Sei sulla pagina 1di 541

Indice

Cosa sono i Quaderni di Gancio Originale


Vent’anni dopo

Che cos'è Gancio Originale


1. Gancio Originale: un gruppo di volontariato giovanile 
2. La bottega artigiana di Gancio Originale 
3. I metodi di Gancio Originale

I workshop e il disagio in latenza ed in adolescenza


4. Workshop e ingresso in latenza: difficoltà e problemi ad entrare in
latenza 
5. Intellettualizzazione e produzione in latenza: problemi connessi in classe
e fuori 
6. Workshop e ingresso in preadolescenza: difficoltà, problemi 
7. I criteri di selezione: workshop ed altre cure ambientali 
8. Tecniche di conduzione dei workshop: i contenuti in preadolescenza 
9. Tecniche di conduzione dei workshop: metodi e strumenti 
10. Come si tiene un gruppo di bambini e di ragazzi a rischio: cosa fare?
Come? Perché?

Accoglienza e scambio fra pari apparteneti a culture diverse: Le Stanze di


Dante
11. Le Stanze di Dante: workshop d’accoglienza e scambio tra pari di
culture diverse nelle scuole di Reggio Emilia 
12. Chi viene, chi c’è già: sguardi incrociati nel momento dell’accoglienza 
13. Insegnamento e apprendimento: l'integrazione a scuola dei bambini e
dei ragazzi immigrati 
14. Migrazioni nel tempo e nello spazio (2004) 52*
15. Supporti psicopedagogici per l’osservazione e la costruzione di un
rapporto di relazione con il ragazzo straniero 

Il gioco come fondamento dei setting di Gancio Originale


16. Giocando si impara 
17. Giocando si insegna 
18. Incontrarsi: gli spazi dello scambio solidale 
19. Funzione terapeutica e formativa delle fiabe 

Seconda individuazione e accompagnamento nell'esperienza di Gancio


Originale
20. L’accompagnamento nei processi maturativi dei giovani: le funzioni del
tutoring nei confronti dei giovani volontari e tirocinanti
22. La prospettiva del cambiamento: una minaccia o una promessa?
23. Dagli ideali adolescenziali a quelli adulti: metamorfosi del tirocinante 
24. Tirocinio e professioni del welfare ieri ed oggi 
25. La professione e la professione di tutor 

Gli adolescenti e l'ecosistema adulto reggiano


26. Dall’etica padana del lavoro all’estetica consumista: l’adolescente
reggiano di oggi a confronto con quello di ieri (e di avantieri) 
27. Giovani precari sulla linea d’ombra: entrare nel mondo adulto oggi a
Reggio Emilia
28. L’accoglienza e l’ascolto dell’adolescente
29. Le cerimonie attuali di passaggio all’età adulta 
31. La scuola di ieri e quella di oggi a confronto: dal rituale pedagogico alla
teatralizzazione della scena scolastica 

Gancio e il lavoro di rete


32. I luoghi dell’emarginazione e i luoghi dell’integrazione ieri ed oggi a
Reggio Emilia 
33. Adolescenti e disabilità
34. Le comunità di accoglienza per minori: una storia dietro le spalle 
35. Flessibilità e riprogettazione nei servizi alle persone 
36. Domiciliarità per sentirsi a casa nella società 
37. Mediazione in rete 
38. La responsabilità dei genitori separati nei confronti dei figli
30. Contesto scolastico ed adolescenza oggi 
Titolo | I giovani come risorsa
Autori | (a cura di) Leonardo Angelini, Deliana Bertani, Mariella Cantini
Copertina: Simona Valcavi
2022

E’ possibile distribuire, modificare, creare opere derivate dall'originale, ma non a scopi


commerciali, a condizione che venga: riconosciuta una menzione di paternità adeguata,
fornito un link alla licenza e indicato se sono state effettuate delle modifiche; e che alla
nuova opera venga attribuita la stessa licenza dell'originale (quindi a ogni opera derivata
non verrà consentito l'uso commerciale.2022  

Dino Angelini
Via Ettore Barchi 8 - 42123 Reggio Emilia
dinange@gmail.com
3497190911 
 
 Cosa sono i Quaderni di Gancio Originale 
I Quaderni di G.O. contengono le relazioni tenute alle giovani e ai giovani nostri volontari
ed ai nostri tirocinanti all’interno dei vari momenti formativi che inizialmente si
svolgevano due volte l’anno, e che in seguito si sono trasformati da una parte in atelier
pratici tenuti durante l’anno, dall’altra in una lunga serie di “Seminari al Seminario”, tenuti
a Marola ai primi di Settembre di ogni anno; ed in veri e propri cicli d’incontri su temi
specifici (è il caso, ad esempio di “Tirocinanti e tutor”) ai quali hanno spesso partecipato -
sempre gratuitamente- tirocinanti, psicologi, NPI, educatori, docenti, pedagogisti,
provenienti spesso da ogni parte d’Italia.
L’idea che abbiamo avuto fin dall’inizio è stata quella di non ripetere sempre gli stessi
argomenti, ma di partire ogni volta dalle esigenze e dalle urgenze dei volontari e dei
tirocinanti che operavano con noi. 
Ovviamente questo andamento apparentemente discontinuo, basato sulle urgenze del
momento, unito al fatto che sia i volontari che i tirocinanti variavano di anno in anno
ingenerando un considerevole turn over, trovava un a sua ratio nel lungo periodo solo nella
misura in cui di ogni argomento affrontato nel tempo fosse lasciata traccia in relazioni
scritte che venivano ciclostilate e offerte ai nuovi arrivati, in modo che ognuno avesse la
possibilità di poter attingere a ciò che era stato già discusso e ‘studiato’ negli anni
precedenti.
Ogni tanto, allorché ci era possibile farlo, le varie relazioni: - o venivano composte nei
Quaderni, in modo tale da recuperare nel tempo il filo rosso che le unificava (da ciò le
frequenti ripetizioni riscontrabili nelle sei raccolte!); oppure, di fronte ad argomenti che
richiedevano una riflessione più organica, diventavano l’ossatura di veri e propri percorsi
formativi, dai quali poi sono nati vari testi. Vedi ad esempio: e “L’adolescenza nell’epoca
della globalizzazione. Unicopli, 2005”, e “Free Student box. Counselling psicologico per
studenti, genitori e docenti. Psiconline, 2009”.
Un ultimo cenno ai relatori: nei limiti del possibile abbiamo cercato di offrire a tirocinanti
e volontari il meglio che era possibile trovare in città, in provincia, e anche ‘fuori’. La
maggior parte di loro non ha ricevuto alcun compenso per questo impegno; per cui si può
dire che anch’essi, in quanto volontari, hanno fatto parte a pieno titolo di “Gancio
Originale”. Li ringraziamo ancora una volta per questa loro disponibilità. Così come
ringraziamo presidi, docenti, e tutti coloro che ha collaborato con noi in quegli anni! 
“Dare, ricevere, contraccambiare”: è all’interno di questa logica che si sono posti nei 25
anni scolastici intercorsi fra il 1990\91 e il 2014\15 i nostri 12.000 volontari, i nostri
tirocinanti psicologi e no. Ed è all’interno di questo scambio che abbiamo cercato di porci
noi stessi, cercando di dare ciò che potevamo, e ricevendo tantissimo da tutte e da tutti.
(L.A., D.B., M.C.)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Vent’anni dopo
 
 
 
"Non cesseremo di esplorare
e al termine dell'esplorazione
arriveremo dove siamo par
e conosceremo il posto per la prima volta. "
(T.S. Eliot)
 
 
Nel 2001 abbiamo festeggiato il 10° compleanno di Gancio Originale con il
tolo “Se 10 anni vi sembran pochi”. Quest’anno, 2011, di anni ne
compiamo ven .
Gancio Originale e i vari suoi “prodo ” fanno parte di una storia, che è
quella dell’unità opera va di psicologia clinica, ma anche - ci perme amo
di dire – e ancor prima, della nostra storia professionale, che si fonde e si
confonde con la storia dei nuovi servizi sanitari per l’infanzia dell'Emilia e
Romagna, e di Reggio Emilia in par colare.
Si tra a di una storia che comincia allorché, agli inizi degli anni ‘70, nella
nostra regione nacquero i servizi territoriali, e che accompagna la nascita
del welfare emiliano, e di tu e le nuove e vecchie professioni che nel
modello emiliano di welfare in quegli anni si forgiano, o si r\forgiano.
Le a vità di Gancio Originale sono nate in un percorso che ha piano piano
contribuito a tessere la realtà dell'integrazione fra operatori scolas ci e
operatori sanitari, in una situazione dove i rispe vi ruoli professionali
sono sta ricolloca e diale zza in un’atmosfera opera va.
E’ in questa storia che di debbono collocare Free Student Box e gli altri
“prodo ” dell’a vità di “Gancio”: La Stanza di Dante, Strolgancio, Gancio
Welcome, ecc.
 
Gancio Originale è nato nel 1991 all’interno della AUSL di RE, ed è
diventato un organismo complesso e numericamente importante: negli
anni sono passa da Gancio quasi se emila giovani studen delle superiori
e altre an ragazzi della scuola dell’obbligo e tan adul : insegnan ,
presidi, operatori. Giovani, ragazzi e bambini che negli anni sono diventa
anche sempre più “colora ”: infa a quelli autoctoni si sono aggiun
anche tan giovani volontari, ragazzi e bambini migran . Li abbiamo
davan agli occhi tu , e a tu loro va il nostro profondo riconoscimento.
 
Casualmente il nostro compleanno coincide con la decisione del Consiglio
dell'Unione europea, pubblicata a Bruxelles, che formalizza la
proclamazione del 2011 "Anno europeo delle a vità di volontariato che
promuovono la ci adinanza a va". Lo slogan ufficiale dell’evento sarà:
“Volunteer! Make a difference”.
 
“Giovani, meno giovani, occupa e non occupa , appartenen a
differen etnie e credo religiosi: i volontari sono la tes monianza
vivente di come sia possibile abba ere quo dianamente barriere
sociali, culturali, religiose ed etniche”
 
Questo dice la UE e questo abbiamo sperimentato negli anni con i giovani
reggiani: sono sta vent’anni importan per Gancio e per tu noi. Anni
ricchi di cambiamen , anni di grande crescita numerica, di produzione di
nuove idee e di realizzazione di nuove a vità (Free Student Box, Gancio
Welcome, ecc.), di ampliamento della rete di is tuzioni, en e altri gruppi
di volontariato con cui abbiamo lavorato.
Sono sta anni importan e pieni di cambiamen per Reggio: la sua
popolazione si è mol plicata e “colorata” di nuove persone portatrici di
culture diverse, di abitudini, modi di vita e tradizioni differen :
centotrentasei nazionalità diverse!
Alcuni da molto significa vi tra dall’Osservatorio economico e della
coesione sociale della Provincia (edizione 2010):
 
- “tra il 1991 e il 2009 la provincia di Reggio Emilia è aumentata di
100.000 abitan (una ci à);
- tra il 2000 e il 2008 l’aumento è stato di 70.000 abitan (l’equivalente
di Carpi);
- fra il 2003 e il 2008 c’è stata una la crescita di 46.000 abitan :
l’incremento più alto in Europa;
- nel 2008 + 19,4% : l’incremento più alto in Italia;
- è forte l’aumento degli immigra nell’area dei minori (fra i nuovi na
in provincia di Reggio 1 su 5 è straniero); di conseguenza nelle scuole
di ogni ordine e grado si registrano percentuali crescen di studen
stranieri, che nel 2009 erano 6.910 (il 15,2% del totale degli studen ,
con punte del 24% nelle scuole per l’infanzia statali);
- consistente è il contributo degli immigra : - nel mondo del lavoro; in
quello dell’assistenza; ma anche della costruzione della ricchezza”
All’interno di una trasformazione di tale portata da iniziare a minare
e sfilacciare il tessuto sociale e le re familiari e ad incrinare
l’approccio consueto rispe o ai problemi dell’integrazione e più in
generale della tradizione solidaris ca si inseriscono segnali di difficoltà
che a raversano ce sociali finora mai a raversa dal rischio della
povertà.”
 
Insomma, oggi Reggio Emilia è chiamata a misurarsi con cambiamen
enormi, a misurarsi con un terremoto che sta scardinando iden tà e
certezze della sua gente. I rischi di anomia e di sofferenza mentale in una
situazione simile sono grandi. Ci amo sempre dall’Osservatorio economico
e della coesione sociale della Provincia:
 
“c’è un aumento costante nel tempo e decisamente elevato degli uten
dei servizi psichiatrici (dal 1990 al 2009 si passa da 500 a 6.500), così
come del numero dei minori in carico ai servizi sociali (sono quasi l’8%
del totale della popolazione 0-18 anni della nostra provincia; sono più
di 8.000 con un aumento di quasi 2.300 negli ul mi tre anni)”;
I minori in carico ai servizi sociali rappresentano nel 2009 il 7,9% dei
minori residen .
Il 40% ha genitori stranieri.
Aumento dei minori in carico (2006 – 2009) nei distre : + 50% a
Castenovo Mon (230 casi in più); + 30% a Guastalla (530 casi in più);
+ 30% a Montecchio (210 casi in più); + 18% a Reggio Emilia (560 casi
in più)“.
 
Ed anche a noi di Gancio risulta che la sofferenza dei minori si è
concentrata negli ul mi vent’anni su tre elemen ugualmente
problema ci: il disagio; l'accoglienza e l'integrazione dei migran di
seconda generazione; e, da ul mo, il rapporto intergenerazionale che è
andato in crisi di fronte all'emergere di una nuova infanzia e di una nuova
adolescenza, molto diverse da quelle che furono l’infanzia e l’adolescenza
degli a uali genitori e docen .
Queste erano le aree problema che cri che, già a par re dai primi anni
‘90. Ebbene per ciascuna di queste tre aree problema che Gancio
Originale ha predisposto nel tempo un insieme di servizi di prossimità il più
possibile integra e complementari con i servizi tradizionali degli en
pubblici (l’Ausl, il comune, la Provincia, la scuola) e con le loro risposte. Più
in par colare:
1. per il disagio in latenza e in preadolescenza sono sta appronta i
workshop: dei servizi pomeridiani rivol ai bambini e ragazzi a rischio.
Anno per anno sono sta raccol scuola per scuola insieme ai proff
referen , le segnalazioni dei casi lievi provenien dai servizi della Ausl, dai
servizi sociali e dalla scuola; sono sta inseri in gruppi pomeridiani dentro
la scuola stessa - i workshop, per l’appunto - guida da giovani volontari
delle superiori, a loro volta dire da giovani professionis (psicologi,
educatori), supervisiona dallo staff di Gancio Originale.
2. per i migran in età evolu va appena giun al Reggio Emilia le Stanze di
Dante, centrate sul tema dell'apprendimento della lingua italiana, ubicate
sempre in scuola, che vedono al proprio interno, oltre che dei giovani
volontari autoctoni, anche giovani volontari immigra che già
padroneggiano l'italiano ; funzionano con lo stesso impianto centrato
sull'accompagnamento.
3. per di adolescen , le loro famiglie e i docen delle superiori al
Consultorio Giovani – già operante a Reggio a decenni – si affianca il
servizio di counselling psicologico Free Student Box. Qui la catena
dell'accompagnamento, che comprende sia i proff referen che i giovani
peer counsellor, è finalizzata a fare opera di marke ng sociale in ogni classe
e fra gli adul (genitori e professori) per l'invio ai giovani psicologi
counsellor che operano in scuola di tu coloro che sentono il bisogno di
rivolgersi ad una stru ura, vicina e sempre gratuita, per ragioni di po
personale o relazionale1.
 
Si tra a di servizi di prossimità, come si diceva più sopra, che si basano su
una serie combinata di operazioni che si dispiegano in ogni scuola; azioni
che sono guidate e supervisionate dallo staff di Gancio Originale. Eccole qui
in sintesi:
a. Si parte da un accordo con delle singole scuole in base al principio “chi
ha bisogno di chi”; accordo sancito in protocolli d'intesa che sono ri-
negoziar e ri-firma con le singole scuole anno dopo anno; seguono:
b. un'opera di reperimento nelle scuole medie superiori dei volontari e dei
peer, anch'essa iterata anno per anno;
c. un alles mento dei luoghi fisici in cui si lavora, reperi insieme ai presidi
e ai proff referen ;
d. un lavoro di abbinamento dei volontari con i giovani psicologi che
opereranno nelle singole scuole;
e. un'opera di formazione dei volontari, nonché di formazione e
supervisione dei giovani psicologi;
f. ed infine un'opera di tutoring sugli aspe di cornice del sistema, sempre
svolta dallo staff.
 
I principi di fondo che informano il sistema sono essenzialmente cinque:
1. la logica indu va che ci perme e di avere un modello “debole” ma
sempre perfe bile;
2. l'accompagnamento e il tutoring in base al quale ogni nodo delle tre re
(workshop, Stanze di Dante e Free Student Box) è sempre in rapporto e in
una posizione di scambio con un altro nodo prossimo al primo, al quale
ricorrere in caso di necessità, e con quale programmare: una vera e propria
catena dell’accompagnamento che cos tuisce forse l’aspe o più peculiare
di quest’esperienza;
3. il legame con back office dei servizi pubblici;
4. l’adolescenza come risorsa, e cioè un a eggiamento o mis co nei
confron della possibilità che gli adolescen delle superiori hanno di
disporsi crea vamente all'interno delle tre re di cura. Queste le
fondamenta sulle quali vent’anni fa è nato Gancio. Dal punto di vista
psicologico ciò implica un rifiuto di una le ura sintoma ca dell’adolescenza
e dei suoi problemi, un non limitarsi all’epifenomeno eclatante, ma una
propensione e una capacità, arricchita dall’esperienza sul campo, di leggere
in ogni gesto, in ogni idea, in ogni sogno dell’adolescente e del giovane lo
sforzo che sta facendo per il raggiungimento della propria autonomia e per
la trasformazione dei suoi sogni in proge di lavoro.
5. Ed infine il principio del “minimo comune denominatore”, e cioè non la
ricerca di un accordo fra tecnici sul background scien fico di riferimento di
tu i professionis coinvol , ma la ricerca di un accordo sui qua ro pun
preceden .
 
Ques principi ci hanno permesso di rimanere sempre coeren con
l’impostazione iniziale, ma nel contempo di trasformare le a vità, ed
inventarne di nuove, per mantenerci adegua ai bisogni espressi dai
giovani, dai bambini, dalla scuola, dalle famiglie e, più in generale, dal
contesto sociale.
 
Sono quasi se emila – vogliamo ribadirlo, perché sembra straordinario
anche ai nostri occhi - i giovani volontari delle ‘superiori’ che in questo
ventennio hanno prestato gratuitamente la loro opera nei workshop, nelle
Stanze di Dante, in Free Student Box e negli altri servizi di prossimità na
sempre a par re da un’analisi puntuale dei bisogni dei sogge in età
evolu va e dell’ecosistema adulto che ruota intorno ad essi.
Ques giovani, che rappresentano senz’altro ”la meglio gioventù” che la
società reggiana ha espresso in quest’ul mo ventennio, sono recluta ogni
anno all’interno delle scuole medie superiori per un’impresa congiunta fra
bambini, ragazzi, giovani e adul , operatori pubblici, psicologi, educatori,
rocinan , specializzandi, insegnan , presidi, dove si rinegoziano delle
relazioni facendo insieme delle cose, me endosi reciprocamente in
situazioni di scambio e di arricchimento ma senza confusione di ruoli.
Un’impresa con la quale abbiamo sperimentato insieme ai giovani che il
volontariato non è una dichiarazione di fede né una scelta di vita, ma un
dare, ricevere, e contraccambiare, che è un’opportunità di crescita, uno
spicchio di mondo reale in cui trovare “quel procedere incerto fra cielo e
mare che chiamiamo esperienza” (E. Dickinson)
 
Il coinvolgimento del mondo della scuola che ha contraddis nto dal 1991
ad oggi tu e le a vità e che si è andato viepiù consolidando sia in termini
quan ta vi che di s ma e sostegno reciproco, è stato determinante per
comunicare ai giovani percorsi di impegno e per concre zzare momen di
crescita personale, per comunicare ai ragazzini modalità più lievi, diverse
per apprendere e per stare a scuola.
Un bilancio su vent’anni che ci pare notevole e degno di lode: lo abbiamo
de o 10 anni fa e lo ripe amo, anche con maggiore enfasi, oggi senza
more e senza falsi pudori, per la volontà spesso
realizzata con successo di intraprendere nuove esperienze. Ci amo per
esempio l’a vità con il corso di laurea in scienza dell’educazione
(Università di Modena e Reggio) che vede ormai tan rocinan realizzare
percorsi di accoglienza per bambini “d’altrove” in scuole materne ed
elementari, di confrontarci con le difficoltà, di sperimentare partendo da
niente, come abbiamo fa o fin dall’inizio.
Gancio e i suoi “prodo ” sono diventa una presenza riconosciuta in ci à
fra le is tuzioni, nelle scuole, fra i genitori e sopra u o fra i ragazzi: “fare
Gancio è figo” , “io sono di Gancio”, “sono un peer di Free”.
Abbiamo avuto tante conferme, siamo diventa una en tà conosciuta e
riconosciuta in cui parafrasando l’OMS si cerca di favorire un approccio
globale alla persona che è sogge o del proprio benessere; ed a maggior
ragione ad una persona che è un giovane, un ragazzo che sta crescendo.
Il 2010 e il 2011 sono sta cara erizza anche da cambiamen
is tuzionali provoca dalla necessità, da nuove esigenze, da nuove
opportunità:
- l’a ore principale nella ges one di Gancio e delle altre a vità è diventata
l’Associazione di Promozione Sociale “Amici di Gancio”, i partner storici
(Provincia, Ausl, Comune, scuole) non sono cambia , è cambiato il loro
ruolo: più determinan sono diventate le scuole e il Comune di Reggio. La
Provincia ha mantenuto la sua funzione di sostegno economico, l’Ausl ha
delegato al comune le a vità di cui s amo parlando mantenendo una
funzione esterna di monitoraggio.
Ma questa tendenza ad “abbandonare il desco” e andare oltre è una
cara eris ca di Gancio Originale. Non per niente ci è venuta in mente la
metafora dell’ascia di Washington quando, già dai primi anni abbiamo
compreso questo: l’ascia è ancora là in bella vista, anche se nel fra empo
le sono sta cambia sei volte il manico e due volte il ferro. Gancio
affronterà anche questo cambiamento e tu e le separazioni che derivano
da questo con nuo transito; è per questo che l’accompagnamento, il
tutoring, in Gancio come nelle altre stru ure di volontariato giovanile,
somiglia più ad una a raversata di un passo alpino che ad un lungo viaggio.
Tu o ciò ci spinge ancora a rifle ere. E in una stru ura così fragile e sogge a a con nui
mutamen le nostre riflessioni non possono non essere, ancora una volta, sul significato
del cambiamento:
Di fronte al cambiamento il problema non è quello di fare la poli ca dello
struzzo, ma di usare il meglio di se stessi e l’organizzazione nella quale si è
inseri per trasformare l’ansia e l’angoscia che inevitabilmente sorgono in
queste occasioni in elemen che perme ono di non farsi travolgere dal
cambiamento, ma di governarlo, di programmarlo.
L’accompagnamento è una delle strategie più efficaci per governare il
cambiamento allorché, come avviene in Gancio Originale, sulla scena
organizza va vi siano più generazioni poiché perme e a tu gli a ori di
ricollocarsi l’uno rispe o all’altro in modo coordinato e complementare e di
trasformare così le ansie in elemen di programmazione e di cooperazione
intergenerazionale. Accompagnare significa introdurre nella ver calità di
un raffronto generazionale degli elemen di compartecipazione e di
condivisione che a u scono le distanze e ci fanno sen re più vicini.
Tu o questo non ci fa però perdere di vista la nostra condizione di
“anziani” che ci perme e di fare alcune considerazioni partendo da questa
premessa: è confortante vedere l’esistenza - confermata di anno in anno -
del piccolo esercito di giovani di Gancio. Un esercito clandes no che non fa
no zia, che non si fa pubblicità (siamo noi adul che cerchiamo di farla)
che ha fa o della solidarietà una bandiera senza colori poli ci e razziali.
Ques giovani che vediamo tu gli anni, a vi ed entusias , non hanno
niente di diverso dai loro coetanei; come loro si divertono, vivono i loro
amori, vanno a scuola e spesso non sono molto studiosi, ma hanno
qualcosa in più.
Ques ragazzi non sono eroi, anche se non è facile fare scelte di impegno
in un contesto apparentemente di totale disimpegno e di negazione di quei
valori che forse noi adul non abbiamo avuto né il tempo né la voglia di far
sen re validi e acce abili. Il fa o che il volontariato giovanile esista e sia in
aumento anche se in forme strane, nuove a volte difficili da cogliere,
significa che i giovani sono rece vi a cer messaggi, ma vanno mo va ,
sostenu e accompagna .
Per concludere: ci piace pensare che la parola “giovani” oggi a Reggio
Emilia possa avere anche questo significato. Ci piace pensare che Gancio
Originale possa con nuare a contribuire, nei fa , a quest’opera di
accompagnamento del giovane verso l’età adulta e verso l’assunzione della
dimensione dell’autonomia, dell’operosità e della responsabilità.
L’ul mo impegno che ci prendiamo sarà di passare il tes mone a chi nel
fra empo è cresciuto, è diventato saggio ed esperto, di transitare anche
noi: è a questo anche che s amo lavorando.
Reggio è cambiata, come si diceva più sopra. E’ cambiato profondamente il
bel paese in cui viviamo è diventato più povero e più ca vo: non
vorremmo anche noi, come Gregor Samsa - il protagonista del celebre
racconto di Ka a - svegliarci e ritrovarci irriconoscibili. Non solo delle
canaglie con gli “ul mi della piramide sociale che è meglio sba ere sempre
più in basso, meglio ancora se “fuori”, ma anche feroci un po’ con tu gli “
altri” quelli che per le più svariate ragioni stanno peggio di noi. E
sicuramente stanno peggio di noi i giovani deruba del presente e del
futuro, massacra come vi me sacrificali dal processo di declino del
nostro Paese.
I giovani come risorsa abbiamo sempre de o e con nuiamo a dire a
maggior ragione ora: possiamo con Gancio, con le Stanze di Dante, con
Free aiutarli - almeno qui, almeno un po’ - a immaginarsi un futuro, ad
avere sogni e non solo incubi? Possiamo, noi adul , con queste a vità, e
sopra u o grazie all’esempio che da ques giovani ci proviene, imparare
da essi a sen rci meno soli e meno ca vi? Noi pensiamo di si.
 
Chiudiamo con i nostri più sen ringraziamen : ai quasi se emila giovani
volontari che con i loro presidi e con i proff referen in questo ventennio
hanno operato con noi; ai giovani psicologi, ai social worker e ai rocinan
che con la loro crea vità e con il loro prezioso lavoro hanno fa o crescere
nel tempo i mille proge di Gancio; all’Ausl, alla Provincia, al Comune di
Reggio Emilia, alla Fondazione Manodori che ci hanno sostenuto; alla Coop
Nordest che lo ha fa o in un momento per noi molto delicato; a tu
coloro che in ci à e in provincia ci hanno aiutato, a par re dal compianto
Preside Bortolani che per primo ha creduto in noi; ed infine ai bambini,
ragazzi e giovani che sono passa nei nostri can eri ricevendo, certo, quel
che potevamo dare loro, ma, in contraccambio, dandoci molto e
contribuendo così, oltre che al successo di Gancio Originale, alla nostra
crescita professionale ed umana.
 
L. Angelini, D. Bertani, S. Cagossi, M. Can ni
Che cos'è Gancio Originale 
1. Gancio Originale: un gruppo di volontariato giovanile
(2004)
 
 
 
Leonardo Angelini, Deliana Bertani, Mariella Can ni
 
 
 
1. Le intuizioni iniziali
 
Di solito la nascita di un nuovo servizio sia nel ‘pubblico’ che nel ‘privato’ è
legata alla presenza di un insieme di condizioni interne (ad es.: pianta
organica) ed esterne (ad es.: legislazione) che inquadrano la nuova en tà in
modo che risul no chiare fin dall’inizio sia le sue componen e le sue
finalità intrinseche, sia le connessioni a ese con gli altri gangli della rete
is tuzionale in cui questo elemento di novità va ad inserirsi.
Nulla di tu o ciò è accaduto allorché una dozzina di anni fa è nato Gancio
Originale, il gruppo di volontariato giovanile dell’AUSL di Reggio Emilia.
Gancio infa non nacque a tavolino: non fu il fru o di una
programmazione che mirasse ad espandere l’area di intervento del servizio
di NPI2 nel solco di nuove opportunità fornite da leggi nazionali o locali.
Semmai possiamo dire che Gancio nacque da una situazione di bisogno.
Da una parte infa già da alcuni anni all’interno degli ambulatori della NPI
erano sta porta avan da alcune educatrici della riabilitazione,
supervisionate dagli psicologi, dei “Gruppi per l’apprendimento”, cioè delle
a vità pomeridiane di po ripara vo nei confron di casi di disagio e di
lieve disabilità; dall’altra l’espandersi di centri appoggio semiresidenziali
per adolescen gravi e di stru ure per medio-gravi ci aveva spinto ad
allargare la convenzione che la AUSL aveva da tempo s pulato con il
ministero della Difesa e che perme eva l’accesso di giovani obie ori nei
nostri servizi.
Ciò che avevamo intuito - in verità pensando più al reclutamento degli
obie ori che dei volontari - era che bisognasse andare nelle scuole medie
superiori della ci à prima che i giovani uscissero da esse e si
disperdessero3 nei mille rivoli dell’impegno post diploma, e che occorresse
chiedere ai giovani in predicato di diventare obie ori di venire a svolgere la
loro a vità presso di noi, ed agli altri, e sopra u o alle altre, di venire a
darci una mano nei “gruppi per l’apprendimento” o in a vità individuali
pomeridiane rivolte a bambini e ragazzi disabili e a rischio.
Avevamo intuito anche che non potevamo chiedere molto a questa
seconda schiera di giovani poiché di fa o fin dall’inizio abbiamo chiesto
loro un impegno che non andasse oltre le due - qua ro ore alla se mana,
un impegno cioè di uno o due mezzi pomeriggi. Le risposte che seguirono a
questa nostra richiesta andarono subito al di là di ogni più rosea
aspe a va e fin dal primo anno l’adesione alle nostre a vità pomeridiane
superò la tren na. Si tra ava prevalentemente di giovani studentesse delle
ul me classi delle superiori, anche se non mancarono all’inizio adesioni di
adul , recluta al di fuori della scuola, che des navamo prevalentemente
al lavoro di cura individuale con i disabili o al lavoro in atelier presso le
stru ure per disabili gravi e medio-gravi.
Cosicché nei primi anni l’a vità di Gancio Originale si svolse
prevalentemente nelle stru ure delle équipe di NPI che allora erano
ancora territorializzate, cioè presen nei vari quar eri ci adini, e fu
centrata, più che su a vità di gruppo, in a vità di “volontariato singolo”,
in cui cioè ogni volontario lavorava singolarmente con il bambino o il
ragazzino cui era stato “abbinato” o partecipava a turno ad alcuni momen
di a vità delle stru ure per gravi e per medio-gravi della NPI.
Chiamammo questo nostro proge o “Gancio Originale” perché allora il
termine “fare un gancio” era di moda fra i giovani e perché noi in fondo
proponevamo loro un gancio un po’ strano: un gancio con un disabile o con
un ragazzo a rischio.
Un gancio per poche ore alla se mana e, come avremmo capito fin
dall’inizio, un gancio per uno o due anni: mai ci è venuto in mente di
chiedere loro di prendere la casacca di Gancio Originale “a vita”, anche
perché mol di loro (la “meglio gioventù” reggiana) poi, finite le superiori,
andava via da Reggio e magari proseguiva la propria a vità di volontariato
in altri luoghi dell’impegno e della cura. Un gancio mirato a farli lavorare
prevalentemente con bambini “diversi” e sopra u o ad individuare le loro
effe ve vocazioni e a curare in maniera precisa i luoghi della cura, di modo
che fossero ad es. vicini alle loro abitazioni.
Il combinato di tu e queste cose è stato Gancio Originale inizialmente.
Anche i nostri proge forma vi hanno risen to fin dall’inizio di
quest’o ca indu va in base alla quale abbiamo rinunciato a fare grandi e
de aglia proge iniziali, ma ci siamo propos un con nuo monitoraggio
di ciò che effe vamente andava nascendo e crescendo so o i nostri occhi
in modo da correggere la ro a in i nere.
Avevamo previsto il turn over degli obie ori, non avevamo invece previsto
il turn over così massiccio dei volontari. Eravamo assolutamente senza
risorse, per cui per esempio sul piano forma vo abbiamo fa o fronte a
questa “scoperta” con alcune cose: - innanzitu o ci siamo de che anche
la formazione doveva essere un momento di volontariato, per cui abbiamo
chiesto ai migliori esper della cura presen in ci à di venire a farci dono
delle loro competenze e del loro sapere; - in secondo luogo abbiamo
intuito che ripetere ogni sei mesi (come prevedeva la legge sugli obie ori)
sempre lo stesso schema forma vo avrebbe stancato qualsiasi formatore,
abbiamo perciò is tuito che “Paganini non ripete”, ma compensa vamente
ci siamo propos di dare in dote ai nuovi arriva la trascrizione delle
preceden ‘lezioni’ (cosa che da allora in poi abbiamo con nuato a fare
ogni anno con i nuovi arriva ); - ma sopra u o abbiamo deciso di andare
avan in un modo apparentemente rapsodico, ma che in effe era un
par re dagli a uali e reali pun di crisi dei nostri giovani volontari che
abbiamo ben presto imparato a riconoscere semplicemente chiedendo a
quelli che stavano per finire il loro percorso quali erano gli argomen sui
quali pensavano di avere più bisogno di aggiornamen e di
approfondimen .
In questo modo Gancio Originale in quegli anni si è andato gradatamente
espandendo in ci à. Come era implicito nel suo a o di nascita, nel suo
stesso nome4, nella sua collocazione liminare e sfumata rispe o all’ambito
is tuzionale, specialmente all’inizio, Gancio Originale ha assunto un profilo
cangiante e sempre alquanto scentrato anche rispe o ai nostri proposi e
alle nostre a ese. Non è stato facile accompagnare la nascita e i primi passi
di questa creatura apolide e squa rinata in mezzo a servizi paluda e di
lunga e sicura ascendenza.
 
 
2. Cambiamen is tuzionali e necessità di un ada amento
 
Nel 1994, a cavallo della fine della Prima Repubblica e degli albori della
Seconda, quasi come un movimento galvanico di un corpo morente, la
legge De Lorenzo ha aperto la stagione delle priva zzazioni e delle
aziendalizzazioni che (provvisoriamente) oggi si è chiusa con la legge
Mora sulla scuola. Cosicché è la sanità che all’inizio anni ’90 ha dovuto
sperimentare per prima quell’insieme di cambiamen che spesso si sono
pos in un rapporto di discrasia e di discon nuità con ogni elemento del
passato, compresi quelli più gloriosi. Ed anche in questo processo l’Emilia-
Romagna ha preceduto il resto d’Italia così come all’inizio degli anni ’70 era
stata parte non piccola nell’opera di costruzione dei servizi. Rimandiamo ad
un precedente lavoro di uno dei tre autori del presente scri o chi volesse
ripercorrere le tappe di quel percorso5 e concentriamo la nostra a enzione
a par re da quegli anni va accadendo nei servizi dell’età evolu va a Reggio
Emilia.
Su di essi, come su mol altri compar della sanità reggiana, la nuova
logica aziendalis ca impose l’emergere di un (supposto) criterio
efficien s co in base al quale i grandi contenitori e, sopra u o, la fissità
dei loro organici rappresentavano un impedimento al libero flu uare degli
operatori in ogni luogo fisico e is tuzionale in cui, a mano a mano che il
tempo procedeva, fosse emerso un ‘bisogno’. Si chiusero così le ‘grandi
canne d’organo’ dei vecchi servizi e si optò per i piccoli contenitori. Nel
nostro caso ciò significò lo smembramento del Servizio Materno Infan le in
qua ro servizi: Area Sociale, Pediatria di Base, NPI, Psicologia Clinica
Sociale e di Comunità.
Dalla NPI del Distre o di Reggio infa escono gli psicologi che confluisco in
un servizio monoprofessionale, il Servizio di Psicologia Clinica appunto, che
nel momento in cui comincia ad operare all’interno di questo nuovo
quadro viene a trovarsi in una situazione di difficoltà, specialmente di
fronte a quelle mansioni che richiedono un lavoro e, prima ancora, una
riflessione poli-professionale, così come era successo negli anni preceden .
Cosa che aveva favorito il sedimentarsi nel tempo di una piccola, ma per
noi importante consuetudine di lavoro in équipe polifoniche che nel bene e
nel male avevano cara erizzato sia i nostri legami interni, sia le nostre
modalità di le ura della mutante realtà esterna con cui avevamo a che
fare.
E se è vero che in quest’ul mo decennio ogni piccolo contenitore ha visto
un aumento della produ vità, è vero anche che l’assenza di luoghi di
riflessione e di lavoro comune ha avuto pesan ripercussioni nega ve sul
piano qualita vo poiché da una parte la rinuncia ad una le ura aggiornata
e integrata di una realtà sociale complessa ed assolutamente non sta ca,
quale è quella reggiana, ben presto ci ha impedito di vedere, almeno a
livello is tuzionale, in che direzione andava mutando il territorio, quali i
bisogni emergen e quelli declinan , quali di conseguenza i necessari
ada amen che la nuova realtà richiedeva; dall’altra la logica efficien sta
ci ha spinto a dare risposte standardizzate, più facilmente rilevabili in
termini quan ta vi, che nel caso degli psicologi coincidono
prevalentemente con le risposte esclusivamente monoprofessionali:
prestazioni diagnos che, psicoterapie, counselling, consulenze. Ma anche
su questo versante, apparentemente più prote o, si è abba uta la valanga
della ristru urazione poiché l’elemento di novità rappresentato dal Servizio
di Psicologia, unito alla scarsa risonanza che la parte più nucleare del lavoro
degli psicologi - e cioè la psicoterapia e il counselling - aveva all’interno
dell’is tuzione spingevano i responsabili di budget verso un’operazione di
con nua riallocazione degli psicologi all’interno dei vari ‘programmi’ che,
come la tela di Penelope, nascevano e si disfacevano negli anni .
Tu o ciò ha comportato per gli psicologi un grosso lavoro che potremmo
definire di marke ng interno volto a salvare la parte più nucleare del
nostro lavoro e a trovare nuovi luoghi e nuove modalità di riflessione.
E Gancio Originale lentamente diventa uno di ques luoghi in cui, grazie ad
un insieme di fa ori che ora cercheremo di vedere anali camente, si
rinnova anno per anno, un ponte che unisce il servizio di Psicologia Clinica
e il Consultorio Giovani, la cui direzione proprio in quegli anni è affidata ad
uno psicologo del Servizio di Psicologia Clinica, con il mondo giovanile e
con la scuola reggiana.
Cerchiamo di vedere ora ciò che in concreto accadde in quegli anni.
Innanzitu o va so olineato che il distacco degli psicologi dalla NPI di fa o
comporta una divaricazione per quanto riguarda la casis ca: molto
grossolanamente succede che la disabilità rimane alla NPI, mentre il
disagio passa alla Psicologia Clinica. Questa tendenza, che inizialmente da
entrambe le par si tendeva a negare, a Reggio Emilia poggia su due
capisaldi.
Da una parte sul fa o che il lavoro sulla disabilità richiede un approccio
poli-professionale già nel momento della diagnosi, ma sopra u o nel
momento della definizione del piano riabilita vo6 e nei vari momen di
follow up: e questo aspe o, necessariamente poli-professionale, del lavoro
riabilita vo, all’area di psicologia viene negato, per cui lentamente e
dolorosamente coloro che avevano cominciato il lavoro di
deis tuzionalizzazione e di ridefinizione dei percorsi riabilita vi devono
prendere a o che questo aspe o del loro lavoro sfila via e scompare mano
a mano che la casis ca cresce e “passa agli adul ”, cioè ai servizi per
l’handicap adulto.
Dall’altra sul fa o che l’esperienza di intervento sui ragazzi a rischio e, più
in generale sul disagio, fa a dai volontari di Gancio Originale guida dagli
psicologi, si è andata embricando nel tempo con una pluralità di sogge
che a mano a mano che il tempo passava sono diventa i protagonis
dell’intervento in questo importante se ore della cura in ci à. Cosicché,
oltre al Servizio di Psicologia Clinica e al Consultorio Giovani con i loro
rocinan , ben presto sul terreno del disagio si intesse una rete che ha
mol nodi fra loro variamente embrica : quello rappresentato dalle scuole
elementari e medie inferiori preposto alla tempes va selezione dei
candida alla frequenza dei vari momen pomeridiani che in quegli anni
vanno nascendo in ci à, a garan re l’apertura delle scuole di pomeriggio, a
tenere i conta con noi nei momen di verifica; quello delle scuole medie
superiori che, specialmente in alcune sue componen 7, si a vano nel
facilitare l’opera di reclutamento anno per anno dei giovani volontari; il
Comune che proprio in quegli anni con i suoi GET si va specializzando sui
casi in cui la componente sociale è prevalente rispe o a quella sanitaria; il
Servizio Sociale minori dell’AUSL col quale ben presto definiamo luoghi
comuni di riflessione e di proge azione; ed infine molte parrocchie, le
organizzazioni scout, e varie altre en tà personali8 e colle ve presen nel
tessuto sociale della ci à.
Tu o ciò, senza che all’inizio ce ne rendessimo conto, ha permesso a
questo insieme di en tà di mantenere alta l’a enzione sul problema del
disagio in ci à, a trovare luoghi nuovi di riflessione, di proge azione e di
verifica dei piani sul disagio, a definire insieme momen forma vi sul
tema9.
 
Nello stesso tempo, sempre in conseguenza della ristru urazione,
l’impegno per il reperimento degli obie ori “si sgancia da Gancio”
implementando in maniera indire a la componente femminile del gruppo:
ciò ci ha spinto a chiederci, sempre insieme ai nostri volontari quali
possono essere le ragioni in base alle quali anche a questa età la cura
sembra essere una preroga va quasi esclusivamente femminile10. Mentre
la chiusura degli ambulatori decentra in cui per decenni avevano lavorato
le equipe di NPI, dovuta alla chiusura dei distre territoriali, porta Gancio
ad inves re ancora più fortemente sulle disponibilità spaziali che la scuola
poteva me ere a disposizione di pomeriggio. Nel ‘94 infa le équipe di
NPI sono centralizzate in un’unica sede e dopo un momento di “panico”
dovuto al fa o che non avevamo più spazi diventa “ovvio“ rivolgerci ai
presidi delle scuole medie di provenienza degli alunni segui per
convincerli a consen re che Gancio di pomeriggio trasmigrasse nei plessi
scolas ci, ben prima che il decreto Berlinguer vedesse la luce e sancisse
l’apertura pomeridiana delle stru ure scolas che alle a vità del quar ere.
Questa conquista è stata la base per la nascita delle a vità di gruppo - i
futuri workshop - che dal ‘94 in poi diventeranno di anno in anno sempre
più numerosi fino a coprire a ualmente quasi tu e le scuole medie del
Distre o di Reggio (comune capoluogo e 6 comuni periferici), parecchie
scuole elementari e 6 scuole medie superiori che sono sede di workshop
per gli alunni delle scuole medie ed elementari limitrofe.
E’ in questo momento che “i gruppi per l’apprendimento”, na inizialmente
anche per rispondere alle esigenze di po ripara vo dei disabili lievi, si
specializzano sul disagio e cambiano anche di nome diventando i nostri
workshop, cioè delle vere e proprie officine di riparazione per ragazzi a
rischio. Ciò da un punto di vista clinico comporta una importante
puntualizzazione sul piano ripara vo: infa mentre il lavoro clinico con i
disabili è centrato essenzialmente sui deficit presen a livello dell’Io, cioè
sulle loro rido e capacità di comprendere ed operare sulla realtà, quello
con i ragazzi (cui ben presto si affiancheranno i bambini) a rischio non può
non essere centrato che sulle ferite narcisis che che il ragazzo svantaggiato
o deprivato porta dentro di sé. Ciò significa che, mentre l’operatore che
opera con i disabili deve svolgere una funzione che è sta definita (Cannao e
More ) di Io ausiliario, gli operatori che hanno di fronte a sé il ragazzo a
rischio devono svolgere un’opera di restaurazione del suo Ideale dell’Io
che, riprendendo una efficace metafora, nata non per caso in un ambiente
scolas co par colare, potremmo definire come sgarrupato. Fin qui nulla di
par colarmente ‘originale’: il fa o è che nel caso di Gancio c’è un elemento
che determina una situazione di assoluta par colarità, che probabilmente
non può essere nemmeno ricondo a pienamente all’ambito della peer
educa on: il fa o cioè che nel nostro caso quest’opera di po restaura vo
non viene affidata ad un adulto (come pure noi stessi facevamo quando
all’inizio avevamo aperto i “gruppi per l’apprendimento” ai nostri
educatori della riabilitazione), ma a giovani di qua ro o cinque anni più
grandi dei ragazzi loro affida .
A par re da questa vicinanza anagrafica, e dalla similarità dei contenu
prevalen a quell’età che, come so olineano gli adolescentologi, sono per
tu a l’adolescenza quelli incentra su un’opera di convivenza, più o meno
penosa, con problema che che investono pesantemente l’Ideale dell’Io, si
determina nei workshop un terreno di restaurazione e di crescita che ha un
alleato anche nell’elemento spaziale.
Infa lo sfru amento degli spazi scolas ci il pomeriggio in questa nuova
atmosfera più ludica e confidente di quella che si determina di ma na,
allorché la presenza dei proff impone un altro po di impegno, spinge i
nostri ragazzi ad addomes care gli spazi, a farli propri. In questo modo
quegli stessi ambien - cioè la scuola - diventano loro meno nemici ed
essere lì, nei luoghi in cui ogni ma na, dall’inizio del loro “calvario
scolas co“, sono passate le ruspe so o le quali sono sta schiaccia i loro
sogni per l’avvenire, e poterli finalmente sen re come luoghi amici è già di
per sé un fa o terapeu co11.
Ed infine, last but not least, c’è un ul mo elemento che in questo periodo
viene a complicare felicemente il concerto polifonico che si va
componendo intorno a Gancio: arrivano nel Servizio di Psicologia primi
psicologi rocinan dalle università di Padova e di Cesena (ai quali poi si
aggiungeranno i rocinan di Scienze dell’Educazione e infine i giovani
psicologi neolaurea provenien dalla facoltà di Parma). Sono ques
giovani neolaurea che decidiamo di imme ere nei workshop con
funzione di coordinamento dell’a vità dei giovani volontari. Comincia in
questo modo un altro precorso di crescita che vedrà fino ad oggi molte
generazioni di neolaurea in Psicologia trasformarsi, anche grazie
all’a vità svolta presso Gancio Originale, da laurea in Psicologia in
psicologi, cioè in professionis capaci di muoversi con competenza nel
territorio e nella professione.
 
 
3. Gli anni della crescita
 
I rocinan
L’arrivo nel servizio di Psicologia e conseguentemente in Gancio Originale,
dei giovani rocinan di Psicologia e di Scienze della Formazione perme e
una complicazione della nostra rete di cura, la estensione della catena
dell’accompagnamento in base alla quale ogni coorte coinvolta nella cura
può contare sul sostegno discreto e ravvicinato di una coorte solo di poco
più adulta e più matura, una maggiore professionalità nelle cure erogate
che, come vedremo, risulterà preziosa allorché – come sta avvenendo in
ques ul mi anni – l’età dei giovani volontari tenderà ad abbassarsi
ulteriormente.
Cerchiamo di vedere ora cosa accade dopo questo evento, per noi
importan ssimo. Nel fare ciò cercheremo di evidenziare, uno per uno,
quelli che a noi sono apparsi come gli elemen più significa vi che hanno
cara erizzato gli anni della crescita.
 
I workshop
Il processo di trasformazione dei “gruppi per l’apprendimento” nei
workshop avviene in concomitanza dell’arrivo dei primi rocinan e
possiamo dire che è stato uno degli elemen fondamentali nel processo di
solidificazione del rapporto con le scuole. Per cui vale la pena spendere
poche righe per sinte zzare la filosofia, gli scopi, le considerazioni sulle
quali e per le quali è nata l’idea dei workshop pomeridiani. Andando a
spulciare fra i documen ufficiali di allora leggiamo:
“……. L’obie vo generale consiste nella prevenzione secondaria e
terziaria del disagio giovanile mediante l’integrazione linguis ca,
scolas ca e relazionale dei bambini e dei ragazzi (autoctoni e
immigra ) in età dell’obbligo, segnala per disturbi d’apprendimento
su base non organica o cer fica secondo quanto prevede la
L.104/1992.
Nella consapevolezza che l’approccio ele vo per questo po di
problema ca debba essere mul disciplinare e ambientale, il workshop
è finalizzato a creare una sinergia tra is tuzione scolas ca, quella
sanitaria e famiglia per la programmazione di interven riabilita vi
mira alle par colari esigenze-carenze del minore”.
 
Il workshop assume così la veste di un insieme limitato di minori con
cer ficate difficoltà negli apprendimen scolas ci, affianca da
volontari di Gancio Originale e coordinato da psicologi che si riunisce
all’interno degli ambien scolas ci (come previsto dalle recen
disposizioni ministeriali in materia), al di fuori dei normali orari di
lezione, per lo svolgimento di a vità riabilita ve, di recupero scolas co,
educa ve, crea ve e forma ve…”.
 
Questo ha significato da una parte, come dicevamo prima, una maggiore
professionalità nella cura che si è riverberata sul piano clinico e sul piano
della ges one del gruppo; dall’altra l’impianto di una “ familiarità” fra
scuola e servizio sanitario, di una “alleanza” nei confron dei problemi e
della ricerca di modalità per affrontarli, di un reciproco arricchimento delle
o che di osservazione delle difficoltà e delle cri cità generali e dei singoli
bambini, e sempre di più il superamento di quella situazione di reciproca
diffidenza con il conseguente rimpallo di responsabilità e accuse che
solitamente viene a crearsi allorché si tra a di problemi che, più che gravi
da un punto di vista nosografico, appaiono come gravosi, cioè pesan per
la comunità scolas ca.
 
La messa a punto della rete di cura
Al coordinamento dei workshop da parte dei giovani rocinan si sono ben
presto aggiunte altre componen che hanno permesso in quegli anni a
Gancio Originale di ampliarsi e di trovare delle risposte nuove e ada e alla
più complessa rete che si andava definendo con la scuola e le altre
is tuzioni con cui eravamo e siamo in rete: è stato curato meglio il
rapporto con gli insegnan , è stata prestata più a enzione alla formazione
dei gruppi e, prima ancora, alla selezione dei ragazzi e dei bambini da
inserire nei workshop. Su questa base e sulla base di un ampliamento del
numero delle convenzioni con l’università, che ha permesso una ulteriore
crescita dei rocinan , è nata l’idea di stru urare stabilmente la
supervisione dei rocinan , con una cadenza precisa (una volta ogni 3
se mane) ed un metodo (l’apertura a tu i rocinan , al di là del
percorso di laurea scelto) che ha favorito l’interscambio di esperienza e la
valorizzazione delle differenze.
 
La formazione e le sue trasformazioni
Mano a mano che al volontariato singolo si è aggiunto quello ‘per’ gruppi e
‘su’ gruppi sono sta necessari cambiamen anche a livello della
formazione dei volontari: non più cicli semestrali di lezioni frontali, ma da
una parte lavoro pra co in atelier durante l’anno per l’apprendimento di
tecniche dida che e di modalità espressive spendibili con il gruppo dei
ragazzi e dei bambini a rischio, dall’altra la stru urazione una volta l’anno
di una full immersion forma va consistente in un seminario residenziale in
un ex Seminario nell’Appennino Emiliano (Marola): i seminari al Seminario
che oltre la concentrazione e l’approfondimento teorico-pra co (anche in
questo momento sono previs atelier, che sono lega agli argomen delle
relazioni iniziali) perme e di fare squadra sia ai volontari che al sempre più
ampio gruppo dei rocinan .
Il cambiamento nelle modalità della formazione si è poi reso ancora più
necessario sia per l’accrescersi del numero dei volontari sia per la
diminuzione della loro età (dal ‘95 in poi infa con la sempre maggiore
stru urazione del lavoro con le scuole appaiono o, meglio, fanno irruzione
in massa in Gancio Originale i minorenni, studen delle scuole superiori
delle ul me tre classi, questo è reso possibile dai protocolli di intesa che
abbiamo cominciato a fare con le varie scuole nei quali si concordava tra
l’altro con la scuola che la copertura assicura va dei volontari minorenni
era di loro competenza).
Abbiamo sperimentato le “verifiche“ come momen forma vi cioè tre
incontri annui (all’inizio, a metà , alla fine dell’anno scolas co) nelle scuole
di provenienza in cui tu i volontari della scuola stessa discutono fra di
loro, con noi e con i vari coordinatori - rocinan e insegnan - le loro
esperienze, le confrontano nelle posi vità e nelle cri cità, portano le loro
scoperte, le loro soluzioni.
Ques incontri fa in orario scolas co si sono rivela essere un modo
estremamente efficace di formazione - supervisione in i nere così come gli
incontri a piccolo gruppo fa dai coordinatori per la programmazione delle
a vità di ogni workshop e per l’affronto delle emergenze .
La programmazione della formazione e le modalità della stessa hanno
sempre dovuto fare i con , per avere successo, con i tempi dei volontari,
con i tempi della loro frequenza scolas ca. Abbiamo cioè dovuto tener
fede in modo preciso all’impegno iniziale: la richiesta di due, tre ore al
massimo del loro tempo se manale.
 
 
4. L’esplosione di Gancio Originale in ci à
 
Una fortunata opera di found rising che ha permesso un accrescimento
improvviso delle risorse (sponsorizzazione della Coop Nordest e accesso a
fondi di Provincia e Regione) ci ha consen to la nascita di una nuova figura
che complica ulteriormente la nostra catena della cura e
dell’accompagnamento: ai volontari, ai rocinan di Psicologia e di Scienze
dell’Educazione, alla nostra tutor (l’unica educatrice - una dei tre “soci
fondatori” di Gancio Originale - trasmigrata dalla NPI alla Psicologia Clinica)
e ai nostri psicologi si aggiungono ben cinque borsiste, in precedenza già
con noi come rocinan , che ora è possibile remunerare e che partecipano
ai momen di selezione dei ragazzi candida ad entrare nei workshop, alla
a vità di conduzione e programmazione dei workshop, ed entrano
stabilmente nello staff di Gancio Originale.
Si aprono così nuovi workshop; parte delle esperienze di workshop non più
solo nelle scuole medie inferiori, ma dentro le scuole medie superiori da
cui provengono i volontari, che così si trovano ad operare “in casa”,
workshop sempre aper ai bambini ed ai ragazzi a rischio provenien dalle
scuole medie ed elementari limitrofe. Ciò porta ad importan ssime
conseguenze sia sul piano della numerosità dei volontari, sia per la loro età
che cambia rispe o alle generazioni preceden : oggi infa , come
accennavamo sopra, la maggioranza dei volontari sono minorenni. I
risulta di questa ulteriore mutazione sono molteplici: si accorcia la
distanza fra il minore ogge o di cura e quello e che invece è sogge o di
cura ed aumentano considerevolmente i maschi.
 
La più giovane età dei volontari
Ques volontari sono comunque diversi rispe o a quelli di 10 anni fa :
potremmo dire per sinte zzare che sono ragazzi che agiscono in piccolo,
lontani dall’idea che così facendo stanno pensando in grande. Abbiamo
l’impressione che adesso fare volontariato rappresen un modo per
affermare la propria vitalità; un impegno per affermarsi nel proprio spazio
quo diano; un dover fare qualcosa per sfidare il nulla in un corpo a corpo
spesso inconsapevole con esso; il desiderio di riprodurre armonia, gius zia,
pace e amore: quei valori cioè che le vicende umane così spesso
calpestano ma di cui si serba nostalgia e bisogno; infine nello specifico del
lavoro di Gancio Originale il desiderio di cercare soluzioni caso per caso,
giorno per giorno che tengano conto delle esigenze dei bambini, dei
ragazzini con i quali essi hanno a che fare, dei loro problemi, delle loro
difficoltà e dei loro confli e anche dei propri.
Fare volontariato per queste giovanissime leve significa la possibilità di
lavorare con l’immaginazione, di poter pensare all’apertura di nuove strade
per sé e per gli altri; e nel contempo la possibilità di concre zzare
l’immaginazione stessa dimostrando a sé e agli altri che la speranza di
cambiare quello che non va non è un sen mento ingenuo e illusorio. E’ il
trovarsi lo spazio per chiedersi “Cosa posso fare?” e potere mantenere
dentro di sé la pregnanza di questa domanda contro l’espressione “Ma chi
te lo fa fare?”
Questa impressione ci ha dato una un’importante indicazione di lavoro:
con ques volontari giovanissimi occorre fare proposte che non
“deprimano”, che partano dai bisogni e dai contras che essi osservano
so o casa, che contengano proge condivisibili, che facciano sca are la
domanda “Io cosa posso fare?” che spingano ad alzarsi dal divano per
superare la noia che spesso noia non è ma che a volte è depressione.
Il risvolto della medaglia di tu o questo è che la giovane età, il numero
ormai al ssimo di volontari, la loro provenienza da tu i pi di scuola
(licei, is tu tecnici, is tu professionali) tu e queste cose determinano
una più imprecisa e disomogenea propensione all’assunzione e,
sopra u o, al mantenimento della responsabilità da parte dei nostri ormai
giovanissimi volontari e questo impone a noi e a tu o lo staff dei
rocinan e dei borsis un più a ento, puntuale e quo diano lavoro.
 
Le modifiche del rapporto con le scuole
Negli anni con nuano a modificarsi i rappor con la scuola in senso
quan ta vo e qualita vo: Gancio Originale è presente ormai nella maggior
parte delle scuole della ci à e dei comuni dell’immediata periferia; nasce
in ques anni la figura dell’insegnante referente, il che significa che gli
insegnan sono inves formalmente di questa funzione e che la presenza
di Gancio Originale è riconosciuta dai consigli di Is tuto, che Gancio
Originale rientra nei POF12 e che grazie questa a vità e a quest’impegno
con Gancio Originale le scuole o engono contribu (a onor del vero poco
più che simbolici) dalla Provincia e dagli altri En Locali; si generalizzano i
protocolli di intesa fra le scuole e l’AUSL per le a vità di Gancio Originale.
Per Gancio Originale è stata fondamentale la coniugazione con la scuola e
crediamo di poter dire a questo punto che anche per la scuola questa
coniugazione è molto importante.
Infa nella realtà scolas ca quo diana odierna la simbiosi fra ruolo
affe vo di adolescente e ruolo sociale di studente si realizza solo
parzialmente; il più delle volte il ruolo affe vo di adolescente mal si ada a
al linguaggio del ruolo sociale di studente. Questo è uno dei mo vi più seri
di crisi dell’a uale sistema scolas co, cioè la scissione frequente fra ruolo
affe vo di adolescente e ruolo sociale di studente, il ruolo di studente
raramente è in grado di ca urare gli affe dell’adolescente. L’affe vità
domina l’opera vità e spesso la esclude ostacolando la partecipazione al
lavoro e impedendo il processo di trasmissione delle conoscenze. Il ruolo di
studente, cioè il ruolo opera vo dovrebbe aiutare l’adolescente a me ere
a regime la propria aggressività, a controllare l’ero zzazione dei rappor , a
modulare la qualità delle relazioni con gli adul e con il potere. Lo studente
dovrebbe essere al servizio dell’adolescente e può aiutarlo a realizzare il
suo desiderio di farsi ammirare dagli adul per lui importan e a
conquistare un livello adeguato di visibilità sociale.
Nella realtà odierna ciò avviene solo in parte e con molta difficoltà, la
fragilità narcisis ca dell’adolescente di oggi mal si confronta con le ferite
che inevitabilmente produce il confronto con una realtà che chiede sforzo e
confronto, che giudica, che promuove o no. Ma il ruolo di studente è
l’unico che la cultura degli adul propone agli adolescen tanto che chi
interrompe gli studi e va a lavorare, magari diventa economicamente
autonomo, capace, ma si sente di aver fallito, si sente inferiore.
Il ruolo di volontario diventa, in questa situazione, importante perché è
opera vo, può aiutare l’adolescente a realizzare cose apprezzabili e
ammirevoli sia dai più piccoli, sia dai coetanei e sopra u o dal mondo
degli adul ed è esercitato in uno spazio che non è la scuola ma che è nella
scuola ed è riconosciuto e valorizzato dalla scuola, è un’a vità che avviene
in uno spazio che potremmo definire transizionale, né dentro, né fuori
dalla scuola, ma che perme e l’esercizio di un’opera vità che tra l’altro ha
a che fare con l’apprendimento, che assegna un ruolo sociale riconosciuto,
non facile ma scelto e più in grado di ca urare gli affe dell’adolescente,
del giovane e può essere un ponte verso l’assunzione del ruolo di studente
o comunque di persona più grande che si assume responsabilità.
 
 
5. Vecchi e nuovi problemi, nuove idee
 
Le separazioni, i cambiamen
La storia ormai lunga di Gancio Originale ci ha fa o sperimentare con
sgomento che i borsis prima o poi ci ringraziano e se ne vanno: ‘me ono
su bo ega’ per i fa loro.
Sono via via infa terminate collaborazioni significa ve con persone che
da anni lavoravano con Gancio Originale prima come rocinan psicologi,
poi come borsis . Abbiamo preso a o noi, gli operatori, l’ul mo anello
della ormai famosa catena di Sant’Antonio del tutoring, noi più vecchi che
“i figli crescono e vanno oltre, abbandonano la bo ega ar giana in cui
sono cresciu e pongono le basi per costruirsene una nuova per proprio
conto“. Ne abbiamo preso a o con soddisfazione ma anche con fa ca, non
solo perché abbiamo dovuto ricominciare da capo a ridefinire nuovi anelli
della catena, ad impiantare nuovi accompagnamen , ma anche perché,
come in ogni bo ega ar giana, l’allievo che si autonomizza dal maestro
suscita in quest’ul mo sen men fortemente ambivalen , fa di orgoglio
per l’avvenuta crescita e di senso di tradimento.
D’altra parte questa tendenza ad “abbandonare la bo ega ar giana in cui
per un certo periodo si è cresciu e andare oltre” è una cara eris ca di
Gancio Originale: è una cara eris ca dei luoghi di volontariato giovanile.
Non per niente ci è venuta in mente la metafora dell’ascia di Washington
quando già dai primi anni abbiamo compreso questo: l’ascia è ancora là in
bella vista, anche se nel fra empo le sono sta cambia cinque o sei volte
il manico e due volte il ferro. E così avviene da noi: i giovani volontari, i
rocinan , i giovani collaboratori passano e Gancio Originale resta a
disposizione dei nuovi venu , come l’ascia di Washington, che rimane se
stessa nonostante non lo sia da un punto di vista materiale. E’ per questo
che Gancio Originale deve affrontare tu e le coniugazioni e tu e le
separazioni che derivano da questo con nuo transito; è per questo che
l’accompagnamento, il tutoring nelle stru ure di volontariato giovanile
somiglia più ad una a raversata di un passo alpino che ad un lungo viaggio.
L’esperienza della con nua separazione ci ha confermato inoltre che
Gancio Originale è stato e con nuerà a essere una stru ura fragile perché
sogge a a con nui mutamen .
Abbiamo così imparato che di fronte al cambiamento non è produ vo fare
la poli ca dello struzzo, ma va bene usare il meglio di se stessi e
dell’organizzazione nella quale si è inseri per trasformare l’ansia e
l’angoscia che inevitabilmente sorgono in queste occasioni in elemen che
perme ono di governare e di programmare il cambiamento per non farsi
travolgere.
Abbiamo imparato infine che l’accompagnamento è una delle strategie più
efficaci per governare il cambiamento allorché, come avviene in Gancio
Originale, sulla scena organizza va vi siano più generazioni a confronto
poiché perme e a tu gli a ori di ricollocarsi l’uno rispe o all’altro in
modo coordinato e complementare e di trasformare così le ansie in
elemen di programmazione e di cooperazione intergenerazionale.
Accompagnare significa introdurre nella ver calità di un raffronto
generazionale degli elemen di compartecipazione e di condivisione che
a u scono le distanze e ci fanno sen re più vicini.
 
 
6. Il reperimento delle risorse e la marginalità di Gancio Originale
Un altro grosso e an co problema è rappresentato per Gancio Originale
dall’oscillazione delle risorse. La scelta di con nuare ad essere
is tuzionalmente una a vità di un Servizio Sanitario e non una
Associazione di Volontariato ci ha sempre impedito di concorrere ai
finanziamen locali, regionali, così come a quelli nazionali ed europei.
S amo cercando di elaborare e fare proposte affinché il nostro modello di
volontariato giovanile possa avere una qualche connotazione is tuzionale
senza dovere diventare una associazione di modo che sia possibile
affrontare meglio i rischi ineren a queste oscillazioni. Le ragioni che ci
spingono ad essere molto dubbiosi circa la nostra trasformazione in
associazione sono nel fa o che riteniamo che è in ciò una delle ragioni
della nostra capacità di a rarre i giovani: nel fa o che andiamo da loro
come una istanza sanitaria e marginale che non chiede di fare proseli smo
a vita e può farlo in maniera credibile proprio perché non ha i connota di
una associazione.
D’altro canto però uno dei retrogus amari del successo è nel fa o che
Gancio Originale oggi non è più marginale in ci à e, sopra u o nelle
scuole. Ciò ci spinge a amplificare le nostre richieste di cara ere finanziario
e sopra u o significa la perdita di una delle due condizioni che sono legate
alla marginalità: il fa o di non essere più liminari in ci à. Come risolvere
questo problema è, secondo noi, una delle sfide che ci a endono nel
prossimo futuro.
 
Nuove idee
Negli ul mi anni sono state ampliate e stabilizzate le a vità di accoglienza
per ragazzi immigra . E’ entrato in scena un nuovo po di workshop “La
stanza di Dante”. Uno spazio di accoglienza e avvicinamento alla lingua
italiana per ragazzi di recen ssima immigrazione colloca sopra u o nelle
scuole superiori Questo proge o stru urato e ar colato in vari centri di
a vità sta rivelando un aspe o “entusiasmante”. I volontari sono ormai
tu a loro volta ragazzi immigra e residen a Reggio Emilia da anni.
Sono i nostri primi e giovanissimi mediatori culturali che provengono da
tan ssime etnie (in provincia di Reggio Emilia sono presen ben 92 etnie) e
che due volte la se mana lavorano fianco in una piccola Babele dove la
diversità diventa elemento di ricchezza e scambio.
A par re dal 2003\’04 abbiamo messo a punto una stru ura di counselling
in varie scuole medie superiori della ci à, Free Student Box13, volta ad
ada are la catena dell’accompagnamento e della cura alla domanda di
aiuto che proviene non più dai ragazzi a rischio, ma dagli studen delle
superiori. Dove c’è un front office che è fa o di alcuni studen che
accolgono una domanda, quella dei sedicenni e dei diciasse enni che solo
di rado giunge ai servizi e la smista ai servizi della sanità pubblica che fanno
da back office, o risponde dire amente ad essa, qualora si tra di
problemi lievissimi. Il tu o supportato da un sito web che perme e di
mantenere l’anonimato e che offre anche molte altre possibilità di
informazione e di scambio.
2. La bo ega ar giana di Gancio Originale (2004)
 
Leonardo Angelini, Deliana Bertani, Mariella Can ni
 
 
1. L’accompagnamento
 
Se per peer educa on si intende l’aiuto che sul piano educa vo può
essere dato a bambini e ragazzi in difficoltà da parte di coetanei che
appartengono alla stessa classe di età allora l’esperienza di Gancio
Originale, un gruppo di volontariato giovanile reggiano che si prende
cura dei bambini e dei ragazzi a rischio, non può essere annoverata fra le
esperienze di peer educa on.
Infa nel nostro caso coloro che si prendono cura dei bambini e dei
ragazzi svantaggia o depriva segnala dalla scuola e seleziona dagli
psicologi sono degli studen – più spesso delle studentesse – degli ul mi
anni delle scuole medie superiori della ci à. E quei qua ro o cinque anni
di differenza – che nel caso del lavoro in scuola elementare diventano
anche se e, o o o nove – a quell’età segnano un solco tale fra le due
coor da rendere alquanto problema ca l’a ribuzione di peer educa on
al lavoro di cura svolto dai giovani di Gancio Originale.
Di che cosa si tra a allora? L’immagine che ci è venuta in mente allorché
abbiamo cominciato a rifle ere su ciò che, a mano a mano che il lavoro
procedeva, si andava concre zzando so o i nostri occhi, è stata in quella
della catena di Sant’Antonio dell’accompagnamento.
Come tu sanno la catena di Sant’Antonio connota operazioni,
solitamente truffaldine, in base alle quali un emi ente tenta di me ere
in piedi un trend di legami che si autoalimentano in base ad un vincolo
che obbliga ogni unità coinvolta ad estendere l’area totale delle unità
coinvolte ed a riproporre l’obbligatorietà del vincolo pra camente
all’infinito.
Nel nostro caso, a parte gli elemen truffaldini che non sono presen , in
fondo in fondo ogni anno viene proposto dal nostro staff un ‘gancio’ a
tu gli studen delle superiori di Reggio Emilia che li “vincola” ad
entrare in un gruppo opera vo che solitamente comprende altri dieci o
dodici studen , che è guidato da uno psicologo rocinante e che è
des nato per un anno a prendersi cura di un certo numero di bambini o
di ragazzi a rischio.
Pra camente la stessa cosa viene fa a ogni sei mesi nei confron degli
psicologi rocinan che vengono a svolgere il loro rocinio da noi, e da
qualche tempo nei confron degli studen di Scienze dell’Educazione
che svolgono con noi il loro rocinio “in i nere” e ancora più
recentemente con i rocinan psicologi che in i nere debbono fare gli
EPG (esperienze pra che guidate).
Ed ecco che, se noi consideriamo che dietro ad ogni rocinante c’è un
tutor che si prende cura di accompagnarlo durante il suo percorso di
crescita e di professionalizzazione e che, a sua volta, quel giovane
psicologo guida un gruppo di giovanissimi volontari che a loro volta
guidano e accompagnano nel loro accidentato percorso di crescita
psicologica un gruppo di bambini o di ragazzi a rischio, ecco che il tema
dell’accompagnamento diventa per noi centrale, più che quello della
peer educa on.
E allora è a par re dal significato che l’accompagnamento assume
all’interno di questa “catena” che dobbiamo par re se vogliamo
comprendere ciò che sta accadendo da 12 anni a questa parte in Gancio
Originale.
Accompagnare e mologicamente proviene dall’unione del prefisso “ad”
che significa “verso” con il termine “compagno” che significa “stesso
pane”. Vi è cioè nella parola accompagnare da una parte una indicazione
di direzione dall’altra un richiamo ad uno stato di condivisione
confidenziale che riconduce ad uno stesso desco, ad una stessa
appartenenza. Nel nostro caso la direzione è quella della crescita,
l’appartenenza è una strana e provvisoria casa, Gancio Originale, che
comprende per qualche tempo (da 1 a 2 anni a qualche mese) un
insieme variegato di sogge che sono accomuna (compresi i 3 “soci
fondatori”) dal fa o che si pongono in una situazione di scambio (dare,
ricevere, contraccambiare, direbbe Godbout14) in base alla quale tu
alla fine risultano arricchi per quel che hanno dato e ricevuto lungo
questo percorso.
Cosicché i bambini e i ragazzi a rischio alla fine avranno ricevuto le cure
loro necessarie per crescere e superare le varie situazioni di impasse in
cui fino a quel momento si erano impantana ; ma avranno dato anche
molto a chi si prendeva cura di loro: ai volontari la fiducia nelle proprie
capacità di riparazione, nel proprio saper fare che spesso, anche nel loro
caso, non trova di ma na una scuola pronta a cogliere le loro più piene
potenzialità; ai giovani rocinan la possibilità per la prima volta di unire
la teoria alla pra ca e, per questa strada, vedere enormemente
accresciute le proprie possibilità sul piano professionale, nonché la
possibilità di cimentarsi in un non secondario capitolo della clinica dello
sviluppo, apprendendo a far tesoro delle sconfi e così come delle più
rare vi orie e, prima ancora, a far tesoro di quell’insieme di indizi, di
sintomi, di grida e di ammu men , di gestualità e di espressività che alla
fine si comporranno in quella semeio ca psicologica che diventerà il
vero loro tesoro e che andrà lentamente accumulandosi dentro di loro
nel tempo.
E allo stesso modo i giovani volontari che si saranno da con tu se
stessi in questo lavoro riceveranno - oltre alle cose che abbiamo già
de o provenire loro dai ragazzi - tu o un insieme di cose nuove (abilità,
percezioni, concezione, ecc.) che provengono loro prima ancora che
dall’impegno, dal presupposto su cui esso poggia e cioè dall’assunzione
della responsabilità.
Assumersi una responsabilità infa comporta l’ingresso in una nuova
dimensione temporale in cui tra il fare e il vedere i risulta del proprio
fare c’è bisogno di tempo e in cui sicuramente occorre imparare a
convivere con la frustrazione originata dalla differenza esistente tra
proge o e prodo o.
Ma anche il giovane rocinante, che spesso grazie alla sua età ha già
fa o i con con la frustrazione e la depressione derivante dalla non
totale coincidenza fra speranza e proge o e che già vede prossima la
stagione dell’ingresso nel mondo del lavoro pure può provare altri
elemen , oltre a quelli a cui si faceva cenno più sopra, di crescita e
maturazione in Gancio Originale. Ad esempio: imparare a lavorare in
gruppo (nei nostri workshop), ma anche a rifle ere in gruppo nelle
riunioni di staff e nei momen di supervisione, ad assumere un
a eggiamento riabilita vo (noi amiamo più il termine “ripara vo”) che
non implica solo impadronirsi del terreno diagnos co, ma anche - e
le eralmente - impra chirsi nel saper cogliere quando intervenire e
come, come rapportarsi con la scuola e le altre is tuzioni limitrofe, ecc.
Ed infine anche per i so oscri , i 3 membri permanen dello staff, quel
partecipare al lavoro di impasto, confezione e co ura di quel pane
comune che si chiama Gancio Originale, significa certamente un dare:
sul piano della con nua reinvenzione di Gancio Originale, della sua
conduzione e della sua tutela in ambito is tuzionale più vasto, così come
del lavoro di selezione, di individuazione delle vere vocazioni dei singoli,
di abbinamento con una casis ca ad hoc ed infine di tutoring, di follow
up, di formazione e di supervisione. Ma è anche un ricevere che va dalla
possibilità di entrare in un rapporto vivo con i giovani, di partecipare con
loro alla costruzione di un proge o fino alla possibilità di trovare nei
nostri interlocutori professionali, i giovani psicologi rocinan (cui da
ul mo si sono aggiun i nostri giovani borsis ) degli s moli che ci
obbligano ad aggiornarci, a mantenere vive in noi le nostre propensioni
allo scambio.
 
 
2. Nella bo ega ar giana di Gancio Originale
 
Come ci ricorda Vertecchi15 è errato pensare che il ping-pong che
quo dianamente avviene tra docen e discen si esaurisca nel set della
lezione frontale. Ci vogliono, afferma Vertecchi, almeno altri due set
perché si possa ritenere di aver giocato la par ta insegnamento-
apprendimento fino in fondo: l’esempio è il prece orato.
Anzi, aggiungiamo noi, ci sono dei luoghi - come ad esempio la bo ega
ar giana - in cui la lezione frontale non c’è e tu a la par ta che si gioca
tra le due generazioni che a raverso la formazione si confrontano sulla
scena sociale avviene a raverso l’esempio e il prece orato. Dove per
“esempio” si intende far vedere all’allievo come impadronirsi del
mes ere, delle competenze, del sapere semplicemente proponendo
ogni passaggio in una specie di rallenty; e per “prece orato” far notare
all’allievo ciò che all’interno del processo che conduce al compimento
dell’opera solo l’esperienza accumulata dal maestro16 perme e di
cogliere prima (prae-capio = colgo prima).
Ebbene, come cercheremo di dimostrare, Gancio Originale ha in sé tu a
una serie di componen che sono metodologicamente riconducibili a ciò
che succede in una bo ega ar giana. Con essa senz’altro condivide,
come abbiamo già visto, quelle che partono dal tema
dell’accompagnamento e della situazione di scambio stra ficato
presente in ogni bo ega ar giana degna di questo nome, ma che non si
esauriscono in esso.
Il lavoro con i bambini e con i ragazzi a rischio, rispe o al più tradizionale
lavoro sulla disabilità, comporta sul piano contenu s co il passaggio
dall’approntamento di piani di lavoro centra sulle problema che dell’Io
ausiliario, a problema che centrate sull’Ideale dell’Io. E il ripris no di
una immagine di sé decente, raggiungibile, realis ca che occorre
perseguire nel lavoro di cura. La scena riabilita va rimane legata al dato
cogni vo, ma, mentre nel caso del disabile il background affe vo che
perme e il passaggio delle competenze è centrato sul tema del
recupero di funzioni egoiche, nel caso del disagio è centrato invece sul
recupero di una immagine di sé presentabile prima di tu o a se stesso e
ai contes di vita del bambino e del ragazzo. Tu o ciò da un punto di
vista metodologico implica la messa in gioco in termini di controtransfert
educa vo17 dei propri introie ideali e allora ecco che per i giovani
volontari più bravi tu o ciò significa tornare a me ersi in sintonia con
proprie par interne evocate dall’insuccesso del caso di cui essi si
prendono cura, par di cui grazie al loro successo scolas co avevano
perso le tracce. Per i meno bravi trovare sul piano del rispecchiamento
quegli elemen di opera vità, garan in ogni caso dalla differenza di
età che facilitano il mantenimento di un a eggiamento ripara vo. E,
mentre ques ul mi troveranno nell’opera vità ripara va la loro più
auten ca occasione di crescita e maturazione, al contrario per i primi
sarà proprio il riemergere - sempre evocato dal sogge o di cui ci si
prende cura - di ansie e angosce legate al mancato successo a svolgere
un’opera di ridimensionamento delle proprie par megalomaniche.
La stessa cosa accade nel rapporto tra volontari e giovani psicologi
rocinan e tra ques ul mi e i più anziani psicologi della Psicologia
Clinica18.
Ma questa stra ficazione di aspe a ve e frustrazioni, a vate a livello
transferale e controtransferale in ciascuna en tà coinvolta non è altro
che la trasposizione in Gancio di una stra ficazione e di una gerarchia
che ritroviamo in qualsiasi bo ega ar giana laddove all’interno della
diale ca tra maestri e allievi e cioè tra il dare e il ricevere da un punto di
vista metodologico e cioè sul piano della definizione dei se ng di cura
contano molto le modalità secondo le quali si dà e si riceve, ci si incontra
e ci si separa, si comunica al proprio interno ed in rapporto a sogge
che operano in luoghi limitrofi (nel nostro caso la scuola e la famiglia).
Vediamo ora in par colare ques tre pun .
Nella bo ega ar giana il dare e il ricevere sono media dal fare e sono
scandi in base ad un processo di apprendistato sufficientemente
scandito di modo che ciascuno degli a ori in bo ega sappia a che punto
egli è nel processo di maturazione professionale. Nel nostro caso il front
office della cura è il workshop: una officina di restaurazione in cui si
tenta di rime ere in piedi ciò che in precedenza è stato “sgarrupato”
dalle avversità della vita. Mentre il back office sono i luoghi della
programmazione, della selezione, della scoperta delle vocazioni, degli
abbinamen , del follow-up, della formazione ed infine della
supervisione. In ognuno di ques luoghi il fare opera vo incentrato
sull’esempio e il prece orato prevale sulla parola e ancor di più su
quell’insieme formalizzato di parole e di ges pico della lezione con la
sola eccezione della formazione e ancor più della supervisione che però
abbiamo imparato a smi zzare so o questo punto di vista e a ridefinire,
non sempre con rigore e coerenza nelle loro componen stru urali. E
cioè come modelli scandi e gerarchizza di un percorso che prende in
maniera discriminata (e al limite individualizzata, come avviene nel
rapporto che ognuno ha con il proprio tutor) tu gli a ori della cura,
tranne i bambini e i ragazzi.
L’inquadramento del lavoro di Gancio Originale in una atmosfera
opera va non esclude né comprime l’affe vità che erompe anzi nei
momen della festa e dell’incontro, ma che più spesso traspare tra le
righe in ogni gesto opera vo che abbiamo imparato a decifrare nei suoi
significa affe vi. Possiamo dire anzi che una grande parte dei nostri
momen forma vi, così come in maniera più evidente avviene nella
supervisione, possono essere vis come uno sforzo di le ura del
significato comunica vo ed affe vo di ciò che avviene nei workshop.
Insomma siamo lì non perché i nostri bambini e i nostri ragazzi diven no
più competen , ma perché riacquis no fiducia in se stessi ed imparino
ad essere meno impulsivi e più riflessivi.
E forse proprio in questo punto l’esperienza di Gancio Originale si
allontana da quella della bo ega ar giana: nel fa o che mentre nella
bo ega alla fine l’opera proge ata prende luce, in Gancio Originale gli
ar giani della cura dovranno sopportare uno scarto tra intenzione e
a uazione molto superiore di quello che, come giustamente ci ricorda
Jaques19, c’è da a endersi nel compimento di ogni opera. Ciò genera
frustrazione e senso di impotenza nei più anziani di noi, che fra l’altro
provengono dall’esperienza con i disabili: figuriamoci tra i più giovani!
Sicuramente il paracadute della supervisione (che pure comprende solo i
laurea e i laureandi e non i nostri giovani volontari) aiuta a smal re e a
metabolizzare la frustrazione, a fare in modo che il senso di colpa
derivante dalla sensazione che, nonostante i nostri sforzi, poco o nulla
cambia, si trasformi in sprone e in ulteriore impegno, ma non basta: e
forse possiamo dire che è qui una delle sfide più grandi che i nostri
giovani collaboratori devono affrontare: loro propensione al sogno e
all’utopia, devono fare i con con la durezza della realtà e con la
convivenza in un “topos” così avaro di soddisfazioni.
 
Anche in una bo ega ar giana, così come in una classe scolas ca, ci si
incontra e ci si separa. In Gancio Originale questo percorso - che sul
piano della formazione professionale di un sarto o di un falegname
poteva durare o o o nove anni, e che in una classe dura dai tre ai cinque
anni - dura mediamente uno o due anni. Il grande turn over che prende
l’o anta per cento dei nostri giovani volontari ci ha spinto anzi a fare
un’analogia fra Gancio Originale e l’ascia di Washington che da oltre due
secoli è lì in bella mostra in quella che fu la fa oria del primo presidente
degli Usa, anche se nel fra empo le è stato cambiato due volte il ferro e
cinque o sei volte il manico. E’ ancora lì e ciò che fa sì che sia percepita
ancora come l’ascia di Washington è l’aura che è intorno a lei, fru o
della sua passata appartenenza.
Anche Gancio Originale è ancora qui nonostante il fa o che, a parte i
suoi tre soci fondatori e coloro che si sono impegna con noi negli ul mi
due o tre anni, non uno di coloro che hanno collaborato con noi in
questo ventennio è rimasto qui con noi.
Sappiamo che mol di loro sono anda poi a prestare la propria opera di
volontariato, da altre par , proprio come avviene - certo più lentamente
- in una qualsiasi bo ega ar giana. Presumiamo che dentro ciascuno di
loro alla fine dell’esperienza con Gancio Originale si sia amplificata la
disposizione allo scambio e siano emerse più chiaramente le vocazioni
individuali. Speriamo che quel doppio lavoro, cui accennava la
Manoukian Olive 20 all’interno di un nostro seminario, sui ragazzi loro
affida e su di sé, li aiu a conoscersi meglio e ad usarsi per il meglio.
Noi che rimaniamo dobbiamo sopportare tu e queste separazioni e,
come Ecuba, madre di cinquanta figli, dobbiamo scontare di non
ricordare alla fine i nomi di tu , ma nella confusione derivante da
questa nostra genitorialità trasbordante, che onestamente non
presupponevamo di avere, rimangono dentro di noi i ricordi delle opere
che insieme abbiamo compiuto e la soddisfazione di averli accompagna
per un tra o delle loro crescita e di essere sta presi per mano da loro
per un tra o del nostro cammino (e se Benjamin ci ricordava che
occorre sempre chiedersi “chi educherà gli educatori?” noi possiamo
ben dire di essere sta educa da ciascuno di loro).
 
A raverso l’esempio si comunica: se io rallento ad arte il mio operare
perme o a chi mi sta a fianco ed è più inesperto di me di darsi il tempo
di apprendere. Ed anche a raverso il prece orato io comunico, a pa o
ovviamente di aver fa o una opzione che va nella direzione del me ere
in comune il pane del mio sapere e del mio saper fare e non
dell’arroccamento in me stesso: comunico me endo sull’avviso il mio
più inesperto collega o allievo circa la natura delle cose che stanno
accadendo, circa il significato degli indizi (la semeio ca cui accennavamo
prima), circa le strategie degli interlocutori “is tuzionali e non” con cui
abbiamo a che fare, la natura del loro linguaggio, dei segnali - anche
infinitesimali - che da loro ci proviene (una telefonata, uno scambio di
parole sulla porta, nel momento del saluto) ma, come opportunamente
ci ricordano Fabrizio Rizzi e Valen na Stenico21, ciò non significa
assolutamente dare per scontato che tu o il sapere sia dalla nostra
parte, che solo i nostri occhi siano capaci di cogliere la reale natura delle
cose.
Infa apprendere dagli allievi significa anche questo (oltre che vederci
narcisis camente conferma nel nostro sapere in base alla loro crescita
‘ubertosa’): osare confrontare le nostre capacità ‘visive’ ed
interpreta ve con le loro osservazioni, con il loro sapere e le loro
capacità autonome di operare.
 
 
3. Gancio Originale e la scuola
 
Le rappresentazioni sociali della scuola di Reggio Emilia potrebbero
essere viste come una serie di immagini che vanno, al di là del po di
funzioni da essa effe vamente svolte nella pra ca educa va, da un
versante più assistenziale, con a ese di po supple vo rispe o
all’a vità educa va svolta dalla famiglia, come avviene nel caso delle
scuole per l’infanzia e sopra u o per i nidi, e un versante meno
sussidiario rispe o all’a vità educa va svolta dalla famiglia, e via via più
autonomo e professionalizzante.
Dall’assistenza all’istruzione, potremmo forse dire con uno slogan, con
una doppia serie di equivoci circa la natura della con guità fra
formazione ed educazione e circa il rapporto che l’educazione e la
formazione hanno da una parte con l’assistenza, dall’altra con
l’istruzione.
Cosicché spesso non si vede che il lavoro di levigamento esercitato
dall’educazione è dentro il percorso forma vo, anzi nel cuore di questo
percorso e non a latere di esso. Così come non si coglie ancora da parte
della famiglia22 che la frequenza al nido e in scuola per l’infanzia, al di là
degli ovvi significa di po assistenziale, cioè integra vo, è per il
bambino un nuovo modello educa vo che lo accompagna in forma del
tu o nuova nelle varie tappe della sua prima crescita.
Così come non si percepisce - e qui siamo molto vicini all’area
problema ca in cui operano Gancio Originale ed il Consultorio Giovani -
che anche alla fine del percorso, all’epoca delle superiori - dentro ogni
ora, in ogni materia, in ogni passo verso la professionalizzazione vi è
ancora un quid legato all’educazione, al rapporto, allo scambio,
all’affe vità, per quanto denegata ed ogge vata essa sia nei profili, nei
rappor di fine quadrimestre, ecc.
E se agli inizi del percorso è la famiglia che ancora persiste in una
rappresentazione sociale del nido e della scuola per l’infanzia che non
comprende, se non accidentalmente, l’educazione, è la scuola che
spesso indulge in una visione ridu va del proprio mandato a mano a
mano che lo studente cresce.
Ma fortunatamente occorre dire che, come c’è una crescente richiesta
da parte delle famiglie di un nido più educa vo, c’è anche a Reggio una
parte consistente della scuola (maestre, proff) che non vivono bene la
costrizione del loro mandato all’interno delle anguste stanze
dell’istruzione: ad esempio cominciano a montare anche nelle superiori
richieste di supervisione rispe o agli aspe relazionali del lavoro,
richieste di “me ere in piedi” nuovi presidi delle a vità di Gancio
Originale.
E’ su questo humus che fin dall’inizio si è impiantata l’a vità di po
restaura vo sulla quale è nato Gancio Originale. Se si considera ad
esempio che la maggior parte di coloro che sono a noi segnala per
problemi di disagio viene da questa parte della scuola media ed
elementare, e se si considera altresì che molto raramente ci sono state
delle interferenze circa l’a vità sele va che noi di Gancio Originale
facciamo a seguito di quelle segnalazioni, allora si coglie che non è per
scaricare i casi che esse avvengono. Tanto più che le nostre a vità sono
pomeridiane e perciò integra ve, e non sos tu ve di quelle ma u ne e
scolas che.
E, d’altra parte, la individuazione e la presenza ormai in ogni scuola
media superiore di proff che collaborano stabilmente con noi nell’a vità
di selezione e a volte perfino di accompagnamento - di pomeriggio - dei
giovani volontari, tes monia di una iden ca sensibilità ai problemi
educa vi anche a questo livello.
Si è andata così definendo nel tempo una consuetudine, che ormai da
mol anni è sancita a raverso accordi scri (quei protocolli di cui si
diceva sopra) che perme ono una tutela nei confron di quella parte
della scuola meno sensibile ai problemi educa vi e ai temi del disagio.
In base a questa consuetudine e a ques accordi è stato possibile fissare
dei veri e propri se ng, estremamente mobili e nello stesso tempo
coeren , in base ai quali nella maggioranza dei casi la scuola è diventata
una interfaccia vicina e disponibile a me ersi in rete con Gancio
Originale sul tema del disagio. E in alcuni casi i proff si sono colloca
stabilmente nella catena dell’accompagnamento.
 

3. I metodi di Gancio Originale


 
Leonardo Angelini
 
 
 
Tu e le a vità del gruppo di volontariato Gancio Originale possono
essere raggruppate in due grandi ambi : 1. il lavoro frontale con i
bambini e con i ragazzi disabili e a rischio; 2. la formazione dei giovani e
dei meno giovani volontari che affluiscono in Gancio Originale e che
prestano la loro opera con i bambini e con ragazzi disabili e a rischio.
Perciò una riflessione sui metodi di lavoro di Gancio Originale significa
rifle ere 1. sui metodi del lavoro frontale e 2. sui metodi della
formazione.
 
 
1. I metodi del lavoro frontale
 
Il lavoro frontale, cioè l’insieme delle a vità di volontariato che in
concreto si fanno, a dire il vero viene preceduto da alcune importan
a vità.
Innanzitu o vi è una a vità di reperimento dei volontari che implica
l’esigenza di programmare e poi effe uare il conta o con i giovani nelle
scuole, nelle parrocchie, fra le associazioni giovanili, ecc.
Già in questo momento ci siamo trova , fin dall’inizio della nostra
a vità, di fronte ad un importante nodo metodologico: come far capire
ai giovani che la natura dell’impegno che noi cerchiamo è quella di un
impegno limitato, consistente sempre in poche ore se manali?
Impegno limitato ma importante per aiutare chi è in difficoltà?
Il metodo che abbiamo ‘inventato’, e che abbiamo potuto
sperimentare grazie alla collaborazione delle scuole medie superiori
della ci à, è quello dell’abbinamento nel momento dell’incontro con i
giovani, che avviene sempre in scuola, o negli altri luoghi da essi
frequenta , tra la nostra tutor, Mariella Can ni, e alcuni volontari che
già hanno lavorato con noi. L’obie vo è quello di rendere in questo
modo, grazie all’esempio concreto di chi ha già prestato la propria opera
di aiuto con noi, il meno enigma co possibile la natura dell’impegno che
viene richiesto ai giovani.
Si vede già fin da questo momento come una simile a vità di
reperimento sia stre amente legata alla natura pubblica del gruppo:
Gancio Originale è infa un gruppo di volontariato che fa capo all’AUSL
di Reggio Emilia. E la natura pubblica, e cioè non ‘di parte’ di Gancio
Originale, connessa con le preceden a vità svolte da lungo tempo
nelle scuole e nel territorio di Reggio dai servizi territoriali per l’infanzia
dell’AUSL, è all’origine del rapporto di fiducia che ci lega alle is tuzioni,
così come è all’origine della natura fiduciaria che ci lega ai giovani,
indipendentemente del loro credo religioso e del loro orientamento
ideologico23.
In secondo luogo vi è l’esigenza di abbinare i neo-volontari o ad un
caso individuale di disabilità o di disagio; oppure ad un gruppo: cioè di
inserirli nei workshop o nei laboratori linguis ci per i bambini stranieri.
Questo delica ssimo momento di abbinamento viene svolto da svolto
dalla nostra tutor, che nello stesso momento si propone al neo-
volontario come istanza di tutorship, cioè di aiuto e di guida di fronte a
qualsiasi difficoltà il neo-volontario dovesse incontrare in i nere.
A costo di sembrare lezioso ed esagerato - ma vi assicuro che non è
così - devo dire che forse la dote di sapere fare gli abbinamen e di
saperli ges re in i nere, fra le mille do dell’amica Mariella Can ni, è
quella che rende così speciale e, direi, infallibile il suo lavoro.
Il metodo da lei usato ai fini della valutazione delle specifiche
vocazioni dei singoli neo-volontari consiste in una serie di colloqui
individuali o di gruppo all’interno dei quali si cerca di:
individuare le singole vocazioni, come dicevamo prima, poiché
ognuno di noi ha una propensione par colare al fare opera vo,
propensione che va individualizzata e valorizzata; con nuare ed ada are
alle concrete disposizioni, anche temporali, dei singoli quell’opera di
esplicazione della natura limitata dell’impegno da noi richiesto; avere in
mano, nel senso di conoscere bene le insite difficoltà, i luoghi di cura
ecc., delle situazioni a lei segnalate in precedenza dalle équipe di
Psicologia Clinica o di NPI; comporre un abbozzo delle linee generali
entro le quali si definisce il lavoro del singolo volontario (orari, rapporto
con i tecnici dell’AUSL, i nerari, ecc.) di modo che il dato enigma co
derivante dal fa o che il giovane volontario non conosce ancora il caso
assegnatogli sia, non dico del tu o eliminato, ma almeno spogliato dei
veli che più pesantemente e in maniera più ansiogena lo avvolgono fin
dal momento in cui egli stesso, nonostante la presenza di questo dato
enigma co, si è de o disposto a prestare la propria opera di
volontariato.
 
Segue il lavoro frontale vero e proprio che consiste: - nella
presentazione del caso, o del workshop o del laboratorio linguis co con
cui il volontario è stato abbinato; - nella verifica della fa bilità per il
volontario degli orari, degli impegni e dei luoghi dell’intervento; -
dell’a vità di tutoring dell’a vità svolta; - nell’insieme delle verifiche in
i nere e finali.
I metodi con cui viene eseguito il lavoro frontale sono nella
discussione con la tutor e il personale AUSL che già segue il caso o il
gruppo, come abbiamo appena de o, nonché in quell’insieme di
pra che che cos tuiscono ormai l’ossatura del nostro operare 24.
 
 
2. I metodi della formazione
 
La cara eris ca fondamentale della nostra formazione, fin dall’inizio
del nostro operare, è nel nostro proposito di par re sempre dai pun di
crisi che cara erizzano sia il rapporto tra il volontario ed il sogge o, o il
gruppo a lui affidato, sia - più in par colare - il rapporto tra volontario e
Gancio Originale, fra lui e la scuola o le famiglie dei bambini e dei ragazzi
disabili o a rischio.
Ci proponiamo cioè di evitare quel po di formazione che potremmo
definire di po narcisis co ed autoesaltatorio che, a nostro avviso, nel
breve periodo può anche produrre dei risulta di po propagandis co,
ma che nel lungo periodo non paga poiché, se si pone il rusco so o il
tappeto - come dicono a Reggio Emilia - cioè se ci si rifiuta di individuare
ed affrontare di pe o i nodi problema ci dell’operare, tu o ciò che è
messo da parte come qualcosa di fas dioso e di non presentabile è
des nato prima o poi a venire a galla e a inficiare più o meno
pesantemente l’opera vità.
Ma come si fa ad individuare ques pun di crisi? Innanzitu o
a raverso una con nua opera di riflessione in base alla quale ogni
indizio, sia esso da noi ritenuto all’inizio posi vo che nega vo, viene
valutato a entamente, ogni voce, ogni pensiero - anche il più eccentrico
- viene preso in considerazione, se non altro per essere messo lì, in un
cantuccio ad aspe are la sua occasione, ogni elemento di forza che
modifichi la nostra rete sia laicamente so oposto a verifiche tenden a
vedere fino a che punto esso possa essere visto come una risorsa o
come un vincolo.
Per questo, anche all’interno di ogni momento forma vo viene
chiesto ai volontari di esprimere i loro bisogni forma vi e i loro pun di
crisi e l’insieme di queste richieste viene considerato un importante
contributo per la definizione dei futuri momen forma vi.
Spero sia chiaro, però, dopo quanto ho de o che è lontano dal nostro
modo di fare formazione sia il ba ersi in pe o di natura masochista e
immobilizzante, sia quel po di genuflessione nei confron delle
esigenze della base che potremmo definire assemblearismo.
Un’altra nostra abitudine è legata alla natura stessa di Gancio
Originale che presenta un enorme turn over al proprio interno, prodo o
dal fa o che si tra a di un gruppo di volontariato giovanile operante,
per di più, in una ci à che non ha una rilevante sede universitaria: il che
produce una specie di nomadismo dei nostri volontari25. Tale abitudine
è ciò un po’ immodestamente abbiamo definito: Paganini non ripete! Di
modo che non avviene mai di ripetere la stessa relazione ai nuovi
arriva . Di ogni relazione precedente però, proprio per questo, viene
consegnata una copia scri a al volontario nel momento in cui egli
prende servizio con noi.
E’ facile capire il perché di questo nostro operare: se avessimo iterato
ogni volta lo stesso pacche o forma vo da una parte ci saremmo subito
stufa e avremmo rido o la nostra formazione ad una vuota litania,
dall’altra saremmo rimas inchioda su aspe forma vi, magari
importan , ma non risponden alle dinamiche esigenze di un gruppo
che si rinnova così tumultuosamente ogni anno.
Avere invece la possibilità e, direi, l’obbligo di aggiornare sempre la
nostra proposta forma va ci perme e di disporre di un prodo o fresco
poiché sempre aderente ai sempre nuovi bisogni dei volontari. Avere
però tes monianza scri a dei preceden momen di formazione ci
perme e di dare in dote ai nuovi arriva parte del nostro patrimonio di
pensiero e di riflessione che segna fin dall’inizio la loro esperienza con
noi.
Un altro elemento che cara erizza la nostra formazione è nel
reperimento degli esper all’interno dell’AUSL, quando ciò è possibile, e
all’esterno allorché l’argomento lo impone. In un caso o nell’altro si
chiede sempre all’esperto la sua disponibilità a fare formazione
volontariamente, cioè gratuitamente: solo i tecnici che svolgono con noi
degli stage o dei veri e propri corsi sono da noi remunera per l’a vità
da loro svolta.
Un altro elemento importante è l’adeguamento dei metodi forma vi
all’argomento all’O.d.G., per cui ci potrà essere di volta in volta la
lezione, il diba to, il seminario o il lavoro di gruppo, il casework, il
roleplaying, ed infine quella forma che abbiamo inventato qua ro anni
or sono e che tanta fortuna ha avuto fra i nostri giovani, il seminario al
Seminario, cioè un momento stanziale presso il seminario di Marola, che
gen lmente ci ospita, una vera e propria full immersion forma va
teorico-pra ca.
Infine abbiamo lo strumento della supervisione degli operatori
(psicologi rocinan e studen di Scienze della Formazione) che guidano
i workshop e i laboratori linguis ci. Questo momento, che avviene di
ma na per esigenze pra che, solitamente non vede dire amente
coinvol i volontari, ma ugualmente ha un effe o di ricaduta sul loro
lavoro.
 I workshop e il disagio in latenza ed in adolescenza
 

4. Workshop e ingresso in latenza: difficoltà e problemi


ad entrare in latenza (1996)
 
 
 
Deliana Bertani
 
Inizieremo a parlare di quelle particolari situazioni formative parallele e
integrative rispetto a quelle scolastiche e terapeutiche in cui abbiamo a che
fare con bambini in difficoltà, con problemi di apprendimento, di
comportamento, di autostima, spesso non sufficientemente seguiti e sostenuti
dalla famiglia.
Innanzitutto accenneremo alle competenze che l’operatore deve mettere in
campo nel lavoro all’interno dei workshop: si tratta di competenze non diverse
da quelle dell'insegnante, ma più centrate su alcune aree e meno su altre.
 
La prima è una competenza di ordine affettivo, cioè la capacità di
comprendere i fenomeni affettivi, la capacità di osservarli e di riconoscerli.
Essere in grado di riconoscere nella condotta dei ragazzi l’emergenza di
richieste di aiuto, le ansie di smarrimento che si manifestano attraverso
comportamenti aggressivi, provocatori, di chiusura, di apatia o di incapacità,
può costituire un punto di forza per impostare o correggere il proprio lavoro, o
anche per rassicurarsi sul significato di eventi specifici.
La seconda competenza deriva dal fatto che siamo in una situazione
formativa e quindi abbiamo obiettivi di apprendimento in senso stretto che,
data l’età di cui ci occupiamo in questa sede (l’ingresso in latenza), sono legati
al leggere, allo scrivere e al far di conto.
La terza competenza deriva dal fatto che abbiamo a che fare con bambini in
difficoltà e l'approccio alla difficoltà comporta oggi un concorso di scienze, di
professioni, di tradizioni istituzionali che comprende la medicina, la psicologia,
la pedagogia, la sociologia, l'antropologia, la linguistica, l'epidemiologia, ecc. .
La difficoltà diventa così un’area di confine che può produrre incontro e
contaminazione fra varie scienze e professioni oppure chiusura e ripiegamento
su se stessi.
La competenza richiesta, in questo senso, è il coraggio di affrontare il rischio
della contaminazione nella consapevolezza del proprio ruolo e nella chiarezza
personale e istituzionale circa i propri compiti: nessuno di voi è una madre
onnipotente, a tutti è richiesto di essere dei professionisti dell’operare
educativo in grado di mettere le competenze di ciascuno in rete insieme a
quelle degli altri professionisti che lavorano con i bambini.
 
 
1. Il concetto di difficoltà oggi
 
Cerchiamo di approfondire insieme il concetto di difficoltà (dis/facultas = che
non ha facoltà). Il concetto di facoltà non è un concetto astorico; consideriamo,
per esempio, la manualità fine in tre periodi storici: 1) prima dell'avvento della
scuola dell'obbligo la manualità fine aveva a che fare con i pregrafismi solo in
modo molto marginale, e non era comunque un problema; 2) dopo
l’introduzione dell'obbligo in scuola elementare, ma prima che le scuole
materne avessero fini educativi, cioè prima che ai bambini fossero impartiti i
pre-apprendimenti, la conquista della manualità fine attraverso l'esercizio delle
aste era il primo obbiettivo scolastico da raggiungere in prima elementare
entro Natale e comunque la scuola dava per scontato che il bambino a sei anni
ancora non possedesse questa facoltà; 3) oggi, allorché i pre-apprendimenti
sono all'ordine del giorno già in scuola materna, un bambino che non possiede
i pregrafismi in prima elementare viene considerato un bambino in difficoltà.
Esempi simili avrei potuto fare per quanto riguarda il variare degli introietti
di spazialità, di temporalità, ecc., nei vari contesti attuali e passati, rurali o
urbani in cui al bambino tocca vivere. Ciò vuol dire che tutto il problema dei
pre-apprendimenti va posto sul piano storico, in connessione con le mutanti
esigenze che ogni società ha. Ogni fine educativo e formativo, quindi, può
prevedere o meno che il bambino si impossessi, o meno, di determinate
facoltà.
Detto questo, cerchiamo di vedere ora come oggi il problema della difficoltà
viene affrontato da un punto di vista diagnostico e riabilitativo. Innanzitutto, il
bambino con presunte difficoltà viene inserito in un protocollo osservativo che
prevede un’anamnesi individuale e familiare.
Il primo problema è quello di fare una diagnosi, il secondo di organizzare un
trattamento che può essere di varia natura (riabilitazione, psicoterapia, cure
ambientali).
In base al confronto dei dati di natura clinica e sociale, è possibile inoltre
impostare dei programmi di prevenzione, miranti a rimuovere le cause del
disagio. In ogni caso il bambino, nel momento in cui viene osservato, viene
inserito in almeno uno dei seguenti assi interpretativi:
1. Asse sintomatico: in base al quale i sintomi diventano segnali che vanno
nella direzione della normalità o della patologia secondo i postulati della
semeiotica medica. Ciò farà sì che in sede diagnostica si tratterà di sceverare se
il sintomo riporta ad una patologia o se è rappresentativo di un
comportamento normale e tipico della fase che il minore sta attraversando.
2. Asse strutturale: in base al quale l’attenzione del diagnosta non è
focalizzata sul sintomo, bensì sulla conformazione dinamica della struttura
psichica del bambino.
3. Asse genetico: in base al quale la mente di quel bambino, intesa in termini
neuropsicologici, viene osservata e parametrata alle linee di sviluppo normale
(standardizzato) della mente.
4. Asse ambientale: in base al quale il comportamento del bambino viene
visto in rapporto con l'ambiente familiare, scolastico, amicale ecc. .
Cosicché, se consideriamo, per esempio, la dislessia: secondo l'asse
sintomatico essa può apparire come una lesione neurofisiologica; secondo
l'asse strutturale come un’inibizione epistemofilica; secondo l’asse genetico
come il risultato di una disarmonia dello sviluppo di una funzione strumentale;
secondo l’asse ambientale, infine, come un’inadeguatezza pedagogica
(l’insegnante non avrebbe capito con quale strategia individuale quel bambino
sta apprendendo a leggere). Dov’è la verità? A mio avviso la verità può essere
cercata provando a coniugare tutti e quattro gli assi, nella consapevolezza che,
specie in età evolutiva, un’opzione adialettica per l’uno o per l’altro asse è
destinata ad un’approssimazione che, in molti casi, diventa intollerabile e
foriera di errori interpretativi.
Prendiamo ora in considerazione i quattro assi dal punto di vista pedagogico-
educativo:
- se l’operatore sposa solo l’asse sintomatico vedrà l’albero, ma non la
foresta; metterà in atto una didattica correttiva e per lui il problema principale
sarà la scomparsa del sintomo;
- se opterà per l’asse strutturale vedrà l'affettività, ma non gli apprendimenti
e ricorrerà ad una pedagogia degli affetti, poiché in questo caso il problema
principale sarà il rapporto con il bambino;
- se invece opterà per l’asse genetico vedrà gli apprendimenti, ma non gli
affetti e ricorrerà ad una pedagogia cognitivistica, poiché il problema in questo
caso apparirà come centrato sullo sviluppo intellettivo e l’acquisizione di
competenze;
- se infine opterà per l’asse ambientale vedrà la foresta ma non l'albero,
metterà in atto una pedagogia sociologistica e ideologica e sarà preoccupato
per le cause esterne.
Ritengo che in una situazione come quella nella quale operate ci sia bisogno
del massimo di integrazione possibile fra questi quattro assi.
 
 
2. Ingresso in latenza: difficoltà, problemi
 
Ma chi è questo bambino che ci troviamo di fronte tutti i giorni,
indipendentemente dal nostro umore, dal nostro stato di benessere o
malessere, dai nostri problemi personali? È il bambino che sta entrando in
latenza.
Riprendiamo ora il discorso che si faceva prima circa l’opportunità di
storicizzare il problema delle difficoltà. Molti indizi che ci inducono a pensare
che le modificazioni culturali e sociali intervenute nella realtà reggiana di questi
ultimi anni si riverberano sulla latenza del bambino di oggi rendendola diversa
da quella di ieri.
Ieri, ad esempio, vi era coincidenza fra ingresso in latenza e inizio della
scuola. Oggi tutto cambia poiché già durante la seconda infanzia i programmi
delle nuove materne che perseguono fini educativi (e non più assistenziali)
esaltano lo sviluppo cognitivo del bambino prima che il pensiero infantile abbia
raggiunto una sufficiente autonomia dalla sfera delle rappresentazioni
affettive.
Ciò rende del tutto nuovo quel processo di “decantazione” del fare operativo
dalle esigenze della sfera pulsionale-affettiva.
Cosicché, mentre trent’anni fa il passaggio dalla materna all’elementare
rappresentava l’uscita dal gioco e l’ingresso nell’operatività, oggi il processo di
decantazione e di passaggio dall’una all’altra dimensione necessita di una
preoccupazione da parte delle operatrici delle materne che non può limitarsi
alla didattica dei processi cognitivi, ma deve estendersi alla regolazione dei
comportamenti interpersonali, ad un esercizio per il controllo delle energie
pulsionali, al rafforzamento del Super-Io e allo sviluppo del senso d'identità in
rapporto con la realtà psico-sociale.
Favorire la decantazione in questo senso può diventare il leitmotiv che
accomuna scuola materna e scuola elementare, che permette il superamento
della conflittualità fra i due ordini di scuola e che valorizza le possibilità di
riorganizzazione della personalità del bambino che proprio lo stacco può
favorire.
Lo spazio che il workshop può avere nel favorire la decantazione e il
passaggio da una situazione dove prevale l'affettività ad una dove regna
l’operatività è grande. In un gruppo parallelo e complementare rispetto a
quello scolastico l’operatività infatti può assumere connotazioni molto più
varie, attraenti, meno spaventose, più interessanti e intriganti per il bambino,
di quelle che spesso assume in classe. Ciò può favorire e accompagnare il
passaggio.
Questo utilizzo in senso evolutivo della discontinuità può favorire il
passaggio graduale del bambino dal paese dei balocchi alla scuola, dal regno in
cui impera il principio del piacere a quello in cui vigono le leggi del principio di
realtà.
Usare in senso evolutivo la discontinuità vuol dire sfruttare la “nuova”
situazione per chiedere al bambino cose che precedentemente non era in
grado di dare o non era disposto a dare, difendendo contemporaneamente
certi privilegi dell’infanzia, soprattutto quelli connessi al piacere e ai vantaggi di
dipendere dall’adulto. È chiaro che queste richieste non debbono
improvvisamente sovraccaricare le capacità di adattamento e di
trasformazione del bambino, altrimenti la discontinuità si può trasformare in
un agente di stress, di disorganizzazione e talora di regressione specialmente
per i bambini a rischio.
La delicatezza del momento di passaggio è grande e l’impatto con la nuova
realtà è importante per l’atteggiamento del bambino, non solo nei confronti
della scuola, ma anche del mondo simbolico e della realtà sociale. In questo
momento particolare, la qualità dell’ambiente relazionale ed educativo che
ogni agenzia educativa riesce a dare è importantissima.
Noi dobbiamo essere consapevoli che nei workshop arrivano bambini per i
quali questo passaggio è particolarmente difficoltoso, per i quali la qualità
dell’ambiente che noi offriamo è fondamentale proprio perché, oltre ad
educare e ad insegnare, nei gruppi si deve anche riparare.
Come ci ha insegnato Erikson, i momenti di passaggio costituiscono dei punti
critici durante i quali il soggetto affronta le maggiori difficoltà di adattamento
con la più elevata probabilità di insuccesso.
E ciò di cui stiamo parlando è un delicatissimo momento di passaggio: il
primo giorno di scuola, infatti, per il bambino rappresenta l’ingresso in una
nuova dimensione della sua vita.
L’apprendimento scolastico richiede al bambino disciplina nel
funzionamento intellettuale, assunzione di nuove responsabilità e di ruoli più
differenziati nel comportamento sociale, organizzazione e differenziazione
dell’Io, una maggiore autonomia. In scuola, diversamente che in famiglia, sia i
rapporti verticali con i docenti, sia quelli orizzontali con i pari assumono delle
connotazioni che si basano sull’operatività piuttosto che sull’affettività.
Quindi - anche se, come dicevamo prima, nel caso del fanciullo reggiano di
oggi l’incontro con un adulto che svolge funzione docente c’è già stato in scuola
materna - ora ci sono nuovi obblighi, nuovi valori su cui essere valutati, c’è
l’accesso ai segni scritti, alla lettura, ai numeri e al mondo degli adulti.
L’ingresso nella scuola elementare rappresenta per il bambino, e non solo
per lui, una sorta di investitura, di iniziazione che è di grande valore simbolico e
tutto questo avviene in latenza, o meglio in quel periodo in cui deve avvenire la
decantazione della dimensione pulsionale affettiva (la decantazione, non la
scomparsa!).
 
 
3. Difficoltà ad insegnare e ad apprendere in latenza
 
A questo punto faremo alcune considerazioni sulle difficoltà legate
all'apprendimento in quest’epoca della vita e fisseremo l’attenzione
sull’intreccio che l'apprendimento ha con l’insegnamento.
Insegnare e apprendere sono due azioni che in questo periodo assumono un
significato istituzionalizzato, ufficialmente cadenzato e socialmente
riconosciuto.
Gli insegnanti elementari, in base a quanto abbiamo detto finora sulla
decantazione che accompagna la latenza, hanno la fortuna di seminare in
terreni già dissodati, e soprattutto possono lavorare con meno assilli, perché il
loro ruolo è più definito.
Ma se è vero che nella scuola ci sono i programmi, c'è qualcosa cioè di
condiviso, deliberato e approvato; non c'è scritto, però, da nessuna parte cosa
sottolineare, come interpretare, come modulare, e neanche come il bambino
riceverà quello che gli viene porto. Questo per dire che, così come ci sono
difficoltà ad apprendere, ci sono anche difficoltà ad insegnare ed entrambe si
riflettono sulla condizione che permette la trasformazione dei dati percepiti in
fatti appresi, strutturati e personali.
Quante volte avete sentito dire “quel bambino dimentica il giorno dopo
quello che ha imparato”, oppure, “ricorda solo quello che vuole”.
Potete riformulare ciò che avete ascoltato in questo modo: “Perché quello
che è stato detto e che il bambino ha ascoltato, non è diventato suo
patrimonio?”.
Vediamo ora l'intreccio che da un punto di vista relazionale l’apprendimento
ha con l’insegnamento.

Apprendere: esistono molti ragazzi che apprendono con difficoltà perché


non sanno come si apprende o perché non controllano i meccanismi
dell’apprendimento (problemi cognitivi, asse genetico-sintomatico). Esistono
diversi bambini che hanno paura di apprendere perché vivono
l’apprendimento o come colpa o come sconfitta o anche come pericolo (asse
strutturale-ambientale, problemi emotivi, relazionali, ambientali).
Molti bambini presentano ambedue i problemi: non sanno come si
apprende e hanno paura di apprendere. I due problemi possono dipendere
l’uno dall’altro: chi non sa, non è capace, finisce per sviluppare un
atteggiamento di panico verso gli oggetti e i luoghi dell’apprendimento; chi
prova paura verso l’intelligenza, verso la conoscenza e la scoperta, sviluppa
spesso delle tecniche molto raffinate per apprendere come non si apprende o
come si fa finta di apprendere.
I presupposti affinché un qualunque apprendimento diventi produttivo sono
i seguenti: uno scopo, una tecnica, un piacere, una rappresentazione.
Perché si impara? Si impara a leggere e a scrivere per precisare e per
trasmettere, a distanza di tempo, di spazio e di conoscenza, i pensieri propri ed
altrui; si impara uno sport o la matematica per sviluppare un dominio e per
stabilire e moltiplicare le relazioni fra sé e il mondo; si impara ad usare i propri
apprendimenti e a legarli ai propri interessi e alle richieste della realtà se si
costruisce dentro la propria mente uno scenario e un repertorio di tutti gli
apprendimenti, se questi ultimi vengono messi in relazione fra di loro e se si
riescono a cogliere tutti i loro mutamenti. Perché molti bambini non usano, e
quindi non accumulano, i loro apprendimenti?
Perché molti bambini soffrono nei luoghi dell’apprendimento e affrontano
con dolore gli oggetti di apprendimento? Queste sono le difficoltà ad entrare in
latenza.
L’apprendimento significa pensare a cose nuove e per potere fare questo è
necessario mettere in discussione, e in parte cancellare, le cose vecchie e
riconoscere quelle nuove come tali. La possibilità e la stabilità
dell’apprendimento sono in parte legate al senso di stabilità di chi può
apprendere: chi cerca di apprendere può identificarsi e riconoscersi in oggetti
nuovi e può perdere oggetti e spazi conosciuti solo se mantiene coerente lo
spazio dell’apprendimento, cioè se stesso.
Per conoscere è necessario sentirsi conosciuti; per conoscere cose nuove è
necessario potersi muovere in uno spazio dove cambiamento e familiarità
coincidono, dove, cioè, tutto si può cambiare senza che niente venga perduto.
Il luogo dell’apprendimento e la funzione dell’apprendimento sono gli spazi e
le azioni in cui diventano pensabili le relazioni fra gli oggetti e fra sé e il mondo;
perché ci possa essere una relazione, è necessario che ci sia una storia in cui
nuovo e vecchio si confrontino ed entrino in rapporto.
Apprendere significa, quindi, uscire da se stessi e dal proprio egocentrismo
per essere se stessi all’interno del gruppo a cui si appartiene; si tratta di un
processo che conduce alle acquisizioni di competenze o di conoscenze nuove
che permettono, integrandosi, di rispondere in modo sempre più adeguato alle
richieste ambientali.
Insegnare: apprendere deriva dal latino ab-prehendo = prendere da,
afferrare, impadronirsi: è quel processo di "integrazione" del nuovo nel già
esistente che porta ad una trasformazione dinamica della personalità
sostenuta dalla tensione verso un obiettivo, cioè da una motivazione più o
meno conscia, ed è un processo che si estrinseca in una dimensione
relazionale: prendere da.
Per apprendere, per imparare è necessario quindi che ci sia qualcuno che
insegni, dove insegnare diventa un fatto complicato che va evidentemente
oltre la comunicazione di nozioni, ma che implica, infatti, anche un
atteggiamento che schematicamente possiamo riassumere in tre azioni:
ascoltare, domandare, osservare.
Ascoltare: essere pronti a percorrere i sentieri che l'altro sta elaborando e
percorrendo. Domandare: far emergere e dar corpo alle paure, alle conquiste e
alle scoperte dell’altro usando se stessi.
Osservare: “leggere” i comportamenti, decifrare il linguaggio del corpo e del
movimento, i sentimenti che aleggiano nella “scena” che sta avvenendo in
classe.
Insegnare, in questo senso, significa entrare nel vivo della strutturazione
dell’identità emotiva, intellettiva e corporea del bambino. Insegnare significa
“segnare di sé” mettere dei propri segni nell’altro, dei propri “pezzi”, cioè quelli
della propria storia, della propria esperienza consapevole e inconsapevole, ma
comunque complessiva.
Secondo quest’ottica, insegnare significa avere il coraggio di ripercorrere le
tappe della propria crescita per avere un’idea di quello che è il seme, il segnale,
il pezzo che sto mettendo dentro all’altro, per avere un’idea dell’occhio e
dell’orecchio con il quale sto ascoltando, domandando e osservando il
bambino che ho davanti, le sue trasformazioni, le trasformazioni delle
dinamiche fra me e lui, le mie trasformazioni.
Nell’incontro fra chi impara e chi insegna in un’aula scolastica, ma anche in
famiglia, nel nido, nelle scuole materne, in una seduta riabilitativa, in un
workshop, in un GET, c’è un flusso di sentimenti ed emozioni che comprende
anche l’ambiguità, la sfiducia, l’aggressività, il bisogno di controllo, la paura, la
rabbia, l’amore e l’odio .
Il fare, l’insegnare e l’apprendere che passano attraverso questo rapporto
sono determinati e fortemente condizionati dalla coloritura di questi
sentimenti.
L’affrontare questa coloritura cercando di trincerarsi dietro il proprio ruolo,
oppure cercando di “domare” il bambino o di trincerarsi dietro una teoria
psicopedagogica dà risultati apparenti: il bambino obbedisce, ma cova una
profonda ostilità oppure sorge improvvisamente un altro problema, cosa che
inevitabilmente produrrà sentimenti di inadeguatezza e di incomprensione che
determineranno interruzioni.
Nel processo insegnare-apprendere si intrecciano i vissuti dell’insegnante e
degli alunni, cioè ciascuno vede nell’altro “qualcosa” e questo qualcosa è
storico, specifico, individuale e legato al rapporto, come si diceva prima, fra ciò
che è accaduto in quel momento, in quella situazione specifica, e il proprio
mondo rappresentazionale, cioè quella scenografia dettata dal modo in cui
ciascuno di noi ha vissuto, ha rappresentato e percepito sé e gli altri nel corso
della propria storia (e questo anche quando si insegna tecnica o algebra).
Se la classe non sta attenta, se un ragazzo fa lo stupido, se non capisce, se c’è
qualcuno che sa già e lo esibisce: queste sono tutte situazioni che mettono in
movimento sentimenti che mobilitano il nostro mondo interno (quando noi
capivamo o meno, quando noi eravamo lodati o sgridati, quando noi non ci
sentivamo amati o ascoltati).
Riprendiamo il discorso dei bambini che sembrano non avere gli strumenti
per conoscere o li hanno per così dire difettosi, o che imparano in modo non
comparabile con gli strumenti che hanno; o ancora che, pur avendo
apparentemente tutti gli strumenti necessari, non apprendono.
E per capire meglio focalizziamo la nostra attenzione sulla lettura.
La lettura. Da alcuni modi di dire, che si riferiscono ai libri e ai lettori, emerge
un’indubbia relazione tra il leggere e il mangiare. ‘Un lettore avido’; ‘un libro
indigesto’; ‘un libro pesante’; ‘divorare un libro: sono modi di dire che indicano
il collegamento tra leggere e mangiare, come se l’energia mentale impiegata
nella lettura fosse in qualche modo un derivato o un sostituto di quella
impiegata per soddisfare gli impulsi di tipo orale.
È poi indubbia la connessione della lettura con un altro fatto orale: il parlare.
Ma parlare è espellere nel mondo, leggere invece è prendere dentro di sé i
pensieri e le parole di altri e questo può procurare angoscia, la cui maggiore o
minore intensità e coloritura non può che avere a che fare con la modalità con
cui sono avvenuti i primi tentativi di conoscenza.
Mettere dentro di sé e guardare dentro le cose sono situazioni ansiogene,
ma non si tratta solo di guardare, riconoscere e dare un nome: per poter
leggere e scrivere è necessario riconoscere e tollerare il fatto che ci sono
sequenze obbligate, che il tutto ha più rilevanza delle parti e che alcune parti
già conosciute debbono essere eliminate per mettere insieme una nuova
conoscenza.
Ciò vuol dire che le operazioni mentali effettuate nell’apprendimento della
lettura ripetono, per certi versi, i primi tentativi di conoscenza del bambino e
rielaborano in modo attuale i suoi contenuti mentali. Nel momento, cioè, in cui
queste operazioni diventano possibili (guardare, riconoscere, sequenziare,
ecc.), il bambino acquista la capacità di guardare dentro di sé e di controllare
cognitivamente contenuti intrapsichici fino ad allora confusi e quindi ansiogeni.
Apprendere a leggere e a scrivere è quindi un modo per fare ordine e non è
casuale che ciò avvenga all’inizio della latenza, in un momento della propria
storia evolutiva nel quale il bambino cerca di mettere una certa distanza tra i
contenuti emotivi e la loro rappresentazione simbolica, nel momento, cioè, in
cui avviene la famosa decantazione di cui si parlava prima.
Un bambino che non può mettere ordine nella sua realtà intrapsichica - e
cioè spesso il bambino candidato ad entrare nel workshop -, un bambino che
vede confermate nelle parole scritte la sua angoscia (e la sua colpa) di aver
guardato troppo, di aver separato cose che dovevano stare insieme, di averle
danneggiate, è un bambino che resta in uno stato di confusione della sua realtà
interna e che perciò non può rivolgersi a conoscere la realtà esterna.
La scuola si colloca in una fase in cui l’Io e gli altri, il mondo esterno e gli
oggetti, sono separati e si pongono fra di loro in una relazione dinamica. Ciò
rappresenta un passaggio importante nel cammino verso l’indipendenza e
segna lo spostamento da un apprendimento basato sulle identificazioni
imitative ad uno basato su quelle proiettive e introiettive.
La scuola rappresenta un passaggio molto importante nel cammino verso
l’indipendenza. Andare a scuola significa per il bambino uscire dall’ambiente
familiare conosciuto per accedere ad un altro nuovo e sconosciuto, ma creato
appositamente per lui. La scuola contribuisce alla differenziazione e fa sì che il
bambino prenda coscienza di se stesso.
Ed è proprio il prendere coscienza di sé uno dei primi apprendimenti
essenziali per poter accedere a quelli successivi. Perché esista apprendimento,
inoltre, bisogna che ci sia differenziazione e l’entrata nella scuola rappresenta
un passo importante in questa direzione fra il bambino e i coetanei, la casa e la
scuola, la famiglia e la classe, i genitori e la maestra. E l’insegnante, come prima
i genitori, mette a disposizione uno spazio in cui avviene il libero scambio dei
contatti fra il bambino e gli altri, uno spazio mentale esterno ed interno.
Anche il gruppo di cui parliamo è uno spazio interno ed esterno. Ogni
bambino porta nel gruppo se stesso, con i suoi pregi e i suoi difetti, le sue doti e
le sue mancanze, il suo temperamento e il suo carattere, i suoi sentimenti e i
suoi conflitti, i suoi desideri e le sue paure. Nei rapporti con i compagni egli
trova inevitabilmente, come in una camera degli specchi, chi gli somiglia e chi
no, chi rappresenta un amico e chi un nemico, chi un uguale con cui affiatarsi e
chi un diverso con cui confrontarsi.
Ed a proposito di gruppo occorre fare attenzione perché non sempre la
dinamica gruppale corrisponde a quella che ci descrivono gli insegnanti: il
bambino ha modi diversi di agire e di muoversi in ambienti che hanno
caratteristiche e dinamiche diverse e questa è una risorsa da cogliere!
Non dimentichiamo infine che la latenza è l’età in cui i bambini giocano a chi
è il più bravo, in cui mettono in risalto le proprie capacità fisiche ma anche le
proprie idee, la popolarità e la capacità. In questa corsa ad ostacoli verso
l’affermazione di sé, non tutti corrono, c’è chi per paura corre nella direzione
opposta, chi si ferma al primo ostacolo, chi sposta il confronto sul piano
dell’aggressività.
Per questi bambini il gruppo può essere uno spazio dove si ripete sempre lo
stesso copione che li vede perdenti, ma può essere anche spazio di confronto
ad armi pari, con qualcuno uguale a loro, e non con giganti invincibili e
giudicanti.
Se il gruppo fornisce, oltre che uno spazio fisico, anche uno spazio mentale,
chi ci lavora, come si può ben intuire, si “compromette”, mette in gioco se
stesso, è disponibile, quindi, a prendere dentro di sé e a pensare all’altro.
È quello che fa o dovrebbe fare l’insegnante, è quello che fa, con
connotazioni qualitative e quantitative diverse, la madre “che pensa a suo
figlio”: è preoccupata, vigile e attenta alle su esigenze.
La funzione degli operatori dei workshop in età di latenza è quella di fare da
ponte fra la scuola e la famiglia, fra una situazione connotata dall’affettività e
una connotata dall’operatività.
Il workshop può conservare qualche somiglianza in più con la casa o con la
sezione di scuola materna, rispetto alla classe di scuola elementare, in modo
da rendere più leggero il passaggio a quell’operatività necessaria
all’apprendimento scolastico, oppure fornire un contenimento più tollerante a
chi non è ancora stato abituato a fare fatica o, ancora, essere un contenitore,
un “agente rassicuratore” dove si può provare meno paura, meno assillo del
risultato; può essere, infine, proprio “un’officina” dove qualcuno è disponibile a
cercare fino a trovare il giusto pezzo di ricambio.
Mi preme dire e sottolineare però che nemmeno nei workshop si fanno
miracoli.
 
Bibliografia
 
L. Angelini e D. Bertani, “L’alleanza terapeutica in un servizio pubblico per l’infanzia”, in
Pollicino. Bambini e società in Emilia e Romagna, n. 2, Primavera-Estate 85, pp.6\14
L. Angelini e D. Bertani, Il bambino che è in noi, Unicopli, Milano 1995
L. Angelini, Affabulazione e formazione, Unicopli, Milano 1998
E. Erikson, Infanzia e società, Armando, Roma 1966
  

5. Intelle ualizzazione e produzione in latenza: problemi


connessi in classe e fuori (1996)
 
Leonardo Angelini
 
 
 
“Con l’avvento del periodo di latenza il bambino che ha conosciuto uno
sviluppo normale dimentica o, piuttosto, sublima la necessità di "disporre"
della gente per mezzo dell’aggressione diretta o di diventare in fretta papà
e mamma, ed apprende a conquistare il riconoscimento degli altri grazie al
lavoro produttivo” (Erikson).
 
 
 
1. La latenza
 
La latenza, ossia la fanciullezza, è l’età in cui solitamente nella società
occidentale inizia la scuola26 e, più in generale, è l’età in cui in tutte le culture
lo stato e la società cominciano a prendersi cura del bambino, senza più
deleghe totali, o quasi, a quell’importantissimo primo intermediario di cultura
rappresentato dalla madre come avviene dappertutto nella prima e nella
seconda infanzia.
Se noi ci chiediamo il perché di questo cambiamento che da sempre avviene
in ogni cultura, la risposta è nell’intuizione che gli adulti hanno sempre avuto di
trovarsi solo a quest’età di fronte ad un bambino capace d’industriarsi nello
studio e nell’applicazione operativa. Con ciò non si vuol dire che prima, cioè
prima della latenza, il bambino non sia capace di applicazione e d’industriosità,
ma che, se lo fa, lo fa in condizioni tali che le sue pulsioni libidiche ed aggressive
(il voler diventare in fretta papà e mamma e il poter disporre degli altri di cui
parla Erikson) sono troppo manifestamente presenti sul campo, finendo col
caratterizzare pesantemente tutta la scena della operatività.
Ciò che ora, in latenza, c’è in lui, e che prima non c’era, è una disposizione a
“dimenticare”, o piuttosto a “sublimare” tali pulsioni che, da manifeste,
diventano latenti, appunto, cioè nascoste. Ma perché ciò possa avvenire, cioè
perché le pulsioni libidiche ed aggressive non occupino più apertamente il
campo, ma siano trasformate e, almeno parzialmente, sublimate, è necessario
che prima, e cioè nella prima e seconda infanzia, ci sia stata una precedente
azione volta a favorire al massimo tali processi trasformativi che, come vedremo
fra un attimo, sono poi quei processi di inculturazione e socializzazione precoce
di cui parlano etnologi e sociologi. Tale azione, o meglio tale insieme molto
complesso di tante microazioni quotidiane che sono dirette dall’adulto al
bambino perché esso, nella prima e nella seconda infanzia, così come anche
dopo, sia inculturato e socializzato, va sotto il nome di educazione.
Come frutto dell’educazione ricevuta, il bambino, che all’inizio era un essere
asociale e totalmente schiavo del proprio mondo pulsionale, si abitua a
distribuire le proprie pulsioni libidiche ed aggressive in tre aree che, con Janine
Chasseguet Smirgel, chiameremo: 1) area della messa in atto; 2) area della
definizione del carattere; 3) area della sublimazione.
Tale spinta discriminatrice, in concreto, è la spinta esercitata, attraverso
l’azione educativa, dai genitori e dagli educatori della prima e della seconda
infanzia, spinta in base alla quale lentamente, sotto l’influenza specifica e
personalissima di questi concreti agenti educativi, si va formando dentro di noi
la nostra altrettanto specifica personalità.
Con ciò non si vuol dire che l’accesso alla sublimazione sia un fatto acquisito di
botto, quasi per illuminazione divina, alla fine della seconda infanzia. Anzi,
occorre ribadire che la spinta, frutto dell’educazione, a trasformare e distribuire le
pulsioni nelle tre aree avviene fin da subito nel bambino. Ma occorre aggiungere
che fino alla (momentanea) eclissi delle tematiche edipiche e preedipiche, cioè
fino all’ingresso nella latenza27, la terza area, quella della sublimazione, pur
presente ed associata all’attività di gioco - prima e, ancor di più, dopo che i
processi di simbolizzazione sono entrati dentro di lui - è tutta “spesa” sul piano
della messa in scena di un dramma egoistico, prima, ed egocentrico, dopo.
Dramma che esclude il fare produttivo, cioè quello commisurato ai
riconoscimenti che attraverso questo fare possono pervenire al soggetto sia dal
giudizio degli altri, sia dalle proprie parti interne giudicanti, poiché incentrato sul
prevalere nel bambino dei processi primari che, appunto, sono caratterizzati da
quel fare gratuito, non produttivo e non programmatorio, tipico del gioco.
Col tramonto, momentaneo, dell’Edipo invece, e con l’inizio della scoperta
della propria marginalità, e cioè dei propri limiti, è possibile passare da un
apprendimento tutto intriso di eros e aggressività ad un apprendimento
sublimato ed intellettualizzato. È questo il terreno particolare sul quale, se le
cose in precedenza sono andate sufficientemente bene28, si impianta il lavoro
dei docenti di scuola elementare: un terreno già arato e preparato da coloro che
si sono in precedenza preoccupati di imbrigliare le pulsioni libidiche ed
aggressive, di trasformarle e convogliarle negli alvei domestici della produzione
e della creazione, in modo tale da farle diventare non nemiche dell’operatività,
ma anzi preziosi strumenti a disposizione del bambino.
Due esempi ci permettono, forse, di comprendere meglio l’importanza che il
filtro educativo esercita sulle pulsioni, ed il rapporto che c’è fra le tre aree di cui
parlavamo prima:
a. la masturbazione: 1. finché non c’è stata un’azione educativa, la
masturbazione infantile viene esperita dal bambino liberamente (in effetti,
potremmo dire, sotto l’impeto dell’impulso libidico); quando invece l’azione
educativa ha luogo, la masturbazione può trasformarsi seguendo
essenzialmente due direttrici: quella che va verso la formazione del carattere,
con un’oscillazione che va dall’inibizione all’esibizione (del proprio corpo, ad
esempio); quella che va verso la sublimazione, che potrebbe diventare, ad
esempio, esibizione delle proprie capacità.
b. il sadismo infantile: 1. qui, nella prima area, avremo il mordere, il
pizzicottare, eccetera; 2. nella seconda area un’azione trasformativa potrebbe
essere rappresentata da forme caratteriali del pizzicottare, quali il punzecchiare
con le parole; 3. nella terza area, quella della sublimazione, la trasformazione
diventa ancora più radicale (e produttiva), e potrebbe essere il desiderio
sublimato di pizzicottare, penetrare il sapere, e cioè una delle componenti di
quella pulsione epistemofilica che è alla base di tutti gli apprendimenti, che è
anzi il presupposto sul quale si basa ogni autentica spinta all’apprendere.
 
2. Latenza, sublimazione, produzione
 
“Il bambino che ha conosciuto uno sviluppo normale”, diceva Erikson,
“accede più facilmente alla latenza”. Se, invece - come avete avuto modo di
vedere con la dott.ssa Bertani - il bambino non ha conosciuto uno sviluppo
normale, il prevalere in lui di spinte alla regressione ed alla fissazione all’interno
di conflitti edipici o preedipici comporterà delle difficoltà più o meno grandi
perché esso possa accedere, senza eccessivi problemi, nel mondo
dell’industriosità.
Questo tipo di bambini cioè, pur trovandosi anagraficamente all’interno del
periodo di latenza, continuerà ad usare modalità arcaiche di rapporto col
mondo, non riuscirà, di fatto, ad accedere all’industriosità, o vi accederà con
fatica ed acquisirà quello che gli sarà consentito di acquisire, in base ai propri
disturbi (oltre che alle eventuali carenze dell’ambiente scolastico) non in
maniera autentica, ma forzata.
Quanto abbiamo fin qui detto ci fa intuire, quindi, non solo che fra lavoro
produttivo e sublimazione c’è un rapporto di parentela, ma che anche fra
produzione e creazione, soprattutto quando la produzione avviene sotto il
segno dell’autenticità, c’è lo stesso tipo di parentela.
Appare chiaro, così, che quello che potremo definire il laboratorio del
comune mortale (e cioè l’insieme di quei presupposti strutturali che ci
permettono di produrre e creare) e quello dell’artista o dello scienziato sono
costruiti con gli stessi criteri e, potenzialmente, siamo tutti attrezzati a produrre,
a programmare, a creare. Semmai le differenze fra noi e loro, ma anche
(potenzialmente) fra il bambino, qualsiasi bambino e loro non sono di natura
qualitativa, ma quantitativa.
In età evolutiva poi, come ben sanno coloro che hanno osato esplorare i
cento linguaggi del bambino29, le potenzialità sono distribuite fra la
popolazione in crescita in modo tale che un educatore attento sarà in grado di
cogliere delle vene aurifere dappertutto, anche nel terreno ritenuto più povero.
Appare chiaro anche che, da quanto abbiamo detto finora, fino alla latenza
questo laboratorio non è ancora perfettamente pronto a che il bambino
produca e crei: perché questo possa avvenire, come dice Erikson, da una parte,
sul terreno dell’aggressività, ci deve essere stata la rinuncia “a disporre degli altri
per mezzo dell’aggressione diretta”, mentre dall’altra, su quello della libido, una
corrispettiva rinuncia “a diventare in fretta mamma o papà”.
Dove quell’“in fretta” va letto come lento e penoso apprendimento, da parte
del bambino, del fatto che il passaggio dall’endogamia alla esogamia è un
processo lento e doloroso e non immediato e velleitario, così come egli aveva
azzardato che fosse durante la fase edipica.
Vi è qui, da una parte, un chiaro riferimento alla necessità che il bambino che
produce debba aver superato l’egocentrismo tipico dell’età prescolare e la sua
scarsa disposizione a decentrarsi, a considerare gli altri come soggetti autonomi
e se stessi in termini marginali (cosa che, a dire il vero, sarà pienamente
conquistata solo in adolescenza). Dall’altra, un accenno altrettanto importante
al fatto che il bambino realmente produttivo deve essere in grado di uscire, in
certo qual senso, da quell’universo transferale, edipico, che fino a qualche
tempo prima lo aveva tirannicamente occupato; di uscirvi libero, poi, di
rientrarvi rapidamente ogni volta che ne sente il bisogno: è questa la novità cui
il bambino, e con lui i genitori, i docenti, da ora in poi si devono abituare a
convivere.
Va ricordato, cioè, che l’atto del dimenticare e del sublimare non implica
affatto l’uscita definitiva dall’universo transferale (e cioè dal mondo degli affetti
e delle forti passioni familiari, dei miti e delle usanze fin qui acquisite), bensì una
sua ridefinizione, in termini allargati, entro tutto l’universo nuovo che il
bambino incontra a scuola. Cosicché in scuola, sia nel rapporto con il gruppo
degli adulti che con quello dei pari, il bambino potrà trasferire i propri introietti
avendo modo di arricchire e di complicare la propria camera degli specchi, di
modificarla in base alle influenze più importanti che da questo nuovo luogo
deriveranno.
Dai nuovi adulti, quindi, così come dai nuovi pari con cui entra in contatto, il
bambino impara non solo le materie, ma anche a ridefinire le tematiche legate
all’appartenenza, nella doppia direzione del rapporto con le imago genitoriali,
da una parte, e con quelle fraterne, dall’altra (fratelli che, come sappiamo,
anche se sotto forma di ombre, sono presenti fin da subito anche nei figli unici).
Questa capacità di oscillazione fra universo transferale e universo operativo,
produttivo, è un segnale inequivocabile e tipico dell’età, qualora le cose siano
andate bene in precedenza. Così come, per converso, possono essere visti come
segnali di difficoltà d’ingresso nell’area operativa sia il persistere da parte del
bambino in una lettura del nuovo (e cioè della scuola) sempre attraverso gli
occhi del vecchio, cioè attraverso le lenti deformanti del proprio mito familiare;
sia l’attaccamento sostitutivo al nuovo (e cioè alla scuola), volto a compensare
quello che in casa in precedenza non c’è stato, o non c’è stato a sufficienza.
È il caso di molti di quei bambini provenienti da famiglie deprivate, che poi
diventeranno ragazzi a rischio, i quali, finché sono piccoli, fanno di tutto per
ridurre la scuola alla famiglia, chiedendo di essere esautorati dalla produzione e
implorando i docenti di trattarli (solo) come figli e poi, in preadolescenza,
qualora i docenti di scuola elementare abbiano consentito loro di sentirsi
esautorati, ne combinano di cotte e di crude.
Resta da notare, in ogni caso, come il bambino in questo periodo non sia
ancora pienamente in grado di autogiudicarsi autonomamente e, anzi, abbia
ancora bisogno di entità altre, cioè esterne a sé, che riconoscano i meriti che va
acquisendo sul piano dell’apprendimento, che cioè facciano da cassa di
risonanza ad un Ideale dell’Io non ancora pienamente dispiegato internamente
(“ed apprende a conquistare il riconoscimento degli altri grazie al lavoro
produttivo”, dice Erikson).
 
 
3. La posizione dei docenti: il controtransfert educativo in latenza
È decisivo per noi notare ora, cioè in latenza, come in classe il transfert, cioè il
flusso di legami affettivi che dai discenti va verso i docenti, non sia più
dipendente da azioni dirette agite o patite dai bambini, ma sia legato al “fare”,
cioè al lavoro, alla produzione e, quindi, alla programmazione: questo accesso
più pieno all’area dell’operatività, reso possibile dalla precedente attività
gratuita di gioco, implica un “condurre”, un “commisurare per sé” che permette
una nuova organizzazione interna del tempo. Accesso ad una nuova temporalità
che potrebbe essere definita come il poter permanere, da parte del bambino,
più o meno stabilmente, in un tempo presente che, però, è teso verso il futuro.
In base a questa nuova posizione, che come è possibile vedere è
strettamente connessa con l’operatività (si potrebbe forse dire che il tempo
dell’operatività, ridotto all’osso, non sia altro che questo), la famiglia lentamente
acquisisce, agli occhi del bambino, una posizione passata, comincia cioè
lentamente a stemperarsi in un tempo passato, in un tempo mitico -
importantissimo30 peraltro, e non solo per il periodo di latenza, ma per tutta la
vita -; un tempo che ora, in latenza, il bambino può finalmente cominciare a
guardare31 non più come una schiavitù, ma come una tradizione alla quale ci si
può conformare o dalla quale ci si può, lentamente, emancipare.
In questa nuova palestra che è la classe il bambino, lo ripeto, non allena il
proprio spirito solo sul piano dei contenuti scolastici, ma anche sul piano del
riconoscimento delle emozioni e dei sentimenti in partenza ed in arrivo, che
provengono sia dal versante degli adulti in essa presenti, sia dai pari. Ma in
questo vero e proprio ginnasio delle emozioni e dei sentimenti anche gli adulti,
cioè i docenti, non possono passare un’intera vita fuori dal potente flusso di
passioni che qui si vanno giornalmente a concentrare. Anzi, consapevoli o meno
che essi siano di trovarsi in questo crogiolo di sentimenti, capita loro di essere
sempre coinvolti, e perciò presi da forti ed implicanti passioni che noi
sinteticamente chiameremo controtransfert educativo (Angelini), proprio
perché si tratta di un transfert speculare a quello dei discenti (il termine contro
nel nostro caso va visto come corrispettivo ad una posizione frontale, speculare,
appunto). E, come il transfert educativo del discente è tutto mediato dal fare
scolastico, anche il controtransfert del docente si sposta sul fare, nel senso che
giunge al gruppo dei discenti ed a ciascuno di essi attraverso il fare del docente,
e non attraverso l’“azione diretta” di quest’ultimo sulla classe.
La classe, cioè, e, nel caso della codocenza, gli altri docenti coinvolti con me
docente sulla scena scolastica, diventano gli specchi in cui, a seconda di ciò che
succede, vengono riflessi (cioè visti una seconda volta) i fantasmi familiari del
mio passato, i personaggi della mia personalissima costellazione edipica. Ed
esattamente come succede per il discente, anche io docente potrò, o meno,
prendere le distanze dal passato, non esserne schiavo, ma trasfigurarlo e
trasfonderlo nel presente, a seconda di quelli che per me sono i punti critici
della situazione presente e di come ho risolto dentro di me quei conflitti nel
momento in cui io docente ho attraversato come bambino, come figlio e come
discente, quei luoghi che ora mi vedono responsabile della formazione altrui.
Cosicché, come il bambino può attardarsi in modalità arcaiche, pre-operative
di rapporto, anche il docente può, se non riesce a superare dialetticamente la
forza gravitazionale che viene dalla propria costellazione edipica, continuare, in
forme più o meno camuffate, a rigettare sulla classe, insieme al fare o, peggio,
invece del fare, le proprie coazioni infantili.
L’alternativa perciò, sia per il discente che per il docente, è la sublimazione o
la coazione a ripetere: nel primo caso lo scambio è pienamente ricondotto sul
fare educativo; nel secondo il meta-discorso transferale che impregna tutto è
così immanente, così pesante che ciò che passa, in verità, è un insieme di
“azioni dirette” seduttive o aggressive, che sono tanto più pericolose per tutta la
classe, quanto più incentrate sugli adulti presenti in essa (Fürstenau).
Se le cose vanno sufficientemente bene, invece, quella del docente di scuola
elementare appare come un’importantissima funzione di ponte:

  
Ponte fra l’affettività e l’operatività in un’epoca di grandi cambiamenti nel mondo interno del
bambino; ponte fra il mondo della famiglia e quello dello studio (e domani, su questo stampo,
del lavoro) in un momento felice per molti bambini, in cui l’industriosità, frutto delle nuove
tendenze alla sublimazione, può espandersi; ponte fra il gruppo primario ed i gruppi secondari,
anticamera di future, più ardite migrazioni.
Funzione ponte che non impedisce al docente accorto di mantenersi ben
vicino al mondo degli affetti del bambino (ed al proprio: c’è sempre un bambino
dentro di noi, ed il docente di scuola elementare lo sa bene, ha confidenza con il
proprio bambino interno, e con esso si pone spesso in gioco con il bambino che
ha di fronte a se stesso).
Il docente di scuola elementare sa anche, però, che le pietre più importanti che compongono
questo ponte sono quelle tipiche del fare operativo che si basa essenzialmente su un’espressione
delle emozioni e dei sentimenti mediata dal fare operativo stesso, e non direttamente giocata
sulla ricattatoria mozione degli affetti.
Infine, se le cose vanno sufficientemente bene, il bambino potrà accedere al
tempo operativo, pur mantenendo un rapporto con le proprie tradizioni
familiari e il docente, a sua volta, potrà oscillare fra un presente che, pur
essendo figlio della propria doppia tradizione d’individuo e d’insegnante, va
verso la classe attuale, verso ciò che essa implicitamente chiede per il proprio
futuro, ed un passato mitico, fatto di tradizioni particolari, familiari ed anche
pedagogico-didattiche, professionali che, però, si riattualizzano e trasfigurano
nella palestra del presente, coniugandosi con le nuove istanze di cui sono
portatori i discenti.
L’alternativa è soccombere inseguendo le ombre del passato restandone
schiavi.
 
 
Bibliografia:
 
Angelini L., Affabulazione e formazione, Docenti e discenti come produttori e fruitori di testi, Unicopli,
Milano, 1998
Chasseguet-Smirgel J., “Super-Io e Ideale dell'Io”, in: Mancia M. (a cura di), Super-Io e Ideale dell'Io, Il
Formichiere, Milano 1979
Erikson E., Infanzia e società, Armando, Roma, 1966
Fürstenau P., “Contributo alla psicoanalisi della scuola in quanto istituzione”, in: AA.VV., Educazione o
condizionamento? Savelli, Roma 1975
Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano, 1989
 
 

6. Workshop e ingresso in preadolescenza: difficoltà,


problemi (1998)32
 
Deliana Bertani
 
 
Parleremo di quel momento della vita in cui, parafrasando il linguaggio dei
computer, serve un nuovo programma che consenta soluzioni diverse, perché
quello vecchio non è più in grado di raccogliere e organizzare le nuove
informazioni che provengono dalla realtà esterna e dal mondo interno: da
questo momento, inizia una nuova fase della vita la cui direzione è
imprevedibile perché mentre la vita passata era ritmata da abitudini e da
comportamenti divenuti familiari, ora si aprono nuove strade.
Uscire dalla latenza significa entrare nell’adolescenza; in questo periodo, fra
gli undici e i dodici anni, si mette in moto un orologio biologico pre-
programmato che comincia ad attivare ormoni e centri cerebrali, che non solo
producono lo sviluppo del corpo e la maturazione sessuale, ma esercitano
anche una forte influenza sul comportamento. Si tratta della pubertà, l’evento
biologico che dà l’avvio all’adolescenza, innescando un complesso di
trasformazioni che riguardano, oltre al corpo, anche cambiamenti psicologici e
sociali.
Il corpo manda ai ragazzini i primi segnali che creano in loro forti tensioni
interne; si verifica un mutamento travolgente e ingovernabile che li fa sentire
diversi: il corpo si trasforma sotto i loro occhi e le tensioni sessuali li turbano
profondamente.
Gli ormoni li fanno sentire più aggressivi e scatenano reazioni che fino a
qualche tempo prima erano inconcepibili. I genitori diventano i primi bersagli,
ma a cambiare sono anche i sentimenti che ora entrano in collisione con il
proprio vecchio modo di pensare, inducendoli a rimuginare su se stessi e sulla
propria famiglia.
È iniziato un viaggio che porta il ragazzo/a in una direzione sconosciuta: in
questo viaggio ci si guarda intorno, si scrutano i propri compagni di ventura e si
osserva anche se stessi, chiedendosi cosa si sta facendo e soprattutto dove si
sta andando.
In questa situazione è difficile voltarsi a guardare il luogo della propria
infanzia; il ragazzino/a parte per il suo viaggio e i genitori rimangono a terra.
Nell’età della latenza il bambino sembrava prevalentemente occupato a
cercare d’impadronirsi delle qualità mentali possedute dai genitori e che egli
identifica nell’onnipotenza e nell’onniscienza.
Quando il bambino inizia ad andare a scuola, durante gli anni che
caratterizzano la latenza, il concetto di imparare viene focalizzato soprattutto
sull’apprendere il nome delle cose, ed egli crede di sapere tutto di quella cosa:
sta esercitando il suo senso di onnipotenza.
Questa convinzione, insieme a quella che i suoi genitori sappiano e facciano
tutto, si frantuma però quando inizia la pubertà. I bambini si rendono conto
piano piano che il padre e la madre non sempre sanno cosa fare e questo
permette loro di liberarsi dalla sottomissione ai genitori visti come divinità.
Quando, però, il ragazzo riesce a liberarsi, prorompe in lui tutto il mondo
della confusione, che fino ad allora era stato nascosto e trattenuto dalle
precedenti convinzioni: la confusione tra buono e cattivo, tra le diverse zone
del corpo, i diversi modi in cui tali zone possono entrare in rapporto con il
mondo esterno e con le altre persone, quella tra maschio e femmina, tra
adulto e bambino. Tale confusione si acuisce con la pubertà, non appena nel
corpo cominciano a svilupparsi le caratteristiche dell’adulto (l’area pubica, il
seno, lo sviluppo dei genitali). Il corpo, con tutti i suoi cambiamenti, comincia a
diventare una grossa fonte di preoccupazione: non potendo accettare se stessi
per una quantità di ragioni emotive, il ragazzo proietta fisicamente le sue
preoccupazioni su alcuni aspetti della propria immagine.
La confusione che prorompe gli fa anche scoprire che le parole non
significano più solo quello che dicono, non contengono, cioè, significato in se
stesse, ma le stesse parole assumono significati diversi a seconda di chi le dice.
Egli sente così di scoprire che il mondo degli adulti è un “ammasso di ipocrisia
dove gli adulti sono dei tiranni e i bambini i loro schiavi”.
Il ragazzo che esce dalla latenza si viene a trovare in una posizione in cui non
si fida più del mondo degli adulti, ma nemmeno di quello dei bambini; è in una
posizione in cui disprezza ambedue i mondi. È una crisi d’identità profonda,
quella che il ragazzo sperimenta con la perdita dell’identità familiare: non più
bambino, non ancora adulto. La decisione di accettare temporaneamente
l’identità di semplice preadolescente rappresenta un fatto fondamentale e il
gruppo dei pari diventa un “luogo essenziale di crescita, di possibilità di
identificazione”.
Sta cominciando una nuova separazione-individuazione, una nuova nascita.
Ciò che nell’infanzia è “una nascita dalla membrana simbiotica per diventare
un bambino individuato”,33 nell’adolescenza diventerà il distacco dalle
dipendenze familiari, che avviene attraverso il viaggio di cui si parlava prima,
viaggio che inizia nell’età di cui stiamo parlando: l’uscita dalla latenza.
Il distacco dalle dipendenze familiari, cioè dai legami oggettuali infantili, apre
la strada alla scoperta di oggetti di amore e di odio esterni, extrafamiliari,
nuovi.
Nella prima infanzia, nella fase di separazione-individuazione, quando il
bambino realizzava la separazione psicologica dalla madre (oggetto concreto),
era vero l'inverso. Allora era necessario un processo di interiorizzazione che
favorisse gradualmente la crescente indipendenza del bambino dalla presenza
fisica della madre, dalla sua assistenza e dal suo appoggio emotivo. Il progresso
è segnato nel bambino dalla formazione della capacità di regolamentazione
interna (formazione del Super-Io) che è appoggiata e promossa da processi
motori, percettivi, verbali, cognitivi. Il processo avviene, nel migliore dei casi, a
zig-zag, come possiamo osservare di nuovo nella fase di cui ci stiamo
occupando: i movimenti regressivi e progressivi si alternano, dando facilmente
l’impressione di una maturazione squilibrata.
L’individuazione dell’adolescente sarà il riflesso di quei cambiamenti
strutturali che accompagnano il distacco emotivo dagli oggetti infantili
interiorizzati. Questo processo è estremamente complicato perché, senza un
positivo distacco dagli oggetti infantili interiorizzati, la scoperta di nuovi oggetti
d’amore extrafamiliari è preclusa ed impedita o rimane ristretta alla semplice
ripetizione e sostituzione.
L’Io è completamente coinvolto in questo processo. Fino alla fine della
latenza i genitori sono stati selettivamente disponibili per il bambino come
legittima estensione del suo Io (onnipotenza e onniscienza) e ciò ha permesso
il controllo dell’ansia e la regolamentazione dell’autostima. Con il distacco dalle
dipendenze infantili, anche le dipendenze abituali dell’Io tipiche del periodo di
latenza vengono ripudiate (confusione); perciò il ragazzo entra in un periodo in
cui c’è una relativa debolezza dell’Io che è dovuta sia all'intensificazione delle
pulsioni, sia all’effettiva debolezza dell’Io per il rifiuto da parte dell’adolescente
del supporto dell’Io genitoriale.
I disturbi dell’Io si esprimono con varie modalità quali l’acting out, i disordini
dell’apprendimento, la mancanza di scopi, i continui rinvii, il cattivo umore e il
negativismo, ed essi sono spesso segni sintomatici di crisi o di fallimento nel
distacco dagli oggetti infantili; di conseguenza essi rappresentano una
deviazione del processo stesso d’individuazione.
Lo sforzo che l’adolescente compie per evitare il dolore insito nel processo di
distacco si può riconoscere nel totale rifiuto della famiglia e del suo passato.
Nelle misure di emergenza rappresentate dalla rottura violenta con l’infanzia e
con la continuità familiare non si può non riconoscere la fuga da una potente
spinta regressiva verso la dipendenza, la sicurezza, il benessere e le
gratificazioni infantili.
Il processo di distacco dagli oggetti infantili, così essenziale per il progressivo
sviluppo, rinnova quindi il contatto dell’Io con le pulsioni infantili, contatto che
si era relativamente interrotto durante la latenza per permettere un
rafforzamento dell’Io in tutte le sue funzioni. Infatti l’Io della post-latenza è, per
così dire, preparato a questo incontro regressivo ed è capace di diverse
soluzioni, più durevoli e adeguate. Le funzioni dell’Io relativamente stabili, quali
la memoria o il controllo motorio, come del resto le istanze psichiche
relativamente stabili, quali ad es. il Super-Io o l’immagine corporea, dovranno
sottostare a notevoli fluttuazioni e cambiamenti.
Durante la latenza, tramite l’identificazione e l’organizzazione del Super-Io, si
è compiuta una riduzione della dipendenza oggettuale infantile, ma ora, per
poter andare avanti, è necessario che il ragazzo e la ragazza distruggano per
poter ricostruire. La costruzione e la distruzione, la regressione e
l’avanzamento saranno le più specifiche caratteristiche dell’adolescenza, e
l’andamento a zig-zag di cui si parlava prima comincia ad apparire nell’epoca di
cui stiamo parlando, all’inizio di quel percorso che è la premessa per la
costruzione di una propria immagine sociale (come membro della società e
non solo come figlio di una famiglia) e per l’avvio dei rapporti eterosessuali.
 
 
1. I compiti evolutivi
 
Alla base del cambiamento psichico e del passaggio di ruolo ci sono dei
compiti evolutivi che si presentano ai ragazzi come problemi, come difficoltà da
superare, che vanno però ben distinti dai disturbi, dalle perturbazioni più o
meno gravi che interferiscono nella loro soluzione.
Potremmo fare una lista di questi compiti evolutivi per meglio renderci
conto della fatica che si apprestano ad affrontare i ragazzi e le ragazze che
abbiamo di fronte: instaurare relazioni nuove e mature con coetanei di
entrambi i sessi; acquisire un ruolo sociale maschile o femminile; accettare il
proprio corpo ed usarlo in modo efficace; conseguire l’indipendenza emotiva
dai genitori e da altri adulti; raggiungere la sicurezza dell’indipendenza
economica; orientarsi verso una professione; prepararsi alla vita di coppia;
sviluppare competenze intellettuali e conoscenze necessarie per la convivenza
civile; acquisire e desiderare un comportamento socialmente responsabile;
acquisire un sistema di valori ed una coscienza etica come guida al proprio
comportamento.
 
2. I compiti scolastici
 
I compiti evolutivi sono in stretto rapporto con i compiti scolastici; i successi
e gli insuccessi evolutivi si legano in vario modo a quelli scolastici. Possiamo
dire, con una formula sintetica, che i compiti evolutivi prevalgono su quelli
scolastici e che, se un adolescente sente che i propri compiti di sviluppo sono
minacciati invece che sostenuti dalla situazione scolastica, inevitabilmente
finirà con il privilegiare la vita alla scuola.
Le difficoltà nei rapporti e nella crescita possono distogliere energie allo
studio, riducendo le capacità di concentrazione e il rendimento.
Oltre a ciò, i significati affettivi che il ragazzo o la famiglia attribuiscono al
rendimento scolastico possono sovraccaricare di eccessive aspettative il
rapporto con lo studio rendendolo, perciò, più difficile. In modo ancor più
specifico le capacità cognitive e di socializzazione sono poi un banco di prova
diretto della crescita e delle possibilità di inserimento sociale: in questo caso, la
scuola non è solo un luogo di proiezione di conflitti che provengono da altri
luoghi affettivi, ma è anche il campo di prova delle diverse aree dello sviluppo
ed il luogo in cui si esercita una parte dei compiti evolutivi e la capacità di
inserimento sociale (ciò è importante soprattutto oggi, dato che sono venuti
meno tanti luoghi di incontro per i ragazzi e che c’è un’altra agenzia, la
televisione, che sforna in continuazione nozioni e che fornisce un
insegnamento parallelo a quello della scuola, ma non certamente uno spazio di
crescita affettiva e sociale).
Vale la pena di dire, comunque, che a volte il successo scolastico non
equivale ad un successo nei compiti della vita e questo capita quando gli
atteggiamenti che sono alla base del successo scolastico sono difensivi.
 
3. I conflitti evolutivi
 
Dopo aver discusso dei compiti evolutivi, proviamo ora a parlare dei conflitti
evolutivi, cioè dei “modi” in cui i compiti vengono affrontati, proponendo, cioè,
dei profili più che delle definizioni diagnostiche.
Faremo una carrellata dei tipi di ragazzini con i quali ci si trova tutti i giorni a
scuola o in altre situazioni parascolastiche e davanti ai quali gli adulti
reagiscono con pena, rabbia, preoccupazione, fastidio, aggressività, ecc. .
Ragazzi irrequieti e aggressivi: sono quelli in cui di solito si combinano
iperattività, difficoltà di attenzione e aggressività. Spesso sono anche ribelli o
prepotenti, con bassa capacità di tollerare le frustrazioni, con esplosioni di
collera che esprimono vissuti di bassa autostima e che non sono disciplinati.
Sono quei ragazzi che hanno difficoltà a stare seduti e concentrati, a portare a
termine i loro compiti, che disturbano gli altri, che interrompono senza
aspettare il proprio turno, che dimenticano le loro cose e si mettono spesso in
situazioni di pericolo. Sono quelli per i quali i provvedimenti disciplinari sono
spesso inutili, per i quali non ci sono strumenti istituzionali per affrontare il
problema. Sono ragazzini (prevalentemente maschi) nei quali spesso si trova
l’idea di non avere futuro, dove c’è una bassa autostima, dove c’è la produzione
di atteggiamenti identificatori più adulti. Sono ragazzini difficili da gestire, che
agiscono il conflitto in modo aggressivo e drammatizzato provocatoriamente;
essi andranno incontro facilmente a bassi profitti e a bocciature che
introdurranno scarti di età con i compagni e costituiranno grosse minacce per il
loro sviluppo.
Ragazzi che hanno paura: sono quei ragazzi che “non creano problemi”,
poco visibili istituzionalmente, silenziosi e nei quali prevale l’ansia di
separazione, che spesso si manifesta con malesseri psicosomatici, con mal di
testa, vomito, mal di stomaco, nausea o palpitazioni, vertigini o altri malesseri;
nelle sue forme più gravi l’ansia di separazione, o la fobia scolare, si manifesta
proprio intorno agli 11-12 anni. Spesso i ragazzi affetti da questo tipo di
sintomo provengono da famiglie premurose e unite.
Ragazzi tristi e senza desideri: questi sono ragazzi che non provano piacere
nel funzionamento mentale, nel pensare con la propria testa, che hanno
difficoltà ad individuarsi, che non vivono lo studio come un fatto proprio, che
elaborano con difficoltà particolare le situazioni di competizione. Sono ragazzi
con problemi d’identità che non riescono a liberare la propria mente per le
funzioni di apprendimento. La demotivazione e l’assenza di desideri possono
assumere forme depressive, esplicitamente auto-svalutanti o più narcisistiche,
e, in tal caso, la svalutazione passa su obiettivi ed oggetti esterni.
Ragazzi che si vergognano: la timidezza è un tratto che si accentua con
l’uscita dalla latenza, quando i sentimenti di vergogna si rafforzano attingendo
a nuovi pudori per il proprio corpo e la sessualità: sta iniziando il processo
d’individuazione adolescenziale, che comporta nuovi sguardi su di sé che fanno
arrossire, sudare, balbettare, perché lo sguardo non è più familiare ma è
diventato sociale.
Fatta questa carrellata molto schematica, diventa però indispensabile
precisare che queste modalità di reazione ai conflitti di sviluppo, così come li
abbiamo chiamati, e la persistenza dei disturbi possono essere messi in conto
sia al ragazzo, sia a disfunzioni, rigidità e incompetenze istituzionali.
La scuola e gli insegnanti che devono affrontare l’età che va dalla fine della
latenza alla prima adolescenza si trovano a trattare con ragazzi che vivono un
momento particolarmente eccitato della loro vita pulsionale, che cominciano
ad essere in grado di agire senza il controllo adulto.
La scuola ha pochi strumenti, ma viene sempre più individuata come il punto di
riferimento strategico per la lotta contro il disagio in età evolutiva, per
l’educazione alla salute e la promozione del benessere. D’altra parte, non si
può ignorare il fatto che l’insuccesso e l’abbandono scolastici si trovino quasi
sempre all’inizio delle “carriere” di devianza, emarginazione e
tossicodipendenza. La scuola può svolgere una importante opera di
prevenzione se combatte innanzitutto il disagio scolastico: si tratta di una sfida
difficile, che parte dalle trasformazioni delle relazioni tra insegnante e allievo e
dagli strumenti che possono aumentare le capacità di ascolto dell’insegnante.
Una maggiore consapevolezza di questa dimensione e una maggiore
competenza sulle complesse dinamiche che accompagnano il percorso di
crescita possono essere utili strumenti per migliorare la qualità
dell’insegnamento, senza che per questo l’insegnante si debba trasformare in
psicologo o in assistente sociale.
Una riflessione sugli aspetti relazionali fa parte, d’altro canto, di ogni
competenza professionale, dall’ambito aziendale a quello commerciale e a
quello sanitario.
 
 
4. L’uscita dalla latenza oggi
 
Qualche considerazione per storicizzare i discorsi fatti. I bambini in età
scolare appaiono più loquaci, più informati, più curiosi e critici; sanno ciò che
vogliono e ciò che non vogliono e sanno come fare per ottenerlo; sembrano
anche molto sicuri di sé, ma ci rendiamo conto che dietro questa apparente
sicurezza c’è una grande fragilità e, quando non sappiamo come fare per
aiutarli, ci limitiamo ad appagare i loro desideri più immediati.
Cos’è ancora cambiato? Sicuramente il modo di vivere e di comunicare. Nella
maggior parte dei casi, i genitori lavorano entrambi, hanno sempre meno
tempo da trascorrere in famiglia e quando sono con i figli preferiscono evitare
di criticarli, sgridarli e punirli. Cercano di rendere gradevoli le poche ore che
condividono, anche a costo di cedere in tutto e di rendere un po’ superficiali i
loro rapporti. Rapporti che si sono ribaltati rispetto al passato anche in senso
numerico: non più tanti bambini per due genitori, ma molti adulti intorno ad
un solo bambino, con la conseguenza che spesso la scuola è l’unico posto dove
può incontrare coetanei.
La scuola stessa è cambiata radicalmente con i nuovi programmi e la
riforma organizza va del 1990, che l’ha rivoluzionata.
Nel fra empo, la televisione ha acquistato sempre, più spazio e potere:
trascorrendo molte ore davan alla televisione, i bambini incamerano una
quan tà enorme di nozioni e opinioni, nonché una dose d’urto di
emozioni. L’insegnamento parallelo della tv produce un’omologazione dei
processi di conoscenza e una equiparazione dei sessi senza precedenza, ma
anche uno scollamento enorme fra adul e bambini, tanto che spesso non
sappiamo più che cosa pensano, ma nemmeno come pensano i bambini
che abbiamo davan .
All’ampliamento degli spazi mentali fa riscontro il contemporaneo
restringimento di quelli reali ed essi possiedono, di conseguenza, molte nozioni
astratte, ma non conoscono la realtà: confondono l’informazione con la
competenza, si sentono pronti ad affrontare i pericoli del mondo per il solo
fatto di essere sopravvissuti ad una caterva di immagini volgari e violente.
Eppure, quando escono allo scoperto, e la scuola elementare ha un valore
iniziatico in questo senso, sotto un’apparente baldanza rivelano profonde
insicurezze. La loro eccessiva autostima può essere facilmente messa in crisi da
un sistema scolastico che tende a privilegiare la valutazione dell’alunno
piuttosto che la conoscenza del bambino. Bastano un giudizio pesante e
affrettato dell’insegnante o la prepotenza di un compagno perché la baldanza
si trasformi in insicurezza e senso di inferiorità.
Dal canto loro i genitori, consapevoli che la società attuale è enormemente
più complessa di quella in cui vivevano i loro padri alla loro età, richiedono per i
loro figli il massimo dell’istruzione in vista della dura competizione sociale che li
attende; perciò il loro tempo libero non esiste quasi più.
 
 
5. Uscita dalla latenza e passaggio alla scuola media inferiore
 
Questo passaggio, che avviene in un periodo che è ricco, di per sé, di
cambiamenti e di compiti evolutivi, dovrebbe essere gestito in modo preciso.
Ogni insegnante sa che non è sufficiente il frettoloso passaggio di informazioni
che spesso avviene con chi non avrà nemmeno in classe il ragazzo, mentre
sarebbe utile, non solo per la formazione delle classi, ma soprattutto per i
ragazzi stessi, dare informazioni ai nuovi insegnanti affinché sappiano
“prenderli”, riescano ad ascoltarli e a motivarli.
Questo probabilmente farebbe diminuire il numero di quei ragazzi che
vanno a scuola come se andassero in prigione, in un luogo pieno di nemici
dove non ci si può concentrare sull’attività scolastica perché ci si deve
difendere. Ma mentre l’area dell’handicap ha trovato, seppur con fatica e non
senza contraddizioni, una propria regolamentazione che individua
nell’insegnante di sostegno un ruolo specifico di riferimento, l’area più vasta
delle difficoltà scolastiche, che non rientrano nella definizione di handicap,
resta una terra di nessuno a carico esclusivo dell’insegnante che, come si
diceva sopra, non ha né strumenti né conoscenze adeguate.
L’insegnante ha il compito di traghettare il ragazzo sulla nuova riva
dell’inserimento sociale; per questo scopo va sostenuto con la collaborazione
di altre professioni tenendo ben presente, però, che l’intervento specialistico è
utile, ma che il problema non si affronta trasformando l’alunno in un paziente o
in un caso sociale.
La relazione con gli insegnanti è una variabile fondamentale nel determinare
il successo o l’insuccesso scolastico e la consapevolezza dell’importanza di
questa relazione può orientare molto il ragazzo in questo viaggio che sta
intraprendendo.
 

7. I criteri di selezione: workshop ed altre cure ambientali


(1997\98) 34
 
 
Leonardo Angelini
 
 
1. La selezione
 
Selezionare significa scegliere, discriminare. L’attività di selezione, ovunque
essa venga esercitata - e specialmente in culture competitive come la nostra -
viene vista come una attività sgradevole e, a tratti, odiosa. Ciò nondimeno, essa
è un aspetto importante della nostra quotidianità che merita tutta la nostra
attenzione. I bambini, fino ai sei anni - età del loro ingresso in scuola elementare
- almeno in apparenza non sono sottoposti ad alcun filtro selettivo. In effetti
sappiamo che un confronto, e quindi un’implicita selezione, viene fatta sia a
casa, da parte dei genitori, sia in asilo nido e scuola per l’infanzia, da parte delle
educatrici. E la trasformazione di queste due istituzioni da asili, e cioè da luoghi
di assistenza, in scuola, è cioè luoghi in cui programmaticamente vengono svolte
funzioni educative e formative, così come spinge nella direzione della singolarità
delle performance del bambino, allo stesso modo induce la nascita di uno
sguardo adulto individualizzante e selettivo.
Certo è, che con l’arrivo in scuola elementare, ciò che era implicito diventa
esplicito, ciò che era racchiuso ansiosamente nella mente dei genitori e degli
educatori della prima e della seconda infanzia, ciò che magari traspariva solo
dalla preoccupazione dello sguardo, diventa esplicitamente un compito della
scuola e della famiglia.
La scuola elementare diventa così il primo luogo ufficiale in cui il soggetto in
età evolutiva si viene a trovare in una situazione di selezione e confronto con gli
altri pari. Per cui è importante che noi che lavoriamo con i ragazzi a rischio e che
ci interessiamo oggi dei criteri di selezione in base ai quali predisporre questa o
quella attività riabilitativa, riparativa, partiamo cercando di comprendere in che
quadro generale si iscrivono le funzioni di selezione della scuola. Secondo
Mottana, sono quattro le funzioni che permettono al formatore di definire il
setting formativo e di mantenerlo come tale nel tempo e nello spazio sia per sé,
sia per la propria udienza, cioè per la propria classe: 1) la funzione istituente; 2)
la funzione in-ludente; 3) quella individualizzante; 4) infine, quella di
separazione.
A partire da questa scansione del setting formativo, in altra sede (Angelini,
1998) ho tentato di fare alcune considerazioni che possono tornarci utili oggi,
nel momento in cui cominciamo ad affrontare gli effetti che la terza funzione,
quella individualizzante - e perciò selettiva - esercita in generale sui soggetti in
età evolutiva e, in particolare, sui ragazzi a rischio.
1) La prima funzione, quella istituente, va vista essenzialmente come
istituzione di luoghi, tempi e campi del fare operativo scolastico. Cosicché,
prima ancora che il docente sia entrato materialmente nella classe, il docente
stesso, e con lui l’amministrazione scolastica, devono compiere una serie di
silenti, ma importanti operazioni: a) quella dell’istituzione di un determinato
luogo (la classe) in cui la scena formativa abbia diritto di svolgersi con tutte le
garanzie d’intimità e di non ingerenza da parte di estranei sulla scena stessa; b)
quella della istituzione di un tempo, più o meno rigidamente determinato
(l’orario delle lezioni), in cui docenti e discenti possano, anzi debbano, lasciarsi
prendere dai contenuti delle materie, possano, anzi debbano, mettere in atto
delle modalità di scambio sublimate e desessualizzate; c) quella infine
dell’istituzione di un determinato campo fatto di contenuti e di metodi, di
pedagogia e di didattica, di materie e di procedure sublimate e desessualizzate,
appunto, che permettano nel loro insieme di circoscrivere quel luogo, quel
tempo, quel campo come luogo, tempo e campo in cui non solo per il docente e
per ciascuno dei discenti, ma anche per l’amministrazione scolastica, per le
famiglie, per la società intera possa aver luogo il rapporto educativo e
trasformativo.
Per cui, in base a quanto abbiamo appena detto, quella che abbiamo appena
riassunto non è solo un’operazione burocratica e pedagogica, ma anche
un’importante operazione mentale che avviene nel mondo interno del docente
e gli permette di svolgere le proprie mansioni al riparo sia dalle tentazioni che
altrimenti potrebbero nascere dentro di lui sia dai fraintendimenti che
potrebbero nascere in coloro che sono fuori dal diretto contatto con i discenti.
2) La seconda funzione-quadro è costituita dalla definizione di una membrana
gruppale in-ludente. Una volta istituiti i luoghi e i tempi della formazione, e
allorché sia stata definita la natura sublimata e desessualizzata dei contenuti che
è possibile scambiare sul mercato formativo, il docente si trova di fronte ad un
secondo ostacolo: quello derivante dal fatto che la classe non sempre è disposta
a lasciarsi affabulare, a lasciarsi prendere dall’argomento sublimato e
desessualizzato che è all'ordine del giorno della lezione.
Docente e discenti, cioè, non solo devono convenire, all’inizio di ogni singola
lezione, sul fatto che quel luogo e quel tempo siano effettivamente per la
formazione; essi devono anche condividere la stessa passione sublimata e
desessualizzata per la materia, cioè per quell’insieme di argomenti cui i
programmi ministeriali solo vagamente alludono. E ancora una volta è il
docente che deve supportare tutto lo sforzo che la situazione richiede.
Infatti non è detto che la classe, senza una pre-occupazione da parte del
docente di avvincerla al tema, alla materia, si lasci in ogni caso affabulare. Anzi,
probabilmente, sua sponte la classe sarebbe più disposta a dis-trarsi per
rivolgersi ad altri setting, ad altri giochi, meno sublimati e più spontanei. Per
conquistare la classe, per in-luderla in quel gioco sublimato e desessualizzato
che noi chiamiamo lezione, il docente dovrà esplicare una funzione in-ludente e
affabulante che ottenga, possibilmente da tutti i discenti presenti, l’equivalente
sul piano scolastico di quell’ascolto a bocca aperta che è il primo obiettivo che si
propone di raggiungere il buon raccontatore di fiabe (Angelini, 1989).
3) Ed ecco che a questo punto scatta una terza funzione, la funzione
individualizzante, e cioè di selezione, che è quella che in questo momento più ci
interessa. Afferma Mottana: al docente non basta riuscire ad avvincere il
proprio uditorio, e cioè la propria classe per trasportarla nell’atmosfera fatata
della lezione. Egli, una volta che abbia espletato questa funzione, se non vuole
limitarsi ad un confusivo embrassons nous, non può non cominciare a nutrire
ora nei confronti della sua classe un secondo tipo di preoccupazione, che
Mottana definisce di tipo materno, quella che gli psicoanalisti francesi chiamano
funzione di rêverie (Laplanche e Pontalis).
In un primo tempo il docente, come una madre sufficientemente buona, ha
cercato di dare senso e spessore in maniera indistinta alla propria classe
immettendola sul piano dell’operatività, grazie al proprio desiderio materno in-
ludente, e invogliandola ad accogliere il sapere che da lui proviene, quasi fosse
un cibo buono da introiettare. Ora però il docente, in base alla maniera specifica
con cui ciascun discente ha introiettato il sapere che da lui proveniva, lo ha fatto
proprio, lo ha coniugato con tutto ciò che nel proprio mondo interno
preesisteva a quel sapere, non può non cominciare ad attribuire a ciascun
discente un senso, un profilo, uno spessore che è specifico, appunto, individuale,
personale. Questa attività, secondo Mottana, è l’erede della funzione materna
di rêverie, in base alla quale la madre, attraverso la propria attività interpretante
dei segnali che derivano dal bambino, comincia ad individuarlo, a delinearlo in
maniera univoca e specifica.
Sulla scena scolastica ogni gesto, ogni parola, ogni segno che va nella
direzione dell’individuazione riprende e aggiorna le funzioni materne
secondarie di individuazione, le propone coram populo, cioè di fronte a tutta la
classe attraverso l’esercizio della selezione, del voto, della pagella ecc. .
E, così come nelle vecchie famiglie in cui c’erano molti figli i genitori non
potevano distribuire in maniera uguale il proprio amore fra essi e non potevano
esimersi dall’individuarli nelle loro particolarità esaltando i loro pregi e cercando
di correggere i loro difetti, allo stesso modo in classe, dopo che un certo
percorso in una situazione di illusione sia stato effettuato, in un secondo tempo
il docente non può esimersi dal valutare, dall’individuare i singoli discenti
scoprendo le loro vocazioni e cercando di spingerli a interessarsi anche di quei
terreni ai quali i singoli non dovessero sentirsi vocati.
4) Infine, la quarta funzione, quella di separazione: che ci ricorda che, come
accade in ogni storia che si rispetti, anche quelle che si raccontano sulla scena
scolastica finiscono; anche gli amori e gli odi, l’insieme di tutte le passioni
sublimate che sul palcoscenico della classe sono giocate dai protagonisti in essa
recitanti passano, e, una volta che sono passate, si stemperano nel ricordo. Così
avviene per il discente, così per il docente, così per ciò che accadde tanto tempo
fa all’inizio del ciclo, all’inizio dell’anno scolastico o del quadrimestre, così per le
cose che sono accadute oggi nella lezione che è appena terminata.
Ogni volta il docente e i discenti devono rimettere in cartella i propri ferri del
mestiere, e, nel fare ciò, devono cercare di non soffrire troppo a causa dei
necessari ridimensionamenti che hanno senz’altro accompagnato le operazioni
appena concluse sul piano dei processi d’individuazione e di selezione; devono
sapere sortire dalla membrana gruppale che fino ad un momento prima, se le
cose erano andate sufficientemente bene, avvolgeva tutti e recuperare, senza
molti danni, la propria membrana personale; devono ritornare a casa e non
sentire più sulle proprie spalle il peso dell’istituzione che obbliga tutti i suoi
attori alla formazione, alla in-formazione, alla trans-formazione e, in certi casi
neanche tanto peregrini, alla con - formazione e alla de-formazione. E,
soprattutto, ripetere queste operazioni di abbandono e di separazione in
continuazione: per i docenti, sempre di fronte a nuovi discenti con i quali
costruire nuove storie, nuove avventure di scoperta e di ricerca; per i discenti,
lungo il proprio processo di crescita personale, sempre di fronte a nuovi
argomenti, a nuovi docenti, a nuove entità che li arricchiscano e li facciano
crescere umanamente e professionalmente.
Riassumendo: queste funzioni si rinnovano a livello di ogni ciclo, di ogni anno
scolastico, di ogni quadrimestre, di ogni tranche programmatoria, di ogni
“lezione”. Nell’espletamento di queste funzioni, la scuola si pone come
contenitore nei confronti dei discenti (di ogni ordine e grado). In questo
contenitore le funzioni genitoriali però non sono esercitate in una atmosfera in
cui come a casa prevale l’affettività, ma sono mediate dal fare pedagogico
(Angelini, 1998).
Uno degli impedimenti che spesso rendono difficoltoso il fluire di queste
azioni formative sta nel fatto che la scuola non è in grado da sola di individuare
in modo adeguato, di selezionare - cioè - con sufficiente approssimazione coloro
che sono affetti da problemi rilevanti da un punto di vista degli apprendimenti.
In questi casi, spesso è necessaria una convergenza di più professionalità e di
più istituzioni, tanto nel lavoro di selezione iniziale, quanto nei momenti delle
verifiche in itinere e dell’orientamento finale.
Nel nostro ordinamento scolastico, sono tre le istanze istituzionali preposte
alla selezione, nonché alle verifiche in itinere e finali dei problemi
dell’apprendimento: 1. la scuola, 2. la sanità pubblica e 3. la famiglia. Istituzioni
che, per svolgere questo lavoro, si avvalgono di una pluralità di professioni e
competenze.
Per cui, nei casi di problemi di apprendimento, bisogna tenere presente la
rilevanza di due versanti: 1. quello interprofessionale e 2. quello
interistituzionale.
Selezionare, infine, significa discriminare, e cioè fare delle diagnosi il più
possibile mirate, al fine di riparare, cioè stendere dei piani riabilitativi ad hoc e
dinamici, cioè individualizzati e scanditi nel tempo. Per cui occorre distinguere
sempre due momenti, uno selettivo ed uno riparativo: a. la selezione, al fine di
un inserimento in un luogo dinamicamente adatto al tal bambino, con il tal
problema; b. l’intervento riabilitativo mirato, cioè adatto alle particolari carenze,
esigenze riparatorie che quel caso, e solo quel caso, richiede.
Questi due interventi sono fra loro collegati e richiedono molta
professionalità e acume. Solo valutando la ricchezza e l’innervazione nel tessuto
istituzionale di una pluralità di luoghi che siano non tanto in concorrenza fra di
loro quanto piuttosto in una posizione di complementarità, possiamo
comprendere se un dato territorio è in grado, o meno, di prendersi cura dei
bambini e dei ragazzi con difficoltà di apprendimento.
Al contrario, un territorio che non sia riccamente innervato di proposte
discriminate in base ai bisogni particolari dei soggetti in età evolutiva non sarà in
grado, anche in presenza di un buon apparato diagnostico, di svolgere alcuna
cura efficace. Così come un territorio, pur ricco di proposte discriminate, che
però rinunci alla complementarità non sarà in grado di sfruttare per il meglio le
risorse disponibili.
 
 
2. Selezione dei bambini e dei ragazzi con problemi di apprendimento fra
formazione, riabilitazione e assistenza
 
Per ogni caso di bambino e di ragazzo con problemi di apprendimento
l’insieme dei servizi territoriali deve contemperare tre dimensioni: 1. la
formazione, 2. la (ri)abilitazione, 3. l’assistenza.
Di modo che si può affermare che - come i lati di un triangolo possono essere
più o meno lunghi senza mai perdere, nella loro composizione, la caratteristica
di definire insieme un triangolo - allo stesso modo le tre dimensioni cui abbiamo
appena accennato corrispondono ad un’unica esigenza restaurativa che va
coniugata secondo un mix che varia, in base alle necessità particolari di questo o
di quel ragazzo, alla sua età, ai suoi problemi specifici, alla famiglia o alla
istituzione in cui vive, alle possibilità offerte, o meno, dal contesto di studio ecc.
.
 
 
Qualora il momento della selezione risulti slegato dai momenti di
restaurazione - e cioè di formazione, di (ri)abilitazione e di assistenza - l’invio in
queste sedi, che poi è il fine dell’attività selettiva, può risultare più o meno
danneggiato.
Da una parte, bisogna infatti tenere ben presente che il momento selettivo e
quello diagnostico nel territorio non hanno senso in se stessi, anzi risultano
fonte di ulteriori angosce per le famiglie e per i pazienti qualora siano disgiunti
dalle sedi preposte alla restaurazione del Sé dei bambini e dei ragazzi, cosicché
ad esempio una ricerca sull’x fragile svolta solo a fini accademici e slegata da
ogni indicazione di cura specifica è destinata solo a far lievitare il tasso di ansia e
angoscia nella famiglie.
D’altra parte, deve essere chiaro che un servizio di restaurazione che rinunci
alla propria specificità, alla propria vocazione, e si proponga onnipotentemente
di accogliere tutti i casi senza alcuna coscienza dei propri limiti, è votato al
fallimento: ad esempio quegli istituti che prendono di tutto perché non si
azzardano a fare selezione spesso - proprio in base a questa mancata opera
selettiva - finiscono con il vedere non realizzati i loro obiettivi. E allo stesso
modo risulterà comunque votato al fallimento anche quel centro che delega ad
altri la selezione votandosi, così, a venire riempito di contenuti e di carichi di
lavoro in maniera eterodiretta.
Al contrario, ed in positivo, guardiamo cosa chiedono le strutture residenziali
e semiresidenziali psichiatriche reggiane agli invianti: la premessa, affinché una
presa in carico possa avvenire in queste situazioni, è nella consapevolezza, da
parte dell’équipe territoriale inviante e della famiglia, della limitatezza del
compito che le strutture semiresidenziali possono svolgere e nel fatto che una
parte delle necessità sanitarie ed assistenziali dei pazienti ricada (ancora) su chi
ha fatto l’invio.
Per tutti questi motivi, ribadiamo la necessità di connettere il momento
diagnostico a quello restaurativo; il che equivale, in altre parole, a valorizzare il
concetto di rete. Però, perché si possa dire di lavorare effettivamente in rete, è
necessario che ciascun operatore contemperi il senso della propria
appartenenza professionale ed istituzionale con il senso di una cointeressenza
più vasta. Bisogna avere cioè la sensazione più o meno precisa di far parte di una
rete di reti, il che implica:
- la predisposizione del singolo professionista e dell’istituzione (cioè del
gruppo di lavoro di cui lui fa parte) ad un ridimensionamento in base ai propri
limiti ed alle proprie possibilità, nonché ai limiti e alle possibilità del gruppo di
lavoro di cui si fa parte (insomma la presenza, nel singolo professionista e nel
gruppo di lavoro di una sorta, di Ideale dell’Io realistico e cosciente della propria
fallibilità);
- la predisposizione dinamica al ridimensionamento: il che implica l’importanza
della formazione (quello che non si è in grado di dare oggi sarà possibile dare
domani, se ci si forma, se si progredisce nel proprio iter formativo individuale e di
gruppo);
- il non lasciarsi descrivere dagli altri, il fatto cioè di non rinunciare a fare da sé
una propria selezione (se il gruppo di lavoro non definisce i propri confini
restaurativi si ritrova presto pieno delle urgenze e delle grane le più
incongruenti, e questo equivale, come dicevamo prima, alla pianificazione del
proprio fallimento);
- in ultima istanza, e conseguentemente, è necessario definire un preciso
luogo di selezione che sia interno al luogo restaurativo, o in rapporto dialettico
con esso.
Tale luogo restaurativo va ridefinito in continuazione, in base agli aggiustamenti
che l’esperienza suggerisce. Il che significa che, nella riflessione sull’esperienza
fatta, non bisogna mai trascurare una ri-osservazione critica di come è pensato
e organizzato questo momento.
 
 
3. Selezione dei problemi dell’apprendimento e fasce d’età
 
Vi sono tre momenti delicati in cui è particolarmente importante soffermare
la nostra attenzione: a. la seconda infanzia; b. la latenza; c. la preadolescenza.
a. La seconda infanzia è il momento in cui emergono i problemi dei pre-
apprendimenti, e, in particolar modo, i problemi di linguaggio. La prima cosa
che dobbiamo chiederci, di fronte a questo, come agli altri due momenti critici,
è: chi osserva che cosa? Normalmente in questa età le istanze osservanti sono:
le assistenti sociali, i pediatri di base, le educatrici di scuola per l’infanzia, e, in
seconda battuta: gli psicologi, i neuropsichiatri infantili. Tutti questi
professionisti osservano vari aspetti:
1. il ritardo nell’acquisizione del linguaggio verbale;
2. la differenza fra competenza verbale attiva (lessico) e quella passiva
(vocabolario);
3. la discriminazione fra competenze specifiche nel lessico familiare (dialetto)
e quelle nel linguaggio burocratico-curiale;
4. le condizioni familiari con particolare riguardo: 4.1. da una parte, alle
competenze verbali dei genitori e soprattutto della madre (livello
dell’istruzione); 4.2. dall’altra alle loro capacità residue sul piano della
genitorialità distinguendo: 4.2.1. svantaggio socioculturale, cioè la scarsa
possibilità della famiglia sul piano culturale, in permanenza di funzioni
genitoriali svolte in maniera sufficientemente buone (esempio: molte famiglie
immigrate, specialmente subito dopo il loro arrivo); 4.2.2. deprivazione più o
meno accentuata, cioè l’incapacità di esercitare le funzioni genitoriali in maniera
sufficientemente buona;
5. le condizioni contestuali di vita in cui il bambino vive e che vanno al di là
della famiglia: ad esempio, ci si deve sempre chiedere quali obiettivi reali
persegue non tanto, in generale, la scuola materna che il bambino frequenta,
quanto quelli che in concreto sono gli obiettivi perseguiti dal gruppo di
educatrici cui il bambino è affidato nella quotidianità;
6. la necessità di una diagnosi differenziale (da parte dei neuropsichiatri
infantili) poi si impone chiaramente ogni volta che ci sia il sia pur minimo dubbio
(strabismo, scialorrea, ecc., eventualmente associati al ritardo nell’acquisizione
del linguaggio verbale).
 
b. La latenza ed i problemi degli apprendimenti di base: Il “chi osserva che
cosa” in questo caso, e cioè con questi bambini più grandi, diventa l’insieme di:
le docenti di scuola elementare, gli psicologi, i neuropsichiatri infantili (le
assistenti sociali, i pediatri di base), che osservano e valutano:
1. il ritardo nell’acquisizione degli apprendimenti di base;
2. la differenza fra competenza verbale attiva (lessico) e quella passiva
(vocabolario);
3. la discriminazione fra competenze specifiche nel lessico familiare (dialetto)
e quelle nel linguaggio burocratico-curiale;
4. le condizioni familiari con particolare riguardo: 4.1. da una parte, alle
competenze verbali dei genitori e soprattutto della madre (livello
dell’istruzione); 4.2. dall’altra, alle loro capacità residue sul piano della
genitorialità distinguendo, come sopra: 4.2.1. svantaggio socioculturale, cioè le
scarse possibilità della famiglia sul piano culturale, in permanenza di funzioni
genitoriali svolte in maniera sufficientemente buona (esempio: molte famiglie
immigrate, specialmente subito dopo il loro arrivo); 4.2.2. deprivazione, più o
meno accentuata, cioè l’incapacità di esercitare le funzioni genitoriali in maniera
sufficientemente buona;
5. le condizioni contestuali di vita in cui il bambino vive e che vanno al di là
della famiglia: ad esempio, ci si deve sempre chiedere quali obiettivi reali
persegue non tanto, in generale, la scuola elementare che il bambino frequenta,
quanto quelli che in concreto sono gli obiettivi perseguiti dal gruppo di docenti
cui il bambino è affidato nella quotidianità;
6. la necessità di una diagnosi differenziale (da parte dei neuropsichiatri
infantili) poi si impone chiaramente ogni volta che ci sia il sia pur minimo dubbio
(strabismo, scialorrea ecc., eventualmente associati al ritardo nell’acquisizione
del linguaggio verbale).
 
c. La preadolescenza, i problemi della ridefinizione del Sé durante la crisi
puberale ed i residui ritardi sul piano degli apprendimenti di base. Il “chi osserva
che cosa” subisce un altro piccolo, ma significativo cambiamento, ed è
composto dall’insieme di: le docenti di scuola media, gli educatori degli istituti,
gli psicologi, i neuropsichiatri infantili (le assistenti sociali, i pediatri di base).
Questi professionisti, nel caso del preadolescente osservano:
1. la forza o la fragilità del Sé del preadolescente nella fase di passaggio;
2. il suo grado d’integrazione nel gruppo di pari;
3. le caratteristiche del gruppo di pari; 4. come il ragazzo vive gli altri tre
luoghi dell’adolescenza (oltre il gruppo, la famiglia, la coppia, lo stare da soli);
5. la persistenza o meno del ritardo nell’acquisizione degli apprendimenti di
base;
6. la differenza fra competenza verbale attiva (lessico) e quella passiva
(vocabolario);
7. la discriminazione fra competenze specifiche nel lessico familiare e quelle
nel linguaggio burocratico-curiale;
8. le condizioni familiari con particolare riguardo: 8.1. da una parte, alle
competenze verbali dei genitori e soprattutto della madre (livello
dell’istruzione); 8.2. dall’altra, alle loro capacità residue sul piano della
genitorialità distinguendo sempre fra: 8.2.1. svantaggio socioculturale, cioè la
scarsa possibilità della famiglia sul piano culturale, in permanenza di funzioni
genitoriali svolte in maniera sufficientemente buona (esempio: molte famiglie
immigrate, specialmente subito dopo il loro arrivo); 8.2.2. deprivazione, più o
meno accentuata, cioè l’incapacità di esercitare le funzioni genitoriali in maniera
sufficientemente buona;
9. le condizioni contestuali di vita in cui il ragazzo vive e che vanno al di là
della famiglia: ad esempio, ci si deve sempre chiedere quali obiettivi reali
persegue non tanto, in generale, la scuola media che il ragazzo frequenta,
quanto quelli che in concreto sono gli obiettivi perseguiti dal gruppo di docenti
cui il ragazzo è affidato nella quotidianità.
 
 
Bibliografia:
 
Angelini L., Le fiabe e la varietà delle culture, CLEUP, Padova, 1989
Angelini L., Affabulazione e formazione. Docenti e discenti come produttori e fruitori di testi,
UNICOPLI, Milano, 1998
Laplanche J., Pontalis J.B., Fantasma originario, Fantasmi delle origini. Origini del fantasma, Il
Mulino, Bologna, 1988
Mottana P., Formazione ed affetti, Armando, Roma 1993
 

8. Tecniche di conduzione dei workshop: i contenu in


preadolescenza (1997\98) 35
 
 
Leonardo Angelini
 
 

1. Le molteplici dimensioni del viaggio


 
Nella relazione Workshop e ingresso in preadolescenza a un certo punto è
emersa la metafora del viaggio. Oggi, nell’affrontare il tema dell’individuazione
dei contenuti del vostro lavoro nei workshop, riprenderemo questa metafora.
Spero di riuscire a dimostrare quanto, di fronte al problema del passaggio
dall’infanzia all’età adulta, la posizione delle psicologhe tirocinanti impegnate
nei workshop sia sovrapponibile a quella delle operatrici dei GET36; non solo,
ma quanto entrambe queste posizioni siano (o potrebbero essere)
ampiamente sovrapponibili a quelle di qualsiasi docente della scuola media
inferiore.
Infatti, per tutti gli adulti che si pongono in rapporto con i preadolescenti sul
piano del fare operativo, pedagogico, il problema rimane quello del viaggio
che il preadolescente si accinge a compiere e dell’atteggiamento che l’adulto
ha nei confronti dell’immanenza di questo viaggio, dei pericoli che in esso sono
insiti, dei problemi di separazione cui tutti gli attori presenti a casa, come a
scuola, vanno incontro.
In tutti gli adulti che si accingono a lavorare con gli adolescenti, quindi,
qualsiasi sia la loro particolare professionalità o la loro posizione nei confronti
del preadolescente, nascono dei problemi inerenti il rapporto con il viaggio che
il preadolescente sta cominciando a fare, ed in particolare: il fatto che si tratta
di un viaggio verso l’ignoto; il fatto che ci si trova di fronte un viandante che si
accinge a partire per il viaggio senza le certezze che aveva durante la latenza; il
fatto che le condizioni in cui comincia il viaggio sono quelle dell’accentuazione
dell’ambivalenza nei confronti delle figure adulte; il fatto che il viandante da
una parte è impaziente di cominciare il viaggio, di attrezzarsi autonomamente
per avventurarsi in mare aperto, dall’altro è tentato a regredire, a dipendere
ancora dall’adulto. Ciò che voglio aggiungere all’argomentazione di ieri è il
tema della molteplicità della dimensione del viaggio. Infatti solitamente,
allorché si parla di ragazzi con problemi di apprendimento, si pensa che un
lavoro riparativo, quale è quello che sia le operatrici dei GET, sia le psicologhe
tirocinanti stanno facendo, debba coincidere con ciò che comunemente si
intende per apprendimento. Ma non dobbiamo farci trarre in inganno dalla
parola apprendimento: in effetti, essa indica spesso qualcosa di circoscritto ad
un insieme di concetti che potremmo definire le materie, la scuola ecc. . Invece
ab-prehendo significa, letteralmente, prendo da…; ciò vuol dire che è possibile
intendere quell’opera di prensione, di impossessamento come qualcosa che va
al di là dell’ab-prehendere scolastico. E allora, se abbandoniamo la comodità
della posizione di circoscrizione cui l’uso solito della parola apprendimento ci
riconduce, e ci esponiamo alla molteplicità di significati che invece in essa sono
impliciti, tutta la scena cambia aspetto, direi, si mobilizza, si arricchisce di una
molteplicità praticamente infinita di opportunità formative da proporre all’ab-
prendimento del preadolescente, oggi, come - del resto - del fanciullo in età di
latenza, ieri, e dei più grandi domani.
Inoltre, da questa nuova prospettiva, la nostra posizione di operatori di
frontiera (Napolitani) che lavorano, in particolare, sul disagio, e cioè con i
ragazzi a rischio, risulta avvantaggiata; la nostra, ma anche quella dei docenti
che lavorano con i ragazzi meno svantaggiati. Potremmo dire anzi che questa
visione più ampia del significato del viaggio, che il preadolescente si accinge a
compiere, potrebbe risultare, alla fine, più ricca di opportunità e di proposte
per tutti. La molteplicità di significati che derivano da un ascolto più attento del
preadolescente, da un più attento esame della reale natura del suo viaggio,
della reale portata del suo passaggio, può essere ricondotta a tre dimensioni
che racchiudono in sé e probabilmente esauriscono tutte le varie dimensioni
del viaggio. Esse, a mio avviso sono: 1. le materie scolastiche; 2. gli interessi (le
vocazioni) dei singoli, indipendenti dalle materie; 3. il corpo. Si definiscono così,
soprattutto per i nostri casi, ma non solo per essi, tre geografie di luoghi da
conoscere, da esplorare, tre ordini di contenuti da scandagliare ed ovviamente
tre ordini di problemi da affrontare.
 
 
2. Gli apprendimenti scolastici: un viaggio nelle materie
 
Il luogo delle materie scolastiche è un luogo geografico fatto di programmi,
di lezioni formali, di percorsi certi e ben delimitati. All’interno di questa arena i
nostri ragazzi si sono già mossi fin dalla seconda infanzia (i pre-apprendimenti)
e più scopertamente durante tutta la latenza subendo spesso delusioni a volte
cocenti (con relativi problemi di autostima); sono stati oggetto
dell’investimento, più o meno accentuato, da parte dei genitori e dei docenti
che li hanno riempiti con le proprie imago ideali e giudicanti e con le altre parti
interne, più o meno introiettate, con le quali ciascun adulto solitamente
dialoga ed interagisce con il preadolescente. La classe, quindi, è un luogo di
confronto che, da lunga pezza, vede i nostri ragazzi perdenti nel rapporto con il
gruppo classe, una vera e propria arena delle sconfitte, un luogo in cui la
distanza fra la propria capacità di ab - prehendere e quella degli altri è a volte
incolmabile. E d’altro canto qui, cioè con il ragazzo a rischio - al contrario di quel
che avviene con il disabile -, non ci troviamo di fronte ad una stabile identità
precaria (Montobbio), ad una vaga autoconsapevolezza dei propri limiti, ma al
contrario di fronte ad un’acuta e dolorosa sensazione di impotenza, figlia di un
altrettanto preciso e spesso realistico confronto.
Si tratta quindi di un luogo geografico conosciuto, di una vera a propria
geografia politica con tanto di nomi di città e di strade, di porti e di nodi
ferroviari: Italiano, Matematica, interrogazione… ecc., che il ragazzo ha già
abitato a partire dall’inizio della latenza. Si tratta di luoghi che hanno in sé
tante merci, tante ricchezze che in passato egli, il ragazzo a rischio, avrebbe
dovuto ma non ha potuto ab-prehendere, con tanti dirigenti del traffico delle
merci educative, cioè con tanti docenti che avrebbero potuto ma a volte non
hanno saputo insegnarlo di sé, che avrebbero potuto arricchirlo, ma che, alla
fine, non hanno prodotto se non risicati arricchimenti.
La carta geografica che rappresenta questi luoghi è quella tipica della
geografia politica: le città, i porti, le strade, le ferrovie, le grandi vie di traffico
aereo e marittimo, ecc.: nel nostro caso, i programmi, i curricoli, le schede, i
libri: tutto materiale arci\conosciuto, ma che ha già sedimentato tante
delusioni e che, perciò, presenta, in sé e per sé, solo pochi motivi di interesse e
di attrazione che, se rapportati ai grandi problemi di stima e autostima che
vengono dal giudizio dei docenti del mattino, diventano ancora più esigui.
 
 
3. Il viaggio inteso come ricerca dei propri interessi, delle proprie vocazioni
 
Se la geografia dei luoghi precedenti può essere apparentata con la
geografia politica, quella consistente nella ricerca dentro se stessi dei propri
interessi e delle proprie vocazioni, invece, mi fa venire in mente la geografia
fisica. Si tratta di territori meno marcati dalla mano artificiale dei programmi,
meno esposta alle standardizzazioni che inevitabilmente in essi è implicita.
Monti, pianure, fiumi, mari, oceani ecc. che non sono stati conosciuti in
precedenza, se non in base alla forza dell’emulazione e delle identificazioni
infantili (le imago parentali prese a modello). Imago sulle quali è avvenuta
l’opera di erosione tipica della preadolescenza (con l’abbattimento dei vecchi
idoli), e quindi terreno in parte vecchio, ma vissuto con sospetto, in parte
nuovo e ignoto, da esplorare con circospezione. Terreno, inoltre, intriso di
grandiosità (i nuovi idoli della televisione, dello sport ecc.) che genera attese
irrealistiche ed onnipotenti, ma che tiene vivo l’Io Ideale (Blos), e spinge il
ragazzo verso il mare aperto della sperimentazione e dell’impegno. Il
ridimensionamento dell’Io Ideale sarà poi il doloroso, ultimo tratto di strada
prima che il ragazzo di oggi diventi adulto, e cioè nell’imminenza dell’accesso
all’adultità (qualora però non sia stato brutalmente offeso prima).
La carta geografica che abbiamo di fronte in questo caso è quella
dell’orientamento, il che implica: 1. la scoperta delle vocazioni, e cioè quali
sono gli interessi per i quali il ragazzo è vocato o da una voce interna che viene
dall’infanzia e dal confronto con le imago genitoriali ideali e superegoiche,
allorché esse ci siano, o con imago genitoriali che derivano dal precedente
lavoro restaurativo che sul ragazzo e sulla ragazza è stato fatto a partire dal
momento che è stato segnalato, o ancora dal confronto con noi stessi,
operatori dell’intervento restaurativo, nel momento in cui ci atteggiamo nei
loro confronti come Ideale dell’Io e Super-Io sostitutivi (e non come Io
sostitutivo, come invece bisogna fare nel caso dei disabili); 2. preparazione di
un terreno solido di sperimentazione della vocazione: e cioè preparazione degli
atelier, ufficiali e non, affinché il ragazzo e la ragazza abbiano la possibilità di
allevare la propria vocazione e farla lievitare nell’impegno quotidiano. In
questo modo, è possibile perseguire anche un ri-utilizzo a fini produttivi e
creativi delle istanze libidiche e aggressive, che altrimenti sono destinate a
defondersi e a risultare dannose a sé e agli altri (terreno dell’acting out); 3.
sopportazione dell’inerzia: e cioè sopportazione del fatto che i ragazzi possono
anche impiegare molto tempo prima di arrivare a comprendere quale è la loro
vocazione. Cosicché ciò che a un adulto distratto apparirà come un
bighellonare senza meta è in effetti proprio quel dibattersi nella bonaccia di cui
parla Winnicott, e cioè uno stato di inattività che ha bisogno di aiuto e di attesa
paziente prima di poter sfociare in qualcosa, un ribollire che ha bisogno di
tempo prima di diventare azione adulta e conseguente.
 
 
4. La nuova geografia della corporeità in preadolescenza
 
Nel caso del viaggio nelle materie il preadolescente deve, più o meno
dolorosamente ripercorrere percorsi di viaggio già compiuti, approfondimenti
quindi, ri-visitazioni.
Nel caso del viaggio nei luoghi più intimi, meno istituzionali in cui albergano
le vocazioni, nascoste spesso sotto una coltre d’indolenza e di accidia, vi è
sempre nel preadolescente una traccia criptica che viene dal passato, o una più
chiara che viene dal presente.
Nel caso del viaggio nel corpo pubere, invece, il terreno è molto più
accidentato. In questo caso le competenze provenienti dalle esperienze
precedenti, e cioè quelle che provengono dalle tracce mnestiche accumulate
nella prima e seconda infanzia intorno ai capisaldi delle varie organizzazioni
pregenitali e genitali sono state per lo più scarsamente mentalizzate,
dolorosamente e provvisoriamente risolte, e alla fine abbandonate in latenza
poiché la tendenza all’intellettualizzazione aveva di fatto distolto lo sguardo dal
paesaggio del corpo, per indirizzarlo verso quello della mente.
Ciò per quanto riguarda il passato; ma anche venendo al presente, la
situazione risulta altrettanto criptica: infatti il confronto con le imago genitoriali
attuali risulta inficiato sul piano corporeo sia dai contenuti incestuosi più o
meno tabuizzati presenti nel ragazzo, sia dalle repressioni e dalle rimozioni che
la generazione precedente ha ricevuto su questo piano e che ha trasmesso al
bambino ieri, e continua a trasmettere al ragazzo oggi, tramite l’educazione
(tramite tutta l’educa-zione, e non solo tramite l’educazione sessuale).
Per cui la carta geografica che il ragazzo si trova di fronte in questo caso è
come una cartina muta che presenta al preadolescente solo i contorni vaghi di
quel fenomeno che pure sta massicciamente trasformando il suo corpo e che si
chiama crisi puberale lasciando a lui, e solo a lui, il peso della decifrazione di ciò
che sulla sua stessa carne sta avvenendo. Si tratta di un’opera di ri-
funzionalizzazione, di ri-attribuzione di senso che vede nella masturbazione e
negli interessi perversi polimorfi riemersi in questo periodo l’equivalente di ciò
che nelle altre due dimensioni sono i programmi scolastici e l’orientamento.
 
 
5. Necessità di un incremento e di una coniugazione fra le tre dimensioni
del viaggio
 
Come favorire, sul piano dei contenuti, l’incremento e la coniugazione fra
queste tre dimensioni del viaggio?
Innanzitutto occorre esaminare l’entità del ritardo sul piano degli
apprendimenti scolastici: se esso risulta essere consistente allora veramente,
poiché su quel terreno il ragazzo ha già ricevuto in passato molte delusioni,
insistere sarebbe inutilmente avvilente. Esaminare, in secondo luogo, il vissuto
sul piano dell’autostima che ogni singolo ragazzo ha di questo ritardo, facendo
bene attenzione fra ciò che in questa età il ragazzo ostenta e ciò che
effettivamente vive interiormente. Favorire poi l’emergere dentro al ragazzo
delle sue vocazioni: e ciò può essere fatto - come abbiamo appena visto - con
un’opera paziente di osservazione e d’attesa. Valutare dinamicamente le
vocazioni prima o poi emerse nel ragazzo cercando di appurare quale incidenza
esse abbiano nella definizione del suo Io Ideale. Esaminare come sta
avvenendo il clivaggio (cioè l’impianto) della sua genitalità. Favorire l’emergere
della sua area di intimità, rispettarla, cercare di instillare anche in lui/lei il
rispetto e la fierezza per questa nuova e tenera presenza interna. Come
vedremo meglio parlando dei metodi, far capire al ragazzo che il GET, il
workshop presentano entrambi due potenti strumenti in grado di aiutarlo nel
suo viaggio verso l’età adulta; due strumenti che sono a sua disposizione e che
può usare, o meno: poiché deve sempre essere lasciato a lui/lei il tempo e la
possibilità concreta di usarli. Tali strumenti sono essenzialmente: voi stesse,
psicologhe, educatrici, tirocinanti, volontarie, intese in senso sia individuale che
gruppale; il gruppo di pari, sotto la vostra direzione. Infine, cercare dentro di
voi i presupposti di un incontro che sia nuovo per loro. Tenete presente, però,
che non è pensabile che a questa età essi cerchino in voi un sostituto
genitoriale (se lo fanno, questo va visto come sintomo di una carenza, di un
bisogno). È più probabile che essi cerchino un’alleanza di tipo nuovo (o con
immagini di un fratello, di una sorella, di un amico maggiori e più saggi, o con
qualcuno di assolutamente nuovo e imprevisto) e occorre che voi siate pronte
a trovare in termini controtransferali, dentro di voi, un’assonanza con queste
istanze.
Il che, beninteso, non significa compiacerli e porre i presupposti per
acconsentire a costruire, ad esempio, una banda di tipo para-delinquenziale;
bensì essere disposte a definirvi come modelli deboli, fallibili, raggiungibili,
riparativi, ma fermi, rassicuranti, costanti nella dedizione, estremamente
discreti e pronti, soprattutto, a ritirarsi al primo accenno d’insofferenza e di
disagio.
 
 
 
 
Bibliografia:
 
- Angelini L., “L’adolescenza dell’handicappato psicofisico”, in: Setting riabilitativi con gli
adolescenti handicappati, Usl N.9 di Reggio Emilia 1992, pp.13\24
- D.Bertani: "Genitorialità, ed handicap", in: Se ng riabilita vi con gli adolescen
handicappa , op.cit. pp.51\58
- Blos P., “La genealogia dell’Io Ideale”, in Blos P., L’adolescenza come fase di transizione,
Armando Ed., Roma 1988
- Montobbio et altri: "L'handicappato psichico: adolescente senza adolescenza", in AA.VV.
Attualità di neuropsicopatologia in età adolescenziale, Quaderni di N.P.I. n°22, vol. II,
pagg.296/301.
- D. Napolitani, "La stru ura intermedia nel panorama psichiatrico", in "Psicoterapia e
scienze umane", N° 4, 1986, pagg. 74/86.
9. Tecniche di conduzione dei workshop: metodi e strumen (1997\98) 37
 
 
Leonardo Angelini
 
 
1. Metodi e strumenti: la spirale della programmazione
 
1a

 
Diamo un’occhiata alla nota immagine della spirale della programmazione. In
sede psico-pedagogica, così come in sede sanitaria, possiamo osservare l’evolversi
di un percorso programmatorio, scandito nel tempo secondo determinati criteri e
linguaggi, i cui particolari variano a seconda delle concrete microstorie locali di ogni
singola istituzione, ma che - grosso modo - sono tutti riconducibili alla spirale sopra
illustrata.
Fare un’opzione nel senso della programmazione, però, non significa affatto fare
un’operazione banale: l’abitudine e l’assuefazione alla programmazione che noi
tutti abbiamo, dal momento in cui abbiamo cominciato a lavorare in istituzioni
moderne e professionali (Angelini, 2010), ci conduce a dare per scontato ciò che,
in effetti, non lo è affatto. Infatti, la parola programmare significa commisurare il
futuro a vantaggio di qualcuno che, nel nostro caso, è l’istituzione in cui operiamo
e i suoi acerbi fruitori. Lo sguardo del programmatore, nel nostro caso, è quello di
chi vede il presente in funzione del futuro: lo stesso sguardo, cioè, dell’industriale,
dell’economista, del politico, ma anche, nello stesso tempo, uno sguardo molto
diverso da quello del contadino, tutto centrato sul ripetersi sempre uguale dei cicli
produttivi, diverso da quello di chi guarda nostalgicamente indietro nell’attesa che
il passato ritorni, che il mito si riavveri, diverso soprattutto da quello dell’operatore
delle istituzioni totali (Goffman) che non programma e tende a vedere il tempo
della propria operatività come una pesante incombenza dalla quale liberarsi al più
presto.
Un processo moderno, quindi, che conforma impercettibilmente il nostro modo
di pensare e che determina in maniera consistente la nostra professionalità e la
nostra appartenenza gruppale.
Un processo, infine, nel quale confluiscono vari momenti. Noi ne abbiamo
identificato sostanzialmente quattro: 1. osservazione e auto-osservazione; 2. stesura
di una ipotesi di lavoro; 3. sperimentazione; 4.verifica; 1.a. ri-osservazione; ecc. .
Prima di tentare un’analisi dei principali problemi psicologici che intervengono negli operatori in
ciascuna di queste quattro fasi, occorre precisare però che il tipo di pazienti che abbiamo davanti (i
ragazzi a rischio), le loro esigenze di cura, nonché il nostro mestiere di educatori e psicologi ci
permette di dire che ciò che guiderà il nostro lavoro di programmazione non sarà la cura delle parti
malate dei ragazzi che sono a noi affidati, ma, piuttosto, l’osservazione delle parti sane, l’analisi delle
vocazioni, l’analisi degli investimenti fatti dal soggetto - nella sua duplice dimensione, individuale e
gruppale - sia sull’operatore che sul materiale utilizzato; e, nello stesso tempo, la consapevolezza
che, fra il momento in cui si attua l’intervento e quello in cui sarà possibile riscontrare gli effettivi
cambiamenti intervenuti nel ragazzo (se mai riusciremo a coglierli), vi è un periodo più o meno
lungo di latenza, durante il quale l’atteggiamento dell’operatore sarà quello di non aspettarsi
riconoscenza da parte dei ragazzi.
Un aspetto positivo, quindi, che distingue il nostro lavoro da quello di altri
riabilitatori, quali i logopedisti o i fisioterapisti, costretti, direi, dalla natura del loro
lavoro e dal tipo di soggetti loro affidati a lavorare sulle parti malate, più che su
quelle sane; ed uno negativo che implica una capacità di attesa che un domani -
che magari è molto al di là dell’orizzonte della nostra convivenza con loro - porti
quel cambiamento che nell’oggi sarebbe disperante attendersi.
 
 
2. Osservazione e auto-osservazione
 
Nel momento in cui ci si accinge a cominciare un lavoro di osservazione, può
essere utile analizzare i vari flussi identificatori emergenti o anche solo impliciti
nella relazione fra operatore e ragazzo. Non è possibile qui fornire una griglia dei
flussi identificatori, dato che ognuno ne ha una propria, che poi è quella che
ciascuno di noi utilizza, in maniera più o meno consapevole, nella relazione con
l’udienza attuale. Ma la estrema diversità di posizioni può essere ricondotta, come
dice Richter, a tre versanti: l’identificazione transferale; quella narcisistica; quella
introiettiva.
Veniamo ora alla figura illustrata più avanti.
Ciò vuol dire che, in questo primo momento, quello dell’osservazione e
dell’auto-osservazione, dopo l’analisi dei processi transferali e controtransferali da
parte dell’operatore (Angelini, 1998), seguirà il tentativo, non sempre facile, di
coniugare la scena attuale, l’udienza attuale con la tradizione e con il “bagaglio”
che ogni operatore porta con sé e che è fatto delle proprie parti più professionali e
di quelle più personali. Teniamo presente che, da questo punto di vista, il nostro
patrimonio acquisito va considerato come un insieme dinamico e, quindi,
modificabile nel tempo in base all’esperienza ed alla formazione; un insieme che
da una parte non può essere sempre messo in crisi, dall’altra non va nemmeno
feticizzato e reso immutabile nel tempo. Inoltre, come spero traspaia dalla figura,
nell’ap-prontare strumenti per la programmazione è bene distinguere fra due
dimensioni del nostro essere, che sono entrambe coinvolte nel processo:

  
- il me individuale di ciascuno di noi: cioè chi sono io personalmente,
distinguendo fra Sé nucleare più profondo, centrale e sede delle nostre
identificazioni, e Sé orbitale, più periferico e sede dei nostri apprendimenti
(Whitman, cit. in Grinberg);
- il me gruppale: quale tipo di appartenenza professionale ci ha forgiato, quali
testimonianze, passate e presenti, lasciate in noi dai gruppi, nella storia della
nostra appartenenza gruppale, ci hanno influenzato.
Un terzo elemento va preso in considerazione, allorché si osserva. Come
insegnano Amerio e Borgogno, è sempre bene chiedersi, allorché si osserva, con
quali parti di me sto osservando: il nostro mondo interno, infatti, è variegato e, a
seconda del momento, del tipo di paziente o di discente che mi è stato assegnato,
io posso osservare con parti superegoiche, ideali, egoiche, ecc. . Un’attenzione a
questo elemento dell’osservazione, e cioè al paio di lenti che inforco nel momento
che sono sospinto ad osservare, va fatta.
Nella fase di osservazione, infine, la stesura delle nostre prime idee e
impressioni è bene che sia lasciata a un livello di estemporaneità, quasi di
confusione; è bene, cioè, compiere ciò che, a livello metodologico, somiglia al
prodotto di un lavoro di brainstorming. Ciò significa accettare la complessità,
accettare il fatto che non è possibile definire subito con precisione ogni aspetto dei
fenomeni coinvolti nel processo innescato.
Risulta utile, in questa fase, per documentare questo momento di apparente e
conveniente confusione, l’uso di un diario oppure la registrazione all’impronta
degli incontri che verranno poi, in un secondo momento, verbalizzati con
precisione.
 
 
3. La stesura delle ipotesi
 
Nella seconda fase, quella della stesura delle ipotesi, si assiste al passaggio da
quelle che in una prima fase erano idee vaghe, abbozzi, illuminazioni a qualcosa
che diventa sempre più preciso e si avvicina alla riflessione. Se in un primo tempo
ci eravamo flessi sull’argomento confidando sul nostro intuito, ora dobbiamo
riflettere sulle nostre intuizioni, cominciare a organizzarle e a fare ordine dentro le
nostre idee ancora confuse.
L’atteggiamento metodologico prevalente nel lavoro di équipe in questa fase è l’accoglienza del
pensiero divergente. Dal punto di vista degli strumenti, va detto che ora devono essere utilizzate
parole precise, che ben descrivano l’oggetto della programmazione.
Il passaggio dalla fase dell’osservazione a quello della stesura delle ipotesi può essere così
scandito:
- Vi è una prima fase in cui si riflette, nel senso che ci si flette, ci si rivolge sia,
come dicevamo prima, su ciò che è stato oggetto di osservazione (riflettere) sia
anche sui risultati della auto-osservazione (ri-flettersi). Vengono in questo caso ri-
attivate le strutture egoiche della personalità, che garantiscono uno stato di
maggior attenzione e vigilanza, strutture che nella fase precedente avevamo
messo tra parentesi.
- Segue una seconda fase in cui si procede a dare un ordine a queste che non
sono più intuizioni, ma ormai nuclei di progetti programmatici che cominciano ad
acquisire sempre più senso; è questo un altro momento delicato in cui è
necessario prendere delle decisioni (de-cidere = tagliar via), cioè fare delle scelte,
scartando alcune ipotesi, lottando contro il proprio desiderio onnipotente che
vorrebbe far tutto.

A livello di strumenti, vanno previsti due tipi di contenitori per la riflessione:


un contenitore per la riflessione individuale:
 
 
ciò implica un luogo interno all’operatore in cui sia viva una attitudine
ordinante, de-cidente, in base alla quale certe idee diventano prioritarie ed altre
meno, fino ad essere scartate o rimandate ad altre tranche formative;
un contenitore per la riflessione di gruppo che, in base alla coniugazione fra le
varie osservazioni fatte da tutti i componenti dell’équipe, decida cosa fare:
* con questo ragazzo/a
* in questo gruppo
* io
* (+ eventualmente altri chi ? a fare che cosa ? complementarietà)
* quest’anno
* questo mese
* in questa settimana
* cosa mi propongo, e precisamente:
a.
b.
c.
d.
ecc. (gerarchia dei compiti)
per raggiungere:
x
y
z (gerarchia degli obiettivi)
.. rimandando il resto a poi!
 
 
4. La sperimentazione
 
Anche in questa fase si deve fare attenzione alla duplice dimensione, individuale
e di gruppo, della programmazione, al mantenimento di un’attitudine
sperimentale durante tutta la durata dell’esperienza e di un’effettiva disposizione a
sottoporre a “prova” ciò che è stato programmato, nonché alla persistenza di
un’effettiva opzione sul futuro.

presente ---> verso ---> futuro


Tale modo di procedere può celare alcuni aspetti negativi, dannosi, quali, ad
esempio, la massificazione del modo di procedere sul piano della
sperimentazione. A questo proposito, un’esemplificazione negativa è fornita dal
curricolo, che si presenta spesso come un ordinamento standardizzato dei
problemi in base al quale, per tutti, il più semplice e il più complesso coincidono.

più semplice --> +1 +1 +1 +1 --> più complicato


 
Questo modo d’immaginare il percorso formativo, ottenuto attraverso un’opera
di standardizzazione e di massificazione, non corrisponde spesso alla maniera
specifica ed individuale attraverso la quale il singolo discente procede nel suo
personale processo di apprendimento. Infatti - come ha dimostrato Bruscaglioni -
il discente, nel momento in cui si dispone all’ap-prendimento, compie un doppio
investimento:
1. sul docente: verso il quale dirige un investimento affettivo, più o meno
ricambiato, composto originalmente dal flusso identificatorio, che il docente può o
meno favorire, e successivamente dalle spinte alla motivazione che su quella base
identificatoria si innescheranno, o meno;
2. sulla materia: verso la quale si dirigerà un investimento fatto di amore per la
materia stessa, che è diverso da soggetto a soggetto, che - all’interno di ciascun
soggetto - è diverso da momento a momento, e che si materializza in ciò che
Bruscaglioni chiama folata degli affetti.
Ecco, quindi, le ragioni che rendono personale il procedere dal più semplice al
più complesso, ed unico il nostro procedere verso l’arricchimento di noi stessi.
Anche a livello dell’utilizzo degli strumenti pedagogico-didattici e riabilitativi,
infine, ritroviamo la duplice dimensione individuale e di gruppo dell’apprendi-
mento. Nel caso dell’utilizzo di strumenti di tipo individuale, all’interno di quella
che solitamente viene definita programmazione individuale, va tenuto conto del
fatto che, se essa coincide con il curricolo, in base a quanto abbiamo appena
detto, va vista come un’illustrazione di un difetto delle nostre capacità
programmatorie, di una resa alla formazione all’ammasso.
A livello della programmazione di gruppo, bisogna sottolineare il fatto che il
nostro non è un gruppo scolastico, ma un gruppo creato da noi, un gruppo che
quindi ci lascia più libertà di intervento rispetto alle possibilità offerte dalla
programmazione scolastica.
La sperimentazione, in questo modo, viene fatta in base all’analisi: - delle parti
sane residue che sono state osservate nel ragazzo; - delle cose effettivamente
ritenute da lui, da lei, da loro come più semplici e più appetite; - da un
investimento individuale-gruppale che loro fanno su di voi (docenti) e sulla
“materia” (frutto delle vocazioni nel frattempo individuate) e proposta da voi, in
base all’osservazione fatta in precedenza.
Inutile aggiungere che anche su questo piano occorre fare molta attenzione
affinché non vi sia collusione con la scuola, ma sia mantenuta la più ampia
autonomia nella programmazione delle nostre attività.
 
5. Verifica (follow up)
 
Come è stato anticipato all’inizio, la verifica del nostro intervento deve poter
considerare alcune caratteristiche: riparazione (scarto fra ipotesi e risultati
effettivi); riconoscenza (da parte del discente e della famiglia); latenza
(nell’emergere degli effetti del nostro lavoro).
I problemi principali inerenti tali caratteristiche sono sostanzialmente i seguenti:
- vi sarà sempre uno scarto fra i risultati attesi e i risultati effettivamente ottenuti,
perciò è necessario riflettere sul significato di tale scarto in termini realistici e non
allucinatori; - dobbiamo imparare a convivere con soggetti e famiglie che sono
incapaci, nel breve periodo, di mostrare riconoscenza e di fornire soddisfazioni.
Mi ritorna in mente, in questi casi, una poesia (già ricordata in questo libro) che,
nella parte finale, in cui il poeta immaginando di rivolgersi ad un figlio (Ulisse) che
si appresta a riavvicinarsi emozionalmente ai propri genitori, alla propria Itaca, a
un certo punto dice:
“Sempre devi avere in mente Itaca
raggiungerla sia il pensiero costante
soprattutto non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio
senza di lei mai ti saresti messo in viaggio:
che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.”
(da Kostantinos Kavafis,Itaca)
Ecco, nel nostro caso, i nostri ragazzi, i nostri Ulisse, forse non potranno mai venire
a noi, a Itaca, per mostrare la propria gratitudine per il lavoro da noi fatto con loro
in un momento delicato e pericoloso del loro processo di crescita personale; ma
ugualmente noi dobbiamo essere in grado di non nutrire rancore verso questi
Ulisse irriconoscenti e di accontentarci di poter pensare che, da qualche parte, nel
mondo forse continueranno a fare buon uso di quel poco che siamo riusciti a dare
loro. Infine, e conseguentemente, dobbiamo essere coscienti che, se sul piano del
Sé orbitale (cioè degli apprendimenti) la latenza dei loro progressi può essere più
corta, sul piano del Sé nucleare (cioè della formazione della loro personalità) il
processo di restaurazione sarà sicuramente di più lungo respiro.
 
 
6. La nuova programmazione
 
Con la verifica si chiude un ciclo, una prima parte di quel processo che
chiamiamo programmazione. Dopo questo ciclo, ci si riavvierà presto ad un nuovo
inizio, che implicherà la necessità di una nuova osservazione, e che sarà anticipato
da una nuova selezione. Approfitto per ricordare quanto dicevamo nel nostro
primo incontro: la selezione deve essere fatta a partire dai limiti reali del luogo
riabilitativo e dalla limitatezza dei compiti che è possibile attribuire ad esso ed a
noi stessi, pena il sicuro fallimento del nostro intervento
 
 
Bibliografia:
 
- Amerio P., Borgogno F., L’illusione di osservare, Giappichelli, Torino 1981.
- Angelini L, Storia delle istituzioni, in Angelini, Bertani, Giovani uguali e diversi, Psiconline, Francavilla a Mare, 2010,
pp. 225\238
- Angelini L., Formazione ed affabulazione, Unicopli, 1998.
- Bertani D., “Osservare: per chi?”, in: Angelini L., Formazione ed affabulazione, Unicopli, Milano, 1998.
- Bruscaglioni M., La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Angeli, Milano, 1991.
- Goffman E., Asylums, Einaudi, Torino ,1968.
- Grinberg l., Teoria dell’identificazione, Loescher, Torino, 1976.
- Richter H.E., Genitori, figli e nevrosi, Il Formichiere, Milano, 1975.
 

10. Come si ene un gruppo di bambini e di ragazzi a


rischio: cosa fare? Come? Perché? (2002) 38*
 

 
Leonardo Angelini
 
 
 
 
1. Che cos'è un gruppo: Membrana individuale e membrana gruppale
 
Ogni individuo "apprende dall'esperienza" a definire i propri confini da
un punto di vista fisico e mentale, a definire cioè una propria specifica
membrana individuale.
Tre sono i momen in base ai quali comincia a stru urarsi la membrana
individuale in tu noi allorché siamo piccolissimi.
 
a) Vi è un primo momento in cui non esiste una membrana individuale
del bambino, dis nta da quella della madre o da chi ne fa le veci.
In questo momento la madre sufficientemente buona è la madre che
con ene, più che la madre che alla a - dice Winnico - la madre cioè, che
si ada a a rispondere ai bisogni del bambino, alimentando in lui l'illusione
che tali bisogni possano essere soddisfa ogni volta che insorgono.
Cosicché la prima membrana che si forma nella vita di ognuno di noi è
una membrana che accoglie madre e bambino: all'inizio cioè vi è una
diade madre-bambino che viene percepita dal bambino come un tu 'uno.
 
b) A questo primo momento ne segue un altro che contraddis ngue
l'inizio di quel lungo periodo che va dal 4 mese alla fine del 3 anno di vita
del bambino, cioè dall'inizio del processo di individuazione-separazione
alla conquista, da parte del bambino, della costanza dell'ogge o. All'inizio
di questo periodo il bambino comincia a percepire di essere un individuo
dis nto dalla madre, dotato di propri confini corporei, ecc.-
Le sue reazioni a questo nuovo stato cos tuiscono un insieme di
modalità difensive nei confron dell'angoscia che deriva dalla percezione
della separazione che Winnico ha studiato, individuando nell'ogge o
transizionale e nell'area in cui tale ogge o si pone, l'ogge o ed il luogo
che perme ono la separazione ed avviano all'individuazione.
E' a raverso questa strada che si passa dalla membrana diadica che
accoglie indis ntamente madre e bambino alla costruzione dentro di noi (
quando ciò è possibile) di una membrana individuale.
 
c) Alla fine di questo processo si arriva ad un punto in cui, come dice
Winnico , "individuo è", "cioè esiste" in quanto essere dis nto, indifeso,
nudo: - dis nto, in quanto dotato di una membrana individuale dis nta da
quella materna e dal mondo esterno; - indifeso, da un punto di vista
psichico, in quanto dotato di una "metaforica" membrana psichica che lo
pone in dire o conta o con il mondo interno ed esterno e non più
a raverso la meditazione della diade; - nudo, da un punto di vista fisico,
cioè dotato di una pelle, di un corpo, altre anto solo nel rapporto con il
mondo. E' a questo punto che, come dice Winnico , avviene la
formazione dentro di noi di una vera e propria membrana individuale che
poi con nuerà ad essere plasmata nel corso della vita di ognuno.
 
Possiamo quindi dire, che in un certo qual senso, la membrana gruppale
(cioè la dimensione dell'appartenenza) dentro ciascuno di noi si is tuisce
prima di quella individuale (cioè prima che si solidifichi dentro di noi la
dimensione dell'individualità): la diade madre-bambino infa è un
gruppo, un par colarissimo po di gruppo basato, appunto, su una
coppia, su una diade che all'inizio viene vissuta dal bambino come un
tu 'uno).
 
Lungo il percorso di vita di noi tu vi è poi, in base all'esperienza
concreta di vita che ciascuno di noi fa, una espansione di questa iniziale
membrana gruppale. Per cui nella membrana gruppale di noi tu sono
compresi, a mano a mano che cresciamo (che maturiamo, direbbe
Winnico ), la figura del padre, la famiglia, la scuola, il gruppo di gioco, la
società. E sono, nel tempo e nello spazio "storico" di ognuno di noi, gli
ogge transizionali, il gioco e la cultura che determinano le modalità
secondo le quali ogni nuova presenza, che può espandere e rendere più
ricca la membrana gruppale, potrà essere accolta e contemporaneamente
ogni assenza, ogni distacco, ogni separazione potrà essere sopportata,
elaborata.
 
 
 
2. Due pi di gruppo
 
Secondo Winnico vi sono due pi di membrane gruppali: i gruppi di
unità sovrapposte e i
gruppi di protezione, che vanno presi però solo come "modelli estremi",
in quanto che poi nella pra ca vi è sempre un mix delle due componen in
qualsiasi po di gruppo.
 
-I gruppi di unità sovrapposte rappresentano la formazione matura del
gruppo. Ogni individuo che è in essi condivide con gli altri componen del
gruppo, la membrana gruppale che li unisce, ma, nello stesso tempo,
man ene la propria individualità, cioè è cosciente dei confini della propria
membrana individuale in ogni momento della vita del gruppo e partecipa
con la propria individualità al gruppo.
 
-I gruppi di protezione, invece, raccolgono quegli individui ancora non
perfe amente individualizza , non ancora autonomi, che hanno bisogno
di un contenitore che, a seconda di come funziona, o può condurli
all'individuazione e all'autonomia, oppure perpetuare sine die l'esigenza di
protezione.
 
Si tra a quindi non solo dei nostri workshop, delle nostre stru ure
pomeridiane in scuola, ecc., ma anche pra camente di tu i gruppi in età
evolu va, e ciò in misura più o meno grande a seconda del grado di
integrazione individuale raggiunto dai componen di ogni singolo gruppo.
 
Secondo Winnico fra i sogge rela vamente non integra inseri in
gruppi di protezione possono essere individua tre stadi secondo i quali è
scandita la loro risposta alla protezione: 1) stadio della fiducia nel
personale; 2) stadio della regressione; 3) stadio del raggiungimento
dell'integrazione, dell'autonomia individuale (sarebbe interessante rifle e
insieme su questo punto qui a Marola).
 
Nel nostro caso, tra andosi di bambini e di ragazzi a rischio, possiamo
dire che uno degli obie vi dei workshop è quello di perme ere loro di
usare il gruppo di protezione al fine di porre le fondamenta
dell'autonomia individuale e dell'autos ma che trovi nel gruppo, e
sopra u o nei più grandi del gruppo, un modello raggiungibile, ma anche
un porto sicuro in cui rifugiarsi allorché la loro fa cosa strada verso
l'autonomia risul troppo onerosa per loro.
 
A proposito dei gruppi di protezione, afferma Winnico , che essi, se
vogliono mantenere una funzione 'terapeu ca' devono essere ristre
"per perme ere un contributo individuale" da parte sia dell'equipe
curante sia del ragazzo. Infa , afferma Winnico , solo un luogo ristre o
può perme ere la creazione di un clima che preveda un " contributo
individuale" da parte di tu
 
 
3. Workshop e gruppi di pari
 
Originariamente i workshop sono sta condo da giovani psicologi
rocinan e da più giovani volontarie delle ul me classi delle scuole
medie superiori della ci à o universitarie.
Da un po’ di anni però la diffusione di Gancio Originale nelle scuole
medie ci adine, la nascita a fianco ai workshop presso le scuole medie
inferiori di momen pomeridiani in scuola media superiore, hanno
contribuito a rendere ancora più giovani le volontarie e i volontari che
prestano la loro opera nei workshop.
 
Ciò significa che la differenza di età esistente fra coloro che prestano la
propria opera di volontariato e coloro che sono fruitori di quest'opera di
cura a volte tende ad essere rido a a poche classi di età. In cer momen
anzi abbiamo l'impressione di trovarci di fronte a veri e propri gruppi di
pari, all'interno dei quali le presenze più adulte che sostengono le a vità
di cura (i rocinan e, nelle scuole medie superiori, i proff) si avvalgono
dei più grandi in funzione di tutori nei confron dei più piccoli e più
bisognosi.
 
In alcune situazioni che potremmo definire 'di bisogno' la funzione
tutoria che i più grandi possono esercitare nei confron dei più piccoli
viene tradizionalmente sfru ata dai formatori adul al fine di ampliare e
personalizzare sempre più le possibilità forma ve di discen in situazione
di difficoltà.
E' il caso degli Usa in cui la dimensione mul etnica dei giovani fruitori
delle is tuzioni forma ve ha condo o alla vera e propria is tuzione di
gruppi di pari in cui coloro che sono più grandi e competen aiutano i più
piccoli e i meno competen nelle a vità scolas che, parascolas che e nel
tempo libero.
Era il caso, nella tradizione italiana, di quel po di organizzazione delle
a vità dida che che avveniva nelle pluriclassi ad opera dei maestri più
accor . E' il caso, sempre in Italia e in tu o il mondo, del modello di
organizzazione degli scout, in base al quale, sempre sullo sfondo di un
pugno di adul che sovrintende al tu o, giovani un po’ più grandi e
competen guidano da vicino altri giovani coetanei o quasi coetanei.
 
Cos'è che ritroviamo in ques gruppi di pari che li salvaguarda dallo
scivolare verso la non opera vità? cos'è che li rende anzi par colarmente
ada a diventare luoghi di cura (intendo qui il termine cura come
sinonimo di aiuto non sempre immediatamente sanitario, ma ascrivibile
alla dimensione sanitaria, se noi vediamo il problema in termini di
prevenzione)? :
 
a. innanzitu o, come abbiamo già visto, il fa o che sullo sfondo c'è un
certo numero di adul che discretamente inie ano nel gruppo alcuni
an corpi contro la non opera vità (su questo punto e su quelli che
seguono sarebbe bello se in ques due giorni si facesse un'opera di
approfondimento);
b. il fa o che nei gruppi esista una differenza di età non molto ampia e
di competenze non accademiche;
c. il fa o che i so ogruppi siano sufficientemente ristre , in modo da
favorire il contributo personale da parte di tu , come dice Winnico ;
d. il fa o che ci sia una disposizione a ‘passare le competenze’ verrebbe
da dire: cioè a me ere a disposizione dei più bisognosi questa
asimmetria di saperi e di poteri e di non farsene scudo per emergere
individualis camente. In questo senso va vista l'intuizione della
Manoukian sulla duplice funzione di aiuto del lavoro di Gancio
Originale;
e. il fa o che me ere a disposizione dei più bisognosi una asimmetria
di saperi e di poteri implichi un con nuo me ersi in discussione a
tu i livelli: il che spiega perché con nuiamo a fare formazione su
ques temi, perché definiamo momen di supervisione, perché non
consideriamo mai il nostro sapere come scontato ed is tuito una
volta per tu e;
f. il fa o che i fruitori di questa a vità di cura risul no essere
emozionalmente vicini ai fornitori, che si fidino di loro, che non li
vivano come scuola, che siano dispos , per questo, a reinves re –
anche se con pena e difficoltà - in a vità dida che sulle quali in
passato si erano spesi invano ricevendone un vulnus sul piano
dell'autos ma.
 
In questo modo penso si possa dire che i workshop rientrano all'interno
di una tradizione in cui il tutoring fra pari, così disposto e garan to nei
suoi parametri di fondo, diviene momento di espressione possibile della
cura. E lo fanno con un profilo proprio che sta diventando sempre più
ne o e che ha come pilastri di fondo gli adul dell'AUSL e della scuola,
come colonne portan i rocinan , e come a ori in gioco da una parte i
giovani che prestano la propria opera di cura, dall'altra i bambini e i
ragazzi che ne fruiscono per fini che non sono solo scolas ci, ma ineren
anche alla formazione del sé e l'autos ma.
 
 
 
4. Cosa fare, come e perché, nei gruppi di bambini e ragazzi a rischio:
l'a eggiamento di fondo
 
Poiché nel caso dei bambini e dei ragazzi a rischio il tema di fondo è
quello della loro provenienza da un ambiente primario che fino a un certo
si è rivelato sufficientemente buono, e poi – più o meno all'improvviso –
inaffidabile, come dice sempre Winnico , i loro problemi sono quelli di chi
ha conosciuto l'abbondanza e ora vive in una situazione di fame. Le loro
provocazioni, la loro ipercinesi e i loro a di violenza, così come i loro fur
sono da ricondursi, oltre che alla crisi puberale che condividono con tu i
loro coetanei, a tenta vi di riappropriarsi di ciò che una volta c'era ed ora
non c'è più.
 
Il workshop, i momen pomeridiani in scuola per noi sono dei
contenitori che servono a curare le ferite invisibili che sono al fondo della
loro anima, ma il primo rilievo che occorre fare è questo: è difficile per chi
ha da poco superato l'esigenza di protezione la crisi puberale rimanere
coeren rispe o a questo compito educa vo e ripara vo. Perciò il giovane
non si deve scoraggiare se ogni tanto prende ad odiare, o a provare un
forte fas dio di fronte alle provocazioni etc. del ragazzo a rischio:
anch'egli, sicuramente in maniera meno trauma ca, ha dovuto fino a poco
tempo fa lo are contro impulsi che assomigliano a quelli ora presen fica
dal ragazzo a rischio. L'importante ancora una volta mantenere una
coerenza di fondo rispe o alla natura ripara va dei fini: non importa se
ogni tanto uno ha la sensazione di non farcela più.
 
De o questo veniamo ora alla natura di ques par colari luoghi di
riparazione e ai loro fruitori. al contrario dei disabili, per i quali non c'è
speranza di una conquista piena dell'autonomia, per i bambini e
sopra u o per i ragazzi a rischio questa speranza c'è, così come c'è questa
pretesa, che poi è la pretesa di tu i preadolescen . tendere a
emanciparsi.
 
Tale speranza però cozza contro la loro esigenza, altre anto impellente,
di riappropriarsi di ciò che a loro è stato tolto: un ambiente sicuro e
sempre affidabile. E' sulle modalità secondo le quali avviene questa
riappropriazione che la società spesso equivoca: essi lo fanno spin dalla
fame e perciò rubano ed esercitano la violenza, dice Winnico . Per cui è
molto difficile che la loro reale esigenza di protezione si esprima per
quello che è. Hanno bisogno di camuffarla, hanno bisogno di camuffare le
loro par tenere indossando una corazza che li fa sembrare spavaldi e
padroni dell'ambiente, quando invece la loro spavalderia e la loro
ipercinesi non è altro che una maniera contorta per esprimere la loro
disperazione e per chiedere aiuto. Spe a a noi decifrare e comprendere.
 
L'a eggiamento di fondo perciò non può che essere fru o di una
a enzione acuta, di una capacità di decifrazione dei loro comportamen ,
di una a va disposizione a precos tuire rapidissimamente e con
altre ante rapidità sbaraccare l'ambiente in una altalena con nua di
avvicinamen e di protezione e di allontanamen e di a estazione
discreta delle piccole conquiste che essi fanno sul piano dell'autonomia.
Nella consapevolezza che in questo con nuo pre\cos tuire e
sbaraccare, pre\cos tuire e sbaraccare … faremo mol errori e subiremo
spesso il sapore della sconfi a.
 
Dove acquisteremo l'acume interpreta vo che occorre per non odiarli?
in quell'angolo dentro di noi in cui abbiamo racchiuso la nostra rabbia e la
nostra distru vità. Dove la capacità di un così rapido ada amento del
nostro agire di fronte alle loro opposte esigenze? dalla pra ca. I migliori su
questo piano sono i capi scout, coloro che stanno spesso con i
preadolescen in situazioni non scolas che. Ma non perché essi abbiano
la scienza infusa, ma semplicemente perché si esercitano spesso.
 
 
 
5. Cosa fare, come e perché, nei gruppi di bambini e ragazzi a rischio: i
contenu e i metodi
 
Sul piano dei contenu ribadiamo quanto de o in altra sede39: occorre
sapere che la dimensione degli apprendimen scolas ci per loro è quella
in cui più spesso in passato hanno avuto più problemi. Il luogo delle
materie scolastiche è un luogo 'geografico' fatto di programmi, di lezioni
formali, di percorsi certi e ben delimitati. Ma all’interno di questa arena i
nostri bambini e i nostri ragazzi si sono già mossi fin dalla seconda infanzia (i
pre-apprendimenti) e più scopertamente durante tutta la latenza subendo
spesso delusioni a volte cocenti (con relativi problemi di autostima); questi
luoghi poi sono stati oggetto dell’investimento, più o meno accentuato, da
parte dei genitori e dei docenti che li hanno riempiti con le proprie imago
ideali e giudicanti e con le altre parti interne, più o meno introiettate, con le
quali ciascun adulto solitamente dialoga ed interagisce con il preadolescente.
Dobbiamo quindi sapere che, quando ci poniamo sul piano degli
apprendimenti, è come se tornassimo pericolosamente in quella vera e
propria arena delle sconfitte che per loro è stata sempre la classe.
 
Ma fortunatamente vi è un secondo ambito di contenuti, un secondo
ambito di territori in cui è possibile avventurarsi con loro: quello della ricerca
dei loro interessi delle loro vocazioni più autentiche e personali. Si tratta di
territori meno marcati dalla mano artificiale dei programmi scolastici, meno
esposta alle standardizzazioni che inevitabilmente in essi è implicita.
Territori che spesso non sono stati conosciuti in precedenza dai nostri
bambini e dai nostri ragazzi, se non in base alla forza dell’emulazione e delle
identificazioni infantili (le imago parentali prese a modello, allorché esse ci
siano state ed abbiano avuto un qualche peso nella storia individuale del
soggetto).
Imago sulle quali, nel caso dei preadolescenti, sta avvenendo l’opera di
erosione tipica della preadolescenza con l’abbattimento dei vecchi idoli;
terreno quindi in parte vecchio e vissuto con sospetto, in parte nuovo e
ignoto, da esplorare con circospezione.
Terreno, infine, intriso di grandiosità (i nuovi idoli della tv, dello sport ecc.)
che genera attese irrealistiche ed onnipotenti, ma che tiene vivo il ragazzo e lo
spinge verso il mare aperto della sperimentazione e dell’impegno. Il tema del
nostro impegno in questo secondo ambito è molto importante e potrebbe
essere apparentato al lavoro di orientamento. Il che implica:
1. la scoperta delle vocazioni;
2. la preparazione di un terreno solido di sperimentazione della vocazione:
e cioè preparazione degli atelier, ufficiali e non, affinché il ragazzo e la ragazza
abbiano la possibilità di allevare la propria vocazione, di farla lievitare
nell’impegno quotidiano, di utilizzare a fini produttivi e creativi le istanze
libidiche e aggressive, che altrimenti sono destinate a defondersi e a risultare
dannose a sé e agli altri (terreno dell’acting out);
3. la sopportazione dell’inerzia: e cioè sopportazione del fatto che i ragazzi
possono anche impiegare molto tempo prima di arrivare a comprendere
quale è la loro vocazione. Cosicché ciò che a un adulto distratto apparirà come
un bighellonare senza meta è in effetti proprio quel dibattersi nella bonaccia
di cui parla Winnicott, e cioè uno stato di inattività che ha bisogno di aiuto e di
attesa paziente prima di poter sfociare in qualcosa, un ribollire che ha bisogno
di tempo prima di diventare azione adulta e conseguente.
 
Come favorire, sul piano dei contenu , l’incremento e la coniugazione
fra ques due territori? Innanzitu o occorre esaminare l’en tà del ritardo
sul piano degli apprendimen scolas ci: se esso risulta essere consistente
allora veramente, poiché su quel terreno il ragazzo ha già ricevuto in
passato molte delusioni, insistere sarebbe inu lmente avvilente.
Esaminare, in secondo luogo, il vissuto sul piano dell’autos ma che ogni
singolo ragazzo ha di questo ritardo, facendo bene a enzione fra ciò che
in questa età il ragazzo ostenta e ciò che effe vamente vive
interiormente. Favorire poi l’emergere dentro al ragazzo delle sue
vocazioni: e ciò può essere fa o - come abbiamo appena visto - con
un’opera paziente di osservazione e d’a esa. Valutare dinamicamente le
vocazioni prima o poi emerse nel ragazzo cercando di appurare quale
incidenza esse abbiano nella definizione del suo Io Ideale.
 
 
Per quanto riguarda i metodi e gli strumen rimandiamo ancora a
Bambini e ragazzi a rischio e precisamente alla cosidde a “spirale della
programmazione”40, con qualche considerazione in più nata da quel po
di rapporto che in essi avviene sempre più di frequente e che più su
abbiamo definito come tutoring fra pari: - curare il rapporto fra volontari e
adul presen sullo sfondo al fine di garan re una opera vità ed una
coerenza di fondo con gli obie vi del workshop; - non avere more di
me ere in campo le proprie competenze non accademiche (es. in un
workshop uno che sia competente in pesca o in ricamo è una risorsa
importante); - curare il fa o che i so ogruppi siano sufficientemente
ristre , in modo da favorire il contributo personale da parte di tu : ciò
significa programmare, ad es., le assenze (specie alla fine dell'anno); -
analizzare a quale dei tre stadi della protezione si trovano, di volta in volta,
sia il gruppo sia i singoli componen del gruppo; - imparare a passare le
competenze, imparare a me ere a disposizione dei più bisognosi le
asimmetrie di saperi e di poteri sapendo che ciò implica – come dicevamo
prima – che ci si sta so oponendo ad un training (come quando all'inizio
del mio corso di sci io devo tollerare che gli altri che vanno, mentre io
annasperò per qualche tempo col mio spazzaneve); - trovare il tempo per
la formazione e la riflessione su ciò che si va facendo; - osare essere vicini
ai nostri bambini e ragazzi a rischio con tu o quello che ciascuno di noi è e
non solo con le nostre par più 'scolas che'.
 
 
Bibliografia:
 
 
- Manoukian Olive F., Prefazione al convegno “Volontariato: Gancio
Originale – Processi di informazione, formazione, trasformazione”,
Provincia di Reggio Emilia, 1995, pp. 5\6
- Winnico D. W., Le influenze del gruppo e il bambino disada ato: la scuola, in:
Winnico D. W., Il bambino deprivato, R. Cor na, Milano, 1986
Accoglienza e scambio fra pari apparteneti a culture
diverse: Le Stanze di Dante
11. Le Stanze di Dante: workshop d’accoglienza e
scambio tra pari di culture diverse nelle scuole di Reggio
Emilia (2006)
 
 
 
Leonardo Angelini, Deliana Bertani, Mariella Can ni
 
 
Nelle stanze di Dante ci proponiamo di favorire, a raverso pra che di
peer educa on e di accompagnamento41, la costruzione di relazioni
posi ve fra pari autoctoni, immigra da lunga data e immigra appena
giun in Italia; ed in par colare di aiutare ques ul mi nel superamento
dello shock culturale iniziale, di incrementare le loro possibilità di entrare
in re di pari che li aiu no sia nel sostegno alla frequenza scolas ca sia nel
potenziamento degli apprendimen , ed in maniera specifica
nell’apprendimento della lingua italiana.
Le Stanze di Dante, come i workshop ai quali s’ispirano, sono delle
stru ure pomeridiane in cui dei giovani volontari delle scuole medie
superiori di Reggio Emilia, - guida da giovani psicologi rocinan o borsis
a loro volta supervisiona da psicologi più anziani - aiutano bambini,
ragazzi e giovani immigra appena arriva in ci à e in provincia ad
apprendere l’italiano, a mediare il loro rapporto con la scuola e ad entrare
in re di pari che comincino a dare senso al loro “essere qui”, e quindi li
suppor no nel superamento del cosidde o shock culturale iniziale.
Anche se i giovani autoctoni e immigra da lunga data impegna nelle
Stanze di Dante sono a tu gli effe dei peer educator, le a vità che si
svolgono in queste stru ure non sono ascrivibili esclusivamente alla peer
educa on poiché la presenza in esse di giovani psicologi rocinan e
borsis con funzioni di coordinamento, e di psicologi meno giovani che
supportano ques ul mi da un punto di vista tecnico, imprime alle Stanze
di Dante una dimensione ver cale che noi abbiamo chiamato
accompagnamento.
Il modello è quello mutuato dall’esperienza di Gancio Originale
all’interno della quale una complessa rete centrata sull’accompagnamento
è stata messa in piedi con l’aiuto della scuola reggiana sui temi del disagio
minorile a par re dal 1991.
Come funziona questo modello? Anno per anno i tecnici della AUSL,
all’interno di un’a vità di reclutamento fa a all’inizio dell’anno scolas co,
propongono con modalità che variano da scuola a scuola, un gancio a tu
gli studen delle superiori di Reggio Emilia: un gancio che, nel caso delle
Stanze di Dante, è con dei minori immigra appena arriva a Reggio Emilia,
che vengono raggiun e aiuta nelle a vità di cui parlavamo sopra non
individualmente, ma all’interno di un gruppo opera vo che solitamente
comprende altri dieci o dodici studen - gruppo che è guidato da uno
psicologo e che è des nato per un anno a prendersi cura sia dei minori
immigra appena giun a Reggio Emilia, sia del coordinamento delle
a vità degli studen volontari.
Una volta individua e forma i giovani volontari nascono nelle scuole, e
perciò senza alcuna spesa, se non quella volta ad assicurare i giovani
volontari, le Stanze di Dante in cui 10\12 giovani volontari seguono
altre an minori appena arriva , so o la direzione di giovani psicologi
rocinan 42 .
Importan in tu e queste a vità e in tu ques passaggi sono i docen
referen che ogni scuola ha, i quali, come nei workshop: 1. fanno da
mediatori fra Stanze di Dante e singole scuole; 2. garan scono la presenza
in esse di spazi adegua alle a vità in ogge o; 3. concorrono nelle
elementari e scuole medie inferiori a segnalare i minori immigra appena
giun ; 4. e nelle superiori alla importan ssima opera iniziale di
individuazione e reclutamento dei volontari.
Inquadrate in questo modo l’a vità delle Stanze di Dante passiamo ora a
vedere ciò che a par re dal 2000 avviene in esse.
Reggio Emilia è una realtà territoriale in cui si concentrano ormai da
oltre 15 anni immigra provenien da varie par del mondo. Ques i da
rela vi ai migran , suddivisi per classi d’età – riferi al 31 Dicembre 2005 -
che è possibile reperire nel sito Migr@RE43 :
 
Popolazione immigrata residente per sesso e classi di età al 31
Dicembre 2005
 

 
Come è possibile notare la popolazione migrante fra gli 0 e i 18 anni
rappresenta, subito dopo le fasce dei giovani adul in età da lavoro, la
parte più consistente della popolazione migrante.
Ciò ha profondamente modificato la pre-scuola e la scuola reggiana, che
risulta in ogni ordine e grado fra quelle che in Emilia-Romagna ospitano più
minori immigra (e dire che, come tu sanno, le province emiliano-
romagnole sono notoriamente fra le più inves te in Italia dal flusso
migratorio):
 
 
 
 
Provincia Alunni non Alunni Ci adinanze Stato % alunni
italiani per 100 con rappresentate estero di stato estero
alunni frequentan ci adinanza ci adinanza più
non italiana più rappresentato
per 100 rappresentato sul totale
frequentan degli alunni
in tu i non italiani
comuni
della
provincia
Nel Negli
comune altri
capoluogo comuni  
della
provincia
Bologna 8,60 8,09 8,30 120 Marocco 26,20%
Ferrara 3,93 5,89 4,96 74 Marocco 24,11
Forlì 6,11 7,66 7,16 80 Albania 23,48
Modena 8,48 10,41 9,78 110 Marocco 30,62
Parma 7,77 8,73 8,24 110 Albania 16,23
Piacenza 7,77 12,10 9,89 86 Albania 24,64
Ravenna 6,69 6,72 6,70 84 Albania 25,33
Reggio 9,83 10,76 10,39 108 Marocco 22,70
E.
Rimini 8,38 7,37 7,91 79 Albania 27,40
 
 
 
 
(Cfr. la fonte coeva: h p://www.scuolaer.it/allegato.asp?ID=215163 )
 
Il tema del ricongiungimento familiare cara erizza fortemente il
processo migratorio a uale a Reggio Emilia: ebbene uno degli aspe
principali del ricongiungimento familiare è nel fa o che al ricomporsi del
nucleo familiare corrisponde l’ingresso in scuola e, prima ancora, nei nidi e
nelle materne di bambini, ragazzi e giovani provenien da altre culture, che
non solo hanno vissuto parte della loro vita in una cultura diversa da quella
di arrivo, ma in sovrappiù in un contenitore primario cara erizzato
dall’assenza di uno o di entrambi i genitori. Cultura di appartenenza e
contenitore primario che all’improvviso devono essere messi alle spalle per
raggiungere quella parte del nucleo originario che aveva dovuto
abbandonare, per vari mo vi, la propria terra e i propri figli per cercare
fortuna qui da noi, a Reggio Emilia.
È a par re da questa doppio stato di carenza che all’arrivo nella realtà
metropolitana, spesso peraltro molto diversa dal luogo d’origine, s’innesca
in ques sogge in età evolu va il cosidde o shock culturale iniziale che
consiste nella sensazione di non avere più, fino al momento in cui i tra
fondamentali della cultura egemone non siano sta conquista , strumen
interpreta vi adegua alla stabilizzazione del mondo che li circonda e
strumen comunica vi capaci di me erli in una situazione di scambio con
gli autoctoni.
Ed è per questo che anche le a vità che si svolgono nelle Stanze di
Dante non sono propriamente delle a vità educa ve, ma presidi
dell’accoglienza che prevedono un’a vità poli-professionale e, sopra u o,
l’innesco di uno specifico percorso di accompagnamento di tu gli a ori
coinvol nelle Stanze.
Degno di nota è il fa o che le Stanze di Dante vedano come volontari
giovani autoctoni, ma anche giovani immigra di seconda generazione che
già padroneggiano la lingua italiana, che insieme ai giovani autoctoni (e già
questo è un fa o importante!) aiutano i sogge immigra in età evolu va
appena arriva a superare lo shock culturale iniziale, predisponendo con
l’aiuto di adul qualifica una serie di situazioni di apprendimento propos
in forma ludica in cui sia possibile per tu imparare giocando insieme e,
nel gioco e a raverso il gioco, trovare delle modalità che perme ano a
tu i presen : a. di sen re quel luogo - la Stanza di Dante - come proprio;
b. di condividere i tra fondamentali della lingua italiana standard; c. di
valorizzare l’apprendimento e, con ciò, perme ere a coloro che sono
appena arriva di potere essere produ vi sul piano scolas co44 .
Così come degno di nota, infine, è il fa o che tu o sia inserito all’interno
di una catena dell’accompagnamento in cui varie coor (bambini, ragazzi,
giovani delle superiori, proff referen e psicologi neolaurea ) e che varie
generazioni (bambini, ragazzi, giovani e adul della scuola e delle Stanze) si
sentano ugualmente coinvolte.
In questo modo tu i sogge coinvol finiscono prima o poi con l’essere
raggiun da una serie di meta\messaggi molto importan da un punto di
vista educa vo e forma vo: - la valorizzazione e il rispe o dell’altro da me,
- la condivisione di un proge o che si dipana nel tempo e che quindi
richiede l’assunzione di un impegno e una responsabilità che dura almeno
tu o l’anno scolas co.
Per cui anche le Stanze di Dante sono un luogo in cui nel momento in cui
ci si prende cura del minore immigrato appena arrivato ci si prende cura
anche di sé.
 

12. Chi viene, chi c’è già: sguardi incrocia nel momento
dell’accoglienza (1998) 45
 
 
 
 
Leonardo Angelini
 
 
1. Chi osserva chi
 
Il processo migratorio implica l’arrivo in un determinato posto, già
occupato da una comunità autoctona46, di una nuova en tà.
Per capire cosa avviene in questo incontro è necessario vedere con quali
occhi la comunità che accoglie guarda coloro che arrivano; e, viceversa, con
quali occhi coloro che arrivano guardano la comunità che li accoglie.
La prima cosa da fare è ragionare su questo duplice sguardo. Ogni
gruppo sociale, ogni persona quando rifle e sulla relazione tra se stessa e
gli altri inforca un determinato paio di occhiali, specifico del proprio gruppo
che varia sul piano storico, diacronico per cambiamen stru urali e
culturali e sincronico.
In termini sincronici, è possibile che gruppi sociali, i quali vivono
contemporaneamente la stessa situazione, abbiano pun di vista molto
diversi, fru o di par colari fini, obie vi, vocazioni cara eris ci di una
certa comunità.
Un esempio può far capire quanto sia specifico il punto di vista che si
può assumere: prendiamo il profilo del Monte Cusna, la montagna più alta
dell’Appennino Reggiano che sve a a Sud sull’orizzonte.
Immaginiamo che negli stessi minu , ad esempio questa ma na, due
aman dopo una no e d’amore aprano la finestra della loro stanza e
guardino il profilo del Cusna.
E immaginiamo che, proprio nello stesso momento, un carcerato nella
Pulce faccia altre anto, e che la stessa cosa faccia in stazione un vecchio
emigrante reggiano che sta facendo ritorno in Svizzera dopo le vacanze
pasquali.
Queste tre en tà hanno visto la stessa cosa (il profilo del Cusna) ma le
emozioni provate da ciascuno di essi saranno senz’altro molto diverse:
l’emigrante avrà visto il profilo del Cusna con nostalgia (nostalgia = dolore
per il passato); gli aman avranno potuto fruire este camente del
paesaggio come completamento del piacere che precedente si sono
reciprocamente da ; e, probabilmente, il carcerato avrà sperimentato un
sen mento più amaro dell’emigrante perché quel bel profilo che lui pur
vede risulta per lunghi anni irraggiungibile.
Quest’esempio per dire che, a mio avviso, quando si parla di
osservazione nell’ambito delle scienze umane, essa assume un significato
molto diverso rispe o a quello che essa assume all’interno delle scienze
esa e.
Esistono cioè due pi di sapere:
- il primo, proveniente dalla sperimentazione scien fica, galileiana, è
pico delle scienze esa e. In tal caso si proge a e si realizza un
esperimento. Per dimostrare l’efficacia di un nuovo farmaco, si prende un
campione rappresenta vo ed omogeneo della popolazione che si vuole
studiare. Si suddividono i sogge in due gruppi: su un gruppo si
sperimenta un placebo (gruppo di controllo), all’altro si somministra il
farmaco (gruppo sperimentale). Si confrontano i risulta dei due gruppi e
si vede se lo scarto (la differenza) fra i risulta o enu nei due gruppi è
sta s camente significa vo o meno. A dire il vero i metodologi della
scienza hanno ammesso che anche in questo po di osservazione ogge va
vi sono elemen sogge vi poiché, ad esempio, i presuppos mo vazionali
che spingono gli scienzia a privilegiare un ambito di ricerca invece di un
altro partono da presuppos che sono al di fuori dell’ambito della
sperimentazione galileiana.
- E, in ogni caso, quando si parla di droga, d’immigrazione,
d’integrazione, quando si fa ricerca su ques argomen , solitamente si
usano metodologie osserva ve diverse da quelle piche della
sperimentazione galileiana. In ques casi vale un altro criterio osserva vo
che si riferisce a un’altra scienza; e l’osservatore che non vuole ricondurre
anche ques fenomeni, fortemente coinvolgen sul piano emozionale, al
po di osservazioni che è possibile fare all’interno delle scienze esa e
solitamente si rivolge a quel sapere ermeneu co, dialogico ed
interpreta vo a par re dal quale, ed in base a presuppos conosci vi del
tu o diversi da quelli pici delle scienze esa e, nasce un’altra “scienza”,
un’altra forma di conoscenza: quella che proviene dall’incontro e dal
dialogo con l’alterità.
Perciò in sintesi: - se ci allontaniamo dall’ogge o della nostra
osservazione e tendiamo ad ogge vare, a reificare l’ogge o, assumiamo
un criterio di le ura che è quello della sperimentazione scien fica; - se
invece ci avviciniamo emozionalmente all’ogge o della nostra osservazione
ci muoviamo nell’ambito delle scienze umane e non possiamo non
rivolgerci alla seconda forma di sapere e di conoscenza, quella ermeneu ca
e interpreta va.
 
 
2. Come si forma lo sguardo
 
Una decina di anni fa il Centro Sociale Aquarius è stato ospitato nelle
campagne intorno a Roncadella: là dove cioè da lunghi anni sono presen
svaria nuclei c