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INTRODUZIONE
PREFAZIONE
“La Luna” nel 1992, da anni ormai esaurita, “Rosa Balistreri: una grande
cantante folk racconta la sua vita” e Camillo Vecchio con il saggio “U cuntu
ca cuntu. La vita di Rosa Balistreri”, pubblicato dal gruppo editoriale DMG
nel 2002. Ma in verità ce ne siamo occupati anche noi continuamente con
articoli su riviste siciliane e sul mensile “La Vedetta”. Nel 1996 dall‟allora
assessore al turismo Francesca Muscarella ci venne chiesto di scrivere per
l‟estate licatese una biografia di Rosa che in breve tempo attingendo a fonti
giornalistiche e a recensioni musicali riuscimmo a mettere insieme per la
stampa in breve tempo. Nacque così un agevole volumetto di appena 48
pagine dal titolo “Rosa Balistreri, l‟ultima cantastoria”, completo nella sua
brevità anche di una antologia delle sue più belle canzoni. Volumetto ahimè,
oggi molto richiesto, ma esaurito. Ma riteniamo, senza timore di essere
smentiti, che il saggio più completo sulla vita e sull‟opera di Rosa Balistreri
debba essere considerato l‟interessante ricerca del dott. Nicolò La Perna, che
ci ha onorati di prefare e di pubblicare nelle edizioni de La Vedetta.
“Rusidda a Licatisi” è il titolo significativo che Nicolò La Perna ha voluto
dare al suo libro, un titolo che manifesta affetto e simpatia per questa donna
sventurata che conobbe il successo solo in età avanzata, dopo aver patito la
miseria e l‟umiliazione, dopo aver conosciuto il carcere a Licata per aver
tentato di uccidere in un momento di odio e di rabbia il marito ubriacone,
giocatore sfaccendato che aveva persino giocato il corredino di sua figlia e a
Palermo per aver rubato a casa di un nobile signore raggirata e spinta da un
giovane signorotto appartenente a quella famiglia, dopo aver subito e respinto
le avances di un prete palermitano sconsiderato che la teneva come sagrestana
nella propria chiesa, dopo aver sofferto a Firenze per l‟uccisione della sorella
Maria da parte del marito geloso, per il suicidio del padre Emanuele
impiccatosi per il dolore ad un albero sul lungo Arno, per le amarezze patite
dalla figlia Angela e per la delusione subita dopo una lunga parentesi amorosa
durata tre anni, dal pittore Manfredi Lombardi, che l‟aveva lasciata per una
sua modella molto giovane e bella, spingendola a cercare il suicidio.
A Nicolò La Perna, che da dieci anni cura in maniera encomiabile nell‟ambito
di un apposito service del Lions Club licatese un concorso di poesie e canzoni
dialettali e popolari dedicato a Rosa, non sfugge nulla della vita dell‟illustre
licatese e della sua attività artistica, inserita nel più ampio panorama del canto
popolare siciliano, antichissimo come antichissimo è il nostro popolo, di cui
ci elenca le fonti e i suoi maggiori studiosi, quali Alberto Favara (Salemi
1863-1923), etnomusicologo, Lionardo Vigo (Acireale 1799-1879), poeta e
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Il prezioso volume di Nicolò La Perna, che espone la ricca materia con una
prosa semplice e lineare, non trascura di elencare la copiosa produzione di
canzoni di Rosa edita in dischi, musicassette o cd e si conclude con la raccolta
di tutti i testi e delle partiture musicali di tutte le canzoni di Rosa, che
costituisce un prezioso quanto raro catalogo della produzione dell‟illustre
licatese a cui mai nessuno aveva pensato.Crediamo, e ne siamo convinti, che
questo originale lavoro di Nicolò La Perna, non solo contribuirà a conoscere
meglio la folk singer licatese e a tramandarne la memoria, ma riceverà
l‟approvazione e il plauso della critica dello specifico settore e di quanti di
Rosa si sono occupati e continuano ad occuparsi, ma soprattutto potrà
contribuire ad accelerare il progetto del nipote di Rosa, Luca Torregrossa, che
vuole creare a Licata un museo che custodisca tutte le cose che appartennero
alla nonna, che affettuosamente lui continua a chiamare mamma, certo, come
lo siamo anche noi, che debba essere Licata a valorizzare questa sua umile
figlia, ma grande e illustre interprete della canzone popolare. Ci auguriamo
che, seppure nelle difficoltà politiche e finanziare che vedono al momento
soccombente il nostro Comune, gli amministratori sappiano recepire e fare
proprie tutte le proposte che vengono da più parti e con l‟unico scopo:
conservare e valorizzare la memoria di Rosa Balistreri
Calogero Carità
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BALISTRERI EMANUELE
padre di Rosa Angelino
cugino di Rosa
1° fidanzato di Rosa
ANGELA TORREGROSSA
figlia di Rosa
LUCA TORREGROSSA
nipote di Rosa
affidato dal tribunale a Rosa Balistreri
IL CANTO POPOLARE
La canzone è l‟esternazione di un sentimento intimo, individuale, trascritto
in musica, è simile alla poesia che non ha partitura musicale; quando questo
sentimento da individuale viene recepito e cantato da molti diventa con il
trascorrere del tempo canto di tutti, perde la peculariarità e il ricordo del singolo
autore ed assume i connotati del canto popolare, entra a far parte della cultura di
un popolo e viene tramandato per molte generazioni oralmente da padre in
figlio, specie nelle comunità agro-pastorali, per essere riscoperto dopo molti
anni da studiosi di etnomusicologia, una branca della musicologia e della
antropologia che studia le tradizioni musicali orali di tutti i popoli, e venire
fissato in forma scritta (testo) o come musica (partitura).
Il canto popolare siciliano è antichissimo perchè antico è il popolo siciliano;
per ogni individuo, di qualsiasi etnia o religione, il canto è spontaneo ed
accompagna i vari momenti della giornata, i cicli stagionali. Vi sono canti di
lavoro (servivano in lavori usuranti e manuali a rendere meno gravoso il lavoro,
come i canti spirituals per i negri) canti religiosi, ninne nanne, canti d‟amore e
di passione; canta il contadino, canta il minatore, ma anche il fabbro ed il
ciabattino, canta la cameriera e la signora, canta il bambino con le filastrocche,
canta l‟anziano nel raccontare le fiabe, insomma il canto è la continuazione
della parola e lo si ritrova in tutte le culture.
La Sicilia è stata terra di dominio per tanti popoli, dai greci ai romani, dai
cartaginesi agli arabi, dai normanni ai francesi ed agli spagnoli. Ogni
dominatore si è integrato con i dominati, si sono mescolate le parlate, i mestieri,
i canti, le poesie, le nenie, le filastrocche, i canti religiosi; dall‟incontro della
civiltà primitiva siculo-sicana impreziosito dall‟esperienza greca delle colonie
elleniche, e poi dalla cultura romana, araba, normanna, francese e spagnola, in
una parola da questo coacervo di popoli, di costumi, di religioni, nasce il
siciliano parlato, una vera lingua capace di esprimere tutti i sentimenti
dell‟animo umano, dall‟amore alla rabbia, dalle dolci ninne nanne alle triste
canzoni funerarie, dalle serenate all‟innamorata alle storie epiche di uomini o di
eventi storici particolari, dai canti dei bambini ai canti dei lavoratori; nascono
così le poesie e le canzoni cantate dapprima dall‟autore e poi per gradimento
cantato da altri fino a confondersi l‟identità singola del compositore e divenire
identità collettiva: canzone popolare.
Il canto popolare 15
Molti canti sono invece cantati per svago, per diletto e tra questi ci sono gli
stornelli d‟amore, le serenate, i contrasti; la gran maggioranza dei canti
tramandatici dagli studiosi hanno come tema la bellezza della donna con
serenate e stornellate indirizzate al gentil sesso. Interessanti sono i canti
religiosi, i canti di Natale, della Settimana Santa, ed in onore dei santi, tra i
quali spiccano quelli dedicati a Maria, la Madre di Dio, a San
Giuseppe, a San Calogero, a Santa Rosalia, a Sant‟Agata.
Un aiuto alla riscoperta ed alla conservazione della musica popolare
oltrechè dagli studiosi di musica popolare che ci hanno lasciati centinaia di
testi e partiture di canzoni è stata dato da Rosa Balistreri, che girando per tutta
la Sicilia, in occasione dei suoi concerti ha ascoltato dalla viva voce della
gente molte canzoni, ne ha scritto i versi e con l‟aiuto di amici musicisti ha
riportato in musica molte canzoni e ci lasciato incisi in dischi parte del
patrimonio musicale della canzone siciliana. E‟ un ringraziamento che tutti i
siciliani debbono fare a questa cantante che ha permesso in questo modo il
recupero di centinaia di canti siciliani che altrimenti sarebbero andati perduti.
grazie ai registratori si può registrare un canzone dal vivo e lavorare sul testo e
sulla musica in un secondo tempo con notevole vantaggio in termini di tempo e
di precisione e poi anche le registrazioni possono formare archivi di canzoni per
gli studiosi di domani o comunque restare una fedele traccia di una canzone
popolare da lasciare ai posteri.
Tra gli studiosi della canzone popolare alcuni hanno lasciato una traccia
indelebile del loro lavoro in molti libri che oggi possiamo consultare e che sono
le uniche fonti di alcune canzoni che altrimenti si sarebbero perse nel tempo.
Tra questi studiosi alcuni meritano, per il loro lavoro certosino di raccolta, di
essere menzionati: Giuseppe Pitrè, Lionardo Vigo, Alberto Favara, Salvatore
Salomone Marino, Francesco Paolo Frontini; i testi di questi studiosi sono tra i
libri preferiti da Rosa Balistreri, infatti basta consultare la collezione di libri di
Rosa per scoprire come la folk singer licatese non è stata una cantante
sprovveduta ma ha consultato i libri degli studiosi del passato facendo rivivere
con la sua interpretazione le più belle canzoni siciliane; a tal proposito è da
sottolineare come alcune canzoni della Balistreri siano un mix nel testo di varie
canzoni diverse con il risultato di formarne una nuova.
Lionardo Vigo Calanna marchese di Gallodoro (Acireale, 25 settebre 1799
- 14 aprile 1879), poeta, filologo e politico italiano, fin da giovane si interessò di
poesia, di tradizioni popolari, di costumi e vita della gente siciliana.
Fu deputato alla Camera dei Comuni italiana.
Pubblicò nel 1857 la “Raccolta di canti siciliani” frutto del lavoro intenso di
ricerca e raccolta di canti in varie paesi della Sicilia durato più di 20 anni. La
raccolta contiene migliaia di canti siciliani, franco-lombardo, siculo-lombardo e
albanesi ed è divisa in canti dedicati a: bellezza della donna, bellezza dell'uomo,
serenate, ingiurie, canti morali, canti religiosi, indovinelli o 'nniminagghi; le
canzoni sono riportate soltanto nel testo non avendo il Vigo nozioni musicali tali
da potergli permettere la scrittura delle partiture. Nel 1870 pubblicò la
“Raccolta amplissima di canti popolari siciliani” un‟edizione che ampliava il
numero di canzoni e di paesi siciliani interessati. Scrisse altre opere sulla Sicilia
e sulla cultura siciliana: Cenno sull'arte drammatica e del teatro in Sicilia
(1833); Notizie storiche sulla città di Aci-Reale (1836), Il Ruggiero, poema
epico (1838).
La vasta raccolta di canzoni siciliane fu studiata da Giuseppe Pitrè, che ebbe un
ampio carteggio con il Vigo sul tema delle tradizioni e delle canzoni siciliane.
E‟ presente nella raccolta di libri “donazione Rosa Balistreri” nella biblioteca
comunale di Licata la raccolta di “Canti popolari siciliani” del Vigo,
Le fonti del canto popolare 19
quelli di Vigo”, Ed. Giliberti 1887 (vi sono 748 canti solo in versi); “Canti
popolari siciliani nel secolo XVI, XVII e XVIII” , Palermo 1982 “Costumi e
usanze dei contadini di Sicilia”, 1879 “Spigolature storiche siciliane”, Ed Luigi
Pedone Lauriel, 1887 “Leggende popolari siciliane”, Ed Luigi Pedone Lauriel
1880 “Aneddoti, proverbi e motteggi” illustrati da novellette popolari siciliane;
Il Marino Salomone viene ricordato soprattutto per il libro “La baronessa di
Carini”, Ed. Tipografia del Giornale di Sicilia 1870, ripubblicato in 2 edizioni
da Luigi Pedone Lauriel, 1873 dove oltre al poemetto popolare anonimo del
secolo XVI scritto in dialetto siciliano, l‟autore riporta le sue ricerche storiche
sull‟accaduto con scritti e documenti riportanti le motivazioni del genitore
assassino, e della giustizia spagnola che per motivi d‟onore scagionava il padre
della baronessa.
Nei suoi libri oltre alla citata “La baronessa di Carini” troviamo alcune canzoni
del repertorio di Rosa Balistreri tra questi: Lassarimi accussì al n° 577 del libro
Canti popolari; M‟arrusicu li gradi al n° 591; Nun dormu né riposu a tia
pinsannu al n° 125 è una variante della famosa canzone “Mi votu e mi rivotu”;
Morsi cu morsi al n° 558; Quantu basilicò al n 228; Stanotti la me casa al n°
285; Vinni a cantari ad ariu scuvertu al n° 266;
Alberto Favara (Salemi 01/03/1863 – Palermo 29/09/1923, etnomusicologo e
compositore italiano. Seguì gli studi musicali al conservatorio di Palermo. Si
interessò di storia della musica ed in particolare di quella popolare. Comprese
l‟importanza dello studio della musica popolare ed ad essa dedicò molti anni di
ricerche sul campo, portando all‟attenzione di studiosi e letterati il mondo della
canzone popolare siciliana. Il Favara ha raccolto un migliaio di canti popolari
scrivendo la linea melodica, le parole, il ritmo, annotando altresì paese, nome,
età e mestiere del cantore concludendo con delle note tecniche di straordinaria
importanza. I risultati delle sue ricerche furono pubblicate in vari libri: “Le
melodie di Val Mazara” (1903), “Canti e leggende della Conca d'Oro” (1903),
“Il ritmo nella vita e nell'arte popolare in Sicilia” (1904), “Canti della terra e
del mare di Sicilia” (25 canti Ricordi 1907), “Canti della terra e del mare di
Sicilia” ( 2° volume 20 canti Ricordi 1921). Un terzo volume dei “Canti della
terra e del mare di Sicilia” fu pubblicato postumo dal genero Ottavio Tiby (25
canti Ricordi 1954). Un quarto volume è stato pubblicato nel 1959.
L‟opera omnia con il titolo di “Corpus di musiche popolari siciliane” fu
pubblicata postuma dal genero Ottavio Tiby nel 1957.
Le fonti del canto popolare 22
Presso il Museo etnografico siciliano sono stati depositati dagli eredi i lavori
manoscritti del grande studioso. Tra i libri di Rosa Balistreri è presente un libro
di canzoni siciliane edito dalla figlia di Alberto Favara “Scritti sulla musica
popolare siciliana” che riporta alcune canzoni presenti nel “Corpus”; tra queste
spicca “La leggenda du friscalettu”, e Stanotti in sonnu al n° 177.
Scrisse l‟opera teatrale “Marcellina” .
Altri studiosi della musica popolare siciliana sono: Leopoldo Mastrigli,
Alessio Di Giovanni, Santi Correnti, Giacomo Meyerbeer, Lizio Bruno con
“Canti scelti del popolo siciliano” e molti altri autori minori.
Non tutti i canti del repertorio di Rosa Balistreri compaiono nelle raccolte di
canti siciliani dei vari studiosi, alcune persone che hanno conosciuto Rosa e che
io ho contattato, riferiscono che nel corso della sua attività artistica, la cantante
si fermò in molti paesi siciliani, dove con l‟aiuto di amici fidati faceva ricerche
di canti popolari siciliani, insieme a questi amici si recava dalle persone
segnalate per sentire dalla loro voce le canzoni, prendeva appunti sul testo,
mentre i suoi amici musicisti scrivevano le partiture musicali.
Questo lavoro, poco conosciuto da molti, e che la impegnava quotidianamente,
ha fatto in modo che molti canti popolari venissero salvati dall‟oblio del tempo;
da rimarcare come molti musicisti, compositori, poeti hanno contattato Rosa,
facendole ascoltare le loro composizioni e i canti popolari provenienti dai loro
territori. Rosa prendeva appunti su questi canti e spesso cantava insieme a
costoro quando si esibiva nei loro paesi, dando visibilità a cantautori e
compositori poco conosciuti. Un‟altro punto importante da sottolineare è che
Rosa Balistreri non cantava le canzoni prelevate dalle raccolte dei vari studiosi
come erano state raccolte e trascritte sia dal punto di vista testuale che musicale,
ma Rosa li elaborava secondo la sua creatività poi metteva del suo sia per le
parole che risultavano alla fine un collage di vari testi precedenti sia per la
musica che, seguendo la linea melodica degli studiosi, faceva sua con variazioni
personali, aggiunte o sottrazioni di parti musicali, per cui Rosa, pur non essendo
musicista nel senso stretto della parola, non conosceva infatti gli elementi
musicali, riusciva a variare il contenuto musicale mettendoci il suo estro di
donna popolana e di cantautrice. Per alcune canzoni su testo di Buttitta o di altri
poeti Rosa ha composto la linea musicale per cui è ritenuta anche compositrice
musicale.
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Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill 10 Sill 11
Sill 1 Sill 2 Sill 3 Sill 4 Sill 5 Sill 6 Sill 7 Sill 8 Sill 9 Sill Sill
10 11
Gli accenti possono essere spostati su altre sillabe, per cui l‟endecasillabo è
molto duttile e per questo usato per quasi tutte le canzoni siciliane. In
genere l‟endecasillabo è composto da 11 sillabe, raramente da 10
(endecasillabi tronco) o da 12 sillabe (sdrucciolo)
I versi sono riuniti in gruppi (strofe) di un numero pari di versi con varie
rime. L'unica strofa italiana dispari è la terzina (con rima: ABA); per questo
motivo in genere ne vengono accoppiate due, come nel sonetto,
Le rime possono essere : baciate (AA), nelle quartine, 4 versi, le rime
assumono varia forma AABB, ABAB, ABBA, nella sestina comunemente
ABABAB, ABABCC, nella ottava, otto versi, la rima comunemente è
ABABABAB detta "ottava a siciliana" oppure ABABABCC detta "ottava
toscana". Un accenno all‟accento ritmico musicale. In ogni canzone
bisogna adattare l‟accento del testo all‟accento ritmico musicale che in
genere è dato dal tempo in battere; ad esempio il tempo 4/4 formato da 4
semiminime, di ¼ ciascuno, ha l‟accento musicale forte o primario nella
prima semiminima, e l‟accento secondario nella terza semiminima.
Nel tempo ¾, chiamato anche tempo di valzer, formato da tre
semiminime, l‟accento musicale forte o primario cade sulla prima
semiminima.
in questo caso c‟è coincidenza tra accento del testo e accento musicale.
anche in questo caso c‟è coincidenza tra accento del testo e accento
musicale, considerato che il tempo musicale è ternario e l‟accento del testo
viene messo ogni tre sillabe 1/4/7/10.
L'accento ritmico quindi da il ritmo alla canzone. Ogni brano musicale si
divide in accenti forti o deboli organizzati nella cellula ritmica che è la
battuta. Esistono battute binarie, ternarie e quaternarie.
Nella battuta binaria si ha un accento forte e un accento debole. Nella
battuta ternaria generalmente un accento forte e due accenti deboli, nella
battuta quaternaria si hanno un accento forte seguito da un accento debole
e da un accento mezzoforte e poi ancoa uno debole, per distinguerlo
dall'accento forte dell'inizio della battuta.
Il ritmo esiste in natura, esempio l‟alternarsi del giorno e della notte, delle
stagioni, il movimento delle onde del mare, il battito cardiaco o la
respirazione.
La musica non può avvenire senza il tempo. Il ritmo è la disposizione
dei suoni nel tempo. Con questi pochi elementi di metrica del testo e di
ritmica musicale si possono catalogare le varie canzoni, riuscendo a
comprendere meglio le modalità strutturali del testo e della musica di una
canzone.
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Queste altre modalità (dorico, frigio, lidio, misolidio, locrio) vengono formate a
partire da ogni grado della scala naturale, proseguendo nella scala naturale
senza l'intervento delle alterazioni (diesis o bemolle). I nomi di queste modalità
vengono date dalle regioni greche e dalle corde usate nel tetracordo (specie di
chitarra con quattro corde) nelle varie regioni della Grecia.
Ad esempio il dorico si forma a partire dal secondo grado Re con questa
sequenza di note: Re, mi, fa, sol, la, si, do, Re e con questa sequenza di toni e
semitoni: T-S-T-T-T-S-T che è diversa dal modo maggiore e minore, infatti fra il
secondo e terzo grado, quindi fra il mi e il fa c'è il semitono.
Il modo frigio si forma a partire dalla terza nota Mi con questa sequenza di note:
Mi, fa, sol, la, si, do, re, Mi e con questa sequenza di toni e semitoni: S-T-T-T-S-
T-T. Risultano nuove scale armoniche che una volta erano usate per le canzoni
di allora.
Il modo Lidio nasce dalla sequenza di note a partire dal 4 grado Fa, il modo
Misolidio a partire dal 5 grado Sol, il modo Locrio a partire dal settimo grado
Si.
Nelle molte canzoni del Corpus del Favara 335 sono in modo dorico, 23 frigio,
145 lidio, 5 misolidio. (1)
Il nostro orecchio musicale, abituato alla musica tonale, mal comprende le altre
modalità, che assomigliano a musiche arabe, indiane ecc. Una volta invece
epoca greca e mediovale le altre modalità erano comuni e l'orecchio era
assuefatto alle altre modalità.
Le canzoni del repertorio della Balistreri sono tutte riconducibili alle due
modalità oggi affermate, la maggiore e la minore non trovandosi quindi le altre
modalità primitive.
La struttura musicale della canzone siciliana è molto semplice, come semplice e
genuino è il popolo che la canta e si fonda su pochi e scelti accordi, su una linea
melodica, frutto dell‟integrazione di dominazioni varie, di connubio con civiltà
diverse; è caratterizzata dalla trasmissione orale e da una struttura formale e
compositiva poco elaborata.
C‟è da premettere che quasi tutte le canzoni del repertorio di Rosa Balistreri
sono canzoni popolari e quindi di autore sconosciuto, rimaneggiate nel corso
degli anni e cantate dal popolino che spesso non ha nozioni di musica
approfondita e usa pochi accordi per accompagnarsi alla chitarra; come per tutte
le canzoni popolari di qualsiasi parte della terra gli accordi suonati sono quelli
di tonica, di quarta o sottodominante e di quinta o dominante; sicuramente
musicisti molto validi riescono ad accompagnare le canzoni siciliane
usando molteplici accordi, nel nostro caso ci soffermeremo solo agli
accordi di tonica, sottodominante e dominante.
Do Re Mi Fa Sol La Si Do
Tonica sottodominante dominante
Molti canti popolari, nati per svago o per aiutare con il loro ritmo il lavoro
non hanno bisogno di accompagnamento musicale, alcuni invece come le
serenate, i canti religiosi processionali o natalizi si avvalgono di strumenti
musicali semplici quali chitarre, tamburini, fisarmoniche, ciaramelle etc.
Gli strumenti usati nella musica popolare siciliana possono essere divisi in
strumenti a corde: mandolino, chitarra, a volte violino o violoncello, strumenti a
fiato (lo zufolo o flauto di canna detto anche friscalettu, ciaramella o zampogna
specie per i canti natalizi, “la quartara o bummulu” (è un vaso di creta che viene
suonato soffiando all‟interno in un modo particolare e caratteristico che ne
determina un suono da basso) “a brogna”, (grossa conchiglia) e strumenti a
percussione: lo scacciapensieri “marranzano, mariolo o „gannalarruni”, “u
tammureddu” siciliano (oltre alla pelle tesa presenta piccole piastre metalliche
accoppiate e girevoli su un filo di ferro), il cerchietto , “circhettu” è una specie di
tamburello vuoto con piastre metalliche accoppiate e a volte campanellini, viene
battuto con un polso per segnare il ritmo e spesso in coppia con la ciaramella,
“u tammurinu”, tamburo di circa 60 cm di diametro, ed infine “u timpanu”,
strumento triangolare in acciaio e le castagnette, specie di nacchere in legno.
La musica popolare è spesso collegata col ballo e serve da supporto alla danza,
pensiamo alla canzone “Abballati, abballati, fimmini schetti e maritati” il canto e
la musica di questa canzone si sublima e si completa con la danza, per cui
canzone e danza diventano un tutt‟uno.
Balli come la tarantella (di origine calabro-pugliese) acquistano vitalità e
nuova linfa in terra di Sicilia, così come la controdanza e il balletto siciliano
ballato ormai soltanto dai gruppi folkloristici.
32
1) vedi il libro su Rosa Balistreri di Camillo Vecchio "U cuntu ca cuntu. La vita di Rosa
Balistreri", a pag 32.
I libri editi su Rosa 33
primi concerti specie alle feste dell‟Unità; la quarta parte: il ritorno a
Palermo da cantante riconosciuta, i concerti nelle feste paesane e nei teatri
siciliani, il teatro, la televisione, l‟incisione di ulteriori dischi, le tourneè
all‟estero, la frequentazione di Buttitta, Sciascia, Guttuso, Marcello
Carapezza ed altri siciliani importanti che danno ulteriore avvallo alla
grandezza di questa artista che con la acquisita tranquillità economica da il
meglio di se stessa venendo così riconosciuto in tutto il mondo il suo valore
artistico, gli ultimi anni con le difficoltà anche economiche derivate dal
diminuito interesse per la musica siciliana e folkloristica in genere per
l‟affermazione di altri generi musicali, ed infine la morte improvvisa per
ictus cerebrale.
Il libro è di notevole interesse non solo per le notizie sulla vita
dell‟artista, ma soprattutto perché da uno spaccato della vita della
popolazione licatese degli ultimi anni del fascismo, degli anni della seconda
guerra mondiale, degli anni post bellici ma anche della vita palermitana e
fiorentina, degli anni della rinascita economica italiana dal 1960 fino al
1980, della vita culturale palermitana e siciliana in genere.
Nel libro viene descritto il modo di vivere di quegli anni, le case della
povera gente, la mancanza del lavoro e l‟arte d‟arrangiarsi della gente
comune per poter mangiare e vivere, i vari umili lavori, andare a “spicari”
(1), raccogliere lumache, verdura selvatica, fare la lavandaia o la “criata” (2).
Vi vengono descritti le modalità dei matrimoni, il cosiddetto matrimonio “a
banca” civile, contratto al comune e che seppur valido a tutti gli effetti legali
era visto come una promessa e a volte fatto per poter prendere quei soldi (la
matrimoniale) che lo Stato italiano, (periodo fascista), dava alle nuove
coppie che convolavano a nozze con lo scopo non del tutto recondito di
mettere al mondo figli, un giorno soldati; il tipico matrimonio “purtatu” (3)
di allora celebrato non per amore ma per patto e convenienza tra famiglie per
cui gli sposi non si conoscevano nemmeno ma subivano la volontà dei
genitori nella scelta del partner.
Questo libro si sofferma molto sulla vita licatese, palermitana, fiorentina,
poco invece si sofferma sulla vita di Rosa cantante affermata, sui concerti
della sorella e del padre. Forse mai tante disgrazie, tanta malasorte, sono
piombate su una stessa persona; probabilmente molti di noi nelle sue
condizioni sarebbero impazziti o si sarebbero suicidate, in verità ci ha
tentato la stessa Rosa senza riuscirci, ma da queste disgrazie Rosa ha
saputo trovare con tenacia la forza del riscatto con il canto, la stessa
pervicacia con cui la malasorte si era accanita contro la sua persona, Rosa
ha saputo mostrare mettendo la forza d‟animo, il coraggio, la sua
indomabile grinta nella vita e nel canto; solo conoscendo la vita travagliata
di Rosa si comprende la forza del suo canto, la sua voce stridente e
possente, le sue interpretazioni teatrali, la sua rinascita, la voglia di
riscatto. Neanche le più dure tragedie hanno fiaccato l‟animo di questa
indomabile siciliana.
Un altro libro su Rosa Balistreri è stato scritto da Camillo Vecchio,
giornalista decano di Licata : "U cuntu ca cuntu. La vita di Rosa Balistreri"
(Gruppo Edit.DMG). stampato a San Cataldo, 192 pagine.
E‟ un libro un pò particolare, perché, prendendo lo spunto dal racconto
della vita di Rosa Balistreri e dei personaggi vicini alla cantante, diventa
un ricco repertorio di usi e costumi del popolo licatese. La vita di Rosa
serve come collante all‟autore per raccontare la vita della povera gente
licatese, specie del quartiere Marina ed in particolare della via Martinez,
dove viveva Rosa Balistreri, le credenze popolari degli anni del fascismo e
del periodo postbellico: “patruneddi casa” (1), “ a draunara” (2), a “Ran
Gela” (3), a Petra da Provvidenza, (4), “u cunzulu” (5), personaggi tipici
licatesi come “Ciciu a moscia”, uno scemo del paese, “don Bilasinu” un
esperto falegname, a “za Ninidda a Caraia” barometro del quartiere
Marina, a “Za Mena a Missina” che con le preghiere leva i “vermi” degli
infanti, e le orfanelle del Carmine che dietro pagamento alla Madre
Superiore facevano ala orante nei cortei funebri con le loro preghiere ma è
anche un libro di eventi storici: il re dello zucchero di Cleveland “Puppinu
u Nardu” detto Sugar King, il periodo fascista con le gaffes del Duce, lo
sbarco degli americani a Licata, la rivolta licatese del 1944. E‟ un prezioso
libro dei tempi che furono, una testimonianza storica della vita di tutti i
giorni, delle paure della povera gente, delle terapie delle guaritrici contro le
varie malattie, di alcuni personaggi tipici veramente esistiti a Licata.
Molto si sofferma l‟autore sul marito di Rosa “Iachinazzu” lo chiama
Giacomo Torregrossa (in verità il suo nome è Gioacchino) definendolo
1) spiriti benigni delle case 2) la megera che si trasforma in tromba marina inghiottendo
barche e marinai 3) un sotterraneo misterioso 4) un sasso in fondo al mare con poteri
magici. 5) il pranzo portato dai parenti stretti ai familiari di un morto
I libri editi su Rosa 36
azzuffarsi con i più forti bambini del quartiere, una donna bella, coi capelli
biondi (cosa non comune per l‟epoca) desiderosa di riuscire nella vita, capace di
ogni cosa pur di arrivare al suo traguardo, una donna attraente che si faceva
guardare e questo per Iachinazzu, uomo di quell‟epoca in cui il femminismo era
di la da venire e in cui comandava il maschio in famiglia, non era accettabile e
da questo contrasto tra la forte personalità di Rosa e quella del marito si ha il
cortocircuito che porta all‟accoltellamento con la lima e alla separazione. Da
quel momento, separatosi dalla moglie, Iachinazzu frequenta le botteghe di vino
giornalmente e si unisce ad altri amici ubriaconi e diventa alcolizzato per
dimenticare la sua triste storia con Rosa. Finisce la sua vita a Ventimiglia, dove
disintossicatosi dall‟alcool “esercitò tutti i mestieri con molta dignità”. E‟
l‟unico libro che mostra varie foto di “Iachinazzu”,
Se per i tre quarti del libro di Vecchio la vita di Rosa è solo un filo
conduttore mentre la protagonista assoluta è Licata con le sue viuzze, la sua
gente, le credenze popolari con i personaggi tipici, l‟ultima parte del libro è
dedicata a Rosa Balistreri e particolarmente alla vita fiorentina di Rosa, il suo
inserimento nella vita sociale e culturale, la sua spregiudicatezza nel lavoro di
fruttivendola e nel rapporto con gli uomini. E poi il successo, l‟incontro con
Franca Rame, moglie di Dario Fo, lo spettacolo “Ci ragiono e canto”, i primi
dischi, la televisione, i concerti, e la sicurezza economica.
Il Vecchio ci presenta una Rosa Balistreri ormai donna matura, famosa, ma
sempre popolana, rimarca la sua generosità e l‟aiuto dato a quanti bussavano
alla sua porta, l‟amore e la nostalgia per Licata, per le viuzze della Marina, per i
luoghi della sua fanciullezza ed adolescenza. Ci mostra una Rosa reale,
disinibita, in carne e ossa con i suoi difetti e i suoi pregi.
Un ultimo capitolo lo riserva all‟amicizia con Amalia Rodriguez, la regina
del Fado portoghese, gli apprezzamenti che Amalia rivolge a Rosa, ormai
riconosciuta artista mondiale nel genere folk e poi la tragica morte per ictus.
V‟è un ultimo libro su Rosa, scritto dal pediatra Dott. Vincenzo Marrali,
ma ancora non pubblicato: “Morire… davvero” Lo stesso autore dice del suo
libro: “Non è una storia inventata, ma la realtà è stata vista e descritta con gli
occhi del ricordo fantastico e della nostalgia di anni infantili, in cui il gioco
comune è stato il momento più gioioso di un'infanzia per altri aspetti non
felice”.
Il nome di Rosa Balistreri è cambiato in Anna Lauria, Bologna è Firenze,
via Adamo è vìa Martinez e sono il contraltare delle viuzze in cui sì svolse la
prima parte della sua vita, la più difficile e, insieme, quella dei sogni e della
I libri editi su Rosa 38
1) vedi la testimonianza di Serena Lao a pag.164-168 e note sulla vita ed attività artistica
a pag. 94.
39
Rosa è la voce dell‟Addolorata che cerca suo figlio; è qui che si capisce che Rosa
non è atea, Rosa fa parte del popolo siciliano, che è fortemente religioso, è una
tra le più belle rose siciliane, e da Lei, mentre affronta i temi religiosi, esce fuori
una religiosità schietta, sincera. Basta ascoltare il finale di “Avò” “Ora
s‟addummisciu, la figghia mia, guardatimilla vui, Matri Maria.” per comprendere
con quale dolcezza, con quanto amore raccomanda la figlia alla Madonna, è una
preghiera accorata di chi non solo crede alla Madonna, ma di chi affida il bene
supremo di ogni donna: i figli alla Madre Celeste.
Questo è il mio pensiero che del resto contrasta con altre canzoni di aperto
contrasto con la religione e i preti. In alcune canzoni la mafia ed i preti e quindi
la religione sono uno dei mali che affliggono la povera gente. Molto si è parlato e
scritto sui rapporti tra mafia e religione. Augusto Cavadi nella ”Storia della
chiesa” afferma “Gli eventi storici, sino agli episodi più recenti, insegnano che i
rapporti fra mondo cattolico e ambienti mafiosi ci sono stati e non senza
conseguenze di rilievo, spesso in piccoli paesi rurali, anche se in pochi episodi.
Queste situazioni di stretto rapporto tra mafia e preti, riportano alla mente alcuni
versi del poeta dialettale Ignazio Buttitta (Bagheria 1899 - 1997), autodidatta e
profondamente ancorato alla cultura siciliana, scritti proprio per una canzone che
canterà Rosa. “Mafia e parrini (preti) si dittiru la manu: / poveri cittadini, / poviru
paisanu! /…../ - oppure - chi semu surdi e muti? / rumpemu sti catini! / Sicilia
voli gloria, / né mafia né parrini!” nella canzone “Mafia e parrini” ed ancora “se
pensu ca la mafia è nda l‟artari.” nella canzone “La ballata del prefetto Mori”.
Bisogna però ricordare che esistono preti che si sono schierati e si schierano
ancora oggi dalla parte di chi subisce le angherie e l‟invadenza opprimente degli
uomini della mafia, consci della forza bruta della mafia che si vendica di chi osa
contrastarla con atroci ritorsioni anche fino alla morte.
Così è stato per don Pino Puglisi che, svolgeva quotidianamente azione educativa
e sociale in contesti economici depressi e in mezzo a bambini che crescono nelle
strade, come nel famoso quartiere Brancaccio di Palermo, dove venne ucciso il
15 settembre 1993, su mandato dei fratelli Graviano, da Salvatore Grigoli, il
quale, in uno dei tanti interrogatori, affermava “per noi la chiesa era quella che se
c‟era un latitante mafioso, lo nascondeva. Sapevamo che la chiesa di padre
Puglisi era sempre stata una chiesa diversa”. E questo la mafia non lo poteva
consentire. Basta ricordare il famoso discorso di Giovanni Paolo II nella valle dei
templi dove rivolgendosi agli uomini della mafia affermava con forza: “Pentitevi,
verrà il giorno in cui dovete rendere conto delle vostre azioni”.
Bisogna distinguere il ruolo che Rosa aveva assunto pubblicamente con la
partecipazione a molti concerti dell‟Unità dove si uniformava alla dottrina del
Partito Comunista e da qui la canzone “Mafia e parrini” o “Lamentu di un servu a
Rosa ed il fenomeno religioso 41
ROSA E LA POLITICA
Rosa Balistreri fino alla vita fiorentina, quindi fino a circa 30 anni non
si occupò di politica intesa come ideologia o come attivista di un partito
politico. I problemi che Rosa doveva affrontare erano altri: primo fra tutti
lavorare per sopravvivere, poter comprare da mangiare per lei, la piccola
Angela e il fratello paralitico. Sia a Licata che a Palermo dovette darsi da
fare con tanti lavori per soddisfare le elementari esigenze che la vita
impone: avere un tetto, vestirsi, nutrirsi, cosa non facile per moltissima
gente in quel periodo postbellico.
Non aveva tempo, né preparazione per dedicarsi alla politica; del resto la
politica, in quei tempi, era un affare per uomini, e non per tutti gli uomini,
solo per chi avesse un po‟ di cultura ed è risaputo che gli analfabeti
superavano di gran lunga coloro che sapevano leggere e scrivere.
Del resto il voto alle donne in Italia fu permesso nel 1945 con il
referendum monarchia - repubblica, l‟emancipazione femminile nel
periodo fascista e prebellico era di la da venire; il concetto, arcaico, era che
il compito della donna era occuparsi dei figli, della famiglia; è quindi
normale e logico che Rosa, come tutte le donne del popolo, non si
occupasse di politica.
Diversa è la posizione di Rosa nel periodo fiorentino. Rosa comincia a
lavorare, apre insieme ad un socio una bottega di frutta e verdura, comincia
a salire il gradino sociale, ora ha una casa, anche se non confortevole, ma è
sempre una casa, ha la domenica libera, nella quale uscire con dei ragazzi e
andare a divertirsi e poi la società fiorentina è più aperta di quella
meridionale; che una ragazza esca con un ragazzo, cosa improponibile in
Sicilia in quei tempi perché giudicata una poco di buono, a Firenze era già
entrata nella mentalità comune come cosa normale e non peccaminosa, e
poi l‟incontro con Manfredi, un pittore con molte amicizie importanti, la
avvicina al mondo culturale e politico.
Conosce Buttitta e Ciccio Busacca, duo ben amalgamato, Rosa
comincia a cantare e molti sono i concerti nelle feste dell‟Unità, feste del
partito comunista. Grazie alle serate delle feste dell‟Unità non ha bisogno
di lavorare nel negozio o di fare la cameriera, per cui passa molte ore
prima e dopo i concerti a parlare con la gente del partito, gente umile,
Rosa e la politica 44
In un intervista data negli ultimi anni della vita viene chiesto a Rosa se non
avesse paura delle ritorsioni della mafia contro la sua persona, rispose in
modo chiaro “e che mi ponnu fari, chiossà di quantu haiu suffrutu un pozzu
soffriri”
Due amici di Rosa con i quali intrattenne solida e sincera amicizia
furono ammazzati in modo crudele dalla mafia siciliana: il magistrato
Cesare Terranova e il segretario del PCI siciliano Pio La Torre. La loro
morte avvenuta per aver contrastato gli interessi mafiosi non fecero
cambiare a Rosa le idee sulla mafia anzi le rafforzarono per cui continuò a
cantare e a parlare sempre di mafia assassina e contro gli interessi del
lavoratore e del popolo siciliano.
Oggi che il fenomeno mafioso è meno cruento di un tempo, lo Stato ha
ottenuto grosse affermazioni e vittorie contro la mafia, grazie anche alla
collaborazione dei «pentiti», per cui nel 1993 si è arrivati a risultati
clamorosi, come la cattura del «boss dei boss», Totò Riina, a Palermo,
dopo 23 anni di latitanza; e del «boss» Nitto Santapaola a Catania, capo
riconosciuto della mafia della Sicilia orientale e dello stesso Provenzano,
dobbiamo dire grazie alle forze dell‟ordine, grazie a tanti cittadini che
hanno contrastato la mafia ma grazie anche a questa cantante, a questa
donna siciliana che in periodi difficili ha saputo denunciare il fenomeno
mafioso senza paura e con coraggio nella sua vita e nella sua attività
artistica.
49
ROSA E LICATA
Licata non offriva, come molti paesi della Sicilia, nulla alla povera gente.
Neanche un matrimonio con la persona che si vuol bene può offrire
Licata, perché l‟usanza del tempo voleva che la sposa portasse la dote e
Rosa non aveva nessuna dote disponibile per cui è costretta a rinunciare ad
Angelo, suo cugino che Rosa amava per sposare “Iachinazzu” certo
Gioacchino Torregrossa che lei stessa definirà “latru, jucaturi, „mbriacuni”
e che in un impeto d‟ira lo colpirà con una lima, trafiggendogli il collo,
finendo nel carcere cittadino sotto la cupola di Sant‟Angelo.
La gente la giudica male, perché è consuetudine che ogni sposa debba
sopportare pazientemente anche i sorprusi del marito e sottomettersi: la sua
ribellione non viene compresa e l‟epiteto di “puttana” gli viene stampato
addosso. L‟unica alternativa in questo caso è andare via dal paese ed è
quello che fa Rosa andando a Palermo, Firenze e poi ritornando in Sicilia
sempre a Palermo.
Il rapporto tra Rosa e Licata è un rapporto di amore-odio; amore
perché le ha dato i natali, per i pochi ricordi belli della fanciullezza e della
giovinezza, odio per essere stata umiliata, derisa, incarcerata. Neanche
quando ormai affermata e osannata su giornali, televisioni, con spettacoli
effettuati in mezzo mondo la città di Licata si ricorderà di questa figlia. Nel
dopoguerra tutte le amministrazioni comunali succedutesi al Palazzo
comunale di Licata sono democristiane e Rosa è apertamente comunista
frequentando le case del popolo ed esibendosi nella prima parte della sua
carriera quasi esclusivamente nelle feste dell‟Unità; può quindi appararire
logico e scontato l‟ostracismo dei politici licatesi verso Rosa; questo è
l‟atteggiamento dei sindaci e dei politici licatesi che guidano la città: Rosa
ha fatto la sua scelta politica che contrasta con la nostra e quindi, anche se
famosa per gli altri, per Licata non esiste: nei trenta anni di carriera verrà a
Licata per una festa dell‟Unità, per ricevere un premio da una associazione
licatese (non sarà presente il sindaco) e negli ultimi anni di vita, quando la
notorietà di Rosa è conclamata anche come artista di teatro,
l‟amministrazione licatese la invita ad un concerto in piazza Sant‟Angelo
dove a dire della stessa cantante c‟era un palchetto, una lampadina
(neanche fari) e uno scassato strumento d‟amplificazione audio, di questo
se ne lamenterà nell‟intervista concessa a Radio Alfa al giornalista
Francesco Pira.(1)
ROSA E LA CULTURA
Rosa fu un ospite assidua della casa sul mare di Buttitta ad Aspra (vicino
Palermo); sulla terrazza Rosa, Ignazio ed altri amici poeti e letterati
trascorrevano rilassanti serate. Ignazio recitava i suoi versi e Rosa con la
sua chitarra cantava, con quella sua voce particolare, sgraziata, ma piena di
vitalità e di forza, i canti della terra di Sicilia; le serate si concludevano con
delle cene frugali a base di tuma (1) olive, pane, sarde salate e vino locale.
L‟amicizia tra Rosa e Buttitta nata complice uno spiccato amore per la
terra e le tradizioni siciliane, sfociò in una collaborazione artistica
fortunatissima: di Buttitta sono i versi e di Rosa ed altri musicisti la
musica di “Mafia e parrini”, Lamentu pi la morti di Turiddu Carnevali, e
altre riuscitissime canzoni.
Rosa conobbe Buttitta nel periodo di vita fiorentina ed intrattenne con
lui rapporti culturali ed artistici molto intensi, fu Buttitta che la spronò ad
incidere canzone siciliane e ad intraprendere la carriera artistica.
Rosa fece diversi spettacoli in piazza e in teatro con Buttitta che recitava i
sui versi, mentre Rosa accompagnata dalla sola chitarra proponeva i canti
siciliani della sua memoria ed i canti scritti dal Buttitta come “La morte di
Turiddu Carnivali”. Rosa le fu grata per l‟incoraggiamento e l‟amicizia
sempre più forte durerà fino alla morte del poeta.
La visuale politica di sinistra dei due coincideva, così come
l‟antagonismo ad un governo italiano che poco si occupava della situazione
economica critica della gran parte dei siciliani, del miglioramento
culturale, lasciando l‟isola sottomessa agli interessi del Nord Italia.
1) )Una culla di legno con materassino dalle cui estremità si partivano a V due corde che
tenevano ferma la culla andando a inserirsi nelle pareti opposte, dentro la culla veniva
imbracato il neonato; la naca tramite una cordicella che arrivava al lettone, veniva dondolata,
specie quando il neonato piangeva in modo da cullarlo e farlo addormentare così da poter far
riposare tutta la famiglia. 2) armadio in legno massiccio
Rosa Balistreri: la vita 64
Gli odori sgradevoli erano una costante di tutte queste case. Non vi era
luce elettrica, e l‟illuminazione serale veniva soddisfatta con i lumi ad
“arsoliu”(1) o con delle candele. Per cucinare si utilizzava u “fucularu” (2)
sopra il quale si metteva la pentola per la pasta o la griglia per arrostire le
sarde o altro pesce azzurro, quando c‟era. In ognuna di queste case
vivevano in media sette, dieci persone, comprensibile quindi il disagio
fisico, lo stress nervoso, la poca privace personale, la miseria, la fame, gli
incesti, comuni in alcune delle case degli abitanti di Licata di quell‟epoca.
Non era raro vedere anche animali nella stanza, gatti (servivano ad
allontanare i numerosi topi) galline, ochette, raramente porcellini, tutti
utilizzati per ovviare alla scarsa quantità di cibi ma che portavano
promiscuità negativa ai fini igienici e sanitari; a tal proposito è mio
personale ricordo il fatto che una mia zia un mese prima di Pasqua ogni
anno usava comprare un agnellino che teneva attaccato alla porta, (lo
comprava 30 giorni prima della pasqua perché più piccolo era e meno lo
pagava), e lo nutriva ogni giorno con erbe e broccoli dell‟ortolano; noi
bambini giocavamo con l‟agnellino; dopo un mese, l‟agnellino finiva,
come piatto prelibato per la Pasqua sulla tavola senza che noi bambini
sapessimo la fine del povero agnellino, perché ci veniva detta la pietosa
bugia che l‟agnellino era stato condotto dalla mamma.
Nel caso della famiglia Balistreri c‟è da aggiungere che il padre,
falegname, utilizzava la stessa stanza dove si dormiva e mangiava anche
come laboratorio di falegnameria, per cui aveva in una parete appesi gli
attrezzi, pialla, sega, utensili vari, il banchetto per il lavoro insieme ai
manufatti da sistemare o già finiti: sedie, tavolini, pale per infornare e per
muratori, bastoni per zappe, e una quantità di legname che usava per
riparare o per costruire arnesi che poi vendeva; proprio in questo marasma
si viveva e non certo bene.
Rosa e la sua famiglia abitavano in una di quelle case, povere, con una
realtà sociale ed ambientale veramente scadente, insieme alle tre sorelle,
Angela, Maria, Mariannina e ad un fratello paralitico agli arti inferiori,
Vincenzo.
Il padre, Emanuele Balistreri, ( Licata 21/04/1896 - † Firenze
07/07/1958) veniva dall‟esperienza di un primo matrimonio finito per la
morte della prima moglie per tubercolosi, malattia molto comune a quei
tempi e spesso ad esito fatale, e contratta per mancanza di igiene e di
1) Attrezzo in legno pianeggiante per impastare il pane o la pasta 2) lavatoi per lavare la
biancheria a mano, 3) raccogliere le spighe rimaste a terra dopo la mietitura 4) lumache.
Rosa Balistreri: la vita 67
altre sorelle, alla madre e al padre; trova lavoro come domestica in una
famiglia fiorentina. Il marito però non sopporta l‟affronto e si reca a Firenze
per convincerla a rientrare a Licata, dietro il suo forte e deciso rifiuto in un
impeto d‟ira, il marito la accoltella uccidendola († 13/05/1957) . I figli di
Maria saranno accolti da Rosa e dalla sua famiglia. Il marito verrà
processato, imprigionato, riducendosi come dice Rosa ad un rudere di uomo;
dopo 20 anni di prigionia Rosa farà un concerto a Milazzo nello stesso
carcere dove sconterà la pena il cognato ed alla fine lo abbraccerà, gli anni
leniscono le pene e i dolori e la vista di quell‟uomo mal ridotto la
impietosisce e Rosa le concede il suo perdono e quello della sorella uccisa.
Le altre due sorelle Mariannina ed Angela si sono sposate a Firenze e li
trascorreranno molti anni, abitando insieme a Rosa a Firenze da nubili, per
poi prendere la loro strada dopo il matrimonio. Spesso Rosa le andava a
trovare a Firenze nutrendo per loro un profondo affetto.
L‟unica figlia che Rosa ha avuto dal matrimonio con Gioacchino
Torregrossa è Angela Torregrossa. La figlia è nata a Licata e dopo la
separazione col marito è stata affidata dal tribunale a Rosa, che l‟ha portata
con se nelle varie peregrinazioni, a Palermo, a Firenze.
Ancora piccolissima la piccola è stata messa in collegio per poter avere una
adeguata cultura e per permettere a Rosa di spostarsi per il lavoro più
facilmente. La figlia Angela ha avuto un figlio, Luca Torregrossa, adottato
piccolissimo da Rosa ed accudito ed amato come un figlio da Rosa. Del
resto lo stesso tribunale di Firenze le aveva affidata la patria potestà. I
rapporti tra Rosa e la figlia non sono stati mai idilliaci, lo afferma la stessa
Balistreri, nel periodo migliore della carriera di Rosa, corrispondente al
periodo palermitano, la figlia ha collaborato con Rosa in vari spettacoli ed in
varie compagnie. Per problemi caratteriali e per incompatibilità i rapporti tra
madre e figlia spesso erano tesi, al limite della rottura.
Attualmente fa la spola tra Firenze e Palermo dove tramite il “Teatro del
sole” cura le memorie e le attività collegate al ricordo di sua madre.
Luca Torregrossa, è l‟unico nipote di Rosa Balistreri, essendo il figlio di
Angela Torregrossa. I rapporti tra Rosa e Luca sono stati sempre ottimi ed
improntati a vero amore filiale. La stessa Rosa l‟ha fatto crescere, gli ha
fatto frequentare le scuole, l‟ha curato, gli ha fatto fare i primi passi nel
mondo dello spettacolo, infatti insieme a Rosa il nome di Luca risulta tra i
protagonisti della “La Lunga notte di Medea “, dello spettacolo teatrale “La
rosa di zolfo” nel 1982 e negli spettacoli classici delle Orestiadi a
Gibellina. Luca è venuto più di una volta a Licata per convegni su Rosa
Balistreri e al momento impiega molto del suo tempo in attività collegate
Rosa Balistreri: la vita 69
Il primo amore non si scorda mai, recita un antico detto, ed è quello che
succede a Rosa. Il suo primo amore è Angelino un cugino di Rosa, figlio della
zia Mariannina. Di lui Rosa avrà sempre un buon ricordo, sia per la prestanza e
l‟aspetto fisico, sia per la correttezza morale, infatti non approfittò mai di Rosa,
pur essendo nelle condizioni di farlo anche con l‟assenso di Rosa, in una
nottata di forte temporale allorché il fidanzato era stato costretto a dormire
nella casa di Rosa, ella dimostrò apertamente le sue intenzioni, ma Angelino
correttamente non ne volle approfittare. Arrivarono persino a mettere gli
annunci del matrimonio, ma non se ne fece nulla perché la zia pretendeva il
corredo a 24, (24 camicie, 24 lenzuola ecc) e il possesso del magazzino di via
Martinez dove la famiglia abitava. Il ricordo di Angelino resterà nel suo cuore
e in una delle poche
visite a Licata, Rosa venuta a conoscenza della malattia di Angelino che si era
poi sposato, volle andarlo a trovare ricordandogli dopo tanti anni che l‟affetto
per lui era sincero.
Un altro pretendente di Rosa fu un soldatino americano; gli americani
erano sbarcati in Sicilia nel 1943, certo Frank, Rosa lo ricorda con nostalgia,
soprattutto i suoi occhioni neri, anche se l‟intento del soldatino era soltanto
quello di avere un rapporto intimo con Rosa, cosa che Rosa non permise; in
quel periodo Rosa aveva quindici anni, un aspetto attraente e un corpo
appariscente e le attenzioni di un giovanotto certamente erano ben accettate,
ma Rosa forte dell‟esperienza di altre ragazze che erano rimaste incinte e
ritenute svergognate da tutti seppe frenare le avances del giovanotto. Lo
cercherà a guerra finita, ma non riceverà più notizie, e non saprà mai se fosse
morto in guerra, e neppure se sopravvissuto si fosse sposato in America,
rimarrà per lei un piacevole ricordo.
72
Vita fiorentina
L‟ultima fermata del treno che Rosa prese insieme al fratello Vincenzo,
era Firenze e lì scesero. (1) Rosa trovò subito lavoro come cameriera ed il
fratello aprì in uno sgabuzzino una bottega di calzolaio. Il lavoro per tutti e
1) In realtà Rosa sapeva scrivere certamente il suo nome, forse per aver frequentato qualche anno
di elementare, ed è dimostrato dalla firma che Rosa stessa appone all‟atto del matrimonio civile
(conservato nella chiesa Madre di Licata) al contrario del marito che appone la croce sempre nello
stesso atto.
Rosa Balistreri: la vita (periodo fiorentino) 75
due andava bene e la vita finalmente sorrideva loro, Rosa affittò a San Frediano
due stanze con servizi, che le permisero di richiamare la famiglia da Licata. Tutti
trovarono un lavoro, il padre, la sorella Mariannina, ed Angela. Per un anno la
tranquillità tornò in casa Balistreri, lavorando tutti potevano soddisfare le
necessità della vita ed anche qualche piccolo divertimento, ma le disgrazie per la
famiglia Balistreri non erano finite, perché una forte lite tra la sorella Maria e il
marito a Licata portò il marito a buttare fuori casa moglie e figli, che trovarono
rifugio in casa Balistreri a Firenze; Rosa non si perse d‟animo ed ospitò la sorella
procurandogli anche un lavoro, ma dopo tre mesi il marito si precipitò a Firenze
con lo scopo di convincere la moglie Maria a tornare a Licata per rimettersi
insieme; di fronte al ripetuto rifiuto di Maria, il marito, in un momento d‟ira,
l‟accoltella alla gola provocandole una grave ferita mortale e finendo per questo
in carcere. La morte di Maria gettò la famiglia nella disperazione, per il padre
Emanuele il colpo fu così pesante che non volle più lavorare e diventò sempre più
taciturno fino a decidere in un momento di forte depressione di impiccarsi ad un
albero sul Lungarno. Questa seconda tragedia portò lutto e disperazione, per Rosa,
per la madre, per le sorelle e per i bambini, il colpo fu così pesante che per diversi
mesi non riuscirono a risollevarsi dall‟apatia e dalla disperazione; ma la vita non
si può fermare e a poco a poco, lavorando sodo, Rosa, la madre e le sorelle
trovano quel minimo di rassegnazione, di pace e di tranquillità. A Firenze i
rapporti sociali erano diversi dalla Sicilia, i ragazzi il sabato sera e la domenica
uscivano, andavano a ballare, stavano insieme e così Rosa si inserisce in un giro
di amici del quartiere, e con loro esce per riprovare a vivere, fin quando conosce
un pittore, certo Manfredi Lombardi, uomo fine e raffinato che disegnerà molti
quadri prendendo a modella Rosa Balistreri, i due si innamorano e decidono di
vivere insieme, Rosa trascorrerà tre anni meravigliosi, finalmente la vita le sorride
Rosa apre una bottega di frutta e verdura che gestisce insieme a Manfredi. Tra i
due c‟è una perfetta sintonia, è Manfredi a intuire le potenzialità vocali della
Balistreri e a spingerla a studiare il repertorio tradizionale siciliano, è Manfredi
che la fa debuttare dal vivo, in occasione di una sua mostra antologica a
Piombino. Grazie a Manfredi conosce l‟ambiente degli artisti fiorentini tra cui
Saverio Bueno, la figlia Caterina, Ivan Della Mea, mercanti e critici d‟arte, tra
questi Mario De Micheli che sentendola cantare la incoraggiò a cantare in
pubblico e la presentò a Michele Straniero, un cantautore di sinistra interessato
alla musica popolare che la mise in contatto con gli impresari della Ricordi con la
quale casa discografica incise il primo disco in vinile: canta “Rosa Balistreri”
della Linea Rossa dei “Dischi del Sole”.
Rosa Balistreri: la vita (periodo fiorentino) 76
E‟ necessario per comprendere gli inizi artistici della Balistreri fare un accenno al
movimento di sinistra chiamato il “Nuovo Canzoniere italiano” la cui
frequentazione da parte della Balistreri è alla base della sua carriera artistica. Il
“Nuovo canzoniere italiano” è formato da un gruppo di artisti e studiosi di
musica popolare e del canto sociale che partire dagli anni 60 a Milano diedero
vita a una rivista e a un gruppo musicale collegandosi all‟esperienza del
“Cantacroniche” di Michele Luciano Straniero.
I componenti del “Nuovo canzoniere italiano” sia i musicisti che gli
intellettuali attraverso la rivista e pubblicazioni discografiche (collana dei
“Dischi del sole” ) si riproponevano la riscoperta e riproposizione del canto
popolare sociale impegnato. I maggiori rappresentanti di questo gruppo erano
oltre a Michele Luciano Straniero, Fausto Amodei, Robero Leydi, Sandra
Mantovano, a questi si aggiunsero Gianni Bosio, Ernesto Di Martino, Cesare
Bermani, Ivan della Mea, Giovanna Daffini, Giovanna Manni, Caterina Bueno,
Dario Fo ed altri.
Grazie al lavoro di queste persone nasce lo spettacolo “Bella ciao” e “Ci
ragiono e canto”. Moltissimi furono i dischi della collana “Dischi del sole” che
ha pubblicato canzoni popolari e album della canzone impegnata di sinistra. Tra
questi da ricordare il disco del 1967 di Rosa Balistreri (è il primo disco della
Balistreri) con le tre canzoni: “Picciliddi unni iti”, “C‟erano tri sorelli” e “O
contadinu sutta lu zappuni” dal titolo “canta Rosa Balistreri” e con copertina un
dipinto di Manfredi su Rosa Balistreri.
Rosa Balistreri conobbe varie persone del gruppo del “Nuovo canzoniere
italiano” e con queste stabilì una forte amicizia fondata sugli stessi interessi a
favore della povera gente e dell‟ideologia di sinistra.
L‟incontro con Ciccio Busacca, cantastorie siciliano e Ignazio Buttitta a
Bologna le aprì il mondo della canzone siciliana, lo stesso Buttitta la convinse a
cantare in pubblico e ad imparare a suonare la chitarra. Rosa comprò una chitarra
e con l‟aiuto di Xavier Bueno, che le insegnò pochi accordi, poté essere
autosufficiente nell‟accompagnarsi con la chitarra. Per ampliare il repertorio
studiò molti canti del Corpus di Alberto Favara grazie all‟aiuto di un frate
francescano, Cesare Milaneschi, che registrò su un magnetofono la linea
melodica di questi canti che lo stesso Manfredi aveva sentito dalla viva voce di
Giuseppe Ganduscio (Ribera, 6 gennaio 1925 - Firenze, 7 settembre 1963) poeta
italiano ed illustre personaggio siciliano, che si era occupato moltissimo di
musica popolare; la scoperta del “Corpus di musiche popolari siciliane” del
Rosa Balistreri: la vita (il ritorno in Sicilia) 77
Il ritorno in Sicilia
Nel 1970 Rosa ritorna in Sicilia, a Palermo, insieme a Luca e alla
madre “donna Vicinzina”. Ormai Rosa è un‟artista affermata, tutti la
apprezzano e la osannano considerandola la “voce della Sicilia”, e non
tarda molto ad essere accolta dai palermitani. A Palermo ritrova l‟amico
Buttitta ed intreccia molte amicizie con uomini di cultura, di politica e del
mondo universitario.
Rosa Balistreri: la vita (il ritorno in Sicilia 78
Tutti la stimano e la invitano nelle feste e nelle loro case; Rosa si sente
orgogliosa ma non si monta la testa. Le amicizie palermitane di Rosa faranno
parte di un capitolo di questo libretto; tra gli amici conosce l‟avvocato
Cacopardo, che Rosa definisce “buono e generoso”, l‟avvocato da in affitto a
Rosa un suo appartamento in una casa popolare di Via S.S. Mediatrice, nelle
vicinanze del polo universitario palermitano, ma non richiederà mai il compenso
finendo alla fine per regalare l‟immobile a Rosa. In questa casa Rosa vivrà la
vita palermitana, è in questa casa che riceverà persone importanti ma anche
gente umile, universitari, militanti del partito comunista e soprattutto cantautori,
cantanti e musicisti che a lei si rivolgevano per farle ascoltare le loro
composizioni, per chiederle un parere, per avere un aiuto.
In questa casa, eccettuato qualche parentesi temporale di soggiorno nel
trapanese, (Partinico), vivrà gli anni entusiasmanti del successo artistico. Sono i
15 anni più belli della sua vita artistica. Da Palermo Rosa si sposta per i vari
concerti nell‟isola ed in tutta Italia, in Sicilia avrà la sua avventura con il teatro,
che farà parte di un altro capitolo di questo libro, da Palermo spiccherà il volo
per le tournèe all‟Estero, Svezia, Germania, Stati Uniti.
Dappertutto ottiene successi esaltanti, gli emigranti la amano e vorrebbero
tenerla in America, è invitata in diverse trasmissioni televisive siciliane, ed
anche nazionali, partecipa al Festival di San Remo, anche se la sua canzone
viene subito eliminata, perché non inedita, avendola cantata in altre
manifestazioni. Ritorna tre volte a Licata, una per ricevere un premio, e due per
concerti.
Al suo funerale c‟erano poche persone, oltre i familiari c‟era Laura Mollica,
l‟autrice Marilena Monti, l‟amico poeta Felice Liotti con la moglie Lia, gli amici
di Partinico Fifo e Tanino Gaglio e qualche altro amico come il maestro Mario
Modestini. Veramente un triste commiato da questa vita per una voce conosciuta
in tutto il mondo. Nel paese natio, Licata, un medico, Vincenzo Marrali, farà
apporre a sue spese gli avvisi funerari fra l‟assordante silenzio del Comune, dei
politici, delle varie associazioni e della cittadinanza licatese. Rosa riposa per sua
espressa volontà nel cimitero di Trespiano (Firenze) vicino alla sorella Maria,
alla madre e al padre.
80
Rosa Balistreri non fu soltanto cantante folk, la sua attività artistica non si
concretizzò soltanto nella concertistica e nel canto, ma grazie alla sua splendida
voce, alla sua forte personalità, partecipò attivamente a spettacoli teatrali,
alcuni addirittura scritti per lei.
La prima apparizione teatrale di Rosa avvenne nel lontano 1966
col lo spettacolo “Ci ragiono e canto” di Dario Fo. Rosa viveva
a Firenze e il primo spettacolo fu alla
Pergola e Rosa cantò canti della terra
siciliane, nenie e canti d‟amore.
Nel CD di riepilogo dello spettacolo
“Ci ragiono e canto” Rosa canta
la canzone “Accattari vurria na virrinedda”
Allo spettacolo partecipano molti artisti:
Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, Franco
Coggiola, il Gruppo Padano di Piadena,
il coro del Galletto di Gallura, Giovanna Daffini, Giovanna Marini, Caterina
Bueno, Cati Mattea, Silvia Malagugini. Lo spettacolo sarà rieditato con “Ci
ragione e canto n. 2” nel 1973 e la Sicilia sarà rappresentata da Ciccio Busacca.
Lo spettacolo fu presentato in molti teatri italiani e per Rosa fu il battesimo
artistico che le darà notorietà e che le porterà tanta fortuna.
Questo spettacolo darà a Rosa sicurezza nelle sue potenzialità artistiche e vocali
e la proietterà nel campo musicale facendola a conoscere ad un pubblico vasto,
dopo questo spettacolo Rosa Balistreri non sarà più la stessa donna, perché
prenderà coscienza che il suo destino è nel canto, nella musica dialettale
siciliana.
Nel 1968 Rosa Balistreri partecipa allo spettacolo «La rosa di zolfo» di
Aniante con regia di Nando Greco con Maria Sciacca e Guido Cerniglia con il
teatro Stabile di Catania. L‟opera teatrale è tratta dall‟omonimo libro di Aniante
Antonio: Rosalia, zolfatara e maga e amante appassionata, corre dalla miniera
alla foresta, dall'altipiano assetato al porto, e all'angiporto, della città;
nell'intrico delle peripezie incontra e ama il brigante nobile, la «mano nera»,
Petrosino. Donna bellissima e temeraria, Rosalia, «la rosa di zolfo», sorge a
rappresentare un sogno ingenuo e forte, il sogno di libertà dello zolfataro.
Un‟altra edizione della “Rosa di zolfo” nel 1984 con regia di R. Bernardini
Rosa Balistreri e il teatro 81
ha visto sul palco Rosa Balistreri, Leo Gullotta, Elisabetta Carta e Luca
Torregrossa (nipote della Balistreri).
Nel 1978 Rosa partecipa allo spettacolo “La Ballata del sale”
di Salvo Licata, regia M. Scaparro per il
teatro Biondo di Palermo con musiche
del maestro Mario Modestini;
"La ballata del sale" è un grande
capolavoro di ricerca popolare
ed è basata sui canti di mare dei tonnaroti
tratti dal “Corpus” del Favara, arrangiati per
un quartetto d' archi e per un trio di musica
popolare, violino, chitarra e fisarmonica.
Rosa fu amica personale dello scrittore
Salvo Licata e del maestro Modestini, i quali insieme
gli confezionarono a misura questo spettacolo, collaborerà ancora
con tutte e due nello spettacolo “Oh Bambulè”
Lo spettacolo, come ricorda Rosa stessa nel libro di Cantavenere, (1)
“parla di una principessa rapita dai pirati e riscattata dall‟amante, perché i
genitori non volevano uscire soldi. I pirati per liberarla volevano “tri liuni,
tri falcuni, tri culonni ca d‟oru su” La madre diceva: “Megghiu perdiri na
figghia, ca tantu oru nun trovu cchiù” Nello spettacolo si esibiscono come
musicisti i giovani Rocco Giorgi, Tobia Vaccaro e Mimmo La Mantia, (tutti
e tre in momenti diversi accompagneranno Rosa Balistreri nei suoi
concerti). Lo spettacolo ottiene grandissimo successo e fu un trionfo per
Rosa, per il maestro Mario Modestini e per l‟autore Salvo Licata.
Nel 1979 Rosa Balistreri partecipa allo spettacolo teatrale “La Lupa”
di Giovanni Verga, regia Lamberto Pugelli, la parte della Lupa la interpreta
magistralmente Anna Proclemer.
Rosa Balistreri canta varie canzoni siciliane accompagnata alla
chitarra da Rocco Giorgi. Lo spettacolo farà conoscere ad un pubblico
sempre più vasto le qualità vocali ed artistiche di Rosa Balistreri,
proiettandola non solo come cantante ma come interprete teatrale.
“Con la suggestione delle sue antiche canzoni autenticamente popolari
Rosa Balistreri, dice in un‟intervista il regista Pugelli, porta nello
spettacolo il sapore della terra siciliana, l‟asprezza del paesaggio, i veri
Chista è la vuci mia, Càrzari ca si fattu cruci cruci, Matri ch'aviti figli,
Càrzari Vicarìa, Lassarimi accussì, M'arrusicu li gradi, Sugnu comu un
cunigliu, Amici amici chi n Palermu jti, e Testa di mortu.
7) Amuri senza amuri (1974, Cetra Folk). Le canzoni sono: Vinni a cantari
all'ariu scuvertu, L'amuri ca v'haju, O cori di stu cori, Cu ti lu dissi, Vurria
fari un palazzu, Lu rispettu, E lu suli ntinni ntinni, Stanotti nzonnu, Nivuru
carinusu, Nina nanna di la guerra, e La Sicilia havi un patruni.
8) Vinni a cantari all'ariu scuvertu (1978, Cetra Folk) è una riedizione
del disco precedente “Amuri senza Amuri” con le stesse canzoni
9) Concerto di Natale (1985, PDR) Quannu Diu s'avia ncarnari, Nni la
notti trionfanti, Ora veni lu picuraru, Filastrocca a lu bamminu, Avò, Diu vi
la manna l'ambasciata, Sutta n'pedi, La notti di Natali, La ciaramedda,
Bammineddu picciliddu.
Discografia: Dischi in vinile, musicassette, CD 88
7) Amuri senza amuri (1974, Cetra Folk). Le canzoni sono: Vinni a cantari
all'ariu scuvertu, L'amuri ca v'haju, O cori di stu cori,
Cu ti lu dissi, Vurria fari un palazzu, Lu rispettu, E lu suli ntinni ntinni,
Stanotti nzonnu, Nivuru carinusu, Nina nanna di la guerra, e La Sicilia havi
un patruni.
8) Vinni a cantari all'ariu scuvertu (1978, Cetra Folk) è una riedizione
del disco precedente “Amuri senza Amuri” con le stesse canzoni
5) Amore tu lo sai la vita è amara (2000, Teatro del Sole – riedizione del
vinile della Cetra Folk in CD)
6) Terra che non senti (2000, Teatro del Sole - riedizione del vinile della
Cetra Folk in CD)
7) Noi siamo nell'inferno carcerati (2000, Teatro del Sole - riedizione del
vinile della Cetra Folk in CD)
8) Vinni a cantari all'ariu scuvertu (2000, Teatro del Sole - riedizione del
vinile della Cetra Folk in CD)
17) Omaggio A Rosa Balistreri (2007) Sotto l'egida del Comune di San
Giovanni La Punta, nell'ambito della manifestazione "Concorso Rosa
Balistreri 2007", è stato realizzato un CD "Omaggio a Rosa Balistreri". Il
disco, oltre alle canzoni di Rosa Balistreri, comprende tre canzoni di
Francesco Ferro su testi dello scrittore Fernando Luigi Fazzi. Acidduzzu di
me cummari / Cu ti lu dissi / E la vita addiventa amuri (cantata da
Francesco Ferro) / E lu suli ntinni ntinni / La Barunissa di Carini /
Levatillu stu cappeddu / Li me patruna (cantata da Francesco Ferro) / U
cunigghiu / Mi votu e mi rivotu (cantata da Francesco Ferro) / Non
vogghiu dinara (cantata da Francesco Ferro) / Na Lacrima (Poesia recitata
da Christian E. Maccarone / Quannu moru.
Infine un ultimo accenno a dischi di vari cantanti , dove si possono trovare
canzoni di Rosa Balistreri
I Dioscuri pubblicano nel 1996 Voci di un antico Natale con la
partecipazione straordinaria di Rosa Balistreri. Nel vinile “XI Sagra
nazionale dei cantastorie” vi sono due pezzi”: “Amici amici” (canto di
carcere), “Addio, Bella Sicilia” insieme alle canzoni di vari cantastorie.
“Ci ragiono e canto” 1966” è un L.P vinile tratto da uno spettacolo
di Dario Fo; si tratta di una raccolta di canti del mondo popolare
e proletario delle regioni italiane, con “Accattari vurria na virrinedda” e
“Abballati, abballati” cantate da Rosa Balistreri come canzone della terra
regione di Sicilia. Cd “Santa Venerina Magico Natale” - Canti di Rosa”".
Edito dal Comune di Santa Venerina (Ct) 2004 da un concerto di Natale
effettuato da Rosa il 30 dicembre 1989 a Santa Venerina.
92
Alla morte di Rosa Balistreri molti artisti, soprattutto donne, nella scia
tracciata da Rosa della rivalutazione della canzone siciliana si sono inserite nel
filone della musica folk continuando ed ampliando la ricerca sul patrimonio
culturale siciliano, scrivendo nuove canzoni e mettendo nel loro repertorio
canzoni cantate da Rosa Balistreri. Alcune di queste artisti sono state definite
dalla critica le "eredi di Rosa", tutte amano intensamente Rosa e la musica
siciliana, ma tutte hanno un vissuto personale e un'esperienza diversa da Rosa e
lo esprimono nei loro concerti con sensibilità diverse, unendo musica
tradizionale con altri generi, quali il rock, il jazz, ne vengono fuori spesso
contaminazioni ben riuscite e che trovano seguito in un pubblico attento, anche
giovanile spesso, con successi strabilianti. Oltre a singoli artisti vi sono gruppi
musicali che hanno fatto della canzone in siciliano o delle canzoni del
repertorio di Rosa la loro bandiera, anche essi con notevole seguito di pubblico
e successo.
Tra questi artisti e gruppi musicali meritano un ricordo:
Lao Serena, palermitana, inizia la sua carriera artistica dopo aver conosciuto
Rosa Balistreri che le ha elargito consigli e suggerimenti sul canto e sulla
canzone siciliana. “A Rosa debbo la mia carriera” riferisce la cantante. Da 20
Serena Lao anni calca le scene di teatri, piazze, anfiteatri, chiese. Le canzoni
siciliane sono il suo cavallo di battaglia, sulla scia di Ciccio Busacca e di Rosa
Balistreri, ma si è proiettata pure verso altri generi musicali, con influenze della
musica etnica araba e mediterranea.
Nel 1985 rappresenta la Sicilia nei festeggiamenti del 4 ottobre in onore di San
Francesco, patrono d‟Italia, nel 1987 con la compagnia “Voci di Sicilia” diretta
da Anna Cuticchio facendo conoscere le più belle canzoni siciliane nei teatri
calabresi. Lavora nello spettacolo “Ehi, Coca” di Salvo Licata al Piccolo teatro
di Palermo e all‟Angelo Musco di Catania insieme a Gigi Burruano, Tony
Sperandeo e Giacomo Civiletti. Ha portato a Palazzo dei Normanni un omaggio
a Rosa Balistreri con lo spettacolo musicale e letterario "Un sogno, una rosa".
Ha scritto e musicato “Francesco, una follia d‟amore” “Un pupo vero” su
Pinocchio, “Io, Rosalia” supra na stidda cugghivu na rosa”, su Santa Rosalia,
con i CD relativi.
I figli d‟arte di Rosa Balistreri 95
alcuni anni è ritornata a cantare e a fare concerti riportando alla luce nuove
canzoni antiche e canzoni del repertorio di Rosa Balistreri. Ha partecipato al CD
“Buon compleanno Rosa” Teatro del sole, 2007 con molti artisti che si
richiamano alla musica siciliana. Ha partecipato a libro-CD "Di questa terra
facciamone un giardino" Tributo a Pino Veneziano, Editore Coppola, 2009
Scollo Etta, catanese, trascorre molta parte della sua vita in Germania, dove
si dedica alla composizione, alla ricerca e allo studio della musica siciliana e
delle sue fonti, ritornando in Italia per concerti ed esibizioni musicali. Ha
inserito nei suoi concerti gran parte del repertorio di Rosa Balistreri, ottenendo
ampi e riconosciuti consensi in ogni spettacolo. Benché la sua vita si svolge in
Germania è rimasta attaccata alla sua terra, alla quale dedica ogni suo sforzo per
farla progredire e far conoscere ad un pubblico sempre più ampio le tradizioni
non solo musicali di questa terra assolata e nello stesso tempo arida di cultura.
Ha collaborato con artisti quali Eddie Lockjaw Davis, con l‟Orchestra Sinfonica
Siciliana, Franco Battiato, Giovanni Sollima e Monika Leskovar, Nabil Salameh,
Markus Stockhausen, Cécile Kempenaers, Alain Croubalian. Ha scritto le
colonne sonore “Come la pioggia” per il film «Für immer und immer» di Hark
Bohm e il brano “I tuoi fiori” per il film «Bad Guy» del regista coreano Kim Ki-
Duk. Ha inciso i seguenti CD: “Blu”,1999; “Il bianco del tempo”, 2001; “In
concerto”, 2002; “Casa”, 2003; “Canta Rò”, 2005 (un compendio di canzoni del
repertorio della Balistreri); “Canta Rò in Trio”, 2006 (un secondo ricordo delle
canzoni di Rosa); “Les siciliens!”; “Il fiore splendente”.
La vita dell‟artista è tutta occupata dalla musica, dedica molte ore della sua
giornata preparando nuove canzoni e programmando nei minimi particolari i
suoi spettacoli sia in Italia, in Germania che in tutta Europa.
Carmen Consoli, artista catanese molto apprezzata nella musica leggera; Da
qualche anno paladina della sicilianità e della canzone siciliana, ha inserito nel
suo repertorio molte canzoni di Rosa Balistreri, ha curato dal 29 maggio 2008 al
20 giugno 2008 nell‟ambito della rassegna folk di Etnafest, insieme ad Angelo
Scandurra, il prof. Sebastiano Gesù e il nipote di Rosa Balistreri Luca
Torregrossa, una mostra di foto, manoscritti, libri, abiti, oggetti personali, dischi
e i testi teatrali di Rosa Balistreri.
Il 31 maggio 2008 a Catania in Piazza Università Carmen Consoli ha
effettuato un grande spettacolo musicale “Terra ca nun senti” con lo scopo di
“recuperare la memoria di questa grande cantautrice, la prima vera cantautrice
italiana, una delle personalità femminili più indipendenti della musica
popolare.”
Rosa Balistreri e i cantastorie 99
ROSA E I CANTASTORIE
come Rosa Balistreri, i poeti dialettali Turiddu Bella e Ignazio Buttitta del quale
interpretò le liriche più belle come "U lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali"
e "Lu trenu di lu suli" pagine toccanti della grande poesia di Buttitta, pagine che
hanno segnato la storia siciliana di quell'epoca.
Dario Fò lo volle nel suo collettivo come interprete nel suo "Mistero
Buffo" - "Ci ragiono e canto n.2" - "Giullarata", in quest‟ultima al suo
fianco recitarono le figlie Concetta e Pina, che a loro volta dimostrarono una
grande bravura e notevole capacità esecutiva, inserendosi autorevolmente nella
scia tracciata dal padre. Rosa ha conosciuto Ciccio Busacca a Firenze in uno
spettacolo del cantastorie, da quel momento il desiderio di imitarlo e diventare
cantante la pervase, volle conoscerlo più da vicino andandolo a trovare e
stabilendo con lui una amicizia vera che durerà per tanti anni. Insieme a Ciccio
fece vari spettacoli sia nella provincia di Firenze che in Sicilia. La stima
reciproca si rafforzò con la frequentazione e lavorarono insieme ricercando
antiche canzoni nel campo della musica tradizionale. Ciccio Busacca ha inciso
molti CD, con un successo straordinario specie tra gli emigrati, tra questi: “Lu
trenu di lu suli, Cosa è la mafia, Canzoni carrettiere siciliane, La storia di
Giuliano (Il re dei briganti), La storia di Giovanni Accetta, La storia di lu
briganti Musulinu,, Lamentu pi la morti di Turiddu Carnevali, Lu piscaturi
sfortunatu.”
è il divulgatore per eccellenza della cultura meridionale, delle lotte dei contadini e
del mondo operaio contro uno Stato che ha emarginato queste classi sociali. Molti i
suoi CD pubblicati : “Il brigante Musolino, Il treno del sole, I paladini di
Francia, L‟Italia cantata dal Sud , Gesù, Giuseppe e Maria, Sollazzevole, Qua si
campa d‟aria, Scibilia Nobili. Amuri e pilu, Calabria, Patti Marina in
Sicilia, Storie e leggende del Sud, Tra Scilla e Cariddi, Mannaja all‟ingegneri”.
Orazio Strano, Vito Santangelo , Nonò Salamone. Conosce e collabora con artisti
e poeti come Buttitta, di cui musica molte canzoni, e Rosa Balistreri, di cui scrive
una storia "Rosa Balistreri: una storia cantata" con cartellone annesso realizzato
dal pittore Paolo Pasquale.
Fortunato Sindoni ha edito tre CD: “Storie e ballate contro la Mafia” per non
dimenticare e per continuare a lottare; “Il poeta e il cantastorie”: F. Sindoni in
viaggio con Ignazio Buttitta: “Cronache in versi e musica” ovvero quando la
realtà supera la fantasia; Fortunato Sindoni, si è esibito in Australia, Olanda,
Francia, Germania, Svizzera, Austria, Inghilterrra, Malta e in tanti altri paesi sia
in incontri e feste con gli emigrati che in Conferenze-Recital per studiosi
e amanti della cultura popolare.
Nel 1990 il chitarrista sarà invece diretto da Carla Bley, nel corso di diversi
concerti palermitani tenuti dalla compositrice californiana, la
quale per l'occasione guiderà l'Orchestra Jazz Siciliana, nelle cui fila compaiono
anche Steve Swollow e Gary Valente.
Nel 1994 il chitarrista insieme al collega chitarrista e violinista Tobia
Vaccaro, compone le musiche per il lavoro teatrale “Polvere”. E‟ professore di
chitarra classica, insegnando le basi musicali a molti giovani, tra questi
Francesco Buzzurro, ottimo chitarrista solista.
Gli anni successivi sono segnati da un intensa attività concertistica, durante la
quale partecipa al festival di Fado a Perugia, negli anni di "Perugia Jazz". Incide
inoltre due dischi: "For Joseph"e "Tango"(col quartetto Palermo). Attualmente
lavora ad un nuovo progetto per chitarra e orchestra, "Suite Ciammara", con
arrangiamenti di Mario Modestino, noto compositore palermitano ed è presente
in molte manifestazioni musicali e culturali che si tengono annualmente a
Palermo.
Cucchiara, Gianni Bella, Rosa Balistreri, Lucio Dalla, Eugenio Finardi e Franco
Battiato. Conosce Rosa Balistreri con la quale inciderà un CD: Concerto di
Natale, 1985 divenendo oltrechè amico anche accompagnatore dell‟artista
licatese in numerosi concerti; dall‟incontro con Rosa Balistreri nasce la passione
per la musica popolare e decide di dedicarsi alla ricerca del repertorio musicale
siciliano dalla viva voce degli anziani continuando così l‟opera meritoria di tanti
ricercatori di musiche popolari siciliane. Nel 2000 ha edito “Canti della Sicilia”
un raccolta di canti di Rosa Balistreri in due CD.
E‟ al momento uno dei pilastri della cultura musicale di Catania collaborando
con Taormina Arte e con il Teatro Stabile di Catania.
.
Testimonianze: 106
Conobbi Rosa nel 1977 in casa di Salvo Licata, amico di vecchia data,
avevamo frequentato insieme le elementari. Un giorno tra un discorso e l‟altro gli
feci notare che la Sicilia, immersa nel Mediterraneo, veniva espressa, nella
musica popolare, attraverso canti di contadini, canti di carrettieri, di minatori
etc… eludendo spesso l‟immensa suggestione dei canti del mare. Io, in verità,
avevo una certa competenza sull‟argomento, infatti avevo già composto, in forma
di preludi, alcune Marinarische e Cialome per chitarra solista o per ensemble
cameristico; Salvo colse l‟idea all‟istante e sentita Rosa (entusiasta) partimmo
subito !!! e fu “La Ballata del Sale”
Una fortunata coincidenza!... un libello: Scibilia Nobili, regalo fattomi da una
mia allieva, una antica storia di pirateria nella quale marinai turchi rapiscono una
bella ragazza, appunto Scibilia e la portano prigioniera a Tunisi… ho musicato il
“libello” tutto d‟un colpo che poi diventerà il secondo tempo dell‟operina…
intanto che Salvo terminava la prima parte.
Si provava a casa mia, ricordo il forte impegno di Rosa con la sua voce intensa e
viscerale che esplodeva nei momenti più drammatici “figghiu ciatu meu”.
Per le difficoltà economiche del teatro, ho dovuto ripiegare su giovani
esecutori non ancora diplomati ma di grande versatilità musicale tra questi Tobia
Vaccaro e Rocco Giorgi che poi sarebbero diventati insieme a Mimmo La Mantia
gli accompagnatori ufficiali di Rosa.
“La Ballata del Sale” ha ottenuto un grande successo, basata sulla voce di Rosa
supportata da un corale di cinque attori, un quartetto d‟archi e un trio etnico
(flauto, chitarra e mandolino)
Tra le canzoni ce n‟era una molto toccante “Giovani beddu” che poi Rosa ha
voluto inserire nello spettacolo “La Lupa” con Anna Proclemer dove interpretava
la parte della prefica. A questo proposito ricordo al teatro di Sulmona assistendo
allo spettacolo… quando in una certa scena Rosa con tutta la sua drammaticità
intona “giuvani beddu”, una signora del pubblico seduta vicino a me
commentava:…che bella canzone! Chissà se l‟autore è ancora vivo… io mi sono
toccato… Con “la Ballata del sale” andammo in scena nel 1979 per la regia di
Maurizio Scaparro prima a Catania e poi a Palermo e in tanti altre città e fu un
trionfo.
Per Rosa ho composto altre due operine “Buela” 1982 di Franco Scaldati e
“Ohi Bambulè”di Salvo Licata, anno 1987, regia di Carlo Quartucci scene e
costumi di Bruno Caruso, sempre prodotti del teatro Biondo di Palermo.
Testimonianze: Mario Modestini 107
"I canti popolari - disse Herder - sono gli archivi del popolo, il tesoro della
sua scienza, della sua religione, della teogonia e cosmogonia sua, della vita dei
suoi padri, dei fasti della sua storia; 1'espressione del suo cuore, l'immagine del
suo interno, nella gioia e nel pianto."
In Italia il nostro canzoniere è ricchissimo; è nota quella canzone popolare che
proclama: “Cu voli puisia vegna 'n Sicilia - ca porta la bannera di vittoria; canti
e canzuni nn'havi centumila. (1)
E davvero il canto è tutt'una cosa col nostro spirito, ci accompagna dalla culla
alla tomba, spunta sul nostro labbro in ogni bisogno, in ogni manifestazione, in
Testimonianze: Biagio Scrimizzi 109
ogni avvenimento della vita. Tutti cantano: la madre nella culla, il carrettiere, il
contadino, il cantastorie. Tutto è poesia e in tutti i tempi.
Si diceva che la Sicilia "canti e canzuni nn'havi centumila.“ E anche centumila,
forse, sono i cantanti popolari. Ma fra questi chi ha dato maggiore lustro al canto
popolare è stata certamente una piccola donna licatese, non bella ma dal fascino
indiscusso, dalla voce inimitabile, dai toni profondi e drammatici: Rosa
Balistreri.
Nel suo canto Rosa rivelava gioie e dolori, rabbia e gelosia, amore e odio che
sono propri dell‟animo dei siciliani: "Amor, dispetto, rabbia e gelosia - sul core
d'ogni donna han compagnia." recitava una poesia popolare. Ero amico di Rosa.
Nelle trasmissioni della RAI da me curate, almeno in quelle che avevano per
protagonista la Sicilia, la Balistreri ebbe sempre un posto preminente. Risuonano
ancora nelle mie orecchie le note accorate, strazianti, di pianto della canzone: "I
pirati a Palermu."
“Arrivaru li navi, quantu navi a Palermu, / vsu „mpazzuti li pisci, chi lamentu ca
fannu… tuttu l‟oru a l‟aranci cci arrubbaru: chi dannu…
nn‟arrubbaru lu suli, lu suli, Sicilia chianci!"
E davvero il pianto era nella sua voce come lo era quando cantava:
"Picurareddu chi 'mmanu mi teni / e m‟ammazzaru all‟acqui sireni
e m‟ammazzaru pi 'na pinna di di cui, 7 me frati Peppi tradituri fu."
La sua voce assumeva, invece, un tono malizioso quando cantava:
"Mamma nun mi mannati a lu mulinu / lu mulinaru mi vulia vasari.“
Io fui amico e sodale di Ignazio Buttitta, come lo fu, del resto, Rosa.
Nelle sere calde d'estate ci ritrovavamo spesso nella casa di Ignazio ad Aspra,
casa prospiciente il mare. Trascorrevamo le serate sulla vasta terrazza dove una
tavola imbandita ci invitava a consumare pane, formaggio, olive, sarde salate e
dell‟ottimo vino. Ignazio recitava spesso le sue poesie e Rosa le condiva con dei
canti a volte allegri, a volte drammatici ma che deliziavano quanti, insieme a noi,
facevano da corona a quel duo inimitabile. E‟ ancora viva in me la voce di Rosa
quando intonava: “Quantu basilico siminu avannu - iu ti nni dassi 'na rrama a lu
jornu.”
Nello spettacolo andato in scena nel Luglio 1988: "U curtigghiu di li raunisi" dì
Ignazio Buttitta che aveva trascritto il testo dall'originale “Vastasata” di autore
ignoto del 1700, su musiche di Mario Modestini, cantava Rosa Balistreri.
E negli anni ottanta, in uno spettacolo dedicato alle opere di Luigi Pirandello dal
titolo: "Per Pirandello" era presente Rosa Balistreri, figura possente e
drammatica emersa non più giovanissima, quale inimitabile cantante folk.
Testimonianze: Biagio Scrimizzi 110
“Raccolta amplissima di canti popolari siciliani” 1870 Lionardo Vigo al n: 391 e 964
1) in realtà Mario Modestini non musicò questo spettacolo (nota dell‟autore)
Testimonianze: Fortunato Sindoni 111
Voglio unirmi al vostro ricordo per il grande affetto che mi ha legato a Rosa
Balistreri per una trentina d‟anni da quando Ignazio Buttitta me la ha catapultata
in casa; lui l‟aveva incontrata a Firenze nell‟abitazione di un grande pittore,
Manfredi Lombardi ed aveva scoperto quella voce;
io, diceva Buttitta, posso portarla ai festival dell‟Unità, tu però puoi fare tanto
con i tuoi mezzi, la televisione da una parte e l‟industria discografica dall‟altra,
(in quegli anni ero il consulente della sede romana per la Fonit Cetra per la
musica popolare), così mi affidò questo splendido fardello di Rosa che poi si
affezionò molto alla mia casa per cui divenne quasi una ospite fissa in casa mia
nel periodo che soggiornava a Roma.
Anche Otello Profazio cercò di incoraggiare, per quello che poteva, questa
grande vocazione canora di Rosa, talmente naturale che tante volte debordava e
toccava a noi portarla nell‟alveo della sua naturalità. Ricordo poi gli spettacoli;
io non posso dimenticare il successo di Rosa a Stoccolma allorchè su invito
dell‟Istituto Italiano di cultura diretto dalla signora Pallavicini andai a fare
“Nostra Signora del Sud” . Il canto doloroso della Nostra Signora era
naturalmente quello di Rosa. Lo spettacolo era tutto incentrato sulla poesia
siciliana da Antonio Veneziano nel 600 fino ad oggi passando in rassegna tutta la
poesia dialettale siciliana; in una parola un grande spettacolo costruito intorno
alla figura di Rosa. Il successo fu enorme ed ancora oggi ricordo gli applausi
scroscianti degli svedesi che pur non capendo una parola, essendo lo spettacolo
in siciliano, tributarono enorme consenso comprendendo il pathos e il dolore che
trasmetteva la voce di Rosa.
Testimonianze: Melo Freni 113
Felice Liotti
Prima di lei, mi era giunta la sua voce. Aveva inciso il primo di una lunga
serie di dischi per la Fonit Cetra. Si era alla fine degli anni Sessanta. Adesso lo
cerco, ma non lo trovo più. Mi ricordo che c'era “Lu vènniri matinu”, straziante
lamento della Madonna sul presentimento dell'uccisione del Figlio, e altri canti
ugualmente belli, ugualmente intensi. Sulla copertina c'era una sua foto
giovanile, un volto drammatico e non privo di grazia, di luce. E le note
informavano che era di Licata e che viveva a Firenze.
Ai responsabili dell'immagine era sembrato poco chiamarla cantante e la
definivano “la cantatrice del Sud”. Sembrò giusto anche a me: come si fa a
chiamarla cantante? Questa scaglia pezzi di vita, pezzi di dolore, come macigni.
Non avevo sento mai nulla di simile.
In quegli anni Beppe Fazio mi aveva regalato un rarissimo disco di Giuseppe
Ganduscio con quattro canti di carcerati (Ivu allu 'nfernu ca ci fui chiamatu ... ).
Ganduscio era già morto e quel disco segnava un tramite col modo di cantare
ottocentesco, stentorio, “argentino”. Lo avevo amato molto: rendeva
limpidamente una linea di canto irta di semitoni e quarti di tono, che gli amici
musicisti mi spiegavano di derivazione araba. Insisto che mi aveva affascinato.
Ma Rosa mi scolvolse. Volli assolutamente conoscerla. L'occasione arrivò
presto: Marco La Fata, allora (spero di non sbagliarmi) segretario del Pci a
Partinico, l'aveva invitata per una serata. Ci andai e da quel momento cominciò
la nostra amicizia.
In quel tempo, insieme con la canzone popolare, si faceva il canto di
impegno sociale, il canto politico, di protesta, di denuncia. Al cabaret “I
Travaglini” di via Sammartino 40, che dirigevo con Luahn Rexha e Antonio
Marsala, anche noi cercavamo di “cantargliele”. Rosa sentì alcuni brani e ne
rimase conquistata: le sembrava perfino inadeguato quello che cantava lei. Mi
sforzai di farle capire che quello che cantava lei era arte, e che questa era roba
passeggera. Ma lei mi chiedeva di scriverle qualcosa.
Dopo quella di Partinico le sue serate in giro per la Sicilia si moltiplicarono.
Di li a qualche anno si stabili a Palermo nella casa di via Maria Santissima
Mediatrice verso Bonagia, dove sono stato tante volte a fare progetti, a sentirla
provare: era una casa piena di chitarre. Ma Rosa non finiva le serate con l'ultimo
canto in palcoscenico: c'era sempre una coda, per gli amici. Si andava di notte a
svegliare Peppino detto “U Turcu” in via dei Coltellieri alla Vucciria.
Borbottando Peppino scendeva in trattoria e, aiutato dalla moglie, riapriva la
Testimonianze: Salvo Licata 117
cucina.
Mi accorgevo allora quale poteva essere la forza unificante del canto
popolare, ovvero dell' emozione comune, concorde, assoluta.
Di fronte a lei che cantava non c'era più distinzione d‟ascolto. Tanto più che
m‟impressionava questa unanimità quando pensavo che a scoprirla e a
valorizzarla erano stati artisti e intellettuali come Guttuso, Sciascia, Ignazio
Buttitta, Bruno Caruso, Roberto Leydi, Paolo Emilio Carapezza, Dario Fo.
Da lei stessa sentivo brandelli della sua storia, fitta di vicende anche
tragiche. Spesso mi diceva: “Perché non ci sediamo e scriviamo la mia vita?”.
Ma io mi fermavo a quei frammenti, come intimidito. Ad accostare i pezzi, viene
fuori questo spettro di storia: la sua famiglia era rimasta sconvolta da fatti tragici
e lei con la figlioletta era fuggita a Firenze; qui si era messa a fare la cameriera
e, sfaccendando, cantava. In quella casa capita un amico di famiglia, un pittore,
che si innamora di lei e la porta con sé. Vengono così i dischi alla Fonit Cetra e
le varie edizioni di “Io ci ragiono e canto” di Dario Fo.
E finisce la storia d‟amore col pittore.
Il colmo della sua notorietà fu segnato da una del tutto inopportuna
partecipazione al Festival di Sanremo a metà degli anni Settanta. Nella guerra
futile ma spietata tra i discografici, Rosa fu subito eliminata. Il canto popolare,
come la canzone di protesta, intanto non tirava più. Sempre più rari i nuovi
dischi alla Fonit Cetra (l‟ultimo l'ha inciso nel 1984 con una piccola casa di
Catania, quella di Pippo Russo) Rosa arrancava con le serate e col teatro (è di
quegli anni una sua partecipazione a La lupa di Verga con Anna Proclemer).
Nel 1978 riuscii a scrivere qualcosa per lei. Era “La ballata del sale”, fiaba sui
canti del mare musicata splendidamente da Mario Modestini. Il personaggio
principale, sin dal nome (Raisi Rosa), era non solo dedicato a lei, ma per lei
pensato. Pietro Carriglio, che in quella stagione iniziava il lungo cammino che
avrebbe portato il Teatro Biondo a diventare il Teatro Stabile di Palermo,
credette nel testo, nelle musiche, ma soprattutto in Rosa e produsse lo spettacolo
(diretto da Maurizio Scaparro, oggi assai celebre). Avevo saldato il mio debito.
L'epilogo per me è Bambulè, un mio nuovo testo ancora con le bellissime
musiche di Modestini e ancora prodotto dal Biondo (ormai Teatro Stabile).
Stavolta il regista è Carlo Quartucci, capo storico del teatro di ricerca in Italia. A
mettere insieme il gruppo (del quale fanno parte tra gli altri, Burruano, Emiliana
Perina e Giustino Durano) è sempre Carriglio. Rosa è felice di questa nuova
esperienza insieme. Ma ha un rammarico: «Perché l'hai scritta in italiano? Chi
semu 'taliani nuatri?». È l'estate del 1987 . Da allora ci siamo persi di vista.
Testimonianze: Salvatore Di Marco 118
Alcuni giornali, subito dopo la sua scomparsa, hanno scritto che con lei s'è
spenta l'ultima voce del canto popolare della Sicilia del Novecento, e noi
ostinatamente diciamo di no. È morta Rosa Balistreri che del folk siciliano è
stata per quasi trent'anni una regina, e la sua scomparsa ha rappresentato
sicuramente una perdita gravissima per la musica popolare di oggi e per tutta la
cultura nazionale. Con lei scompare una bandiera bella della più autentica
sicilianità, ma vogliamo fortemente augurarci - anche nel suo nome e nella sua
memoria - che la sua voce, inimitabile e insostituibile, non sia stata davvero
l'ultima, e che la nostra magnifica tradizione folk, lungi dall'essere approdata
all'ultima spiaggia, trovi ancora altre voci e sappia valorizzare le risorse nuove di
cui già generosamente dispone affinché il posto che Rosa Balistreri ha lasciato
non resti vuoto per sempre. Il pericolo è semmai che la memoria di questa
magnifica e superba artista siciliana si affievolisca e si perda, come del resto sta
già accadendo per Ciccio Busacca o per Turi Bella, e come accade per altri figli
nobili della nostra terra così ostinatamente smemorata.
Di lei, di Rosa Balistreri, le cronache siciliane si erano occupate negli ultimi
tempi quando la cantante aveva voluto far dono alla biblioteca comunale del suo
paese di tutta la propria biblioteca privata. Era nata a Licata, nell'agrigentino, il
21 marzo 1927 e morì all'alba del 20 settembre 1990 nell'ospedale palermitano
di Villa Sofia, dove era stata ricoverata in gravi condizioni nell'agosto di
quell'anno, in seguito ad un micidiale ictus cerebrale che l'aveva colpita in
Calabria, mentre stava sulle scene de “I mafiusi di la Vicaria”. Ebbe - come
ormai si sa bene una infanzia aspra, difficile, una esistenza travagliata e sofferta,
e solo tardivamente aveva toccato le vette del successo pieno. Analfabeta, Rosa
Balistreri da bambina aveva lavorato nei campi, operaia a 14 anni, poi ortolana,
dalla natia Licata si spostò fanciulla a Campobello di Licata, da li a Palermo e
infine a Firenze dove aveva stabilito definitivamente la propria dimora e vi
trascorse, adattandosi all'inizio a fare tanti duri mestieri, l'ultimo ventennio della
propria vita insieme ai figli. E appunto lì è stata traslata la sua salma e vi riposa.
Dotata di carattere tenace, volle liberarsi dalla propria condizione di
analfabeta e conquistò da sé, con ammirevole caparbietà, il dono della lettura,
della scrittura e infine di una magari non vasta cultura moderna.
Cominciò la sua attività di artista del canto popolare e del teatro siciliano fin dai
primi anni '60. E qui cerchiamo adesso di ricostruire sommariamente il tracciato
del suo cammino di folksinger siciliana evidenziandone i momenti principali, le
tappe più significative.
Testimonianze: Salvatore Di Marco 119
nel libro del Cantavenere: “Seppi che dovevano venire a Bologna per fare una
serata insieme, Ignazio Buttitta e Ciccio Busacca. io avevo letto un libro di
Buttitta, avevo imparato delle poesie. Parlavano di fame di ingiustizie, di libertà.
Pareva un libro scritto per me. Salii in macchina e andai a trovarli a Bologna. Fu
come una rivelazione. Un fulmine che mi aprì il cielo.
Questi sono veri artisti, mi dissi, Busacca cantava e Buttitta recitava le sue
poesie, cu 'a birritta da turco in testa e quel gesticolare, quella voce che
incantava. Mi sono innamorata di tutti e due. Anch'io ero una cantastorie come
Busacca, e in lui mi sono specchiata. Mi dissi "anch'io debbo cantare, diventare
famosa come lui, dire le cose che ho dentro".
Poi Buttitta venne a Firenze e lo ospitammo a casa nostra. Canta Ro' mi
disse Ignazio. Ma quannu canti, nun cantari ppi l'autri. Ppi ttia a cantari. Cantai
due o tre canzoni. Buttitta mi guardava con quegli occhi che mangiavano. Mi
disse "Tu devi imparare a suonare la chitarra. Perché tu sarai la cantatrice del
Sud". "Ha ragione", mi dissi. "Ignazio ha ragione". Gli occhi gli
lampeggiavano”. Mi comprai una chitarra. Saverio Bueno mi dette delle lezioni:
pochi accordi mi insegnò, giusto per accompagnare le mie canzoni. Andavo a
trovarlo sù a Fiesole, dove abitava; qualche volta capitava lui a casa nostra. Ora
riuscivo a cantare come Busacca. Finalmente si stava per realizzare il sogno
della mia infanzia. Cantare con la gente che sta seduta davanti e ti ascolta e ti
applaude”.
Nel 1975 in Ci ragiono e canto di Dario Fo si dispose a meglio padroneggiare le
tecniche di presenza sulla scena del teatro. Nel 1978 è impegnata nella parte di
Rais Rosa, una sorta di capociurma marinaresca ne “La Ballata del sale”, una
ardente favola di Salvo Licata (ancora di questo autore palermitano interpreterà
“Ohi Bambulè” del 1987). E ancora la ricordiamo ne “La rosa di zolfo” di
Antonio Aniante e negli anni '80 ne “La lupa” di Verga con Anna Proclemer e la
regia di Giorgio Albertazzi. E ancora nella Medea di Corrado Alvaro con Piera
degli Esposti al Teatro di Calabria. Così la seguiamo, lungo questo filo del
ricordo, negli spettacoli che dal «Manzoni» di Milano vanno al «Carignano» di
Torino, al «Metastasio» di Parma. Ma è impossibile ripercorrere i luoghi, le città,
i teatri, le piazze di tutta Italia dove Rosa Balistreri ha cantato, dove ha pure
calcato scene di teatro come più spesso le accadeva negli ultimi anni della sua
vita.
Né risulta facile rievocare i grandi successi di pubblico che riusciva ad intestarsi
dagli schermi televisivi della Rai nazionale ma anche di emittenti private, o le
sue incisioni discografiche; il suo ultimo disco è del 1984, un “Concerto di
Natale” composto in collaborazione con Pippo Russo di Catania. Di lei ricorda
Testimonianze: Salvatore Di Marco 121
Giuseppe Cantavenere nel suo volume Rosa Balisteri (Ed: La Luna, Palermo
1990), che avrebbe voluto scrivere Leonardo Sciascia, impressionato dalla sua
eccezionale e sofferta esistenza. E ciò sarebbe certamente avvenuto se la morte
non lo avesse stroncato. Con Palermo, se vogliamo allontanarci da certe sue
tragiche memorie giovanili, Rosa Balistreri, artista e donna ormai in cammino
verso il proprio riscatto umano e culturale, tesse un forte e significativo sistema
di relazioni che hanno al centro figure come quelle di Ignazio Buttitta, di Salvo
Licata, del compositore Mario Modestini, di Melo Freni e altri ancora. In virtù di
questo la nostra artista ha saputo scrivere una sua bella pagina di vita che è parte
della storia della Palermo del Novecento.
Di questa grande figlia della nostra terra ci pare di rintracciare il dato saliente
della sua personalità di donna e di artista in una espressione che le attribuisce
(come ha scritto G. Razete su L'Ora, Palermo 20 settembre 1990) rimarcata
“sicilianità scontata sulla propria pelle” che e dolente, tenerissima e amara,
rabbiosa e appassionta che ha sempre accompagnato quella sua chitarra che,
ahimè, tace per sempre.
Salvatore Di Marco
Testimonianze: Paolo Emilio Carapezza 122
«Tal dono ebbe di natura: d' ogni modulazione di voce, tentata dall' arte della
musica, ne faceva un miracolo; e, dove e come voleva, riusciva ad infletter la
voce, tanto da sembrare che tenesse un organo celato nel suo petto». Così
Antonino Mongitore scriveva trecent' anni fa d'un altro musico siciliano, Nicolò
Toscano, vissuto più d' un secolo prima; e sembra profetare di lei, Rosa
Balistreri. La sua voce era infatti di mille colori, di ampia estensione, ora
possente ora delicata, ora luminosa ora tenebrosa, aspra e tenerissima, capace
d'ogni sfumatura. Rosa era nata a Licata il 21 marzo 1927; morì a Palermo il 20
settembre 1990. Negli anni Cinquanta, portandosi appresso la figlioletta di pochi
anni e un fratello minorato, emigra a Firenze: li mantiene vendendo frutta e
verdura. Tramite Manfredi, il pittore con cui conviveva, entra in contatto con
l'ambiente artistico. Saverio Bueno le dà lezioni di chitarra; Giuseppe Ganduscio
amplia il suo repertorio, cantandole i Canti popolari siciliani raccolti da Alberto
Favara all'inizio del secolo. Conosce due siciliani illustri: il poeta Ignazio
Buttitta, di cui intonerà i versi, e il cantastorie Ciccio Busacca, che prende come
modello. Dario Fo la sceglie a rappresentare la Sicilia nel suo spettacolo Ci
ragiono e canto, che debutta al Teatro alla Pergola. Incide i suoi primi dischi. Nel
1970 torna in Sicilia e si stabilisce a Palermo. Canta nei teatri e nelle piazze; i
suoi dischi si diffondono. Salvo Licata progetta per lei un musical: "La ballata
del sale", che debutta al Teatro Biondo. Seguono tournée in Germania e Svezia,
poi in America. Per vivere sfrutta la sua voce, sotto la vampa del sole,
nell'umido della luna, fino a rovinarsi le corde vocali e la salute. Me la
presentarono, all' inizio della primavera del 1971, due illustri scienziati,
Marcello Carapezza e Ugo Palma, che in certo senso me l'affidarono. Rosa non
sapeva leggere la musica, e tornava in Sicilia dopo tanti anni. Pochi erano i canti
che ricordava da quand' era bambina; già a Firenze Ganduscio le aveva
insegnato, modulandoli con la sua bellissima voce, alcuni dei canti che Alberto
Favara aveva registrato per iscritto nel decennio attorno all'anno 1900. Ora che
poteva guadagnarsi la vita cantando, Rosa aveva bisogno di ampliare il suo
repertorio. Per questo io mi sedevo al pianoforte e per interi pomeriggi le
suonavo e le cantavo le melodie raccolte dal Favara. Ad alcune rimaneva
indifferente, altre le apprezzava ma come da lontano e le lasciava svanire; molte
invece le imparava subito e le cantava con la sua voce meravigliosa e col suo
fuoco ardente, come se le avesse sempre conosciute: come se le ricordasse per
antica sapienza che tornava alla memoria, o come congenite idee platoniche
risvegliatesi dentro di lei.
Testimonianze: Paolo Emilio Carapezza 123
La prima cosa che gli abbiamo chiesto era proprio una spiegazione di quelle
urla. L‟operatore ci rispose che alcuni detenuti non avrebbero potuto assistere
allo spettacolo perché non potevano stare insieme agli altri per motivi di
sicurezza, per cui sarebbero rimasti chiusi nelle loro celle e quello che sentivamo
era uno di loro che protestava per essere stato escluso dallo spettacolo.
Con un groppo in gola siamo entrati nel reparto dove era ricoverato il
cognato di Rosa e abbiamo cominciato a conoscere alcuni detenuti, l‟operatore
ci descriveva a grosse linee lo stato mentale di alcuni di loro, ce li presentava e
mi resi conto che mentre alcuni ci rispondevano e si relazionavano alcuni di loro
sembrava che non si rendessero conto di nulla, erano ridotti ad un stato
vegetativo.
Mi colpì la presentazione di uno di questi detenuti: l‟operatore mi diceva che
il mondo di quella persona era limitata al suo letto, non c‟era altra cosa
all‟infuori del suo letto, viveva lì, mangiava lì non se ne allontanava mai.
Cercavo di sentire Rosa, a me batteva il cuore e mi sembrava di sentire anche
il suo, con Rosa bastava uno sguardo per capirsi al volo, ci succedeva sul
palcoscenico ma anche fuori dal palco, mentre ci aggiravamo fra guardie
carcerarie, detenuti, altri operatori, lettini e persone che non riuscivamo a
definire, alla fine a me sembrava di non riuscire più a distinguere chi fossero i
detenuti e chi i carcerieri, avevo l‟impressione che la pazzia dei criminali o del
posto in se stesso avesse contaminato anche la mente delle persone normali. Le
terapie sedative avevano cancellato la personalità di molti detenuti. La stessa
cosa era accaduta al cognato di Rosa. Non si rendeva conto di cosa stava
succedendo, sembrava un bambino appena nato, guardava Rosa ma non si
ricordava nulla. L‟operatore sociale cercava di spiegargli chi era Rosa, ma lui
non percepiva nulla, non capiva che Rosa era lì per perdonarlo, non aveva più
ricordi, sembrava una pianta, forse non ricordava che trent‟anni prima aveva
ucciso sua moglie.
Io mi chiedevo come avrebbe potuto abbandonare l‟istituto non essendo
assolutamente autosufficiente.
Rosa è voluta rimanere sola col cognato e poi mi ha detto che qualcosa si era
ricordato ma molto, molto vagamente.
Il concerto si è tenuto in un teatrino sempre all‟interno del carcere, la platea
era letteralmente circondata dalle guardie che avevano realizzato un cordone fra
le file esterne e le pareti del teatro. In quei secondi prima dell‟inizio osservavo
gli spettatori e notavo che sul viso di molti c‟era qualcosa che li rendeva “strani”
mentre alcuni sembravano “normali”, avevo sentito dire che alcune persone
Testimonianze: Rocco Giorgi 126
1) Incrocio tra via Martinez e via Sant‟Andrea a Licata. 2) Secondo Vincenzo Marrali Rosa
Balistreri frequentò qualche anno delle elementari, anche se nelle memorie della stessa Rosa
dettate al Cantavenere, lei afferma di aver imparato a leggere e a scrivere a Palermo mentre
lavorava come cameriera nella casa dei conti Testa
3) “Morire… davvero” vedi a pag. 37-38 di questo libro
Testimonianze: Vincenzo Marrali 129
a pezzi” così è successo con Rosa Balistreri; Rosa cantava con rabbia il
dolore, il rancore, la malinconia che aveva dentro e che mai
l‟abbandoneranno, era un canto di ribellione e di violenza contro il destino
crudele: “Sinni eru li me anni” rappresentava il dolore atroce per una vita
sprecata nel fango nel pianto e nell‟abbrutimento che comunque Rosa
aveva saputo riscattare con orgoglio ed abnegazione. I suoi spettacoli erano
espressione di un mix di memorie d‟infanzia, di ricordi del lessico del suo
paese, di rimpianti; continuò a cantare “Si maritau Rosa e Vitti na crozza”
come le aveva sempre cantate con tutta la struggente malinconia e con il
rimpianto di un mondo perduto di sogni svaniti nel nulla. Io sono un‟attrice
comica, disse ad un giornalista, al massimo posso essere un clown con la
maschera della tragedia umana, vecchia e sempre attuale, un pagliaccio di
Leoncavallo che canta per trovare un attimo di pace interiore perché i
ricordi anziché uccidermi mi diano la forza di continuare a vivere, “la mia
vita è una maschera” disse e la sua decisione di non volere essere
seppellita nel cimitero del paese natio suscitò perplessità e critiche ma
quella decisione voleva significare un taglio netto con il passato, con quella
vita di stenti di umiliazioni e di rinunce . Aveva cantato “Addiu bella
Sicilia, ci stannu brava genti e li cchiù carogni e infami” ma aveva chiesto
a me, aveva scritto a me “Fati can nun moru daveru” che era il segno
dell‟attaccamento viscerale di Rosa a quella terra di cui si era sentita parte
integrante e da cui era stata in qualche maniera trascurata. Quando è morta,
ho sentito il dovere, l‟obbligo morale proprio per obbedire a quel “fate che
nun moru daveru” di fare pubblicare l‟annuncio mortuario, cosa che non
aveva fatto il Comune di Licata per annunciare ai cittadini che Rosa
Balistreri era morta. Questo mio libro “Morire davvero” ha voluto essere il
grazie a Rosa Balistreri per quello che ci ha dato e che ancora ci da.
Mi raccontò che un giorno incontrò Dario Fò, il quale girava per l‟Italia
recitando il suo “Mistero Buffo”. Cercava una cantante, una donna con una
gran voce. E Rosa si fece subito avanti. Dario Fò, da buon conoscitore di
persone, colse la rabbia interna di quella donna, immaginando che avrebbe
dato tutta sé stessa pur di togliersi dalla strada ed conquistarsi un po‟ di
spazio nel campo della musica folk. Allora la prese con sé e da
quell‟avventura, iniziata per disperazione, nacque la Rosa Balistreri che
conosciamo.
Quella sera Rosa mi raccontò altre cose ma io con la testa non c‟ero più:
già stavo organizzando il tema della mia seconda canzone seguendo
l‟istinto delle emozioni che il racconto dell‟artista aveva saputo
trasmettermi. Così la notte quando ritornai a casa, diedi libero sfogo alla
mia ispirazione. Ormai con Rosa avevo raggiunto una speciale sintonia, in
sentimenti ed emozioni, che mi consentì di scrivere tutta d‟un fiato la
nuova canzone: “E cantu e cuntu”.
Il giorno dopo rividi Rosa e si ripeté il copione del giorno prima. Lei
ascoltò la canzone e disse semplicemente: “Si è bella! Cantala arriè.”
Poi aggiunse “Tu si‟ scrittu alla SIAE?” “Si. Certo!” “Allura sti‟ canzuni
s‟annu a dichiarari subitu alla SIAE e nun l‟ha fari sentiri a nuddu.”
Fermò per un attimo il suo discorso: cercava il tono giusto per dirmi una
cosa importante. “Si vo‟ ca li cantu iu, hamu a fari a mità: iu la musica e tu
i paroli. È accussì ca si fa: nuddu fa nenti pi‟ nenti.”. Era stata fredda e
spietata, ma sincera. Nel mondo dello spettacolo il più piccolo, il meno
conosciuto, doveva pagare il prezzo per la notorietà. “Va bene, Rosa.”
risposi. Non mi sembrò giusto, ma compresi subito che non vi era
alternativa.
A casa di Rosa continuai ad andare per tanti altri pomeriggi e per tutto
l‟inverno e tutta la primavera, una volta per lasciare il testo di una canzone,
un‟altra per cantare le canzoni e darle modo di impararle. Intanto il tempo
passava. E passò pure tutta l‟estate senza che ci incontrassimo una sola
volta perchè impegnata in concerti: io restavo a studiare per preparare gli
esami di settembre delle materie arretrate.
Al rientro quando incontrai Rosa mi premurai a chiederle se aveva
cantato le mie canzoni: mi interessava sapere quale tipo di gradimento
avesse manifestato il pubblico. Lei mi rispondeva di no, che ancora era
presto, che non se la sentiva di cantarle. Ma perché? chiedevo io.
Compresi successivamente che Rosa aveva paura.
Testimonianze: Lillo Catania 134
Paura di perdere la faccia, dato che la sua figura di artista era legata
alla riscoperta ed esecuzione di brani di origine popolare.
Sognando di incidere un disco con Rosa, nel successivo autunno e
inverno, composi altre canzoni cambiando però genere: stavolta dovevano
essere canti di protesta, di denuncia, quelli che Rosa prediligeva e che ne
esaltavano la personalità. Fu così che elaborai “Cantu pi‟ diri”
Quando Rosa ascoltò le nuove canzoni disse semplicemente “mi piacinu.”
e lo disse con il tono di chi avrebbe potuto sostenere le argomentazioni
cantate senza alcun timore e di fronte a chiunque.
Passarono altri mesi prima di un altro incontro con Rosa, e passò
nuovamente l‟estate e rivenne l‟autunno. Ci incontravamo ma a parte
qualche convenevole o una parola di augurio, non mi invitava a casa sua.
Ebbi modo di constatare che se le dicevo che avevo dei canti da proporle
allora si mostrava allegra e gentile altrimenti restava indifferente, se non
addirittura seccata. “Sugnu stanca.” mi diceva, lasciandomi intendere che
non aveva voglia di discussioni. E forse era vero, chè a quei tempi Rosa
partecipava alla recita della Lupa, quella con la Proclemer, ed era probabile
che fosse veramente stanca.
E così il mio rapporto con lei diventò di tipo occasionale per tutto
l‟anno. Il mio stato d‟animo nei suoi confronti era di rancore e di
turbamento. Un giorno però incontrandoci per caso mi invito ad
accomodarmi a casa sua. In questa occasione mi rivelo che aveva pensato
di realizzare un suo vecchio progetto, un progetto ambizioso, quello di fare
un disco, anche a spese sue, che avesse come soggetto le favole per i
bambini. Era, mi disse, un campo nuovo in cui lei si cimentava per la
prima volta, ma era sicura che avrebbe avuto successo; questa era
l‟occasione buona per uscire con delle innovazioni, fresche e originali, che
sarebbero state accolte favorevolmente dal pubblico e dalla critica. Rosa
mi parve sincera e il progetto meritorio di approfondimenti.
Mi commissionò in questa occasione la composizione di favole o storie,
tra quelle più conosciute dai bambini, che presentassero una buona morale
oltre che una melodia semplice e orecchiabile. Mi tuffai nel lavoro e di
nuovo i miei contatti con Rosa ripresero con continuità e frequenza. Le
favole che scelsi furono le più note “La cicala e la formica” e “ Il lupo e
l‟agnello”. Entrambe le canzoni piacquero molto a Rosa, tanto che si
sbilanciò con una promessa: le avrebbe inserite, comunque, subito nel suo
prossimo LP.
Testimonianze: Lillo Catania 135
Ma di dischi in quel periodo Rosa non ne faceva ed io, più che mai deluso,
cominciai a perdere le speranze di una loro concretizzazione.
Con Rosa ci vedevamo sempre più di rado, tanto che tra me e lei si era
instaurato un clima di pessimismo estremo; con il pessimismo, però,
arrivarono anche le canzoni più belle: “Quann‟iu moru”, “Chi strata
longa”, “Senza di tia”, “Trona e lampia” …
Un giorno che ero andato a trovarla, senza dirle che avevo fatto una
nuova canzone, presi la chitarra e intonai: “Quann‟iu moru” Quand‟ebbi
finito chiese: “A facisti pi mia?” (31) “secondo te?” risposi. “Sì è pi‟ mia.
Ma pi‟ scaramanzia „un la cantu. È troppu tristi.” “No, Rosa che dici.
Questo invece è un inno alla vita. Dato che prima o poi tutti dobbiamo
morire, questo canto è un testamento spirituale che dà valore alla tua vita.”
“Mah!” Disse lei: “Però si parla di morti, da me morti.” (33)
Intanto arpeggiavo sulla chitarra. Mi concentrai e lasciai uscire la voce,
intonando “Chi strata longa.” “Minchiuni che bella.” Disse Rosa, “Chista,
sì, ca mi piacissi cantalla. Fammi vidiri comu si fa.” Ricantai la canzone
sino ad insegnargliela, ripetendo strofe ed accordi sino a stancarmi. Ma era
una bella soddisfazione. Capivo che Rosa si era innamorata della mia
canzone e di come la cantavo e questo soddisfaceva tutte le mie fatiche,
tutti i miei sacrifici.
Questa canzone, detto da lei, era quella che sentiva di più, quella in cui
si riconosceva maggiormente. Ancora il tempo passava. Ormai non
chiedevo più niente a Rosa. Se faceva o no dischi, se cantava in giro le mie
canzoni. Adesso ero diventato più guardingo e alcune canzoni non le
registrai più a nome di tutti e due ma solo a nome mio. La passione di
comporre l‟avevo nel sangue e, con o senza Rosa, questa spinta creativa
doveva venir fuori.
Mi inventai “Viaggiu o 'nfernu” e “La ballata di la morti”. Rosa
sentiva ed apprezzava; ascoltava e guardava gli accordi mentre
memorizzava il ritmo. Un giorno, sicuramente, le avrebbe cantate.
Gli ultimi incontri che ebbi con lei avvenirono per un progetto teatrale, che
però non andò a buon fine per liti tra attori e tra attori e regia. I canti più
significativi che ho creato per questo progetto furono “L‟omu e la vita”, “
Sugnu accussì” e “La me filosofia”. Però anche dalle avventure negative
possono nascere degli aspetti positivi, in quel contesto conobbi l‟artista
Serena Lao, una cantante con una gran voce, alla quale affidai molte delle
mie canzoni, tra queste “La leggenda del gabbiano”, una canzone del
Testimonianze: Lillo Catania 136
La mia amicizia con Rosa è nata in seno alla RAI. Se ben ricordo era
direttore il Dott. Albino Longhi, “uomo di sinistra” ed aiutava Rosa
facendole cantare le sue canzoni folkloristiche di tradizione. Eravamo
intorno al 1971-72 ed io avevo pubblicato il mio libro sulla donazione del
sangue che fu presentato ed abbondantemente recensito da diversi
giornalisti della RAI. Nacque una buona amicizia con Pino Badalamenti
che mi presentò Rosa; le parlammo di queste mie ballate folk che avevo
scritto, quella dell‟antimafia in occasione del delitto del Procuratore
Scaglione, (n.d.a. ucciso dalla mafia il 5 maggio 1971), la “ninna nanna”
per Cudduredda, dedicata alla bambina che, in seguito al terremoto del
Belice, era rimasta sepolta per cinque giorni. Ritrovata viva, non riuscì a
vivere perché aveva i polmoni intasati di polvere e purtroppo morì. Ci
incontrammo in questa occasione e grazie a mamma RAI diventammo
amiche, Queste ballate Rosa le cantò alla RAI di Palermo; da allora in poi
quando Rosa era a Palermo si faceva sentire.
Poi stette molto male perché fu operata, ed era ospite di una mia cara
amica di Mondello, mi telefono e capii che era molto giù di morale.
La andai a trovare un pomeriggio e le feci compagnia per quasi tre ore;
fu in quella occasione che mi raccontò tanti episodi tremendi che avevano
funestato la sua giovinezza; la fame che poteva saziare andando a
raccogliere cicoria e babbaluci, (1) sempre sotto le minacce di un padre
violento e con poca voglia di lavorare anche se aveva un buon mestiere
come ebanista ed era anche bravo.
I suoi lavori come domestica che non le avevano risparmiato la
violenza e lo stupro di qualche padroncino. Persino l‟infamia di farla
passare per ladra che la portò in carcere da innocente; l‟uccisione di sua
sorella da parte del marito che andò in carcere e malgrado ciò lei andò a
fare un concerto proprio nel carcere ove si trovava suo cognato.
E mi raccontò anche la parte bella della sua vita che in certo senso
l‟aveva riscattata da tutte le malversazioni sopportate in famiglia e fuori,
Gli incontri con personaggi illustri che l‟avevano onorata con la sua
amicizia. A me fece conoscere Leonardo Sciascia con il quale diventammo
amici e che mi onorò parecchie volte intervenendo a
1) lumache
Testimonianze: Anna Cartia Bongiorno 139
e mi disse: “hai visto che ci sei riuscita a farmi una canzone in meno di
un‟ora?... avevo ragione io…” Che dovevo dirle?... ha sempre ragione tu!
Il lato positivo fu che vinse anche il milione; mi venne a trovare al ritorno
da Milano ed era veramente felice: Non ci vedevamo spesso perché lei era
sempre in giro ed io ero dietro ai miei impegni: una famiglia di cinque
persone, l‟associazione degli scouts e la cooperativa della Sicilart con un
teatro da gestire. Ma come avrò fatto?
Di Rosa mi è rimasta la sua amicizia, la sua sincerità, la sua lealtà, quel
che pensava diceva, senza sotterfugi, curava si, i suoi interessi, ma chi non
lo avrebbe fatto dopo aver vissuto la sua vita, per non ritornare in miseria.
Di Rosa mi è rimasto il suo sorriso, ampio, vero, era la sua ricompensa
quando potevo aiutarla, e il suo calore umano; grazie Rosa.
che è poi una frase che comunque dicono tutti i grandi che non sono stati
valorizzati. Oggi Rosa Balistreri ha avuto dedicata una sala, ha un gruppo
folkloristico, ha tantissimi riconoscimenti e poi ha dall‟altra parte la sua
storia che è una storia molto particolare, una storia che moltissimi licatesi
non conoscono come non conoscono la storia di Filippo Re Capriata, non
conoscono la storia di Angelo Maria Ripellino, non conoscono la storia di
tanti personaggi che fanno parte della nostra contemporaneità, molti
giovani non sanno delle canzoni che sono state scritte ma anche della
partnership che in passato la stessa Rosa Balistreri ha avuto con artisti
come Buttitta o come Guttuso. Rosa Balistreri era probabilmente il
simbolo di quello che noi quotidianamente cerchiamo nel nostro lavoro
quella di rispecchiare una licatesità che non ha mai trovato una sua
pienezza forse perché noi stessi non siamo stati mai consci delle capacità
che abbiamo avuto e c‟è una componente che Rosa Balistreri canta nelle
sue canzoni e che emerge nell‟intervista che noi abbiamo fatto, una
componente quasi di rammarico per il livello di invidia che portava spesso
i licatesi a non valorizzare le persone da vive e cosi c‟è nell‟intervista il
racconto del concerto fatto in piazza Sant‟Angelo in cui Lei era quasi
completamente sola, al buio, con pochissime persone che poi forse erano i
fedelissimi, persone della sua generazione che poi forse non hanno
compreso che stavano vivendo quell‟ultimo concerto di una grande artista,
un po‟ come quando andiamo a vedere i grandi concerti e ci convinciamo
che era importante esserci, il c‟ero anch‟io in quel momento, tutti quanti
noi abbiamo avuto la consapevolezza che Rosa Balistreri rappresentava un
pezzo di storia della nostra città ed era un pezzo di storia che se ne stava
andando. Due serate del Memorial dedicate a Rosa Balistreri rappresentano
il punto di partenza così come il Festival del folklore rappresenta un
momento di confronto importante e che ha anche un aspetto internazionale.
Le espressioni artistiche che sono nate a Licata “U cuntu ca ti cuntu” di
Carmelo Vizzi e Armando Sorce, la possibilità che in un futuro
l‟Amministrazione possa rieditare il libro di Giuseppe Cantavenere (1)
sulla vita di Rosa Balistreri, il Memorial Rosa Balistreri dei Lions, questi
sono i fatti che ci possono far capire che siamo sulla strada giusta, una
strada che deve coinvolgere certamente le scuole, è molto importante
1) Rosa Balistreri: una grande cantante folk racconta la sua vita, 1992
Testimonianze: Francesco Pira 145
lavorare sui bambini per far conoscere quest‟artista, per far conoscere le sue
canzoni mettere insieme gli insegnanti di musica, di italiano di arte per far
capire qual è il vero tratto di questa nostra grande artista e poi c‟è
sicuramente da lavorare per organizzare manifestazioni che possono avere un
aspetto di tipo culturale ma anche folkloristico, per esempio un convegno
sulla vera capacità, i vari momenti della vita e le capacità artistiche mettendo
a confronto personaggi che hanno lavorato con Lei.
Rosa Balistreri seppellita nel cimitero di Trespiano, guarda Firenze, un pò
quella città le ha dato il giusto riconoscimento; mi è capitato di parlare di lei
con Otello Profazio, un grande artista che ho incontrato in Calabria e mi
diceva che la grande caratteristica di Rosa era quella di sviluppare attorno a
se una capacità di squadra, lei riusciva a mettere le persone insieme, a farle
parlare, ecco l‟esempio di Rosa Balistreri può essere per la nostra città un
esempio di aggregazione forte cercare di far lavorare come è successo
quest‟anno tante forze insieme nel nome di Rosa, nel nome di un progetto che
attraverso il nome di Rosa possa trainare degli interessi culturali sostanziali
per la nostra città, per far questo bisogna certamente mettere insieme il
mondo dell‟arte, dell‟accademia, delle scuole, di tutti gli artisti che l‟hanno
conosciuta, mi è capitato di parlare con Teresa de Sio di Rosa Balistreri, di
ascoltare i Dioscuri a Gorizia di fronte ad una platea e di poter sentire lì tutte
le canzoni di Rosa Balistreri, cosi come è bello sentirle rappresentate da
giovani che fanno parte di gruppi folkloristici, allora è opportuno lavorare
tutti insieme ognuno per le proprie competenze per valorizzare tutti insieme il
nome di Rosa Balistreri.
Francesco Pira è professore aggregato di Comunicazione, di Relazione
pubbliche presso l‟Università di Udine. Presso lo stesso Ateneo coordina il
progetto della Web radio ed è direttore responsabile della testata giornalistica
della stessa radio e del periodico “Il Gomitolo”. Il Presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano, con proprio decreto firmato lo scorso 2
giugno 2008, lo ha insignito della distinzione onorifica di "Cavaliere
dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana”.
Ha pubblicato Come creare un ufficio stampa, 1997; Di Fronte al
Cittadino, 2001): Comunicazione & Potere. 2000), Videogiocando, 2001);
Dall'E-Commerce all'E-Government (Cleup 2001); Comunicare il Comune,
come il cittadino da utente diventa, 2002). Come comunicare il sociale,
2005), Infanzia media e nuove tecnologie, con il Primario Emerito di
Pediatria, Vincenzo Marrali, 2007; La Nuova Comunicazione Politica, 2008
insieme a Luca Gaudiano.
Testimonianze: 146
Buttitta, Matteo Salvatore, Maria Carta, Mimmo Cuticchio , Pina Bausch grande
coreografa internazionale tedesca e tanti altri.
Hanno collaborato inoltre con prestigiosi Enti musicali, Teatro Massimo di
Palermo, Orchestra sinfonica siciliana, Theater Baden Baden etc.
Già da molto tempo i fratelli Anelli hanno intrapreso una nuova strada come
compositori delle loro canzoni che parlano un linguaggio immediato ed attuale e
più vicino al modo di pensare di oggi.
Infatti nel loro vasto repertorio è possibile rintracciare le più diverse influenze
etniche, dalle melodie spagnole e greche a quelle arabe che miscelate con
sapiente maestria a quelle siciliane, hanno aperto nuovi orizzonti alla musica ed
alla canzone siciliana.
praticamente mescolavo vari generi per cui c‟era una fusione di timbri
musicali, suonavo con Tobia, un vero musicista, lui suonava il violino e
anche a lui piacevano vari generi musicali.
Molti sono i ricordi e gli aneddoti che potrei raccontare, mi soffermo su
alcuni.
La cosa che spesso faceva Rosa era quella di insultarci però in buona fede,
ridendoci sopra e per instaurare con il pubblico una feeling infatti spesso
quando eravamo sul palco per stimolarci a rendere il massimo, ci diceva:
“avanti curnutazzi, sunati” ci diceva un sacco di parolacce, però lo faceva a
fin di bene, sorridendo e mettendo allegria al pubblico e noi non solo non
ci offendevamo, ma ci ridevamo cordialmente, alla fine però ci presentava
alla platea in modo molto gratificante.
Prima della nostra conoscenza la accompagnava qualche amico ed
allora Rosa, guardando come suonavamo, chiedeva come si facessero gli
accordi e imparò alcuni accordi di chitarra che gli furono utilissimi specie
quando con gli amici dopo gli spettacoli trascorreva qualche ora insieme a
loro suonando e cantando qualche pezzo del suo repertorio.
Il maestro Mario Modestino ha un inedito di Rosa nel senso che Rosa
una volta andò a casa sua e cominciò a cantare un pezzo che Mario ha
musicato, insieme a Mario abbiamo un progetto in cui vorremmo fare
questo inedito, già è arrangiato ed orchestrato.
Rosa era attaccatissima a Licata, non ne parlava male, parlava male dei
politici che governavano Licata, mentre amava la gente licatese ed era
legatissima alle tradizioni licatesi.
A livello interpretativo non esiste ancora una cantante che si può
paragonare a Rosa, oggi ci sono le nuove leve della canzone siciliana, ma
Rosa era qualcosa di particolare, la sua musica è legata alla sua vita, alle
sofferenze che ha patito.
Rosa era incredibile, aveva una forza di animo eccezionale, aveva
molto sofferto, anche la fame ed è per questo che curava molto mi suoi
interessi economici
Vi sono molti pezzi musicali che abbiamo fatto insieme a Rosa: la
ballata di Beppe Fava, il testo è di Ignazio Buttitta e la musica l‟ho messa
io, Rosa aveva molti pezzi che io e Tobia abbiamo trascritto in musica
almeno una sessantina di pezzi che lei ha poi depositato alla SIAE, tra
l‟altro lei era molto disordinata, e non so se Lei ha fatto le fotocopie di
questi testi, faceva le cose e poi le dimenticava dappertutto.
Testimonianze: Mimmo La Mantia – Francesco Giuffrida 152
un canto che la voce di Rosa faceva diventare vivo e palpitante; era come se lei
potesse digerire quella musica, quelle parole per farle diventare carne sua,
sangue suo per restituire poi tutto a chi ascoltava. Non credo che qualcuno ci
sia più riuscito, perlomeno al suo livello. Altri ricordi: la visita della vedova di
Giuseppe Ganduscio a casa di Rosa. Ganduscio, morto a Firenze qualche anno
prima, era stato il primo a fare conoscere canti popolari siciliani diversi dal
solito Ciuri ciuri e Vitti „na crozza incidendoli coi “Dischi del Sole”; e questi
canti, La tirannia, Quantu basilicò, Stanotti „n sonnu, Morsi cu morsi e tanti
altri, erano ormai entrati a far parte del repertorio di Rosa. La visita di Ignazio
Buttitta: gli piaceva sentire la voce e il modo di cantare di Rosa perché secondo
lui Rosa riusciva a rendere e a migliorare cantando quello che per lui era
scrittura e recitazione. E chi avrebbe potuto dargli torto?
Io non amo per nulla i miti e non sarò certo io a mitizzare Rosa; Rosa è stata
unica, fino a ora, perché il suo essere cantante è stato generato dall‟incontro di
esperienze personali spesso terribili con momenti storici forse non più ripetibili
e che, in ogni caso, appartengono al passato. Le violenze subite da Rosa, per
una serie di coincidenze, in un preciso momento della storia d‟Italia, gli anni
‟60, sono diventate forza trasformatrice: della tradizione, della maniera di
cantare, di rapportarsi col pubblico e con gli altri. Cosa farebbe oggi Rosa? Di
tanto in tanto me lo chiedo, ma non so rispondermi con assoluta certezza.
Probabilmente sarebbe a cantare, con la sua voce roca e vibrante, nelle
manifestazioni per l‟acqua pubblica e nei cortei No Tav.
1) vedi a pag. 35 di questo libro 2) vecchio castello situato una volta dentro al porto nelle
vicinanze dell‟Hotel Faro di oggi
Testimonianze: Camillo Vecchio 156
1) la Marina, vicino al porto abitato da marinai, San Paolo su una collinetta e quindi
nella parte alta del paese abitata all‟inizio da profughi dei Malta, Settespade in
periferia verso la biforcazione per Campobello e Palma di Montechiaro abitato da
contadini, Cunzaria cosiddetto per la concia delle pelle.
2) sussidio, sovvenzione statale per le nuove famiglie 3) insistere 4) anfore di creta
Testimonianze: Camillo Vecchio 157
a Firenze fece una truffa, prese da un grossista della merce, e non la pagò,
trasferendosi in Sicilia, il grossista la cercò in tante parti, specie a Licata,
mandandole improperi e ingiurie a Lei e alla sua figlia. (1)
Era un pomeriggio di Agosto dei primi anni ‟70 quando incontrai per la
prima volta Rosa Balistreri a Campobello di Licata, nella piazza principale
del paese; Rosa era sola, vestita di un camicione a fiori che gli arrivava
fino alle caviglie e sulle spalle uno scialle, anch‟esso a fiori, sembrava una
gitana, era venuta a Campobello per un concerto.
Fra noi ragazzi era già nota e ogni tanto si cantava anche qualche sua
canzone seppure non era la nostra musica. Erano tempi in cui non era
molto di moda cantare in siciliano.
Poi nel tardo pomeriggio di quel giorno un amico, Lillo Guarneri
(filippino) mi chiese se la sera volevo andare con lui in campagna da amici
che si riunivano. Lì rividi Rosa e quella sera per la prima volta la sentii
cantare dal vivo. Il suo non era non solo un canto, ma il canto, la storia
della Sicilia, era il suo sangue.
Dicono che ognuno è figlio del proprio tempo e certamente è vero.
Ecco, io credo che per Rosa questo non vale, perché lei non è figlia del suo
tempo, Rosa è figlia del tempo, del tempo di Sicilia e della sua storia. Per
questo ognuno di noi che ha scelto di fare questo mestiere, dovunque vada,
si porterà sempre dietro l‟eredità immensa che questa grande figlia di
Sicilia ci ha lasciato.
Tano Avanzato, di Campobello di Licata, musicista, inizia la sua
attività di cantastorie nell‟ormai lontano 1999, continuando comunque a
fare parte del Gruppo di canto popolare “Zabara” che ha fondato nel 1990.
Ha ormai al suo attivo centinaia di spettacoli che negli anni ha tenuto nei
vari centri della Sicilia, del sud e della Lombardia, oltre che in Francia, in
Inghilterra e negli Stati Uniti.Nel doppio CD antologico dal titolo “La mia
vita vorrei scriverla cantando”, è contenuto un suo brano: “La Tristizza”.
Nel luglio 2007, edito dalla casa editrice IPSA di Palermo, Tano Avanzato
con il gruppo Zabara pubblica, il CD: “Lu trenu du suli” dal vivo, alcuni
canti di Tano Avanzato sono presenti nel CD edito dalla Regione Sicilia
“Nun sugnu poeta” , 2007. 1) Dopo circa dieci giorni che Camillo Vecchio ha scritto
questa testimonianza è passato, essendo molto anziano e malato, a miglior vita non potendomi
consegnare o farmi vedere le prove della truffa che riferisce il Vecchio, per cui la testimonianza
è da prendere con le dovute riserve non essendoci prove di quanto il Vecchio afferma.
Testimonianze: 159
Da molti anni è impegnato nel recupero di canti siciliani della sua terra,
canti che porta in giro con il gruppo “Zabara”. E‟ una asse portante della
cultura di Campobello di Licata, curando le visite alle pietre dipinte, sulla
Divina Commedia di Dante, di Silvio Benedetto e alle piazze artistiche di
Campobello di Licata, portando in giro l‟arte e il buon nome del suo paese.
Cosa dire di Rosa Balistreri? Piccole cose!, perché figli di due mondi
diversi: il canto folk, il suo, e il canto lirico, il mio. La prima volta ci
incontrammo, per cantare i versi della signora Anna Cartia Buongiorno e
subito dopo il concerto mi disse: “Antonio… la tua voce è la voce del
canto lirico, vai a studiare e diventerai un bravo baritono”. Ipso facto,
l‟ascoltai e tra il conservatorio ed alcuni maestri privati ho raggiunto quasi
la perfezione del canto lirico, da Rosa in seguito apprezzato.
Un‟altra volta ci siamo incontrati sulla spiaggia di Isola delle Femmine e
abbracciandola le dissi: Rosa non potrò dimenticarti, perché il tuo
cognome si confonde dove io sono nato cioè Balestrate (paese vicino
Palermo) e da Balestrate a Balestrieri manca un sospiro: la tua voce ed il
tuo amore. L‟ho seguita nella sua carriera tramite TV, e giornali e man
mano che il suo nome e la sua arte venivano apprezzate nel mondo
ricordavo con nostalgia la sua sincera amicizia; di lei mi è rimasto il
ricordo di una donna forte ma umile, orgogliosa della sua sicilianità e
tenace contro le avversità della vita. Grazie della tua amicizia, Rosa.
Molti fecero una richiesta ben precisa: "Mi votu e mi rivotu". Era il suo
cavallo di battaglia, dicevano. Lei contenta si diede con slancio al suo
pubblico e cantò ancora.
Mi sentii accapponare la pelle. Non avevo mai sentito in lingua siciliana
niente di più struggente e appassionato. Quel canto d‟amore bellissimo che,
attraverso le sue magiche corde vocali, diventava ora una dolcissima
serenata, ora un richiamo accorato, ora un‟invocazione disperata all‟uomo
amato, mi entrò nelle vene. Adesso sì che avevo davvero il groppo in gola!
Ero commossa, anche perché quella canzone mi riconduceva alla mia vita
senza amore, la sentivo particolarmente mia.
Ancora applausi e ovazioni, poi Rosa salutò con garbo e chiuse la diretta.
Continua...........
Abbandonate definitivamente le radio libere, mi dedicai anima e corpo
all‟arte canora e compositiva. Scrissi poesie, canzoni, poi imparai alla
perfezione alcuni canti del suo repertorio (quattro o cinque in tutto) e la
chiamai al telefono.
A ripensarci, non so dove trovai il coraggio per farlo, in fondo ci eravamo
incontrate solo via etere.
"Pronto" rispose subito lei con quella sua voce maschia e penetrante.
Volevo riattaccare, ma alla fine parlai tutto d‟un fiato.
"Ciao, scusa se ti disturbo, sono Serena, la conduttrice di Tele Radio
Normanna. Abbiamo parlato tante volte durante i miei programmi. Ti
ricordi di me?"
Certo era passato del tempo, ma lei, non so se per pura cortesia o perchè
davvero convinta, mi disse di sì.
"Sai Rosa, io da qualche tempo canto" dissi, non senza una certa faccia
tosta. "Ho imparato alcune tue canzoni e vorrei sentire cosa pensi della mia
voce. Molti dicono che è gradevole, ma solo tu puoi darmi un parere
autorevole. Mi puoi ascoltare?"
Non se lo fece dire due volte e fissammo la data e l‟ora del nostro incontro.
Dopo due giorni, puntualissima, mi presentai e trepidante come una
scolaretta al suo primo esame (e di fatto lo era), feci il mio ingresso nella
sua casa.
La sua abitazione era al "rez-de-chaussée" di una palazzina in via SS
Mediatrice (zona Villa Tasca), dalle cui finestre si poteva quasi toccare la
strada. Sotto c‟era il bar Zeus.
Testimonianze: Serena Lao 168
Sono uno dei fortunati possessori della biografia di Rosa Balistreri del
Signor Cantavenere e questo mi rende orgoglioso perché aver letto la vita
di Rosa Balistreri raccontata dalla stessa Rosa, cosa che non conoscevo, è
stato molto importante perché mi ha fatto capire, mi ha dato la chiave di
lettura di questo straordinario personaggio. Rosa per me era un mito fino a
quando non l‟ho conosciuta personalmente, perché sono un appassionato di
musica come tanti palermitani ed avevo sentito alcune canzoni ma non
l‟avevo mai sentito cantare e non l‟avevo mai incontrata personalmente.
Conobbi Rosa Balistreri nell‟inverno freddo tra il 1980 e l‟81 mentre lei
viveva in via Maria SS. Mediatrice, in quel anno io frequentavo il secondo
anno di infermiere all‟ospedale “Civico” di Palermo e mi ritrovai un
pomeriggio a fare tirocinio in sala operatoria in chirurgia toracica, facevo il
tirocinio insieme ad una collega un‟infermiera generica che lavorava in
pneumologia donne nello stesso ospedale; avendo finito il nostro tirocinio,
la collega mi disse: saliamo sopra a salutare le colleghe di reparto e poi
andiamo, io la seguii, in pneumologia donne, salutate le colleghe,
traversammo il reparto e la collega, prima di lasciare il reparto, entrando in
una stanza, salutò la degente dicendola “ciao Ro” e andammo avanti, io
lanciai solo un‟occhiata dentro quella stanza di due posti letto occupata
solamente da una donna con una camicia da notte color rosa chiaro.
La mia collega, mentre eravamo giù, ha capito che io non avevo
riconosciuta la donna, giacchè di Rosa Balistreri io avevo un‟immagine di
presenza scenica vestita di scuro sicuramente molto diversa di quella
immagine della donna ricoverata in quella sala di degenza, e mi disse non
hai visto chi c‟era? no risposi, è Rosa Balistreri, riprese a dire la mia
collega e lì io quasi stavo per svenire perché per me Rosa era una persona
che portava dentro qualcosa di molto importante, resistetti cinque minuti
soltanto dopo di che pregai la collega di ritornare in reparto e di
presentarmela, lei con molto piacere acconsentì e così risalimmo su, siamo
entrati nella sala di degenza e la mia collega disse: “Rosa, ti presento Salvo
Dalfino, un collega che sta facendo con me il corso. Io non so cosa Rosa ha
visto in me, sicuramente ha visto un mio particolare interesse, un mio
trasporto, tanto che la mia collega ci lasciò soli in quella sala di degenza,
Rosa cominciò a parlare ed ad un certo punto aprì
Testimonianze: Salvo Dalfino 171
ancora attivo e nel quale ancora suono e canto, quando fummo contattati
dall‟avvocato Russo, ex dipendente del Comune, anche lui appassionato di
musica , Rosa era venuta a Licata ed era ospite in un villino, alla Poliscia,
forse dell‟avvocato Cantavenere, il signor Russo ci disse che Rosa doveva
tenere una serata con la gente che abitava nei villini viciniori e ci invitò a
partecipare attivamente con le nostre canzoni allo spettacolo di Rosa
Balistreri; la proposta ci piacque moltissimo ed anche Rosa si mostrò
disponibile, quella sera fu un successo straordinario, Rosa si esibiva con il
suo repertorio e noi con canzoni nostre e del repertorio classico siciliano,
cantammo una canzone noi ed una Rosa e la gente applaudì sia Rosa che
noi in modo veramente entusiasmante, l‟esperienza fu diversa dalla prima
perché in Piazza Progresso eravamo su un palco, qui invece eravamo tra la
gente che era seduta in mezzo a noi e l‟ambiente era molto familiare; Rosa
era molto interessata alla nostra musica tanto che registrò tutti i pezzi che
facemmo.
L‟ultimo periodo che incontrai Rosa e lo feci molti volte fu nel periodo
che frequentai l‟Università a Palermo, soggiornavo vicino la casa di Rosa,
ed abitavo in via Platania ed a un paio di isolati più avanti c‟era Via Maria
SS. Mediatrice, dove abitava Rosa in un appartamento a piano terra pieno
di quadri, alcuni importanti perché erano di Guttuso, li Rosa incontrava
molte persone ed era felice di incontrare me, mia sorella e qualche altro
amico sia perché eravamo licatesi, e sia perché musicisti di canti popolari,
stiamo parlando degli anni 80-81, anni in cui la parabola di Rosa era in
discesa, Rosa ci diceva che aveva problemi, era ferma, si dedicava di più al
teatro. Andavamo spesso a casa sua ed insieme a Lei cantavamo e ricordo
che Rosa era sempre contenta di vederci insieme alla madre che abitava
con Lei, e ci invogliava a ritornare.
Licata ha assunto un comportamento ostracistico verso Rosa, le
amministrazioni di Licata erano prevalente democristiane ma sempre
contrapposte ai comunisti e Rosa che militava nel P.C.I. non era ben vista
dall‟ambiente politico di allora.
Rosa Balistreri era unica, aveva una voce straordinaria, assolutamente
naturale, un dono che Dio le ha dato e che lei ha saputo coltivare ed
valorizzare al massimo; oggi chi canta le canzoni di Rosa commette un
grande errore se pensa di interpretarle alla maniera di Rosa, il suo registro
vocale e la sua espressività erano uniche e nessuno riuscirà mai ad imitarla;
il suo canto era molto passionale, istintivo e diretto.
Testimonianze: Armando Sorce 177
venuta nella spiaggia per godere di una giornata di relax, per prendere il
sole e tuffarsi nel mare limpido di Mollarella, portando con se la sua
inseparabile chitarra; mentre era nel suo camerino cominciò a strimpellare
e a cantare canzoni siciliane, pian pianino le persone vicine al suo
camerino si siedono sulla sabbia per ascoltarla, si avvicinano altre persone
dalla spiaggia, in una parola più di cento persone attorniano Rosa che
continua a cantare riscuotendo applausi a non finire, In quel periodo Rosa
era già affermata cantante e le persone presenti tributarono ampi consensi a
questa concittadina che gratuitamente regalava loro uno spettacolo. Dopo
due anni nella stessa spiaggia nel 1976 Rosa si ripeté cantando per i
presenti e ricordo che cantò la storia di sua sorella uccisa dal marito che
poi finirà al manicomio criminale, Rosa per far comprendere questa
canzone, che cantava come fosse una cantastorie, si soffermò spiegando
alle persone presenti quei fatti tragici, io ero vicino a Lei, quando Rosa con
forte commozione si fermò piangendo, il ricordo di quei avvenimenti la
sconvolse, dopo qualche minuto si riprese e continuò a cantare; le persone
presenti rimasero in silenzio e molti ricordo che l‟abbracciarono e la
baciarono per darle conforto.
Devo dare atto al Lions Club Licata che ogni anno organizza delle
serate in onore di Rosa Balistreri, questo compito spetterebbe al Comune
ed agli amministratori locali che invece sono sordi al richiamo culturale
che è anche ricchezza, perché Rosa ha dato lustro a Licata, Rosa è qualcosa
di speciale e dovrebbe essere il Comune a portare avanti un discorso di
valorizzazione della figura artistica di questa licatese, a fare un museo
nella casa natia di Rosa, solo un‟amministrazione aveva iniziato un
discorso di valorizzazione di Rosa, il sindaco Ernesto Licata ed il vice
sindaco Di Cara, istituendo una “Fondazione Rosa Balistreri”, la sala Rosa
Balistreri nell‟ex carcere con il materiale audio e librario che Rosa ha
lasciato a Licata, oggi tutto tace ed è una vergogna per gli amministratori
di questa città.
.
Testi e partiture delle canzoni 183
Nella raccolta Frontini c‟è questa versione “Cummari Nina, cummari Vicenza /
mittitivi a lenza cca nasci u 'nguà 'nguà, havi sett'anni, ca sugnu maritata / 'non passa
'st‟annata mi chiamu mamà, s'è masculiddu, lu mannu a la scola / su è fimminedda
quasetta si fa”
Testi e partiture delle canzoni 189
Supra na casa vitti du palummi Sopra una casa vidi due colombe
supra di iddi l‟occhi mia pusaru; sopra di loro gli occhi miei si posarono,
li vitti a cumpuneddu suli suli, li vidi accoccolati da soli
na gioia di lu cori mi scinniu. una gioia dentro il cuore mi scese.
Dintra di mia dissi e pinsau: Dentro di me dissi e pensai:
cu sapi si puri iddi hannu pinzeri chi sa se anche loro hanno pensieri
o forsi un n‟hannu vuci pi gridari, o forse non hanno voce per gridare,
lu so duluri nuddu u pò capiri. il loro dolore nessuno può capire.
Si comu a mia batti lu me cori Se come a me batte il cuore,
lu sangu d‟iddi è russu comu a nui il loro sangue è rosso come il nostro.
palummi ed acidduzzi sunnu eguali Colombe ed uccellini sono uguali
hannu la carni lu sangu e lu cori hanno la carne, il sangue ed il cuore,
biati iddi chi lu ponnu fari beati loro che possono farlo
cangianu celu vulannu cu l‟ali, cambiano cielo volando con le ali,
biati iddi chi lu ponnu fari beati loro che possono farlo
cangianu celu vulannu cu l‟ali. cambiano cielo volando con le ali
“Corpus di musiche
popolari siciliane”,
1957 al n: 542
Alberto Favara
Testi e partiture delle canzoni 194
Tra i canti popolari a tema religioso questa canzone è una delle più conosciute in tutta
la Sicilia e veniva cantata il Giovedì e il Venerdì Santo in varie parti dell‟isola.
L‟Addolorata è in cerca del Figlio e lo trova incatenato nella casa di Pilato. Commovente il
dialogo della Santa Madre con San Giovanni, con il Figlio incatenato e col mastro fabbro
che fabbrica i chiodi per la croce. Nella canzone è preminente il dolore e il dramma
dell‟Addolorata nel tentativo di cambiare gli eventi dolorosi del Figlio. I canti religiosi da
tempo immemorabile hanno attratto la fantasia dei compositori che hanno lasciato pagine
straordinarie della pietà religiosa e della fede del popolo siciliano. Il dolore
dell‟Addolorata è straordinariamente interpretato da Rosa Balistreri, che, seppur nella vita
si dichiara non religiosa, in questa pagina mostra il suo interiore religioso e la vicinanza di
una mamma che ha vissuto nel dolore per la perdita di due figli appena nati con la santa
Madre di Gesù. Strutturalmente il canto è formato da endecasillabi con accento ritmico
nelle sillabe 6/10 con alcune rime baciate A/A. La tonalità musicale è La maggiore con un
tempo di ¾.
Testi e partiture delle canzoni 195
Testi e partiture delle canzoni 196
Matri chi aviti figghi a la Badia Madri che avete figli a la Badia (1) ,
un li chianciti no chi su sarvati. non li piangete, perché sono al sicuro.
Chianciti chiddi di la Vicaria Piangete i figli della Vicaria (2)
chi sunnu privi di la libirtati. perchè sono privi della libertà
Matri chi aviti figghi carzarati Madri che avete figli carcerati
iti alla Vicaria e li viditi. andate alla Vicaria e li vedete.
iti alla Vicaria e li viditi andate alla Vicaria e li vedete.
Nui semu nda lu „nfernu carzarati Noi siamo nell‟inferno carcerati
e vui matruzzi fora chi chianciti. e voi madri fuori (3) che li piangete.
Nui semu nda lu „nfernu carzarati Noi siamo nell‟inferno carcerati
e vui matruzzi fora chi chianciti. e voi madri fuori che li piangete.
1) in convento
2) carcere borbonico a Palermo
3) fuori dal carcere
Fa parte delle canzoni che Rosa Balistreri ascoltò certamente nel carcere
dell‟Ucciardone di Palermo dove fu rinchiusa per diversi mesi. E‟ un accorato appello
alle madri che non hanno più accanto i figli o perché hanno fatto i voti (Badia) o perché
sono carcerati (Vicaria). Il ricordo della madre che piange, perchè ha il figlio carcerato,
è uno dei dolori più forti per un carcerato.
Testi e partiture delle canzoni 199
Testi e partiture delle canzoni 200
Oilì, oilì, oilà, pocu paroli Oilì, oilì, oilà, poche parole
palazzu fabbrica, oilì, oilì, oilà un palazzo fabbricò, oilì, oilì, oilà,
palazzu fabbrica, un palazzo fabbricò,
„nmezzu lu mari. in mezzo al mare.
„Nmezzu lu mari c‟è In mezzo al mare c‟è
na villanova una villa nuova
veni lu ventu e la, oilì, oilì, oilà viene il vento e la, oilì, oilì, oilà,
veni lu ventu e la viene il vento e la,
motta a la praia. spinge sulla spiaggia.
Tolla ntichiti, tollala là Tolla ntichiti, tollala là
tolla ntichiti, tollala là tolla ntichiti, tollala là
tolla la lallà tolla la lallà
Ci sta na picciutedda mariola Ci sta una giovinetta mariuola
di nomu ci mittemu... la chiameremo…
oilì, oilì, oilà oilì, oilì, oilà,
di nomi ci mittemu camiola la chiameremo “camiola”
Teni li capidduzzi bruni e rizzi Tiene i capelli neri e ricci
e si li strizzi oilì, oilì, oilà e se li strizza oilì, oilì, oilà,
e si li intrizza la palermitana e se li intreccia come una palermitana
Tolla ntichiti, tollallà Tolla ntichiti, tollallà
tolla ntichiti, tollalà tolla ntichiti, tollallà
tolla la lallà. tolla la lallà.
Appartiene ai canti che non hanno un tema specifico, ma il cui scopo è far
cantare per il solo piacere del canto.
Qualsiasi momento nella giornata è buono, durante le pulizie di casa, al
lavatoio, nel preparare il pasto frugale. Il cantare questo canzone denota
serenità, gioia, vitalità.
Spesso i canti similari venivano cantati in coro, al lavatoio comune o la sera
al calar del sole, quando le comari, dopo una giornata di lavoro, si riunivano nel
cortile, prima di recitare il S. Rosario, utilizzando le terze note superiori o
inferiori determinando bellissime armonie corali.
Testi e partiture delle canzoni 201
SANT‟ANTUNINU SANT‟ANTONINO
CALATI CALATI (tradizionale) VENITE, VENITE.
Questa canzone è una ninna nanna antichissima, cantata ancora fino a pochi
anni fa dalle mamme siciliane, la ritroviamo in “Corpus di musiche popolari
siciliane”, 1957 Alberto Favara al n: 550
Si invoca San Antonio per far addormentare il piccolo bambino e nello
stesso tempo si lodano le bellezze del neonato; non viene ricercato il significato
delle parole, ma che queste facciano rima, e un ritmo dondolante per favorire il
sonno. I versi sono liberi come libero è il canto con accompagnamento della
chitarra senza ritmo, né tempo.
Testi e partiture delle canzoni 206
A TIRANNIA LA TIRANNIA
(tradizionale)
Ccà sutta nta stu „nfernu puvireddi Qui sotto in questo inferno (1)
ah! nui simu cunnannati poveretti, ah! siamo condannati
a tirannia. alla tirannia.
1) carcere
SANT‟AGATA, SANT‟AGATA
CH‟È ÀUTU LU SULI! COM‟E‟ ALTO IL SOLE
(tradizionale)
1) il padrone
2) per fare le corde
Rosa Balistreri nei suoi canti è sempre dalla parte dei lavoratori. La sua
storia personale di miseria e di povertà, la sua esperienza politica nel partito
comunista la portano a scegliere canzoni di protesta, nelle quali forte si connota
il contrasto tra il contadino costretto a spalle curve a dissodare la terra sotto il
sole cocente della Sicilia e il padrone che si arricchisce con il lavoro dei
contadini e che beve vino mentre lascia l‟acqua ristagnata nelle pozze per
dissetare i lavoratori. Il grido di protesta è forte e deciso, come forte e decisa è la
voce della cantante. Strutturalmente la canzone è formata da endecasillabi con
accento sulla 6 e 10 sillaba. La musica ha un ritmo di ¾ , valzer lento, con
tonalità di La minore.
Testi e partiture delle canzoni 214
accordi: La- = A-
Re- = D-; Mi+= E+
Testi e partiture delle canzoni 215
La canzone parla di un amore breve durato poco “meno di un'ora”, come un "fuoco
di paglia" che si accende in fretta e in fretta scompare.
Commovente il lamento iniziale, che nasce dall‟amore tradito di una “menzognera”,
un tempo “cristallino e puro” che diventa presto “fango di fogna”. “Ora che hai
ammazzato il mio amore si è oscurato il cielo e il mare”, “le campane suonano a morto”
Tristissimo il finale: il cuore dell‟innamorato abbandonato e tradito è freddo, morto e
viene rappresentato da un cimitero pieno di “teschi e sepolture” e “da spine in cambio
di fiori”. Disperato il finale col la-la-la un lamento dal quale traspare tutto il dolore, la
delusione e la rassegnazione di aver perso l‟amata.
Strutturalmente la canzone è formata da endecasillabi con accento sulla 6 e 10
sillaba. La tonalità musicale è in Si bemolle minore (la tonalità in minore accentua
l‟amarezza e la disperazione).
Testi e partiture delle canzoni 216
Testi e partiture delle canzoni 217
Canto religioso: è l‟unica preghiera che il padre di Rosa conosceva ed è quella che
recita insieme ai figli inginocchiati nelle sere di temporali con lampi e tuoni, quando la
casa trema ad ogni tuono e sembra crollare, come è raccontato nel libro su Rosa
Balistreri del Cantavenere (1). E‟ la religiosità della povera gente che recita la sola
preghiera che conosce quando le forze della natura sembrano accanirsi contro i
meschini. E‟ la preghiera dei vinti, che si rivolgono in prima persona a Dio, senza
intermediari, senza i preti e la chiesa, chiedono perdono dei peccati, e chiedono la
protezione divina contro le avversità della vita e della natura.
1) Rosa Balistreri: una grande cantante folk racconta la sua vita, 1992,
Testi e partiture delle canzoni 218
accordi: La- = A-
Re- = D-; Mi+= E+
Testi e partiture delle canzoni 219
Amuri tu lu sai sta vita è amara Amore, tu lo sai, questa vita è amara
e sai comu la siti „nni turtura, e sai come la sete ci tortura,
si scontri a Nina se incontri Nina
cu la sò quartara con il suo recipiente d‟acqua,
dicci ca Turi sò mori d‟arsura. dille che il suo Turi muore di sete.
Canto di lavoro, intriso di invocazioni di ringraziamento a Dio, per aver dato
abbondanti messe, con il sudore del lavoro manuale del contadino che miete il
grano con la falce, patendo la sete sotto il sole cocente, mentre il pensiero va
all‟amata che lavora portando una brocca d‟acqua per dissetare i mietitori.
Il verso “Amuri tu la sai la vita è amara” ha dato il titolo all‟intero disco.
Il lavoro nei campi una volta era ben distribuito: agli uomini i lavori più duri,
dissodare il terreno, seminare, mietere con le falci, alle donne un lavoro meno
pesante, portare i “bummuli”, brocche, piene d‟acqua per dissetare durante la
stagione, spagliare ed insaccare il grano.
Testi e partiture delle canzoni 221
MI VOTU E MI RIVOTU MI GIRO E MI RIGIRO
(tradizionale)
Mi votu e mi rivotu suspirannu Mi giro e mi rigiro (1) sospirando
passu li notti „nteri senza sonnu. passo le notti intere senza sonno.
E li biddizzi tò iu cuntimplannu E contemplando le tue bellezze
li passu di la notti „nsinu a jornu. le ripenso nella notte
Pi tia nun pozzu ora fino a quando fa giorno.
cchiù durmìri Per te ora non posso più dormire
paci nun havi cchiù pace non ha più
st‟afflittu cori. questo afflitto cuore.
Lu sai quannu ca iu Tu lo sai quando
t‟haiu a lassari: dovrò lasciarti:
quannu la vita mia quando la vita mia
finisci e mori. finisce e muore.
1) dentro il letto
da “Canti Popolari” in aggiunta a quelli
del Vigo, 1867, di Salvatore Salomone
Marino al n 125 di pag. 70
e in “Raccolta amplissima di canti siciliani”
Lionardo Vigo al n 613
Il canto “Mi votu e mi rivotu” è la canzone più ascoltata del repertorio di Rosa
Balistreri ed è il canto che più viene associato a Rosa Balistreri da molti appassionati di
musica popolare siciliana o di altri generi musicali.
Il canto è molto antico, l‟autore come in quasi tutti i canti popolari, è sconosciuto.
Rosa Balistreri in un intervista afferma di aver sentito cantare questa canzone per la
prima volta dentro il carcere di Palermo, ed ha attribuito ad un carcerato la
composizione, in realtà il testo di questa canzone è presente nella raccolta di “Canzoni
siciliani” del Frontini.
Salomone Marino Salvatore nel suo libro “Canti popolari siciliani” 1867 riporta la
stessa canzone : “Nun dormu né riposu a tia pinsannu / passu li notti interi senza sonnu”.
Nei primi del 1900 viene musicato col nome di “Canzone villereccia”.
Nella canzone l‟amato spasima per l‟amata e trascorre intere notti pensando a Lei,
solo la morte potrà dividerli. La musica è dolcissima ed è un inno d‟amore che
coinvolge totalmente l‟amato da fargli perdere sonno e pace. Solo la morte potrà
dividerli.
Il verso è un endecasillabo, mentre la musica ha la tonalità di La minore con un
tempo di 6/8 caratteristico delle barcarole e ninne nanne.
Testi e partiture delle canzoni 222
accordi: La- = A-
Re- = D-; Mi+= E+
Testi e partiture delle canzoni 223
Antica canzone siciliana ambientata nella Sicilia prima del dominio arabo (827 -
1061), allorquando le scorrerie dei turchi avvenivano lungo le coste e nei paesi
rivieraschi. Da queste scorrerie, per potersi difendere, nascono le varie torri di
avvistamento col solo scopo di vedere le navi in avvicinamento e segnalarle ai castelli
viciniori per preparare la difesa con l‟aiuto dei contadini e di tutti i cittadini. La storia
della bella Agatina, rapita dai turchi mentre andava a chiamare il nonno serve al suo
amore per incitare i giovani a lottare contro gli invasori turchi. La canzone viene
riportata dal Pitrè nel 1871 tra le leggende e storie con il nome “I pirati” nel suo libro
Canti popolari siciliani”
Nel 1875 il Marino-Salomone riporta nella sua “Storie in poesia siciliana” la
ristampa della “Historia della bella Agata prisa da li cursali nelli praij vicino a la
Licata” così come era stata stampata nel 1566 a Palermo per la stampa di Matteo
Mayda. La canzone è presente anche nel “Corpus” del Favara. L‟ultima strofa non è
presente nelle raccolte citate e si pensa che possa essere stata aggiunta dalla Balistreri.
Strutturalmente la canzone è formata da endecasillabi con accento forte sulle sillabe
6/10. Tempo di 4/4 con tonalità di Sib
Testi e partiture delle canzoni 225
SIGNURUZZU O SIGNORE,
CHIUVITI CHIUVITI (tradizionale) MANDATECI LA PIOGGIA
“Corpus di musiche
popolari siciliane”,
1957 Alberto Favara
al n: 714
accordi: La- = A-
Re- = D-; Mi+= E+
Testi e partiture delle canzoni 229
Canto religioso: in molti paesi marinari, v‟è l‟usanza di far trasportare nelle
feste religiose le statue di santi o della Madonna dai marinai, come a Licata,
paese natale di Rosa Balistreri, dove per la festa di Sant‟Angelo l‟urna del santo
insieme a quattro grossi fercoli viene trasportata per le vie cittadine dai marinai.
In questa canzone v‟è il ricordo delle processioni di monache e novizie nelle
feste principali religiose. Un dì, numerose, le suore, oggi ridotte a poche decine,
avevano un ruolo ben preciso nella società, tenendo aperti collegi per diseredati
e senza nome, istruendo i bambini dell‟infanzia e delle elementari, organizzando
il lavoro negli ospedali, sfornando deliziosi dolci in una parola erano integrati
nel tessuto socio-economico dei paesi, oggi la carenza vocazionale o forse il
benessere e nuovi modelli per i giovani hanno ridotto al lumicino la presenza di
queste sorelle.
Il verso è un endecasillabo, mentre la struttura musicale dall‟iniziale 4/4 si
trasforma nel 3/4 più brioso . La tonalità e La Maggiore.
Testi e partiture delle canzoni 230
Testi e partiture delle canzoni 231
“Corpus di musiche
popolari siciliane”,
1957 Alberto Favara
al n: 720
CANTO DI CACCIA
(tradizionale)
‟Nmezzu l‟alivi na pirnici c'è In mezzo agli ulivi c‟è una pernice
mo pigghia la spagnola e torna arrè adesso prendi il fucile e ritorna indietro,
‟Nmezzu l‟alivi na pirnici c'è in mezzo agli ulivi c‟è una pernice
mo pigghia la spagnola e torna arrè adesso prendi il fucile e ritorna indietro
curri spagnola e porta la quaglia ccà corri con il fucile e porta la quaglia qua
e si non la trovi allura, e se non la trovi subito,
luntanu si nni va lontano se ne va,
luntanu si nni va, luntanu si nni va, lontano se ne va, lontano se ne va.
la quagghia spalma l'ali e si nni va la quaglia allarga le ali e se ne va.
luntanu a la campagna si nni va. lontano in campagna se ne va.
A nmezzu a dda lumia In mezzo ad un albero di limone
na quagghia c'è una quaglia c‟è
va pigghia la spagnola e torna arrè vai, prendi il fucile e ritorna indietro,
A nmezzu a dda lumia in mezzo ad un albero di limone
na quagghia c'è una quaglia c‟è
va pigghia la spagnola e torna arrè vai, prendi il fucile e ritorna indietro;
cerc'a spagnola cerca il fucile
e porta la quaglia ccà e porta la quaglia qua
e si non la trovi allura, e se non la trovi subito,
luntanu si nni va lontano se ne va,
luntanu si nni va, luntanu si nni va, lontano se ne va, lontano se ne va.
la quagghia spalma l'ali e si nni va, la quagli allarga le ali e se ne va,
la quagghia spalma l'ali e si nni va. la quaglia allarga le ali e se ne va.
Canto di caccia. La canzone ha un ritmo brioso e coinvolgente; ricorda una delle
attività molto diffuse un tempo: la caccia, attività svolta non solo dal ceto benestante ma
anche dai contadini e che dava un aiuto alle ristrettezze economiche di un tempo.
Un dì quagli e pernici erano numerose e i cacciatori li preferivano per le carni
delicate; oggi per l‟ecosistema cambiato, per l‟uso diffuso di antiparassitari, per
l‟urbanizzazione spinta, non solo quaglie e pernici non si vedono più, ma gli stessi
conigli sono a rischio estinzione; è cambiato anche il giudizio della gente comune sulla
caccia e sul cacciatore visto non più come attività sportiva, ma come concausa alla
estinzione di tante razze di uccelli e per questo sono sempre meno i cacciatori.
Si parla della spagnola, vecchio fucile importato nel periodo di dominazione spagnola in
Sicilia, una doppietta molto efficiente e precisa. I versi sono endecasillabi tronchi,
mentre la musica ha un tempo di 4/4 con tonalità di La maggiore
Testi e partiture delle canzoni 239
Antichissima canzone siciliana presente nella raccolta del Frontini, nella quale le parole
non hanno un significato, ma quel che conta è la melodia; veniva cantata dai raccoglitori
d‟olive spesso in modalità polifonica utilizzando le terze superiori od inferiori e quindi
in coro a più voci. Il canto in questo caso serviva a ritmare il tempi del lavoro e a lenirne
le fatiche. Molti gruppi folkloristici hanno incluso questa canzone nel loro repertorio sia
perché molto antica, che per la polifonia che si può fare con questo pezzo musicale.
I versi sono vari mentre la musica è una valzer lento con tonalità La maggiore
Testi e partiture delle canzoni 241
Canzone triste incentrata sul tema dell‟abbandono dei figli che emigrano per
lavoro. Alcuni interpretano l‟abbandono della persona amata.
Ritmo libero nella prima parte che si trasforma in valzer lento.
Testi e partiture delle canzoni 242
LEVATILLU STU CAPPEDDU LEVATI QUESTO CAPPELLO
“Corpus di musiche
popolari siciliane”,
1957
Alberto Favara al n: 748
Testi e partiture delle canzoni 243
Divertente canzone molto antica, tradotta in italiano con il nome di “Amor dammi
quel fazzolettino”, lo stesso tema con le medesime azioni, strofinarlo con il sapone,
stenderlo sui rami di rose, ricamarlo, il tutto condito con baci al padrone del fazzoletto, il
fidanzato.
I versi sono dodecasillabi mentre la musica è in 4/4 con la tonalità di La maggiore
Testi e partiture delle canzoni 245
Niscìu na varca a lu scogliu di Sita Uscì una barca allo scoglio di Seta
tutti li scogli addivintaru rina tutti gli scogli diventarono sabbia
niscìu na varca… misi a banniari uscì una barca… mi misi a gridare
e ogni barca misi a calari e ogni barca cominciò a calare le reti.
PROVERBI SICILIANI
Tutti li cosi vannu a lu pinninu Tutte le cose vanno in fondo
ed a lu peju ‟un ci si „nclina ognunu e al peggio nessuno si rassegna
a cu duna a cu leva lu distinu ad alcuni il destino dà e ad altri leva
e nun ci pari mai lu nostru dunu. e non sappiamo mai ciò che è nostro.
Nun curri paru lu nostru caminu Non corre diritto il nostro cammino
pocu cridi lu saggiu a l‟importunu il saggio poco crede all‟importuno
lu riccu mancu cridi a lu mischinu il ricco nemmeno crede al meschino
lu saziu nun cridi a lu dijunu. e il sazio non crede al digiuno.
Pi troppu ventu lu vasceddu sferra Per troppo vento il vascello sbanda
pi la gran frevi lu malatu sparra per la gran febbre il malato sparla
p‟assai cunsigli si perdi la guerra per molti consigli si perde la guerra
e pi tanti giudizii si sgarra. e per troppi giudizi si sgarra.
Lauda lu mari e teniti a la terra Loda il mare e tieni i piedi fermi a terra
pensa la cosa prima ca si sparla pensa la cosa prima di parlare
pirchì haju ntisu diri a la me terra perché ho sentito dire dalle mie parti
cu fa li cosi giusti mai li sgarra. chi fa le cose giuste mai le sbaglia.
A chiànciri figliuzza chi cci cavi A piangere figliola cosa ci ricavi
lu sangu t‟arribbelli e po‟ murìri il sangue ti ribolle e puoi morire
pacenzia ci voli a li burraschi pazienza ci vuole nelle burrasche
ca nun si mancia meli senza muschi. perché non si mangia miele senza mosche.
Ma cu du‟ lepri voli assicutari Ma chi due lepri vuole inseguire
nè unu e nè l‟autru po‟ aggarrari né una né l‟altra può afferrare
ma cu nun fa lu gruppu a la gugliata ma chi non fa il nodo all‟ago
perdi lu cuntu cchiù di na vota. perde il conto più di una volta.
Ci dissi lu jadduzzu a la puddastra Disse il galletto alla gallina
tuttu lu munnu è comu casa nostra tutto il mondo è come casa nostra
ci dissi la padedda a la gradiglia disse la padella alla graticola
haiu pisci grossi mancia e no fragaglia. ho pesci grossi: mangia! e non frattaglie.
Accosta veni ccà mancia carduna Accosta vieni qua mangia cardi
ca a lu casteddu mancianu picciuna perché al castello mangiano piccioni
rispunni e dici lu ziu Nicola risponde e dice lo Zio Nicola
si la pignata ‟un vuddi nun si cala. se la pentola non bolle non si versa la pasta.
Lu picuraru ca fa la ricotta Il pastore che fa la ricotta
lu sapi iddu l‟amici c‟aspetta lo sa lui gli amici che aspetta
la furca nun è fatta pi lu riccu la forca non è fatta per il ricco
è fatta pi la testa di lu porcu. è fatta per la testa del porco.
„Nni la testa d‟un maiali Nella testa d‟un maiale
tu ci manci tu ci sciali tu ci mangi, tu ci sciali
„nni la testa d‟un cunigghiu nella testa d‟un coniglio
nenti lassu e nenti pigghiu. niente lascio e niente piglio.
Timpirateddu ti vivi lu vinu Pian pianino ti bevi il vino
ca ti teni lu stomacu ntonu ché ti tonifica lo stomaco
Testi e partiture delle canzoni 250
cu ammucciau lu latinu chi ha nascosto il latino
fu gnuranza di parrinu. fu ignoranza di prete.
‟Un c‟è festa e nè fistinu Non c‟è festa né festino
si ‟un c‟è un monacu e un parrinu se non c‟è un monaco e un sacerdote
ma lu monacu da Badia ma il monaco della Badia
a Gesù lu patrunia, a Gesù lo chiama padrone.
C‟è la monica di casa C‟è la monaca
a Gesù lu stringi e vasa di casa a Gesù lo stringe e bacia
„nni la casa di Gesù nella casa di Gesù
„nzoccu trasi ‟un nesci chiù. quel che entra non esce più.
Ma cu havi na bona vigna Ma chi ha una buona vigna
havi pani, vinu e ligna e lu trivuli e ha pane, vino e legna e il pianto
lu beni cu cci l‟havi si lu teni. ed il bene chi ce l‟ha se lo tiene.
Quannu chiovi di matina Quando piove di mattina
pigghia l‟aratru e và simina prendi l‟aratro e vai a seminare
quannu veni lu giugnettu lu frumentu sutta lu quando viene giugno
lettu, ma la luna di jnnaru il frumento sotto il letto, ma la luna
luci comu jornu chiaru. di gennaio luccica come giorno chiaro.
Signuruzzu chiuviti chiuviti O Signore fate piovere, fate piovere
ca l‟arburiddi su morti di siti perchè gli alberelli sono assetati
e si acqua ‟un nni mannati e se acqua non ne mandate
semu persi e cunsumati siamo perduti e rovinati.
L‟acqua di „ncelu sazìa la terra L‟acqua del cielo sazia la terra
funti china di pietàti, fonte piena di pietà
li nostri lacrimi posanu nterra le nostre lacrime cascano a terra
e Diu „nni fa la carità. e Dio ci fa la carità.
Nesci, nesci suli, suli pi lu santu Sarvaturi, Esci, esci sole, sole per il Santo Salvatore
‟etta un pugnu di nuciddi getta un pugno di noccioline
arricrìa li picciriddi fai gioire i bambini
etta un pugnu di dinari arricrìa li cristiani,‟etta butta un pugno di denari fai contenti gli uomini,
un pugnu di fumeri butta un pugno di concime
arricrìa li cavaleri. fai contenti i cavalieri.
Antonio Veneziano: Poesie
I proverbi sono presenti in tutte le società e sono il
concentrato dell‟esperienza degli anziani, che con poche
parole riescono a racchiudere grandi verità, che sono
sempre valide in tutti i continenti. Il Verga nel suo
“Malavoglia” ne cita diversi decine; intere biblioteche si
possono formare raccogliendo tutti i proverbi siciliani
Ogni paesello ha i suoi proverbi, anche se alcuni uguali con piccole variazioni. In
questa canzone vi sono moltissimi proverbi e provengono da tanti paesi; uno più
interessante e profondo dell‟altro, uno più vero dell‟altro. La prima parte dei versi sono
formati da endecasillabi, la seconda parte da ottonari, la musica presenta un tempo di 4/4
con tonalità di Mi maggiore.
Vedi copia da “Canti siciliani, 1857 del Vigo a pag. 458 al n. 72 “Pi lu gran tempu lu
vascellu sferra” e copia del Pitrè a pag. 459 “Nesci nesci, suli suli” al n. 8
Testi e partiture delle canzoni 251
Testi e partiture delle canzoni 252
Testi e partiture delle canzoni 253
Canto religioso che riferisce il ricordo della Veronica e del suo velo con impressa la
faccia sanguinante del Cristo. E‟ un episodio della salita al Calvario di Gesù Cristo,
riportato nei Vangeli, che è rimasto vivo nella religiosità popolare come è dimostrato dai
tanti quadri, poesie e canzoni che riportano l‟avvenimento.
Maria cerca suo figlio e chiede notizie ad una sconosciuta per l‟appunto la Veronica
che le risponde di aver incontrato un uomo con il viso”tutto „nchiaitu” con
innumerevoli piaghe e di averlo asciugato con un velo sul quale è rimasta stampata
l‟immagine di Gesù.
Endecasillabo è il verso, mentre musicalmente abbiamo un tempo di valzer lento,
tristissimo, con tonalità altrettanto triste quale quella minore e cioè La minore.
Testi e partiture delle canzoni 256
Testi e partiture delle canzoni 257
Amici amici chi „n Palermu jti Amici, amici, che a Palermo andate
mi salutati dda bedda citati, salutatemi quella bella cittadina,
mi salutati li frati e l‟amici salutatemi i fratelli e gli amici
puru ddà vicchiaredda ed anche quella vecchietta
di me matri. di mia madre.
Spiatinni di mia chi si nni dici, Cercate di sapere cosa si dice di me,
si li me cosi sunnu cuitati, se le mie cose sono tranquille,
ca siddu voli Diu, comu si dici perché se Dio vuole, come si dice
pur‟iu cci haju a jiri a libirtati. pure io sarò libero presto.
Dare della puttana alla madre di un nemico è la massima offesa che si può fare in
Sicilia e questo è l‟epiteto che il povero carcerato da al delatore che lo ha consegnato
alla giustizia. Anche gli amici lo hanno abbandonato, ma il suo fisico è robusto e fra
ventinove anni darà una giusta risposta agli infami che lo hanno denunciato.
Testi e partiture delle canzoni 261
CUTEDDU „NTUSSICATU COLTELLO INTOSSICATO
(tradizionale)
…
La- = A-; Re- = D-; Mi7= E7
Testi e partiture delle canzoni 263
“Corpus di musiche
popolari siciliane”,
1957 Alberto
Favara al n: 467
…
Testi e partiture delle canzoni 265
…
Testi e partiture delle canzoni 267
…
Testi e partiture delle canzoni 269
“Canti Popolari Siciliani”, 1940 Roma riedizione delle opere del Pitrè vol. l° al n
399 di pag. 327
“Raccolta amplissima di canti popolari siciliani”, 1870 Lionardo Vigo al n. 3219
…
Testi e partiture delle canzoni 270
„NFAMITA‟ INFAMITA’
(tradizionale)
Carzari ca si fattu cruci cruci Carcere che sei diventato una croce
malidittu ddu „nfami ca ti fici maledetto quell‟infame che ti ha fatto
si miritava d‟anima dannata. si meriterebbe l‟anima dannata.
Iddu pi primu la galera a vita Lui per primo la galera a vita
carzari funnu e cuncavata tana carcere profondo e tana concava
ogn‟unu di valuri t‟abbannuna ogni uomo di valore ti abbandona
si costruitu a na parti stramani sei costruito in una zona fuori mano
unni nun passa mancu lu scursuni. dove non passa neanche un serpente.
Mi ci hannu misu a mia Mi hanno messo li dentro
comu un cani come un cane
e „ncatinatu peggiu di un liuni e incatenato peggio di un leone
pi pani mi manciai carduna amari, per pane mi son mangiato cardi amari,
pi acqua mi vivia lu me suduri. per acqua mi son bevuto il mio sudore.
Testi e partiture delle canzoni 271
Il tema è simile alla famosa canzone siciliana “Vitti na crozza”, (1) anzi è verosimile
che quest‟ultima è una versione di “Testa di mortu” ritrovandosi copia nel “Corpus” del
Favara al n. 177 con questa dicitura: Stanotti „nsonnu mi vinni a nsunnari,„nsonnu
mi vinni na crozza di mortu e ccu dda crozza mi misi a parrari " Tu dimmi
crozza chi nova mi porti ? “
1) vedi “Vitti na crozza” a pag.311-312
Testi e partiture delle canzoni 272
Questa canzone è una delle più famose del repertorio di Rosa e tutt‟ora viene cantata
da molti gruppi folkloristici e da molti cantanti folk. E‟ un canto d‟amore, un amore
altalenante, con luci ed ombre, difficoltoso, ma alla fine l‟amata, “ciatu di lu me cori”, è
il vero ed il solo amore. Vi sono decine di registrazioni di questa canzone cantata dalla
Balkistreri, specie live, a riprova di quanto venisse apprezzata dal pubblico e dalla stessa
cantante. Strutturalmente la canzone è formata da endecasillabi con tonalità Re minore.
Testi e partiture delle canzoni 275
1) paga giornaliera
Non lu sapiti l‟amuri ca v‟haiu Voi non sapete l‟amore che ho per voi
e nun sapiti quantu vi disiu; e non sapete quanto vi desidero;
nun lu sapiti non sapete
comu chiangiu e staiu come piango e come mi sento
quann‟è ca ppi mumentu quando per un solo momento
non vi viu. non vi vedo.
Dintra di l‟arma mia Dentro di me
na vampa cci haiu ho una vampa di fuoco
e lu me cori è vostru e non lu miu; e il mio cuore è vostro, e non è mio;
si moru „nparadisu non ci vaiu se muoio in paradiso non ci vado
pirchì p‟amari a vui perchè per amare voi
non pensu a Diu. non penso a Dio.
E vui sapennu st‟amuri e sti peni E voi conoscendo
mi lassati muriri comu „n cani questo amore e queste pene
ma oggi siddu cc‟è cu vi tratteni mi lasciate morire come un cane
speru di cunvincirivi dumani. ma oggi se c‟è chi vi trattiene
Cchiù non m‟amati spero di convincervi domani
e cchiù vi vogghiu beni Più non m‟ amate e più vi voglio bene
chiù passa e chiù e più passa il tempo
vi mannu cristiani e più vi mando persone (1)
non mi lassati amuri „ntra sti peni non mi lasciate amore in queste pene
pirchì siti ppi mia perchè siete per me
l‟acqua e lu pani. l‟acqua e il pane.
1) per convincervi
Una delle più belle canzoni d‟amore del repertorio di Rosa Balistreri.
L‟amore per l‟amato è così intenso che non solo lo stesso cuore non le
appartiene più, essendo stato donato al fidanzato, ma anche la stessa anima è
del suo amore e non per Dio. Spesso però l‟amore non è ricambiato, ma più lui è
distratto è più l‟amore cresce, ormai è più forte del bisogno di nutrirsi.
Molte sono le registrazioni di questa canzone fatte dalla Balistreri, perché
faceva parte fissa del suo repertorio nei molti concerti effettuati riscuotendo
sempre grandi applausi.
Testi e partiture delle canzoni 279
1)Ed alavò, figliolo speciale / quando sei grande non andare soldato
perchè per soldato non ti faccio partire / meglio morire con te in galera
Testi e partiture delle canzoni 284
Il Favara intitola questo canto nell‟edizione Ricordi “Modo delle donne del Catitu,
canto di lavoro, nel battere i cordami sul blocco di marmo” Il Catitu è un quartiere di
Trapani, dove le donne cantavano questa cantilena mentre aiutavano i loro uomini
battendo su blocchi di marmo la ddisa (materia prima a filamenti ) per farne gomene
grosse per le imbarcazioni.
Testi e partiture delle canzoni 287
Po‟ fari du‟ finestri faccifrunti, Poi fare due finestre di fronte
quantu cci affacci tu, affinché ti affacci tu,
bedda galanti. bella galante.
Vìviri cci vurria „nna sti to‟ junti Bere vorrei con le tue mani unite
„nta sta funtana chi teni davanti. in questa fontana che tieni davanti.
da “Raccolta amplissima di
canzoni siciliane” Lionardo
Vigo
al n. 514 di pag 219
RARI E INEDITI
(Teatro del Sole, 1997)
Molti dei seguenti brani presenti nel CD del teatro del Sole sono stati registrati da
Felice Liotti, amico della Balistreri, in una radio privata palermitana, in occasione
di alcuni incontri di lavoro avuti con Rosa Balistreri.
Testi e partiture delle canzoni 292
Canzone popolare dai molti doppi sensi, si parla di un uccellino, ma si pensa ad altri
pennuti, che di notte “pizzicano” le donne.
Piacevole canzone, specie se cantata insieme agli amici, magari a pancia piena e con un
buon bicchiere di vino siciliano in mano.
Testi e partiture delle canzoni 293
Testi e partiture delle canzoni 294
A PINNULA LA PILLOLA
Sintiti amici cari chi vaiu a raccuntari, Sentite amici cari, le cose che vi debbo raccontare
un fattu stranu assai un fattu eccezionali; un fatto strano assai,
u fattu di sti fimmini, un fatto eccezionale; il fatto di queste donne,
beddi comu li mammuli belle come i fiori di mammole
ca pigghianu li pinnuli apposta ‟ppi campà che prendono le pillole apposta per vivere.
V‟arricurdati Aida, chidda di San Cristofaru Vi ricordate Aida, quella di San Cristoforo
scappata co francisi, ddu pezzu di figghiolu, scappata col francese, quel pezzo di figliuolo,
ca miniminigonna ora ca è riturnata con la minigonna ora è tornata
parra ca er moscia, è tutta emancipata. parla con la “er” moscia, è tutta emancipata.
A propriu l‟autra ieri cu Lilla s‟ancuntratu Ma proprio l‟altro ieri con Lilla si è incontrata
s‟abbrazzanu spiannuci: si abbracciano e le chiede:
Aida unn‟è ca statu? Aida dove sei stata?
Haiu statu „ndi la Francia Sono stata in Francia
cu me beddu francisi col mio bel francese
m‟arricriatu l‟anima ca avi chiù di tri misi. sono contenta e felice e questo da tre mesi.
Beni, ma dimmi Aida comi è co po capiri Bene, ma dimmi Aida, come lo puoi capire
parrà dra strana lingua parla quella lingua strana
e ccu ddu straniu diri e con quel strano dire.
Sapissi cara Lilla, chi lingua cauda e fina. Sapessi cara Lilla, che lingua calda e fina.
ca usa lu fagottu pari na sirpintina. ed usa il fagotto sembra una serpentina.
E‟ veru dimmi Aida ddocu ni ssu paisi E vero, dimmi, Aida, li in quel paese
„nvintarunu na pinnula hanno inventato una pillola
ca si pigghia ogni misi. che si prende ogni mese.
Pirchì quannu ritardanu li ospiti aspettati Perché quando ritardano gli ospiti aspettati (1)
sunnu duluri stomacu ppi schietti e maritati. sono dolori di stomaco per zitelle e maritate.
O Lilla bedda cara, tu nun fari chiù vuci Oh Lilla, bella cara, non fare più strepiti
u sacciu ca si „llicca pi certi cosi duci. lo so che ti piacciono certe cose dolci.
Perciò ppi farti vidiri ti vogghiu beni assai Perciò per farti vedere che ti voglio assai bene
na scatola di pinnuli, ppi tia iu purtai. una scatola di pillole per te ho portato.
Ora quannu si a tavula ccu lu to giovinottu Ora quando sei a tavola con il giovanotto
iddu intra la cicara „ppo lassari u biscottu. lui dentro la tazza (2) può lasciare il biscotto.
Però ancora prima di mettiti a mangiari Però ancora prima di metterti a mangiare
du pinnuli ppi subbitu almeno due pillole
a menu t‟ha pigghiari. subito devi prendere.
Allegri, tutti fimmini, vinni la cuntintizza Allegri voi tutte donne, è venuto il tempo felice
approfittatavinni, mentri che c‟è sosizza approfittatene mentre che c‟è salsiccia
si diggirisci subbitu, a panza nun s‟abbutta si digerisce subito, la pancia non gonfia,
sta prudigiusa pinnula sia biniditta tutta questa prodigiosa pillola sia tutta benedetta,
sta prudigiusa pinnula sia biniditta tutta questa prodigiosa pillola sia tutta benedetta
1) i cicli mensili femminili 2) allusione all‟organo genitale femminile
Questa canzone molto divertente, oggi che l‟uso degli anticoncezionali è cosa accettata da
tutti, potrebbe essere non compresa, infatti è da inquadrare negli anni 70 quando sono state
immesse sul mercato le pillole anticoncezionali e le donne erano impreparate alla novità.
La canzone è piena di doppi sensi, ma non è volgare, anzi è piacevole e mette buon umore,
regalandoci qualche sorriso.
Testi e partiture delle canzoni 295
Testi e partiture delle canzoni 296
LA BARUNISSA DI CARINI LA BARONESSA DI CARINI
(tradizionale)
La barunissa di Carini La baronessa di Carini
era affacciata „nda lu sò barconi era affacciata al suo barcone.
Vidi viniri a na cavallarìa; vide venire uomini a cavallo:
chistu è me patri questo è mio padre
chi veni pri mia! che viene per me!
Chianci Palermu, Piangi Palermo,
chianci Siracusa, piangi Siracusa,
a Carini c‟è lu luttu in ogni casa; a Carini c‟è il lutto in ogni casa;
cu‟ la purtau sta nova dulurusa chi ha portato questa notizia dolorosa,
mai paci pozz‟aviri a la sò casa. mai pace possa avere nella sua casa.
Tanti libri sono stati scritti sul rapporto tra mafia e preti a conferma di un problema reale. In
molti paesi siciliani il rapporto è stato strettissimo e questo non è passato inosservato a Buttitta,
poeta siciliano molto attento ai fenomeni sociali della Sicilia del dopoguerra.
La canzone trova Ignazio Buttitta e Rosa Balistreri in totale accordo sul rapporto tra mafia e
preti. La mafia minaccia con la lupara e il prete alzando la croce l‟inferno.
(vedi capitolo Rosa e il fenomeno mafioso a pag. 46 di questo libro)
1) preso dall‟invocazione al patrono licatese Sant‟Angelo “ E chi semu surdi e muti… viva Sant‟Angilu”
Testi e partiture delle canzoni 300
Testi e partiture delle canzoni 301
ME MUGGHIERI 'UN AVI PILA MIA MOGLIE NON HA LAVATOIO
Picciotti chi v'aviti a mmaritari Giovanotti, che vi dovete sposare
cchiù prima ancora di farivi ziti prima ancora di farvi fidanzati
a zita sutta e supra at' a „gguardari la fidanzata sopra e sotto dovete guardare
si nun vuliti 'nganni e ni patiti se non volete inganno e poi ne patite.
si nun sapi travagghiari Se non sa lavorare,
dopu nenti si po' ffari (due volte) dopo niente si può fare
Ma chistu unn‟ nenti sintiti comu cantava (parlato) Ma questo è niente: sentite come
me compari Minnicu… e cumu cantava? cantava mio compare Domenico… e come cantava?
E malidittu quannu mi maritai E maledetto il giorno che mi sposai
truvai me mugghieri senza pila trovai mia moglie senza “pila”
dopu tri gghiorna ca mi nn'addunai dopo tre giorni che me ne sono accorto
la me mugghieri nun avia pila la mia moglie non aveva “pila”.
me mugghieri unn'avi pila, n'avi pila Mia moglie non ha “pila”, non ha “pila”
pi…. oh… (a pila pi „llavari) per… Oh … la “pila” per lavare
e ci manca u pilaturi E ci manca il lavatoio
acqua dintra 'nn avi chiù acqua dentro non ne ha più.
Picciotti chi „vv'aviti a mmaritari Giovanotti, che vi dovete sposare
cchiù prima di cunzarivi lu lettu prima ancora di prepararvi il letto
sentiti a mmia 'nzoccu aviti a fari sentite a me cosa dovete fare
pruvativilla cu lu friscalettu. mettetela in prova con il piffero.
Siddu nun sapi sunari Se non sa suonare,
dopu nenti si po' ffari (due volte) niente dopo si può fare
(parlato) Ma chistu ancora nun è nenti: (parlato) Ma questo non è niente:
sintiti me compari Cicciu comu cantava sentite mio compare Ciccio come cantava
e comu cantava ? Ah sintiti e come cantava? Ah sentite
E malidittu quannu mi maritai E maledetto il giorno che mi sposai
truvai me mugghieri senza pila trovai mia moglie senza “pila”
dopu tri gghiorna ca mi nn'addunai dopo tre giorni che me ne sono accorto
la me mugghieri nun avia pila la mia moglie non aveva “pila”.
me mugghieri unn'avi pila, unn'avi pila pi… mia moglie non ha “pila”, non ha “pila”
(parlato) oh… ma chi vi criditi per…(parlato) Oh … ma che vi credete:
a pila pi lavari…ah e ci manca u pilaturi la “pila” per lavare e ci manca il lavatoio
acqua dintra 'nn avi chiù acqua dentro non ne ha più.
(parlato) un si „catta a lavatrici (parlato) perché non si compra la lavatrice?
ma quali lavatrici … Ma quale lavatrice,
a pila è sempri pila picciotti la “pila” è sempre “pila” giovanotti
Ah ah ah chi mugghieri c‟accapitai Ah, ah ah che moglie ho capitato
c‟accattai la vugghia e lu filu le ho comprato l‟ago e il filo
e nun la vitti cusiri mai. (due volte) e non l‟ho vista cucire mai.
Questa canzone scherzosa e con vari doppi sensi è piacevole e si basa sul doppio
significato della parola siciliana “pila” che si può tradurre come lavatoio o pilatore, ma
anche come peli (riferendosi a quelli femminili del pube). I consigli per i giovanotti sono
sensati: attenzione alla fidanzata se sa lavorare bene intendendo il lavoro casalingo, ma
anche i piacevoli “lavori” coniugali. Dopo il matrimonio non è possibile più fare niente.
Testi e partiture delle canzoni 302
Quannu moru nun mi diciti missa Quando morirò non fatemi dire messa
ma ricurdativi di la vostra amica ma ricordatevi della vostra amica,
quannu moru purtatimillu un ciuri quando morirò portatemi un fiore
un ciuri granni è russu, un fiore grande e rosso
comu lu sangu sparsu. come il sangue sparso.
Quannu moru faciti ca nun moru Quando io muoio fate che io non muoia
diciti a tutti chiddu ca vi dissi. dite a tutti ciò che vi ho detto.
Quannu moru nun vi sintiti suli Quando morirò non vi sentite soli
ca suli nun vi lassu giacchè soli non vi lascio
mancu dintra lu fossu. neanche quando sarò dentro la fossa.
Quannu moru cantati li me canti, Quando morirò cantate i miei canti
nun li scurdati, cantatili pi l‟autri. non li scordate, cantateli per gli altri.
Quannu moru pinsatimi ogni tantu Quando morirò pensatemi ogni tanto
ca pi sta terra „ncruci perchè per questa terra in croce
iu moru senza vuci. sarò morta senza voce.
1 CD):
Cu ti lu dissi, …………………………………….. pag 274-275
Curri cavaddu miu ………………………………. pag 390
Vitti na bedda ……………………………………. pag 319-320
Signuruzzu chiuviti chiuviti …………………….. pag 226-228
A tirannia………………………………………… pag 212-213
Tu si bedda ………………………………............ pag 321-322
La cursa di li cavaddi ……………………………. pag 316
La tarantula ……………………………………… pag 317-318
Quantu basilicò ……………………………………pag 203-204
La trabia ………………………………………….. pag 232-233
Morsi cu morsi……………………………………. pag 202-203
La siminzina ..…………………………………….. pag 192-193
2 CD):
E‟ una classica filastrocca cantata ancora oggi dai bambini, a volte mentre fanno il
girotondo. La caratteristica delle filastrocche è che viene cantata con ritmo sempre più veloce,
non interessa il significato di una frase o delle parole, ma la loro ripetizione, spesso con suoni
onomatopeici o con rime che rendono la filastrocca divertente per chi la canta, ma anche per gli
adulti che l‟ascoltano. Viene tramandata da padre in figlio oralmente da molti anni, dal 1700 in
poi studiosi della canzone siciliano ne hanno raccolte molte in antologie.
Testi e partiture delle canzoni 315
Testi e partiture delle canzoni 316
Ecco cosa dice il Favara: Anticamente da Porta Felice a Porta Nuova a Palermo si
correvano le corse dei cavalli. Finita la gara il vincitore riceveva in premio l‟aquila reale
costellata da scudi d‟argento e si formava una corte che ritornava a Porta Felice con in
testa il cavallo ed il cavaliere vincitore (Vanni Quarto) preceduti dall‟aquila reale.
Testi e partiture delle canzoni 317
LA TARANTULA LA TARANTOLA
(tradizionale)
Tu sì bedda, tu sì bedda nica nica, Tu sei bella, tu sei bella piccolina mia,
malandrina malandrina e arrobbacori, malandrina, malandrina e rubacuori
mi l‟arrubbasti a mia stu cori, hai rubato a me il cuore
ora lu teni, ora lu teni „mpussessu tò. ora lo tieni, ora lo tieni in possesso tuo
mi l‟arrubbasti a mia stu cori, hai rubato a me il cuore
ora lu teni, ora lu teni „mpussessu tò. ora lo tieni, ora lo tieni in possesso tuo.
Quant‟è bedda, Quanto è bello,
quant‟è bedda sta curpuratura, quanto è bello il tuo corpo,
lu pettu tunnu, lu pettu tunnu e lu visu il petto tondo, il petto tondo ed il viso adornato,
adurnatu, di tia sugnu assai „nnamuratu di te io sono assai innamorato
comu a ttia, comu a ttia non nun ci nn‟è, come te, come te nessuna c‟è,
di tia sugnu assai „nnamuratu di te sono assai innamorato
comu a ttia, comua ttia non nun ci nn‟è. come te, come te nessuna c‟è.
Sti labbruzza, Queste piccole labbra,
sti labbruzza „nzuccarati, queste labbra inzuccherate
li tò occhi, li tò occhi culuri di mari, i tuoi occhi, i tuoi occhi, colore di mare,
mi hannu fattu assai „nnammurari, mi hanno fatto assai innamorare,
pi lu geniu, pi lu sangu ca mi fai tu per il genio, per il sangue che mi fai
mi hannu fattu assai „nnammurari, mi hanno fatto assai innamorare
comu a tia, comu a tia veru un ci „nn‟è. come te, come te nessuna c‟è,
Chi sù beddi, chi sù beddi li toi capelli, Che sono belli, che sono belli i tuoi capelli,
l‟occhi toi, l‟occhi toi coluri di mari, i tuoi occhi, i tuoi occhi, colore di mare,
mi hannu fattu assai „nnammurari, mi hanno fatto assai innamorare,
comu a tia, comu a tia veru un ci „nn‟è. come te, come te nessuna c‟è,
mi hannu fattu assai „nnammurari, mi hanno fatto assai innamorare
comu a tia, comu a tia veru un ci „nn‟è, come te, come te nessuna c‟è,
mi l‟arrubbasti a mia stu cori, hai rubato a me il cuore
comu a tia, comu a tia veru un ci „nn‟è, ora lo tieni, ora lo tieni in possesso tuo
mi l‟arrubbasti a mia stu cori, hai rubato a me il cuore
ora lu teni, ora lu teni „mpussessu tò. ora lo tieni, ora lo tieni in possesso tuo.
Una delle più belle canzoni d‟amore. E‟ pura poesia sensuale: gli occhi
azzurri colore del mare, il petto tondo, i capelli, le piccole labbra e il viso
adornato; tutto il corpo dell‟amata attrae il fidanzato ed ora il fidanzato cerca il
suo cuore per donarglielo, ma questo è stato rubato metaforicamente dall‟amore
di lei ed ora lo tiene fermamente in suo possesso.
Testi e partiture delle canzoni 322
La versione del Favara nel suo “Corpus” così recita: “Ora veni lu picuraru e nun ha chi ci
purtari / porta latti e nti la cisca / cascavaddu e tuma frisca. Arrivisciti o matri mia, ca nui semu
a la campìa. E ninna ahò, e ninna ahò e lu mè figghiu dormiri vò”.
Bellissima ed antica canzone natalizia tutt‟ora cantata nelle sere natalizie o davanti alle icone
natalizie (fiureddi). Ciò che la gente povera possiede viene portato al Bambinello, formaggio
fresco e caciocavallo, due arance, mandorle e castagne. La canzone è pregna dell‟atmosfera
natalizia, di dolcezza, di bontà, serenità e gioia. vedi copia del Pitrè a pag. 459 al n. 987 ed è
presente nella raccolta di Francesco Paolo Frontini “Natale Siciliano, 1904, De Marchi al n: 4
col nome “Pastorale”
Testi e partiture delle canzoni 325
Avò, l‟amuri miu, ti vogghiu beni Fai la vò, amore mio, ti voglio bene,
l‟ucchiuzzi di me figlia, su sireni. gli occhietti di mia figlia sono sereni.
Oh… Oh…
Chi avi la figghia mia, Cosa ha la figlia mia,
ca sempri cianci, che sempre piange,
voli fattu la naca, vuole che le facciamo la culla,
menzu l‟aranci. Oh… in mezzo agli aranci. Oh…
Specchiu di l‟occhi mia, Specchio dei miei occhi,
facci d‟aranciu, faccia d‟arancio
ca mancu „ppun tesoru che nemmeno per un tesoro
iu ti cangiu. Oh… io ti cambio. Oh…
Sciatu di l‟arma mia, Respiro della anima mia,
facciuzza bedda, faccetta bella.
la mamma t‟ava la mamma ti vuole
fari munachedda. Oh… fare monachella. Oh…
E munachedda di lu Sarvaturi, E monachella (del monastero) del
unni ci stannu i nobili e i signori. Salvatore, dove stanno i nobili
Oh… e i signori. Oh…
Ora s‟addummisciu, Ora s‟addormenta,
la figghia mia, la figlia mia,
guardatimilla vui, Matri Maria. guardatemela voi, Madre Maria
Oh… Oh…
A mio parere una delle più belle canzoni di Rosa Balistreri. E‟ l‟accorato canto di una
mamma che addormenta la sua bimba. Ancora oggi viene cantata dalle mamme siciliane e dalle
note dolci vengono fuori i sentimenti più intimi di una mamma, l‟amore tenero e totale per la
propria creatura. Anche Rosa Balistreri è stata madre: ha avuto un figlio morto appena nato ed
una figlia, Angela, ancora viva, ha adottato il nipote Luca e lo ha trattato come un figlio. La
dolcezza della voce della cantante in questa ninna nanna fa contrasto con molte canzone in cui la
voce è aspra, dura, a volte roca. Le parole sono bellissime: “Specchio dei miei occhi, faccia
d‟arancio, che nemmeno per un tesoro io ti cambio.”, “Respiro della anima mia, faccetta bella”,
e poi il desiderio di un futuro tranquillo e sicuro come quello di farla “munachella” monaca nel
convento dove crescono i figli dei nobili e dei signori, scelta di vita condivisa da molte ragazze
di una volta. L‟ultima strofa, un grido accorato alla Madre di Dio di farla crescere sotto la sua
protezione, coinvolge totalmente l‟ascoltatore e fa comprendere come sulla terra non c‟è un
amore più grande di quello che ha una mamma verso la propria creatura.
Testi e partiture delle canzoni 332
Il testo della canzone “Diu vi mamma l'ambasciata” risale a moltissimi anni addietro e fa
parte delle preghiere che le nostre mamme e nonne, specie nel periodo freddo invernale, attorno
al “tancino” (braciere con carbonella) recitavano ogni sera all'imbrunire, spesso riunendosi con
varie famiglie viciniore e con tutti i bambini. Finito il rosario, (e questa canzone recita i cinque
misteri gaudiosi: annuncio dell'Angelo, visita a S. Elisabetta, nascita di Cristo, presentazione al
tempio, e ritrovamento di Gesù fra i dottori del tempio) i bambini venivano accompagnati a letto
aiutandoli a fare il segno della croce e facendo recitare loro una antica preghiera “Ia mi curcu
„nni stu lettu / ccu Maria supra lu pettu./ Ia dormu e Idda viglia, / si c'è cosa m'arrusbigghia. Ccu
Gesu mi curcu, ccu Gesu mi staiu, si sugnu ccu Gesu paura nun haiu”. Vedi copia del Pitrè a
pag. 459 “O gran Virgini Maria”
Testi e partiture delle canzoni 336
Testi e partiture delle canzoni 337
COLLECTION
(Lucky Planets 2004)
COLLECTION 1,
(La raggia, lu duluru, la passione)
A virinnedda ……………………………………………….. pag 236-237
Buttana di to' ma„…………………………………………... pag 260
Ciuriddi di lu chianu ………………………………………. pag 347-348
La pampina di l'alivu ……………………………………… pag 240
Lu muccaturi ………………………………………………. pag 244-246
Matri ch'aviti figli …………………………………………. pag 198-199
Mi votu e mi rivotu …………………………………………pag 221-223
Rosa rosa ……………………………………………… pag 358
Terra ca nun senti …………………………………………. pag 253-254
La Sicilia avi un patruni ………………………………….. pag 280-281
Stanotti 'nzonnu……………………………………………. pag 286
Amuri luntanu …………………………………………….. pag 385-387
La piccatura ……………………………………………….. pag 388-389
'O cori di 'stu cori …………………………………………. pag 284
Amuri senza amuri …………………………………………pag 345-346
COLLECTION 2
'Nta la Vicaria ……………………………………………... pag 272
E lu suli 'ntinni 'ntinni …………………………………….. pag 276-277
L'amuri ca v'haju ………………………………………….. pag 278-279
Lu rispettu, (Mamma vi l‟aiu persu lu rispettu) ………… pag 196-197
Ntra viddi e vaddi …………………………………………. pag 224-226
Amici amici chi 'nPalemu jiti, ……………………………. pag
Carzari ca si fattu cruci cruci ……………………………. pag 270
Chista e' la vuci mia ………………………………………. pag 261-262
Cuteddu ntussicatu, ………………………………………. pag 261
La me liti ………………………………………………….. pag 264
Lassarimi accussì ………………………………………… pag 265-266
M‟arrusicu li gradi ……………………………………… pag 267-268
'Nfamità …………………………………………………… pag 270
Cu ti lu dissi ………………………………………………. pag 274-275
A RITI LA RETE
Chi sorti i cosa è sta vita pazza Che cosa è questa vita pazza
ti rudi t‟assuttigghia e poi ti lassa, ti rode, ti assottiglia e poi ti lascia,
la vera vita è u ventu u mari e u focu; la vera vita è il vento, il mare e il fuoco;
chistu nun avi fini u restu e jocu. questo non ha fine, il resto è gioco.
Jocu di giuvintù, jocu d‟amuri, Gioco di gioventù, gioco d'amore,
ma joca megliu cu nun avi cori, ma gioca meglio chi non ha cuore,
acchiana scinni, acchiana senza meta, sale, scende, sale senza meta,
t‟accatu a „n filu comu na cometa. attaccato a un filo, come ad una cometa.
Scinni, acchiani e scinni, Scende, sale e scende,
scinni, acchiani e scinni. scende, sale e scende.
Na riti cu li magli troppu ranni Una rete con le magli troppo grandi
si strincinu quannu poi passanu l‟anni, si stringono poi, quando passano gli
ti fermi stancu e cridi che è la siti anni, ti fermi stanco e credi che è la sete
t‟adduni ca si chiusu „ntra la riti. ti accorge che sei chiuso dentro la rete.
Riti di giuvintu, riti d‟amuri, Rete di gioventù, rete d'amore,
sta riti nun è rosi e mancu ciuri questa rete non è rosa e nemmeno fiore
acchiana, scinni, acchiana senza meta, sale, scende, sale senza meta,
t‟accatu a „n filu comu na cometa. attaccato a un filo, come ad una cometa.
Scinni, acchiani e scinni, Scende, sale e scende,
scinni, acchiani e scinni, scende, sale e scende.
Ddu jornu ca si ferma sta bannera, Quel giorno che si ferma questa
va cercu a veru vita unni si trova, bandiera,vado a cercare la vera vita
scrissi ca vogliu misu a stu tabbutu dove si trova, ho scritto che voglio
„n drappu russu focu di villutu. messo sulla mia bara, un drappo rosso
Ddu jornu ca si ferma sta bannera fuoco di velluto. Quel giorno che si
va cercu a veru vita unni si trova, ferma questa bandiera, vado a cercare la
scrissi ca vogliu misu a stu tabbutu vera vita dove si trova, ho scritto che
„n drappu russu focu di villutu voglio messo sulla mia bara un drappo
scrissi ca vogliu misu a stu tabbutu rosso fuoco di velluto, ho scritto che
„n drappu russu focu di villutu. voglio messo sulla mia bara,
un drappo rosso fuoco di velluto.
Testi e partiture delle canzoni 344
Accordi per chitarra: Fa#- = F#-; Sol#- = G#-; Do#7 = C#7; Fa#+ = F#+;
Testi e partiture delle canzoni 345
Chi voli diri amuri senza amuri Cosa vuol dire amore senza amore
vulari senza ali „ncontru o suli volare senza ali incontro al sole
scurà na gioventù cusennu tila è trascorsa una gioventù cucendo tela
na vita ca è un pocu di cannila. una vita che sa un pò di candela
E va facinnu sempri na filagna, E fai sempre un filare (1)
stu suli nun ti coci e nun ti vagna questo sole non ti brucia e nemmeno ti
acqua nun ci nn‟è a mari „pi l‟arsura bagna, acqua non c'è ne a mare per gli
siti d‟amuri sinu ca vivi cura assetati, sete d'amore che cura fin
Chi voli diri amuri si lu senti quando vivi. Cosa vuol dire amore se
d‟un cori cummattutu cu la menti senti il cuore in contrasto con la mente
comu lu Mungibeddu sempri vivi vivi sempre come l'Etna
dintra c‟hai lu focu, fora la nivi. dentro hai il fuoco, fuori la neve.
Ti dissi di lu celu si la luna, Ti dissi del cielo tu sei la luna,
di li risurrezioni idda s‟adduna, le stagioni essa scopre
comu contenta pi la to prisenza come contenta per la tua presenza
stu viaggiu ca inchìu un‟esistenza. questo viaggio che ha riempito
Chi voli diri amuri ora si sapi l'esistenza. Cosa vuol dire amore ora si
pigliari u ciuri ciuri comu l‟api, conosce prendere il fior fiore come le
rutti su li catini e li tinagli, api, rotte son le catene e le tenaglie
finiu lu tempu ca p‟amuri squagli. è finito il tempo che per l'amore
Pirdisti la firmizza ca ti staglia, squagli. Hai perso la fermezza che ti
vistutu e niuru è, l‟arma di paglia, connota, il vestito è nero, l'anima di
sulu la morti sciogli li turturi paglia, solo la morte scioglie le torture
quannu si viri amuri, senza amuri. quando si vede amore senza amore.
Pirdisti la firmizza ca ti staglia Hai perso la fermezza che ti connota
vistutu e niuru è, l‟arma di paglia il vestito è nero, l'anima di paglia
sulu la morti sciogli li turturi solo la morte scioglie le torture
quannu si viri amuri, senza amuri. quando si vede amore senza amore.
Bella canzone che riafferma la validità dei proverbi antichi che non sbagliano mai:
cambiano i tempi, le stagioni, gli anni, ma non cambia la vita del povero contadino,
amaro e duro è infatti il pane di frumento per il povero che deve guadagnarlo. Bello il
quadretto del carrettiere che cammina col carretto di notte, inseguendo la luna, mentre
canta dolci canzoni d‟amore.
Testi e partiture delle canzoni 353
Testi e partiture delle canzoni 354
Amuri, amuri e nun criditi amuri Amore, amore e non credere amore
li fimmini su tutti i „na manera; che le donne sono tutte uguali;
poviru figghiu i mamma chi ci cadi povero figlio di mamma che ci cade
o nesci pazzu o mori o va „ngalera. o diventa pazzo o muore o va in galera.
Amuri amuri e chi m‟amavi a fari Amore, amore per qual motivo mi amavi
quannu chi tu m‟avevi abbannunari; se poi tu dovevi abbandonarmi;
iu mi cridia chi l‟amuri è ghiocu io credevo che l'amore è gioco
l‟amuri è focu ohimè l‟amuri è focu. l'amore è fuoco ohimè! l'amore è fuoco.
Amuri amuri e nun criditi amuri Amore, amore e non credere amore
li fimmini su tutti i „na manera che le donne sono tutte uguali;
poviru figliu i mamma chi ci cadi povero figlio di mamma che ci cade
o nesci pazzu o mori o va „n galera. o diventa pazzo o muore o va in galera.
Giuvini chi v‟aviti a maritari Giovani che dovete sposarvi
viniti ca nni mia ca vi cunsigliu venite da me che vi do un consiglio
nun vi faciti di donni ingannari non vi fate da donne ingannare
comu „ngannaru a mia, poviru figliu. come hanno ingannato me, povero
Amuri amuri e nun criditi amuri figlio. Amore, amore e non credere
li fimmini su tutti i „na manera amore che le donne sono tutte uguali;
poviru figghiu i mamma chi ci cadi povero figlio di mamma che ci cade
o nesci pazzu o mori o va „ngalera, o diventa pazzo o muore o va in galera,
o nesci pazzu o mori o va „ngalera. o diventa pazzo o muore o va in galera.
Testi e partiture delle canzoni 355
Furria, furria, furria li strati chini i suli, Gira, gira, gira per le strade piene di
pi vui fimmini beddi, sole, per voi belle donne
ca dintra v‟ammucciati; che dentro vi nascondete;
ma è sulu „ppi rispettu, ma è solo per rispetto,
e no! no! pi veru amuri e no per vero amore
di l‟omini ca sunnu, ca sunnu tanti „ngrati. degli uomini, che sono tanto ingrati.
Vinnennu spagnuletti, Vendendo rocchetti di filo,
a cipra e lu shampoo, cipria e shampoo l‟ago e il ditale poron
la vugghia e li ritali poron poron pon pò poron pon po‟e cento e cento cose grida
e centu e centu cosi vannia di cà e di ddà, di qua e di là in questa valigia piccola
„nta sta valiggi nica sta merci nun ci sta. questa merce non ci sta. Diceva, diceva,
Dicia, dicia, dicia, accattammi na cosa diceva, comprami una cosa e triste mi
e tristi mi talia vussia nun è na rosa guarda voi non siete una rosa e
e st‟omu ca tiniti vi teni cunnannata quest‟uomo che tenete vi tiene
e mancu sidici anni du patri maritata. condannata e nemmeno a sedici anni
Oh Rosa, Rosa tu pirchì nun ti nni vai, dal padre sposata.
oh Rosa Rosa tu, tu ca nun parli mai Oh Rosa, Rosa tu perché non te ne vai
oh Rosa Rosa tu si sula „nto duluri oh Rosa, Rosa tu, tu che non parli mai
si nun t‟aiuti tu pirchì preji u Signuri. oh Rosa, Rosa tu, sei sola nel dolore se
Chiuvia chiuvia, chiuvia e iu vosi partiri, non t‟aiuti tu, perché preghi il Signore.
lassari lu paisi è cosa d‟impazziri Pioveva, pioveva, pioveva ed io volli
c‟haiu sempri nta l‟aricchi soccu mi dicia: partire lasciare il paese è cosa da
“è caru chiddu beni ca dopu mali veni”. impazzire, perché ho sempre dentro le
Vinnennu spagnuletti, a cipra e lu orecchie quel che mi diceva “ è caro il
shampoo, la vugghia e li ritali poron bene se dopo viene il male”.
poron pon pò e centu e centu cosi vannia Vendendo rocchetti di filo, cipria e
di cà e di ddà, nta sta valiggi nica shampoo l‟ago e il ditale poron poron
sta merci nun ci sta. pon po‟ e cento e cento cose grida di
Oh Rosa, Rosa tu pirchì nun ti nni vai, qua e di là in questa valigia piccola
oh Rosa Rosa tu, tu ca nun parli mai questa merce non ci sta.
oh Rosa Rosa tu, si sula „nto duluri Oh Rosa, Rosa tu perché non te ne vai,
si nun t‟aiuti tu, nuddu ti po‟ aiutari. oh Rosa, Rosa tu, tu che non parli mai,
Furria, furria, furria, furria, furria. oh Rosa, Rosa tu sei sola nel dolore
se non t‟aiuti tu, nessuno ti può aiutare.
Gira, gira, gira, gira, gira.
Testi e partiture delle canzoni 359
U PUMU LA MELA
“Corpus di musiche
… popolari siciliane”,
1957 Alberto Favara
al n: 637
Testi e partiture delle canzoni 365
1) mi fa angherie
Testi e partiture delle canzoni 366
Ti vogliu beni assai chi c‟hai a fari, Ti voglio bene assai, cosa posso farci
ca chiù putissi fari, chiù faria. che più potessi fare e più farei.
Si voi stu cori ti lu pozzu dari, Se vuoi questo cuore te lo posso dare,
l‟arma un ti la dugnu, ca unn‟è mia. l‟anima non te la do, perché non è mia.
Si voi stu cori ti lu pozzu dari, Se vuoi questo cuore te lo posso dare,
l‟arma un ti la dugnu, ca unn‟è mia. l‟anima non te la do, perché non è mia.
Bedda quantu mi piaci stu to fari Bella, quanto mi piace il tuo modo di fare,
si tutta moda e tutta puisia, sei tutta moda e poesia.
statti cuieta e nun ti dubitari, Stai quieta e non dubitare,
sta in sirviziu tò la vita mia, sta a tuo servizio la vita mia,
statti cuieta e nun ti dubitari, Stai quieta e non dubitare,
sta in sirviziu tò la vita mia. sta a tuo servizio la vita mia,
NUSTALGIA NOSTALGIA
(Giuseppe Nicola Ciliberto)
Pensu a sta terra ca mi sta luntana, Penso a questa terra che è lontana,
sta terra prufumata sutta „u suli, questa terra profumata sotto il sole,
ca iu lassai pi ghiri a travagliari, che io lasciai per andare a lavorare,
cu gran duluri e granni dispiaciri. con gran dolore e grande dispiacere.
Pensu a la me casuzza chi lassai, Penso alla mia casetta che lasciai,
a li biddizzi di sta terra mia, alle bellezze di questa terra mia,
iu ccà li viu io qua la vedo
„nta „u sonnu e m‟adduluru, in sogno e mi addoloro,
e pensu notti e jornu di turnari. e penso notte e giorno di tornare.
E‟ „na „nfilicità luntanu stari, E‟ una infelicità lontano stare,
luntanu di sta terra di Sicilia, lontano da questa terra di Sicilia,
lassai la mamma lasciai la mamma
e tutti li me cari, e tutti i miei cari,
lassai l‟oduri di la primavera. lasciai l‟odore della primavera.
Iu cantu pi putirimi scurdari, Io canto per potere scordarmi,
ca sugnu fora di la casa mia, che sono fuori dalla mia casa,
cu stu distinu ccà nun c‟è chi fari, con questo destino qua non c‟è che fare,
e pensu notti e jornu di turnari. e penso notte e giorno di tornare.
Lassatimi un raggiu di lu suli, Lasciatemi un raggio di sole,
„na guccitedda di l‟azzurru mari, una goccina dell‟azzurro mare,
lassati di la zagara l‟oduri, lasciate della zagara l‟odore,
ca quannu tornu la vogliu truvari. che quando torno lo voglio trovare.
E‟ „na „nfilicità luntanu stari, E‟ una infelicità lontano stare,
luntanu di sta terra di Sicilia, lontano da questa terra di Sicilia,
lassai l‟amuri e tutti li me cari, lasciai l‟amore e tutti i miei cari,
lassai l‟oduri di la primavera. lasciai l‟odore della primavera
La canzone nasce con il titolo di “nostalgia di Ribera” nel 1964 in seguito viene
trasformato in canto di emigrati. Si sente nel canto tutto il dolore, anche fisico, della
lontananza dalla terra, dalla mamma, dall‟amore. E‟ tangibile il senso d‟impotenza e di
fatalità per questa situazione, ma non di rassegnazione, nello stesso tempo viene esaltato il
senso poetico della terra di Sicilia, vista come terra promessa, “l‟odore della zagara, il mare
azzurro, il sole con i suoi raggi infuocati, l‟odore della primavera” Sono odori che ubriacano
e lasciano una sola speranza: “ritornare alla propria casetta, alla mamma, alla donna amata,
ai propri cari”. Un‟ottima interpretazione è stata data da “Nico dei Gabbiani, dal riberese
Nenè Fortunato e da Rosa Balistreri.
Testi e partiture delle canzoni 372
Testi e partiture delle canzoni 373
Bellissima canzone d‟amore che Marilena Monti compose nel 1974 e che ancora
oggi canta nei suoi spettacoli riscuotendo grandi consensi. Il testo, autenticamente
popolare, si ritrova nel libro del Pitrè “Canti siciliani”
Bellissime le parole che s‟incatenano tra di loro in modo armonioso e forte.
L‟amore per l‟amata è così forte e pieno che l‟amato desidera cinque gocce del suo
sangue, due sfilacci della sua camicia e due fili delle sue trecce dai quali si sente legato e
incatenato. Conclude donando all‟amata il suo cuore, ma riservando l‟anima a Dio.
Testi e partiture delle canzoni 374
Testi e partiture delle canzoni 375
cambiata
da Canti Popolari Siciliani, 1940 Roma riedizione delle opere del Pitrè
vol. l° al n. 83 di pag. 205, al n. 67 di pag. 205
Salomone Marino
Salomone Marino
Salomone Marino
CANZONI VARIE
O CUNTADINU O CONTADINO
SUTTA LU ZAPPUNI, SOTTO LA ZAPPA
La civiltà nella quale Rosa trascorre i primi anni della vita a Licata è prettamente
contadina, e benchè nata nel quartiere della Marina, Rosa conosce bene la vita dura dei
contadini, fatta di sacrifici, di schiena ricurva per il continuo zappare la terra ed essere
piegati per levare erbacce, raccogliere i frutti della terra. Ma la terra su cui lavora non è
del contadino ed allora lavora a mezzadria, o a giornata, per cui più di metà di quello
che produce non gli appartiene, è del proprietario della terra, del barone, del principe,
che può condurre una vita agiata, può vestirsi con preziose stoffe grazie al lavoro umile
di tanti contadini che lavorano per lui, per cui è giusta l‟affermazione “se non lavori tu il
mondo è niente” perché la struttura economica, sociale si basa sul lavoro dei contadini e
“quanti patruna misi a cavaddu di la to carina” perché il suo lavoro è l‟asse
portante dell‟economia.
Testi e partiture delle canzoni 379
Addiu bella Sicilia, Palermu capitali, Addio, bella Sicilia, Palermo capitale,
ah! ci stannu brava genti, ah, ci abitano brave persone
e i cchiù carogna e 'nfami. e le più carogna ed infami.
Addiu, bella Sicilia, Addio, bella Sicilia,
o terra di ricchizzi, o terra di ricchezze
e un sannu ca si provanu e non sanno che si provano
puri li dibulizzi. pure le ristrettezze.
E' bella la Sicilia E‟ bella la Sicilia
di sciuri e di giardini, di fiori e di giardini,
guvernu di parrini governo di preti
ni fa muriri 'i fami. che ci fa morire di fame.
'Na poca 'i carugnuna Alcuni carognoni
ca stannu a lu putiri che stanno al potere
aprunu li canteri ccu setticentu liri. aprono i cantieri con settecento lire.
O carugnuna e vili O carognoni e vili
comu si po‟ campari come si può vivere
travagliu notti e giornu lavorando notte e giorno
cchiù peggiu di l‟armali, peggio degli animali,
li figli e li muglieri i figli e le mogli
chiancinu ppi lu pani piangono per il pane,
e su custritti a partiri e sono costretti a partire
l‟omini siciliani. gli uomini siciliani.
Su chini d'emigranti Son pieni d‟emigranti
li varchi e li vapuri, le barche e i vapori,
si porta l'operai lu trenu di lu suli. si porta gli operai il treno del sole.
Addiu bella Sicilia, Addio bella Sicilia,
o terra mia nativa o terra mia nativa
partiri iu vurria e nun turnari cchiù, partire io vorrei e non tornare più.
Addiu bella Sicilia, Addio bella Sicilia,
o terra mia nativa o terra mia nativa
… iu vurria e nun turnari cchiù.
partiri partire io vorrei e non tornare più
partiri iu vurria e nun turnari cchi. partire io vorrei e non tornare più.
Testi e partiture delle canzoni 381
E‟ una delle prime canzoni che Rosa cantò, all‟inizio della carriera, nelle piazze
della Toscana. Racchiude tutti i temi che Rosa svilupperà nella sua canzoni:
lavoro ed emigrazione, amore per le bellezze della terra siciliana e nostalgia per
gli emigrati, sfruttamento del lavoro da parte dei padroni, contrasto allamafia e
alla malavita organizzata, fame e povertà, amore per la cultura siciliana.
Sono tutti temi che insieme ad amici e collaboratori svilupperà singolarmente in
molte canzoni del suo repertorio.
Testi e partiture delle canzoni 382
PICCIRIDDI UNNI ITI? BAMBINI DOVE ANDATE?
(tradizionale)
Picciriddi, unni iti Bambini dove andate
cu sta' bedda matinata? con questa bella mattinata?
“emu a cogghiri ciuriddi “andiamo a raccogliere i fiorellini
i chiù beddi ca ci su”. i più belli che ci sono”.
Gesuzzu lu beddu, ca è ,‟ncarzarateddu O Gesù, il bello, che è incarcerato
è sulu suliddu, ca nuddu ci va. è solo soletto, perché nessuno va da lui.
Ci va la so parrina, Con lui va la sua padrina,
ci cogghi un mazzittinu gli coglie un mazzettino di fiori
e ci lu metti in pettu, chi sciauru ca fa. e glielo mette in petto, che odore che fa.
Sona sona „manziornu Suona suona, mezzogiorno
e la tavula è misa intornu, e la tavola è messa intorno,
e lu pani arranciteddu, e il pane è un po‟ rancido,
ora veni lu bammineddu; ora viene il bambinello;
ora ora lu vitti passari ora, ora lo vidi passare
cu na cruci longa longa con una croce lunga lunga
e passava di la Badia, e passava dalla Badia,
sangu russu ci curria; sangue rosso gli colava;
ci curria riolu riolu, gli colava a rivoli, a rivoli,
comu l‟acqua di lu cannolu, come l‟acqua di una fontana,
Maria carmelitana, Maria carmelitana,
veni e vidi sta funtana; vieni e vedi questa fontana;
e trovava lu so figghiolu e trovava il suo figliuolo
tuttu vistutu di sita e d‟oru; tutto vestito di seta e d‟oro;
ci mancava la cammisedda gli mancava la camicetta
faccila tu Mariuzza bedda, fagliela tu Mariuccia bella,
ci mancava la cammisedda gli mancava la camicetta
faccila tu Mariuzza bedda. fagliela tu Mariuccia bella.
È una filastrocca di bambini e come tutte le filastrocche non hanno un senso logico, il
divertimento è verbale, cioè nel ripetere cantando delle parole spesso collegate tra loro in
modo che una parola finale diventi iniziale nella strofa successiva (vedi ad esempio la strofa
“e passava di la Badia, sangu russu ci curria”; e la successiva: ”ci curria riolu riolu, comu
l‟acqua di lu cannolu”,) la parola finale della prima “curria” diventa iniziale della seconda
strofa “ci curria” Le filastrocche sono cantate dai bambini con il solo intento di gioco e la
ripetività è la base di questo gioco linguistico. Le finalità e l‟utilità delle filastrocche in
pedagogia sono il miglioramento del linguaggio, lo stare insieme iniziando così una vita
sociale e di relazione, il giocare spesso imitando le attività degli adulti, con movimenti
sincroni e ripetuti come i girotondi ecc, effettuando così ginnastica e quindi anche una
crescita armonica del corpo.
Testi e partiture delle canzoni 383
LA BALLATA
DEL PREFETTO MORI
Testo Ignazio Buttitta
musica Ennio Morricone
Mi chiangi u cori Mi piange il cuore
ora ca terminau di cantari ora che ho terminato di cantare
sta storia vera questa storia vera
se pensu ca la mafia è nda l‟artari. se penso che la mafia è sugli altari.
Addisonura sta terra onesta e povira Disonora questa terra onesta e povera
ca voli pani e travagliu, che vuole pane e lavoro,
la libertà, giustizia e li …. la libertà, la giustizia e li……
E no a mafia e no E no la mafia e no
la liggi infami da lupara la legge infame della lupara,
e no onuri, onuri e gloria e no onore, onore e gloria
cu arrobba e spara per chi ruba e spara.
Chistu gridamu, Questo gridiamo,
è a nostra vuci c‟arrisbigghia i morti è la nostra voce che risveglia i morti
ca stanchi semu perché stanchi siamo
e vulemu cangiari vita e sorti. e vogliamo cambiare vita e sorte.
Testi e partiture delle canzoni 385
Lionardo Vigo riporta questa canzone al n. 2755 della sua Raccolta amplissima di canzoni
siciliane. Anche Alberto Favara la segnala riportando di averla conosciuta da Benedetto
Fecarotta che l'aveva a sua volta ascoltato da alcuni carrettieri nel Corso Tukory di Palermo.
E‟ il canto di una donna che ricordando la lontananza del suo amore, emigrato per lavoro,
esprime la sua gelosia verso una eventuale rivale lontana.
Testi e partiture delle canzoni 386
LA PICCATURA LA PECCATRICE
Fichera, Bixio, Frizzi, Tempera
Dormi nicuzzu ccu l‟angiuli tò... Dormi piccolino con gli angeli tuoi
dormi e riposa, ti cantu la vò... dormi e riposa, io ti canto la vò…
Dormi figliuzzu ccu l'angiuli tò... Dormi piccolino con gli angeli tuoi
dormi e riposa, ti cantu la vò... (2) dormi e riposa, io ti canto la vò…
vò... vò... vò... vò...vò...vo...
dormi figghiu e fai la vò... dormi, figlio e fai la vò...
Dolce la melodia di questa canzone nella quale emerge il forte amore e legame che
si stabilisce tra le tortore e che dura tutta la vita ed il contemporaneo dolore
quando muore uno dei due partner, in quel momento è preponderante il bisogno di
stare soli, di isolarsi e di non permettere ad alcuno di stare vicini; anche nella
specie umana succede questo quando forte e duraturo il legame tra due innamorati.
Testi e partiture delle canzoni 396
Canto brioso e scanzonato, cantato dalla Balistreri nelle feste dell‟Unità o tra amici,
vien fuori l‟animo anticlericale del partito comunista e dei suoi simpatizzanti che mettono
alla berlina preti e suore che a loro dire inciuciano beati.
Testi e partiture delle canzoni 398
SINTITI CHI SUCCESSI SENTITE COSA E„ SUCCESSO A
A RACALMUTU RACALMUTO
“Raccolta amplissima di canti popolari siciliani”, 1870 Lionardo Vigo al n: 3192, 4259
Testi e partiture delle canzoni 399
BARBABLU‟ BARBABLU’
I BABBALUCI LE LUMACHE
Vidi chi dannu ca fannu i babbaluci Vedi che danno fanno le lumache
ca cu li corna spingiunu balati, che con le corna spingono lastre di marmo,
su unn„era lestu a jittarici na vuci se non ero svelto a gridargli
vidi chi dannu ca facianu i babbaluci. vedi che danno fanno le lumache.
C‟era na vota. na vota un muraturi C'era una volta, una volta un muratore
ca lu travagliu ah nun putia truvari che il lavoro non poteva trovare
e priava sempri a Santu Cuttufatu e pregava sempre a Santo Cuttufato
truvau u travagliu e cadiu do fabbricatu trovò il lavoro e cadde dal fabbricato.
C‟era na vota, na vota un surdatu C'era una volta, una volta un soldato
aviu l‟ugnu du pedi „mpussunatu aveva l'unghia del piede infezionato
e priava sempri a Santu Gabrieli e pregava sempre a Santo Gabriele
ci guariu l‟ugnu e ci cadiu lu pedi. gli guarì l'unghia e gli tagliarono il piede.
C‟era na vota na vota un vicchiareddu, C'era una volta, una volta un vecchietto
ca avia lu sceccu „anticchia attuppateddu che aveva l'asino un pò stitico
e priava u disgraziatu „nginucchiuni e pregava il disgraziato in ginocchio
si stuppa u sceccu e s‟attuppau u patruni. si liberò l'asino e divenne stitico il padrone.
Lu tavirnaru di l‟Abbaddarò Il tavernaro di Ballarò
avia tri giorni ca un putia pisciari eran tre giorni che non poteva urinare
e priava a Santu Cuttufatu e pregava a Santo Cuttufato
pisciò vintitrì litri di moscatu. urinò ventitre litri di moscato.
Antica canzone siciliana, cantata con varie strofe in molti paesi siciliani;
accomuna però in tutti i paesi la preghiera ad un Santo o al Signore con un risultato
disastroso per il povero orante, invece della grazia ottiene il risultato opposto cioè una
disgrazia maggiore e le disgrazie altrui, come si sa, mettono allegria in chi le racconta.
Testi e partiture delle canzoni 402
Cu ti l‟ha fattu stu sciallinu ohinè! Chi ti ha fatto questo sciallino ohinè!
cu ti l‟ha fattu stu sciallinu ohinè. chi ti ha fatto questo sciallino ohinè!
eh mi l‟ha fattu cu beni mi voli me lo ha fatto chi bene mi vuole
tochitichitichitollallà, tochitichitichitollallà,
tochitichitichitollallà tochitichitichitollallà
tochitichitichitollallà, tochitichitichità. tochitichitichitollallà, tochitichitichità.
Cu ti l‟ha l‟ha fattu sta vistina ohinè! Chi ti ha fatto questa veste ohinè!
cu ti l‟ha l‟ha fattu sta vistina ohinè! chi ti ha fatto questa veste ohinè!
eh mi l‟ha fattu cu beni mi voli me l‟ha fatta chi bene mi vuole
tochitichitichitollallà, etc tochitichitichitollallà, etc.
Cu ti l‟ha fattu sti scarpuzzi ohinè! Chi ti ha fatto queste scarpette ohinè!
cu ti l‟ha fattu sti scarpuzzi ohinè. chi ti ha fatto queste scarpette ohinè!
eh mi l‟ha fattu cu beni mi voli me li fatti chi bene mi vuole
tochitichitichitollallà, tochitichitichità. Tochitichitichitollallà, tochitichitichità.
Bellissimo canto nato dalla collaborazione di Lillo Catania con la Balistreri da cui
traspare parte della vita della Balistreri condannata dalla gente del suo paese per la sua
indipendenza ma anche l‟invito all‟emancipazione femminile con il consiglio a cambiare
abbigliamento, basta il nero, indossate vestiti colorati detto metaforicamente: colorate di rosa
la vostra vita, cioè un invito alle donne ad appropiarai del loro corpo, del loro futuro,
del loro destino.
Testi e partiture delle canzoni 405
Com‟haiu a fari cu sta licatisa, Come debbo fare con questa licatese
chi la matina m‟ivu a la so casa che la mattina sono andato a casa sua
e si „sta sira „nci la portu tisa e se questa sera non gliela ritorno
ci sunu i testimoni e mi v‟accusa. ci sono i testimoni e poi m‟accusa.
Vogliu cantari ca n‟haiu a ragiuni Voglio cantare perché ne ho ragione
pi „mmia un ci „nni fu cannaluari per me non c‟è stato mai carnevale,
e mi maritau p‟un vidiri guai mi son sposata per non vedere guai
e maritatu ccu tia vitti chiù „ssai e sposata con te ne ho visti di più.
Amici amici chi „n Palermu jti Amici, amici, che a Palermo andate
mi salutati dda bedda citati, salutatemi quella bella cittadina,
mi salutati li frati e l‟amici salutatemi i fratelli e gli amici
puru ddà vicchiaredda ed anche quella vecchietta
di me matri. di mia madre.
Buttana di to mà, ngalera sugnu Puttana di tua madre, in galera sono
ah senza fari un milèsimu di dannu ah! senza fare un millesimo di danno
ah quannu arristaru a mia ah! quanto mi hanno arrestato,
era „nnucenti. io ero innocente.
Ah era lu jornu di tutti li santi Ah! era il giorno di ognissanti
Ah tutti li amici me‟ ah! tutti i miei amici,
nfami e carogna infami e carogna
ah chiddu ca si mangiàu la castagna ah! maledetto il delatore
Tutti li amici me‟ cuntenti foru Tutti i miei amici son rimasti contenti
ah quannu ncarzareteddu ah! quando in carcere
mi purtaru mi portarono
Judici ca la liggi studiati Giudici, che la legge studiate
nun sapiti lu „nfernu unni si trova, non sapete l‟inferno dove si trova,
va jiti nni li vecchi carzarati andate dai vecchi carcerati
ca iddi vi nni ponnu dari nova; che loro possono darvi notizie;
Hannu a finiri sti vintinov‟anni, Debbon finire questi venti nove anni
ùnnici misi e vintinovi jorna undici mesi e ventinove giorni
Testi e partiture delle canzoni 409
Questa canzone è stata portata alla ribalta del grande pubblico da Otello
Profazio ma risale al periodo delle prime rivolte socialiste in Sicilia nei
primi anni dell'unità d'Italia allorquando le tasse imposte dai piemontesi
furono percepite come vessatorie ed ingiuste ed uno dei modi oltre agli
scioperi per dissentire era quello di farci una canzone. Venne utilizzata dalla
Balistreri in molte feste dell‟Unità come pezzo forte che trovava ampi
consensi nel pubblico di sinistra.
Testi e partiture delle canzoni 411
Canto autobiografico: L‟autore Lillo Catania, avendo ascoltato dalla viva voce di Rosa
Balistreri la storia della prima parte della vita della cantante nel paese natio ha dipinto quei
momenti in una canzone dove Rosa si immerge nei ricordi di bambina mentre la mamma la
pettina e la mette in guardia dai brutti incontri, e gli sovviene in mente il ricordo del padre
con il quale andava, per sfamare la famiglia, a raccogliere le spighe rimaste a terra dopo la
mietitura e del sovrastante, ruffiano del padrone che caccia padre e figlia fuori dai campi
come fossero dei cani. Questi ricordi rimarranno indelebili nella mente di quella bimba e
riaffiorano dopo tanti anni, ora che è donna matura, con tutto il loro carico di dolore e
sopraffazione.
Testi e partiture delle canzoni 415
Il Favara riporta questa canzone tra le canzoni del mare col titolo “Assummata di lu
corpu di la tunnara” ovverossia “Venuta a galla del corpo della tonnara”.
La tonnara, un tempo diffusa in Sicilia, specie nel trapanese serviva alla cattura di interi
branchi di tonno che convogliati nelle varie camere formate dalle reti venivano spinti
fino alla camera della morte dove avveniva la mattanza dei tonni finiti nelle reti per
essere rivendute al mercato alle industrie conserviere A capo della pesca del tonno c‟è il
Rais o comandante cheda gli ordini ai tonnaroti. Il canto e le parole non hanno un senso
logico, serviva solo a scandire i tempi di lavoro della tonnara.. Il Rais intonava:
“A livanti s‟affaccia lu suli” e i tonnaroti rispondevano ainavò oppure ajlamò tirando le
reti o il tonno tutti insieme.
Questa canzone viene cantata dalla Balistreri nell‟operetta musicale “La ballata del sale”
Testi e partiture delle canzoni 418
CANTO DELLA PESCA
DEL CORALLO
“Corpus di musiche
popolari siciliane”,
1957 al n: 607
Alberto Favara
Testi e partiture delle canzoni 420
CIALOMA dalla "Ballata del sale" CIALOMA dalla “Ballata del sale”
E li muschi di Scupeddu E le mosche di Scopello
ailamò, ailamò ailamò, ailamò
ca si tiranu lu vasceddu che si tirano il vascello
ailamò, ailamò ailamò, ailamò
n'acchianamu nni lu patruni e saliamo dal padrone
ailamò, ailamò ailamò, ailamò
n‟assittamu nni lu saluni ci sediamo in salotto
ailamò, ailamò ailamò, ailamò
'aspittamu lu patruni aspettiamo il padrone
ca li beddi dinari nni duna che ci dà i bei denari
ailamò, ailamò ailamò, ailamò.
Poi di cazza (1) e porta l „allocu Poi di cazza e portatelo di là
ailamò, ailamò ailamò e ailamò
megghiu lu piru ca lu varcocu meglio il pero dell'albicocco
ailamò, ailamò ailamò, ailamò.
ai li cazza e l' arripigglia ahi li cazza e riprendila
ailamò, ailamò ailamò, ailamò.
prima la matri e poi la figghia prima la mamma e poi la figlia
ailamò, ailamò. ailamò, ailamò.
1) cazza dal verbo Cazzare: è il termine marinaresco che significa tesare una vela.
“Corpus di musiche
popolari siciliane”,
1957 al n: 600
Alberto Favara
Testi e partiture delle canzoni 421
Testi e partiture delle canzoni 422
LA PRIMAVERA LA PRIMAVERA
L‟unica canzone con un ritmo moderno: cha cha cha; la canzone, cantata in molte feste
dell‟Unità, ripercorre la tematica cara alla sinistra, niente più re, ministri, niente padroni
e ladroni, siamo tutti uguali, ma dove trovare questo posto? La risposta è “Me ne vado
sulla luna” dove l‟uguaglianza domina, né padroni né lavoratori, senza guerre e dove c‟è
la vera libertà. E‟ stata cantata da molti artisti tra i quali spicca l‟interpretazione di
Cuccio Busacca.
Testi e partiture delle canzoni 424
Il rapporto tra Rosa e il partito comunista è strettissimo, vedi capitolo Rosa e la politica.
Rosa cantò in molte feste dell‟Unità ed incise alcune canzoni del repertorio di protesta
della sinistra. Tra queste c‟è la canzone i “Briganti neri”, Uguaglianza, e “Sebben che
siamo donne”. Tutte e tre canzoni sono in italiano e sono molto famose nell‟ambito
della sinistra di una volta in cui il partito comunista era all‟opposizione e convogliava
tutta la protesta dei contadini, dei lavoratori mentre l‟Italia era governata dalla
Democrazia Cristiana. Le tre canzoni sono presenti nel doppio LP: “Storia del partito
comunista”, 1973 insieme ai cantautori della sinistra quali Ivan della Mea, Mikis
Theodorakis ed altri.
Testi e partiture delle canzoni 426
UGUAGLIANZA uguali davanti a chi,
Ti ho visto lì per terra uguali perché e per chi.
al sole del cantiere E‟ comodo per voi
le braccia, le gambe rotte dal dolore; dire che siamo uguali
il giovin che eri matto davanti a una giustizia partigiana,
ha ringraziato poi la tua pazzia. cos‟è questa giustizia
Ti ho visto un sol momento se non la vostra guardia quotidiana.
poi ti han coperto il viso, Ci dicono siete uguali,
la giacca del padrone ma io vorrei sapere
che ti ha ucciso, uguali davanti a chi,
t‟hanno nascosto subito, uguali perché e per chi.
eri per loro ormai E‟ comodo per voi che avete in mano tutto
da buttar via. dire che siamo uguali
Ci dicono siete uguali, è un Dio che è tutto vostro,
ma io vorrei sapere è un Dio che non accetto e non conosco.
Testi e partiture delle canzoni 427
I BRIGANTI NERI
E quei briganti neri mi hanno arrestato /
in una cella scura m‟hanno portato.
Mamma non devi piangere per la mia triste sorte
piuttosto di parlare vado alla morte.
Ritroviamo questa canzone nel vinile “Ci ragiono e canto”. In “Eco di Sicilia” il Frontini
scrive la partitura. Fa parte delle canzoni di emigrazioni dove si denota la tristezza
comune a chi deve lasciare l‟amata, i suoi figli e la sua casa.
Testi e partiture delle canzoni 428
Lucia, Lucia, chi c‟hai Lucia, Lucia, Lucia, cosa hai Lucia,
sunnu tri notti ca patu cu st‟occhi; sono tre notti che soffro per questi occhi;
ti li copri chi finocchi, te li copri con i finocchi,
ti li frichi supra l‟occhi li strofini sopra gli occhi
e lu mali dunni vinni sinni va. ed il male da dove è venuto se ne andrà.
N‟tra na camera c‟è Lucia, Nella camera c‟è Lucia
n‟tra na camera c‟è Lucia. nella camera c‟è Lucia.
Campanedda nanna nanna Campanella nanna nanna
e c‟è l‟Angilu chi la sona, e c‟è l‟Angelo che la suona,
Sarvaturi chi la canta, Salvatore che la canta,
unni s‟assettanu li Santi dove si siedono i Santi
e li Santi su rosi e sciuri ed i Santi sono rose e fiori
unni s‟assetta nostru Signuri. dove si siede nostro Signore
Nostru Signuri ha lu muntiaffari Nostro Signore ha molto da fare
pi sunari li tri campani, per suonare le tre campane,
tri campani su sunati tre campane son suonate
viva viva la Trinitati. viva viva la Trinità.
Trinitati dintra u cummentu Trinità dentro ad un convento
viva viva lu Sacramentu, viva viva il Sacramento,
Sacramentu a la Badia viva viva Sacramento a la Badia viva Rosalia,
Rusulia, Rusulia palermitana Rosalia palermitana
acchiana e scinna da la funtana sale e scende dalla fontana
e truvau un bellu figliolu e trovò un bel figliolo
tuttu vistutu d‟argentu e d‟oru; tutto vestito d‟argento e d‟oro;
ci mancava la cammisedda gli mancava la camicina
faccilla tu Mariuzza bedda, fagliela tu Mariuccia bella,
ci la vogliu arraccamari, gliela voglio ricamare,
ci la vogliu arrigalari. gliela voglio regalare,
ca s‟annunca quannu è festa perche allora, quando è festa
setti balati supra la testa, sette balate sopra la testa.
Divertente filastrocca senza alcun significato specifico, ma con l‟unico intento
ludico; l‟inizio di una strofa si rifà all‟ultima parola pronunciata nella strofa
precedente risultando così una concatenazione fonetica ma non logica, fatta solo per
divertimento. Le figure che appaiono sono religiose: Santa Lucia, La Trinità, il
Signore, la Madonna ad indicare che nei bambini v‟è una forte religiosità.
Testi e partiture delle canzoni 430
Testi e partiture delle canzoni 431
MANU MANUZZI CHE VENI PAPA‟ MANI MANINE CHE VIENE PAPA‟
Filastrocca
Mani manuzzi ca veni papà, Mani, manine che viene papà,
porta i cosi e sinni va, porta tante cose e se ne va,
porta mennuli e nuciddi, porta mandorle e noccioline,
pi ghiucari li picciriddi, per far giocare i piccolini,
porta mennuli e fasoli, porta mandorle e fagioli,
pi li matri e li figghioli. per la madre e i figlioli.
“Corpus di musiche
popolari siciliane,
1957, al n 740
Alberto Favara
La canzone “Giuvani beddu e dilicatu” è stata inserita dal maestro Mario Modestini
nell‟operetta musicale “Ballata del sale” nella quale Rosa Balistreri riveste un ruolo da
protagonista Raisi Rosa.
Testi e partiture delle canzoni 434
Testi e partiture delle canzoni 435
C'ERANU TRI SURELLI C'ERANO TRE SORELLE
C‟eranu tri surelli, c'eranu tri surelli C'erano tre sorelle, c'erano tre sorelle
chi ghivanu a navigà, che andavano a navigare,
la soru la chiù nica l‟anellu ci ha a cascà, alla sorella più piccola l'anello cascò in
l‟anellu ci ha cascatu „e menzu di lu mar. mare, alla sorella più piccola l'anello
E isa l'occhi 'ncelu e isa l'occhi 'ncelu cascò in mare. Ed alza gli occhi in cielo
e vitti un piscatùri. e alza gli occhi in cielo, vide un pescatore.
O piscatùri di l‟unna tu veni a piscà ccà, O pescatore dell'onda vieni a pescare qua,
si pischirai l'anellu ti vogghiu arrialà. se pescherai l‟anello, ti farò un regalo.
Ti dugnu centu scudi, ti dugnu centu scudi, Ti darò cento scudi, ti darò cento scudi
„na borza arraccamà; nun vogghiu centu e una borsa ricamata; non voglio cento
scudi nè burza arraccamà. scudi né borsa ricamata. Voglio un bacio
Vogghiu un baciu d‟amuri si mi lu vòi dà. d‟amore se tu me lo vuoi dare.
Vattini tu briccuni, vattini tu briccuni Vattene briccone, vattene bricccone
va 'mparati a parlà, impara a parlare, se lo sanno i miei
si 'u sannu i me fratelli ti farianu 'mpiccà, fratelli ti faranno impiccare, se lo sanno
si 'u sannu i me fratelli ti farianu 'mpiccà. i miei fratelli ti faranno impiccare.
ROSA POETESSA
A Luca A Luca
DIU MI FICI…
“PARRAMU N‟ANTICCHIA”
Salvatore Marfia
Questa canzone di Tanino Gaglio si trova tra le carte di Rosa regalate alla
biblioteca comunale di Licata. Rosa la apprezzò e intendeva farne una canzone del
suo repertorio, glielo impedì soltanto la morte.
Canzoni scritte da vari autori per Rosa 448
U LUPU E L'AGNEDDU IL LUPO E L‟AGNELLO
(testo di Santrone Carmelo)
Amici cari, vi vogghiu raccuntari Amici cari, vi voglio raccontare
la storia di lu lupu e di l‟agneddu. la storia del lupo e dell‟agnello.
Lu lupu un jornu niscìa di la so tana Il lupo un giorno usciva dalla sua tana
'ccu li so denti aguzzi e na gran fami, con i suoi denti aguzzi
currìa 'ppi la campagna 'ccu lu suli e una gran fame. Correva per le campagne
truvannu l'agnidduzzi e con il sole trovando
ch'eranu smarriti. gli agnellini che si erano smarriti.
Avivanu pirdutu la matri Avevano perduto la madre
„ppi la strata per la strada
circannu unni putiri stari beni. cercando un luogo dove poter star bene.
Lu lupu, amici mia, è lu guvernu Il lupo, amici miei, è il governo
e l'agnidduzzi l'omini d'affannu. e gli agnellini gli uomini lavoratori.
Mentri lu lupu arrobba Mentre il lupo ruba
e va arricchennu, e si va arricchendo
'ppi seculi l'agneddu va emigrannu per secoli l‟agnello va emigrando
e mentri straniatu è a travagghiari, e mentre l‟agnello è a lavorare
lu riccu i porci comodi pò fari. il ricco i porci comodi può fare.
Ni sta Sicilia acqua nun'avemmu, In questa Sicilia acqua non ne abbiamo
mancu 'ppi fari pani e „ppi lavari. nemmeno per impastare il pane e
La mafia, amici mia, unn'è „n Sicilia per lavarci. La mafia, amici miei,
ma 'ntra i palazzi di la capitali. non è in Sicilia, ma nei palazzi della
A vita 'ncara e rumpa li pinzeri, capitale. La vita rincara e riempie
sulu n'autri avemmu i nostri pensieri, solo noi dobbiamo
a téniri lu frenu. tirare la cinghia.
E lu guvemu ca ci teni schiavi E‟ il governo che ci tiene schiavi
e ci custringia a fàrini muriri e ci costringe a morire
pirchì si nun si zappa chista terra perché se non si zappa questa terra
ni tocca stari 'nfunnu di lu 'nfernu. ci tocca stare in fondo all‟inferno.
Amici mia, ora v'haju a lassari, Amici miei, ora vi debbo lasciare,
ma ancora dò paroli v'haju a diri: ma ancora due parole voglio dirvi:
se nun vuliti fari l'agnidduzzi, se non volete fare gli agnellini
lu lupu 'ppi lu coddu il lupo per il collo
ha'ta aggarrari. dovete afferrare.
Questa è una canzone fatta a 4 mani da Carmelo Santrone e Rosa Balistreri a Roma,
come racconta nella sua testimonianza Carmelo Santrone a pag. 162-163. La canzone risente
moltissimo delle idee che Rosa respirava nelle feste dell‟Unità con la contrapposizione
tra lavoratori, padroni e governo.
Poesie dedicate a Rosa 449
POESIE DEDICATE A ROSA BALISTRERI
Sono solo alcune delle tante poesie presentate nel Concorso di poesie e
canzoni siciliane “Memorial Rosa Balistreri”. Le porgo ai lettori perché sono
pervase da affetto e da riconoscenza verso questa grande cantante siciliana.
1) Hitler
Poesie dedicate a Rosa 450
A RUSIDDA, A ROSA,
CANTATRICI LICATISA CANTAUTRICE LICATESE
(Alfonso La Licata)
La to‟ vuci arraspusa, La tua voce ruvida,
Rusidda suspiranti Rosa sospirante
e cu cori senza paci, e con il cuore senza pace,
m‟annaca l‟uri di la malincunia mi culla le ore della malinconia
e m‟allima lu ddisiu e mi affina il desio
di li passati anni, dei passati anni,
di quannu, di quando
carusu e minchiunazzu, ragazzo e semplicione,
mi scurreva la vita tra li iita mi scorreva la vita tra le dita
e „nta lu cavaddu di li causi, e nel cavallo dei pantaloni,
ciumareddu di muntagna ruscello di montagna
ca mancu sapi che nemmeno sa
ca a curriri nun cunveni, che non conviene correre
ca poi si mori „nta lu mari perché poi si muore nel mare
e di tia e di lu to‟ scrusciu, e di te e del tuo clamore
nun resta mancu „na rasta. non rimane neanche una traccia.
“Si nni eru li me‟ anni, “Se ne sono andati i miei anni,
e nun sacciu unni”, e non so dove”
e tu, ca si‟ fimmina all‟antica, e tu che sei femmina all‟antica
m‟aiuti a rrisittari cu cori granni, mi aiuti a rassettare con generosità
li scaffiati di li me ricordi, gli scaffali dei mie ricordi,
chiddi amari, ca sunnu tanti, quelli amari, che sono tanti,
ma chi ficiru austusi ma che hanno fatto gustosi
dd‟annticchia di anni duci quei pochi anni dolci
ca la sorti sarbau pi mia. che la sorte serbò per me.
Canta e cunta, cunta e canta” “Canta e racconta, canta e racconta”
Rusidda sempri „n cruci Rosa, sempre in croce
comu sta terra nostra, come questa nostra terra
antica amanti, antica amante, che ci lasciò
chi nni lassò pi‟ lassitu per eredità soltanto il sapore
sulu lu sapuri della polvere e della paglia,
di lu pruvulazzu e di la pagghia, a noi, figli amorosi,
a nuantri, figgi amurusi, che le sue crepe abbiamo saputo
ca li so‟ cripiati sappimu abbrivirari irrigare con l‟acqua santa
cu l‟acqua santa di lu nostru suduri. del nostro sudore.
Poesie dedicate a Rosa 451
Licata ti ricorda ccù tanta armunia Licata ti ricorda con tanta armonia
'nnidda ca si festeggia lu tò natali, qui dentro si festeggia il tuo natale
all'atri paisa ccì fa dispettu... agli altri paesi questo fa dispetto
e parlannu di Tia… e parlando di Te…
affaccia lu suli. affaccia il sole.
“Raccolta amplissima di canti popolari siciliani”, 1870 Lionardo Vigo al n: 2292, 2298
459
Canti marinareschi
A livanti s‟affaccia lu suli (Canzoni varie)………………………… 416-417
Canto della pesca del corallo (Canzoni varie)………………………. 418
Canto della pesca del tonno (Canzoni varie)………………………. 419
Cialoma (dalla ballata del sale) (Canzoni varie)……………………. 420-421
Emigrazione
Ahi! partu e su custrittu di partiri (Canzoni varie)………………….. 427-428
La canzuni dill‟emigranti (Canzoni varie)………………………….. 413
Mamà chi tempu fa a lu paisi (Rosa canta e cunta 2007 )………….. 367
Nustalgia …………………………………………………. 371-372
Spartenza amara (1997 Rari e inediti) ……………………………. 306-308
Ti nni vai (1973 Terra che non senti)……………………………… 241
Un mortu ca chianci (Amuri senza amuri, 2007) ……………….. 359-360
Indice per argomento 469
Filastrocche
Chiovi, chiovi, o Ciovi, ciovi (Canti Siciliani) …………………….. 314-315
Picciriddi unni iti (Canzoni varie)…………………………………. 382-384
Ninne nanne
Avò (Canti Siciliani) ………………………………………………… 331-332
Binidittu lu jornu e lu mumentu (Canzoni varie)……………………. 392-393
La siminzina (1969 La cantatrice del Sud).………………………….. 192-193
Ninna nanna di la guerra (1978 Vinni a cantari all'ariu scuvertu) …. 283
S.Antoninu calati calati (1969 La cantatrice del Sud) ………………. 205
Ribellione e lavoro
Addiu bedda Sicilia (Canzoni varie)……………………………….. 380-381
Ballata pi Peppi Fava (Canzoni varie)…………………………...... 411-412
Caltanissetta fa quattru quartieri (La cantatrice del Sud) ………….. 186
Ch'è autu lu suli opp. Sant‟Agata che autu lu suli …………………. 213-214
Chi m‟insunnai (Viaggiu o „nfernu) (Canzoni varie)……………… 396-397
Indice per argomento 470
Testamento di Rosa
Quannu moru (1997 Rari e inediti)………………………………… 305
Rosa canta e cunta (1997 Rari e inediti) ……………………………. 303-304
Indice alfabetico dei personaggi 471
INDICE GENERALE
Testimonianze su Rosa
Mario Modestini………………………………………… pag 106
Biagio Scrimizzi……………………………………… pag 108
Fortunato Sindoni …………………………………… pag 111
Melo Freni…………………………………………… pag 112
Felice Liotti …………………………………………… pag 114
Salvo Licata …………………………………………… pag 116
Salvatore Di Marco ………………………………… pag 118
Paolo Emilio Carapezza …………………………… pag 122
Rocco Giorgi …………………………………………… pag 124
Laura Mollica………………………………………… pag 127
Vincenzo Marrali………………………………………… pag 128
Lillo Catania …………………………………………… pag 130
Agostino Comito …………………………………….. pag 137
Anna Cartia…………………………………………… pag 138
Nonò Salamone ……………………………………… pag 140
Salvatore Marfia………………………………………… pag 141
Francesco Pira…………………………………………… pag 143
Rita Botto………………………………………………… pag 146
Alfredo e Letizia Anelli……………………………… pag 147
Emiliana Perina ……………………………………… pag 148
Mimmo La Mantia……………………………………… pag 150
Francesco Giuffrida …………………………………… pag 152
Camillo Vecchio………………………………………… pag 155
Tano Avanzato………………………………………… pag 158
Antonio Bilotta………………………………………… pag 159
Antonio Cottone…………………………………………… pag 161
Carmelo Santrone……………………………………… pag 162
Serena Lao…………………………………………………. pag 164
Fifo Costanzo………………………………………………. pag 169
Salvo Dalfino………………………………………………. pag 170
Gino Santamaria…………………………………………… pag 172
Tanino Gaglio ……………………………………………… pag 173
Armando Sorce……………………………………………... pag 175
Salvatore Strincone………………………………………… pag 179
Indice generale 476
Canti della Sicilia (PDR 2000 Ed Vivaio due CD (2003) …… pag 313
Rosa canta e cunta (Teatro del Sole, 2007 )………………… pag 363