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PELLEGRINAGGIO A SANTA RITA DA CASCIA

Il territorio. Nel cuore della Valnerina, a sud-ovest dell’Umbria, stanno adagiati piccoli
borghi tra i quali è possibile scoprire anche il centro di Cascia. Qui, le vallate percorse dal fiume
Nera e dai suoi affluenti s’incontrano con il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, il massiccio
roccioso che è parte dell’Appennino umbro-marchigiano.
Cascia: con oltre 3.200 abitanti, la piccola città di Cascia sorge sul Colle di Sant’Agostino, a
653 metri sopra il livello del mare. Il paese è posto nel cuore della Valnerina: verde e tortuosa,
intreccio di vallate profonde, lussureggianti altipiani e picchi appenninici. Prende il nome dal fiume
Nera, che l’attraversa. Nella Valnerina sono custoditi eremi suggestivi, antiche abbazie e piccoli
borghi carichi di storia tutta da scoprire.
Visitando la Valnerina, incontrerai i luoghi della spiritualità.

CASCIA, CENNI STORICI


Il nome Cassia, poi italianizzato con Cascia, ha origini remote. In seguito alla caduta
dell’impero romano, la cittadina subisce ripetute aggressioni e saccheggi ad opera dei Goti, dei
Longobardi e dei Saraceni, fino ad arrivare alla dominazione dei Franchi nel 789, quando viene
concessa in dono allo Stato della Chiesa per volere di Ottone I, nuovo imperatore del Sacro
Romano Impero, nell’anno 962.
Solo nel secolo XI, risorge come Castrum Cassiae sul colle di Sant’Agostino, dov'è ancora
oggi e diventa un Comune autonomo. Passata sotto il Ducato di Spoleto di dominio papale –
Cascia vive il contrapporsi delle due fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, sempre in lotta tra loro.
I Guelfi parteggiano per il papato, mentre i Ghibellini sostengono le parti dell’imperatore.
Il governo del Comune è dominato dalla ricca borghesia cittadina: proprietari terrieri,
notabili, artigiani benestanti, tutti guelfi, sempre in lotta con i ghibellini per la gestione politica
del Comune. Le liti, che sfociano in vere e proprie guerre tra famiglie, non cessano mai. In questo
clima, i “pacieri” svolgono la loro incessante azione. Incaricati dal Comune, i pacieri non sono
giudici di pace in senso giuridico, ma hanno il compito di riportare la pace nelle famiglie in lite
tra loro. L’opera svolta dai pacieri si rivela di grande utilità per tutta la comunità casciana.
È in questo contest che nasce santa Rita.

SANTA RITA DA CASCIA

Margherita Lotti, questo il vero nome della nostra Santa, nasce a Roccaporena, frazione a 5
km da Cascia, 1371 o nel 1381. I genitori di Rita sono particolarmente stimati e gli statuti del libero
comune di Cascia affidano loro l’arduo incarico di pacificare i contendenti o almeno evitare
stragi cruenti tra famiglie in conflitto.
La famiglia di Rita non è aristocratica, ma comunque benestante. I suoi genitori come pacieri,
godono sicuramente di un certo prestigio sociale, morale ed economico. L’unica istruzione che Rita
può avere è quella degli Agostiniani: da loro, apprende la devozione verso i suoi santi protettori
Agostino, Giovanni Battista e Nicola da Tolentino (che, al tempo di Rita è ancora beato).
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Come per tante ragazze, anche per la giovane Rita arriva il momento di farsi una famiglia.
Sposa Paolo di Ferdinando di Mancino, probabilmente un ghibellino. Il Signore benedice
l’amore dei giovani con la grazia di due bambini, probabilmente gemelli o venuti al mondo a breve
distanza tra loro: Giangiacomo e Paolo Maria.
Paolo di Ferdinando di Mancino viene assassinato nei pressi del “Mulinaccio”, dove si
era trasferito con Rita e i suoi due figli, intorno al 1406. Rita perdona di cuore e mai rivelerà il
nome degli assassini, anche se questo gesto le costerà il risentimento della famiglia del marito
ucciso. Poi, un timore ancora più grande la affligge: che i suoi ragazzi possano diventare
vittime o protagonisti di quella spirale d’odio che s’è innescata. Si spiegano così le preghiere a
Dio perché non si macchino di simili atrocità e allontanino da loro il desiderio di vendicare il padre.
I due giovani, Giangiacomo e Paolo Maria, muoiono molto presto l’uno dopo l’altro,
probabilmente di peste o a causa di qualche altro malanno.
Rimasta sola, tra il 1406 e il 1407, dopo l’assassinio del marito e la tragica morte dei suoi due
figli, Rita matura con forza il desiderio di farsi monaca. All’età di circa 36 anni, Rita bussa alla
porta del Monastero di Santa Maria Maddalena. Superate le mille difficoltà, con l’aiuto della
preghiera ai suoi tre protettori Sant’Agostino, San Nicola Da Tolentino e San Giovanni Battista, nel
1407 ca., inizia la sua nuova vita con l’abito e la Regola di Sant’Agostino, che professa nei suoi
restanti 40 anni di vita.
Alla sua vita monacale sono legati tanti fioretti, il cui ricordo vedremo anche noi nella visita
al monastero. Si racconta che durante il periodo del noviziato, la Madre Badessa, per provare
l’umiltà di sorella Rita, le abbia comandato di innaffiare un arido legno. La Santa obbedisce senza
indugi e il Signore premia la sua serva facendo fiorire una vite rigogliosa. Ancora oggi, la
testimonianza di questo prodigio è la vite di Santa Rita che ha solo 200 anni ma che ricorda
simbolicamente il fatto.
Si legge nell’epitaffio sulla cassa solenne: XV anni la spina patisti. Dopo aver attraversato il
dolore per la morte dei cari, tra le mura del Monastero, Rita innalza il suo dolore alle sofferenze di
Cristo per l’umanità: chiede ed ottiene da Cristo di diventare partecipe ancora di più alla Sua
sofferenza. Un giorno del 1432, mentre è assorta in preghiera, forse memore della predicazione
sulla passione di Cristo fatta da fra Giacomo della Marca, chiede al Signore di renderla partecipe
alle sue sofferenze. Non sappiamo cos’è accaduto in quel momento, una luce, un lampo, una
spina staccatasi dal Crocifisso le si conficca nella fronte e nell’anima.
Potremo vedere anche noi quello che secondo la tradizione è il Cristo del prodigio.
Sicuramente Rita ha vissuto questo dono con molta umiltà, senza farne mai vanto, parlando poco
della sua ferita e presentandola come tale: una piaga.
Nell’inverno precedente la sua scomparsa, gravemente ammalata, Rita trascorre lunghi
periodi nella sua cella. Ed ecco un altro fioretto. Ad una sua parente, che era venuta a trovarla,
chiede di passare nel suo orto di Roccaporena e cogliere una rosa e due fichi. È un gennaio nevoso e
freddo. La parente si reca all’orto e trova le due rose e i due fichi richiesti, che coglie e porta a Rita.
Muore nella notte tra il 21 e il 22 maggio dell’anno 1447. In quel momento le campane del
Monastero, mosse da mani invisibili, si siano messe a suonare, richiamando la cittadinanza che,
come per ispirazione celeste, si è recata in Monastero per venerare la suora Santa.

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PRIMI MIRACOLI

Nel 1457, per iniziativa delle autorità comunali, i primi miracoli di Santa Rita cominciano
ad essere riportati nel Codex miraculorum (il Codice dei miracoli). Fra questi, troviamo il più
straordinario: il miracolo di un cieco che riebbe la vista. Per il forte culto nato immediatamente
dopo la sua morte Rita non è mai stata sepolta. Vedendo tanta venerazione, le monache, decidono
di riporre il santo corpo in una cassa. Rita, appena morta, viene probabilmente portata nella chiesa
senza cassa, avvolta in un lenzuolo, per essere poi sepolta nel loculo delle monache. Ma la gente
accorre continuamente per venerarla, impedendo così che le sue consorelle procedano al rito
della sepoltura. Il corpo, quindi, resta così per qualche tempo e, intanto, si diffonde la voce che
Rita compia dei miracoli.
Dopo una prima bara detta “cassa umile”, i resti di Rita vengono messi nel sarcofago,
conosciuto come “cassa solenne”. Questa cassa solenne, fatta a soli dieci anni di distanza dal
trapasso di Rita, mostra la sua fama di santità già diffusa. Sopra, viene inserito un epitaffio
commemorativo. Il corpo di Santa Rita giunge infine all’attuale cappella dentro la Basilica. Oggi,
la cassa umile si trova custodita all'interno della cassa solenne, nella cella di Santa Rita.
Il corpo di Rita, dal 18 maggio 1947, riposa nella Basilica Santa Rita a Cascia, dentro l’urna
d’argento e cristallo realizzata nel 1930. Indagini mediche hanno accertato la presenza di una piaga
ossea (osteomielite) sulla fronte, a riprova dell’esistenza della stigmata. Il viso, le mani e i piedi
sono mummificati, mentre sotto l’abito di suora agostiniana c’è l’intero scheletro (così ridottosi
dalla prima metà del ’700). Il piede destro ha segni di una malattia sofferta negli ultimi anni, forse
una sciatalgia. Rita era alta 1,57 m.

BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE

Se tra i concittadini la venerazione è stata rapida, non altrettanto rapido è il cammino di ascesa
agli altari. Il processo di beatificazione ha inizio il 19 ottobre 1626 e l’anno successivo Urbano VIII
concede alla santa il titolo di Beata. Solo il 24 maggio 1900, Leone XIII proclama Santa la
Margherita di Cascia.
Nel grande giubileo del 2000, il 20 maggio, il Papa venerò le spoglie di Santa Rita portate in
piazza san Pietro. Da quest’incontro, per volontà del Sommo Pontefice, Santa Rita viene di fatto
inserita nel messale romano del 2001.
Santa Rita ha tramandato il suo messaggio senza mai scrivere niente, ma usando l’esempio
concreto del vivere quotidiano fatto di rispetto verso l’altro e verso il creato. I miracoli accaduti per
sua intercessione sono talmente numerose, che è stata proclamata dai fedeli “santa dei casi
impossibili” (o santa degli impossibili), perché, come Rita ci ha insegnato, se ci si affida a Dio,
tutto può accadere.
Donna del dialogo e della riconciliazione, Santa Rita si rivolge a tutti: ai cristiani nel mondo,
ma anche alle persone che hanno un credo religioso diverso da quello cristiano. La strada che Santa
Rita suggerisce è fatta di umiltà, sacrificio, ascolto dell’altro e ricerca del dialogo. Non è semplice,
ma è l’unica strada che ci avvicina a Dio e rende tutto realizzabile. Il suo esempio di semplicità e
fede in Dio arrivano oggi fino a noi, sopra il tempo e lo spazio, per ricordarci che la pace si
raggiunge solo costruendola sul dialogo.

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ALCUNI FIORETTI

LE API.
Nella più antica tradizione, le api si collegano al primo miracolo attribuito a Rita in vita: la
guarigione di un contadino. “Il quinto giorno dopo la sua nascita, mentre la piccola Rita riposa
nella culla, posta nel giardino della casa paterna, delle api cominciano a entrare e uscire dalla sua
bocca, senza pungerla. Un contadino, mietendo in un campo poco distante, si taglia profondamente
una mano con la falce. L'uomo comincia a perdere molto sangue e lascia frettolosamente il lavoro
in cerca d’aiuto. Nel passare accanto alla piccola Rita, si accorge delle api che le ronzano attorno
al viso e fa un gesto con la mano per allontanarle. Nel ritirare la mano a sé, si accorge con stupore
di essere guarito”.
La Chiesa medievale usava le api come simbolo per rappresentare l’operosità, la laboriosità,
l’efficienza sociale, tipica di questi insetti. È di Sant'Ambrogio (vescovo di Milano dal 374 al 397),
una delle prime omelie sulle virtù delle api, proposte ai fedeli come modello di vita. Le api che
volano intorno a Rita nella culla sono segno della dolcezza, delicatezza di cui si rivestirà Rita nel
corso della sua vita.

LA VITE.
La vite rigogliosa che si può ammirare dentro al monastero, produce ogni anno uva bianca. È
diventata il simbolo dell’obbedienza di Santa Rita e della sua fecondità spirituale. Rita, infatti -
come dice il vangelo d Giovanni - unita a Gesù, vera vite, è un tralcio che produce molti frutti.
La tradizione dice che mentre Rita è novizia, la superiora le chiede di innaffiare per
obbedienza una pianta secca, che si trova nel giardino. Rita lo fa umilmente giorno per giorno,
attingendo l’acqua dal pozzo che tutt’oggi si trova accanto alla vite. Così la pianta riprende a vivere.
Così la vite, germogliata da un bastone secco, ha mostrato la virtù dell’obbedienza, che è un atto
d’amore, come risposta alla prova cui Dio, per mezzo della Badessa, l’aveva sottoposta.

LA ROSA E I FICHI.
C’è anche il fioretto della rosa e i fichi. Alla fine dei suoi giorni, malata e costretta a letto,
Rita chiede a una sua cugina venuta in vista da Roccaporena di portarle due fichi e una rosa
dall’orto della casa paterna. Ma siamo in inverno e la cugina l’asseconda, pensandola nel delirio
della malattia. Tornata a casa, la giovane parente trova in mezzo alla neve una rosa e due fichi e,
stupefatta, subito torna a Cascia per portarli a Rita. Rita, che li lesse come un segno della bontà di
Dio che aveva accolto in cielo i suoi due figli ed il marito.Il prodigio delle rose e dei fichi in
inverno è reso attendibile da diverse testimonianze raccolte nel processo per la beatificazione nel
1626
Da allora, la rosa è il simbolo ritiano per eccellenza: come la rosa, Rita ha saputo fiorire
nonostante le spine che la vita le ha riservato, donando il buon profumo di Cristo e sciogliendo il
gelido inverno di tanti cuori. La tradizionale salvati."Benedizione delle Rose" avviene ogni anno
dopo la messa pontificale del 22 maggio, festa di Santa Rita, davanti alla Basilica di Cascia.

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LUOGHI DEL PELLEGRINAGGIO

MONASTERO.
Ai tempi di Santa Rita, il Monastero era dedicato a Santa Maria Maddalena. La parte antica
risale alla fine del 1200. Questo è il luogo storico dove Santa Rita visse 40 anni come monaca
agostiniana e dove morì, nel 1457, all’età di 76 anni..
Superate le due porte di entrata, salendo, ti trovi vicino al pozzo, dove Santa Rita attingeva
l’acqua per l’orto, la cucina, le pulizie. Dalla parte opposta del pozzo, sul muro, a fianco della porta
e del finestrone del refettorio, puoi notare qua e là dei piccoli fori; dentro ci abitano le api murarie.
Nel 1628 Urbano VIII fece portare a Roma una di queste api per poterla osservare. Ogni anno
vengono viste nel periodo primaverile mentre lavorano, entrano ed escono da questi fori nel muro.
La vite rigogliosa che qui puoi ammirare produce ogni anno uva bianca. È diventata il
simbolo dell’obbedienza di Santa Rita e della sua fecondità spirituale.
Entrando dalla porta destra, sotto la vite, accedi al Coro antico, dove Santa Rita fece la
vestizione come monaca agostiniana. Qui lei pregava di giorno e di notte insieme alla sua comunità,
meditando nel cuore ciò che si dice con la voce, come prescrive la Regola di Sant’Agostino.
Il Coro antico è anche il luogo legato all’entrata di Rita, ormai rimasta vedova, in monastero.
Il Coro è abbellito dagli affreschi che vedi in alto (risalgono al 1595). Sulle pareti, sono appese le
“sette tele”: sette dipinti, tutti con la stessa cornice, che un ignoto pittore locale di formazione
manierista realizzò subito dopo la beatificazione di Rita da parte del Papa Urbano VIII, nel 1628.
Rappresentano sette tappe della vita di Rita: “Il prodigio delle api”; “L’apparizione dei santi
Giovanni Battista, Nicola da Tolentino, Agostino”; “Il ritrovamento nel coro”; “La vestizione
religiosa”; “Il ricevimento della stigmata”; “La sparizione della stigmata”; “La ricomparsa della
stigmata”.
Salendo le scale all’esterno, si percorre lo stretto corridoio delle celle monastiche; dal numero
delle porte si comprende che nel 1400 le monache erano 10-12. Continuando, ci si trova fuori.
Salendo la scalinata si arriva nell'oratorio del crocifisso, dove la tradizione afferma che Santa Rita
ricevette la stigmata sulla fronte. Al tempo di Napoleone, tra il 1810 ed il 1815, purtroppo, fu
adibito a focolare. Questo luogo e questa immagine, ricordano il fatto centrale della vita e della
spiritualità ritiana.
Quando si ridiscende, si trova l’urna dorata, in stile barocco donata dai nobili Malaspina di
Ascoli Piceno; contenne il corpo di Santa Rita dal 1745 al 1930. La corona e l’abito monastico, che
si vedono all’interno dell’urna, nel passato erano sul corpo della santa. Si vede poi l’anello nuziale
e la corona del rosario.
L’ambiente accanto alla cella dove si trova l’anello nuziale è la povera e angusta cella di
Santa Rita, con dentro il sarcofago in legno che ha contenuto il corpo della santa alla sua morte,
custodendolo fino al 1745. I dipinti a tempera sulla “cassa solenne” sono attribuiti a Paolo da
Visso. Al centro del sarcofago sta il Cristo in piedi dentro il sepolcro con la corona di spine sulla
testa e le ferite al costato e alle mani ben visibili: è il centro della spiritualità della nostra santa.
La cassa solenne rappresenta il primo documento rilevante su Santa Rita: questa è la più antica
raffigurazione della santa che, verosimilmente, ci offre i suoi tratti somatici. Il sarcofago, inoltre,
rivela la storicità della stigmata, offrendo una valida testimonianza del culto nato a pochi anni dalla
morte della Santa. Sulla tavola frontale, divisa in tre scomparti, si vedono Santa Maria
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Maddalena, Cristo e Santa Rita, vestita da monaca agostiniana, che irradia dal capo raggi di luce;
ha sulla fronte la piaga, nella mano destra una grande spina e in quella sinistra una piccola corona
del rosario. Il viso, espressivo e gioioso, ispira intelligenza e forza. Sul coperchio spiovente c’è
Rita distesa serenamente sul letto di morte e, accanto alla testa, si legge un epitaffio (una lode che
esalta le virtù della santa) risalente al 1457:
O beata, quanto ci hai illuminato
con la tua costanza e virtù davanti alla Croce
dove hai ricevuto da Cristo Re grandi sofferenze,
dopo aver abbandonato la triste vita mondana
per andare a gioire (per osannare)
delle tue infermità morali
e sconosciute ferite della tua anima
davanti a quelle ben più atroci di Cristo!
Che merito così grande ti sei guadagnata!
Quale grande fede, superiore a quella di ogni altra donna,
ti è stata concessa !
Tanto che tu hai ricevuto da Cristo una delle sue spine,
non come ricompensa terrena
perché non hai mai pensato di aver altro tesoro
superiore a Cristo al quale ti sei interamente donata;
tuttavia non ti parve abbastanza
per considerarti ben purificata,
tanto che l’hai portata sulla tua fronte per quindici anni
prima di salire in cielo. 1457.

All’interno del coperchio, è dipinta l’anima della Santa portata in cielo da due angeli.
Secondo i giudici del 1626, la cassa era molto rovinata. Solo col restauro del 1925 è stato possibile
leggere correttamente l’epitaffio e distinguere chiaramente le immagini. Sopra l’altare, nei cassetti,
sono conservate alcune reliquie: la tonaca di Santa Rita, il velo, le fasce usate per tergere la piaga
sulla fronte, un cuscino. Furono poste qui e sigillate nel 1745.
Uscendo dalla porta vicino alla cella di Santa Rita, trovi il roseto di Santa Rita, creato in
ricordo del miracolo della rosa e dei fichi. Il roseto che vedi oggi in Monastero è stato piantato nel
XIX secolo.

LA BASILICA.
Costruita con le offerte dei benefattori, anche le più piccole, la Basilica di Santa Rita è un
progetto che la Beata Madre Fasce vuole fortemente allo scopo di accogliere i devoti nella città
della Santa dei casi impossibili. Lei lo sa, quanto può essere amata questa Santa, e i pellegrini
accorrono a milioni.

Esterno. Il progetto originario di Mons. Spirito Chiapetta, viene in seguito modificato da


Giuseppe Calori e Giuseppe Martinenghi. Il 20 giugno 1937 il cardinale Enrico Gasparri pone la

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prima pietra. Solo dieci anni dopo arriva la consacrazione a chiesa, è il 18 maggio 1947. L’erezione
a Basilica ha luogo il 1° agosto del 1955, ad opera di Pio XII.
Sulla facciata in alto, tutta ricoperta del bianco candido del marmo travertino di Tivoli, sopra
la croce sorretta da sei angeli, troneggia scolpito in lettere latine l’anno in cui vengono ultimati i
lavori: A.D. MCMXLIII (1943). Sull’architrave sopra la porta d’ingresso puoi leggere il saluto
inciso in onore della santa: Salve Rita vas amoris, sponsa Christi dolorosa / tu de spinis Salvatoris
pulchra nasceris ut rosa.
Ad incorniciare il portale d’ingresso, dieci bassorilievi che immortalano gli episodi
significativi della vita di Rita: (guardando dall’alto a sinistra) Rita con le api; Rita insegna ai figli a
pregare; morte del marito; ingresso al monastero; prova dell’obbedienza; Rita suora dona il pane ai
poveri; Rita riceve la stigmata; il pellegrinaggio a Roma; le rose e i fichi in inverno; il transito.
Sulla sinistra della facciata, dietro il cancello in bronzo, puoi scorgere il portale dell’antica chiesa
della Beata Rita (1577), dove nel passato era venerato il corpo della santa.

Interno. Tutto l’insieme da un'impressione di vivacità; è una chiesa piena di luce di colori,
ma con un alone di misticismo. Lungo le pareti, ad altezza di uomo, in pannelli di marmo bianco, è
la bellissima via crucis del Pellini.
La cupola con la colomba, simbolo dello Spirito Santo, e la gloria dei santi agostiniani è una
composizione continua che va dalla lanterna, alle vele, ai piloni; copre una superficie di circa 300
metri quadrati ed è dipinta a vero fresco. Nelle vele in mezzo a gruppi di angeli dalle vesti
variopinte, si notano Santa Rita, Sant'Agostino, Santa Chiara da Montefalco, San Nicola da
Tolentino, il Beato Simone da Cascia, San Giovanni da Sahagùn, la Beata Giuliana da Cornillòn,
San Tommaso da Villanova.
Sui piloni, sempre in stile neobizantino, con colori vivaci e figure allungate, il transito di
Santa Rita, la canonizzazione, le opere ritiane, l'elevazione del Santuario a Basilica.
Il presbiterio è stato rinnovato nel 1981. Qui lo scultore Giacomo Manzù ha realizzato un
capolavoro, un vero inno dell'arte alla santità di Rita. Il tabernacolo, a forma ovale con sopra
spighe di grano e tralcio di vite e al centro una rosa, simboleggia la vita e la pace che è l'Eucarestia,
in esso contenuta, il Cristo Signore. I pannelli laterali sono rami di ulivo con colombe "vero
simbolo della santa: la pace dello spirito", come dichiarato dallo stesso artista. La mensa
dell'altare, una lastra di cristallo, è appoggiata sui rami ritorti di una vite, fusi in un'unica colata di
bronzo dorato a mercurio. Lo splendido crocifisso, tutto sfigurato dalla sofferenza pende da una
croce a forma di palme di ulivo per esprimere che è da lui che proviene la pace in tutte le sue
dimensioni: verso l'alto, verso i fratelli, verso il creato. Il ramoscello d'ulivo, dalle evidenti
connotazioni bibliche, è appoggiato dal Manzù anche sull'ambone e sulla lampada eucaristica.
Queste ammirevoli sculture in bronzo dorato celebrano molto bene la figura umile e semplice di
Santa Rita, costruttrice di pace e di amore con il perdono e il dono di sé.
Gli affreschi dell'abside principale raffigurano all'aperto con cielo azzurro, l'Ultima Cena.
La prospettiva dà al visitatore la sensazione di essere atteso e invitato al convito. Nell'arco
trionfale sono rappresentati il sacrificio di Isacco, con Abramo che brandisce il coltello, e la Pasqua
ebraica, profezie veterotestamentarie dell’Eucarestia. Le vetrate raffigurano vari miracoli
eucaristici.

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A destra c’è l’abside dell'Assunta. L'affresco del catino raffigura l'assunzione di Maria ed è
stato realizzato dall'aretino Gisberto Ceracchini, poco dopo la proclamazione di tale dogma di fede
da parte di Pio XII nel 1950. In alto è la vergine che ascende al cielo circondata da angeli in festa,
che agitano dei gigli. Nell'arco trionfale, la Vergine che riceve la comunione prima del transito e la
Deposizione di Gesù dalla croce nelle braccia della madre. Nella fascia del matroneo, tra gruppi di
angeli, sono dipinti momenti della vita di Maria: nascita, annunciazione, visitazione, natività di
Gesù, presentazione al tempio di Gesù. La pala sull'altare raffigura la Madonna della
Consolazione, seduta in trono con il bambino sulle ginocchia e ai lati Sant'Agostino e Santa Monica
che ricevono la cintura, simbolo della famiglia agostiniana.
L’abside di Santa Rita. L'artista romano Ferruccio Ferrazzi immagina che sopra i tetti di
Cascia si apra una grandiosa visione, contemplata da un pastore a guardia del gregge (a sinistra di
chi osserva). Al centro della visione è il Cristo giudice, seduto in trono con alle spalle una croce
luminosa; ai suoi piedi Santa Rita poggia dolcemente la testa sulle ginocchia del Salvatore.
Umile e fiduciosa, intercede grazia e misericordia per i suoi devoti. Tutto intorno, rotea una
schiera di angeli in un bel gioco di luci e di colori. Sulla destra di chi osserva, lo scoglio di
Roccaporena con Rita bambina tra le nubi, dono del cielo alla nostra terra.
Nell'arco trionfale sono raffigurati due episodi ritiani: Rita guarisce dalla stigmata sulla
fronte, Rita pellegrina Roma per l'anno santo 1450 ai piedi del Papa Niccolò V. Nella fascia del
matroneo sono le virtù teologali e cardinali.
Cappella di Santa Rita. Dietro la grande grata in ferro battuto, si apre la cappella di Santa
Rita, in stile neobizantino.
L'urna del 1930 contiene il corpo di Santa Rita, qui collocato il 18 maggio 1947. Lungo le
pareti si ammirano sette pregevoli tele di Giovan Battista Galizzi da Bergamo. Partendo da sinistra:
nascita di Santa Rita e le api, Rita e i figli davanti al crocifisso, ingresso al monastero, prova
dell'obbedienza, stigmatizzazione, pellegrinaggio a Roma, transito di Santa Rita.

La basilica Inferiore. Nelle fondamenta della Basilica, fin dal 1947, viene ricavata una cripta
inaugurata il 19 maggio 1988. In fondo al presbiterio, sta l’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Nel
transetto destro è realizzata la cappella del Miracolo Eucaristico e del Beato Simone Fidati, posti
qui dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Antonio Ambrosiano, il 19 maggio 1988. Sotto i
pilastri, c’è l’accesso alla Sala degli ex-voto, visitabile su richiesta.
Il Miracolo Eucaristico. Il miracolo eucaristico è custodito dentro il tabernacolo di pietra e
cristallo, con ai lati due pannelli in marmo che raffigurano le due parti di un libro aperto. Nell'anno
1330 a Siena un sacerdote chiamato a portare la santa comunione a un malato pose l'ostia nel
breviario. A casa dell'infermo vide che l'ostia era diventata sangue. Andò a confessare l'accaduto al
beato Simone, che portò la reliquia a Cascia.
Nel 1389 il Papa Bonifacio IX confermò l'autenticità del miracolo. Il frammento di carta
pergamenaceo misura mm. 52 x 44. Guardando in controluce si nota che le macchie di sangue
hanno formato il profilo di un volto umano.
Nel transetto sinistro si trova la tomba della Serva di Dio, la Beata Madre Teresa Fasce che
ha dedicato la sua vita a far conoscere Santa Rita e ideato il Santuario.

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