispecchiamen che è possibile fare nelle varie e
cangian camere degli specchi, individuali e gruppali, che ciascuno di noi
può frequentare lungo il proprio percorso di crescita personale, verificate
altresì quali siano le possibili dinamiche del nostro agire in rapporto alla
tradizione ed all'innovazione, vediamo ora più da vicino come possono
avvenire dentro di noi e con i nostri pazien le coniugazioni, i "ganci" di cui
parlavamo all'inizio.
Coniugare significa con\giungere, accoppiare due o più sogge , oppure
due o più par interne ad un singolo sogge o, ad esempio io e il mio
paziente, ma anche io e voi stasera qui in questa "lezione" che può esser
vista nella doppia o ca di lezione del docente, ma anche di "lezione", cioè
di le ura che il discente fa della lezione del docente, cioè di le ura che voi
fate di quel che io vado dicendo. Ma anche il coniugarsi internamente,
l'accoppiamento di par interne -
quelle più solari e centrali con quelle più eccentriche e marginali, come
dicevamo prima- implica una con\giunzione dalla quale può nascere il
nuovo.
Inoltre, e più le eralmente, con\jugare significa legare insieme,
apparentare,
"sposare", vis sempre nella doppia o ca dell'accoppiarsi con un altro
sogge o, ma anche dell'accoppiarsi internamente, del me ere in rapporto
par interne che fino a quel momento non lo erano. Ricordiamoci della
mamma che non era riuscita mai ad "apparentarsi " con le proprie par
aggressive, distru ve, che pure erano dentro di lei e che, proprio per il
fa o che non erano mai state
"sposate" da lei, la travolsero quando non fu più possibile negarne
l'esistenza.
Si può tra are, inoltre, di par vecchie e di par nuove che possono essere
sposate, "accasate", cioè riconosciute dentro di noi, o meno. Per cui, come
abbiamo già visto, nella dimensione transferale il nuovo potrà accasarsi col
vecchio solo se ne acce a le regole e le tradizioni, pena il rifiuto da parte di
chi più legi mamente parla a nome delle vecchie generazioni, nella
dimensione crea va il nuovo tenderà a rifiutare ogni accoppiamento col
vecchio, fino a rifiutarne anche il lessico e la sintassi, a meno che in esse
non trovi mo vo di rigenerazione polemica, nella dimensione opera va, se
le cose vanno per il verso
giusto, il nuovo e il vecchio possono andare in sintonia, rinunciando -come
in ogni matrimonio che si rispe - ad una parte di sè per dar spazio a quella
nuova
"generazione" che sta nascendo dall'accoppiamento precedente.
Come vedete s amo discutendo del problema della disposizione interna di
ciascun sogge o e di ciascun gruppo nei confron dell'innovazione e della
tradizione, e dei problemi derivan dall'integrazione dell'innovazione nella
tradizione. Nel far ciò, però, occorre tener presente il fa o che ciò che
verifichiamo dentro di noi va le o sempre in termini dinamici, per cui, ad
esempio, sullo stesso argomento il nostro agire può essere diverso, a
seconda di un insieme di circostanze che, in ul ma istanza sono legate alla
nostra storia personale. Tornando alla volontaria che aiuta a fare i compi
si può ipo zzare che all'inizio essa sarà tubante ogni volta che dovrà
allontanarsi dalla propria
"tradizione" forma va, in un secondo momento sarà più capace di porsi in
termini cri ci nei confron dello stesso problema, ed alla fine potrà forse
cercare una mediazione fra vecchio e nuovo che le perme ano di arricchire
se stessa e di lavorare più crea vamente coi propri ragazzi.
Cosicché, se le cose vanno sufficientemente bene, nel rapporto fra
coniugazione e arricchimento avremo che il nuovo perme e al vecchio di
arricchirsi e, nel rapporto fra coniugazione e integrazione, che il vecchio
perme e al nuovo di essere integrato.
Cosa può accadere però in pra ca?
a. nel rapporto fra sogge o e sogge o e fra sogge o e gruppo può
succedere che, ad esempio, vecchio e nuovo si coniughino in un sogge o e
non nell'altro, nel sogge o e non nel gruppo, oppure che vecchio e nuovo
si coniughino nell'"altro", sogge o o gruppo ch'esso sia, e non in noi,
oppure ancora che un manto grigio di sterilità invada tu a la scena.
b. Nella coniugazione interna al sogge o che gli accoppiamen siano
possibili solo fra le par con cui si è più in confidenza, mentre le par con
cui non si è confiden vengano più o meno marginalizzate e cancellate. Ad
esempio il nuovo può sembrare troppo ego-distonico, oppure il nuovo può
contenere par ego-sintoniche, insieme a par ego-distoniche, ma non
siamo in grado di dividere il grano dal loglio, oppure ancora è possibile fare
questa dis nzione, ma non siamo in grado di esprimere ciò che abbiamo
vagamente intuito, non abbiamo la gramma ca e la sintassi per farlo.
Infine ponendo vecchio e nuovo a confronto, come diceva il mio maestro
Napolitani, occorre tener presente che il nuovo può essere sempre visto
come portatore di promesse o di minacce, così come il vecchio può essere
portatore di leggi vive o morte. La possibile mediazione fra nuovo e vecchio
è data ogni volta dalla nostra capacità e possibilità, dinamica, quindi mai
scontata, di avviare sempre una specie di dialogo interno (laddove dia\logo
va visto e mologicamente come "discorso fra...") fra il più ampio ventaglio
possibile di par in causa.
Vita e morte del dialogo nell'a o del coniugare e del coniugarsi perciò, se
le cose vanno sufficientemente bene saranno:
1. par re da uno stato di confusione polarizzata e di introduzione di
metafore nuove e vive nel vecchio discorso;
2.iniziare un processo di trasformazione della vecchia is tuzione, del
vecchio linguaggio, dei vecchi usi e costumi, in base alla forza di queste
nuove metafore, e costruzione di una nuova is tuzione in cui si verifica la
mediazione fra vecchio e nuovo;
3.andare incontro ad un processo di ulteriore trasformazione della nuova
is tuzione in "accademia", in luogo di metafore morte, in "famiglia" in cui
vigono le regole mummificate dei "Lari", per esporsi ...
4... ad un nuovo stato di confusione polarizzata, etc. etc, ... e così via
creando.
 

Il preadolescente a rischio e l'adulto


 
Deliana Bertani
 
 
Chi è il ragazzo, il ragazzino di cui s amo parlando?
E' qualcuno che sta entrando in un periodo ricco di confli ualità. E'
qualcuno che si sta trasformando nel corpo, nell'aspe o in modo
velocissimo. E' qualcuno che tu i giorni si deve chiedere "così come sono
diventato mi piaccio, piacerò?"
E' qualcuno cui stanno venendo meno o sono già venu meno dei pun di
riferimento (non è più un bambino) e ha solo incertezza su quello che sarà
il punto finale (non e ancora un adulto). E' qualcuno che sta rendendosi
conto che il mondo degli adul non e così bello, forte e sapiente.
E' qualcuno che deve confrontarsi quo dianamente con i coetanei per
avere dei pun di riferimento nel cambiamento.
E' qualcuno la cui vita sessuale si sta risvegliando con tu o quello che
significa dal punto di vista fisico ed emozionale. E' qualcuno che ha fa o
grossi passi avan nel suo sviluppo intelle uale: - ha un ne o confine tra
realtà e fantasia; -ha un pensiero che riesce a funzionare al di là dei da
della percezione del momento; - riesce a formulare ipotesi, deduzioni e
induzioni; - ha capacità rappresenta va e simbolica molto potenziata, sta
cioè spostando il suo interesse dai da di conoscenza ai procedimen per
acquisirli.
E' qualcuno che sta acquisendo autonomia intelle uale cosa che gli da
soddisfazione, ma anche preoccupazione per certe convinzioni o principi o
idee degli adul che non condivide più. E' qualcuno che ricerca quindi
originalità che e disponibile a pagare con la marginalità.
E' qualcuno che sta cercando esperienze fuori dalla famiglia e sopra u o
fuori dalla sorveglianza della famiglia.
E' qualcuno che sta dando al gruppo dei coetanei un significato diverse da
prima: ora vi ricerca non più compagni di gioco ma sicurezze, modelli,
confronto, il sen rsi non più solo.
E' qualcuno che si trova in un momento, anzi sta transitando in un periodo,
e in una tappa del suo percorso ricca di cambiamen , di ro ure, di nuovi
bisogni, nuove emozioni, ecc. Momento del percorso per diventare grandi
che può essere esasperato quando il contesto famigliare e sociale
par colarmente svantaggiato e carente può indurre situazioni di rischio.
Ma e proprio questo momento a fornire l’occasione per riorganizzare il
proprio
"io" so o l’influsso di affe esterni validi, cioè personaggi cara erizza in
modo tale da soddisfare il bisogno di contenimento e di
responsabilizzazione dei ragazzi stessi.
In cer casi ci troviamo di fronte ad un'incapacità dell'io" ad affrontare
l’angoscia e il cambiamento e perciò all'impotenza nel rintracciare la
con nuità di se in seno alla discon nuità a uale.
Il problema del tempo, dell'integrazione del passato con il presente, in altre
parole dell'elaborazione della storia non solo propria ma anche famigliare,
culturale e sociale e un aspe o basilare per l’impostazione di un futuro
realis camente affrontabile.
La prima condizione affinché questo possa verificarsi e che sia rispe ato
quello che possiamo definire "diri o all'immaturità".
Conce o che indica la necessita che la conquista del proprio spazio, il
passaggio alla maturità e alla responsabilizzazione, avvenga in un contesto
di sana lo a con gli adul e non di colpo grazie all'abdicazione più o meno
forzata delle figure parentali nelle quali il ragazzo ha bisogno di trovare i
suoi «avversari» naturali.
L'adolescenza e crescita e la crescita esige tempo: mentre l’adolescente si
muove verso la maturazione, la responsabilità deve essere delle figure
parentali, delle figure adulte. Se queste abdicano gli adolescen sono
sostanzialmente lascia a se stessi, vengono costre ad una pseudo
maturità basata su un precoce "far 1'adulto" e non su un fa coso percorso
cara erizzato anche da una sfida all'adulto stesso.
Lo sbocco di una situazione carente e confusa in questo senso può essere
una reazione depressiva con manifestazioni auto-etero aggressive che
spesso cos tuiscono, a raverso il passaggio all'a o, una difesa
dall'angoscia, dalla frantumazione, a raverso il comportamento deviante.
Gli adul con l’esserci troppo o il non esserci possono spingere alcuni
ragazzi ad ado are prematuramente comportamen non adegua nel
tenta vo di dimostrare la propria maturità, usando l’accresciuta forza e le
nuove abilita in forma violenta. L'eccitazione interna non e controllabile
perché il preadolescente cerca di distruggere le regole. Le immagini
parentali adulte della sua infanzia e ancora non ne ha create di autonome,
di auten che.
Ardua comincia ad essere la tensione legata alle fantasie del sesso con i
rela vi sensi di colpa, di rivalità, di inadeguatezza.
Ci vogliono anni perché l’individuo possa scoprire dentro di se la possibilità
della coesistenza del buono e del ca vo, della capacità e della incapacità,
della distruzione, dell'odio e dell'amore.
Di fronte a ques sconvolgimen interni ed esterni il ragazzo ha bisogno di
ogge esterni (di personaggi) ai quali a ribuire il ruolo di organizzatori del
suo mondo interno. E' fondamentale per il ragazzo trovare un ogge o
esterno che funga da organizzatore di un mondo interno spesso scoppiato,
frantumato, ogge vato in iden ficazioni superficiali quali la squadra di
calcio, la cantante Ambra, con la cultura e la contro-cultura che non
riescono a far compensare incapacità che a volte affondano le loro radici in
rappor eccessivamente caren o aggressivi, fuori dalle condizioni di
sicurezza reciproca, con gli adul significa vi dell'età precedente.
Ogge esterni "sufficientemente buoni" come dice Winnico , cioè
realis camente capaci e privi di connotazioni e velleità onnipoten . Ques
dovremmo essere noi, gli adul , che con vari ruoli abbiamo a che fare con
ques ragazzi. Ma noi come ci sen amo con ques ragazzi Noi: insegnan ,
educatori, terapis , psicologi, volontari.
Credo che il primo dato con il quale ci dobbiamo confrontare e la
confusione, "il vor ce is ntuale" come dice M. Mannoni, la contraddizione,
l’angoscia, lo spezze amento, ecc. E' qualcuno che sicuramente non evoca
in noi calma e serenità, ma che ci riporta davan il ragazzino che eravamo e
più l’età è vicina, più questo ragazzino sarà vivo dentro di noi, più il nostro
raggiunto equilibrio rischierà di essere messo in discussione.
Cosa avviene in ques incontri fra queste due persone (l’adulto e il ragazzo)
ma fra tan personaggi (il ragazzo, la sua storia con "i suoi genitori", i suoi
insegnan , ecc., e noi anche noi con la nostra storia, con quello che siamo
sta , con il bambino, il ragazzino che c’è in noi). Cosa succede quindi ?
Una serie di movimen , di rispecchiamen reciproci, di iden ficazioni che
sono riconducibili a due filoni principali: Iden ficazione Transferale e
Iden ficazione Proie va. Facciamo un esempio: una madre bru a che ha
avuto una figlia bella potrà reagire in due modi:
a) è gelosa come lo e stata da piccola della sorella. le delusioni della sua
infanzia si ripropongono, la figlia e concorrente.
b) è felice, la figlia e una realizzazione dei propri desideri delusi.
Questo non significa che una e buona mentre l’altra e ca va, ma che le
nostre storie ci determinano se non cerchiamo di capire prima di agire
(faremmo altrimen come il preadolescente) e quindi riusciamo a me ere
in a o un incontro dove ognuno me e dentro di se integrando con quello
che e suo gli apprendimen nuovi che scaturiscono dall'incontro con un
arricchimento reciproco.
Ci sono analogie e differenze fra noi adul (educatori, insegnan , terapis ,
ecc.) e i genitori, analogie sul piano della informalità cioè, quello che si
diceva prima, lo scambio di iden ficazioni reciproche.
Differenze: sul piano della formalità: siamo in un ambiente non famigliare,
ma opera vo.
Per voi ad esempio
- c’è un se ng;
- c’è un orario;
- ci sono cose precise da fare
- c’è uno spazio.
Ci sono cose che dovrebbero salvarci da un'iden ficazione totale con il
ragazzino che abbiamo di fronte, ragazzino bisognoso, deprivato,
sfortunato.
Nell'iden ficazione totale ci so raiamo al nostro ruolo, ci appia amo sul
ragazzo, sui suoi problemi, sulle sue angosce, sulla sua impulsività.
Con i ragazzi a rischio, il pericolo è maggiore.
Con ragazzi che non sono riusci a superare i vecchi confli o meglio che
usano ancora le stesse modalità infan li di affronto dei confli
(an socialità, aggressività, opposi vità, negazione ma anche sedu vità) è
problema co mantenere il controllo di se senza so rarsi dietro il ruolo ma
avvicinandosi per:
- ascoltare;
- osservare;
- dare;
- domandare.
Cioè per rassicurare , contenere e responsabilizzare i ragazzi con i quali
abbiamo a che fare.
Ho usato tu a una serie di verbi non ho de o per FAR CAPIRE ciò che è
bene e ciò che è male, ecc.
Perchè ammesso che conoscessimo la tecnica del "far capire", come
potremmo applicarla nei confron di un ragazzino che non da perché non
ha mai ricevuto?
Come possiamo far capire che e giusto prendersi delle responsabilità
quando abbiamo a che fare con persone di cui pochi e per poco si sono
presi la responsabilità.
E se andassimo avan di questo passo per esempio, come possiamo far
capire a un ragazzino che andare a scuola è giusto, che imparare è bello,
quando il suo iter scolas co è stato tu o un fallimento, una frustrazione; è
stato dolore.
Forse allora con nuando riusciamo a capire qual è la tecnica del "far
capire".
Solo con l’esempio, solo dando "in modo realis co", non onnipotente,
parametrato a ciò che siamo e alle nostre forze.
Dando cioè in modo pensato che nulla toglie in quanto a ricchezza e valore.
I ragazzi e sopra u o quelli a rischio prestano par colare a enzione alla
nostra coerenza.
Potremmo dire che la coerenza tra il dire e il fare li affascina a tal punto che
possono ammirare e seguire chi predica male e razzola male più che un
adulto, una scuola, una società che predica bene e razzola male.
Il bambino piccolo da all'adulto un credito illimitato.
Crescendo, l’esperienza della nostra incoerenza, limita quel Credito. E
questo e inevitabile, l’idealizzazione si frantuma contro i nostri limi e la
nostra incapacità.
Ma possiamo far si che non si avveri.
Entrare in conta o con i ragazzi, con i giovani, "far capire", sarà impossibile
se chi paria ha perduto la capacità di sognare, e privo di ideali, e spento
dentro. E
qui c’è lo scambio: nella sollecitazione e nello sforzo che noi adul
dobbiamo fare per stare con i ragazzi e con i giovani c’è la possibilità anche
per noi di non azzerare i sogni, gli ideali, il piacere del rischio, del
cambiamento.
C’è la possibilità di restare giovani!!!
Ci rimane da affrontare e lo faremo nel prossimo ciclo di incontri un grosso
problema che ritroviamo sempre nei ragazzi a rischio, come causa e/o
come effe o di questo rischio. Sto parlando dell'insuccesso scolas co e
delle ragioni affe ve di questo insuccesso, dei ragazzi irrequie , aggressivi
a scuola, di quelli che hanno paura, che sono tris e senza desideri, che si
vergognano, di quelli cui non importa più niente della scuola e che prima o
poi l'abbandoneranno.
 
 
 
 
 
Pos azione - "L'impegno nella cura ed il disimpegno dalla adolescenza: il
giovane e la giovane nel volontariato aspe psicologici"
 
 
Giulia Del Carlo Giannini
 
 
 
Questo vostro convegno a cui mi è stato chiesto di intervenire, tra a un
argomento molto
importante in quanto concerne il volontariato in età adolescenziale; per
quanto il volontariato sia, di per sé, una prassi di notevole interesse, e a
Lucca si sono tenu mol convegni su di esso, ciò che lo rende par colare
è il fa o che coinvolge i giovani ed ogni inizia va che concerne questa
par colare epoca della vita merita una accurata riflessione.
A maggior ragione questa in cui le potenzialità dell'adolescente vengono
incanalate nel se ore dell'handicap infan le e giovanile sempre bisognoso
di ogni po di aiuto. Promosso per apportare all'interno di esso nuove
energie, non si è limitato ad una disponibilità di tempo e ad a vità fisiche,
ma ha mobilitato molte cariche psico-emo ve se ad esso si può guardare,
ora, come momento di formazione per i volontari.
Tu coloro che hanno una lunga pra ca nel se ore dell'handicap grave e
medio-grave. sanno quanto sia difficile mantenere vivo nel tempo lo spirito
di ricerca e la crea vità nell'operare quando non si può fare affidamento ad
una circolarità di risposta, rinforzo, da parte dell’interlocutore; ma sanno
anche quanto questo sia fondamentale affinché è comportamento non
tenda a cristallizzassi in una a vità automa ca e le energie crea ve a
fiaccarsi ad esaurirsi.
Perciò il poter inserire in questo se ore persone che siano ancora in grado
di guardare l'handicap con occhi "naif", vivaci ed acce an e ancora Capaci
è reagire ad esso con emozioni non indebolite dalle difese razionali,
sembra aprire una nuova maniera di fare assistenza sia per i volontari che
per gli operatori che con essi collaborano. L'interesse di questa esperienza
di volontariato, è facile rendersene conto della le ura del volume, non
risiede, infa , solo in ciò che ques ragazzi hanno potuto od hanno saputo
dare agli altri.
In uno degli ar coli riporta "L'originalità di "Gancio Originale” alcune cose
su di noi che sapevamo già, altre che abbiamo scoperto in i nere” di
Mariella Can ni Deliana Bertani e Leonardo Angelini, c'è un breve capitolo
dall'ambiguo tolo “Chi fa crescere chi”. Possiamo rileggerlo insieme
poiché è ad esso che io dovrei cercare di dare risposta. "Un’altra cosa che
non avevamo messo in conto e che con stupore abbiamo rilevato in seguito
alle telefonate dei genitori dei volontari ed in seguito alle loro stesse
affermazioni e alle loro domande, anche rela ve ai temi della formazione,
è stata l'influenza che tu a l'a vità di volontariato ha avuto sulla crescita
psicologica dei volontari stessi. Un vero e proprio lavoro di prevenzione che
in cer casi ha cos tuito (anche per la giovanissima età della maggior parte
di loro) un punto di riferimento, un "pale o" nel percorso che
dall'adolescenza porta all'età adulta.
Winnico nel descrivere gli sta mentali che a volte precedono questo
momento parla di "diba ersi nella bonaccia" con una metafora che
evidenzia efficacemente la contraddi orietà delle spinte ché l'adolescente
riceve durante il passaggio: a spinte a muoversi, spinte a rimanere fermo,
ad a varsi in un impegno altruis co ed a rimanere bloccate dall'alto livello
di ideologizzazione che spesso a tale impegno si accompagna.
"Gancio Originale”, con il rispe o dei tempi di uscita dalla “bonaccia", con
il tracciare ro e chiare, scandite e nello stesso tempo elas che ed
interessan , ha suggerito una risoluzione concreta e semplice al dilemma.
"La formazione, nata come informazione, come è possibile notare
scorrendo i toli dei nostri dicio o incontri, si è trasformata in un
momento di crescita che non è solo di acquisizione di strumen dida ci e
di "pronto intervento", ma anche di riflessione intesa sia come invito che
va nella molteplice direzione del fle ere l'altro (il disabile) verso le
esigenze del vivere in società, del fle ersi, cioè nell'andare verso l'altro, ma
anche del rifle ere cioè del considerare il significato di ciò che si sta
facendo ed il rifle ersi inteso sia come riconoscersi nell'altro sia come
riconoscersi più cresciu , adul ".
 
E' un brano molto interessante che ha suscitato in me una immediata
domanda: ‘è di per sé l'a vità di volontariato nel se ore della infanzia
handicappata una prassi matura va o dipende da come questa a vità è
stata organizzata?’ -
Certamente, come ogni esperienza che si rivolga alle cure ed al benessere
dell'altro, essa non può non avere un significato anche per le persone che
vi sono coinvolte, ma è difficile credere che il significato risieda solo in
questo, e cioè nell'appagamento che può derivare dalla sensazione di aver
dato sicuramente so ovalutato è la formazione di un gruppo giovanile che
condivide interessi, ideali, che ha a comune una peculiare esperienza
offrendo all'adolescente "volontario" un luogo sufficientemente prote o e
privo di confli ualità dove trascorrere una parte del tempo libero o da
ritagliare tra i vari impegni della giornata: ma fondamentale è, a mio
parere, il contenimento che il gruppo ed il singolo hanno potuto o enere
a raverso l'impegno di una informazione che nella scelta degli argomen è
divenuta, rapidamente, formazione, facilitando quindi una trasformazione.
E per trasformazione intendo un mutamento che non può che essere
collocato nella mente in quanto la disponibilità emo va orientata verso
l'altro non può essere altro che disponibilità orientata verso sé stesso: da
qui l'uso dei verbi fle ere e fle ersi, rifle ere e rifle ersi. Ed è proprio il
caso di dire, sulla base dei ricordi giovanili che ognuno porta in sé, che
nell'adolescenza è proprio
necessaria molta disponibilità emo va per acce are di essere quello che si
è e non quello che si è fantas cato di poter essere che si desidera di
essere.
Ma quali sono le disposizioni interne che sono state a vate ed in qual
modo esse influiscono sull'adolescente facilitandone il cammino verso l'età
adulta? Prima di rispondere a questa domanda è necessario fare un breve
riferimento all'età adolescenziale, a questa fase di passaggio dall'infanzia
all'età adulta la cui complessità è andata ingigantendo negli ul mi decenni
anche in ragione del suo prolungarsi nel tempo: ad una pubertà an cipata
fa infa , oggi, riscontro un ritardo della definizione di status adulto
procras nato dal prolungamento degli studi, oltre che dalle difficoltà
dell'inserimento lavora vo.
Il mio riferimento non vuole essere un excursus completo, ma solo una
pia aforma, un angolo visuale dal quale apprestarsi a cogliere il significato
di questa esperienza. Mi avvarrò per questo della relazione fa a da D.
Meltzer nel 1973 a Novara, ai Seminari di studio sulla "teoria psicoanali ca
dell'adolescenza", che pur lontana nel tempo è, a mio parere, ancora
a uale in quanto risulta semplice, comprensibile e molto aderente ai da
clinici. Essa si fonda sulla teoria psicoanali ca kleiniana che ha spostato
l'accento, nella problema ca di questa epoca della vita, dalla sessualità, da
sempre considerata dalla psicoanalisi ortodossa come il fenomeno centrale
a orno al quale si organizzano le difese per liberarsi dagli an chi ogge
d'amore (leggi: i genitori) ed orientarsi verso la scelta di partner sessuali
adul , ponendolo invece sulle preoccupazioni della conoscenza e del
capire; cioè sul superamento della confusione in cui l'adolescente si trova
coinvolto a seguito della
perdita di tu e le certezze che aveva acquistato nella sua infanzia; è una
confusione ben rappresentata, clinicamente, dalla crisi di iden tà
adolescenziale che si esprime con le parole "Chi sono lo? ... Che cosa devo
fare per essere? ...".
Questa crisi di iden tà, si potrebbe dire di liquidazione della iden tà
infan le per assumere una nuova iden tà, ivi compresa la iden tà
sessuale, è molto fa cosa e carica di emozioni sconvolgen e di sen men
depressivi lega alla necessità, appunto, di rinunciare ai genitori della
propria infanzia; ma, so ovaluta o coscientemente svaluta , essi sono
ancora vissu , nell'inconscio, come desiderabili e prote vi, mentre i nuovi
ogge d'amore incontra nella realtà esterna vengono coscientemente
idealizza , ma inconsciamente temu . Le ansie depressive e persecutorie
che tu o ciò suscita sono tenute a bada da meccanismi di difesa molto
primi vi che provocano, appunto, la confusione che concerne ogni aspe o
della mente. Tu o ciò che, sino ad allora, sembrava sicuro, certo, scontato
non lo è più ... e che cosa uscirà fuori da tu o questo?
L'a esa per sapere chi si è può, talvolta, essere molto lunga. Come avrete
bene intuito, il termine “conoscenza” qui non a niente a che fare con la
conoscenza delle cose che viene dire amente dall'autorità, per dirla molto
banalmente non è una conoscenza che ha a che fare con le materie di
insegnamento, ma è quella conoscenza di sé che deriva dalla esperienza
fa a nel coinvolgimento emo vo con l'altro e con sé stessi. Essa ha inizio
fin dai primi giorni di vita nel rapporto emo vo bambino / madre ed in
par colare con il seno che diventerà, nelle fantasie primi ve, il contenitore
di ogni conoscenza. Il bambino all'inizio non ha alcuna consapevolezza che
il seno da cui si nutre è fuori di lui è della madre; si illude, facilitato da
comportamento materno che me e a disposizione il seno nel momento in
cui egli ha fame, che il seno sia suo, che sia dentro di lui e che possa essere
u lizzato a suo piacimento; ma nel momento in cui subentra la disillusione,
come consapevolezza del suo esserne privo, per con nuare ad essere ben
nutrito e felice deve rinunciare all'invidia ed all'avidità che lo
spingerebbero a deprivare aggressivamente il seno di acce are di
dipendere dalla generosità dell'altro (la madre) per essere nutrito.
 
Nell'infanzia ques sen men primi vi sono sostenu da un pensiero
magico, del tu o fisiologico, che ha, come cara eri dis n vi, l'onnipotenza
lo posso tuto”) è l'onniscienza ("ciò che io so è tu o ciò che c'è da
sapere"). Qualità questa che i bambini condividono con i genitori; i quali, a
loro volta, sono considera onniscien ed onnipoten . All'inizio dell'epoca
scolare i bambini pensano ancora che la conoscenza sia qualcosa di
concreto e che esista concretamente in qualche luogo, per cui non devono
far altro che appropriarsene per diventare uguali ai genitori.
Ma nell’adolescenza tu a questa costruzione va in crisi e gli adul , i
genitori, che “niente sanno e niente possono”, vengono vissu come
"ipocri " ed "ingannatori", schiavis che hanno tenuto | bambini
so omessi a raverso l'inganno e la protervia. E gli adolescen , a loro volta
possono ricordare una infanzia felice solo perché incapaci, a quel tempo. di
rendersi conto delle condizioni di schiavitù nelle quali vivevano e che ora
cercano di comba ere. Nella caduta di ques mi gli adolescen oscillano
tra la comunità degli adul = quella de bambini senza riuscire a sen rsi
acquieta e soddisfa in nessuna delle due. Per superare tu o questo
l'adolescente deve riscoprire la bontà dell'ogge o primario e per o enerlo
deve poter immergersi nelle ansie depressive senza fare “fughe in avan ”
verso l'assunzione di un rapido stato di adulto, e senza ripiombare nella
fantasia di potere tu o e di non avere più bisogno di niente. Deve cioè
poter ritornare ad una esperienza di dipendenza senza cadere in preda a
sen men di invidia e di avidità per potersi sen re bisognoso senza viversi
come prevaricato, curioso ed esploratore senza intrudere aggressività
dentro l'altro con impulsi predatori, voglioso e desideroso sapendo
aspe are e mantenendo viva la fiducia che se ha fame (anche di
conoscenza) verrà nutrito. Deve cioè riscoprire la bontà
dell'ogge o esterno ed interno al sé.
Uno dei paradossi dell'adolescenza. scrive Meltzer, è proprio questo:
l'adolescente pensa che ciò che lo porta avan nel mondo adulto è in
realtà regressivo, mentre ciò che egli esperimenta come qualcosa che lo
spinga indietro, fino a farlo diventare ancora un bambino, è in realtà
quanto lo rende adulto. Ma se si preclude questa strada e tenta di andare
avan negando i sen men teneri ed i bisogni di dipendenza, bu andosi in
un troppo precoce uso della sessualità sulla base di una iden ficazione
rapida al mondo degli adul , teso alla potenza ed alla indipendenza, in
realtà egli sta solo cercando di dividersi in due par e di ristabilire la
differenza tra sé stesso adulto e sé stesso bambino, piu osto che
procedere alla loro integrazione.
Si delineano quindi, sin dagli esordi della vita mentale, due modalità
differenziate di apprendere dall'esperienza, o, come già abbiamo de o, di
accedere alla conoscenza: un po fa o di rispe o e di riconoscenza per le
fon del sapere che ci sono state messe a disposizione, intriso di tenerezza
e di sen men riparatori, ed uno spinto da impulsi predatori, arrogante ed
irriconoscente che tende più a distruggere che a riparare.
Nel leggere i seminari del corso di formazione, ho trovato gli stessi conce
in "Egoismo ed altruismo", al so o-capitolo "Ulisse e la spinta al viaggio”.
L'A., L. Angelini, riprende da un poeta greco, Kavafis, che io purtroppo non
conosco, la duplice mo vazione al viaggio che Ulisse intraprende per
soddisfare la sua sete di conoscenza: "da un lato la gioia che proviene dal
sen re, dall'osservare, dall'apprendere [...], dall'assaporare la vita;
dall'altra il livore, la noia, la vita vista come il ripetersi sempre uguale di
vecchie storie [...]. -
Questo complesso stato mentale spinge l'adolescente ad oscillare:
- verso il gruppo dei coetanei (= comunità adolescenziale)
- verso modalità sen mentali infan li (= comunità dei bambini dentro la
famiglia)
- verso il mondo degli adul (= comunità degli adul )
- o a rivolgersi dentro sé stesso (= l'adolescente isolato).
Sui mo vi delle difficoltà a sostare nella comunità degli adul ed in quella
dei bambini abbiamo già de o. La vita di gruppo - è un dato incontestabile
- è par colarmente importante per l'adolescente in quanto in essa possono
essere condivisi interessi, problema che, esperienze, mantenendosi
equidistan sia dal mondo degli adul che dal mondo dei bambini; è un
posto concreto nel mondo in cui l'adolescente può sen rsi libero di portare
avan una sperimentazione umana. La pologia della aggregazione che si
cos tuisce in questo caso è, peraltro, molto par colare in quanto il
compito è condiviso anche se non necessariamente tu lo portano avan
nello stesso tempo e nello stesso modo e presuppone una organizzazione
per la sua realizzazione.
La leadership, inesistente tra i pari, viene affidata di volta in volta ad una
persona - docente, operatore - che, pur non facendo parte del gruppo non
essendo né adolescente, né volontario, è però in grado di aiutarli ad
affrontare, per competenza riconosciuta le difficoltà del compito che si
sono propos . Si cos tuisce quindi un gruppo di lavoro che coopera per
svolgere al meglio i compi specifici da realizzare e ne consegue una
iden tà di gruppo. Ed è proprio nella appartenenza ad un gruppo, un
gruppo che si evolve, che tende a diventare maggiorenne in quanto pur
sperimentando la dipendenza acquista nello stesso tempo il senso della
propria autonomia, che l'adolescente può transitare con i minori pericoli
possibili a raverso questa epoca della vita. "La vita di gruppo - sono ancora
parole di Meltzer - offre un ambiente modulante di fronte al mondo adulto,
un ambiente dis nto dal mondo infan le, bene equipaggiato per condurre
gradualmente il flusso in fermento ad uno stato più cristallizzato".
Ma l'adolescenza non è solo l'epoca in cui si ha bisogno di condividere
esperienze, di scambiare opinioni, di riconoscersi in altri e di farsi
riconoscere; è anche l'epoca in cui si ama chiudersi in sé stessi, parlare,
sognare, fantas care dentro di sé: ognuno ha il proprio bagaglio di
esperienze solitarie alle quali dobbiamo riconoscere un
importante momento forma vo. Il rivolgersi verso sé stessi non è infa
necessariamente un fenomeno narcisis co, primario o secondario che sia,
ma può rifle ere anche quella "capacità di essere solo" che Winnico ha
considerato come “fenomeno altamente raffinato ed uno dei segni più
importan di maturità nello sviluppo affe vo". E' un essere solo un po'
par colare in quanto tale capacità, per rendersi disponibile, ha bisogno di
una
esperienza fondamentale senza la quale non si instaura: "l'esperienza di
essere solo da infante e da bambino piccolo, in presenza della madre. In tal
modo, scrive Winnico , la capacità di essere solo ha un fondamento
paradossale, e cioè l'esperienza di essere solo in presenza di un'altra
persona". E' un diri o, mi verrebbe quasi da dire un dovere, per ognuno di
noi, ma sopra u o per l'adolescente, potersi concedere anche questa
esperienza, aprirsi cioè ad "una vita privata che appar ene solo a noi e di
cui nessuno sa nulla". In questo luogo privato dentro di sé ed all'interno di
questa par colarissima capacità di essere solo, io credo vengano
rielaborate molte delle esperienze vissute nel mondo esterno, che hanno
una stre a corrispondenza con ciò che avviene anche nel mondo
intero; ed è sempre in questo luogo che' io credo l'esperienza del
volontariato possa assumere un suo originale significato. Proviamo, innanzi
tu o a pensare a questo bambino handicappato, a questo ragazzino con
cui entriamo in conta o tramite un rapporto che, come giustamente si
so olinea nel corso di formazione, "è un incontro che avviene in un luogo
preposto a questo ed è finalizzato ad uno scopo". Ma non è forse quel
bambino di cui noi dobbiamo occuparci anche quella parte di noi che è
uscita molto malconcia dalla perdita della illusione sulla onnipotenza e
sull'onniscienza e che sta aspe ando di essere "curata", in a esa di essere
acce ata, ma, sopra u o di essere aiutata da qualcuno a crescere? E
come si potrebbe dire a qualcuno che non fosse quella madre intera e
silenziosa che è disponibile dentro di noi nella nostra solitudine, che noi
siamo quel bambino handicappato che si oppone alle nostre cure e che è
così difficile da aiutare? Questo aspe o è esaurientemente ripreso da D.
Bertani nel seminario su "lo specchio impossibile: Problemi di
iden ficazione con i ragazzi handicappa " dove si legge: "La presenza di
una persona in difficoltà, di una persona dipendente, inadeguata,
inevitabilmente ci porta alla mente, ci evoca i nostri bisogni insoddisfa i
problemi non risol . Bisogni e problemi an chi, vecchi perché la persona
che abbiamo davan è grande e nello stesso tempo piccola, è un
adolescente, ma è come un bambino di 3, 4, 5 anni.
"Rappresenta, presen fica in maniera reale ed esasperata il fa o che
ciascuno di noi è grande ma si porta dietro, volente o nolente, anche il suo
essere piccolo, il suo essere adolescente e comunque il suo essere
bisognoso. E questo viene fa o riemergere a dispe o dei tenta vi di
annullare, rescindere i legami con il bambino che c'è dentro di noi, quello
che noi eravamo. "Il ragazzo handicappato che abbiamo davan ci fa
tornare alla mente elemen che sono anche nostri, che ci turbano e che ci
fanno stare male, che ci perturbano, che ci me ono in discussione, che ci
costringono a rivedere il nostro equilibrio, che ci fanno me ere in moto le
difese.
E tanto più gravi e grandi sono i problemi ed i bisogni tanto più massicce
devono essere le difese per preservarci dalla angoscia". E così, via via che si
procede nella le ura dei vari seminari, altri ogge di cura, a cui i volontari
si
dedicano, sembrano essere in grado di cos tuirsi come rece ori di aspe
propri deboli, incivili ed incol , rozzi, porta alla pigrizia, al furto, al
vagabondaggio, che rifiuta dentro di sé vengono proie a e vissu negli
altri ed in loro aiuta o comba u , a seconda della nostra maggiore o
minore capacità di acce arli. I nostri pregiudizi spesso si radicano proprio
nella nostra impossibilità ad amme ere di avere dentro di noi ciò che
odiamo negli altri. "Per fare un essere umano, scriveva Meltzer,
bisognerebbe riunire tu insieme i ruoli del gruppo: aggressivo, passivo,
avido, generoso..."; ed a questo potremmo aggiungere, parafrasando: "Per
fare un essere umano completo sarebbe necessario riuscire ad integrare
dentro di sé vizi e virtù, possibilità e mancanze, qualità esaltan e miserie
senza esserne distru dalla denigrazione, od esalta dalla negazione”. Ma
in questa esperienza di solitudine, sempre a quella madre interna e
silenziosa ma acce ante. noi possiamo anche confidare una opposta
rappresentazione del sé: non certo onnipotente, ma potente, non certo
onnisciente, ma desiderosa di conoscere, di proie arsi nella realtà e non
solo di viversi nelle fantasie e nei sogni ad occhi aper .
Certamente l'oscillazione tra onnipotenza ed impotenza, altro argomento
diffusamente tra ato nel corso di formazione, con nua a lungo dentro di
noi, ben oltre l'adolescenza prima di placarsi nella serena acce azione di sé
stessi; ma è anche vero che è proprio la possibilità di intravedere, nella
solitudine, delle mete desiderabili, di sognare la loro realizzazione, di
fantas care ciò che esse ci perme eranno di raggiungere, che ci fornisce
l'energia vitale per affrontare gli impegni, le non facili delusioni, le parziali
realizzazioni.
Ci sono di aiuto le iden ficazioni secondarie agli eroi del nostro tempo e se
di essi entrano a far parte anche alcuni di coloro che operano proprio nel
se ore dell'handicap, non credo che questo sia un gran male.
Iden ficazione a chi ha bisogno, iden ficazione a chi può soddisfare il
bisogno: è nella misura in cui queste opposte iden ficazioni riescono ad
integrarsi, a stare insieme senza che l'una distrugga l'altra, che si configura
uno di quei "pale " che, come hanno scri o i curatori della formazione dei
giovani volontari, segnano la via che dalla adolescenza porta all'età adulta.
Con quanto sin qui de o non voglio certamente negare che questa
esperienza di volontariato avvenga anche su un concreto piano di realtà in
cui l'altro, quello verso il quale si stanno indirizzando le nostre cure, è, di
per sé, un essere bisognoso di essere aiutato e non solo perché in esso
proie amo i nostri aspe indigen .
Una buona parte del corso di formazione concerne infa la descrizione
della patologia con cui si ha a che fare, in modo da riconoscere le
manifestazioni senza perdere di vista il sogge o che ne è portatore. Ma il
mio compito era prevalentemente quello di cogliere le disposizioni interne
che vengono messe in movimento e che tendono a placare la turbolenza
adolescenziale abbreviandone il percorso; a questo compito ho cercato di
dare una spiegazione in base alle mie possibilità e secondo un modello che
fa parte della mia formazione. A voi, e mi rivolgo sopra u o ai giovani che
partecipano a questo convegno, riconoscervi o meno in esso.
 
 
 
 
Gli autori

(nel 1995, cioè all'epoca della prima pubblicazione di questo testo):


 
Leonardo Angelini, psicologo psicoterapeuta, Ausl di Reggio E.
Deliana Bertani, psicologa psicoterapeuta, Ausl di Reggio E.
Maria (Mariella) Can ni, pedagogista, Ausl di Reggio E.
Don Vi orio Chiari, Responsabile Oratori ci adini e provinciali di
Reggio Emilia
Lorenza Davoli, Assessore alla Cultura sport, Proge o Giovani
della Regione Emilia e Romagna
Giulia Del Carlo Giannini, N.P.I., docente di Psicoterapia dell’età
evolu va
Marco Ferrari, Capo Gruppo AGESCI Scout
Giuliana Giache , Neuropsichiatra infan le, Ausl di Reggio E.
Carlo Menozzi, Dire ore OSEA Il Villaggio
Paola Orlandini, Logopedista, Ausl di Reggio E.
Carla Rinaldi, Pedagogista, Direzione Scuole per l'Infanzia di
Reggio Emilia
Fortunata (Tina) Romano, psicologa psicoterapeuta
Samuela Spaggiari, Capo Gruppo AGESCI Scout
Simona Valcavi, Atelierista, Insegnante Scuola Media Inferiore
Carlo Vasconi, Presidente dell'Associazione F.A.C.E. di Reggio
Emilia
 
 
Note

[←1]
L‘esperienza è nata nel 1990 quando c’era il settore di Neuropsichiatria
Infantile, psicologia della età evolutiva, riabilitazione. Attualmente, in seguito
alla riorganizzazione della Azienda U.S.L. di Reggio Emilia “Gancio
Originale” è un’attività che si colloca nei settori di Neuropsichiatria Infantile e
di Psicologia Clinica (N.d.R.).
 
 
 

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