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Indicatori di deprivazione come misura di svantaggio sociale:

il caso dell’Area Metropolitana Genovese

ENRICO IVALDI

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SOMMARIO

INTRODUZIONE 4

CAPITOLO 1: IL CONCETTO DI DEPRIVAZIONE 6

1.1 Caratteristiche e potenzialità informative degli indici di deprivazione 6


1.2 Povertà e deprivazione 8
1.3 Deprivazione materiale e deprivazione sociale 10
1.4 La definizione di Small Area 11
1.5 La struttura degli indici di deprivazione 12
1.6 Un correttivo all’allocazione delle risorse 13

CAPITOLO 2: UNA RASSEGNA DEI PRINCIPALI INDICATORI DI 15


DEPRIVAZIONE

2.1 Parte I: Le esperienze del Regno Unito 15


2.1.1 Indice di deprivazione di Jarman (UPA 8) 15
2.1.2 Indice di deprivazione di Townsend 17
2.1.3 Indice di deprivazione di Carstairs e Morris (SCOTDEP) 19
2.1.4 Indici di Forrest e Gordon (MATDEP e SOCDEP) 20
2.1.5 Indice di deprivazione multipla (IMD 2000) 22

2.2 Parte II: Le proposte italiane 23


2.2.1 Indice di Biggeri 23
2.2.2 Indice di Costa 23
2.2.3 Indice di deprivazione di Valerio-Vitullo (IAS) 24
2.2.4 Indice di deprivazione di Perucci 24
2.2.5 Indicatori a confronto 24

CAPITOLO 3: UNA PROPOSTA DI INDICATORE DI DEPRIVAZIONE 27

3.1 L’area utilizzata 28


3.2 Le variabili a disposizione 29

3.3 Il modello additivo 30


3.3.1 La scelta delle variabili 31
3.3.2 La costruzione dell’indicatore 36
3.3.3 Risultati 36

3.4 Il modello fattoriale 39


3.4.1 La scelta delle variabili 41
3.4.2 La costruzione dell’indicatore 42
3.4.3 Risultati 43

2
3.5 Validazione degli indicatori proposti: il Tasso di mortalità stan- 45
dardizzato

CAPITOLO 4: ULTERIORI APPROFONDIMENTI E CONCLUSIONI 48

4.1 Una realtà diversa da quella metropolitana 48


4.2 Conclusioni 50

BIBLIOGRAFIA 53

3
1. INTRODUZIONE

La scelta dell’utilizzo delle risorse rappresenta sempre più uno scenario del fu-
turo prossimo da cui non è possibile prescindere. La decisione di come allocare
le risorse, ed eventualmente stabilire i criteri per individuare le priorità, rappre-
senta un momento forte di quella che può essere definita “scelta” da un punto di
vista etico. Allo stato attuale delle cose è necessario, tuttavia, considerare la
prospettiva di un utilizzo ottimale di risorse destinate inevitabilmente ad essere
limitate; la diffusione di nuove tecnologie, con la conseguente esplosione dei
costi necessari alla loro implementazione, mette a serio rischio la capacità di
fornire a tutti le risorse necessarie. Di fatto, l’optimum dal punto di vista del cit-
tadino potrebbe collocarsi molto in basso rispetto ad un criterio basato sul buon
uso delle risorse e, senza metodi per individuare utilizzi inappropriati, la capaci-
tà della società di mantenere una copertura assicurativa universale potrebbe
esaurirsi.
Esiste poi una problematica ulteriore, relativa al principio dell’equità territoriale
nell’erogazione delle risorse, che non dovrebbe riguardare soltanto l’ammontare
necessario a livello complessivo (regionale o comunale), ma basarsi su criteri
più specifici per assicurare sostenibilità ai differenti bisogni di ogni singola area
geografica. Il problema non è di facile soluzione. I modelli più studiati in lettera-
tura riguardano quasi esclusivamente il campo sanitario, mentre per quello so-
ciale spesso mancano del tutto. Ciò può dipendere, in parte, dall’eccessiva
frammentazione dei fondi per gli interventi sociali e, dal fatto che, nella generali-
tà dei casi, l’accesso alle prestazioni sociali non avviene sulla base del principio
universalistico, ma risulta piuttosto condizionato ai "mezzi" dell'individuo o della
famiglia.
Per quanto attiene allo specifico della ripartizione delle risorse nel campo sani-
tario, in Italia i criteri a cui ci si richiama sono piuttosto generali e fanno riferi-
mento a quelli stabiliti dalla Legge 662/96: “popolazione residente, frequenza
dei consumi sanitari per età e per sesso, tassi di mortalità della popolazione,
indicatori relativi a particolari situazioni teritoriali ritenuti utili al fine di definire i
bisogni sanitari delle regioni ed indicatori epidemiologici territoriali”. Di fatto,
come appare dalle più recenti suddivisioni del fondo sanitario nazionale, il
criterio che attualmente ha maggiore peso risulta essere l’età della popolazione,
che spiegherebbe, almeno in buona parte, la grande variabilità dell’uso dei
servizi. Tale ponderazione dovrebbe essere basata non tanto sul ricorso ai
servizi, quanto piuttosto sul bisogno della popolazione che, peraltro,
rappresenta una variabile di difficilissima stima, come risulta dall’esperienza di
altri Paesi (Department of Health, 2003). Con riferimento all’Italia, per esempio,
si assiste a una contrapposizione fra il criterio basato sull’età della popolazione,
che privilegia soprattutto le regioni settentrionali più ricche e quello basato
sull’utilizzo di un indicatore quale quello della povertà relativa, che
permetterebbe, invece, alle regioni meridionali, mediamente più povere e più
giovani, di riqualificare i propri sistemi sanitari regionali.
Se la situazione non appare del tutto soddisfacente a livello del primo livello di
ripartizione, lo è ancora meno per gli ulteriori livelli di allocazione delle risorse
sanitarie all’interno delle regioni fra le diverse aree geografiche. Nella realtà si
evidenziano profonde differenze locali nella distribuzione delle risorse e nel

4
conseguente utilizzo dei servizi. Anche in letteratura, gli studi sulle evidenze tra
condizioni socioeconomiche, accessibilità ai servizi sanitari e salute, ormai
recepiti anche dalle istituzioni ufficiali, quali per esempio l’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS), hanno carattere piuttosto teorico e si limitano
all’analisi della situazione con riferimento a grandi aree e gruppi molto vasti di
popolazione. Esiste, invece, una certa carenza di studi a livello di aree comunali
e sottocomunali che, specialmente nelle grandi città, risultano essere molto
disomogenee. Questo fa sì che esistano nella realtà notevoli differenze in
termini di accessibilità e, più, in generale, di equità (Rapiti et al. 1999), anche in
aree che dovrebbero garantire livelli omogenei di assistenza, come all’interno di
una stessa città. Queste evidenze rendono particolarmente attuali anche nel
nostro Paese i tentativi di mettere a punto appropriate misure di svantaggio
sociale.
Una conferma a ciò viene dal fatto che le uniche indicazioni di una relazione a
livello generale, e non per specifiche patologie tra condizioni socioeconomiche
e salute, derivano dalle applicazioni che fanno uso dei cosiddetti “indici di
deprivazione”. Si tratta di misure delle condizioni di svantaggio socioeconomico
di un’area geografica, calcolate tenendo conto di indicatori desumibili da diverse
basi dati. La loro relativa semplicità ha fatto sì che venissero largamente
utilizzati in molti studi di sanità pubblica (Dawey Smith et al. 2001; Salmond e
Crampton 2002), diffondendosi dalla Gran Bretagna, dove sono state realizzate
le prime esperienze al riguardo (Jarman 1983, Towsend et al. 1988; Carstairs e
Morris 1991; Forrest e Gordon 1993), in molti altri Paesi, quali Spagna, Nuova
Zelanda, Irlanda, Olanda, Nord America e anche Italia (Benach e Yasui 1999;
Kellehr et al. 2002; Smits et al. 2002, Hales et al. 2003; Torsehim et al. 2004).
Il calcolo di tali indici riveste un notevole interesse, perché conoscere in che
misura differenti condizioni di salute dipendano anche da condizioni
socioeconomiche svantaggiate consentirebbe di migliorare le strategie di
allocazione delle risorse. In tal modo sarebbe possibile prevedere non solo
specifici interventi sanitari in senso stretto, ma implementare anche politiche 1 di
tipo sociale e infrastrutturale, in grado di eliminare a monte alcune delle cause
della maggiore morbilità o mortalità. Gli indici di deprivazione su base
geografica sono, infatti, uno dei pochissimi strumenti operativi a disposizione
per misurare in modo sintetico le condizioni socioeconomiche di un determinato
territorio. Hanno il vantaggio di essere poco costosi, perché si possono
desumere direttamente dai dati censuari (Jarman 1983; Carstairs e Morris
1991; Townsend 1987; Forrest e Gordon 1991; Benach e Yasui 1999; Hales et
al. 2003; Cadum et al. 1999; Valerio e Vitullo 2000) e trasparenti, perché si
basano su informazioni oggettive, facilmente reperibili, che utilizzano gli stessi
criteri di rilevazione. Lasciano, peraltro, una certa impressione di fragilità
teorica, perché se ne privilegia sempre l’aspetto empirico e applicativo piuttosto
che discutere le implicazioni derivanti dalle diverse scelte necessarie per
renderli operativi: quale debba essere l’area territoriale di riferimento, quali le
variabili rilevanti da inserire come indicatori parziali nell’indice e come esse
debbano essere tra loro collegate e messe in relazione con le condizioni di
salute. Tali scelte non sono indifferenti sul risultato e vanno esaminate nel

1
Tali misure potrebbero essere particolarmente utili a livello regionale come supporto ai nuovi
compiti programmatori previsti nell’attuale contesto federalista.

5
dettaglio per ottenere così una visione complessiva migliore sulle capacità
informative degli indici.
Il lavoro qui presentato ha quindi il duplice scopo di proporre un indicatore ad
hoc per la realtà metropolitana genovese, discutendo al contempo la
potenzialità informativa di tali indici e la loro applicabilità all’interno di contesti
diversi. Dopo una discussione generale sulle potenzialità degli indicatori di
deprivazione e sulle componenti di tali indici inserita nel primo capitolo, il lavoro
prosegue con un esame della letteratura prendendo in esame, nel secondo
capitolo, alcuni tra i più conosciuti e comunemente utilizzati indicatori di
deprivazione. Nel terzo capitolo del lavoro è presentato un nuovo indice di
deprivazione materiale applicato all’area metropoliana genovese, mettendo a
confronto la metodologia additiva con quella dell’analisi fattoriale e validato
attraverso l’utilizzo dei tassi di mortalià standardizzati. L’ultimo capitolo è
dedicato all’applicazione di tale indicatore in un’area diversa dal contesto
originario, al fine di verificare se all’interno di ogni macroarea la deprivazione
debba essere misurata con indici diversamente composti, e alle considerazioni
conclusive.

CAPITOLO 1: IL CONCETTO DI DEPRIVAZIONE

1.1 Caratteristiche e potenzialità informative degli indici di deprivazio-


ne

In molti Paesi sono documentate situazioni di significative disuguaglianze di sa-


lute nei diversi gruppi socioeconomici (Cavelaars 1998; Costa et al. 2004). I ri-
sultati empirici più convincenti si trovano nei lavori di impostazione epidemiolo-
gica, dai quali risulta come diverse condizioni materiali, sociali e di stress siano
in grado di spiegare differenziali di morbilità e mortalità riferiti a specifiche pato-
logie, riscontrati tra gruppi di popolazione (Barnett et al. 2004).
Nella letteratura economica, invece, il nesso causale fra variabili socioeconomi-
che e misure complessive di salute, quali, ad esempio, il tasso di mortalità per
tutte le cause, rimane ancora piuttosto indeterminato e talvolta, addirittura, con
segno di interazione opposto. Questo deriva, probabilmente, dal fatto che, pur
essendo molteplici le variabili socioeconomiche correlate con la salute, risulta
difficoltoso derivare robuste conclusioni scientifiche dalle singole correlazioni,
poiché queste possono cambiare in intensità e direzione a seconda del conte-
sto di applicazione e sono spesso inficiate da problemi di interazioni tra le va-
riabili e di non linearità delle relazioni (Fuchs 2004). Da queste evidenze emer-
gerebbe l’indicazione a misurare le condizioni socioeconomiche tramite un in-
sieme di variabili o di indicatori parziali per tener meglio conto della loro natura
multidimensionale.

Il concetto di deprivazione non fa riferimento esclusivo alle risorse materiali, ma


tiene anche conto di quelle culturali e sociali, evidenziando le caratteristiche di
un certo gruppo (da intendersi in particolare come la popolazione che vive in un
certo territorio) e ne misura le omogeneità/disomogeneità rispetto agli individui
che lo compongono. A questo fine, gli indicatori di deprivazione sembrerebbero

6
particolarmente adatti, in quanto si propongono di misurare proprio lo stato di
svantaggio socioeconomico di coloro che vivono in una certa area geografica.
Essi trovano giustificazione dalla constatazione di come territori maggiormente
deprivati necessitino, in un contesto di equità, di un maggior dispendio in termini
di risorse (Judge e Mays 1994a 1994b; Buckingham e Freeman 1997).
Tali indicatori si differenziano rispetto agli altri due strumenti che vengono
usualmente utilizzati per misurare condizioni di deprivazione, ossia le misure di
svantaggio individuale e quelle per classe sociale. Le prime si riferiscono alla
distribuzione del reddito all’interno di una popolazione, ritenuto la variabile più
efficace per misurare lo svantaggio e consistono nel calcolare il cosiddetto
“rapporto di concentrazione”, che misura la disuguaglianza di tale distribuzione
tra gli individui. Il secondo tipo di studi, invece, suddivide la popolazione in
“classi” di individui, definite sulla base del genere, della razza, o della tipologia
di occupazione. Si analizza così se l’appartenenza a una classe generi svan-
taggi sistematicamente diversi con riguardo a qualche variabile rilevante, quale
la mortalità, o l’accesso a servizi sanitari, che implichino tecnologie innovative
(Rapiti et al. 1999). Gli indicatori di deprivazione si propongono, invece, di con-
frontare fra loro le condizioni di gruppi di individui identificati in quanto risiedenti
in differenti zone geografiche. Rispetto alle misure individuali e agli studi sulle
classi sociali, consentono di tenere conto di una maggior numero di dimensioni
della situazione di svantaggio, pur essendo, al contempo, sufficientemente
semplici dal punto di vista dell’interpretazione, perché permettono di sintetizzare
tali dimensioni in un’unica misura. Rispetto, poi, agli studi basati sulle classi so-
ciali, gli indicatori di deprivazione, risultano non affetti da eventuali implicazioni
ideologiche (Payne et al., 1996).

Gli indici di deprivazione sono pertanto collegati ad una piccola unità geografica
ben definita, all’interno della quale “misurano la proporzione di nuclei familiari
che presentano una combinazione di caratteristiche atte ad indicare alternati-
vamente un basso tenore di vita, un alto fabbisogno di servizi oppure una com-
presenza di entrambi i fattori” (Bartley e Blane, 1994). Questa definizione di in-
dicatori di deprivazione riporta in evidenza lo stretto legame esistente fra il con-
cetto di deprivazione stesso e il territorio, legame che pone in essere due diffe-
renti problematiche, legate rispettivamente alla definizione del territorio ed alla
modalità di utilizzo degli indici. In primo luogo, per quanto riguarda la definizione
del territorio, in letteratura si fa riferimento alla cosiddetta small area (Bartley e
Blane 1994; Carr Hill et. al 2002), la definizione della quale, tuttavia, non è de-
terminata e univoca. Nel Regno Unito il livello territoriale minimo a cui sono co-
munemente calcolati gli indici di deprivazione è l’electoral ward (in Scozia
pseudo postcode sectors) corrispondente alla circoscrizione elettorale (al 1991
circa 2000 famiglie)2, anche se esistono proposte (Crayford et al, 1995) per
identificare la small area con l’enumeration district (circa 200 famiglie). In se-
condo luogo l’utilizzo di indicatori su base geografica anziché su base individua-
le implicitamente definisce omogenei tra loro tutti gli individui che vivono
all’interno di una determinata area, e per questo motivo occorre prestare atten-
zione nell’interpretare i risultati in quanto “non tutte le persone deprivate vivono
in zone deprivate, esattamente come non tutti coloro che vivono all’interno di

2
Fonte : http://census.ac.uk/cdu/Datasets/Census_glossary.htm

7
una zona deprivata sono essi stessi deprivati” (Townsend et al, 1988). Nono-
stante il problema portato alla luce non sia affatto irrilevante, non è possibile
produrre misure di deprivazione a livello individuale e, conseguentemente, gli
indici di deprivazione dovrebbero saper cogliere una componente “ambientale”
delle differenze sociali, come proxy delle sconosciute caratteristiche individuali:
tale ipotesi richiede che l'area geografica sia sufficientemente ristretta (Cadum
et al, 1999).
Numerosi studi hanno provato che gli indici di deprivazione basati sulle caratte-
ristiche dell’area di residenza sono adatti a spiegare le variazioni nella morbilità,
nella mortalità e in un’ampia gamma di misure sanitarie (Morris e Carstairs
1991; Sloggett e Joshi 1998; Boyle et al. 1999), ma permane una certa incapa-
cità di capire le ragioni sottostanti alle loro performance. Questo avviene perché
utilizzare indici aggregati a livello geografico presuppone che essi siano una
buona approssimazione del rischio economico individuale e che esista un certo
“effetto contesto” (Macintyre et al. 2002), vale a dire un fattore ambientale spe-
cifico che influenzi la mortalità.
Entrambi i punti sono controversi: l’aggregazione geografica comporta il rischio
di commettere “ecological fallacy” (Lancaster e Green 2002), ossia di inferire
erroneamente le caratteristiche di un individuo a partire da quelle della sua area
di appartenenza, e l’effetto contesto sembra essere secondario rispetto alle ca-
ratteristiche individuali, o quantomeno non sembra possibile coglierlo precisa-
mente utilizzando gli indicatori censuari socioeconomici (Sloggett e Joshi 1994).
Nel momento in cui si decida di utilizzare un indice su base geografica, non vi è
accordo nemmeno sulla classificazione geografica da utilizzare, poiché i risultati
talvolta sembrano cambiare in maniera consistente a seconda del livello territo-
riale prescelto (Crayford et al. 1995), talaltra restano sostanzialmente invariati
portando a concludere che il problema della scelta dell’area sia ozioso (Reijne-
veld et al. 2000). La relazione tra le variazioni nelle misure sanitarie e la depri-
vazione può inoltre variare notevolmente a seconda che le aree oggetto
d’analisi siano urbane oppure rurali (Barnett et al. 2001; Senior et al. 2000).

1.2 Povertà e deprivazione

Da quanto detto sino ad ora, il concetto di deprivazione sembra molto simile a


quello di povertà. La confusione potrebbe derivare dal fatto che, diversamente
da quanto accade per la povertà, non esiste una definizione generale di depri-
vazione, ma piuttosto molteplici definizioni ciascuna legata allo specifico conte-
sto di utilizzo. La deprivazione è comunque un concetto “relativo”, che fa riferi-
mento, cioè, a una scala, a una graduazione di bisogni e, pertanto, rischia di
essere confusa soprattutto con il concetto di povertà relativa.

Come noto, a differenza del concetto di povertà assoluta, definita oggettivamen-


te rispetto a quanto si ritiene indispensabile per una condizione di vita decente
in un certo contesto sociale, quello di povertà relativa non implica necessaria-
mente una condizione di grave disagio economico per coloro che stanno sotto
la soglia, bensì il fatto che si occupa un rango basso nella distribuzione delle
risorse (Mackintosh, 2001). Come per quello di povertà assoluta, anche il con-
cetto di povertà relativa richiede la definizione di una soglia, definita, nel secon-

8
do caso, con riferimento alle caratteristiche della distribuzione della popolazione
sotto studio: si considera “povera”, per esempio, una famiglia di due persone
con consumo complessivo inferiore o uguale al consumo medio pro capite del
Paese di riferimento (Saraceno, 2002). Un punto in comune fra i due concetti di
povertà relativa e di deprivazione è costituito dalla finalità delle due misure: in
entrambi i casi lo scopo è quello di quantificare situazioni di disuguaglianza. Nel
primo si tratta della disuguaglianza nella distribuzione delle risorse materiali.
Nel secondo, si misurano, invece, difformità nelle condizioni di vita nelle diverse
aree geografiche.

Il concetto di deprivazione risulta ancora più vicino a quello di povertà quando a


questo ultimo venga dato un significato più ampio rispetto alla mera insufficien-
za o mancanza di reddito, in particolare un concetto di povertà che significhi
“incapacità di realizzare funzioni essenziali per la vita umana” (Sen, 1987).
Queste funzioni si riferiscono non solo alle necessità primarie, ma anche alla
possibilità di godere di un’adeguata istruzione e di partecipare a pieno titolo alla
società. I beni e le risorse a disposizione sono un mezzo per la realizzazione
del proprio benessere ma non sono, di per sé, il benessere, giacché un indivi-
duo potrebbe non disporre delle capacità necessarie ad utilizzare tali beni.

Si pone su questa linea, portata avanti dal capability approach di Sen, la defini-
zione dell'Indice di Povertà Umana (IPU), adottato ormai correntemente dalle
statistiche ufficiali (United Nations Development Programme, UNDP 2005)3.
Tale indice risulta formalmente molto simile a un indicatore di deprivazione es-
sendo formulato come somma di indici parziali che misurano, ciascuno, una di-
versa dimensione della povertà. Queste ultime differiscono a seconda che si
tratti di economie in via di sviluppo 4 (IPU-1) o di economie industrializzate5

3
Elaborato a partire dal 1997 (Rapporto n. 8), si tratta di una misura composita che considera le
dimensioni della vita umana considerate anche dall’indice di sviluppo umano:
1. la longevità,
2. le conoscenze,
3. uno standard accettabile di vita.
L'indice viene calcolato ogni anno dall’UNDP per tutti i paesi per i quali sono disponibili i dati stati-
stici necessari ed è formulato in modo diverso a seconda che si tratti di economie in via di sviluppo
(IPU-1) o di economie industrializzate (IPU-2).
4
L’indice di povertà umana per i paesi in via di sviluppo (IPU-1)
Le tre dimensioni considerate sono le seguenti:
1. la deprivazione nella longevità, misurata come percentuale di individui che hanno una speran-
za di vita alla nascita inferiore ai 40 anni (P1),
2. la deprivazione nelle conoscenze, espressa come percentuale di adulti analfabeti (P 2).
3. la deprivazione rispetto a standard di vita decenti (P 3).
Quest’ultimo indicatore è costituito dalla media semplice di tre variabili elementari : la percen-
tuale di popolazione che non ha accesso all’acqua potabile (P 31), la percentuale di popolazione
senza accesso ai servizi sanitari (P32) e, infine, la percentuale di bambini inferiori ai cinque an-
ni di età che risultano sottopeso (P33). L’indicatore P3, riferito allo standard di vita, è poi ottenu-
to come una media dei tre indicatori che lo compongono, vale a dire:[(P31 + P32 + P33) / 3]
L’indice globale IPU-1 è ottenuto aggregando queste tre dimensioni in un'unica misura che assegna
un peso maggiore alla situazione più sfavorevole.
La formula è la seguente: IPU-1 = [(P13 + P23 + P33 ) / 3]1/3
5
L’indice di povertà umana per i paesi industrializzati (IPU-2)

9
(IPU-2). Nel primo caso l’attenzione è posta prevalentemente sull’accesso ai
servizi essenziali (acqua potabile e servizi igienici), mentre nel secondo si fa ri-
ferimento piuttosto alla definizione di povertà relativa e si tiene conto anche
dell’esclusione sociale, misurata con il tasso di disoccupazione di lunga durata.
In conclusione, i due concetti di povertà e di deprivazione fanno riferimento a
dimensioni in larga parte coincidenti: anche negli indicatori di deprivazione, in-
fatti, si tiene conto, pur indirettamente, del reddito e della capacità di spesa, che
sono le determinanti ultime del fatto di avere condizioni di vita disagiate. Tra i
due concetti, peraltro, non esiste una corrispondenza perfetta. La povertà evi-
denzia le caratteristiche dell’individuo all’interno del suo gruppo di appartenen-
za. La deprivazione, invece, sottolinea le caratteristiche di un certo gruppo, da
intendersi in particolare come la popolazione che vive in un certo territorio, mi-
surandone l’omogeneità degli individui che lo compongono. A titolo di esempio
si consideri la condizione di un anziano che abiti da solo: non vi è ragione di ri-
tenere che tale condizione sia, di per sé, indice di povertà, tuttavia, la presenza
di un elevato numero di anziani soli è una variabile che incide sul livello di de-
privazione di un territorio.

1.3 Deprivazione materiale e deprivazione sociale

Si tratta a questo punto di definire che cosa si intenda per “stato di svantaggio”
relativo degli individui che vivono su un certo territorio e come questo possa es-
sere quantificato. Se si esaminano i principali indicatori di deprivazione esistenti
in letteratura, si nota come essi si differenziano tra di loro proprio a seconda
delle variabili prese in considerazione. Si ha, peraltro, l'impressione che in molti
casi tali variabili siano scelte senza un preciso modello di riferimento, ma piutto-
sto sulla base della disponibilità immediata dei dati, con il pericolo di contare
due volte la stessa dimensione della deprivazione oppure di dimenticarne qual-
cuna importante.
L’Autore che approfondisce maggiormente questa tematica è Townsend, (To-
wnsend et al. 1988), il quale suggerisce di distinguere fra loro le variabili che
indicano la deprivazione “materiale” da quelle che si riferiscono, invece, alla de-
privazione “sociale” Nelle parole stesse dell'autore, “…la deprivazione materiale
comporta la mancanza di beni, servizi, risorse, comodità normalmente godute o
almeno largamente accettate come beni primari. La deprivazione sociale, d’altro

L’indice di povertà umana per i paesi industrializzati considera le stesse dimensioni dell'indice riferi-
to ai paesi in via di sviluppo ma utilizza variabili e soglie di riferimento diverse. In particolare,
1. la deprivazione nella longevità è misurata con la percentuale di individui la cui speranza di vita
alla nascita è inferiore ai 60 anni (P1),
2. la deprivazione nelle conoscenze si basa sulla percentuale di adulti funzionalmente analfabeti
secondo la definizione data dall’OCSE (P2),
3. la deprivazione da standard di vita decenti (P3) è catturata, infine, con la percentuale di popo-
lazione che vive al di sotto della soglia di povertà, soglia definita in base ai criteri dell'Interna-
tional Standard of Poverty Line e dunque pari al 50% del reddito medio nazionale pro-capite.
L'IPU-2 considera anche una quarta dimensione, quella dell'esclusione sociale, che viene misurata
considerando il "tasso di disoccupazione di lunga durata" (P 4), cioè la percentuale di persone che
sono disoccupate da 12 o più mesi rispetto all'intera forza lavoro (cioè la somma di chi lavora e di
chi cerca occupazione)5.
L'IPU-2 viene calcolato in modo analogo all'IPU-1: IPU-2 = [(P13 + P13 + P33 + P43) / 4]1/3

10
canto, sottende ad una non partecipazione nei ruoli, relazioni, usi, funzioni, dirit-
ti e responsabilità implicati dall'essere membro di una data società o di un suo
sotto gruppo. Questa ultima concezione di deprivazione potrebbe essere attri-
buita agli effetti del razzismo, in ogni sua forma…”.
Una misura di deprivazione materiale, pertanto, si propone di descrivere le con-
dizioni oggettive nelle quali vivono gli individui. Tali condizioni vengono descritte
da variabili “dirette”, nel senso che misurano direttamente in che percentuale gli
individui che vivono in una certa area geografica possiedono una determinata
caratteristica: se l'abitazione non possiede servizi igienici, se non sono proprie-
tari della casa, se non hanno un posto di lavoro e così via. Tali caratteristiche
devono essere tenute separate da quelle che, di per sé, non comportano ne-
cessariamente deprivazione, per esempio, appartenere a una minoranza etnica,
svolgere un lavoro manuale, essere anziano. Anche queste situazioni, potreb-
bero indicare condizioni di deprivazione quando, a causa di distorsioni della so-
cietà in cui si vive, rendano difficile la partecipazione ai ruoli, alle relazioni, ai
diritti, alle responsabilità che sarebbero tipici di un membro di una certa colletti-
vità. Questo tipo di deprivazione, di natura diversa rispetto a quella precedente,
viene da Townsend definita “sociale”, nel senso che è collegabile a qualche
forma di razzismo o di emarginazione, piuttosto che a condizioni oggettive.
L'appartenenza a queste categorie non è, di per sé, indicatore di deprivazione,
anche se molti individui compresi all’interno di queste minoranze risultano poi
effettivamente deprivati.
Di conseguenza, l'autore conclude che sia meglio limitarsi a misurare la depri-
vazione materiale, ossia la condizione oggettiva di deprivazione, piuttosto che
lo stato degli individui che ne soffrono, ricorrendo, pertanto, a variabili dirette e
tralasciando quelle indirette.
Nella realtà dei fatti, le applicazioni degli indici contengono entrambe le dimen-
sioni anche se non mancano indicazioni difformi in tal senso (Forrest e Gordon
1993)

1.4 La definizione di small area

Come si è detto, la definizione stessa di deprivazione richiede il collegamento


rispetto ad un ambito territoriale di riferimento. E' necessario, pertanto, determi-
nare quale debba essere l'unità di riferimento all’interno della quale si misura la
proporzione di individui o di nuclei familiari che presentano una combinazione di
caratteristiche atte ad indicare lo stato di svantaggio relativo che ci si propone di
quantificare. In letteratura si fa riferimento alla cosiddetta small area, indicando
che l'area geografica debba essere sufficientemente “piccola” in modo da rap-
presentare gruppi relativamente omogenei e poter stabilire categorie su base
geografica della popolazione che risultino migliori di quelle offerte da altre carat-
teristiche come “genere”, “razza”, o “occupazione” (Murray et al., 2001) e in
grado, pertanto, di suggerire l’utilizzo di indicatori di deprivazione piuttosto che
di indicatori di classe sociale. Il problema della definizione della small area non
è indifferente perché la definizione stessa di deprivazione, basata sull'utilizzo di
indicatori su base geografica anziché su base individuale, implicitamente defini-
sce omogenei tra loro tutti gli individui che vivono all’interno di una determinata
area. Di conseguenza, l'area geografica dovrebbe essere sufficientemente ri-

11
stretta per poter cogliere una componente “ambientale” delle condizioni socioe-
conomiche, indipendentemente dalle componenti geografiche (Cadum et al,
1999).

La definizione specifica della small area, tuttavia, non è determinata, né univoca


(Carr-Hill et al., 2002). Nel Regno Unito il livello territoriale minimo a cui sono
comunemente calcolati gli indici di deprivazione è l’electoral ward. In Scozia tali
aree vengono chiamate pseudo postcode sectors corrispondenti alle circoscri-
zioni elettorali che comprendono circa 2000 famiglie. Esistono, tuttavia, ulteriori
proposte (Crayford et al, 1995) volte a individuare un livello molto più spinto di
disaggregazione, identificando la small area con l’enumeration district composte
da circa 200 famiglie (Census Dissemination Unit, Manchester University).
Nelle ancora recenti esperienze italiane gli indicatori sono prevalentemente cal-
colati a livello comunale. La small area risulta, pertanto, piuttosto eterogenea
come dimensione, e può raggiungere anche una consistenza notevole in quan-
to a popolazione.
La scelta è, peraltro, forzata dalla natura dei dati disponibili e dalla disomoge-
neità delle basi dati6. Alcuni studi ad hoc hanno cercato, peraltro, di colmare
questa lacuna, mettendo in collegamento l'informazione sociale con quella sani-
taria e demografica attraverso opportune procedure di record-linkage delle fonti
esistenti, anche se si tratta di indagini piuttosto costose e che richiedono tempo.
Lo Studio Longitudinale Torinese (SLT) è il prototipo su cui sono state sviluppa-
te alcune di queste prove e rappresenta un esempio evoluto di gestione integra-
ta di dati demografici, per scopi di indagine non solo epidemiologici (Costa et
al., 1998). Si auspica che possibilità analoghe possano essere attivate anche in
altre realtà territoriali.

1.5 La struttura degli indici di deprivazione

Come si è già detto, tali indici sono nati in Gran Bretagna, dove hanno avuto un
certo successo, tanto è vero che i primi, quale quello di Jarman e di Townsend,
proposti già negli anni ‘80, continuano a essere utilizzati ancora oggi. I lavori più
recenti apparsi in letteratura non portato innovazioni sostanziali e di fatto i re-
centi indici si mantengono piuttosto simili, come struttura, a quelli storici. In Italia
questo tipo di studi è stato intrapreso soltanto a partire dalla fine degli anni ‘90
con finalità prevalentemente epidemiologiche, cioè chiedendosi se e in che mi-
sura la deprivazione sia responsabile nel nostro Paese dei differenziali di salu-
te.
Gli indicatori di deprivazione, tuttavia, non si limitano soltanto a questo aspetto.
Forniscono, più in generale, una misura dello stato di bisogno degli individui che
abitano in una certa zona, potenzialmente utilizzabile anche per altri scopi, per
esempio per la riqualificazione infrastrutturale delle aree maggiormente depriva-
te. Ne è una riprova il fatto che quello che potrebbe essere considerato il primo

6
Nel Comune di Genova, ad esempio, non esiste al momento la possibilità di collegare misure di
deprivazione e l'utilizzo dei servizi sanitari. Anche per i ricoveri ospedalieri, per i quali sono disponi-
bili i dati più standardizzati e aggiornati, manca la possibilità di desumere direttamente la ripartizio-
ne dei pazienti per unità urbanistica, che risulta essere la suddivisione territoriale minima utilizzata a
livello comunale per elaborare i dati.

12
indicatore di deprivazione, il cosiddetto Doe (Department Of Environment,
1983) è stato formulato nell'ambito del Dipartimento per l’Ambiente, anche se,
successivamente, è stato ripreso dal Dipartimento della Salute al fine di utiliz-
zarlo nelle prime versioni delle formule di allocazione delle risorse (Department
of Health and Social Security, 1988). Questo indicatore risultava come somma
di un insieme di indicatori parziali che sono stati poi utilizzati per formulare i
principali indicatori succedutisi nel tempo. Si tratta di numero di persone disoc-
cupate, di persone che vivono in condizioni abitative particolarmente disagiate,
caratterizzate per esempio da sovraffollamento o da mancanza di servizi igieni-
ci, da persone che hanno recentemente cambiato residenza, di famiglie con figli
dove è presente un solo genitore, ecc.
Gli indicatori di deprivazione utilizzati in letteratura presentano due principali ti-
pologie di elaborazione. La maggior parte di essi viene costruita selezionando,
tra le variabili disponibili, quelle che presentano una correlazione maggiore con
la variabile dipendente utilizzata per verificare il fenomeno in oggetto. Una volta
proceduto alla scelta di tali variabili, queste, a causa della loro disomogeneità in
termini di unità di misura, vengono standardizzate, sottraendo da esse la loro
media e dividendole per lo scarto quadratico medio, e sommate tra di loro.
L’indice complessivo per una singola area consta pertanto della somma non
pesata di tanti z-scores quante sono le variabili utilizzate. L’indice così ottenuto
viene riclassificato suddividendo il territorio oggetto dell’indagine in classi defini-
te attraverso quintili di popolazione, oppure determinando tali aree sulla base
dello scarto quadratico medio, con l’obiettivo di discriminare tra diversi livelli di
deprivazione. Se nel primo caso le classi risultano equivalenti sotto il profilo
numerico, nel secondo caso consentono, invece, di mantenere le caratteristiche
discriminatorie della distribuzione, conservando lo 0 come valore discriminante
tra aree deprivate e aree non deprivate (Carstairs 2000).
Il secondo metodo utilizzato per costruire gli indici di deprivazione è quello di
ricorrere all’analisi multivariata. In questo caso la scelta delle variabili può esse-
re effettuata sia scegliendo tra le variabili correlate positivamente quelle situate
sulla prima componente, sia individuando i fattori esplicativi e successivamente
sommando gli stessi. Anche in questo caso è possibile riclassificare le aree og-
getto di analisi in livelli crescenti di deprivazione sulla base dei criteri riportati in
precedenza.

1.6 Un correttivo all’allocazione delle risorse

Con riferimento al contesto italiano, sin dall’introduzione del Servizio Sanitario


Nazionale, si è posto il problema del riparto fra le regioni ordinarie del Fondo
Sanitario Nazionale iscritto in bilancio. L’art. 51 della l. n° 833 del 1978 indicava
che esso doveva essere ripartito tra le regioni “tenuto conto delle indicazioni
contenute nei piani sanitari nazionali e regionali e sulla base di indici e di stan-
dard. Tali indici e standard devono tendere a garantire i livelli di prestazioni sa-
nitarie in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, eliminando progressiva-
mente le differenze strutturali e di prestazioni tra le regioni”. Attualmente, l'im-
plementazione dei livelli essenziali di assistenza, siano essi sanitari o sociali,
richiede, inoltre, la quantificazione dei bisogni della popolazione per poter asse-
gnare le corrispondenti risorse necessarie per il loro soddisfacimento. Per ga-

13
rantire equità territoriale, peraltro, tale ripartizione non dovrebbe riguardare sol-
tanto l’ammontare necessario a livello complessivo (regionale o comunale), ma
basarsi su criteri più specifici per assicurare sostenibilità ai differenti bisogni di
ogni singola area geografica.
Nel nostro Paese, la recente legge 328/00 in materia, che prevede l’estensione
del principio universalistico anche a livello sociale, rimane ancora prevalente-
mente a livello di enunciazione, anche se per quanto riguarda la ripartizione ter-
ritoriale del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, sottolinea la necessità di
riferirsi a “indicatori territoriali relativi alla struttura demografica, ai livelli di reddi-
to e alle condizioni occupazionali”.

Queste raccomandazioni richiamano immediatamente la necessità di disporre


di opportune misure di svantaggio sociale che, sotto forma di appositi “indicatori
di deprivazione” fanno, invece, già parte della tradizione in campo sanitario do-
ve sono generalmente richiamati nelle diverse “formule” di allocazione dei fondi,
sperimentate, in tempi diversi, particolarmente nel Regno Unito (Rizzi, 2003).
Anche se questa non è la sede per approfondire questo argomento, si noti che
sui meccanismi di ripartizione delle risorse non esiste, tuttora, ancora uniformità
di opinioni (Spandonaro et al. 2004). Rimane particolarmente dibattuta la que-
stione a che cosa riferirsi per individuare la variabile più adatta a misurare il bi-
sogno di salute (Sheldon Carr-Hill 1992). In questa sede si vuole analizzare il
ruolo delle misure di deprivazione nella determinazione di eventuali differenziali
di risorse assegnate alle diverse aree geografiche in accordo con l’assunto che
la salute dipenda anche da fattori socioeconomici. Questo appare in linea con la
vasta letteratura sull’argomento, a partire dai primi studi quale quello di
McKeown (McKeown, 1976), che ha messo in luce come la mortalità per malat-
tie infettive sia diminuita nell’Europa del XIX secolo ancora prima che fossero
disponibili i vaccini. Quello che ha influito sull’aumento della speranza di vita è
stato soprattutto il miglioramento nella alimentazione e nell’igiene ambientale. Il
problema è piuttosto se e in che misura le condizioni socioeconomiche creino
un bisogno di salute “aggiuntivo” rispetto alle variabili prese in considerazione
per la ripartizione delle risorse. In caso affermativo, si tratta di integrare la for-
mula con la deprivazione come componente specifica. Alcuni, invece, sosten-
gono che non si dovrebbe farlo perché la deprivazione è solo una delle spiega-
zioni di un tasso di mortalità più elevato (Carstairs e Morris 1991).

14
CAPITOLO 2: UNA RASSEGNA DEI PRINCIPALI INDICATORI DI DEPRIVA-
ZIONE

2.1 Parte I: Le esperienze del Regno Unito

La maggior parte degli indicatori di deprivazione citati in letteratura provengono


dall'area anglosassone e si riferiscono al settore sanitario. Hanno principalmen-
te finalità epidemiologiche piuttosto che di ausilio diretto nella ripartizione delle
risorse. Sono, infatti, stati utilizzati, soprattutto inizialmente, per spiegare i diffe-
renziali di mortalità nelle varie zone del paese, principalmente fra Inghilterra,
Galles e Scozia sulla base dell’assunto che condizioni socioeconomiche svan-
taggiate significhino anche peggiore salute. Nella prima parte del capitolo si
esaminano, pertanto, seguendo un ordine cronologico, alcuni tra i più conosciuti
e comunemente utilizzati indicatori di deprivazione, quali gli indici proposti da
Jarman, Townsend, Carstairs, gli indici MATDEP e SOCDEP ed, infine, l’Indice
di Deprivazione Multipla (IMD 2000), sviluppato dal Department of the Environ-
ment, Transport and the Regions (Dipartimento per l’Ambiente, i Trasporti e le
Regioni) del Regno Unito.

2.1.1 Indice di deprivazione di Jarman (UPA 8)


L’Underprivileged Area Score 8 (UPA 8), proposto nel 1983 da Jarman, è stato
originariamente costruito non come un vero e proprio indice di deprivazione ma
come una misura atta a quantificare l’influenza di fattori socioeconomici e de-
mografici, ricavabili dai dati censuari, sul carico di lavoro dei General Practitio-
ners7 in Inghilterra e nel Galles (Jarman 1983).
A partire dal 1988 è stato utilizzato dal Department of Health and Social Securi-
ty nella revisione dei metodi di allocazione delle risorse (RAWP formula), per
erogare pagamenti addizionali ai General Practitioners per ogni paziente resi-
dente in una zona deprivata (Crayford et al. 1995).
Le variabili di cui consta l’indice e le loro rispettive unità di misura sono:
1. X 1 = numero dei pensionati che vivono soli come percentuale di tutti i resi-
denti in un nucleo familiare nella comunità
2. X 2 = numero dei bambini al di sotto dei 5 anni come percentuale di tutti i
residenti in un nucleo familiare nella comunità
3. X 3 = numero dei nuclei familiari dove un singolo genitore vive solo con la
propria discendenza (di età inferiore ai 16 anni) come percentuale di tutti i
residenti in un nucleo familiare nella comunità
4. X 4 = numero di persone che vivono in un nucleo familiare in cui il capofa-
miglia è collocato nel gruppo socioeconomico 5 (lavoratori manuali non

7
Assimilabili ai medici di medicina generale italiani

15
qualificati)8 come percentuale di tutti i residenti in un nucleo familiare nella
comunità
5. X 5 = numero di persone di almeno 16 anni d’età in cerca di lavoro come
percentuale della popolazione economicamente attiva
6. X 6 = numero di persone che vivono in un nucleo familiare in cui c’è più di
una persona per stanza come percentuale di tutti i residenti in un nucleo
familiare nella comunità
7. X 7 = numero degli individui che risiedono attualmente all’interno della co-
munità e che avevano un’altra residenza un anno prima del censimento
come percentuale di tutti i residenti
8. X 8 = numero di persone che vivono in un nucleo familiare in cui il capofa-
miglia è nato nel New Commonwealth come percentuale di tutti i residenti in
un nucleo familiare nella comunità
È possibile notare come le variabili selezionate, originariamente ricavate dai da-
ti censuari del 1981, siano classificabili in due tipologie distinte, poiché da un
lato riflettono condizioni socioeconomiche, dall’altro distinzioni di tipo demogra-
fico.
Analiticamente, l’indice può formularsi come segue:
siano
X1 X2 X8
T1  arcsin , T2  arcsin , …, T8  arcsin
100 100 100
e
t1  T t2  T t8  T
z1  1 , z2  2 …, z8  8
sT sT sT
1 2 8
L’indice di deprivazione di Jarman risulta dalla sommatoria pesata degli zi ,
cioè
8
UPA 8 =  zi wi
i 1

dove i pesi specifici wi (tabella 1), come le variabili selezionate, sono il frutto di
un’inchiesta condotta su un campione di General Practitioners 9. Maggiore è il
valore di tale indice, maggiore la deprivazione risultante.

8
Nel Regno Unito esiste una “Registrar General’s Social Scale” (rinominata nel 1990 Social Class
based on Occupations, ed attualmente in procinto di essere sostituita dalla National Statistics So-
cio-economic Classifications) che divide la popolazione in 7 differenti gruppi: I Professional occupa-
tions, II Managerial and technical occupations, III N Skilled non-manual occupations, IIIM Skilled ma-
nual occupations, IV Partly skilled occuations, V Unskilled occupations, VI Armed forces.
Fonte: www.hewett.norfolk.sch.uk/curric/soc/class/reg.htm
9
Il campione era costituito dal 10% dei medici inglesi cui venne richiesto di fornire un punteggio,
compreso tra 0 e 9, che esprimesse la misura in cui ciascun fattore censuario comportava un au-
mento del loro carico di lavoro; i pesi furono calcolati come media aritmetica dei punteggi espressi
(Jarman 1983).

16
Tabella 1: Variabili dell’indice di Jarman e relativi pesi associati
Variabili X1 X2 X3 X4
Pesi w1  6,62 w2  4,64 w3  3,01 w4  3,74

Variabili X5 X6 X7 X8

Pesi w5  3,34 w6  2,88 w7  2,68 w8  2,50

Nella costruzione dell’indice viene utilizzata una trasformazione angolare o in


arcoseno e successivamente si opera una standardizzazione. La trasformazio-
ne in arcoseno è del tipo:
Xi
T  arcsin
100
dove X è quindi un valore decimale compreso tra 0 ed 1. Tale trasformazione
determina variazioni maggiori agli estremi che al centro della scala, ricondu-
cendo i valori delle varianze ad una situazione di omoschedasticità (Freeman e
t  T
Tukey 1950). Per quanto riguarda la standardizzazione z , che
sT
esprime ogni variabile in termini di media ed errore standard della popolazione
dell’area di interesse, questa viene utilizzata per evitare che le variabili misurate
su una scala più ampia possano avere maggior peso sul punteggio complessivo
dell’indice rispetto a quelle caratterizzate da un campo di variazione più basso
(Bartley e Blane 1994).
L’indice di Jarman ha trovato ulteriori applicazioni nell’esame dei tassi di am-
missione agli ospedali psichiatrici (Carstairs e Morris 1991), ove peraltro è stato
soggetto a critiche da parte di Glover (Glover et al. 1998) il quale, in uno studio
commissionatogli dal Department of Health nell’ambito del programma di ricer-
ca e sviluppo sulle malattie mentali e finalizzato alla realizzazione di un indice
ad hoc (il Mental Illness Needs Index), ne ha messo in luce la scarsa capacità
esplicativa (solo il 23% della variabilità complessiva esistente tra i distretti), met-
tendo in risalto la bassa capacità predittiva delle prime due variabili (pensionati
soli e bambini sotto i cinque anni).

2.1.2 Indice di deprivazione di Townsend


Questo indicatore è stato sviluppato da Townsend (Townsend et al. 1988) sotto
commissione della Northern Regional Health Authority (Inghilterra), per essere
utilizzato nell’ambito delle misure sanitarie all’interno della Northern Region 10
(Phillimore et al, 1994), con particolare riferimento all’analisi delle disuguaglian-

10
contee di Cleveland, Cumbria, Durham, Northumberland, Tyne e Wear

17
ze nella salute. Nelle intenzioni dell’autore l’indice è costruito come una misura
della deprivazione materiale, che, come visto in precedenza, comporta la man-
canza di beni e servizi considerati primari (Townsend et al, 1988).
Questo indicatore, utilizzato anche in analisi epidemiologiche (Carstairs e Mor-
ris 1991), riprende da Jarman la variabile disoccupazione, idonea a sintetizzare
la mancanza di risorse materiali e uno stato di non sicurezza economica, e la
variabile sovraffollamento, che sintetizza le condizioni materiali di vita. Innovati-
va appare invece l’introduzione delle variabili abitazione di proprietà e auto di
proprietà, come proxy rispettivamente della ricchezza e del reddito disponibile.
In questo caso le variabili in gioco, sotto elencate, non sono pesate:
1. X 1 = percentuale della popolazione economicamente attiva di-
soccupata
2. X 2 = percentuale del numero di famiglie con più di una perso-
na per stanza.
3. X 3 = percentuale del numero di famiglie senza macchina
4. X 4 = percentuale delle famiglie non proprietarie della casa in
cui abitano
Secondo quanto evidenziato da Townsend, le quattro variabili selezionate, rica-
vate in origine dai dati del censimento del 1981 e di tipo esclusivamente so-
cioeconomico, sono diretti indicatori di deprivazione, ossia rappresentano la
condizione o stato di deprivazione; all’opposto, sono indicatori indiretti di depri-
vazione quelle variabili che rappresentano le vittime di tale condizione come, ad
esempio, le minoranze etniche, gli anziani ed i nuclei familiari ove manca uno
dei genitori (Townsend 1987). Townsend sottolinea il fatto che l’appartenenza o
meno a queste categorie non è, di per sé, indicatore di deprivazione, anche se
molti individui compresi all’interno di queste minoranze risultano effettivamente
deprivati: le variabili devono quindi essere scelte tenendo presente che è la
condizione di deprivazione a dover essere misurata, non lo status delle persone
che la soffrono (Townsend et al. 1988).
Ai fini del calcolo dell’indice, si procede come segue:
siano
T1 = log  X 1  1 ; T2 = log  X 2  1 ; T3 = X 3 ; T4 = X 4
siano inoltre
t1  T t2  T t3  T
z1  1
; z2  2
; z3  3
sT1 sT2 sT
3
t4  T
z4  4
sT
4
essendo Ti i  1, , 4 le medie ed sTi i  1, , 4 gli scarti quadratici me-
di delle variabili per l’intera area di interesse.

18
L’indice di deprivazione di Townsend si ottiene dalla sommatoria non pesata
degli zi :
4
Indice di Townsend =  zi
i 1
Si può notare come le variabili riferite alla disoccupazione e al sovraffollamento
vengano sottoposte ad una trasformazione logaritmica, i cui risultati sono mol-
teplici: le trasformazioni logaritmiche sono comunemente utilizzate per stabiliz-
zare la varianza, ottenere relazioni lineari e ridurre l’asimmetria (Osborne 2002).
Conseguentemente al tipo di formulazione, valori negativi dell’indice denotano
aree meno deprivate, valori positivi indicano una situazione di maggior depriva-
zione.

2.1.3 Indice di deprivazione di Carstairs e Morris (SCOTDEP)


Sviluppato da Carstairs e Morris nel 1991 e conosciuto anche come indice
SCOTDEP, nasce per valutare le disuguaglianze di salute in Scozia e, pur pre-
sentando notevoli analogie con l’indice di Townsend, se ne differenzia sotto il
profilo di alcune variabili che vi sono inserite, atte a riflettere meglio le caratteri-
stiche peculiari della popolazione scozzese. Così come l'indice di Townsend, lo
SCOTDEP (utilizzato anche in analisi epidemiologiche) si basa sulla combina-
zione di quattro variabili di tipo socioeconomico, originariamente rilevate dai dati
censuari del 1981, selezionate sulla base di lavori precedenti limitati all’area di
Glasgow e di Edimburgo e giudicate dagli autori idonee a rappresentare uno
stato di svantaggio materiale (Carstairs e Morris 1991).
Due degli indicatori così determinati sono gli stessi già considerati dall'indice di
Townsend, il fattore disoccupazione è limitato al sesso maschile (considerato il
basso tasso di occupazione femminile caratterizzante la realtà scozzese) men-
tre il quarto, riferito alla classe sociale, sostituisce la variabile abitazione di pro-
prietà. Gli autori giustificano la scelta di questa variabile osservando che “esse-
re collocati in una bassa classe sociale indica guadagni al livello più basso della
scala reddituale. La proprietà della casa non figura nella nostra lista di indicatori
in quanto in Scozia una percentuale molto più alta delle abitazioni è detenuta
dal settore pubblico e ci sono minori variazioni tra le aree di quanto non accada
in Inghilterra ed in Galles”. In base a queste considerazioni Morris e Carstairs
arrivano perciò a concludere che “la variabile per ampi strati di popolazione non
avrebbe agito da discriminante” (Morris e Carstairs 1991). Le variabili utilizzate
sono così sintetizzabili:
1. X 1 = numero delle persone facenti parte di nuclei familiari con
una o più persone per stanza come proporzione di tutte le per-
sone facenti parte di un nucleo familiare
2. X 2 = proporzione degli uomini economicamente attivi in cerca
di lavoro
3. X 3 = proporzione delle persone facenti parte di un nucleo fa-
miliare il cui capo famiglia appartiene alla classe sociale 4 o 5

19
4. X 4 = proporzione di tutte le persone appartenenti ad un gruppo
familiare che non possiedono un’automobile
Si noti che “a differenza delle altre misure considerate, tutte le variabili sono
calcolate non su base familiare ma individuale; ciò è considerato preferibile data
la finalità di analizzare eventi legati agli individui ma, in pratica, le differenze
usando i due diversi approcci sono minime” (Carstairs e Morris 1991).
Come già visto nell’indice di Townsend, l’indice SCOTDEP viene calcolato co-
me sommatoria non pesata degli zi : posto
x1   X x2   X x3   X
z1  1, z2  2
, z3  3
,
sX sX sX
1 2 3
x4   X
z4  4
sX
4

ed essendo  Xi ed sXi ( i  1, 4 ) le medie e gli scarti quadratici medi delle


variabili in esame per l’area scozzese, l’indice è pari a
4
SCOTDEP =  zi
i 1
Analogamente agli altri indici finora analizzati, maggiore è il valore dell’indice,
maggiore è la deprivazione sofferta dalla comunità in esame.
La distribuzione dell'indice è quindi suddivisa in 7 classi, determinate sulla base
della scarto quadratico medio della distribuzione, che originano una variabile
denominata “DEPCAT” (Categoria di Deprivazione). Al DEPCAT 7 corrisponde
la situazione di maggior deprivazione, e così via a scalare sino al DEPCAT 1
che, di contro, individua la condizione di maggior benessere.

2.1.4 Indici di Forrest e Gordon (MATDEP e SOCDEP)


Nel 1993 Forrest e Gordon (Forrest e Gordon 1993) realizzano due indicatori di
deprivazione distinti, il MATDEP (finalizzato alla misurazione della deprivazione
materiale) ed il SOCDEP (indice di deprivazione sociale), riprendendo la distin-
zione fra deprivazione materiale e sociale già esplicitata da Townsend. Coeren-
temente con tale impostazione, le variabili presenti nell’indice MATDEP fanno
parte della categoria delle variabili dirette, rappresentative della condizione di
deprivazione, mentre le variabili inserite nell’indice di deprivazione sociale, con
la sola esclusione della variabile disoccupazione, rientrano nel novero delle va-
riabili indirette, che individuano le vittime di tale condizione. In tal senso la va-
riabile disoccupazione, sebbene rientri nella definizione data da Townsend di
variabile diretta (Townsend 1987), viene qui considerata indice della condizione
individuale e quindi assimilata alle variabili indirette.

20
Nello specifico, le variabili di cui l’indice di deprivazione materiale si compone
sono:
1. X 1 = percentuale del numero di famiglie con più di una persona
per stanza
2. X 2 = percentuale del numero di famiglie prive di servizi igienici
o che li condividono
3. X 3 = percentuale del numero di famiglie senza riscaldamento
4. X 4 = percentuale del numero di famiglie che non posseggono
un’auto
Da un punto di vista analitico, l’indice può essere così formulato:
essendo max  X i  , i  1, , 4 i valori massimi riscontrati per ciascuna varia-
bile nell’intera area di interesse, l’indice risultante è dato dalla sommatoria non
pesata di ciascuna xi divisa per il suo massimo
4 x
MATDEP = 
i 1 max
i
 
X
.
i
Di seguito sono elencate le variabili inserite nell’indice SOCDEP:
1. X 1 = percentuale della popolazione economicamente attiva pri-
va di occupazione.
2. X 2 = percentuale dei giovani fra i 16 ed i 24 anni privi di occu-
pazione.
3. X 3 = numero delle famiglie monoparentali come proporzione
del numero totale di famiglie.
4. X 4 = percentuale delle famiglie costituite da un solo compo-
nente pensionato.
5. X 5 = percentuale delle famiglie in cui un componente è affetto
da una malattia invalidante.
6. X 6 = percentuale delle famiglie costituite solo da un compo-
nente a carico della comunità (ad esempio un pensionato con
una malattia invalidante).

La formulazione analitica è sostanzialmente analoga a quella vista per il


MATDEP: essendo max  X i  , i  1, ,6 i valori massimi riscontrati per cia-
scuna variabile nell’intera area di interesse, l’indice è pari a
6 xi
SOCDEP = 
i 1 max X i  
Entrambi gli indicatori sono quindi calcolati come somma di variabili normalizza-
te non pesate, e, poiché in seguito alla normalizzazione il valore di ciascuna va-
riabile risulta compreso fra 0 e 1, il valore massimo teorico ottenibile è rispetti-

21
vamente 4 per il MATDEP e 6 per il SOCDEP. A più alti valori dell'indice corri-
sponde un più alto grado di deprivazione.

2.1.5 Indice di deprivazione multipla 2000 (IMD 2000)


L’indice di deprivazione multipla 2000 (IMD 2000) è stato realizzato nel 1998
dal Dipartimento di Politica Sociale dell’Università di Oxford sotto commissione
del Department of the Environment, Transport and the Regions, con la finalità di
fornire utili informazioni alle autorità locali (DETR 2000). Trattasi di un indice
costruito a livello di circoscrizione elettorale, innovativo e dettagliato, che ag-
giorna e revisiona due indici precedentemente in uso, l’Indice delle Condizioni
Locali 1991 (ILC 1991) e l’Indice di Deprivazione Locale 1998 (ILC 1998) e che
è basato su sei aspetti diversi della deprivazione, sotto elencati:
1. reddito
2. occupazione
3. deprivazione sanitaria e disabilità
4. livello di istruzione e formazione
5. condizioni abitative
6. accesso geografico ai servizi.

L’indice è quindi costruito, seguendo l’idea che la deprivazione sia determinata


da dimensioni separate tra loro, che ne riflettono aspetti differenti: per ciascuna
dimensione è calcolato un indice apposito, a sua volta costituito da variabili che,
oltre a dover rispettare determinate caratteristiche (la robustezza statistica e la
possibilità di essere aggiornabili e disponibili a livello di electoral ward per
l’intero territorio inglese) devono soprattutto essere idonee a misurare per via
diretta un aspetto fondamentale della dimensione di deprivazione cui si riferi-
scono (DETR 2000).
La metodologia di calcolo degli indici è decisamente complessa, ma è possibile
riassumerne gli aspetti principali come segue :
1. gli indici relativi al reddito ed all’occupazione sono calcolati
come semplici tassi11;
2. gli altri quattro indici sono invece costruiti combinando le va-
riabili al loro interno, disomogenee per unità di misura, median-
te il metodo dell’analisi fattoriale;
3. per tutti gli indici viene infine elaborata una graduatoria nazio-
nale che assegna la posizione 1 al ward più deprivato e la po-
sizione 8.414 al meno deprivato.
Le variabili inserite nei 6 indici sono complessivamente 32 e sono ricavate da
un insieme notevole di fonti12, tra cui ne spiccano alcune prima non consultabili,
come i dati riferiti ai sussidi13 e quelli del servizio di ammissione ai college e alle
università14. Un ulteriore aspetto innovativo è rappresentato dal fatto che gli in-
dici possono essere aggiornati in maniera molto più agevole dal momento che

11
Se un ward presenta un punteggio di 38,6 nell’indice del reddito, significa che il 38,6% della popo-
lazione in quel ward è deprivata rispetto al reddito. Inoltre è possibile affermare che un ward X con
un punteggio di 40 è deprivato il doppio rispetto ad un ward Y con un punteggio di 20 (DETR 2000).
12
Elencate in DETR 2000, Appendix B pag 24-25.
13
fonte Dipartimento per la Sicurezza Sociale
14
fonte UCAS

22
non si limitano ad utilizzare le fonti censuarie, a rapida obsolescenza (DETR
2000).
L’IMD 2000 è infine costruito attraverso un processo di aggregazione dei 6 indi-
ci semplici, articolato in due passaggi:
1. Le distribuzioni degli indici vengono trasformate in una distribu-
zione standard, di tipo esponenziale.
2. Successivamente gli indici sono sommati tra loro, dopo avergli
applicato i pesi sottoelencati15
1. reddito (25%);
2. occupazione (25%);
3. deprivazione sanitaria e disabilità(15%);
4. livello di istruzione e formazione (15%);
5. condizioni abitative (10%);
6. accesso geografico ai servizi (10%).

Anche in questo caso, maggiore è il valore dell’indice, maggiore è la depriva-


zione sofferta dal ward in esame, ed anche per l’IMD 2000 è infine elaborata
una graduatoria nazionale, seguendo lo stesso principio già visto per gli indici
semplici.
Inoltre, sono state prodotte sei misure riassuntive dell’IMD 2000, questa volta
calcolate a livello di distretto, che focalizzano l’attenzione su differenti aspetti
della deprivazione multipla, in modo da consentire alle autorità locali di com-
prendere in che modo l’area di loro interesse si mostra deprivata.

2.2 Parte II: Le proposte italiane


Negli ultimi anni una certa tradizione di indicatori di deprivazione comincia a
formarsi anche in Italia: indici di deprivazione, le cui caratteristiche peculiari so-
no sottoelencate, sono già stati messi a punto per la Toscana, il Piemonte e la
Basilicata.

2.2.1 Indice di Biggeri


Proposto nel 1998 (Biggeri et al. 1998) nell’ambito dello Studio Longitudinale
Toscano, coinvolgendo il comune di Firenze e di Livorno, con la finalità di valu-
tare i differenziali di mortalità esistenti tra le aree del nord ovest ed il resto della
regione Toscana, alla luce delle differenze socioeconomiche. Consta in realtà di
due indici distinti calcolati a livello comunale: un indice di deprivazione materiale
(IDM) ed un indice di deprivazione sociale (IDS). Il secondo utilizza le stesse
quattro variabili del primo (tabella 1), con l’aggiunta della proporzione delle fa-
miglie monogenitoriali con figli, rilevata a partire dal censimento 1981.

2.2.2 Indice di Costa


L’indice di deprivazione di Costa (Cadum et al. 1999) rappresenta il primo tenta-
tivo di realizzare un indice sintetico di deprivazione a livello nazionale, ed è sta-

15
I pesi sono determinati nel rispetto di 2 criteri, il primo teorico (il reddito e l’occupazione sono rite-
nuti più importanti a priori), il secondo connesso a motivazioni statistiche (si segue l’idea di dare
maggior peso agli indici statisticamente più robusti) (DETR 2000).

23
to sviluppato non soltanto con la finalità di valutare le differenze sociali nella
mortalità e nella morbilità, ma anche come strumento per guidare il processo di
allocazione delle risorse. Le cinque variabili incluse (tabella 1) sono state scelte
tramite un’analisi in componenti principali degli indicatori censuari ISTAT dispo-
nibili a livello comunale. L’indice è stato calcolato in modo additivo per tutti gli
8.100 comuni italiani presenti al censimento 1991. La misura di deprivazione
proposta non è esclusivamente materiale, dal momento che la deprivazione è
intesa come “una grandezza multidimensionale composta da quelle dimensioni
che sono maggiormente predittive della salute e dell’accesso ai servizi, cioè il
capitale culturale, il capitale sociale, il capitale di dominio e quello sociale” (Ca-
dum et al. 1999).

2.2.3 Indice di Valerio-Vitullo (IAS)


L’Indice di Area Svantaggiata (IAS), è stato proposto nel 2000 con la duplice
finalità di valutare la relazione tra stato di salute/utilizzo dei servizi e caratteristi-
che socioeconomiche e di guidare l’allocazione delle risorse in sanità (Valerio e
Vitullo 2000). L’indice, calcolato in modo additivo a livello comunale nella regio-
ne Basilicata, include cinque variabili (tabella 1), intese a misurare soprattutto lo
svantaggio sociale. Innovativa sembra essere la metodologia di validazione
dell’indice, che è stata effettuata tramite la correlazione con il reddito imponibile
per contribuente (Valerio e Vitullo 2000), ipotizzando l’esistenza di una relazio-
ne inversa tra livello di svantaggio e reddito imponibile.

2.2.4 Indice di Perucci


L’indicatore proposto da Perucci nel 1999 (Michelozzi et al. 1999) valuta la rela-
zione esistente tra livello socio-economico e mortalità a Roma nel periodo
1990-1995 confrontando la mortalità tra livelli socioeconomici, definiti sulla base
delle caratteristiche sociodemografiche della popolazione residente in ciascuna
sezione di censimento. Questo indice si discosta dagli altri indicatori per la
small area di riferimento, in quanto, anziché utilizzare il comune, propone un
aggregato geografico più piccolo come la sezione di censimento e, soprattutto,
per la metodologia adottata. L’indicatore è stato calcolato, infatti, come somma
di tre fattori derivati attraverso un’analisi fattoriale applicata a 13 variabili cen-
suarie, selezionate secondo la letteratura corrente (tabella 2), e opportunamen-
te standardizzate.
Sulla base dell’indicatore ottenuto, le 6.100 sezioni di censimento sono state
riclassificate in quattro livelli utilizzando come limiti il 20°, il 50° e l’80° percentile
della distribuzione dell’indicatore, che definiscono rispettivamente il livello socio-
economico I (alto) II (medio-alto) III (medio-basso) IV (basso).

2.3 Indicatori a confronto

L’analisi riportata fornisce una rappresentazione esemplificativa, e non certo


completamente esaustiva, degli indicatori di deprivazione proposti ed utilizzati.
La tabella 2 riporta una sintesi dei vari indicatori.

24
Tabella 2: Confronto tra i principali indicatori di deprivazione
Cadum Biggeri Michelozzi Valerio e
Jarman Townsend Carstairs MATDEP SOCDEP
et al. et al. et al. Vitullo
1983 1988 1991 1993 1993
1998 1998 1999 2000

Tipologia di de- Materiale Materiale Materiale Materiale Materiale


Materiale Materiale Materiale Sociale
privazione e sociale e sociale e sociale e sociale e sociale

Trattamento delle
variabili
Trasformazioni arcsen log no no no no no no no
Standardizzazione si si si no no si si no si
Normalizzazione no no no si si no no no no

Variabili utilizzate

Famiglie Monopa-
X X X X X
rentali
Lavoro manuale
X X
del capofamiglia
Disoccupazione X X X X X X X X X
Sovraffollamento X X X X X
Cambio residenza X
Minoranze etniche X
Nessuna auto X X X
Proprietà/ affitto
X X X X
casa
Mancanza di ser-
vizi igienici/ ri- X X X X
scaldamento
Famiglie con in-
validi /carico co- X
munità
Anziani >65 anni X
Livello di istru-
X X X X
zione
Numero compo-
X
nenti famiglia
Pensionati soli X
Bambini < 5 anni X
*maschile ** giovanile

Gli indici di deprivazione presentano sostanzialmente due fattori che li accomu-


nano:
1. sono costituiti da variabili che identificano tutte una condizione
di svantaggio, diretto o potenziale;
2. ad eccezione dell’indicatore di Perucci (Michelozzi et al. 1999)
sono formulati tutti in maniera additiva.
Tutte le variabili sembrano idonee a identificare una condizione di svantaggio: il
problema è cercare di stabilire le ragioni metodologiche su cui si fonda la scelta

25
di attivarne una piuttosto che un’altra. Premesso che la problematica del repe-
rimento dei dati limita la scelta delle determinanti della deprivazione a quelle di-
sponibili dai dati censuari, non bisogna dimenticare che gli indici sono costruiti
alla luce della mancanza di una determinazione univoca ed universalmente ac-
cettata della variabile dipendente che vanno a misurare.
Per questo motivo, mentre Jarman, che comunque non si riproponeva di fornire
una misura atta a quantificare la deprivazione, ha ovviato al problema della
scelta con l’introduzione di un approccio consensuale, Townsend collega il fab-
bisogno per le cure primarie ad un concetto di deprivazione strettamente mate-
riale, che egli stesso provvede a delineare concettualmente, contrapponendolo
contestualmente a quello di deprivazione sociale, e distinguendo in aggiunta tra
determinanti dirette ed indirette di deprivazione.
Tanto Carstairs quanto Forrest e Gordon seguono la linea tracciata da To-
wnsend, ma le differenziazioni che questi introducono mettono in luce da un la-
to la necessità di tenere conto, nel processo di scelta, di quella che è l’evidenza
dei fatti (che come già visto porta Carstairs a considerare esclusivamente la di-
soccupazione maschile e ad escludere la variabile abitazione di proprietà),
dall’altro rimarcano la non sussistenza di una base teorica ben definita cui fare
riferimento (si pensi ad esempio alla doppia accezione di cui è passibile la va-
riabile disoccupazione, inserita nell’indice SOCDEP). Ulteriori limitazioni sono
determinate da considerazioni di carattere puramente statistico, che portano
all’esclusione di variabili correlate ad altre troppo strettamente, nonché di varia-
bili che risultano dotate di scarsa capacità esplicativa.
In riferimento alle variabili utilizzate, vale la pena di notare il fatto che, sebbene
tutti gli indici possano essere ricalcolati utilizzando dati censuari più recenti, i
mutamenti esogeni occorsi nell’arco del periodo di tempo considerato sulle ca-
ratteristiche sociali possono riflettersi sulla significatività delle variabili scelte (si
pensi alla variabile auto di proprietà come proxy per il reddito, oggigiorno meno
calzante).
Per quanto attiene alla metodologia seguita l’unico indicatore pesato è quello di
Jarman, sempre in virtù di un approccio consensuale, mentre negli altri indici ad
ogni variabile è attribuito lo stesso peso, evidentemente poiché non si ritiene
possibile determinare con certezza le influenze che le diverse determinanti pos-
sono avere sulla deprivazione.
Per la costruzione degli indici, le variabili vengono o standardizzate o normaliz-
zate: la prima soluzione sembra preferibile, se non altro perché è possibile dare
un significato univoco al valore 0, che indica una situazione di deprivazione del
ward in questione in linea con la media dell’area di interesse.

26
CAPITOLO 3: UNA PROPOSTA DI INDICATORE DI DEPRIVAZIONE16

Sulla base della letteratura e delle esperienze presentate nel capitolo preceden-
te, si è deciso di sviluppare un indice di deprivazione 17, che rappresenti una mi-
sura il più possibile neutrale, oggettiva ed indipendente da quelle che sono le
conseguenze degli standard di vita individuali.
Si ritiene in primo luogo che l’indice, pur tenendo presente le criticità già evi-
denziate (Macintyre et al. 2002; Lancaster e Green 2002; Sloggett e Joshi
1994; Crayford et al. 1995; Reijneveld et al. 2000), debba essere realizzato a
livello geografico e non individuale, perché è soprattutto su base territoriale che
si combinano gli effetti di tutte le diverse politiche/interventi che complessiva-
mente determinano la salute della popolazione. Secondariamente, per descrive-
re la deprivazione a livello geografico, si ritiene che indicatori parziali singolar-
mente considerati, quali il reddito o qualche sua proxy, non siano sufficienti per
catturare le condizioni socioeconomiche, ma che sia necessario utilizzare un
insieme di variabili, o indicatori parziali, che tengano meglio conto della natura
multidimensionale della deprivazione, tramite una sorta di effetto composizione
di aspetti negativi. Una conferma indiretta a questa decisione deriva dalla in-
soddisfazione di coloro che hanno provato a relazionare la salute con una va-
riabile unica, considerato che, pur essendo molteplici le variabili correlate con la
salute, risulta difficoltoso derivare robuste conclusioni scientifiche dalle singole
correlazioni, poiché queste possono cambiare in intensità e direzione a secon-
da del contesto di applicazione e sono spesso inficiate da problemi di interazio-
ni tra le variabili e di non linearità delle relazioni (Fuchs 2004).
Per quanto attiene alle variabili da utilizzare, la scelta di tali indicatori può esse-
re fatta ricorrendo a indagini censuarie, a indagini multiscopo sulla base di
campioni di popolazione (Costa et al. 2004) e ancora a indagini appositamente
predisposte per lo studio dell’indice (Jarman 1983; Gordon e Pantazis 1997). Si
ritiene tuttavia opportuna la costruzione di un indice sulla base di indicatori par-
ziali correntemente disponibili dalle statistiche ufficiali e che non richiedano in-
dagini ad hoc, con il duplice risultato di evitare l’insorgere di costi aggiuntivi e di
poter aggiornare gli indici in modo semplice e continuativo basando le decisioni
su dati oggettivi e trasparenti che siano passibili di un’interpretazione il più pos-
sibile univoca. Di qui la preferenza per dati censuari, che sono, di fatto, quelli
maggiormente utilizzati da parte di coloro che si sono cimentati con la costru-
zione di indici di deprivazione (Jarman 1983; Carstairs e Morris 1991; To-
wnsend 1987; Forrest e Gordon 1991; Benach e Yasui 1999; Hales et al. 2003;
Cadum et al. 1999; Valerio e Vitullo 2000).
Al fine di procedere con la costruzione dell’indicatore, dopo aver individuato
l’area di riferimento, per selezionare le variabili e costruire l’indice, è possibile
procedere secondo due diverse metodologie: 1) modello classico additivo, pro-
posto in letteratura dalla maggior parte delle esperienze, 2) modello fattoriale,
utilizzato in alcune esperienze italiane anche se in accezioni piuttosto diverse.

16
Si ringraziano la dott. G. De Candia dell’ISTAT di Genova, la dott. P. Cermelli del U.O. Servizi alla
persona del Comune di Genova e la dott. M. Vercelli dell’Istituto Tumori di Genova , per avere
messo a disposizione i dati che hanno permesso di calcolare e valicare gli indicatori di deprivazione
proposti per la città di Genova.
17
Le analisi statistiche condotte sono state realizzate attraverso i software Systat 10, Statistica 5.0
ed Excel 2003.

27
Metodi di stima utilizzati in studi analoghi, quali la regressione logistica (Gordon
1995; Boyle et al 2001) o quella di Poisson, (Lancaster; Sloggett e Joshi 1994)
non possono essere presi in considerazione per l’indisponibilità di dati indivi-
duali.

3.1 L’area utilizzata


La costruzione di un indice di deprivazione richiede, in primo luogo, la definizio-
ne di una piccola unità geografica, chiamata comunemente small area, su cui
calcolarlo.
La small area presa in considerazione è costituita dalle cosiddette “unità urba-
nistiche”. Si tratta di una suddivisione sufficientemente disaggregata da poter
cogliere eventuali differenze e per la quale esistono a livello comunale dati
omogenei e attendibili, tratti dai censimenti della popolazione e da rielaborazioni
dell’Ufficio Statistica del Comune. Le unità urbanistiche, definite con la delibera
del Consiglio Comunale del 24 marzo 1997 18, sono determinate sulla base dei
vecchi comuni indipendenti, inclusi nel comune di Genova a partire dal 1926:
allo stato dell’arte Genova risulta suddivisa in 71 unità urbanistiche (tabella 3),
abitate in media da 9.557 persone (Istat 1991). Le unità urbanistiche così identi-
ficate individuano pertanto aree geografiche piuttosto omogenee che tengono
conto anche delle tradizioni storiche geografiche e culturali di piccoli comuni
precedentemente indipendenti.

Tabella 3: Circoscrizioni e Unità Urbanistiche (UU) nel Comune di Genova

Circoscrizioni Ex- Unità urbanistiche


Circoscrizioni
11 OREGINA- 31 Lagaccio
LAGACCIO 32 Oregina
33 Prè
12 PRÈ-MOLO-
34 Maddalena
MADDALENA
I CENTRO 35 Molo
EST 36 S. Nicola
13 CASTELLET-
37 Castelletto
TO
38 Manin
39 S. Vincenzo
14 PORTORIA
40 Carignano
24 Campasso
25 S. Gaetano
9 SAMPIERDA-
26 Sampierdarena
II CENTRO RENA
27 Belvedere
OVEST
28 S. Bartolomeo
29 Angeli
10 S. TEODORO
30 S. Teodoro
16 S. FRUTTUO- 43 S. Agata
SO 44 S. Fruttuoso
III BASSA VAL 45 Quezzi
BISAGNO 46 Fereggiano
17 MARASSI
47 Marassi
48 Forte Quezzi

18
A partire dal 24/03/1997 il territorio del comune di Genova è suddiviso in 9 circoscrizioni (prima
della data indicata erano 25) ed in 71 unità urbanistiche

28
49 Parenzo
18 STAGLIENO
50 S. Pantaleo
51 Montesignano
IV VAL BISA-
19 MOLASSANA 52 S. Eusebio
GNO
53 Molassana
54 Doria
20 STRUPPA
55 Prato
13 Borzoli Est
14 Certosa
5 RIVAROLO 15 Rivarolo
16 Teglia
V VAL POL-
17 Begato
CEVERA
18 Bolzaneto
6 BOLZANETO
19 Morego
20 S. Quirico
7 PONTEDECIMO
21 Pontedecimo
9 Sestri
10 S. Giovanni Battista
4 SESTRI
VI MEDIO 11 Calcinara
PONENTE 12 Borzoli Ovest
22 Cornigliano
8 CORNIGLIANO
23 Campi
1 Crevari
1 VOLTRI
2 Voltri
3 Ca’ Nuova
2 PRA’ 4 Palmaro
VII PONENTE
5 Pra’
6 Castelluccio
3 PEGLI 7 Pegli
8 Multedo
41 Foce
15 FOCE
42 Brignole
60 Chiappeto
22 S. MARTINO
VIII MEDIO 61 S. Martino
LEVANTE 62 Albaro
23 S. FRANCE- 63 S. Giuliano
SCO D’ALBARO 64 Lido
65 Puggia
56 Bavari
21 VALLE STUR- 57 S. Desiderio
LA 58 Apparizione
59 Borgoratti
IX LEVANTE
66 Sturla
24 STURLA- 67 Quarto
QUARTO 68 Quartara
69 Castagna

3.2 Le variabili a disposizione

La scelta delle variabili dipende, come si è detto, da diverse considerazioni, an-


che se non sembrano prevalere criteri rigorosi e validati. Si possono, peraltro,
evidenziare alcune linee comuni. In primo luogo, la disponibilità dei dati costitui-
sce uno dei problemi più difficili da risolvere, in grado di condizionare la scelta
delle variabili da inserire e quindi, in ultima analisi, la composizione stessa
dell’indice di deprivazione. Si preferiscono, come già detto in precedenza, va-
riabili desumibili direttamente dai dati censuari, perché hanno caratteristiche

29
omogenee, facilmente reperibili e molto disaggregate. La scelta delle variabili
oggetto di studio è inevitabilmente condizionata, come si è già ricordato, dalla
disponibilità dei dati. La scelta praticata ha risentito, infatti, di due ordini di re-
strizioni: in primo luogo la selezione è limitata alle variabili rilevate attraverso il
questionario censuario (facendo ricorso, ove possibile, ad aggiornamenti realiz-
zati a livello comunale); in secondo luogo, si è proceduto ad un’ulteriore (e for-
zata) scrematura, che ha portato all’esclusione di quegli indicatori per i quali
non vi era la disponibilità di dati a livello di unità urbanistica ma soltanto a livello
di circoscrizione.
I dati disponibili più recenti a livello comunale sono quelli desumibili dal 13°
Censimento Istat del 1991 (ISTAT 1994) da successive rielaborazioni a cura
dell’Unità Operativa Statistica del Comune di Genova (Comune di Genova
2000). Da queste due fonti si è individuato un gruppo di 10 variabili, o indicatori
parziali, che possono essere considerate in qualche modo legate alla depriva-
zione (tabella 4). Tali variabili sono anche quelle che in letteratura appaiono
come componenti dei vari indici di deprivazione che sono stati utilizzati, anche
se le rispettive definizioni operative possono essere parzialmente differenti.

Tabella 4: Variabili o indicatori parziali di deprivazione

Indice Definizione
% di persone economicamente attive disoc-
Disoccupazione cupate
sui residenti***
% di persone con un titolo di studio inferiore
Bassa Istruzione o uguale alla licenza media inferiore sui re-
sidenti***
Sovraffollamento numero medio di occupanti per abitazione**
% delle famiglie non proprietarie
Propriètà della casa della casa in cui abitano sulle famiglie resi-
denti***
Anziani > 65 anni % di abitanti oltre i 65 anni sui residenti**
Bambini <5 anni % di bambini sotto i 5 anni sui residenti**
% famiglie con un solo genitore
Famiglie monoparentali
sulle famiglie residenti**
% minori con Handicap nelle scuole
Minori con handicap nelle scuole
su totale bambini in età scolare*
Minoranze Etniche % stranieri su totale residenti***
% minori stranieri su totale bambini in età
Minori Stranieri nelle scuole
scolare*
* Comune di Genova 2002 ** Comune di Genova 2000 *** Censimento
ISTAT 1991

3.3 Il modello additivo

Come visto in precedenza la metodologia classica utilizzata per la costruzione


di un indice di deprivazione prevede di realizzare un indice (Jarman 1983; Car-
stairs e Morris 1991; Townsend 1987; Forrest e Gordon 1993; Cadum et al.
1999; Valerio e Vitullo 2000), costituito dalla sommatoria pesata (Jarman 1983)
o non pesata (Carstairs e Morris 1991; Townsend 1987; Forrest e Gordon 1993;
Cadum et al.1999; Valerio e Vitullo 2000) degli indicatori parziali preventiva-
mente selezionati. Se le variabili presentano una notevole disomogeneità in

30
termini di unità di misura, per evitare che qualcuna abbia maggior peso rispetto
alle altre, si rende necessario procedere preventivamente ad una standardizza-
zione delle stesse (Bartley e Blane al. 1994).

3.3.1 La scelta delle variabili

Al fine di costruire un indice di deprivazione, la scelta tra le variabili disponibili


può essere effettuata ricorrendo ad una analisi delle correlazioni semplici delle
variabili con una misura prescelta di salute. Per quantificare le differenze di sa-
lute tra i diversi comuni, in linea con la maggior parte delle esperienze riportate
in letteratura, si sono utilizzati i tassi standardizzati di mortalità per la classe
d’età 0-65 calcolati per tutte le UU nel periodo 1998-200019.

Figura 1: distribuzione originale delle variabili oggetto di studio e relativi test di


normalità
Disoccupazione
K-S d=,07549, p> .20; Lilliefors p> .20
Shapiro-Wilk W=,96209, p=,03078 Normal P-Plot: Disoccupazione
11 4

10
3
9

8
2
Expected Normal Value

7
Osservazioni

1
6

5
0
4

3 -1

2
-2
1

0 -3
1,5 2,5 3,5 4,5 5,5 6,5 7,5 8,5 9,5 10,5 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0 8,0 9,0 10,0 Value

Bassa istruzione
K-S d=,14459, p<,15 ; Lilliefors p<,01
Shapiro-Wilk W=,90760, p=,00007
Normal P-Plot: Bassa istruzione
18 3

16
2
14
Expected Normal Value

12 1
Osservazioni

10
0

-1
6

4
-2

-3
0 30 40 50 60 70 80 90
30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 Value

Sovraffollamento
K-S d=,07667, p> .20; Lilliefors p> .20
Shapiro-Wilk W=,97517, p=,17151 Normal P-Plot: Sovraffollamento
30 3

25 2
Expected Normal Value

20 1
Osservazioni

15 0

-1
10

-2
5

-3
0 1,9 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 2,5 2,6 2,7
1,9 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 2,5 2,6 Value

19
In linea con le indagini condotte con questo indicatore si è utilizzato un arco temporale di 3 anni.

31
Proprietà della casa
K-S d=,18318, p<,05 ; Lilliefors p<,01
Shapiro-Wilk W=,73339, p=,00000
Normal P-Plot: % Proprietà della casa
35
6

5
30

4
25

Expected Normal Value


3
Osservazioni

20 2

1
15

10
-1

5 -2

-3
0 20 30 40 50 60 70 80 90
20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 Value

Anziani > 65 anni


K-S d=,11997, p> .20; Lilliefors p<,05
Shapiro-Wilk W=,93020, p=,00069 Normal P-Plot: Anziani > 65
16 3

14
2

12

Expected Normal Value


1
10
Osservazioni

8 0

6
-1

-2
2

0 -3
0,13 0,15 0,17 0,19 0,21 0,23 0,25 0,27 0,29 0,31 0,12 0,14 0,16 0,18 0,20 0,22 0,24 0,26 0,28 0,30 0,32
0,14 0,16 0,18 0,20 0,22 0,24 0,26 0,28 0,30 Value

Bambini < 5 anni


K-S d=,09155, p> .20; Lilliefors p<,15
Shapiro-Wilk W=,96213, p=,03098
Normal P-Plot: Bambini <5 anni
20
4

18
3
16

2
Expected Normal Value

14

12
Osservazioni

10
0
8

6 -1

4
-2

2
-3
0 0,022 0,026 0,030 0,034 0,038 0,042 0,046 0,050
0,020 0,024 0,028 0,032 0,036 0,040 0,044 0,048 0,052 0,024 0,028 0,032 0,036 0,040 0,044 0,048 0,052
0,022 0,026 0,030 0,034 0,038 0,042 0,046 0,050 Value

Famiglie monoparentali
K-S d=,23908, p<,01 ; Lilliefors p<,01
Shapiro-Wilk W=,80389, p=,00000
25 Normal P-Plot: Famiglie monoparentali
3

20 2
Expect ed Normal Value

1
15
Osservazioni

10
-1

-2
5

-3
0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,20 0,24 0,28
0 0,02 0,06 0,10 0,14 0,18 0,22 0,26
0,00 0,02 0,04 0,06 0,08 0,10 0,12 0,14 0,16 0,18 0,20 0,22 0,24 0,26 Value

32
Minori con handicap nelle scuole
K-S d=,17186, p<,05 ; Lilliefors p<,01
Shapiro-Wilk W=,81512, p=,00000
Normal P-Plot: Minori con handicap nelle scuole
35
5

30 4

25 3

Expected Normal Value


Osservazioni

20 2

15 1

0
10

-1
5

-2
0 -0,01 0,00 0,01 0,02 0,03 0,04 0,05 0,06 0,07 0,08
-0,01 0,00 0,01 0,02 0,03 0,04 0,05 0,06 0,07 0,08 Value

Minoranze etniche
K-S d=,32170, p<,01 ; Lilliefors p<,01
Shapiro-Wilk W=,45623, p=,00000
Normal P-Plot: Minoranze etniche
40
5

35 4

30 3

Expected Normal Value


25 2
Osservazioni

20 1

0
15

-1
10

-2
5

-3
0 -0,02 0,02 0,06 0,10 0,14 0,18 0,22 0,26 0,30
-0,04 0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,20 0,24 0,28 0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,20 0,24 0,28
-0,02 0,02 0,06 0,10 0,14 0,18 0,22 0,26 Value

Minori stranieri nelle scuole


K-S d=,20349, p<,01 ; Lilliefors p<,01
Shapiro-Wilk W=,76259, p=,00000 Normal P-Plot: Minori stranieri nelle scuole
35 4

30
3

25
Expected Normal Value

2
Osservazioni

20
1
15

0
10

-1
5

0 -2
-0,04 0,00 0,04 0,08 0,12 0,16 0,20 0,24 0,28 -0,05 0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 0,25 0,30
-0,02 0,02 0,06 0,10 0,14 0,18 0,22 0,26 Value

Come appare dalle distribuzioni visualizzate nella figura 1 e dai relativi test di
normalità riportati, soltanto le variabili “disoccupazione e “sovraffollamento” si
presentano pressoché normalmente distribuite, pertanto, in assenza della veri-
dicità del modello di multinomialità risulta privo di significato effettuare inferenza
sul coefficiente di correlazione (Johnson e Wichern 1988), e la scelta delle va-
riabili considerate deve essere fatta sul contributo della singola misura all’indice
nel suo complesso20.
Gli unici indicatori che presentano una relazione lineare diretta e significativa
con gli SMR risultano essere la disoccupazione, la proprietà della casa e la
bassa istruzione (Tabella 5).

Tabella 5: Correlazioni tra variabili e SMR (71 unità urbanistiche)


Coefficiente di cor-
Variabili relazione 

Disoccupazione 0,443

Proprietà della casa 0,419

20
Anche se è possibile cercare di rendere le distribuzioni di partenza più simili ad una distribuzione
normale attraverso una trasformazione dei dati (Bland e Altman 1996; Box e Cox 1964), i risultati
raggiunti non si ritengono sufficientemente soddisfacenti.

33
Bassa istruzione 0,283

Minoranze Etniche 0,186


Minori Stranieri nelle
scuole 0,177
Famiglie monoparen-
tali 0,153

Sovraffollamento 0,077
Minori con handicap
nelle scuole -0,023

Anziani > 65 anni -0,202

Bambini < 5 anni -0,372

Qualche dubbio interpretativo potrebbe verificarsi nella scelta o nell’esclusione


delle variabili “minoranze etniche”, “minori stranieri nelle scuole” e “famiglie mo-
noparentali”, tuttavia il contributo di queste variabili all’indice appare trascurabi-
le, mentre le altre variabili risultano essere pressoché incorrelate o addirittura
correlate negativamente con gli SMR.
Per quanto attiene alle variabili selezionate, la percentuale di disoccupati sulla
popolazione attiva sembra idonea a quantificare la mancanza di risorse mate-
riali ed uno stato di insicurezza economica, la seconda variabile, mancanza di
un’abitazione di proprietà, può essere intesa come una proxy della ricchezza
mentre si evidenzia una terza variabile, la percentuale di persone in possesso
di un titolo di studio inferiore od uguale alla licenza media inferiore, peraltro già
utilizzata in studi sulla deprivazione condotti in ambito nazionale, (Cadum et al.
1999; Parodi et al. 2003), anche se limitati al possesso della licenza elementa-
re, idonea a indicare la posizione sociale e, per questo, a fornire indirettamente
informazioni riguardo al reddito corrente.
L’indicatore risulta quindi composto da 3 variabili atte ad identificare la depriva-
zione materiale, evidenziando un contesto urbano caratterizzato prevalente-
mente da differenze nelle condizioni oggettive di vita piuttosto che da esclusioni
nella partecipazione alla società.
Nella Tabella 6 sono riportati i valori delle variabili selezionare per Unità Urbani-
stica.

34
Tabella 6: Valori delle variabile selezionate per la costruzione dell’indicatore
additivo
Unità Unità
A B C D A B C D
Urbanistica Urbanistica

Crevari 1 37,27 7,12 78,35 Castelletto 37 34,4 4,15 45,28


Voltri 2 41,36 4,47 76,51 Manin 38 35,47 2,51 43,77
Ca' Nuova 3 82,41 9,72 85,08 S.Vincenzo 39 41,42 2,42 48,23
Palmaro 4 34,11 4,77 73,8 Carignano 40 36,27 2,84 45
Pra' 5 40,01 6,01 76,39 Foce 41 33,35 3,3 51,21
Castelluccio 6 37,26 5,83 62,94 Brignole 42 35,22 4,66 57,76
Pegli 7 33,91 3,89 58,44 S.Agata 43 38,54 4,48 63,31
Multedo 8 30,23 4,01 70,31 S.Fruttuoso 44 34,24 4,97 67,01
Sestri 9 31,52 5,28 72,29 Quezzi 45 36,27 5,92 74,95
S.G.Battista 10 36,49 4,26 73,72 Fereggiano 46 34,26 6,09 69,86
Calcinara 11 29,43 4,72 74,11 Marassi 47 35,99 5,42 69,8
Borzoli Ovest 12 33,51 3,69 77,41 Forte Quezzi 48 29,9 6,2 67,61
Borzoli Est 13 36,74 5,86 81,07 Parenzo 49 40,05 6,55 74,59
Certosa 14 34,55 5,65 76,37 S.Pantaleo 50 38,95 6,41 73,74
Rivarolo 15 31,02 5,91 72,72 Montesignano 51 41,83 6,1 76,37
Teglia 16 41,22 5,05 80,78 S.Eusebio 52 49,69 7,64 73,48
Begato 17 47,32 6,62 77,04 Molassana 53 43,51 4,95 76,48
Bolzaneto 18 47,19 6,7 78,92 Doria 54 41,53 5,67 78,39
Morego 19 43,46 3,57 81,22 Prato 55 36,31 6,26 78,89
S.Quirico 20 43,86 7,55 84,71 Bavari 56 30,28 6,62 75,42
Pontedecimo 21 37,66 4,93 76,44 S.Desiderio 57 37,97 8,16 77,57
Cornigliano 22 39,28 6,97 80,62 Apparizione 58 34,23 5,51 67,29
Campi 23 35,65 6,1 82,78 Borgoratti 59 43,35 5,26 68,22
Campasso 24 34,08 6,18 77,44 Chiappeto 60 35,06 5,25 62,91
S.Gaetano 25 32,42 5,65 70,14 S.Martino 61 32,9 4,64 57,67
Sampierdarena 26 35,4 6,15 71,74 Albaro 62 33,27 2,5 43,22
Belvedere 27 31,99 3,68 65,16 S.Giuliano 63 35,45 3,26 43,95
S.Bartolomeo 28 29,48 4,52 71,75 Lido 64 34,25 2,67 43,19
Angeli 29 37,34 5,84 73,79 Puggia 65 32,69 2,95 38,23
S.Teodoro 30 31,98 5,81 66,35 Sturla 66 33,85 4,24 58,65
Lagaccio 31 32,9 7,31 72,52 Quarto 67 32,67 3,98 58,81
Oregina 32 34,69 5,44 69,23 Quartara 68 32,4 3,79 44,85
Pre' 33 54,18 9,91 68,22 Castagna 69 27,7 3,46 56,52
Maddalena 34 51,43 7,54 64,95 Quinto 70 31,4 2,67 55,91
Molo 35 54,73 10,28 73,01 Nervi 71 37,09 4,18 61
S.Nicola 36 33,5 3,53 51,35

A = Codice Unità Urbanistica


B = % Famiglie non proprietarie della casa
C = % Disoccupati

35
3.2.2 La costruzione dell’indicatore

L’indice è stato calcolato in maniera additiva, sommando i contributi delle tre


variabili selezionate. Come visto in precedenza, a causa della disomogeneità, in
termini di unità di misura, delle variabili selezionate, si è ritenuto necessario
procedere ad una standardizzazione. Sono stati calcolati pertanto, per ogni os-
servazione, gli z-scores per ognuna delle variabili in esame, ottenuti sottraendo
ad ogni osservazione il valore della media di Genova e dividendo il risultato per
lo scarto quadratico medio di Genova. L’indice complessivo per una singola uni-
tà urbanistica consta perciò della somma non pesata di tre z-scores.

3.2.3 Risultati
L'indice è stato calcolato per le 71 UU della città di Genova come spiegato nel
paragrafo precedente. Nella tabella 7 sono riportati gli z-scores degli indici par-
ziali e l’indicatore di deprivazione per ciascuna unità urbanistica.

Tabella 7: z-scores variabili selezionate e indice additivo


Unità Unità
A Bs Cs Ds IA A Bs Cs Ds IA
Urbanistica Urbanistica

-
CREVARI 1 -0,03 1,07 0,92 1,96 CASTELLETTO 37 -0,40 -1,89 -2,96
0,67
-
VOLTRI 2 0,50 -0,49 0,76 0,77 MANIN 38 -0,26 -2,02 -3,92
1,64
-
CA' NUOVA 3 5,78 2,61 1,49 9,87 S.VINCENZO 39 0,51 -1,64 -2,83
1,70
-
PALMARO 4 -0,43 -0,31 0,53 -0,22 CARIGNANO 40 -0,16 -1,91 -3,52
1,45
-
PRA' 5 0,32 0,42 0,75 1,50 FOCE 41 -0,53 -1,39 -3,10
1,18
CASTELLUC- -
6 -0,03 0,31 -0,39 -0,11 BRIGNOLE 42 -0,29 -0,83 -1,50
CIO 0,37
-
PEGLI 7 -0,46 -0,83 -0,77 -2,06 S.AGATA 43 0,14 -0,36 -0,71
0,48
-
MULTEDO 8 -0,93 -0,76 0,23 -1,46 S.FRUTTUOSO 44 -0,42 -0,05 -0,65
0,19
SESTRI 9 -0,77 -0,01 0,40 -0,37 QUEZZI 45 -0,16 0,37 0,63 0,84
S.G.BATTISTA 10 -0,13 -0,61 0,52 -0,22 FEREGGIANO 46 -0,41 0,46 0,20 0,25
CALCINARA 11 -1,04 -0,34 0,56 -0,82 MARASSI 47 -0,19 0,07 0,19 0,07
BORZOLI
12 -0,51 -0,95 0,84 -0,62 FORTE QUEZZI 48 -0,98 0,53 0,00 -0,44
OVEST
BORZOLI EST 13 -0,10 0,33 1,15 1,38 PARENZO 49 0,33 0,74 0,60 1,66
CERTOSA 14 -0,38 0,21 0,75 0,58 S.PANTALEO 50 0,19 0,66 0,52 1,37
MONTESI-
RIVAROLO 15 -0,83 0,36 0,44 -0,03 51 0,56 0,47 0,75 1,78
GNANO
TEGLIA 16 0,48 -0,15 1,12 1,46 S.EUSEBIO 52 1,57 1,38 0,50 3,45
-
BEGATO 17 1,26 0,78 0,80 2,85 MOLASSANA 53 0,77 0,76 1,33
0,20
BOLZANETO 18 1,25 0,82 0,96 3,04 DORIA 54 0,52 0,22 0,92 1,66
MOREGO 19 0,77 -1,02 1,16 0,91 PRATO 55 -0,15 0,57 0,96 1,38
S.QUIRICO 20 0,82 1,33 1,46 3,61 BAVARI 56 -0,93 0,78 0,67 0,52

36
PONTEDECIMO 21 0,02 -0,22 0,75 0,56 S.DESIDERIO 57 0,06 1,68 0,85 2,60
CORNIGLIANO 22 0,23 0,98 1,11 2,32 APPARIZIONE 58 -0,42 0,12 -0,02 -0,32
-
CAMPI 23 -0,24 0,47 1,29 1,53 BORGORATTI 59 0,75 0,06 0,79
0,02
-
CAMPASSO 24 -0,44 0,52 0,84 0,92 CHIAPPETO 60 -0,31 -0,39 -0,74
0,03
-
S.GAETANO 25 -0,65 0,21 0,22 -0,22 S.MARTINO 61 -0,59 -0,84 -1,82
0,39
SAMPIERDA- -
26 -0,27 0,50 0,35 0,59 ALBARO 62 -0,54 -2,07 -4,26
RENA 1,65
-
BELVEDERE 27 -0,71 -0,95 -0,20 -1,86 S.GIULIANO 63 -0,26 -2,00 -3,47
1,20
S.BARTOLOM -
28 -1,03 -0,46 0,36 -1,14 LIDO 64 -0,42 -2,07 -4,03
EO 1,55
-
ANGELI 29 -0,02 0,32 0,53 0,83 PUGGIA 65 -0,62 -2,49 -4,49
1,38
-
S.TEODORO 30 -0,71 0,30 -0,10 -0,51 STURLA 66 -0,47 -0,76 -1,85
0,63
-
LAGACCIO 31 -0,59 1,19 0,42 1,02 QUARTO 67 -0,62 -0,74 -2,14
0,78
-
OREGINA 32 -0,36 0,09 0,14 -0,13 QUARTARA 68 -0,65 -1,93 -3,47
0,89
-
PRE' 33 2,15 2,72 0,06 4,92 CASTAGNA 69 -1,26 -0,94 -3,28
1,08
-
MADDALENA 34 1,79 1,32 -0,22 2,89 QUINTO 70 -0,78 -0,99 -3,32
1,55
-
MOLO 35 2,22 2,94 0,46 5,62 NERVI 71 -0,05 -0,56 -1,27
0,66
S.NICOLA 36 -0,51 -1,04 -1,38 -2,93

A = Codice Unità Urbanistica


Bs = % Famiglie non proprietarie della casa standardizzata
Cs = % Disoccupati standardizzata
Ds = % Bassa scolarità standardizzata
IA = Indice Additivo

Valori dell’indice positivi indicano situazioni di deprivazione mentre, al contrario,


valori negativi dell’indice individuano situazioni di benessere.
L’indice così costruito presenta media zero e scarto quadratico medio pari a
2,49; tale valore è dovuto all’esistenza di correlazione tra le tre variabili che co-
struiscono l’indice21. Come ci si poteva attendere, la distribuzione dell’indicatore
non è perfettamente normale ed esiste una certa asimmetria positiva22 .
Si noti che l'indice è costituito dalla somma di addendi che possono essere po-
sitivi e negativi e, pertanto, possono in qualche modo compensarsi tra di loro.
Nelle aree dove prevalgono abitazioni di proprietà assegnate nell'ambito di pro-
grammi sociali (ad esempio ex case dei ferrovieri e del comune), l’indicatore di
deprivazione può risultare impropriamente positivo. In particolar modo si osser-
va, per quanto attiene alle UU S. Gaetano, Rivarolo, Oregina e Forte Quezzi,
come la buona situazione della variabile “proprietà dell’abitazione” (alto valore
negativo nella tabella 7) riesca addirittura a compensare il segno positivo delle

21
In particolar modo la variabile “disoccupazione” risulta essere fortemente correlata con gli altri
due indicatori parziali selezionati.
22
Indice di asimmetria di Pearson pari a 0,79

37
altre variabili facendo così rientrare le due UU fra quelle non deprivate (indice di
deprivazione negativo).

Al fine di ottenere una rappresentazione geografica del fenomeno è possibile


ricorrere ad una sorta di “raggruppamenti omogenei di deprivazione”, preve-
dendo un numero limitato di classi che identifichino livelli crescenti di depriva-
zione cui assegnare ogni unità di riferimento per la quale è stato calcolato
l’indice. Per individuare le classi, la letteratura suggerisce di suddividere la di-
stribuzione degli indici di deprivazione in base ai suoi parametri (Carstairs e
Morris 1991), oppure ricorrendo ai quintili di popolazione (Jarman 1983; To-
wnsend et al. 1988; Cadum et al. 1999). Qualora si vogliano confrontare, come
nel caso in oggetto, diverse tipologie di indice, appare più corretto utilizzare il
secondo metodo che consente di mantenere l’omogeneità dimensionale 23 delle
classi individuate.
La distribuzione dell’indice è stata quindi suddivisa in cinque classi di crescente
deprivazione: la Categoria 1 (zona Benestante) indica la fascia di unità urbani-
stiche meno deprivate, la Categoria 5 (zona Deprivata) rappresenta invece la
fascia connotata dalla deprivazione più marcata. La Tabella 8 mostra come
vengono classificate le UU con questo metodo.

Tabella 8 – Ripartizione delle UU per categoria di deprivazione (indice additivo)

Grado di deprivazio-
Unità Urbanistica
ne

Puggia (65), Albaro (62), Lido (64), Manin (38), Carignano (40), Quartara
1
(68), S.Giuliano (63), Quinto (70), Castagna (69), Foce (41), Castelletto
Zona Benestante
(37), S.Nicola (36), S.Vincenzo (39), Quarto (67), Pegli (7)
Belvedere (27), Sturla (66), S.Martino (61), Brignole (42), Multedo (8),
2 Nervi (71), S.Bartolomeo (28), Calcinara (11), Chiappeto (60),
S.Agata (43), S.Fruttuoso (44), Borzoli Ovest (12)
S.Teodoro (30), Forte Quezzi (48), Sestri (9), Apparizione (58),
3 S.Gaetano (25), S.G.Battista (10), Palmaro (4), Oregina (32), Castelluc-
cio (6), Rivarolo (15), Marassi (47), Fereggiano (46)
Bavari (56), Pontedecimo (21), Certosa (14), Sampierdarena (26),
4 Voltri (2), Borgoratti (59), Angeli (29), Quezzi (45), Morego (19), Cam-
passo (24), Lagaccio (31), Molassana (53), S.Pantaleo (50), Prato (55)
Borzoli Est (13), Teglia (16), Prà (5), Campi (23), Doria (54), Parenzo
5 (49), Montesignano (51), Crevari (1), Cornigliano (22), S.Desiderio (57),
Zona Deprivata Begato (17), Maddalena (34), Bolzaneto (18), S.Eusebio (52), S.Quirico
(20), Prè (33), Molo (35), Ca' Nuova (3)

I risultati sono poi riportati in una mappa della deprivazione applicata alla città di
Genova (figura 2), dove le UU sono indicate dal rispettivo codice di identifica-
zione (tabella 8).

Figura 2: Classi di deprivazione nella città di Genova

23
Lo scopo di tale classificazione non è quello di assicurare categorie omogenee in quanto a nume-
ro di UU comprese, quanto, piuttosto, omogenee in quanto a popolazione residente.

38
I risultati sembrano piuttosto buoni e in linea con quanto ci si potrebbe aspettare
conoscendo la realtà genovese: le zone benestanti sono concentrate nell’area
litoranea di Levante, mentre le aree più deprivate si trovano prevalentemente
nelle zone industriali o ex industriali, dove sono situati anche i centri abitativi di
edilizia popolare24.

3.4 Il modello fattoriale


Una metodologia diversa dall’approccio classico, peraltro ancora poco utilizzata
se non con accezioni diverse, consiste nel costruire un indice di deprivazione
ricorrendo ad una analisi fattoriale eseguita sulle variabili selezionate. In questo
caso si possono utilizzare come valori dell’indice i punteggi fattoriali, che rap-
presentano la collocazione di ciascuna osservazione nello spazio di rappresen-
tazione individuato dal fattore (o dai fattori) estratti.
L'analisi fattoriale si pone l'obiettivo di riassumere l'informazione contenuta in
una matrice di correlazione o di varianza/covarianza, cercando di individuare
statisticamente le dimensioni latenti e non direttamente osservabili (Stevens
1986). In sintesi, si può affermare che se due variabili presentano una forte cor-
relazione con uno stesso fattore, una parte non trascurabile della correlazione
tra le due variabili si spiega col fatto che esse hanno quel fattore in comune
(Dillon e Goldstein 1984). Fornendo, quindi, un principio di identificazione di
questi fattori comuni, l’analisi fattoriale fornisce una descrizione in forma sem-
plice, della complessa rete di interpolazioni esistente nell'ambito di un insieme
di variabili associate. Questa descrizione consente di definire, all'interno della
matrice di correlazione, un limitato numero di componenti indipendenti l'una
dall'altra e identificate nei fattori: esse spiegano il massimo possibile di varianza

24
Una validazione dei modelli proposti verrà esposta nel paragrafo 3.5

39
delle variabili contenute nella matrice d’informazione originaria 25.
Nell’applicazione in oggetto, al fine di determinare la dimensione latente dei fat-
tori è stato utilizzato il metodo di estrazione delle componenti principali. Tale
metodo si propone di sostituire le variabili originarie con un certo numero di va-
riabili (tra loro non interdipendenti), ottenute come trasformazione lineare delle
variabili originarie, riducendo così il numero di variabili necessarie a descrivere
un certo ambito. Si tratta cioè di ricercare una serie di trasformate della matrice
originaria dette, appunto, componenti principali, che spieghino quanta più parte
possibile della varianza delle variabili originarie e che siano tra loro ortogonali.
É possibile estrarre tante componenti quante sono le variabili originarie, quando
però lo scopo è quello di conseguire un’economia nella descrizione in termini
quantitativi di un certo fenomeno, il risultato fornito dall'applicazione del metodo
è tanto più utile quanto minore è il numero di componenti prese in considera-
zione. In genere il processo viene arrestato non appena la parte di varianza del-
le p variabili estratte dalle prime q componenti è sufficientemente grande.
L'analisi delle componenti principali genera quindi uno spostamento del sistema
di riferimento in corrispondenza del baricentro, in pratica viene cambiato esclu-
sivamente il punto di osservazione del collettivo allo studio.
A causa del fatto che le variabili possono venir saturate in modo pressoché
uguale da diversi fattori, si pone il problema della rotazione dei fattori (Krzano-
wski e Marriott 1995). La rotazione si sostanzia nella riduzione dei pesi fattoriali
che, nella prima fase, erano già relativamente piccoli e nell'incremento, sia posi-
tivo che negativo, dei valori dei pesi fattoriali che erano preponderanti nella pri-
ma fase. Infatti, la matrice delle saturazioni non presenta un'unica soluzione e,
attraverso la sua trasformazione matematica, si possono ottenere infinite matrici
dello stesso ordine. È per questo che i fattori vengono trasformati o analizzati
mediante un procedimento di rotazione degli assi. In una soluzione non ruotata,
infatti, ogni variabile è spiegata da due o più fattori comuni, mentre in una solu-
zione ruotata ogni variabile è spiegata da un singolo fattore comune 26. Anche
per le rotazioni sono disponibili metodi diversi; esse sono classificabili in rota-
zioni ortogonali, dove la rotazione degli assi è soggetta al vincolo della perpen-
dicolarità tra gli assi, e rotazioni oblique, dove tale vincolo è rilasciato del tutto o
parzialmente. Il vincolo dell'ortogonalità, tuttavia, è stato soggetto a numerose
critiche, in quanto in natura difficilmente le dimensioni o fattori psicologici si pre-
sentano come indipendenti (Cattell 1952). Sono stati quindi messi a punto una
serie di metodi di rotazione obliqua nei quali gli assi, presi a due a due, sono

25
Data una matrice n x p contenente p variabili rilevate su n unità, si tratta di verificare in che misu-
ra ciascuna variabile costituisce una ripetizione della descrizione effettuata dalle rimanenti p-1 e,
quindi, se esiste la possibilità di raggiungere la stessa efficacia descrittiva con un numero minore di
variabili non osservate dette, appunto, fattori.
26
L’operazione di rotazione si chiama così perché le variabili manifeste possono essere viste come
punti-vettore in uno spazio a K dimensioni, dove K rappresenta il numero dei fattori. Ciò che viene
ruotato sono dunque gli assi di riferimento, cioè proprio i fattori. La rotazione non fa altro che ridefi-
nire in modo più opportuno le coordinate dei vettori che rappresentano le variabili, lasciando inalte-
rata la posizione relativa di tali vettori; tale operazione lascia perciò inalterata la soluzione da un
punto di vista globale. Con la rotazione, si cerca, in linea di massima, di far passare gli assi di rife-
rimento (fattori) tra addensamenti di punti-vettore (variabili) in modo che risultino il più distinti possi-
bile da altri addensamenti, che saranno attraversati da altri assi.

40
lasciati liberi di disporsi in modo da formare un angolo o maggiore o minore di
90 gradi. Nel caso di rotazioni oblique, si procede attraverso i seguenti punti:
1) costruzione della pattern matrix, contenente i coefficienti di regressione
standardizzati delle variabili manifeste sui fattori latenti comuni;
2) costruzione della structure matrix, contenente le correlazioni tra le va-
riabili manifeste e i fattori latenti comuni (nella rotazione ortogonale
coincide con la pattern matrix);
3) costruzione della matrice di correlazione tra i fattori latenti (factor struc-
ture matrix).
Una soluzione obliqua porta quindi alla determinazione di due matrici: pattern o
modello (saturazioni o composizione fattoriale) e structure o struttura (correla-
zioni). Se nei modelli ortogonali tali matrici coincidono e le saturazioni possono
essere interpretate come correlazioni, nei modelli obliqui le saturazioni possono
essere maggiori di 1.00 (in valore assoluto) e non sono interpretabili come cor-
relazioni27.
La pluralità delle tecniche di rotazione dei fattori provoca una indeterminatezza
nella soluzione fattoriale, poiché non è possibile stabilire quale delle rotazioni
sia migliore in assoluto; e questo non solo per la scelta tra rotazione obliqua e
rotazione ortogonale, ma anche all'interno dei due tipi di rotazione. Un criterio di
sicuro effetto è quello di confrontare tra loro i risultati di diverse applicazioni e
scegliere quella che meglio si adatta ai risultati osservati.
Una ulteriore condizione di indeterminatezza è quella che si può verificare
quando i fattori comuni che si adattano al modello non sono unici. Questo impli-
ca che insiemi contraddittori di punteggi fattoriali risultano ugualmente plausibili
e che la scelta di una soluzione piuttosto che di un’altra risulta essere arbitraria.
Nell'analisi fattoriale l'indeterminatezza si verifica pertanto a due livelli: 1)
nell'accettazione della soluzione che soddisfa il modello in senso statistico; 2)
nella ricerca di una soluzione più facilmente interpretabile di quella ottenuta in
prima istanza (Guilford e Hoepfner 1971).
Su queste considerazioni il dibattito sviluppatosi in letteratura è stato assai in-
tenso (Morrison, 1976; Diday et al., 1994); in ogni caso, nell'ambito delle analisi
esplorative condotte per trarre informazioni sulla struttura latente dei dati osser-
vati, il disporre di più interpretazioni mutuamente consistenti può essere consi-
derata una situazione di privilegio e non di svantaggio.

3.4.1 La scelta delle variabili


Per quanto concerne il lavoro in oggetto, prove successive con diversi algoritmi
di estrazione e rotazione, hanno mostrato una concreta stabilità dei fattori
estratti. Tuttavia, dal momento che alcuni di questi fattori sono risultati essere
correlati tra di loro, è sembrato opportuno applicare la rotazione obliqua oblimin.

27
Quando si interpreta una soluzione obliqua bisogna ricordare, infatti, che la somma delle satura-
zioni al quadrato per riga non sarà uguale alla comunanza: pertanto le saturazioni di una struttura
obliqua non consentono di ricavare la proporzione di varianza di una variabile spiegata dai fattori (la
comunanza riportata nei tabulati è uguale alla somma delle saturazioni elevate al quadrato della
matrice non ruotata); allo stesso modo la somma dei quadrati delle saturazioni per colonna non è
uguale alla quota di varianza totale spiegata dal fattore; pertanto i prodotti incrociati delle saturazio-
ni non riproducono le correlazioni originali.

41
Tabella 9: Analisi delle componenti principali sulle 10 variabili, rotazione obli-
min, factor struxture matrix

Variabili I Fattore II Fattore III Fattore IV Fattore


Disoccupazione 0,914 0,107 0,091 0,102
Proprietà della casa 0,795 0,211 0,103 -0,018
Anziani > 65 anni -0,738 -0,034 -0,674 -0,190
Bassa istruzione 0,705 -0,285 0,016 0,514
Minori Stranieri nelle scuole 0,168 0,931 -0,194 0,085
Minori con handicap nelle scuole -0,136 0,781 -0,304 0,219
Minoranze Etniche 0,434 0,689 0,203 -0,369
Sovraffollamento 0,255 -0,080 0,762 0,261
Bambini < 5 anni -0,155 -0,257 0,722 -0,136
Famiglie monoparentali 0,182 0,176 0,147 0,856

Dall’analisi delle componenti principali emergono 4 fattori. Sulla prima compo-


nente le variabili “disoccupazione”, “casa di proprietà”, “anziani over 65” e “bas-
sa scolarità” (tabella 9). Sulla seconda componente si presentano i “minori stra-
nieri nelle scuole”, i “minori con handicap” e le “minoranze etniche”, variabili ca-
ratterizzate da una forte componente sociale. Il “sovraffollamento” ed i “bambini
sotto i 5 anni” sono identificati dal terzo fattore, mentre resta a sé stante la va-
riabile “famiglie monoparentali”, identificata dal quarto fattore.
La scelta delle variabili da utilizzare nell’indicatore deve essere quindi effettuata
privilegiando quelle che si presentano disposte sulla prima componente e che
hanno segno positivo, rispettivamente: “disoccupazione”, “proprietà della casa”
e “bassa istruzione”.

3.4.2 La costruzione dell’indicatore


Procedendo ad una analisi fattoriale eseguita sulle tre variabili estratte in pre-
cedenza, è possibile utilizzare come indice di deprivazione il punteggio fattoria-
le, che rappresenta la collocazione di ciascun comune nello spazio di rappre-
sentazione individuato dal fattore (o dai fattori) estratti, i quali a loro volta sinte-
tizzano l’informazione posseduta dagli indicatori parziali. (tabella 10)

Tabella 10: Indice fattoriale


Unità Urbani- Codice Indice fatto- Unità Urbani- Codice Indice fatto-
stica UU riale stica UU riale

CREVARI 1 0,81 CASTELLETTO 37 -1,17


VOLTRI 2 0,26 MANIN 38 -1,59
CA' NUOVA 3 3,82 S.VINCENZO 39 -1,19
PALMARO 4 -0,09 CARIGNANO 40 -1,43
PRA' 5 0,59 FOCE 41 -1,24
CASTELLUCCIO 6 -0,02 BRIGNOLE 42 -0,59
PEGLI 7 -0,83 S.AGATA 43 -0,30
MULTEDO 8 -0,58 S.FRUTTUOSO 44 -0,25

42
SESTRI 9 -0,13 QUEZZI 45 0,34
S.G.BATTISTA 10 -0,11 FEREGGIANO 46 0,13
CALCINARA 11 -0,31 MARASSI 47 0,03
BORZOLI OVEST 12 -0,28 FORTE QUEZZI 48 -0,12
BORZOLI EST 13 0,55 PARENZO 49 0,67
CERTOSA 14 0,24 S.PANTALEO 50 0,56
RIVAROLO 15 0,02 MONTESIGNANO 51 0,70
TEGLIA 16 0,54 S.EUSEBIO 52 1,37
BEGATO 17 1,11 MOLASSANA 53 0,48
BOLZANETO 18 1,19 DORIA 54 0,64
MOREGO 19 0,28 PRATO 55 0,56
S.QUIRICO 20 1,44 BAVARI 56 0,26
PONTEDECIMO 21 0,20 S.DESIDERIO 57 1,09
CORNIGLIANO 22 0,94 APPARIZIONE 58 -0,11
CAMPI 23 0,62 BORGORATTI 59 0,29
CAMPASSO 24 0,39 CHIAPPETO 60 -0,28
S.GAETANO 25 -0,06 S.MARTINO 61 -0,71
SAMPIERDARENA 26 0,26 ALBARO 62 -1,71
BELVEDERE 27 -0,75 S.GIULIANO 63 -1,39
S.BARTOLOMEO 28 -0,44 LIDO 64 -1,62
ANGELI 29 0,34 PUGGIA 65 -1,79
S.TEODORO 30 -0,17 STURLA 66 -0,73
LAGACCIO 31 0,47 QUARTO 67 -0,85
OREGINA 32 -0,04 QUARTARA 68 -1,37
PRE' 33 2,00 CASTAGNA 69 -1,29
MADDALENA 34 1,15 QUINTO 70 -1,34
MOLO 35 2,27 NERVI 71 -0,52
S.NICOLA 36 -1,17

3.4.3 Risultati
Anche in questo caso valori negativi dell’indice sono sinonimo di situazioni di
benessere mentre, al contrario valori positivi dell’indice sono il risultato di situa-
zioni deprivate. Tale indicatore, che presenta asimmetria positiva28, ha media 0
e scarto quadratico medio pari a 0,99.
In analogia con quanto effettuato in precedenza, è possibile raggruppare le uni-
tà urbanistiche in un numero di classi atto ad identificare livelli crescenti di de-
privazione a partire dalla Categoria 1 (Zona Benestante) sino alla Categoria 5
(Zona Deprivata) (Tabella 11).

Tabella 11 – Ripartizione delle UU per categoria di deprivazione (indice fat-


toriale)

28
Indice di asimmetria di Pearson pari a 0,72

43
Grado di depriva-
UU
zione
Puggia (65), Albaro (62), Lido (64), Manin (38), Carignano (40),
1 S.Giuliano (63), Quartara (68), Quinto (70), Castagna (69), Foce (41),
Zona Benestante S.Vincenzo (39), Castelletto (37), S.Nicola (36), Quarto (67), Pegli
(7).
Belvedere (27), Sturla (66), S.Martino (61), Brignole (42), Multedo (8),
2 Nervi (71), S.Bartolomeo (28), Calcinara (11), S.Agata (43), Chiappa-
to (60), Borzoli Ovest (12), S.Fruttuoso (44).
S.Teodoro (30), Sestri (9), Forte Quezzi (48), Apparizione (58),
3 S.G.Battista (10), Palmaro (4), S.Gaetano (25), Oregina (32), Castel-
luccio (6), Rivarolo (15), Marassi (47), Fereggiano (46).
Pontedecimo (21), Certosa (14), Bavari (56), Sampierdarena (26),
Voltri (2), Morego (19), Borgoratti (59), Angeli (29), Quezzi (45),
4
Campasso (24), Lagaccio (31), Molassana (53), Teglia (16), Borzoli
Est (13), S.Pantaleo (50).
Prato (55), Prà (5), Campi (23), Doria (54), Parenzo (49), Montesi-
5 gnano (51), Crevari (1), Cornigliano (22), S.Desiderio (57), Begato
Zona Deprivata (17), Maddalena (34), Bolzaneto (18), S.Eusebio (52), S.Quirico (20),
Prè (33), Molo (35), Ca' Nuova (3)

L’indice costruito attraverso l’analisi fattoriale conferma quanto elaborato attra-


verso la metodologia additiva. Da questo punto di vista, l’analisi di sensitività
effettuata permette di affermare che i diversi metodi per la selezione delle va-
riabili e per la costruzione degli indici danno risultati praticamente coincidenti. In
linea con quanto visto in precedenza, le unità urbanistiche sulla riviera di Po-
nente si presentano come zone benestanti, mentre le zone a Ponente e
nell’entroterra si presentano come zone deprivate. La divisione in livelli crescen-
ti di deprivazione non differisce particolarmente da quella effettuata per l’indice
additivo: le prime tre classi sono addirittura uguali, la quarta classe presenta
una UU in più rispetto all’indice additivo, mentre al contrario l’ultima classe ha
una numerosità inferiore di una unità. Proprio per quanto attiene a queste ultime
due classi si verificano alcune differenze tra unità urbanistiche. Se nell’indice
additivo l’UU di Prato appartiene alla quarta classe, nell’indice fattoriale esso
afferisce alla quinta classe; viceversa le UU Teglia e Borzoli Est, che sono
comprese nella quinta classe nell’indice additivo, nell’indice fattoriale fanno par-
te della quarta classe. In accordo con una certa face validity, entrambi gli indici
colgono inoltre l’unica UU del Ponente che presenta le caratteristiche di zona
benestante: l’UU di Pegli. La distribuzione geografica delle classi così individua-
te è riportata nella figura 3.

44
Figura 3: mappa della deprivazione indice fattoriale

3.5 Validazione degli indicatori proposti: il Tasso di mortalità standar-


dizzato

Gli indicatori proposti necessitano di una più rigorosa validazione di quanto non
sia l’evidenza dei fatti. Al fine di quantificare le differenze di salute tra i diversi
comuni, in linea con la maggior parte delle esperienze riportate in letteratura, si
sono utilizzati i tassi standardizzati di mortalità Standardised Mortality Ratio
(SMR). In una determinata area il tasso standardizzato di mortalità 29 è dato dal
rapporto tra i decessi osservati ed i decessi attesi, ove i decessi attesi sono de-
rivati applicando il tasso medio di mortalità specifico dell’area di riferimento (in
questo caso il Comune di Genova), riscontrato nella classe d’età prescelta, alla
corrispondente popolazione residente nell’area di interesse. Per la loro defini-
zione, gli SMR quantificano la probabilità di morte di un individuo residente in
un determinato comune rapportata a quella della popolazione di riferimento, pa-
ri ad 1 per costruzione: conseguentemente, in una certa area un valore dello
SMR maggiore di 1 va interpretato come un rischio relativo di morte superiore a
quello del Comune di Genova, un valore dello SMR minore di 1 identifica invece
un rischio relativo di morte inferiore. In linea con la letteratura (Cadum et al.
1999), gli indicatori così calcolati sono stati validati verificandone il rapporto con
i tassi di mortalità calcolati dal 1998 al 2000.
In una prima analisi è possibile esaminare l’efficacia dell’indice sulle cinque
classi individuate verificando se all’interno di ogni colonna, passando dal primo
al quinto quintile, ossia all’aumentare del livello di deprivazione, si registra un
aumento del rischio relativo di mortalità prematura. Nel caso in esame, i risultati
indicano che, per quanto attiene alla categoria di persone inferiori a 65 anni,
condizioni socioeconomiche più svantaggiate portano a peggiori condizioni di

29
Si ritiene opportuno effettuare lo studio suddividendo in due classi gli SMR, utilizzando i 65 anni di
età come cut-off tra le classi. Inoltre, a differenza degli studi epidemiologici, i tassi di mortalità stan-
dardizzati vengono calcolati congiuntamente per maschi e femmine e per tutte le cause di morte

45
salute (tabella 12) evidenziando quindi un legame tra deprivazione e mortalità
prematura.

Tabella 12: Rischio relativo di morte prematura per livello di deprivazione, cal-
colato con indici di deprivazione additivi (fattoriali*)

Categoria di
Decessi osservati Decessi attesi SMR
deprivazione
Uomini e donne 0-64 anni
1 Zona benestante 700 808,68 0,87
2 716 766,05 0,93
3 778 797,24 0,98
4 834 (838) 790,12 (801,89) 1,06 (1,05)
5 Zona Deprivata 968 (964) 833,91 (822,15) 1,16 (1,17)

Uomini e donne 65-


1 Zona benestante 5.047 4.826,64 1,05
2 4.427 4.496,25 0,98
3 4.267 4.591,32 0,93
4 4.072 (4120) 4.156,88 (4.187,69) 0,98
5 Zona Deprivata 3.983 (3935) 3.724,93 (3.694,11) 1,07
*solo quando diversi dagli additivi

I risultati appaiono complessivamente piuttosto incoraggianti e confermano


l’efficacia dell’indicatore proposto nel misurare i differenziali delle condizioni so-
cioeconomiche che si riscontrano all’interno dell’area genovese. Appare, infatti,
verificata l’ipotesi che giustifica il ricorso a indicatori di deprivazione, ossia che
le condizioni socioeconomiche costituiscano un predittore efficace dei differen-
ziali di mortalità.
Questo avviene soprattutto per gli individui da 0 a 64 anni. In tale classe, dove
influisce meno la mortalità per cause naturali dovute all’età, è molto più elevata
la correlazione fra SMR e categorie di deprivazione. L’andamento dei valori de-
gli SMR presenta una forte associazione diretta con le categorie di deprivazione
individuate. Vivere in una area classificata come deprivata aumenta il rischio
relativo di morte del 29% 30 e soltanto del 2%, rispettivamente, per gli individui
al di sotto dei 64 anni e per quelli al di sopra dei 65.
Approfondendo il livello di analisi e utilizzando direttamente l’indicatore propo-
sto, è possibile quantificare in modo più specifico tale correlazione. Nella Figura
4, si mettono a confronto i valori degli SMR e degli indici di deprivazione con
riferimento ai valori dell’indice, alle 71 Unità Urbanistiche.

30
Per l’indice fattoriale tale valore è del 30%

46
Figura 4 – Valore degli SMR vs Indici di deprivazione

L’efficacia degli indici di deprivazione è misurata dal valore del coefficiente di


correlazione di Pearson tra gli indici e gli SMR. Nel caso in esame (figura 4), un
valore del coefficiente pari a 0,48 (uomini e donne di età inferiore a 65 anni),
indica che il legame funzionale è pari a circa il 50% rispetto alla relazione di as-
sociazione lineare perfetta. Tale valore di correlazione, anche se non molto ele-
vato, nel senso propriamente statistico del termine, evidenzia la presenza di un
“effetto contesto” (Macintyre et al. 2002) piuttosto importante. È evidente che
sulla mortalità influiscono anche altri fattori legati alla genetica o ai comporta-
menti sociali che sfuggono ad una indagine condotta su aree geografiche (Fu-
chs 2004).
Come è lecito attendersi, la correlazione risulta evidente nella classe di età 0-64
mentre per quanto concerne la classe 64-  la correlazione risulta essere prati-
camente assente. Conseguentemente, appare che le condizioni socioeconomi-
che influenzano la mortalità in misura maggiore per quanto attiene alla mortalità
in età più giovane, mentre, in età più anziana entrano in gioco altri fattori legati
all’età che condizionano maggiormente la salute. Tali osservazioni non sem-
brano sostanzialmente modificarsi utilizzando gli indici fattoriali rispetto a quelli
additivi. L’analisi della correlazione tra i ranghi dei due indicatori, effettuata at-
traverso il coefficiente di Spearman, esprime infatti un elevato valore pari a
0,998, a conferma della quasi coincidenza dei due indicatori proposti.

47
Capitolo 4: Ulteriori approfondimenti e conclusioni

4.1 Una realtà diversa da quella metropolitana


Al fine di verificare se all’interno di macroaree diverse la deprivazione debba
essere misurata con indici diversamente composti, l’indicatore di deprivazione
proposto in precedenza è stato applicato ai 234 comuni della regione Liguria31,
peraltro piuttosto eterogenei tra di loro. Molti comuni hanno caratteristiche mon-
tane, altri, specialmente quelli situati sulla costa, hanno vocazione turistica e
raccolgono molti residenti anziani non nativi in Liguria. In questo contesto,
l’indicatore che spiega bene i differenziali di mortalità all’interno dell’area metro-
politana genovese, risulta poco correlato con lo stato di salute (0,18).
Due potrebbero essere le spiegazioni di questa evidenza, da ricondurre sia ai
valori del tasso di mortalità, sia al diverso significato delle variabili utilizzate per
misurare la deprivazione in un contesto metropolitano rispetto al resto del terri-
torio.
In primo luogo, infatti, si deve notare come la dimensione troppo limitata di molti
comuni liguri determinino variazioni molto rilevanti degli SMR, perché nei tre
anni considerati si registrano situazioni con uno o due decessi, o addirittura
nessuno nei tre anni considerati: mentre nelle Unità Urbanistiche di Genova il
campo di variazione degli SMR è compreso tra 0,7 e 1,4, nei comuni della Ligu-
ria si va da 0 ad addirittura 6. Sarebbe quindi necessario disporre di dati riferiti a
periodi di tempo molto più lunghi dei tre anni comunemente utilizzati in letteratu-
ra. In secondo luogo, come del resto era intuitivo, alcune variabili adatte a spie-
gare la deprivazione nell’area urbana non lo sono, invece, nelle aree rurali o di
campagna. Delle tre variabili che compongono l’indice, l’unica che sembra ave-
re una buona correlazione (+0,18) è il livello di istruzione. Le altre, “proprietà
casa” e “disoccupazione” sono addirittura correlate negativamente con la morta-
lità (-0,18; e -0,10, rispettivamente).
Le ragioni sono molteplici e di natura diversa a seconda delle variabili. La pri-
ma, “proprietà casa” ha significato opposto a quanto avviene per la città. In
un’area metropolitana, la mancanza di un’abitazione di proprietà può essere in-
tesa come una proxy della ricchezza e ha probabilmente significato diverso nei
piccoli comuni liguri, specialmente in quelli dell’entroterra. È molto probabile che
nelle zone turistiche della costa le case in affitto non siano indice di deprivazio-
ne in quanto occupate prevalentemente da persone benestanti.
La variabile “disoccupazione” è inserita nell’indice di deprivazione perché parti-
colarmente idonea a quantificare la mancanza di risorse materiali e, in genera-
le, uno stato di insicurezza economica. Questo vale sia a livello di area metro-
politana, sia a livello dei comuni più piccoli. Nel secondo caso, tuttavia, è diver-
sa l’attendibilità dei dati sulla disoccupazione. Nei piccoli comuni turistici o di
campagna è molto più frequente il caso di lavoro familiare, stagionale, non di-
chiarato ufficialmente. Risulta, pertanto, dai dati una certa situazione di poten-
ziale deprivazione che, peraltro, non corrisponde alla realtà.

31
A causa della evidente disomogeneità dimensionale si è escluso dall’applicazione il comune di
Genova.

48
Per quanto riguarda invece la terza variabile, “percentuale di persone in pos-
sesso di un titolo di studio inferiore od uguale alla licenza media inferiore”,
nell’indicatore di deprivazione ha il significato di proxy del livello di reddito. Tale
variabile sembra essere una buona discriminante anche per i comuni liguri, an-
che se meno importante rispetto all’area metropolitana genovese. Questo di-
pende sia dal minore livello di istruzione richiesto in area non urbana, sia dal
fatto che i laureati sono portati a spostarsi in città alla ricerca di un lavoro più
remunerativo, in particolar modo verso Genova.
Si noti, peraltro, che probabilmente la scarsa performance dell’indice risulta ol-
tre che dalle relazioni delle singole variabili, soprattutto dalla loro composizione
reciproca e dall’effetto complessivo della struttura per età della popolazione di
cui si tiene conto negli SMR, ma non negli indicatori parziali utilizzati, che, sulla
base dei dati a disposizione, sono necessariamente calcolati sul totale. La va-
riabile “istruzione”, per esempio, è misurata con la percentuale del numero di
persone che in quel comune possiedono un titolo di studio inferiore od uguale
alla licenza media inferiore rispetto ai residenti >14 anni. Trascurare la compo-
sizione per età della popolazione risulta particolarmente fuorviante per la mag-
gior parte dei piccoli comuni liguri, dove la popolazione ancora residente è pre-
valentemente anziana, soprattutto in riferimento alle variabili “istruzione” e “di-
soccupazione”, che sono legate anche all’età. Il fatto che la disoccupazione sia
poco indicativa e che l’istruzione, pur essendo maggiormente discriminante, si
correli alla deprivazione in misura minore che nell’area genovese, potrebbe
semplicemente spiegarsi con la percentuale più elevata di persone non più gio-
vani che produrrebbe un effetto opposto sull’indicatore di deprivazione. Da una
parte, infatti, questi, essendo tendenzialmente meno istruiti, sarebbero poten-
zialmente più deprivati. Dall’altra, invece, risultando tra le persone meno giovani
il tasso di disoccupazione molto basso, potrebbe risultare una falsa situazione
di benessere e inficiare, pertanto, l’indice di deprivazione.
I risultati presentati mostrano pertanto come la correlazione fra condizioni so-
cioeconomiche e salute sia diversa se studiata nell’ambito delle unità urbanisti-
che di Genova piuttosto che in quello degli altri comuni liguri, che pur essendo
apparentemente piuttosto diversi fra loro, sembrano comunque condividere lo
stesso tipo di relazione fra livello di deprivazione e stato di salute. Una soluzio-
ne potrebbe essere quella di raggruppare i comuni in “macroaree”, ossia in
gruppi comprendenti comuni simili, distinguendo, ad esempio, fra comuni in
aree urbane, in zone rurali, oppure di montagna, o di tipo turistico. Procedere a
questi raggruppamenti sembra particolarmente indicato poiché è ormai assoda-
to che la relazione tra differenti condizioni di deprivazione e misure di salute
possa variare notevolmente a seconda che le aree oggetto d’analisi siano urba-
ne oppure rurali (Barnett et al. 2001; Senior et al. 2000) e che un indice unico
per realtà differenti non sarebbe efficace (Haynes e Gale 1999; Gilthorpe e Wil-
son 2003; Levin e Leyland al. 2005). Per individuare le macroaree non esiste,
ovviamente, un criterio generale: si tratta di scegliere a seconda delle caratteri-
stiche del territorio esaminato quale possa essere la stratificazione migliore. Nel
caso della Liguria, la suddivisione più ragionevole sembra quella in tre aree
geografiche connotate da peculiarità ben precise: aree classificabili come pret-
tamente metropolitane (le 71 unità urbanistiche genovesi), aree situate a livello
del mare a prevalente vocazione turistica (51 comuni) ed aree classificate dalla
Regione Liguria come “montane o parzialmente montane” (174 comuni). E’ ra-

49
gionevole aspettarsi a priori che per ciascuna di queste aree si possano indivi-
duare indici di deprivazione diversi perché una situazione socioeconomica
svantaggiata molto probabilmente deriva da un insieme di condizioni differenti a
seconda del contesto sociale in cui si vive. In generale, si suggerisce, pertanto,
che quando il territorio su cui si calcolano gli indici di deprivazione è piuttosto
vasto, come per esempio una regione o, a maggior ragione, quello nazionale,
sia più corretto non limitarsi a calcolare lo stesso indice per tutta l’area di riferi-
mento, ma controllare se e come cambierebbero le cose suddividendo l’area
complessiva in zone più limitate. Le macroaree dovrebbero essere individuate
con criteri oggettivi (per esempio altitudine, appartenenza a una comunità mon-
tana, attività economica prevalente, e così via), anche se la scelta dei criteri ri-
mane affidata prevalentemente al buon senso del ricercatore.
Il contesto di applicazione dell’indice influisce anche sulla tipologia di indicatore
da utilizzare. Anche se risulta piuttosto difficile, come del resto accade nella
maggioranza degli studi in letteratura, distinguere nettamente fra deprivazione
materiale e sociale, l’analisi effettuata sembra suggerire che nel caso delle aree
urbane sia preferibile un indicatore di deprivazione materiale, mentre in quelle
non urbane sembri più adatto un indicatore di deprivazione sociale. Nel primo
caso, infatti, l’indicatore proposto appare molto vicino a quello di Townsend, se
la variabile “nessuna auto”, utilizzata dall’autore come proxy del reddito, è sosti-
tuita, tenendo conto della evoluzione dei consumi, dalla variabile “istruzione” da
intendersi anch’essa come la proxy più adatta del livello di reddito. Per gli altri
comuni, a fronte di una scarsa performance dell’indicatore proposto, appare ne-
cessario tenere conto anche di una componente sociale, atta ad inserire
all’interno dell’indicatore una componente legata all’età della popolazione.

4.2 Conclusioni

Questo lavoro ha preso spunto dalla considerazione che attualmente il proble-


ma della carenza di risorse da dedicare al soddisfacimento dei bisogni sociali
risulta aggravato da quello della loro cattiva distribuzione sul territorio. Ne deri-
va non soltanto l’esigenza di scegliere quali bisogni sociali si debbano ritenere
più meritevoli di copertura, ma anche che tali bisogni potrebbero essere soddi-
sfatti in modi differenti nelle diverse aree geografiche. In tal caso un intervento
pubblico in campo sociale, mirato per sua natura al riequilibrio tra le situazioni di
bisogno, non sarebbe in grado di assicurare che l’erogazione dei livelli essen-
ziali avvenga secondi criteri di equità e non farebbeche avallare, invece, le si-
tuazioni di disparità permettendo così che alcuni gruppi di individui siano invece
sistematicamente discriminati. Tale possibile distorsione potrebbe diventare
particolarmente grave in un sistema federalista, quale quello verso cui l’Italia si
sta avviando.
L’analisi svolta si basa sull’ipotesi che la domanda di servizi sociali e sanitari
dipenda non soltanto da fattori di “rischio individuale” e di “effetto disponibilità”
dell'offerta, ma anche da fattori di “rischio ecologico”, per cui chi abita in una
area geografica con certe caratteristiche ha bisogni sistematicamente diversi, a
parità di tutte le altre condizioni. In altre parole, le caratteristiche dell'area di re-
sidenza, quale un ambiente insalubre, condizioni abitative sfavorevoli, insoddi-
sfacenti servizi di trasporto, condizioni economiche complessivamente svantag-

50
giose, potrebbero anche modificare il rischio individuale e richiedere, pertanto,
interventi di riequilibrio ad hoc. Analizzare e misurare le situazioni di deprivazio-
ne ha, pertanto, lo scopo di contribuire al ristabilimento di una situazione di
uguaglianza, modulando la ripartizione delle risorse, tenuto conto anche delle
differenti condizioni socioeconomiche che caratterizzano le diverse zone. Le di-
suguaglianze che si vorrebbero eliminare non sono solo quelle che si riferisco-
no agli indicatori di salute (differente mortalità e morbilità), ma anche, più in ge-
nerale, quelle che diminuiscono le opportunità di vivere meglio, di partecipare
alla società cui si appartiene, di godere di un migliore ambiente urbano, e così
via.
Il modello per misurare gli svantaggi relativi delle diverse aree geografiche è
stato scelto tenendo conto della tradizione consolidata soprattutto nel Regno
Unito e ha portato così alla formulazione di un indicatore di deprivazione 32. Tale
indice, applicato alla realtà genovese, si è mostrato utile per spiegare i differen-
ziali di mortalità fra le diverse unità urbanistiche del comune. Si suggerisce, per-
tanto, che esso possa essere utilizzato dai decisori in campo sanitario e sociale
per integrare gli attuali criteri di allocazione delle risorse in modo più mirato ri-
spetto alla reali situazioni di rischio socioeconomico su base territoriale. Si noti
che distribuire le risorse tenendo conto di tali differenziali potrebbe rispondere
non soltanto a esigenze etiche volte a perseguire una maggiore equità, ma an-
che a requisiti di efficienza puramente economica: rimuovere impedimenti alla
possibilità per ciascuno di esprimersi al meglio, nel senso del capability ap-
proach di Sen, consente, infatti, anche di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo
economico. Nonostante i numerosi contributi della letteratura, rimane, infatti,
ancora una notevole incertezza sulla relazione fra condizioni socioeconomiche
e salute, sulle loro reciproche interdipendenze e sulle implicazioni per la politica
sanitaria (Fuchs 2004). In questo lavoro si propone che, invece di riferirsi a sin-
gole variabili socioeconomiche, sia preferibile utilizzare indicatori complessivi di
deprivazione e che la correlazione tra questi ultimi e la salute debba essere
studiata a livello di area geografica piuttosto che a livello individuale. Lo studio
effettuato differisce da quelli usualmente riportati in letteratura perché si propo-
ne di spiegare l’influenza della deprivazione sulla mortalità per tutte le cause di
morte, ossia sulla salute complessiva della popolazione. L’utilizzo degli indici di
deprivazione, sostanzialmente accettato a livello di studi epidemiologici riferiti a
specifiche patologie, è infatti molto meno usuale nel campo delle applicazioni
economiche, molto probabilmente per il fatto che è difficile individuare delle re-
gole generali di comportamento e alcuni risultati rimangono sostanzialmente in-
spiegabili. Studi epidemiologici sulla relazione fra condizioni socioeconomiche e
singole patologie sono, invece, più numerosi e in qualche modo la correlazione
risulta più evidente (Carstairs 2004). Si pensi per esempio alla relazione diretta
tra livelli di deprivazione e tumori al polmone o Aids o a quella inversa, con i
tumori della pelle.
I risultati sono incoraggianti e confermano che l’indice di deprivazione proposto
sembra spiegare in maniera sufficientemente significativa la variabilità della
mortalità “prematura”, ossia del tasso di mortalità standardizzato per la popola-
zione inferiore a 65 anni, intesa come proxy della salute della popolazione, an-

32
Poiché le due metodologie hanno portato ad indicatori pressoché simili, al fine di valutarne le im-
plicazioni economiche si considerano come un unico indice.

51
che se si evidenziano significative differenze tra la correlazione presente tra
queste due variabili in ambito metropolitano ed in ambito urbano. L’indicatore
proposto presenta una efficacia maggiore nell’ambito urbano relativo all’area
metropolitana genovese, piuttosto che nell’ambito delle altre realtà liguri, meno
sensibili alle variazioni della mortalità a livello geografico. A fronte di un valore
piuttosto buono (0,48) del coefficiente di correlazione nelle UU di Genova, si
evidenzia, nei comuni liguri, un legame funzionale che, sia pur di tipo diretto,
rappresenta soltanto il 18% del suo massimo teorico per la realtà extra-
genovese. Dall’analisi effettuata si evidenzia inoltre che l’effetto delle condizioni
socioeconomiche sulla salute risulterebbe più chiaro suddividendo i comuni che
presentino caratteristiche simili tra loro in macroaree. Non esiste, tuttavia, un
criterio preciso per guidare a tale classificazione, che deve essere quindi ricer-
cata caso per caso a seconda delle caratteristiche del territorio oggetto
dell’analisi. Questa esigenza deriva dal fatto che l’effetto contesto potrebbe ave-
re significato diverso nelle differenti stratificazioni geografiche e che all’interno
di ogni macroarea la deprivazione dovrebbe essere misurata con indici diver-
samente composti. Ne consegue che risulterebbe più limitato l’utilizzo di tali in-
dici a fini di ripartizione di risorse: potrebbero essere utili all’interno di zone con
caratteristiche piuttosto omogenee, mentre è meno chiaro quale potrebbe esse-
re la loro valenza qualora si dovessero ripartire risorse tra macroaree, per sce-
gliere, ad esempio, quanto destinare ad aree urbane o montane.
Pur con le criticità messe in evidenza, e che impediscono di trarre conclusioni
definitive sulla validità degli indici di deprivazione, si può concludere che un cer-
to effetto contesto esista e che sia una delle determinanti, seppure non l’unica,
delle variazioni nella mortalità in un’area geografica. Sarebbe opportuno verifi-
care la validità degli indici di deprivazione nello spiegare le variazioni di altre
misure di salute, quali la speranza di vita, la speranza di vita in buona salute o i
tassi di ricovero, ed è su questa linea che dovrebbero proseguire le ricerche nel
futuro.
L’economicità e la relativa semplicità dello strumento degli indici di deprivazio-
ne, unite alla loro effettiva capacità informativa, suggeriscono comunque un loro
utilizzo di routine come ausilio alla programmazione a livello sottoregionale dei
diversi interventi volti in senso ampio alla tutela della salute su base territoriale,
in un’ottica di correzione dell’effetto contesto evidenziato.

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