Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Apprendemmo dopo che quel manoscritto per certi versi era per lui
una specie di biglietto da visita col quale si presentava ai giovani di
Locorotondo, per altri la testimonianza di un’amara verità politica che
rischiava di essere sottaciuta, e che lui, con le sue parole scritte
(scripta manent!) voleva gridare a squarciagola in maniera che
almeno i locorotondesi lo ascoltassero.
Il suo italiano parlato, così come quello scritto, gli provenivano più
dalla lettura dei giornali socialisti e anarchici che dalla scuola, dove
dopo il 1° Maggio del 1903 un maestro reazionario lo prese a schiaffi
rimproverandogli il suo primo comizio (“Chi era il vero maestro?” – si
chiederà poi Attilio Grassi nella sua bellissima introduzione del ’70 –
“giudichi il lettore!”).
(1) cfr: Elvira Catello e la "Lux" tra utopia e libertà. Una pacifista
pugliese a New York nel '900 di M. Gianfrate; J. Guglielmo; Vito A.
Leuzzi, Edizioni dal Sud, 2011
Al lettore. Introduzione di Attilio
Grassi
(il maestro Attilio Grassi, è stato Segretario della Sezione
locorotondese del P.C.I. dopo Arcangelo Lisi)
Ancora bambino entrò nel vivo della lotta per la redenzione degli umili
e degli oppressi della sua Locorotondo. In occasione della ricorrenza
della "Festa del Lavoro" del lontano 1903, Egli, appena decenne,
ricorda: "Io il I° Maggio 1903 (frequentavo la IV elementare) a Monte
guerra scrissi qualcosa e parlai ai lavoratori per la prima volta. Cosa
dissi non ricordo, certo da uno scolaro di dieci anni non si poteva
pretendere tanto; ebbi tanti battimani ed abbracci e il giorno dopo uno
schiaffo dal maestro a scuola». Chi dei due era il vero Maestro?
Giudichi il lettore! Nel 1921, con la scissione di Livorno, il Lisi aderì al
Comunismo, dove militò fino al 1968, anno della sua morte.
Infatti il socialismo che andava verso il riformismo socialdemocratico
non lo soddisfa. S'impadronisce del Materialismo storico, legge Marx,
Engels, Lenin. L'arma potente del Marxismo gli serve per interpretare
la realtà e quindi cangiarla. Comprende che la classe operaia può
spezzare le catene della schiavitù attraverso la lotta rivoluzionario e
non col riformismo piccolo-borghese, della cui azione moderatrice, è
vittima illustre l'On. Peppino Di Vagno, ucciso vigliaccamente a Mola
il 25 settembre 1921, ad opera delle squadracce fasciste. Dopo
l'assassinio dell'altro grande martire socialista, Giacomo Matteotti,
avvenuto nel 1924, il compagno Lisi scrive: ". . . se l'opposizione,
invece di ritirarsi platonicamente sull'Aventino avesse fatto un atto di
forza e chiamato il popolo, il fascismo sarebbe caduto». Ma le cose,
purtroppo, andarono diversamente!
Ma la sua non era che una pia illusione! . . Ancora una volta la
violenza e l'odio accecano gli animi dei suoi avversari, dei
neo/fascisti, che, in un infausto giorno del novembre 1945, ritornano,
com'è loro costume, all'uso della violenza. Quel giorno una folla di
scalmanati teppisti, aizzati da pochi ben individuati vigliacchi,
bruciano la sezione del P.C.I., demoliscono la lapide del martire
socialista Giuseppe Di Vagno e, selvaggiamente, brutalmente,
battono a sangue, percuotono, picchiano ancora una volta il Lisi, che
insieme a pochi altri compagni, è a difesa della sezione del Partito.
Anche stavolta nessuna reazione da parte sua. Subisce ancora! Non
reagisce, non per viltà o cristiana bontà, ma perché "Uomo», e come
tale Egli è un forte! L'uomo, il cavaliere di un ideale di Giustizia, di
Libertà e di Uguaglianza ha fede ancora nella Ragione, che un giorno
dovrà inevitabilmente trionfare.
di militante comunista
nasce la speranza,
se lo vorremo, se combatteremo —
di sfruttato,
qui,
Ed allora vedranno
non fu invano.
Inutile riferire le imprecazioni che dalla piazza levarono gli operai che
avevano bussato e anche quelli che non ci erano andati, e dato che il
palazzo si trova sulla stessa piazza certo sentì anche lui. lo per me,
fanciullo ancora godevo della gazzarra contro quel signore, e forse, il
primo impulso ribelle mi venne di lì.
Intanto la fame era grave, e per la prima volta, gli operai, gli edili
soprattutto al grido di pane e lavoro si portarono sotto il municipio,
per cui vi furono alcuni fermi; ma questi tumulti, benchè fatti di sole
grida si ripeterono varie volte. Nella campagna invece avveniva
qualcosa di peggio. Una vera e propria associazione a delinquere si
era formata, per cui non passava giorno che non vi fossero per la
campagna cinque o sei grossi furti. Ma il furto del grano alla masseria
Lella sulla via di Martina Franca fu fatale all'associazione. Di primo
acchito ne furono arrestati 36 che ammanettati a quattro a quattro
con la neve e a piedi vennero condotti a Martina Franca dai
carabinieri, altri li seguirono; moltissimi rimasero celati.
Due episodi dei primi tempi della lega mi rimangono impressi nella
mente: 1° -Uno sciopero, il primo avvenuto a Locorotondo durante la
costruzione della ferrovia, per migliorare il salario e ottenere le 10 ore
di lavoro. Un mio fratello lavorava su un ponte vicino al paese; gli
scioperanti venivano da qualche miglio più in su. Il capo dei muratori,
di Locorotondo stesso, avuta notizia che si avvicinavano gli
scioperanti diede ordine agli operai di tenere dei sassi in mano per
lanciarli contro gli scioperanti se questi avessero tentato con la forza
di far abbandonare il lavoro; e gli operai per paura di essere licenziati
obbedirono; ma gli scioperanti non andarono sul lavoro, si limitarono
dalla strada provinciale di Alberobello di invitarli ad abbandonare il
lavoro e di seguirli. Qualche settimana dopo quegli operai entrarono
nella lega facendo causa comune coi compagni.
Il 10 Maggio venne festeggiato sin dal primo anno di vita della lega. Si
andava a Monteguerra il dopo pranzo a fare una scampagnata, la
sera musica in testa e dimostrazione per le strade con comizi
terminali in piazza.
Il giornale più letto da tutti gli operai la domenica era l'Asino diretto da
Guido Podrecca, allora socialista e fortemente anticlericale. Anzi in
quel torno di tempo vi furono due funerali civili, di cui mi tocca parlare
brevemente; gli unici funerali civili che ricordo in 50 anni. Ve ne sono
stati pochi altri dopo; ma in forma solenne bisogna arrivare fino al
1953 con la morte di Paolo Recchia, socialista, per trovarlo.
Il suo nome deve essere caro ai locorotondesi, perchè nel 1865 con
65 centesimi in tasca partì di qui per Firenze, allora capitale d'Italia, e
per mezzo delle sue aderenze riuscì ad ottenere il decreto che con la
rendita di Montanaro (un benefattore del paese) si costruisse
l'ospedale che di Montanaro porta il nome.
Un altro episodio per cui un suo detto è rimasto famoso qui è questo:
il 1867 nell'imminenza dell'azione di Garibaldi su Roma, Mauro
reclutava dei volontari per parteciparvi. Il prefetto di Bari avuto
sentore della cosa lo fece arrestare e tradurre a Bari. Otto giorni
dopo, si dice, mercé i suoi amici giungeva a Bari l'ordine di
scarcerazione e la lettera di trasferimento del prefetto che fu portata
da Mauro stesso, consegnandogliela con queste ormai proverbiali
parole: I tempi vanno e vengono e io son Mauro.
Venne portato senza preti; ma la lega muratori alla testa del corteo
fece costruire e portare da uno dei suoi una rozza croce.
Negri anni successivi, causa la mancanza di lavoro e l'accrescersi
dell'emigrazione, divenuta abitudine di edili e artigiani, che cercavano
all'estero il tozzo di pane che la patria negava, la lega decresceva,
fìnchè si spense verso il 1910.
Due parole su questi due uomini e uno sguardo alle lotte politiche dei
mezzogiorno di allora.
Chi non ricorda dei vecchi, i mazzieri di Gioia del Colle al servizio
dell'ascaro di Giolitti on. De Bellis? Chi di noi pugliesi non ha letto con
commozione la rievocazione di Pietro Cannone di Andria fatta in
Parlamento dal comp. on. Mario Assennato? Ma i fatti di Gioia del
Colle e di Andria avevano attraverso la nostra stampa risonanza
nazionale perchè condotti contro la nascente lotta di classe e quindi
contro operai e contadini organizzati.
Sia gli uni che gli altri come calava la sera scorazzavano per il paese
impunemente, armati di randelli e di pugnali. Ma le due squadre
avverse di mazzieri, forse per tacita intesa non si scontrarono mai;
mentre si abbandonavano a minacce, insulti e qualche bastonata ai
poveri cittadini di una parte o dell'altra, che a sera costretti da
necessità uscivano dalle loro case.
Già, perché noi socialisti, eravamo malvisti dagli uni e dagli altri.
Ma gli odii si rinfocolarono, cittadini fra loro sempre amici, ora di parte
avversa si guardavano in cagnesco, persino nelle famiglie fratelli
contro fratelli, e padri contro figli finché avvenne il fattaccio che si
temeva.
Siccome chi aveva dato era di parte beduina (Aprile) e chi aveva
ricevuto di parte senussa (Mitrano) un carrettiere, giovane, aitante,
analfabeta ma bravaccio e incosciente, da poco sposato con un figlio
di pochi mesi, saputo il fatto si arma di pugnale deciso che quanti
beduini incontrerebbe a tanti regalerebbe delle pugnalate.
Dopo l'arresto degli autori dei fatti di quella tragica notte, i mazzieri
furono più cauti nel provocare; ma gli animi rimasero tesi.
Noi come ho detto nella lotta eravamo in disparte, malvisti dagli uni e
dagli altri, nessuno più prestava orecchio a noi.
Ora della triste vicenda dei partiti locali mi resta a dire come si
svolsero le elezioni politiche e amministrative con la nuova legge
elettorale del 30 Giugno 1912 N. 666 (testo unico) pubblicata sulla
Gazz. Uff. 6 Luglio. Noi portammo come candidato l'avv. Leone Mucci
e avemmo circa 100 voti, Mitrano appoggiò Michelangelo Buonvino,
ricco di soldi e scarso di buon senso, comprando apertamente i voti e
dando la carta da cento metà all'elettore e metà la trattenevano loro
salvo a darla dopo la votazione l'altra metà per essere sicuri
dell'elettore. Lo stesso fecero Sigismondo Calella, il padre e altri del
partito di Aprile salvo che la carta da cento la davano per intero, ma
dopo le elezioni e appoggiavano Vittorio Positano di molto più elevata
cultura, ma corruttore anche lui degli elettori. Se si pensa che la
giornata media dell'operaio era di 2 lire e che 100 lire
rappresentavano 50 giornate lavorative, i voti che raccogliemmo noi
furono molti. Vinse Buonvino.
Altri fatti di rilievo oltre questi sino alla fine del 1914 non ricordo
senonchè, "Il Seme", incominciata la guerra degli imperi centrali
contro la Serbia prima, contro l'Europa dopo, condusse una
campagna contro la guerra e per la neutralità d'Italia.
Il 15 Gennaio 1915 partii anch'io soldato e seppi dipoi che "Il Seme"
aveva cessato le sue pubblicazioni su invito della federazione
socialista di Bari, per dare incremento al settimanale provinciale
"Puglia Rossa".
Seppi inoltre che nel Luglio stesso anno, vi erano state dimostrazioni
contro il crescente carovita; approfittando delle quali alcuni
facinorosi, mai stati socialisti, avevano tentato di dare l'assalto ai
negozi, o ne avevano approfittato per comprare roba sotto prezzo al
reale valore; e che i socialisti avevano funzionato da elementi
moderatori evitando saccheggi, e cercando di far vendere la merce al
giusto prezzo, malvisti dai facinorosi, e un po' dai commercianti, che
dopo ci rimproveravano di aver ceduto alla folla.
Sembrava che il motto scritto sulla tessera del P.S.I. del 1920 "Post
fata resurgo" si avverasse in pieno. Il partito aumentava le file in tutta
Italia, e un incentivo veniva anche dagli avvenimenti russi con la sua
rivoluzione trionfante.
Mio padre pare che ebbe scheda segnata da Aprile, sapendosi che i
miei fratelli e io avremmo votato socialista, e posso affermare che
malgrado le nostre insistenze votò realmente contro di noi, ma la sua
scheda non risultò, come del resto per parecchi altri; allora Aprile lo
mandò a chiamare rimproverandolo aspramente tanto che se ne
venne piangendo a casa. Non così uno scalpellino, Montanaro
Natale, che rimproverato allo stesso modo brutale, e che pure aveva
votato sinceramente la scheda datagli, rispose per le rime
ingiungendo all'Aprile di non chiamarlo mai più a votare.
Avevo da dare le schede ad altri sette od atto dei miei, per cui andai
in piazza; ma subito venni preceduto e seguito da parecchi fascisti. lo
passeggiavo solo avanti e indietro; come vedevo la persona che
cercavo gli passavo accanto e in un sussurro gli dicevo di andare a
casa di mio suocero, o di mio fratello. Alle nove del mattino avevo
finito; ma anche la mia posizione in piazza era divenuta insostenibile;
per cui mi ritirai a casa.
Ma per me, uomo di azione e di amici, ciò era molto duro, meno male
che me ne andavo spesso da Gianfrate ove ci sfogavamo; ma anche
lì c'erano le spie, primo fra tutti un rinnegato ex socialista, ex
barbiere, agente di navigazione, topo di caserma e spia. Gianfrate,
conoscendolo, per tema di peggio se lo teneva amico.
Però ero entrato con una gran paura del carcere, ne uscivo più forte,
più temprato, senza timore se vi dovessi ritornare, visto che non era
cosi brutto come avevo creduto.
Qui dei ragazzi si tiravano pietre, per cui li redarguii, uno mi rispose in
malo modo e io gli diedi un buffetto. Costui andava a bottega dal
barbiere Giuseppe Conti, acceso fascista, detto Farinacci, al quale il
ragazzo disse che io lo avevo battuto dicendo: un giorno comandano
i fascisti e uno i socialisti. L'accusa era insulsa, perché ad un ragazzo
che non conoscevo, non potevo dire simili cose; ma il segretario del
fascio Enrico Recchia, mi fece chiamare e lui e Farinacci volevano
farmi bastonare da due fascisti, uno dei quali è attualmente guardia
municipale Francesco D'Onofrio e coi bastoni in mano erano pronti a
lisciarmi. lo non mi lasciai intimorire, dissi quel che era avvenuto, che
ero un comunista e tale rimarrei. Mi minacciarono di farmi ritornare in
carcere, e risposi che il posto era ancora caldo, mentre i due fascisti
alzavano i bastoni; ma il Recchia mi rilasciò illeso.
Fin dal 1925 nel fascio incominciarono le rivalità per giungere ai posti
di comando.
Allora mi disse tutto quello che gli era accaduto. Ma dissi il Pinto non
sa nulla di tutto questo? — No disse Gianfrate. — E perché non l'hai
messo al corrente, per sventare questa trama contro te e contro lui?
— Perché disse fra me e Pinto non corrono buoni rapporti. — Bene,
dissi, lo avvertirò io.
Io gli dissi tutto, come Gianfrate era stato minacciato dal maresciallo
e come per salvarlo mi ero deciso ad avvertire lui.
Nel 1928 insieme a due miei fratelli, costruii un palazzo sulla via
Catena per conto nostro, e finito quello nel 1929 incominciavamo un
altro in via Milazzo da noi aperta. Verso la fine di quell'anno il crollo
dei dollaro fu seguito da tutte le altre monete in Europa. I tempi si
facevano economicamente difficili. Noi, io e i miei fratelli, cercammo
di completare alla meglio il secondo fabbricato, per venderlo subito e
pagare i debiti, quando il pomeriggio del 31 Dicembre 1929 verso le
14 sul lavoro venne una guardia e un carabiniere a chiamarmi, chè
voleva parlarmi il maresciallo.
Metto un po' di tabacco sciolto in varie tasche e dei cerini, poi vengo
perquisito a mia volta e tutti e tre siamo chiusi in camera di sicurezza
ove troviamo il compagno Neglia Giovanni e un mio cugino Lisi
Ermenegildo che non era stato mai un socialista che mi domanda
perchè siamo arrestati. E che ne so io? Gli rispondo.
Dopo disciolta la Lega dei muratori e affini nel 1910, nel nostro seno
non è sorta mai un'associazione o un sindacato, perchè gli edili erano
e sono quasi sempre fuori a lavorare, e i contadini, essendo quasi
tutti piccoli proprietari, non hanno mai sentito il bisogno di
organizzarsi e di lottare, solo dopo l'istituzione della Cassa Mutua
Malattia e la concessione degli assegni famigliari in agricoltura si
sono iscritti nei sindacati per usufruirne.
Pure gli edili con uno sciopero nel 1920 e precisamente il 5-6-1920
ottenevano le otto ore di lavoro, come risulta dal volantino qui
annesso (1). Breve ed effimera vittoria. Ben presto si ritornò all'antico
sistema: dall'alba al tramonto con brevi soste a colazione e a
mezzogiorno, che purtroppo vige tuttora nell'anno di grazia 1956 sia
per gli edili che per gli agricoltori. Peggio per falegnami, sarti ecc. che
stanno fino a sera inoltrata, quando lavorano!
Essendo del paese, quasi tutti sovversivi e solidali fra loro, all'edificio
scolastico, si fecero circa sei volte sciopero, sempre al 100 per cento,
sia per l'orario che per il salario, imponendo le 9 ore di lavoro e un
salario adeguato per quei tempi.
Dopo l'avvento del fascismo il salario subì gli alti e bassi della
situazione economica a seconda come si presentava, e la instabile
occupazione fece ritornare l'orario all'antica dal levar del sole al
tramonto e oltre e vige tuttora.
Allora, disse Musti, hanno ragione gli operai; e a suo mezzo il prezzo
delle basole e dei cordoni fu aumentato, come pure i cottimi e il
salario degli operai.
Nello stesso anno 1932, certo Acquaviva Francesco, muratore e il
fratello Oronzo che venti anni prima di ritorno dagli Stati Uniti, ne
erano venuti intinti di anarchismo, ebbero due grandi manifesti
anarchici clandestini, non so da dove. Francesco me li diede a me, e
io di notte li affissi in piazza. La mattina il podestà Pinto Leonardo,
prima che io arrivassi in piazza, mi abbordò domandandomi chi erano
gli anarchici a Locorotondo. lo dissi di non saperlo e domandai
perchè.
Io, ignaro allora di queste beghe, fui chiamato dal segretario del
fascio, Nicola Oliva per sapere se era vero che Paolo Pinto avesse
partecipato a detta commemorazione. Potevo rispondergli che vi era
anche lui e il padre; ma preferii rispondere di non ricordare, e che se
anche mi ricordassi di qualcuno io ero operaio e non spia.
La mattina del 26 Luglio 1943 dalla mia casa in via Catena uscivo con
la bicicletta per recarmi al lavoro a uno stabilimento vinicolo vicino
alla stazione di Martina Franca, e fatto a piedi i 30 metri che mi
separano da via Martina, al centro del quadrivio trovo il dentista Pep
u pacc, che mi dice: Lui se ne è andato. Chi lui dico. Mussolini mi
risponde. lo incredulo dico: Tu pensi alle chiacchiere e io penso a
lavorare. Tu non lo credi; ma è vero mi dice, l'ha detto la radio
stanotte e io son venuto ad aspettarti per dirtelo e lo giuro che è vero.
VIVA LA LIBERTÀ!
Sento che il dott. Affilio Bruni è dei nostri e mi reco a parlargli nella
vicina campagna ove lo trovo insieme ad altre persone. Aspetto che
se ne vadano, e allora il Bruni senza attendere che io parlassi mi
disse: So perchè sei venuto; ma credo che bisogna aspettare ancora
un poco per organizzarci.
No, dissi è necessario farlo subito, che gli eventi possono precipitare
e noi dobbiamo essere pronti. Vedremo disse e mi congedò.
Noi intanto giungevamo a Turi. Qui era stato già saputo che saremmo
arrivati noi, e mandanti ed esecutori dell'incendio erano spariti dal
paese mentre avvertiti dalle autorità locali, sul municipio vi erano tre
ufficiali alleati inglesi, e sulla piazza quattro carabinieri con tanto di
sottogola e moschetto. Guardandoli pensai che se fosse successo
qualche cosa di grave, cosa avrebbero potuto fare quei quattro militi,
contro duecento uomini armati.
Appena saputo del nostro arrivo, gli inglesi dissero di voler parlare
con una nostra delegazione sul municipio. Vi si portò Valente ed una
quindicina dei nostri. Parecchi ebbero il buonsenso di lasciare le armi
nella sezione, altri no.
Forse sperava in opposizioni che non ci furono, per fare qualche suo
giochetto a suo pro'. Certo è che ancora le firme non erano forse
asciugate che Mario Conti si precipitava a Bari per impedire con tutti i
mezzi alla Prefettura, acciocchè la proposta nomina a sindaco di
Nicola Conti, proposta sua stessa, non venisse e non venne
convalidata.
Altro episodio: nei primi mesi del 1945 dal Comitato di Liberazione fu
deciso che i locali dell'ex beneficenza ove aveva sede ad una parte
l'associazione dei combattenti e questi rimarrebbero in quei locali che
avevano, e l'altra parte occupata dai ... (3) fosse convertita in Camera
del Lavoro. La chiave, come rappresentante dei combattenti ce
l'aveva l'ex tenente fascista Marco Conti. Chiedemmo la chiave
d'ingresso alla scala che porta ai locali a costui che ci promise che
alle nove dell'indornani verrebbe lui ad aprire. Tutti i rappresentanti
dei partiti, escluso il liberale, che Mario Conti ne era stato espulso,
erano presenti con un gran numero di operai contadini e popolo, e
aspettammo dalle nove alle undici che venisse Marco Conti, ma
costui non venne, finchè un operaio perduta la pazienza con una
semplice spallata aprì la porta d'ingresso e la Camera del Lavoro si
stabilì nei suoi locali destinati.
---------------------------
----------------------------------
In testa alla tavolata sedettero i padroni, gli invitati, gli appaltatori con
le loro donne e lungo la tavolata gli operai circa una trentina. lo con
gli altri.
Venne servita la pasta che appena toccai, poi ognuno la sua razione
di carne al sugo, al forno e formaggio sempre a razione. Le mie
razioni rimanevano sulla tavola davanti a me quando comparvero
nello stabilimento in cerca di me il compagno Michele Recchia ex
segretario della Camera del Lavoro e un compagno che era stato a
tenere il comizio ad Alberobello e che invitato dal Recchia a visitarlo
a Locorotondo era venuto con una fame!!! ... e siccome nella casa
del Recchia si soffriva la stessa malattia (famiglia numerosa, pochi
mezzi per comprare al mercato nero) l'aveva condotto a casa mia,
chè data la mancanza di regolari mezzi di comunicazione con Bari,
tutti i compagni che venivano da Bari erano sempre miei ospiti non
potendo raggiungere Bari.
Erano circa le ore 21, e la riunione stava per finire quando due o tre
colpi forti furono battuti al mio portone. Da in cima alla scala
domandai chi fosse.
"Ieghie suont", rispose una voce che riconobbi per quella del comp.
dottor Aldo Semeraro di Martina Franca per cui aprii immediatamente
il portone, e immediatamente irruppero sulla mia casa una quarantina
di giovani martinesi, armati di pistole, bombe, mine, pugnali eccetera.
Arrivati in sala, Aldo battendo la sua pistola voleva sapere i nomi dei
promotori e le loro case della sommossa del mattino. Noi dicemmo
che ormai non avrebbero trovato nessuno, essendo in massima parte
contadini, e che del resto tutto era passato e che ce la vedremmo noi.
Nella casa del Neglia vi era lui, i tre giovani figli e le due figlie. Arrivati
i contadini bussano al portone, Neglia ignaro di tutto apre; ma dalle
facce e dalle minacce comprende subito e sugli invasori volano
bottiglie e sedie. Sul terrazzino c'è un vaso di fiori che viene gettato
sugli aggressori che stanno fuori, e battendo sul selciato fa' rumore
come una bomba, e credendo che questo fosse veramente,
incominciano a fuggire, mentre il compagno Neglia salito sul tetto
incomincia a lanciare addosso delle grosse pietre, per fortuna senza
gravi conseguenze salvo 3 o 4 contusi da schegge di pietra e allora
fuggono e come!
Da allora se la finì.
Sul mio nome come capolista si affermarono 365 voti di cui 61 di lista
(gli analfabeti) chè gli altri avevano riversato gli altri voti di preferenza
sul grappolo d'uva; compreso me.
No, risposi saranno quelli che son veramente vivi a votare. Infatti la
Repubblica ebbe 720, il P.C. 222.
--------------------