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LUCI NELLA NOTTE A VOGOGNA

Anno del Signore 1407, papa Gregorio XII è appena stato eletto al trono di San Pietro,
l’inquisizione vede la sua epoca d’oro, nonostante molti inquisitori siano prossimi alla pensione il
Gran Maestro Jaen de Bautisse addestra a Caste Sant’Angelo a Roma un nuovo gruppo di novizi
giunti da terre orientali con capacità sopra la media. Il Cardinal’ Lo Berco Gran Teologo della
Scuola di Demonologia ha appena redatto una guida per inquisitori completa, attingendo ai rapporti
decennali degli inquisitori in pensione ormai sollevati dal Compito, il Demonorum e il Bestiario
adesso fanno parte dell’equipaggiamento degli inquisitori, per ordine del nuovo pontefice. E’
l’estate del 1408 quando a Castel Sant’Angelo perviene una lettera, scritta da un dominicano fra’
Nicoletto da Saluzzo, il quale racconta di un viaggio fatto per ordine del Arcivescovo di Torino nei
pressi del villaggio alpino di Vogogna, per riscuotere la decima, la tassa papale, che non è pervenuta
da circa vent’anni da quelle zone. Tuttavia il suo viaggio si interrompe nel bosco antecedente
Vogogna egli parla di “inquietanti sospiri dalle fronde degli alberi”, rumori metallici come di
“pentolami” e in lontananza “luci sospese” di natura inumana, improvvisamente il suo mulo si
imbizzarrì e i suoi accompagnatori una coppia di giovani contadini diretti in visita dai genitori di lei
si diressero incontro alle luci, come stregati. Il cammino del frate si interruppe lì, non ebbe il cuore
di seguire i giovani, né la volontà di approfondire quanto accaduto, andò a riferire tutto
all’Arcivescovo du Ferie, che lo costrinse a scrivere all’ordine degli inquisitori.

Ed eccoci qui in un carro che porta i simboli del papato dopo un mese di viaggio nei pressi di
Torino, diretti sulle montagne in direzione di Vogogna, attraversando fame, peste e disperazione.

Vogogna è un villaggio povero, con strutture in legno abitato per lo più da cacciatori e boscaioli,
non vi è un centro, ma una piccola piazzetta in mezzo alle casette disposte a croce, al centro
dell’incrocio in mezzo alla piazza una chiesa in pietra con un campanile.

Vi è anche un signore su un piccolo castellino sopra una rupe, se si chiede l’ingresso nessuno
risponde, nessuno esce e nessuno entra eccetto il prete del villaggio, padre Lotario, per celebrare
messa al signore di Vogogna.

Il paese sembra essere prospero nonostante tutto, sembra che la carestia e la piaga nera non siano
giunti in quelle zone. Di notte si sentono rumori raccapriccianti nei boschi. La famiglia dei giovani
è quella dei Barti, fabbri ferrai da generazioni, essi potrebbero sapere qualcosa. Nessuno di notte si
avventura nel bosco e se si fa attenzione si ci rende conto che in quel paese non esiste un cimitero.
La domenica si celebra messa, ma la domenica notte in riva a un lago dentro il bosco padre Lotario
celebra qualcos’altro una creatura che si dice un’antica dea delle Alpi Elvetiche, l’entità si fa
chiamare Ceturia e ha le sembianze di una donna molto alta con braccia e gambe innaturalmente
lunghe con al posto della testa un teschio di un grande cervo. Il popolo gli rende omaggio e sacrifica
i corpi dei morti dentro il lago dove lei si nutre, in cambio lei rende prospero il posto e lo protegge
dalla malattia.

Il signore di Vogogna sembra essersi opposto in precedenza a Lotario, ma essi lo stregò attraverso
rituali occulti rendendolo una mostruosità che egli nutre ogni giorno nel suo castello.

I fuochi altro non sono che i nuovi sudditi di Ceturia e i sospiri le loro voci e il pentolame le loro
catene e collari di ferro, ai quali vengono assicurati agli alberi e arbustiper non lasciare mai la
foresta, divenendo essi stessi parte della forma finale di Ceturia stessa, una massa informe di corpi
vegetali

Nel viaggio di ritorno il gruppo si imbatte in un uomo dalla pelle scura, con il corpo tatuato, che
fugge da delle guardie genovesi lungo la strada per Lucca.

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