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trasformazione
Autori | (a cura di) Leonardo Angelini, Deliana Bertani, Mariella Cantini
Copertina: Simona Valcavi
2022
--
Dino Angelini
Via Ettore Barchi 8 - 42123 Reggio Emilia
dinange@gmail.com
3497190911
Indice
Leonardo Angelini
Introduzione
Questo tolo è stato immaginato a seguito dei primi incontri che sono
avvenu nelle scuole: là dove serpeggiava una domanda sul po di
impegno che veniva richiesto e serpeggiava anche un dubbio in alcune
situazioni.
L'ho notato, sopra u o, nel primo incontro che abbiamo avuto con vostre
coetanee, con vostre colleghe, che non dichiaravano la loro disponibilità e
per questo si sen vano un po' in colpa. Quindi abbiamo pensato che
questo discorso della disponibilità o della non disponibilità, cioè tu o
quell'insieme di sen men e di emozioni di cui avete già parlato con la
Dr.ssa Bertani (l'iden ficazione con il ragazzo in difficoltà, il moto di
avvicinamento che ci unisce, che ci spinge verso di lui, etc.) possa essere
giocato in termini di eccessivo coinvolgimento. Con il rischio di oscillare fra
momen in cui ci si sente onnipoten e momen in cui ci sente impoten
di fronte al caso che abbiamo scelto di seguire.
L'onnipotenza, nel nostro caso, corrisponde al dato, al momento in cui uno
pensa: di fronte a questo ragazzo posso fare tu o, posso dare tu o me
stesso, tu a me stessa.
L'impotenza è corrispe va magari ad un momento successivo là dove,
nonostante questo moto di iden ficazione, di adesione alle problema che
del ragazzo, di fronte alla mancata crescita, al mancato sviluppo, al
mancato miglioramento, può intervenire un senso di impotenza.
Spesso ci può essere in mol (c'è in mol di noi professionis , quindi
figuriamoci se può non esserci nell'obie ore, nella volontaria) un oscillare
fra momen in cui ci si sente più onnipoten e momen successivi in cui ci
si sente impoten . E' per questo che noi diciamo nel so o tolo: "Scilla e
Cariddi sui cui scogli è facile andare ad infrangersi."
Questo non solo per chi, come voi, non ha una professionalità specifica che
perme a un avvicinamento, "un'alleanza per", su contenu già defini in
un mansionario, ma anche per chi ques contenu , questo mansionario, ce
l'ha. E' un pericolo che corriamo tu : lo psicologo, l'educatore, il
logopedista, il fisioterapista, il medico, etc.
Quindi, il tenta vo che farò stasera è quello di cercare insieme a voi
"qualche indicazione per una ro a che non ci faccia fare tan naufragi",
dando per scontato che qualche naufragio lo faremo sicuramente: lo
facciamo tu .
1) Il significato delle parole
Cercheremo di par re dal significato delle parole "onnipotenza" e
"impotenza".
Entrambe rimandano ad una parola-chiave che è "potenza".
Che cos'è la potenza? Andando a vedere sul vocabolario, viene fuori che il
termine potenza, potere, deriva dall'unione di due parole: "pot" che
significa signore ed "es" che significa essere; essere signore, padrone,
padroneggiare. Quindi, gli altri due termini, impotenza ed onnipotenza, si
spiegano abbastanza facilmente.
Impotenza: non essere signore, non padroneggiare, non sen rsi padrone di
qualche cosa. Onnipotenza (omnis pot esse): sen rsi signore di tu o, in
tu o e per tu o.
Quindi, come vedete, partendo dalla radice della parola, si può capire, si
può cominciare ad intuire qual è la problema ca derivante dalla
oscillazione fra onnipotenza e impotenza. E' un'oscillazione fra alcuni
momen in cui uno si sente signore e padrone di tu o ed altri in cui non si
sente padrone, in cui si sente "zero".
2) Onnipotenza - potenza - impotenza: di fronte a chi?
Ma di fronte a chi io mi sento onnipotente, potente o impotente?
Qual è l'en tà giudicante?
Perché evidentemente c'è qualcuno che sta giudicando se io mi sento
potente, impotente o onnipotente, c'è qualcosa dentro di me o anche fuori
di me.
Una prima risposta sta proprio in questo: c'è qualcuno, un'en tà che può
essere esterna a me o interna a me.
A volte, anzi, c'è una contemporaneità di presenze, di personaggi, alcuni
interni, altri esterni a me, che mi parlano.
Per cercare di capire meglio par amo da un esempio abbastanza classico: il
bambino che ruba la marmellata.
Il bambino che ruba la marmellata ha bisogno, all'inizio, di una mamma o
un papà, qualcuno che dica "no", che lo inibisca: "adesso aspe a un
momento, prima mangiamo il primo e il secondo e dopo mangeremo la
marmellata". Il bambino, cioè, all'inizio non ha un'istanza interna che gli
perme a da subito di autoregolarsi, di valutarsi. Quindi, all'inizio c'è
bisogno di un qualcuno di esterno che imponga degli obblighi, dei divie ,
che ponga dei confini, che definisca delle strade, dei sen eri e che definisca
delle priorità.
Alla fine di questo processo, se le cose sono andate bene, ques
personaggi diventano nostri, diventano interni, diventano cioè par di noi.
Il mio punto di riferimento scien fico è la psicoanalisi. Ebbene, secondo la
psicoanalisi, tale processo vien definito "introiezione", una specie di
incorporazione, non di cose fisiche ma di idee, di sen men , di emozioni,
di obblighi, di divie , ecc. ecc. Alla fine queste cose diventano nostre ma
c'è una tappa intermedia che è quella in cui ques personaggi sono
"esterni/interni"
Per farvi capire questo passaggio vi leggerò dieci righe di un libro che è
molto bello Perché è un'introduzione ai problemi psicologici del bambino
piccolo fra 0 e 6 anni, di una psicoanalista americana che si chiama Selma
Fraiberg.
La Fraiberg, per far vedere come nasce questa cosa, porta un caso di una
bambina che si chiama Giulia.
"Giulia, di 30 mesi, si trova sola in cucina mentre la madre è al telefono. Sul
tavolo c'è un vassoio pieno di uova. Giulia prova un impulso a fare delle
uova sba ute: allunga le mani sulle uova ma ora prova con uguale forza il
senso della realtà. Cioè la voce della madre. La madre non approverebbe. Il
confli o risultante nell'io si esprime nelle forme: "io voglio" e "no, non
devi"...... "Si riconoscono le ragioni di entrambe le par e sul momento si
arriva ad una decisione. Quando la madre di Giulia ritorna in cucina, trova
la figlia che rompe allegramente le uova sul linoleum e che rimprovera
aspramente se stessa dopo ogni ro ura: "Giulia! no, no, no! Non devi farlo!
no! no! no! non devi!"
A enzione! Questa è la mamma, la voce della mamma che sta entrando
dentro di lei.
Così il bambino che prende la marmellata che la mamma gli aveva proibito,
la mangia e dice: "no, no, la mamma non vuole! Non devi!"
Anche qui c'è una voce, "non devi", che per ora si rivolge a lui in seconda
persona e che è proprio la voce della mamma e che, alla fine, si
trasformerà in un "non devo".
A enzione ora al passaggio dal secondo stadio al terzo stadio. Nel secondo
stadio abbiamo un "non devi", nel terzo stadio, invece, quando questo
personaggio fra virgole e è diventato interno, abbiamo un "non devo, io
non devo".
Due parole ora sulla natura di questa madre (o di questo padre). E' chiaro
che non s amo parlando di madri o di padri nella loro interezza. Ques
personaggi, infa , (come poi quelli interni) sono par della madre e del
padre di ognuno di noi, par che, insieme ad altre par ed a ciò che deriva
dall'esperienza complessiva che il bambino va facendo, entrano in lui a
concorrere nella formazione della personalità.
3) MA CHE COSA FANNO I PERSONAGGI ESTERNI E QUELLI INTERNI ?
La terza domanda che mi sono posto è questa: ma cosa fanno ques
personaggi, esterni o interni che siano?
Ci valutano, ci s mano (l'autos ma, non dimen chiamolo, è ciò che ci
perme e poi l'impegno, ecc.).
Autos ma. Allora vediamo anche il significato di questa parola. Anche
questa parola deriva da un verbo: s mare. Gli Spagnoli dicono "es mar" e
sono un po' più vicini al la no di noi. E sì, perché anche s mare deriva dal
la no: "aes" più " mus".
Aes in la no significa "bronzo", "cosa preziosa". Timus è un suffisso che
indica l'esistenza di un superla vo. Quindi, il significato di s mare sarebbe
"ciò che è più prezioso". Pertanto, vedere e s mare stanno a significare:
vedere ciò che è più prezioso.
4) SPECCHI ESTERNI E SPECCHI INTERNI.
Quella parola, "vedere", ci ricongiunge poi al quarto punto; quindi, mi sono
de o, è come se avessimo dentro di noi uno specchio, anzi, una specie di
camera degli specchi.
Ci possono essere degli specchi esterni che sono l'insieme di quei
personaggi che nella nostra infanzia hanno contribuito a formarci, ad
educarci. Ma anche degli specchi interni e cioè l'insieme di tu quei
personaggi che si vengono ad accumulare dentro di noi, a par re dalla
nostra esperienza e dalla "diges one", dalla assimilazione, che
nell'esperienza concreta di tu i giorni facciamo dei personaggi esterni.
Quindi vediamo meglio cosa sono e come funzionano ques specchi.
Par amo dagli specchi esterni.
L'insieme degli specchi esterni che ci giudicano, ci s mano, può essere
diviso in due categorie: a) i personaggi ama ; b) i personaggi temu .
Prima di cominciare le presentazioni, però, vorrei ancora ricordare due
cose:
1- ques personaggi non sono mamma e papà in carne ed ossa, ma par di
essi;
2- non dobbiamo vedere ques personaggi in termini manichei: non è che
il personaggio amato dev'essere per forza la mamma e il personaggio
temuto il papà o viceversa ma, per dirlo con parole semplici, noi
prendiamo un po' tu o da tu .
Quindi, a enzione a non pensare mai a ques personaggi in termini
manichei, come se tu o l'amore venisse da una parte e tu o il more
dall'altra. Certo poi è chiaro che in famiglia c'è sempre una specie di
"divisione dei ruoli" fra i genitori, magari diversa da figlio a figlio. Ma se
andiamo a vedere bene dentro di noi quali sono le cose reali che abbiamo
ricevuto, vedremo che c'è sempre sia il primo po di personaggio interno,
che sarà il fru o di tu i personaggi esterni ama , sia l'altro po, quello
temuto, che sarà l'erede di tu i personaggi temu .
Veniamo ora ai personaggi ama .
Di fronte ai personaggi ama noi proviamo un sen mento di ammirazione.
La bambina di 3/4 anni vorrebbe tanto assomigliare alla mamma (alle par
della madre amata), la stessa cosa vorrebbe fare il suo coetaneo maschio
con il papà (con le par amate del papà). Ma poiché tali par sono quelle
che il bambino più ammira nel genitore, ne deriva spesso un senso di
emulazione ma anche un senso di inferiorità rispe o ad esse.
L'insieme delle problema che che nascono su questo versante ci riporta a
ciò che noi, che ci rifacciamo alla psicoanalisi, chiamiamo "Ideale dell'IO"
che, potremmo dire, è l'insieme di ciò che ci proviene da tu ques
personaggi ama .
Ciò che ci proviene, invece, dai personaggi temu è de o Super Io. In
poche parole è la coscienza morale, l'insieme degli ordini, degli obblighi,
dei divie , ecc. -
Sul modello dei personaggi temu si forma il senso di colpa, che noi
abbiamo già scorto nell'episodio della Fraiberg.
Qual è, infa , il passo successivo che farà Giulia fra un poco, fra qualche
anno? Che quando farà le marachelle si sen rà in colpa. Di fronte a chi?
Ora di fronte al personaggio temuto esterno, alla fine di fronte a se stessa,
di fronte ad un'istanza interiore (è il passaggio, cui accennavamo prima, fra
"non devi" e "non devo")
Quindi, riassumendo, dai personaggi ama ci viene il senso d'inferiorità,
dai personaggi temu nasce in noi il senso di colpa.
Raccontavo all'inizio che, in un'assemblea di 200 vostre colleghe, a un
certo punto è venuta fuori da una ragazza la domanda: "ma io veramente
non sono disponibile a fare, non ho tempo".
Al che ricordo che a noi conferenzieri venne da dire: "non si senta in colpa!
non si deve sen re obbligata!".
Evidentemente in quella ragazza era emersa una voce, un personaggio (non
sappiamo se interno o esterno) che l'ha fa a sen re in colpa.
Ritorniamo ai nostri specchi: il momento successivo è quello della nascita
di uno specchio interno.
Questo specchio interno è la risultante, il fru o delle iden ficazioni, delle
proiezioni, degli insegnamen che gli adul cui siamo affida me ono
dentro di noi.
Quindi, cosa succede? Che prima l'ideale dell'io è esterno, è una parte della
mamma e del papà e poi diventa nostro. Il Super-Io idem: all'inizio è
esterno, una parte della mamma, una parte del papà, poi diventa nostro.
Allora a enzione, lo specchio interno è quello che viene fuori da questo
processo di "diges one" di tu e le iden ficazioni, di tu e le proiezioni, di
tu gli insegnamen che ci vengono dalle persone importan della nostra
vita. Ed è a raverso quest'opera di "diges one", di amalgama, che si
formano queste due istanze che stanno dentro di noi e sono chiamate
Ideale dell'Io e Super Io.
A guardare bene, però, c'è un'istanza ancora più vecchia dentro di noi che
è l'Io Ideale, erede del narcisismo primario.
Cosa significa Io Ideale? Il bambino, quando è piccolo, in un certo qual
modo tende a ritornare all'omeostasi, a ritornare come se fosse ancora nel
ventre materno, in una posizione, quindi, in cui non ci sono s moli, non ci
sono pericoli, non ci sono rumori, non c'è fame: questo stato Freud lo
chiama "stato del narcisismo primario". E' una situazione di onnipotenza
totale, dove il bambino non ha bisogno di niente, che viene superata
a raverso l'azione di illusione-disillusione della madre che, a poco a poco,
porta fuori il bambino da questa condizione di totale onnipotenza ed
autosufficienza.
Però, diciamo così, esiste un erede, un discendente di quel narcisismo
originario che Freud aveva chiamato l'Io Ideale e che non ha niente a che
fare con l'ideale dell'Io.
L'Ideale dell'Io è l'erede dei personaggi ama .
L'Io Ideale ha come eredi quelle che noi chiamiamo le iden ficazioni
eroiche.
Farò un esempio, tra o dalla mia esperienza personale, per farmi
comprendere.
Il personaggio eroico è pico dell'adolescenza. Ebbene, in adolescenza, io
fantas cavo, prima di addormentarmi (badate! prima di ritornare, cioè, in
certo qual modo in una posizione di omeostasi), di diventare una specie di
storico al seguito di Annibale. Immaginavo di essere uno storico al seguito
di Annibale e che Annibale vincesse contro i Romani. Quindi, volevo
cambiare la storia. Si tra ava di un'idea assolutamente assurda, fuori dalla
realtà, che mi perme eva però di addormentarmi facilmente.
5) IL GRANDE MEDIATORE.
Personaggio amato, Personaggio temuto, Ideale dell'Io, Super-Io, Io Ideale:
se ci fossero ques personaggi e non ci fosse un mediatore fra ques
personaggi, le cose rischierebbero di me ersi molto male per noi. Ci
troveremmo, infa , in preda a delle tensioni al ssime, in una "babele" di
lingue, di ragioni le più diverse e controverse. Finiremmo col diventare o
schiavi di quello fra ques personaggi (e fra gli altri che ci sono dentro di
noi) che fa la voce più grossa, oppure nella più totale confusione.
Ma, in effe , cosa succede?
Succede che, a poco a poco, c'è una parte di noi che comincia ad emergere,
la parte più razionale, la parte che più tende a fare gli interessi della
globalità del nostro essere, e questo è l'Io: se dentro di noi prevalesse il
personaggio eroico saremmo tu in manicomio.
Poniamo, ad esempio, che la mia fantasia adolescenziale sia stata: io vorrei
essere grande come Napoleone. Se non ci fosse stato l'Io a dirmi che io
Napoleone non lo sono, molto probabilmente sarei diventato ma o.
Vorrei, in proposito, raccontarvi un episodio che mi è capitato all'inizio
della mia a vità di psicologo.
Dovete sapere che ven anni fa ho lavorato in montagna, per i primi due
anni. Venivamo giù al San Lazzaro per cercare di aiutare, ovviamente,
coloro che erano originari della montagna, sopra u o quelli che stavano
per uscire dal manicomio per sistemarli fuori nel territorio. Allora avevo la
barba, i capelli lunghi e mi sono trovato al Besta che è un reparto del San
Lazzaro. Era so o Natale: ricordo, appunto, che c'erano gli addobbi e siamo
anda da una donna che stava per uscire, doveva passare il Natale a casa.
Eravamo lì quando arriva un vecchio con la barba bianca, anche lui con i
capelli lunghi e tu o pieno di medaglie che, quando mi ha visto, ha de o:
"Oh, il Generale Giuseppe Garibaldi! Il Generale Comandante Giuseppe
Garibaldi!" Allora io avevo appena finito il servizio militare e sapevo come
ci si comporta in queste circostanze: "Comodo! Comodo!" gli ho de o
"Grazie Generale" mi ha risposto il vecchio e mi ha dato una medaglia.
Ecco, quel vecchio è dentro di me ancora adesso l'immagine vivente di cosa
succede quando il personaggio eroico non è in rapporto con un Io
sufficientemente forte e raziocinante.
Questa mediazione si esercita anche nel rapporto che l'Io ha con la realtà:
questo è importante perché l'Io fa da ponte, dice: "no, guarda che tu non
se Napoleone, tu non sei Garibaldi". Perché? Perché siamo nel 1992! etc.
Questo ragionamento, che a noi adul sembra una bazzecola, in effe è
fru o di una costruzione di un'istanza interna nostra - che è l'istanza di
mediazione - che è l'istanza che ci fa vivere in maniera equilibrata e che è
poi, come vedrete, quell'istanza che ci perme e di capire quando s amo
scantonando sull'onnipotenza o quando ci s amo abbassando,
deprimendo, nell'impotenza.
Quando le cose non vanno bene, spesso è proprio quando l'Io non
funziona, quando è debole, non in grado di esercitare un'opera che non è
solo di mediazione, ma anche di ancoraggio alla realtà.
Mi viene in mente quando, a Roma, il vincitore arrivava so o l'Arco di
Trionfo e c'era sempre uno dietro di lui che diceva: "ricorda che sei
mortale!" Ebbene, possiamo dire che quell'individuo, delegato dai Romani
a proferire quelle parole, rappresentava l'Io del vincitore e che quella voce
era la voce della realtà che dice: "guarda, è inu le che mon la testa".
L'Io, infine, oltre che avere a che fare con la realtà, deve confrontarsi anche
con le nostre pulsioni, con l'Es, con il nostro mondo pulsionale. Non
dobbiamo mai dimen care, infa , che noi apparteniamo al regno animale
e che, quindi, in noi c'è la "libido", la forza vitale, e la "destrudo",
l'aggressività, ed anche queste istanze sono in uno stato di perenne
tensione con tu gli altri personaggi.
Concludendo, quindi, il grande mediatore deve, in certo qual modo, fare
un'opera di mediazione e deve cercare di ordinare tu o questo insieme di
tensioni che ci sono dentro di noi.
6) IL NOSTRO ESTIMO
Esamineremo ora a entamente la figura qui di seguito:
Questa figura rappresenta il complesso dialogo
interno che avviene in ciascuno di noi, fra i vari
personaggi presen "sulla scena", ogni volta che
c'è da s mare quello che facciamo, pensiamo,
desideriamo.
Come vedete, sullo sfondo ci sono i personaggi
esterni: i personaggi ama e i personaggi temu .
Poi gli specchi interni: l'Ideale dell'Io che è l'erede
dei personaggi ama e il Super-Io che è l'erede
dei personaggi temu . E "in testa" gli eredi di
quell'Io Ideale dell'infanzia che sono le
iden ficazioni eroiche.
Per terra ho rappresentato la realtà (teniamo i piedi per terra!).
L'Io, infine, è quell'istanza che cerca di me ere d'accordo tu e le
preceden istanze.
Nella parte inferiore della figura ho cercato di evidenziare in che cosa
consiste la funzione di mediazione dell'Io fra le varie istanze perennemente
in tensione fra di loro.
Ho definito i personaggi ama e quelli temu con il termine di "imago
parentale" idealizzata e/o temuta, per ragioni che spiegheremo meglio in
seguito.
7) IL MEDIATORE E I SUOI RISSOSI CLIENTI
7a) Allora, se l'Io è in grado di fare da mediatore, vi è un dialogo fra tu
ques personaggi. Se, cioè, l'Io è forte, se è sufficientemente raziocinante,
allora c'è un equilibrio fra tu e queste istanze e la nostra personalità è
plas ca, nel senso che riusciamo a dare ascolto un po' all'una un po'
all'altra, in cer momen più all'una, in cer momen più all'altra, di
queste istanze. Quindi, non saremo rigidi.
Domanda:- Anche esternamente, rispe o alle altre persone?
Certamente, con noi stessi e con gli altri.
La plas cità è intesa sia in senso intrapsichico sia in termini relazionali.
Sia nel nostro mondo interno e sia con gli altri.
Il discorso è che gli altri hanno anche loro degli specchi. Facciamo un
esempio: se io vedo un bambino handicappato che sputa e se io ho
ricevuto una profonda repressione su questo piano, sono rigido con me
stesso con lo sputare, allora non riuscirò a controllare, ad acce are che lui
ancora non riesca a controllarsi. Allora sarò repressivo, per esempio,
oppure sarò lì fermo, imbambolato, ingessato (e, in ogni caso, tenderò a
dare delle risposte inadeguate).
Se, invece, i miei personaggi interni si sono forma plas camente, se c'è un
dialogo interno per cui anche il personaggio mio interno, diciamo così
"sporcaccione", ha diri o di emergere di tanto in tanto, allora riuscirò ad
essere molto più adeguato a quel compito di fronte all'handicappato.
Quindi, la plas cità è molto importante.
Ma se l'Io non è in grado di svolgere adeguatamente la funzione di
mediazione, cosa significherà?
Significherà che le tensioni che ci sono sempre si risolveranno senza la
mediazione dell'Io e questo è un guaio.
7b) Allora, semplificando molto, l'importante è che voi comprendiate che ci
può essere la prevalenza dell'uno o dell'altro personaggio, dell'una o
dell'altra istanza, per cui se prevale il personaggio amato, ci sarà
un'accentuazione delle problema che del senso di inferiorità. Per esempio,
ci può essere un personaggio amato molto alto, io non riesco a
raggiungerlo e allora mi sento oppresso da un senso di inferiorità.
Se io mi ficco in testa che devo diventare Presidente della Repubblica
perchè ho dentro di me una voce paterna, materna, ecc., che mi spinge
prepotentemente in quella direzione e poi non lo divento, se ho inves to
tu o su questo mi sento venir meno.
Può emergere il personaggio temuto e allora si ha un'accentuazione delle
problema che legate al senso di colpa.
Io seguivo un adolescente, in quei primi due anni di lavoro in montagna di
cui ho parlato prima. Ricordo che veramente mi fece un'impressione
tremenda, perchè ero all'inizio del mio lavoro.
Si tra ava di un ragazzo che aveva una serie di manie di persecuzione, cioè
un senso di colpa enorme. Ricordo la prima volta in cui io e lo psichiatra
siamo entra in casa sua, per una visita domiciliare. Si inginocchiò di fronte
allo psichiatra e disse, in diale o: - A son curiòs, a son gulòs -
Si autoaccusava "io sono curioso, io sono goloso", sono questo, sono
quest'altro: questo è, ovviamente, un caso in cui l'io non c'è più del tu o.
Se l'io sparisce totalmente, allora veramente, questa accentuazione può
dare adito anche a degli scompensi pesan ssimi.
Dell'accentuazione delle problema che della grandiosità abbiamo già
parlato in occasione dell'aneddoto del vecchie o del San Lazzaro che
pensava di essere un generale di Giuseppe Garibaldi.
Se, infine, è la nostra impulsività che prevale, allora ci troviamo di fronte un
po' a quello che succede nei delinquen , nei droga : cioè di fronte ad
un'impulsività che nessun'altra istanza è in grado di bloccare, per cui fra
pensiero e azione c'è un corto circuito, c'è un "agito", diciamo noi
tecnicamente, cioè, un agire senza riflessione.
7c) Allora, riassumendo, o il dialogo interno si frantuma in una rissa, o il
dialogo interno ci irrigidisce in comportamen ingessa .
Per esempio, ci potrebbe essere una cosa di questo genere: una richiesta
troppo forte di adesione ad un personaggio amato troppo alto, l'emergere
di un personaggio temuto che fa sen re in colpa perchè non l'hai
raggiunto.
Oppure ci si può irrigidire in comportamen ingessa . E' il caso di coloro
che mostrano una dedizione più o meno assoluta al fine di emulare un
personaggio amato o di ingraziarsi un personaggio temuto (dedizione per
colpa), oppure ci può essere il confronto con un personaggio eroico.
In conclusione, la perdita di un Io che in un certo qual modo pone dei limi
alle cose, può far emergere anche questo po di personaggi che sono
"paren " della vostra dedizione al volontariato, all'obiezione, ecc. Qui mi
ricollego di nuovo alle cose che avete ascoltato dalla Dr.ssa Bertani
sull'"alleanza per" perchè non dobbiamo diventare tu dei missionari che,
per emulazione, per colpa o per confronto con qualche "personaggio
eroico" che è dentro di noi, perdono il senso e il limite del loro impegno.
7d) Alcune note finali.
Prima nota: è importante che i personaggi idealizza siano effe vamente
introie a o meno. Cioè, a enzione, che i personaggi idealizza ,
personaggi ama e personaggi temu insieme, siano veramente
interiorizza ; quel processo per cui, a un certo punto, il bambino non ha
bisogno, non deve più dire a se stesso: "tu devi", ma "io devo". Questo è
molto importante.
Perchè? Perchè se questo non avviene, su questa mancata introiezione si
innescano problema che che sono in mol di noi, per cui noi s amo
sempre aspe ando il "bravo" dell'altro, della persona che conta, del capo.
Se non abbiamo un'introiezione di questa istanza, se cioè il personaggio
amato e il personaggio temuto non sono sta introie a dentro di noi,
passeremo tu a la vita a cercare il "bravo" da qualcun altro che
rappresenta gli eredi del papà e della mamma (e sono queste le famose
"imago parentali" idealizzate e/o temute cui si accennava prima).
E' importante, inoltre, che l'area della grandiosità non sia troppo invasiva,
altrimen l'altro, il diverso da me, esiste solo come eco delle mie parole,
come specchio che deve confermare la mia grandiosità. Ad esempio, se
uno è molto pieno di sè, di fronte ad un insuccesso o finge di non vederlo,
fa la poli ca dello struzzo, oppure si arrabbia e dà la colpa a chi gli sta
vicino.
Questo è un comportamento ingessato, appar ene all'area dei
comportamen ingessa .
Ul mo punto: è importante che i personaggi siano effe vamente presen
perchè, altrimen , entriamo nel regno dei comportamen an sociali. Se
c'è un'assenza di personaggi interni (il personaggio temuto, il personaggio
amato, l'ideale dell'Io e del Super-io, ecc.) c'è la probabilità che nasca un
comportamento an sociale, delinquenziale. Se io non ho un'istanza interna
che mi dica: "queste cose non si fanno", se io non ho un personaggio
interno che mi dice: "rubare i soldi dalla macchina automa ca è un reato,
non si fa", alla prima occasione cercherò di farlo.
Chiaramente, se poi entro in un gruppo in cui tu e queste cose, ques
comportamen an sociali, sono esalta , se non ho alle spalle una famiglia,
ecc. ecc., alla fine diventerò un delinquente.
8) IL MEDIATORE, I SUOI RISSOSI CLIENTI E LA REALTA'.
Ul mo punto.
Anche qui date un'occhiata a questa figura: le
due re e con nue sono le nostre Scilla e Cariddi
(i nostri limi e le nostre possibilità). La linea
ondulata (a) rappresenta quella che io ho
definito la visione realis ca di sè: è
l'autovalutazione che parte dall'essere consci
delle proprie possibilità che sono dinamiche e che sono diverse (le mie
sono diverse dalle tue, ecc.).
Ho scri o "qui e ora" perchè io adesso ho queste possibilità. Domani, se
studio, se approfondisco il mio sapere, avrò più ampia possibilità.
La stessa cosa vale per i miei limi . Ho reso la linea (a) ondulata perchè
avere un comportamento plas co significa sen rsi a volte più vicini ai
propri limi , a volte alle proprie possibilità.
Vediamo ora cosa succede quando le cose non vanno bene.
Ci possono essere due pi di visione irrealis ca di noi stessi: la prima è
quella che qui ho definito come visione troppo elevata; la seconda come
visione troppo bassa.
Abbiamo già visto che il comportamento plas co è quello in base al quale a
volte mi sento un po' più vicino alle mie possibilità, a volte più vicino ai
miei limi , ecc., ma all'interno del quale, grosso modo, mantengo una
visione realis ca di me.
Ci sono però alcuni (b) che hanno stabilmente una visione troppo bassa di
sè, ed alcuni (d), infine, che hanno una visione di sè oscillante: in cer
momen , cioè, si sentono "zero via zero" e, in cer momen , si sentono
dei "Padreterni".
Questo è il rischio che voi correte giornalmente, che tu noi che lavoriamo
con gli handicappa corriamo ogni giorno, perchè abbiamo a che fare, per
esempio, con dei pazien che non guariscono. Cioè, a enzione! badate! un
paziente che non guarisce, paradossalmente, può s molare la nostra
onnipotenza. (Inguaribile? Vedrete! Quando intervengo io vi faccio vedere
io cosa faccio!).
Poi ci sono alcuni fra di noi che con questa onnipotenza ogni tanto ci fanno
i con , altri invece che non si so opongono mai ad una prova di realtà ed
altri ancora che hanno questa oscillazione.
Vediamo meglio queste qua ro posizioni:
- la prima è la dimensione (a), quella che io ho chiamato la dimensione
della propria potenza: "io sono signore di me stesso perchè conosco le mie
possibilità e i miei limi e mi valuto in base a quelli".
Ad esempio: so di poter dare questo al tal bambino handicappato e non
quest'altro perchè troppo elevato per le mie possibilità. D'altro canto io
non posso dare quello perchè è troppo alto, ma non è vero che non posso
dare niente, qualcosa posso dare. Ho studiato, so scrivere bene in italiano e
posso fare da insegnante per il pomeriggio per il tal ragazzino a rischio.
Questo è il modo di ragionare, di valutarsi, di un volontario che è "signore
di se stesso"
La seconda strategia (b) è quella di chi si sente stabilmente onnipotente.
Facciamo un esempio di quello che accade, in questo caso, sul piano
relazionale. L'altro (il bambino, l'Amministrazione, la famiglia) deve
rispecchiare la mia grandiosità, altrimen ...!
E qui gli esi possono essere diversi: si va da una situazione di po
allucinatorio dove il riabilitatore ad esempio, "vede" progressi che non ci
sono, fino al comportamento ansioso di chi, per veder confermata la
propria onnipotenza, si deve so oporre a con nue prove.
Oppure possiamo scegliere la strategia "c" che è quella di chi si sente
stabilmente impotente.
Quando noi ci sen amo impoten , spesso siamo in depressione perchè
abbiamo un lu o. Ad esempio, io ho perso la potenza, presupponevo di
averla ma l'ho persa. Allora sono in lu o, sono in depressione, perchè
piango la mia potenza perduta. Ma non tu sopportano la depressione, la
sofferenza per il lu o. Al suo posto ci può essere, per esempio, rabbia e
a acco verso l'altro.
Facciamo un esempio sempre legato ai bambini handicappa .
I familiari dei bambini handicappa , subito dopo la diagnosi, spesso hanno
un a eggiamento maniacale. Si illudono che il loro figlio possa guarire e
girano tu gli specialis , i maghi, i guaritori finché, magari, non trovano
qualcuno che li prende in giro. Alla fine, vanno in crisi. Ebbene, da questa
crisi, da questa depressione, a volte può finalmente nascere un
cambiamento importante in loro verso il proprio figlio, un a eggiamento
realis co e riparatorio.
A volte, però, ciò non accade.
Una delle reazioni piche della famiglia è l'a acco all'équipe curante. "Voi
dovevate dare di più" ci dicono "La situazione non va avan perchè voi
siete incapaci, perchè voi non ce la fate".
Ecco una situazione in cui, pur di non riconoscersi impoten di fronte alla
guarigione del proprio figlio, l'impotenza si trasforma in rabbia.
M. Can ni: "Ma forse per i volontari il discorso è un po' diverso dal punto
di vista della gra ficazione, del riconoscimento da parte del genitore!"
"Sì, è vero, per loro si tra a di un pa o, di un contra o specifico"
M. Can ni: "E' un servizio di volontariato, quindi una cosa in più rispe o a
quello che l'Ente pubblico offre e, per questo, i genitori coi quali avete a
che fare non sono aggressivi nei vostri confron . Semmai lo saranno nei
nostri."
Una volontaria: "Questo comportamento lo possiamo avere noi normali,
diciamo, ma anche gli handicappa ?"
"Sì, sì"
"E allora volevo chiedere, una bambina che vive in un mondo tu o suo
come si fa a comprenderla?"
"Beh, dobbiamo stare a en , perchè a volte sono i mezzi espressivi che gli
handicappa non hanno adegua . Per esempio, può essere che manchi il
linguaggio verbale, allora il problema è leggere il loro comportamento non
verbale per capire qual è il po di strategia che loro usano.
Facciamo un esempio: al "Proge o 10" c'è un handicappato, che
chiameremo Francesco, il quale è un po' sul versante della grandiosità,
pensa di essere il più bravo. A livello mentale è poco più che un bambino,
cioè ha un'età mentale che non è corrispondente all'età anagrafica e, in
più, non ha una gran capacità di autoconsapevolezza. Ciò nonostante,
presenta delle problema che legate alla grandiosità poichè, la pur vaga
autoconsapevolezza che ha, lo porta a rappresentarsi mentalmente ed a
riconoscere dentro di sè tu o l'insieme di personaggi di cui, fin qui,
abbiamo ampiamente parlato.
L'ul ma strategia (d) è rappresentata dalla oscillazione tra onnipotenza e
impotenza.
Ad esempio, ci può essere un passaggio da una fase 1 in cui io mi bu o a
pesce (a enzione a questo punto poichè ciò succede meno spesso al
volontario) ad una fase 2 in cui rimango deluso, per poi tornare ad una fase
1 in cui mi ribu o a pesce e poi ancora in una fase 2 in cui rimango ancora
deluso, e così via.
Ci possono essere storie che, addiri ura, vanno avan all'infinito in questa
oscillazione! E qui, cos'è che manca? Manca il passaggio ad una visione
realis ca dei propri limi e delle proprie possibilità.
Questo non sca a mai perchè fare un esame di realtà, vedere quali sono i
propri limi e le proprie possibilità per cer individui è troppo doloroso. Ci
sono persone che, pur di non vedere i propri limi e le proprie possibilità,
con nuano perennemente ad oscillare. Ed anche queste non sono storie
troppo lontane da noi, perchè, ad esempio, anche il nostro servizio, anche
le scuole materne comunali di Reggio Emilia, anche le giovani
professionalità come quella dello psicologo e dell'educatore (come la
vostra esperienza che sta per cominciare) sono so opos e, direi, sospin ,
ad oscillare, rinunciando spesso ad un confronto con la realtà che, se pur
doloroso, è l'unica àncora che invece abbiamo per non montarci la testa
(ricordiamoci anche noi di essere mortali) o per non sen rci "zero via zero".
Cosicché l'indicazione finale è: a enzione a quelli che sono i nostri limi e
le nostre possibilità a uali, perchè solamente così diminuiremo il rischio di
fare tan naufragi. Ciò non vuol dire che non ne faremo più, anzi,
con nueremo a farne "allegramente" ogni giorno ma diminuiremo, se non
altro, il rischio di farne troppi e, sopra u o, di rimanere sempre in preda
ad una visione irrealis ca di noi.
BIBLIOGRAFIA
BERTANI D. (1992) "Il rapporto adulto-bambino. La necessità di definire una "alleanza
per..." nella presente collana.
CHASSEGUET SMIRGEL J.V. (1991) "L'ideale dell'Io", Raffaello Cor na Ed., Mi
DEVOTO G. (1979) "Avviamento all'e mologia italiana", Mondadori, Milano
FRAIBERG S. (1974) "Gli anni magici", A. Armando, Roma
GRINBERG L. (1978) "Colpa e depressione", Ed. Il Formichiere, Milano
KOHUT H. (1976) "Narcisismo e analisi del sè", Boringhieri, Torino
LAPLANCHE e PONTALIS (1968) "Enciclopedia della psicanalisi", Laterza, Bari
cfr. sopra u o le voci: Ideale dell'Io, Io, Io Ideale, Narcisismo, Super-Io.
MANCIA M.(a cura di) (1979) "Super-Io e Ideale dell'Io", Il Formichiere, Milano
NAPOLITANI D. (1987) "Individualità e gruppalità", Boringhieri, Torino
Per saperne di più sulla patologia
Giuliana Giache
Paralisi Cerebrali Infan li
Il termine Paralisi Cerebrale Infan le (PCI) sta per una patologia che
coinvolge il movimento (paralisi) originata da un danno al cervello
verificatosi prima, durante o poco dopo la nascita.
Il danno (sofferenza fetale, durante il parto o poco dopo) produce una
distruzione di sostanza cerebrale ed è irreversibile.
A seconda della sede e della estensione della perdita di sostanza cerebrale
si hanno le varie forme di PCI, con varie pologie di disturbo del
movimento e di problemi associa .
La classificazione delle PCI a seconda della sede della paralisi riprende la
classificazione delle paralisi negli adul :
1) EMIPLEGIA: paralisi degli ar di un lato del corpo (ad es. braccio e gamba
destra) e, precisamente, il lato opposto a quello della lesione cerebrale
che, in questo caso, coinvolge un solo emisfero. Proprio perchè è colpita
solo una metà del cervello, le funzioni più elaborate della parte lesa
possono con facilità, in un cervello ancora molto immaturo e plas co,
essere sos tuite dall'emisfero sano ed è per questo che, di solito, ques
bambini non hanno complicazioni nella sfera cogni va.
La paralisi dell'arto inferiore non impedisce l'acquisizione del cammino
autonomo, anche se questo appare incerto e asimmetrico per lo schema di
spas cità della parte compromessa (piede in punta, ginocchio ed anca
flessi). Anche l'arto superiore pare co presenta lo schema spas co: intra-
rotazione, flessione del gomito, del polso e delle dita.
Il bambino impara ad usare per tu e le a vità l'arto sano e a non
coinvolgere, quasi a dimen care, quello paralizzato.
ATASSIA: in questa forma il danno ha sede nel cervelle o e si manifesta
prevalentemente con difficoltà di equilibrio e di coordinazione dei
movimen . Il cammino viene acquisito con molto ritardo, quando il
bambino riesce a trovare strategie per compensare le difficoltà.
DIPLEGIA: sono colpi i due ar inferiori, entrambi spas ci, mentre la parte
superiore del corpo appare indenne.
Anche ques bambini imparano a camminare senza suppor , pur
mantenendo una modalità di cammino molto par colare e cara eris ca: in
punta di piedi, con le ginocchia e le anche flesse ed il bacino oscillante.
Molto spesso sono bambini di intelligenza normale.
Talvolta possono essere presen disturbi associa che descriverò in
seguito.
TETRAPLEGIA: sono interessa dalla paralisi tu e qua ro gli ar . A
seconda della sede e della gravità della lesione, che comunque coinvolge
entrambi gli emisferi cerebrali, gli ar superiori possono essere poco
interessa , oppure possono essere anch'essi molto compromessi. Spesso è
presente una differenza di gravità fra i due la del corpo.
Nella tetraplegia è sempre presente il coinvolgimento del tronco che è
ipotonico, mentre gli ar sono rigidi, ipertonici (cioè spas ci) o distonici
(con un tono flu uante fra la rigidità e l'ipotonia). La mancanza di un
sufficiente tono del tronco è la causa principale dell'incapacità del bambino
ad assumere posizioni sempre più ver cali, come dovrebbe avvenire nello
sviluppo normale. Quindi, il bambino con tetraparesi impara molto tardi a
reggere e a controllare la testa nello spazio, a sollevarla da prono, a stare
seduto e poi in piedi. Queste tappe, nei casi più gravi, non vengono mai
raggiunte.
E' quasi sempre compromessa la mo lità degli occhi (strabismo, incapacità
di muovere gli occhi intenzionalmente) e della bocca (difficoltà ad
inghio re, mas care, parlare).
Se la compromissione degli ar superiori è seria da entrambi i la , ques
non possono venir usa per manipolare, conoscere, giocare, mangiare,
scrivere, ecc. Questo, insieme all'incapacità di spostamento autonomo,
rende ques sogge completamente dipenden .
Disturbi associa nella PCI
In modo spesso indipendente dalla gravità della compromissione motoria
fin qui descri a, ma dipendente dalla sede del danno che, in queste forme,
è spesso esteso sia alle zone so ocor cali del cervello che ad aree della
corteccia cerebrale, sono spesso presen , in modo variamente combinato,
disturbi associa .
DISTURBI PERCETTIVI: cioè della percezione del corpo nello spazio come
corpo separato, autonomo.
Ques bambini hanno una grande angoscia rispe o alla separazione dal
corpo della madre, che li con ene e sos ene, che si manifesta come
con nua paura di cadere e che interferisce pesantemente con la loro
inizia va, intenzionalità nell'agire, mo vazione all'autonomia e, quindi, con
le possibilità di riabilitazione, per lo meno per i primi 6/7 anni di vita.
AGNOSIE: incapacità di integrare i da della percezione per a ribuire
significato ai da trasmessi al cervello dagli organi di senso: sento un
rumore ma non riconosco lo squillo del telefono, vedo un ogge o metallico
con qua ro punte ma non so che serve per mangiare e si chiama forche a.
Le agnosie visive, in par colare, sono abbastanza frequen e producono
una notevole difficoltà a conoscere la realtà e, quindi, ad acquisire
autonomie.
DISPRASSIE: si riconoscono clinicamente dalla impossibilità di eseguire un
gesto su comando o su imitazione.
La difficoltà è di programmare la sequenza motoria necessaria a
raggiungere uno scopo.
Per ques bambini è estremamente difficile imparare a fare qualsiasi cosa
(compiere un percorso, aprire una scatola, usare un gioca olo, accendere
un fiammifero, copiare un quadrato o una le era dell'alfabeto) finché non
sia stata insegnata, in modo specifico, in ogni componente e ripetuta
infinite volte, fino a diventare automa ca e a non richiedere, quindi, più il
pensiero e la coscienza per essere compiuta.
DISTURBI DI LINGUAGGIO.
Il linguaggio è una competenza complessa della mente umana e richiede
per realizzarsi l'integrità di varie stru ure che, nella PCI, possono essere
alterate in modo se oriale o variamente combinato:
1) Può essere alterata la capacità ar colatoria per la compromissione
motoria delle stru ure fonatorie ed ar colatorie necessarie; il linguaggio è
presente ma risulta incomprensibile perchè la pronuncia è pessima.
2) Può essere compromessa la capacità di programmare in corre e
sequenze i suoni all'interno della parola o le parole nella frase: la pronuncia
può essere corre a, ma ci sono inversioni di suoni o di par del discorso.
3) Ci possono essere difficoltà ad esprimersi in modo gramma calmente o
sinta camente corre o: mancano ar coli e preposizioni, i verbi sono mal
coniuga , la frase è molto semplificata e scorre a.
4) Può mancare la capacità simbolica necessaria allo sviluppo del
linguaggio, cioè la capacità di considerare un suono ar colato (parola)
come segno di qualcos'altro (ad es. un ogge o).
Per esempio: vedo una cosa che si me e nel piede. Sia quelle che si
me ono al mio piede, che quelle della mamma, che quelle che ho visto
illustrate sul giornale, vengono chiamate da tu “scarpe”; quindi, anch'io
tenterò di imparare ad usare questo suono quando voglio designarle. Se il
bambino non compie questo salto cogni vo, non può sviluppare la
competenza linguis ca.
Queste difficoltà possono essere presen isolatamente o, più spesso,
combinate fra loro, come pure con difficoltà se oriali di le ura, scri ura,
logica, conce ualizzazione, ecc. Va anche considerato che il serio problema
motorio, di per sé, (intervenendo su un individuo in sviluppo in una fase in
cui la motricità è il mezzo privilegiato di conoscenza e di definizione di sé e
del mondo, strumento di autonomia e di crescita psicologica) incide
pesantemente sulla maturazione e sullo sviluppo dei processi cogni vi e
sull'armonico sviluppo della personalità.
INSUFFICIENZA MENTALE
Può essere anche definita: Ritardo mentale, Deficit Intelle vo, Deficit
Cogni vo, a seconda degli autori e delle scuole.
In effe , durante l'età evolu va, si manifesta in gran parte come ritardo di
tu e le acquisizioni matura ve dell'individuo e, dall'en tà del ritardo, si
può misurare la gravità del deficit intelle vo e, quindi, valutare la
prognosi.
Oltre al ritardo è, però, sempre presente una certa disarmonia o
eterocronia, cioè le varie linee di sviluppo(motricità, linguaggio, capacità di
gioco, capacità sociale, sviluppo psico-affe vo) non hanno un ritardo
omogeneo e questo complica ulteriormente il rapporto del ritardato
mentale col mondo della conoscenza e degli affe .
Il conce o di insufficienza mentale è storicamente associato all'uso dei test
d'intelligenza, insieme di prove standardizzate, cioè tarate su migliaia di
individui, che definiscono l'età mentale di un sogge o, ovverosia a quale
età mentale corrispondono le sue prestazioni. Sono sta molto cri ca
perché è difficile che i risulta non risentano di implicazioni culturali
(risponde meglio il sogge o meno svantaggiato dal punto di vista culturale
o sociale); perché, essendo somministra in modo rigido, non tengono
conto della condizione emo va e dell'aspe o della mo vazione o interesse
ad una a vità (per cui io so che un bambino non ha risposto, ma non so
perché, cioè se questo ha a che afre con l'intelligenza); perché non
consentono di individuare come quel bambino può imparare meglio, cosa è
pronto ad imparare, qual è la sua area di sviluppo potenziale.
Per ques mo vi i test sono inu li a catalogare sogge ma non a
riabilitarli.
Stabilire in un sufficiente mentale le potenzialità e le modalità più idonee di
apprendimento è, invece, indispensabile allo scopo forse più importante
nell'educazione e nella riabilitazione di ques sogge : fare le proposte
giuste, adeguate alle capacità del sogge o; non troppo facili perché
produrrebbero caduta di interesse, né troppo difficili perché causerebbero
eccessiva frustrazione, oltre a non perme ere un reale processo cogni vo.
Per fare questo è comunque indispensabile farsi un'idea della gravità del
ritardo. Questa è stata storicamente definita, per comodità di
classificazione, in tre grandi categorie: ritardo mentale grave, medio e lieve
anche se, naturalmente, il passaggio dall'una all'altra è sfumato.
Il ritardo mentale grave comprende quei sogge , che al termine dello
sviluppo cogni vo (all'incirca alla fine dell'adolescenza), hanno raggiunto lo
sviluppo di un bambino di 2-3 anni circa; talora anche meno per i sogge
gravissimi.
Sono bambini che iniziano molto tardi a camminare e ad esplorare
l'ambiente e con nuano a farlo in modo goffo e poco efficiente. Il
linguaggio può non venir acquisito o restare molto rudimentale, come
appunto quello di un bambino piccolo. Non sono possibili acquisizioni di
po scolas co convenzionale (le ura, scri ura, ecc.).
Lo sviluppo psico-affe vo può essere disarmonico rispe o alle altre
competenze, producendo confusione ed incertezza rispe o all'iden tà
personale e al senso di realtà.
Talora mancano le autonomie personali elementari (controllo degli sfinteri,
alimentazione, cura della propria persona) che, comunque, sono fra gli
obie vi principali del programma educa vo e riabilita vo, assieme alla
promozione di una migliore comunicazione e di uno sviluppo della
personalità il più possibile ada ato ed armonico.
Il ritardo mentale medio (dis nguibile in medio-grave e medio-lieve)
comprende sogge che, al termine dello sviluppo, hanno raggiunto
capacità fra i 4 e i 7 anni circa di età mentale.
L'evoluzione è anche qui molto lenta e spesso disarmonica fra le varie linee
di sviluppo. Per esempio, un bambino - insufficiente mentale medio - di 5
anni di età, potrebbe avere capacità motorie paragonabili ai 4 anni, il
linguaggio di un bambino di 18 mesi (spesso il linguaggio è più
compromesso rispe o alle altre competenze), capacità di gioco e rispe o
delle regole sociali più vicine ai 3 anni.
Ques bambini hanno uno sviluppo del linguaggio variabile ma, in genere,
sufficiente ed una discreta capacità comunica va, pur restando povero dal
punto di vista sinta co e superficiale nel contenuto.
E' acquisibile la capacità di compiere operazioni manuali finalizzate ed
ordinate in sequenze, sia nell'ambito delle autonomie personali elementari
(che vengono acquisite abbastanza bene se si svolge un buon lavoro
educa vo) sia, più tardi, rispe o ad autonomie più evolute: andare in un
negozio a fare acquis avendo una conoscenza superficiale dell'uso del
denaro, prendere un mezzo pubblico per compiere un percorso definito e
rou nario, svolgere un'a vità lavora va ripe va, sia pure con modalità
prote e.
Le capacità scolas che saranno probabilmente limitate ad alcuni
meccanismi: leggere in modo lento e poco funzionale o anche solo
conoscere le le ere e scrivere so o de atura le era per le era, contare
ma senza la capacità di operare con le quan tà, disegnare in modo
stereo pato.
Tu o questo sarà possibile se il processo di crescita sarà accompagnato da
un contesto di aspe a ve adeguate, che valorizzi le autonomie personali
acce ando, nel contempo, i limi inevitabili.
Il ritardo mentale lieve comprende ragazzi che possono raggiungere
capacità paragonabili agli 8-11 anni circa di età mentale.
In ques sogge lo sviluppo motorio può essere abbastanza nella norma. Il
linguaggio, invece, è generalmente in notevole ritardo, ma viene poi
acquisito in modo abbastanza completo, anche se possono mancare le
stru ure sinta che più complesse. Le difficoltà diventano più pesan con
l'ingresso alla scuola elementare dove le competenze da acquisire si
spostano sempre più dal piano pra co a quello simbolico e conce uale.
Le autonomie personali e le capacità sociali di ques sogge sono
sufficientemente adeguate, anche se c'è il rischio di disturbi del cara ere e
del comportamento quando lo squilibrio fra potenzialità reali e richieste
dell'ambiente pesa troppo su una stru ura psicologica ancora immatura e
fragile.
Raggiungono le competenze scolas che di base (le ura, scri ura, calcolo
semplice) e, se viene mantenuta una discreta stabilità psicologica, anche
una certa capacità lavora va come svolgere semplici mansioni in modo
autonomo e, in certa misura, produ vo.
Pseudo-insufficienza mentale
Esprime il conce o di un ritardo di competenze dovuto, non ad una
irreversibile mancanza di stru ure cogni ve, ma a carenze ambientali,
culturali o sociali o a difficoltà psicologiche che impediscono il
raggiungimento del potenziale intelle vo.
Quando la difficoltà è di origine psicologica si usa il termine di inibizione
intelle va.
L'importanza di una diagnosi corre a sta nel fa o che, un ritardo
determinato da fa ori ambientali, può essere compensato da interven sul
contesto ambientale (esperienze posi ve e s molan , provvedimen
sociali, recupero scolas co, intervento sull'ambiente psico-affe vo, ecc.).
Va comunque so olineato che, col passare del tempo, le carenze
ambientali, determinando una grave povertà di esperienze, producono
difficoltà cogni ve non completamente reversibili, così che dis nguere il
vero ritardo mentale lieve da una pseudo-insufficienza mentale diventa ad
una certa età molto difficile.
L'osservazione del diverso da me: guardare, sen re, vedere
Deliana Bertani
Il tema di questo incontro è "L'osservazione del diverso da me: guardare,
sen re, vedere" ed è, per mol versi, la con nuazione dell'incontro
dell'anno scorso.
Innanzitu o perchè abbiamo scelto questo tema: ci sembrava di vitale
importanza nell'incontro che avviene fra voi e l'individuo, cioè il ragazzo col
quale svolgete il vostro lavoro di volontariato.
Vediamo di entrare nell'argomento.
Cosa significa osservazione?
Osservazione è conoscenza, costruzione, possibilità, metodologia
a raverso la quale portare avan un obie vo, un lavoro.
Chi è che osserva? Chi è l'osservato?
Direi che possiamo fare una prima osservazione: chi osserva è qualcuno
(un volontario nel nostro caso) che rappresenta in quel momento una
specie di "organizzatore di obie vi", rappresenta, cioè, qualcuno che
rende possibile il compimento di esperienze mediante il proprio fare delle
cose sulla base di un proge o, basandosi sulla conoscenza dell'altro che ha
di fronte.
Come si acquisisce questa conoscenza? Stando con il ragazzo, sentendolo e
sentendosi con lui. La conoscenza che si acquisisce mediante tu a questa
serie di azioni si può definire con un unico termine: conoscenza acquisita
mediante l'osservazione.
Se non osserviamo la persona, l'individuo che abbiamo di fronte,
evidentemente non riusciamo a sapere, a capire, a conoscere chi è
quest'individuo, non riusciamo a sapere quello che con questa persona
possiamo o non possiamo fare.
Allora, che significato ha l'osservazione?
Possiamo dire che ha un significato a vo ed uno passivo.
A vo in quanto dovremmo cogliere le proposte che l'individuo che
abbiamo di fronte ci lancia: quello che fa, perchè lo fa, come vuol fare certe
cose, quello che vuole o non vuole fare, i suoi sen men . Quindi a vo
perchè dobbiamo stare a en per vedere, per sen re, per capire.
Passivo perchè tu o questo (l'azione) passa a raverso chi osserva,
a raverso la nostra esperienza, la nostra emo vità, la nostra storia,
insomma passa a raverso noi stessi.
Capita che, di fronte ad uno stesso evento, voi date un'interpretazione
mentre il vostro amico ne dà una diversa. Questo avviene non perchè in
quel momento il vostro amico "dava i numeri", ma perchè le stesse cose
acquistano un significato diverso a seconda di chi le guarda, di chi le
osserva. Quindi passivo perchè tu o quello che avviene viene filtrato
a raverso noi stessi, la nostra esperienza, le nostre emozioni.
Vi sarà capitato di notare, per esempio, che la stessa cosa se siete
tranquilli, felici, sereni, ha un significato, se siete arrabbia ne ha un altro.
Quindi chi osserva è una figura determinante rispe o all'azione
dell'osservare.
Riprendiamo un conce o sul quale ci siamo sofferma l'anno scorso: il
lavoro che voi fate (volontari, obie ori, voi ed io) ha per ogge o della
propria azione un altro sogge o; è un lavoro che ha come principale
strumento, non una macchina o un paio di occhiali (anche se servono)
bensì se stessi.
Ciascuno di noi, nel lavoro che facciamo quando siamo con il ragazzo o il
bambino col quale abbiamo deciso di passare parte del nostro tempo, usa
come strumento "se stesso". Allora, se ognuno di noi usa sostanzialmente
se stesso, non può non interrogarsi su "quale se stesso?", o meglio, su
quale occhio sta usando. Non può non interrogarsi su quale orecchio sta
facendo funzionare. Non abbiamo tan ssimi occhi o tan ssime orecchie,
ma i nostri occhi e le nostre orecchie vedono e sentono in maniera
estremamente influenzata dal nostro stato d'animo, dalle nostre emozioni
del momento e anche da come siamo, cioè dalla nostra storia personale e
dalla nostra stru ura psicologica.
Il significato passivo dell'osservazione sta in questo: non possiamo non
interrogarci su quale occhio e orecchio s amo usando e, per capirlo,
occorre evidentemente "stare fermi" per sen rsi, per ascoltarsi, per essere
in conta o con se stessi anziché fuggire da sè, dalla relazione che s amo
me endo in piedi a raverso il fare.
Vediamo un po' ques due conce .
Credo che sia estremamente importante il discorso della passività perchè la
nostra cultura è prevalentemente una cultura centrata sul fare, per cui la
passività viene comunemente connotata in modo dispregia vo: una
persona si definisce "passiva" quando è un'ameba, qualcosa di amorfo,
qualcuno che non reagisce, che non si dà da fare, un incapace, come si
evince dal linguaggio comune. Per questo spesso, se non sempre, questo
discorso sull'osservazione, come sen rsi, come stare fermi un a mo per
capire quello che sta succedendo, è qualcosa che abbiamo difficoltà a
me ere in a o. Molto più facilmente cosa facciamo? Cerchiamo di
manipolare la situazione, interveniamo perchè in questo modo ci sembra
di fare, di "produrre" di più, di risolvere qualcosa.
Perchè stare fermi?
Non so se siete mai anda a funghi. Quando siete in montagna e
camminate in un bosco, per sen re da dove provengono i rumori bisogna
fermarsi, altrimen si sente solo il rumore dei propri passi. Fate conto che
noi dobbiamo fare la stessa cosa. Dobbiamo fermarci per capire da dove
vengono i rumori, dobbiamo decifrarli. Cosa capita spesso se siamo in un
bosco e sen amo un rumore? Facilmente ci spaven amo e magari ci
me amo a correre, risolvendo il disagio facendo. Se, invece, ci fermassimo
un a mo, potremmo scoprire che quel rumore non è niente se non una
pigna che sta cadendo o uno scoia olo che sta cercando da mangiare.
Questo per dire che occorre star fermi, prendere tempo per capire, proprio
perchè, spesso e volen eri, se capiamo riusciamo, primo a non avere
fre a, secondo a non fare delle cose che poi ci pen amo di aver fa o
(correndo nel bosco si può inciampare e cadere), terzo ci possiamo rendere
conto che quello che abbiamo davan non è qualcosa di pauroso, ma
qualcosa di facilmente riconducibile a quello che già sappiamo, qualcosa di
riconoscibile e che per questo non ci spaventa.
Il tolo di questo incontro è "L'osservazione del diverso da me". Il diverso
spaventa poichè non è conosciuto.
Il diverso, quando si avvicina, ci me e in una situazione di ansia, allora o
scappiamo o ci fermiamo un a mo per conoscere, per vedere, per
osservare.
La passività nell'osservazione, quindi, significa non lasciarsi sopraffare dal
desiderio di invadere, di penetrare con il proprio mondo il mondo altrui,
perdendo la possibilità di capire e di comprendere.
Il sen re, il comprendere, la passività nell'osservazione, appunto, ci
perme e di poter u lizzare ulteriormente dei messaggi, nel nostro caso
quei pochi messaggi, che ci vengono lancia . Messaggi che spesso e
volen eri sono molto labili, molto deboli (chi ha già lavorato, chi ha avuto a
che fare sopra u o con ragazzi handicappa ma non solo, anche con
ragazzi disada a , anche con quelli che voi aiutate a fare i compi , ha
potuto constatare il linguaggio povero, limitato e la scarsa capacità di
comunicare, di farsi comprendere e di capire che essi hanno).
Se questa è la situazione, se abbiamo a che fare con tu a una serie di
segnali verbali e non che sono molto piccoli, poveri e inadegua , per
sen re e capire dobbiamo porci con una mentalità, un a eggiamento, una
modalità che comprende tu a una serie di cose che ciascuno di noi ha
abbandonato perchè considerate come superate.
Per capire chi ha poche parole per esprimersi, per capire chi è inadeguato,
dobbiamo diventare noi pure inadegua , poco esper . Per osservare e
capire dobbiamo far ricorso a quel bambino che eravamo e farcelo
ritornare alla mente, recuperare quella esperienza e quella inadeguatezza,
perchè, se non facciamo ricorso a questo bambino che è in noi e lasciamo
parlare soltanto l'adulto che siamo diventa , rischiamo di me erci in
ca edra, non riusciamo a vedere e comprendere il mondo dei bisogni,
delle goffaggini, delle inadeguatezze che ci sta davan . Il conta o con il
bambino che è dentro di noi ci dà maggior familiarità con l'essere, con il
sen re. Quindi, avvicinare l'ogge o dell'osservazione a raverso il sen re,
l'esserci, il pensare, senza perderci nell'ogge o stesso e senza scappare.
Prima abbiamo de o che una possibilità è quella di scappare. Un altro
rischio che possiamo correre è quello di perderci nell'ogge o che abbiamo
di fronte. O fuggiamo o cerchiamo di far diventare l'altro qualcosa che
conosciamo, ten amo di trasformare questo sconosciuto in qualcosa di
nostro, di rassicurante. Come? Manipolando, sovrapponendo, facendo finta
che l'altro che abbiamo di fronte non sia diverso ma uguale a noi, quindi
a ribuendogli le nostre idee, bisogni e desideri.
Come possiamo sovrapporci all'altro? Cosa facciamo? Cosa succede? Quali
meccanismi me amo in a o?
Abbiamo de o che sen amo a raverso noi stessi e i nostri desideri. La
nostra storia personale distorce ed influenza ciò che osserviamo; i nostri
desideri influenzano i giudizi che diamo, selezioniamo i fa da osservare,
la memoria predetermina i risulta dell'osservazione stessa.
Se osserviamo e pensiamo al passato o al futuro diven amo ciechi e sordi
rispe o all'essere presen a quello che avviene lì e ora.
Qual è lo spazio ideale dell'osservazione?
Lo spazio ideale dell'osservazione è il "qui"; il tempo ideale è l'"ora".
Questo è un fa o fondamentale se parliamo di handicappa .
Il loro spazio e il loro tempo hanno delle dimensioni diverse dalle nostre,
inconsisten e sfilacciate. Il tempo di ques ragazzi non passa mai; farlo
passare con un senso dipende da noi.
I desideri e le memorie sono due elemen che possono influenzare e
rendere distorta la nostra osservazione. Quindi potremmo dire evitare i
desideri e le memorie affinché non interferiscano, sapendo però che
questo non significa scordare ed ignorare se stessi, bensì significa una cosa
molto semplice ma estremamente complicata nello stesso tempo:
ricordare per poter dimen care, prendere coscienza delle proprie fantasie,
dei propri desideri, delle proprie paure, della propria storia, per poter
osservare realmente, senza memoria e senza desideri.
In altre parole possiamo dire: nella misura in cui mi me o lì per fare
qualche cosa con questo ragazzo che ho davan , mi occorre conoscere
questo ragazzo ma, contemporaneamente, è necessario che io conosca
anche me stesso per evitare che l'altro ed io facciamo una confusione nella
quale io non capisco più quale è il mio, quale è il suo, quali sono le mie
emozioni, quali sono i miei desideri, qual è la mia esperienza, qual è la mia
comunicazione e la comunicazione dell'altro. Mi verrebbe da dire che è
un'occasione buona, importante, quella nella quale vi rendete disponibili al
fare volontariato. C'è la possibilità di stare con qualcuno che ha bisogno di
fare delle cose, ma anche l'occasione per conoscersi, per sapere "di che
pasta siamo fa ".
Conseguentemente a quello che abbiamo de o, ogni osservazione richiede
una nuova relazione fra osservatore ed osservato, una nuova scoperta e,
senza more di usare parole troppo grosse, una nuova scoperta e una
nuova creazione. L'osservazione di un altro vi può servire solo
parzialmente, proprio perchè ogni osservazione è una "nuova
osservazione".
Possiamo dire, usando una metafora: per osservare è necessario fare buio
sull'ogge o per perme ere all'ogge o stesso di eme ere la propria luce e
non di vedere luci riflesse.
Se guardiamo il cielo stellato vicino ad una fonte di luce (ad esempio un
lampione) riusciamo a vedere ben poco; per riuscire a vedere il cielo
stellato dobbiamo andare in un posto buio. Se facciamo buio riusciamo a
vedere le stelle, le costellazioni, i piane , ...
Fare buio, però, cosa implica? Implica che possiamo avere paura.
Il buio ha sempre fa o paura. E' vero che l'angoscia, la paura, l'incertezza
fanno parte dell'osservazione. Tornando al discorso di prima, l'ogge o
della nostra osservazione è qualcosa di diverso da me che non conosco e
può, pertanto, provocarmi paura e incertezza. D'altra parte è una
situazione nella quale ci troviamo spesso quando ci me amo in rapporto
profondo e significa vo con una persona.
Far buio, fermarsi per poter osservare, per poter leggere il resto e non
assumere, al posto del testo, un pretesto.
Spesso, anziché osservare, anziché conoscere. ci muoviamo, basiamo il
nostro fare su degli stereo pi, su dei pretes preconfeziona , su qualcosa,
cioè, che ci preserva dall'angoscia, dalla paura, perchè ci dà subito un
pia o preco o, precos tuito, da far funzionare.
L'osservazione implica il dividere i fa , gli ogge , lo spezze arli per
conoscerli e comprenderli meglio ed implica, poi, il ricucirli ed il ricollegarli.
Questo è ciò che rende un rapporto vero, reale, reciproco, un rapporto che
vi può veramente dare qualcosa.
Io credo fermamente che per dare si debba ricevere qualcosa; bisogna che
il nostro dare sia nutrito, altrimen alla fine non ci rimane più niente da
dare. Allora il ricucire, il ricollegare, il conoscere per conoscersi, il
conoscersi per conoscere, stanno alla base del rapporto che andiamo
cercando o cerchiamo di me ere in piedi.
Un'ul ma cosa: per capire non è sufficiente "me ersi nei panni di", può
essere sviante; per capire è meglio dire "me ersi i panni di". Non è un
gioco di parole fine a se stesso, ma il passaggio da una situazione dove
predomina l'azione (me ersi nei panni di) ad una situazione dove
predomina l'a endere (me ersi i panni di qualcun altro).
Me ersi nei panni di... significa che io mi me o e faccio, significa
sos tuirmi a...
Me ersi i panni di... significa indossare i ves di un altro e vedere ad
esempio se sono stre . L'altro con nua ad esserci, non sparisce con le sue
cara eris che, con le sue misure.
La so olineatura del passaggio dall’agire all’a endere implica la rinuncia
agli stereo pi, alla sovrapposizione, alla manipolazione. Tu o ciò per
me ervi sull'avviso che stando con una persona ci sono momen felici,
altri meno felici, altri ancora dolorosi; c'è una gamma di possibilità, di
sen men , di star bene e di star male. Occorre capire perchè le cose vanno
bene o vanno male.
Spero che alcune delle cose che vi ho de o stasera vi aiuteranno a capire
quando le cose vanno bene e quando vanno male (perchè le cose possono
andare bene o possono andare male) senza per forza trovarvi in una
situazione in cui dal sen rvi bravissimi precipitate nel sen rvi incapaci.
Cosa accade in una famiglia quando nasce un bambino disabile
Carlo Vasconi
La tes monianza che illustrerò fra breve è quella della mia famiglia, non
perché essa sia straordinaria, ma semplicemente perchè é la realtà che
conosco meglio.
Non so se la mia esperienza sia valida per tu e quelle famiglie in cui nasce
un bambino con problemi, anzi ne dubito, però ho potuto constatare, in
ques anni di incontri con altri genitori, che esistono delle situazioni, dei
bisogni che si ripetono in modo costante.
E' su ques elemen che cercherò di soffermarmi.
La ragione per cui voglio parlarvi di quo dianità più che di diagnosi e di
riabilitazione del bambino, è che sono fortemente convinto che non è mai,
e so olineo mai, possibile avere un approccio corre o con il bambino
disabile, senza tener conto del contesto in cui egli vive, in par colare quello
famigliare.
Addiri ura, credo che non si possa riabilitare il bambino senza rispondere
anche ai bisogni della sua famiglia.
Il vostro impegno di volontari può rappresentare una esperienza
importante sia per il ragazzo con problemi che per la sua famiglia, ma
anche e sopra u o per voi, se riuscirete ad inserirvi in modo corre o nella
vita di quella famiglia.
Vivere accanto a ques bambini, vi garan sco, è un'esperienza talmente
forte da modificare radicalmente i valori dell'esistenza.
Però non vi nascondo la difficoltà primaria: entrare in sintonia con la
famiglia, oltre che con il ragazzo.
Sono sposato con Nicole a dal 1986 e, nel se embre dell'anno successivo
è nato Lorenzo.
Lorenzo è nato prematuro (33 se mane). La prematurità, o qualcos'altro
che nessuno è stato in grado di dirci con esa ezza (scarsa ossigenazione
durante la gravidanza; sofferenza durante il parto; ecc.), ha determinato
una grave lesione cerebrale. Il cervello è un organo assai strano. Le sue
cellule, al contrario di ciò che fa la pelle, o il cuore, o il fegato, quando
muoiono non ricrescono, non si riproducono, pertanto, una lesione
cerebrale è sempre permanente, anche se è possibile diminuirne gli effe
nega vi con una buona azione terapeu ca e riabilita va. Ma la guarigione
non esiste.
Si parla tanto di progressi, innegabili, della scienza e della medicina, ma di
fronte alle patologie del cervello siamo ancora molto lontani dalla
conoscenza di cause e rimedi.
Nasce Lorenzo dunque.
Il primo figlio. Desiderato, voluto, cercato.
Chiunque, anche chi non ha figli, sa bene cosa significhi "Il primo figlio": i
genitori, durante l'a esa, si riscoprono bambini e cominciano a fare
proge e ad immaginarsi insieme a lui. Cosa faremo, come giocheremo,
cosa gli insegneremo, come rideremo, dove correremo, ecc...
Dopo la nascita accorgi che le cose sono andate in modo diverso rispe o
alle tue aspe a ve: tuo figlio non è come te lo eri immaginato.
Immediatamente si percepisce che qualcosa è andato storto, che forse
occorre rivedere i proge futuri: ciò che mamma e papà si erano
immagina non corrisponde a ciò che accadrà. E questo è il primo impasse,
il primo stop, il primo freno all'idea di vita che la famiglia si era data.
Nasce una famiglia "diversa".
E, spesso, il trauma è amplificato da un rapporto confli uale con la
stru ura sanitaria che ospita, per il primo periodo di vita, tuo figlio. La
confli ualità può essere considerata da due pun di vista: uno come dato
inelu abile, in quanto i genitori, rifiutando, in qualche modo, la diagnosi,
rifiutano anche coloro che l'hanno fa a; l'altra, invece, dipende
esclusivamente dalla scarsa sensibilità riscontrata spesso in ques
ambien , organizza non sui bisogni della famiglia, ma su quelli della
stru ura stessa.
La diagnosi di nostro figlio (emorragia o asfissia cerebrale) ci è stata data in
piedi, in un corridoio, come se si parlasse di una appendicite.
Ma, siamo entra in un argomento diverso.
In un primo periodo (che, purtroppo, può anche durare anni), sopra u o
quando non vi sono malformazioni visibili, i genitori vivono la diagnosi con
una certa diffidenza: che cosa ne sa questo medico, che in qua ro e
qua ro o o sba e in faccia ciò che non avres mai voluto sen r dire;
forse non è neanche bravo, anzi credo proprio che si sbagli.
I bambini piccoli sono tu uguali: la cerebrolesione, la spas cità, il ritardo
mentale e, sopra u o, la coscienza della famiglia verso queste realtà,
crescono con la crescita del bambino.
Per me e Nicole a il pensiero dominante era: va bene, adesso non regge la
testa, ma quando diventerà grande, i muscoli diventeranno più for e
reggerà la testa; davamo per scontato un processo che scontato non è.
Quando la realtà di ciò che è capitato comincia a farsi strada nella tua
testa, crolla il mondo.
La famiglia a quel punto è intra abile: non c'é psicologo, volontario,
servizio che possa colmare il senso di impotenza che il genitore vive nei
confron della mala a.
Crolla la speranza, crolla la vita pianificata: di fronte solo un buco nero.
La prima ragione di ciò è proprio la mala a: che cos'é, come è potuto
accadere, di chi è la colpa, potevamo fare qualcosa, ecc...
Spesso nasce una specie di senso di colpa nei genitori: un senso di colpa
ingius ficato, ma presente.
Cercare di capire, cercare soluzioni, rimedi, cercare una impossibile
guarigione.
Purtroppo accade anche che alcune famiglie rifiu no in toto la situazione:
vogliono convincersi che tu o sia normale, che il proprio figlio non abbia
nulla, rischiando esse stesse di cadere in una situazione che si potrebbe
definire patologica.
In altri casi, e in associazione ne abbiamo anche degli esempi, la famiglia si
sfascia. Quasi sempre è il padre che, vedendo un figlio con problemi, o non
così bello come sperava, si crea una nuova esistenza. Ciò amplifica il senso
di colpa nella madre.
Ma vi sono anche tante realtà dove il figlio crea un legame ancora più forte
tra i genitori, una solidarietà vera fra marito, moglie e figli.
E' in questa fase che possono nascere "speranze" di guarigione: esistono
metodologie sanitarie o pseudo-sanitarie che prome ono la guarigione o
un alto grado di recupero delle funzionalità del bambino. Vi sono famiglie
che cominciano il "viaggio della speranza" in Italia e all'estero.
Ques metodi (il Doman è quello più noto) hanno al cos , non solo
economici ma, sopra u o, di impegno per la famiglia, alla quale viene
richiesto di concentrare tu a la sua esistenza sul tenta vo di guarire il
figlio. Se, ad una prima valutazione, ciò può sembrare logico e dovuto, ad
una valutazione più a enta si rischia di creare famiglie completamente
scollegate con la realtà quo diana.
Mi spiego meglio.
Di che cosa ha bisogno un bambino disabile ?
Di una famiglia normale, il più possibile equilibrata e solidale.
I viaggi della speranza rischiano di portare la famiglia in una condizione di
"stress riabilita vo". Non so se mi sono spiegato bene e se questo è il
termine giusto ma, concentrarsi solo sul recupero del figlio, può portare il
genitore a perdere di vista la propria esistenza, i propri bisogni: cosa può
comportare ciò nella psiche umana ? Onestamente non lo so. Di certo so
che, quando anche noi per diversi mesi ci siamo dedica ad un metodo
riabilita vo che comportava molte ore di lavoro al giorno, mia moglie ed io
avevamo riposto aspe a ve talmente elevate (anche grazie alla
presentazione che ci era stata fa a di queste metodologie) che ci avevano
fa o dimen care il benessere di Lorenzo e la nostra vita sociale.
Occorreva fare e fare, seguire le indicazioni, compiere gli esercizi, al di là
dell'acce azione di essi da parte di Lorenzo. Non possiamo, però,
colpevolizzare chi segue ques metodi: possiamo solo, ed é ciò che
facciamo come associazione, cercare di far rifle ere i genitori sull'aspe o
troppo fideis co nei confron di questo o quel metodo, prepararli,
insomma, a dei risulta che non sempre possono essere quelli che ci si
aspe ava.
Tenete conto che i genitori non sono disabili, per cui non vivono l'handicap
sulla propria pelle, ma a raverso il figlio. E' una considerazione che può
apparire scontata, ma ha una sua ragione, in quanto occorre che la
famiglia, oltre a prendere coscienza dell'handicap, impari a comunicare con
un figlio che si esprime in maniera diversa dai canoni conosciu .
Questo processo di conoscenza reciproca (genitore-figlio) può durare
molto tempo ed é sogge o ad al e bassi, spesso in coincidenza con la
condizione sanitaria del bambino.
La medicina, i neuropsichiatri, i fisiatri, i fisioterapis , ed anche i vicini di
casa, gli amici, i paren , a volte anche i genitori, si soffermano sempre su
ciò che il bambino non può fare: non parla, non sta seduto, non cammina,
non..., non…, non..., ecc...
Possiamo compilare un elenco interminabile di "non".
E se provassimo a ribaltare il conce o ?
E se ci soffermassimo su altre domande ?
Ad esempio, cosa sa fare mio figlio ?
A volte, forse per pudore o per la paura di non essere capi , i genitori
tengono per sè questo po di domande.
"Cosa sa fare mio figlio ?" - che domanda bellissima.
E allora ci si accorge che le risposte sono tante.
Mio figlio comunica, ride, piange, esprime, a modo suo, i suoi sen men , i
suoi sta d'animo, le sue paure...
E' sufficiente non aspe arsi che lui comunichi con i nostri codici, ma creare
con lui nuovi codici. E per fare questo occorre uno sforzo da parte di tu :
imparare a comunicare in modo diverso, scendendo, con umiltà, noi "sani"
dal nostro piedistallo fa o di certezze, per avvicinarci ad un mondo nuovo,
fa o di pochi ma significa vi e fondamentali elemen .
Ma come fare per avvicinarsi al bambino che comunica in modo così
diverso da noi ?
Guarda caso, capi amo proprio li: l'amore.
Amore e non carità. Amore e non beneficenza. Amore e nient'altro.
L'amore e l'amicizia sincera sono gli strumen per entrare in questo
mondo. Non il dover fare, ma il piacere di incontrarsi, di conoscersi.
Riscoprire le posi vità del figlio, riscoprire le posi vità del bambino che
abbiamo di fronte é un passo indispensabile per avere un rapporto corre o
con lui.
Se rifle amo su ques semplici conce , ci accorgiamo che se eliminiamo
il termine "disabile", il discorso diventa applicabile a tu e le realtà: ecco la
normalità, l'integrazione con la società.
Integrazione o inserimento, spesso negato da una totale mancanza di
sensibilità da parte della amministrazione pubblica. Un esempio classico
per tu : salite su una carrozzina a rotelle e provate ad usufruire dei servizi
della ci à. Dopo poco vi accorgerete di essere un debole, un vinto nella
ci à dei for .
Qualunque disabilità il ragazzo abbia, egli si accorge degli ambien in cui
vive e pretende, come tu , delle conferme differen a seconda delle
persone con cui é in conta o. Questo aspe o potrebbe essere molto
importante per la vostra a vità: non dovete pensare di ricreare le
dinamiche famigliari, ma dovrete cercarne di nuove, con tu e le difficoltà e
le opposizioni che incontrerete, anche dai genitori stessi.
Posi vità del bambino significa considerarlo prima di tu o una persona,
alla quale é dovuto rispe o, dignità ed educazione.
Il più bravo terapeuta del mondo non o errà niente dal bambino disabile
se non si rapporta a lui in questo modo.
C'é un bisogno estremo di affe vità nel bambino, dove affe o non
significa vederlo ogni giorno per 15 ore, ma creare con lui un rapporto di
estrema corre ezza.
Cercare lo scambio, trovare il modo di colloquiare, di vivere posi vamente
insieme: é una cosa che necessita non solo di tecniche, ma anche di un
avvicinamento che nasce da dentro, che nasce dalla voglia di stare insieme
a lui.
Non mi interessa se siete religiosi o atei, non credo che questo sia
determinante. L'importante é che la vostra azione sia guidata dal cuore e
dal cervello.
E guardate che i nostri ragazzi percepiscono perfe amente la differenza fra
un rapporto tecnico e un rapporto affe vo.
Alle volte si vedono ragazzi gravissimi, apparentemente persi nel loro
mondo: in realtà quel mondo é for ssimamente legato con la realtà e
l'affe vità, l'amicizia, rappresentano il ponte di collegamento fra ques
mondi.
Guai se non ci accorgiamo di questo: rischiamo di perdere la sua e la nostra
sensibilità.
Prima parlavo di famiglia normale.
Cosa significa normalità ?
Cercare fondamentalmente di avere una vita di relazioni come tu .
Mi rendo conto che siamo alla pura teoria, ma ritengo che conoscere tali
problemi, possa aiutare anche a capire i possibili percorsi per la vostra
a vità di volontari.
Vita di relazione non sempre semplice. Può accadere di perdere amici di
infanzia, perchè essi non riescono a capire cosa é successo; oppure di
non riuscire, per la madre, a con nuare la propria a vità lavora va;
oppure, quando il bambino é cresciuto, anche una cena fra amici diventa
una complicazione, se essi abitano in una casa con barriere archite oniche;
o ancora, la difficoltà di organizzare una vacanza al mare.
Oltre alle relazioni sociali, anche la vita di coppia subisce profondi
mutamen . La mancante o scarsa autonomia del figlio fa si che le cose più
semplici (fare la spesa, una passeggiata o andare dal parrucchiere)
diven no complesse.
E non entro nel discorso sull’affe vità tra coniugi, che, seppur molto
importante, rischia di portarci su un'altra strada.
Mi sono soffermato molto, spero non troppo, sul discorso della famiglia,
durante e dopo la scoperta che il figlio é e sarà disabile per sempre. L'ho
fa o perchè di solito si parla del po di handicap del ragazzo e quasi mai
dei sen men della famiglia, con la quale voi dovrete necessariamente
rapportarvi.
Ripeto: sarebbe un errore considerare questo percorso valido per tu e le
famiglie in queste condizioni, in quanto ogni realtà é diversa e deve essere
affrontata in modo differente.
Due ul me considerazioni: una sul perchè nasce una associazione come la
nostra e l'altra sul rapporto fra volontario e famiglia.
Vi sono tante associazioni in Italia; perchè é nata, dunque, l'Associazione
Famiglie Cerebrolesi (Fa.Ce) ?
Si é tra ato di un fa o spontaneo.
Incontrarsi per capire, sopra u o. Per comunicare con persone che hanno
affrontato i tuoi stessi problemi e che stanno cercando quella posi vità di
cui parlavo prima.
Incontrarsi anche per reagire ad is tuzioni spesso insensibili, a volte
inadeguate, quasi sempre lontane dai bisogni della famiglia. La Fa.Ce. é,
come si diceva un tempo, una realtà di base, dove i genitori diventano
protagonis in tu o e per tu o. Noi non forniamo servizi alle famiglie, non
abbiamo pulmini per i traspor , non organizziamo viaggi al mare...
Crediamo sia molto più u le aiutarci, insieme, a capire i nostri figli e a
valorizzarli per ciò che sono, e non per ciò che vorremmo che fossero.
L'ul ma riflessione: il volontario e la famiglia.
Se vi dicessi che il rapporto é tu o rose e fiori, vi ingannerei. Si tra a di un
rapporto assai complesso e certamente non immediato.
Vi faccio un esempio personale.
Mio figlio Lorenzo ha quasi sei anni.
Il rapporto con lui non é immediato e, tantomeno, non può esserlo tra il
volontario e la famiglia.
Io e mia moglie abbiamo bisogno di capire perchè tu, volontario, vuoi stare
con Lorenzo. Vogliamo sapere chi sei, cosa mangi, cosa pensi, in quanto noi
non lasceremo mai, tranne in un caso di emergenza, nostro figlio in mani
sconosciute.
E noi dobbiamo dire a te, volontario, chi siamo. Vogliamo invitar a pranzo
perchè tu ci conosca nella nostra quo dianità, perchè tu veda dove vive
Lorenzo.
Occorre, insomma, un rapporto di conoscenza profondo per avvicinarsi in
modo corre o alla famiglia ed al bambino.
Anche in questo caso, non prendetelo come fa o usuale: ogni genitore é
diverso dagli altri.
Il rapporto con il ragazzo disabile é certamente meno problema co rispe o
a quello con la famiglia.
Potrete incontrare genitori diffiden , distacca , problema ci. Certo, hanno
bisogno di voi, ma mol vi me eranno alla prova, consciamente o
inconsciamente; vorranno vedere come ve la cavate di fronte alle difficoltà;
vorranno vedere se vi rapportate corre amente con il figlio.
Mol non vi riconosceranno come benefa ori, anzi cercheranno di
me ervi in difficoltà.
E allora come fare ?
Se riuscirete ad abba ere con la vostra personalità e il vostro affe o il
muro di diffidenza che i genitori vi creeranno, avrete trovato dei grandi
amici.
Handicap, disagio e a vità espressive
Simona Valcavi
Le esperienze
La mia collaborazione con il Servizio Materno Infan le è iniziata tre anni
fa con l'avvio del "Proge o Atelier '90".
In quell'anno, grazie ad un finanziamento regionale, sono sta a va
dall'U.S.L.9 di Reggio Emilia n.4 atelier (musica, pi ura, cucina e serra)
intesi a promuovere a vità extrascolas che a favore di minori portatori di
handicap.
Ques laboratori hanno accolto ogni anno oltre cinquanta ragazzi e offerto
ad ognuno di loro l'occasione di vivere, individualmente o a piccolo gruppo,
nuove esperienze basate sul "fare a vità insieme", potenziando crea vità
ed abilità individuali.
La funzione di ques laboratori è, quindi, assai più ambiziosa della
semplice occupazione del tempo libero e si pone come obie vo lo
sviluppo delle potenzialità di ogni ragazzo a raverso l'occasione di nuove
scoperte ed il piacere di nuove conquiste.
Nel 1992 ho, inoltre, condo o l'atelier di A vità Espressive presso il Centro
di Formazione Prof. le del "Nuovo Proge o 10" che accoglie ragazzi con
handicap medio-grave.
Le a vità, guidate per piccoli gruppi con la collaborazione di un obie ore,
si sono innestate nell'ipotesi di lavoro più ampia, predisposta dall'équipe
del Proge o in base al deficit, alle abilità ed ai bisogni individuali.
Anche questa esperienza ha privilegiato la dimensione crea va ed
espressiva, s molando percorsi di ricerca a raverso la sperimentazione di
tecniche e materiali adegua alle esigenze ed al temperamento di ogni
allievo.
A se embre '92, infine, con la collaborazione di due obie ori ed alcuni
volontari, ho condo o presso i giardini pubblici ci adini un'esperienza
ludica di una se mana a cui hanno partecipato 7 ragazzi con handicap
medio-lieve. Questo proge o li ha coinvol nell'alles mento di un piccolo
spe acolo all'aperto a cui tu hanno partecipato in veste di a ori.
I disegni, le scene, i costumi e le maschere sono sta dapprima proge a ,
cioè pensa ed organizza , in un ambiente chiuso e, in seguito, realizza
all'aperto con materiale povero o di recupero ed u lizza durante la recita
finale.
Questa breve esperienza di animazione, cara erizzata dall'intensità delle
a vità proposte, ha offerto ai ragazzi l'occasione di un approccio
comunica vo globale, coinvolgendoli a raverso la dimensione corporea,
ludica, crea va e cogni va.
Il rapporto elas co tra spazio interno e spazio esterno, reale e
immaginario, e la dinamica di gioco condiviso tra adul e bambini, hanno
reso essenziale e insos tuibile il lavoro di ognuno come parte
fondamentale del tu o.
Arte e Terapia
Per quale ragione il Se ore di Neuropsichiatria Infan le del Servizio
Maternità Infanzia promuove, a margine della terapia riabilita va vera e
propria, laboratori di a vità espressive come sostegno ad alcuni dei
giovani portatori di handicap?
La risposta investe l'intera famiglia.
Innanzitu o i ragazzi, il loro bisogno di esprimersi e comunicare, di
rafforzare un senso d'iden tà spesso fragile e scomposto a raverso la
conferma delle potenzialità residue, rese visibili nel prodo o del proprio
lavoro. Di conseguenza, a raverso la conferma delle potenzialità del figlio,
anche i genitori vengono sostenu nel difficile compito di accompagnare la
crescita del ragazzo che spesso procura, nelle dinamiche interne familiari,
profonde crisi e lacerazioni.
Condurre un atelier di pi ura per ragazzi socialmente depriva o portatori
di handicap fisici e psichici, ha significato per me ricercare un metodo di
tra amento che potesse offrire ad ognuno di loro soddisfazione e gioia
a raverso i risulta del proprio lavoro. Per questa ragione a ribuisco alle
a vità ar s che in genere un compito terapeu co essenziale che diviene,
come sos ene l'arte-terapeuta americana Edith Kramer, "un mezzo di
sostegno dell'Io, ada o a favorire lo sviluppo di un senso d'iden tà e a
promuovere una generale maturazione".
Per cogliere a pieno le relazioni che intercorrono tra Arte e Terapia occorre
precisare il loro significato dis nto, così come ce lo rimanda il vocabolario.
Arte: qualsiasi forma di a vità dell'uomo come riprova o esaltazione del
suo talento inven vo e della sua capacità espressiva.
Terapia: branca della medicina che tra a dei mezzi e delle modalità usa
per comba ere la mala a.
Per ARTE-TERAPIA s'intende, quindi, un processo di cura o trasformazione
basato sull'a vità, un cambiamento posi vo del sogge o a raverso la
rappresentazione este ca degli ogge .
Le origini dell'arte
Alcuni autori a ribuiscono all'arte una base biologica che si esprime, ad
esempio, negli ar fici di rappresentazione a cui ricorrono alcuni animali
durante la lo a o il corteggiamento. In par colare è stata osservata una
correlazione tra la funzione ormonale gonadica e la funzione creatrice di
alcune specie di uccelli nidificatori, i quali, per sedurre la femmina,
costruiscono nidi straordinariamente belli, decora con orchidee, fiori e
polpa di fru e ricoper di ogge colora e brillan . Ques uccelli, priva
delle gonadi, non presentano alcuna forma di esibizione edificatrice fino a
quando non si ristabilisce in loro la corre a funzionalità ormonale.
Inoltre, studi condo sui prima hanno evidenziato in essi a tudini
grafico-este che nient'affa o casuali e assimilabili, per alcuni aspe , agli
scarabocchi infan li.
Tale a tudine, unita alle capacità di simbolizzazione proprie dell'uomo,
avrebbe dato origine all'arte colta e raffinata che i nostri antena hanno
prodo o oltre 6.000 anni fa.
Possiamo evidenziare due aspe essenziali dell'origine dell'arte: quello
colle vo, legato al bisogno sociale di una data cultura di prendere
possesso della realtà a raverso l'imitazione del modello nel rituale magico,
e quello individuale, legato ai bisogni del bambino di entrare in conta o col
mondo.
La psicologa americana Rhoda Kellogg individua nella produzione non
pi orica di 20 scarabocchi infan li fondamentali la comprensione di ogni
altra forma di arte grafica. Nel fanciullo vede un creatore spontaneo in
grado di produrre, tramite una naturale predisposizione alla composizione
este ca, ciò che l'ar sta tenta fa cosamente di conquistare.
Atelier di pi ura, arte e gioco
Il gioco rappresenta una vera e propria matrice dell'arte che consente,
a raverso la finzione, la rappresentazione e rivisitazione simbolica dei
vissu infan li.
Nel gioco, così come nell'arte, è possibile scaricare senza pericolo passioni
ed affe ; ma, mentre nel gioco il bambino deve solo imparare a
dis nguere la finzione dalla realtà, nell'esercizio dell'arte me e in campo
una complessa funzione dell'Io che lo impegna in uno sforzo crea vo,
coinvolgendo tu e le sue facoltà: intelle uali, manuali ed emo ve.
La Kramer, a questo proposito, osserva come "talvolta gioco ed arte si
sovrappongono, è allora possibile osservare come il gioco ne risul
momentaneamente trasfigurato. (...) Nella sua forma auten ca, l'arte pone
richieste ben maggiori alle capacità del fanciullo e al suo coraggio morale
del gioco. Il gioco è preroga va della fanciullezza. Nella vita adulta, l'arte gli
sopravviene come una delle poche zone di vita simbolica che rimangono
accessibili."
L'atelier di pi ura, quindi, a raversando lo spazio immaginario a vato nel
gioco, si propone come ambito crea vo stru urato e organizzato secondo
le esigenze egocentriche di ogni ragazzo. In questo luogo le loro energie
vengono mobilitate per svolgere un'a vità che, oltre a me ere in campo
le risorse individuali, li costringe ad un confronto stre o con i propri
confli e con il rischio dell'insuccesso.
Il rapporto con i compagni diventa scambio comunica vo, specchio e
confronto con l'altro simile-diverso da sè.
Il ragazzo handicappato vive, a causa del deficit organico, una
frammentaria e fragile stru urazione del Sè e un difficoltoso rapporto col
mondo esterno. Le difficoltà si riacu zzano durante l'adolescenza; è in
questo momento che l'ambiente può intervenire per favorire il processo di
iden ficazione e stru urazione della personalità.
L'atelier diventa, quindi, un'"area transizionale" in cui il ragazzo, tramite la
libertà crea va, può ridefinire il rapporto con il Sè ed elaborare una propria
le ura originale della realtà. La funzione dell'insegnante è quella di
instaurare una relazione mo vante e significa va con gli allievi e fornire,
tramite la guida opera va, le risposte adeguate alla ricerca di ognuno. Per
questa ragione occorre precisare che il significato terapeu co dell'a vità,
così come io la pra co, non risiede nella le ura interpreta va degli
elabora dei ragazzi, ma nell'intenzione di condurli, mediante tale le ura, a
realizzare prodo este camente ed emo vamente significa vi per loro
stessi.
La crea vità
Quali sono i meccanismi che entrano in gioco nel fenomeno ar s co?
Per tentare di coglierne alcuni aspe , possiamo fare riferimento tra le
tante, a tre differen scuole di pensiero: quella psicodinamica, quella
neurofisiologica e quella gestal ca.
Il modello psicodinamico pone in risalto i meccanismi inconsci che
regolano l'individuo e che sono basa principalmente sulle pulsioni sessuali
ed affe ve. Nel capitolo dedicato al rapporto tra "Terapia d'Arte e
problema della qualità", la Kramer precisa puntualmente quali sono le
cara eris che che dis nguono il prodo o ar s co da altri manufa meno
definibili per qualità e contenuto, quali: lo stereo po figura vo, la
pi ografia, lo scarabocchio, ecc. Indica, ad esempio, lo stereo po quale
espressione del fragile senso d'iden tà espresso dall'autore e la sua
difficoltà di autoesprimersi per il more di contravvenire le regole del gusto
convenzionale.
"L'arte si dis ngue per economia di mezzi, coerenza interna e potere
evoca vo" e rappresenta dunque la sintesi suprema tra slancio emo vo,
conoscenza dei mezzi e trascrizione formale. Tale sintonia viene raggiunta
a raverso l'equilibrio delle forze interne che, in termini psicoanali ci, si
iden fica nel processo di sublimazione e si manifesta nella capacità
dell'uomo di u lizzare in senso costru vo l'energia pulsionale per o enere
il soddisfacimento dei bisogni come massima fonte di piacere e
affermazione di sè.
Le a vità crea ve rappresentano, dunque, la via d'accesso al processo di
sublimazione e rispondono in larga misura alla conquista d'iden tà.
Alla luce di queste considerazioni, l'atelier di pi ura può rappresentare un
"luogo di fron era" in cui le energie is ntuali vengono rielaborate
a raverso gli s moli culturali e si trasformano, grazie ai mezzi e ai
contenu , in opere di qualità. Da parte dell'atelierista che lavora con
ragazzi handicappa , è necessario ricorrere a differen modalità e s moli
opera vi, tenendo conto sia del deficit fisico, psichico o sensoriale, sia del
temperamento, sia della capacità di sublimazione di ogni ragazzo, che può
essere sollecitata a raverso a eggiamen gra fican ed incoraggian .
Il modello neurofisiologico pone par colare a enzione alla comprensione
scien fica del processo crea vo e definisce la qualità dell'opera nel
risultato della produzione analogica dell'allievo.
I neurofisiologi formulano l'ipotesi del doppio cervello in cui l'emisfero
sinistro, deputato al controllo dell'area verbale, traduce le percezioni in
rappresentazioni logiche ed anali che, mentre l'emisfero destro,
specialmente nella percezione globale della realtà, si avvale della le ura
analogica, intui va e sinte ca.
Anche a livello istologico gli emisferi presentano una diversa archite ura
cellulare; mentre in quello sinistro è più diffusa la materia grigia che
consente, a raverso l'organizzazione sequenziale dei circui neuronali, lo
svolgimento di un lavoro di analisi, nell'emisfero destro è più diffusa e
distribuita la materia bianca che corrisponde alle fibre nervose della
connessione inter-neuronale deputata alla le ura dell'informazione diffusa
e circolare.
Il cervello è, dunque, un insieme di due sistemi che, pur elaborando in
modo diverso le informazioni, lavorano in stre a comunicazione.
Numerose esperienze hanno mostrato che l'area emo va della percezione
spaziale-globale afferisce all'emisfero destro. Sulla base di queste
premesse, il lavoro dell'insegnante o del terapeuta s mola le facoltà
perce ve dell'emisfero destro e guida a vamente l'elaborazione crea va
degli allievi, a raverso percorsi formali analogici che favoriscono il
potenziamento delle capacità di osservare, intuire, inventare e
immaginare.
Altri s moli sulla crea vità ce li offre, infine, l'ipotesi gestal ca che, come
precisa la Kellogg, vede nell'arte infan le un sistema logico visivo basato
sui fondamentali pa ern formali e sui riconosciu principi che regolano la
figurazione. Il disegno realis co non è, quindi, che lo sviluppo di forme e
stru ure semplici geometriche in composizioni formali più complesse.
Questa teoria, basata sulla genesi della forma, si ricollega alla teoria della
figurazione di Paul Klee - ar sta e scri ore del '900 - che vede nello slancio
crea vo lo strumento vitale per intraprendere la ricerca ar s ca. A questo
proposito scrive: "La forza crea va non si può definire: essa permane in
ul ma analisi misteriosa. Tu avia non è un mistero quel che ci ha scosso
dal profondo: questa forza ci pervade tu , fin nelle più so li fibre. Non
possiamo esprimere l'essenza, ma ci è dato, per quanto lontana sia, di
risalire la sua fonte. Comunque questa forza dobbiamo rivelarla nelle sue
funzioni, com'essa è manifesta a noi stessi. Probabilmente è essa stessa
una forma di materia, solo non percepibile, come tale, con gli stessi sensi
validi per le specie materiali conosciute. Tu avia essa deve manifestarsi
nelle specie materiali a noi note, deve agire a esse congiunta,
compenetrandosi con la materia, deve assumere un'effe va forma
vivente.
Muoversi così lungo le naturali vie della creazione è un'o ma scuola
forma va. Essa è in grado di smuovere dal profondo il creatore che, mobile
egli stesso, potrà curare la libertà dello sviluppo lungo le proprie vie
figura ve." (Teoria della forma e della figurazione - Dessau 1920/25)
I disegni che seguono, realizza dagli allievi dell'atelier di pi ura,
rappresentano il tenta vo dida co di adeguare le tecniche di approccio
metodologico e culturale in funzione dei bisogni di ogni piccolo autore. La
"individualità" è la chiave di le ura auten ca che guida la "comune ricerca
crea va".
Questo sforzo consiste, per me, nella capacità di riconoscere i percorsi
possibili per ognuno e di indicarne la via e, per i ragazzi, di inves re al
meglio l'energia vitale delle proprie risorse crea ve.
"Ego" qui viene usato come sinonimo di sè: è implicito in questo approccio
"lessicale" il fa o che il termine "ego" qui è inteso in senso molto lato, e
cioè come sinonimo di "sè" e non come "rappresentante della parte più
organizzata e più razionale del nostro essere", come sarà poi per la
psicoanalisi.
Anche il termine "sè”, inoltre, viene inteso in senso lato, come sinonimo di
"tu o se stesso”. Secondo la psicoanalisi, invece, tu a la problema ca del
Sè si riferisce non a tu o quel che siamo, ma a ciò che siamo in termini di
autorappresentazione (vedi la metafora del teatro di Sandler).
Il termine "altruismo" inoltre ci riporta all'altro, all'alterità, e più
precisamente all'amore verso l'alterità, verso chi mi è "altro”, verso il
fores ero, verso chi è al di là della porta ("foris") che delimita la mia
"domes cità".
Egoismo allora diventerebbe: amore solo per ciò che mi è domes co.
2.EGOISMO E ALTRUISMO SECONDO LA PSICOANALISI
Secondo la psicoanalisi il significato del termine "egoismo" è molto simile,
in termini analogici, a quello del termine "narcisismo".
Ma, per comprendere meglio cosa possono significare in area
psicoanali ca egoismo ed altruismo, forse è meglio par re dal conce o di
libido. La psicoanalisi dis ngue fra libido dell'Io (che rappresenta ciò che
comunemente vien chiamato interesse) e libido sessuale (che
comunemente viene chiamata amore).
Ma non sempre la libido viene rivolta verso ogge esterni a se stessi: può
accadere che venga rivolta verso di Sè da parte dell'individuo. In questo
caso la libido dell'Io è denominata, in psicoanalisi, egoismo; mentre la
libido sessuale è denominata narcisismo.
Inoltre, se andiamo ad indagare meglio all'interno di queste "pieghe
lessicali", vi può essere un egoismo con for inves men libidici ogge uali
(cioè un egoismo senza narcisismo) ed allora l'egoismo, in questo caso,
"baderà che l'aspirazione all'ogge o non rechi alcun danno all'Io".
Oppure un egoismo senza inves men libidici ogge uali: si avrà allora
scarso bisogno di ogge sessuali, oppure scarso bisogno di ogge nei
confron dei quali nutrire sen men eleva : sen men eleva "deriva
dal bisogno sessuale, che talora siamo soli contrapporre alla sessualità col
nome di amore" (cioè egoismo più narcisismo).
Analogamente anche il significato del termine "altruismo" è so oposto in
psicoanalisi come ad uno sli amento rispe o al significato che
comunemente viene a ribuito ad esso, uno sli amento ed un
approfondimento. Per cui se a monte dell'a eggiamento altruis co vi è un
inves mento ogge uale desessualizzato assenza cioè di tendenze al
soddisfacimento sessuale, ma for inves men ogge uali allora è corre o
in psicoanalisi mantenere il termine altruismo, per esprimere questo po
di inves mento affe vo.
Se invece l'inves mento ogge uale è sessualizzato allora quello che sta
avvenendo dentro l'individuo in psicoanalisi si definisce innamoramento.
L'ogge o inves to, in questo caso, a ra su di sè una parte del narcisismo
dell'Io e ciò dà origine a quella sopravvalutazione sessuale dell'ogge o
amato, che tu noi abbiamo provato quando ci siamo innamora .
Nei casi in cui a ciò si aggiunge una trasposizione altruis ca dell'egoismo
sull'ogge o sessuale di cui ci si è innamora , allora "l'ogge o sessuale
diviene strapotente, ha per così dire assorbito l'Io".
3.ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL RAPPORTO FRA I CONCETTI
PSICOANALITICI E LE DEFINIZIONI TRADIZIONALI
Ten amo ora di fare un confronto fra i conce psicoanali ci e le definizioni
tradizionali dei due termini.
a-Nella definizione tradizionale il termine egoismo è usato nel senso di
"egoismo senza inves men libidici ogge uali".
La dis nzione freudiana allora a quali conseguenze conduce?
E' certamente un grosso cuneo dentro l'universo dei significa della parola
che finisce con l'assumere significa diversi, e a volte oppos , a seconda
della sua connessione con forme di libido (dell'Io o sessuale) o direzioni
della libido (verso ogge esterni al Sè o verso se stessi).
Per cui, ad esempio, dall'abbinamento "egoismo meno narcisismo" può
derivarne un grande aiuto nella definizione dei legami d'ogge o
dell'individuo.
Da quello "egoismo più narcisismo", invece, una incapacità di definire dei
legami ogge uali for .
Cioè l'approccio freudiano ci perme e di fare una prima dis nzione basata
sulla capacità o meno di definire dei legami ogge uali for .
Ad esempio un mio paziente che aveva imparato troppo precocemente a
sbrigarsela da sè nella vita aveva dovuto fare un ripiegamento su se stesso
che gli impediva alla fine di sen re gli altri intensamente, di innamorarsi
profondamente.
b-Il termine altruismo, e questo penso sia una delle cose più importan
che emergono da questo confronto, nell'accezione freudiana, non è più il
contrario di egoismo.
Anche l'egoista infa , secondo Freud, può amare se non è anche
narcisista.
L'altruista, inoltre, ha sempre a che fare con un inves mento di po
ogge uale (cioè va sempre verso qualcun altro esterno a se stesso);
semmai varia il po di inves mento che l'altruista fa, che può essere
desessualizzato o sessualizzato, dando luogo alterna vamente all'altruismo
vero e proprio o all'innamoramento.
c-Il fa o che in psicoanalisi si usi il termine inves mento ci perme e di
capire che s amo parlando di conce "economici": io investo o su di me o
su di un altro. Ma allora vien da chiedersi che cosa effe vamente sto
investendo? La risposta è "energia is ntuale”: libidica ed aggressiva.
Ma come avviene questa scelta? Come mai scelgo me stesso o un'altra
persona? In base alla mia storia personale, ai modelli di iden ficazione che
mi hanno condo o ad inves re più in una direzione che in un'altra.
Vedremo meglio in uno dei nostri prossimi incontri questa storia dei
modelli di iden ficazione, per ora limi amoci alle due immagini del
"fores ero" e del "domes co".
Perchè alcuni di noi si ritraggono di fronte al fores ero ed altri ne sono
invece a ra ?
Perchè in alcuni momen noi stessi sembriamo più aper e disponibili in
altri no?
Perchè la stessa oscillazione avviene nei confron della "domes cità"?
E' su questa "poli ca economica"- fa a di inves men e di disinves men ,
di spinta verso l'ignoto, verso l'altro, verso il viaggio, e al contrario di
more, di paura, di chiusura in noi stessi- che occorre par re se si vuol
comprendere cosa sono l'altruismo e l'egoismo, come nascono DENTRO di
noi e come si dis nguono dal narcisismo più o meno patologico.
4.ULISSE E LA SPINTA AL VIAGGIO
Come punto di partenza propongo di usare due poesie di un autore che
amo, Costan nos Kavafis.
Le due poesie- a mio avviso- evidenziano due a eggiamen nei confron
del viaggio: entrambi ques a eggiamen sembrano di personaggi che
amano l'avventura, ma - come vedremo - le mo vazioni dei due "Ulisse",
che poi sono i protagonis del viaggio, sono profondamente diverse.
Inu le dire che Ulisse siamo tu noi, che affron amo il nostro viaggio, i
viaggi della nostra vita; tu noi nella duplice versione, con la duplice
mo vazione che Kavafis ha saputo così ben sen re!
Itaca
Quando me erai in viaggio per Itaca
devi augurar che la strada sia lunga
fer le in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni o i Ciclopi
o la furia di Ne uno non temere:
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sen mento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi o Lestrigoni no certo,
né nell’irato Ne uno incapperai
se non li por dentro
se l’anima non te li me e contro.
Devi augurar che la strada sia lunga,
che i ma ni d’estate siano tan
quando nei por – finalmente e con che gioia-
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre,
tu a merce fina, e anche profumi
penetran d’ogni sorta, più profumi
inebrian che puoi,
va in molte ci à egizie
impara una quan tà di cose dai do .
Sempre devi avere in mente Itaca –
Raggiungerla sia il tuo pensiero costante.
Sopra u o, però, non affre are il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
me a piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumula per strada
senza aspe ar ricchezze da Itaca.
Itaca ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai sares messo
in viaggio: che cos’altro aspe ?
E se la trovi povera, non per questo Itaca avrà deluso.
Fa o ormai savio, con tu a la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
[Costan nos Kavafis
Cinquantacinque poesie, Einaudi, To]
----
La ci à
Hai de o:” per altre terre andrò, per altro mare.
Altra ci à, più amabile di questa, dove
Ogni mio sforzo è votato al fallimento
Dove il mio cuore come un morto sta sepolto
Ci sarà pure. Fino a quando pa rò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo intorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina.
Non troverai altro luogo, non troverai altro mare.
La ci à verrà dietro. Andrai vagando
Per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quar ere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
Farai capo a questa ci à. Altrove, non sperare,
non c’è nave, non c’è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
Tu l’hai sciupata su tu a la terra.
[K. Kavafis
Cinquantacinque poesie, Einaudi, TO]
Vediamo di commentare ora le due poesie mantenendo ferma dentro di
noi la convinzione che GLI "ULISSE" DI CUI KAVAFIS PARLA SIAMO NOI:
-Innanzitu o vediamo il problema delle mo vazioni del viaggio: da una
parte l'amore per la conoscenza, la gioia che proviene dal sen re,
dall'osservare, dall'apprendimento ("impara una quan tà di cose dai
do ") dall'assaporare la vita, dall'altra il livore, la noia, la vita vista come il
ripetersi sempre uguale di vecchie storie ("sempre farai capo a questa
ci à").
-Vediamo poi l'a eggiamento nei confron delle proprie radici, della
propria famiglia, della propria etnia: da una parte la capacità di riparazione
("e se la trovi povera, non per questo Itaca avrà deluso.\ fa o ormai
savio, con tu a la tua esperienza addosso\ già tu avrai capito ciò che Itaca
vuole significare".); dall'altra l'impossibilità di una riparazione ("dei lunghi
anni, se mi guardo intorno\ della mia vita consumata qui, non vedo\ che
nere macerie e solitudine e rovina")
-Infine vediamo l'a eggiamento nei confron dello scambio,
dell'apprendimento, della crescita psicologica: da una parte
l'apertura("devi augurar che la strada sia lunga\ fer le in avventure e in
esperienze"); dall'altra la chiusura ("Non troverai altro luogo non troverai
altro mare.\ La ci à verrà dietro. Andrai vagando\ per le stesse strade...\)
-Lasciamoci prendere dal senso profondo di queste parole.
Si determinano così DUE MODI DI VEDERE L'ALTRUISMO: da una parte la
spinta genuina verso l'altro, verso il nuovo, come avviene con il primo
Ulisse, dall'altra la spinta compensatrice di confli irrisol che non si ha il
coraggio di affrontare a viso aperto dentro di sè, e che ci vengono dietro,
dovunque noi andiamo("non c'è nave non c'è strada per te").
5.IL BACINO DI CARENAGGIO
Con nuando con la metafora di Ulisse e del viaggio, e cioè di tu noi di
fronte agli infini cambiamen (agli infini "viaggi") che dobbiamo
affrontare nella nostra vita, diamo un’occhiata ora al bacino di carenaggio
in cui la barca di ogni Ulisse si prepara al viaggio, e presso il quale ogni
tanto ritorna per una revisione.
Allora: Ulisse, come abbiamo de o, siamo sempre noi; la barca è la nostra
personalità; il bacino di carenaggio l'educazione che abbiamo ricevuto.
Prepararsi al viaggio per noi quindi significa a rezzare, in un tempo dato,
uno "scafo" sufficientemente robusto che ci perme a di affrontare la vita
in mare aperto .
Itaca è la nostra famiglia, la nostra "gens", il gruppo sociale all'interno del
quale, e sul modello del quale il nostro scafo si è, mano a mano, forgiato
per potere poi, in un secondo momento, affrontare senza more il mare
aperto.
Chi con nua a studiare rimanda questo momento alla fine degli studi, ed
intanto con nua ad allenarsi so o costa, con qualche rapida puntata in
mare aperto; chi comincia subito a lavorare vede accorciarsi i tempi di
sperimentazione del proprio scafo e deve rendersi più velocemente
autonomo per poter non temere le procelle che senz'altro troverà lontano
dal porto sicuro dal quale è par to.
Certo è che tu prima o poi fanno il grande passo, e per fare quel passo
occorre essere egois , nel senso che occorre imparare a volersi bene: in
questo senso l'EGOISMO può esser visto come una delle a rezzature
necessarie per affrontare il viaggio della vita.
Ma (qui c'è un ma grande come una casa): c'è egoismo ed egoismo!
E, più precisamente c'è un EGOISMO "BENIGNO" che è improntato su
questo assunto: cerco di star bene con me stesso per poter star bene con
gli altri.
In questo caso il mio egoismo è funzionale al mio altruismo: da ciò il
paradosso dell'egoismo benigno: occorre esser egois per essere altruis .
Per comprendere meglio facciamo alcuni esempi. Entrare in psicoterapia
implica per il futuro psicoterapeuta un impegno di po egois co che poi
però gli perme erà di far meglio il proprio mes ere con i propri pazien ;
intraprendere un qualsiasi altro "viaggio" con la voglia di conoscere e di
scambiare con gli altri le proprie ricchezze implica un ricevere che è anche
un dare.
Ma vi è anche un EGOISMO "MALIGNO" che invece è improntato
sull'assunto: sono egoista per difendermi dagli altri.
In questo caso cioè si diventa egois per paura degli altri. E' il caso del
razzista, del prepotente, del sessista, etc. Questo rinserrarsi in se stesso
rifiutando qualsiasi scambio immiserisce l'individuo e lo riduce al lumicino.
Pensiamo, per comprendere meglio, a coloro che intraprendono un
qualsiasi viaggio con supponenza e senza voglia di scambiare niente, ma
pensando solo di esser lì per dare. Oppure pensiamo a chi non vuole
intraprendere alcun viaggio poichè si ri ene già ricco, pieno, potente,
vissuto, etc.-
Nella saggezza popolare è possibile trovare forme "poe che" che
suggeriscono al bambino oggi, ed indis ntamente al bambino ed all'adulto
ieri, la profonda verità che è in questa dis nzione fra egoismo benigno e
maligno.
La fiaba ad esempio ha in proposito una funzione educante non
secondaria, tanto più importante proprio perchè espressa in forma
"poe ca”: consideriamo ,ad esempio l'invito a par re che in ogni fiaba è
contenuto, che è già di per sè estremamente significa vo. Ma poi
consideriamo anche chi parte: ebbene, ci avete fa o caso, parte sempre il
più piccolo ed indifeso, che però è anche il più curioso, ed anche questo è
un incitamento a non avere paura e ad intraprendere risolutamente il
viaggio. Consideriamo la funzione simbolica che la povertà e la ricchezza
assumono nelle fiabe, quella della pigrizia (rappresentata spesso dai fratelli
più grandi che non vogliono mai par re),quella della riparazione e del
perdono, etc.
Riconosceremo facilmente, so o altre spoglie certo, tu e le manovre, di
cui parlavamo prima e che "sen vamo" nel testo di Kavafis, che aiutano il
bambino a forgiarsi egois camente, in un egoismo benigno però, per
affrontare il mare aperto della vita.
6.EGOISMO ED ALTRUISMO NELL'INDIVIDUO E NEL GRUPPO
Abbiamo imparato quindi a definire meglio l'egoismo e l'altruismo,
abbiamo poi cercato di spezzare una lancia a favore dell'egoismo benigno
che ci aiuta a crescere ed a stare fra gli altri e per gli altri.
Vedremo, in quest'ul mo paragrafo di fare alcuni esempi in cui egoismo
benigno e maligno, nonché altruismo genuino e compensa vo (propongo
di definire con i termini di benigno e maligno anche queste due forme di
altruismo) possano esser messi a confronto nel loro funzionamento dentro
l'individuo e nel gruppo.
a-Egoismo benigno ed individuo. Un esempio lo abbiamo so o gli occhi: ed
è proprio questo nostro momento forma vo sia per me che per ognuno di
voi.
b-Egoismo benigno e gruppo. Guardiamo, ad esempio, a come la cultura di
tu i popoli insegna a voler bene a sè stessi come "gens”, come gruppo
sociale: l'arte, il lavoro dell'uomo, che veicolando in maniera sublimata
pulsioni altrimen distru ve o pericolose, ci "illustra" e ci me e in
comunicazione con le par migliori di noi
c-Egoismo maligno e individuo. Ad esempio se noi consideriamo la
eziopatologia del razzista (cioè perchè un tale a un certo punto diventa
razzista) vediamo che sempre ad un determinato punto del percorso di vita
di quel tale (che potremmo essere tu noi, non dimen chiamolo) c'è stato
un qualcosa che ha impedito il riconoscimento di par che pure sono
dentro di lui, in maniera non integrata, ma ci sono (l'esempio di Hitler che
aveva una nonna ebrea che non si era mai sposata con un "ariano”, che
pure l'aveva messa incinta, è lampante in proposito).
d-Egoismo maligno e gruppo. E' il caso di quella che Dupront chiamava
"acculturazione violenta", e cioè l'incontro fra due culture che si odiano
visceralmente. Ciò provoca a volte la distruzione totale della cultura che
soccombe (come, ad esempio accadde a Cartagine dopo la sconfi a finale,
quando fu distru a dai romani e sulle sue rovine fu sparso il
sale).Normalmente invece l'incontro fra due culture è più so e più pieno
di scambi (Graecia capta …)
e-Altruismo benigno e individuo. Ad esempio osare andare al di là delle
Colonne d'Ercole del proprio essere: è quello che voi state facendo
avvicinandovi agli handicappa , al dolore, alla sofferenza, ai terzomondiali
portatori di valori che ci me ono in crisi, etc. -
f-Altruismo benigno e gruppo. Ad esempio osare andare al di là delle
Colonne d'Ercole della propria cultura. Ricordate quel tra o degli A degli
Apostoli: la religione cris ana deve essere degli Ebrei o anche dei Gen li?
San Pietro e San Paolo risposero "anche dei Gen li". Siamo al I concilio
della storia del Cris anesimo: il Concilio di Gerusalemme(A degli
Apostoli, pag.69 e seg.).Cosa sarebbe successo se invece avesse prevalso
l'egoismo di chi voleva il Cris anesimo solo come religione degli ebrei: il
Cris anesimo sarebbe divenuto una delle tante se e che pullulavano a
quei tempi in Pales na.
g-Altruismo maligno e individuo. E' l'eroe dei film di avventura americani
che vive in un posto eso co in cui beve per dimen care, è capace magari di
un gesto eroico, ma lo compie con furore masochista. E' la grinta dolente di
H. Bogart in tan suoi film.
h-Altruismo maligno e gruppo. Vedi l'azione esemplare, di sessanto na
memoria, in base alla quale le avanguardie dovevano dimostrare alle
masse a raverso un'azione "esemplare", per l'appunto, come era possibile
emanciparsi. In ques casi ciò che è passa è solo il disprezzo per chi non è
in grado di liberarsi da sè .
Bibliografia:
-A degli Apostoli,1968,Edizioni Paoline, Roma.
-A.Dupront,1966, L'acculturazione, Einaudi, Torino.
-S.Freud,1969,Introduzione alla psicoanalisi, Boringhieri, To.
-C.Kavafis,1968,Cinquantacinque poesie, Einaudi, To.
-H.Kohut,1976,Narcisismo ed analisi del Sè, Boringhieri, To.
Immigrazione: diversità, uguaglianza
Carlo Menozzi
Fino al 1982 a Reggio Emilia esisteva una scuola speciale che ospitava i
bambini zingari del campo nomadi di Baragalla. Nello stesso anno la scuola
venne abolita conseguentemente all'obbligo dell'integrazione dei ragazzi
nomadi nelle scuole normali.
Io ho iniziato la mia esperienza proprio nel campo nomadi di Baragalla. In
occasione del mio servizio civile fui infa assegnato come insegnante alla
scuola speciale, dove lavorai l'ul mo anno di apertura della scuola stessa. Il
mio lavoro consisteva appunto nel favorire l'integrazione, cosa che a
quell'epoca allarmava molto la scuola reggiana ed italiana in generale.
Dovevo fare da ponte tra le famiglie nomadi e la scuola.
Dopo questa esperienza di un anno a livello provinciale, venni distaccato
dal Ministero della Pubblica Istruzione per impiantare il lavoro in tu a
l'Italia del Nord. Quindi, per 4 o 5 anni ho lavorato in tu i campi nomadi
dell'Italia se entrionale ed ho mantenuto un rapporto sistema co a Roma
con gli altri se e insegnan italiani distacca dal Ministero della Pubblica
Istruzione per fare questo lavoro.
Dopo di che ho cambiato mes ere e sono andato a dirigere il Villaggio, ma
mi è rimasta ugualmente questa grossa esperienza. Certo è che il tema di
stasera mi è molto caro perchè non solo è stato ogge o dei miei studi, ma
sopra u o è stato vissuto ed è da questa esperienza che ho tra o le
riflessioni che cercherò di trasme ervi.
Il mio difficile compito consisteva, come dicevo prima, nel favorire
l'integrazione scolas ca dei bambini nomadi e garan re così un diri o
sancito dalle leggi dello Stato. Poteva essere una grossa opportunità
educa va a raverso la quale porre in discussione e, in qualche modo,
auten care i fondamen del nostro agire pedagogico, scolas co e della
nostra convivenza democra ca.
Infa , come ben sapete, a livello teorico e ideologico si fa presto a parlare
di accoglienza, di solidarietà, di comprensione della diversità, di tolleranza,
di interscambio culturale, di democrazia, di acce azione del diverso: un
conto è il dire un conto è il fare. Un conto è essere solidali a raverso la
raccolta di scarpe vecchie da inviare ai bambini poveri della ex-Jugoslavia,
un conto è avere i bambini poveri della ex-Jugoslavia in classe. Un conto è
far disegnare bambini di diverso colore che si danno la mano o insegnare
canzoncine che esaltano la tolleranza, l'amore e l'amicizia, un conto è avere
in classe il negre o, il cinesino o il nomade.
Per assurdo e per provocazione, non riscuotendo mol successi nel mio
lavoro, dicevo che era vero che i bambini nomadi avevano bisogno di
andare a scuola, ma ancor più era vero che la scuola aveva bisogno dei
nomadi proprio per recuperare almeno in parte la coerenza tra quello che
si diceva e quello che si faceva. Tra i dife della scuola, infa , a volte c'è
quello di essere distante nel suo dire e nel suo fare dalla realtà sociale.
Questa introduzione per dire che l'incontro di stasera potrebbe essere re-
in tolato almeno in parte "l'elogio della diversità": è da questo che
dobbiamo par re. Sicuramente stasera non esauriremo tu o il tema che ci
è stato assegnato, anche perchè i termini stessi di uguaglianza e diversità
evocano un'altra catena di termini che dovrebbero essere approfondi . Tra
ques ricordiamo: disuguaglianza, diri o, gius zia e un'altra serie di
espressioni che hanno valore pedagogico, culturale, sociale, civile,
giuridico.
Se penso al volontariato possono venirmi in mente nello stesso tempo le
Dame della S. Vincenzo o gli operatori del CEIS. Voglio dire che ciascuno di
voi ha una mo vazione diversa che lo ha condo o a questo po di scelta,
ognuno di voi ha una storia che lo ha condo o qui, ma una storia
assolutamente diversa e irripe bile. Allora se io cercassi di iden ficarvi tu
in un modo di vita, in una vocazione, in uno s le di pensiero, vi farei un
grave torto.
Se qualcuno entrasse qui e dicesse "Toh, c'è il gruppo dei volontari", vi
iden ficherebbe come gruppo che fa un certo lavoro e questo è, per cer
aspe , un'operazione inevitabile che però può portare a gravi stereo pie
e può creare pregiudizi per i singoli. A nessuno di voi farebbe piacere
essere 'infilato' in una categoria e lì rinchiuso con la perdita completa della
propria individualità e della propria storia. Se ci pensiamo, spesso
addiri ura ci disturba essere iden fica in maniera sommaria con la
categoria degli Italiani.
Il giudizio colle vo di solito è pesante e massificante e rischia di gravare in
modo anche distru vo sulla comunità.
Oggi assis amo alla ripresa della capacità di leggere la realtà in maniera
diversificata, alla condanna delle le ure sommarie omogeneizzan e
acri che. La cultura che abbiamo prodo o fino ad ora è stata quella
dell'omologazione e della massificazione, una cultura reificante ed
alienante. Per essa l'uomo non è più un individuo irripe bile, con la sua
dignità di persona, ma è uno fra tan e deve comportarsi
conseguentemente.
Noi per primi nella scuola, nella società, nel contesto di lavoro siamo
espos al rischio di un a eggiamento pregiudiziale da parte dell'altro che ci
cataloga e ci e che a.
Quando un bambino entra in prima elementare gli stampiamo addosso
un'e che a che, solo con difficoltà, riuscirà a modificare.
Il nostro modo di pensare ci induce a fare delle riflessioni che, se non sono
verificate nella realtà, possono creare pregiudizi. L'aspe o fisico, il modo di
ves re, l'a eggiamento, la voce, la mimica facciale provocano delle
aspe a ve. Non si può catalogare un gruppo di persone secondo gli
stereo pi che abbiamo magari imparato a scuola. Per esempio io ho dei
ricordi scolas ci di po sloganis co; non ricordo la storia di Roma, ma
ricordo la lupa, i se e re di Roma, Mazzini, Cavour.
Siamo abitua a classificare l'evento o la persona che ci sta davan con gli
schemi che ci hanno insegnato (il po di informazione, ad esempio, che
riceviamo dal telegiornale). E' chiaro allora che il nostro modo di conoscere
è totalmente empa co, iconografico, racchiuso nella foto del bambino
ferito, nel tolo in grasse o. Pochi di voi sapranno che la RAI nelle riprese
del terremoto dell'Irpinia fece disporre i solda in de- terminate posizioni
perchè l'inquadratura desse un certo effe o.
Questo per dire che il nostro modo di conoscere, di entrare in relazione
con la realtà, dovrebbe essere posto in discussione o quantomeno rivisto,
proprio per il rispe o dovuto a ciascun individuo.
Nella scuola da parecchio tempo si parla di un insegnamento il più
possibile individualizzato, che tenga conto che ogni bambino all'interno
della classe, pur facendo parte di un gruppo per mol aspe omogeneo,
ha comunque un suo modo di essere, di esistere, una sua storia
completamente diversa dalle altre. Tu o ciò acquista maggiore rilevanza
nel momento in cui ci avviciniamo a quello che definiamo 'il diverso' per
antonomasia: il nomade, lo zingaro, il terzomondista, il negro. Anche
all'interno delle singole etnie vi sono differenze profonde; non basta
conoscere un terzomondista per diventare un esperto: occorrerà
approfondire il rapporto con questa cultura così diversa.
Quindi prima so olineatura: se è vero che noi teniamo tanto alla nostra
diversità e a non essere classifica in categorie sociali o culturali o etniche,
anche se siamo accumuna da una storia, allo stesso modo dobbiamo
avere rispe o per coloro che non conosciamo e che, comunque,
rappresentano un'ulteriore diversità. Quest'ul ma va in ogni caso
concepita come valore e non come 'errore della natura' (per noi la cultura
è quella europea mentre tu e le altre sono subculture; la musica è il rock
inglese, ma non i ritmi afrocubani).
Non dobbiamo far finta di ignorare che mol dei mo vi che ostacolano
l'inserimento dei terzomondis sono gli stessi problemi ancora irrisol che
abbiamo nella relazione tra nord e sud d'Italia. Il giudizio che gli uni diamo
degli altri è pesante, pregiudizievole, a volte è una condanna. Non mi si
venga a dire che io 'lego' con i calabresi ed ho qualche problema con il
ghanese. Voglio dire: è come trovarsi in auto con degli zingari e chiedere
loro "Volete un caffè ?", "Sì, ferma là", "No, è pieno di 'terroni'"...
Occorre passare a raverso un percorso che valorizzi la diversità come dato
culturale di partenza, che la esal e la favorisca.
Con questo introduco un conce o molto ampio che potrebbe essere
definito come la "pedagogia delle azioni divergen ", o come uno s le
educa vo che suscita ed esalta la crea vità, la fantasia, l'originalità di
ciascuno. Questo non solo come dato di partenza, ma anche come
traguardo, tenendo sempre conto che la diversità non deve essere
finalizzata a creare una miriade di suddivisioni e di individualismi
esaspera .
In altri termini la diversità è una ricchezza per la colle vità e non soltanto
perchè perme e a ciascuno di essere se stesso, ma perchè se ciascuno è se
stesso la comunità diventa la somma delle diversità e tu ci guadagnano.
Quindi la diversità è per il bene comune.
Una classe di 12 individui diversi è una classe ricca; una classe di 12 automi
è una classe povera; una classe di 12 alunni medi è insignificante. I
programmi scolas ci sono sta fa per una persona che non esiste: invece
di essere i programmi che si adeguano all'uomo, nella scuola a uale è
l'uomo che si deve adeguare ai programmi. Per cui mio figlio che è in
quarta elementare fa cose che mi ricordo vagamente di aver studiato alle
medie ed io sono già in difficoltà ad aiutarlo nei compi . Dramma colle vo
dei genitori che iniziano già alle elementari a mandare i figli a ripe zione...
Parlo per esperienza dire a perchè nella nostra comunità (Il Villaggio)
troviamo dei gruppi-famiglia dove sono inseri ragazzi con grossi problemi
di ritardo scolas co (non dovu ad handicap) e gli educatori che al
pomeriggio devono far fare i compi a 10 ragazzi di scuole diverse si
trovano in grande difficoltà. Servirebbe una cultura enciclopedica !
Inoltre il problema non è solo sapere le cose ma saperle trasme ere a chi è
in difficoltà. E' giusto ripetere (se non sai fare una cosa ripe la mille volte!)
ma se mancano le basi, i prerequisi , come si fa a far leggere 30 pagine di
storia ?
Questa problema ca viene poi esasperata quando ci troviamo di fronte alle
diversità culturali.
Un esempio. Un bambino nomade va a scuola. E' il primo giorno, in prima
elementare. Torna a casa con la lista precisa delle cose da acquistare. I
genitori non hanno soldi e decidono di non acquistare nulla di ciò che è
stato consigliato. Il bambino per 10 giorni porta a casa note perchè non ha
il materiale richiesto. A quel punto sono dovuto andare dalla maestra
dicendole che, essendo nomadi e non sapendo leggere, consideravano la
scuola poco importante (oltretu o la cultura nomade è una cultura orale).
Anche quando il bambino acquistava il materiale, riportava a scuola tu a la
roba rovinata. La maestra gli ripeteva "Devi riporre tu o nella cartella,
nella tua camere a". Avete mai visto una roulo e ? Quale camere a ? La
camera polivalente che è soggiorno, ristorante, bar... La roulo e è abitata
da una miriade di fratelli... Per cui c'erano dei bambini che, innamora si
della scuola, chiedevano di poter lasciare lì la cartella come segno di
patrimonio personale. Questo veniva considerato dalla maestra come una
mancanza gravissima "Vuol dire che a casa non impegni !"
In questo caso come in altri analoghi è mancato un a eggiamento di
conoscenza reciproca e, di conseguenza, non si è riusci ad innestare il
discorso di integrazione che veniva proposto.
Di fronte al diverso dal punto di vista culturale abbiamo tre a eggiamen :
- il neoilluminista, colui che dice che tu gli uomini sono uguali e perciò vi
è un'uguaglianza da promuovere per tu ;
- il solidarista, colui che accoglie l'altro con un interesse di solidarietà, di
acce azione della diversità;
- l'indifferente, colui che non capendo le ragioni dei primi due dice "Non è
colpa mia. Siete venu qui in Italia ? Bene, dovete imparare le nostre leggi,
le nostre regole. Dovete inserirvi nella nostra società in modo adeguato,
ada andovi".
Quest'ul mo a eggiamento è di per sè abbastanza diffuso perchè u lizza i
meccanismi psicologici di difesa contro il 'diverso' che suscita paura.
C'è poi il discorso rela vo alle abilità. L'abilità di un bambino nomade nel
montare una giostra non è nemmeno paragonabile alla mia: io che ho 37
anni non saprei proprio da che parte cominciare. L'abilità che un bambino
nomade ha nel muoversi nello spazio è molto superiore a quella di uno dei
'nostri' bambini. Nel mondo del campo nomade io mi trovavo a vivere la
condizione di handicappato. Di solito, infa , non si ene in considerazione
che l'ingresso di una persona nuova provoca un mutamento che deve
verificarsi nel contesto e non viceversa.
E' questa la base della relazione affe va: se io ho due figli e me ne nasce
un terzo non posso pretendere che quello che arriva si adegui
immediatamente ai ritmi che la famiglia ha già. La famiglia in sè cambia:
trasme erà al nuovo venuto un'impostazione di massima, ma certamente
si adeguerà a lui.
Non si può con nuare a sostenere che la scuola ha i suoi ritmi e i suoi
programmi e che l'unica soluzione nel caso dei 'diversi' è l'insegnante
d'appoggio. Poi, che po di appoggio ? In classe o fuori dalla classe,
escludendo il bambino dal resto dei compagni ? Si ha paura di me ere in
discussione il contesto ?
E' questo, credo, un punto sul quale si dovrà intervenire perchè,
comunque, il nostro contesto (la società) è des nato ad evolversi in una
realtà pluriculturale. Mai come nel prossimo ventennio si vedranno degli
sconvolgimen così grandi. Adesso siamo ancora agli inizi di un fenomeno
di riequilibrio del pianeta che porterà ad una commis one di popoli senza
preceden . Tu o questo richiederà una preparazione culturale che riveda il
modo di confrontarsi e porsi in relazione con l'altro.
In tu o ciò la scuola dovrà avere un ruolo decisivo. L'adeguamento dei
programmi sarà necessario di fronte ai mutamen culturali. Oggi la scuola
presenta un grave disinteresse per coloro che la frequentano: passa nozioni
che sono ormai superate e non fanno parte del vissuto dei bambini, anzi
spesso si scontrano con la realtà. La storia è solo ripe zione delle nostre
origini italiane e non scoperta delle origini dei vari ceppi culturali; il
linguaggio, la comunicazione, la musica, dovranno per forza de-
provincializzarsi. Ciò non vuol dire perdita di iden tà, ma confronto di
iden tà.
Il 'diverso' evoca difese di po territoriale perchè la sua presenza nei nostri
spazi di vita e di lavoro cos tuisce una minaccia per l'equilibrio del nostro
ecosistema, per i privilegi acquisi come gruppo stanziatosi in un dato
contesto urbano, per la possibile perdita dei valori e delle tradizioni che, a
ragione o a torto, riteniamo capisaldi per la nostra sopravvivenza. Quando
l'altro pone in discussione il nostro modo di vita scatena confli ualità. Il
cambiamento suscita paura.
Per questo è indispensabile una educazione alla diversità.
Solo se c'è questo presupposto, solo se c'è il riconoscimento della diversità
si potrà parlare di uguaglianza. Perchè non c'è peggior gius zia di dare cose
uguali a persone diverse.
L'uguaglianza non si o ene dando a tu la stessa cosa ma dando a tu
ciò di cui hanno bisogno.
Questo conce o comporta un livello di maturità al ssimo. E' provato che
dare a ciascuno la stessa cosa provoca l'insoddisfazione generale, quindi, la
conoscenza della diversità altrui perme e una reale uguaglianza di
opportunità, di diri e doveri, perme e di trovare strade diverse per
raggiungere fini comuni, un dialogo ed una comunicazione totali.
Concludo precisando che questo discorso non va circoscri o alla diversità
di pelle o di territorio. Un dato da approfondire è la relazione che abbiamo
all'interno del nostro gruppo sociale con coloro che presentano
a eggiamen che escono dalla norma e che quindi rappresentano, anche
al nostro interno, delle diversità con le quali facciamo fa ca a relazionare,
proprio per l'a eggia- mento culturale e mentale di cui siamo partecipi, o
con coloro che vivono in una condizione temporaneamente diversa dagli
altri (carcera , droga , ...).
Certo è che se per le persone che per qualunque mo vo escono dal gruppo
spesso abbiamo trovato soluzioni reclusorie o di accoglienza, lo stesso non
è possibile fare per i diversi dal punto di vista etnico culturale, perchè la
diversità di questo po non può essere considerata né una patologia, né
una mala a.
Pedagogia e dida ca dell'integrazione scolas ca dei bambini e dei ragazzi
immigra
Paola Orlandini
Il fine primario della scuola è l'apprendimento.
Nei primi due anni della scuola elementare apprendere significa imparare a
scrivere, a leggere e a far di conto (acquisire, cioè, gli elemen di base).
La scuola dell'obbligo è comunque un luogo produ vo in cui l'integrazione
e la socializzazione passano anche a raverso le capacità di acquisire gli
strumen di base.
La maggior parte dei bambini reggiani frequentano le scuole materne, sia
comunali che statali o parrocchiali. C'è quindi una preparazione allo
sviluppo delle competenze chiamate prerequisi all'apprendimento
sopra u o nell'ul mo anno di frequenza, cioè a cinque anni.
Fino a quest'età non ci sono differenze notevoli fra i bambini immigra che
frequentano ed i bambini reggiani (ma purtroppo non sono mol gli
immigra che frequentano le stru ure prescolari).
La frequenza alle stru ure prescolari sarebbe già un'o ma prevenzione
alle future probabili difficoltà negli altri ordini di scuola.
Perché non sono mol ? Perché non rientra nella cultura degli
extracomunitari e dei nomadi allontanare il bambino dalla madre quando è
piccolo. E' più facile per i meridionali sopra u o della seconda
generazione, quelli cioè na a Reggio.
I bambini nomadi, extracomunitari e immigra entrano, quindi, nella
scuola dell'obbligo con un bagaglio di competenze inferiore ai coetanei.
Inizia per loro la difficoltà di essere adegua in un contesto socioculturale
comunque diverso dal loro, con richieste da parte della scuola che,
nonostante gli sforzi e il reale impegno degli insegnan , li pongono di
fronte a difficoltà legate alla lingua diversa, al diale o parlato in famiglia,
ad abitudini e valori differen che inducono in loro un senso di
inadeguatezza e di frustrazione.
E' fondamentale, quindi, che le persone che si trovano a lavorare con
ques bambini abbiano la consapevolezza dell'importanza che ha per loro
desiderare di impadronirsi degli strumen e delle conoscenze
dell'apprendimento quale condizione indispensabile per una loro auten ca
integrazione.
Questo non vuol dire assolutamente che ci sia da parte nostra la richiesta e
la volontà di "renderli uguali a noi".
Il lavoro delle persone che si occupano dei problemi di apprendimento di
ques bambini deve sempre orientarsi sia sugli aspe cogni vi che su
quelli affe vo-relazionali. E' chiaro che per "lavoro sull'apprendimento"
non si intende un insieme di ar fici tecnici da somministrare, ma "essere lì
con lui" con tu a la pienezza del nostro essere per compiere insieme un
cammino che lo por all'allargamento della propria personalità, all'uso
o male delle sue potenzialità e ad una integrazione reale che rispe il
suo senso di appartenenza alla cultura da cui deriva.
Non a caso ho de o 'insieme' e 'quel bambino'; insieme vuol dire il
bambino, il suo gruppo di appartenenza, le is tuzioni e noi che lavoriamo
con lui. 'Quel bambino' Perché nello stabilire un rapporto dobbiamo tenere
presente chi è e quale esperienza si porta addosso.
E' fondamentale, pertanto, essere auten ci.
Per essere auten ci bisogna che noi per primi riconosciamo i nostri confli
rispe o a certe loro tradizioni (ad esempio i ruoli defini rigidamente
all'interno della famiglia o il conce o di furto per i nomadi).
Riconoscere i nostri confli non significa rinunciare ai nostri valori ma
confrontarli con i loro insieme a loro.
Nel privato, nel gruppo di appartenenza si possono mantenere tradizioni
diverse, ma di fronte alle is tuzioni (scuola, leggi) debbono acce are le
nostre regole. Perché vivono qui e Perché anche noi, se trasgrediamo,
subiamo le conseguenze.
Il bambino sente subito se noi siamo suoi allea o suoi giudici e le sue
risposte saranno conseguen al nostro stato d'animo. Stato d'animo che si
rivela non solo con le parole, ma con lo sguardo, con il sorriso, con
l'a eggiamento.
Spesso si nota nei confron degli immigra un a eggiamento 'tollerante'.
La tolleranza presuppone un conce o di superiorità: "io sono buono,
quindi aiuto e tu mi devi essere grato".
'Alleanza', invece, significa riconoscere all'altro pari dignità.
In un rapporto educa vo vuol dire dare pari opportunità. Per far questo
bisogna dare loro ancora più strumen che agli altri bambini, perchè
partono culturalmente svantaggia .
Per i bambini extracomunitari il primo grande svantaggio è il bilinguismo,
per i meridionali è il diale o (la lingua usata quo dianamente in famiglia),
per il nomade è il sinto.
Anche noi abbiamo un diale o che varia dalla montagna alla bassa
reggiana e che, se parlato in fre a, risulta incomprensibile a chi non è del
circondario.
Allora riconosciamo ad ogni lingua materna la sua dignità', il suo valore.
Non diciamo che non la si deve usare, ma che la si può' usare
contestualmente nel gruppo di appartenenza.
Diciamo anche che per tu è fondamentale imparare la lingua italiana se si
vuole capire ed essere capi .
Il linguaggio è un'acquisizione che tu raggiungono più o meno
rapidamente e più o meno bene, perchè il bambino sente il bisogno di
comunicare e di esprimersi. Le difficoltà si manifestano nella le ura e nella
scri ura dove è più difficile trovare una mo vazione, un interesse.
Quando ques bambini arrivano da noi sono già molto demo va , hanno
già subito grosse sconfi e e spesso (quasi sempre) hanno assunto
a eggiamen di difesa di vario po a seconda del loro cara ere. Possono
essere diffiden oppure assumere un a eggia- mento di opposizione (fare
gli sciocchi) o ancora, e questa è la cosa peggiore, depressi. Tu ques
a eggiamen so ntendono una grande paura: la paura di non essere
ama per quello che sono, per quello che non sanno, per il fa o di non
corrispondere al modello, a quello che gli altri vorrebbero che fossero.
Sta a noi riuscire a dimostrar loro che possono. Come ?
Ogni caso è diverso dall'altro, però spesso si riscontra nella famiglia
(sopra u o nelle famiglie del meridione) una contraddizione di fondo: i
genitori vogliono che il figlio impari, però gli propongono sempre il loro
modello (quasi gius fica vo) che anche loro a scuola andavano male.
Quindi il bambino si trova di fronte ad una scelta: il modello che presenta
la famiglia e le richieste che fa la scuola e si sente in qualche modo
legi mato a non essere bravo.
Noi dobbiamo fin dall'inizio proporre un rapporto chiaro, far capire che
siamo qua per aiutarli e che crediamo in quello che facciamo. Nel lavoro
pra co dobbiamo par re con una mediazione. Io ad esempio uso questo
sistema: quando devono studiare e mi accorgo che fa cano a riconoscere
le par rilevan del testo e facilmente si perdono nei de agli, inizialmente
questo lavoro lo faccio io, poi, gradualmente, diminuisco il mio intervento
dimostrando così loro che possono farlo da soli.
A volte dico di un bambino: "Non ha voglia di studiare". In realtà è che non
si vuole me ere in compe zione perchè si sente già sconfi o in partenza,
ha paura di non riuscire. In ques casi dobbiamo insistere, spingerli a fare e
dimostrargli che, oltre alle cose che non riescono a fare, ce ne sono altre
che possono gradatamente conquistare. Occorre trovare situazioni che
siano s molan ma non compor no immediatamente un prodo o finale
da dare. Ad esempio leggere insieme un libro, un giornale cercando
argomen che possono interessare il ragazzo e, quindi, tenere alto il livello
d'a enzione.
Se ci limi amo a somministrare delle tecniche non o eniamo niente
perchè è solo instaurando un rapporto che si possono far conquistare degli
apprendimen .
Tornando a parlare dei nomadi: è necessario tener presente che hanno una
cultura molto diversa dalla nostra che, credo, vada salvaguardata. Sto male
quando vedo un bambino nomade che vuole essere uguale a noi, perchè in
questo modo non è più nessuno. Tanto uguale a noi non riesce ad esserlo e
così perde la sua iden tà, il senso di appartenenza che per i nomadi è
molto forte.
In conclusione, non pensate di aver facilmente la confidenza dei nomadi,
dei meridionali; è una meta difficile da conquistare perchè hanno paura
dell'intrusione, temono di dover modificare la loro vita. Difficilmente si
riescono ad avere rappor alla pari. Per riuscire ad avere la loro fiducia
bisogna non essere invaden , saper aspe are, rendere la famiglia
consapevole che il nostro lavoro vuol essere solo un aiuto alla loro
integrazione.
Insegnamento e apprendimento: l'integrazione a scuola dei bambini e dei
ragazzi immigra
Leonardo Angelini
Reggio E.18.11.93
1-Appartenenze
Questa che sto per cominciare, in un certo senso, è una autobiografia:
infa s amo qui a parlare di immigrazione, ed io stesso sono un
immigrato.
Reggio Emilia, come si sente anche dall'accento, non è il luogo delle mie
origini.
Sono nato in Puglia, a Locorotondo, nella Murgia barese, e sono molto
fiero della mia meridionalità, anche se la mia appartenenza ormai non è
più solo quella che mi proviene dal luogo delle origini, ma anche quella che
è dentro di me come risultato di tu e le esperienze fa e negli altri luoghi
in cui ho avuto la ventura di vivere, e sopra u o a Reggio Emilia, ci à nella
quale vivo ormai da 22 anni.
Qualche anno fa, poco dopo la pubblicazione di un mio libro, in tolato "Le
fiabe e la varietà delle culture", libro che era stato acquistato dalla nostra
(a enzione! mi sto definendo come reggiano) Biblioteca Panizzi, riceve
una telefonata da uno storico reggiano che mi invitava a partecipare ad un
incontro di studiosi di storia locale. Seppi in quel momento che venivo
considerato uno storico reggiano.
Ebbene non ho ritegno a dire che in quel momento provai una forte
emozione dentro di me: quelle parole, de e al telefono, avevano per me il
significato di un ba esimo. Mi resi conto che, fino a quel momento, nel
mio in mo non ero ancora sicuro di questa mia più recente appartenenza,
e, a dire la verità, ancora oggi, di tanto in tanto, torno a non esserlo.
Tendo a farlo quando le cose non vanno bene, quando non sono in pace col
mondo, e in par colare con questo piccolo mondo che è Reggio Emilia.
Allora è come se dentro di me una voce che viene da lontano mi
richiamasse ad an chi amori, an che appartenenze in polemica con quelle
più recen , viste come terreni inospitali e ingra .
Voce, badate bene, che sento anche in altri momen , quelli in cui sono più
in pace col mondo e con me stesso, ma allora gli accen polemici dentro di
me non li sento più, ed il richiamo del passato non preme nel senso della
non integrazione, ma al contrario mi spinge ad una visione più integrata del
rapporto fra passato e presente.
Ecco, l'immigrato è sempre comba uto, dilacerato, ambivalente nel tentare
di risolvere il rapporto fra proprio passato e situazione presente, fra
appartenenza primaria e secondaria che sempre dentro di lui sono in bilico
fra rifiuto dell'integrazione e voglia di lasciarsi coinvolgere pienamente.
b) L'aggressività
Anche le pulsioni aggressive sembrano, nel caso dell'adolescente
handicappato psicofisico, avere la stessa sorte.
Anche in questo caso, nonostante l'opera educa va della famiglia, della
scuola e dei riabilitatori, una parte dell'energia che in latenza sembrava
essersi legata alla produzione -connessa con la libido e, come quest'ul ma,
sublimata, intelle ualizzata, o almeno neutralizzata e rimossa-
all'improvviso, a seguito della crisi puberale, si slega più o meno
parzialmente e ricompare in termini distru vi.
Nel grave questa nuova situazione viene solamente agita e fa emergere a
volte quelle crisi "pantoclas che" che possono essere a loro volta
"aggredite" solo in sede medica, a livello di contenimento farmacologico, a
volte una condo a aggressiva che può essere compresa ed affrontata in
sede educa va e riabilita va se si accompagna ad una a enta osservazione
del sogge o e dei suoi comportamen non verbali.
Nel lieve l'agito aggressivo si conne e in maniera più comprensibile con
la colpa o la vergogna e pone in essere tu o un bagaglio di risposte che
dalla colpa e dalla vergogna scaturiscono e che ad esse vanno ricondo e in
termini interpreta vi e di intervento.
Importante è quindi considerare, di fronte alla condo a aggressiva del
giovane handicappato, innanzitu o la presenza o meno della colpa (o della
vergogna).
Infa l'assenza della dimensione della colpa può essere ascri a o
all'accentuato livello di gravità da un punto di vista intelle vo che non
perme e alcun livello di autoconsapevolezza della natura aggressiva del
gesto compiuto (le crisi pantoclas che di cui sopra), oppure -a livelli meno
accentua di ritardo- allo stabilizzarsi nel giovane di una stru ura della
personalità tu a incentrata sull'impulsività e sull'agito.
Qualora invece la dimensione della colpa sia presente va a entamente
valutata, esa amente come si fa per i normodota , la natura della colpa
stessa: a)qualora si tra di una colpa persecutoria (cioè di una colpa che il
sogge o non può vivere come presente dentro di sè e che perciò proie a
su un ogge o esterno, che in questo modo diventa un ogge o
persecutore) allora il prevalere di massicce proiezioni comporterà
l'a ribuzione all'altro (al coetaneo, all'educatore, allo psicologo, al genitore
assente, etc) di ogni malvagità che gius fica l'emergere della condo a
aggressiva; b)qualora invece nel giovane prevalga la colpa depressiva (cioè
di una colpa che il sogge o può ascrivere a se stesso), sempre come
avviene per i normodota sarà più facile innescare un processo che
conduca il giovane alla riparazione (8).
Ciò che nell'un caso e nell'altro cara erizza il vissuto dell'handicappato
rispe o al normodotato è, oltre ad una certa opacità nell'appercepire e nel
verbalizzare i vissu della colpa, sopra u o il fa o che la debole
membrana individuale dell'handicappato (3) lo pone nelle condizioni di
agire e di pensare in uno stato di grossa confusione fra se stesso ed i propri
familiari, fra se stesso ed i genitori sopra u o, così come, nelle stru ure
intermedie, fra se stesso ed una qualche figura adulta che, per le sue
cara eris che diventa, in una sorta di equazione simbolica (9), un genitore.
Lo stesso meccanismo, basato su una equazione simbolica, è quello che
si a va in presenza di un ogge o "candidato" a diventare l'ogge o
aggredito.
Facciamo adesso due esempi che ci perme ano ci comprendere meglio
le differenze fra i due pi di colpa.
1°Esempio:Ho seguito in passato un adolescente handicappato che
proveniva da una famiglia monoparentale, dalla quale il padre era
"scappato" quando il bambino era molto piccolo, lasciando la madre ed il
paziente da soli. La madre aveva reagito a questo abbandono ge ando
ogni colpa per qualsiasi cosa capitasse a lei ed al proprio figlio sul padre
assente. Anche il bambino, cresciuto in questo clima, cominciò ben presto
ad usare un meccanismo scissionale e proie vo non solo per qualsiasi
problema familiare, ma anche ad esempio per le ques oni a nen la
scuola e la riabilitazione, per cui o si era con "lui-loro" ed in questo caso
non vi erano colpe o responsabilità, o si era contro di "lui-loro" (dove il
secondo polo, oltre il "lui" era rappresentato da quell'operatore che, di
volta in volta rappresentava la diade originaria) ed in questo caso gli altri
erano, in termini proprio di equazione simbolica, "il" padre ca vo che
gius ficava ogni pensiero aggressivo, ogni rimprovero, ogni aggressione
verbale che con nuamente l'adolescente in ques one poneva in essere.
2°Esempio:Dopo un momento molto cri co, susseguente al momento
della scoperta, da parte di un ragazzo Down, del proprio deficit, il ragazzo,
aiutato da una famiglia in cui aspe ripara vi avevano fa o fa ca ad
emergere, ma alla fine si erano stabilizza a sufficienza sia nella figura
materna che in quella paterna, cominciò ad applicarsi nello stage che
avevamo approntato per lui. Dopo qualche tempo alcuni aspe di
ipomaniacalità che si erano dilata nel momento della crisi, e che erano un
modo per negare a se stesso il dolore e la colpa, si contrassero per lasciare
il posto ad un agire meno maniacale e più sereno.
c) Che fare sul piano educa vo e riabilita vo
Così come avviene nei normodota , anche gli handicappa , di fronte
all'emergere delle proprie pulsioni libidiche ed aggressive, hanno la
possibilità o di "me erle in a o", senza trasformazioni di sorta, o di
trasformarle più o meno grandemente nei loro contenu e nelle loro mete:
si definiscono così tre aree (7), l'area della messa in a o, quella nevro ca e
quella della sublimazione, che sono diverse in ciascuno di noi a seconda del
po di educazione ricevuta, del po di ambiente familiare e sociale in cui
siamo vissu , e sopra u o delle cara eris che par colari di coloro che si
sono presi cura e che con nuano a prendersi cura di noi.
Libido ed aggressività in ogni caso, quando le cose procedono
sufficientemente bene, convivono in uno stato di fusione e determinano, in
maniera diale ca, le basi di ogni a vità ludica e produ va.
Nell'a vità sessuale, quindi, così come nel gioco e nel lavoro, nel
rapporto con gli adul , così come in quello con i coetanei, qualora
permanga uno stato di fusione fra libido ed aggressività, l'una (la libido)
determina l'invenzione, il pensiero, l'azione, l'altra (l'aggressività) funziona
in termini costru vi come plas ca istanza di controllo.
Qualora, invece, prevalga uno stato di defusione allora da una parte della
libido, senza un rapporto diale co con le istanze di controllo, si esprimerà
in maniera impulsiva, cioè so o la spinta dell'ac ng out, oppure sarà
inibita dalla presenza di una istanza di controllo troppo rigida. Dall'altra
l'aggressività, non più in grado di esercitare un du le controllo
sull'invenzione, sul pensiero e sull'azione, si trasforma in distru vità, se
associata ad istanze proie ve, in autodistru vità, in assenza di tali istanze.
Perciò elemento centrale perchè "odi et amo" si mantengano in uno
stato di fusione, l'uno al sevizio dell'altro ed entrambi al servizio della
libera a vità crea va e produ va è ciò che gli psicoanalis chiamano
tolleranza dell'ambivalenza, vale a dire la presenza di un Sè integrato in
tu e le sue componen , in grado di riconoscere ed acce are dentro di sè
ogni cosa (il bene e il male, l'amore e l'odio, le par adulte e le par
bambine, quelle a ve e quelle passive, quelle maschili e quelle femminili,
etc).
BIBLIOGRAFIA
-L.Angelini, L'adolescenza dell'handicappato psicofisico, in: Se ng riabilita vi con gli
adolescen handicappa , Usl N.9 di Reggio Emilia,1992,pag.13\25.
-L.Angelini, Processi di iden ficazione, meccanismi di difesa e possibilità di
ria raversamento, in Op.cit., pag.25\36.
-L.Angelini, Membrana individuale e membrana gruppale nell'adolescente handicappato,
in: Op. Cit.pag.135\148.
-L.Angelini, Dal gioco al lavoro,in:Op.Cit.pag.185\194.
(-L.Angelini, D.Bertani, Desessualizzazione e sublimazione nei bambini e nei ragazzi
handicappa , in Op Cit,pag.159\168.
-P.Blos,1988, L'adolescenza come fase di transizione, Armando, Roma.
- J. Chasseguet Smirgel, 1987, Crea vità e perversione, R. Cor na, Mi
- -L.Grinberg,1978,Colpa e depressione, Il Formichiere, Milano.
-M. Pontecorvo, Socioanalisi di una stru ura scolas ca, in: Scuola e
ci à,N.8,Ag.1980,pag.350\354.
I qua ro luoghi dell’adolescenza
Leonardo Angelini
1.L'adolescenza da un punto di vista "storico".
Parleremo stasera dei qua ro luoghi dell'adolescenza.
Il termine adolescenza e mologicamente deriva dal la no "adolescere"
che significa, alla le era, "nutrirsi". Vi è perciò nel termine "adolescenza"
un qualcosa che ha a che fare con il nutrimento e con la crescita. Quindi,
considerato il fa o che ha ragione Erikson quando dice che
psicologicamente non si sme e mai di crescere, potremmo dire che il
tempo dell'adolescenza è il tempo della crescita, per eccellenza.
Se, mantenendoci sempre sul piano terminologico, diamo un'occhiata al
vocabolario Zingarelli rileviamo che l'adolescenza viene definita come "l'età
della vita che sta tra la fanciullezza e l'età adulta, cara erizzata dalla
maturazione sessuale". Quindi "adolescenza", oltre che per tempo della
crescita, sta anche per tempo del passaggio all'età adulta.
Se noi guardiamo ora al problema non più in termini e mologici, ma in
termini antropologici e storici scopriremo che in qualsiasi società esiste un
tempo del passaggio, della crescita, che tale tempo è diverso da società a
società, poiché ogni cultura affronta e risolve il problema del passaggio in
maniera diversa, ma che ogni società non può esimersi dall'affrontarlo con
cerimonie di passaggio che segnano l'uscita da una fascia d'età e l'ingresso
in un'altra fascia. Ad esempio in tu e le culture mediterranee preistoriche
il passaggio veniva affrontato a raverso un insieme di cerimonie che
duravano qualche ora o qualche giorno e che consistevano nel condurre
in un labirinto il gruppo dei ragazzi e delle ragazze che stavano uscendo
biologicamente dalla fanciullezza. Questo labirinto non corrispondeva,
come comunemente oggi intendiamo, al luogo in cui ci si perde, ma era un
luogo concavo, una specie di grande utero in cui si entrava fanciulli e si
usciva adul . In questo modo e con questa cerimonia veniva mimata una
rinascita. I nostri progenitori affrontavano questo passaggio dalla
fanciullezza all'età adulta coinvolgendo tu a la comunità.
Per fare un altro esempio, più legato all'oggi, alcuni popoli primi vi
dell'Africa centrale che hanno scarsi conta con la civiltà, ancora oggi
ritualizzano il momento del passaggio con cerimonie che spesso si
accompagnano a tu a una serie di a di coraggio, quali rimanere per un
determinato tempo soli nella foresta, procurarsi da soli il cibo, o rimanere
per un determinato periodo di tempo digiuni, so oporsi alla circoncisione,
etc).
Alcune culture, quasi a voler so olineare l'elemento di discon nuità che vi
è in questo passaggio, in questo trapasso da una età ad un'altra,
prevedono addiri ura un cambiamento di nome per il giovane o la giovane
che stanno per diventare adul . Ciò è in contrasto con la nostra tendenza
ad armonizzare quello che eravamo (fanciulli) con quello che diventeremo
(adul ), ma può essere, in ogni caso, una soluzione al problema della crisi
di iden tà che prende tu gli individui, di qualsiasi cultura essi siano, di
fronte al cambiamento. Un altro esempio che viene da un mondo più
vicino a noi è quello cos tuito dalle cerimonie di apprendistato. Coloro
che, nella cultura ar giana di un paese del Sud degli anni '50, non
proseguivano gli studi e venivano inseri precocemente nel mondo del
lavoro entravano nel gruppo di lavoro secondo una procedura altamente
cerimonializzata che era diversa a seconda del mes ere, dell'"arte"
all'interno della quale si entrava.
Se noi consideriamo invece la società odierna consta amo che oggi ci
troviamo di fronte a un tempo della crescita che si prolunga sempre di più:
quella che in una cultura primi va era una cerimonia che si concludeva in
pochi giorni, o in poche ore, diventa oggi una complessa procedura che si
dipana in un tempo molto dilatato, e definito in base a quelle che sono le
odierne esigenze della produzione.
Per comprendere il perché di tale prolungamento del tempo del passaggio,
nonchè della macchinosità e, nel tempo stesso , della scarsa visibilità delle
cerimonie del nostro passaggio, occorre par re da una analisi delle
esigenze produ ve della nostra società. Oggi per formare una forza lavoro
capace di essere al passo con lo sviluppo tecnologico è necessario
allungare i tempi di formazione, per cui, ad esempio, oggi si parla di elevare
l'età dell'obbligo fino ai 16 anni poiché altrimen non saremmo in grado di
formare lavoratori ada a svolgere i lavori che lo sviluppo tecnologico
richiede.
Ebbene il conce o odierno di "adolescenza" è legato a questa dilatazione,
è figlio di questa dilatazione, dovuta alle nostre esigenze forma ve che, a
loro volta, sono legate alle nostre esigenze produ ve.
Concludendo su questa prima parte, diciamo così, terminologica e storica,
possiamo constatare come in ques ul mi anni ci sia stato un ul missimo
cambiamento nel significato del termine "adolescenza": fino a poco tempo
fa il tempo e il luogo dell'adolescenza erano abbastanza immuni da
ingerenze esterne, erano tempi e luoghi "a parte" in cui l'adolescente si
rintanava, lontano dal mondo degli adul , geloso della propria appena
scoperta in mità ( i luoghi e i tempi dell'"isola che non c'é" di Peter Pan,
tanto per intenderci).
Ebbene questo luogo oggi (cioè nell'ul mo ventennio) é stato occupato dai
mass-media, per cui non é più "l'isola che non c'é" al di fuori del tempo e
dello spazio, ma un luogo dove il tempo viene scandito in maniera molto
precisa dalla società degli adul : la pubblicità, ad esempio, che con le
mode che riguardano l'abbigliamento, il cibo, i diver men , etc, impone
un determinato ritmo al tempo dell'adolescente, ne occupa gli spazi,
finisce con l'abba ere i confini dell'"isola che non c'è" e di introdurre
l'adolescente (ed anche il bambino, ormai) nel mondo degli adul ,
violando l'in mità dell'adolescente prima ancora che si sia formata.
2.I qua ro luoghi dell'adolescenza odierna
Possiamo considerare l'adolescente della nostra società come un viandante
che frequenta o, almeno, si propone e si a rezza a frequentare 4 luoghi:
a) la famiglia;
b) il gruppo;
c) la coppia;
d) lo star da soli.
Tu a la sua esperienza si svolge su ques scenari che, di volta in volta,
potranno essere luoghi ricerca o fuggi , luoghi di tranquillità o di
confli o, luoghi di arricchimento o di impoverimento.
Pertanto sapere come l'adolescente vive e si serve di ques luoghi
significa, in fondo, sapere cos'è l'adolescente dei giorni nostri.
Prima di addentrarci in ques luoghi, però, potrà essere u le vedere quali
sconvolgimen derivano dal prolungamento nel tempo dell'adolescenza
odierna, prolungamento le cui ragioni abbiamo visto nel paragrafo
precedente e che per alcuni, per coloro che frequentano l'università, ad
esempio, va ben al di là della soglia dei 18\19 anni, età in cui si vota, si fa il
servizio militare, etc., età insomma che solitamente oggi si considera come
spar acque fra adolescenza ed età adulta.
Perché un individuo possa considerarsi adulto è necessario che dentro
all'adolescente sca no 3 " mer":
1) un primo " mer" di cara ere biologico cos tuito dal sopraggiungere del
menarca nella ragazza e della capacità ere va del ragazzo;
2) un secondo " mer" di po emozionale che implica l'acquisizione di una
piena genitalità intesa sia come capacità orgas ca, sia come capacità di
sublimazione degli is n e perciò di accesso all'a vità crea va e cri ca;
3) ed infine un terzo " mer" di natura "economica" che implica il
raggiungimento dell'autonomia e la conseguente capacità di programmare
il proprio futuro in termini responsabili e indipenden dalle leggi
eteronome fissate dai genitori e dagli altri adul da cui fino all'adolescenza
si dipende.
Come abbiamo visto in molte società con esigenze forma ve (e produ ve)
più semplici delle nostre i tre mer sca ano quasi all'unisono, in altre
società i mer sca ano ad una certa distanza temporale l'uno dall'altro, ma
secondo un iter che rimane ugualmente molto cerimonializzato. La nostra
società non solo dilata i tempi della crescita e del passaggio, ma -fa o non
sempre considerato con la dovuta a enzione- non marca più con
cerimonie visibili questo passaggio e, nel far ciò, finisce con il ge are sulle
spalle dell'adolescente tu o il peso della crisi di iden tà che accompagna
questa fase. Blos in proposito parla di una vera e propria seconda
individuazione per il giovane: ebbene in questa fase delica ssima molte
istanze forma ve, educa ve (ad esempio la scuola) non sembrano esser
coscien del fa o che uno dei compi , o dei "meta-compi ", loro affida è
quello di cerimonializzare il passaggio all'età adulta dei ragazzi loro affida ,
di diventare dei veri e propri sacerdo del passaggio.
De o questo accingiamoci ora ad un breve viaggio nei qua ro luoghi in cui
"si spende la miglior parte" dei giovani d'oggi, nel tempo, ormai lungo, in
cui si accingono, "lie e pensosi", a "salire" "il limitare" della loro gioventù.
2a) L'adolescente e la famiglia
Il primo luogo di cui parleremo è quello in cui il ragazzo vive "da una vita":
quello più domes co, più conosciuto, che pure -come vedremo-
all'improvviso diventa un luogo nuovo in cui la posizione degli a ori, il
canovaccio che essi recitano sul palcoscenico delle qua ro mura
domes che cambiano quasi da un giorno all'altro, ponendo spesso in crisi
anche i genitori, da troppo tempo ormai abitua ad assumere un ruolo
centrale presso i loro figli e che vedono messa in crisi la solarità della loro
posizione precedente.
Il confli o fra adolescente e famiglia, banalizzando e frammentando un
processo che altrimen è con nuo e altalenante, io uso visualizzarlo in
questo modo:
schema
A- Nella fase A i genitori sono in posizione, appunto, solare e i bambini
orbitano intorno a loro. Vi è già una tensione fra Idem e Autos nel
bambino, cioè fra "essere iden co a.." (Idem) ed emergenza come
individuo autonomo (Autos) (Napolitani). Ma fino alla fanciullezza nessuno
di sogna di porre in dubbio la posizione solare dei genitori in questo
sistema.
B - Nella seconda fase l'adolescente comincia sempre più a pretendere di
essere autonomo, indipendente.
Viene messa in crisi la solarità della posizione genitoriale e su questo
ciascuno esprime realmente la propria autonomia, la propria indipendenza.
C - Infine l'avvento dell'età adulta è contrassegnato dalla capacità
tendenziale a "creare nuove unità", cioè a vivere pienamente la propria
genitalità: che vi siano o meno nuove unità sul piano le erale.
2b. L'adolescente e il gruppo dei pari.
Il gruppo, non solo per l'adolescente, può essere visto come un
caleidoscopio, o come una camera degli specchi che ci perme e di vedere
riflesse in ogni componente del gruppo, e nel gruppo nella sua interezza,
varie par di noi.
Ciò però è par colarmente importante in adolescenza dal momento in cui
il sogge o che si rispecchia nel gruppo, e cioè l'adolescente, da una parte,
come abbiamo de o prima, è un sogge o in rapida trasformazione,
dall'altra, in un certo qual modo, pur avendo frequentato gruppi esterni
alla famiglia da lungo tempo, non ha mai fa o degli inves men così
massicci su di essi come quelli che si appresta a fare in adolescenza. Ciò
perché, mentre fino alla fanciullezza ha preferito rispecchiarsi sul versante
familiare, ora, in preadolescenza sopra u o, sente come ormai vecchie e
stan e le immagini parentali, e si sente più disposto a trovare fuori delle
qua ro mura domes che nuovi modelli cui ispirarsi, nuovi sogge con cui
parametrarsi. Cosicché l'adolescente può provare ad avventurarsi nel
gruppo per conoscere le par di sè con cui fino ad allora ha avuto meno
confidenza, cosa che prima non riusciva a fare, per poi magari ri rarsi, non
riconoscendosi, non iden ficandosi fino in fondo con gli altri componen
del gruppo, quando queste par , da loro rappresentate e con le quali
l'adolescente non ha gran confidenza, diventano troppo minacciose per la
sua integrità personale. Quindi in questo gioco di rifrazioni per
l'adolescente é possibile ritrovare tu e le varie colorazioni, tu e le varie
par , tu i vari "personaggi" da cui è abitato, tu e le varie introiezioni che
nelle esperienze preceden ha avuto modo di fare in maniera più o meno
integrata.
Quanto de o in queste ul me righe ci perme e di capire anche quand'è
che il gruppo non funziona bene: infa se il gruppo funziona come
abbiamo de o finora diventa un luogo di arricchimento, mentre se ripete
in maniera monomaniacale sempre la stessa immagine, se me e in moto
solo e sempre lo stesso introie o diventa un luogo di impoverimento: è
questo il caso, ad esempio, del gruppo delinquenziale che ripete in modo
monomaniacale sempre la stessa immagine, lo stesso agito, quello delle
par distru ve, aggressive.
2c.L'adolescente e la coppia
All'interno dei gruppi preadolescenziali, solitamente verso la fine
dell'adolescenza, si formano dei so ogruppi. Sempre in base ai processi di
iden ficazione, cioè, è possibile che nel gruppo si definiscano delle
alleanze composte da amici o amiche "del cuore", delle alleanze dalle quali
nascono delle vere e proprie coppie omoero che (non omosessuali, cioè
basate su for corren ero che sublimate nell'amicizia , e non sulla messa
in a o delle pulsioni sessuali), cioè coppie di adolescen dello stesso sesso
che definiscono per ciascuno di noi la base sulla quale si stabilisce la
nostra disposizione successiva a stringere le amicizie profonde. La coppia
omoero ca, é l'an camera della coppia eterosessuale, é come un ponte tra
il gruppo preadolescenziale e la coppia eterosessuale, che nello stesso
tempo però diventa il luogo in cui "ci si allena" a quel comune sen re, a
quel giocare sul piano delle amicizie che sarà molto fecondo di scambi e di
arricchimen nella vita adulta.
In termini di maturazione psicologica la disposizione ad una vita di coppia
rappresenta un salto che porta l'adolescente dalla endogamia, cioè dai
legami esclusivi all'interno della famiglia, alla esogamia, che va vista come
genera vità, come possibilità di "me ere al mondo dei figli" sia in termini
materiali, sia pure in termini simbolici, genera vità che viene giocata non
più dentro la famiglia d'origine ma fuori di essa. Cosicché quando parliamo
della capacità emozionale da parte dell'adolescente di definirsi come
adulto, noi parliamo della capacità del giovane di immaginarsi e proie arsi
in un futuro, di definirsi sul piano dell'autorappresentazione come capace
di genera vità. E nel far questo non bisogna pensare che ci sia bisogno di
un partner, ma della disposizione interna a coniugare ed a coniugarsi: a
coniugare par di sè che nel fra empo di vanno scoprendo nei qua ro
luoghi di sperimentazione, ed a coniugarsi, ad unirsi con quei membri della
comunità con i quali si sente più in sintonia.
E, mentre in un primo tempo, in preadolescenza, questa capacità di uscire
fuori dalla famiglia d'origine e sen rsi autonomi, passa a raverso la
ribellione, quando si avvicina al "limitare di gioventù" il giovane non sente
più il bisogno della ribellione poiché è già sicuro dei suoi limi e delle sue
possibilità di adulto. Alla provocazione del preadolescente, che è un
richiamare l'a enzione su di sè poiché non si è sicuri di se stessi, segue ora
una più piena e tranquilla genera vità che, ripeto, può essere giocata sia
sul piano materiale che simbolico, sia su entrambi i piani.
b4. Lo stare da soli dell'adolescente
Il terreno "principe" di sperimentazione dello stare da soli é proprio quello
della ribellione, che rappresenta la via a raverso la quale l'adolescente
impara ad andare da solo nel mondo nella misura in cui me e inizialmente
alla prova se stesso e gli altri -sopra u o le persone care- a raverso una
serie infinita di prove. In questa età l'esigenza principale é quella di trovare
un luogo al nostro interno, che è nostro e solo nostro, all'interno del quale
il preadolescente impara ad autorappresentarsi, e lo fa prima in maniera
"mitologica" (è questo il momento in cui è più a vo dentro di noi quel
"personaggio eroico" di cui abbiamo parlato in un precedente nostro
incontro), poi in maniera sempre più realis ca. Questo luogo in mo può
essere visualizzato come quel luogo psicologico in cui é possibile fare tu e
le esperienze, per lo meno sul piano immagina vo (per cui questo luogo è
anche il luogo della masturbazione in cui l'adolescente impara a conoscere
il proprio corpo ed i propri desideri sessuali). In questo modo l'adolescente
costruisce lentamente dentro di sè quello che, crescendo, egli va
diventando, quello che vorrebbe essere, la propria proge ualità, il proprio
futuro. E' un terreno di crescita interna che si forma come raddoppiamento
di quello che si è fuori e come capacità di riflessione sull'esperienza vissuta
che si conclude proprio nella definizione di se stessi come individui soli,
intendendo per "soli" l'essere autonomi, cioè essere capaci di definirsi in
base ad una propria legge.
Questo processo, come dicevamo prima, nella nostra società é molto più
complicato che nelle società più semplici per via del nostro lungo iter
forma vo, ma è complicato anche per un'altra ragione, legata alla natura
par colare del nostro essere soli, che adesso cercherò di spiegare. Il fa o è
che nella società a uale a ciascuno di noi è richiesto di raggiungere una
propria iden tà individuale e non solo di gruppo. Nelle società più semplici
a ciascun componente viene richiesto di raggiungere solo una specie di
iden tà gruppale in cui tra i membri del gruppo non c'é alcuna dis nzione
significa va sul piano delle singole par colarità. La sfida che impone la
nostra società è invece quella di diventare un individuo nel senso più pieno
del termine e di diventarlo senza un aiuto esplicito, cerimonializzato, direi
consapevole, da parte delle varie istanze forma ve che sono inves te nel
periodo di crescita e di trasformazione dell'adolescente in adulto.
BIBLIOGRAFIA
- Amerio e Borgogno; "Introduzione alla psicologia dei piccoli gruppi", Giappicchelli BO,
1975.
- Blos: "L'adolescenza" Franco Angeli, MI, 1980.
- G. Fara e C. Esposito: "Fantasia e ragione nell'adolescenza". Il Mulino, BO, 1984.
- A. Freud: "L'io e i meccanismi di difesa", Mar nelli, FI, 1967.
- D. Kiley: "Gli uomini che hanno paura di crescere: la sindrome di Peter Pan" Rizzoli, MI,
1985.
- G. Levi-Strauss: "Razza e storia ed altri studi di antropologia", TO, Einaudi, 1967.
- D.Napolitani: "Individualità e gruppalità" Boringhieri, TO, 1987.
- J. Piaget: "Dal bambino all'adolescente: la costruzione del pensiero" Nostra Italia Ed., FI,
1969.
- D. Winnico : "Il diba ersi nella bonaccia" in: "La famiglia e lo sviluppo dell'individuo" A.
Armando, Roma, 1976.
Lo specchio impossibile: problemi di iden ficazione con ragazzi
handicappa
(cosa accade nel rapporto educa vo quando lo specchio all'interno del
quale l'adulto deve rifle ersi rimanda immagini che rendono
estremamente doloroso e difficile il rispecchiamento)
Deliana Bertani
Come appare dal tolo le riflessioni che proporremo non sono centrate né
sugli strumen , né sul metodo di lavoro, ma sulla necessità di capire la
natura e le dinamiche del rapporto educa vo, la "parte" cioè che l
'educatore ( così chiameremo l'adulto ) fa nel viaggio che il ragazzo
handicappato sta compiendo per crescere.
_ Gli educatori( voi, io, gli insegnan ) affrontano esperienze emo ve e
difficoltà simili a quelle dei genitori anche se ci sono notevoli differenze di
ordine qualita vo e quan ta vo. Prenderemo come punto di riferimento
proprio i genitori, il loro ruolo, i contenu del loro mondo interno nel
rapporto con i figli)
differenze
Le differenze vanno cercate nel polo della formalità: l'educatore ha un
ruolo e\o fa un mes ere. Queste differenze possono essere riassunte in
queste parole: l’educatore è in parte esonerato dal tema della colpa e
prote o dal se ng, dal fa o cioè di" essere lì" per mo vi professionali e
con limi di tempo e di luogo ben defini . Chi ha avuto a che fare con
genitori di bambini handicappa sa come la colpa pesa in modo massiccio
sul rapporto, sulla vita, sull'esperienza del genitore e quindi del ragazzo. Il
genitore si a ribuisce la colpa di quello che è successo, dello stato del
ragazzo, del suo star male della non guarigione. L’educatore è in gran parte
esonerato dalla colpa come si diceva più sopra o comunque dalla colpa
originale; se di sensi di colpa si può parlare, saranno per il more di non
aver fa o, di non fare tu o il possibile. Inoltre l'educatore è prote o dal
se ng nel quale opera, dalla situazione nella quale è, perchè questa ha dei
limi di spazio e di tempo ben precisi e defini , l’educatore ha dei da
ogge vi che lo difendono
analogie
Vediamo le analogie fra genitori e insegnan . Queste vanno cercate nel
polo dell'informalità, cioè in tu o quello che succede, nella interpretazione
di questa "parte",
sul piano dell'affe vità, dell'intensità e della coloritura dei sen men .
1)La prima analogia, quella centrale , è l'esigenza per l'educatore come per
il genitore di trovare una misura nella relazione tra il troppo lontano e il
troppo vicino. Il troppo lontano che significa fuga e manipolazione, il
troppo vicino che significa adesione, iden ficazione totale,
sovrapposizione.
Esigenza di trovare la misura e esigenza di fare i con con i propri
meccanismi di difesa, con la rea vità che ciascuno di noi ha e me e in a o
consapevolmente o inconsapevolmente nelle situazioni di difficoltà. Fare i
con con tu o questo significa avere almeno avere un'idea delle nostre
par che me amo in gioco nel rapporto, che proie amo nel ragazzo con il
quale s amo lavorando; significa avere almeno un'idea dell'orecchio e
dell'occhio che s amo usando nell'osservare, nel guardare, nel capire,
nell'ascoltare la situazione. Meccanismi di difesa che possono distrarre
dalle esigenze educa ve del ragazzo stesso, che sono a va da sen men
di angoscia ,di paura che spingono a trovare dei ripari, degli aggiustamen
per stare il meno male possibile, che ci por amo dietro spesso sempre
uguali o che cerchiamo fa cosamente di rendere adegua .
Necessità di trovare una misura, di capire cosa sta succedendo dentro di
noi, necessità di equilibrare l'interesse verso la persona con la quale
abbiamo a che fare, verso l'altro da me, verso il diverso da me con" i miei
interessi" .De o in altri termini necessità di integrare L'INVESTIMENTO
OGGETTUALE CON L' INVESTIMENTO NARCISISTICO
.Cosa significa? Le componen ogge uali del rapporto sono quelle
componen correlate con la capacità dell'educatore di iden ficarsi con
l'alunno, di me ersi nei suoi panni, sono quelle componen correlate con
l'interesse, l’a enzione verso l'altro da sè. La capacità, la possibilità da
parte dell'educatore di me ere a disposizione dell'alunno stesso uno
spazio mentale. La capacità di pensare a quell'alunno che ha davan e che
nella fa specie è un ragazzo handicappato. Uno spazio mentale all'interno
del quale il ragazzo possa essere compreso, preso dentro, possa essere
pensato e dove possano essere messe a punto delle strategie educa ve,
riabilita ve emancipatorie, dove l'educatore possa me ersi in una
POSIZIONE DI OPERATIVITA'.
Questo implica da parte dell'educatore un'iden ficazione introie va-
opera va, cioè riuscire a capire quanto c'è di personale e quindi ges rlo e
quanto c'è del ragazzo in modo da non manipolarlo, non sovrapporsi e non
scappare. Cercare l'opera vità significa avere la capacità di fare i con con i
propri sen men , le proprie par messe in gioco, i propri meccanismi di
difesa. Queste sono le componen ogge uali.
Vediamo "i nostri interessi”, le componen narcisis che. Queste sono
correlate con il fa o che l'educatore è professionalmente interessato al
successo del suo allievo. Quando l'interesse diventa però troppo
personale, il rischio di frustrazioni e quindi di a eggiamen educa vi
inadegua si fa vivo. Anche qui bisogna trovare una misura. E' chiaro che si
cerca una soddisfazione nel lavoro che si sta facendo, però questo
arricchimento personale, questa soddisfazione non deve prevaricare tu o
il resto. Per esempio nella misura in cui l'educatore vive il disinteresse
come un rifiuto a vo nei suoi confron , come una conferma del fa o che
non è bravo, che non ci sa fare, allora la componente narcisis ca diverrà
troppo forte e rischierà di rendere l'a eggiamento educa vo inadeguato,
perchè la frustrazione sarà troppo pesante
2).Per capire meglio e so olineare l'analogia genitore\educatore, diciamo
che siamo nel campo delle componen narcisis che allorché il genitore,
davan a suo figlio che non mangia, vedrà crollare la propria immagine
ideale di genitore e si sen rà rifiutato, sminuito nelle sue capacità
3).Ancora analogie fra educatore\ genitore: la presenza del ragazzo
handicappato produce un effe o perturbante che è collegato sia alle
cara eris che psicologiche del ragazzo stesso sia alla presenza nella mente
del genitore, dell'educatore di problemi non risol , di bisogni insoddisfa .
Cosa significa? Quello infa che me e in moto la presenza di un ragazzo
handicappato è tu a una serie di problemi non risol , di bisogni
insoddisfa . La presenza di una persona in difficoltà, di una persona
dipendente, inadeguata, inevitabilmente ci porta alla mente, ci evoca i
nostri bisogni insoddisfa i problemi non risol . Bisogni e problemi an chi,
vecchi perchè la persona che abbiamo davan è grande e nello stesso
tempo piccola, è un adolescente ma è come un bambino di 3,4,5 anni.
.Rappresenta, presen fica in maniera reale ed esasperata il fa o che
ciascuno di noi è grande ma si porta dietro ,volente o nolente, anche il suo
essere piccolo, il suo essere adolescente e comunque il suo essere
bisognoso. E questo viene fa o riemergere a dispe o dei tenta vi di
annullare, rescindere i legami con il bambino che c'è dentro di noi, quello
che noi eravamo.
Il ragazzo handicappato che abbiamo davan ci fa tornare alla mente
elemen che sono anche nostri, che ci turbano che ci fanno stare male, che
ci perturbano ,che ci me ono in discussione, che ci costringono a rivedere
il nostro equilibrio ,che ci fanno me ere in moto le difese. E tanto più gravi
e grandi sono i problemi e i bisogni tanto più massicce devono essere le
difese per preservarci dall'angoscia
A questo punto vorrei invitarvi a rileggere il materiale dell'incontro con il
Do . Angelini su: “Onnipotenza - impotenza”.
Lo specchio interno
Ritorniamo al discorso degli specchi. Lo specchio interno è ciò che risulta, il
fru o delle iden ficazioni, proiezioni, degli insegnamen che gli adul cui
ci siamo affida hanno messo dentro di noi. Quindi prima il super-io e
l'ideale dell'io sono esterni al bambino, sono una parte del papà e della
mamma e di altri adul significa vi, poi sono esterni-interni e infine interni.
C'è un'altra cosa più vecchia, arcaica in noi l'io ideale, erede del narcisismo
primario quella situazione cioè di onnipotenza totale data al bambino dalla
fusione\confusione con la madre. Quindi mentre l'ideale dell'io è erede dei
personaggi ama l'io ideale lo è delle iden ficazioni eroiche.
Come fanno a stare insieme il super io, l’Ideale dell'io, l’Io ideale? A poco a
poco c'è una parte di noi che comincia ad emergere, la parte più razionale,
la parte che tende a fare gli interessi della globalità del nostro essere, e
questo è l'io. Se non ci fosse prevarrebbe o l'uno o l'altro e la fine sarebbe
il manicomio. L’Io che esercita una mediazione fra i personaggi interni e la
realtà, l'istanza che ci perme e di capire quando s amo oscillando troppo
fra onnipotenza (io ideale)e impotenza. L'io che segna la ro a del viaggio
per non naufragare sugli scogli. Rischio molto grande quando si ha a che
fare con ragazzi handicappa , tanto più forte quanto più il ragazzo è grave.
Avere a che fare con persone che non guariscono paradossalmente può
s molare la nostra onnipotenza arrivo (io e vedrete!!)
LA NASCITA DELL'INATTESO
Chiudiamo la parentesi su questo tema centrale nel capitolo delle analogie
fra educatori e genitori e fermiamoci a considerare il ragazzo handicappato
con il quale gli uni e gli altri hanno a che fare.
Chi è questo figlio, chi è questo alunno ?
E' qualcuno non a eso
Quando una coppia fa un figlio accompagna tu a la gravidanza con
fantasie sul bambino che deve nascere. Fantasie di coppia, fantasie
personali che vanno a costruire man mano un'immagine ideale del
bambino e parallelamente un'immagine ideale del genitore, come
dovranno essere l'uno e l'altro. Alla nascita questo bambino ideale dovrà
fare i con con il bambino reale che nasce. Il genitore farà il confronto fra
quello che si era immaginato e il bambino vero che ha davan ; dovrà
quindi rinunciare al bambino ideale per rapportarsi con quello vero.
Abbandonata l'immagine ideale elaborerà un lu o per quello che ha perso
e si rivolgerà al bambino vero. La capacità dei genitori di rinunciare a
questo bambino ideale si basa anche sulle capacità vitali del bambino.
Come hanno fa o i genitori a costruirsi questa immagine ideale?
A ngendo i vari elemen dalla propria storia, dai desideri, dai ricordi, dai
sen men posi vi e nega vi, dai personaggi ama o temu . Si sono servi
degli specchi di cui si parlava prima, dei loro riflessi, dei loro rimandi.
Il bambino vero è un bambino che presenta subito dei bisogni che hanno
risvol sul piano organizza vo, sul piano affe vo e sul piano interno della
propria stru urazione psicologica. Il bambino vero ha bisogno di spazio a
tu e tre ques livelli. Se i genitori non pensano a lui ma con nuano a
pensare a quello che avrebbero voluto che fosse, il bambino vero non
riuscirà a crescere, non potrà crescere perchè nessuno gli darà gli elemen
per me ere insieme la stru ura della sua personalità. Se il genitore non
pensa a lui, non lo "vede", ma "vede" il bambino ideale e gli rimanderà
qualcosa che non ha niente a che fare con lui, che riguarda qualcuno che
non c'è. E questo è un problema che accompagna tu a la crescita del
bambino fino alla sua autonomia
Quando lo iato fra bambino reale e bambino ideale diventa una voragine
.
Quando nasce un bambino handicappato lo iato fra bambino reale e
bambino ideale diventa una voragine un abisso, qualcosa che produce
un'esplosione di dolore, sofferenza, delusione, stupore, annichilimento.
Quando nasce un bambino handicappato, nasce qualcuno che nessuno si
era immaginato, qualcuno che ha pochi, pochissimi, nessun elemento in
comune con il bambino immaginato. Nascita dell'ina eso quindi. Allora
succede che la capacità di pensare al bambino vero, quello che si ha di
fronte, di immaginare si inceppa di fronte all'ina eso, è qualcuno che non
sta nei tempi, nei pun di riferimento nella mente dei genitori. Quando
nasce un bambino handicappato assis amo alla nascita e alla progressiva
formazione di un sistema relazionale stabile e sofferente, di un sistema che
ha nel dolore e nella sofferenza il suo elemento di stabilità.
genitori_________ferita narcisis ca
| scacco
senso di colpa
|
|
figlio__________bambino danneggiato che manda messaggi angoscia ,
che non può interiorizzare ogge buoni a loro volta danneggia
La nascita del bambino non a eso dà il via alla formazione di un sistema
relazionale stabile e sofferente cioè stabile in quanto sofferente
Il bambino non a eso è qualcuno che delude, qualcuno con cui si riesce a
fare i con solo parzialmente, solo difendendosi in modo massiccio.
E' qualcuno che produce una distanza difficilmente colmabile ,per il quale è
possibile una messa a fuoco precaria, che richiede un abbandono totale e
immediato delle fantasie narcisis che
che produce una ferita narcisis ca che disorienta e taglia ogni punto di
riferimento interno ed esterno, che fa piombare in uno stato di melanconia
per il bambino reale scomparso, che sollecita sen men di svuotamento,
auto denigrazione, auto accusa.
E' qualcuno che spesso si può affrontare solo "facendo finta che"
Anche a questo punto possiamo cercare di schema zzare nel modo
seguente ciò che accade:
*FALSO SE' dei genitori________STABILE IDENTITA' PRECARIA del figlio
handicappato
difese dei genitori______tra maniacali
enfa zzazione delle proprie azioni
situazione simbio ca
negazione
difese dei figli_____psico zzazione, asintonia, ossessività, negazione,
infan lismo, sedu vità, ansia, insicurezza, depressione
ANCHE L'EDUCATORE INTERAGISCE CON QUESTI RAGAZZI.
La funzione dell'educatore come si diceva all'inizio è intrisa di genitorialità,
anche lui deve fare i con con l'ina eso.
Se l'educatore non nega il polo dell'informalità si trova ad avere a che
fare, seppur con tonalità diverse e con una dramma cità molto
stemperata, con gli stessi sen men , con gli stessi problemi di auten cità,
con le stesse interruzioni iden ficatorie, con gli stessi lu da elaborare. Per
es: anche l'insegnante costruisce le sue fantasie all'arrivo dei nuovi alunni,
fantasie che dovranno fare i con con gli alunni veri, reali, così come
l'immagine ideale di sè come insegnante dovrà fare i con con la
quo dianità: lu o dell'immagine di studente ideale\lu o dell'immagine di
docente ideale. Anch'io quando aspe o un paziente nuovo faccio delle
fantasie.
Il gioco degli specchi è simile a quello dei genitori: il ragazzo, il bambino
che si ha di fronte evoca il bambino che è dentro e le immagini che
vengono rimandate sono quelle fornite dalle par più maldestre, incapaci,
inadeguate.
L'EDUCATORE INTERAGISCE CON LA FAMIGLIA
La relazione che si viene costruendo sarà inevitabilmente caricata nei due
sensi di significa affe vi e di elemen transferali.
Una relazione dove gli specchi che vengono a va me ono a confronto
con immagini che provocano dolore angoscia e sofferenza, che
propongono frustrazione, sen men di onnipotenza e impotenza, che
rimandano immagini che possono essere destru uran
Specchio impossibile si diceva nel tolo, specchio comunque molto difficile
da usare se non c'è nell'educatore la comprensione dei propri limi e delle
proprie difficoltà. Se l'educatore si me e nella posizione di cercare i
problemi e le difficoltà solo nell'altro, nel ragazzo o nella famiglia, la
situazione non potrà che peggiorare, il solco, la non comunicazione
diventerà sempre maggiore.
L'educatore incontra la sofferenza dei genitori e in qualche maniera viene
incluso dai genitori nel complesso lavoro psicologico di elaborazione del
lu o e dovrà affrontare: frustrazione
colpevolizzazione
idealizzazione
delega
Questo rapporto è ogge vamente complesso perchè entra in modo
massiccio nel gioco degli specchi di cui si parlava nel tolo ed è inserito in
un rapporto triangolare dove le dinamiche sono confuse, dove l'INATTESO
scalza le previsioni e le immaginazioni, vanifica i pun fermi
SPECCHIO IMPOSSIBILE o comunque molto difficile da usare se non c'è
nell'educatore comprensione dei propri limi e delle proprie difficoltà
,come si diceva prima, se non c'è almeno un vago sentore delle difese che
possono essere messe in a o.
Difese che possiamo così riassumere:*evitamento\ ogge vazione
(trincerarsi dietro al ruolo)
*angoscia\dipendenza (a esa dei superiori o degli esper per avere
soluzioni magiche)
*soluzione fusionale(interruzione della crescita, proposte regressivan
derivate da un'iden ficazione totale)
*complicità con il ragazzo (colpevolizzazione dei genitori e degli altri
operatori)
*"tu o va bene"
*negazione della situazione
GLI EDUCATORI sono anche dei modelli sui quali si stru ura l'iden tà del
ragazzo, hanno la possibilità di rafforzare in lui un'immagine di sè
acce abile e auten ca nella misura in cui possono avere a che fare con il
ragazzo vero che hanno di fronte con meno dramma cità rispe o ai
genitori. L'educatore può stare meno male e può guardare quello che
davvero c'è davan con più con nuità e con più stabilità. Può pensare di
più al ragazzo, può immaginarselo di più e può conseguentemente
assegnare a questo ragazzo dei ruoli adegua che aiutano il ragazzo a darsi
delle risposte alla domanda "io chi sono?" L'educatore ha quindi,
sopra u o in adolescenza, un ruolo importante nella formazione
dell'iden tà del ragazzo anche nella misura in cui riesce ad assegnare dei
ruoli sociali veri e auten ci.
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L‘esperienza è nata nel 1990 quando c’era il settore di Neuropsichiatria
Infantile, psicologia della età evolutiva, riabilitazione. Attualmente, in seguito
alla riorganizzazione della Azienda U.S.L. di Reggio Emilia “Gancio
Originale” è un’attività che si colloca nei settori di Neuropsichiatria Infantile e
di Psicologia Clinica (N.d.R.).