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Collana di CONTABILITÀ D’IMPRESA

1. Luciano Marchi (a cura di), Introduzione alla contabilità d’impresa. Obiettivi, og-
getto e strumenti di rilevazione. Quarta edizione.

2. Luciano Marchi (a cura di), Contabilità di impresa e valori di bilancio. Quarta edi-
zione.

3. Valerio Antonelli (a cura di), Complementi di contabilità d’impresa. Rilevazioni di


particolari classi di operazioni.

4. Valerio Antonelli (a cura di), Aspetti normativi della contabilità d’impresa (di pros-
sima pubblicazione).

5. Alberto Quagli, Bilancio di esercizio e principi contabili. Ottava edizione.

6. Raffaele D’Alessio, Sistema Computerizzato per l’Apprendimento dei Circuiti e della


Contabilità (S.C.A.C.CO.).

7. Alberto Quagli, Gabriele D’Alauro, Fabio Tiozzo, Dal bilancio d’esercizio alle di-
chiarazioni tributarie. Settima edizione.
ALBERTO QUAGLI

BILANCIO DI ESERCIZIO
E PRINCIPI CONTABILI
Ottava edizione

G. Giappichelli Editore
© Copyright 2017 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO
VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100
http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-921-0720-5

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a Vittorio ed Eleonora,
alla loro crescita
e alla forza che mi danno,
sempre maggiore
di quella che mi tolgono
VI
Indice

pag.
Premessa 1

1. Ruolo e postulati del bilancio di esercizio 3

1.1. Bilancio come sintesi contabile e bilancio come «pacchetto» informativo 3


1.2. Le funzioni del bilancio 5
1.3. I principi contabili come regole del bilancio: uno sguardo d’assieme al qua-
dro normativo 12
1.4. I postulati del bilancio di esercizio secondo il Codice Civile (artt. 2423-
2423 bis) 23
1.4.1. La struttura del bilancio (art. 2423, 1° comma) 23
1.4.2. La clausola generale del bilancio (art. 2423, 2° comma) 23
1.4.3. I postulati di bilancio dell’art. 2423 bis 27
1.5. I postulati del bilancio di esercizio secondo i principi contabili dell’OIC 38
1.6. Una sintesi dei postulati del bilancio di esercizio 44
1.7. I postulati del bilancio secondo i principi contabili dello IASB 46
1.8. I criteri basilari di valutazione: costo e fair value 49
1.8.1. L’IFRS 13 Fair Value Measurement 49
1.8.2. Finalità del bilancio e criteri di valutazione 53

2. Gli schemi di bilancio 57

2.1. Lo Stato Patrimoniale 57


2.1.1. Gli elementi dello Stato Patrimoniale e le regole IASB 57
2.1.2. Lo schema generale di classificazione, le macroclassi ed il loro
contenuto 59
2.1.3. Le possibilità di modifica delle voci previste dallo schema civili-
stico 62
2.1.4. Lo Stato Patrimoniale secondo lo IASB 63
2.2. Il Conto Economico 64
2.2.1. Gli elementi del Conto Economico 64

VII
pag.

2.2.2. Lo schema generale di classificazione, le macroclassi ed il loro


contenuto 65
2.2.3. Il Conto Economico secondo lo IASB 69
2.3. Il rendiconto finanziario: l’OIC 10 e lo IAS 7 71
2.4. Le funzioni della Nota Integrativa 78
2.4.1. Le note al bilancio secondo lo IASB 84
2.5. Il bilancio in forma abbreviata e delle micro-imprese 89
2.5.1. Il bilancio in forma abbreviata 90
2.5.2. Il bilancio delle micro-imprese 92
2.6. La relazione sulla gestione 92

3. Le immobilizzazioni immateriali 99

3.1. Contenuto e definizioni 99


3.1.1. La classificazione civilistica e le condizioni per l’iscrizione in
Stato Patrimoniale 99
3.1.2. Beni immateriali e oneri pluriennali 101
3.2. Aspetti generali di valutazione 102
3.2.1. Il valore originario 102
3.2.2. Gli ammortamenti 104
3.2.3. Le rivalutazioni 106
3.2.4. Le svalutazioni per perdita durevole e le rivalutazioni di ripristino 108
3.3. Le singole tipologie 116
3.3.1. Costi di impianto e di ampliamento 116
3.3.2. Costi di sviluppo 117
3.3.3. Diritti di brevetto e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno 118
3.3.4. Concessioni 119
3.3.5. Licenze 119
3.3.6. Marchi 120
3.3.7. Know-how 120
3.3.8. Avviamento 120
3.3.9. Altre immobilizzazioni immateriali 122
3.3.10. Immobilizzazioni in corso e acconti 123
3.4. Contenuto della Nota Integrativa e della relazione sulla gestione 123
3.5. Le regole IASB 124
3.5.1. Il riconoscimento degli intangibles in Stato Patrimoniale ed il
valore originario di iscrizione 124
3.5.2. Il trattamento contabile successivo alla iscrizione in Stato Patri-
moniale: ammortamenti, svalutazioni e rivalutazioni 127
3.5.3. Le informazioni nelle note 128
3.5.4. La concessione di pubblici servizi (IFRIC 12) 129

VIII
pag.

4. Le immobilizzazioni materiali 137

4.1. Contenuto e definizioni 137


4.1.1. La problematica dei beni in leasing 139
4.2. Aspetti generali di valutazione 143
4.2.1. Il valore originario 143
4.2.2. Gli incrementi successivi del valore: le capitalizzazioni delle mi-
gliorie e le rivalutazioni 146
4.2.3. I decrementi successivi del valore: a) il processo di ammortamento 148
4.2.4. I decrementi successivi del valore: b) le svalutazioni 149
4.3. Informazioni in Nota Integrativa 150
4.4. Le regole IASB 152
4.4.1. Il leasing 152
4.4.2. Le immobilizzazioni materiali 155
4.4.2.1. Iscrizione iniziale e migliorie successive 155
4.4.2.2. Il trattamento contabile successivo: ammortamenti e ri-
valutazioni 159
4.4.2.3. Il trattamento contabile successivo: la svalutazione (pro-
cedura di impairment) 162
4.4.3. Gli investimenti immobiliari 170
4.4.4. I beni strumentali destinati alla vendita 174

5. Le rimanenze di magazzino 179

5.1. Definizione e classificazione negli schemi di bilancio 179


5.2. La regola generale di valutazione del «cost or market» 180
5.3. Materie prime, sussidiarie e di consumo 181
5.3.1. La composizione del costo unitario di acquisto 181
5.3.2. I metodi di determinazione del costo per i beni fungibili 182
5.3.3. Determinazione del valore di mercato ed eventuale svalutazione 188
5.4. Prodotti in corso di lavorazione e semilavorati 189
5.5. Prodotti finiti 190
5.5.1. Formazione del costo unitario dei prodotti finiti 190
5.5.2. Determinazione del costo complessivo dei prodotti in rimanenza 193
5.5.3. Il valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato 193
5.6. Merci 194
5.7. Lavori in corso su ordinazione 195
5.7.1. Metodo della «percentuale di completamento» e della «commes-
sa completata» 196
5.7.2. Fatturazioni, stati di avanzamento e anticipi 199
5.7.3. Metodo della percentuale di completamento 200
5.7.4. Metodo della commessa completata 205
5.8. Contenuto della Nota Integrativa 206

IX
pag.

5.9. Le regole IASB 208


5.9.1. Le rimanenze di magazzino 208
5.9.2. Le commesse a lungo termine 210

6. I crediti 215

6.1. Aspetti di definizione e classificazione negli schemi di bilancio 215


6.2. I problemi di valutazione 217
6.2.1. Il criterio del costo ammortizzato 218
6.2.2. L’incidenza del fattore temporale 220
6.2.3. Il rischio di inesigibilità 223
6.3. Lo smobilizzo di crediti e la loro cancellazione dal bilancio 226
6.4. Contenuto della Nota Integrativa 227
6.5. Le regole IAS 228
6.5.1. Riconoscimento dei ricavi e del relativo credito 229
6.5.2. Valutazione dei ricavi e dei crediti 231

7. Poste in valuta estera 233

7.1. La contabilizzazione iniziale delle operazioni in valuta 233


7.2. Le valutazioni di fine esercizio 234
7.2.1. La particolarità dei lavori in corso su ordinazione 236
7.2.2. La riserva utili su cambi 238
7.3. Le regole IASB 239
7.3.1. La scelta della valuta «funzionale» 239
7.3.2. La contabilizzazione iniziale (recognition) delle operazioni in
valuta 240
7.3.3. La conversione in bilancio delle operazioni in valuta 240
7.3.4. La valuta di presentazione in bilancio 242
7.3.5. Informazioni da fornire in bilancio 243

8. Titoli di debito e partecipazione 245

8.1. Definizione e classificazione negli schemi di bilancio 245


8.1.1. Distinzione tra attività immobilizzate e attività circolanti 247
8.1.2. Cambio di destinazione tra attività immobilizzate e circolanti 247
8.2. Titoli obbligazionari: la contabilizzazione iniziale 248
8.3. Titoli obbligazionari: le valutazioni al costo ammortizzato 248
8.3.1. Le possibili esclusioni dal criterio del costo ammortizzato 252
8.4. Le svalutazioni dei titoli obbligazionari 254
8.4.1. I titoli obbligazionari immobilizzati: svalutazioni per perdite du-
revoli ed eventuali ripristini di valore 254

X
pag.

8.4.2. La svalutazione dei titoli obbligazionari compresi nell’attivo circo-


lante 255
8.5. Acquisto di obbligazioni proprie 257
8.6. Il contenuto della Nota Integrativa per i titoli obbligazionari 257
8.7. Le partecipazioni: contabilizzazione acquisto, cessione e dividendi 258
8.8. La valutazione delle partecipazioni a fine esercizio 259
8.8.1. La valutazione delle partecipazioni comprese nel circolante 260
8.8.2. La valutazione delle partecipazioni immobilizzate: il metodo del
costo 260
8.8.3. Partecipazioni e Nota Integrativa 262
8.8.4. Il metodo del patrimonio netto: logica e applicazione iniziale 263
8.8.5. Il metodo del patrimonio netto: la considerazione del risultato di
esercizio della partecipata 267
8.8.6. Il metodo del patrimonio netto: variazioni del patrimonio netto
della partecipata che non hanno concorso alla formazione del ri-
sultato economico dell’esercizio 272
8.8.7. Il metodo del patrimonio netto: acquisti di ulteriori quote della
partecipata e cessione della partecipazione 274
8.9. Cambiamento del criterio di valutazione tra metodo del costo e metodo del
patrimonio netto 274
8.9.1. Passaggio dal metodo del patrimonio netto al metodo del costo 275
8.9.2. Passaggio dal metodo del costo al metodo del patrimonio netto 275
8.10. Le azioni proprie 277
8.11. Le attività finanziarie oggetto di compravendita con obbligo di retroces-
sione a termine 277
8.12. Le regole IASB 279
8.12.1. Le partecipazioni «strategiche» 280
8.12.2. Le attività finanziarie 284

9. Liquidità, ratei e risconti 291

9.1. Le disponibilità liquide 291


9.2. I ratei e i risconti 293

10. Il patrimonio netto 297

10.1. Definizione e classificazione negli schemi di bilancio 297


10.2. Il capitale sociale 301
10.3. Riserva sovrapprezzo azioni 302
10.4. Riserve di rivalutazione 303
10.5. Riserva legale 303
10.6. Riserve statutarie 303

XI
pag.

10.7. Altre riserve 303


10.7.1. Riserva straordinaria (facoltativa), riserva per rinnovamento im-
pianti e macchinari 303
10.7.2. Riserva per acquisto azioni della società controllante 304
10.7.3. Riserva da conversione in euro 304
10.7.4. Riserva da riduzione capitale sociale 304
10.7.5. Riserva da deroghe ex art. 2423, 4° comma 304
10.7.6. Riserva non distribuibile da rivalutazione delle partecipazioni 304
10.7.7. Riserve per versamenti di soci 305
10.7.8. Riserva per utili da conversione cambi 305
10.7.9. Riserva per conguaglio utili in corso 305
10.7.10. Riserva per avanzo di fusione 306
10.7.11. Riserva per apporti ex art. 2436, 6° comma 306
10.8. Riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi 307
10.9. Utili (perdite) portate a nuovo 307
10.10. Utile (perdita) dell’esercizio 307
10.11. Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio 307
10.12. Le regole IASB 308
10.12.1. Il prospetto delle variazioni del patrimonio netto 309
10.12.2. La contabilizzazione delle stock options 310
10.12.3. L’utile per azione 317
10.12.4. Le «riserve IAS» nel D.Lgs. n. 38/2005 321

11. I fondi per rischi e oneri ed il TFR 331

11.1. Definizione e classificazione 331


11.1.1. Profili generali di contabilizzazione e valutazione 332
11.2. Fondi di quiescenza ed obblighi simili 334
11.3. Fondi per imposte 335
11.4. Passività potenziali e fondi rischi 336
11.4.1. Fondi rischi per contenziosi 337
11.4.2. Fondi rischi per garanzie prestate 337
11.4.3. Fondi rischi su crediti ceduti 338
11.5. Fondi per oneri (fondi spese) 338
11.5.1. Fondi garanzia prodotti 338
11.5.2. Fondi prepensionamenti e ristrutturazioni aziendali 339
11.5.3. Fondi spese manutenzione 339
11.5.4. Fondi operazioni e concorsi a premio 340
11.5.5. Fondi bonifiche e rischi ambientali 341
11.5.6. Fondi copertura perdite di società partecipate 341
11.5.7. Fondi manutenzione e ripristino dei beni gratuitamente devolvi-
bili e dei beni d’azienda ricevuti in affitto 341
11.6. Il trattamento di fine rapporto lavoro subordinato 342
11.7. Le informazioni in Nota Integrativa 343

XII
pag.

11.8. Le regole IASB 344


11.8.1. I fondi del passivo 344
11.8.2. Il trattamento del fondo TFR secondo le regole IASB 352

12. I debiti 357

12.1. Classificazione, rilevazione e valutazione dei debiti 357


12.1.1. Contenuto della Nota Integrativa 364
12.2. Obbligazioni e obbligazioni convertibili 365
12.3. Debiti verso soci per finanziamenti 366
12.4. Debiti verso banche 366
12.5. Debiti verso altri finanziatori 367
12.6. Acconti 367
12.7. Debiti verso fornitori 368
12.8. Debiti rappresentati da titoli di credito 368
12.9. Debiti verso controllate, collegate e controllanti e verso imprese sottoposte
al controllo delle controllanti 368
12.10. Debiti tributari 368
12.11. Debiti verso istituti previdenziali 369
12.12. Altri debiti 369
12.13. La ristrutturazione dei debiti 369
12.13.1. Il concetto di ristrutturazione dei debiti 369
12.13.2. I riflessi contabili 372
12.13.3. Altre modalità di ristrutturazione dei debiti 377
12.13.4. I costi connessi alla ristrutturazione 377
12.13.5. Informazione integrativa sulle ristrutturazioni dei debiti 378
12.14. Le regole IASB 379

13. Imposte sul reddito e fiscalità differita 381

13.1. Variazioni al risultato di esercizio e imposizione differita 381


13.1.1. Differenze temporanee e differenze definitive 382
13.1.2. Differenze temporanee tassabili e imposte differite 383
13.1.3. Differenze temporanee deducibili e imposte anticipate 385
13.2. Il calcolo delle imposte differite/anticipate 386
13.2.1. Le imposte differite: condizioni per l’imputazione 387
13.2.2. Le imposte anticipate: condizioni per l’imputazione 390
13.2.3. Alcune considerazioni in merito all’iscrizione delle imposte an-
ticipate 394
13.3. Gli adeguamenti delle imposte differite/anticipate, le imposte differite/
anticipate potenziali e pregresse 395
13.4. Imposte differite che non transitano dal Conto Economico 395

XIII
pag.

13.4.1. Imposte differite e leggi di rivalutazione 396


13.4.2. Imposte differite e operazioni straordinarie 397
13.5. I riflessi nelle voci di bilancio 399
13.6. Il consolidato fiscale 401
13.7. Contenuto della Nota Integrativa 402
13.8. Le regole IASB 405
13.8.1. I casi di insorgenza di imposte differite (attive e passive) 405
13.8.2. Requisiti per contabilizzare le imposte differite/anticipate e re-
lativa valutazione 406
13.8.3. Stanziamento delle imposte differite a Conto Economico e rela-
tive eccezioni 407
13.8.4. Esposizione in bilancio 408

14. Gli strumenti finanziari derivati 409

14.1. I derivati e la riforma del D.Lgs. n. 139/2015 409


14.2. La definizione di strumento finanziario derivato e le principali tipologie 410
14.3. La copertura e la sua efficacia 416
14.4. Classificazione in bilancio 418
14.5. Contabilizzazione iniziale e valutazione a fine esercizio 420
14.5.1. La determinazione del fair value 421
14.6. I derivati di copertura 426
14.6.1. Coperture di fair value 432
14.6.2. Coperture di flussi finanziari 433
14.6.3. Contabilizzazione per relazioni di copertura semplici 437
14.7. Separazione dei derivati incorporati 438
14.8. Le informazioni in Nota Integrativa 441
14.9. Disposizioni di prima adozione 443
14.10. Società che redigono il bilancio in forma abbreviata e micro-imprese 444

Bibliografia 445

XIV
Premessa

Ecco qui l’ottava edizione di questo libro, dopo quindici anni dalla sua prima stesu-
ra e a due anni di distanza dalla settima edizione. Questa apparente frenesia editoriale
dipende non dalla volontà del povero autore, che avrebbe volentieri lasciato le cose
come erano, ma dal turbinio di cambiamenti delle regole contabili, derivanti sia da
norme nazionali, sia da principi contabili professionali, tanto italiani quanto interna-
zionali.
Il libro è basato sull’analisi della legge civile in materia di bilancio di esercizio e
dei principi contabili nazionali dell’Organismo Italiano di Contabilità, in qualità di re-
gole interpretative e integrative delle norme del Codice Civile, applicabili alle imprese
industriali, commerciali e di servizi. Non si affrontano infatti le questioni tipiche del
bilancio consolidato, dei bilanci straordinari e intermedi, dei bilanci per settori di atti-
vità per i quali esistono norme specifiche (per es. bancari, assicurativi, agricoli), delle
regole fiscali in materia di redditi imponibile e delle problematiche connesse ai con-
trolli operati sul bilancio dai vari organi sociali.
Dopo i primi due capitoli, dedicati al ruolo e ai postulati del bilancio ed agli schemi
formali dei prospetti previsti dalla legge, l’articolazione del volume è sostanzialmente
basata sulle classi di voci dello schema di Stato Patrimoniale, discusse nella loro pro-
blematiche di classificazione, valutazione ed esposizione in bilancio. In ogni capitolo
è inizialmente descritta la classificazione delle voci di Stato Patrimoniale fornita dal
Codice Civile e i connessi riflessi nel Conto Economico. Segue quindi l’esame delle
problematiche valutative e di collocazione in bilancio delle voci scaturenti dai giudizi
di fine periodo.
Per ogni capitolo, e quindi per ogni classe di bilancio, una parte finale prende sinteti-
camente in esame le relative regole IASB (International Accounting Standards Board),
in quanto tali principi contabili internazionali sono ormai adottati dalle aziende italiane.
Rispetto alla precedente, questa edizione si caratterizza per l’aggiornamento riferito
ai cambiamenti alle regole del Codice Civile in materia di bilancio introdotti con il
D.Lgs. n. 138/2015 e alle conseguenti modifiche dei documenti dell’Organismo Italia-
no di Contabilità approvati a fine 2016. I riferimenti normativi sono aggiornati a di-
cembre 2016. È stato tolto invece il capitolo riferito al trattamento contabile dei certi-
ficati verdi e dei diritti di emissione dei gas a effetto serra (discussi negli OIC 7 e 8).
Tale capitolo per quanto fosse un approfondimento interessante, è stato omesso dalla pre-
sente edizione per cercar di comprimere al massimo le dimensioni del testo.

1
Durante la trattazione ho cercato di tener presente quale principale destinatario di
queste pagine, perlomeno nelle mie intenzioni, lo studente universitario dei corsi di
Ragioneria, che ha (tendenzialmente) già superato il corso di Economia aziendale, nel
quale sono state fornite le prime nozioni logiche sul bilancio di esercizio. In questo
volume pertanto l’accento cade principalmente sulle problematiche di applicazione
delle regole di valutazione e di classificazione imposte dal quadro normativo attual-
mente esistente. Salvo alcune esemplificazioni per i casi meno immediati, ho evitato di
presentare le rilevazioni in partita doppia, rinviando per il loro studio ad altri testi.
Al tempo stesso, ho cercato di tener presente che la sempre maggiore compressione
dei corsi universitari richiede anche un notevole grado di sintesi, durante le lezioni e
nella stesura dei testi. Spero di esserci riuscito, magari a scapito dello sviluppo più ar-
ticolato di alcune parti più “interessanti” per lo studioso ma che esorbitano dalla con-
creta possibilità di essere trattate in un corso dei primi anni. Va peraltro detto che la
crescente sofisticazione del quadro normativo rende sempre più difficile questa ricerca
di semplificazione. Per cercare comunque di fornire il dovuto approfondimento sulle
questioni “più complicate”, ho inserito numerosi box contenenti l’analisi di specifiche
problematiche applicative.
Questo volume è dedicato agli studenti del corso di Ragioneria generale dell’Uni-
versità di Genova, Dipartimento di Economia, dai quali ho ricevuto numerosi stimoli
per la redazione ed ai quali mi rivolgo in cerca di ulteriori miglioramenti. Leggere un
bilancio e scoprire con esso la gestione aziendale che ne sta alla base è un passaggio
decisivo per comprendere il moderno funzionamento delle aziende nel sistema eco-
nomico. Spero che questa capacità continui ad essere pazientemente sviluppata anche
al di là del corso universitario: è troppo importante per capire il mondo in cui viviamo.
Per i loro suggerimenti ringrazio i colleghi che nel corso degli anni hanno adottato
questo libro nei loro corsi.
Una dedica particolare, poi, mi sento di rivolgerla ai miei Maestri, il Prof. Umberto
Bertini ed il Prof. Luciano Marchi, ringraziandoli per la formazione economico-aziendale
impartitami nella allora esistente Scuola Pisana dal cui dottorato provengo e che as-
sieme ad altri colleghi abbiamo cercato di tener viva nei nostri insegnamenti. Oggi le
cose purtroppo vanno diversamente, c’è molto più individualismo anche nelle carriere
universitarie e la riconoscenza è una parola decisamente fuori moda. Ma il ricordo per-
sonale di quella scuola è sempre positivo.
Un caro ricordo infine è rivolto a due professori cui debbo buona parte della mia
passione per questa materia quando ero ai primi due anni di Università: il Prof. Renzo
Corticelli, che mi ha dato i primi schemi logici della Ragioneria e il Prof. Carlo Cara-
miello, che mi ha insegnato a “far parlare” i bilanci. Lo leggeranno da lassù, Renzo
con la sua infinita pazienza e Carlo dietro ai suoi imperscrutabili occhiali scuri. Spero
che il loro giudizio non sia eccessivamente severo.

ALBERTO QUAGLI
quaglia@economia.unige.it

Università di Genova, dicembre 2016

2
1

Ruolo e postulati del bilancio di esercizio

SOMMARIO: 1.1. Bilancio come sintesi contabile e bilancio come «pacchetto» informativo. – 1.2. Le
funzioni del bilancio. – 1.3. I principi contabili come regole del bilancio: uno sguardo d’assieme
al quadro normativo. – 1.4. I postulati del bilancio di esercizio secondo il Codice Civile (artt.
2423-2423 bis). – 1.4.1. – La struttura del bilancio (art. 2423, 1° comma). – 1.4.2. – La clausola
generale del bilancio (art. 2423, 2° comma). – 1.4.3. – I postulati di bilancio dell’art. 2423 bis. –
1.5. I postulati del bilancio di esercizio secondo i principi contabili dell’OIC. – 1.6. Una sintesi
dei postulati del bilancio di esercizio. – 1.7. I postulati del bilancio secondo i principi contabili
dello IASB. – 1.8. I criteri basilari di valutazione: costo e fair value. – 1.8.1. L’IFRS 13 Fair Va-
lue Measurement. – 1.8.2. Finalità del bilancio e criteri di valutazione.

1.1. Bilancio come sintesi contabile e bilancio come «pacchetto» in-


formativo
Il bilancio di esercizio rappresenta da tempo uno dei temi principali della ragione-
ria, per la centralità che occupa nell’intero sistema delle rilevazioni aziendali. Esso co-
stituisce un modello, ossia una rappresentazione semplificata, della dinamica gestiona-
le e dei relativi valori economico finanziari, verificatasi nell’esercizio trascorso, pur rac-
chiudendo al suo interno elementi determinati sulla base di prospettive future.
È necessario precisare fin da subito che il bilancio di esercizio può essere inteso
con due accezioni leggermente diverse.
Il primo significato, più ampio e comprensivo del secondo, intende il bilancio di e-
sercizio come il sistema di dati elaborati ogni esercizio amministrativo, raccolti in un
unico «package» informativo, volto nel suo complesso a illustrare lo svolgimento del-
la vita aziendale. In questo senso entro il bilancio possono essere sintetizzate grandez-
ze diverse, ottenute con logiche di determinazione sensibilmente differenti, ma il cui
scopo comune sia quello di informare sugli esiti dell’esercizio appena concluso.
La seconda accezione, più tradizionale, vede il bilancio come la sintesi di periodo
del sistema di contabilità generale, fondata sull’impiego del conto come strumento ele-
mentare di rilevazione della evoluzione di singole grandezze relative alla dinamica fi-
nanziaria ed economica dell’azienda. Della contabilità generale il bilancio rappresenta
una sintesi, finalizzata a rappresentare le risultanze di periodi discreti (i singoli eserci-
zi amministrativi).

3
Questo legame con la contabilità comporta che il bilancio ne acquisisca le stesse
potenzialità e gli stessi limiti come strumento di rilevazione della gestione aziendale.
In primis, il suo prevalente riferimento a valori monetari costituisce una enorme poten-
zialità per interpretare l’evoluzione aziendale (possibilità di comparare fatti diversi della
gestione come acquisti, finanziamenti, rimanenze di magazzino, ecc.) e di elevarne a sin-
tesi le risultanze, ma ne rappresenta al tempo stesso il limite principale, in quanto molti
aspetti della gestione non sono esprimibili in termini monetari, se non con rilevanti in-
certezze. Per cui la rappresentazione fornita dal bilancio è inevitabilmente parziale.
Ciò nonostante, essa permette di comprendere l’evoluzione del profilo reddituale, finan-
ziario e patrimoniale avvenuta nell’esercizio offrendone una sintesi. È tramite il bilan-
cio di esercizio che si è in grado di determinare il reddito di esercizio. Per cui, nel mo-
mento in cui si ritiene che il durevole raggiungimento di un risultato economico posi-
tivo rappresenta il fine dell’azienda o, quantomeno, la basilare condizione di esistenza
della combinazione produttiva 1, si può affermare che grazie al bilancio si può tentare
di valutare se l’azienda sia indirizzata verso il raggiungimento delle finalità per le qua-
li è stata costituita (o della sua condizione di durevole esistenza). In questa concezione
il bilancio assurge così al ruolo di strumento informativo essenziale per la gestione a-
ziendale.
Laddove si ritenga che il fine dell’azienda consista nel raggiungimento di altre gran-
dezze (es. creazione del valore, Guatri, 1991), si possono ritenere necessari altri e com-
plementari strumenti di rilevazione, anche diversi dai dati derivanti dal complessivo si-
stema contabile aziendale. Le risultanze di queste più recenti grandezze gestionali pos-
sono comunque essere rappresentate nel pacchetto informativo che costituisce il bilancio
inteso secondo la prima accezione precedentemente introdotta.
In altre parole, mentre nell’accezione tradizionale il bilancio di esercizio rappresen-
tava un’estensione terminale del sistema contabile, finalizzato a mostrare il reddito della
gestione trascorsa, rimanendo così soggetto alla logica contabile adottata nelle rileva-
zioni compiute durante l’esercizio, nel secondo significato, quello del «pacchetto» in-
formativo, il bilancio rappresenta non solo la sintesi del sistema contabile, ma anche
altri dati, ottenuti con logiche di calcolo diverse e certe volte alternative, riguardanti
un numero ancora più ampio di aspetti, di profili conoscitivi della gestione aziendale,
al fine di favorire un apprezzamento più completo e più esteso della gestione stessa da
parte del lettore.
Il passaggio dalla accezione tradizionale a quella più ampia del «pacchetto» informa-
tivo, non è stato immediato, ma si è verificato in modo graduale, dipendendo dalla lenta
evoluzione delle cosiddette «funzioni» attribuite al bilancio stesso: la funzione del bi-
lancio come rendiconto, quella di strumento interno di controllo per giungere alla fun-
zione informativa verso l’esterno.

1 Sul concetto di equilibrio economico e sulla sua definizione come scopo o condizione durevole di

esistenza dell’azienda, si leggano le fondamentali considerazioni di Giannessi, (1971, pp. 28-58); Ama-
duzzi, (1976, pp. 32-64 e 74); Bertini (1990, pp. 44-47); Corticelli (1979, pp. 83-117), Ferraris Franceschi
(1985, pp. 115-123); Cavalieri (1995, pp. 58-66).

4
1.2. Le funzioni del bilancio
Fin dagli albori della ragioneria (Melis, 1950; Ceccherelli, 1961) il bilancio di eser-
cizio ha ricoperto la funzione di mettere in evidenza il reddito, inteso come variazione
della ricchezza conferita dai proprietari, causata dallo svolgimento della gestione azien-
dale (Zappa, 1951, p. 278). Solo se il bilancio evidenzia un risultato economico positi-
vo i proprietari possono prelevare una quota di utili quale remunerazione della dispo-
nibilità di capitali precedentemente fornita. Senza la redazione del bilancio, qualsiasi
prelievo di capitali operato dai proprietari potrebbe sfociare in una privazione dei mez-
zi aziendali che erano stati ritenuti necessari per lo svolgimento dell’attività, ledendo
quindi il principio dell’integrità del capitale. Questa è una funzione universale del bi-
lancio di esercizio, alla quale si associa anche l’uso di questo documento quale base per
stabilire le imposte gravanti sul reddito prodotto dall’azienda.
Ma a tale funzione universale se ne associano altre.
Bilancio come rendiconto
Seguendo l’ordine temporale con il quale sono state sviluppate (Poli, 1971), la pri-
ma funzione è quella del «rendiconto», nel senso che il bilancio è stato utilizzato come
strumento informativo per permettere ai proprietari dell’azienda (per conto dei quali
l’attività si svolge) di valutare l’operato degli amministratori, cioè di coloro che con-
cretamente dirigono l’azienda impegnandosi con l’attività quotidiana di governo.
Anziché valutare singolarmente le molteplici decisioni prese durante l’esercizio, ai
proprietari il bilancio serviva per valutare la sintesi dell’operato degli amministratori, e
la sintesi concerneva proprio la determinazione della variazione della ricchezza da loro
conferita a seguito delle operazioni aziendali (il reddito di esercizio). In relazione al rag-
giungimento degli obiettivi reddituali, i proprietari potevano decidere il rinnovo del
mandato di amministrazione o la sua cessazione, sostituendo gli amministratori esistenti
con altri ritenuti più capaci. Insomma, gli amministratori, redigendo il bilancio, rendo-
no il conto del loro operato (redde rationem) ai proprietari. Questa funzione del bilan-
cio di esercizio non ha perso smalto nel corso dei secoli. Ancor oggi essa assume un’im-
portanza fondamentale, in tutti quei casi ove i soggetti amministratori della società sia-
no distinti dai proprietari, fenomeno tipico del modello della public company di matri-
ce anglosassone, contesto nel quale tale funzione è più nota con il nome di steward-
ship function. Se ci pensiamo, tutte le volte che leggiamo che uno o più amministratori
si dimettono a seguito della presentazione all’assemblea dei soci di risultati reddituali
inferiori alle attese, ci troviamo di fronte ad esempi di assolvimento da parte del bilan-
cio del suo ruolo di rendiconto dell’amministrazione aziendale. In questa prospettiva
gli utenti del bilancio consistono essenzialmente nei proprietari.
Bilancio come strumento interno di controllo
Ma il bilancio, proprio in quanto sintesi della gestione ed espressione della capacità
dell’azienda di creare ricchezza, possiede un contenuto conoscitivo importante anche
per gli stessi amministratori e per tutti i soggetti che partecipano alle decisioni aziendali.
Dalla interpretazione del bilancio emergono giudizi sulla situazione finanziaria ed eco-

5
nomica in grado di illuminare le scelte future. Anzi, spesso il modello di bilancio è usato
non solo per interpretare la dinamica passata ma anche per prospettare possibili evolu-
zioni future, divenendo quindi un fondamentale strumento di simulazione economico-
finanziaria. Da tali brevi cenni appare subito evidente la funzione del bilancio come
strumento di controllo a consuntivo ed a preventivo della gestione aziendale a vantag-
gio dei decisori interni (Ceccherelli, 1961; Marchi, 1995). Nel sistema di controllo di
gestione, in effetti, il bilancio occupa un posto centrale per la sua capacità di sintetiz-
zare in termini monetari l’andamento della gestione. In chiave analitica saranno poi ne-
cessari ulteriori strumenti, dalla contabilità dei costi di produzione a parametri di mi-
sura della qualità e della soddisfazione della clientela, ma resta fermo il bisogno della di-
rezione di disporre di indicatori di massima sintesi (reddito, posizione finanziaria net-
ta, ecc.) che solo il bilancio di esercizio può fornire. Questa seconda finalità ha gradual-
mente accresciuto la sua funzione nel tempo quanto più complessa è divenuta la gestio-
ne aziendale e, quindi, tanto più è stata avvertita la necessità di impiegare uno strumento
di controllo in grado di rappresentare la gestione nel suo complesso, senza disperdersi
fin da subito in una congèrie di dettagli.
Bilancio come pacchetto informativo per lettori esterni
In funzione poi del crescente peso delle aziende nel condizionare la vita dell’intera
società, raccogliendo risparmio tra i privati cittadini, creando o distruggendo posti di la-
voro, consumando risorse ambientali, la gamma di soggetti interessati alle sorti delle
aziende si è ampliata. Non più soltanto soggetti interni (proprietari o decisori interni
quali gli amministratori), ma pure soggetti esterni (in primis finanziatori non aventi fi-
nalità di controllo ma di puro investimento, ma anche clienti e fornitori, dipendenti e
associazioni di consumatori) aventi un interesse verso le sorti dell’azienda in quanto
dal comportamento di quest’ultima dipende o meno il soddisfacimento dei personali in-
teressi (capacità di garantire rendimenti futuri per gli investitori, capacità di mantenere
e tutelare l’occupazione per i dipendenti, di salvaguardare l’ambiente per le associazioni
ambientaliste, di garantire prodotti di qualità rispettando le condizioni contrattuali per
i clienti, ecc.). Tutti hanno interesse affinché l’azienda continui a vivere e, possibilmen-
te, a prosperare.
Questi soggetti, ormai noti come stakeholder, necessitano di informazioni per valu-
tare la capacità dell’azienda di garantire il soddisfacimento dei propri interessi e quale
migliore strumento informativo di sintesi potrebbe servire se non il bilancio di eserci-
zio? Questo documento (o meglio, questo pacchetto informativo), come più volte ripe-
tuto, fornisce una visione dello stato di salute aziendale e tutti i soggetti richiedono in
primo luogo la valutazione di sintesi della capacità dell’azienda di mantenersi in equi-
librio economico, durevole condizione di esistenza delle aziende. Ovviamente in fun-
zione della tipologia di stakeholder, il bilancio tradizionalmente inteso, come prospetti
contabili di Stato Patrimoniale e Conto Economico e Rendiconto Finanziario, non sod-
disfa interamente le esigenze informative. Ad esempio, le associazioni ecologiste saran-
no maggiormente interessate a valutare la capacità delle aziende di svolgere la propria
attività riducendo l’impatto ambientale delle proprie produzioni e richiederanno per-
tanto informazioni specifiche in questo senso, che saranno esaudite solo con la compi-

6
lazione di un apposito prospetto (il bilancio ambientale 2). Analogamente, gli investito-
ri che richiedono informazioni sulle condizioni future di concorrenzialità aziendale, ne-
cessiteranno di informazioni prevalentemente concernenti la dinamica futura dei van-
taggi competitivi (progetti innovativi, attività di ricerca, ecc.) 3.
Anche in questo caso i dati contabili non saranno sufficienti a soddisfare tali esi-
genze e l’azienda dovrà pertanto fornire informazioni ad hoc, anche di natura non mo-
netaria. Tali informazioni (politica ambientale, politica di ricerca e sviluppo, creazione
di risorse immateriali 4), potranno però essere inserite nel pacchetto informativo centrato
sul bilancio di esercizio (il concetto di bilancio più esteso al quale ci riferivamo nel
primo paragrafo), il quale, pertanto, oltre al nucleo di dati contabili relativi alla sintesi
della dinamica trascorsa dei valori economici-finanziari, conterrà una serie di informa-
zioni più analitiche oppure concernenti ambiti specifici, di provenienza contabile e non,
in grado di soddisfare una parte rilevante dei fabbisogni conoscitivi dei vari stakeholder.
Questa funzione informativa del bilancio che giustifica il passaggio dalla tradizio-
nale nozione contabile del bilancio di esercizio a quella di «pacchetto informativo» di
sintesi della gestione aziendale oggi rappresenta il profilo più dibattuto del bilancio di
esercizio e sarà tanto più rilevante quanto più le aziende saranno meno «affari privati»
da discutersi tra un ristretto gruppo di soggetti (in primis proprietari e amministratori),
spesso legati da vincoli familiari, ma assumeranno una funzione sociale di rilievo, in
grado di condizionare molteplici aspetti della vita di intere collettività, agendo come col-
lettori di risparmi, come fonti di occupazione, ecc. Sempre più questa funzione infor-
mativa in senso ampio è sintetizzata dal termine «annual report».
In questa terza funzione, gli utenti privilegiati del bilancio saranno allora soggetti
esterni, il «pubblico», inteso come qualunque soggetto interessato alle sorti della com-
binazione produttiva.
Sebbene tutte di rilievo, le diverse funzioni assumono maggiore o minore impor-
tanza in base all’esistenza di certi caratteri. Ad esempio, il ruolo del bilancio di esercizio
come rendiconto degli amministratori verso i proprietari assume risalto nei casi in cui i
due ruoli non siano esercitati da uno unico soggetto o da un gruppo molto coeso, come
accade spesso nelle aziende familiari.
Per quanto riguarda la funzione informativa, un carattere diviene determinante per
conferire una importanza fondamentale al bilancio: la quotazione sui mercati mobiliari
di titoli azionari/obbligazionari emessi dall’azienda. Questa circostanza infatti fa con-
vergere sull’azienda una maggiore attenzione da parte degli investitori (e di interme-

2 Sul bilancio sociale e sul bilancio ambientale rinviamo a: Miolo Vitali, 1978; Matacena, 1980; Bandet-

tini, 1981; Cavalieri, 1981; Vermiglio, 1984; Bartolemeo-Malaman-Pavan-Sanmarco, 1995; Rusconi, 1996.
3 La funzione informativa del bilancio per l’esterno è stata oggetto di numerose analisi. Si consigliano

le seguenti letture: Amaduzzi, 1949; Cattaneo, 1965; Amodeo, 1969; Viganò, 1973; Provasoli, 1974; Dez-
zani, 1974; Capaldo, 1975; Catturi, 1984; Passaponti, 1990; Avi, 1990; Salvioni, 1992; Matacena, 1993; Ra-
nalli, 1994; Terzani, 1995; Di Toro-Ianniello, 1996; Marasca, 1999.
4 Per quanto riguarda l’arricchimento informativo del bilancio in relazione alle attese degli utenti, si

leggano: Aicpa, 1992 e 1994; Lev, 1992; Eccles-Mavrinac, 1995; Aimr, 1995; Eccles-Lupone, 1998. In par-
ticolare, per le misure volte a rappresentare la gestione degli intangibles, si rinvia a: Roos-Roos, 1997; Svei-
by, 1998; Edvinsson-Malone, 1997; Ferrando-Garelli, 2000.

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diari informativi a loro collegati, come gli analisti finanziari), privati e professionali,
che richiederanno pertanto una massa rilevante di informazioni sulla dinamica econo-
mico-finanziaria, passata e, soprattutto, prevista in futuro.
A parità di altre condizioni, la maggiore disponibilità di informazioni riduce il ri-
schio per gli investitori, favorendo pertanto l’ottenimento per l’azienda di finanziamenti
meno costosi. Anche nel nostro Paese a partire dalla metà degli anni ’80, si è assistito
ad una sensibile crescita di interesse, anche da parte dei privati risparmiatori, verso i
mercati finanziari, le aziende in essi quotate e le informazioni diffuse da queste ultime,
che ha comportato non solo una definitiva affermazione dei mercati mobiliari, ma an-
che una particolare attenzione verso la completezza e attendibilità dei dati rilasciati
dalle aziende.
Va peraltro riconosciuto che un ruolo importante nella direzione di garantire il cre-
scente rispetto della funzione informativa verso l’esterno è dipeso anche da altri fatto-
ri. Anzitutto ha inciso una etica degli affari più sviluppata, che ha portato le aziende a
vedere i terzi utenti del bilancio come soggetti non da manipolare secondo le conve-
nienze ma da rispettare e soddisfare nei propri bisogni, se la stessa azienda desidera cat-
turare la loro attenzione (Coda, 1983; 1991). Nello stesso senso, sta influendo una più
diffusa cultura economica presso l’intera collettività, che porta a concepire il bilancio
aziendale come una moderna newsletter sull’evoluzione del nostro mondo, la cui diffu-
sione non è più limitata ad una ristretta cerchia di professionisti.
Si può anche capire che quanto più il bilancio diviene un essenziale strumento in-
formativo per l’esterno, tanto più aumenteranno le esigenze di chiarezza (come com-
prensibilità delle informazioni contenute), di rispetto di principi che ne disciplinano la
redazione, di controllo della attendibilità dei dati rappresentati. In effetti, a differenza
delle prime due funzioni, per le quali gli utenti privilegiati sono soggetti «interni» al-
l’azienda, in quest’ultima prospettiva i vari stakeholder non dispongono solitamente di
«viste» dall’interno della situazione aziendale. Il bilancio di esercizio, chiamato a sod-
disfare la parte più cospicua dei propri bisogni informativi, deve allora risultare un sup-
porto informativo affidabile, garantito nella sua correttezza ed imparzialità di vedute, di
facile comprensione anche per coloro che non dispongono di approfondite conoscenze
pregresse sulla gestione aziendale.
In aggiunta, gli utenti esterni non sono solo interessati a conoscere le risultanze e le
prospettive della gestione di una azienda ma anche a compararle con quelle di altre
aziende verso le quali potrebbero rivolgere la loro attenzione (si pensi ai finanziatori in
cerca della più remunerativa e sicura destinazione per i propri capitali o ai fornitori inte-
ressati a comparare i differenti gradi di solvibilità di due o più aziende clienti). Pertanto
l’informazione contenuta nel bilancio di esercizio non deve soltanto essere chiara e
comprensibile in sé ma deve anche essere comparabile con quella di altre aziende e
dei relativi bilanci.
Contro tali scopi potrebbero però sorgere degli interessi contrapposti da parte delle
aziende. Finché il bilancio secondo le prime due concezioni, aveva come principali de-
stinatari soggetti con interessi coincidenti con quelli dell’azienda (proprietari e ammi-
nistratori), e rimaneva principalmente un atto interno, non vi era nessun problema nel-
l’inserirvi informazioni riservate. Nel momento in cui il bilancio diviene «pubblico»

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per soddisfare le esigenze dei vari stakeholder, il problema inizia a porsi.
Se tutti possono accedere agli stessi dati, questi ultimi possono essere usati anche
dai concorrenti che potranno trarre importanti informazioni da impiegare contro l’a-
zienda. Inoltre, l’azienda stessa, nei momenti in cui i risultati conseguiti sono tali da
indurre preoccupazioni negli stakeholder, potrebbe essere incentivata a nascondere o
attenuare il risalto di certi dati o rendere non confrontabili delle informazioni sugli aspet-
ti più negativi della propria gestione, per evitare la comparazione con gli andamenti
migliori della concorrenza.
La capacità informativa del bilancio pubblico invece deve essere garantita comunque.
Perché sia tutelata la funzione informativa verso l’esterno del bilancio (ed in paral-
lelo con la crescita della sua importanza) e le caratteristiche ad esso connesse, si è per-
tanto universalmente sviluppata una regolamentazione obbligatoria del bilancio di eser-
cizio, spesso affidata alle leggi nazionali, altre volte a regolamentazioni fornite da qua-
lificate associazioni professionali. Tale regolamentazione è accompagnata anche da un
sistema di controlli e di relative sanzioni sull’operato degli amministratori, che ne raf-
forzi il potere imperativo.
Tramite una regolamentazione sempre più dettagliata e pervasiva è stato anche pos-
sibile attenuare il rischio di conflitti tra le funzioni del bilancio.
Per comprendere ciò, si deve partire dal concetto che, nonostante le diverse funzio-
ni del bilancio abbiano avuto origine in modo non contestuale, oggi tutte coesistono as-
sieme (Viganò, 1973). Ai giorni nostri il bilancio assolve un ruolo tanto nel consentire
il rendiconto degli amministratori, quanto nel fornire un importante strumento infor-
mativo a soggetti interni ed esterni per orientare le proprie decisioni, oltre che a rappre-
sentare da sempre la base per stabilire il diritto dei proprietari a prelevare ricchezza
dall’azienda senza ridurre le garanzie per i terzi soggetti creditori.
Ma l’assolvimento di queste funzioni può comportare dei contrasti che minano la si-
gnificatività del bilancio stesso e la sua unicità. In particolare, nella letteratura aziendale,
fino ad alcuni decenni fa, era normale ipotizzare l’esistenza di un bilancio interno e di
uno esterno, destinato a pubblicazione. Il primo, più attendibile, era riservato ai soggetti
interni. Il secondo era finalizzato ad informare soggetti esterni e, pur basato sui dati
del primo, risentiva spesso di una serie di modifiche di forma e di sostanza, tali da im-
pedire ai lettori la disponibilità di un uguale contenuto conoscitivo, vuoi per motivi di
segretezza, vuoi perché si cercava di adattare il bilancio in modo tale da indurre terzi
soggetti ad adottare comportamenti più favorevoli per l’azienda di quanto non sarebbe
avvenuto rendendo pubblico il bilancio interno. Ad esempio, nei periodi favorevoli, una
artificiosa riduzione dell’utile avrebbe compresso il reddito imponibile e di conserva le
imposte gravanti su di esso, oppure, nei periodi sfavorevoli un innalzamento dell’utile
o una riduzione della perdita avrebbe mostrato un’immagine migliore verso terzi finan-
ziatori, e così via 5.

5 Il rapporto tra bilancio interno e bilancio pubblico è stato un tema molto dibattuto nella dottrina azien-
dale italiana. Si consultino al riguardo: Amaduzzi, 1949; Onida, 1951; Rossi, 1965; Cattaneo, 1965; Amo-
deo, 1966; Poli, 1971; Provasoli, 1974; Ferrero, 1981; Coda, 1983.

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Sebbene nel nostro Paese attorno agli anni ’70 gli studiosi convennero sulla neces-
saria unità del bilancio (Cattaneo, 1965, p. 53), nella pratica sono ancor oggi diffusi i
sospetti che molte aziende continuino a redigere due o più bilanci, in funzione del de-
stinatario degli stessi. Proprio per scongiurare questa inattendibilità del bilancio pub-
blico determinata dal suo adattamento volto a orientare subdolamente il comportamen-
to dei terzi, è stata rafforzato notevolmente l’impianto normativo e il correlato sistema
di enforcement, non solo nel nostro Paese ma sostanzialmente in tutto il mondo.
Oltre all’imperatività della legge, il contrasto tra esigenze di riservatezza interna e
soddisfacimento dei bisogni informativi degli stakeholder può essere composto pen-
sando a due ulteriori profili.
Anzitutto si deve considerare che il bilancio tenderà a soddisfare una parte, più o
meno cospicua, delle esigenze conoscitive di soggetti esterni, ma non le esaudirà inte-
gralmente. Rispetto alla gamma di dati potenzialmente utili per gli n-utenti esterni, il
bilancio conterrà quelli probabilmente più di sintesi e di comune interesse: reddito di
esercizio, mezzi propri, capitale investito, ricavi di vendita, ecc. Il bilancio dunque rap-
presenta un sistema di valori che interseca e copre parzialmente le aree degli n-fab-
bisogni conoscitivi dei soggetti esterni. Starà poi agli stessi utenti contrattare con l’a-
zienda l’acquisizione dei dati non compresi, qualora questi si rivelino esiziali per le pro-
prie decisioni. Ed in questo processo di contrattazione privata di dati gestionali, l’azien-
da avrà piena libertà nello scegliere se disvelare o meno dati riservati, in funzione del-
la convenienza di volta in volta valutata.
Inoltre, fermo restando l’inserimento in bilancio delle principali grandezze di sinte-
si, si possono prevedere forme diverse del bilancio, nel senso che a strutture più anali-
tiche di bilancio destinate agli utenti interni e non rese pubbliche, si possono affianca-
re strutture più sintetiche, da diffondere pubblicamente per informare gli utenti esterni
(Coda, 1973). La maggior sintesi, se da una parte agisce a protezione degli interessi
competitivi dell’azienda, dall’altra non impedisce di rappresentare i valori fondamen-
tali della gestione, tra cui ovviamente spicca il reddito dell’esercizio.
Quindi possiamo affermare che il bilancio di esercizio dovrebbe essere, per logica
e per norma di legge, unico, in grado di soddisfare le esigenze conoscitive dei soggetti
interni ed esterni. L’efficace assolvimento della funzione informativa quindi diviene lo
scopo stesso del bilancio ed il suo contenuto tenderà a rappresentare quell’area cono-
scitiva che, in un certo contesto spazio-temporale rappresenta un congruo compromes-
so tra i personali bisogni conoscitivi degli utenti e la tutela dei dati più «sensibili» del-
le aziende (Dezzani-Pisoni-Puddu, 1991, p. 13). Questa area muterà ovviamente a se-
conda delle situazioni. Nel tempo abbiamo precedentemente notato come si sia costan-
temente ampliata in parallelo con la maggiore incidenza delle aziende nella vita socia-
le e, in particolare, con il maggiore peso nella raccolta del pubblico risparmio.
Inoltre, gli obblighi normativi costringono anche le aziende con prospettive reddi-
tuali inferiori alla media a divulgare informazioni, in modo da garantire una maggiore
efficienza allocativa per l’intero mercato dei capitali. Al tempo stesso, un ampliamen-
to degli obblighi informativi riduce i margini per abusare di informazioni riservate che
alcuni soggetti operanti entro l’azienda o a stretto contatto con essa potrebbero eserci-
tare in chiave opportunistica (insider trading). Quest’ultimo comportamento, sebbene

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presenti alcuni vantaggi in termini di efficienza allocativa per l’intero mercato finan-
ziario (Bertinetti, 1996), presenta comunque indubbi costi sociali, oltre a presentare un
profilo eticamente molto discutibile.
Infine l’informazione dovuta, cioè resa obbligatoria dalla legge, assolve anche un’al-
tra importante funzione, quella di rendere credibili le informazioni stesse. In effetti,
nel momento in cui vi sono regolamenti che rendono obbligatorie certe informazioni, a
corredo sono sempre stabilite delle sanzioni per eventuali errori/omissioni, che forma-
no il cosiddetto enforcement. In questo modo si intende tutelare gli utenti di tali infor-
mazioni da comportamenti opinabili risultanti nel bilancio. Il sistema dei controlli sul-
le informazioni rilasciate dalle aziende è abbastanza articolato e diverso da Paese a
Paese, ma sostanzialmente prevede un controllo continuo affidato sia a professionisti
esterni (revisori legali), sia a soggetti pubblici (società di gestione del mercato, com-
missioni per il controllo della borsa) ed un controllo giudiziario che interviene nei casi
più gravi. Va da sé che gli utenti sono comunque in grado di esercitare una forma di
controllo ex-post: ad esempio, i mercati finanziari sanzionano comportamenti scorretti
dal punto di vista informativo tramite brusche discese di prezzi o aumenti del costo del
capitale (Botosan, 1996; Boeckem, 1998).
Da quanto detto, si potrebbe pertanto dedurre che rendere obbligatorie quante più
informazioni possibili rappresenterebbe allora un beneficio per l’intero mercato. Tale
conclusione non terrebbe conto di alcuni fondamentali questioni.
Anzitutto la produzione di informazioni presenta per l’azienda numerosi costi, non
solo direttamente legati al loro ottenimento, ma soprattutto in termini di costi competi-
tivi (divulgazioni di informazioni riservate a tutto vantaggio dei concorrenti), costi di
tipo «politico» (litigation costs ossia costi per incremento della «litigiosità» e delle ri-
chieste di diversi stakeholder) e costi «operativi indiretti», determinati dall’adozione
di comportamenti sub-ottimali da parte dell’aziende a seguito degli obblighi informa-
tivi posti a loro carico (Di Stefano, 1990).
Inoltre, un incremento degli obblighi informativi può suscitare effetti contrapposti
entrambi non desiderati: da un lato, se tale flusso assume maggiore frequenza, potrebbe
incrementare, quantomeno per le società quotate, la volatilità dei titoli con conseguen-
te innalzamento della rischiosità per gli investitori e relativi aumenti del costo del ca-
pitale; dall’altro, un incremento quantitativo potrebbe provocare sovraccarico informa-
tivo con conseguente incapacità di distinguere gli aspetti più rilevanti dalla massa di
dettagli.
Consegue che l’imposizione di obblighi informativi (mandatory disclosure) deve
sempre porsi valutando attentamente il rapporto costi-benefici tra investitori ed azien-
da emittente e stando attenti a selezionare e rendere obbligatorie solo le informazioni
rilevanti per i bisogni informativi dei lettori. L’informazione dovuta deve rappresenta-
re il minimo comune conoscitivo a disposizione del pubblico. La gradazione poi della
quantità, del tipo e delle frequenza di tali informazioni deve essere valutata non in a-
stratto ma con riferimento a specifiche circostanze aziendali. Influiscono al riguardo la
forma giuridica, le dimensioni, l’accesso ai mercati finanziari, il settore di appartenenza,
la platea dei soggetti specificamente interessati (Di Stefano, 1990).

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1.3. I principi contabili come regole del bilancio: uno sguardo d’assie-
me al quadro normativo

Abbiamo testé accennato ai motivi che hanno causato nel corso del tempo lo svilup-
po di una sempre più stringente regolamentazione del bilancio di esercizio. Rinviando
ad altri testi per un più dettagliato excursus sulla evoluzione nel nostro Paese dei prin-
cipi contabili 6, cerchiamo di capire la configurazione normativa che disciplina attual-
mente nel nostro Paese la redazione del bilancio di esercizio.
Le norme del Codice Civile
La base normativa è costituita dagli articoli del Codice Civile che disciplinano la
redazione del bilancio di esercizio nelle società di capitali (artt. 2423-2435 ter c.c.).
Le attuali norme civilistiche rappresentano l’applicazione nel nostro Paese, con il
D.Lgs. 27 aprile 1991, n. 127, della IV Direttiva CEE del 1978, coronando dopo molti
sforzi un serio impegno comunitario verso l’armonizzazione a livello europeo delle nor-
me di redazione dei bilanci. Detta armonizzazione rappresenta un requisito fondamen-
tale per consentire la comparabilità interaziendale, caratteristica particolarmente gradi-
ta ai mercati finanziari, i quali già da tempo hanno raggiunto un grado di globalizza-
zione che richiede una notevole confrontabilità delle informazioni a base delle deci-
sioni di investimento (Di Pietra-Riccaboni, 1996; Zambon, 1996; Viganò A., 1997).
Le norme del Codice Civile sono state ritenute applicabili alle società di capitali,
mentre per le società di persone e per le imprese individuali vale solo il riferimento
all’art. 2426 c.c. che tratta dei criteri di valutazione delle poste di Stato Patrimoniale 7.
Per le banche, le imprese assicurative e gli intermediari finanziari sono invece previste
discipline specifiche (rispettivamente D.Lgs. n. 87/1992 e D.Lgs. n. 173/1997), che
tengono maggiormente conto delle particolarità gestionali delle aziende appartenenti a
tali settori.
La disciplina civilistica in tema di bilancio è stata poi successivamente ritoccata da
altre disposizioni che hanno man mano recepito cambiamenti nella Direttiva comuni-
taria (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, c.d. «Riforma del diritto societario»; D.Lgs. 28 di-
cembre 2004, n. 310; D.Lgs. 2 febbraio 2007; n. 32 D.Lgs. 3 novembre 2008, n. 173;
D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39; D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139).
Le norme civilistiche, gradualmente arricchite e perfezionate nel tempo, ormai rac-
chiudono un nucleo importante di principi contabili, ossia di regole concernenti la scelta

6
In questo senso si vedano: Poli, 1971; Ceriani, 1984; Passaponti, 1990; Marasca, 1999; Quagli, 1999,
Quagli et al. 2016.
7 L’art. 2217, 2° comma, c.c., discutendo della obbligatorietà per tutte le imprese di redigere il libro
degli inventari, specifica che «nelle valutazioni di bilancio l’imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti
per i bilanci delle società per azioni, in quanto applicabili». Con tale norma si può dedurre che mentre
nessuna forma obbligatoria è stabilita per le imprese individuali e le società di persone, per le valutazioni,
tutte le imprese devono adottare gli stessi criteri. Precisazione in tal senso è giunta dalla Nota n. 1624 del
Ministero di Grazia e Giustizia del 19 marzo 1993 (peraltro non applicabile alle società assicurative e agli
istituti di credito e finanziari).

12
dei fatti da rilevare contabilmente, le modalità di rappresentazione contabile, di valu-
tazione e di esposizione delle poste in bilancio. Tuttavia esse non coprono tutte le pos-
sibili problematiche contabili, con i relativi dettagli tecnici. Sono principi generali, co-
me una legge ha il compito di fornire.
I principi contabili professionali
Ad integrazione ed interpretazione di queste norme sono stati nel corso del tempo
emanati dei principi contabili da parte di associazioni professionali 8. Senza dubbio nel
nostro Paese, hanno conquistato un rilievo molto importante i principi contabili del Con-
siglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e del Consiglio Nazionale dei Ragionieri
(CNDC-CNR), che entro la cornice dettata dalle norme civilistiche, forniscono regole
di dettaglio o di integrazione per argomenti non trattati dal Codice Civile. Il CNDC-
CNR aveva emanato 30 documenti della serie dei principi contabili.
Tali principi sono stati poi rivisitati negli ultimi anni dall’Organismo Italiano di
Contabilità (OIC) L’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), è l’ente che succede alla
Commissione per la statuizione dei principi contabili del CNDC-CNR per la formazio-
ne di regole contabili professionali nel nostro Paese, con lo scopo sia di integrare e in-
terpretare tecnicamente le disposizione del Legislatore italiano, sia di facilitare l’ado-
zione in Italia delle regole contabili internazionali. Nell’OIC sono rappresentati oltre
all’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (ODCEC), anche altre ca-
tegorie professionali (ASSIREVI per le società di revisione, AIAF per gli analisti finan-
ziari, ANDAF per i direttori amministrativi e finanziari), associazioni imprenditoriali
(ABI per le banche, ANIA per le assicurazioni, ASSILEA per le società di leasing e
poi Confindustria, Confapi, Confcommercio, Assonime, Assogestioni) e enti di control-
lo (Consob, Ragioneria dello Stato, Banca d’Italia, ISVAP). Ne risulta pertanto un or-
ganismo nel quale sono rappresentati tutti i principali operatori della professione con-
tabile (redattori, revisori e utenti del bilancio), al fine di agevolare la generale accetta-
zione dei principi contabili emanati.
Oltre alla rivisitazione dei principi già emanati dalla Commissione del CNDC-
CNR, l’OIC ha già emanato in via definitiva alla data in cui scriviamo altri nuovi prin-
cipi contabili (vedi tabella seguente), che si aggiungono ad altre interessanti interpre-
tazioni, tutte rese disponibili sul sito web di tale ente (www.fondazioneoic.it). Per accre-
scere la trasparenza del processo di formazione delle regole contabili su tale sito sono
disponibili anche le lettere di commento ricevute alle bozze di principi, oltre a tutta la
documentazione prodotta dall’OIC 9.

8 Per un esame dell’evoluzione del significato dei principi contabili di derivazione professionale e del
loro ruolo nel quadro italiano, si leggano: Amodeo, 1966; Potito, 1973; Poli, 1975; Corticelli, 1981; Dezzani,
1981; Bruni, 1984; Rinaldi, 1989; Bastia, 1995; Viganò R., 1998; Quagli, 1999a.
9Con la rivisitazione di documenti OIC del dicembre 2016 sono stati abrogati l’OIC 3 (Le informa-
zioni sugli strumenti finanziari da includere nella nota integrativa e nella Relazione sulla gestione (artt.
2427 bis e 2428, 2° comma, n. 6 bis, c.c.) e l’OIC 22 (Conti d’ordine).

13
I principali effetti della riforma del diritto societario sulla redazione del bilancio d’e-
OIC 1
sercizio (nella sostanza ricompreso negli altri principi dell’OIC)
OIC 2 Patrimoni e finanziamenti destinati ad uno specifico affare
OIC 4 Fusione e scissione
OIC 5 Bilanci di liquidazione
OIC 6 Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio
OIC 7 I certificati verdi
OIC 8 Le quote di emissione di gas ad effetto serra
OIC 9 Svalutazioni per perdite durevoli
OIC 10 Rendiconto finanziario
OIC 11 Bilancio d’esercizio, finalità e postulati
OIC 12 Composizione e schemi del bilancio di esercizio
OIC 13 Rimanenze
OIC 14 Disponibilità liquide
OIC 15 Crediti
OIC 16 Immobilizzazioni materiali
OIC 17 Bilancio consolidato e metodo del patrimonio netto
OIC 18 Ratei e risconti
OIC 19 Debiti
OIC 20 Titoli di debito
OIC 21 Partecipazioni e azioni proprie
OIC 23 Lavori in corso su ordinazione
OIC 24 Immobilizzazioni immateriali
OIC 25 Imposte sul reddito
OIC 26 Operazioni, attività e passività in valuta estera
OIC 28 Patrimonio netto
Cambiamenti di principi contabili, cambiamenti di stime contabili, correzione di errori,
OIC 29
eventi e operazioni straordinari, fatti intervenuti dopo la data di chiusura dell’esercizio
OIC 30 I bilanci intermedi
OIC 31 Fondi per rischi e oneri e Trattamento di Fine Rapporto
OIC 32 Strumenti finanziari derivati

Documento interpretativo 1 «Profili contabili della recente disciplina per la definizione agevola-
ta dei rapporti tributari: c.d. condono fiscale (artt. 7-16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289)»
Documento interpretativo 2 «Criteri per la rilevazione in bilancio delle svalutazioni dei dirit-
ti pluriennali delle prestazioni degli sportivi professionisti»
Documento interpretativo 3 «Aspetti contabili relativi alla valutazione dei titoli non immobi-
lizzati, rivalutazione degli immobili e fiscalità differita delle operazioni di aggregazione
aziendale»

14
Il ruolo pubblico dell’OIC, e la valenza normativa dei principi contabili che esso
pubblica sono stati definitivamente riconosciuti nella legge 11 agosto 2014, n. 116 che
all’art. 9 bis stabilisce che «l’Organismo Italiano di Contabilità, istituto nazionale per i
principi contabili:
a) emana i principi contabili nazionali, ispirati alla migliore prassi operativa, per la re-
dazione dei bilanci secondo le disposizioni del Codice Civile;
b) fornisce supporto all’attività del Parlamento e degli Organi Governativi in materia
di normativa contabile ed esprime pareri, quando ciò è previsto da specifiche di-
sposizioni di legge o dietro richiesta di altre istituzioni pubbliche;
c) partecipa al processo di elaborazione dei principi contabili internazionali adottati
in Europa, intrattenendo rapporti con l’International Accounting Standards Board
(IASB), con l’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) e con gli
organismi contabili di altri paesi.
Con riferimento alle attività di cui alle a), b) e c), si coordina con le Autorità nazio-
nali che hanno competenze in materia contabile. Nell’esercizio delle proprie fun-
zioni l’Organismo Italiano di Contabilità persegue finalità di interesse pubblico, a-
gisce in modo indipendente e adegua il proprio statuto ai canoni di efficienza e di
economicità. Esso riferisce annualmente al Ministero dell’economia e delle finanze
sull’attività svolta».
Per quanto riguarda le società non quotate, allo stato attuale non vi è un obbligo
sancito legislativamente di seguire i principi contabili dell’OIC, sebbene la loro applica-
zione sia nella prassi attuata dalle società non quotate.
Per le società quotate, invece, dal 2005 vi è l’obbligo in Italia di applicare nei bi-
lanci i principi contabili internazionali, anziché le regole del Codice Civile ed i princi-
pi contabili pubblicati dall’OIC. Per principi contabili internazionali si intendono i
principi contabili emanati dallo IASB (International Accounting Standards Board, vedi
box 1) già a partire dagli anni ’70. Dopo circa quarant’anni dalla prima apparizione,
ormai tali principi sono approvati praticamente in tutto il mondo e rappresentano forse
il miglior esempio per quanta riguarda la qualità del processo di formazione degli
standard contabili. Nel box successivo si forniscono alcuni approfondimenti sulla strut-
tura e sull’operatività dello IASB (rinviando al sito www.iasb.org per ulteriori detta-
gli). In questa sede, però, interessa discutere come tali principi siano stati recepiti dal-
l’Unione Europea e, a cascata, dal Parlamento Italiano.

BOX 1 – L’International Accounting Standards Board (IASB)


Lo IASB, avente sede a Londra, è stato costituito nel 1973 dall’accordo tra organismi di tredici Paesi (in
generale facenti parte del Commonwealth) ai quali se ne sono aggiunti rapidamente altri, tra cui, nel 1979,
il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti in rappresentanza dell’Italia, mentre il Consiglio Naziona-
le dei Ragionieri è subentrato nel 1993 (Picolli, 1995). Adesso, dopo un lungo periodo nel quale tali prin-
cipi hanno faticosamente cercato di affermarsi entro gli angusti spazi lasciati liberi dalle singole normative
nazionali, la loro applicazione è estesa sostanzialmente a tutto il mondo. Hanno contribuito in questo sen-
so il riconoscimento ai principi IASB dato dagli organismi di controllo dei mercati mobiliari mondiali (IOSCO)
ed europei (FESCO), interessati al fatto che le società quotate presentassero bilanci redatti in modo omo-
geneo e soprattutto, la recente piena approvazione da parte della Unione Europea (si veda in seguito).

15
Per quanto riguarda la struttura dello IASB, l’organismo centrale è il Board, periodicamente rinnovato,
il quale decide le linee di sviluppo, stabilisce il programma dei lavori sui nuovi progetti e sulle revisioni di
quelli già esistenti e approva sia gli IAS (gli standard definitivi) che le varie bozze interpretazioni degli stessi
standard. Il Board è affiancato nella sua opera da vari organismi di supporto tra i quali un ruolo di rilievo è
quello dell’IFRS Interpretations Committee, unico organismo autorizzato a fornire interpretazioni sull’appli-
cazione dei principi già emanati e riuscire a regolamentare temporaneamente le aree non ancora disciplinate
dagli standard. Tutti questi organismi operano sotto l’egida di una fondazione (la IFRS Foundation) che si
cura di ricercare fondi e consensi e nominare i membri dei suddetti organismi.

I principi contabili internazionali e la loro applicazione in Italia


Le regole contabili diffuse dallo IASB (per il cui dettaglio vedi box seguente), sono
i principi contabili denominati prima IAS (International Accounting Standard) e poi,
dal 2001, IFRS (International Financial Reporting Standard), oltre alle regole inter-
pretative di detti principi, denominate IFRIC (International Financial Reporting Stan-
dard Interpretations Committee).
I principi contabili internazionali, oltre ad aver già ispirato sensibilmente gli stessi
principi contabili italiani dell’OIC, sono stati elevati da parte della Unione Europea, con
il Regolamento UE n. 1606 del 19 luglio 2002, al rango di regole contabili obbligato-
rie per la redazione del bilancio consolidato da parte delle società quotate nei mercati
finanziari dei Paesi appartenenti alla UE, da applicare a partire dal 1° gennaio 2005.
Quindi, limitatamente a tale campo applicativo, le regole IASB sostituiscono le varie
regolamentazioni nazionali degli Stati membri dell’Unione Europea.
Il Regolamento n. 1606/2002 aveva lasciato invece facoltà ai singoli Stati membri,
tra cui l’Italia, di stabilire se le regole IASB dovessero anche essere estese tanto alla
redazione dei bilanci separati 10 delle società quotate, quanto alla redazione dei bilanci
(sia separati che consolidati) delle società non quotate.
L’Unione Europea ha poi recepito formalmente i principi contabili internazionali del-
lo IASB con una serie di Regolamenti (e come tali, immediatamente esecutivi nei singo-
li Stati membri) a partire dal Regolamento del 29 settembre 2003, n. 1725. Nel box se-
guente si riporta l’elenco dei principi dello IASB (IAS, IFRS e IFRIC) riconosciuti dalla
UE e gli estremi del Regolamento europeo con il quale sono stati recepiti. Va peraltro
rilevato come il recepimento da parte dell’Unione Europea avviene dopo il controllo sui
nuovi principi dello IASB operato da organismi tecnici (EFRAG, European Financial
Reporting Advisory Group) e politici (ARC, Accounting Regulatory Committee), fina-
lizzati a verificare la congruenza dei principi contabili internazionali con le regole di ba-
se sancite a livello europeo.

10 Il
Legislatore italiano parla di bilancio «di esercizio» come il bilancio della singola impresa, mentre
«consolidato» è il bilancio del gruppo di imprese al quale appartiene. In realtà le regole IASB sono più
precise e prevedono espressioni diverse parlando di bilancio di esercizio consolidato (il bilancio del gruppo
di imprese), di bilancio di esercizio separato (bilancio della singola impresa appartenente ad un gruppo e
che confluisce quindi in un bilancio di esercizio consolidato) e di bilancio di esercizio individuale (bilan-
cio dell’impresa non facente parte di un gruppo e quindi non confluente in un bilancio consolidato). In effetti
sono tutti casi di bilanci di esercizio.

16
I principi dello IASB approvati inizialmente dall’Unione Europea
con Regolamento n. 1725/2003 ed ancora in vigore

IAS 1 – Presentazione del bilancio


IAS 2 – Rimanenze
IAS 7 – Rendiconto finanziario
IAS 8 – Utile/perdita di esercizio, errori determinanti e cambiamenti di principi contabili
IAS 10 – Fatti intervenuti dopo la data di riferimento del bilancio
IAS 11 – Commesse a lungo termine
IAS 12 – Imposte sul reddito
IAS 15 – Informazioni relative agli effetti delle variazioni dei prezzi
IAS 16 – Immobili, impianti e macchinari
IAS 17 – Leasing
IAS 18 – Ricavi
IAS 19 – Benefici per i dipendenti
IAS 20 – Contabilizzazione dei contributi pubblici e informativa sull’assistenza pubblica
IAS 21 – Effetti delle variazioni dei cambi delle valute estere
IAS 23 – Oneri finanziari
IAS 24 – Informativa di bilancio sui rapporti con le parti collegate
IAS 26 – Fondi di previdenza
IAS 29 – Informazioni contabili in economie iperinflazionate
IAS 33 – Utile per azione
IAS 34 – Bilanci intermedi
IAS 36 – Riduzione durevole delle attività
IAS 37 – Accantonamenti, passività e attività potenziali
IAS 38 – Attività immateriali
IAS 40 – Investimenti immobiliari
IAS 41 – Agricoltura

Approvazione successiva al Regolamento n. 1725/2003


o non ancora approvati

IFRS 1 – Prima adozione degli IFRS (Reg.707/2004; 108/2006)


IAS 32 – Rappresentazione in bilancio degli strumenti finanziari (Reg. 2237/2004;
53/2009)
IAS 39 – Iscrizione e valutazione degli strumenti finanziari (Reg. 2086/2004; 1751/2005;
1864/2005; 2106/2005; 1004/2008)
IFRS 2 – Pagamenti basati su azioni (Reg. 211/2005; 1261/2008)
IFRS 3 – Aggregazioni aziendali (Reg. 2236/2004)
IFRS 4 – Contratti assicurativi (Reg. 2236/2004)
IFRS 5 – Attività non correnti possedute per la vendita e attività operative cessate (Reg.
2236/2004)
IFRS 6 – Esplorazione e valutazione delle risorse minerali (Reg. 1910/2005)
IFRS 7 – Informativa in bilancio degli strumenti finanziari (Reg. 108/2006; 1004/2008)
IFRS 8 – Segmenti operativi (Reg. 1358/2007)
IFRS 9 – Financial Instruments (Reg. 2067/2016)
IFRS 10 – Bilancio consolidato (Reg. 1254/2012)
IAS 27 – Bilancio separato (Reg. 1254/2012)
IAS 28 – Partecipazioni in società collegate (Reg. 1254/2012)
(segue)

17
IFRS 11 – Accordi a controllo congiunto (Reg. 1254/2012)
IFRS 12 – Informativa sulle partecipazioni in altre entità (Reg. 1254/2012)
IFRS 13 – Valutazione del fair value (Reg. 1255/2012)
IFRS 14 – Regulatory Deferral Accounts (non approvato dalla UE)
IFRS 15 – Ricavi provenienti da contratti con i clienti (Reg. 1905/2016)
IFRS 16 – Leasing (in attesa di approvazione dalla UE)

Intepretazioni dell’IFRIC

IFRIC 1 – Cambiamenti nelle passività iscritte per smantellamenti, ripristini e passività


similari (Reg. 2237/2004)
IFRIC 2 – Azioni dei soci in entità cooperative e strumenti simili (Reg. 1073/2005)
IFRIC 3 – Emission rights (endorsement dell’Unione Europea ancora sospeso)
IFRIC 4 – Determinare se un accordo contiene un leasing (Reg. 1910/2005)
IFRIC 5 – Diritti derivanti da interessenze in fondi per smantellamenti, ripristini e bonifi-
che ambientali (Reg. 1910/2005)
IFRIC 6 – Passività derivanti dalla partecipazione ad un mercato specifico – Rifiuti di ap-
parecchiature elettriche ed elettroniche (Reg. 108/2006)
IFRIC 7 – Applicazione del metodo della rideterminazione ai sensi dello IAS 29 Infor-
mazioni contabili in economie iperinflazionate (Reg. 708/2006)
IFRIC 8 – Ambito di applicazione dell’IFRS 2 2 (Reg. 1329/2006)
IFRIC 9 – Rivalutazione dei derivati incorporati (Reg. 1329/2006 e 1171/2009)
IFRIC 10 – Interim Financial Reporting and Impairment (Reg. 610/2007)
IFRIC 11 – Operazioni con azioni proprie e del gruppo (Reg. 611/2007)
IFRIC 12 – Accordi per servizi in concessione (Reg. 254/2008)
IFRIC 13 – Programmi di fidelizzazione della clientela (Reg. 1261/2008)
IFRIC 14 – Il limite relativo a una attività a servizio di un piano a benefici definiti, le pre-
visioni di contribuzione minima e la loro interazione (Reg. 1263/2008)
IFRIC 15 – Accordi per la costruzione di immobili (Reg. 636/2009)
IFRIC 16 – Coperture di un investimento netto in una gestione estera (Reg. 460/2009)
IFRIC 17 – Distribuzione ai soci di attività non rappresentate da disponibilità liquide (Reg.
1142/2009)
IFRIC 18 – Cessioni ai attività da parte della clientela (Reg. 1164/2009)
IFRIC 19 – Estinzione di passività finanziarie con strumenti rappresentativi di capitale
(Reg. 662/2010)
IFRIC 20 – Costi di sbancamento nella fase di produzione di una miniera a cielo aperto
(Reg. 1255/2012)
IFRIC 21 – Tributi (Reg. 634/2014)

Per quanto riguarda il campo applicativo delle regole IASB nel contesto nazionale,
il Legislatore italiano ha preso posizione con l’art. 25 della legge 31 ottobre 2003, n.
306 (c.d. «Legge comunitaria 2003») che stabilisce le linee guida per la delega al Go-
verno e con il conseguente D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, negli artt. 2, 3 e 4, con il
quale si esercita la delega conferita.
Tali norme stabiliscono il seguente ambito di adozione dei principi contabili dello
IASB:
1. le società quotate, le società aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, oltre

18
alle banche e agli intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza della Banca d’Ita-
lia sono obbligate ad adottare le regole IASB nel bilancio consolidato a partire dal
1° gennaio 2005; nel bilancio di esercizio 11 esse hanno la facoltà di applicarle nel-
l’esercizio 2005, divenendo obbligatoria l’adozione a partire dall’esercizio 2006;
2. le imprese di assicurazione sono obbligate ad adottare le regole IASB nel bilancio
consolidato a partire dal 1° gennaio 2005. Il bilancio di esercizio delle imprese di
assicurazione quotate che non redigono il bilancio consolidato sarà redatto obbliga-
toriamente secondo le regole IASB dal 1° gennaio 2006. Negli altri casi di bilanci
di esercizio vi è divieto di applicazione delle regole IASB;
3. le imprese che possono redigere il bilancio in forma abbreviata (vedi par. 2.5) non
possono applicare le regole IASB;
4. a) le società diverse da quelle indicate sub 1-3 ma incluse nel bilancio consolidato
redatto dalle società sub 1) e 2),
b) le altre società che sono tenute a redigere il bilancio consolidato,
c) le società incluse nel bilancio consolidato delle imprese sub 4.b,
hanno la facoltà di redigere il bilancio di esercizio (sia individuale sia consolidato
qualora debbano redigerlo) secondo le regole IASB a partire dall’esercizio 2005. Ta-
le scelta non è revocabile, salvo circostanze eccezionali, adeguatamente illustrate
nella Nota Integrativa, unitamente all’indicazione degli effetti sulla rappresentazio-
ne della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società;
5. le società che non rientrano nelle categorie precedenti, hanno la facoltà dal 2014 di
redigere il bilancio di esercizio in conformità ai principi contabili internazionali.
Tale punto è stato modificato con la legge 11 agosto 2014, n. 116, mentre in prece-
denza tale possibilità non sussisteva.
Il prospetto seguente sintetizza il campo applicativo corrente degli IAS/IFRS nel
bilancio di esercizio e nel bilancio consolidato in Italia.

1. Società quotate, Banche, Società finanziarie Uso IAS/IFRS obbligatorio sia nel bilancio di
ex art. 107 D.Lgs. n. 395/1993, SIM, SGR, esercizio, sia nel bilancio consolidato
Assicurazioni, Istituti di moneta elettronica
2. Altre società se oltre i limiti di cui all’art. Uso IAS/IFRS facoltativo sia nel bilancio di
2435 bis (Redazione del bilancio in forma esercizio, sia nel bilancio consolidato
abbreviata)
3. Altre società se inferiori ai limiti di cui al- Uso IAS/IFRS vietato
l’art. 2435 bis (Redazione del bilancio in for-
ma abbreviata)

11
Il Legislatore italiano parla di bilancio «di esercizio» come il bilancio della singola impresa, mentre
«consolidato» è il bilancio del gruppo di imprese al quale appartiene. In realtà le regole IASB sono più
precise e prevedono espressioni diverse parlando di bilancio di esercizio consolidato (il bilancio del gruppo
di imprese), di bilancio di esercizio separato (bilancio della singola impresa capogruppo che come tale
redige anche il bilancio di esercizio consolidato) e di bilancio di esercizio individuale (bilancio della im-
presa non facente parte di un gruppo). In effetti sono tutti casi di bilanci di esercizio.

19
Si segnala che entro l’Unione Europea l’Italia è stato uno dei pochi Paesi membri
ad aver previsto la più ampia applicazione di tali principi, specialmente con l’obbligo
di adottare gli IAS/IFRS anche nel bilancio di esercizio delle singole società quotate,
delle banche e delle assicurazioni. Questa circostanza implica l’adeguamento di nume-
rose norme italiane (contenute nel D.Lgs. n. 38/2005) concernenti la distribuzione de-
gli utili e la determinazione del reddito imponibile ai fini tributari, in quanto è il bilan-
cio di esercizio e non quello consolidato, la base per stabilire i dividendi e calcolare il
reddito imponibile apportando le variazioni richieste dal TUIR (D.P.R. n. 917/1986).
Si deve peraltro notare come l’Unione Europea, onde evitare che le differenze tra
società quotate (sospinte vero l’adozione delle regole IASB) e non quotate, siano trop-
po marcate, ha approvato nuove direttive che, in sostanza, permettono di introdurre nei
bilanci di tutte le imprese l’adozione di alcune regole tipiche degli IAS.
Le direttive europee che gradualmente hanno introdotto regole ispirate ai principi
contabili dello IASB anche per le società non quotate sono state la Direttiva n. 65 del
27 settembre 2001, la n. 51 del 18 giugno 2003, e soprattutto la Direttiva n. 34 del 26
giugno 2013 che ha sostituito la IV Direttiva del 1978 ed ha assorbito le modifiche in-
serite nelle altre due direttive sopra citate e ha ulteriormente proposto agli stati mem-
bri la possibilità di semplificare gli schemi di bilancio per le imprese di minori dimen-
sioni. A livello italiano il D.Lgs. n. 139/2015 ha recepito la Direttiva 34/2013 modifi-
cando nuovamente le norme del Codice Civile, che sono state così ulteriormente avvi-
cinate alle regole contenute nei principi contabili internazionali.
Nel frattempo si deve comunque rilevare che lo IASB sta continuando a modificare
alcuni principi esistenti e ad approvarne di nuovi. Tali nuovi o modificati principi im-
pongono la valutazione tecnico-politica della Commissione Europea per essere adotta-
ti e costringono le società ad una continua e dispendiosa attività di adeguamento delle
proprie politiche contabili. Se da una parte questo aggiornamento normativo è auspica-
bile per tenere conto di una realtà economica in costante mutamento, dall’altra il ritmo
vertiginoso che ha assunto in tempi recenti causa il rischio di incertezze interpretative
e di scarsa assimilazione delle nuove regole, che per esser ben comprese richiedono
più tempo a disposizione.
Riepilogando, il quadro delle regole contabili in Italia vede attualmente una appli-
cazione dei principi contabili internazionali dello IASB, approvati dall’Unione Europea,
alle società quotate, alle banche ed alle assicurazioni, tanto nei bilanci consolidati che
nei separati, mentre per le altre società italiane valgono le regole contenute nel Codice
Civile e dei principi contabili dell’OIC a loro integrazione e interpretazione. Tuttavia
le regole contenute nel Codice e quindi negli OIC sono sempre più ispirate alle regole
dello IASB, a seguito del progressivo recepimento di questi ultimi nelle Direttive Eu-
ropee.

BOX 2 – Problemi in ordine al campo applicativo degli IFRS in Italia


L’adottabilità degli IFRS nei bilanci delle società italiane crea alcuni problemi sotto due ordini di profili.
In primo luogo, l’Italia è uno dei pochi Paesi europei che ha imposto l’adozione obbligatoria dei prin-
cipi contabili internazionali non solo nei bilanci di esercizio consolidati, ma anche nei bilanci di esercizio

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«separati» (ossia nei bilanci delle singole società) delle società quotate, di banche e di assicurazioni e per-
messo l’adozione facoltativa nei bilanci «separati» di numerose altre imprese, purché queste ultime redi-
gano un bilancio consolidato IFRS. Questa estensione dei principi contabili internazionali ai bilanci delle sin-
gole società ha comportato due problemi di rilievo:
– la prima questione riguarda la determinazione del reddito imponibile ai fini fiscali. Dovendo infatti,
come regola generale, derivare il reddito imponibile dal bilancio civilistico, il cambio drastico delle re-
gole di valutazione imposto dagli IFRS ha implicato lo sviluppo di una norme tributarie specifiche per il
bilanci IFRS, giungendo dopo molte discussioni ad ammettere la diversità tra reddito imponibile determi-
nato secondo le regole nazionali e secondo le regole internazionali, con molti problemi ancora aperti
circa l’applicabilità di bilanci redatti con i principi IASB di regole fiscali nate originariamente per un
contesto ben diverso;
– inoltre, si pongono diversi problemi in merito alla distribuibilità di utili e riserve determinati secondo le
regole IFRS con criteri meno prudenziali di quanto ammesso dalla normativa del nostro Codice Civile,
arrivando al paradosso che la stessa operazione (es. un utile netto da conversione cambi) è distribuibi-
le se si redige il bilancio secondo gli IFRS ma non è distribuibile se si adottano le regole nazionali. Pro-
prio per chiarire alcuni problemi derivanti legati alla distribuibilità di utili e riserve IFRS, sono stati ne-
cessari specifici interventi normativi (vedi artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 38/2005 e la Guida n. 4 dell’OIC).
Ora questi due succitati problemi non si sarebbero posti se l’adozione delle regole IFRS, come avvenu-
to in molti altri Paesi europei, fosse stata limitata ai bilanci consolidati i quali non rappresentano base né
per la distribuzioni di utili, né perla determinazione del reddito imponibile.
In secondo luogo, non è a tutt’oggi possibile adottare i principi IFRS per le imprese «di minori dimensio-
ni», ossia che stanno sotto i limiti di cui all’art. 2435 bis (bilancio in forma abbreviata, vedi par. 2.5). Circa
tale divieto, il Legislatore in sostanza ha stabilito che le imprese «piccole» non possono aspirare ad una
materia apparentemente tanto complessa come gli IAS. Una società di biotecnologie con poco capitale
investito, giovane e quindi con fatturato ancora da sviluppare, con pochi ricercatori come personale, e
quindi con numeri da permetterle la redazione del bilancio in forma abbreviata, ma con azionisti di mino-
ranza quali grandi società internazionali e fondi esteri specializzati non avrà forse maggiore bisogno di pas-
sare agli IAS di quanto non faccia un grosso gruppo che opera solo sul mercato italiano, di proprietà pret-
tamente familiare? E non parliamo poi delle holding di pura partecipazione che non avendo ricavi alla vo-
ce A.1 del Conto Economico e con pochi dipendenti nel reparto amministrativo. Anche se a capo di gran-
di gruppi, la loro struttura collocherà tali società sempre al di sotto dei limiti di cui all’art. 2435 bis e do-
vranno ridisegnare la configurazione del gruppo se vogliono adottare gli IAS/IFRS. In sostanza, è logico che
se la vocazione di un’azienda è internazionale, specie per quanto riguarda gli investitori, essa debba avere
la possibilità di adottare gli IAS/IFRS liberamente.

Il rapporto con le norme fiscali


La determinazione del reddito imponibile, affidata alle regole del TUIR (Testo Unico
delle Imposte sui Redditi) è ispirata al principio di derivazione del reddito fiscale dal
reddito scaturente dal bilancio civilistico (art. 83 TUIR). Tale principio postula che «il
reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal Conto
Economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo di imposta…, le variazioni in au-
mento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successi-
ve disposizioni» (contenute nel TUIR, n.d.a.). Quindi sembrerebbe che sia stabilita
l’autonomia del bilancio civilistico, scevra da influenza tributarie, e che specifiche va-
riazioni fiscali debbano essere poi apportate in sede di dichiarazione dei redditi per
passare dal risultato di bilancio al reddito imponibile.

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In questo senso, come afferma l’art. 109 del TUIR, i costi imputati in Conto Eco-
nomico sono fiscalmente deducibili se le norme fiscali non dispongono diversamente
(come nel caso di accantonamenti diversi da quelli espressamente elencati dalle norme
del TUIR, la cui indeducibilità è sancita dall’art. 107, 4° comma del TUIR), come so-
no imponibili i ricavi imputati al Conto Economico, a meno che specifiche norme fi-
scali prevedano la non tassazione.
In virtù del legame che sussiste tra imputazione a Conto Economico e deducibilità
fiscale, si può tuttavia verificare che nei casi in cui le norme fiscali consentono una
deducibilità maggiore di quella che sarebbe consentita dall’applicazione dei principi
del Codice Civile e quindi del principio di competenza economica, per ottenere la de-
ducibilità fiscale di alcuni costi, un’impresa deve inserirli nel Conto Economico anche
se non risultano di competenza (un esempio è dato dagli accantonamenti per perdite
presunte di crediti deducibili fino allo 0,5% dei crediti commerciali). In questo modo
le norme fiscali possono determinare un «inquinamento» del bilancio.
Non è compito di questo volume affrontare direttamente le problematiche concer-
nenti i criteri di valutazione fiscali, per i quali si rinvia ad altro nostro lavoro (Quagli,
D’Alauro, Tiozzo, Dal bilancio di esercizio alle dichiarazioni tributarie, Giappichelli,
2007, II edizione). Alcune problematiche di derivazione fiscale saranno trattate nel ca-
pitolo 13 riferito alla contabilizzazione in bilancio delle imposte sul reddito.
Queste brevi note ci sembra siano sufficienti a far capire come il quadro normativo
del bilancio di esercizio in Italia viva in questi anni un periodo di intensi cambiamenti,
tra loro strettamente interdipendenti: regole europee, principi contabili professionali
nazionali e internazionali, norme fiscali, disposizioni civilistiche, cercano di adattarsi
reciprocamente per tutelare l’interesse comune della capacità informativa del bilancio,
sia pur con molti sforzi. Le tendenze di fondo sono chiare:
 standardizzazione internazionale (o perlomeno europea) delle regole sempre più
spinta;
 distinzione tra società quotate, che applicano gli IAS/IFRS, e le non quotate, che
applicano il Codice Civile e gli OIC, per quanto progressivamente queste ultime
regole si stanno avvicinando molto agli IAS/IFRS;
 distinzione delle società non quotate su base dimensionale tra le imprese che redi-
gono il bilancio in forma ordinaria, quelle che lo redigono in forma abbreviata e le
micro-imprese;
 graduale riconoscimento da parte del fisco del bilancio redatto secondo principi
contabili, per quanto vi siano ancora rischi di potenziale «inquinamento fiscale» del
bilancio di esercizio.
Coordinare le norme di vario livello per consentire il raggiungimento simultaneo di
tali obiettivi, è l’impegno che attende oggi gli operatori della professione contabile.

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1.4. I postulati del bilancio di esercizio secondo il Codice Civile (artt.
2423-2423 bis)

Dopo il quadro generale delle norme concernenti il bilancio di esercizio nel nostro
Paese, iniziamo ad esaminare i principi basilari (postulati) che disciplinano la redazio-
ne di tale documento, partendo dal primo articolo che il Codice Civile dedica al bilan-
cio, l’art. 2423.

1.4.1. La struttura del bilancio (art. 2423, 1° comma)


Il 1° comma afferma che «gli amministratori devono redigere il bilancio, formato
dallo Stato Patrimoniale, dal Conto Economico, dal Rendiconto Finanziario e dalla
Nota Integrativa».
Va subito notato che il diritto/dovere di redigere il bilancio spetta agli amministra-
tori della società, ossia al vertice aziendale, a chiara dimostrazione dell’importanza at-
tribuita dal nostro Codice a questo documento.
Per quanto riguarda i prospetti componenti, rinviando a quanto dopo discusso sul
contenuto analitico:
– il Conto Economico sintetizza l’intera dinamica reddituale dell’esercizio trascorso
consentendo di calcolare il reddito di esercizio dopo aver fornito distinta evidenza a
classi di ricavi e di costi;
– lo Stato Patrimoniale espone, alla data della chiusura dell’esercizio, le rimanenze
economico-finanziarie della gestione derivanti da cicli gestionali non completati e
lasciate in eredità agli esercizi successivi quali elementi attivi e passivi del patri-
monio;
– il Rendiconto Finanziario sintetizza i flussi di entrate e uscite di liquidità delle tre
gestioni (operativa, investimenti, finanziamenti), ed evidenzia la variazione comples-
siva delle disponibilità liquide avvenuta nell’esercizio;
– la Nota Integrativa ha soprattutto la funzione di commentare i dati contenuti nei sud-
detti prospetti, per capirne la composizione analitica, le variazioni subite da un eser-
cizio all’altro, le problematiche valutative.
Siamo quindi in presenza della accezione «contabile» del bilancio di esercizio, in
quanto Stato Patrimoniale, Conto Economico e Rendiconto Finanziario sono prospetti
derivati dalla contabilità generale.

1.4.2. La clausola generale del bilancio (art. 2423, 2° comma)


Il 2° comma contiene i postulati più importanti: «il bilancio deve essere redatto con
chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e
finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio». Questa espressione rap-
presenta la cosiddetta «clausola generale del bilancio», ossia le principali coordinate
dalle quali far dipendere deduttivamente tutte le altre regole (Superti Furga, 1991; Di
Cagno, 1995; Colombo, 1999).

23
La chiarezza deve intendersi come sinonimo di comprensibilità del bilancio per un
utente esterno. Il richiamo alla rappresentazione veritiera e corretta ha suscitato mag-
giore interesse. Atteso che l’espressione usata è la traduzione letterale dell’espressione
inglese «true and fair view», si tratta di capirne il significato (Ferrero, 1991).
Semplificando un vasto dibattito (Dezzani, 1981; Superti Furga, 1991; Matacena,
1993; Pini, 1993; Lacchini, 1994; Caratozzolo, 1998; Marasca, 1999), potremmo sinte-
tizzare dicendo che la correttezza deve essere interpretata come onestà, neutralità, ossia
come volontà degli amministratori di redigere un bilancio che non privilegi per forma e
contenuto qualche centro di interesse particolare (es. i finanziatori a titolo di credito piut-
tosto che i soci di maggioranza).
Sul concetto di rappresentazione veritiera si deve ricordare che un bilancio non po-
trà mai esprimere valori che aspirino alla esattezza «matematica», essendo coinvolti
nei processi valutativi di fine esercizio numerosi giudizi soggettivi. Tale discrezionali-
tà di giudizio dipende dal fatto che in sede di bilancio si devono valutare delle rima-
nenze della gestione incompiuta; quindi si devono stimare e congetturare valori eco-
nomico-finanziari la cui traduzione in flussi monetari avverrà solo in futuro o che ad-
dirittura è già avvenuta in passato e adesso si tratta di attribuirne una quota all’eserci-
zio in chiusura (come nel caso delle immobilizzazioni e dei conseguenti ammortamen-
ti). Questa circostanza oggettiva comporta che la valutazione sarà influenzata da come
gli amministratori interpreteranno il fluire della gestione e le relazioni tra eventi passa-
ti e probabili evoluzioni future. Poiché coloro che devono valutare sono comunque per-
sone, ciascuna con i propri convincimenti e la propria cultura, ne consegue che il giudi-
zio che ne scaturirà sarà comunque soggettivo. Quindi il bilancio non potrà mai espri-
mere una verità assoluta ed incontrovertibile.
Ciò nonostante, gli amministratori dovranno presentare un bilancio attendibile, che
tenda a rispecchiare la realtà gestionale, dopo aver sviluppato un coerente sistema di
ipotesi concernenti la gestione futura ed i relativi legami con quella passata. In questa
attenta opera di valutazione saranno di supporto i principi contabili che forniranno un
insieme di regole standard di comportamento come guida per i processi valutativi. Tali
regole non potranno prevedere ogni possibile situazione ma agevoleranno la delinea-
zione di un quadro attendibile della dinamica futura dell’azienda. Il bilancio può dun-
que essere «veritiero»; non potrà però mai essere «vero», come accade ad ogni model-
lo nei confronti dell’oggetto rappresentato (Ferrero, 1988).

Il 3°, il 4° e il 5° comma vanno letti assieme in quanto costituiscono due profili


complementari. Essi hanno lo scopo di conferire l’elasticità necessaria alla interpreta-
zione delle specifiche norme che seguono per raggiungere la scopo della rappresenta-
zione, «chiara, veritiera e corretta».
Con il 3° comma il legislatore introduce il postulato della completezza informativa.
«Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a
dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni com-
plementari necessarie allo scopo». Tale disposizione rende palese che il postulato della
rappresentazione attendibile discusso in precedenza è così importante che, qualora gli
amministratori non lo ritengano raggiunto applicando le specifiche norme di legge in

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tema di bilancio, gli stessi devono inserire le informazioni mancanti, non previste dalla
legge, necessarie per garantire la «rappresentazione veritiera e corretta».

Il 4° comma è stato introdotto recentemente con il D.Lgs. n. 139/29015 e afferma


che «non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presenta-
zione e informativa quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare
una rappresentazione veritiera e corretta. Rimangono fermi gli obblighi in tema di re-
golare tenuta delle scritture contabili. Le società illustrano nella Nota Integrativa i cri-
teri con i quali hanno dato attuazione alla presente disposizione».
Tale disposizione recepisce un principio della Direttiva UE 34/2013 in tale senso,
anche se il nostro Legislatore è stato mal consigliato circa l’uso del termine «rileva-
zione» che nel gergo ragionieristico ha sempre indicato la rilevazione contabile, men-
tre qui l’espressione «rilevazione» riguarda solo la rappresentazione in bilancio. Il
senso è che il bilancio può omettere l’esposizione e il commento di importi irrilevanti,
o l’applicazione di criteri di valutazione che in relazione alla loro complessità ed allo
sforzo amministrativo per applicarli non danno beneficio informativo. Si chiede alle
società di commentare in Nota la politica adottata a tale riguardo. Inoltre, sempre sul
piano letterale, andrebbe chiarito se rilevanza e significatività, termine utilizzato in al-
tre norme civilistiche e degli OIC, siano perfettamente sinonimi, come sembra o se
sottendono accezioni diverse.
Al di là di queste precisazioni terminologiche, il principio generale è accettabile,
per quanto origini dei dubbi. Infatti un’azienda potrebbe applicare il principio delle ri-
levanza in modo opportunistico, evitando di presentare e commentare importi relativi
a voci che, pur se quantitativamente irrilevanti, lo sono dal punto di vista qualitativo, co-
me sanzioni e multe ricevute o costi per penalità dovute nei rapporti commerciali. Quin-
di si deve considerare che ogni impresa potrebbe stabilire soglie di rilevanza sensibil-
mente diverse, rendendo meno comparabili i propri risultati con quelli di altre aziende,
a tutto svantaggio della possibilità di soggetti terzi di valutare l’andamento aziendale.
Alcuni esempi applicativi di tale principio sono contenuti negli OIC rivisti nel di-
cembre 2016:
1 Le disposizioni dell’OIC 19 Debiti in tema di informativa da rendere in Nota Inte-
grativa sui criteri con cui la società ha dato attuazione al principio generale della ri-
levanza prevedono che: «Se ad esempio una società tenuta all’applicazione del cri-
terio del costo ammortizzato decide di non utilizzarlo per i debiti con scadenza in-
feriore ai 12 mesi o di non attualizzare un debito nel caso in cui il tasso di interesse
desumibile dalle condizioni contrattuali non sia significativamente diverso dal tas-
so di interesse di mercato, la società ai sensi di tale previsione normativa deve illu-
strare in Nota Integrativa le politiche di bilancio adottate». Disposizioni analoghe
sono contenute nell’OIC 15 Crediti.
2. Le disposizioni dell’OIC 20 Titoli di debito in tema di informativa da rendere in
Nota Integrativa prevedono che: «Se, ad esempio, una società tenuta all’applicazio-
ne del criterio del costo ammortizzato decide di non utilizzarlo per titoli di debito
immobilizzati con costi di transazione e ogni altra differenza tra valore iniziale e va-
lore a scadenza di scarso rilievo, la società ai sensi di tale normativa illustra in Nota

25
Integrativa le politiche contabili adottate». E ancora: «Se, ad esempio, una società
tenuta all’applicazione del criterio del costo ammortizzato decide di non utilizzarlo
per i titoli non immobilizzati detenuti in portafoglio per un periodo inferiore ai 12
mesi, la società ai sensi di tale normativa illustra in Nota Integrativa le politiche
contabili adottate».
3. Nell’OIC 13 Rimanenze esempi di declinazione pratica del principio di rilevanza
da illustrare in Nota Integrativa, in materia di determinazione del costo delle rima-
nenze con metodi alternativi al LIFO, FIFO e costo medio ponderato, sono rappre-
sentati da: «l’utilizzo del metodo dei costi standard, del prezzo al dettaglio, oppure
del valore costante delle materie prime, sussidiarie e di consumo».
4. Nell’OIC 16 Immobilizzazioni Materiali esempi di declinazione pratica del princi-
pio di rilevanza da illustrare in Nota Integrativa, sono rappresentati: «dall’iscrizio-
ne in bilancio ad un valore costante delle attrezzature industriali e commerciali, qua-
lora siano costantemente rinnovate e complessivamente di scarsa rilevanza rispetto
all’attivo di bilancio e quando non si hanno variazioni sensibili nell’entità, valore e
composizione di tali immobilizzazioni materiali, o l’utilizzo ai fini dell’ammorta-
mento della metà dell’aliquota normale per i cespiti acquistati nell’anno, se la quo-
ta d’ammortamento così ottenuta non si discosta significativamente dalla quota cal-
colata a partire dal momento in cui il cespite è disponibile e pronto per l’uso».
Il 5° comma dell’art. 2423 risulta speculare al terzo, agendo in senso contrario. Si
consideri la prima parte: «se, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione
degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la di-
sposizione non deve essere applicata».
Anche in questo caso, il legislatore obbliga (e non, semplicemente, «consente») a
derogare le stesse norme di legge riferite a specifiche voci di bilancio qualora non sia
raggiunto lo scopo principale del bilancio, quello di fornire una rappresentazione veri-
tiera e corretta dei riflessi economico-finanziari della gestione aziendale. Questa finali-
tà assurge quindi a vero principio ispiratore per qualunque decisione in tema di bilan-
cio. Essa deve sempre costituire il punto di riferimento per ogni politica informativa
aziendale. Starà poi agli amministratori, con l’ausilio dei principi contabili professio-
nali che giungono ad interpretare ed integrare la legge, trovare quale tipo di rappresen-
tazione non prevista dalla legge permetta di soddisfare la clausola generale.
Tuttavia è logico che questo margine discrezionale debba trovare un limite, pena
l’innesco di potenziali abusi da parte di amministratori poco scrupolosi. Ecco quindi che
il legislatore limita questa regola ai soli casi «eccezionali», che non possono essere,
per definizione, quindi, né previsti né prevedibili 12. Sono inoltre previste ulteriori cau-
tele. Prosegue infatti il 4° comma: «la Nota Integrativa deve motivare la deroga e deve
indicarne l’influenza sulla situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economi-
co. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non
distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato».

12Nella Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 127/1991 si specifica soltanto che la perdita di


significato dei valori a seguito dell’inflazione non integra gli estremi della «eccezionalità», di cui al 2423,
4° comma.

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Quindi l’esercizio della deroga deve essere chiaramente motivato e illustrato nel
suo impatto quantitativo ed inoltre non può causare, di per sé, cioè per il solo fatto che
gli amministratori hanno compiuto una deroga, un invio a Conto Economico di ricavi,
pena la violazione dell’altro supremo principio della prudenza. Per cui, se la deroga por-
tasse ad incrementare una attività o diminuire una passività, in contropartita si deve rile-
vare l’incremento di una riserva del netto, come se fossero «utili potenziali», non ancora
realizzati.
Lo stesso obbligo di deroga con le medesime informazioni obbligatorie da fornire
in Nota Integrativa è stato previsto anche per le società che applicano i principi contabili
internazionali, così come disposto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 38/2005, riguardante l’ado-
zione in Italia dei principi contabili internazionali.
Emerge in ogni caso da queste prescrizioni normative, l’importanza attribuita al-
l’assolvimento della funzione informativa, da adempiere fornendo una rappresentazio-
ne veritiera e corretta.
Infine il 5° comma prescrive che il bilancio è redatto in unità di euro, senza cifre
decimali, ad eccezione della Nota Integrativa, che può essere redatta in migliaia di euro.

1.4.3. I postulati di bilancio dell’art. 2423 bis


L’altro articolo del Codice Civile dedicato ai postulati del bilancio è il 2423 bis. Si
compone di sei numeri.
Il postulato della prudenza
Al n. 1 dell’art. 2423 bis si afferma che «la valutazione delle voci deve essere fatta
secondo prudenza e nella prospettiva di continuazione dell’attività nonché tenendo
conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato».
La frase mischia tre concetti ben diversi.
Il primo è costituito dalla «prospettiva di continuazione dell’attività». Questo appa-
re essere un proto-postulato, cioè come una premessa iniziale, nel senso che il bilancio
di esercizio riguarda un’azienda che ha la prospettiva di durare, non di cessare la pro-
pria attività, ché altrimenti si parlerebbe di un altro tipo di bilancio (di liquidazione, di
fusione, ecc.). Gli altri tipi di bilanci richiederebbero logiche di valutazione ovviamen-
te diverse da quelle relative ad una continuazione in autonomia della gestione azienda-
le (Mella, 1983; Superti Furga, 1991; Pini, 1993; Paolone, 1995).
Al contrario, il secondo concetto, ossia il richiamo della prudenza amministrativa, è
un vero e proprio postulato, qui affermato in termini generali e poi, come vedremo di-
scutendo le valutazioni dei singoli elementi, applicato concretamente. La prudenza, mol-
to sinteticamente, potrebbe essere definita come la regola «asimmetrica» secondo la
quale gli utili soltanto sperati non debbono essere inviati al Conto Economico ad influire
sul reddito di esercizio (come ad esempio i margini di utili sperati sui prodotti rimasti
in magazzino alla fine dell’esercizio) mentre i costi anche non effettivamente sostenuti
ma soltanto temuti (come un accantonamento per rischi, ad esempio) devono invece
trovarvi collocazione.

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Ma il richiamo alla prudenza assume un significato più ampio, nel senso che tutte
le volte che in bilancio si tratta di presentare delle stime, di formulare delle ipotesi di
valutazione, si deve sempre scegliere, a parità di rappresentazione veritiera e corretta
(nella cui cornice operano tutti i postulati più specifici), quella più prudente. La pru-
denza rappresenta uno dei postulati più vecchi, essendo già presente nei secoli scorsi
come regola di «buon senso» nella stesura dei bilanci. Essa sottintende lo scopo di con-
servazione del capitale in azienda; piuttosto che lasciare che i proprietari decidano di
prelevare degli utili «incerti» dalla combinazione produttiva, a potenziale danno dei terzi
creditori, si preferisce rappresentare un bilancio più prudente, senza peraltro ledere oltre
modo il «quadro fedele» della gestione aziendale (Ranalli, 1994; Caratozzolo, 1998).

BOX 3 – Il postulato della prudenza: un breve approfondimento


Il postulato della prudenza da alcuni studiosi (si veda per tutti Hendriksen, 1982 13) è ritenuto privo di
razionalità economica in quanto tenderebbe a rappresentare scorrettamente la realtà aziendale, con il trat-
tamento asimmetrico di costi e ricavi presunti. Secondo tale impostazione esso è considerato come una vetu-
sta prassi contabile che attinge a tipici atteggiamenti umani per i quali la prudenza e l’avversione al rischio
costituiscono consolidate basi di comportamento in situazioni di incertezza.
Tuttavia, il postulato della prudenza assume un significato economico a sé stante, in quanto favorisce
la ricerca di efficienza economica da parte dell’azienda sotto diversi profili.
Uno dei più strenui difensori di questo metodo anche nel contesto statunitense, Ross Watts (Watts,
2003), parte dal presupposto che il bilancio e la contabilità devono fornire «hard verifiable data» e che è
proprio sulla base di tali dati, dove prevale il criterio prudenziale, ossia imputazione dei ricavi solo se rea-
lizzati e riconoscimento tempestivo delle perdite, che gli altri attori del mercato (ad esempio gli analisti
finanziari) compiono le loro stime. E bilanci ispirati al criterio della prudenza permettono proprio di verifi-
care ex-post la bontà di quelle stime, in modo da selezionare gli analisti migliori, così come una competi-
zione efficiente dovrebbe poter permettere. D’altronde lo stesso Autore segnala come per il management
non abbia senso competere con l’intero mercato per valutare l’azienda e i suoi fair value. Il mercato è la
somma di un enorme numero di operatori e di conseguenti masse di informazioni rilevanti che, nel loro
complesso, esprimeranno comunque valutazioni più significative di quelle provenienti dalla direzione
amministrativa. Storicamente il compito che il management ha avuto è stato quello, appunto, di fornire dei
dati per quanto possibili certi, non inficiati da volatili fenomeni di mercato. Sempre secondo Watts, l’acco-
glimento del principio della prudenza in bilancio affonda le sue radici e mantiene la sua validità proprio
nel favorire l’efficienza contrattuale tramite riduzione dei costi di agenzia. In questo senso, i creditori sono
più tutelati laddove si eviti di imputare in bilancio plusvalenze volatili che potrebbero, per successive di-
stribuzioni di utili, provocare una distribuzione di ricchezza fallace e danneggiare così i loro interessi a
scapito degli azionisti. Questa affermazione suona ancora più vera per i Paesi, come l’Italia, dove il sistema
bancario storicamente dispone di una vista privilegiata sugli andamenti aziendali, vuoi per rappresentanza
diretta nei consigli di amministrazione o negli organi di controllo, vuoi per la diretta intermediazione dei
flussi finanziari che favorisce una consistente massa di informazioni. Considerando un simile quadro istitu-
zionale, non è certo con valutazioni al valore corrente di mercato che si accresce il potenziale informativo
a favore dei creditori come utenti nel bilancio. Su questa corrente di pensiero si collocano anche altri lavo-
ri, che dimostrano come l’accoglimento della prudenza nelle valutazioni di bilancio risulti essere un crite-
rio efficiente anche dal punto di vista informativo (Basu, 1997; Hui et al., 2009).

13 A
p. 83 l’autore citato sostiene che «conservatism is, at best, a very poor method of treating the exi-
stence of uncertainty in valuation and income. At its worst, it results in a complete distortion of account-
ing data».

28
Considerando la platea di potenziali destinatari dell’informazione contabile, non possiamo che condi-
videre questa impostazione, per vari motivi. L’adesione al progetto imprenditoriale da parte degli stake-
holder richiede che sia stabilito un sistema di rendicontazione dei risultati raggiunti, in relazione ai quali
fornire anche le remunerazioni dei fattori impiegati, che poggi su dati certi, per quanto possibile realizzati.
La lettura di questi risultati, al tempo stesso, evidenzia la capacità del management aziendale nel consegui-
re i risultati prospettati, senza che al riguardo incidano più del lecito dinamiche esogene al comportamen-
to manageriale, come fenomeni di estrema volatilità dei mercati che potrebbero condizionare anche pe-
santemente le valutazioni. In questo quadro, la supposta carenza di prospettiva presente in valutazioni di
bilancio ancorate al costo storico dovrebbe essere colmata con altri strumenti della comunicazione finan-
ziaria, tra i quali oggi il piano strategico (o industriale, come spesso è definito nella prassi) assurge a ruolo
centrale. La comunicazione prospettica non di bilancio, tra l’altro, si avvale di forme e contenuti di rappre-
sentazione anche più comprensibili, rispetto a logiche di valutazione contabili fondate su standard sempre
più tecnici, che indubbiamente riducono la capacità di apprezzamento da parte di lettori non dotati delle
più sofisticate competenze contabili.

Il postulato della sostanza economica


Il 1° comma, n. 1-bis), dell’art. 2423 bis c.c. afferma che «la rilevazione e la pre-
sentazione delle voci è effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione o del con-
tratto». In sostanza si introduce nel nostro Codice il postulato della «prevalenza della
sostanza sulla forma», originatosi nel corpus delle regole dello IASB. Si nota che non
appare la parola «valutazione», quasi come a evitare che interpretazioni troppo audaci
delle sostanza portino a violare le costituite norme di valutazione. Il principio riguarda
invece solo la presentazione in bilancio, cosa che limita significativamente la portata
del postulato. Sarà compito anche qui dell’OIC spiegare in opportuni documenti inter-
pretativi fin dove può spingersi tale regola. Ad esempio si potrà ritenere in forza di
questo principio che un acquisto su commissione cui seguirà la rivendita verso il sog-
getto ordinante, potrà essere rilevato solo contabilizzando il margine per l’intermedia-
rio. In realtà qualche esempio applicativo del postulato della sostanza economica è già
contenuto nella versione rivista degli OIC del 2016:
1. In base alle disposizioni dell’OIC 15 Crediti, in tema di applicazione del criterio
del costo ammortizzato in presenza di attualizzazione, è previsto che: «Nel caso dei
crediti finanziari, la differenza tra le disponibilità liquide erogate ed il valore attua-
le dei flussi finanziari futuri, determinato (…) utilizzando il tasso di interesse di mer-
cato, è rilevata tra gli oneri finanziari o tra i proventi finanziari del Conto Econo-
mico al momento della rilevazione iniziale, salvo che la sostanza dell’operazione o
del contratto non inducano ad attribuire a tale componente una diversa natura. In tal
caso, la società valuta ogni fatto e circostanza che caratterizza il contratto o l’ope-
razione». Analoghe disposizioni sono previste in materia di debiti finanziari nel-
l’OIC 19 Debiti.
2. Sempre, nell’OIC 15 Crediti e nell’OIC 19 Debiti, le disposizioni in tema di rileva-
zione iniziale dei crediti e debiti originati dalla compravendita di beni fanno riferi-
mento al passaggio sostanziale e non formale del titolo di proprietà assumendo quale
parametro di riferimento, per il passaggio sostanziale, il trasferimento dei rischi e
benefici.

29
3. Nella nuova versione dell’OIC 16 Immobilizzazioni Materiali sono state meglio
formulate e chiarite le regole da seguire al momento dell’iscrizione iniziale delle im-
mobilizzazioni materiali, secondo cui le stesse sono rilevate inizialmente alla data
in cui avviene il trasferimento dei rischi e dei benefici connessi al bene acquisito,
precisando poi che il trasferimento dei rischi e dei benefici avviene di solito quan-
do viene trasferito il titolo di proprietà. In ogni caso il principio stabilisce che «se,
in virtù di specifiche clausole contrattuali, non vi sia coincidenza tra la data in cui
avviene il trasferimento dei rischi e dei benefici e la data in cui viene trasferito il ti-
tolo di proprietà, prevale la data in cui è avvenuto il trasferimento dei rischi e dei
benefici» e che comunque «nell’effettuare tale analisi occorre analizzare tutte le clau-
sole contrattuali». La stessa specificazione è riportata nell’OIC 13 Rimanenze ai fi-
ni della rilevazione iniziale delle rimanenze di magazzino.
Tuttavia di fronte a questo nobile principio stride enormemente il mancato inse-
rimento in questa riforma dalle contabilizzazione del leasing con il metodo finanzia-
rio (vedasi cap. 4). Che senso ha affermare il concetto di sostanza e lasciare che i
beni in leasing finanziario restino in capo al locatore? Tale assenza di coordinamen-
to con la contabilizzazione del leasing minaccia di rendere in partenza il principio
della prevalenza della sostanza sulla forma vuoto e, almeno finora, privo di reali ef-
fetti sostanziali.
Il postulato della realizzazione degli utili e della competenza economica
Il postulato della prudenza è strettamente correlato a quanto si afferma nel n. 2
dell’art. 2423 bis, secondo il quale «si possono indicare esclusivamente gli utili realiz-
zati alla chiusura dell’esercizio». Da una parte, questa affermazione rappresenta la lo-
gica conseguenza del postulato della prudenza (la redditualizzazione asimmetrica di
costi e ricavi presunti) precedentemente discusso. Dall’altra, questa regola si lega con
il postulato della competenza esaminato nel successivo n. 4): «si deve tener conto dei
proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data del-
l’incasso o del pagamento». Il postulato della competenza economica costituisce da
sempre il fondamentale principio di redazione dei bilanci. Il Codice Civile intende
specificare solamente che l’attribuzione al Conto Economico prescinde dalla manife-
stazione monetaria, che può essere anticipata o posticipata rispetto all’esercizio in cui
sono imputati a Conto Economico. Ora il problema sta nel decidere quando deve con-
siderarsi di competenza un ricavo e quindi un costo, ammesso che il suo invio a Conto
Economico deve prescindere dalla manifestazione monetaria.
In astratto, se si pensa ai vari momenti di un tipico ciclo economico di un’azienda
che va dalla previsione di una vendita di prodotti fino all’incasso del relativo prezzo,
si possono stabilire vari momenti per ritenere il ricavo di competenza. Andando da un
estremo all’altro, si potrebbe contabilizzare un ricavo all’atto al momento della previ-
sione dell’ordine, della ricezione dell’ordine, dell’inizio della produzione, del suo ter-
mine con ottenimento del prodotto, della consegna, dell’incasso del corrispettivo se il
pagamento non avviene alla consegna. Quanto più si procede in avanti, tanto maggiore
è la certezza del ricavo, che diviene assoluta solo quando vi è l’incasso monetario. In

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concreto, rispetto a questi momenti, vi sono state in dottrina almeno due principali ten-
denze 14.
Secondo la prima concezione, un ricavo per un certo bene/servizio è di competenza
dell’esercizio quando in tale periodo sono stati svolti dei cicli produttivi relativi al be-
ne/servizio, anche se non è intervenuta la vendita.
In base ad una seconda concezione, il ricavo sarà di competenza dell’esercizio solo
quando il bene/servizio è stato venduto, ossia è avvenuto il realizzo finanziario (Ga-
lassi, 1967). Questa seconda concezione è ispirata ad una logica più prudenziale, se-
condo la quale la rilevazione e incidenza sul reddito del margine di utile avviene solo
in base all’atto di scambio, con il quale una terza economia riconosce espressamente il
maggiore (sperabilmente) valore del bene/servizio concedendo l’equivalente moneta-
rio. Invece, finché lo scambio non è avvenuto, anche se il ciclo produttivo è terminato,
non potrà riconoscersi il ricavo.
In entrambe le due logiche, i costi saranno di competenza in base alla correlazione
o meno con i ricavi imputati.
L’art. 2423 bis, n. 2, afferma che sono da contabilizzarsi gli utili «solo se realizza-
ti». A prescindere dal fatto che il Codice Civile poteva usare l’espressione «ricavi»
piuttosto che «utili», si precisa in questo modo che il concetto di competenza preferito
consiste nel secondo, in base al quale solo lo scambio avvenuto (ossia la realizzazione,
per quanto non ancora tradottasi monetariamente) giustifica l’attribuzione dei ricavi al
Conto Economico. In questo senso il Codice Civile, di fronte a due concezioni diverse
della competenza economica, opta per quella più prudenziale, nella quale l’attribuzio-
ne dei ricavi è rinviata fino al momento della compravendita, confermando la rilevan-
za del postulato della prudenza nel bilancio di esercizio.
Rispetto a questa impostazione del Codice Civile, si rileva la sensibile differenza
con l’impostazione dei principi contabili internazionali secondo i quali, come regola
generale riportata nel Framework (il documento che contiene le affermazioni di base
della contabilità e del bilancio secondo le regole dello IASB), un ricavo va contabiliz-
zato quando si rileva un incremento di valore di una attività 15 non controbilanciato da
un incremento di passività. In questo senso si giustifica, ad esempio, che possa essere
considerato ricavo un incremento del valore di un immobile posseduto anche se questo
non è venduto, ma che possa comunque essere attendibilmente stimato basandosi sulle
correnti transazioni di mercato. Tale impostazione riduce la portata del momento dello
scambio effettivo per il riconoscimento del ricavo e apre la strada per attribuire signi-

14 Sul tema della competenza si leggano per l’impostazione tradizionale della ragioneria italiana: Zap-
pa, 1951, p. 546; D’Ippolito, 1955, pp. 73-77; Amodeo, 1990, p. 210 ss. Per una interpretazione del disposto
civilistico: Superti Furga, 1991, p. 19. Si consultino poi, quali efficaci contributi di sintesi: Capaldo, 1998;
Sostero, 1998.
15 Al par. 70 A del Framework si riporta la seguente definizione: «I ricavi sono gli incrementi nei bene-

fici economici di competenza dell’esercizio amministrativo, che si manifestano sotto forma di nuove attività
in entrata o accresciuto valore delle attività esistenti o diminuzioni delle passività che si concretizzano in in-
crementi del patrimonio netto, diversi da quelli connessi alle contribuzioni da parte di coloro che partecipano
al capitale».

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ficato anche alla semplice potenzialità di scambio, sempre che siano stimabili valori at-
tendibili. Come svantaggio rispetto alla impostazione codicistica, si riduce in questo
modo la certezza del ricavo, e quindi si è meno prudenti nelle valutazioni; come vantag-
gio, almeno in teoria, si favorisce, la tempestività delle informazioni circa l’avvenuto
incremento di valore del patrimonio aziendale.
I fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio
L’influenza del postulato della prudenza trova conferma anche nel n. 4 dell’art.
2423 bis, secondo il quale «si deve tener conto anche dei rischi e delle perdite di com-
petenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo». Il legislatore
afferma dunque che prudenzialmente i rischi, ossia le perdite soltanto temute, vanno
comunque imputati all’esercizio purché di competenza. La competenza agisce nel sen-
so di ritenere a carico dell’esercizio tutti i costi che trovano in esso la causa della loro
insorgenza, anche se la conoscenza effettiva può essere giunta solo successivamente.
È il caso di un danno ad una filiale estera conosciuto solo dopo la chiusura dell’eserci-
zio, ma avvenuto entro questo termine. I costi derivanti andranno imputati a carico del
periodo amministrativo, facendo prevalere l’aspetto oggettivo (l’insorgenza del costo)
rispetto a quello soggettivo (la conoscenza del medesimo).
Su questo tema lo IASB ha predisposto lo IAS 10 («Fatti intervenuti dopo la data
di riferimento del bilancio»). Semplificando al massimo, in tale standard lo IASB di-
stingue gli eventi avvenuti nel periodo compreso tra la chiusura dell’esercizio e la reda-
zione del bilancio, periodo che solitamente consiste in alcuni mesi; per l’art. 2364 tale
periodo di regola è pari a 120 giorni, in due tipologie, a seconda dell’impatto che esse
avranno sulle situazioni contabili: gli eventi adjusting e quelli non adjusting. I primi
sono eventi successivi alla data di chiusura che accrescono le informazioni circa situa-
zioni già esistenti alla fine dell’esercizio e come tali possono essere usati per affinare
le stime valutative delle relative poste contabili: in questo senso, ad esempio, la di-
chiarazione di insolvenza di un debitore nel periodo che va tra la chiusura dell’eserci-
zio e la redazione del bilancio deve essere usata come informazione per la migliore
(s)valutazione dei crediti esistenti in bilancio verso tale soggetto, così come la vendita
di prodotti conseguita in tale periodo potrebbe affinare la determinazione del valore net-
to di realizzo da impiegare per la valutazione delle rimanenze di magazzino.
Al contrario, gli eventi non adjusting introducono informazioni del tutto nuove, re-
lative ad eventi successivi all’esercizio ormai chiuso e come tali danno solo origine,
qualora significativi, ad informazione integrativa di corredo ai prospetti contabili. Ad
esempio, una variazione nel periodo immediatamente successivo alla chiusura dell’e-
sercizio del valore di mercato di certi investimenti già esistenti in bilancio, non può
mutare la valutazione al valore di mercato compiuta alla fine dell’esercizio, in quanto
la variazione di mercato è successiva alla data di riferimento del bilancio.
L’OIC 29 affronta la questione dei fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio
ma noti entro la data di formazione del bilancio d’esercizio distinguendo tre tipologie:
1. Fatti successivi che devono essere recepiti nei valori di bilancio
Sono quei fatti che modificano condizioni già esistenti alla data di riferimento del

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bilancio ma che si manifestano solo dopo la chiusura dell’esercizio e che richiedono
modifiche ai valori delle attività e passività in bilancio, in conformità al postulato della
competenza. L’OIC 29 indica molti esempi di tali fatti:
 la definizione dopo la chiusura dell’esercizio di una causa legale in essere alla data
di bilancio per un importo diverso da quello prevedibile a tale data;
 i fatti intervenuti dopo la data di chiusura dell’esercizio che facciano emergere che
talune attività già alla data di bilancio avevano subìto riduzioni durevoli di valore o
riduzioni del valore di mercato rispetto al costo (a seconda delle fattispecie) ovvero
evidenzino situazioni, esistenti alla data di bilancio, che incidano sulle valutazioni
di bilancio; per esempio: il deterioramento della situazione finanziaria di un debito-
re, confermata dal fallimento dello stesso dopo la data di chiusura, che normalmen-
te indica che la situazione di perdita del credito esisteva già alla data di bilancio; la
vendita di prodotti giacenti a magazzino a fine anno a prezzi inferiori rispetto al co-
sto fornisce l’indicazione di un minor valore di realizzo alla data di bilancio; la de-
finizione, dopo la chiusura dell’esercizio, di un maggior prezzo di acquisto di
un’attività acquisita o di un minor prezzo di vendita di un’attività ceduta prima del-
la fine dell’esercizio; la scoperta di un errore o di una frode.
2. Fatti successivi che non devono essere recepiti nei valori di bilancio
Sono quei fatti che modificano situazioni esistenti alla data di bilancio, ma che non
richiedono variazione dei valori di bilancio, in quanto di competenza dell’esercizio
successivo quali ad esempio:
 la diminuzione nel valore di mercato di taluni titoli nel periodo successivo rispetto
alla chiusura dell’esercizio, in quanto tale riduzione riflette condizioni di mercato
intervenute dopo la chiusura dell’esercizio;
 la distruzione di impianti di produzione causata da calamità avvenute dopo la chiu-
sura dell’esercizio;
 la perdita derivante dalla variazione delle parità di cambio con valute estere avve-
nuta dopo la chiusura dell’esercizio;
 la sostituzione di un prestito a breve con uno a lungo termine conclusasi nel perio-
do tra la data di chiusura dell’esercizio e quella di formazione del bilanci;
 la ristrutturazione di un debito avente effetti contabili nel periodo tra la data di
chiusura dell’esercizio e quella di formazione del bilancio.
Questi fatti non influiscono su Stato Patrimoniale e Conto economico ma sono illu-
strati nella Nota Integrativa perché la loro mancata comunicazione comprometterebbe
la possibilità per i destinatari dell’informazione societaria di fare corrette valutazioni e
prendere appropriate decisioni.
3. Fatti successivi che possono incidere sulla continuità aziendale
Alcuni fatti successivi alla data di chiusura del bilancio possono far venire meno il
presupposto della continuità aziendale. Gli amministratori, ad esempio, possono pro-
porre la liquidazione della società o di cessare l’attività operativa. Oppure le condizio-
ni gestionali della società stessa, quali un peggioramento nel risultato di gestione e nella

33
posizione finanziaria dopo la chiusura dell’esercizio, possono far sorgere la necessità
di considerare se, nella redazione del bilancio d’esercizio, sia ancora appropriato basarsi
sul presupposto della continuità aziendale. Se il presupposto della continuità aziendale
non risulta essere più appropriato al momento della redazione del bilancio, è necessa-
rio che nelle valutazioni di bilancio si tenga conto degli effetti del venir meno della con-
tinuità aziendale.
La valutazione separata degli elementi eterogenei
Proseguendo nella disamina della norma civilistica, il principio inserito nell’art.
2423 bis, n. 5 («Gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere
valutati separatamente»), non sembra avere la stessa importanza concettuale di quelli
visti in precedenza. L’affermazione di per sé suona quasi come ovvia: se la voce (dello
schema di bilancio civilistico, si intende) comprende elementi ben diversi quanto a
funzione assolta entro l’azienda, i processi valutativi devono essere separati (Marasca,
1999, p. 104). Ad esempio, nella voce «altre immobilizzazioni materiali» possono es-
sere compresi mobili e computer, arredi, oggetti decorativi e autovetture, tutti beni ben
distinti quanto a caratteristiche di uso, tassi di obsolescenza, ecc. Seguiranno quindi per
tali beni processi valutativi distinti.

Cambiamenti di principi contabili e cambiamenti di stime


Ben più importante è il postulato formulato dall’art. 2423 bis, n. 6: «i criteri di va-
lutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro».
Il presupposto di questa affermazione consiste nel fatto che per ciascuna delle voci
in bilancio possono essere applicati criteri di valutazione diversi, anche rimanendo en-
tro il range di quelli ammessi dallo stesso legislatore.
Usare criteri di valutazione mutevoli nel corso del tempo renderebbe ovviamente
scarsamente comparabili i bilanci tra loro e la comparabilità dei bilanci, come accen-
nato nel paragrafo precedente, assume per i terzi lettori (investitori o altri) un’impor-
tanza basilare, consentendo di confrontare l’evoluzione della gestione dell’azienda av-
venuta nel periodo con quello degli esercizi precedenti, onde dedurne indicazioni sulla
tendenza verso il mantenimento, l’abbandono o il ripristino delle condizioni di eco-
nomicità. Non solo. Mantenere gli stessi criteri di valutazione tende a ridurre anche lo
spazio di manovra a favore degli amministratori nel mutare di volta in volta criteri per
tentare di esporre situazioni apparentemente migliori di quelle ottenibili applicando i
vecchi criteri.
Tale principio tuttavia non è assoluto. L’ultimo comma dell’art. 2423 bis ammette
anche la deroga alla costanza dei criteri di valutazione in casi eccezionali precisando
che «la Nota Integrativa deve motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappre-
sentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico».
Fermo restando quanto precedentemente descritto in merito all’art. 2423, 4° com-
ma sulla identificazione dei casi eccezionali, va rilevato che in ogni caso questa dero-
ga deve operarsi solo quando la costanza di applicazione condurrebbe alla violazione
dei principi della rappresentazione veritiera e corretta, primario postulato del bilancio.
Per tutelarsi poi dal rischio di non consentire la comparabilità dei bilanci nel tempo, il

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legislatore ha opportunamente previsto che la Nota Integrativa fornisca comunque tutti
quei dati che permettano di confrontare il bilancio redatto secondo i nuovi criteri con i
bilanci predisposti con i precedenti metodi impiegati 16.
L’OIC è intervenuto sulla questione con l’OIC 29 nel quale si distingue anzitutto il
cambiamento di principio contabile dal cambiamento di una stima contabile. Il primo
rientra nel concetto dell’art. 2423 bis, n. 6, in quanto è una variazione rispetto al prin-
cipio contabile adottato nel precedente esercizio. I cambi di stime invece rientrano nel
normale processo di redazione del bilancio e riguardano l’aggiornamento delle previ-
sioni sulla realizzabilità futura degli elementi patrimoniali. Secondo l’OIC 29, in gene-
re è agevole distinguere un cambiamento di stima da un cambiamento di principio con-
tabile. Ma vi sono casi in cui tale distinzione non è immediata. Per esempio, per certi
oneri differibili, una società può passare dal capitalizzare un onere ad addebitarlo al
Conto Economico nell’esercizio di sostenimento, perché nuove informazioni indicano
incerto l’ottenimento di benefici futuri da quell’onere. Capitalizzazione e addebito al
Conto Economico sono criteri contabili alternativi; tuttavia, in questa ipotesi il cam-
biamento non rappresenta una scelta generale di politica contabile aziendale, e quindi
la modifica è un cambiamento di stima e non di principio.
Per l’OIC 29 un cambiamento di principio contabile è ammesso solo se validamen-
te motivato e se adottato per una migliore rappresentazione in bilancio dei fatti e delle
operazioni della società.
Il cambiamento di un principio contabile è rilevato nell’esercizio in cui viene adot-
tato ed i relativi fatti ed operazioni sono trattati in conformità al nuovo principio, che
può essere applicato considerandone gli effetti retroattivamente o prospetticamente.
Si ha applicazione retroattiva quando il nuovo principio contabile è applicato anche
a fatti ed operazioni avvenuti in esercizi precedenti quello in cui interviene il cambia-
mento, cioè come se il nuovo principio fosse stato sempre applicato. In tal caso gli effet-
ti dell’adozione di nuovi e diversi criteri contabili sono rilevati imputandoli a riserva
del netto, voce “Altre riserve”. Nella precedente versione dell’OIC 29, valida fino al
bilancio dell’esercizio 2016, si prevedeva invece l’invio di tali effetti a Conto Econo-
mico nell’area straordinaria. Con tale modifica, l’OIC 29 si è uniformato alla discipli-
na già prevista dallo IAS 8. Si ha applicazione prospettica quando il nuovo principio
viene applicato solo a eventi e operazioni a partire dall’esercizio in cui interviene il
cambiamento. Gli eventi e le operazioni rilevati in esercizi precedenti continuano ad es-
sere riflessi in bilancio in conformità al precedente principio.
Gli effetti dei cambiamenti di principi contabili sono rilevati retroattivamente, salvo i
casi in cui non sia ragionevolmente possibile calcolare l’effetto pregresso del cambia-
mento di principio oppure la determinazione dell’effetto pregresso risulti eccessivamen-
te onerosa. Si rinvia al box seguente per una esemplificazione contabile dell’interpre-
tazione offerta dall’OIC 29.

16 Sul principio di comparabilità si leggano: de Dominicis, 1964, pp. 480-494; Potito, 1971; Zuccardi
Merli, 1981; Viganò, 1990; Lacchini, 1994; Gabrovec Mei, 1995.

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BOX 4 – Il trattamento contabile degli effetti dei cambiamenti dei criteri di valutazione
Si supponga che un’azienda abbia finora imputato i costi indiretti industriali ai prodotti in rimanenza
secondo una certa base di riparto (per comodità criterio Alfa) tale da comportare rimanenze di 400 all’ini-
zio dell’esercizio e di 600 al termine. Durante il nuovo esercizio si ipotizzi che gli amministratori, per con-
formarsi a regole contabili della capogruppo, optino per un nuovo criterio di imputazione di tali costi indi-
retti (criterio Beta), secondo il quale le rimanenze iniziali di prodotti passano ad un valore di 350 e quelle
finali a 470.

Rimanenze iniziali Rimanenze finali Variazione rimanenze


Criterio Alfa (vecchio) 400 600 + 200
Criterio Beta (nuovo) 350 470 + 120
Differenza (Beta-Alfa) – 50 – 130 – 80

L’effetto cumulato è costituito dal – 50 di differenza tra i due valori delle rimanenze iniziali che impat-
ta sulle riserve di utili per applicazione dell’effetto retroattivo. Nel bilancio apparirà poi al punto A.3 del
Conto Economico la variazione delle rimanenze di prodotti per + 120 applicando all’esercizio il criterio Be-
ta, dovuto al normale svolgersi degli eventi nel nuovo esercizio. In questo modo se sommassimo algebri-
camente il ricavo di 120 come variazione di magazzino calcolata con il nuovo principio e i – 50 costituenti
l’effetto cumulato iniziale derivante dal cambio di criterio, otterremmo + 70, che rappresenta la differen-
za tra le rimanenze iniziali calcolate con il vecchio principio (400) e le rimanenze finali calcolate con il
nuovo (470). Le rilevazioni contabili, riferendoci all’esempio esposto, saranno dunque le seguenti:

1/1 – Ripresa rimanenze iniziali prodotti con vecchio criterio

Variazione rimanenze prodotti (o Rimanenze iniziali) 400


Prodotti 400

31/12 – Rilevazione rimanenze finali con nuovo criterio

Prodotti 470
Variazione rimanenze prodotti (o Rimanenze finali) 470

31/12 – Rilevazione effetto cumulativo pregresso

Riserve di utili per cambiamento principi contabili 50


Variazione rimanenze prodotti (o Rimanenze iniziali) 50

L’OIC 29 chiede poi di evidenziare in Nota Integrativa non solo l’effetto cumulato sopra descritto che
incide sul patrimonio netto iniziale, ma anche l’effetto ordinario del cambio di principio sul risultato di
esercizio. Nell’esempio sopra riportato tale effetto ordinario rappresenta la differenza tra la variazione del
magazzino tra nuovo criterio (+ 120) e vecchio criterio (+ 200), ossia – 80. In questo modo:
– la variazione delle rimanenze di prodotti avrà saldo avere di 120, come incremento delle rimanenze va-
lutate con il nuovo criterio;
– i prodotti appariranno in Stato Patrimoniale per 470, valore derivante dall’applicazione del nuovo criterio;
– nel patrimonio netto apparirà una riserva con saldo negativo di 50 che ha significato se si pensa che
rappresenta in sostanza lo «scorporo» dalle rimanenze iniziali di 400 della quota connessa all’applica-
zione del nuovo criterio;

36
– in Nota Integrativa, oltre alla motivazione del cambiamento, dovranno essere distintamente evidenziati
l’effetto cumulativo (– 50 nell’esempio), l’effetto ordinario sul risultato di esercizio (-80) e sul patrimo-
nio netto, al lordo e al netto dell’incidenza fiscale.
La logica usata è quindi quella adottata dallo IASB nel suo standard 8, «Utile (perdita) di esercizio, er-
rori determinanti e cambiamenti di principi contabili», secondo il quale gli effetti dei cambiamenti dei cri-
teri di valutazione devono contrapporsi non ad un costo/ricavo a Conto Economico, ma all’ammontare
degli utili a nuovo. Lo IAS 8 tuttavia stabilisce che un cambio di criterio di valutazione può esser fatto o
quando lo impone uno standard o una interpretazione di uno standard, oppure quando il management
ritiene che il nuovo criterio porti ad una rappresentazione di bilancio più affidabile. Da questo punto di
vista, lo IAS 8 sembra stabilire condizioni più blande rispetto a quelle previste dall’attuale normativa italia-
na, che subordina il cambiamento del principio ai «casi eccezionali», sempre nell’ambito di un migliora-
mento dell’informazione di bilancio.

La logica dell’applicazione retrospettica del nuovo principio contabile trova ampio


spazio nel caso in cui un’azienda decidesse di cambiare integralmente il set di regole
di redazione del bilancio, come avvenuto per tutte le imprese che sono passate dalle
regole nazionali a quelle dei principi contabili internazionali, come meglio esemplifi-
cato nel box seguente.

BOX 5 – La prima applicazione delle regole dello IASB (IFRS 1)


Il primo bilancio redatto in conformità agli IFRS è quel bilancio nel quale per la prima volta l’azienda
adotta gli IFRS con una dichiarazione di conformità agli IFRS (nessuno escluso) esplicita e senza riserve.
L’azienda deve predisporre uno Stato Patrimoniale di apertura in conformità agli IFRS in vigore alla data di
passaggio agli IFRS. Inoltre gli IFRS devono essere applicati anche ai bilanci che sono presentati comparati-
vamente assieme al primo bilancio redatto in conformità agli IFRS (nel caso italiano il bilancio dell’esercizio
precedente). Le rettifiche necessarie per adeguare le attività e le passività dello Stato Patrimoniale di aper-
tura a quanto previsto dagli IFRS sono imputate agli utili portati a nuovo (conformemente a quanto previ-
sto dallo IAS 8, descritto al par. 1.4). Per cui, ad esempio, l’annullamento di un’attività che gli IFRS non
contemplano come i marchi sviluppati internamente (si veda sub par. 3.5) per un valore di 200 sarà regi-
strato nel seguente modo, supponendo un’aliquota di imposta del 40%.

Riserve per utili a nuovo (SP) 50


Prodotti (SP) 50

Lo stanziamento di imposte anticipate (vedasi sub cap. 13) dipende dal fatto che nell’esercizio di capi-
talizzazione dei costi di pubblicità l’azienda aveva conseguito un reddito maggiore di quello che sarebbe sta-
to senza capitalizzazione. Quindi in passato l’azienda ha sostenuto maggiori imposte rispetto a quelle do-
vute per competenza. Tali maggiori imposte sono considerate come imposte anticipate con relativa iscrizione
in apposita voce dello Stato Patrimoniale. Esse andranno quindi stornate negli anni successivi quando il fisco
riconoscerà man mano deducibili degli ammortamenti su costi di pubblicità che non figurano più in Stato
Patrimoniale e quindi farà pagare minori imposte rispetto a quelle di competenza. Per ripristinare il corret-
to carico fiscale sul Conto Economico degli esercizi successivi si dovrà quindi incrementare il costo per
imposte stornando le imposte anticipate rilevate alla data della transizione.
L’azienda deve inoltre descrivere nelle note al bilancio come il passaggio dai precedenti principi con-
tabili agli IFRS abbia influito sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sull’andamento economico e sui
flussi finanziari presentati.

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L’applicazione retrospettica può non essere applicata in alcuni casi ed è proibita in altri.
Un esempio di deroga facoltativa è rappresentato dalla possibilità di valutare un elemento degli immobili,
impianti e macchinari o delle immobilizzazioni immateriali (sotto determinate condizioni) alla data di pas-
saggio agli IFRS al fair value (in sostanza al valore di mercato) e utilizzare tale valore come sostituto del co-
sto a tale data (opzione del fair value as deemed cost). Questa deroga, esercitabile anche per un singolo
bene e non necessariamente per tutta la classe cui appartiene, formalmente agevola le imprese consen-
tendo loro di non dover rideterminare il costo secondo le regole dello IASB. Nella sostanza, permettendo
un adeguamento al fair value (valore di mercato alla data di transizione) è stata sfruttata da molte aziende
italiane per effettuare delle rivalutazioni «spot», tali da non implicare l’abbandono del modello del costo o
per giustificare delle rivalutazioni già compiute secondo le Leggi di rivalutazione emanate dal Legislatore
italiano.
Un esempio di divieto di applicazione retrospettiva consiste nel mantenere alla data di transizione agli
IAS le stime effettuate secondo il previgente corpus di principi contabili (a meno che tali stime contenesse-
ro degli errori). Per cui, ad esempio, se con i principi contabili italiani si riteneva di non dover svalutare un
cespite che invece a norma dello IAS 36 poteva essere sottoposto ad una procedura di svalutazione, il be-
ne alla data della transizione non dovrà essere nuovamente valutato. Sarà dalla data di transizione in poi
che si applicherà lo IAS 36.

Considerando quindi il combinato disposto degli artt. 2423 e 2423 bis, emerge che
il più importante postulato civilistico è quello della rappresentazione chiara, veritiera e
corretta, in modo che il bilancio di esercizio possa assolvere alla sua funzione infor-
mativa. Per raggiungere questo scopo si dovranno fornire le informazioni complemen-
tari non previste dal Codice o derogare (sia pur in casi eccezionali) alle norme del Co-
dice quando queste ostacolino il quadro fedele.
In modo subalterno, il legislatore ha previsto il postulato della prudenza e della
competenza economica, per la quale la prudenza stessa comporta la scelta di una sua
particolarità modalità, quella della realizzazione dei ricavi e della costanza dei criteri
di valutazione.

1.5. I postulati del bilancio di esercizio secondo i principi contabili del-


l’OIC

Il documento n. 11 del principi contabili dell’OIC, dopo aver premesso che gli stessi
principi servono ad integrare e interpretare la legge civile, e ribadita l’importanza de-
cisiva del bilancio di esercizio nel soddisfare le attese di conoscenza sulla gestione
aziendale proprie di soggetti interni ed esterni, si sofferma a descrivere ben quindici
postulati di bilancio, alcuni dei quali replicano quanto già contenuto nei sopra descritti
articoli del Codice Civile.
Utilità
Il postulato dell’utilità del bilancio di esercizio per i destinatari è il primo postulato
presentato dal documento n. 11, corredato da esempi relativi alle informazioni ricerca-
te da stakeholder quali creditori e azionisti. Come altrove chi scrive ha già sostenuto
(Quagli, 1999a), in realtà si ritiene che l’utilità del bilancio per i destinatari rappresen-

38
ta più una conseguenza derivante dall’applicazione dei postulati successivamente de-
scritti che un postulato esso stesso. Anzi, l’utilità decisionale per i lettori rappresenta,
nella prospettiva del bilancio di esercizio come strumento informativo verso l’esterno,
lo scopo ultimo del bilancio stesso e non tanto un postulato di redazione.
Prevalenza della sostanza sulla forma
Secondo il documento n. 11, il trattamento contabile dei fatti aziendali deve basarsi
sulla reale sostanza economica dell’operazione, più che sugli aspetti formali, inten-
dendo con quest’ultima espressione la conformità alle norme legislative. Ad esempio,
un contratto di riporto che giuridicamente consiste in una vendita ed in un successivo
riacquisto a prezzo prestabilito, nella realtà è un’operazione di finanziamento garantita
da titoli. Quindi il criterio da seguire consiste nel trattare contabilmente in modo unita-
rio e uniforme quelle operazioni che rappresentano giuridicamente degli atti isolati ma
sono tra loro collegate inscindibilmente sotto il profilo economico (Maglio, 1998). Per
ulteriori commenti si rinvia a quanto descritto nel par. 1.4.3.
Comprensibilità (chiarezza)
Ripetendo lo stesso postulato sancito dall’art. 2423 c.c., molto sinteticamente, il
documento n. 11 ritiene che la chiarezza del bilancio sia favorita fornendo informazio-
ni analitiche e inserendo nella Nota Integrativa elementi che consentano di agevolare
l’intelligibilità della schematica simbologia contabile.
Quali possibili applicazioni di questo postulato, nel documento n. 11 sono portate ad
esempio delle regole (poi inserite nel documento n. 12) riguardanti la struttura formale
degli schemi di bilancio, come la separata indicazione dei singoli componenti del red-
dito e del patrimonio senza effettuazione di compensazioni.
Neutralità (imparzialità)
Molti valori riepilogati in bilancio, derivando da stime e congetture, dipendono dal-
la discrezionalità del valutatore. Questo soggetto, secondo il documento n. 11, dovreb-
be svolgere il suo ruolo con imparzialità e competenza, avendo per riferimento il mag-
gior numero possibile di destinatari, senza ricercare il soddisfacimento di interessi par-
ticolari. Ciò comporta, secondo il documento, l’esposizione in bilancio del reddito «pro-
dotto». In sintesi questa imparzialità dovrebbe essere il contenuto della neutralità.
Nel documento n. 11 si forniscono due esempi di deviazioni da tale postulato.
 la prima deviazione consiste nelle già menzionate politiche di livellamento dei red-
diti, tramite le quali si effettuano compensazioni tra i risultati economici di esercizi
successivi usando accorgimenti che impediscano al lettore del bilancio la compren-
sione della reale sostanza economica;
 il secondo caso di deviazione consiste nell’effettuazione di valutazioni ispirate alla
logica dell’acquirente.
Prudenza
Come afferma il documento n. 11, operativamente questo postulato si concreta nel-

39
la regola valutativa asimmetrica di imputare al conto del reddito solo i ricavi realizzati
mentre i costi saranno da attribuire all’esercizio anche se non sono stati effettivamente
sostenuti ma solo stimati, come rischio di perdite future conseguente da operazioni che
nell’esercizio stesso hanno le loro radici. Il documento n. 11 precisa che non si deve ec-
cedere nell’adozione di questo criterio, ad esempio sopravvalutando oltre misura i co-
sti per rischi e perdite potenziali. Come applicazione della prudenza va intesa anche la
regola secondo la quale si deve evitare di compensare utili sperati con perdite presunte.
Le compensazioni sono possibili solo dove rappresentano elemento tipico delle singo-
le operazioni (come nel caso di determinate operazioni finanziarie per le quali è previ-
sta una «stanza di compensazione»). Per ulteriori commenti si rinvia a quanto descritto
nel par. 1.4.
Periodicità della misurazione del risultato economico e del patrimonio aziendale
Il bilancio di esercizio deve essere redatto «ogni esercizio» (casomai vi fossero dei
dubbi!). Per le aziende quotate in borsa vi è obbligo di redigere dei bilanci infrannuali
(relazione semestrale, relazione trimestrale), ma questa problematica esula dagli scopi
del presente volume.
Comparabilità
Il documento n. 11 precisa che questo postulato nella redazione del bilancio si tra-
duce nella costanza di applicazione sia degli aspetti sostanziali, come applicazione de-
gli stessi criteri di valutazione (consistency), sia della struttura formale, come modalità
di esposizione delle voci costanti nel tempo, sia della necessaria segnalazione delle
operazioni straordinarie avvenute che modifichino sensibilmente la struttura aziendale
(es. fusioni, cessioni di rami aziendali, ecc.).
Per quanto riguarda la comparabilità formale, la costanza della struttura dei pro-
spetti contabili componenti il bilancio è sancita già dal legislatore all’art. 2423 ter 17
c.c., che rende inderogabile la forma presentata negli arttt. 2424 e 2425, rispettivamen-
te per lo Stato Patrimoniale e per il Conto Economico. Il legislatore impone poi l’ob-
bligo di mostrare per ogni voce il corrispondente l’importo dell’esercizio precedente.
Il documento n. 11 specifica inoltre che nei bilanci deve essere fornita chiara evi-
denza dell’impatto contabile di quelle operazioni (eventi straordinari, fusioni, scorpori,
cessione di rami d’azienda) che possono rendere ardua la comparabilità di bilanci rela-
tivi ad esercizi precedenti.
Sulla comparabilità sostanziale (intesa come costanza dei criteri di valutazione)
valgono le considerazioni esposte discutendo dell’art. 2423 bis. Secondo il documento
n. 11, però, l’applicazione delle regole sopra esaminate non garantisce comunque la
comparabilità spaziale tra bilanci di aziende diverse (comparability). Per ottenere la fa-
cile confrontabilità tra aziende diverse, oltre che di bilanci successivi della stessa im-

17
Alcune eccezioni all’inderogabilità della struttura civilistica sono consentite al livello di voci pre-
cedute da numeri arabi come stabilito dal 2°, 3° e 4° comma dell’art. 2423 ter c.c., commentate più avanti
nel par. 2.1.3.

40
presa (comparabilità temporale), bisognerebbe che tutte le aziende adottassero lo stes-
so criterio valutativo. Dal momento che metodi di valutazione alternativi sono am-
messi nella legge civile e dagli stessi principi contabili dell’OIC e dello IASB, non è
possibile garantire a priori il raggiungimento della comparabilità spaziale.
All’argomento è dedicato anche il postulato della continuità (costanza di applica-
zione dei principi contabili ed in particolare dei criteri di valutazione), che nel docu-
mento n. 11 è presentato, piuttosto stranamente, come principio autonomo. Quest’ulti-
mo postulato costituisce a tutti gli effetti una specificazione del principio della compa-
rabilità sostanziale testé discusso.
Omogeneità
Per omogeneità si intende l’adozione in bilancio di un’unica moneta di conto. An-
che in questo caso più che di postulato in sé, il criterio in parola sembra una specifica-
zione della regola generale della chiarezza.
Competenza
Si è già discusso in termini generali della competenza economica. Il documento n.
11 afferma anzitutto che i costi ed i ricavi devono essere imputati all’esercizio al quale
competono avendo riguardo alla sostanza economica dell’operazione e non alla effet-
tiva movimentazione numeraria.
La regola è poi specificata affermando che l’imputazione dei costi e dei ricavi non
può avvenire considerando disgiuntamente i due gruppi di componenti reddituali ma,
al contrario, deve valere il principio della «correlazione», intendendo cioè, che l’impu-
tazione deve avvenire congiuntamente per quei ricavi e per quei costi legati tra loro da
nessi funzionali, in termini di contributo ai processi operativi.
Al di là di questo principio generale, questa regola abbisogna tuttavia di ulteriori
specificazioni. In particolare, si tratta di capire operativamente quando si debba rite-
nere verificata la sostanza economica dell’operazione.
Il documento n. 11, in linea con quanto disposto dal Framework IASB e più in ge-
nerale dalla prassi contabile statunitense (Galassi, 1967), considera che il punto di par-
tenza consiste nel definire la competenza dei ricavi. Assume al riguardo decisiva valen-
za l’atto di scambio.
I ricavi pertanto saranno considerati di competenza quando sono realizzati, cioè quan-
do il processo produttivo dei beni è stato completato e lo scambio con terze econo-
mie è avvenuto, con passaggio sostanziale (e non solo formale) del titolo di proprietà.
Tale momento è convenzionalmente rappresentato dalla spedizione o dal momento in
cui i servizi sono resi e fatturabili. Solo in tale momento infatti vi è un riconoscimento
«esterno» di un certo valore, sino a quel punto solo ipotizzato internamente, al quale si
contrappone la prestazione aziendale di cessione di un prodotto ultimato 18.

18 Sulle diverse ipotesi relative al momento nel quale i ricavi devono ritenersi «realizzati» (determina-
zione dei ricavi durante la produzione, a produzione effettuata, al momento della vendita, al momento
dell’incasso), si legga Galassi, 1967, pp. 220-225.

41
I costi, si è detto, devono essere correlativi ai ricavi. Stabiliti i ricavi di competen-
za, si tratta perciò di imputare quei costi che ad essi saranno associati da legame fun-
zionale. I costi già sostenuti finanziariamente ma non connessi a ricavi imputati all’e-
sercizio saranno rinviati al futuro, qualora possano contribuire all’ottenimento di altri
ricavi nei prossimi esercizi.
Quindi, attribuiti i ricavi, sono di competenza del medesimo esercizio i costi che
soddisfano le seguenti condizioni:
 per i beni e i servizi a fecondità semplice, quando esiste un’associazione causale
diretta con i ricavi (l’esempio più chiaro riguarda le provvigioni ai rappresentanti
attribuite in base ai ricavi fatturati ma potrebbe essere il caso anche delle materie o
dei servizi di lavorazione esterna incorporati nei beni venduti) 19;
 per i beni e i servizi a fecondità ripetuta (impianti, ecc.), per ripartizione in quote
del costo complessivo su base razionale e sistematica in mancanza di una più diret-
ta correlazione.
Negli altri casi, i costi dovranno essere rinviati agli esercizi successivi in cui si ma-
nifesteranno i relativi ricavi.
Tuttavia vi possono essere casi nei quali i costi, sebbene non correlati ai ricavi
dell’esercizio, sono di competenza dell’esercizio medesimo in quanto non contribui-
ranno all’ottenimento di futuri ricavi e quindi non possono essere rinviati ai periodi
successivi (ad esempio il costo per ricerche rivelatesi infruttuose o per impianti non
ammortizzati distrutti da un incendio).
Significatività e rilevanza dei fatti economici ai fini della loro presentazione in bi-
lancio
Il bilancio deve fornire un supporto utile alle decisioni dei destinatari. Anche questi
ultimi sono comunque degli operatori economici, e sono quindi caratterizzati da scar-
sità di risorse, di tempo e di capacità di elaborare le informazioni provenienti dall’a-
zienda. Si tratta pertanto di privilegiare nel processo di redazione del bilancio le in-
formazioni più rilevanti per i destinatari a scapito di altre che, pur se formalmente cor-
rette, comporterebbero un costo di ricerca, rappresentazione, elaborazione ed interpre-
tazione superiore al beneficio informativo ricavabile. E molte regole del Codice Civile
impongono descrizioni di informazioni in bilancio solo se «significative». Più preci-
samente per «significatività» nella prassi si intende l’influenza di una informazione di
bilancio nel processo decisionale dell’utente. Per «rilevanza» invece (materiality), si fa
riferimento alla dimensione quantitativa della medesima informazione. In questo senso

19 Anche il Ministero delle Finanze ha sposato in pieno il criterio della realizzazione dei ricavi (Ris.

Min. n. 14/E del 5 marzo 1998). L’occasione è stata data da un quesito posto da un’impresa smaltitrice di
rifiuti in merito alla deducibilità dei costi di processo. In effetti tali aziende conseguono prima i ricavi, trami-
te ritiro dei rifiuti da altre aziende, e poi sostengono i costi relativi al processo di smaltimento. Il Ministero
ha affermato che una volta stabilito l’esercizio di competenza dei ricavi, divengono automaticamente de-
ducibili i costi correlativi, anche se finanziariamente non ancora sostenuti. L’imputazione degli oneri cor-
relativi dovrà pertanto essere compiuta utilizzando adeguate stime che tengano conto delle risultanze della
gestione passata. Sul punto si legga Dezzani, 1999.

42
i due concetti sono strettamente uniti: una informazione diviene significativa solo se è
rilevante, ossia per importi tali da far mutare il giudizio del lettore del bilancio (su questi
aspetti si rinvia al bel lavoro di Branciari-Poli, 2009).
Il costo come criterio base delle valutazioni di bilancio dell’impresa
La scelta del costo come criterio base nelle valutazioni civilistiche (Palma, 1999) è
giustificata dal documento n. 11 per il fatto che tale misura:
 esprime, perlomeno nel momento iniziale dell’acquisizione di un fattore, il valore
(minimo) funzionale che l’azienda attribuisce al fattore medesimo; è chiaro infatti
che se questa corrispondenza mancasse, il bene non sarebbe stato acquisito;
 limita la discrezionalità dei redattori del bilancio (con implicito rinvio ai postulati
della neutralità, della comparabilità e della prudenza), vincolando le loro stime ad
un preciso valore;
 è di facile applicazione e, perlomeno in linea generale, agevolmente verificabile 20.
Il documento n. 11 svolge un ragionamento atto a dimostrare che qualora il valore
recuperabile di un certo bene fosse diverso (generalmente, ma non esclusivamente, in-
feriore) dal costo, questo dovrebbe essere modificato per tener conto delle mutate si-
tuazioni. Quindi al documento n. 11 preme rilevare che il costo è solo un criterio di
valutazione e non un valore inderogabile di bilancio. Comparando il criterio del costo
rispetto a tali caratteristiche, la significatività del dato è sicuramente inferiore se l’esa-
me è circoscritto al singolo elemento patrimoniale.
Conformità del complessivo procedimento di formazione del bilancio ai corretti prin-
cipi contabili
Il documento n. 11 sancisce che il processo di formazione del bilancio consta di di-
verse fasi che compongono il momento della rilevazione dei fatti aventi rilevanza con-
tabile, della inventariazione dei componenti attivi e passivi e della rappresentazione del-
la situazione patrimoniale-finanziaria e dei risultati conseguiti nell’esercizio. Il docu-
mento n. 11 scende nel dettaglio di ciascuna di queste fasi stabilendone, in linea molto
generale, le più opportune modalità operative. Ad esempio si stabilisce che il sistema
contabile-amministrativo adottato dall’impresa deve assicurare, tramite un adeguato si-
stema informativo, i controlli interni, l’impiego di personale competente, la ripartizio-
ne delle funzioni, le autorizzazioni, ecc.
Funzione informativa della Nota Integrativa al bilancio e delle altre informazioni
necessarie
Siccome le informazioni per i destinatari devono essere chiare e significative, vi è
la necessità che la Nota Integrativa fornisca gli elementi necessari per raggiungere tale
obiettivo, ampliando la «schematica simbologia contabile» dello Stato Patrimoniale e

20Le ultime due circostanze sono state ad esempio criticate dal Ferrero (1976), il quale ritiene che es-
se neghino qualunque pretesa di razionalità del criterio del costo nella scelta del principio base delle valu-
tazioni di bilancio.

43
del Conto Economico e inserendo nuovi elementi. Tale postulato appare anch’esso co-
me una specificazione del più generale postulato della chiarezza.
Verificabilità dell’informazione
Affinché l’informazione contenuta nel bilancio possa essere affidabile per i destina-
tari, il bilancio stesso e le scritture dalle quali deriva devono essere verificabili, in modo
che un controllo delle stesse (da parte di soggetti interni ed esterni) sia capace di con-
fermare o meno l’attendibilità del medesimo.
Si può percepire come in alcuni casi l’applicazione di questo postulato non sia age-
vole, se esaminata in relazione con altri criteri. Ad esempio, nel momento in cui si
tratta di determinare il valore presunto di realizzo futuro da confrontare con il costo
per scegliere tra questi il minore, è evidente che la verificabilità farà riferimento alla
possibilità non di risalire alla formazione di un dato storico ma a quella di ricostruire il
complesso di ipotesi e la loro congruenza interna (Ferrero, 1988) che hanno condotto
gli amministratori alla scelta di un valore non ancora realizzato.
Per cui il postulato della verificabilità contribuisce a potenziare la valenza del po-
stulato del costo precedentemente discusso. In effetti, per un qualsiasi revisore, è mol-
to più difficile attestare la validità di stime soggettive che non limitarsi a verificare il
costo sostenuto per certi fattori. D’altronde, i fruitori dei principi contabili non sono
solo i lettori o i redattori del bilancio, ma anche i controllori di quest’ultimo. Dal mo-
mento che i lettori esterni del bilancio, ossia quelli che non hanno la possibilità di con-
sultare i documenti interni della società (come la contabilità o i verbali del CdA), pos-
sono basare i loro giudizi solo sul bilancio pubblicato, discende da questo principio di
base la necessità di presentare bene nelle note al bilancio le motivazioni di certe scelte
contabili e le ipotesi che stanno alla base dei più complessi e importanti procedimenti
valutativi. Solo tramite questa disclosure si può mirare ad una verificabilità delle in-
formazioni di bilancio anche da parte dei lettori esterni.

1.6. Una sintesi dei postulati del bilancio di esercizio


Come si vede dalle sintesi precedenti, se pensiamo all’intero quadro normativo di
riferimento per il nostro Paese, non è semplice districarsi tra i postulati del bilancio.
Esistono molti punti di consenso tra le tre fonti normative sopra esaminate (ribadendo
comunque il primato della legge civile), ma anche alcune diversità.
In generale si può affermare che tutte queste fonti si ispirano al modello di un si-
stema deduttivo (Galassi, 1978), nel quale dai principi più astratti e generali si giunge
per deduzione a ricavare le norme specifiche da applicarsi alle singole voci di bilancio.
Ovviamente in un sistema del genere deve esistere una notevole coerenza tra le regole
in esso contenute, ed anche una certa gerarchia, in modo da dirimere possibili conflitti
tra postulati. In realtà la gerarchia dei postulati non è sempre evidente (come nel caso
dei postulati dell’OIC).
Come opinione personale, una possibile articolazione logica dei vari postulati fin
qui presentati potrebbe essere la seguente:

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Il sistema dei postulati di bilancio secondo le regole nazionali

UTILITÀ DEL BILANCIO PER GLI UTENTI (scopo del bilancio)

Significatività/Rilevanza
(influenza su giudizio decisionale dell’utente)

Attendibilità (quadro fedele)

 Competenza economica
 Neutralità/correttezza
 Prudenza/realizzazione dei ricavi/valutazioni al costo
 Verificabilità
 Obbligo di deroga (ex art. 2424, 4° comma)

Chiarezza Comparabilità

 Omogeneità  Continuità dei criteri di valutazione


 Funzione informativa della nota integrativa  Periodicità
 Prevalenza della sostanza sulla forma
 Completezza
 Obbligo informazione integrativa (ex art.
2424, 3° comma)

L’utilità dell’informazione rispetto alle esigenze decisionali dell’utente ovviamente


rappresenta non tanto un postulato quanto l’essenza della funzione informativa stessa
del bilancio. Conseguentemente essa costituisce il metro di giudizio per valutare la con-
gruità di tutti gli altri postulati. L’utilità caratterizza un bilancio se esso contiene in-
formazioni significative e rilevanti, in grado cioè di alimentare i processi decisionali dei
lettori. La significatività però da sola non è sufficiente, richiedendo il concorso degli
altri postulati che sono raggruppabili in tre principi basilari.
Uno riguarda il postulato della chiarezza (comprensibilità) e le sue specificazio-
ni, sopra commentate ed alle quali rinviamo. Le informazioni del bilancio sono utili
quando sono chiare, complete, ben commentate, che mirino alla sostanza e non alla
forma.
Un secondo basilare principio è la «attendibilità», espressione che ci sembra me-
glio colga la matrice comune di regole quali la competenza, la neutralità, la pruden-
za e le altre descritte nella figura. Un bilancio è attendibile quando offre una rappre-

45
sentazione degli aspetti economico-finanziari della gestione aziendale quanto più
possibile «fedele», corrispondente alla realtà, pur con tutti i limiti soggettivi ai quali
la redazione del bilancio stesso è sottoposta. Se è attendibile, il bilancio può costitui-
re la base per le decisioni dei terzi. Anzi, proprio perché il processo valutativo è così
soggettivo, è necessario, se si vuol parlare di informazione comprensibile verso l’e-
sterno, stabilire regole convenzionali relative alla definizione della competenza (e
suoi corollari e specificazioni quali la neutralità, la prudenza, la valutazione al costo)
e al complessivo procedimento di formazione del bilancio (conformità a principi).
Inoltre una qualsiasi fonte è attendibile se e nella misura in cui le informazioni che
fornisce sono verificabili.
Il terzo principio basilare ad avviso di chi scrive è quello della comparabilità che
assurge sempre più ad un ruolo importante. Mentre questo postulato (e i suoi corollari
della periodicità e della continuità dei criteri di valutazione) è ritenuto spesso una speci-
ficazione della chiarezza, riteniamo che assuma un valore autonomo di tutto rilievo se
si pensa che le decisioni che gli investitori (utenti privilegiati del bilancio) prendono
leggendo i bilanci delle aziende si fondano sulla comparazione nel tempo e nello spa-
zio dei dati contenuti.
I postulati sono tutti fondamentali. Se, ad esempio, un bilancio offre una rappresenta-
zione attendibile e significativa ma scarsamente comprensibile e comparabile con quella
di esercizi precedenti, non è significativo, l’utilità per i decisori sarà seriamente com-
promessa.
Uno dei conflitti tipici è quello tra significatività e attendibilità. Informazioni atten-
dibili richiederebbero valutazioni più oggettive possibili, fondate sul consenso del mer-
cato più che sulle stime progetti del management. Tuttavia, così facendo si finisce per
ridurre la significatività, riducendo la potenzialità del bilancio di fornire informazioni
originali circa i progetti aziendali (Quagli, 2009b).

1.7. I postulati del bilancio secondo i principi contabili dello IASB


Le finalità del bilancio
Si è detto come i principi dello IASB hanno assunto un ruolo crescente come punto
di riferimento per la redazione dei bilanci delle società italiane prima come base per la
formazione dei principi contabili nazionali, quindi come vere e proprie norme appro-
vate dalla Unione Europea. I postulati del bilancio di esercizio secondo lo IASB sono
contenuti nel Conceptual Framework for financial reporting sviluppato originariamente
nel 1989, quindi modificato in alcune parti nel 2010, in attesa del suo rinnovamento
definitivo. Il Framework contiene, la descrizione delle finalità del bilancio, i postulati
che ne sovrintendono la redazione ed una serie di definizioni fondamentali dei concetti
più importanti in tema di bilancio 21.

21
Per un’analisi particolareggiata del Framework IASC si leggano: Perrone, 1993; Campedelli, 1994;
Onesti, 1995; Azzali, 1996; Fondazione Luca Pacioli, 2003.

46
In primo luogo, il Framework afferma che l’obiettivo generale del bilancio è di for-
nire informazioni di tipo finanziario sull’azienda a investitori attuali e potenziali utili
per supportare le rispettive decisioni di investimento. Più specificamente, si afferma
che tali soggetti sono interessati a conoscere la capacità dell’azienda di generare flussi
di cassa e i tempi nei quali essi si manifesteranno (i soci sono interessati ai flussi di
dividendi, i creditori ai flussi di rimborsi, ecc.). I soggetti in questione non avendo ac-
cesso alle informazioni interne devono necessariamente basare le proprie decisioni sui
bilanci pubblici; per tale motivo essi rappresentano i primary users dell’informativa di
bilancio. Altri stakeholders possono ovviamente usare le informazioni bilancio ma
non rappresentano i primary users.
Per poter prospettare i flussi di cassa serve avere informazioni sulle risorse e sulle
obbligazioni riconducibili all’azienda e sul modo con il quale esse sono efficientemen-
te ed efficacemente amministrate dal management che è responsabile del loro uso e
della loro tutela contro i rischi derivanti dagli andamenti di mercati. In tal senso di
rende necessario fornire informazioni sulle transazioni ed altri eventi che hanno modi-
ficato dette risorse e obbligazioni e composto la complessiva financial performance.
Particolare è quanto affermato sub OB 19, ove emerge come secondo il Framework la
perfomance finanziaria si riferisce anche all’impatto sulle risorse e obbligazioni indot-
to da variazioni nei prezzi di mercato o tassi di interesse, in quanto fattori capaci di in-
fluenzare la misura dei futuri flussi di cassa.

BOX 6 – Una riflessione sulle finalità del bilancio secondo lo IASB


Emerge chiaro come il richiamo primario agli investitori ed alle informazioni utili per la stima dei futuri
flussi di cassa evidenzino la centralità dell’aspetto finanziario e dei connessi mercati nella logica anglosas-
sone, contesto nel quale si è sviluppato lo IASB. La «user primacy» sancita nel Conceptual Framework dello
IASB sottintende la centralità degli investitori professionali dei mercati mobiliari e non certo dell’impren-
ditore padronale che ancor oggi caratterizza buona parte del tessuto economico nazionale.
L’impostazione tipica della dottrina italiana invece non ha mai definito una «user primacy»; nel momento
in cui il bilancio è stato interpretato come strumento informativo per l’esterno (a partire da Amaduzzi, 1949),
le categorie di potenziali utenti sono sempre state poste sullo stesso piano (si vedano, ad esempio, Cattaneo,
1965; Poli, 1971; Provasoli, 1974). Considerando alcune evoluzioni più recenti (Coda, 1988; Coda, 1990), vi
è stata la teorizzazione di un sottosistema di stakeholder (finanziatori, dipendenti, fornitori, comunità che vive
attorno all’azienda) che è in grado di offrire contributi essenziali al successo dell’idea imprenditoriale e la cui
adesione al progetto aziendale viene ricercata prospettando un sistema di incentivi e ricompense. La ricerca
del consenso deve avvenire con la stessa prospettiva temporale caratterizzante il progetto aziendale; dato che
la strategia aziendale si proietta naturalmente nel lungo periodo, è il consenso di lungo periodo l’obiettivo
ricercato. Perciò la comunicazione finanziaria finalizzata al consenso degli stakeholder deve, per quanto pos-
sibile, informare circa le dinamiche future dell’assetto economico-finanziario dell’impresa.
L’adesione al progetto imprenditoriale da parte degli stakeholder richiede che sia stabilito un sistema
di rendicontazione dei risultati raggiunti, in relazione ai quali fornire anche le remunerazioni dei fattori
impiegati, che poggi su dati certi, per quanto possibile realizzati. La lettura di questi risultati, al tempo stes-
so, evidenzia la capacità del management aziendale nel conseguire i risultati prospettati, senza che al riguar-
do incidano più del lecito dinamiche esogene al comportamento manageriale, come fenomeni di estrema
volatilità dei mercati che potrebbero condizionare anche pesantemente le valutazioni di bilancio. In que-
sto quadro, la supposta carenza di prospettiva presente in valutazioni di bilancio ancorate al costo storico
dovrebbe essere colmata con altri strumenti della comunicazione finanziaria, tra i quali oggi il piano strate-

47
gico (o industriale, come spesso è definito nella prassi) assurge a ruolo centrale. La comunicazione prospettica
non di bilancio, tra l’altro, si avvale di forme e contenuti di rappresentazione anche più comprensibili, ri-
spetto a logiche di valutazione contabili fondate su standard sempre più tecnici, che indubbiamente ridu-
cono la capacità di apprezzamento da parte di lettori non dotati delle più sofisticate competenze contabili.

Le caratteristiche qualitative
Dopo l’enunciazione delle finalità, nel Framework sono presentate le caratteristi-
che qualitative che il bilancio deve possedere, applicabili secondo il Framework anche
alle altre forme di comunicazione finanziaria promanante dall’azienda. Le principali
sono costituite dalla rilevanza e dalla fedele rappresentazione che contribuiscono alla
più generale utilità del bilancio solo se congiuntamente presenti.
La rilevanza implica la capacità di una informazione di influenzare le decisioni de-
gli utenti del bilancio, carattere che assume laddove l’informazione abbia utilità nel fa-
vorire la previsione dei futuri flussi o di confermare la correttezza delle valutazioni pre-
cedentemente compiute, doti peraltro strettamente collegate se viste in successione tem-
porale. La rilevanza implica il concetto di significatività, intesa come soglia dell’infor-
mazione oltre la quale la sua mancanza è in grado di far mutare decisione agli utenti.
In questo senso se le informazioni sulle classi dei costi di esercizio sono senz’altro si-
gnificative, non necessariamente si deve considerare significativo il dettaglio esaspera-
to dei singoli componenti.
La fedele rappresentazione si estrinseca nella completezza della informazione, nel-
la sua neutralità e nel fatto che sia priva di errori. In particolare ci piace sottolineare
l’opportuna specificazione della completezza, intesa come la necessità di fornire tutte
le informazione indispensabili per comprendere i valori presenti in bilancio.
Quindi la esposizione di una informazione in bilancio dovrebbe discendere da un
processo volto ad appurare anzitutto la sua utilità, quindi la rilevanza ed infine la pos-
sibilità di darne rappresentazione fedele.
Il Framework indica poi quali elementi che accrescono l’utilità di informazioni ri-
levanti e rappresentate in modo fedele i concetti di:
– comparabilità, spaziale e temporale, sulla cui importanza e sulle cui specificazione
si è in precedenza discusso;
– verificabilità, necessaria per garantire il lettore circa l’esistenza del carattere della
fedele rappresentazione. La verificabilità implica che differenti ed indipendenti utenti
possano concordare sul fatto che un certo elemento/evento presente in bilancio è
rappresentato in modo fedele;
– tempestività, per quanto possa essere tempestiva l’informazione tipicamente conte-
nuta nel bilancio che in ogni caso si riferisce a situazioni esistenti anche alcuni me-
si prima della loro disponibilità da parte dei lettori, il Framework si preoccupa di
cercare di rappresentare le informazioni in bilancio in tempo utile perché esse as-
sumano utilità decisionale;
– comprensibilità, anche ritenendo che è data per scontata nel lettore una certa cono-
scenza dei fondamenti delle gestioni aziendali, il Framework raccomanda di fornire
le informazioni necessarie a rendere comprensibili i fenomeni descritti in bilancio.

48
Si afferma poi che in nessun caso in bilancio possono essere omesse informazioni
in base al fatto che la loro comprensione risulterebbe troppo difficile.
Il Framework considera poi alcune scelte di politica informativa che gli ammini-
stratori devono compiere in sede di bilancio dovute al costo della produzione e divul-
gazione di informazioni. Gli amministratori devono comparare i benefici che gli utenti
possano ritrarre da certe informazioni ed il costo della loro produzione e divulgazione.
Per impostare in modo informato tale giudizio di convenienza gli amministratori de-
vono basarsi su quanto reso noto da revisori, utenti, studiosi. Quest’analisi costi-benefici
sarà ovviamente influenzata da numerosi fattori di contesto, tra i quali spiccano le di-
mensioni aziendali (tanto più grande è un’azienda, tanto maggiori saranno i benefici
delle informazioni e minori i costi di produzione) e la quotazione o meno sui mercati
mobiliari, che agisce nello stesso senso della dimensione aziendale.
Si rinvia al capitolo successivo per l’analisi di altri elementi che compongono il
Framework dello IASB.

1.8. I criteri basilari di valutazione: costo e fair value


In questo primo capitolo che tratta di finalità e postulati di bilancio è opportuno a
questo punto affrontare il tema dei criteri di valutazione generali, che saranno poi de-
clinati nei capitoli successivi (dal terzo in poi) con riferimento alle diverse voci patri-
moniali. L’esigenza di questa analisi è dovuta infatti alla circostanza che, come avremo
modo di vedere successivamente, la scelta del criterio base di valutazione dovrebbe per
logica essere condizionata dalla finalità principale del bilancio.
Sebbene in futuro sia previsto un capitolo ove affrontare la problematica 22, l’attuale
versione del Conceptual Framework non fa esplicito riferimento ai criteri di valuta-
zione basilari da impiegare nelle valutazioni di bilancio, mentre nel par. 1.5 si è visto
che per l’OIC il metodo del costo rappresenti nell’impianto codicistico italiano il crite-
rio base per le valutazioni di bilancio. Per effettuare una comparazione tra i due criteri
di base è necessario anzitutto esaminare con estrema sintesi cosa intende lo IASB con
l’espressione fair value.

1.8.1. L’IFRS 13 Fair Value Measurement


Lo IASB ha emesso nel maggio 2011 l’IFRS 13 dedicato interamente alle modalità
di determinazione del fair value. Tale documento non disciplina una specifica operazio-
ne o gruppo di attività/passività come accade negli altri IFRS; esso piuttosto è uno stan-
dard di secondo livello, che definisce un parametro fondamentale (il fair value) impie-
gato nelle valutazioni in molti altri principi.

22 È infatti previsto che la fase C del progetto sul nuovo Framework riguardi i profili di misurazione.

Al momento in cui scriviamo, del nuovo Framework finora è stata completata solo la fase A, riguardante
le finalità e le caratteristiche qualitative del bilancio. Per una vista sul progetto di rivisitazione del Frame-
work, si consulti sub http://www.iasplus.com/en/projects/project21.

49
L’IFRS 13 definisce il fair value come il «prezzo che sarebbe ricevuto per vendere
un’attività o pagato per trasferire una passività in una transazione ordinaria tra i parte-
cipanti al mercato alla data di misurazione». Emerge come tale valore sia dunque un
exit price dell’elemento patrimoniale e sia un valore astratto, in quanto riferito ad una
ipotetica transazione di tipo ordinario (ossia non forzato) con partecipanti al mercato
che l’IFRS 13 definisce come soggetti informati ed intenzionati ad operare il potenzia-
le scambio agendo al meglio del proprio interesse. Segue quindi la specificazione del
fair value in relazione alle tipologie di elementi patrimoniali.
1. Per le attività non finanziarie, la misurazione del fair value deve ipotizzare che i
partecipanti al mercato siano in grado di ricavare la massima utilità dal bene sfruttan-
dolo al meglio delle sue possibilità (highest and best use). Tale miglior tipo di utilizzo
deve essere fattibile fisicamente (considerando attributi fisici quali la localizzazione o
la dimensione), legalmente (tenuto conto dei vincoli legislativi connessi al suo impie-
go) e finanziariamente (considerando l’investimento necessario per rendere economi-
camente conveniente il suo impiego con conseguente generazione di flussi di cassa
adeguati). Il concetto di massima utilità è definito in relazione ai partecipanti al merca-
to e non alla azienda, che potrebbe ad esempio impiegare il bene in altre condizioni
(non al massimo della sua utilità), come ad esempio potrebbe accadere nelle situazioni
in cui, per evitare di fornire riferimenti alla concorrenza, un’azienda decidesse di usare
non al meglio certe risorse intangibili. Si ipotizza comunque che l’attuale impiego del
bene compiuto dall’azienda sia espressivo dell’highest and best use, finché non si di-
mostra che altri sarebbero in grado di utilizzarla meglio. Per cui, se una certa attività
può essere usata al meglio solo se combinata con altre attività o passività, la misura-
zione del prezzo deve assumere che tale bene possa essere combinato con gli altri
elementi necessari a sviluppare le migliori potenzialità.
2. Per le passività e titoli di capitale emessi dall’azienda, il fair value si fonda sul
presupposto che detti elementi del passivo patrimoniale non siano estinti ma trasferiti.
In questo senso il fair value di una passività deve intendersi non come quanto l’azien-
da deve pagare non per estinguere la propria obbligazione, ma quanto deve pagare per
trasferire ad altri l’adempimento imposto dall’obbligazione. Analogamente, applicato ad
uno strumento di capitale emesso dall’azienda, tale concetto deve intendersi nel senso di
quanto pagherebbe un partecipante al mercato per acquisire diritti e responsabilità con-
nessi allo strumento, senza che questo implichi una estinzione dello strumento mede-
simo. Il fair value di una passività deve riflettere il rischio di inadempimento che di-
pende sia dal rischio di credito proprio dell’azienda, sia altri fattori specifici (quali la
possibilità di estinguere con mezzi diversi dal denaro, ecc.). Tale rischio di inadempi-
mento si assume che rimanga inalterato anche se la passività viene trasferita a terzo
soggetto. Infine l’IFRS 13 stabilisce che il fair value di passività con una domanda fu-
tura come ad esempio i depositi bancari) è l’ammontare da pagare alla richiesta del cre-
ditore, eventualmente scontato per considerare il tempo presumibilmente intercorrente
fino a tale richiesta.

50
L’uso di tecniche valutative: input osservabili e non osservabili
Le tecniche di valutazione per stimare il fair value quando i prezzi scambiati in
mercati attivi non cui siano o non siano ritenuti comunque espressivi del fair value do-
vranno essere scelte in base alle specifiche circostanze e in presenza di dati sufficienti,
cercando, per quanto possibile di massimizzare gli input osservabili rispetto a quelli
non osservabili.
Le principali tecniche sono costituite dal market approach (basato sullo studio di
prezzi di elementi simili e dei relativi multipli), dal cost approach (costi di rimpiazzo
o di sostituzione) e dall’income approach che si fonda sull’attualizzazione dei benefici
futuri (flussi di cassa). E possono essere usate singolarmente o assieme a seconda dei
casi. Se usate assieme, si deve valutare la ragionevolezza degli intervalli di valori indi-
cati dalle tecniche. Il fair value sarà il punto entro tale intervallo che sia più rappresen-
tativo delle circostanze.
Se il prezzo di acquisto è considerato come il fair value alla contabilizzazione ini-
ziale ed è usata una tecnica valutativa per la stima successiva del fair value che impie-
ga input non osservabili, detta tecnica dovrà essere calibrata in modo che alla contabi-
lizzazione iniziale il risultato della stima equivalga al prezzo di acquisto. La tecnica
scelta deve inoltre essere controllata per accertarsi che rifletta gli input osservabili (es.
prezzo di attività similari).
La tecnica prescelta deve essere usata in modo costante nel tempo, salvo i cambia-
menti necessari per renderla più rappresentativa del fair value quando ad esempio so-
praggiungano nuove informazioni, cambi delle condizioni di mercato, miglioramenti
nella tecnica estimativa, ecc. Il cambio della tecnica usata implica cambio di stima
contabile ai sensi dello IAS 8 e dunque con effetti prospettici e non retroattivi.
Se tra gli input usati per stimare il fair value vi è un intervallo di bid-ask, ossai uno
scarto tra il prezzo offerto e quello richiesto, il fair value è stimato come il prezzo che
è più rappresentativo tenuto conto delle circostanze entro tale intervallo, e sono accet-
tate prassi di determinazione comunemente impiegate dagli operatori ( es. punto me-
diano dell’intervallo).
Rettifiche per sconti o premi al prezzo sono considerati solo se riflettono caratteri
dell’elemento (per es. è ammissibile un premio di maggioranza per un pacchetto azio-
nario che permette il controllo) ma non lo sono se considerano caratteri che riguardano
l’azienda nel suo complesso (per es. un volume di titoli che non sarebbe assorbito dal
mercato).
Si segnala tuttavia che il fair value è un prezzo teorico e non deve includere gli
oneri di transazione che saranno comunque necessari per concludere l’ipotetica vendi-
ta. In questo senso in letteratura si segnala che tale particolarità impedisce di conside-
rare il fair value come un metodo di valutazione corrispondente alla logica dei valori
correnti (current value, vedi Whittington, 2015).
L’IFRS 13 dedica una buona parte della Application Guidance (par. B13-B.30) ad il-
lustrare l’uso della tecnica del valore attuale, ribadendo quanto già noto nei manuali di
finanza circa la stima dei flussi di cassa, del tasso di sconto del premio per il rischio, ecc.

51
La gerarchia del fair value
Riprendendo da vicino quanto già stabilito dallo SFAS 157 e già incluso nel corpus
dei principi IASB con l’Amendment dello IAS 39 emesso a ottobre 2008, l’IFRS 13
sancisce definitivamente la centralità della gerarchia del fair value. La gerarchia, basa-
ta su tre livelli, stabilisce che in base al grado di osservabilità degli input usati per la
stima, il fair value che ne deriva si qualifica come più o meno attendibile. L’uso ad e-
sempio del livello 2 è possibile solo se non è possibile determinare il fair value con gli
elementi descritti al livello 1. Se l’input usato assume peso decisivo nella stima finale,
sarà il livello dell’input a determinare l’inserimento del fair value che ne scaturisce in
una o nell’altra categoria.
Livello 1
Gli input di livello 1 sono i prezzi quotati su mercati attivi 23 alla data di misurazione,
come i prezzi di chiusura dei mercati di scambio, il bid-ask price dei mercati gestiti
dai dealer, prezzi di transazioni avvenuto in un brokered market.
Questo input è in assoluto la migliore evidenza del fair value. Esso deriva dalla indivi-
duazione del principale o più vantaggioso mercato e dalla possibilità che l’azienda possa
compiere una transazione a quel prezzo. È questo il livello che integri la tipica espres-
sione mark to market, ossia rileva a valori di mercato.
Livello 2
Gli input di livello 2 sono sempre input «osservabili» da parte di un soggetto esterno
all’azienda, per quanto diversi dai prezzi di mercato come ad esempio:
– prezzi di elementi similari (ma non identici) scambiati su mercati attivi;
– prezzi di elementi identici scambiati su mercati non attivi o su altri mercati come il
prezzo ai consumatori finali da usare con rettifiche per stimare il fair value dei pro-
dotti finiti nel magazzino del produttore;
– altri input come tassi di interesse (LIBOR swap rate, ecc.), curve di rendimento,
ecc.

23 Il mercato è considerato attivo quando esso è caratterizzato da un numero sufficiente di scambi da

rendere attendibile il prezzo di chiusura, i prezzi sono pubblici, il mercato è liquido (sono disponibili cioè sia
compratori che venditori), e non è caratterizzato da vendite forzate. Quando un mercato è invece conside-
rato «inattivo», i prezzi formatisi spesso non rappresentano il fair value. Il giudizio di un mercato inattivo
tuttavia è una valutazione talvolta complessa, che implica l’esame della significatività e della rilevanza di
vari elementi quali il basso numero di recenti transazioni, quotazioni di prezzi che non riflettono l’infor-
mazione più aggiornata, alta volatilità nel tempo e tra operatori dei prezzi, ampio bid-ask spread o sensi-
bile incremento del medesimo, scarsa informazione disponibile, mancanza di nuove emissioni (mercato
primario), situazioni di vendite forzate, ecc. Lo standard richiede di valutare i diversi elementi prima di giu-
dicare non attivo il mercato. Se comunque tale giudizio è raggiunto, la stima del fair value discende da retti-
fiche operate ai prezzi disponibili o dalle tecniche valutative sopra menzionate. È possibile anche usare
prezzi forniti da terzi soggetti (price provider) purché riflettano le informazioni correnti riguardo a tran-
sazioni ordinarie o siano basati su tecniche che tengano conto delle aspettative dei partecipanti al mercato.

52
Livello 3
Gli input di livello 3 non sono osservabili, tipicamente consistendo in dati interni
all’azienda e devono essere usati quando non vi sono altri input utili alla stima. Questo
accade ad esempio in caso di mercati inattivi o poco attivi. In ogni caso devono riflet-
tere sempre l’assunzione base del fair value, ossia exit price alla data di misurazione al
quale sarebbero scambiati i beni in ordinarie transazioni tra i partecipanti al mercato.
Input del genere possono consistere ad esempio in aggiustamenti per componenti di
rischio dovute a significative riduzioni degli scambi di mercato. Tali input possono es-
sere di fonte interna, ma si deve ricorrere ad altre fonti informative se i partecipanti al
mercato dimostrano di usare altre fonti. È compito dell’azienda ricercare la migliore
informazione disponibile. In questo caso si è soliti usare l’espressione mark to model,
ossia valuta sulla base di un modello sviluppato dalla singola impresa.

1.8.2. Finalità del bilancio e criteri di valutazione


Per la dottrina economico-aziendale italiana (si vedano, tra i più influenti, Amaduzzi,
1949; Onida, 1951) il tema che a finalità diverse assegnate al bilancio corrispondano
criteri di redazione differenti, è ampiamente noto. Nel Framework dello IASB invece
la specifica questione del rapporto tra finalità e criteri di redazione non è contemplata
e il dibattito circa la finalità del bilancio è risolto stabilendo che il bilancio deve forni-
re informazioni utili anzitutto agli investitori attuali e potenziali circa i flussi di cassa
che potranno derivare dall’impiego in azienda.
Tuttavia, anche tra coloro che hanno contribuito alla stesura di quel Framework,
sono sorti alcuni commenti (Whittington, 2008) che hanno evidenziato che la diversità
di ruoli assegnati al bilancio dovrebbe per logica porre l’accento su differenti logiche di
valutazione.
Se il fine principale del bilancio è l’informativeness nei confronti anzitutto degli
investitori attuali e ancor di più potenziali, il fair value, costituendo un’espressione del
valore corrente dell’«investimento-azienda», è sicuramente un criterio più utile del me-
todo del costo. Se, al contrario, il fine principale è la stewardship, ossia fare in modo
che tramite il bilancio si possa valutare l’operato dei manager, allora il modello del co-
sto, ancorato alla operazioni effettivamente realizzate, porterebbe più informazioni uti-
li per l’accountability di quanto non possa fare il fair value, che esprime valori poten-
ziali in Stato Patrimoniale e un reddito anch’esso intriso di elementi di potenzialità,
peraltro parzialmente indipendenti dal comportamento manageriale (un incremento di
valore di un asset, può dipendere solo dal mercato; i manager semmai saranno respon-
sabili solo di aver scelto quell’investimento e non di aver contribuito alla creazione di
quel plusvalore).
E il sopravvento del fair value riflette una «finanziarizzazione» dell’economia, con-
ferendo ampio credito alla capacità valutativa dei mercati finanziari. Il fair value sot-
tende in sostanza una specifica prospettiva di analisi dell’azienda, quella di un investi-
mento finanziario. Lo scenario ideale di applicazione del fair value è caratterizzato da
mercati efficienti, ed in particolare mercati finanziari, che incorporano nei prezzi le in-

53
formazioni riferite all’evoluzione futura delle aziende e dove investitori razionali cer-
cano di massimizzare il valore dei loro investimenti, spostandoli secondo convenienza
da un impiego all’altro. I diritti di proprietà sulle aziende sono un investimento come
altri strumenti finanziari per loro disponibili. La rapida circolazione di tali diritti rende
il mercato attivo e origina dei fair value significativi. Tali investitori non sono partico-
larmente affezionati a nessun impiego in particolare. Se il valore di un certo impiego,
date certe risorse, è inferiore a quello di un impiego alternativo, in teoria essi dovreb-
bero secondo logica cedere il primo per passare al secondo. È una visione che, estre-
mizzata, porterebbe a considerare gli «spezzatini» (break-up) come pratiche «normali»
nella vita di un’azienda. Se una certa area di business ha un valore di mercato maggio-
re di quello che avrebbe mantenendolo entro i confini aziendali, il valore di realizzo
del business è quello di cessione diretta, non quello scaturente dalla gestione interna.
Tale visione, per quanto circoscritta ad un riferimento convenzionale, è tipica di mer-
cati finanziari molto sviluppati, con transazioni frequenti e investitori molto razionali,
improntati a massimizzare il valore azionario, ben lontani dall’idea di nostalgici im-
prenditori attaccati al mantenimento della loro azienda.
Come sostiene Ball (2006), vi sono poi anche circostanze di contesto che hanno con-
tribuito ad accrescere fiducia nella attendibilità dei valori correnti: anzitutto la accresciu-
ta disponibilità di informazioni, resa possibile dallo sviluppo di ampi data base elettroni-
ci contenenti prezzi e altri dati di transazioni relative a molte categorie di beni, finan-
ziari e non; quindi l’affermazione anche nel contesto dei principi contabili di tecniche
di stima di fair value basati su flussi di cassa (il primo esempio è contenuto nello SFAS
13 sul leasing, dell’ormai lontano 1973) e di metodi di valutazione di strumenti finan-
ziari pur privi di un mercato reale (grazie all’opera di Black e Scholes circa il valore
delle opzioni), che hanno portato linfa all’approccio del mark to model, tramite il qua-
le si stimano dei valori correnti anche in assenza di transazioni effettive.

Il problema dell’affidabilità delle valutazioni implicato dall’adozione del fair value


è ovviamente avvertito (Barth-Landsman, 1995; Pizzo, 2000; Schipper, 2005). Una
«what-if accounting» esprime certo dati meno verificabili rispetto al metodo tradizio-
nale e le problematiche di controllo indotte si auspica vengano superate tramite lo svi-
luppo di migliori competenze estimative da parte tanto delle aziende che dei revisori
(Schipper, 2005). Lo sviluppo di modelli sempre più raffinati e, soprattutto, la loro dif-
fusione in modo da far sorgere tecniche di valutazione generalmente accettate anche in
assenza di scambi reali, permetterebbero in futuro che la verificabilità dei valori sia
perseguita tramite consenso di valutatori indipendenti, più che di «registrazione ogget-
tiva» della realtà. D’altronde, anche nel modello tradizionale, al di là del momento ini-
ziale, si devono stimare comunque dei valori (si pensi all’ammortamento o alle svalu-
tazioni di elementi delle immobilizzazioni o del circolante) senza controprova oggetti-
va. Il problema della scarsa affidabilità del fair value in effetti ci sembra debba essere
inquadrato dentro il più generale atteggiamento prudenziale, nel senso che la critica al
fair value è più rivolta contro le possibili rivalutazioni imprudenti a cui può condurre
che non alle svalutazioni simmetricamente richiedibili.

54
In sintesi, se proviamo a comparare i due criteri base di valutazione, costo e fair va-
lue, i due vantaggi che solitamente sono attribuiti al fair value sono i seguenti:
1. maggiore potenziale informativo in relazione ai destinatari in quanto fornisce un
dato più aggiornato circa il valore del bene, con una migliore stima del potenziale dei
futuri flussi monetari che discenderanno dal realizzo (diretto/indiretto) dell’elemen-
to patrimoniale;
2. tendenziale oggettività, quando tale fair value è determinato in base a valori forma-
tisi in mercati attivi (ossia mercati liquidi, riferiti a beni omogenei e con prezzi pub-
blici). In questo senso su tale valore può convergere il consenso di molti lettori ester-
ni (revisori, investitori, ecc.).
Si afferma spesso che il criterio del costo appaia meno utile specie in relazione
all’attributo sub 1), in termini di minore significatività per gli utenti del bilancio.
Tuttavia i limiti del fair value sono molto evidenti:
a) presuppone per la sua determinazione l’esistenza di mercati liquidi, efficienti dal
punto di vista informativo, ove i prezzi scambiati siano significativi, situazione che
in tempi di forti crisi tende a svanire. In assenza di mercati efficienti, la determina-
zione del fair value si rifugia non più su prezzi di mercato (mark to market) ma su
valori desunti da modelli di valutazione (mark to model, uso di input non osserva-
bili) che inevitabilmente riducono il grado di oggettività;
b) rappresenta un valore estremamente variabile legato alle dinamiche presenti sui mer-
cati di riferimento, con relativi effetti di volatilità sui risultati economici se si deci-
de di inviare le variazioni di fair value a Conto Economico;
c) origina valutazioni che non riflettono la prospettiva del management ma quella del
mercato nel suo complesso, rendendo quindi le valutazioni di bilancio non un cam-
po nel quale trasferire la visione strategica propria dell’azienda, ma un ambito qua-
si privo di elementi soggettivi e come tale meno significativo se la prospettiva di
uso del bene non è il realizzo diretto e a breve termine ma il suo impiego durevole
nella struttura aziendale;
d) genera maggiori costi amministrativi, dovuti alla reperibilità dei dati (prezzi di mer-
cato), specie quando l’elemento da valutare non consiste in un bene scambiato nei
mercati finanziari;
e) riduce la possibilità di esprimere nel Conto Economico solo l’efficienza dimostrata
dal management (e quindi a danno della funzione di stewardship) nell’aver svolto
transazioni convenienti, dal momento che introduce in tale prospetto anche costi/ri-
cavi semplicemente dovuti alle fluttuazioni dei valori di mercato.
Si noti che i limiti suddetti del fair value non riguardano nella sostanza il criterio
del costo. Considerati i vantaggi ed i limiti, i criteri IFRS finiscono con il circoscrivere
l’applicazione del fair value essenzialmente agli elementi patrimoniali consistenti in
strumenti finanziari per i quali si possa prevedere un realizzo nel breve termine.

55
56
2

Gli schemi di bilancio

SOMMARIO: 2.1. Lo Stato Patrimoniale. – 2.1.1. Gli elementi dello Stato Patrimoniale e le regole
IASB. – 2.1.2. Lo schema generale di classificazione, le macroclassi ed il loro contenuto. – 2.1.3. Le
possibilità di modifica delle voci previste dallo schema civilistico. – 2.1.4. Lo Stato Patrimoniale
secondo lo IASB. – 2.2. Il Conto Economico. – 2.2.1. Gli elementi del Conto Economico. – 2.2.2. Lo
schema generale di classificazione, le macroclassi ed il loro contenuto. – 2.2.3. Il Conto Econo-
mico secondo lo IASB. – 2.3. Il rendiconto finanziario: l’OIC 10 e lo IAS 7. – 2.4. Le funzioni
della Nota Integrativa. – 2.4.1. Le note al bilancio secondo lo IASB. – 2.5. Il bilancio in forma
abbreviata e delle micro-imprese. – 2.5.1. Il bilancio in forma abbreviata. – 2.5.2. Il bilancio delle
micro-imprese. – 2.6. La relazione sulla gestione.

Il bilancio di esercizio secondo l’attuale normativa italiana (art. 2423, 1° comma),


si compone di quattro documenti: lo Stato Patrimoniale, il Conto Economico, il Ren-
diconto Finanziario e la Nota Integrativa. Non facente parte formale del bilancio ma
ad esso allegata, è la relazione sulla gestione, fondamentale documento nel quale gli am-
ministratori spiegano in forma più discorsiva la gestione trascorsa e le prospettive fu-
ture (art. 2428).
Nel prosieguo esamineremo nell’ordine: lo Stato Patrimoniale, il Conto Economi-
co, il Rendiconto finanziario, la Nota Integrativa e la Relazione sulla Gestione.

2.1. Lo Stato Patrimoniale

2.1.1. Gli elementi dello Stato Patrimoniale e le regole IASB


Il Codice Civile non si sofferma a descrivere quali debbano essere i requisiti generali
per inserire un certo elemento nello Stato Patrimoniale. Come anticipato, il nostro legi-
slatore si limita a descrivere gli schemi di classificazione, rinviando implicitamente, per
l’esame dei caratteri generali degli elementi patrimoniali, alla teoria economico-azien-
dale italiana. Anche i principi contabili dell’OIC usano lo stesso atteggiamento.
Al contrario, lo IASB fornisce considerazioni molto interessanti sui caratteri gene-
rali dello Stato Patrimoniale e sui concetti di attività, di passività e di patrimonio netto.
Queste indicazioni sono contenute nel Framework for the preparation of financial sta-

57
tements, proprio perché questo documento si prefigge lo scopo di fornire i postulati, le
definizioni principali e gli assunti di base, così come ogni sistema contabile sistemati-
co-deduttivo dovrebbe fare. In questo modo lo IASB elabora direttamente una teoria,
diversamente da altri contesti normativi dove vi è un più o meno implicito richiamo di
teorie ragionieristiche.
Molto bella è la definizione delle attività. Secondo il Framework dello IASB esse
sono:
1. risorse controllate dall’azienda;
2. risultato di operazioni svolte in passato;
3. dalle quali sono attesi futuri benefici economici;
4. e tali benefici si possono misurare attendibilmente.
Questa definizione è interessante perché anzitutto, svincola l’iscrivibilità in Stato
Patrimoniale dalla proprietà giuridica. È sufficiente che l’azienda abbia il controllo di
tali risorse. Un segreto industriale non coperto da brevetti, un bene posseduto in lea-
sing finanziario, non sono oggetto di diritti di proprietà, ma sono comunque elementi
che l’azienda controlla assumendone i rischi, impiega nelle produzioni e dai quali di-
scenderanno ricavi. In quanto tali possono essere inseriti nello Stato Patrimoniale.
Il risultato di operazioni svolte in passato giustifica la non iscrizione di elementi
che avranno manifestazione in futuro, come impegni di acquisto di beni. Inoltre, non
necessariamente l’operazione compiuta in passato ha richiesto un costo di acquisizio-
ne. Un bene proveniente da una donazione soddisfa comunque i requisiti suddetti pur
non avendo comportato alcuna spesa.
L’attesa di benefici può essere ben compresa se si pensa all’affermazione prece-
dente secondo la quale gli elementi patrimoniali devono rappresentare condizioni utili
per l’ottenimento di futuri ricavi. Il concetto di beneficio economico però è più ampio.
Un elemento può essere attività patrimoniale in quanto contribuisce a diminuire i co-
sti, come nel caso di un know-how specifico (controllato dall’azienda) per la riduzione
degli scarti di lavorazione. In generale il beneficio economico può essere inteso come
contributo all’ottenimento di redditi futuri. Ovviamente non si può che parlare di pro-
babilità di benefici economici, riservando il futuro eventi che possono mutare anche
sensibilmente il quadro originario. La probabilità deve essere valutata nel momento in
cui il bilancio viene redatto. Se tuttavia questo beneficio economico non è misurabile
in modo attendibile, ma è soggetto ad incertezze notevoli, allora l’elemento non potrà
essere iscritto nello Stato Patrimoniale.
Con la stessa logica, le passività sono:
1. obbligazioni attuali dall’azienda;
2. risultato di operazioni svolte in passato;
3. dalle quali sono attese fuoriuscite di risorse che darebbero, se mantenute in azien-
da, futuri benefici economici;
4. e questi sacrifici possono essere attendibilmente misurati.
Il concetto di obbligazione va inteso come impegno assunto ad adottare un certo com-
portamento, derivante da leggi, contratti ma anche da autonoma decisione resa pubblica,

58
come nel caso in cui l’azienda stabilisca la politica di rimborsare i clienti non soddi-
sfatti e la porti a conoscenza del mercato di sbocco. Anche in questo caso, l’essere il
risultato di operazioni svolte in passato giustifica la non iscrizione di elementi che
avranno manifestazione in futuro. In questo senso, la semplice intenzione di acquistare
beni non dà origine ad una passività.
La passività inoltre implica un probabile sacrificio futuro, connesso alla privazione
di beni (denaro o altri beni) che, se mantenuti in azienda, determinerebbero benefici
economici nel senso sopra definito. Alle passività si possono estendere le stesse consi-
derazioni svolte per le attività in merito al concetto di probabilità del sacrificio eco-
nomico e di attendibilità della misurazione relativa.
Il patrimonio netto, secondo il Framework, rappresenta il risultato della differenza
tra attività e passività. Questa «residualità» del concetto, non soddisfa molto. Il patri-
monio netto poteva, ad esempio, essere definito come l’insieme delle risorse ricondu-
cibili ai proprietari, i quali possono decidere di prelevarle dall’azienda, osservando gli
specifici vincoli posti alla legge.
L’impostazione dello IASB ove si definiscono prima le attività e le passività e
quindi, come loro variazioni nette, i ricavi e i costi, è esattamente l’opposto della tipi-
ca logica economico-aziendale italiana dove attività e passività sono viste in chiave
residuale come rimanenze attive e passive della gestione aziendale, derivanti da costi e
ricavi misurati da variazioni numerarie.

2.1.2. Lo schema generale di classificazione, le macroclassi ed il loro conte-


nuto
L’art. 2423 ter, 1° comma, stabilisce che «salvo le disposizioni di leggi speciali per
le società che esercitano particolari attività (come ad esempio per le aziende bancarie
ed assicurative, n.d.a.) nello Stato Patrimoniale e nel Conto Economico devono essere
iscritte separatamente e nell’ordine indicato, le voci previste negli artt. 2424 e 2425».
Un obbligo analogo invece non è posto per il rendiconto finanziario non avendo il Co-
dice previsto uno schema dettagliato per tale prospetto.
Questa norma significa che le strutture degli schemi dei prospetti contabili compo-
nenti il bilancio sono obbligatorie, rigide, non modificabili da parte degli amministra-
tori, salvo le possibilità concesse dai successivi commi dell’art. 2423 ter, più avanti
esaminati. La rigidità degli schemi formali risulta in effetti come logica conseguenza
dal postulato della comparabilità dei bilanci. La possibilità di confrontare bilanci di
esercizi diversi e di diverse aziende risiede anche nella uguaglianza delle forme espo-
sitive.
Iniziamo dallo Stato Patrimoniale. L’art. 2424 distingue anzitutto due sezioni con-
trapposte, l’attivo e il passivo. Per ciascuna sezione vi sono tre livelli di articolazione
della struttura: il primo livello è contrassegnato da lettere alfabetiche, il secondo livel-
lo è rappresentato da numeri romani ed il terzo livello da numeri arabi. Un quarto li-
vello, contrassegnato da lettere minuscole, è presente solo per alcune voci. La tabella
seguente schematizza il primo livello, quello delle lettere maiuscole.

59
ATTIVO PASSIVO

A) Crediti verso soci per versamenti ancora A) Patrimonio netto


dovuti, con separata indicazione della par-
te già richiamata
B) Immobilizzazioni B) Fondi per rischi e oneri
C) Attivo circolante C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subor-
dinato
D) Ratei e Risconti D) Debiti
E) Ratei e risconti

Per quanto riguarda l’attivo, la classe A) è molto particolare e consiste sostanzial-


mente nell’unica voce dei crediti verso soci derivanti da sottoscrizioni di nuove quote
di capitale (in fase di costituzione iniziale o di aumento successivo) per le quali non è
stato ancora effettuato il conferimento. Sappiamo infatti che nelle società di capitali, il
versamento immediato degli importi sottoscritti è obbligatorio per i conferimenti di-
versi dal denaro e per il 25% dei conferimenti in denaro (art. 2329 c.c.). I rimanenti
conferimenti da effettuarsi in forma liquida possono essere liberati solo in un secondo
momento dopo che gli amministratori li avranno «richiamati». Nelle società di perso-
ne, addirittura non vi sono regole per il conferimento e quindi il credito potrebbe an-
che essere di importo maggiore. Quindi finché il conferimento non è effettuato, il rela-
tivo credito deve essere esposto nella classe A, salvo indicare separatamente la parte
già richiamata (ma non ancora versata), in quanto è da presumere che l’avvenuto ri-
chiamo renda il credito stesso «a breve termine», mentre sulla parte non richiamata il
Codice Civile non pone alcun termine. Il motivo per il quale il codice richiede una co-
sì distinta evidenza dei crediti verso i soci per versamenti ancora da effettuare, risiede
nel fatto che tali crediti sono nella sostanza «capitale sociale non versato», e quindi,
nel nostro sistema giuridico, il mancato versamento comporta una riduzione delle ga-
ranzie patrimoniale nei confronti di terzi per le obbligazioni sociali, tanto che alcuni
autori proponevano, in sede di attuazione della IV Direttiva CEE di portare tali crediti
a diretta rettifica dell’importo del capitale sociale compreso nella classe A) del passi-
vo, come permesso dalla norma europea.
Le classi B) e C) dell’attivo sono le più importanti: le immobilizzazioni e l’attivo
circolante. Il codice afferma all’art. 2424 bis, 1° comma, che «gli elementi patrimonia-
li destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizza-
zioni», lasciando intendere che in caso di utilizzo non durevole l’elemento attivo pa-
trimoniale andrà nella classe C), attivo circolante. Dunque, in sostanza, per quanto ri-
guarda il criterio generale di classificazione dell’attivo, il nostro legislatore opta per
una classificazione fondata non sulla natura tecnica del bene (a cosa può essere adibi-
to, tenuto conto delle proprie caratteristiche), quanto sulla sua destinazione in azienda
decisa dagli amministratori, intendendo con essa la diversa funzione che i componenti
del patrimonio assumono effettivamente in relazione allo svolgimento dei processi

60
produttivi (destinazione durevole o meno). Ad esempio, un macchinario, tecnicamente
utilizzabile ancora a lungo ma per il quale si sia decisa la vendita, deve essere colloca-
to nell’attivo circolante, in quanto di utilizzo effettivo non durevole. Il codice non pre-
cisa un limite temporale per qualificare quanto deve essere «durevole» l’uso di un cer-
to elemento per collocarlo tra le immobilizzazioni, ma si può intendere che conven-
zionalmente il termine sia dato dalla fine del prossimo esercizio. Per cui dovranno es-
sere inseriti tra le immobilizzazioni quegli elementi che si prevede di utilizzare in
azienda anche oltre il termine dell’esercizio successivo. Andranno nell’attivo circolan-
te gli altri.
Con questo criterio generale, si potrebbe quindi pensare che un credito verso clienti
scadente oltre l’anno, per destinazione è da considerarsi durevole e quindi da iscriversi
tra le immobilizzazioni. Invece non è così. Il codice, nella fattispecie, prescrive che i
crediti verso clienti (che derivano principalmente da ricavi di vendita) vadano tutti in-
seriti nell’attivo circolante, mentre i crediti di finanziamento, derivanti da prestiti, deb-
bano essere inseriti tra le immobilizzazioni, anche se la loro scadenza è a breve termi-
ne. Per cui il criterio generale, la destinazione durevole, è applicato solo in parte. Vi
sono alcune rilevanti eccezioni (la principale è quella dei crediti suddetti) che deroga-
no questa regola.
Per il passivo, la classificazione principale consiste nella natura delle fonti di fi-
nanziamento (mezzi propri o di terzi, in primis), anche se appaiono evidenziate a sé le
classi relative ai fondi, la cui distinta menzione dipende probabilmente dalla incertezza
in merito alla determinazione di uscite o perdite future. Appare peculiare comunque la
separata enucleazione del TFR, unica voce ad essere compresa nella classe C del pas-
sivo.
I ratei ed i risconti, sia attivi che passivi, sono invece enucleati assieme in apposite
classi, la D) dell’attivo e la E) del passivo. Se da una parte, la tradizione contabile ha
sempre considerato i due elementi come simili per certi caratteri (sono infatti entrambi
conti transitori che sorgono a fine esercizio in occasione delle scritture di assestamento;
entrambi dipendono dal fatto che un costo o un ricavo sono in parte di competenza
dell’esercizio in chiusura e per il resto di competenza di esercizi futuri e che tale costo o
ricavo matura in base al decorso del tempo fisico), dall’altra parte la natura dei valori è
diametralmente opposta. I ratei sono valori numerari presunti e come tali sono assimila-
bili ai crediti (se attivi) o ai debiti (se passivi) distaccandosene per la non ancora avvenu-
ta esigibilità. I risconti sono invece costi sospesi al futuro (se attivi) o ricavi sospesi (se
passivi) e non hanno niente a che vedere con futuri movimenti di denaro, in quanto la
manifestazione finanziaria è già avvenuta in passato.
Per favorire la chiarezza, inoltre, l’art. 2424, 2° comma, prevede che qualora un
elemento possa ricadere sotto più voci dello schema, in Nota Integrativa devono essere
riportate anche le altre voci sotto le quali l’elemento poteva essere inserito, sempre che
ciò sia necessario alla comprensione del bilancio. Potrebbe essere questo il caso di un
debito verso fornitori rappresentato da una cambiale passiva il quale potrebbe essere
inserito nel passivo tanto nella voce D.6 che nella voce D.7. In questi casi si tratta di
dare preferenza alla collocazione dotata di maggior contenuto informativo, in ossequio
alla clausola generale del «quadro fedele».

61
Va rilevato che la classificazione dell’attivo e del passivo non è basata sul criterio
finanziario, secondo il quale le diverse poste sono distinte in funzione del tempo ne-
cessario a generare liquidità (per le attività) o ad assorbirla (per le passività). Nella
struttura dello Stato Patrimoniale civilistico il criterio finanziario è solo parzialmente
soddisfatto con alcune specificazioni previste dall’art. 2424 (per i crediti compresi nel-
l’attivo circolante e i debiti distinguendo la parte liquidabile oltre l’esercizio successi-
vo e per i crediti immobilizzati la parte esigibile entro l’esercizio successivo). Nella
prassi un credito di qualsiasi natura esigibile tra più di un esercizio è da considerarsi
immobilizzato, come pure la parte di un mutuo pluriennale da rimborsare entro l’eser-
cizio successivo integra gli estremi di una passività corrente, mentre per il Codice Ci-
vile i crediti di finanziamento sono comunque inseriti tra le immobilizzazioni anche se
a breve termine ed i crediti commerciali sono comunque inseriti nell’attivo circolante
anche se a breve termine. La struttura dello Stato Patrimoniale descritta dal Codice Ci-
vile, pertanto, non consente una piena comprensione della situazione finanziaria azien-
dale, la quale però, grazie alle informazioni suppletive (evidenza della parte liquidabile
oltre l’esercizio successivo per i crediti commerciali e per i debiti e della parte esigibile
entro l’esercizio per i crediti immobilizzati), può essere comunque operata e favorisce de-
cisamente la preparazione del rendiconto finanziario.
Entrando nel merito delle singole classi, osserviamo che la classe delle immobiliz-
zazioni comprende tre sottoclassi, le immobilizzazioni immateriali (I), le immobiliz-
zazioni materiali (II) e le immobilizzazioni finanziarie (III), mentre l’attivo circolante
comprende quattro classi: le rimanenze di magazzino (I), i crediti (II), le attività finan-
ziarie che non costituiscono immobilizzazioni (III) e le disponibilità liquide (IV). Si
percepisce quindi la volontà di introdurre nello schema il criterio della liquidità cre-
scente (dalle poste più distanti temporalmente dalla trasformazione in denaro, le immo-
bilizzazioni, fino al denaro liquido).
Il passivo, invece, piuttosto stranamente, prevede per i mezzi propri una serie di di-
stinzioni di secondo livello senza che al loro interno vi siano ulteriori specificazioni
sotto forma di numeri arabi, diversamente dalla classe dei fondi e dei debiti, per le quali
vale l’opposto: nessuna distinzione di secondo livello ma immediata articolazione nel-
le voci di terzo livello.

2.1.3. Le possibilità di modifica delle voci previste dallo schema civilistico


Lo schema di cui all’art. 2424 è rigido. Le uniche eccezioni possibili consistono o
nell’utilizzo della deroga generale di cui all’art. 2423, 4° comma (si veda cap. 1) oppu-
re nei casi più circoscritti descritti dall’art. 2423 ter, finalizzati tutti a garantire il po-
stulato della chiarezza:
 possibilità di suddividere ulteriormente le voci precedute da numeri arabi (e relati-
ve sottovoci precedute da lettere minuscole, come prevede l’OIC 12), senza elimi-
nazione della voce complessiva e dell’importo corrispondente; ad esempio la voce
«altre immobilizzazioni» materiali può essere scissa enucleando i mobili, gli auto-
mezzi, ecc.;

62
 possibilità di raggruppare le voci precedute da numeri arabi solo quando il loro im-
porto è irrilevante ai fini della rappresentazione chiara veritiera e corretta o quando
tale accorpamento favorisce la chiarezza del bilancio, caso nel quale la Nota Inte-
grativa deve contenere distintamente le voci riunite;
 obbligo di adattare le voci precedute da numeri arabi quando lo esige la natura del-
l’attività esercitata;
 obbligo di aggiungere altre voci, necessarie per una corretta interpretazione del bi-
lancio, quando il loro contenuto non è compreso nello schema civilistico;
 divieto di effettuare compensi di partite (es. debito e credito verso stesso soggetto,
a meno che la compensazione sia consentita giuridicamente).
Per favorire invece la comparabilità temporale, l’art. 2423 ter al 5° comma impone
di «inserire a fianco di ogni voce di Stato Patrimoniale e di Conto Economico l’im-
porto della voce corrispondente dell’esercizio precedente. Se le voci non sono compa-
rabili, quelle relative all’esercizio precedente devono essere adattate. La non compara-
bilità e l’adattamento, o l’impossibilità di questo devono essere segnalati e commentati
nella Nota Integrativa». Tale regola risulta una chiara applicazione del postulato della
comparabilità formale dei bilanci. Va rilevato, come per le esigenze di determinati
utenti (come ad esempio gli analisti finanziari), risulterebbe utile comparare gli impor-
ti di un numero ancora maggiore di esercizi (in genere almeno cinque) per delineare
ancor più compiutamente la tendenza evolutiva dei singoli valori.
Qualora l’importo della voce preceduta da numero arabo sia nullo, la voce può essere
omessa. Non si può fare altrettanto per le voci precedute da numeri romani o lettere
maiuscole, che devono comunque essere menzionate anche con importo pari a zero.

2.1.4. Lo Stato Patrimoniale secondo lo IASB


Lo IAS 1 (Presentation of Financial Statements) non fornisce uno schema analitico
di Stato Patrimoniale, come invece impone la normativa italiana, ma stabilisce solo un
contenuto minimo e alcune regole di comportamento. Secondo tale principio le attività
e le passività devono essere inserite nella classe «corrente» se sono destinate ad essere
realizzate (le attività) o estinte (le passività) nel corso del normale ciclo operativo del-
l’azienda, anche se la loro scadenza risulta superiore ai dodici mesi. Saranno «non cor-
renti» nel caso contrario. Se si tratta di attività e passività non derivanti dal ciclo ope-
rativo tipico (acquisto-produzione-vendita), come le attività finanziarie ed i finanzia-
menti, la distinzione tra correnti e non correnti consiste nella previsione della loro rea-
lizzabilità/estinguibilità entro i prossimi dodici mesi. Tale distinzione è in buona sin-
tonia con il concetto di attivo circolante, così come definito dal Codice Civile, anche
se, ad esempio, un prestito concesso scadente entro dodici mesi per lo IAS entra nel-
l’attivo corrente mentre per le norme italiane va inserito tra le immobilizzazioni finan-
ziarie (salvo indicare una scadenza inferiore ai dodici mesi). Per lo IAS 1 se una voce
racchiude sia elementi con scadenza inferiore ai 12 mesi che elementi con scadenza
superiore, si deve dare separata menzione della parte scadente oltre 12 mesi. Si precisa
inoltre che le imposte differite/anticipate (vedi capitolo 13) sono da considerarsi come
non correnti.

63
Per quanto riguarda il contenuto, lo IAS 1 impone un contenuto minimo senza pe-
raltro stabilire un ordine preciso delle voci, rinviando alla discrezionalità degli ammi-
nistratori la scelte del grado di dettaglio più idoneo (vedi tabella seguente). Quali prin-
cipali differenze rispetto allo schema dell’art. 2424 del codice italiano, si segnala la
distinta evidenza degli investimenti immobiliari (vedi par. 4.4.3), la netta separazione
dei crediti/debiti commerciali da quelli finanziari e la distinta evidenza al termine
dell’attivo di elementi non correnti in corso di dismissione (ed eventualmente delle
passività ad essi collegate), tali da fari ricadere sotto la disciplina dell’IFRS 5 (tema
discusso nel par. 4.4.4). Ma nel complesso lo schema di cui al Codice Civile italiano
risulta decisamente più articolato e più in grado di facilitare la comparabilità spaziale,
come ogni schema «rigido» è in grado di fare.

Contenuto minimo dello schema di Stato Patrimoniale secondo le regole IASB

ATTIVO NON CORRENTE PATRIMONIO NETTO


Immobili, impianti e macchinari Capitale (al netto da quote da versare e azioni
(distinzione in classi IAS 16) proprie)
Investimenti immobiliari Riserve (sovraprezzo, altre)
Attività immateriali Quota pertinenza di terzi (se consolidato)
Partecipazioni (al patrimonio netto)
Imposte anticipate PASSIVO NON CORRENTE
Passivo finanziario a lungo
Fondi a lungo (benefici dipendenti, altri)
Imposte differite

ATTIVO CORRENTE PASSIVO CORRENTE


Rimanenze (materie, wip, prodotti finiti) Debiti commerciali
Crediti Commerciali Debiti tributari
(clienti, parti correlate, anticipi, altri) Fondi a breve
Strumenti finanziari Passivo finanziario a breve
Disponibilità liquide

ATTIVITÀ NON CORRENTI DESTINATE PASSIVITÀ NON CORRENTI DESTINATE


ALLA VENDITA ALLA VENDITA

2.2. Il Conto Economico

2.2.1. Gli elementi del Conto Economico


I componenti del Conto Economico sono i ricavi ed i costi dalla cui differenza sca-
turisce il reddito di esercizio.
Nella dottrina economico-aziendale italiana di matrice zappiana si tende sempre a
definire il singolo ricavo o il singolo costo come un componente «elementare» del red-
dito di esercizio (derivato da una variazione numeraria), nel senso che nessun elemen-

64
to preso nella sua individualità può assurgere a ritenersi una variazione diretta del pa-
trimonio netto. È solo dal loro sistema che scaturisce il reddito di esercizio e solo que-
st’ultimo rappresenta la variazione del patrimonio netto (Zappa, 1951).
Il Codice Civile non definisce il concetto di ricavo/costo, al pari dei principi conta-
bili dell’OIC.
Al contrario, lo IASB (nel Framework più volte citato) definisce il ricavo (costo)
come incremento (decremento) dei benefici economici sotto forma di afflusso (deflus-
so) o rivalutazione (svalutazione) di attività o di decremento (incremento) di passività
tale da comportare un incremento del patrimonio netto. Emerge quindi la concezione
«patrimonialista» della impostazione dello IASB, che pone cioè il fulcro del bilancio
nello Stato Patrimoniale, definendo prima le attività/passività e poi, per derivazione, i
ricavi/costi. La misurazione attendibile di tali incrementi di attività o decrementi di
passività, rappresenta poi l’altra condizione per il loro riconoscimento in bilancio. Lo
IASB precisa poi la necessaria verifica del criterio della correlazione costi-ricavi, negli
stessi termini da noi esaminati nel par. 1.5.
Si rilevi poi anche il fatto che lo IASB considera quale ricavo la rivalutazione di
un’attività, anche se non si è avuta realizzazione tramite un atto di vendita. Se questa
impostazione è congrua con la valutazione al fair value tanto amata dallo IASB, si se-
gnala peraltro la distanza con la nostra normativa secondo la quale «si possono indica-
re soltanto gli utili realizzati alla fine dell’esercizio» (art. 2423 bis, n. 2). L’appli-
cazione delle regole IASB porta quindi ad un modello di risultato economico ben di-
verso e meno prudente di quello tipico della tradizione italiana. Nella nostra normativa
il risultato di esercizio che scaturisce dal Conto Economico, anche se non del tutto rea-
lizzato in quanto influiscono comunque valori stimati e congetturati, è sicuramente più
vicino alla logica di derivazione numeraria ed in questo senso la sua determinazione è
più ispirata alla prudenza amministrativa.

2.2.2. Lo schema generale di classificazione, le macroclassi ed il loro conte-


nuto
L’art. 2425 bis indica una struttura del Conto Economico scalare a due livelli. Il
primo livello, contrassegnato da una lettera maiuscola, identifica quattro classi, per
ciascuna delle quali deve essere riportato il totale. All’interno di ogni classe è presente
una classificazione di voci individuate da numeri arabi. La struttura scalare consente
di evidenziare dei risultati parziali. Nello schema del codice ne sono presenti due: la
differenza A-B e il risultato prima delle imposte. Dopo quest’ultima voce devono es-
sere separatamente indicate alla voce 20 le imposte sul reddito che precedono l’utile
(perdita di esercizio) a chiusura del Conto Economico.
Anche per il Conto Economico valgono le possibilità e gli obblighi di modifica del-
lo schema formale contenuti nell’art. 2423 ter e già descritti nel par. 2.1.3.
La tabella seguente sintetizza lo schema di Conto Economico.

65
SCHEMA DI SINTESI DEL CONTO ECONOMICO (art. 2425 c.c.)

A) Valore della produzione


B) Costi della produzione
Differenza A – B
C) Proventi e oneri finanziari
D) Rettifiche di valore di attività finanziarie
Risultato prima delle imposte (A – B + C + D)
20) Imposte sul reddito
Utile (perdita dell’esercizio)

La classe A) comprende tutti i ricavi dei processi produttivi appartenenti tanto alla
gestione caratteristica quanto alla eventuale gestione extracaratteristica, così come la
classe B) ne comprende i relativi costi. La differenza A – B pertanto finisce per rap-
presentare un risultato operativo globale, che include dunque non solo la gestione ca-
ratteristica ma anche l’eventuale gestione extracaratteristica.
Deve essere notato che nella classe A) non si trovano soltanto i ricavi derivanti da
vendite di beni/servizi, quanto anche le variazioni delle rimanenze di magazzino di
prodotti finiti, prodotti e commesse in corso di lavorazione e le capitalizzazioni, ossia
gli incrementi di immobilizzazioni a seguito di processi produttivi interni. In questo
modo la classe A) contiene sia valori che hanno già avuto manifestazione finanziaria (i
ricavi di vendita), quanto ricavi intesi come aumento della produzione interna, che non
si è ancora tradotta in cessioni al mercato (le variazioni di magazzino) o per la quale
non è neppure previsto un realizzo diretto, quanto un realizzo indiretto, tramite parte-
cipazione ai processi interni (le capitalizzazioni). Appaiono quindi nella classe A) dei
valori eterogenei, alcuni di origine numeraria, altra derivanti da stime e congetture. In
sostanza lo schema del Conto Economico adotta una concezione del ricavo come out-
put «tecnico» del processo produttivo, a prescindere dal suo realizzo con atti di scam-
bio. Tra i costi della produzione appaiono del pari tutti i costi che hanno contribuito ad
ottenere quegli output produttivi. Si parla infatti di struttura a «costi e ricavi integrali».
In base a quanto permesso dalla IV Direttiva CEE sarebbe stato possibile, ma non è
stato fatto, adottare una struttura diversa, secondo lo schema a «costo del venduto»,
secondo la quale i ricavi di vendita risultano enucleati a sé e ad essi si contrappone il
costo del venduto, dato dal costo della produzione integrale diminuito però delle va-
riazioni di magazzino prodotti e delle capitalizzazioni. In effetti se dal totale dei costi
di produzione si tolgono i costi della produzione non venduta (magazzino e capitaliz-
zazioni), otteniamo per differenza il costo del venduto da confrontare con i ricavi di
vendita per ottenere il risultato operativo.
Entro la classe B) i costi sono classificati per natura (materie, servizi, ammortamenti,
ecc.), senza evidenziare quali tipologie di funzioni aziendali o quali processi specifici
questi fattori vanno ad alimentare.

66
Sia entro la classe A che entro la B vi sono due voci residuali (A.5, «altri ricavi e
proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio» e B. 14, «oneri di-
versi di gestione»), per i quali il codice non fornisce ulteriori indicazioni in merito al
loro contenuto. Nel box successivo evidenziamo il contenuto di dette voci secondo i
principi contabili dell’OIC.

BOX 7 – Il contenuto delle voci A.5 e B.14 secondo l’OIC 12


Nella voce A.5 devono essere inclusi i seguenti ricavi:
 ricavi derivanti dalle gestioni accessorie (specie di tipo immobiliare);
 plusvalenze da alienazione di beni strumentali;
 plusvalenze di «ripristino» derivanti dalla eliminazione dei motivi che avevano determinato precedenti
svalutazioni delle immobilizzazioni materiali o immateriali e dei crediti circolanti iscritte in esercizi
precedenti nella voce B.10;
 sopravvenienze attive e insussistenze di passivo relative a valori stimati (eccedenze di fondi spese, ad
esempio);
 contributi in conto esercizio e quota corrente dei contributi in conto capitale. Non devono tuttavia
essere inseriti in questa voce i contributi aventi natura finanziaria che riducono l’onere per interessi
passivi su alcuni tipi di finanziamenti assunti dall’impresa i quali vanno portati a detrazione della voce
C.17 (es. contributi ex legge Sabatini per acquisto macchinari);
 ricavi e proventi diversi di natura non finanziaria: rimborsi spese, risarcimenti assicurativi, ricavi per
caparre acquisite a titolo definitivo, compensi per distaccamento di personale presso altre aziende;
 componenti reddituali positivi derivanti da certificati ambientali (cfr. OIC 7 «I certificati verdi» e OIC 8
«Le quote di emissione di gas ad effetto serra».
Nella voce B.14 andranno inclusi i seguenti costi:
 costi derivanti dalle gestioni accessorie;
 minusvalenze da alienazione beni strumentali;
 imposte indirette, tasse e contributi (imposte di registro, catastali e ipotecarie, concessioni governative,
bollo, tasse dovute a enti locali come tassa per trasporto rifiuti, pubblicità, ecc.);
 sopravvenienze passive e insussistenze di attivo relative a valori stimati, (perdite dovute ad insufficien-
za degli accantonamenti fatti in esercizi precedenti nei fondi spese e rischi). Il documento al riguardo
precisa che in tale voce vanno collocate anche le perdite su crediti;
 costi e oneri diversi, di natura non finanziaria. Il documento include in questo punto numerosi altri
costi altrimenti non collocabili:
– contributi ad associazioni sindacali e di categoria;
– omaggi e articoli promozionali;
– oneri di utilità sociale;
– abbonamenti e costi di acquisto di giornali, riviste, pubblicazioni varie;
– costi per deposito bilanci, verbali assembleari;
– costi (diversi da quelli del personale e da quelli costituenti costi per servizi) per la mensa gestita in-
ternamente;
– differenze inventariali riconosciute al proprietario dell’azienda condotta in affitto o in usufrutto;
– oneri derivanti da operazioni di compravendita con obbligo di retrocessione, qualora queste si confi-
gurino come prestiti di beni;
– componenti negativi reddituali derivanti da certificati ambientali (cfr. OIC 7 «I certificati verdi» e
OIC 8 «Le quote di emissione di gas ad effetto serra».

67
La classe C) include i componenti reddituali relativi alla gestione dei finanziamenti
(interessi attivi su crediti e interessi passivi su debiti) e delle attività finanziarie (divi-
dendi, interessi su titoli posseduti, ecc.) che hanno comportato una manifestazione
numeraria oltre alla differenze (positive/negative) su cambi. Il suo saldo può assumere
segno positivo o negativo a seconda della prevalenza dei ricavi sui costi.
La classe D) comprende componenti reddituali che non riflettono costi e ricavi de-
rivanti da operazioni con terzi ma dipendenti da rilevazioni di assestamento, quali sva-
lutazioni e rivalutazioni, ottenute applicando i criteri di valutazione delle attività fi-
nanziarie. Concettualmente le classi C) e D) comprendono nel loro complesso i riflessi
reddituali della gestione dei finanziamenti e delle attività finanziarie possedute dall’a-
zienda.
Dal 1° gennaio 2016, per allinearsi alle regole dello IASB, non esiste più invece l’area
straordinaria, prima distintamente evidenziata. In tal modo si evitano anche le incer-
tezze circa la definizione di cosa fosse straordinario e cosa no.

Negli studi di analisi di bilancio si è soliti individuare nel conto economico le aree
caratteristica, accessoria, finanziaria e straordinaria in modo da meglio comprendere
i motivi che hanno condotto al risultato economico di periodo. Tali aree dovrebbero
portare alla evidenziazione, come fondamentale risultato intermedio, del risultato ope-
rativo. L’area caratteristica contiene i componenti reddituali derivanti dalle operazio-
ni che identificano e qualificano l’attività economica aziendale; l’area finanziaria,
sebbene non sia definita nel suo complesso, concerne i componenti reddituali connessi
al finanziamento dei processi aziendali e alla gestione delle attività finanziarie. Del-
l’area accessoria viene fornita solo una concezione residuale rispetto alle precedenti.
Le tre aree indicate formano nel complesso la gestione ordinaria che si contrappone a
quella straordinaria. Rispetto a questi schemi, la struttura civilistica non è allineata in
quanto, come si è visto:
 è sostanzialmente basata sullo schema a costi e ricavi integrali, che presenta l’area
del valore della produzione in cui confluiscono voci eterogenee quanto a manife-
stazione finanziaria. I ricavi di vendita, già realizzati finanziariamente, sono infatti
raggruppati assieme alla variazione delle rimanenze del magazzino prodotti o agli
incrementi di immobilizzazioni per lavori interni, voci che al contrario prevedono
una valutazione al costo e sono ancora prive di una realizzazione finanziaria;
 pur prevedendo l’area finanziaria e quella straordinaria, non contempla un’esplicita
area accessoria che si presenta pertanto confusa con quella caratteristica entro gli
aggregati A (valore della produzione) e B (costo della produzione);
 la differenza A-B di cui all’art. 2425 c.c. pertanto non coincide con il risultato ope-
rativo della gestione caratteristica;
 non è più possibile distinguere un’area straordinaria.
Quanto alle possibilità di modifica delle voci dello schema civilistico di Conto
Economico di cui all’art. 2425, vale quanto già descritto nel par. 2.1.3.

68
2.2.3. Il Conto Economico secondo lo IASB
La versione dello IAS 1 apparsa nel 2008 ha modificato sensibilmente la logica del
Conto Economico, a partire dal nome che adesso consiste in statement of comprehen-
sive income (traducibile in italiano come «prospetto del reddito complessivo») e non
più nel tradizionale profit and loss. Dal punto di vista logico il prospetto del reddito
complessivo si compone di due parti: la prima sezione comprende il contenuto tradi-
zionale del «vecchio» Conto Economico dal quale derivare l’utile o la perdita del-
l’esercizio (profit or loss) e la seconda sezione riguardante i costi e ricavi inviati diret-
tamente a patrimonio netto e riconducibili nel complesso a plus(minus) valenze poten-
ziali maturate (ma non realizzate) su specifiche attività e passività. Le due sezioni pos-
sono essere riunite in un unico documento oppure essere presentate in due documenti
distinti. In tal caso, il secondo documento, che prende il nome di other comprehensive
income, deve iniziare con il saldo del primo documento, l’utile o la perdita dell’eserci-
zio, aggiungervi i suddetti costi/ricavi inviati direttamente a patrimonio netto per poi
calcolare come somma dei due il comprehensive income. Circa la prima parte dello
statement of comprehensive income, il tradizionale profit and loss, lo IAS 1 prevede
solo un contenuto minimo, integrabile con quanto gli amministratori ritengono necessa-
rio per esporre in modo attendibile e comprensibile la dinamica reddituale dell’azien-
da. Il contenuto minimo è costituito dai:
– ricavi di vendita;
– costi finanziari;
– plusvalenze/minusvalenze derivanti da dismissioni di beni strumentali e di rami
d’azienda;
– imposte;
– utile/perdita di esercizio.
Non è neppure permessa l’autonoma identificazione di un’area straordinaria, visto
che i componenti che prevalentemente la costituiscono, ossia le plusvalenze/minus-
valenze da cessione beni strumentali, sono individuate in voce autonoma (come previ-
sto anche dall’IFRS n. 5).
Circa la classificazione dei costi, lo IAS 1 non impone un particolare criterio, rite-
nendo accettabile tanto il criterio per natura quanto quelle per destinazione. Con il
primo criterio si avrebbe una struttura di Conto Economico simile a quella prevista dal
Codice Civile italiano. Il criterio di destinazione porta a distinguere entro l’area opera-
tiva il costo industriale del venduto (pari al costo della produzione ottenuta meno la
variazione del magazzino prodotti), i costi di distribuzione e quelli amministrativi, di-
stinguendo pertanto l’incidenza a Conto Economico delle principali funzioni aziendali.
La differenza dei ricavi di vendita e del costo industriale del venduto permette di evi-
denziare un margine intermedio (gross profit). Lo IAS 1 stabilisce però che l’azienda
opta per una classificazione dei costi funzionale, deve presentare comunque il detta-
glio dei costi classificati per natura.
Per quanto riguarda la seconda parte, ossia gli other comprehensive income, sono
fondamentalmente due i motivi per i quali i principi contabili internazionali diversa-

69
mente da quelli italiani prevedono un numero ben più ampio di movimenti del patri-
monio netto non dipendenti da operazioni con soci o da destinazione del risultato di
esercizio ma da costi e ricavi non ancora realizzati:
1. in primo luogo, la scarsa rilevanza assunta nel corpus dei principi IFRS dal prin-
cipio della prudenza e la contestuale affermazione della filosofia del fair value come
criterio sempre più basilare delle valutazioni di bilancio. Tale impostazione porta ad
attribuire allo Stato Patrimoniale quasi la funzione di indicatore del valore prospettico
del patrimonio aziendale e consigliare conseguentemente valutazioni che tendano a
riconoscere in bilancio alle varie attività/passività plusvalori semplicemente potenziali
e non realizzati;
2. in secondo luogo, e contabilmente potremmo dire in contropartita, la sopra de-
scritta logica «patrimoniale» tipica degli IFRS, secondo la quale un ricavo consiste in
un incremento del patrimonio netto indotto da un incremento di attività (o decremento
di passività) non compensato da un movimento opposto di uguale segno. In altre paro-
le, il patrimonio netto tende ad alimentarsi per singoli movimenti valutativi, ben diver-
samente dalla tradizione italiana, secondo la quale è la sintesi di costi e ricavi di deri-
vazione numeraria nel reddito di esercizio a rappresentare un’unica macro-variazione
del patrimonio netto. Per questa logica il passaggio a Conto Economico dei costi/rica-
vi quasi si configura come secondario, tanto che in alcuni casi più avanti esaminati an-
che il realizzo dei plusvalori potenziali già contabilizzati non necessariamente deter-
mina un ricavo a Conto Economico.
Questi other comprehensive income¸ costi e ricavi imputati direttamente a patrimo-
nio netto, derivano prevalentemente da valutazione al fair value non ancora realizzate-
si. I principali esempi, meglio descritti nei capitoli successivi, consistono nell’adegua-
mento al fair value delle immobilizzazioni materiali/immateriali (IAS 16/IAS 38) lad-
dove si è optato per il revaluation model, nell’adeguamento al fair value per le attività
finanziarie inserite nella categoria available for sale (IAS 39), nell’adeguamento al
fair value, per la parte efficace della copertura, dei derivati di copertura nelle opera-
zioni di cash flow hedge (IAS 39) e negli utili/perdite attuariali su piani a benefici de-
finiti se non si opta per l’invio a Conto Economico (IAS 19).
Secondo lo IAS 1, tali componenti possono essere esposti nello statement of com-
prehensive income al netto delle imposte relative oppure al lordo, caso nel quale le
imposte riferite alla globalità di tali componenti potranno essere riepilogate in voce
unica.
In alcuni casi, a seconda dello specifico principio che li disciplina, gli other com-
prehensive income derivanti da plus(minus)valenze potenziali quando sono realizzati
transitano nella sezione dei profit and loss, divenendo costi e ricavi di derivazione
numeraria. Solo che alla iscrizione nella sezione del profit and loss deve corrispondere
una variazione di segno opposto nella sezione degli other comprehensive income, dal
momento che la plus(minus)valenza potenziale non ancora realizzata aveva già con-
corso al comprehensive income di un esercizio precedente e nell’esercizio di realizza-
zione essa dovrà essere neutralizzata.
Questo accade ad esempio nei casi di adeguamento al fair value per le attività fi-

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nanziarie inserite nella categoria available for sale (IAS 39, discusso più avanti), dove
la realizzazione implica l’invio al profit and loss, e nell’adeguamento al fair value, per
la parte efficace della copertura, dei derivati di copertura nelle operazioni di cash flow
hedge (IAS 39).
Ad esempio se una partecipazione acquisita a titolo speculativo e classificata tra gli
available for sale dal costo di 100 a fine esercizio presenta un fair value di 120, si do-
vrà iscrivere un ricavo nella sezione degli other comprehensive income per 20, attri-
buito direttamente a patrimonio netto. Se nell’esercizio successivo la partecipazione è
venduta per 130, nella sezione del profit and loss si dovrà registrare un ricavo per plu-
svalenza cessione titoli per 30, mentre nella sezione degli other comprehensive income
si registrerà una riduzione per 20, data dell’annullamento della plusvalenza potenziale
rilevata nell’esercizio precedente. In questo modo la plusvalenza totale di 30 data dalla
differenza tra prezzo di vendita e costo di acquisto si troverà ad inciderà sul compre-
hensive income per 20 nel primo esercizio e per 10 nel secondo.
Gli annullamenti di other comprehensive income rilevati nello statement of com-
prehensive income di esercizi precedenti prendono il nome di reclassification adjust-
ments. Questi annullamenti possono essere descritti sia nel prospetto in parola che nel-
le Note. In questo secondo caso, gli other comprehensive income dell’esercizio devono
essere riportati nello statement al netto dei reclassification adjustments. Questo mec-
canismo di registrazione rende amministrativamente non banale seguire la dinamica
contabile di questi costi/ricavi imputati direttamente a patrimonio netto. Per un esem-
pio si rinvia al par. 8.8.2.
In altri casi, come per le rivalutazioni compiute in applicazione del revaluation
model permesso dallo IAS 16, non vi sarà nessun annullamento negli esercizi succes-
sivi perché il principio specifico dispone che in caso di realizzo, la plus(minus)valenza
di valutazione imputata al statement of comprehensive incombe sia girata a riserva di-
sponibile e non considerata come componente reddituale nell’esercizio di realizzazione.
La due classi di OCI, quelli che transitano dal profit and loss al momento del rea-
lizzo e quelli che non vi transitano, devono essere separatamente evidenziati nel pro-
spetto del comprehensive income.

2.3. Il rendiconto finanziario: l’OIC 10 e lo IAS 7


Dal 1° gennaio 2016, con la modifica introdotta dal D.Lgs. n. 139/2015, il Codice
Civile obbliga alla redazione del rendiconto finanziario; prevedendo all’art. 2425 ter
che «Dal rendiconto finanziario risultano, per l’esercizio a cui è riferito il bilancio e
per quello precedente, l’ammontare e la composizione delle disponibilità liquide, all’i-
nizio e alla fine dell’esercizio, ed i flussi finanziari dell’esercizio derivanti dall’attività
operativa, da quella di investimento, da quella di finanziamento, ivi comprese, con au-
tonoma indicazione, le operazioni con i soci». Come si vede, manca la previsione di sche-
mi dettagliati per tale prospetto, per cui appare indispensabile ricorrere a quanto stabi-
lito dall’OIC 10.
L’OIC 10 attribuisce al rendiconto finanziario le finalità di valutare le disponibilità

71
liquide prodotte/assorbite dalla gestione reddituale e le modalità di impiego/copertura,
la capacità della società o del gruppo di affrontare gli impegni finanziari a breve ter-
mine e la capacità della società o del gruppo di autofinanziarsi. È quindi un prospetto
che pone in rilievo un aspetto dinamico della gestione aziendale avendo riguardo ai pro-
cessi di formazione ed impiego delle risorse finanziarie.
L’OIC 10 sceglie di considerare, al pari di quanto avviene per i principi IASB con
lo IAS 7, un unico tipo di «risorsa finanziaria» come riferimento per il rendiconto che
consiste nelle disponibilità liquide (cassa e depositi bancari e postali), escludendo de-
finitivamente l’uso (ritenuto obsoleto e con minor valenza informativa) del capitale
circolante netto. Il rendiconto finanziario deve quindi mostrare «tutti i flussi finanziari
in uscita e in entrata delle disponibilità liquide avvenute nell’esercizio».
Entrambi i principi contabili (OIC 10 e IAS 7) richiedono che il rendiconto finan-
ziario debba essere articolato in tre «zone» che permettano di evidenziare flussi di cas-
sa di specifiche aree gestionali.
1. In primo luogo deve apparire il flusso di cassa derivante dalla gestione reddituale
(od operativa, come preferisce definire lo IAS 7). Questo flusso emerge da una riela-
borazione delle voci contenute nel Conto Economico. Si tratta infatti di evidenziare il
flusso di cassa lordo, ossia la differenza tra ricavi e costi che hanno avuto manifesta-
zione monetaria (o meglio, tra ricavi che hanno determinato afflusso di denaro e costi
che hanno drenato liquidità). Tale differenza non coincide ovviamente con il reddito di
esercizio, in quanto quest’ultima grandezza comprende anche ricavi «non monetari»
(un incremento di magazzino, una capitalizzazione di costi, ad es.) e costi «non mone-
tari» (tra i quali emergono anzitutto le quote di ammortamento e di accantonamento a
vari fondi). Tale flusso esprime la capacità dell’azienda di autofinanziarsi, generando
liquidità tramite la propria attività operativa senza ricorso a fonti di finanziamento
esterne.
2. Un secondo flusso specifico promana dalle operazioni di investimento e disinve-
stimento relative alle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie (es. varia-
zioni delle disponibilità liquide determinate da acquisti e vendite di macchinari, di par-
tecipazioni, di prestiti concessi ad altri soggetti, ecc.). Tale flusso evidenzia i flussi di
liquidità derivanti dai cambiamenti della struttura aziendale. Se un’azienda espande la
propria struttura, il flusso degli investimenti avrà presumibilmente segno negativo; sa-
rà invece un flusso positivo se l’azienda si contrae, dismettendo i suoi investimenti strut-
turali.
3. Il terzo flusso concerne i movimenti di liquidità causati dalle operazioni di fi-
nanziamento a titolo sia di mezzi propri sia di debiti di finanziamento. Vi si troveran-
no quindi entrate di liquidità, come acquisizione di nuovi finanziamenti sia a breve che
a lungo termine, e uscite di liquidità causate da rimborsi di prestiti ottenuti e di capita-
le ai soci. Il pagamento dei dividendi è considerato un deflusso di liquidità afferente
alla gestione dei finanziamenti. Tale flusso netto evidenzia il ricorso complessivo ef-
fettuato a finanziamenti di terzi soggetti.
La somma dei flussi parziali derivanti dalle aree sopra citate, determina la variazione
(positiva o negativa) netta subita dalle disponibilità liquide nell’arco dell’esercizio.

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Entro l’area reddituale (o operativa), possono poi essere adottati due metodi, diretto
ed indiretto, di rilevazione del flusso di liquidità.
Con il metodo diretto, si sottraggono dai ricavi «monetari» i costi «monetari». I ri-
cavi di vendita infatti possono aver originato non solo entrate di liquidità ma anche
crediti per dilazioni concesse. Quindi l’ottenimento delle entrate di liquidità da clienti
sarà calcolato sottraendo dai ricavi di vendita la variazione dei crediti commerciali
(crediti finali-crediti iniziali) che può aver segno positivo (finali maggiore degli inizia-
li) o negativo (caso contrario). Con la stessa logica, l’uscita di denaro a favore di for-
nitori di materie sarà ottenuta sottraendo dai costi di acquisto dell’esercizio la varia-
zione dei debiti relativi (anche in questo caso data da debiti finali-debiti iniziali).
Con il metodo indiretto, si procede a ritroso, aggiungendo al risultato economico
dell’esercizio, preso con il suo segno algebrico, i costi «non monetari» (che non hanno
determinato uscite di liquidità come ammortamenti, accantonamenti a fondi rischi e spe-
se al netto di utilizzi) e sottraendo i «ricavi non monetari» (che non hanno determinato
entrate di liquidità come incrementi di magazzino, incrementi di immobilizzazioni per
lavori interni). Quindi, operativamente, partendo dal risultato di esercizio, si tratterà di:
 sottrarre l’aumento (oppure aggiungere il decremento) delle rimanenze e dei ri-
sconti attivi, in quanto la loro contropartita economica consiste in un ricavo non
monetario;
 sottrarre l’aumento (oppure aggiungere il decremento) dei crediti e dei ratei attivi, in
quanto i ricavi che li hanno generati non hanno comportato incremento di liquidità;
 aggiungere l’aumento (oppure sottrarre il decremento) dei debiti verso fornitori
(aventi per contropartita un costo a Conto Economico) e dei ratei passivi, in quanto
i costi che li hanno generati non hanno comportato decremento di liquidità;
 aggiungere l’aumento (oppure sottrarre il decremento) dei risconti passivi (aventi
per contropartita un costo a Conto Economico), in quanto i costi che li hanno gene-
rati non hanno comportato decremento di liquidità.
Permarranno comunque costi non finanziari da aggiungere al risultato economico,
come gli ammortamenti e gli accantonamenti ai fondi (stavolta sia relativi al breve che
al lungo periodo). Tuttavia, se un fondo spese o rischi ha originato un’uscita di liquidi-
tà (es. il pagamento del TFR ai dipendenti), tali pagamenti dovranno essere portati a
rettifica dell’accantonamento medesimo. L’equivalenza dei due metodi, diretto ed in-
diretto, appare chiaramente dalla seguente equazione:
ricavi «monetari» + «ricavi non monetari» = costi «non monetari» + costi «monetari» +
risultato di esercizio (+/–)
ne consegue che il flusso di danaro della gestione reddituale può essere espresso sia
con la parte sinistra (metodo diretto) che destra (metodo indiretto) della seguente ugua-
glianza:
ricavi «monetari» – costi «monetari» = risultato di esercizio + costi «non monetari»
– «ricavi non monetari».

73
È evidente che se il flusso assume segno negativo, significa che la gestione reddi-
tuale ha drenato liquidità. Lo IAS 7 consiglia di utilizzare il metodo diretto, il quale
evidenzia più chiaramente l’origine delle variazioni di denaro anche se nella prassi ri-
sulta ancora molto diffuso il metodo indiretto.

In ogni caso, i flussi finanziari sono presentati al lordo, cioè senza compensazioni,
salvo ove diversamente indicato. Ad esempio, si devono indicare distintamente: i) nel-
l’attività di investimento, i pagamenti per l’acquisto di un’immobilizzazione dagli in-
cassi per cessione di altra immobilizzazione; ii) nell’attività di finanziamento, le entra-
te derivanti dall’erogazione di nuovi finanziamenti dai pagamenti delle quote di rim-
borso.
Nello stesso tempo, le operazioni di investimento o di finanziamento che non ri-
chiedono l’impiego di disponibilità liquide non sono presentate nel rendiconto finan-
ziario (come ad esempio una conversione di debiti in capitale o una rivalutazione di
cespiti).
Esempi di strutture di rendiconto
La struttura di rendiconto finanziario basato sui flussi di liquidità presentata dall’OIC
10 è presentata in forma scalare e scandita nelle tre grandi aree della gestione reddituale,
delle attività di investimento e delle attività di finanziamento. Si riporta nella tabella se-
guente la configurazione proposta dall’OIC 10 sia nella variante con la quale il flusso
reddituale è determinato secondo il metodo indiretto (schema 1), sia quella con la quale
il flusso reddituale è determinato secondo il metodo indiretto (schema 2).

Schema 1. – Con flusso reddituale determinato con il metodo indiretto

201X+1 201X

A. Flussi finanziari derivanti dalla gestione reddituale (metodo indi-


retto)
Utile (perdita) dell’esercizio
Imposte sul reddito
Interessi passivi/(interessi attivi)
(Dividendi)
(Plusvalenze)/minusvalenze derivanti dalla cessione di attività
1. Utile (perdita) dell’esercizio prima d’imposte sul reddito, in-
teressi, dividendi e plus/minusvalenze da cessione
Rettifiche per elementi non monetari che non hanno avuto contropartita
nel capitale circolante netto
Accantonamenti ai fondi
Ammortamenti delle immobilizzazioni
Svalutazioni per perdite durevoli di valore
Altre rettifiche per elementi non monetari
(segue)

74
201X+1 201X

2. Flusso finanziario prima delle variazioni del ccn


Variazioni del capitale circolante netto
Decremento/(incremento) delle rimanenze
Decremento/(incremento) dei crediti vs clienti
Incremento/(decremento) dei debiti verso fornitori
Decremento/(incremento) ratei e risconti attivi
Incremento/(decremento) ratei e risconti passivi
Altre variazioni del capitale circolante netto
3. Flusso finanziario dopo le variazioni del ccn
Altre rettifiche
Interessi incassati/(pagati)
(Imposte sul reddito pagate)
Dividendi incassati
(Utilizzo dei fondi)
4. Flusso finanziario dopo le altre rettifiche
Flusso finanziario della gestione reddituale (A)
B. Flussi finanziari derivanti dall’attività d’investimento
Immobilizzazioni materiali
(Investimenti)
Prezzo di realizzo disinvestimenti
Immobilizzazioni immateriali
(Investimenti)
Prezzo di realizzo disinvestimenti
Immobilizzazioni finanziarie
(Investimenti)
Prezzo di realizzo disinvestimenti
Attività finanziarie non immobilizzate
(Investimenti)
Prezzo di realizzo disinvestimenti
Acquisizione o cessione di società controllate o di rami d’azienda al net-
to delle disponibilità liquide
Flusso finanziario dell’attività di investimento (B)
C. Flussi finanziari derivanti dall’attività di finanziamento
Mezzi di terzi
Incremento (decremento) debiti a breve verso banche
Accensione finanziamenti
Rimborso finanziamenti
Mezzi propri
Aumento di capitale a pagamento
Cessione (acquisto) di azioni proprie
Dividendi (e acconti su dividendi) pagati
(segue)

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201X+1 201X
Flusso finanziario dell’attività di finanziamento (C)
Incremento (decremento) delle disponibilità liquide (A ± B ± C)
Disponibilità liquide al 1° gennaio 200X+1
Disponibilità liquide al 31 dicembre 200X+1

Schema 2. – Dettaglio del flusso reddituale determinato con il metodo diretto

201X+1 201X

A. Flussi finanziari derivanti dalla gestione reddituale (metodo diretto)


Incassi da clienti
Altri incassi
(Pagamenti a fornitori per acquisti)
(Pagamenti a fornitori per servizi)
(Pagamenti al personale)
(Altri pagamenti)
(Imposte pagate sul reddito)
Interessi incassati/( pagati)
Dividendi incassati
Flusso finanziario dalla gestione reddituale (A)

Rispetto a questo schema, l’OIC 10, per garantire flessibilità applicativa, precisa
che:
 si possono aggiungere ulteriori flussi finanziari rispetto a quelli previsti negli sche-
mi qualora sia necessario ai fini della chiarezza e della rappresentazione veritiera e
corretta della situazione finanziaria;
 i singoli flussi finanziari presentati nelle categorie precedute dalle lettere maiuscole
possono essere ulteriormente suddivisi per fornire una migliore descrizione delle
attività svolte dalla società o raggruppati quando il loro raggruppamento favorisce
la chiarezza del rendiconto o quando è irrilevante ai fini della rappresentazione ve-
ritiera e corretta della situazione finanziaria della società;
 per ogni flusso finanziario presentato nel rendiconto è indicato l’importo del flusso
corrisponde dell’esercizio precedente. Se i flussi non sono comparabili, quelli rela-
tivi all’esercizio precedente sono adattati; la non comparabilità e l’adattamento, o
l’impossibilità di questo, sono segnalati e commentati in calce al rendiconto finan-
ziario.
Alcune precisazioni sono necessarie per comprendere meglio il funzionamento del
prospetto e per definire alcuni dettagli:
 per gli afflussi di liquidità da cessione di immobilizzazioni, se la cessione avviene ad

76
un valore diverso dal valore netto contabile e si genera quindi una plus(minus)valenza,
nello schema dell’OIC 10 si è deciso di esporre entro l’area degli investimenti il flus-
so al valore di vendita della cessione. Così facendo, però, si dovrà rettificare il flus-
so reddituale dell’ammontare della plus(minus)valenza, per non contarla due volte
(una volta nel flusso degli investimenti incluso nel valore di realizzo della immobi-
lizzazione, una seconda volta in quanto già inclusa nel flusso reddituale come rica-
vo/costo). Quindi, se risulta una plusvalenza, essa va sottratta dal flusso reddituale
oppure aggiunta se trattasi di minusvalenza;
 se si acquista un’immobilizzazione a dilazione, l’operazione non riduce la liquidità,
come pure non l’aumenta un’operazione di vendita di immobilizzazioni conceden-
do dilazione agli acquirenti. Pertanto il deflusso derivante dall’acquisto di cespiti
sarà pari al valore dei beni acquistati diminuito della variazione dei debiti relativi,
come pure il flusso derivante dalla vendita dei cespiti sarà pari al valore dei beni
diminuito dell’aumento dei crediti connessi;
 secondo l’OIC 10 gli interessi pagati e incassati sono presentati distintamente tra i
flussi finanziari della gestione reddituale, salvo particolari casi in cui essi si riferi-
scono direttamente ad investimenti (attività di investimento) o a finanziamenti (at-
tività di finanziamento);
 i flussi in valuta estera sono iscritti in euro applicando il tasso di cambio al momen-
to in cui avviene il flusso. Gli utili o le perdite derivanti da variazioni nei cambi in
valuta estera non realizzati non rappresentano flussi finanziari; l’utile (o perdita)
dell’esercizio è, dunque, rettificato per tener conto di queste operazioni che non
hanno natura monetaria. L’effetto delle variazioni dei cambi sulle disponibilità li-
quide possedute o dovute in valuta estera è presentato in modo distinto rispetto ai
flussi finanziari della gestione reddituale, dell’attività di investimento e di finan-
ziamento;
 se un derivato (ad esempio un future, un contratto a termine, un’opzione, uno swap)
è designato come uno strumento di copertura, i relativi flussi finanziari sono presen-
tati nella medesima categoria dei flussi finanziari dell’elemento coperto (ad esempio,
un finanziamento a medio-lungo termine). I flussi finanziari del derivato di coper-
tura in entrata e in uscita sono evidenziati in modo separato.
Lo IAS 7 propone in appendice uno schema simile, con alcune differenze per quan-
to riguarda soprattutto l’area reddituale. Infatti abbiamo:

1. Flussi della gestione operativa


Entrate da clienti –
Uscite a fornitori e dipendenti =
Flusso da operazioni –
Interessi pagati –
Imposte sul reddito pagate =
Flusso ordinario –
Entrate/Uscite da operazioni straordinarie =
A) Flusso di disponibilità liquide derivanti da gestione operativa
(segue)

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2. Flussi da gestione di investimento
Interessi riscossi +
Dividendi incassati –
Uscite per acquisizioni partecipazioni –
Uscite per acquisizioni di immobili, impianti e macchinari +
Entrate per cessioni di immobili, impianti e macchinari =
B) Flusso di disponibilità liquide derivanti da gestione investimenti
3. Flussi da gestione finanziaria
Incassi emissione nuove azioni +
Incassi finanziamenti a lungo termine –
Pagamenti per locazioni finanziarie –
Dividendi corrisposti =
C) Flusso di disponibilità liquide derivanti da gestione finanziamenti

Flusso di disponibilità liquide (A + B + C) +


Disponibilità liquide iniziali =
Disponibilità liquide finali

Nello schema IASB risulta che l’area reddituale, presentata con il metodo diretto,
prevede l’evidenza di alcuni flussi parziali, come quello operativo caratteristico (entra-
te da clienti – uscite a favore di fornitori) e quello ordinario, che precede il flusso con-
nesso ad operazioni straordinarie; dall’area reddituale sono esclusi i proventi degli in-
vestimenti finanziari (interessi e partecipazioni) che sono collocati nella gestione degli
investimenti. Lo stesso IAS 7 precisa tuttavia che i componenti reddituali finanziari
(interessi attivi e passivi e dividendi) potrebbero trovare tutti collocazione nell’area red-
dituale, oppure collocare i ricavi da investimenti finanziari nell’area degli investimenti
ed i costi di finanziamento (interessi passivi) nella gestione dei finanziamenti.
Si evidenzia inoltre come i canoni del leasing finanziario, secondo questo esempi,
sono considerati cosato attinenti alla gestione dei finanziamenti, così come la sostanza
dell’operazione di leasing risulta essere quella di un finanziamento.

2.4. Le funzioni della Nota Integrativa


Il quarto prospetto componente il bilancio secondo il Codice Civile è costituito dal-
la Nota Integrativa (art. 2423, 1° comma). Il contenuto obbligatorio di tale documento
è disciplinato dall’art. 2427, anche se altri richiami alla Nota Integrativa sono contenu-
ti in altri articoli del Codice Civile. Circa il profilo formale, l’ultimo comma dell’art.
2427 richiede che le informazioni in nota integrativa siano presentate «secondo l’or-
dine in cui le relative voci sono indicate nello stato patrimoniale e nel conto economi-
co», onde garantire un certo ordine espositivo.

78
In generale la nota assolve diverse funzioni.
1. La prima e più importante funzione consiste nella spiegazione dei criteri di valu-
tazione adottati per le valutazioni di bilancio. Nella prassi la descrizione di questi cri-
teri è contenuta proprio nella parte iniziale della nota stessa (punto 1). È opportuno
che la descrizione non si limiti ad una mera copiatura dei criteri indicati nell’art. 2426
c.c., ma evidenzi anche la scelta fatta dalla società tra più criteri di valutazione am-
messi dalla norma. Ad esempio, con riferimento alle partecipazioni di controllo o col-
legamento iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie, la nota integrativa illustra se tali
partecipazioni sono state valutate al costo o con il metodo del patrimonio netto.
2. Una seconda funzione consiste nel fornire il dettaglio di certe voci inserite nel
Conto Economico o nello Stato Patrimoniale (punti 3, 5, 6 ter, 7, 7 bis, 12, 13, 17, 19
bis) o di specificare l’inserimento di determinati elementi entro certe voci (punti 6, 8,
11, 14, 16, 22 bis), dettagli che il grado di sintesi dello Stato Patrimoniale e del Conto
Economico non può fornire. In particolare, l’abolizione dell’area straordinaria da parte
del D.Lgs. n. 139/2015 ha imposto la modifica dell’art. 2427, n. 13, ove si stabilisce
che la nota deve indicare l’importo e la natura dei singoli elementi di ricavo o di costo
di entità o incidenza eccezionali, quasi come a salvaguardare almeno in nota l’enu-
cleazione di elementi reddituali che falserebbero il confronto con anni precedenti e suc-
cessivi.
Si segnala inoltre il punto 16, circa l’obbligo di indicare «l’ammontare dei com-
pensi, delle anticipazioni e dei crediti concessi agli spettanti agli amministratori ed ai
sindaci, cumulativamente per ciascuna categoria, precisando il tasso d’interesse, le prin-
cipali condizioni e gli importi eventualmente rimborsati, cancellati o oggetto di rinun-
cia, nonché gli impegni assunti per loro conto per effetto di garanzie di qualsiasi tipo
prestate, precisando il totale per ciascuna categoria».
3. Una terza funzione consiste nel fornire il dettaglio delle variazioni quantitative
che hanno subito gli elementi contenuti nello Stato Patrimoniale. In particolare, il pun-
to 4 prescrive che siano descritte le variazioni che hanno subito tutti gli elementi del-
l’attivo e del passivo, sottolineando, in particolare, la descrizione delle variazioni per
formazione e utilizzi subite dai fondi del passivo e dalle poste del patrimonio netto,
mentre il punto 2 richiede che si descrivano tutte le cause di variazioni delle immobi-
lizzazioni che a partire dal costo storico hanno condotto al valore che appare in bilan-
cio (precedenti svalutazioni/rivalutazioni, ammortamenti, e acquisti/cessioni, svaluta-
zioni/rivalutazioni, ammortamenti, spostamenti ad altre voce avvenuti nell’esercizio,
oltre al totale delle rivalutazioni operate sulle immobilizzazioni).
4. Una quarta funzione infine riguarda l’inserimento di dati aggiuntivi, che non rap-
presentano commenti di voci già inserite negli schemi contabili, ma che permettono
agli utenti di cogliere informazioni utili, come nel caso:
 del punto 6 bis, che prevede la descrizione di eventuali effetti significativi delle va-
riazioni dei cambi valutari verificatesi successivamente alla chiusura dell’esercizio;
 del punto 9, che richiede di mostrare gli impegni, le garanzie e le passività poten-

79
ziali non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione della natura delle ga-
ranzie reali prestate; gli impegni esistenti in materia di trattamento di quiescenza e
simili, nonché gli impegni assunti nei confronti di imprese controllate, collegate,
nonché controllanti e imprese sottoposte al controllo di quest’ultime sono distinta-
mente indicati;
 del punto 10, che richiede di fornire la ripartizione dei ricavi di vendita per rami di
business e aree geografiche;
 del punto 15 (numero medio di dipendenti ripartito per categoria);
 del punto 18, (descrizione delle azioni di godimento, delle obbligazioni convertibili
in azioni e i titoli o valori simili emessi dalla società, specificando il loro numero e
i diritti che essi attribuiscono, oltreché anche dei warrants e delle opzioni emesse
dalla società;
 del punto 19 (numero e le caratteristiche degli altri strumenti finanziari emessi dal-
la società, con l’indicazione dei diritti patrimoniali e partecipativi che conferiscono
e delle principali caratteristiche delle operazioni relative). Su questo punto torne-
remo più avanti nel capitolo 10;
 del punto 22-ter, che chiede di esporre la natura e gli obbiettivi economici di ac-
cordi non risultanti dallo Stato Patrimoniale tali da generare rischi e/o benefici si-
gnificativi la cui conoscenza è utile per apprezzare la situazione aziendale (infor-
mazioni peraltro della stessa categoria di quelle previste al punto 9). Tali impegni
possono consistere, ad esempio, in contratti di outsourcing, intestazione di beni in
trust o a società fiduciarie, disposizioni per la ripartizione dei rischi e dei benefici
od obblighi derivanti da contratti di factoring pro-solvendo, accordi combinati di
vendita e riacquisto ecc. In merito a tali accordi si tratterà di esporre anche i poten-
ziali effetti sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società;
 dell’art. 2426, n. 10, il quale richiede di indicare la differenza tra il costo delle ri-
manenze di magazzino (distinte per categoria) derivante dall’applicazione del me-
todo scelto tra LIFO, FIFO e costo medio ed il costo corrente alla chiusura del-
l’esercizio 1.
5. Una ulteriore funzione della Nota Integrativa consiste nel fornire spiegazioni
sull’adozione di certi comportamenti contabili che coinvolgono valutazioni soggettive
ed in quanto tali possono prestarsi ad interpretazioni fin troppo elastiche da parte degli
amministratori, tali da poter determinare una lesione del principio di prudenza:
 al punto 3 si richiede di specificare le motivazioni dell’iscrizione in Stato Patrimo-
niale dei costi di sviluppo e dei costi di impianto e di ampliamento;
 al punto 3 bis, si impone di indicare «la misura e le motivazioni delle riduzioni di
valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, facendo a tal fine esplicito
riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro

1 Nell’art. 78 del regolamento degli emittenti (quindi valido solo per le società quotate), la Consob dispone

che «gli emittenti azioni indicano, nella Nota Integrativa prevista dall’articolo 2427 del Codice Civile, nomi-
nativamente e secondo i criteri stabiliti nell’Allegato 3C, i compensi corrisposti agli amministratori, ai sindaci
e ai direttori generali, a qualsiasi titolo e in qualsiasi forma, anche da società controllate».

80
prevedibile durata utile e, per quanto determinabile, al loro valore di mercato, se-
gnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed
evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell’esercizio». Tale disposi-
zione sarà commentata più avanti al par. 3.2.4.
Altre disposizioni che interpretano quest’ultima funzione sono fornite:
 dall’art. 2423, 4° comma, secondo il quale si devono indicare i criteri con i quali
hanno dato attuazione al postulato della irrilevanza informativa, di cui al par. 1.4.3;
 dall’art. 2423, 5° comma, il quale impone di motivare in Nota Integrativa la deroga
alle regole stabilite dal codice in materia di bilancio per consentire la rappresenta-
zione chiara, veritiera e corretta;
 dall’art. 2423 bis, 2° comma, secondo il quale gli amministratori devono illustrare i
motivi che hanno determinato l’impiego di criteri di valutazione diversi da quelli
precedentemente applicati, in deroga al postulato della comparabilità sostanziale;
 dall’art. 2426, n. 2, che richiede di motivare le eventuali variazioni dei criteri di
ammortamento;
 dall’art. 2426, n. 3 e n. 4, il quale chiede di motivare la differenza positiva, se man-
tenuta in bilancio, tra costo delle partecipazioni immobilizzate in controllate e col-
legate ed il corrispondente valore desumibile dallo Stato Patrimoniale della parte-
cipata;
 dall’art. 2426, n. 6, dove si vuole che gli amministratori motivino la scelta del pe-
riodo di ammortamento dell’avviamento.

Con il D.Lgs. n. 6/2003 è stato introdotto l’obbligo di inserire nella Nota Integrati-
va nuovi importanti prospetti:
 al numero 6, ove già era richiesto alle aziende di indicare per ogni credito e debito,
quelli con scadenza superiore ai cinque anni e i debiti assistiti da garanzie (di cui si
deve specificare il tipo), è stata aggiunta anche la richiesta di indicare la ripartizio-
ne secondo le aree geografiche, per capire al meglio l’incidenza che il rischio Paese
può avere, specie sull’esigibilità dei crediti;
 al n. 7 bis, si richiede di fornire in nota un prospetto con varie informazioni sulle
poste del netto (discusso nel cap. 10);
 al n. 14, è previsto un prospetto concernente le imposte differite e anticipate (com-
mentato nel cap. 13);
 al numero 20, si prevede di inserire in nota una parte specifica dedicata al commen-
to ed alla descrizione dei criteri di valutazione adottati per i beni inclusi nei patri-
moni destinati a specifici affari, come previsto dall’art. 2447 bis;
 al numero 21, si richiede di inserire un prospetto riguardante l’indicazione dei beni
e dei proventi riferiti ai finanziamenti destinati ad uno specifico affare, consentiti
adesso dall’art. 2447 decies;
 al numero 22, si impone di inserire in un prospetto (analizzato nel cap. 4) contenen-
te vari dati riguardanti le operazioni di leasing;
 l’art. 2497 bis, 4° comma, dispone che la società deve esporre, in apposita sezione
della Nota Integrativa, un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bi-

81
lancio della società o dell’ente che esercita su di essa l’attività di direzione e coor-
dinamento», ossia del soggetto che controlla la società, condizionandone significa-
tivamente la gestione. L’OIC 12 affronta la questione specificando che la richiesta
dei dati essenziali dell’ultimo bilancio della società o dell’ente che esercita su di
essa l’attività di direzione e coordinamento deve riguardare l’ultimo bilancio appro-
vato di tale soggetto, portando a mostrare i dati più significativi come i totali delle
voci indicate con lettere maiuscole dello Stato Patrimoniale e del Conto Economico.
Se l’attività di direzione e coordinamento fosse esercitata da più di un soggetto, in
nota vanno riportati i dati essenziali del bilancio di ciascuno di questi soggetti.
Con il D.Lgs. n. 39/2010 che disciplina l’attività di revisione legale è stato intro-
dotto quindi il punto 16-bis) dell’art. 2427, il quale stabilisce che «salvo che la società
sia inclusa in un ambito di consolidamento e le informazioni siano contenute nella No-
ta Integrativa del relativo bilancio consolidato», in nota si deve riportare il corrispetti-
vo di competenza dell’esercizio dovuto per la revisione legale dei conti annuali, per gli
altri servizi di verifica svolti, per i servizi di consulenza fiscale e per altri servizi di-
versi dalla revisione contabile. La disposizione, che rientra tra le informazioni di det-
taglio, è finalizzata a permettere una migliore comprensione della effettiva indipen-
denza del revisore.
Altri cambiamenti nella nota integrativa dipendono quindi da modifiche apportate
dal D.Lgs. n. 139/2015 in vigore dal 1° gennaio 2016:
– all’art. 2427 bis che richiede di indicare in Nota Integrativa:
o per le immobilizzazioni finanziarie diverse dalla partecipazioni in controllate e
collegate e joint ventures, iscritte in contabilità ad un valore maggiore del loro
fair value, le motivazioni di tale comportamento e il fair value;
o per ogni categoria di derivati finanziari, le caratteristiche, il fair value e le ipote-
si principali sui metodi di sua determinazione;
– al punto 22-quater) la descrizione de «la natura e l’effetto patrimoniale, finanziario
ed economico dei fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio». Tale in-
clusione nella nota implica la scomparsa di tale informazione dalla relazione sulla
gestione;
– al punto 22-quinquies), l’indicazione del nome e della sede legale «dell’impresa
che redige il bilancio consolidato dell’insieme più grande di imprese di cui l’im-
presa fa parte in quanto controllata, nonché il luogo in cui è disponibile la copia del
bilancio consolidato» e il nuovo 22-sexies), che richiede l’informazione su «il no-
me e la sede legale dell’impresa che redige il bilancio consolidato dell’insieme più
piccolo di imprese di cui l’impresa fa parte in quanto impresa controllata nonché il
luogo in cui è disponibile la copia del bilancio consolidato»;
– particolarmente innovativa è la disposizione del 22-septies) che riguarda «la propo-
sta di destinazione degli utili o di copertura delle perdite». Quest’ultima modifica
sembra particolarmente interessante perché consente di conoscere, approvazione
dell’assemblea permettendo, l’importo dei dividendi prossimi o di copertura delle
perdite senza dover acquisire il verbale assembleare.

82
La Nota Integrativa infine deve svolgere anche la funzione specifica di favorire la
comparabilità formale dei bilanci in due casi stabiliti dall’art. 2423 ter. Il primo è
quello relativo al caso in cui gli amministratori per favorire la chiarezza abbiano rag-
gruppato delle voci di Stato Patrimoniale o Conto Economico precedute da numeri
arabi. La nota in tal caso deve evidenziare distintamente le voci così raggruppate. Il
secondo e più generale caso riguarda tutte quelle situazioni in cui gli importi del-
l’esercizio precedente non siano comparabili con quelli dell’esercizio successivo (per
es. nel caso di mutamento dell’oggetto sociale). In tal caso la Nota Integrativa dovrà
fornire le indicazioni necessarie a consentire la comparabilità dei valori (art. 2423 ter,
5° comma).
Informazioni su operazioni con parti correlate
Secondo l’OIC 12, circa il n. 22-bis (Operazioni con parti correlate), per la nozione
di «parti correlate» e per il tipo di informazioni da fornire, si deve fare riferimento a
quanto contenuto nello IAS 24 (commentato nel par. 2.3.1, al quale si rinvia), preci-
sando che meritano descrizione le operazioni se rilevanti e se non concluse a normali
condizioni di mercato. Per condizione di mercato si intende non solo il prezzo ma an-
che le altre condizioni (condizioni di pagamento, per esempio) e le motivazioni che
hanno indotto a intrattenere le operazioni con una parte correlata anziché con terzi.
L’art. 2427, n. 22-bis, prevede che le informazioni relative a singole operazioni posso-
no essere aggregate secondo la loro natura (per esempio, acquisti/vendite di beni; pre-
stazioni/ottenimento di servizi), tranne quando informazioni distinte sono necessarie al
fine di comprendere gli effetti delle operazioni con parti correlate sullo Stato Patrimo-
niale della società. L’obbligo di informativa relativo alle operazioni tra parti correlate
intercorse nell’esercizio deve sempre essere rispettato anche se i rapporti con le stesse
non sono più in essere alla data del bilancio.

BOX 8 – L’informazione circa i rapporti con altre società del gruppo secondo l’OIC 12
L’OIC 12 fornisce alcuni esempi per identificare le operazioni delle quali, ai sensi del D.Lgs. n. 173/2008
deve essere fornita l’informativa se effettuate con parti correlate, se rilevanti ed ove non concluse a normali
condizioni di mercato:
a) acquisti o vendite di beni (finiti o semilavorati);
b) acquisti o vendite di immobili ed altre attività (esempio impianti, brevetti);
c) prestazione od ottenimento di servizi;
d) leasing;
e) trasferimenti per ricerca e sviluppo;
f) trasferimenti a titolo di licenza;
g) trasferimenti a titolo di finanziamento (inclusi prestiti e apporti di capitale);
h) clausole di garanzia o pegno;
i) impegni ad intervenire se si verifica o meno un particolare evento futuro, inclusi i contratti esecutivi
(rilevati e non rilevati); lo IAS 37 Accantonamenti, passività e attività potenziali, definisce i contratti
esecutivi come contratti in cui entrambe le parti contraenti non hanno adempiuto a nessuno degli im-
pegni previste oppure hanno adempiuto ai propri impegni parzialmente e nella stessa misura;
j) estinzione di passività per conto dell’entità ovvero da parte dell’entità per conto di un’altra parte;
k) retribuzioni dei dirigenti con responsabilità strategiche.

83
L’art. 2427, n. 22-bis, prevede che le informazioni relative a singole operazioni possono essere aggre-
gate secondo la loro natura (per esempio, acquisti/vendite di beni; prestazioni/ottenimento di servizi),
tranne quando informazioni distinte sono necessarie al fine di comprendere gli effetti delle operazioni con
parti correlate sullo Stato Patrimoniale della società.
L’obbligo di informativa relativo alle operazioni tra parti correlate intercorse nell’esercizio deve sempre
essere rispettato anche se i rapporti con le stesse non sono più in essere alla data del bilancio.

2.4.1. Le note al bilancio secondo lo IASB


Anche per le note al bilancio lo IAS 1 non ricorre ad una descrizione puntuale del
contenuto come invece compie l’art. 2427 c.c., salvo definire alcune regole di fondo.
Anzitutto lo IAS 1 stabilisce che nelle note (notes) si devono:
– descrivere i criteri di valutazione impiegati nel bilancio, soffermandosi particolar-
mente nei casi in cui lo IASB preveda l’utilizzo di criteri alternativi e nei casi in cui
è richiesto al management un giudizio determinante circa la valutazione di alcune
voci (per es. se certe attività finanziarie sono detenute fino alla scadenza oppure no,
giudizio che, come descritto nel capitolo 8, condiziona la scelta del criterio di valu-
tazione). Nella descrizione dei criteri valutativi, gli amministratori devono inoltre
dedicare particolare attenzione alla descrizione delle ipotesi fondamentali utilizzate
e dei fattori di incertezza esistenti, laddove la valutazione implichi l’adozione di un
complesso sistema di stime circa l’evoluzione futura di grandezze economico-
finanziarie (come nel caso della determinazione del value in use per la valutazione
delle immobilizzazioni descritta nel cap. 4);
– rappresentare le informazioni richieste dalle diverse regole dello IASB che non so-
no riportate negli altri prospetti componenti il bilancio e per le quali è permessa la
descrizione alternativa in nota;
– fornire informazioni aggiuntive non contenute negli altri documenti che gli ammi-
nistratori ritengono rilevanti per la loro comprensione.
Più specificamente, le note devono riportare inizialmente un’affermazione circa la
corrispondenza del bilancio alle regole IASB e sintetizzare poi i criteri generali di va-
lutazione utilizzati per le diverse poste. Quindi le note devono commentare sistemati-
camente ciascun elemento contenuto negli altri prospetti del bilancio nell’ordine con il
quale sono esposti. Nella parte finale, le note devono commentare gli elementi che non
appaiono negli altri prospetti contabili, come gli impegni contrattuali o le passività po-
tenziali che non danno luogo a iscrizione di voci contabili e, più in generale, le altre
informazioni non contabili.
Sempre nelle note devono essere specificati i dati «anagrafici» della società (domi-
cilio, forma giuridica, paese di appartenenza, natura del business e principali attività,
nome della società controllante e, se diverso, della capogruppo).
Le aziende devono inoltre inserire nelle note una sezione avente lo scopo di per-
mettere agli utenti del bilancio di comprendere gli obiettivi, le procedure e i processi
di gestione del capitale. In tal senso, all’azienda è chiesto di fornire informazione sul-
l’entità delle risorse di capitale gestite, sugli eventuali vincoli esterni disposti da enti

84
regolatori (come nel caso delle banche) e le conseguenze di eventuali infrazioni dei
vincoli, sulle modalità con le quali fissa gli obiettivi della gestione di tali risorse e sui
principali dati di sintesi connessi alla gestione del capitale (per es. ROE obiettivo e ROE
consuntivo), eventuali cambiamenti nel corso dell’esercizio circa i suddetti aspetti.
Qualora ad esempio la natura dell’attività esercitata sia ben diversa a seconda dei seg-
menti, l’azienda dovrà illustrare le politiche e gli obiettivi di gestione del capitale se-
paratamente per ogni business.
Altre regole dello IASB disciplinano poi analiticamente il contenuto delle note. Per
la loro rilevanza ci sembra opportuno trattarne due: l’IFRS 8 dedicato all’informativa
di segmento e lo IAS 24 riguardante le informazioni con parti correlate.
L’informativa di segmento (Segment reporting, IFRS 8)
Per le aziende diversificate è importante fornire informazioni circa i singoli seg-
menti di business, in quanto il bilancio di esercizio nel suo complesso offrirebbe infor-
mazioni troppo aggregate per consentire ad un utente esterno di comprendere le per-
formance competitive. Le informazioni per segmento di business sono infatti molto ri-
chieste dagli analisti finanziari in quanto su di esse basano i loro confronti interazien-
dali. La pubblicazione di queste informazioni d’altronde determina per l’azienda anche
alcuni costi competitivi, in quanto fornisce alle aziende concorrenti degli importanti
punti di riferimento. Proprio per tale motivo, l’IFRS 8 cerca di coniugare le due esi-
genze contrapposte (rispondere alla domanda informativa degli investitori e dei loro
intermediari ed evitare di fornire ai concorrenti dati particolarmente dettagliati), stabi-
lendo un contenuto minimale dell’informativa di segmento.
La logica dell’IFRS 8 ruota attorno alla rappresentazione dei dati in bilancio «through
the eyes of management», come afferma lo stesso organismo. Si vuole cioè consentire
ai lettori esterni di interpretare il business dell’azienda così come internamente è solito
fare il management. Al tempo stesso, si ridurranno i costi di produzione del dato per
l’impresa.
Più nel dettaglio, secondo l’IFRS 8, un settore operativo è identificato dalla presen-
za congiunta di tre caratteri:
1. svolge la sua attività per ricavarne ricavi (anche se derivano da altri segmenti della
stessa azienda e anche se non ancora ottenuti ma previsti su base prospettica, come
nel caso di start-up) e sostenere quindi i relativi costi;
2. il suo risultato operativo è monitorato su base regolare dall’alta direzione per valu-
tarne le performance ed orientare le proprie decisioni di allocazione di risorse;
3. sia possibile fornire informazioni economico-finanziarie per ciascun segmento già
predisposte dal sistema di controllo interno, anche su base periodica (discrete in-
formation) e non necessariamente continua (come nel caso di contabilità sistemati-
ca per segmento).
Solitamente esiste per il segmento un responsabile (che può consistere anche nel top
management), con un rapporto biunivoco o meno di riferimento, nel senso che un singo-
lo manager può essere responsabile anche di più segmenti. L’esistenza di responsabilità

85
individuate potrebbe risultare determinante nello stabilire il criterio di definizione dei
segmenti qualora i tre caratteri suddetti fossero applicabili a più di un criterio di articola-
zione dell’attività aziendale (es. per prodotti, per base geografica, per marchio).
Definito un segmento, si tratta poi di capire se va esposto in bilancio (reportable
segment).
Anzitutto si pone la questione se è possibile aggregare due o più segmenti, ipotesi
peraltro sempre gradita alle aziende, in quanto L’IFRS 8 concede questa possibilità lad-
dove i segmenti siano simili per caratteristiche economiche (natura dei prodotti e pro-
cessi produttivi, clientela, canali distributivi, quadro normativo applicabile, come po-
trebbe esser per le banche). Per cui si può ritenere che un’azienda petrolchimica po-
trebbe aggregare i prodotti ottenuti dalla raffinazione in unica segmento, anche se ai
fini del reporting interno sono monitorati separatamente.
L’IFRS 8 stabilisce che debbano essere presentati in bilancio quei segmenti che su-
perano uno dei seguenti limiti, da esaminare ovviamente nei report interni:
– i ricavi di vendita del segmento (sia nei confronti di soggetti terzi, sia intercompa-
ny) siano perlomeno il 10% del dato aggregato dei ricavi di tutti i segmenti;
– il risultato economico del segmento (utile o perdita) sia perlomeno il 10% del mag-
giore (in valore assoluto) tra il risultato economico aggregato di tutti i segmenti
non in perdita o di tutti i segmenti in perdita;
– le attività del segmento siano perlomeno il 10% del totale delle attività di tutti i
segmenti.
In bilancio devono essere individuati dei segmenti che nel loro complesso spieghi-
no perlomeno il 75% dei ricavi complessivi aziendali. Se tale limite non fosse raggiun-
to in prima battuta, l’azienda deve individuarne altri fino a raggiungere tale condizio-
ne, anche se presi singolarmente ciascuno dei nuovi segmenti individuati non supera i
limiti suddetti.
È lasciata al management in ogni caso la facoltà di presentare in bilancio anche
segmenti che non superino detti limiti purché ritenuti utili per gli utenti del bilancio,
come pure resta salva la possibilità di aggregazione dei segmenti al di sotto dei suddet-
ti limiti, purché presentino i requisiti necessari per l’aggregazione sopra riassunti.
Rimane poi l’inclusione di un generico segmento «altri» nel quale far confluire tutti
i settori minoritari per i quali si devono comunque descrivere i tipi di ricavi.
Per quanto riguarda le informazioni da fornire sui segmenti operativi, in generale,
l’IFRS 8 richiede che l’azienda dia informazioni utili a comprendere la natura e gli
impatti economico-finanziari della sua attività operativa e dello scenario competitivo
nel quale opera.
Concretamente, questo principio si traduce nell’obbligo di fornire:
– dati generali sul segmento: criteri di identificazione (come sopra definiti), tipo di
beni/servizi venduti;
– ricavi e costi di segmento e relativo margine reddituale, attività di segmento e rela-
tivi criteri di determinazione; le passività di segmento vanno comunicate se sono
usate regolarmente anche nei report interni.

86
Sempre se sono usati nei report interni o se sono comunque compresi nella forma-
zione del margine reddituale di segmento si devono comunicare:
‒ i ricavi da clienti esterni e quelli intercompany;
‒ interessi attivi e passivi;
‒ svalutazioni, ammortamenti e altri costi non monetari, se significativi;
‒ plusvalenze da metodo patrimonio netto;
‒ imposte;
‒ altri componenti, se significativi.
Per quanto riguarda gli assets, sempre se sono usati nei report interni o se sono co-
munque compresi nelle attività totali di segmento, si devono inoltre specificare l’entità
degli investimenti valutati con il metodo del patrimonio netto e l’entità delle attività
non correnti (eccezion fatta per gli strumenti finanziari e imposte anticipate).
Ci possono poi essere aziende che non presentano una articolazione organizzativa
per segmenti come linee di business o aree geografiche ma, ad esempio, ottengono ri-
cavi da una moltitudine di prodotti. In questi casi, se non si fornisce l’informazione
per segmento come descritto in precedenza, si deve comunque fornire una informazio-
ne di business con le modalità sotto indicate, indipendentemente dal fatto che il mana-
gement utilizzi tali dati a fini decisionali.
a) Informazione per prodotto: l’azienda deve indicare i ricavi «esterni» per ciascun pro-
dotto o, se similari, per ciascun gruppo di prodotti.
b) Informazione per area geografica: l’azienda deve indicare, basandosi sui dati com-
plessivi di bilancio:
– i ricavi conseguiti nel Paese di appartenenza e nei Paesi esteri, eventualmente
presentati singolarmente se significativi;
– le attività non correnti presenti nel Paese di appartenenza e nei Paesi esteri,
eventualmente presentati singolarmente se significativi.
c) Informazione per cliente: se vi sono casi nei quali singoli clienti assorbono il 10%
o più del totale dei ricavi, l’azienda deve evidenziare questo fatto e l’entità dei ri-
cavi conseguita da ciascuno dei clienti più significativi, senza peraltro menzionare
apertamente il nominativo del cliente.
Con tali disposizioni si vuole in sostanza garantire che in bilancio vi siano infor-
mazioni specifiche di business anche se internamente non si utilizzano logiche di re-
porting gestionali per segmento. Si può evincere peraltro che in questo caso il conte-
nuto informativo richiesto sia minimale (ricavi e attività fisse).
Come considerazioni gestionali, nel concreto si deve riflettere sulla significatività
dei dati forniti, nel senso che obbligare le aziende a rappresentare in bilancio i propri
schemi impiegati gestionalmente potrebbe al tempo stesso incrementare i timori di di-
svelare all’esterno logiche di analisi del business impiegate internamente che non si
vuol portare a conoscenza del pubblico. Questo implicherà dunque un incremento del-
le attività di revisione che dovranno in qualche modo «certificare» che in bilancio sia-
no riflessi i dati gestionali usati per l’interno.

87
L’informativa sulle parti correlate (Related party disclosures, IAS 24)
Lo IAS 24 ha lo scopo di assicurare che nel bilancio vi siano le informazioni ne-
cessarie per capire in che modo sulla dinamica economico-finanziaria dell’esercizio
abbiano influito operazioni con parti correlate, intendendo con tale espressione sog-
getti che per la loro particolare vicinanza all’azienda si possono trovare in conflitto di
interessi. Il rischio è che con questi soggetti l’azienda possa compiere delle operazioni
a condizioni più sfavorevoli rispetto a quelle di mercato (es. se si acquista un immobi-
le dalla moglie dell’amministratore delegato sorgono naturali sospetti circa la conve-
nienza del prezzo praticato).
In dettaglio, per parte correlata, il principio intende:
– i soggetti (persone fisiche o enti) che direttamente o indirettamente (attraverso uno
o più intermediari) controllano l’azienda (anche congiuntamente ad altre), sono con-
trollati da essa, o appartengono allo stesso gruppo dell’azienda (ossia sono control-
lati dalla stessa controllante dell’azienda) o hanno una partecipazione che conferi-
sce influenza significativa sull’azienda;
– le società collegate;
– le joint venture alle quali l’azienda partecipa;
– gli amministratori con responsabilità strategiche o gli alti dirigenti della società o
della controllante;
– i familiari stretti (conviventi, figli, persone a carico) delle persone indicate al punto
precedente e al primo punto;
– le imprese in cui è posseduta, direttamente o indirettamente, una rilevante parteci-
pazione nel potere di voto da qualunque persona fisica descritta nei punti preceden-
ti o su cui tale persona fisica è in grado di esercitare un’influenza significativa;
– i fondi che forniscono prestazioni pensionistiche o di altro tipo agli ex dipendenti
dell’impresa o di entità correlate all’impresa.
Per quanto riguarda il tipo di operazioni, si fa riferimento a:
a) acquisti o vendite di beni (finiti o semilavorati);
b) acquisti o vendite di immobili ed altre attività (es. impianti, macchinari, marchi,
brevetti);
c) prestazione od ottenimento di servizi;
d) leasing;
e) trasferimenti per ricerca e sviluppo;
f) trasferimenti a titolo di licenza;
g) trasferimenti a titolo di finanziamento (inclusi i prestiti e gli apporti di capitale in
denaro od in natura);
h) clausole di garanzia o pegno;
i) estinzione di passività per conto dell’entità ovvero da parte dell’entità per conto di
un’altra parte;
j) retribuzioni dei dirigenti con responsabilità strategiche.
In ogni caso, nel considerare le relazioni che intercorrono tra due parti, bisogna te-

88
ner conto non della loro forma legale, ma della loro sostanza. Per essere qualificate
come parti correlate, per esempio, non è sufficiente che due società abbiano in comune
un componente del consiglio di amministrazione o dell’alta direzione, ma è necessaria
un’analisi del caso specifico per valutare la sostanza della relazione.
Come tipo di informazioni da fornire, lo IAS 24 stabilisce anzitutto due categorie
particolari:
1. le relazioni tra controllanti e controllate devono essere indicate in bilancio a pre-
scindere dal fatto che abbiano avuto luogo operazioni tra le parti: l’impresa deve
fornire il nome della controllante e, se diverso, il nome della capogruppo di livello
più elevato. Se nessuna di queste redige un bilancio disponibile al pubblico, deve
essere fornito anche il nome della controllante più prossima che prepara un bilancio
pubblico;
2. si devono indicare i compensi del personale direttivo, sia nel loro totale, sia nelle
diverse forme nelle quali può essere corrisposto (retribuzioni, compensi in azioni,
compensi per la cessazione del rapporto, ecc.).
Più in generale, se ci sono state transazioni tra parti correlate, in bilancio deve es-
serci la spiegazione della natura della relazione tra le parti e le informazioni necessarie
sulle transazioni e sui saldi in essere, al fine di rendere comprensibile l’effetto poten-
ziale sul bilancio. Le informazioni minime richieste comprendono:
– l’ammontare dell’operazione;
– l’ammontare dei saldi e le loro condizioni (scadenza, garanzie e metodo di paga-
mento);
– l’ammontare del fondo svalutazione crediti riferito ai saldi in essere;
– i costi dell’esercizio relativi a crediti dubbi verso parti correlate.
Le suddette informazioni sulle transazioni devono essere fornite separatamente per
ciascuna parte correlata descritta in precedenza.
Va peraltro precisato che in Italia la Consob con una serie di comunicazioni (n.
DAC/97001574 del 20 febbraio 1997, n. DAC/98015375 del 27 febbraio 1998 e n.
DEM/2064231 del 30 settembre 2002) aveva già raccomandato di inserire in bilancio
apposite informazioni sulle operazioni con parti correlate, precisando di fare riferi-
mento non solo all’art. 2359 c.c., ma anche allo IAS 24.
Il Legislatore italiano ha poi richiesto di descrivere nella relazione sulla gestione (si
veda al riguardo il par. 2.6) i rapporti economico-finanziari con la società che esercita
il controllo e le altre società sottoposte al suo controllo, e nel sopra citato n. 22-bis del-
la Nota Integrativa richiede la descrizione e quantificazione delle operazioni rilevanti
intrattenute con parti correlate se non svolte a normali condizioni di mercato.

2.5. Il bilancio in forma abbreviata e delle micro-imprese


Gli artt. 2435 bis e 2435 ter riguardano rispettivamente il bilancio in forma abbre-

89
viata e il bilancio delle micro-imprese, ossia bilanci di esercizio con minori informa-
zioni contenute, utilizzabile da società con soglie dimensionali inferiori a certi limiti
per pubblicare i propri conti annuali.
Questa facoltà si inserisce in pieno nella concezione del bilancio come strumento di
informazione per gli stakeholder. In effetti le società di minori dimensioni, probabil-
mente coinvolgeranno un numero minore di soggetti, in qualità di investitori, ecc. Pre-
sumibilmente il loro assetto azionario sarà più improntato ad una ristretta base familia-
re, nelle cui mano saranno concentrate le leve di comando della società. Ne consegue
che la domanda di informazioni economico-finanziarie, sarà presumibilmente più bas-
sa, il che sembra giustificare l’opzione concessa dal legislatore (Marasca, 1995; Paoli-
ni, 1995; Paoloni, 1995; Pini, 1995).

2.5.1. Il bilancio in forma abbreviata


Il bilancio in forma abbreviata può essere redatto dalle società che nel primo eser-
cizio di vita, o successivamente, per due esercizi consecutivi, non superino due dei se-
guenti limiti:
1. totale dell’attivo dello Stato Patrimoniale: 4.400.000 €;
2. ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 € (voce A1 del Conto Economico);
3. dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità.
La scelta di utilizzare tre parametri (e tra questi di permanere entro i limiti con rife-
rimento a due di essi) appare adeguata in relazione alla difficoltà di individuare un
unico criterio che consente di definire la dimensione aziendale. A seconda del tipo di
processo produttivo, ad esempio, vi potrà essere una prevalenza del fattore lavoro uma-
no piuttosto che di investimenti in altri fattori produttivi.
La facoltà può essere sfruttata per il bilancio o del primo esercizio di vita, se non si
superano due dei suddetti limiti, oppure già del secondo dei due esercizi consecutivi
citati in precedenza e viene meno per il bilancio del secondo esercizio nel quale, con-
secutivamente per la seconda volta, sono superati almeno due dei limiti medesimi
(quindi, se negli esercizi 2016 e 2017 non sono stati superati due dei tre limiti, il bi-
lancio del 2017 sarà in forma abbreviata. Se nel 2017 e nel 2018 due dei tre limiti sa-
ranno superati, il bilancio del 2018 sarà in forma ordinaria).
Per quanto riguarda il contenuto, nel bilancio in forma abbreviata vi sono semplifi-
cazioni notevoli per tutti i prospetti componenti il bilancio.
Lo Stato Patrimoniale «abbreviato» comprende solo le voci contrassegnate nell’art.
2424 con lettere maiuscole e con numeri romani; tuttavia le voci A (crediti verso soci
per versamenti ancora dovuti) e D (ratei e risconti attivi) dell’attivo possono essere
comprese nella voce CII (crediti circolanti), analogamente alla voce E del passivo (ra-
tei e risconti passivi) che può essere compresa nella voce D (debiti).
Infine nelle voci CII dell’attivo e D del passivo devono essere separatamente indi-
cati i crediti e i debiti esigibili oltre l’esercizio successivo.
Il Conto Economico «abbreviato» consente vari raggruppamenti di voci previste
dallo schema «completo» dell’art. 2425 in un’unica voce:

90
– voci A2 e A3 = Variazioni rimanenze prodotti e lavori in corso su ordinazione;
– voci B9(c), B9(d), B9(e) = Altri oneri del personale;
– voci B10(a), B10(b), B10(c) = Ammortamenti e svalutazioni delle immobilizzazioni;
– voci C16(b) e C16(c) = Proventi finanziari da titoli diversi dalle partecipazioni;
– voci D18(a), D18(b), D18(c), D18(d) = Rivalutazioni attività finanziarie;
– voci D19(a), D19(b), D19(c), D18(d) = Svalutazioni attività finanziarie.
Circa la nota integrativa vi sono altre semplificazioni riducendosi gli obblighi in-
formativi. Infatti fermo restando le indicazioni richieste dal terzo, 4° e 5° comma del-
l’art. 2423, dal secondo e quinto comma dell’art. 242 ter, dal 2° comma dell’art. 2424,
dal 1° comma, nn. 4) e 6), dell’art. 2426, la nota integrativa fornisce le indicazioni ri-
chieste dal primo comma dell’art. 2427, nn. 1), 2), 6), per quest’ultimo limitatamente
ai soli debiti senza indicazione della ripartizione geografica, 8), 9), 13), 15), per que-
st’ultimo anche omettendo la ripartizione per categoria, 16), 22-bis), 22-ter), per
quest’ultimo anche omettendo le indicazioni riguardanti gli effetti patrimoniali, finan-
ziari ed economici, 22-quater), 22-sexies), per quest’ultimo anche omettendo l’indica-
zione del luogo in cui è disponibile la copia del bilancio consolidato, nonché dal primo
comma dell’art. 2427 bis, n. 1.
Sempre in Nota Integrativa, per le informazioni richieste dal n. 22-bis (operazioni
con parti correlate), le società che redigono in forma abbreviata possono limitare le in-
formazioni alle operazioni realizzate direttamente o indirettamente con i loro maggiori
azionisti 2 ed a quelle con i membri degli organi di amministrazione e controllo; analo-
gamente per le informazioni previste dal n. 22-ter (accordi «fuori bilancio»), è possibi-
le indicare solo la natura e all’obiettivo economico e non anche gli effetti patrimoniali,
finanziari ed economici.
Come importante novità introdotta dal D.Lgs. n. 139/2015 è il primo caso in cui il
codice civile permette l’adozione differenziata per dimensione aziendale dei criteri di
valutazione e non soltanto degli schemi di bilancio, come finora fatto. Infatti, «le so-
cietà che redigono il bilancio in forma abbreviata, in deroga a quanto disposto dall’art.
2426, hanno la facoltà di iscrivere i titoli al costo di acquisto, i crediti al valore di pre-
sumibile realizzo e i debiti al valore nominale», permettendo così di evitare il «fasti-
dioso» costo ammortizzato.
Infine, quale ulteriore semplificazione, qualora le società indicate nel primo comma
forniscano nella Nota Integrativa le informazioni richieste dai nn. 3 e 4 dell’art. 2428,
sono esonerate dalla redazione della relazione sulla gestione. Questa possibilità, a giu-
dizio di chi scrive, limita fortemente la significatività del bilancio in forma abbreviata,
tenuto conto della centralità della relazione nel fornire il contesto necessario alla com-
prensione dell’intero bilancio, come meglio discusso nel prossimo paragrafo.

2 Secondo l’Appendice all’OIC 12, pur non fornendo la definizione di «maggiori azionisti», certamente
in tale nozione «vi rientrano gli azionisti di controllo ed è ragionevole ritenere che siano inclusi anche quelli
che possono influenzare l’andamento della società, in base alla definizione di “parti correlate”».

91
2.5.2. Il bilancio delle micro-imprese
Una delle più rilevanti modifiche apportate dal Decreto n. 139 alla disciplina dei
bilanci è la nascita del bilancio delle micro-imprese, che, a norma del nuovo art. 2435
ter, sono quelle società di cui all’art. 2435 bis che nel primo esercizio o, successiva-
mente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:
1. totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 175.000 €;
2. ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 €;
3. dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità.
Gli schemi di bilancio e i criteri di valutazione delle micro-imprese sono determi-
nati secondo quanto disposto dall’art. 2435 bis cui si aggiungono ulteriori snellimenti
in quanto le micro-imprese sono esonerate dalla redazione del rendiconto finanziario,
della nota integrativa quando in calce allo stato patrimoniale risultino le informazioni
previste dal primo comma dell’art. 2427, nn. 9 (impegni non risultanti in bilancio) e
16 (compensi ad organi sociali). È previsto anche l’esonero dalla relazione sulla ge-
stione quando in calce allo stato patrimoniale risultino le informazioni richieste dai nn.
3) e 4) dell’art. 2428 (movimenti nel numero di azioni proprie e di controllanti.
Non sono applicabili le disposizioni di cui al 5° comma dell’art. 2423 e al n. 11-bis
del 1° comma dell’art. 2426, disposizione che esenta le micro-imprese dall’obbligo di
rilevare a bilancio gli strumenti finanziari derivati.
Le società che si avvalgono delle esenzioni previste per le micro-imprese devono
redigere il bilancio, a seconda dei casi, in forma abbreviata o in forma ordinaria quan-
do per il secondo esercizio consecutivo abbiano superato due dei limiti indicati nel 1°
comma.

2.6. La relazione sulla gestione


L’art. 2428 c.c. pone l’obbligo per gli amministratori di redigere la relazione sulla
gestione, da allegare al bilancio di esercizio. Il riferimento a tale articolo del Codice è
obbligatorio anche per le società che adottano gli IFRS.
Questo prospetto non rientra nella tradizionale concezione contabile del bilancio ed
in quella formale descritta nell’art. 2423 (il bilancio è composto dallo Stato Patrimo-
niale, dal Conto Economico e dalla Nota Integrativa), ma è inclusa a pieno titolo nella
concezione del bilancio come «pacchetto» informativo.
La relazione sulla gestione infatti assume un fondamentale ruolo informativo nel-
l’illustrare la gestione aziendale, collegando i risultati di bilancio alla più generale stra-
tegia di azienda.
In primo luogo, in tale documento gli amministratori devono descrivere in modo fe-
dele, equilibrato ed esauriente l’andamento della gestione trascorsa, la situazione della
società, l’evoluzione prevedibile della gestione e i rischi e le incertezze gravanti su di
essa (1° comma e n. 6 del 2° comma).
Ne consegue che questo prospetto conterrà il punto di vista degli amministratori

92
sulla evoluzione della società durante l’esercizio appena trascorso e sulle prospettive
future. Questo commento potrà essere efficacemente compiuto solo se gli amministra-
tori inquadrano i risultati ed i comportamenti dell’esercizio alla luce della strategia
aziendale. È questo in fin dei conti il principale obiettivo del documento: illustrare la
strategia aziendale, che permetta di dare un senso, una chiave interpretativa al sistema
dei valori contenuto nel bilancio, che rimane un prospetto prevalentemente contabile.
Al contrario di quest’ultimo, la relazione ha un contenuto più discorsivo, di sintesi, ma
adatto a collegare passato, presente e futuro dell’azienda per consentire ai diversi sta-
keholder di orientarsi tra le cifre esposte negli altri prospetti.
La proiezione al futuro è rafforzata anche dalla obbligatoria descrizione dei rischi e
delle incertezze cui la società è esposta, precisazione richiesta con l’art. 1 del D.Lgs. n.
32/2007. L’inserimento tra gli obblighi informativi dei riferimenti ai ai rischi e incer-
tezze è stato molto opportuno, perché spesso la discrezionalità lasciata al management
aveva implicato in precedenza che nella relazione fossero inseriti solo gli aspetti «po-
sitivi» della gestione, con limitati riferimenti ai rischi indotti dalle scelte gestionali.
In secondo luogo, questo commento deve essere completo, nel senso che deve ri-
guardare l’azione gestionale «nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha opera-
to, anche attraverso le imprese controllate» (art. 2428, 1° comma). Quindi, da una par-
te, si deve descrivere l’evoluzione delle strategie riferita non soltanto alla singola
azienda ma al gruppo nel suo complesso, in quanto nei gruppi di società è nell’intero
insieme delle aziende che si sviluppa la strategia complessiva, nel rispetto della quale
si dovrà muovere la gestione delle singole società. Senza la presentazione nel docu-
mento del livello del gruppo di società (e sempre più numerose sono le aziende facenti
parte di gruppi societari), la comprensione della gestione aziendale sarebbe priva di
elementi conoscitivi fondamentali. Dall’altra parte, l’informazione sugli andamenti
gestionali deve essere fornita a livelli di dettaglio per ciascun settore nel quale l’azienda
ha operato. Cosa debba intendersi per settore può essere interpretato dalle aziende in-
teressate in vari modi. Per settore potrebbe intendersi una ripartizione geografica della
gestione operativa (Europa, Sud America, ecc. oppure Italia, Estero, e così via). Ma più
solitamente per settore si deve intendere la linea di business, ossia quell’articolazione
per tipologia di prodotti (per una catena di supermercati prodotti alimentari e non, e al-
l’interno dei primi prodotti freschi, snack, verdure, ecc.) oppure per funzionalità d’uso,
cioè per tipo di bisogni della clientela che quei prodotti vanno a soddisfare (sempre
con l’esempio dei supermercati potrebbe essere la variazione dei prodotti da prima co-
lazione, da svago, da vacanza, ecc.). Da questo punto di vista la libertà lasciata dal le-
gislatore nella interpretazione da attribuire al concetto di «settore», deve essere usata
dagli amministratori per scegliere quella classificazione che meglio si adatta alla stra-
tegia aziendale, la più usata ai fini decisionali interni, in modo da consentire al lettore
esterno di entrare maggiormente nella comprensione della dinamica aziendale. È ov-
vio che il riferimento al concetto di settore previsto dall’IFRS 8 (par. 2.3.1) è scontato,
tanto che le società quotate che sono obbligate ad adottare gli IFRS, sono solite colle-
gare tramite rinvii l’informazione IFRS 8 contenuta nelle note con l’informazione nel-
la relazione sulla gestione ex art. 2428 c.c.
In terzo luogo, l’andamento gestionale deve essere rappresentato nella relazione an-

93
che introducendo dimensioni di analisi che non sono soltanto quelle consuete di matri-
ce economico-finanziaria. Infatti, sempre come modifica introdotta con il D.Lgs. n.
32/2007, devono essere fornite «le informazioni attinenti all’ambiente e al personale».
Questa disposizione circa l’impatto della gestione aziendale sul sistema socio-ambien-
tale conferma ancora di più la concezione del bilancio come pacchetto informativo ri-
volto alla globalità degli stakeholders.
La relazione sulla gestione non può limitarsi a descrizioni qualitative. L’art. 2428,
1° comma, infatti afferma che la relazione deve fare «particolare riguardo ai costi, ai
ricavi e agli investimenti», relativamente alla descrizione degli andamenti sopra citati.
Per meglio rappresentare la gestione, il D.Lgs. n. 32/2007 ha previsto che nella rela-
zione siano inseriti indicatori di risultato contabili (i classici indici di bilancio) e non
contabili (nella misura in cui essi siano necessari per la comprensione della situazione
aziendale), con opportuni riferimenti agli importi riportati in bilancio e chiarimenti ag-
giuntivi su di essi. Quindi si rafforza l’idea che la relazione sulla gestione deve rappre-
sentare l’interpretazione gestionale che gli amministratori danno dalla gestione conta-
bilmente sintetizzata nel bilancio.
Oltre a questo contenuto principale, la relazione deve contenere altre informazioni
più specifiche, (di cui la n. 3 e la n. 4 richieste solo per verificare il rispetto dei limiti po-
sti dalla legge all’acquisto di azioni proprie ex art. 2357 e segg.):
1. le attività di ricerca e sviluppo;
2. i rapporti con imprese controllate, collegate, controllanti e imprese sottoposte al
controllo di queste ultime;
3. il numero e il valore nominale delle azioni proprie e delle azioni di società control-
lanti possedute alla chiusura dell’esercizio, con indicazione della frazione di capita-
le corrispondente;
4. il numero e il valore nominale delle azioni proprie e delle azioni di società control-
lanti acquistate e/o alienate durante l’esercizio, con indicazione della frazione di
capitale corrispondente e dei motivi delle compravendite;
5. l’elenco delle sedi secondarie della società.
In particolare, i primi due punti sono strettamente collegati alla descrizione della
strategia aziendale in quanto da una parte le attività di ricerca e sviluppo costituiscono
la premessa per l’evoluzione futura della capacità competitiva aziendale. Dall’altra, la
descrizione dei rapporti con le altre aziende del gruppo, non solo come quote di capita-
le possedute, ma soprattutto ma come volumi di acquisti/vendite e finanziamenti con-
cessi/ricevuti consente all’utente di capire quanto l’azienda disponga di un’autonoma
capacità di manovra o dipenda invece dai legami indotti dall’appartenenza al gruppo.
Con la riforma del diritto societario sono stati poi introdotti degli artt. (2497 bis e
2497 ter) che disciplinano l’informativa da fornire sull’attività di direzione e coordina-
mento a cui è assoggettata la società. In particolare, l’art. 2497 bis impone agli ammini-
stratori di indicare nella relazione sulla gestione «i rapporti intercorsi con chi esercita
l’attività di direzione e coordinamento (in sostanza la società capogruppo, n.d.a.) e con
le altre società che vi sono soggette (ossia le società facenti parte dello stesso gruppo,

94
n.d.a.), nonché l’effetto che tale attività ha avuto sull’esercizio dell’impresa sociale e
sui suoi risultati». Al riguardo, si ricorda che tale richiesta informativa si sovrappone
con quanto già obbligatoriamente previsto al punto 22-bis della Nota Integrativa.
Il Documento n. 1 dell’OIC riprende questa disposizione e la interpreta richiedendo
alle aziende di presentare nella relazione sulla gestione un prospetto dal quale risultino
i crediti, i debiti, le garanzie prestate, gli impegni assunti nei confronti delle varie so-
cietà appartenenti al gruppo e i costi/ricavi determinati dai rapporti con tali società. Il
prospetto deve essere distinto in una sezione riferita alle transazioni commerciali ed in
una sezione riferita alla gestione finanziaria.
Anche il documento n. 12 dell’OIC riprende tale richiesta e ritiene necessario che
gli amministratori specifichino nella relazione sulla gestione se le operazioni con le
consociate «sono effettuate a condizioni di mercato, cioè alle condizioni che si sareb-
bero applicate fra parti indipendenti. Nel caso in cui le operazioni non fossero effettua-
te a condizioni di mercato, la relazione deve indicare gli effetti prodotti da tali opera-
zioni e le motivazioni sottostanti.» In sostanza, «la relazione sulla gestione deve «dare
conto» che ci sono state decisioni influenzate dall’attività di direzione e coordinamen-
to, e che tali decisioni sono state motivate. Stante l’importanza dell’informazione,
l’indicazione è da fornire anche sulle operazioni per le quali la società ha fruito di un
beneficio a seguito dell’appartenenza al gruppo» 3.
Sempre in tema di informativa sui rapporti tra l’azienda e soggetti «non del tutto
estranei», si ricorda inoltra che con il D.Lgs. n. 310/2004 è stato infine introdotto il
nuovo art. 2391 bis c.c. Tale norma prevede che nella relazione sulla gestione delle so-
cietà aventi titoli quotati in Borsa debbano essere descritte le regole adottate per ga-
rantire «trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con
parti correlate» (la nozione di parte correlata è trattata nel par. 2.3.1, n.d.a.). In effetti
gli stretti legami tra la società e le parti correlate possono lasciar supporre lo svolgi-
mento di transazioni a condizioni diverse da quelle praticate normalmente con terzi
soggetti (per es. applicando prezzi di vendita inferiori o tassi di interessi attivi minori),
con la conseguenza di danneggiare dal punto di vista economico-finanziario la società.
Per tale motivo appare opportuna la richiesta del Legislatore di menzionare nella
relazione sulla gestione le regole volte a evitare operazioni pregiudizievoli nei con-
fronti di tali soggetti.
L’obbligo posto a carico delle sole società quotate lascia intendere che i soggetti
potenzialmente più danneggiati siano gli investitori non coinvolti nella gestione (pic-

3 Come ricorda l’OIC nella sua Appendice all’OIC 12, «è opportuno sottolineare che il risultato eco-

nomico e la situazione patrimoniale e finanziaria di un’impresa, in alcune situazioni, possono essere in-
fluenzati da rapporti con parti correlate anche nel caso in cui non si verifichino operazioni con le stesse.
Infatti, la semplice esistenza del rapporto può essere sufficiente a condizionare le operazioni dell’impresa
con parti terze. Per esempio, una controllata può interrompere i propri rapporti con una controparte terza a
partire dal momento dell’acquisizione del controllo da parte della capogruppo di un’altra impresa che
svolge la stessa attività della precedente controparte. In alternativa, una parte può astenersi dal compiere
determinate operazioni a causa dell’influenza notevole di un’altra; per esempio, una controllata può esse-
re istruita dalla sua controllante a non impegnarsi in attività di ricerca e sviluppo».

95
coli azionisti di minoranza, obbligazionisti), tali da non avere mezzi e competenze ne-
cessari per operare un controllo diretto. La non estensione di tale regola alle società
non quotate a nostro avviso dipende non tanto nella minore frequenza delle situazioni
di potenziale danno per la società derivanti da operazioni con parti correlate, quanto da
una rilevanza attribuita al bilancio di esercizio minore rispetto a quella della società
quotate.
Si segnala che tale informativa per lo IASB va inserita nelle note al bilancio, come
descritto nel par. 2.3.1. La scelta del Legislatore italiano di descrivere tali politiche
nella relazione sulla gestione sembra più coerente con la finalità del documento, il cui
scopo è proprio quello di definire la strategia e politica aziendale più che il commento
a voci analitiche di bilancio, proprio della Nota Integrativa.
Prevedendo tale schema, la normativa italiana va incontro alle richiesta in termini
di informativa sulle operazioni con parti correlate richieste dallo IAS 24.
Infine, il D.Lgs. 30 dicembre 2003, n. 394, in recepimento della Direttiva UE 65/2001
a sua volta ispirata dalle regole contenute nello IAS 32, ha poi richiesto che nella rela-
zione sulla gestione delle aziende (art. 2428, n. 6 bis) che fanno uso di strumenti fi-
nanziari, se significativa per la comprensione della situazione economica, finanziaria e
patrimoniale della società, sia commentata la politica di gestione del rischio finanzia-
rio e sia descritta in particolare l’esposizione al rischio di prezzo degli strumenti fi-
nanziari (su cui influiscono i tassi di cambio, i tassi di interesse, l’evoluzione dei prez-
zi di mercato), il rischio di credito (per presunte insolvenze), il rischio di liquidità
(trattate più diffusamente nel cap. 8).

BOX 9 – Il contenuto della relazione sulla gestione ex art. 1, D.Lgs. n. 32/2007 secondo il CNDCEC
(Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili)
Nel 2007 il CNDCEC ha emanato un interessante documento per interpretare le nuove informazioni
richieste nella relazione sulla gestione da parte del D.Lgs. n. 32/2007. Il documento anzitutto distingue le
informazioni tra obbligatorie e facoltative in base alla dimensione aziendale, nel senso che le imprese mi-
nori saranno tenute a fornire solo le informazioni obbligatorie mentre quelle di maggiore dimensioni do-
vranno inserire anche quelle che per le prime sono facoltative. Il documento considera quale soglia per
distinguere le imprese di «minori dimensione» tre limiti (dipendenti inferiori a 250 unità, fatturato inferiore
a 50 milioni di euro e capitale investito inferiore a 43 milioni di euro) che danno diritto, se non se ne su-
pera due dei tre nel primo esercizio o successivamente, per due esercizi consecutivi, a qualificarsi come
impresa minore a questi fini e includere quindi nella relazione solo le informazioni obbligatorie.
Il documento considera obbligatorie nella relazione diverse informazioni tra le quali segnaliamo:
 Stato Patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario con determinazione dei principali indici
di struttura finanziaria;
 fatturato e principali risultati intermedi del Conto Economico;
 circa le informazioni relative all’ambiente e al personale, sono considerate obbligatorie le informazioni
relative a responsabilità accertate in capo all’azienda su tali profili, condanne e sanzioni ricevute, men-
tre sono considerate facoltative le altre informazioni, tra le quali le politiche volte al miglioramento
dell’impatto ambientale e agli investimenti in formazione e benessere del personale;
 rischi interni (fattori endogeni quali efficacia e efficienza dei processi produttivi e amministrativi, con-
dizioni di liquidità aziendale, ecc.) ed esterni (aventi cause indipendenti dalla volontà aziendale, come

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minacce concorrenziali o rischi macro-economici), avendo riguardo alla loro potenziale incidenza
(probabilità di verifica per importo del danno potenziale) sulla gestione aziendale. In particolare il do-
cumento si sofferma sui rischi di natura finanziaria (rischio di mercato, di credito, di liquidità).
Le informazioni di natura non contabile sono considerate necessarie solo quando la comprensione de-
gli andamenti gestionali ricorrendo solo a quelle di natura finanziaria è difficoltosa (esempio un brusco ca-
lo della redditività da un esercizio all’altro può essere spiegato ricorrendo a dati sulle quantità vendute).
Le informazioni contabili dovrebbero permettere anche la percezione della tendenza tramite presen-
tazione dei dati per almeno due esercizi consecutivi.

La relazione sulla gestione nelle regole IASB (Management Commentary)


Per quanto riguarda infine le regole IASB, va detto che la relazione sulla gestione
non è affrontata dai principi contabili internazionali, in quanto tecnicamente tale docu-
mento è al di fuori del loro oggetto di riferimento. Nello IAS 1 si afferma a titolo pu-
ramente esemplificativo che tale documento dovrebbe consistere in una review delle
performance economico-finanziarie e della posizione finanziaria raggiunte nell’eserci-
zio, con considerazione specifica:
– dei principali fattori ambientali e competitivi che hanno caratterizzato le perfor-
mance nell’esercizio chiuso e delle relative risposte aziendali;
– della politica degli investimenti e dei finanziamenti (con riferimento anche agli
obiettivi che il management ha posto in termini di rapporto di indebitamento);
– delle risorse aziendali che non trovano riflesso contabile ma che possono essere ri-
levanti per supportare la futura gestione.

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98
3

Le immobilizzazioni immateriali

SOMMARIO: 3.1. Contenuto e definizioni. – 3.1.1. La classificazione civilistica e le condizioni per


l’iscrizione in Stato Patrimoniale. – 3.1.2. Beni immateriali e oneri pluriennali. – 3.2. Aspetti ge-
nerali di valutazione. – 3.2.1. Il valore originario. – 3.2.2. Gli ammortamenti. – 3.2.3. Le rivaluta-
zioni. – 3.2.4. Le svalutazioni per perdita durevole e le rivalutazioni di ripristino. – 3.3. Le singole
tipologie. – 3.3.1. Costi di impianto e di ampliamento. – 3.3.2. Costi di sviluppo. – 3.3.3. Diritti di
brevetto e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno. – 3.3.4. Concessioni. – 3.3.5. Licenze. –
3.3.6. Marchi. – 3.3.7. Know-how. – 3.3.8. Avviamento. – 3.3.9. Altre immobilizzazioni immate-
riali. – 3.3.10. Immobilizzazioni in corso e acconti. – 3.4. Contenuto della Nota Integrativa e della
relazione sulla gestione. – 3.5. Le regole IASB. – 3.5.1. Il riconoscimento degli intangibles in Sta-
to Patrimoniale ed il valore originario di iscrizione. – 3.5.2. Il trattamento contabile successivo al-
la iscrizione in Stato Patrimoniale: ammortamenti, svalutazioni e rivalutazioni. – 3.5.3. Le infor-
mazioni nelle note. – 3.5.4. La concessione di pubblici servizi (IFRIC 12).

3.1. Contenuto e definizioni

3.1.1. La classificazione civilistica e le condizioni per l’iscrizione in Stato Pa-


trimoniale
Nel capitolo 2 abbiamo già commentato cosa intende il legislatore per immobiliz-
zazioni («elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente»). In questo
capitolo si esamina il contenuto della sottoclasse «I – Immobilizzazioni immateriali».
Il Codice Civile include in tale classe i seguenti elementi:
1. costi di impianto e di ampliamento;
2. costi di sviluppo;
3. diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno;
4. concessioni, licenze, marchi e diritti simili;
5. avviamento;
6. immobilizzazioni in corso e acconti;
7. altre.
Nell’art. 2426, n. 5, si prescrive che i costi di sviluppo e i costi di impianto e di
ampliamento possono essere iscritti nell’attivo con il consenso, ove esistente, del col-
legio sindacale. I costi di impianto e di ampliamento devono essere ammortizzati entro

99
un periodo non superiore a cinque anni mentre i costi di sviluppo sono ammortizzati
secondo la loro vita utile; nei casi eccezionali in cui non è possibile stimarne attendi-
bilmente la vita utile, sono ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni.
Fino a che l’ammortamento dei di impianto e di ampliamento e dei costi di sviluppo
non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve dispo-
nibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati.
Analogamente, l’art. 2426, n. 6, stabilisce che l’avviamento può essere iscritto nel-
l’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo one-
roso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere ammortizzato secondo la sua
vita utile; nei casi eccezionali in cui non è possibile stimarne attendibilmente la vita
utile, è ammortizzato entro un periodo non superiore a dieci anni. Nella Nota Integra-
tiva è fornita una spiegazione del periodo di ammortamento dell’avviamento.
La vita utile dei costi di sviluppo e dell’avviamento è dunque stabilita dalla società
in relazione ai propri piani di sviluppo dei ricavi ed alla correlazione dei costi in paro-
la, pur avendo dei limiti temporali nei casi in cui tale stima non sia fattibile. Questa
regola è cambiata a partire dai bilanci dell’esercizio 2016 a seguito delle modifiche
introdotte dal D.Lgs. n. 139/2015 1.
La fissazione di una vita utile massima nei casi suddetti, il limite alla distribuzione
di dividendi e il necessario consenso del collegio sindacale alla capitalizzazione (ossia
all’iscrizione nell’attivo di un costo quale fattore produttivo pluriennale) rappresenta-
no tutte disposizioni ispirate al principio delle prudenza, onde evitare comportamenti
eccessivamente disinvolti su poste la cui utilità futura è comunque oggetto di decisioni
discrezionali e, entro certi limiti, difficilmente verificabili.
L’art. 2427, n. 3, richiede poi che la Nota Integrativa contenga la descrizione della
composizione delle voci «costi di impianto» e di ampliamento e «costi di sviluppo»,
nonché le ragioni della iscrizione (motivi che hanno indotto gli amministratori a capi-
talizzare) ed i rispettivi criteri di ammortamento. Nella Nota Integrativa è fornita an-
che una spiegazione del periodo di ammortamento dell’avviamento scelto dalla società.
Prima di esaminare le problematiche valutative degli elementi citati, è necessario
esaminare le norme contenute nell’OIC 24, il quale precisa che i tratti comuni a tale
gruppo di elementi consistono ne:
 l’assenza di tangibilità;
 l’utilità pluriennale, intesa come beneficio economico in termini di maggiori ricavi
o minori costi rispetto a quelli che si verificherebbero nel caso di assenza di tali
beni.
Ai fini dell’iscrizione non rileva invece la fonte di provenienza, nel senso che sono
iscrivibili nell’attivo patrimoniale elementi che soddisfino le condizioni precedentemen-
te descritte, indipendentemente dal fatto che essi siano disponibili a seguito di acquisto
dall’esterno, produzione interna, acquisizione a titolo di godimento. Unica eccezione è

1 L’avviamento già presente in bilancio fino al 31/12/2015 può tuttavia continuare ad essere ammor-
tizzato con il vecchio criterio della vita utile massima di 5 anni.

100
rappresentata dal caso dell’acquisto a titolo gratuito, proprio perché l’OIC 24 ritiene
non soddisfatta la condizione della attendibile misurazione del costo 2.

3.1.2. Beni immateriali e oneri pluriennali


Entro il complessivo gruppo delle risorse immateriali aventi rilevanza contabile,
l’OIC 24 compie la fondamentale distinzione tra beni immateriali in senso proprio, in
quanto coperti da specifica tutela giuridica che li porta ad essere oggetto di diritti atti-
vi/passivi, e oneri pluriennali.
I primi consistono nei brevetti e nei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno,
nei marchi, nelle concessioni, nelle licenze. I beni immateriali sono iscritti nell’attivo
patrimoniale solo se il costo sostenuto per la loro acquisizione è stimabile con sufficien-
te attendibilità e se sono individualmente identificabili, condizione che si verifica quan-
do l’elemento può essere separato o scorporato dalla società e pertanto può essere ven-
duto, trasferito, dato in licenza o in affitto, scambiato, sia individualmente sia insieme al
relativo contratto, attività o passività. I beni immateriali rappresentano, di norma, diritti
giuridicamente tutelati.
Gli oneri pluriennali invece consistono in costi riferiti ad elementi aventi utilità plu-
riennale che non si concretizzano nei beni suddetti, come i costi di impianto e di am-
pliamento, i costi di sviluppo, gli altri oneri pluriennali.
Rappresenta invece categoria autonoma l’avviamento, come pure i costi sostenuti
per lo sviluppo non ancora ultimato degli elementi sopra descritti, compresi i relativi ac-
conti.
La distinzione tra beni immateriali e oneri pluriennali ha rilievo per l’affidabilità
dei valori. In effetti la maggiore incertezza riguardo al reale contenuto economico in
termini di utilità futura dei secondi, aveva già indotto il legislatore civilistico a preve-
dere specifiche forme di tutela prudenziale (art. 2426, n. 5 e n. 6), quali la subordina-
zione della loro capitalizzazione al consenso del collegio sindacale, il loro ammorta-
mento in un tempo massimo di cinque anni e la possibilità di distribuire utili in pre-
senza di valori non ancora ammortizzati solo se a copertura del costo residuo vi sono
riserve di utili disponibili capienti.
Secondo l’OIC 24, la classificazione in questione assume una notevole rilevanza in
quanto ritiene che per i beni immateriali vi sia obbligo di iscrizione nell’attivo patri-
moniale se sono soddisfatti i requisiti della autonoma identificazione e della attendibi-
le misurabilità dei costi sostenuti per la loro acquisizione.
Al contrario, la capitalizzazione degli oneri pluriennali è subordinata al requisito
stringente della dimostrazione della loro utilità pluriennale tramite un piano economi-
co della società che prospetti il recupero dei costi capitalizzati tramite i ricavi futuri

2 Al riguardo si fa presente come analogo divieto non sussiste invece per le immobilizzazioni materiali,

dove l’acquisizione a titolo gratuito non impedisce la capitalizzazione, affidando la stima ai valori di merca-
to. Ed in effetti la differenza tra i due casi dovrebbe consistere, come sembra di dedurre dai principi del-
l’OIC, nella maggiore difficoltà di stimare degli attendibili valori di mercato relativi alle immobilizzazio-
ni immateriali.

101
(ossia i ricavi futuri devono essere superiori ai costi di esercizio, comprensivi della
quota di ammortamento di tali oneri). Dice infatti il principio che la capitalizzazione
può avvenire solo se «è stimabile con ragionevole certezza la loro recuperabilità. Es-
sendo la recuperabilità caratterizzata da alta aleatorietà, essa va stimata dando preva-
lenza al principio della prudenza».
La dipendenza della capitalizzabilità degli oneri pluriennali dalla dimostrazione
della correlazione con futuri ricavi e la capienza di questi ultimi introduce la questione
se siano capitalizzabili successivamente costi sostenuti in un esercizio in cui non tale
condizione non sussisteva. In merito, l’OIC 24 precisa che «i costi iscritti in preceden-
ti esercizi nel Conto Economico non possono essere ripresi e capitalizzati nell’attivo
dello Stato Patrimoniale, in conseguenza di condizioni che non sussistevano all’epoca
e che pertanto non ne avevano consentito la capitalizzazione. In una fattispecie del ge-
nere, se la società dovesse continuare anche nell’esercizio successivo a sostenere costi
del medesimo tipo per le stesse ragioni (per esempio, perché il progetto avviato non è
stato ancora completato), la capitalizzazione dei costi potrà aver inizio solamente a far
tempo dal momento in cui tutte le condizioni necessarie per la capitalizzazione sono
soddisfatte. Conseguentemente, i costi soggetti a tale trattamento sono solamente quel-
li sostenuti da quel momento in avanti».

3.2. Aspetti generali di valutazione

3.2.1. Il valore originario


Le immobilizzazioni immateriali che rispondono ai requisiti suddetti devono essere
inizialmente registrate al costo sostenuto per la loro acquisizione, conformemente al
dettato normativo contenuto nell’art. 2426, n. 1, c.c. A seconda delle specifiche moda-
lità che caratterizzano quest’ultima, poi, la nozione di costo varierà, nel senso che:
 qualora le immobilizzazioni immateriali derivino da operazioni di acquisizione e-
sterna, si tratterà di calcolare un costo di acquisto comprensivo di tutti gli oneri ac-
cessori (consulenze, intermediazioni, purché specificamente riferite all’acquisto
della immobilizzazione, ecc.);
 nel caso di produzione interna, si tratterà di includere tutti i costi diretti e la quota
ragionevolmente imputabile di costi indiretti (si rinvia al par. 5.3.1 per l’analisi più
particolareggiata delle modalità di attribuzione dei costi indiretti). La produzione
interna, si ricorda, avrà originato una capitalizzazione inserita trai ricavi del Conto
Economico nella voce A.4 «Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni»,
mentre in contropartita sarà stato acceso il conto riferito alla specifica immobiliz-
zazione. Nel caso in cui la produzione interna non fosse completata, si dovrà utiliz-
zare il conto riferito alle «immobilizzazioni immateriali in corso di ottenimento».
La capitalizzazione degli oneri finanziari ad aumento del costo originario è una
possibile decisione, che, se scelta, deve essere applicata in modo costante nel tempo ed
è ammessa per gli oneri finanziari sostenuti nel periodo di fabbricazione, inteso come

102
il tempo che intercorre tra l’esborso dei fondi al fornitore e il momento in cui il bene è
pronto per l’uso (sulla misura e sui requisiti per la capitalizzazione degli oneri finan-
ziari si veda il cap. 4).
Qualora la società riceva contributi pubblici per la realizzazione di iniziative e pro-
getti che riguardino le immobilizzazioni immateriali, l’OIC 24 stabilisce che detti con-
tributi pubblici siano rilevati nel momento in cui esiste una ragionevole certezza che le
condizioni previste per il riconoscimento del contributo sono soddisfatte e che i con-
tributi saranno erogati. Si iscrivono infatti in bilancio quando si tratta di contribuiti ac-
quisiti sostanzialmente in via definitiva. Contabilmente, i contributi pubblici commi-
surati al costo delle immobilizzazioni immateriali sono rilevati come ricavi a Conto
Economico con un criterio sistematico, gradualmente lungo la vita utile dell’immobi-
lizzazione immateriale. Circa le tecniche contabili impiegabili, si veda l’esempio con-
tenuto nel par. 4.2.1.
Il limite del valore recuperabile
L’OIC 24 specifica che fin dalla rilevazione iniziale il valore attribuito in contabili-
tà alla immobilizzazione immateriale non possa superare il maggiore tra il suo valore
recuperabile, definito come il maggiore tra il valore netto di realizzo derivante da una
eventuale vendita ed il suo valore d’uso, determinato come il valore attuale dei flussi
netti di cassa generati dall’impiego del bene entro la combinazione produttiva. In caso
contrario si dovrà svalutare (infra, par. 3.2.4) fino a portare il valore contabile uguale
al valore recuperabile. Questa regola ricalca decisamente quanto stabilito dalle regole
IAS (IAS 38 e IAS 36), ai quali rinviamo (par. 4.4.2.3). Sul piano logico tuttavia la di-
sposizione appare una forzatura della realtà. Esso presupporrebbe infatti un compor-
tamento pienamente razionale dell’imprenditore, tale da far considerare perfettamente
equivalente l’uso del bene all’interno dell’azienda e la sua eventuale dismissione sul
mercato del singolo cespite. Le due opzioni sarebbero esattamente alternative in fun-
zione di quella che garantisce il ritorno maggiore.
In realtà, in azienda non vi è questa perfetta intercambiabilità delle due opzioni.
Una volta inserito in azienda, il cespite è normalmente destinato ad un utilizzo in chiave
interna e solo in casi particolari l’ipotesi di una liquidazione diretta del medesimo vie-
ne presa in considerazione. Ci spieghiamo meglio. A nostro avviso la svalutazione
eventuale dovrebbe essere effettuata se il valore netto contabile risultasse superiore del
valore realizzabile. Ma questo valore realizzabile dovrebbe corrispondere alternativa-
mente:
 al valore di realizzo diretto, se l’azienda ha deciso di realizzare direttamente il bene
liquidandolo dalla combinazione produttiva;
 al valore di realizzo indiretto, se l’azienda ha deciso invece di realizzare il bene
tramite le vendite dei prodotti, utilizzandolo internamente nei processi produttivi.
Si segnala in merito che la logica economico-aziendale tipica della dottrina italiana
prevede che la decisione sulla destinazione del bene (interno o esterno) precede la va-
lutazione del bene medesimo e guiderà quest’ultima. Per l’OIC 24 invece avviene il

103
contrario: le due destinazioni sono sempre intercambiabili in funzione di quella che ga-
rantisce il valore maggiore 3.
Qualora l’immobilizzazione immateriale presenti un valore contabile superiore al
suo valore recuperabile, essa dovrà essere svalutata, come meglio descritto nel par.
3.2.4.

3.2.2. Gli ammortamenti


Il Codice Civile stabilisce (art. 2426, n. 2) che le immobilizzazioni la cui utilizza-
zione è limitata nel tempo, devono essere «sistematicamente ammortizzate in ogni
esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione».
L’ammortamento consiste nella ripartizione del costo nei vari esercizi ai quali l’im-
mobilizzazione offre un contributo ai processi produttivi. Non essendo un processo
espressamente finalizzato al rinnovo delle immobilizzazioni (anche se, ovviamente, ad
esso naturalmente collegato), l’ammortamento non può essere calcolato sulla base del
valore di riacquisto (rinnovo).
Nelle parole del Codice l’ammortamento deve essere «sistematico», cioè compiuto
in ogni esercizio sulla base di un piano e questo programma deve essere rivisto perio-
dicamente, per verificare che non siano intervenuti cambiamenti tali da richiedere una
modifica delle stime effettuate nella determinazione della residua possibilità di utiliz-
zazione.
Il processo in parola, che prende inizio dal momento in cui l’immobilizzazione è di-
sponibile per l’uso (anche se concretamente non utilizzata), presuppone la definizione
di tre elementi:
1. Il valore da ammortizzare, costituito dalla differenza tra costo originario (even-
tualmente aumentato delle rivalutazioni e delle migliorie e diminuito delle svalutazio-
ni, aspetti commentati in seguito) e valore residuo al termine della vita utile del bene.

3 Emerge da tale regola una concezione «finanziaria» dell’azienda e dei singoli beni che la compon-

gono. La prospettiva è quella dell’investitore esterno interessato a massimizzare i flussi di cassa derivanti
dalla gestione. Portando agli estremi questa prospettiva, al limite nelle valutazioni di bilancio di un’azien-
da in funzionamento si dovrebbe adottare la concezione del capitale di liquidazione, se il valore di realiz-
zo diretto dei singoli beni fosse superiore al valore d’uso. Questa concezione dell’azienda e dei suoi sin-
goli beni componenti come un investimento finanziario, da massimizzare nei suoi ritorni di cassa, indi-
pendentemente dal modo (cessione diretta o sfruttamento interno) sta effettivamente prendendo piede nel-
la gestione di grandi complessi aziendali, dove le operazioni di scissione (break-up), dismissione, ecc. di
singoli segmenti avvengono con frequenza impressionante. Un modello aziendale del genere tuttavia non
è verificabile in ogni contesto. In molti casi, gli imprenditori non sono così flessibili nelle loro decisioni.
Se essi hanno inizialmente pensato di sfruttare internamente il bene ed hanno costruito una struttura attor-
no ad essi, ben difficilmente l’ipotesi di una cessione diretta sarà presa in considerazione e viceversa nel
caso contrario. Insomma, l’estrema equivalenza tra la nozione di valore di realizzo diretto e indiretto ci
sembra discutibile nella pratica, ipotizza una perfetta razionalità decisionale e, last but no least, si scontra
con l’impostazione dottrinale italiana della netta distinzione tra logica del capitale di funzionamento e del
capitale di liquidazione e del concetto di valutazione «funzionale».

104
Quest’ultimo termine generalmente è considerato nullo, per l’incertezza in merito alla
sua determinazione.
2. La vita utile, basata sulle prospettive temporali di utilizzo dell’elemento conside-
rato. Per quanto riguarda i beni immateriali (diritti di brevetto, marchi, diritti di licen-
za), la vita utile è spesso paragonata al periodo che la legge o il contratto stabiliscono
come intervallo nel quale l’azienda può sfruttare in esclusiva il bene. Nel caso di alcu-
ni oneri pluriennali, invece, mancano riferimenti così precisi, per cui, in applicazione
del postulato della prudenza, la legge stabilisce per i costi di impianto e ampliamento
una durata convenzionale massima pari a cinque esercizi (art. 2426, n. 5). Per i costi di
sviluppo e l’avviamento (art. 2426, n. 6), invece, la vita utile dipende dalle valutazioni
dell’azienda in ordine al periodo necessario per recuperare tramite futuri ricavi tali co-
sti. In questo senso la vita utile potrebbe anche essere definita in termini di quantità di
prodotto che l’azienda si attende di poter ottenere dall’uso della immobilizzazione.
3. Il criterio di ripartizione del valore, tra cui l’OIC 24 indica quello a quote co-
stanti come metodo «più immediato» in ragione della maggiore semplicità. In talune
circostanze il documento suggerisce la maggiore coerenza del metodo a quote decre-
scenti, alla base del quale vi è l’ipotesi che l’immobilizzazione immateriale offra il
contributo maggiore nei suoi primi esercizi di vita, anche in applicazione del postulato
della prudenza 4. In ogni caso il documento ritiene accettabile l’uso per diverse classi
di cespiti di metodi a quote costanti e di metodi a quote decrescenti. L’OIC 24 consen-
te anche l’uso di metodi di ammortamento a quote variabili in funzione dell’evoluzio-
ne di un certo parametro 5.
Un aspetto non trattato esplicitamente dal documento OIC riguarda le modifiche
successive, tanto al valore da ammortizzare come incrementi per rivalutazioni o ridu-
zioni per svalutazioni, quanto alla vita utile. In casi del genere, si dovrà rideterminare
la quota di ammortamento ripartendo il valore residuo da ammortizzare sugli anni di
vita utile residua.
Come esempio si consideri una immobilizzazione immateriale avente costo storico
di 400 con vita utile di 10 anni che al terzo anno di vita è svalutata di 60 e per la quale
si rivede la vita utile portandola 5 anni. L’immobilizzazione prima di tali modifiche
aveva valore residuo di 280, dato da 400 – 120, dove 120 sono gli ammortamenti al
10% per anno (40 × 3). A quel punto incide la svalutazione che porta il valore a 220
(280 – 60). Tale valore residuo sarà ripartito su due anni, considerato che la vita utile
rivista è di cinque anni e tre sono già trascorsi. Per cui la nuova quota di ammortamen-

4 Il più semplice esempio di metodo a quote decrescenti è dato dall’applicazione per ogni anno di un
tasso pari al rapporto tra numero di anni residui di vita utile e somma dei numeri che rappresentano l’inte-
ra vita utile stimata del cespite. Ad esempio, per un cespite dalla vita utile prevista di tre anni, per il primo
anno il tasso sarà di 3/(3 + 2 + 1), cioè 50%, per il secondo anno 2/(3 + 2 + 1), 33% e per il terzo anno
1/(3 + 2 + 1), cioè 17%.
5 Ad esempio l’ammortamento di un brevetto potrebbe essere commisurato alla ripartizione dei ricavi

lungo la vita utile prevista. Supponendo che il bene ottenuto dal brevetto abbia una vita utile di 10 anni e
che i ricavi da esso derivanti si ripartiscano con quote del 15% nei primi cinque anni e del 5% nei succes-
sivi 5, anche le quote di ammortamento potrebbero consistere in percentuali identiche.

105
to sarà pari a 220/2 = 110. In merito si segnala che le svalutazioni/rivalutazioni, essen-
do determinate solitamente a fine esercizio, dovranno essere operate sul cespite dopo
lo stanziamento della quota di ammortamento, in quanto quest’ultima è riferita al con-
sumo avvenuto durante l’esercizio che si sta chiudendo.
La quota di ammortamento è riepilogata in Conto Economico nella voce B.10.a),
mentre il fondo ammortamento accreditato in contropartita è inserito nello Stato Pa-
trimoniale a diretta rettifica della immobilizzazione cui si riferisce.

3.2.3. Le rivalutazioni
Conformemente al dettato civilistico, il documento n. 24 consente la possibilità di
compiere rivalutazioni del cespite solo se ciò è permesso da leggi speciali e nei limiti
da queste stabiliti. Nel box seguente si presenta una sintesi dei punti più salienti di una
legge di rivalutazione, la n. 342/2000 6 che ha rappresentato un modello al quale si so-
no ispirate anche le successive leggi di rivalutazione.

BOX 10 – La legge di rivalutazione 21 novembre 2000, n. 342


La legge n. 342/2000 consente alle società ed alle imprese individuali la possibilità di rivalutare nel bi-
lancio dell’esercizio 2000 (e in casi particolari si può farla slittare anche nel bilancio dell’esercizio 2001) le
immobilizzazioni materiali, le immobilizzazioni immateriali consistenti in diritti (brevetti o marchi ad esem-
pio, mentre non sono rivalutabili i costi di impianto e di ampliamento o quelli di ricerca e sviluppo), le
partecipazioni immobilizzate in controllate e collegate. Tali elementi devono risultare nel bilancio dell’e-
sercizio chiuso entro il 31 dicembre 1999.
La rivalutazione è facoltativa. Se decisa, essa deve però riguardare tutti i beni della stessa categoria omo-
genea (aree fabbricabili, fabbricati non strumentali, ecc.). La legge non fissa coefficienti di rivalutazione ma
stabilisce unicamente che i beni rivalutati non superino il limite del valore effettivamente attribuibile con
riguardo alla consistenza, alla capacità produttiva ed alle possibilità di economico sfruttamento del cespite,
se il bene è destinato ad un uso interno nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati rego-
lamentati italiani o esteri, se invece per il bene è ipotizzabile un suo scambio sul mercato.
In Nota Integrativa deve essere fornita indicazione dell’operazione. Gli amministratori ed il collegio
sindacale devono inoltre indicare nelle loro relazioni al bilancio i criteri seguiti per la rivalutazione e forni-
re attestazione che il valore non eccede il limite sopra indicato.
Sui maggiori valori deve essere pagata un’imposta sostitutiva (valida ai fini IRES, IRPEF, IRAP). L’aliquo-
ta è del 19% per i beni ammortizzabili e del 15% per i beni non ammortizzabili (terreni, partecipazioni) e
va versata (o compensata con importi a credito derivanti da altre imposte) entro il termine previsto per il
versamento a saldo delle imposte sul reddito (20 giugno di ogni anno) potendo sfruttare una dilazione pari
al massimo a tre rate annuali di pari importo (con interessi, nel caso di rateizzazione, del 6% annuo. Tale
imposta è indeducibile e va computata in diminuzione del saldo attivo di rivalutazione. Il maggior valore de-
rivante dalla rivalutazione è riconosciuto ai fini fiscali per la determinazione delle quote di ammortamento
e delle plusvalenze/minusvalenze in caso di eventuale cessione.

6 La più recente legge che ha permesso una rivalutazione è la n. 208 del 28 dicembre 2015, molto si-

mile nelle sue caratteristiche alla n. 342/2000. Per tale legge l’aliquota di imposta sostitutiva è del 16%
per i beni ammortizzabili e del 12% per i beni non ammortizzabili e gli effetti fiscali decorre dal terzo
esercizio successivo a quello di riferimento della rivalutazione.

106
Si supponga ad esempio che l’azienda decida di rivalutare i propri brevetti con valore residuo com-
plessivo di 1.800.000 € (acquistati per 2.000.000 € ed ammortizzati per il 10%) per portarli ad un nuovo
valore residuo di 2.700.000 €. La rivalutazione dovrà aumentare tanto il valore dei cespiti quanto il fondo
ammortamento. Quindi l’aumento di 1/2 [(2.700.000 – 1.800.000)/1.800.000)] riguarderà tanto il costo
dei brevetti, che passerà da 2.000.000 a 3.000.000 €, quanto il fondo ammortamento che salirà da
200.000 a 300.000 €. La differenza di 900.000 € rappresenterà il saldo attivo di rivalutazione.

Rivalutazione immobile ai sensi della legge n. 342/2000

Brevetti 1.000.000
Fondo ammortamento brevetti 100.000
Saldo attivo rivalutazione monetaria 900.000

Sul saldo attivo graverà imposta sostitutiva del 19%, pari quindi a 171.000 euro, che andrà a diminuire
il saldo attivo precedentemente determinato a fronte dell’insorgenza del debito verso l’erario.

Stanziamento dell’imposta sostitutiva sul saldo attivo di rivalutazione

Saldo attivo rivalutazione monetaria 171.000


Debiti verso erario 171.000

Il saldo attivo potrà successivamente essere (art. 12, 1° comma):


1. girato ad aumentare il capitale sociale;
2. accantonato a specifica riserva, denominata con espresso riferimento alla legge di rivalutazione; in tal
caso la riserva potrà essere ridotta solo con osservanza dell’art. 2445 c.c. In caso di copertura di perdi-
te non si possono distribuire utili finché detta riserva non è stata reintegrata o ridotta in misura corri-
spondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria. (art. 12, 2° comma);
3. distribuito ai soci.
In caso di distribuzione ai soci del saldo attivo, sia direttamente, sia tramite riduzione dell’apposita riserva
o del capitale aumentato a seguito della rivalutazione, le somme versate, aumentate della quota corrispon-
dente di aliquota sostitutiva, vanno ad aumentare il reddito imponibile della società e dei soci percipienti.
Se il saldo attivo viene imputato al capitale sociale e successivamente si decide di distribuire o rimbor-
sare il capitale (art. 12, 4° comma), le riduzioni del capitale si ritengono effettuate con gli importi derivanti
dal saldo attivo di rivalutazione derivante dall’applicazione della norma in questione e dai saldi attivi deri-
vanti da precedenti rivalutazioni fino alla loro capienza. Conseguentemente tale quota di capitale rimbor-
sato determinerà reddito imponibile per la società e per i soci.
Si supponga che la società decida di iscrivere il saldo nell’apposita riserva che sarà riepilogata nella vo-
ce A.III del passivo patrimoniale.

Accantonamento a riserva del saldo attivo

Saldo attivo rivalutazione monetaria 729.000


Riserve di rivalutazione ex legge n. 342/2000 729.000

Al 20 giugno dell’esercizio successivo a quello a cui si riferisce il bilancio, la società verserà la prima ra-
ta (1/3) dell’imposta sostitutiva assieme alle altre imposte sul reddito.

107
Pertanto non è consentita nessuna discrezionalità nell’operare rivalutazioni «mone-
tarie», miranti a tener conto dei processi inflazionistici, o rivalutazioni «economiche»
dei beni, dovute ad un maggiore valore dipendente da circostanze di mercato. Sarà even-
tualmente la legge a disciplinare tali situazioni. In ogni caso, quand’anche leggi speciali
le consentissero, le rivalutazioni non possono determinare ricavi da inviare a Conto
Economico, ma possono solo comportare aumenti di speciali riserve del netto che con-
fluiscono nella voce A.III del passivo dello Stato Patrimoniale. In Nota Integrativa do-
vranno essere poi specificati i criteri seguiti, l’importo della rivalutazione al lordo e al
netto degli ammortamenti e l’effetto sul patrimonio netto.

3.2.4. Le svalutazioni per perdita durevole e le rivalutazioni di ripristino


Il Codice Civile prescrive all’art. 2426, n. 3 che le immobilizzazioni devono essere
svalutate in caso di perdita durevole emergente alla data di chiusura dell’esercizio. A
differenza dal processo di ammortamento che consiste, come si è descritto nel par.
3.2.2, nella ripartizione del costo del bene lungo gli esercizi nei quali vi è partecipa-
zione del cespite al processo produttivo con relativo contributo alla generazione di ri-
cavi, la eventuale svalutazione risulta logicamente distinta. La svalutazione per perdita
durevole consegue infatti alla presa d’atto che parte del valore contabile del bene non
sarà recuperabile tramite futuri ricavi, quantomeno per un periodo «durevole». Il pro-
cesso di svalutazione si fonda quindi sul concetto di valore recuperabile, inteso come
limite massimo al quale un’attività può essere iscritta in bilancio.
Mutuando ampiamente dal principio contabile internazionale IAS 36 (Impairment
of assets, discusso nel dettaglio nel par. 4.4.2.3), l’OIC ha sviluppato nel 2014 il prin-
cipio OIC 9 che tratta specificatamente le svalutazioni delle immobilizzazioni materia-
li e immateriali per perdite durevoli di valore. Nell’OIC 9 si definisce anzitutto che il
valore al quale l’immobilizzazione è iscritta in contabilità non può superare il valore
recuperabile che consiste nel maggiore tra il valore d’uso ed il suo fair value al netto
dei costi di vendita.
Il fair value al netto dei costi di vendita è il prezzo di vendita di un’attività in una
transazione ordinaria tra operatori di mercato alla data di valutazione dal quale sono
sottratti i costi stimati necessari per la vendita. La sua migliore evidenza «è il prezzo pat-
tuito in un accordo vincolante di vendita stabilito in una libera transazione o il prezzo
di mercato in un mercato attivo. Se non esiste un accordo vincolante di vendita né al-
cun mercato attivo per un’attività», tale valore è determinato in base alle migliori in-
formazioni disponibili tra le quali, in primis, i prezzi scambiati in recenti transazioni
per attività similari effettuate all’interno dello stesso settore industriale.
Il valore d’uso è definito dall’OIC 9 come il valore attuale dei flussi di cassa attesi
durante la vita utile dall’impiego della risorsa nei processi produttivi interni.
L’OIC 9, conformemente allo IAS 36 precisa che «non è sempre necessario deter-
minare sia il valore equo di un’attività sia il suo valore d’uso. Se uno dei due valori
risulta superiore al valore contabile, l’attività non ha subito una riduzione di valore e,
dunque, non è necessario stimare l’altro importo. Se vi è motivo di ritenere che il valore
equo approssimi il valore d’uso non è necessario procedere alla stima di quest’ultimo».

108
Qualora il valore iscritto in contabilità risultasse superiore al limite così definito,
l’azienda dovrà svalutare l’immobilizzazione con relativo addebito al Conto Economi-
co dell’esercizio (voce B.10.c, altre svalutazioni delle immobilizzazioni), mentre il fon-
do svalutazione sarà collocato in Stato Patrimoniale a diretta detrazione della voce a
cui si riferisce. La svalutazione implica negli esercizi successivi la riduzione del valo-
re sul quale calcolare gli ammortamenti.
La determinazione del valore recuperabile non deve essere fatta continuamente;
l’OIC 9 prevede che la società «valuta a ogni data di riferimento del bilancio se esiste
un indicatore che un’immobilizzazione possa aver subito una riduzione di valore. Se
tale indicatore dovesse sussistere, la società procede alla stima del valore recuperabile
dell’immobilizzazione ed effettua una svalutazione soltanto nel caso in cui quest’ulti-
mo sia inferiore al corrispondente valore netto contabile. In assenza di indicatori di po-
tenziali perdite di valore non si procede alla determinazione del valore recuperabile».
Gli indizi di perdita durevole di valore, secondo l’OIC 9, consistono, «come mini-
mo» nelle seguenti circostanze, che possono riguardare la singola immobilizzazione o
l’azienda nel suo complesso:
a) Eventi relativa alla singola immobilizzazione
 riduzione del valore di mercato di un’attività è diminuito significativamente, «più
di quanto si prevedeva sarebbe accaduto con il passare del tempo o con l’uso nor-
male dell’attività in oggetto»;
 il valore contabile delle attività è superiore al loro fair value (una tale stima sarà
effettuata, per esempio, in relazione alla vendita potenziale di tutta la società o par-
te di essa);
 evidenza di obsolescenza o deterioramento fisico di un’attività;
 significativi cambiamenti (avvenuti o attesi) con effetto negativo sulla società, rife-
riti alla misura o nel modo in cui un’attività viene utilizzata o ci si attende sarà uti-
lizzata. Tali cambiamenti includono casi quali inutilizzo, ridefinizione della vita u-
tile o prevista dismissione di attività, piani di dismissione o ristrutturazione del set-
tore operativo al quale l’attività appartiene.
Se esiste un’indicazione che un’attività possa aver subito una perdita durevole di
valore, ciò potrebbe rendere opportuno rivederne la vita utile residua, il criterio di am-
mortamento o il valore residuo e rettificarli conformemente, a prescindere dal fatto che
la perdita venga poi effettivamente rilevata.
b) Eventi relativa alla azienda nel suo complesso o al mercato
 variazioni significative avvenute o che avverranno di prossima con effetto nell’am-
biente tecnologico, di mercato, economico o normativo in cui la società opera o nel
mercato cui un’attività è rivolta, che comportano conseguenze negative per la so-
cietà;
 aumento dei i tassi di interesse di mercato, associato alla probabilità che tale incre-
mento condizioni il tasso di attualizzazione utilizzato nel calcolo del valore d’uso di
un’attività e riducano il valore recuperabile.

109
L’OIC 9 presenta il seguente «albero decisionale» del test di recuperabilità del valore:

Esiste un indicatore di perdita? No Non si procede con ulteriori verifiche

Il fair value è superiore


al valore netto contabile? Sì Non si procede con ulteriori verifiche

No

Il valore d’uso è superiore Sì Non si svaluta


al valore netto contabile?

No

Si svaluta

Prima di fornire il dettaglio delle problematiche di calcolo, ci preme osservare che


è scomparso nei nuovi principi OIC il concetto che le perdite durevoli sono quelle per
le quali non è presagibile un’inversione di tendenza. Al contrario il concetto di «dure-
volezza» sembra inteso come una valutazione della recuperabilità del valore in un arco
temporale medio-lungo (flussi di cassa o capacità di ammortamento da determinare su
un orizzonte di 5 anni). Sul punto sarebbe stata opportuna una precisazione.
Il calcolo del valore d’uso
Si è detto che il valore d’uso è determinato come valore attuale dei flussi finanziari
futuri che si prevede abbiano origine da un’attività. Tale logica presuppone che siano
individuati i flussi di cassa ed il tasso di attualizzazione.
La formula più usata nella prassi è la seguente:

n
 CFi
i 1
Valore uso   Valore finale (residuale, terminale)
(1  r )i
dove:
[CFn  (1  g )]
(r  g )
Valore finale 
(1  r ) n

110
e con:
CFi = flusso di cassa previsto nell’anno i;
n = anno finale di previsione analitica dei flussi di cassa;
r = tasso di attualizzazione;
g = tasso di crescita dei flussi nel lungo termine.

I flussi finanziari (CF) sono quelli che deriveranno dall’uso continuativo dell’attivi-
tà e dalla sua dismissione finale, come risultano dai piani più recenti approvati dall’or-
gano amministrativo. In linea tendenziale, tali piani non superano un orizzonte tempo-
rale di cinque anni (nella formula max n = 5).
Per stimare le proiezioni dei flussi finanziari per un periodo più ampio rispetto a
quello coperto dai più recenti piani o previsioni, la società può estrapolare le proiezio-
ni fondate su piani o previsioni facendo uso per gli anni successivi di un tasso di cre-
scita (nella formula, g) stabile o in diminuzione, salvo che possa essere giustificato un
tasso crescente. Questo tasso di crescita non deve eccedere il tasso medio di crescita a
lungo termine della produzione, dei settori industriali, del Paese o dei Paesi in cui la
società opera, o dei mercati nei quali il bene utilizzato è inserito, salvo che un tasso
superiore possa essere giustificato.
In sostanza, riprendendo la formula, è come se i flussi di cassa futuri fossero de-
terminati per due archi temporali:
 i flussi dei primi anni futuri (i che va da 1 a n) desunti dai piani aziendali, attualiz-
zati al tasso di attualizzazione r e sommati tra loro;
 il flusso finale (o residuale o terminale) di cassa, ottenuto come una rendita perpetua
del flusso di cassa dell’anno n (ultimo anno di pianificazione analitica) che si ripete
indefinitamente in futuro secondo un tasso di variazione g (che può essere pari a zero
o negativo, come suggerito dall’OIC 9, oppure positivo ma mai superiore al tasso me-
dio di crescita del mercato ove opera l’impresa). Tale valore finale calcolato per l’an-
no n dovrà quindi essere attualizzato alla data di calcolo del valore di uso.
Le stime dei flussi finanziari futuri non includono i flussi derivanti da attività di fi-
nanziamento, da pagamenti o rimborsi fiscali, da investimenti futuri per i quali la so-
cietà non si sia già obbligata. I flussi finanziari futuri sono quindi stimati facendo rife-
rimento alle condizioni correnti del cespite immobilizzato e non includono i possibili
impatti di una futura ristrutturazione per la quale la società non si è ancora impegnata
o del miglioramento o dell’ottimizzazione del rendimento dell’attività. In sostanza, si
deve usare un flusso reddituale di cassa (si veda par. 2.3 sul rendiconto finanziario)
che non consideri però flussi per pagamento/incasso di oneri/proventi finanziari e di
imposte/rimborsi di imposte.
Il tasso di attualizzazione è il tasso al lordo delle imposte che riflette le valutazioni
correnti del mercato del valore temporale del denaro, e dei rischi specifici dell’attività
per i quali le stime dei flussi finanziari futuri non sono state rettificate. Detto tasso do-
vrebbe riflettere il rendimento che gli investitori richiederebbero se si trovassero nella
situazione di dover scegliere un investimento che generasse flussi finanziari di impor-

111
ti, tempistica e rischio equivalenti a quelli che la società si aspetta che derivino dal-
l’immobilizzazione in oggetto. Questo tasso è stimato attraverso il tasso implicito uti-
lizzato per attività similari o nelle contrattazioni correntemente presenti nel mercato o,
come più spesso accade, attraverso il costo medio ponderato del capitale della società
(WACC).
Il calcolo del valore d’uso e le CGU
Molto raramente si verifica che sia possibile stimare i flussi di cassa attesi derivanti
dall’uso di un singolo cespite, dal momento che i flussi di cassa futuri deriveranno da
ricavi di vendita per il cui ottenimento concorrono molteplici fattori produttivi, molte-
plici cespiti. Se non è possibile stimare il valore recuperabile della singola immobiliz-
zazione, la società determina il valore recuperabile dell’unità generatrice di flussi di
cassa (CGU, cash generating unit) alla quale l’immobilizzazione appartiene.
Se si usano le CGU e dal calcolo emerge che il valore recuperabile sia inferiore al
valore contabile si deve svalutare. In tal caso, la perdita durevole di valore rilevata su
un’unità generatrice di flussi di cassa deve essere imputata a riduzione del valore con-
tabile delle attività che fanno parte dell’unità attribuendola in primo luogo, al valore del-
l’eventuale avviamento allocato sulla CGU. Se dopo l’imputazione all’avviamento per-
mane una quota della svalutazione non allocata, si deve attribuire quest’ultima alle altre
attività proporzionalmente, sulla base del valore contabile di ciascuna attività che fa par-
te dell’CGU.
Ai fini della verifica della sua recuperabilità l’avviamento è allocato, in sede di
prima iscrizione in bilancio, ad una o più CGU. Per effettuare tale allocazione occorre
individuare le CGU che ci si aspetta generino i flussi di benefici che giustificano l’iscri-
zione in bilancio dell’avviamento. Può verificarsi che la CGU a cui allocare l’avvia-
mento coincida con l’intera società (per esempi e maggiori dettagli si rinvia ancora al
par. 4.4.2.3).
L’ammortamento dell’avviamento non è in alcun modo sostitutivo del test di veri-
fica della sua recuperabilità.
L’approccio semplificato: valore d’uso come capacità di ammortamento
Rispetto alla procedura basata sull’attualizzazione dei flussi di cassa, l’OIC 9 pre-
vede la possibilità che le aziende che redigono il bilancio in forma abbreviata e le mi-
cro-imprese (artt. 2435 bis e 2435 ter) adottino un approccio alla determinazione delle
perdite durevoli di valore basato sulla capacità di ammortamento. In tal modo non è
richiesta una attenta pianificazione finanziaria, come invece necessaria nell’approccio
«ordinario».
L’approccio semplificato condivide le stesse basi concettuali fondanti del modello
di base, e la sua adozione si giustifica nel presupposto che, per le società di minori di-
mensioni, i risultati ottenuti divergono in misura non rilevante da quelli che si sarebbe-
ro ottenuti applicando il modello base. Le assunzioni fondamentali del modello sem-
plificato sono che l’unità generatrice di cassa, nelle società di minori dimensioni, ten-
de a coincidere con l’intera società e i flussi di reddito, se la dinamica del circolante si
mantiene stabile, approssimano i flussi di cassa.

112
In sostanza con l’approccio semplificato muta il calcolo del valore d’uso che non si
basa più sui redditi futuri ma sulla capacità di ammortamento, intesa come il «margine
economico che la gestione mette a disposizione per la copertura degli ammortamenti.
La capacità di ammortamento è determinata sottraendo al risultato economico dell’e-
sercizio, non comprensivo degli elementi straordinari e delle relative imposte, gli am-
mortamenti delle immobilizzazioni»; in sostanza detta capacità è il risultato economi-
co dell’esercizio al lordo degli ammortamenti.
Ai fini della verifica della recuperabilità delle immobilizzazioni, si confronta il loro
valore recuperabile (determinato sulla base della capacità di ammortamento dei futuri
esercizi o, se maggiore, sulla base del valore equo) con il loro valore netto contabile
iscritto in bilancio. La verifica della sostenibilità degli investimenti è, pertanto, basata
sulla stima dei flussi reddituali futuri riferibili alla struttura produttiva nel suo com-
plesso e non sui flussi derivanti dalla singola immobilizzazione. Il test di verifica delle
recuperabilità delle immobilizzazioni si intende superato quando la prospezione degli
esiti della gestione futura indica che, in linea tendenziale, la capacità di ammortamento
complessiva (relativa all’orizzonte temporale preso a riferimento) è sufficiente a ga-
rantire la copertura degli ammortamenti. Il fatto che nel periodo preso a riferimento
alcuni esercizi chiudano in perdita non implica un obbligo a svalutare, a condizione
che altri esercizi dimostrino la capacità di produrre utili che compensino tali perdite.
L’OIC 9 specifica tuttavia che nel caso in cui la società presenti una struttura pro-
duttiva segmentata in rami d’azienda che producono flussi di ricavi autonomi è prefe-
ribile applicare il modello di svalutazione in oggetto ai singoli rami d’azienda indivi-
duati. In questa circostanza, la capacità di ammortamento andrà determinata con rife-
rimento ai singoli rami d’azienda e si rende necessario individuare opportuni criteri per
la ripartizione dei costi indiretti (quali, ad esempio, gli oneri finanziari).
Per il resto valgono le considerazioni già svolte presentando l’approccio dei flussi
di cassa con riferimento:
 alla distinzione dell’orizzonte temporale in capacità di ammortamento del periodo
di previsione esplicita/analitica (che non supera, si ricorda, cinque anni) e stima del
valore residuo finale;
 alla esclusione dei futuri investimenti capaci di incrementare il potenziale della
struttura produttiva; si includono invece, gli ammortamenti degli investimenti che,
nel periodo di riferimento, servono a mantenere invariata la potenzialità produttiva
esistente;
 alla allocazione dell’eventuale svalutazione prioritariamente all’avviamento, se iscrit-
to in bilancio, e poi alle altre immobilizzazioni, in proporzione al loro valore netto
contabile.
Si riporta di seguito un esempio applicativo del metodo semplificato, riprendendolo
dall’Appendice C dell’OIC 9.

113
BOX 11 – Il test di recuperabilità del valore con uso del metodo semplificato della «capacità di
ammortamento» (tratto da OIC 9, Appendice C)
Si ipotizzi che la società abbia iscritti in bilancio al 31.12 dell’esercizio 0:
– cespite A: valore netto contabile 600, vita utile residua 5 anni;
– cespite B: valore netto contabile 400, vita utile residua 5 anni;
– avviamento: valore netto contabile 500, vita utile residua 5 anni.
I valori netti contabili dei cespiti A e B e dell’avviamento includono la quota di ammortamento matu-
rata nell’esercizio 0. L’andamento prospettico della gestione, così come desunto dai piani aziendali più
recenti a disposizione, è il seguente:

Anno 1 Anno 2 Anno 3 Anno 4 Anno 5 Totale


Ricavi 5.500 7.500 10.000 10.000 10.000 43.000
Costi variabili – 2.500 – 3.750 – 5.000 – 5.000 – 5.000 – 21.250
Costi fissi – 3.000 – 3.000 – 3.000 – 3.000 – 3.000 – 15.000
Oneri finanziari – 500 – 500 – 500 – 500 – 500 – 2.500
Capacità d’ammortamento – 500 250 1.500 1.500 1.500 4.250
Ammortamenti A – 120 – 120 – 120 – 120 – 120 – 600
Ammortamenti B – 80 – 80 – 80 – 80 – 80 – 400
Ammortamento avviamento – 100 – 100 – 100 – 100 – 100 – 500
Totale ammortamenti – 300 – 300 – 300 – 300 – 300 – 1.500
Risultato netto – 800 – 50 1.200 1.200 1.200 2.750

L’orizzonte esplicito di previsione degli esiti della gestione è di 5 anni. Al termine di tale periodo i ce-
spiti andranno rinnovati e si suppone che il valore dell’avviamento si sia completamente riassorbito. Si
suppone, inoltre, che l’aliquota fiscale sia pari a zero.
Nel caso in questione, la capacità di ammortamento complessiva generata dalla gestione nell’orizzonte
temporale di riferimento (pari a 4.250) consente di recuperare le immobilizzazioni iscritte in bilancio al
31.12 dell’esercizio 0 (il cui valore netto contabile è pari a 1.500). Di conseguenza – nonostante gli eserci-
zi 1 e 2 chiudano in perdita – non viene rilevata nessuna perdita durevole di valore.

Rivalutazione di ripristino
Una volta compiuta la svalutazione, se le cause che l’avevano determinata non sus-
sistono più, il Codice Civile, art. 2426, n. 3, stabilisce che si deve stanziare una rivalu-
tazione al Conto Economico. Questo tipo di rivalutazione è l’unico caso di rivaluta-
zione con impatto reddituale permesso e più comunemente è conosciuto con il termine
«rivalutazione di ripristino», in quanto serve per riportare il valore della immobilizza-
zione fino al massimo del costo residuo prima della svalutazione.
In merito l’OIC 9 chiarisce che il ricavo per plusvalenza di ripristino deve essere al
netto degli ulteriori ammortamenti non calcolati a causa della precedente svalutazione
(si veda l’esempio di cui al box 12). Proprio perché assume questo scopo, la rivaluta-
zione di ripristino può essere operata fino a concorrenza del costo originario.
L’OIC 9 specifica tuttavia che le rivalutazioni di ripristino non possono effettuarsi

114
sugli oneri pluriennali e sull’avviamento «in quanto per queste immobilizzazioni non
può verificarsi il presupposto della variazione degli elementi che ne avevano determi-
nato la svalutazione». Tale apodittica giustificazione non ci sembra corretta. Ad esem-
pio, un costo riferito ad un progetto di sviluppo che era stato capitalizzato e successi-
vamente svalutato perché sembrava che un’impresa concorrente avesse sviluppato per
prima la procedura rendendo pertanto vana la ricerca aziendale, potrebbe a ben vedere
essere rivalutato se risultasse successivamente che l’impresa concorrente aveva in
realtà fatto ricorso a pratiche illecite come lo spionaggio industriale. L’affermazione
dell’OIC 9 in realtà appare corretta solo se si ritiene dominante la logica della pruden-
za rispetto a quella della competenza economica.
L’eventuale rivalutazione di ripristino sarà collocata nella voce A.5.
In Nota Integrativa (art. 2427, comma 3 bis) si devono precisare «la misura e le mo-
tivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e immateria-
li, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risul-
tati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto rilevante, al loro valore di
mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi prece-
denti ed evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell’esercizio».
Secondo l’OIC 9, nella Nota Integrativa si forniscono, inoltre, informazioni sulle
modalità di determinazione del valore recuperabile, con particolare riguardo:
– alla durata dell’orizzonte temporale preso a riferimento per la stima analitica dei
flussi finanziari futuri;
– al tasso di crescita utilizzato per stimare i flussi finanziari ulteriori; ed
– al tasso di attualizzazione applicato.
Se del caso, si forniscono informazioni sulle tecniche utilizzate per la determina-
zione del valore equo (fair value).
Le società che adottano il metodo semplificato devono dare menzione di tale scelta
nella Nota Integrativa e indicano la durata dell’orizzonte temporale preso a riferimento
per la stima analitica dei flussi reddituali futuri.

BOX 12 – Un esempio di svalutazione delle immobilizzazioni immateriali


Si supponga che un brevetto dal costo storico di 200.000 ammortizzabile in ragione del 10% annuo, al
termine del terzo anno di vita presenti un valore recuperabile di 120.000 e debba quindi essere svalutato
per 80.000. La svalutazione farà ridurre il valore ammortizzabile e darà origine alla seguente rilevazione,
da effettuarsi possibilmente con metodo di rettifica indiretto.

Svalutazione di immobilizzazioni

Svalutazione immobilizzazioni immateriali 80.000


Fondo svalutazione immobilizzazioni immateriali 80.000

A tal punto il valore netto contabile del bene diviene 60.000 (200.000 – svalutazione 80.000 – 60.000
ottenuti come 3 anni di ammortamenti al 10%).
Se poi venissero meno i motivi della svalutazione (caso peraltro infrequente), si dovrà operare una rile-

115
vazione opposta dando origine ad una «rivalutazione di ripristino». Questo tipo di rivalutazione va reddi-
tualizzato a Conto Economico dal momento che ha la funzione di compensare la precedente svalutazione.
Si supponga che al termine del quarto anno di vita si rilevi la sopravvenuta insussistenza dei motivi che
avevano determinato la svalutazione. Il ricavo per plusvalenza di ripristino da contabilizzare però non sarà
di nuovo pari a 80.000 perché nel frattempo l’ammortamento del quarto anno è stato compiuto non più
sul costo storico di 200.000 ma sarà dato, a parità di vita utile, da 60.000 (valore residuo): 7 (vita residua),
determinando una nuova quota di 8.571. La differenza tra la quota di ammortamento ordinaria e la quota
di ammortamento così determinata (20.000 – 8.571 = 11.429), andrà inserita a rettifica della rivalutazio-
ne di ripristino. Quest’ultima sarà quindi pari a 68.571 (80.000 – 11.429). I rimanenti 11.429 saranno
stornati dal fondo svalutazione ed andranno ad alimentare il fondo ammortamento.

Rivalutazione di immobilizzazioni

Fondo svalutazione immobilizzazioni immateriali 80.000


Fondo ammortamento immobilizzazioni immateriali 11.429
Rivalutazione immobilizzazioni immateriali 68.571

3.3. Le singole tipologie

3.3.1. Costi di impianto e di ampliamento


L’OIC 24 chiarisce subito che l’interpretazione fornita sul contenuto di questa clas-
se di elementi, previsti al punto B.I.1 dello schema di Stato Patrimoniale civilistico, ha
carattere restrittivo, per la dovuta prudenza nella valutazione di risorse gravate da con-
sistenti incertezze. Il documento ritiene inseribili in tale classe costi che siano non ri-
correnti ma riguardino ben precisi momenti della gestione. Rientrano in tale nozione:
– i costi pre-operativi sia di tipo legale (costi per l’atto costitutivo, tasse, ecc.) che di
tipo più prettamente operativo (costi per iniziali ricerche di mercato, addestramento
iniziale del personale, ecc.);
– i costi relativi ad ampliamenti successivi (ad esempio costi per aumenti del capitale
sociale, per ammissione alla quotazione in borsa, ecc.);
– i costi dovute alle perdite per la messa a regime di impianti, dati dalla differenza tra
costi effettivi sostenuti nella fase iniziale (più alti) e costi a regime (più bassi, per
l’avvenuto perfezionamento delle procedure);
– i costi per addestramento e formazione del personale, ma solo se riferiti all’avvio di
nuove attività. Tali costi sono altresì differibili se essi sono direttamente sostenuti
in relazione ad un processo di riconversione o ristrutturazione, purché tale processo
si sostanzi in un investimento sugli attuali fattori produttivi e purché comporti un
profondo cambiamento nella struttura produttiva. Tali ristrutturazioni e riconversioni
industriali e/o commerciali debbono risultare da un piano approvato dagli ammini-
stratori, da cui risulti la capacità prospettica della società di generare flussi di reddi-
to futuri, sufficienti a coprire tutti i costi e le spese, ivi inclusi gli ammortamenti
dei costi capitalizzati.

116
In ogni caso, ricordando le suddette regole generali, la loro capitalizzazione sog-
giace alla continua verifica della loro utilità futura, con particolare riferimento alla
correlazione con i ricavi e del limite massimo dato dal valore recuperabile, come sopra
definito.
L’OIC 24 ritiene che i costi straordinari di riduzione del personale (buonuscita, ecc.)
sostenuti per rimuovere inefficienze produttive andranno imputati a Conto Economico e
non capitalizzati.
Per il Codice Civile, prudenzialmente, i costi di impianto e di ampliamento, come gli
altri oneri pluriennali (vedasi par. 3.1.2) andranno ammortizzati entro cinque anni. Il
piano di ammortamento per tali attività deve essere rivisto annualmente per accertarne la
congruità (OIC 24).

3.3.2. Costi di sviluppo


Circa i costi di sviluppo, il Codice Civile non fornisce indicazioni precise, se non
la generica indicazione che devono figurare al punto B.I.2 dell’attivo patrimoniale.
Si ricorda che i costi di ricerca di nessun tipo non possono più essere capitalizzati a
partire dai bilanci dell’esercizio 2016 a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs.
n. 139/2015. Consegue che assume rilievo decisivo la distinzione tra sviluppo e ri-
cerca.
Per sviluppo l’OIC 24 riprende da vicino la disposizione dello IAS 38 stabilendo
che tale fase consiste «nell’applicazione dei risultati della ricerca o di altre conoscenze
possedute o acquisite in un piano o in un progetto per la produzione di materiali, di-
spositivi, processi, sistemi o servizi, nuovi o sostanzialmente migliorati, prima dell’i-
nizio della produzione commerciale o dell’utilizzazione».
La regola suddetta trae ragione dal fatto che nella fase di ricerca non sono dimo-
strabili i probabili benefici futuri (maggiori ricavi/minori costi) derivanti dallo sfrut-
tamento delle nuove conoscenze. I costi relativi alla fase di sviluppo, al contrario, pos-
sono essere capitalizzati al verificarsi delle seguenti stringenti condizioni:
– devono essere relativi ad un prodotto o processo chiaramente definito, nonché iden-
tificabili e misurabili, dimostrando, per esempio, che i costi di sviluppo hanno diretta
inerenza al prodotto, al processo o al progetto per la cui realizzazione essi sono sta-
ti sostenuti. Nei casi in cui risulti dubbio se un costo di natura generica possa essere
attribuito ad un progetto specifico, ovvero alla gestione quotidiana e ricorrente, il
costo non sarà capitalizzato ma spesato al Conto Economico;
– devono essere riferiti ad un progetto realizzabile, cioè tecnicamente fattibile, per il
quale la società possieda o possa disporre delle necessarie risorse. La realizzabilità
del progetto è, di regola, frutto di un processo di stima che dimostri la fattibilità tec-
nica del prodotto o del processo ed è connessa all’intenzione della direzione di pro-
durre e commercializzare il prodotto o utilizzare o sfruttare il processo. La disponi-
bilità di risorse per completare, utilizzare e ottenere benefici da un’attività immate-
riale può essere dimostrata, per esempio, da un piano della società che illustra le
necessarie risorse tecniche, finanziarie e di altro tipo e la capacità della società di

117
procurarsi tali risorse. In alcune circostanze, la società dimostra la disponibilità di
finanziamenti esterni ottenendo conferma da un finanziatore della sua volontà di
finanziare il progetto;
– devono essere recuperabili, cioè la società deve avere prospettive di reddito in mo-
do che i ricavi che prevede di realizzare dal progetto siano almeno sufficienti a co-
prire i costi sostenuti per lo studio dello stesso, dopo aver dedotto tutti gli altri costi
di sviluppo, i costi di produzione e di vendita che si sosterranno per la commercia-
lizzazione del prodotto.
Entro la classe dei costi di sviluppo si possono capitalizzare costi relativi al personale
impegnato nell’attività di sviluppo, costi per materiali e servizi impiegati nell’attività di
sviluppo, ammortamento di immobili, impianti e macchinari, nella misura in cui tali beni
sono impiegati nell’attività di sviluppo, costi indiretti, diversi dai costi e dalle spese ge-
nerali ed amministrativi, relativi all’attività di sviluppo; dagli altri costi, quali ad esem-
pio l’ammortamento di brevetti e licenze, nella misura in cui tali beni sono impiegati
nell’attività di sviluppo. I costi per interessi passivi per finanziamenti specificamente ot-
tenuti a fronte dell’impegno nella ricerca saranno attribuibili con i criteri stabiliti dal-
l’OIC 16 sulle immobilizzazioni materiali (per l’esame del quale si rinvia al par. 4.2.1).
L’ammortamento dei costi di sviluppo capitalizzati deve iniziare dal momento in
cui la risorsa è utilizzabile nei processi produttivi, ossia dal momento in cui avviene la
incorporazione nei prodotti dei risultati dell’attività di sviluppo. Esso è poi condotto
secondo un piano sistematico normalmente per quote costanti o, più prudenzialmente,
per quote decrescenti ed in relazione ai ricavi attesi riferiti ai prodotti così sviluppati.
Il limite convenzionale dei cinque anni imposto dal Codice Civile qualora la società
non sia in grado di stimare attendibilmente la vita utile di detti costi risulta giustificato
solo in base al generale criterio di prudenza.
Se il progetto di sviluppo portasse invece all’ottenimento di un brevetto, si dovrà
trasferire nella voce «brevetti» il costo non ancora ammortizzato del progetto, assieme
ai costi necessari per il riconoscimento del brevetto.

3.3.3. Diritti di brevetto e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno


L’OIC 24 precisa che l’iscrivibilità nell’attivo di tali beni è subordinata alla sussi-
stenza dei requisiti generali di cui al par. 3.1.1, cioè titolarità di un diritto esclusivo di
sfruttamento, recuperabilità dei costi di iscrizione tramite benefici economici (che pos-
sono consistere in maggiori ricavi e/o in minori costi), misurabilità del costo sostenuto.
I benefici economici dovranno essere dimostrati da piani relativi al concreto impie-
go, fattibili tecnicamente ed economicamente, i cui effetti economici siano inclusi nei
budget aziendali.
Per quanto riguarda la stima del costo iniziale, nel caso di acquisto del brevetto da
fornitore esterno (acquisto a titolo derivativo) oltre al costo diretto di acquisto dovran-
no essere inclusi gli oneri accessori, inclusi i costi di progettazione e i costi per gli
studi di fattibilità relativi all’impiego del brevetto in azienda.
Qualora il brevetto non sia acquistato a titolo di proprietà ma sia utilizzato tramite
ottenimento di licenza, nell’attivo dello Stato Patrimoniale, sotto la voce brevetti (e

118
non come licenze), andrà inserito il costo della licenza solo se questa ha dato origine
ad un costo una tantum. Se invece il compenso per la licenza consiste in somme dovu-
te ogni esercizio, ovviamente non vi sarà spazio per nessuna capitalizzazione.
In caso di acquisto a titolo originario si applicano le regole del calcolo del costo di
produzione già esaminate con riferimento ai costi di ricerca e sviluppo (anche con rife-
rimento al trattamento previsto per i costi indiretti e gli oneri finanziari).
La vita massima del brevetto si fonda sulla durata riconosciuta dalla legge. Tutta-
via, a seconda delle concrete circostanze applicative, la vita utile potrà essere ridotta se
il prospettato periodo di utilità futura riguarderà un intervallo temporale più breve. An-
che in questo caso, come nei precedenti, il metodo a quote costanti, sebbene più diffu-
so, può essere sostituito da altri metodi, come quello a quote decrescenti o a quote va-
riabili in funzione dei volumi di produzione, se questi riflettono meglio la graduale ri-
duzione dell’utilità del cespite.
Oltre alle procedure di ammortamento, in ogni esercizio si deve valutare inoltre se
le condizioni che ne consentirono l’iscrizione iniziale sussistono ancora o si sono mo-
dificate in tutto o in parte. Qualora si riscontri un frangente del genere, conformemen-
te alle regole generali, l’azienda dovrà operare una svalutazione.
Considerazioni sostanzialmente simili valgono per i diritti di autore, quali esempi
di diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno.

3.3.4. Concessioni
Le concessioni iscrivibili nella voce B.I.4 sono quelle derivanti dalla pubblica am-
ministrazione per sfruttare in esclusiva beni di proprietà degli enti concedenti (come il
diritto di sfruttamento esclusivo di parti del suolo demaniale) o esercitare attività pro-
prie degli enti concedenti (gestione parcheggi, ecc.).
Lo Stato Patrimoniale (voce B.I.4) sarà interessato qualora tali diritti abbiano com-
portato il sostenimento di costi una tantum, dovuti alla pubblica amministrazione conce-
dente o ad altro soggetto che intenda trasferire la propria concessione a titolo oneroso.
L’ammortamento deve avvenire in relazione alla durata della concessione stessa,
anche se niente è stabilito riguardo al metodo di ammortamento (quote costanti, decre-
scenti, variabili), a differenza di quanto precisato per le altre voci.

3.3.5. Licenze
Le licenze possono derivare da provvedimenti della pubblica amministrazione o da
accordi con soggetti privati (licenze su diritti di brevetto, su modelli, ecc.). In questi
ultimi casi l’opinione prevalente sospinge verso l’inclusione dell’eventuale immobi-
lizzazione nella classe che accoglie il diritto principale (e quindi le licenze di brevetti
andranno incluse nella classe relativa ai brevetti) del quale accoglieranno anche le re-
gole contabili sopra descritte.
Altrimenti, se si accoglie la nozione restrittiva secondo la quale tra i brevetti, ad e-
sempio, non potranno essere iscritte anche le licenze d’uso per brevetti di proprietà di
terzi soggetti, il costo per le licenze dovrà essere iscritto nella voce B.I.4 dell’attivo

119
patrimoniale «concessioni, licenze, marchi e diritti simili». Al di là della collocazione
in bilancio, varranno per tali licenze le stesse regole di valutazione esaminate riguardo
ai brevetti.
Le regole per l’iscrivibilità dei costi nell’attivo patrimoniale e l’ammortamento te-
sté descritte relativamente alle concessioni sono applicabili anche ai costi per licenze.

3.3.6. Marchi
L’OIC 24 consente la capitalizzazione dei marchi sviluppati internamente (con i-
scrizione nella voce B.I.4 dell’attivo patrimoniale), oltre che di quelli acquisiti da for-
nitore esterno, mentre non è iscrivibile il marchio ricevuto a titolo gratuito. Nel caso di
produzione interna l’OIC 24 richiama l’attenzione sulla necessaria distinzione tra i co-
sti sostenuti specificamente per lo sviluppo del marchi (deve trattarsi in ogni caso di
costi diretti) e quelli relativi ai progetti di ricerca, all’avviamento della produzione o alle
campagne promozionale, commentati in precedenza e che non possono essere capita-
lizzati.
Se il marchio pervenisse all’azienda a seguito di acquisto di complesso aziendale (in-
tera azienda o ramo di essa), esso deve essere comunque separatamente valutato ed i-
scritto in bilancio in base al suo valore corrente.
L’OIC 24 non fornisce regole tassative sull’ammortamento, salvo precisare che il
periodo di vita utile è normalmente collegato al periodo di produzione e commercializ-
zazione in esclusiva dei prodotti a cui il marchio si riferisce (ammette quindi varie du-
rate). Il documento stabilisce in ogni caso un limite massimo di venti anni.

3.3.7. Know-how
Se l’azienda acquisisce da terzi soggetti segreti industriali relativi a tecnologie non
brevettate, il costo sostenuto potrà essere capitalizzato ed iscritto nell’attivo patrimo-
niale nella voce B.I.4. L’iscrizione nell’attivo sarà ovviamente subordinata al riscontro
dei requisiti generali di capitalizzazione sopra esaminati (utilità futura, misurabilità del
costo). Si ritiene che siano da iscriversi in questa voce anche i costi per know-how svi-
luppato internamente, se tutelato giuridicamente. Si tratta quindi di beni immateriali
nel senso sopra definito, a differenza dei costi di ricerca e sviluppo che, come sopra esa-
minato appartengono alla categoria degli oneri pluriennali.

3.3.8. Avviamento
L’OIC 24 definisce l’avviamento come la parte di corrispettivo per l’acquisizione
di un’azienda (o ramo di azienda) riconosciuta a titolo oneroso, non attribuibile ai sin-
goli elementi patrimoniali acquisiti di un’azienda ma piuttosto riconducibile al suo va-
lore intrinseco, che in generale può essere posto in relazione a motivazioni, quali: il mi-
glioramento del posizionamento dell’impresa sul mercato, l’extra reddito generato da
prodotti innovativi o di ampia richiesta, la creazione di valore attraverso sinergie pro-
duttive o commerciali, ecc.

120
In questo modo l’OIC 24 attribuisce rilevanza contabile solo all’avviamento «deri-
vato», ossia derivante da acquisto di un’azienda o di un ramo di azienda e impedisce
ogni riflesso contabile all’avviamento internamente originato o «originario», determi-
nato dalla sinergia della combinazione produttiva.
L’avviamento si caratterizza quindi per essere costituito da costi a utilità differita
nel tempo, essere incluso nel corrispettivo pagato per l’acquisto dell’azienda (o parte
di essa) e non essere quindi scindibile dal complesso aziendale acquisito.
Il primo accertamento per l’iscrizione nell’attivo patrimoniale dell’avviamento con-
siste nel valutare se la differenza tra costo sostenuto e valore corrente dei beni e degli
altri elementi patrimoniali acquisiti sia dovuta ad un beneficio economico futuro. Inci-
deranno al riguardo le prospettive reddituali e competitive caratterizzanti l’azienda ac-
quisita. Se tale differenza risulta giustificata da favorevoli prospettive reddituali del-
l’azienda acquisita e si prevede che verrà recuperata con il flusso dei redditi futuri, es-
sa andrà capitalizzata con iscrizione al punto B.I.5 dell’attivo patrimoniale. Se invece
la differenza fosse dovuta ad altre circostanze (cattivo affare, motivazioni personali,
ecc.), non vi sarà nessuna capitalizzazione, quanto invece un addebitamento al Conto
Economico del periodo.
Il valore dell’avviamento si determina per differenza fra il prezzo complessivo so-
stenuto per l’acquisizione dell’azienda o ramo d’azienda (o il valore di conferimento
della medesima o il costo di acquisizione della società incorporata o fusa, o del patri-
monio trasferito dalla società scissa alla società beneficiaria) ed il valore corrente at-
tribuito agli altri elementi patrimoniali attivi e passivi che vengono trasferiti.
Una volta capitalizzato, l’avviamento dovrà essere ammortizzato lungo la vita utile
stabilita dalla società in relazione al piano di recupero tramite ricavi. Nei casi in cui
essa non sia determinabile, il Codice Civile stabilisce il limite temporale di dieci anni.
Le ragioni alla base della scelta del periodo di ammortamento andranno esplicitate in
nota.
Secondo l’OIC 24, la vita utile non deve superare venti anni e nel processo di stima
di tale periodo possono rappresentare utili punti di riferimento:
a) il periodo di tempo entro il quale la società si attende dei benefici economici addi-
zionali legati alle prospettive reddituali della società oggetto di aggregazione e alle
sinergie generate dall’operazione straordinaria. Si fa riferimento al periodo in cui si
può ragionevolmente attendere la realizzazione dei benefici economici addizionali
rispetto a quelli, presi autonomamente, delle società oggetto di aggregazione;
b) il periodo di tempo entro il quale l’impresa si attende di recuperare, in termini fi-
nanziari o reddituali, l’investimento effettuato (c.d. payback period) sulla base di
quanto previsto formalmente dall’organo decisionale della società;
c) la media ponderata delle vite utili delle principali attività (core assets) acquisite con
l’operazione di aggregazione aziendale (incluse le immobilizzazioni immateriali.
In ogni caso il valore contabile attribuito all’avviamento deve essere rivisto al ter-
mine di ogni esercizio al fine di valutare la sussistenza di possibili cause di una svalu-
tazione, che si tradurrebbe, qualora accertata, in un addebito al Conto Economico (vo-
ce B.10.c).

121
3.3.9. Altre immobilizzazioni immateriali
In generale, per gli elementi includibili in questa voce residuale prevista dallo
schema di Stato Patrimoniale civilistico devono valere i requisiti generali previsti per
la classe delle immobilizzazioni immateriali e descritti al par. 3.1. Più nel dettaglio, tra
le tipologie di costi iscrivibili in tale voce ed esemplificate dall’OIC 24, ci piace ricor-
dare le seguenti 7.
Costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi
Tali costi sono iscrivibili tra le «altre immobilizzazioni immateriali» solo se non si
riferiscono a beni già presenti tra le immobilizzazioni dell’azienda, caso nel quale an-
drebbero ad incrementare il costo delle stesse. Conseguentemente tali costi si riferi-
scono ad esempio a migliorie su beni in locazione, usufrutto, godimento.
Come già previsto dall’OIC 16, la vita utile ai fini della procedura di ammortamen-
to sarà pari al minore tra periodo residuo di utilizzazione delle migliorie stesse e dura-
ta residua della locazione, «tenuto conto dell’eventuale periodo di rinnovo se dipen-
dente dal conduttore».
I costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi sono cancellati dal bi-
lancio nel caso in cui il contratto di locazione (o leasing) cui si riferiscono cessi prima
della scadenza originariamente pattuita. In tal caso, il valore contabile residuo non
ammortizzato è inviato a Conto Economico come perdita, salvo il caso in cui la cessa-
zione del contratto dipenda dall’acquisto del bene da parte della società. In questa ul-
tima ipotesi, l’importo iscritto tra le «Immobilizzazioni immateriali» viene riclassifica-
to tra le «Immobilizzazioni materiali» ad aumento del costo del bene acquisito, nel li-
mite del valore recuperabile del bene.
Costi di software
In questa voce non si deve includere il software acquistato a titolo di proprietà o a
titolo di licenza dalla durata indeterminata o sviluppato internamente e tutelato giuri-
dicamente da un diritto d’autore, in quanto in tali casi il costo relativo deve essere
iscritto nella voce B.I.3 «Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle
opere dell’ingegno».
Analogamente, se il software è acquisito con una licenza (a tempo determinato o
meno) ed il pagamento del canone è una tantum, la voce interessata sarà la B.I.4 «Con-
cessioni, licenze, marchi e diritti simili», specificando che l’ammortamento di tale som-
ma dovrà avvenire a quote costanti sulla base della durata della licenza d’uso.
Perciò nella voce «Altre immobilizzazioni immateriali» si deve inserire il soft-
ware che deriva invece da uno sviluppo interno (anche se commissionato a soggetti
terzi) non «tutelato» da specifica protezione giuridica. In tal caso si comprendono nel
costo i costi diretti sostenuti (stipendi ai programmatori ed eventuali spese «esterne»

7 Tra le «altre immobilizzazioni immateriali» sono compresi anche gli oneri accessori per l’otteni-
mento di finanziamenti, che dovranno essere ammortizzati lungo la vita del prestito e i costi pre-operativi
per lavori su commessa (trattati nel par. 5.7.3).

122
dirette) qualora il risultato raggiunto sia caratterizzato da utilità pluriennale. La capi-
talizzazione riguarderà i costi sostenuti dopo che l’azienda «sia ragionevolmente certa
del completamento e dell’idoneità all’uso atteso del nuovo software». Non sono inve-
ce capitalizzabili i costi per consulenze informatiche e per manutenzione dei sistemi
esistenti.
L’ammortamento dovrà essere effettuato a quote costanti sulla base della durata
della vita utile se determinabile.
L’OIC 24 precisa che il costo del software di sistema operativo risulta inscindibile
sostanzialmente e, quindi, contabilmente dal costo della macchina nel suo complesso.

3.3.10. Immobilizzazioni in corso e acconti


Le immobilizzazioni in corso di realizzazione si riferiscono generalmente agli ele-
menti immateriali (beni o semplici oneri pluriennali) sviluppati internamente (costi di
ricerca e sviluppo, know-how, software, ecc.), prima che sia completata la loro ultima-
zione. In ragione di tale fatto, non può esservi ammortamento sulle immobilizzazioni
in corso, ma solo un graduale processo di accumulo di costi e successiva capitalizza-
zione. Una volta ultimato lo sviluppo, non appena l’elemento è disponibile per l’uso,
contabilmente avremo la chiusura del conto destinato all’immobilizzazione in corso e
l’apertura del conto destinato all’elemento che da tale sviluppo è originato.
Per quanto riguarda gli acconti, si tratta di anticipi corrisposti a fornitori di immo-
bilizzazioni immateriali. Tali conti rimangono accesi finché la fornitura non è stata
completata con conseguente ricezione e registrazione della fattura definitiva. In quanto
tali, non possono che riguardare elementi immateriali acquisiti da fornitori esterni.

3.4. Contenuto della Nota Integrativa e della relazione sulla gestione


Per quanto riguarda la Nota Integrativa, il Codice Civile prescrive di indicare:
 i criteri applicati nella valutazione (art. 2427, 1° comma, n. 1);
 i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ogni voce il costo, le prece-
denti rivalutazioni, svalutazioni, ammortamenti, le acquisizioni/cessioni e sposta-
menti da altra voce compiuti nell’esercizio, gli ammortamenti, rivalutazioni e sva-
lutazioni compiuti nell’esercizio, il totale delle rivalutazioni riguardanti le immobi-
lizzazioni esistenti alla chiusura del bilancio (art. 2427, 1° comma, n. 2).
Altre prescrizioni sono poi stabilite dal Codice Civile a livello di singola voce, co-
me l’art. 2427, n. 3, che richiede di indicare in nota la composizione, le ragioni della
iscrizione ed i criteri di ammortamento dei costi di sviluppo e di impianto ed amplia-
mento, e l’art. 2426, n. 6, relativamente alla indicazione dei motivi alla base della scel-
ta della vita utile.
Inoltre, in base all’ art. 2427, comma 3° bis, in Nota Integrativa devono essere de-
scritte la misura e le motivazioni delle svalutazioni eventualmente operate sulle immobi-
lizzazioni immateriali aventi durata indeterminata.

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L’OIC 24 rispetto a quanto già previsto dalla normativa civilistica sancisce inoltre
di specificare in Nota Integrativa:
– il metodo e i coefficienti d’ammortamento utilizzati nel determinare la quota del-
l’esercizio per le varie categorie o classi di immobilizzazioni immateriali;
– le modalità di determinazione della quota di costi generali di fabbricazione even-
tualmente oggetto di capitalizzazione;
– il criterio seguito per l’eventuale rivalutazione del bene immateriale, la legge che
l’ha determinata, l’importo della rivalutazione, al lordo e al netto degli ammorta-
menti e l’effetto del patrimonio netto;
– gli eventuali vincoli riferibili ai contributi pubblici ricevuti a fronte di immobiliz-
zazioni immateriali. Se le clausole di concessione del contributo indicano che l’i-
nosservanza delle clausole che prevedono restrizioni o vincoli comporta la possibi-
lità per l’ente erogatore del richiamo del contributo, tale fatto deve essere chiara-
mente indicato;
– la descrizione dei beni immateriali ricevuti a titolo gratuito.

3.5. Le regole IASB

3.5.1. Il riconoscimento degli intangibles in Stato Patrimoniale ed il valore


originario di iscrizione
Quanto all’inclusione nelle immobilizzazioni immateriali in Stato Patrimoniale, lo
IAS 38 (Intangibles) richiama i caratteri generali del riconoscimento delle attività (e
descritti al par. 2.1.1) e li specifica meglio stabilendo che la contabilizzazione di una
attività immateriale dipende dal riconoscimento di quattro requisiti:
– identificabilità intesa come separabilità rispetto all’azienda, nel senso che l’attività
può essere venduta, locata, sia individualmente che insieme al relativo contratto, at-
tività o passività o come derivata da diritti contrattuali o altri diritti legati indipen-
dentemente dal fatto che tali diritti siano trasferibili o separabili dall’entità o da al-
tri diritti e obbligazioni;
– utilità, come capacità di generare benefici futuri in base ad ipotesi ragionevoli e
dimostrabili che rappresentino le migliori stime possibili da parte del management
in merito alla condizioni di utilizzo relative all’intera vita utile dell’elemento;
– controllabilità, come capacità di fruire in esclusiva dei vantaggi da esso ritraibili;
– misurabilità del costo.
Con tali requisiti, alcune immobilizzazioni immateriali previste come i costi di im-
pianto e di ampliamento in quanto la dimostrazione dei relativi futuri benefici economici
non sarà possibile, oltre ad essere incerto anche il requisito della controllabilità di tali
risorse da parte dell’azienda. Per tali elementi, inoltre, è arduo riscontrare anche il requi-
sito della autonoma identificabilità, intesa come capacità dell’elemento di essere vendu-
to separatamente o derivare da diritti sanciti da contratto o dalla legge, che lo IAS impo-
ne quale requisito per l’iscrizione a Stato Patrimoniale degli intangibles. La norma ita-

124
liana si è poi adeguata alla regola dello IAS 38 di capitalizzare solo i costi di sviluppo,
sempre che siano rispettati numerosi requisiti simili a quelli già descritti dall’OIC e pri-
ma commentati, volti a individuare la probabilità di conseguire benefici economici futu-
ri. Sempre per l’impossibilità di separarli come beni autonomi, lo IAS 38 ritiene che non
possono essere capitalizzate altre risorse sviluppate internamente quali marchi, liste di
clienti, testate giornalistiche. Per tali risorse, secondo lo IASB, non è possibile ritenere i
costi di sviluppo distinti dallo sviluppo dell’attività aziendale nel suo complesso.
I costi relativi agli elementi non iscrivibili a Stato Patrimoniale devono essere in-
viati a Conto Economico. Se già risultavano capitalizzati prima dell’applicazione delle
regole IASB, dovranno essere eliminati dallo Stato Patrimoniale secondo la procedura
descritta nel par. 1.4.
Quanto alla determinazione del valore originario, in sostanza gli IAS forniscono re-
gole simili a quelle già descritte per la normativa italiana (costo di acquisto aumentato
degli oneri accessori di acquisto e di collaudo), salvo precisare più nettamente alcune
esclusioni (es. costi di start-up quali costi di introduzione di nuovi prodotti, di trasfe-
rimento del business in altri luoghi, di perdite operative iniziali dovute al non ancora
avvenuto perfetto funzionamento di nuovi processi produttivi).
Un caso particolare è costituito da immobilizzazioni immateriali acquisite a seguito
di una più complessa operazione di aggregazione aziendale (business combinations),
quali fusioni, acquisizioni, ecc. In tali casi il cespite dovrà essere iscritto a Stato Patri-
moniale al suo fair value (sempre che ricorrano i requisiti per la sua capitalizzazione,
con particolare riferimento alla sua autonoma individuazione e possibilità di essere va-
lutato separatamente), indipendentemente dal fatto che sia stato già iscritto separata-
mente nello Stato Patrimoniale del venditore. Tale fair value sarà concretamente e-
spresso dai prezzi di mercato di beni similari formatisi in mercati attivi. In mancanza
dei requisiti per una autonoma iscrizione, l’elemento considerato contribuisce a de-
terminare l’avviamento relativo all’operazione di aggregazione.
L’avviamento conseguito a titolo oneroso (nelle business combinations) per lo IAS
38 deve essere capitalizzato ed include, come stabilito nell’IFRS 3, la differenza tra il
costo pagato per l’acquisto e la somma algebrica dei fair value delle attività e passività
acquisite, dopo però aver tolto da tale importo le attività che ai sensi dello IAS 38 do-
vranno essere iscritte autonomamente a Stato Patrimoniale (anche se non lo erano nel-
lo Stato Patrimoniale del venditore). Su tale profilo, si veda il box seguente.

BOX 13 – La determinazione dell’avviamento secondo le regole IASB


Nell’ambito di una operazione di aggregazione quale l’acquisto di altra azienda (che ricade sotto la di-
sciplina dell’IFRS 3), si ipotizzi che l’azienda A abbia acquisito l’azienda B sostenendo un costo di 2.000. Il
patrimonio netto di B, redatto secondo le regole italiane, è di 1.500. Ne consegue l’esistenza di avviamen-
to secondo le regole italiane di 500. Secondo le regole IASB si devono comunque esporre nello Stato Pa-
trimoniale di A post-acquisizione anche gli elementi attivi/passivi che non erano stati riconosciuti nello Sta-
to Patrimoniale di B ma che sono suscettibili di identificazione autonoma secondo le regole dello IASB. Si
supponga ad esempio che B possedesse un data base di clientela potenziale sviluppato internamente. A
acquisisce tale attività assieme al complesso dei beni di B. Per A il database rappresenta un’attività, consi-
derando i requisiti di identificabilità, benefici futuri derivanti, controllabilità, misurabilità del costo (si sup-

125
ponga che A abbia stimato per tale bene un valore di mercato – fair value – pari a 400), necessari per la con-
tabilizzazione di una attività. Quindi l’avviamento pagato non sarà di 500, ma di 100 (500 – 400), come
se una parte del costo di 2.000 fosse stata sostenuta specificamente per acquisire il database.
Impatto inverso sull’avviamento, nel senso di incrementarlo, accadrebbe se emergesse un fair value delle
passività di B superiore a quello iscritto in contabilità. In questo senso un derivato finanziario contratto da
B che presenta una potenziale perdita di 200 e non iscritto in Stato Patrimoniale, determinerebbe l’esigen-
za per A di rilevarlo autonomamente nel suo Stato Patrimoniale post-acquisizione, incrementando l’av-
viamento dello stesso importo (in quanto si ridurrebbe il patrimonio netto di B).
In generale le differenze di calcolo per l’avviamento calcolato con le regole italiane oppure secondo
quelle dello IASB possono così sintetizzarsi:
1. Aggiungere al valore dell’avviamento il valore di attività (o togliere il valore di passività) che sono state
iscritte nello Stato Patrimoniale dell’azienda acquirente post-aggregazione in quanto presenti nello Sta-
to Patrimoniale dell’azienda acquisita ma che non sono iscrivibili a Stato Patrimoniale per le regole
IASB (come è il caso di costi di impianto e ampliamento, non riconosciuti dallo IAS 38).
2. Togliere dal valore dell’avviamento il valore di attività (o aggiungere il valore di passività) che non sono
state iscritte nello Stato Patrimoniale dell’azienda acquirente post-aggregazione in quanto assenti nello
Stato Patrimoniale dell’azienda acquisita ma che devono essere iscritte a Stato Patrimoniale per le re-
gole IASB (come è il caso del valore dei beni in leasing finanziario al netto delle passività relative, trat-
tati nel par. 4.1.1).
3. Modificare il valore dell’avviamento per tener conto del fatto che le attività/passività acquisite devono
essere iscritte nel bilancio post-acquisizione tenendo conto del loro fair value alla data dell’acquisizio-
ne, come determinabile secondo le regole IAS/IFRS, indipendentemente dal fatto che secondo le rego-
le italiane tali elementi possano al contrario essere importati nel bilancio post-acquisizione al valore
contabile che essi avevano nello Stato Patrimoniale della società acquisita.
In linea generale, all’atto di una aggregazione aziendale, si deve effettuare la cosiddetta purchase price
allocation, con la quale attribuire il costo sostenuto per l’acquisizione ai vari elementi presenti entro il bu-
siness acquisito (ramo di azienda, intera azienda, ecc.). L’avviamento emergerà quale valore residuale, am-
messo che sia giustificato dalle prospettive di futura redditività di tale business, come dimostrato dall’im-
mediato impairment test cui andrà sottoposto. Infatti, l’avviamento così determinato deve essere immedia-
tamente sottoposto a impairment test (si veda par. successivo e, più ampiamente, il par. 4.4.2.3) per verifi-
care la permanenza del valore e, in caso contrario svalutarlo. L’azienda può inoltre entro un anno succes-
sivo alla determinazione originaria rettificare l’avviamento per tenere conto di modifiche del prezzo di ac-
quisto che siano probabili ed attendibilmente determinabili alla data di passaggio agli IAS/IFRS.
L’IFRS 1 (sub par. 15 e appendice B) concede poi la possibilità che in sede di prima applicazione delle
regole IASB un’azienda adotti una esenzione che consiste nel non applicare retroattivamente le regole del-
l’IFRS 3 alle operazioni di business combinations avvenute prima della data di transizione agli IAS/IFRS.
Questa esenzione agli IAS/IFRS per un’azienda che presenta già in bilancio un avviamento per una opera-
zione di aggregazione aziendale compiuta in precedenza, implica che:
– il valore dell’avviamento non debba più essere rideterminato per eliminare gli ammortamenti stanziati
in base alle regole italiane (si ricorda che l’avviamento per il Codice Civile va sistematicamente am-
mortizzato, mentre per gli IAS/IAFRS va annualmente testato per verificare la permanenza di valore;
– il valore delle attività/passività acquisite a seguito dell’operazione possa essere mantenuto nello Stato
Patrimoniale della società acquirente così come era stato calcolato applicando le regole italiane, e non
riesprimendole al fair value che le stesse possedevano alla data della acquisizione.
Questa esenzione, molto applicata dalle società italiane che hanno adottato gli IAS/IFRS, semplifica deci-
samente le problematiche di calcolo evitando parte della ricostruzione retroattiva dei fair value delle attività
acquisite. Anche applicando l’esenzione, tuttavia, le differenze sopra segnalate sub 1 e 2 dovranno comun-
que essere operate.

126
La valorizzazione al fair value si applica anche nei casi di acquisizione di intan-
gibles a seguito di permuta (scambio in natura tra due beni non monetari) o di asse-
gnazione gratuita da parte di enti pubblici.

3.5.2. Il trattamento contabile successivo alla iscrizione in Stato Patrimonia-


le: ammortamenti, svalutazioni e rivalutazioni

Lo IAS 38 prevede due modelli alternativi di valutazione.


Il primo modello, più tradizionale e più in linea con la normativa italiana, prevede
una contabilizzazione al costo iniziale diminuito degli ammortamenti e delle eventuali
svalutazioni.
Il secondo modello (revaluation model) invece prevede che, dopo l’iniziale iscri-
zione al costo, l’immobilizzazione immateriale possa essere espressa al suo fair value
verificando ad ogni fine esercizio l’esigenza di procedere a rivalutazioni/svalutazioni
per adeguare il valore del bene al fair value. Ovviamente questo secondo modello pre-
suppone l’esistenza di un mercato attivo del bene in questione, ché altrimenti non si
potrebbe determinare un fair value e questa circostanza è abbastanza rara per le im-
mobilizzazioni immateriali, spesso così specifiche a livello aziendale da non trovare
paragoni in aziende diverse e quindi tali da poter far ritenere difficilmente esistente un
«mercato attivo». Il revaluation model previsto dallo IAS 38 per gli intangibles ri-
guarda anche le immobilizzazioni materiali, come previsto dallo IAS 16. Per cui rin-
viamo al capitolo successivo (par. 4.4.2.2) per una analisi degli aspetti tecnici della pro-
cedura.
È possibile usare modelli diversi a seconda della classe delle immobilizzazioni (p.
es. per tutti i brevetti è possibile usare il modello del costo ammortizzato, applicando
invece alle concessioni il modello del costo rivalutato).
Una volta stabilito il modello, come sopra definito, ai fini del trattamento contabile
successivo all’acquisizione, per lo IAS 38 è determinante stabilire se un intangible ha
vita utile definita oppure indefinita, intendendo con questa ultima espressione quei be-
ni per i quali non è prevedibile un termine della vita utile. Nei casi di beni immateriali
(brevetti, diritti di autore, ecc.) è molto probabile che la vita utile sia definita, in quan-
to tali risorse derivano dal riconoscimento giuridico di un diritto limitato nel tempo a
sfruttare in esclusiva i benefici economici derivanti dall’uso del bene. L’avviamento
invece è il tipico caso di intangible con vita utile indefinita, in quanto i benefici eco-
nomici derivanti dall’avere acquisito un’azienda ad un costo maggiore rispetto al valo-
re contabile del suo patrimonio netto, non è detto che deperiranno nel tempo. Anche i
marchi sono solitamente considerati come intangibile a vita indefinita.
Tale differenza è determinante in quanto nel caso di intangibles con vita utile defi-
nita, si dovrà procedere ad ammortamento. Per gli intangibles con vita utile indefinita
invece l’ammortamento non dovrà essere compiuto, ma si dovrà alla fine di ogni eser-
cizio compiere un impairment test, ossia esaminare se l’elemento in questione ha per-
so valore (anche non in modo durevole, come invece prescrive il legislatore italiano),
caso nel quale dovrà essere svalutato.

127
Per quanto riguarda gli elementi con vita utile definita, la procedura di ammorta-
mento si svolge secondo già descritto con riferimento alla normativa italiana:
1. l’ammortamento inizia nell’esercizio in cui il bene è disponibile per l’uso e termina
nell’esercizio in cui il bene è dismesso o è ritenuto essere disponibile per la vendi-
ta, perdendo quindi la sua qualifica di immobilizzazione;
2. il valore da ammortizzare è dato dal costo iniziale aumentato delle migliorie e delle
eventuali rivalutazioni (apportate nel caso in cui si applichi il revaluation model) e
diminuito delle eventuali svalutazioni e del valore di realizzo alla fine della vita
utile (solitamente ipotizzato pari a zero, a meno che non sia dimostrabile l’impegno
di un terzo ad acquisire il cespite e l’esistenza di un mercato attivo);
3. la vita utile è determinata tenendo conto tanto dei fattori tecnici, quanto di quelli
economici (comportamento dei concorrenti, scenario di mercato, ecc.);
4. il criterio di ammortamento è da scegliere in funzione del modo specifico con il
quale il bene perde utilità. In mancanza di indicazioni specifiche, il metodo a quote
costanti è comunque ritenuto preferibile.
Il criterio di ammortamento e la vita utile dovranno esser riconsiderati ad ogni fine
esercizio, e modificati se se ne avverte la necessità.
Per gli elementi con vita utile indefinita, si dovrà compiere l’impairment test secondo
quanto previsto dallo IAS 36 perlomeno annualmente (ed in ogni caso, ogni qual volta
sorgono sospetti circa una riduzione di valore), per una cui disamina tecnica si rinvia
al capitolo successivo, visto che la procedure è applicabile anche alle immobilizzazio-
ni materiali. Non si procederà invece ad ammortamento.
L’impairment test potrebbe compiersi anche per i beni con vita utile definita: Esso
però non sarà sistematico ad ogni fine esercizio, come accade per i beni con vita utile
indefinita, ma solo se e quando sussistono indizi circa una perdita del loro valore. Tale
test dovrà essere applicato anche agli intangibles in corso di sviluppo.
L’eliminazione dell’ammortamento per gli elementi con vita utile indefinita, se da
una parte presenta una giustificazione teorica legata allo scarso legame tra decorso del
tempo fisico e perdita di valore dell’elemento, dall’altra viene incontro anche ad esi-
genze «politiche», nel momento in cui si permette ad aziende con cospicui avviamenti
derivanti da costose politiche di aggregazione di non stanziare a Conto Economico al-
trettanti gravosi «ammortamenti». Questa modifica, se da una parte introduce una inte-
ressante novità teoricamente stimolante, dall’altra riduce la pretesa degli IAS di funge-
re da principi in grado di ridurre la discrezionalità degli amministratori.
La presenza del revaluation model e della classe degli elementi con vita utile inde-
finita allo stato attuale rappresentano due notevoli differenze con la normativa italiana.

3.5.3. Le informazioni nelle note


Numerosi sono gli elementi che secondo lo IAS 38 devono essere esposti nelle no-
te. Tra i molti previsti ci piace ricordare:
– l’appartenenza alla classe degli elementi con vita indefinita o con vita definita (ca-
so in cui si dovrà esporre anche la vita utile o i tassi di ammortamento usati);

128
– il movimento delle immobilizzazioni, specificando le diverse cause di variazione,
conformemente a quanto già richiesto dalla normativa italiana;
– i cambiamenti di stima contabile quali variazioni della vita utile, del metodo di am-
mortamento;
– il metodo di ammortamento usato;
– i dettagli circa le modalità di attuazione del revaluation model e delle modalità di
accertamento del valore degli elementi aventi vita utile indefinita;
– l’ammontare dei costi di ricerca imputati a Conto Economico.

3.5.4. La concessione di pubblici servizi (IFRIC 12)


Un caso particolare di immobilizzazioni immateriali nei bilanci redatti secondo gli
IFRS è da ascriversi all’IFRIC 12 (Service Concession Arrangements). Tale principio
disciplina la contabilizzazione delle concessioni di pubblico servizio, ossia contratti che
hanno solitamente per oggetto la costruzione o la semplice manutenzione di infrastrut-
ture destinate a pubblici servizi e la gestione del servizio stesso affidato in concessione
a privati.
L’ente pubblico figura come concedente, mentre un soggetto privato si occuperà di
costruire e mantenere il bene e gestire il servizio che poggia sull’utilizzo dello specifico
bene (un ponte, una strada, un parcheggio, ecc.) da parte dell’utenza. La finalità consi-
ste nel coinvolgere risorse private a partecipare alla spesa necessaria per sviluppare delle
strutture fondamentali per la crescita spesso di intere Nazioni, tanto che per far rientra-
re l’operazione nell’ambito dell’IFRIC, 12 è rilevante determinare se l’investimento in
sostanza è a carico dell’operatore e non del concedente.
L’accordo di servizio solitamente implica per l’operatore privato l’assunzione di re-
sponsabilità in quanto gestore di pubblico servizio e tali profili sono regolati in un con-
tratto che stabilisce le modalità di determinazione del compenso dell’operatore privato –
gestore del servizio, le penali per disservizi, le modalità di gestione dell’infrastruttura
(obblighi manutenzione, ecc.).
Al termine del periodo di concessione, il concessionario dovrà restituire al conce-
dente il bene in perfetto stato di funzionamento. Siamo dunque nell’ambito di quegli
elementi che in Italia sono noti come beni gratuitamente devolvibili, con la specifica del
loro impiego ai fini di pubblico servizio.
L’IFRIC 12 dispone le regole circa le modalità con le quali l’operatore dovrà con-
tabilizzare il contratto di concessione di servizio in quei contratti ove:
– il concedente controlla o regola quali servizi l’operatore deve fornire usando l’in-
frastruttura, a chi fornirli e a quali prezzi;
– il concedente dispone dell’infrastruttura al termine dell’accordo.
L’IFRIC peraltro precisa che le regole valgono anche per quei casi in cui il contrat-
to si estende per l’intera vita utile del bene.
L’ambito applicativo si estende anche alle infrastrutture necessarie per fornire il
servizio che l’operatore costruisce o acquista da terzi o che, se già esistenti, il conceden-
te affida all’operatore.

129
Non si dispone niente invece con riferimento alle questioni contabili del conceden-
te, come pure si fa rinvio allo IAS 16 per quanto riguarda il trattamento contabile di
eventuali infrastrutture già di proprietà dell’operatore prima che sia stipulato il con-
tratto di servizio.
Per le regole circa l’informativa da fornire in bilancio si fa esplicito rinvio al già
emanato SIC 29 Service Concession Arrangements: Disclosures.
Contabilizzazione della costruzione o della ristrutturazione del bene
L’operatore non deve rilevare il bene come una sua immobilizzazione materiale in
quanto non la controlla ma ne può disporre solo per prestare il servizio definito dal
concedente e nei limiti stabiliti con l’accordo. Dunque l’operatore è un semplice forni-
tore di servizio che rileverà i ricavi derivanti dalla gestione del servizio. Solo nel caso
in cui il concedente dia all’operatore degli elementi accessori con la facoltà di dispor-
ne secondo la sua volontà, allora si dovrà contabilizzare una immobilizzazione mate-
riale di proprietà, soggetta alle regole dello IAS 16.
Qualora sia incaricato della costruzione del bene, per il riconoscimento dei costi e
dei ricavi riferiti alla costruzione, l’operatore dovrà osservare le regole stabilite dallo
IAS 11 (Construction contracts) finché la costruzione non è terminata.
L’operatore concessionario contabilizzerà i suoi diritti derivanti dalla costruzione o
dalla ristrutturazione del bene come attività finanziaria o come attività immateriale.
Si tratterà di una attività finanziaria se il concedente per il servizio di costruzione è
obbligato a pagare denaro o altre attività finanziarie senza possibilità di evitare il pa-
gamento. Se altrimenti il concessionario avrà il diritto di far pagare gli utenti del ser-
vizio, l’operatore rileverà nel proprio bilancio un intangible asset. Nei casi di paga-
mento misti (in parte tramite denaro ricevuto dal concedente, in parte tramite paga-
mento richiesto agli utenti), si dovranno contabilizzare distintamente le due componenti
rilevandole al loro fair value. Si deve far riferimento ai termini contrattuali per stabili-
re le modalità di pagamento della costruzione.
Nel caso sia contabilizzata una attività finanziaria, si applicheranno gli IAS 32 e 39
e l’IFRS 7 e l’attività sarà classificata nella categoria «crediti e prestiti» oppure nella
categoria (residuale) di «attività finanziarie disponibili per la vendita»; in entrambi que-
sti casi l’interesse che matura sull’attività finanziaria sarà calcolato usando il metodo
dell’interesse effettivo. Come tutte le attività finanziarie per le quali è determinabile un
fair value fin dalla contabilizzazione iniziale, sarà possibile considerarla nella classe va-
lutate al fair value con invio delle variazioni a Conto Economico.
Qualora sia contabilizzato un intangible asset, si applicherà lo IAS 38.
Contabilizzazione dei servizi operativi
L’operatore dovrà rilevare i costi e i ricavi derivanti dai servizi operativi secondo
lo IAS 18. In particolare, i possibili obblighi in capo all’operatore di manutenzione del
bene in efficienza o ripristino della sua funzionalità possono comportare l’accensione
di fondi spese a norma dello IAS 37, cercando, alla data di redazione del bilancio, di
stimare al meglio i costi da sostenere.
Eventuali costi di finanziamento riferiti al contratto dovranno essere spesati a meno

130
che si riferiscano all’intangible asset sopra menzionato, caso nel quale dovranno esse-
re capitalizzati per il periodo di costruzione, come richiesto dallo IAS 23.
Gli esempi proposti
Opportunamente, l’IFRIC 12 fornisce in Appendice alcuni esempi di contabilizza-
zione.
Il primo caso illustra la contabilizzazione di un accordo che origina un’attività fi-
nanziaria, in quanto il concedente si impegna a pagare somme determinate quale com-
penso dell’attività dell’operatore. In particolare, il contratto dalla durata di dieci anni
prevede che l’operatore si impegna a costruire il bene (un’infrastruttura) nei primi due
anni, sostenendo un costo di 500 per ciascuno dei due anni. Per stabilire i ricavi spet-
tanti a ciascun anno si deve determinare il fair value delle prestazioni eseguite. Per la
determinazione del fair value l’IFRIC 12 suppone di applicare il metodo del cost plus
ipotizzando un ricarico sul costo di costruzione del 5%, tale da determinare un ricavo
per ciascuno dei primi due anni di 525. A partire dal terzo anno e fino al decimo, si
svolge la fornitura del servizio che comporta per l’operatore un costo di 10 l’anno, con
fair value del mark up del 20% (e quindi con ricavo 12). Dal terzo anno fino al decimo
vi saranno anche i pagamenti che il concedente si è impegnato ad erogare all’operato-
re, pari a 200 l’anno.
Nell’ottavo anno, si deve rilevare anche il sostenimento di una spesa di manuten-
zione di 100 con fair value del mark up del 10%. Sommando il fair value del servizio
con quello della manutenzione, il ricavo dell’ottavo anno (valutato al fair value) è di
122 (110 + 12). A questo punto si deve stabilire il tasso di interesse effettivo che sarà
necessario per valutare l’attività finanziaria da iscrivere in bilancio. Esso deriva dal-
l’applicazione del TIR sul profilo dei flussi mostrato nell’ultima colonna, che presenta
per ciascun anno di durata del contratto la differenza tra il fair value del ricavo (che
sarebbe in realtà il fair value della spesa sostenuta, ottenendo aggiungendo ad essa il
mark up) e l’entrata di denaro ricevuta dal concedente. Si ottiene così un tasso del
6,18% su base annua.

Tavola 1. – Profilo dei flussi di cassa e dei fair value

Fair value Cash in –


Anno Cash-Out Cash-In Net Cash Flow
costi Fair value costi

01 – 500 – 500 525 – 525


02 – 500 – 500 525 – 525
03 – 10 200 190 12 188
04 – 10 200 190 12 188
05 – 10 200 190 12 188
06 – 10 200 190 12 188
07 – 10 200 190 12 188
08 – 110 200 90 122 78
(segue)

131
09 – 10 200 190 12 188
10 – 10 200 190 12 188
Totale – 1.180 1.600 420 1.256

TIR 6,18%

Ipotizzando che i flussi di cassa sorgano al termine del periodo, alla fine del primo
anno l’importo dell’attività da iscrivere nello Stato Patrimoniale dell’operatore sarà di
525, pari al fair value dei pagamenti dovuti. Al termine del secondo anno si applicherà
al fair value dei ricavi (525) del primo anno il tasso sopra calcolato (6,18%), ottenen-
do un interesse di 32 a cui si aggiungerà il fair value maturato nel secondo anno per
ottenere il totale di 1.082 (525 + 525 + 32). Nel terzo anno si devono calcolare gli in-
teressi su 1.082 al 6,18%, ottenendo un interesse di competenza di 67. Nel terzo anno
però si sostengono costi con fair value di 12 che vanno ad aumentare il credito ma si
inizia anche ad incassare dal concedente la prima rata di 200. Il valore del credito a
quel punto sarà di (1.082 + 67 + 12 – 200) 961.
Così procedendo si ottiene la seguente tabella, dove l’ultima colonna evidenzia il
credito finale da mostrare nello Stato Patrimoniale dell’operatore.

Tavola 2. – L’evoluzione del valore del credito

[3]
[1] [2] [5]
Interessi su credito [4]
Anno Credito Credito maturato Credito finale =
anno precedente Rimborsi
iniziale nell’anno [1] + [2] + [3] – [4]
= [1] × 6,18%
01 000.0 525 000 000.0 0.525
02 0.525 525 032 000.0 1.082
03 1.082 0.12 067 0.200 0.961
04 0.961 0.12 059 0200 0.832
05 0.832 0.12 051 0200 0.695
06 0.696 0.012 043 0200 0.551
07 0.551 00.12 034 0200 0.397
08 0.397 0.122 025 0200 0.343
09 0.343 0.012 021 0200 0.176
10 0.176 0.012 011 0200 000001 8
Totale 1.256 344 1.600

8
Avendo approssimato i decimali derivanti dal TIR, nell’ultima cella non si raggiunge perfettamente zero.
Avremmo ottenuto zero se avessimo usato nei calcoli il tasso di 6,179237%.

132
Il Conto Economico dell’operatore, limitatamente al rapporto con il concedente,
mostrerà i seguenti dati:

Tavola 3. – L’andamento del margine reddituale

Anno Ricavi operativi Costi operativi Interessi attivi Margine

01 0.525 – 500 000 025


02 0.525 – 500 032 057
03 00.12 – 10 067 069
04 00.12 – 10 059 061
05 00.12 – 10 051 053
06 00.12 – 10 043 045
07 00.12 – 10 034 036
08 0.122 – 110 025 037
09 00.12 – 10 021 023
10 00.12 – 10 011 013

Totale 1.256 – 1.180 344 0420

Alla fine il margine reddituale coincide con il net cash flow (vedasi quarta colonna
della tavola 1).
Il secondo caso riguarda un contratto in base al quale l’operatore applica pedaggi
agli utenti del bene, diversamente dall’esempio precedente nel quale il concedente ga-
rantiva dei pagamenti. I dati sostanzialmente sono gli stessi. Costi di costruzione del
bene nei primi due anni pari a 500 l’anno e costi operativi di gestione del bene pari a
10 l’anno. I pedaggi sono conseguiti a partire dal terzo anno e fino al decimo nella mi-
sura di 200 l’anno. Nei primi due anni, per la costruzione del bene si sostengono inol-
tre costi per interessi sul finanziamento di 34. Il fair value del bene costruito nei primi
due anni è dato dal costo aumentato del 5% quale ricarico.
Tenuto conto di questi dati e del fatto che l’IFRIC 12 dispone che si debba rilevare
un intangible asset quando l’operatore tragga ricavi dagli utenti del servizio, per prima
cosa si deve calcolare il valore dell’intangible. Per i primi due anni di costruzione
l’IFRIC 12 chiede di applicare lo IAS 11, secondo il quale l’opera è valutato al fair
value dei corrispettivi (500 + 500 + ricarico del 5%, per un totale di 1.050). Come so-
pra esaminato sub 2.2, l’operatore deve poi capitalizzare anche gli interessi passivi so-
stenuti per la costruzione (34), per cui il valore dell’opera sviluppata all’inizio del ter-
zo anno è di 1.084. Tale posta dell’attivo sarà poi valutata secondo le regole dello IAS
38, che consentono l’applicazione o del cost model o del revaluation model. Nell’ipo-
tesi di adozione del cost model, si procederà quindi ad ammortamento dell’intangible
lungo i restanti 8 anni di vita del contratto in misura costante, ottenendo una quota di
135,5 (1.084/8).

133
Per l’ottavo anno si può prevedere fin dalla stipula del contratto che si dovrà soste-
nere un costo di manutenzione connesso all’uso del bene. La quota di accantonamento
stimata nell’ottavo anno in relazione all’usura derivante dal servizio prestato è 17 e si
ipotizza che ogni anno si verifichi la stessa usura. Per cui per ciascuno degli anni pre-
cedenti si dovrà considerare la quota di 17, di volta in volta attualizzata per considera-
re il decorso del tempo. Il tasso di mercato al quale attualizzare la somma dovuta per
la manutenzione (come previsto dallo IAS 37) è del 6%.
Attualizzando l’importo di 17 (approssimando qualche decimale) al tasso del 6%, si
ottengono per ogni anno le quote mostrate nella seconda riga della tabella successiva.
Quindi, partendo dal quarto anno, si deve calcolare l’interesse sul fondo esistente all’ini-
zio del periodo (12) e considerare tale costo come interesse passivo (terza riga). Proce-
dendo così fino all’ottavo anno, si può determinare l’importo dei costi inviati a Conto
Economico (somma di accantonamento + interesse passivo), mostrato nella quarta riga.
La riga finale evidenzia la consistenza del fondo al termine del periodo, ottenuta cumu-
lando i costi inviati a Conto Economico dell’esercizio e degli esercizi precedenti.

Anno 3 4 5 6 7 8 Totale

Acc.to al fondo 12 13 14 15 16 017 087


Interesse 00 01 01 02 04 005 013
Totale costi a C.E. 12 14 15 17 20 022 100
Fondo a S.P. 12 26 41 58 78 100

Sarà quindi possibile, limitatamente al contratto, determinare il Conto Economico


dell’operatore limitatamente al contratto considerato.

Anno 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Totale

Ricavi 525 525 200 200 200 200 200 200 200 200 2.650
Costi operativi 500 500 010, 010,0 10, 0100 0100 00100 00100 0010,0 1.080
Ammortamenti 135,5 135,5 135,5 135,5 135,5 135,5 135,5 135,5 1.084
Manutenzione 12, 14, 0 15,0 170 0200 220 0.100
Margine 025 025 042,5 040,5 039,5 037,5 034,5 032,5 054,5 054,5 0386

La disclosure richiesta dal SIC 29


Nel maggio 2001 era stata emanata l’Interpretazione n. 29 dell’allora esistente Stan-
ding Interpretation Committee (ora sostituito dall’IFRIC), oggi ancora valida, che è
stata poi approvata con Regolamento n. 1725/2003 dell’Unione Europea. Tale interpre-
tazione disciplina l’informativa di corredo da fornire in bilancio circa gli Accordi per
servizi in concessione. In sostanza tale documento richiede che nelle Note del bilancio
siano riportate le seguenti informazioni:

134
a) una descrizione dell’accordo;
b) le condizioni dell’accordo che, data la loro significatività, potrebbero influenzare
l’importo, la tempistica e la certezza dei flussi finanziari futuri (per esempio, il pe-
riodo della concessione, le date di rideterminazione del prezzo e le condizioni base
su cui i nuovi calcoli del prezzo e della negoziazione sono determinati);
c) la natura e la portata (per esempio, la quantità, il periodo temporale o l’importo
quando appropriato) di:
(i) i diritti a usare determinate attività;
(ii) le obbligazioni contratte per la fornitura o i diritti di richiesta di fornitura di
servizi;
(iii) le obbligazioni ad acquisire o costruire elementi di immobili, impianti e mac-
chinari;
(iv) le obbligazioni a consegnare o i diritti a ricevere determinate attività a conclu-
sione del periodo di concessione;
(v) le opzioni di rinnovo e di chiusura anticipata dell’accordo;
(vi) altri diritti e obbligazioni (per esempio, importanti costi di revisione); e
d) i cambiamenti dell’accordo avvenuti nel corso del periodo.
L’informativa richiesta deve essere fornita individualmente per ciascun accordo di
concessione del servizio o insieme per ciascuna classe di accordi di concessione di
servizi, dove per «classe» si intende un gruppo di accordi di servizi in concessione che
comprendono servizi di natura similare (per esempio, riscossione di pedaggi, servizi di
telecomunicazioni e depurazione dell’acqua).

135
136
4

Le immobilizzazioni materiali

SOMMARIO: 4.1. Contenuto e definizioni. – 4.1.1. La problematica dei beni in leasing. – 4.2. Aspetti
generali di valutazione. – 4.2.1. Il valore originario. – 4.2.2. Gli incrementi successivi del valore:
le capitalizzazioni delle migliorie e le rivalutazioni. – 4.2.3. I decrementi successivi del valore: a)
il processo di ammortamento. – 4.2.4. I decrementi successivi del valore: b) le svalutazioni. – 4.3. In-
formazioni in Nota Integrativa. – 4.4. Le regole IASB. – 4.4.1. Il leasing. – 4.4.2. Le immobilizza-
zioni materiali. – 4.4.2.1. Iscrizione iniziale e migliorie successive. – 4.4.2.2. Il trattamento conta-
bile successivo: ammortamenti e rivalutazioni. – 4.4.2.3. Il trattamento contabile successivo: la sva-
lutazione (procedura di impairment). – 4.4.3. Gli investimenti immobiliari. – 4.4.4. I beni stru-
mentali destinati alla vendita.

4.1. Contenuto e definizioni


Il contenuto della classe B.II dell’attivo patrimoniale è il seguente:
1. terreni e fabbricati;
2. impianti e macchinari;
3. attrezzature industriali e commerciali;
4. altri beni;
5. immobilizzazioni in corso e acconti.
In termini generali, le caratteristiche delle immobilizzazioni materiali sono simili a
quanto già esaminato per le immobilizzazioni immateriali: destinazione ad uso durevole,
utilità pluriennale, ammortamento quale processo di ripartizione del costo di acquisi-
zione per attribuire all’esercizio in corso la quota esprimente l’utilizzo di tali beni,
modalità di realizzo indiretto dell’investimento. Solo che, a differenza delle immate-
riali, in questo caso è necessaria la sussistenza fisica del bene.
Sugli aspetti di classificazione, l’OIC 16 ribadisce la regola generale civilistica (art.
2424 bis) che le immobilizzazioni materiali sono tali considerando la destinazione dei
beni e non la loro natura. Per cui, ad esempio, un immobile destinato alla rivendita e pri-
ma inserito in bilancio tra le immobilizzazioni materiali deve essere incluso in un’ap-
posita voce dell’attivo circolante preceduta da numero romano, ai sensi dell’art. 2423
ter, 3° comma, con conseguente cambiamento dei criteri di valutazione. Infatti esso non
andrà più ammortizzato ma valutato, al pari delle rimanenze di magazzino, al minore

137
tra valore netto contabile e valore di realizzo diretto. In merito, l’OIC 16, molto oppor-
tunamente, precisa anche che:
 le immobilizzazioni sono vendibili alle loro condizioni attuali o non richiedono
modifiche tali da differirne l’alienazione;
 la vendita appare altamente probabile alla luce delle iniziative intraprese, del prez-
zo previsto e delle condizioni di mercato;
 l’operazione dovrebbe concludersi nel breve termine.
La disciplina in tema di valutazione dal bilancio dei cespiti destinati alla vendita si
applica anche ai cespiti obsoleti e in generale ai cespiti che non saranno più utilizzati o
utilizzabili nel ciclo produttivo. Tali beni sono infatti valutati al minore tra il valore
netto contabile e il valore recuperabile, oltre a non essere più oggetto di ammortamento.
Sulla classificazione delle voci in bilancio, l’OIC 16 fornisce un dettaglio ulteriore
della classificazione civilistica sopra citata:
 la voce terreni e fabbricati è articolata in terreni, fabbricati industriali, fabbricati
destinati ad altri scopi (investimenti accessori, abitazioni per il personale, ecc.), co-
struzioni leggere;
 la voce impianti e macchinario è suddivisa in impianti generici, impianti specifici,
altri impianti, macchinario (automatico e non);
 la voce attrezzature industriali e commerciali è ripartita in attrezzature, tra cui i ri-
cambi, e in attrezzature varie, tra cui figurano gli utensili 1;
 la voce altri beni è suddivisa in mobili, macchine d’ufficio, automezzi, imballaggi
durevoli, beni gratuitamente devolvibili;
 la voce immobilizzazioni in corso e acconti in immobilizzazioni in corso di costru-
zione e in anticipi a fornitori per acquisizione di immobilizzazioni materiali. Gli
acconti sono da iscriversi quando sorge l’obbligo al pagamento di tali importi. Le
immobilizzazioni in corso rimangono iscritte come tali fino alla data in cui il bene
può essere utilizzato; a tale data l’immobilizzazione materiale è riclassificata nella
specifica voce dell’attivo;
 i fondi ammortamento e i fondi svalutazione sono iscritti in diretta detrazione di ogni
singola voce a cui si riferiscono ritenendo più «pesante» in termini di chiarezza la di-
stinta esposizione del costo del cespite, dell’ammontare del fondo e del valore netto.
Nel Conto Economico le voci relative alle immobilizzazioni materiali consistono ne:
 gli ammortamenti, inclusi nella voce B.10.b) dello schema civilistico;

1 L’OIC 16 precisa che l’inserimento dei pezzi di ricambio tra le immobilizzazioni deve avvenire solo
per ricambi di rilevante costo unitario e di uso non ricorrente i quali andranno ammortizzati nel minore
periodo tra la loro vita utile e la vita utile del cespite a cui si riferiscono, mentre quelli di uso ricorrente e
alto costo unitario devono essere inclusi entro le rimanenze di magazzino tra i materiali di consumo. Al con-
trario, i pezzi di ricambio con basso costo unitario, basso valore totale e uso ricorrente non devono essere
capitalizzati bensì considerati solo tra i costi di acquisto a Conto Economico, per semplificare le rileva-
zioni delle loro movimentazioni.

138
 le svalutazioni, derivanti da perdite durevoli (più avanti commentate), nella voce
B.10.c);
 le capitalizzazioni, nel caso di eventuali costruzioni interne, da includersi tra i rica-
vi nella voce A.4;
 le plus(minus)valenze da alienazione, da iscriversi nel Conto Economico nella voce
A.5 (se plusvalenze) o B.14 (se minusvalenze).
Si tenga presente che l’applicazione del postulato della irrilevanza informativa (art.
2423, 4° comma, c.c.), di cui al capitolo 1, può implicare effetti per le immobilizza-
zioni materiali. Esempi di attuazione del principio generale della rilevanza sono rappre-
sentati dall’iscrizione in bilancio ad un valore costante delle attrezzature industriali e
commerciali, qualora siano costantemente rinnovate e complessivamente di scarsa ri-
levanza rispetto all’attivo di bilancio e quando non si hanno variazioni sensibili nell’en-
tità, valore e composizione di tali immobilizzazioni materiali. L’OIC prevede che in
tal caso l’acquisto iniziale resta a Stato Patrimoniale senza doverlo ammortizzare, men-
tre gli acquisti successivi sono inviati direttamente come costi a Conto Economico.
Altro esempio è costituito dall’utilizzo ai fini dell’ammortamento della metà del-
l’aliquota normale per i cespiti acquistati nell’anno, se la quota d’ammortamento così
ottenuta non si discosta significativamente dalla quota calcolata a partire dal momento
in cui il cespite è disponibile e pronto per l’uso.

4.1.1. La problematica dei beni in leasing


Una questione annosa nel nostro Paese ha riguardato la liceità dell’iscrizione nello
Stato Patrimoniale dei beni acquisiti in leasing finanziario. L’art. 2424 c.c., al punto B
dell’attivo patrimoniale prevede che siano separatamente indicati i beni «concessi in
locazione finanziaria» lasciando quindi intendere che tali beni restano iscritti nello Stato
Patrimoniale del locatore. Tale norma quindi vieta l’iscrizione dei beni in leasing nello
Stato Patrimoniale del locatario, perlomeno fin quando non è avvenuto il riscatto. In
linea con il Codice Civile, l’OIC 16 ritiene che il passaggio a titolo di proprietà, rite-
nuto espressivo del passaggio dei rischi e dei benefici connessi all’utilizzo, sia elemento
necessario per l’inclusione di un bene tra le immobilizzazioni materiali. Va peraltro det-
to come l’OIC ha sempre ricordato che sul tema dei beni in leasing sarebbe stato neces-
sario un principio specifico, in quanto in tal caso l’aspetto giuridico-formale dell’ope-
razione è ben diverso dalla sostanza economica. In fin dei conti l’uso, la controllabilità
della risorsa, il suo sfruttamento ai fini economici, ed il conseguente passaggio dei ri-
schi, fanno capo al locatario, non al locatore, che funge in sostanza solo da finanziato-
re dell’operazione. Se poi si prevede usualmente che verrà esercitato il riscatto, si può
a ben ragione pensare che l’iscrizione del bene nello Stato Patrimoniale del locatario
sia più rispondente alla realtà economica. Applicando il principio della sostanza sulla
forma giuridica delle operazioni, una rappresentazione chiara, veritiera e corretta im-
porrebbe di contabilizzare i beni ricevuti in leasing, con il metodo «finanziario», in base
al quale il bene in leasing viene iscritto nello Stato Patrimoniale dell’azienda locataria
a fronte di un debito di finanziamento verso la società di leasing. Il pagamento dei ca-
noni verrebbe contabilizzato come rimborso per quote di tale debito inclusivo di inte-

139
ressi, mentre il bene verrebbe regolarmente ammortizzato. Questo è in sostanza il trat-
tamento previsto dallo IAS 17 (esemplificato nel box seguente).
Nel bilancio civilistico finora si deve applicare invece il metodo «patrimoniale»,
ossia il criterio secondo il quale il bene in leasing rimane iscritto nello Stato Patrimo-
niale della società di leasing (locatore) ed il locatario registra soltanto i canoni perio-
dici nel suo Conto Economico 2. Anche a seguito della riforma del diritto societario
(D.Lgs. n. 6/2003), sebbene la contabilizzazione del leasing risultasse uno dei punti
sui quali il Parlamento aveva delegato il Governo a modificare il quadro esistente del-
le regole, non vi è stata l’apertura attesa alla possibilità di iscrivere direttamente i beni
in leasing nello Stato Patrimoniale del locatario, tra le immobilizzazioni. Con il Decre-
to in parola si è preferito adottare una soluzione dai più definita come «graduale», nel
senso che, pur non consentendo tale iscrizione, impone di specificare nella Nota Inte-
grativa un prospetto dal quale risultino tutte le informazioni necessarie per consentire
ad un’analista esterno una rielaborazione atta a contabilizzare i beni secondo il criterio
finanziario.

BOX 14 – La contabilizzazione del leasing finanziario secondo lo IAS 17


La classificazione delle operazioni di leasing adottata nello IAS 17 si basa sull’attribuzione al locatore o
al locatario dei rischi e dei benefici derivanti dalla proprietà del bene locato. Un leasing è classificato come
finanziario se trasferisce, sostanzialmente, tutti i rischi e benefici connessi all’uso del bene, mentre, se ciò
non avviene, è classificato come leasing operativo. Per i leasing finanziari, si considera quindi l’effettiva so-
stanza dell’operazione, come forma di finanziamento per l’utilizzo di un bene, garantito dal mantenimento in
capo al concedente della proprietà del bene stesso sino al momento del suo eventuale riscatto da parte del
locatario, indipendentemente dal momento in cui avviene il trasferimento giuridico della proprietà.
Nel caso di leasing operativo si è di fronte ad un normale contratto di affitto dove i canoni sono regi-
strati come costo e, salvo casi particolari, non è possibile iscrivere il bene posseduto in locazione tra le atti-
vità. Se l’azienda possiede un bene in leasing finanziario acquisendone i benefici economici derivanti
dall’uso e sostenendo i rischi inerenti, lo IAS 17 (Accounting for leases) impone di rilevare il bene tra le
attività del locatario. Il valore da attribuirgli inizialmente è quello pari al valore di mercato del bene (o, se
minore, al valore attuale della somma delle rate da pagare), a fronte dell’iscrizione nel passivo di un debito
di finanziamento pari al valore attuale delle rate da pagare.
Il pagamento della rata sarà considerato composto di due parti: una quota come rimborso parziale del
debito complessivo, l’altra quota come pagamento dell’interesse sul debito, facendo in modo che per ogni
esercizio la quota interessi sia riconosciuta ad un tasso costante sul debito residuo. Ad ogni fine esercizio il
bene verrà invece ammortizzato. A tal fine, il tasso viene calcolato ricorrendo al metodo del TIR applicato
sul profilo dei flussi di cassa, ossia calcolando il tasso che rende equivalente il valore attuale dei flussi posi-
tivi e negativi di cassa. Si consideri il seguente esempio.

2 Nelle operazioni di leasing finanziario, sovente il locatario effettua dei pagamenti anticipati a titolo
di maxicanone iniziale. Il maxicanone iniziale ha l’obiettivo di ridurre l’importo finanziato. L’ammontare
relativo al maxicanone è rilevato tra i costi della produzione alla voce B8 «per godimento di beni terzi» in
contropartita dell’uscita finanziaria. In sede di chiusura dell’esercizio la parte di costo non di competenza
dell’esercizio è rinviata agli esercizi successivi mediante l’iscrizione di un risconto attivo. Nell’ipotesi di
riscatto anticipato del bene, l’ammontare del risconto attivo relativo al maxicanone è capitalizzato nel va-
lore del cespite; tale valore si aggiunge al costo storico del bene pari al valore di riscatto.

140
Un’azienda ottiene un impianto stipulando in data 1/1/2017 un leasing finanziario con le seguenti ca-
ratteristiche:
• valore normale bene 200.000, vita utile 5 anni;
• maxicanone 20.000 pagato in data 1/1/2017;
• 13 rate da 16.000 l’una, quadrimestrali a partire dall’1/2/2017;
• valore riscatto 3.000 da pagare in data 1/2/2021.
Prescindendo dall’IVA, la rilevazione iniziale consisterà per il locatario nella iscrizione in Stato Patri-
moniale del bene al suo fair value (200.000) a fronte di un immediato pagamento di 20.000 (maxicanone)
e della iscrizione di un debito finanziario per la differenza (180.000).

Impianto 200.000
Banca c/c 20.000
Debito finanziario 180.000

Il locatore al contrario rileverà un debito verso il fornitore di beni per 200.000 a fronte del credito ver-
so il locatario per 180.000 e di una entrata di denaro per 20.000.
Si presenta quindi il profilo dei flussi di cassa derivante dal pagamento delle rate e su tale si calcola il TIR.
Come esposto nella seguente tabella, il TIR è pari a 2,3182% (su base quadrimestrale). Sul debito residuo di
180.000 si applica quindi il tasso così determinato per calcolare la quota di interessi che sarà pagata con la
prima rata. Tale quota sarà pari a 4.173 (2,3182%  180.000). Al momento del pagamento della prima rata,
l’uscita di 16.000 sarà quindi scomposta nella quota interessi (4.173) e, per differenza (16.000 – 4.173), nella
quota di rimborso del capitale (11.827) che va a diminuire il debito residuo (180.000 – 11.827 = 168.173).
La rilevazione del pagamento della rata sarà pari a:

Interessi passivi 4.173


Debito finanziario 11.827
Banca c/c 16.000

Al pagamento della seconda rata, sul nuovo debito residuo di 168.173 si applica nuovamente il tasso
di 2,1382% per calcolare la quota di interessi sulla seconda rata e, per differenza con 16.000, la parte di
rimborso del debito. Così operando all’1/2/2021 il debito risulterà estinto, dopo aver pagato complessiva-
mente interessi per 31.000 e rimborsando il capitale di 180.000 (+ 20.000 pagati alla stipula del contrat-
to). Alla fine di ogni esercizio sul cespite dal valore iniziale di 200.000 si calcolano ammortamenti nella
misura del 20%, pari a quote annue di 40.000, tale da far diminuire gradualmente il valore residuo del
cespite a Stato Patrimoniale.

Int. Amm. Val.


Uscite Data Flusso Interessi Capitale Deb. res.
annui annuo resid.
20.000 1-17 180.000 180.000
16.000 2-17 – 16.000 4.173 – 11.827 168.173
16.000 6-17 – 16.000 3.899 – 12.101 156.071
16.000 10-17 – 16.000 3.618 – 12.382 143.689 11.689 40.000 160.000
16.000 2-18 – 16.000 3.331 – 12.669 131.020
(segue)

141
Int. Amm. Val.
Uscite Data Flusso Interessi Capitale Deb. res.
annui annuo resid.
16.000 6-18 – 16.000 3.037 – 12.963 118.058
16.000 10-18 – 16.000 2.737 – 13.263 104.794 9.105 40.000 120.000
16.000 2-19 – 16.000 2.429 – 13.571 91.224
16.000 6-19 – 16.000 2.115 – 13.885 77.338
16.000 10-19 – 16.000 1.793 – 14.207 63.131 6.337 40.000 80.000
16.000 2-20 – 16.000 1.464 – 14.536 48.595
16.000 6-20 – 16.000 1.127 – 14.873 33.721
16.000 10-20 – 16.000 782 – 15.218 18.503 3.372 40.000 40.000
16.000 2-21 – 16.000 429 – 15.571 2.932
3.000 2-21 – 3.000 68 – 2.932 0 497 40.000 0
Totale 31.000 – 180.000 31.000 200.000
231.000 TIR 2,318 %

Nell’esempio descritto la vita utile del bene coincide con la durata del contratto di leasing. Nei casi
(più frequenti) in cui la durata del contratto sia più breve della vita utile, dall’applicazione del metodo fi-
nanziario negli anni di vita del contratto deriva una minore incidenza sul risultato economico e sul patri-
monio netto rispetto al metodo patrimoniale, in quanto la quota di ammortamento riferita al bene si ripar-
tirà su un numero maggiore di anni.

Infine, per le aziende concedenti beni in leasing, l’art. 2424 come modificato dal
D.Lgs. n. 6/2003, impone l’indicazione separata delle immobilizzazioni concesse in
locazione finanziaria.
L’OIC 12 nell’Appendice A affronta la questione del leasing fornendo alcuni chia-
rimenti e interpretazioni circa le disposizioni civilistiche. Secondo l’OIC, il riferimen-
to che il Codice fa delle locazioni finanziarie, in relazione alle quali fornire l’informa-
zione integrativa al punto 22, riguarda essenzialmente i contratti per i quali è prevista
la clausola di riscatto e con la ragionevole certezza che tale opzione sia esercitata dal
locatore, mentre lo spettro di azione dello IAS 17 è più ampio, non richiedendo tale
requisito per l’applicazione del metodo finanziario.
Ai sensi dell’art. 2427, 1° comma, n. 22, c.c. la Nota Integrativa della società uti-
lizzatrice deve contenere un prospetto dal quale risulti:
– l’ammontare complessivo al quale i beni locati sarebbero stati iscritti alla data di
chiusura dell’esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni;
– gli ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati di competenza
dell’esercizio;
– il valore attuale delle rate di canone non scadute determinato utilizzando il tasso di
interesse effettivo del contratto di locazione finanziaria; e
– gli oneri finanziari di competenza dell’esercizio determinati sulla base del tasso di
interesse effettivo.

142
Con tale prospetto quindi si forniscono in sostanza tutti i dati sufficienti a svolgere
una riclassificazione extracontabile dei beni in leasing con il criterio finanziario.
Il Legislatore all’ultimo comma dell’art. 2425 bis c.c. affronta anche il tema del
lease-back. Con tale termine si definiscono quelle operazioni con le quali un’azienda
cede un cespite di proprietà per riacquisirlo contestualmente con un leasing finanzia-
rio. Tale operazione risponde alle esigenze finanziarie di ottenere un flusso di cassa im-
mediato dalla vendita del bene, da rimborsare gradualmente con il pagamento delle
rate del leasing, continuando ad utilizzare il bene ceduto. Nella sostanza l’azienda non
perde mai il possesso del bene, nonostante ne perda la proprietà.
Dalla vendita può derivare una plusvalenza che per il comma citato «sono ripartite
in funzione della durata del contratto di locazione», anziché essere imputate integral-
mente nell’esercizio in cui avviene la vendita come accade per le altre dismissioni di
beni strumentali. In questo modo si evita che il Conto Economico accolga nell’eserci-
zio della vendita l’intera eventuale plusvalenza della vendita. Essa andrà piuttosto ri-
scontata negli esercizi futuri, come fosse una riduzione del costo del leasing che si
manifesterà nel futuro.
Nel caso di conseguimento di una minusvalenza dalla vendita, invece, nel silenzio
del Codice Civile, l’OIC 12 dispone che essa deve essere imputata interamente all’e-
sercizio in cui avviene la vendita se essa è dovuta ad un minor valore di mercato rispetto
al valore contabile del bene. Se invece la minusvalenza deriva da un prezzo di vendita
ben più basso del reale valore di mercato del bene in quanto sarà compensata da mino-
ri quote di leasing da pagarsi in futuro, essa andrà ripartita lungo la durata del leasing,
al pari della sopra descritta eventuale plusvalenza. Esemplificando, se il bene ha valo-
re contabile di 100 e viene venduto a 80, dove il prezzo reale di mercato è 93, la minu-
svalenza complessiva di 20 (80-100) è scomposta in due quote: per 7 (100-93) sarà
imputata nell’esercizio di vendita, per 13 (93-80), sarà ripartita con la tecnica dei ri-
sconti attivi lungo gli esercizi di durata del leasing.

4.2. Aspetti generali di valutazione


Il criterio base consiste nella valutazione delle immobilizzazioni materiali al costo
diminuito del relativo ammortamento, con un limite posto «nel valore ricuperabile con
l’uso». Si rinvia a quanto discusso nel par. 3.2.4 circa la determinazione del valore re-
cuperabile secondo i principi contabili dell’OIC e la critica di fondo che riguarda la
logica di determinazione.
È opportuno trattare separatamente dei vari processi che conducono alla valutazio-
ne finale. Nell’ordine, sarà considerata la formazione del valore originario dei cespiti,
dei possibili incrementi e dei decrementi di valore a cui i beni sono soggetti.

4.2.1. Il valore originario

La regola generale è quella indicata all’art. 2426, n. 1, secondo la quale le immobi-

143
lizzazioni (di ogni tipo, materiali, immateriali e finanziarie) sono iscritte in bilancio al
costo di acquisto (comprensivo degli oneri accessori) o di produzione, nel quale sono
inseriti tutti i costi diretti, oltre a poter includere una quota di costi indiretti. Secondo il
Codice, tra i costi indiretti possono essere compresi anche gli oneri finanziari relativi
alla fabbricazione o all’acquisto dell’immobilizzazione.
L’OIC 16 fornisce utili interpretazioni di tale regola generale.
 Anzitutto si stabilisce che la contabilizzazione del cespite avviene a seguito del
trasferimento del titolo di proprietà; nei casi in cui non sia trasferita la piena proprietà
o siano poste particolari condizioni, la rilevazione avviene nel momento in cui sono
assunti sostanzialmente tutti i rischi connessi (ad esempio, il momento di rilevazione
iniziale delle immobilizzazioni acquisite con riserva di proprietà generalmente non
differisce da quello delle immobilizzazioni acquisite in piena proprietà). Le immobi-
lizzazioni materiali in corso di costruzione iscritte nella voce BII5 sono rilevate ini-
zialmente alla data in cui sono sostenuti i primi costi per la costruzione del cespite. Il
documento OIC specifica anche che «se, in virtù di specifiche clausole contrattuali,
non vi sia coincidenza tra la data in cui avviene il trasferimento dei rischi e dei bene-
fici e la data in cui viene trasferito il titolo di proprietà, prevale la data in cui è avvenu-
to il trasferimento dei rischi e dei benefici» e che comunque «nell’effettuare tale anali-
si occorre analizzare tutte le clausole contrattuali».
 Nel caso di acquisto di singoli beni da fornitori esterni, il valore originario è
espresso dal costo di acquisto al netto degli sconti commerciali (e degli sconti per cas-
sa se rilevanti) inclusivo di oneri accessori (tra cui l’eventuale IVA indetraibile, pur-
ché così sommata non comporti un valore complessivo eccedente il valore ricuperabile
con l’uso) d’acquisto e di tutti i costi sostenuti per portare il cespite nel luogo e nelle
condizioni necessarie perché costituisca bene duraturo per la società. Altre regole più
specifiche sono stabilite per modalità di acquisizione esterna più particolari, come nel
caso della permuta, della donazione o dell’acquisto di più immobilizzazioni cumulati-
vamente 3. Se l’acquisto avviene in valuta estera, il bene sarà iscritto in contabilità con-
vertendolo al cambio della data di acquisto.
 Per le costruzioni in economia, il costo deriva dalla somma di tutti gli oneri di-
retti di fabbricazione più una quota di costi generali industriali (determinata secondo le
indicazioni dell’OIC 13).
 Nei casi in cui l’immobilizzazione materiale è una unità economico-tecnica, cioè
un assieme di beni tra loro coordinati in una logica tecnico-produttiva (ad esempio,
una linea di produzione o uno stabilimento), il suo costo di acquisto o di produzione si
riferisce all’intera unità nel suo complesso; in tali casi occorre determinare i valori dei

3 Nel caso di permuta, si deve valutare se l’operazione ha natura di una compravendita (un macchina-
rio in cambio di un’autovettura) oppure dello scambio di un bene con altro similare (un macchinario in
cambio di un altro macchinario simile ma più adatto alle esigenze aziendali). Nel primo caso, il valore da
iscrivere in bilancio sarà dato dal valore di mercato del bene ricevuto in permuta, nel secondo caso si iscrive-
rà il bene ricevuto allo stesso valore del bene ceduto. Per le immobilizzazioni ricevute gratuitamente, la
contabilizzazione (da effettuare al momento del passaggio del titolo di proprietà) avverrà in base al pre-
sumibile valore di mercato, che rappresenterà un provento nella voce A.5 del Conto Economico.

144
singoli cespiti che la compongono per: (a) distinguere i cespiti soggetti ad ammorta-
mento da quelli che non lo sono, e (b) individuare la diversa durata della loro vita uti-
le. Il valore dei singoli cespiti è determinato in base ai prezzi di mercato, tenendo con-
to del loro stato. Se la somma dei valori attribuiti ai singoli cespiti eccede il costo del-
l’intera unità economico-tecnica, i singoli valori attribuiti sono proporzionalmente ridotti
per ragguagliarne l’ammontare complessivo al costo dell’intera unità. Ad esempio, se è
stato pagato un importo di 100 per acquisire due beni il cui valore di mercato è rispetti-
vamente di 80 e 40, si tratterà di attribuire al primo bene l’importo di 100 × 80/120 (cioè
67) ed al secondo l’importo di 100 × 40/120 (cioè 33). Se invece la somma dei valori
attribuiti ai singoli cespiti è inferiore al costo dell’intera unità, la differenza è portata
proporzionalmente in aumento dei valori di mercato dei singoli cespiti sempreché il va-
lore così risultante sia recuperabile.
Capitalizzazione di oneri finanziari
Sia nel caso dell’acquisto che della costruzione interna, si pone il problema su
come considerare gli oneri finanziari connessi alla acquisizione di una immobilizzazio-
ne 4. L’OIC 16 ritiene che tali costi possano essere capitalizzati purché:
1. la capitalizzazione degli oneri finanziari riguardi solo oneri effettivamente sostenu-
ti, oggettivamente determinabili, entro il limite del valore recuperabile del bene.
L’ammontare degli oneri finanziari capitalizzati durante un esercizio non può quin-
di eccedere l’ammontare degli oneri finanziari, al netto degli eventuali proventi fi-
nanziari derivanti dall’investimento temporaneo dei fondi presi a prestito, riferibili
alla realizzazione del bene e sostenuti con riferimento allo stesso esercizio;
2. nella misura in cui i fondi sono presi a prestito specificatamente per finanziare la
costruzione di un bene (c.d. finanziamento di scopo), e quindi costituiscono costi
direttamente imputabili al bene, l’ammontare degli oneri finanziari capitalizzabili
su quel bene deve essere determinato in base agli effettivi oneri finanziari sostenuti
per quel finanziamento durante l’esercizio, dedotto ogni provento finanziario deri-
vante dall’investimento temporaneo di quei fondi. Nella misura in cui si renda ne-
cessario utilizzare ulteriori fondi presi a prestito genericamente, l’ammontare degli
oneri finanziari maturati su tali fondi è capitalizzabile nei limiti della quota attri-
buibile alle immobilizzazioni in corso di costruzione. Tale ammontare è determina-
to applicando un tasso di capitalizzazione ai costi sostenuti corrispondente alla me-
dia ponderata degli oneri finanziari netti relativi ai finanziamenti in essere durante
l’esercizio, diversi dai finanziamenti ottenuti specificatamente allo scopo di acqui-
sire un bene che giustifica una capitalizzazione. Si rinvia al par. 4.4. per una esem-
plificazione numerica;
3. Sono capitalizzabili solo gli interessi maturati su beni che richiedono un periodo
di costruzione significativo. Per periodo di costruzione si intende il periodo che
va dal pagamento ai fornitori di beni e servizi relativi alla immobilizzazione ma-
teriale fino al momento in cui essa è pronta per l’uso, incluso il normale tempo di

4
Sono equiparati agli interessi passivi suddetti, con applicazione delle regole precedenti, le perdite su
cambi relative a finanziamenti in valuta a medio-lungo termine contratti per l’acquisizione del cespite.

145
montaggio e messa a punto. Infatti, se il periodo di costruzione si prolunga a cau-
sa di scioperi, inefficienze o altre cause estranee all’attività di costruzione, gli
oneri finanziari relativi al maggior tempo non sono capitalizzati, ma sono consi-
derati come costi del periodo in cui vengono sostenuti. La capitalizzazione degli
oneri finanziari è sospesa durante i periodi, non brevi, nei quali lo sviluppo del
bene è interrotto.
Contributi pubblici
In caso di percezione di contributi pubblici in conto impianti, l’OIC 16 prevede anzi-
tutto che il contributo sia rilevato nel momento in cui esiste una ragionevole certezza che
le condizioni previste per il suo riconoscimento e successiva erogazione siano soddisfat-
te. Quindi, il contributo deve essere portato a riduzione del costo del cespite 5, oppure, in
alternativa, sia considerato come un ricavo pluriennale da inviare nella voce A.5 del
Conto Economico, con vita utile pari a quella del cespite a cui si riferisce, da riscontarsi
ogni anno tramite risconti passivi. L’effetto netto a Conto Economico di queste due al-
ternative è esattamente lo stesso: minori quote di ammortamento nel primo caso; nel se-
condo caso, maggiori quote di ammortamento del cespite bilanciate in parte da ricavi per
le quote di competenza del contributo. Quindi, se per l’acquisto di un cespite di 1.000
con vita utile di dieci anni si riceve un contributo di 200, l’azienda può scegliere se con-
tabilizzare il contributo a riduzione del costo del cespite (1.000 – 200 = 800), con conse-
guenti quote di ammortamento di 80 (800:10), oppure se lasciare il cespite al costo e ri-
levare ogni anno quote di ammortamento di 100, fronteggiate però dal ricavo di 20, dato
dal frazionamento del contributo (200:10) tramite la tecnica del risconto passivo. L’ef-
fetto a Conto Economico è identico: 80 in ogni caso.

4.2.2. Gli incrementi successivi del valore: le capitalizzazioni delle migliorie e


le rivalutazioni

Dopo l’acquisizione una immobilizzazione materiale può aumentare a seguito di tre


fenomeni:
 migliorie, cioè lavori di manutenzione che accrescano la capacità produttiva, la vita
utile o la sicurezza del cespite. Non si ammette quindi la capitalizzazione delle spe-
se di manutenzione volte soltanto a mantenere il bene in efficienza; queste andran-

5 I contributi in conto impianti sono portati a riduzione, diretta o indiretta, del costo in quanto:
 sono riferiti e commisurati al costo dei cespiti e come tali partecipano direttamente o indirettamente
alla formazione del risultato dell’esercizio secondo il criterio della competenza;
 sono concessi per sviluppare investimenti in aree aventi difficoltà operative, che in genere perdura-
no nel tempo; restano legati alla società per più di un esercizio; le difficoltà operative si concretizzano in
tale periodo di tempo in aggravi di costi a cui si contrappongono minori ammortamenti;
 non costituiscono un contributo concesso ai soci; il beneficio del contributo deriverà ai soci dal-
l’attività operativa della società, la quale sarà gravata da un minor addebito di ammortamenti al Conto
Economico. Pertanto, non sono rilevati direttamente a patrimonio netto.

146
no pertanto considerate come costi a carico dell’esercizio di sostenimento. La mi-
glioria comporterà contabilmente una capitalizzazione di costi da inserire in Conto
Economico nella voce A.4, a fronte dell’incremento del valore della immobilizza-
zione oggetto di miglioria;
 sostituzione di parti logorate con parti nuove, che rappresenta un caso particolare
della miglioria ed è esemplificato nel box seguente;
 rivalutazioni, solo se consentite da leggi speciali e nei limiti da queste indicati. Per-
tanto l’OIC 16 non consente nessun tipo di discrezionalità nell’operare rivalutazio-
ni «monetarie», miranti a tener conto dei processi inflazionistici, o rivalutazioni
«economiche» dei beni, dovute ad un maggiore valore per circostanze di mercato.
In questo aspetto la norma del documento dell’OIC, differisce dal principio IAS 16,
che permette la continua rivalutazione di un cespite al valore corrente (si veda al
riguardo il par. 4.4). Sarà eventualmente la legge a disciplinare tali situazioni. Si rin-
via peraltro al capitolo precedente per i riflessi contabili delle leggi di rivalutazio-
ne. In ogni caso la rivalutazione non può determinare un componente reddituale ma
può solo comportare un aumento di una riserva del netto che confluisce nella voce
A.III del passivo dello Stato Patrimoniale. In Nota Integrativa dovranno essere poi
specificati i criteri seguiti per la rivalutazione, l’importo della rivalutazione stessa
al lordo e al netto degli ammortamenti e l’effetto sulla misura del patrimonio netto
determinato da tale operazione.

BOX 15 – La contabilizzazione della sostituzione di parti di impianto


Entro un impianto dal costo di 100 e ammortizzato per due anni al 10% è inclusa, anche contabilmen-
te, una parte che viene sostituita. Il prezzo della parte nuova è pari a 10. A quel momento il costo sostitu-
zione dell’intero impianto è stimato pari a 200. Per attribuire alla parte sostituita una parte del costo del-
l’impianto, si deve determinare quanto incide la parte nuova sul costo a nuovo dell’intero impianto. Tale
rapporto è 10/200 = 5%.
Quindi si toglie dal costo dell’impianto il 5% (su 100 è 5) e la relativa parte del fondo (20% di 5 = 1) e
si elimina dall’attuale cespite un importo di 4 (5 – 1) minusvalenza sulla parte rimossa). La rilevazione con-
tabile dell’intera operazione sarà dunque:

Acquisto parte nuova:

Impianti 10
Banca 10

Rimozione parte sostituita:

Fondo amm.to impianti 1


Minusvalenza 4
Impianti 5

La minusvalenza va inviata nella voce B.14 del Conto Economico. A questo punto cambia il valore da
ammortizzare del cespite che diviene (100 – 5 + 10), pari a 105, da ripartirsi sugli anni di residua vita utile

147
(10 – 2 = 8). La nuova quota di ammortamento sarà quindi (105/8) = 13. Nella realtà tale procedimento
trova scarsa applicazione, preferendosi per semplicità non eliminare la parte rimossa e contabilizzare la parte
nuova come costo di periodo.

4.2.3. I decrementi successivi del valore: a) il processo di ammortamento


Come descritto nel capitolo precedente, l’ammortamento consiste nella ripartizione
del costo nei vari esercizi ai quali l’immobilizzazione offre un contributo ai processi
produttivi. L’ammortamento deve essere sistematico, ossia deve riguardare tutti i beni
e deve essere compiuto in ogni esercizio sulla base di un piano rivisto periodicamente,
«per verificare che non siano intervenuti cambiamenti tali da richiedere una modifica
delle stime effettuate nella determinazione della residua possibilità di utilizzazione».
Esso riguarda tutte le immobilizzazioni, anche se temporaneamente non utilizzate,
con l’eccezione delle immobilizzazioni con utilità non limitata nel tempo quali ad
esempio i terreni che, se inclusi nel valore di un immobile, devono essere per tale mo-
tivo separati in base a stime 6.
Il processo in parola, che prende inizio dal momento in cui l’immobilizzazione è di-
sponibile per l’uso, presuppone la definizione di tre elementi:
1. il valore da ammortizzare, costituito dalla differenza tra costo originario (even-
tualmente aumentato dell’importo delle rivalutazioni e delle migliorie) e valore resi-
duo al termine della vita utile del bene (generalmente considerato nullo). Il valore re-
siduo finale deve però essere considerato al netto di eventuali oneri di rimozione del
cespite. Qualora la stima di questi ultimi superasse il valore di realizzo del cespite al
termine della vita utile, si deve ritenere che l’eccedenza dovrà essere accantonata in
apposito fondo spese lungo la vita utile del bene 7. L’OIC 16 non prende in esplicita
considerazione come l’eventuale modifica del valore del bene nel corso della vita utile
incida sul processo di ammortamento 8;
2. la vita utile, basata non solo sulle prospettive di durata fisica del bene ma anche
su altri fattori di obsolescenza economica (evoluzione tecnologica, fattore moda, ecc.).
Se la riconsiderazione del piano di ammortamento portasse a mutare la vita utile, il va-

6 I fabbricati civili, se presentano un valore di realizzo superiore al valore contabile, non sono da am-

mortizzare. Non sono ammortizzabili neppure i beni artistici in quanto si ritiene che non perdano di valore
con il decorso del tempo.
7 Se ad esempio un cespite di 1.000 ha valore di realizzo presunto finale di 100, si ammortizzerà un

importo di 900. Ma se i costi di rimozione fossero 120, quindi eccedenti il valore di realizzo finale di 100,
si dovrà ammortizzare comunque 1.000 e la differenza di 20 (120 – 100) dovrà essere accantonata come
fondo lungo la vita utile del cespite.
8 Ad esempio, se un cespite dal valore di 1.000 già ammortizzato per 3 anni a quote costanti del 20%

(quindi con valore residuo di 400), viene incrementato per migliorie di 500, da tale anno si dovrà ammor-
tizzare una quota di 900 (valore residuo da ammortizzare, dato da 400 + 500)/3 (anni di vita utile residua).
Questo comportamento tuttavia non è esplicitato dal documento n. 16.

148
lore netto del cespite deve essere ripartito sulla nuova vita utile residua (modifica da
motivare in Nota Integrativa). Ad esempio, in caso di vita utile stimata inizialmente in
tre anni, una modifica al termine del secondo anno tale da far aumentare la vita utile di
altri quattro anni renderebbe necessario ammortizzare il valore residuo nei cinque anni
restanti. Il cambiamento della vita utile dei cespiti per avvenuti mutamenti nelle con-
dizioni originarie di stima è un cambiamento di stime contabili e non un cambiamento
di principio contabile (cfr. OIC 29);
3. il criterio di ripartizione del valore, per il quale l’OIC 16 indica quello a quote
costanti come metodo preferito in ragione della maggiore semplicità; consentito è an-
che il metodo a quote decrescenti, alla base del quale vi è l’ipotesi che il cespite offra
il contributo maggiore nei suoi primi esercizi di vita 9. In ogni caso l’OIC 16 ritiene
accettabile l’uso per diverse classi di cespiti di metodi a quote costanti e di metodi a
quote decrescenti.
L’OIC 16 ritiene ammissibile anche il criterio di ammortamento a quote variabili
sulla base dei volumi previsti di produzione (con tasso quindi pari al rapporto tra pro-
duzione dell’esercizio e produzione prevista totale).
Se un cespite è ceduto durante l’anno, si deve calcolare l’ammortamento per la fra-
zione dell’esercizio in cui è rimasto a disposizione dell’azienda.
I cespiti completamente ammortizzati che continuano ad essere utilizzati nel pro-
cesso produttivo devono essere eliminati dallo Stato Patrimoniale ed apparire in Nota
Integrativa, segnalando costo e fondo ammortamento.
Qualora il cespite comprenda accessori di ammontare rilevante con vita utile infe-
riore al cespite principale, si deve possibilmente effettuare ammortamenti distinti con
conseguente iscrizione separata del bene principale e del bene accessorio.

4.2.4. I decrementi successivi del valore: b) le svalutazioni


Quando gli amministratori prevedono difficoltà nel recuperare il valore netto con-
tabile tramite l’uso (ossia tramite i flussi di futuri ricavi di vendita delle produzioni a
cui lo stesso impianto darà origine), deve valutarsi se si è verificata una perdita dure-
vole di valore che, a norma dell’art. 2426, n. 3, richiede una svalutazione del cespite,
profilo già discusso nel par. 3.2.4 con riferimento alle immobilizzazioni immateriali al
quale si rinvia.
Il carattere durevole sussiste nella misura in cui non siano realisticamente prevedi-
bili delle future inversioni di tendenza del valore del bene.

9 Il più semplice esempio di metodo a quote decrescenti è dato dall’applicazione per ogni anno di un

tasso pari al rapporto tra numero di anni residui di vita utile e somma dei numeri che rappresentano l’in-
tera vita utile stimata del cespite. Ad esempio, per un cespite dalla vita utile prevista di tre anni, per il pri-
mo anno il tasso sarà di 3/(3 + 2 + 1), cioè 50%, per il secondo anno 2/(3 + 2 + 1), 33% e per il terzo anno
1/(3 + 2 + 1), cioè 17%.

149
Nella sostanza, come afferma l’OIC 9, tali situazioni possono discendere sia da cir-
costanze specificamente riguardanti gli impianti (come ad esempio il mancato sfrutta-
mento protrattosi nel tempo, un eccesso strutturale di capacità produttiva, dei guasti
fisici), sia da più generali problemi a livello aziendale (diversi esercizi consecutivi in
perdita) che fanno fondatamente temere l’incapacità da parte dei ricavi futuri di copri-
re le quote di ammortamento delle immobilizzazioni.
In queste circostanze dovrà essere redatto un piano riguardante le prospettive di
utilizzo delle immobilizzazioni (con perizie di esperti, valutazione delle possibilità di
impiego, ecc.) sul quale fondare l’eventuale decisione di svalutazione.
La svalutazione va riepilogata nella voce B.10.c del Conto Economico indicando le
ragioni e l’ammontare in Nota Integrativa.
La svalutazione farà ridurre il valore ammortizzabile e darà origine alla seguente ri-
levazione, da effettuarsi possibilmente con metodo di rettifica indiretto.

Svalutazione di immobilizzazioni
Svalutazione immobilizzazioni xxxxxxx
Fondo svalutazione immobilizzazioni xxxxxx

Se poi venissero meno i motivi della svalutazione, si dovrebbe operare una rileva-
zione opposta dando origine ad una «rivalutazione di ripristino». Questo tipo di rivalu-
tazione deve essere inviato a Conto Economico tra i ricavi (a differenza di altri tipi di
rivalutazioni) dal momento che ha la funzione di compensare la precedente svaluta-
zione che aveva inciso sul reddito di un esercizio precedente. Proprio perché assume
questo scopo, la rivalutazione di ripristino può essere operata fino a concorrenza del
costo originario e sempre stando attenti a non superare il valore che avrebbe avuto il
bene al netto degli ammortamenti che vi sarebbero stati se non fosse stata operata la
svalutazione. Nel Conto Economico la rivalutazione di ripristino sarà collocata nella
voce A.5.

Rivalutazione di immobilizzazioni
Fondo svalutazione immobilizzazioni xxxxxxx
Rivalutazione immobilizzazioni xxxxxx

4.3. Informazioni in Nota Integrativa


L’art. 2427, 1° comma, c.c. richiede di indicare le seguenti informazioni nella Nota
Integrativa:
«1) i criteri applicati nella valutazione delle voci di bilancio, nelle rettifiche di va-
lore e nella conversione dei valori non espressi all’origine in moneta avente corso le-

150
gale nello Stato;». Nel descrivere i criteri applicati alla valutazione delle immobilizza-
zioni materiali, l’OIC 16 chiede di indicare:
 il metodo e i coefficienti utilizzati nel determinare la quota di ammortamento del-
l’esercizio per le varie categorie di cespiti o le diverse componenti del bene princi-
pale oggetto di ammortamento separato;
 le modalità di determinazione della quota di costi generali di fabbricazione even-
tualmente oggetto di capitalizzazione;
 il criterio adottato per effettuare l’eventuale rivalutazione, nonché la legge speciale
che l’ha determinata;
 i criteri di valutazione dei cespiti non usati destinati all’alienazione, o temporanea-
mente non usati, ma destinati ad usi futuri;
 le modalità di determinazione del valore delle immobilizzazioni ricevute a titolo
gratuito o a titolo di permuta;
 il metodo di contabilizzazione dei contributi ricevuti (a riduzione del costo dell’im-
mobilizzazione o a risconto).
L’art. 2427, 1° comma, c.c. prevede che nella Nota Integrativa risultino «2) i mo-
vimenti delle immobilizzazioni, specificando per ciascuna voce: il costo; le prece-
denti rivalutazioni, ammortamenti e svalutazioni; le acquisizioni, gli spostamenti da
una ad altra voce, le alienazioni avvenute nell’esercizio; le rivalutazioni, gli am-
mortamenti e le svalutazioni effettuati nell’esercizio; il totale delle rivalutazioni ri-
guardanti le immobilizzazioni esistenti alla chiusura dell’esercizio;». L’OIC 16 sta-
bilisce che nella rendicontazione delle movimentazioni delle immobilizzazioni mate-
riali si fornisce evidenza del costo originario e degli ammortamenti accumulati dei
beni completamente ammortizzati ma ancora in uso. Si fornisce, inoltre, separata
evidenza delle movimentazioni relative alle immobilizzazioni acquisite a titolo gra-
tuito o a titolo di perdita, con i relativi effetti sul bilancio. Nel caso la società abbia
ricevuto contributi e li abbia contabilizzati a riduzione del costo dell’immobilizza-
zione, si indicano nelle movimentazioni delle immobilizzazioni il costo al lordo del
contributo e il contributo.
L’art. 2427, 1° comma, c.c. prevede che nella Nota risultino rispettivamente «8)
l’ammontare degli oneri finanziari imputati nell’esercizio ai valori iscritti nell’attivo
dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce e 9) gli impegni non risultanti
dallo stato patrimoniale; le notizie sulla composizione e natura di tali impegni la cui
conoscenza sia utile per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria della socie-
tà;». Con riguardo all’obbligo di informativa di cui al punto 8, in caso di importi rile-
vanti, la Nota Integrativa fornisce evidenza anche dell’ammontare cumulativo degli
oneri finanziari capitalizzati nel valore delle immobilizzazioni. Il punto 9 impone di dar
conto nella Nota Integrativa degli eventuali gravami esistenti sulle immobilizzazioni
(ipoteche, privilegi, pegni) nonché delle restrizioni o dei vincoli al libero uso dei ce-
spiti in virtù dei contributi pubblici ricevuti. Se le clausole di concessione del contri-
buto indicano che l’inosservanza delle clausole che prevedono restrizioni o vincoli com-
porta la possibilità per l’ente erogatore del richiamo del contributo, tale fatto deve es-
sere chiaramente indicato.

151
L’art. 2426, 1° comma, c.c. prescrive che «2)… Eventuali modifiche dei criteri di
ammortamento e dei coefficienti applicati devono essere motivati nella nota integrati-
va». Se rilevanti, la Nota Integrativa descrive gli effetti sul bilancio di tali modifiche.

4.4. Le regole IASB


Vi sono molti standard dello IASB che trattano delle immobilizzazioni materiali,
per diversi dei quali nei paragrafi precedenti sono già state esaminate alcune disposi-
zioni. Nel prosieguo sono analizzati i principali aspetti non ancora affrontati nelle pre-
cedenti pagine.

4.4.1. Il leasing

Lo IAS 17 (Leases) si applica ai contratti di leasing (salvo alcune eccezioni 10) e


impernia le sue regole sulla distinzione tra leasing finanziario e leasing operativo.
Si segnala che lo IASB ha già pubblicato l’IFRS 16 che sostituisce lo IAS 17 e che
sostanzialmente equipara il trattamento contabile del leasing operativo a quello del lea-
sing finanziario. Tuttavia il nuovo IFRS 16 non è stato ancora omologato dall’Unione
Europea e quindi per le aziende italiane continua a valere il riferimento allo IAS 17.
Secondo lo IAS 17 «un leasing è classificato come finanziario se trasferisce, sostanzial-
mente, tutti i rischi e i benefici connessi alla proprietà. Un leasing è classificato come
operativo se non trasferisce, sostanzialmente, tutti i rischi e i benefici derivanti dalla
proprietà». Tale carattere, anche se non formalmente specificato, può essere nella so-
stanza individuato in presenza di condizioni che dimostrino come il contratto di leasing
tenda a trasferire al locatario (lessee) l’intera utilità del bene fino al termine della sua
vita utile (presenza della clausola di riscatto alla fine del periodo di leasing, durata del
leasing quasi coincidente con la vita economica del bene, elevata specificità del bene in
relazione alle esigenze del locatario, ecc.), ovviamente trasferendo su tale soggetto bene-
fici e rischi, come ad esempio attribuzione a suo carico di perdite derivanti dall’e-
ventuale risoluzione del contratto sostenute dal locatore (lessor). Pertanto, l’esistenza
della clausola di riscatto non sembra assumere carattere determinante per qualificare il
leasing così come invece suggerito dall’OIC n. 1 per il caso italiano.
Il leasing operativo deve essere contabilizzato dal locatario solo a Conto Economi-
co evidenziando tra i costi i canoni corrisposti, alla stregua di un qualsiasi affitto. La

10 Ad esempio lo IAS 17 non si applica ai locatari per la valutazione di terreni posseduti tramite lea-

sing finanziari, in quanto tali beni sono a durata indefinita e non è pertanto detto che al termine del con-
tratto di leasing il bene locato non possieda più utilità, con conseguente mancato trasferimento di tutti i
rischi e i benefici a carico del locatario che rimarrebbero invece in capo al locatore. Solo nel caso sia pre-
sente una clausola di riscatto finale tali leasing possono essere valutati in bilancio alla stregua dei leasing
finanziari nel modo descritto nel testo. Laddove il leasing di immobili considerati investimenti immobilia-
ri sia valutato come leasing finanziario, lo IAS 17 ritiene applicabile la normativa descritta dallo IAS 40
per la valutazione degli investimenti immobiliari (in sostanza la valutazione al fair value).

152
particolarità principale consiste nel fatto che lo IAS 17 stabilisce che il costo dei cano-
ni inclusi a Conto Economico dovrebbe essere ispirato ad un criterio a quote costanti o
ad altro criterio che esprima al meglio il modo con il quale il locatario trae utilità dal
bene locato e questo indipendentemente dalle modalità di pagamento che potrebbero
assumere andamento diverso da quello a quote costanti (caso nel quale si genererebbe-
ro ratei passivi o risconti attivi). Il locatore invece dovrà rilevare i canoni tra i ricavi
(anche in questo caso usando il criterio a quote costanti) e ammortizzare il bene in
conformità a quanto previsto dagli standard relativi al bene locato (IAS 16 o IAS 38).
Per quanto riguarda il leasing finanziario nel box 14 è stata descritta la logica di
fondo della contabilizzazione delle operazioni di leasing finanziario nel bilancio del
locatario. Dopo l’acquisizione, il bene in leasing è un cespite come gli altri e sarà sot-
toposto al criterio di valutazione illustrato sub 4.4.2.
Lo IAS 17 stabilisce inoltre che:
– il bene locato è inserito in Stato Patrimoniale al suo fair value (o, se il valore attua-
le dei pagamenti minimi è più basso, a quest’ultimo valore);
– i costi iniziali (istruttoria pratica, ecc.) sono portati ad aumento del valore del bene;
– l’ammortamento del bene verrà operato in relazione a quanto disposto dagli stan-
dard relativi al tipo di bene (IAS 16 o IAS 38); analogamente, se sussistono le con-
dizioni, si dovrà svalutare il bene secondo quanto disposto dallo IAS 36.
In bilancio il locatario dovrà evidenziare il valore netto (valore iniziale bene-am-
mortamento) dei leasing finanziari, distinti per classe, il costo imputato a Conto Eco-
nomico, il totale dei pagamenti futuri alla data del bilancio (distinti negli importi esi-
gibili tra 1 anno, 5 anni, oltre 5 anni), il loro valore attuale e la riconciliazione tra tali
due termini. Inoltre si deve fornire la descrizione generale degli accordi di leasing, gli
eventuali compensi futuri per operazioni di subaffitto del leasing.
Il locatore (lessor) nel suo bilancio deve comportarsi in modo speculare, imputando
un credito iniziale pari al valore attualizzato dei canoni previsti dal contratto e consi-
derare i canoni periodici come quote di rimborso aumentate degli interessi. Solo gli
interessi appariranno nel Conto Economico del locatore. La considerazione dei ricavi
dovrà avvenire ad un tasso di interesse costante sull’investimento netto residuo, così
come operato dal locatario.
Infine è opportuno ricordare l’IFRIC 4 (Determining Whether an Arrangement
Contains a Lease) con il quale lo IASB individua un particolare accordo di fornitura di
beni o servizi che per alcune caratteristiche induce a ritenere sussistente dal punto di
vista sostanziale un leasing finanziario implicando il trattamento contabile sopra de-
scritto, sebbene del leasing finanziario manchi l’elemento più ovvio ossia un contratto
«dichiarato» di leasing. Nel box seguente si fornisce l’approfondimento relativo.

BOX 16 – L’IFRIC 4 e il leasing «sostanziale»


Nel rispetto del principio della prevalenza della sostanza della forma, l’IFRIC 4 ha lo scopo di valutare
se in alcuni accordi non definiti formalmente come contratti di leasing, esistono nella sostanza i profili tipi-
ci di questo forma di utilizzo dei beni, caso in cui si dovrà estendere conseguentemente il trattamento
previsto di cui allo IAS 17. Come premessa di fondo l’IFRIC 4 sostiene che un’azienda potrebbe accordarsi

153
con un’altra per avere il diritto ad utilizzare dei beni in cambio di pagamenti senza qualificare formalmen-
te come leasing tale operazione. Tali frangenti possono ricorrere in operazioni di outsourcing, nei quali un
soggetto svolge servizi per conto di un terzo utilizzando i beni di quest’ultimo, servizi di telecomunicazio-
ne nei quali l’azienda proprietaria di una rete stabilisce di renderla disponibile ad aziende che intendono
sfruttarla, accordi (definiti «take-and-pay») nei quali sono stabiliti pagamenti indipendentemente dalla con-
segna di beni/servizi come quando si acquista a somma fissa l’intera o parte dell’output di un’azienda (es.
acquisizione del raccolto di una piantagione, della capacità generatrice di una turbina, ecc.).
L’Interpretation afferma che il leasing sostanziale potrebbe anche verificarsi qualora non sia coinvolto
un bene nella sua interezza ma potrebbe configurarsi anche quando il diritto all’utilizzo è limitato ad una
sua parte, purché quest’ultima possa configurare un’attività ai sensi degli IAS 16 e 38. In ogni caso, l’IFRIC
4 rinvia allo IAS 17 per il riscontro delle condizioni necessarie (trasferimento dei rischi e dei benefici) affinché
il leasing sia qualificato come finanziario e quindi implichi la rilevazione dell’asset a Stato Patrimoniale.
Per l’IFRIC 4 per verificare la presenza di un leasing sostanziale si devono riscontrare due caratteri:
 l’esecuzione dell’accordo dipende dall’utilizzo di uno specifico bene (o più di uno);
 l’accordo trascina con sé il diritto ad utilizzare il bene.
Quanto al primo punto, se l’accordo potesse essere eseguito usando asset diversi, non saremmo in
presenza di un leasing, cosa che si realizza ad esempio quando il fornitore deve consegnare una data quantità
di prodotti/servizi senza che sia precisato l’utilizzo di specificati beni per il loro ottenimento. Non elude
invece la presenza di un leasing sostanziale il caso in cui il fornitore si riserva di sostituire l’utilizzo di uno
specifico bene con beni similari laddove il primo non sia in grado di funzionare correttamente o per ogni
altra ragione, almeno fino a quando la sostituzione non avrà luogo. Per qualificare l’esistenza di un leasing
sostanziale non è neppure necessario che sia specificato espressamente il bene di cui si concede l’uso esclu-
sivo, caso che si riscontra quando il fornitore possiede un unico bene tramite il quale adempiere la propria
obbligazione di fornitura di beni/servizi e non sia per lui economicamente praticabile l’utilizzo di beni al-
ternativi.
Quanto al secondo punto, l’IFRIC 4 richiede che l’acquirente acquisisca a seguito dell’accordo il diritto
a controllare l’uso del bene. Tale diritto di controllo si configura quando si verifica una qualsiasi delle tre se-
guenti condizioni:
1. l’acquirente ha il diritto o comunque la capacità di far funzionare il bene (direttamente o incaricando
terzi soggetti) in modo da determinare l’ottenimento di una quantità non scarsa del complessivo out-
put del bene;
2. l’acquirente ha il diritto o comunque la capacità di controllare l’accesso fisico al bene mentre questo
produce una quantità non scarsa dell’output complessivo;
3. fatti e circostanze oggettive indicano che è improbabile che soggetti diversi dall’acquirente possano
acquisire una quantità non scarsa dell’output complessivo del bene nel periodo coperto dall’accordo e
il prezzo che l’acquirente sosterrà per l’output né sia contrattualmente stabilito per singola unità di
prodotto/servizio, né equivalga al prezzo corrente di mercato per singola unità di prodotto/servizio esi-
stente al momento della consegna del prodotto/servizio.
Le prime due condizioni, come specificato nell’appendice, riguardano un controllo fisico, per il cui accer-
tamento potranno essere usati vari criteri. Ad esempio, la capacità di far funzionare il bene può essere riscon-
trata nel diritto ad imporre al fornitore requisiti tecnici di funzionamento o ad assumere e/o licenziare gli ad-
detti al funzionamento. Oppure il diritto ad usare il bene in caso di inadempienza da parte del fornitore.
Il terzo criterio si riferisce invece al controllo economico dell’asset coinvolto, inteso come diritto a
sfruttarne in esclusiva (o quasi) i benefici produttivi e sposta marcatamente il focus dall’asset in quanto tale
all’output che ne deriva. In particolare nel terzo criterio si specifica che il pagamento pattuito «per unità di
prodotto» piuttosto che a forfait sancisce che l’oggetto del contratto non è il diritto ad usare il bene quanto
a ricevere singole unità di output e quindi impedisce la qualificazione dell’accordo come un leasing so-
stanziale. Anche i casi di contratti nei quali l’acquirente si impegna ad acquistare la produzione ottenuta

154
quando disponibile, indipendentemente dall’effettivo utilizzo dell’output (definiti accordi take-or-pay) de-
notano l’esistenza di un leasing sostanziale.
L’accertamento delle suddette condizioni dovrebbe essere compiuto all’inizio del contratto, conside-
rando la più vecchia data tra il momento dell’accordo e la data in cui le parti si impegnano a rispettare le
principali disposizioni contrattuali.
Per applicare lo IAS 17 è necessario che i pagamenti dovuti dall’acquirente a seguito dell’accordo sia-
no distinti tra la parte riferibile al diritto di uso del bene identificato e gli altri eventuali pagamenti (servizi
accessori, acquisto di input necessari per il funzionamento, ecc.). Tale separazione deve essere compiuta
alla data del contratto o successivamente quando si verifica il riaccertamento (vedi paragrafo precedente).
La distinzione deve essere compiuta sulla base dei relativi fair values.
Tale scissione può comportare l’uso di tecniche estimative per l’acquirente, che potranno consistere ad
esempio, nell’utilizzo quale riferimento di contratti di leasing aventi ad oggetto beni similari a quello rientran-
te nell’accordo e che non prevedano pagamenti per prestazioni accessorie. Se esistenti, la quota del canone
di leasing si potrà considerare equivalente a quella dovuta per contratti similari e ritenere la relativa differenza
con il totale del pagamento fatto dall’acquirente come somma dovuta per le prestazioni accessorie.
Se, al contrario, l’acquirente ritenesse che una separazione dei pagamenti sia impraticabile, egli dovrà:
– nel caso di leasing finanziario, contabilizzare un’attività e una passività di uguale importo e pari al fair
value del bene specificato ritenuto oggetto del leasing; quindi la passività sarà ridotta man mano che
sono effettuati i pagamenti e saranno attributi oneri finanziari sulla passività residua usando il tasso di
interesse marginale del soggetto acquirente;
– nel caso di leasing operativo, trattare tutti i pagamenti dipendenti dall’accordo come pagamenti di lea-
sing al fine di adeguarsi all’informativa richiesta dallo IAS 17, distinguendo però tra tutti i pagamenti di
leasing quelli riferibili all’accordo in questione, con l’esplicita affermazione che essi comprendono an-
che una parte relativa ad altri beni/servizi per i quali non è stato possibile separare il pagamento.

4.4.2. Le immobilizzazioni materiali


Il trattamento contabile delle immobilizzazioni materiali è essenzialmente contenu-
to nello IAS 16 (Property, plants, equipment), salvo alcuni casi particolari come nel ca-
so del leasing, testé descritto, o delle immobilizzazioni costituenti degli investimenti im-
mobiliari (terreni e immobili posseduti per ricavarne affitti e rendite), cui si applica lo
IAS 40, più avanti esaminato.

4.4.2.1. Iscrizione iniziale e migliorie successive


Prima di affrontare le questioni sulla valorizzazione e rilevazione contabile, è ne-
cessario definire una questione rilevante in merito alla individuazione dei singoli ele-
menti delle immobilizzazioni materiali.
Lo IAS 16 lascia libertà nella scelta su quali beni individuare contabilmente come
singole unità del gruppo delle immobilizzazioni. La scelta può essere discrezionale in
funzione delle caratteristiche dei beni e dell’azienda. Ad esempio, se di valore non si-
gnificativo, si potrebbero raggruppare in un’unica voce contabile beni aventi caratteri-
stiche simili quali stampi o attrezzi.
Molte aziende italiane che hanno applicato gli IFRS hanno compiuto delle rettifiche
adottando la component analysis. Con tale espressione si intende la situazione in cui

155
nel valore di un unico cespite «complesso» (un grande impianto, un immobile, ecc.)
sono compresi in realtà più elementi componenti caratterizzati da vita utile diversa,
per alcuni più breve, per altri più lunga. Quando il valore dei singoli elementi compo-
nenti è significativo in rapporto al valore complessivo del cespite, per lo IAS 16 si de-
ve scindere contabilmente l’elemento dal cespite principale cui è connesso da relazio-
ne tecnica per poi ammortizzarlo tenendo conto della specifica vita utile, ben diversa
da quella del cespite principale. Ad esempio per una nave la vernice rappresenta un
elemento da tener distinto contabilmente in quanto la vita utile della verniciatura è di
circa 3-5 anni contro i 20-30 della nave. Tale regola è ben presente anche nei principi
contabili nazionali (OIC 16) ma in molti casi è stata disattesa dalle aziende. Solo appli-
cando gli IFRS alcune aziende hanno aderito strettamente a questa regola generale che
ha implicato per molte la scissione di alcuni elementi dai relativi «cespiti» principali.

BOX 17 – La component analysis per i cespiti «complessi»


Un caso molto frequente consiste nel fabbricato «cielo-terra» ossia nell’acquisizione di un fabbricato
assieme alla proprietà del suolo sul quale insiste. Dal momento che il terreno da costruzione ha una vita
utile indefinita, limitatamente ad esso non avrebbe dovuto compiersi l’ammortamento, mentre la inclusio-
ne in un unico conto «fabbricati» ha comportato lo stanziamento di ammortamenti sull’intero cespite com-
plesso, composto dal terreno e dal fabbricato.
Con riferimento a questo caso si consideri il seguente esempio. Si ipotizzi che un’azienda abbia contabi-
lizzato in unica voce un immobile strumentale e il terreno di proprietà su cui insiste per 4.000 e che abbia
proceduto ad ammortizzare per due anni al 5% (totale fondo ammortamento 400). Se adottando gli IAS scor-
pora contabilmente il terreno attribuendogli un valore di 1.000, ciò significa che in precedenza aveva stanzia-
to un ammortamento di 100 (10% di 1.000) che alla luce dei nuovi principi non doveva esser compiuto.
Questo dovrà dunque portare ad una rilevazione, nella quale prima si scorpora il valore del terreno
dall’immobile nel quale sino a quel momento era implicitamente incluso e quindi si annulla la quota corri-
spondente del fondo ammortamento a fronte di riserva disponibile di utili (come confermato dall’art. 7,
D.Lgs. n. 38/2005).
A tal punto il terreno avrà un valore superiore di 100 a quello fiscalmente riconosciuto, visto che
l’ammortamento di 100 era stato in precedenza dedotto dall’imponibile, sia pure in modo congiunto con
l’ammortamento dell’immobile. Si dovrà quindi stanziare un’imposta differita passiva (al 31,4%) che riduce
l’ammontare della riserva. Contabilmente:

Terreni 1.000
Fabbricati 1.000

Fondo ammortamento fabbricati 100


Fondo imposte differite 31,4
Riserve di utili 68,6

Il valore iniziale delle immobilizzazioni che soddisfano i requisiti generali per il ri-
conoscimento di un’attività (come descritto sub 2.1.1) avviene al costo di acquisto com-
prensivo degli oneri accessori di diretta imputazione necessari per portare il cespite

156
alle condizioni operative desiderate dal management e che sono capitalizzabili fino al
momento nel quale il bene è utilizzabile.
Come differenze significative rispetto alle regole italiane, la determinazione del co-
sto originario di una immobilizzazione materiale secondo gli IFRS ne presenta due.
La prima riguarda l’inclusione nel costo del valore attuale degli oneri di smantel-
lamento/rimozione qualora l’azienda sia obbligata a sostenerli al termine della vita uti-
le del cespite. Per tutti i dettagli su tale questione si rinvia al par. 11.6.1.
La seconda differenza riguarda l’inclusione nel costo originario degli oneri finan-
ziari. In merito, lo IAS 23 prevede che qualora per l’entrata in funzione del cespite sia
necessario un periodo rilevante, si deve procedere alla capitalizzazione degli oneri fi-
nanziari direttamente imputabili all’acquisizione dell’immobilizzazione (obbligo e non
semplice facoltà come per l’OIC 16). Qualora non sia contratto un finanziamento spe-
cifico, sono comunque capitalizzabili gli oneri che non sarebbero stati sostenuti se non
avesse avuto luogo l’acquisizione dell’attività (vedasi box seguente).
Se si decide di capitalizzare gli oneri finanziari, tale trattamento deve essere impie-
gato per tutti i beni aventi caratteristiche similari. La capitalizzazione degli oneri fi-
nanziari può iniziare quando congiuntamente si verificano le seguenti condizioni:
 le spese d’acquisto dell’attività sono state sostenute;
 gli oneri finanziari sono stati sostenuti (ossia gli interessi maturano per valuta);
 le attività necessarie per l’entrata in funzione del bene sono iniziate.

BOX 18 – La capitalizzazione degli oneri finanziari nello IAS 23


Si supponga che l’azienda stia sviluppando un cespite (es. un nuovo impianto) la cui costruzione ri-
chiede tre anni e il cui importo medio di costi sostenuti durante i tre anni sia il seguente:
– 2014: costo costruzione dell’anno = 20.000; costo capitalizzato a SP finale = 20.000
– 2015: costo costruzione dell’anno = 50.000; costo capitalizzato a SP finale = 70.000
– 2016: costo costruzione dell’anno = 30.000; costo capitalizzato a SP finale = 100.000
– costo costruzione impianto finale = 100.000
L’investimento medio annuale a questo punto è dato dalla media dei valori iniziali e finali: per ciascun
anno:
– 2014: media investimento per l’impianto nell’anno = (0+20.000)/2 = 10.000
– 2015: media investimento per l’impianto nell’anno = (20.000 +70.000)/2 = 45.000
– 2016: media investimento per l’impianto nell’anno = (70.000 +100.000)/2 = 85.000
Questi tre valori (10.000 per il primo anno, 45.000 per il secondo, 85.000 per il terzo) rappresentano
l’investimento riferito al nuovo impianto e sono la base sulla quale calcolare gli interessi. Per capire se ad
esso si possono applicare le regole dello IAS 23 si tratta di valutare se si è in presenza di un investimento
incrementale oppure semplicemente sostitutivo. Prima di procedere alla capitalizzazione di interessi, si deve
stabilire se la costruzione del nuovo impianto ha comportato un fabbisogno di finanziamento incrementa-
le, circostanza determinante per capire se gli oneri finanziari richiesti dal finanziamento necessario per la
sua costruzione siano da considerarsi «evitabili». Se il fabbisogno finanziario complessivo, infatti, rimane iden-
tico pur acquistando il cespite, allora non si sosterranno nuovi interessi passivi «evitabili». Si tratta dunque
di capire se il nuovo impianto va ad aggiungersi alla attuale struttura produttiva, potenziandola, oppure se
risulta essere una sostituzione di impianti già esistenti. Nel primo caso è facile dimostrare che il capitale

157
investito nel nuovo impianto è incrementale; nel secondo caso, invece, si tratta di stabilire l’incremento netto
di capitale tenuto conto della dismissione degli altri impianti che finiscono per essere rimpiazzati dal nuo-
vo impianto. Supponiamo infatti la situazione nella quale l’impianto vada a sostituire dei cespiti esistenti
non ancora del tutto ammortizzati (e che quindi presentano un valore residuo che confluisce nel capitale
investito e quindi nel fabbisogno di finanziamento).
Si supponga che in previsione della entrata in funzione del nuovo impianto, nel 2016 si dismetta un
cespite Alfa dal valore residuo di 12.000 ricevendo in cambio una somma di 2.000 (con minusvalenza
quindi di 10.000) a titolo di valore di realizzo. La riduzione del fabbisogno di finanziamento medio annuo
del 2015 derivante dalla dismissione di Alfa è pari alla media del capitale investito in Alfa durante l’anno
2015, ossia: (12.000 (valore iniziale) + 2.000 (valore finale di recupero))/2 = 7.000.
Ne risulta che il fabbisogno di finanziamento incrementale non coincide sempre con l’investimento
medio per la costruzione del nuovo impianto.

2014 2015 2016


1. Investimento medio nel nuovo impianto 10.000 45.000 85.000
2. Disinvestimenti correlati – 7.000
(1-2) Investimento medio incrementale da finanziare 10.000 45.000 78.000

Ne consegue, che per una corretta applicazione dello IAS 23 dovrà risultare un piano analitico dal quale
risulti il legame tra i nuovi cespiti e la struttura già esistente, che dimostri l’ampliamento o meno della capaci-
tà produttiva. Volendo essere meno rigorosi, si può pensare di confrontare per ogni anno l’importo dell’inve-
stimento netto nel nuovo impianto con la variazione (valore finale-valore iniziale) del valore netto residuo dei
cespiti della stessa categoria. Se quest’ultima variazione è positiva, si possono calcolare interessi sull’intero
investimento medio nel nuovo impianto; se invece la variazione fosse negativa (valore finale minore del valo-
re iniziale), la capitalizzazione degli interessi si dovrebbe calcolare solo sulla differenza tra investimento medio
nel nuovo impianto e la variazione così calcolata, che rappresenta in effetti un disinvestimento.
Il calcolo degli interessi si basa sul costo medio ponderato annuo dei finanziamenti. In tali situazioni,
per semplicità, si deve calcolare il rapporto tra totale degli oneri finanziari netti (al netto cioè dei proventi
finanziari) desunti dal cono economico, che quindi riepiloga il costo del finanziamento effettivo per tutta
l’azienda e rapportarlo alla posizione finanziaria netta media dell’anno (ottenuto come semisomma della
posizione finanziaria netta ad inizio anno e quella a fine anno). Si prende la posizione finanziaria netta per
omogeneità con la considerazione degli oneri finanziari netti (al netto cioè degli interessi attivi). Suppo-
nendo un costo medio ponderato del 6% per l’anno 2014 e supponendo per semplicità che esso rimanga
costante nel 2015 e nel 2016, il valore degli interessi capitalizzati sarebbe dunque il seguente:

2014 2015 2016 Totale


Investimento medio incrementale da finanziare 10.000 45.000 78.000
Costo medio finanziamento 6% 6% 6%
Interessi da capitalizzare 600 2.700 4.680 7.980

Si deve però controllare per ogni anno che l’entità complessiva dei costi di finanziamento che l’azien-
da capitalizza non sia superiore ai costi di finanziamento netti effettivamente sostenuti e risultanti a Conto
Economico. Il valore da ammortizzare del cespite sarebbe dunque 107.980 e non più 100.000. Si deve
però anche verificare che tale importo non superi il valore recuperabile del cespite, circostanza nella quale
dovrà essere svalutato.

158
Non appena l’immobilizzazione in questione è pronta per l’entrata in funzione deve
cessare la capitalizzazione degli oneri finanziari.
Per quanto riguarda altri costi da includere nel cespite, lo IAS 16 precisa che non so-
no capitalizzabili i costi sostenuti per lo spostamento da un sito produttivo ove il cespite
era già utilizzabile ad un altro luogo, come non lo sono i costi necessari per portare il ce-
spite, già in grado di funzionare, in condizioni di perfetta efficienza o i costi per introdu-
zione di nuovi prodotti. Come si vede, in sostanza, lo IAS 16 dispone regole simili a
quanto già noto nel quadro normativo italiano, alle quali si rinvia anche per il caso di ac-
quisizione in permuta e per la determinazione del costo di fabbricazione nel caso di ce-
spiti costruiti in economia. Anche le migliorie, sebbene non affrontate specificamente
dallo IAS 16, sono disciplinate in modo simile a quanto descritto dai principi contabili
nazionali, ossia vanno capitalizzate addebitandole al costo del cespite se producono be-
nefici economici incrementali e se il loro costo, limite dal loro valore, è misurabile.
Qualora il cespite derivi dall’acquisizione di un’altra azienda (business combina-
tion) o di un ramo d’azienda, esso sarà iscritto non al valore contabile che aveva nella
contabilità del soggetto venditore, ma al suo fair value, come già detto per le immobi-
lizzazioni immateriali.

4.4.2.2. Il trattamento contabile successivo: ammortamenti e rivalutazioni


Lo IAS 16 contempla due trattamenti contabili alternativi per le immobilizzazioni
materiali: il cost model o il revaluation model, così come lo IAS 38 dispone per le
immobilizzazioni immateriali. Il cost model rappresenta il metodo tradizionale di valu-
tare l’immobilizzazione al costo iniziale, diminuito degli ammortamenti e, se del caso,
delle svalutazioni.
Il revaluation model
Il revaluation model invece costituisce un metodo che allo stato attuale non è am-
messo nella normativa italiana 11. Esso consiste nel valutare in bilancio le immobiliz-
zazioni materiali originariamente iscritte al costo, al fair value alla data della rivaluta-
zione, riducendo tale valore degli ammortamenti e delle eventuali svalutazioni dovute.
Lo IAS 16 non stabilisce un intervallo di tempo entro il quale compiere le rivalutazio-
ni; quando i valori di mercato saranno molto volatili, le rivalutazioni dovranno essere
frequenti; più sporadiche invece nei casi di prezzi maggiormente stabili. Lo IAS 16
raccomanda comunque l’uso di una certa regolarità nel compiere rivalutazioni.
Il fair value è desunto dai prezzi praticati sul mercato dei beni simili. In mancanza
di prezzi per beni comparabili per le immobilizzazioni materiali, l’azienda potrà stima-
re il fair value usando metodi alternativi alla semplice osservazione dei prezzi di mer-

11 Si segnala che la Direttiva europea n. 51/2003 consente agli Stati membri di introdurre il revalua-

tion model nelle legislazioni nazionali, criterio previsto nell’articolato OIC di riforma del codice civile. Ci
piace ricordare, inoltre, come questo metodo sia stato già ben teorizzato dalla dottrina economico-azien-
dale italiana (per tutti, Masini, 1963).

159
cato, quali ad esempio la stima del costo di rimpiazzo. Si segnala che la mancanza di
un mercato attivo per le immobilizzazioni immateriali impedisce l’adozione del reva-
luation model.
Per evitare politiche di rivalutazione «selettiva», l’adozione del metodo di adegua-
mento al fair value deve avvenire per l’intera classe di risorse a cui appartiene l’asset,
dove l’appartenenza alla classe è sancita dalla omogeneità quanto a natura e destinazio-
ne produttiva (per es. tutti i computer).
L’eventuale rivalutazione dovuta ad adeguamento al fair value comporterà l’accre-
ditamento di una riserva del netto che sarà pari alla differenza tra l’incremento del va-
lore di carico del bene e l’incremento del relativo fondo ammortamento. In questo sen-
so, se un cespite con valore di carico 100 ammortizzato per 60, è rivalutato al fair va-
lue di 80, doppio rispetto al valore netto contabile di 40 (100 – 60), si avrà un raddop-
pio sia del costo storico (da 100 a 200), sia del fondo ammortamento (da 60 a 120), in
modo che la differenza tra i due (200 – 120) esprimerà il nuovo fair value di 80. Con-
tabilmente la differenza di 40 darà origine ad una riserva del netto.
In senso inverso, una svalutazione dovuta a tale adeguamento determinerà un co-
sto. Tuttavia un decremento dovuto all’adeguamento al fair value successivo ad una
rivalutazione farà corrispondentemente ridurre la riserva precedentemente accreditata
fino a concorrenza del suo importo. Analogamente, una rivalutazione successiva ad un
decremento registrato come costo determinerà un ricavo da contabilizzare come riva-
lutazione di ripristino.
La riserva di rivalutazione potrà essere girata a riserva disponibile per la sua totali-
tà al momento della dismissione finale, oppure per quote man mano che il bene sarà
ammortizzato. Nel secondo caso, la parte della riserva che si rende disponibile sarà pa-
ri alla differenza tra la quota di ammortamento calcolata sul valore rivalutato e la quo-
ta di ammortamento che si sarebbe avuta senza adeguamento al fair value.

BOX 19 – Un esempio di applicazione del revaluation model


Si ipotizzi che l’azienda abbia acquistato un macchinario per un importo di 100 comprensivo degli
oneri accessori. Si supponga quindi che l’azienda scelga di contabilizzare il bene (e conseguentemente la
classe cui appartiene) secondo il revaluation model e che alla fine del secondo periodo successivo all’ac-
quisto il fair value sia mutato in modo significativo. Sorgerà quindi l’esigenza di compiere una rivalutazio-
ne. Ipotizzando che la quota di ammortamento sia del 10% annuo, alla fine del secondo periodo, dopo
aver già computato la quota di ammortamento del periodo, il valore netto contabile è di 80 (100 – 20). Se
a tale data il fair value è di 120, l’azienda dovrà rivalutare il bene di 40. L’incremento percentuale del co-
sto storico e del fondo ammortamento sarà pari al rapporto tra la differenza del fair value con il valore net-
to di partenza e il valore netto di partenza ossia (120 – 80)/80, pari al 50%. Quindi il valore originario au-
menterà di 100  50% = 50 e il fondo ammortamento di 20  50% = 10.
L’incremento del valore del cespite al netto dell’incremento del relativo fondo ammortamento (50 – 10
= 40), alimenterà un’apposita riserva del patrimonio netto, non distribuibile in quanto il plusvalore non è
ancora realizzato. Dal valore di tale riserva dovranno tuttavia essere sottratte le imposte differite, come
disciplinato dallo IAS 12 (argomento discusso nel cap. 13), dal momento che il fisco non riconosce la riva-
lutazione quale incremento del costo deducibile. Ipotizzando un’aliquota fiscale del 40%, tali imposte sa-
ranno pari a 16. La riserva sarà dunque pari a 40 – 16 = 24.
Contabilmente vi sarà quindi la seguente rilevazione:

160
Rivalutazione di immobilizzazioni materiali

Macchinari 50
Fondo ammortamento macchinari 10
Fondo imposte differite 16
Riserva di rivalutazione 24

A tal punto l’ammortamento sarà calcolato non più su 100 (valore iniziale) ma su 150 (100 + 50 riva-
lutazione), determinando quindi una quota annua di 15.
La riserva di rivalutazione potrà rendersi disponibile o complessivamente al momento della dismissio-
ne finale del bene, oppure per quote in funzione della differenza tra la quota di ammortamento determi-
nata sul valore rivalutato e la quota di ammortamento che si sarebbe avuta senza adeguamento al fair va-
lue (15 – 10 = 5). Lo IAS 16 però precisa che lo storno della riserva di rivalutazione non si tradurrà in un
ricavo a Conto Economico, ma in un incremento degli utili a nuovo. Il fisco non riconosce deducibile il
maggiore ammortamento di 5 e lo porta ad aumento della base imponibile determinando maggiori impo-
ste. L’azienda fronteggerà il maggior debito tributario stornando quota del fondo imposte differite prece-
dentemente costituito (5  40% = 2). La riserva di rivalutazione sarà girata a riserva disponibile per 3.
Quindi, ipotizzando di girare la riserva disponibile per quote man mano che procede l’ammortamen-
to, nell’esercizio successivo alla rivalutazione avremo:

Ammortamento di immobilizzazioni materiali rivalutate

Ammortamento macchinari 15
Macchinari 15

Trasferimento della rivalutazione di immobilizzazioni materiali

Riserva di rivalutazione 3
Riserve di utili di esercizi precedenti 3

Riversamento delle imposte differite

Fondo imposte differite 2


Imposte differite 2

In questo modo nell’arco degli anni 8 anni successivi alla rivalutazione il fondo imposte differite e la ri-
serva di utili saranno completamente stornate, assieme al completo ammortamento del bene.
Se in alternativa il bene fosse dismesso l’anno successivo a quello della rivalutazione, incassando un
importo di 130, la rilevazione sarebbe la seguente:

Chiusura del fondo ammortamento

Fondo ammortamento macchinari 30


Macchinari 30

Eliminazione del cespite e della riserva di rivalutazione

Banca 130
Riserva di rivalutazione 24
Fondo imposte differite 6
Imposte differite 16

161
Riserva di utili di esercizi precedenti 24
Plusvalenza 10
Macchinari 120

Con questo metodo, diversamente dalla consueta prassi contabile italiana, a Conto Economico transi-
terà solo la plusvalenza di 10 (e non di 50, data da 130 – 80), mentre la rivalutazione compiuta, anche se
a questo punto realizzata, permarrà a Stato Patrimoniale nel netto sotto forma di utili distribuibili. Il fondo
imposte andrà infine stornato completamente in quanto nell’esercizio di realizzo il fisco tasserà la plusva-
lenza di 130 (prezzo di vendita) – 80 (valore residuo del cespite riconosciuto fiscalmente) = 50. Di tale
plusvalenze fiscale quella di competenza dell’esercizio è soltanto di 10, mentre sulla plusvalenza di 40 che
corrisponde alla rivalutazione precedente sarà utilizzato il fondo imposte differite (pari appunto al 40% di
40, cioè 16).

In Nota Integrativa dovranno essere specificati la data di rivalutazione, i criteri usa-


ti e gli eventuali pareri di soggetti esterni, il valore che avrebbe avuto la classe di ce-
spiti se fosse stato adottato il cost model e l’ammontare della rivalutazione compiuta
nel periodo.
La procedura di ammortamento
Sia nel cost model che nel revaluation model, le immobilizzazioni materiali devono
essere ammortizzate. Lo IAS 16 stabilisce che se un cespite è costituito da parti distin-
te ciascuna delle quali ha un costo significativo in relazione al costo totale del cespite,
l’ammortamento dovrà essere compiuto separatamente per ciascuna parte se i singoli
elementi presentano periodi diversi di vita utile e di criteri di cessione dell’utilità dif-
ferenti (es. motore di un natante e scafo).
Lo IAS 16 precisa inoltre che nel caso di immobili, si deve distinguere il valore del
terreno sul quale insiste la costruzione e l’immobile. Mentre il terreno ha vita utile in-
definita e non richiede ammortamento, l’immobile va ammortizzato.
Il criterio di ammortamento da utilizzare deve essere scelto in funzione delle moda-
lità con le l’azienda si attende che il bene perda valore e rivisto di esercizio in eserci-
zio. Lo IAS 16 non esprime alcune preferenza tra i diversi metodi (a quote costanti,
crescenti, decrescenti, variabili).
In Nota Integrativa dovrà essere rappresentato il criterio di ammortamento utilizza-
to. Per il resto valgono in sostanza le stesse regole già discusse esaminando la norma-
tiva nazionale.

4.4.2.3. Il trattamento contabile successivo: la svalutazione (procedura di


impairment)
Lo IAS 36 regola la complessa procedura delle svalutazioni delle immobilizzazio-
ni. Il punto di partenza consiste nell’assunto che il valore contabile di un cespite non
può essere superiore al suo valore recuperabile, intendendo con questo termine il mag-
gior valore tra il fair value del bene diminuito dei suoi costi di vendita (cioè il valore
di realizzo diretto) e il value in use, che potremmo tradurre con «valore di realizzo in-

162
diretto» del cespite, derivante dall’attualizzazione dei flussi di cassa attesi dal suo im-
piego. Qualora il valore contabile ecceda il più alto di questi due parametri, e quindi
sia maggiore del valore recuperabile, si dovrà svalutare il cespite, a prescindere dal fatto
che la perdita di valore sia durevole o meno, circostanza che invece è determinante per
la normativa italiana.
La procedura con la quale per il cespite è calcolato il suo valore recuperabile e con-
frontato con il valore di carico prende il nome di impairment test. Va precisato che l’im-
pairment test deve essere svolto in modo sistematico, in ogni esercizio solo per le im-
mobilizzazioni immateriali aventi durata indefinita come l’avviamento o i marchi (si
veda al riguardo quanto descritto al par. 3.5.2) e per le immobilizzazioni immateriali
in corso di sviluppo e non ancora disponibili per l’uso 12. Invece, per tutte le altre im-
mobilizzazioni la procedura prenderà avvio solo se vi sono degli indizi di presumibile
perdita di valore del cespite, derivanti da fattori di obsolescenza del bene, sia diretti
(riduzione prezzi di mercato del bene) che indiretti (es. perdita di capacità competitiva
dei prodotti, stime di andamenti negativi dell’azienda), implicando un attento monito-
raggio di numerosi dati.
Per quanto riguarda la stima del valore recuperabile, lo IAS 36 non impone di calco-
lare sia il fair value diminuito dei costi di vendita che il value in use. È sufficiente che
uno dei due sia superiore al valore contabile per non dover calcolare anche l’altro. Quan-
to al fair value diminuito dei costi di vendita, si tratta di osservare la dinamica esterna
dei prezzi di beni similari. La procedura di determinazione del fair value tramite attua-
lizzazione dei flussi di cassa attesi dall’impiego del cespite è abbastanza complessa.
Il value in use
Il value in use è determinato attualizzando i flussi di cassa attesi dal suo impiego.
Tali flussi, in funzione del tempo nel quale si manifesteranno, saranno attualizzati con
un appropriato tasso. I flussi di cassa previsti devono derivare dalle stime più accurate
riguardo alle condizioni economiche che si manifesteranno lungo l’intera vita del ce-
spite, possibilmente usando stime probabilistiche circa la loro realizzabilità futura. Ta-
li stime deriveranno dai budget approvati dal management. Normalmente tali program-
mi possono coprire fino ad un periodo di cinque anni. Programmi aventi durata supe-
riore possono essere applicati solo se il management ha dimostrato nel passato di esse-
re in grado di compiere nel budget accurate previsioni dei dati verificatisi effettiva-
mente nel periodo coperto dal budget. Oltre l’orizzonte temporale coperto dal pro-
gramma, la stima del flusso di cassa deriva dalla estrapolazione dei dati del budget,
utilizzando un tasso declinante o stabile, salvo che sia giustificato un tasso in crescita
che tuttavia non può superare il tasso medio di crescita del settore con riferimento al-
l’ambito di mercato (per es. singoli Paesi), nel quale l’impresa opera. Tassi superiori do-
vranno analogamente essere giustificati dal management.

12 Lo IAS 36 afferma però che se nel precedente esercizio il valore recuperabile eccedeva ampiamente

il valore contabile e non sono nel frattempo emersi fattori in grado di causare una riduzione di valore del
cespite, allora l’impairment test non deve essere compiuto, anche se si tratta di una immobilizzazione im-
materiale avente vita utile indefinita.

163
Nei flussi di cassa saranno compresi sia gli afflussi che i deflussi connessi all’uti-
lizzo del bene, comprese le entrate e le uscite derivanti dalla sua dismissione finale.
Tra le uscite saranno comprese anche quote di pagamenti derivanti dalla quota di costi
generali attribuibili su base razionale all’uso del bene. I flussi di cassa invece non com-
prendono l’effetto delle imposte e dei finanziamenti. Pertanto il flusso di cassa a cui si
perviene è approssimato ad un flusso operativo lordo di cassa. Tali stime sono com-
piute supponendo che non vi siano cambiamenti delle condizioni di utilizzo del bene
stesso quali ristrutturazioni non ancora formalmente stabilite o migliorie. Se invece
l’azienda si è già impegnata in una ristrutturazione relativa al cespite, allora si dovrà
tenere conto dei suoi effetti nella stima dei flussi monetari. Le uscite necessarie per
mantenere il bene in condizioni di normale funzionamento dovranno essere incluse. Se
i flussi sono in valuta estera, essi andranno convertiti in valuta funzionale usando il
tasso di cambio alla data di reporting.
Il tasso da utilizzare per attualizzare i suddetti flussi è un tasso corrente di mercato,
al lordo delle imposte, che rifletta il profilo temporale e di rischio specifico del bene.
Nella pratica è usato molto spesso il tasso WACC (Weighted Average Cost Of Capi-
tal) che deriva dal modello del Capital Asset Pricing Model.
Così come previsto dalla normativa italiana, la svalutazione implica una riduzione
del valore del bene che si riflette in un costo a carico di un esercizio; inoltre, l’esisten-
za di una svalutazione può indurre anche a rivedere al ribasso la rimanente vita utile
residua del cespite. Qualora il cespite sia valutato usando il revaluation model (di cui
allo IAS 16 o 38) la svalutazione farà diminuire in primis la riserva di rivalutazione,
qualora esistente, e, se eccedente, determinerà un costo a Conto Economico. Dopo la
svalutazione, gli ammortamenti saranno calcolati sul valore così ridotto. Il mancato
riconoscimento fiscale della svalutazione comporta l’esigenza di stanziare imposte an-
ticipate (vedasi cap. 13) sulla svalutazione operata.

BOX 20 – Un esempio di impairment test con calcolo del value in use


Si supponga che un’azienda possieda un impianto acquistato nel 2014 ad un prezzo di 2.000 e avente
al termine dell’anno 2015 un valore residuo di 1.600, per il quale sussistano seri dubbi in ordine al man-
tenimento del suo valore iniziale. Si deve quindi intraprendere un esame per capire se si deve svalutare il
bene (impairment) determinando il valore di realizzo indiretto (value in use). La vita utile stimata era di
cinque anni (2014-2018). Si dovranno quindi stimare i flussi di cassa scaturenti dall’impianto fino al termi-
ne della vita utile. Per i prossimi tre anni (2016-2018) i dati sono prelevabili dai budget approvati dal ma-
nagement. Il tasso di sconto utilizzato è pari al 10% e riflette il tasso lordo da imposte che il mercato ritiene
appropriato per investimenti del genere. Il profilo dei flussi di cassa è il seguente:

Coefficienti di attualizzazione
Anno Flusso di cassa Flusso di cassa scontato
(con tasso = 10%)

2016 230 0,90909 209,1


2017 253 0,82644 209,1
2018 273 0,75131 205,2
Value in use 623,4

164
Pertanto il value in use o valore di realizzo indiretto è pari a 623,4 ed il valore recuperabile coincide con
esso, visto che il valore residuo è superiore. Pertanto la svalutazione sarà pari a 1.600 – 623,4 = 976,6. In
questo esempio si è supposta la possibilità di stimare dei flussi di cassa autonomi, generati dall’impianto.

Le cash generating units


Come detto, il valore recuperabile deve essere stimato in relazione a ciascun cespi-
te. Laddove non sia possibile effettuare questa attribuzione così analitica, poiché il ce-
spite non è in grado di generare flussi di cassa indipendenti dall’utilizzo di altri asset
(come nel caso di un macchinario specifico privo di un mercato autonomo e impiegato
in un ciclo produttivo assieme ad altri macchinari), allora lo IAS 36 dispone di consi-
derare il valore recuperabile della cash-generating unit (d’ora in poi CGU) al quale
l’asset appartiene. Quest’ultima è definita come «il più piccolo gruppo di cespiti in-
cludenti il bene in esame, che a seguito del suo utilizzo genera entrate monetarie indi-
pendenti dall’uso di altre CGU». L’identificazione della CGU non è affatto agevole in
certi casi. Essa può identificarsi in un negozio appartenente ad una catena distributiva,
in uno stabilimento produttivo dedito alla fabbricazione di un componente utilizzato
da altri stabilimenti appartenenti all’azienda, ecc. Il fatto che la CGU debba coincidere
con una unità che cede la sua produzione sul mercato, non è requisito indispensabile.
Lo stesso IAS 36 prevede il caso che, sebbene l’output dell’unità sia utilizzato tutto o
in parte a scopi interni (per es. uno stabilimento ottiene dei prodotti che sono utilizzati
da un altro stabilimento aziendale come semilavorati), l’unità può comunque essere
identificata come «generatrice di flussi di cassa», purché prodotti simili siano scam-
biati effettivamente su un mercato. In tal caso i prezzi che si formano su tale mercato
sono utilizzati per determinare il value in use dell’unità come entrate di denaro (sia pur
potenziali). Questa informazione serve anche per determinare il value in use dell’unità
posta a valle dell’unità considerata, dal momento che le entrate potenziali della secon-
da rappresentano le uscite potenziali della prima.
L’identificazione della CGU deve essere costante nel tempo, a meno che sia giusti-
ficata una variazione in quanto certi asset sono ritenuti appartenere a cash unit diverse
rispetto agli esercizi precedenti. In tal caso, si dovrà fornire adeguata informazione in
bilancio, se la variazione assume significato considerando l’azienda nella sua globalità.
Lo IAS 36, ribadendo la regola generale già vista per il singolo asset, dispone che
il valore recuperabile di una CGU sia costituito dal maggiore tra il fair value (valore di
realizzo diretto) e value in use (valore di realizzo indiretto) e tale valore sia poi com-
parato con il valore netto contabile dei beni costituenti la CGU. Il valore netto contabi-
le dell’unità in oggetto è costituito dalla somma dei valori netti contabili dei cespiti at-
tribuibili sia direttamente che indirettamente (in quanto comuni a più unità), utilizzan-
do in questo secondo caso una base di attribuzione che sia ragionevole e costante nel
tempo. Non si include invece nel valore contabile il valore delle passività, a meno che
queste siano indispensabili per determinare il valore netto contabile della CGU.
Uno dei più rilevanti problemi per determinare il valore netto contabile della CGU
consiste nell’attribuire all’unità stessa due classi di elementi talvolta esistenti, ciascu-
no dei quali non è in grado autonomamente di generare flussi di cassa:

165
 l’avviamento (goodwill), che non potendo generare autonomi flussi di cassa può
solo essere considerato congiuntamente ai beni dalla cui sinergia emerge tale valo-
re. Per cui se è contabilizzato in bilancio un avviamento, questo dovrebbe essere at-
tribuito alle singole CGU per determinare il valore netto contabile delle stesse. Si
ricorda che a norma dello IAS 38, l’attribuzione dell’avviamento ad una CGU e la
sottoposizione di questa a impairment test deve essere fatta ogni anno, così come
previsto per le immobilizzazioni immateriali a durata indefinita;
 i corporate asset, ossia dei cespiti riconducibili all’azienda nel suo complesso e
non a singole unità (quali ad esempio laboratori centrali di ricerca, ecc.).
L’attribuzione del goodwill avviene considerando quale CGU l’unità più piccola in
relazione alla quale il management controlla l’avviamento per scopi di informazione
interna. In questo senso la CGU potrebbe addirittura consistere in un’intera società.
Tenuto conto che nella pratica l’avviamento è correlato spesso solo a CGU di «grande
dimensione», nel concreto si possono creare due livelli di CGU: quella di dimensioni
ridotte, CGU «originarie», alle quali non è allocato l’avviamento e quelle di secondo
livello, di dimensioni maggiori, che comprendono le CGU «originarie» oltre all’avvia-
mento. In questo frangente, lo IAS 36 stabilisce che devono essere sottoposte all’im-
pairment test prima le CGU più piccole, e solo dopo effettuare il test per la CGU alla
quale si riferisce l’avviamento. Nel momento in cui una quota di avviamento è allocata
ad una CGU, essa dovrà essere sottoposta a impairment test annualmente, conforme-
mente a quanto stabilito dallo IAS 38.
L’attribuzione dei corporate asset alle CGU avviene imputando il loro valore con-
tabile su base razionale pro quota alle diverse CGU che ne utilizzano i servizi. Se
un’attribuzione razionale alle CGU originariamente individuate non è possibile, anche
in questo caso, come per l’attribuzione dell’avviamento, si potranno generare due tipo-
logie di CGU: quella più piccola, originaria, priva di corporate asset, che viene sotto-
posta per prima a impairment, e quella più grande, inclusiva di una quota attribuita su
base razionale dei corporate asset e delle CGU originaria, sottoposta a impairment
successivamente. Si possono quindi creare tanti «livelli» di CGU da testare per gradi,
partendo dalla più piccola e risalendo man mano alle CGU più grandi.
Compiute queste allocazioni, si procederà al test comparando il valore recuperabile
della CGU con il suo valore netto contabile. Per quanto riguarda invece la determina-
zione del valore recuperabile (il più alto tra value in use e fair value al netto dei costi
di vendita) della CGU valgono le considerazioni anzidette. Se il valore recuperabile è
più basso del valore netto contabile, allora si dovrà compiere una svalutazione, attri-
buendola anzitutto all’avviamento, se presente, fino a concorrenza con il suo valore
netto contabile. Se dopo la svalutazione dell’avviamento (sempre qualora sia esisten-
te), rimarrà da attribuire ancora una parte della svalutazione complessiva della CGU,
allora questa dovrà essere attribuita pro quota agli altri asset in proporzione ai rispet-
tivi valori contabili 13. Si considerino i seguenti esempi.

13 In ogni caso il nuovo valore netto contabile di ogni assets non potrà essere minore del più alto tra

166
BOX 21 – Un esempio di impairment su CGU inclusiva di avviamento
Si supponga ad esempio che un’azienda abbia imputato un avviamento presente a bilancio per 100 ad
una CGU contenente in aggiunta beni di tipo A per un valore contabile di 400 e beni di tipo B per 200. Il
valore netto contabile della CGU è dunque la somma dei tre, pari a 700. Si supponga che il valore recupera-
bile equivalga a 570. Si dovrà pertanto svalutare la CGU di 130 (700 – 570). La svalutazione di 130 com-
porterà dapprima l’intera eliminazione dell’avviamento (pari a 100); la parte residua (130 – 100 = 30),
sarà attribuita ai beni di tipo A e a quello di tipo in relazione al loro valore contabile, il cui totale è pari a
600 (400 + 200). Per cui ad A si attribuirà una svalutazione pari a ((400/600)  30), ossia 20, mentre i be-
ni di tipo B saranno svalutati per 10, pari a ((200/600)  30).

BOX 22 – Un esempio di impairment su CGU inclusiva di corporate asset


Si supponga che un’azienda disponga di tre CGU (X, Y e Z), il cui valore netto contabile consiste ri-
spettivamente in 100, 300 e 400 (per un totale di 800). Ciascuna delle tre si carica di una quota di corpo-
rate asset (si ipotizzi ad esempio l’esistenza di un centro direttivo e di laboratori centrali di ricerca per un
totale di 150) pari al peso percentuale in relazione al valor netto contabile complessivo, e quindi, rispetti-
vamente, 12% (100/800), 38% (300/800) e 50% (400/800). Si ritiene che questa logica di ripartizione sia
razionale in relazione al contesto specifico. Quindi l’unità X presenterà un valor netto contabile pari a 100
+ 12% di 150, per un totale di 119, comprensivo della quota di corporate asset spettante a X su base ra-
zionale. A questo punto si ipotizzi che X sottoposta a test di impairment presenti un valore recuperabile
pari a 110. Deve quindi registrarsi una svalutazione di 9 (119 – 110). Questa svalutazione deve tuttavia
non essere attribuita prioritariamente alla quota di corporate assets inclusa nel valore netto contabile di X,
ma deve ripartirsi tra quota di corporate asset e asset propri di X in funzione del peso sul valore netto con-
tabile totale. Quindi la svalutazione da attribuire al corporate asset sarà pari a 9  (19/119) = 1,4, mentre
la svalutazione relativa agli asset propri di X sarà pari a 9  100/119 = 7,6.

BOX 23 – CGU di secondo livello e impairment


Una società presenta due CGU: A e B. La CGU A si compone di beni per un valore contabile di 1.000. Il
relativo value in use è di 1.400. La CGU non è quindi svalutata e i beni componenti mantengono il loro valo-
re. La CGU B è composta da beni con valore contabile di 800 ed il value in use è di 600. Essa è quindi svalu-
tata per 200 e la svalutazione sarà attribuita ai beni in proporzione ai rispettivi valori netti contabili.
La società dispone anche di un avviamento con valore contabile di 400 e di corporate asset per 200.
Tali elementi non sono stati attribuiti alle CGU A e B in quanto si ritiene non vi sia nessun criterio raziona-
le di riparto. Si costituisce quindi la CGU C, di secondo livello, che comprende le CGU A e B, già sottopo-
ste ad autonomo impairment test, e i beni comuni (avviamento e corporate asset).
Il valore contabile di C è dunque pari ai valori contabili di A e B post impairment (600 e 1.000) + i va-
lori dei beni «comuni» (400 + 200), per un totale di 2.200. Il value in use di C è dato dalla somma dei

valore di realizzo diretto e valore di realizzo indiretto come sopra determinati. Se la quota di svalutazione
spettante al singolo asset, determinata secondo le regole descritte nel testo, non può essere attribuita al-
l’asset medesimo in quanto, ad esempio, il suo valore diverrebbe negativo o il suo valore di realizzo diret-
to risultasse maggiore del valore che assumerebbe al netto della svalutazione, la parte della svalutazione
spettante all’asset e conseguentemente non allocata andrà ripartita tra gli altri assets in funzione della
stessa base di riparto, data dal loro valore netto contabile.

167
value in use di A e B (1.400 + 600) diminuito del valore attuale dei flussi di cassa derivanti dall’uso dei
corporate asset, ipotizzando che questi determinino solo uscite e nessuna entrata e siano pari a – 100. Il
value in use di C è quindi di 1.900 (1.400 + 600 – 100). Esso risulta dunque inferiore al valore contabile
(2.200) implicando una svalutazione di 300. Tale svalutazione andrà prioritariamente attribuita all’avvia-
mento che passa pertanto da 400 a 100. Se la svalutazione fosse stata superiore a 400, essa sarebbe arriva-
ta a colpire anche il valore dei corporate asset.
Sulle svalutazioni dovranno essere calcolate anche imposte anticipate.

Le rivalutazioni di ripristino (reversal of impairment loss)


Se è stata compiuta una svalutazione negli anni precedenti, al termine di ogni eser-
cizio, l’azienda dovrebbe valutare se sussistono ancora le condizioni per le quali la sva-
lutazione è stata operata. Se queste indicazione esiste, l’azienda deve calcolare nuova-
mente il valore recuperabile. Le indicazioni minime da considerare per valutare l’oppor-
tunità di ricalcolare il valore recuperabile sono analoghe, ma con segno inverso, rispet-
to a quelle descritte precedentemente, con riferimento agli indizi necessari per lo svol-
gimento dell’impairment test.
Se dalle stime compiute risulta che la svalutazione prima compiuta, in tutto o in
parte non ha più ragione di esistere, il valore netto contabile del bene dovrà essere por-
tato al nuovo valore recuperabile purché non ecceda il valor netto contabile che avreb-
be avuto se la svalutazione non fosse stata operata. Il limite superiore del valor netto
contabile deve essere ottenuto considerando gli ammortamenti che si sarebbero operati
in assenza di svalutazione.
La rivalutazione di ripristino deve essere riepilogata a Conto Economico, salvo il
caso in cui riguardi un asset rivalutato a norma dello IAS 16, per il quale, così come la
svalutazione implicava una riduzione della riserva di rivalutazione, analogamente una
rivalutazione di ripristino comporterà un nuovo incremento della specifica riserva del
netto.
Se la rivalutazione di ripristino riguarda una CGU, questa va a incrementare il va-
lor netto contabile dell’unità determinando un incremento dei beni diversi dall’avvia-
mento appartenenti alla CGU, ciascuno dei quali assorbe la rivalutazione in propor-
zione al proprio valor netto contabile. Il valore così rivalutato non potrà superare il più
basso tra il valore recuperabile del bene e il valore netto contabile che, al netto degli
ammortamenti che sarebbero stati operati, avrebbe avuto il bene medesimo se non fos-
se stata operata la svalutazione. Anche in questo caso se la parte della rivalutazione
spettante al singolo bene facesse superare tali limiti, l’eccedenza sarebbe da attribuire
agli altri beni della CGU in proporzione al proprio valore netto contabile.
Come eccezione alla regola generale del ripristino, la svalutazione dell’avviamento
non può mai essere ripristinata negli esercizi successivi, in quanto lo IAS 36 ritiene
che una rivalutazione dell’avviamento equivarrebbe a riconoscere un avviamento «in-
terno», non derivato da acquisizioni esterne, che ai sensi dello IAS 36 non è contabi-
lizzabile.

168
BOX 24 – Rivalutazione di ripristino
Un immobile industriale dal valore lordo di 2.000, già ammortizzato per tre anni al tasso del 5% (per
un totale del fondo ammortamento pari a 300), e quindi con valore netto contabile di 1.700, era stato sva-
lutato per adeguarlo al valore recuperabile di 1.500, con svalutazione di 200, la quale aveva determinato
anche lo stanziamento di imposte anticipate (ipotizzando tax rate del 40%) per 80. Si ricorda infatti che
per il fisco la svalutazione è indeducibile, con conseguente imposizione tributaria maggiore cui non corri-
sponde una imposta «di competenza». Il maggiore costo per imposte pagate deve essere quindi fronteggia-
to da un ricavo per imposte anticipate. Contabilmente si era rilevato:

Svalutazione cespite

Svalutazione immobili (C.E.) 200


Immobili 200

Stanziamento imposte anticipate

Crediti per imposte anticipate (S.P.) 80


Imposte anticipate (C.E.) 80

Quindi per altri due anni era stato ammortizzato sul nuovo valore di 1.500, comportando lo stanzia-
mento di ulteriori quote ammortamento da 88,24 per ciascun anno (dato da 1.500: 17 anni di vita resi-
dua), per complessivi 176,48 (88,24 x 2). Il valore contabile è dunque passato a 1.323,52, dato da valore
lordo (post-svalutazione) di 1.800 meno il fondo ammortamento di 476,48 (300 + 176,48). A tal momen-
to però il recupero del mercato dimostra un nuovo valore recuperabile di 1.600.
L’azienda dunque calcola il valore contabile che avrebbe avuto il bene senza la svalutazione, pari a
1.500 (2.000 – 5 anni di ammortamento al 5% per un totale ammortamenti di 500). Confrontando tale
dato (1.500) con il nuovo valore recuperabile (1.600), si evidenzia che il bene deve essere espresso in bi-
lancio al minore dei due. Si tratterà quindi di innalzare il valore del bene da 1.323,52 a 1.500, stanziando
una rivalutazione a Conto Economico per 176,48. Il fondo ammortamento deve comunque essere ade-
guato all’importo di 500 che avrebbe avuto naturalmente in assenza di svalutazione. Si dovranno infine
eliminare le imposte anticipate ancora esistenti (72), tenendo conto che nel frattempo una parte è già stata
riversata in virtù dell’avanzamento dell’ammortamento (due anni al 5% di 80, pari a 8). Per il fisco infatti si
continuava a dedurre come costo deducibile un ammortamento maggiore d quello di competenza (che è
calcolato sul valore svalutato), comportando dunque un minore costo tributario, che doveva essere fron-
teggiato stanziando un maggiore costo tributario tramite il riversamento dell’imposta anticipata.

Rivalutazione cespite
Immobili 200
Rivalutazione immobili (C.E.) 176,48
Fondo ammortamento immobili 23,52

Riversamento delle imposte differite

Imposte anticipate (C.E.) 72


Crediti per imposte anticipate (S.P.) 72

169
Informazione da fornire in bilancio
Per ciascuna classe (ovvero gruppo di beni omogeneo per quanto riguarda la natura
e la funzione) di beni, il bilancio dovrebbe indicare:
 l’entità delle svalutazioni e delle rivalutazioni di ripristino registrate nel Conto
Economico del periodo e le voci del Conto Economico nelle quali sono riepilogate,
con specifica distinzione a seconda del segmento (vedi IFRS 8) al quale si riferi-
scono;
 l’entità delle svalutazioni e delle rivalutazioni di ripristino inviate direttamente a
patrimonio netto, con specifica distinzione a seconda del segmento al quale si rife-
riscono;
 l’entità delle svalutazioni e delle rivalutazioni di ripristino riferite ad asset valutati
con il revaluation model.
Se la svalutazione o la rivalutazione per un singolo bene o per una CGU è rilevante
per l’intera azienda, in Nota si dovrà inoltre indicare:
 le circostanze che hanno determinato la svalutazione (o la rivalutazione);
 l’entità della svalutazione (rivalutazione);
 la natura e il segmento (vedasi IFRS 8) al quale appartiene il bene rivalutato;
 per ogni CGU, una descrizione dell’unità, l’entità della svalutazione (rivalutazione)
per classe di asset e per segmento. Qualora la classificazione per classe di asset sia
mutata dal momento in cui è stata stimato in precedenza l’importo del valore recu-
perabile, si deve descrivere il vecchio ed il nuovo modo di aggregazione dei beni
utilizzato e le ragioni per le quali è stato mutato;
 se il valore recuperabile del bene o della CGU coincide con il valore di realizzo di-
retto o indiretto ed il modo con il quale sono stati determinati.
Ulteriori dettagli di informativa sono poi previsti per le CGU che includono al loro
interno avviamento o altri intangibles a vita utile indefinita.

4.4.3. Gli investimenti immobiliari


Lo IAS 40 (Investment property) riguarda la contabilizzazione degli investimenti im-
mobiliari, intesi come terreni e/o edifici posseduti per ricavarne rendite (in termini di af-
fitti e/o rivalutazione del capitale), in grado quindi di generare benefici economici indi-
pendentemente dalla combinazione con gli altri asset detenuti dall’azienda. Lo standard
non si applica invece agli immobili usati per lo svolgimento di altre attività produttive
(disciplinati dallo IAS 16) o a quelli destinati alla vendita nell’ambito della gestione ordi-
naria. Anche i beni in corso di costruzione che saranno destinati una volta ultimati a dive-
nire proprietà immobiliari nel senso sopra inteso, finché non saranno completati sono as-
soggettati alla disciplina dello IAS 16. Al contrario ricadono sotto l’ambito dello IAS 40
gli immobili concessi in leasing operativo (operazione da assimilare all’affitto) dal loca-
tore e gli immobili acquisiti in leasing finanziario dal locatario 14.

14 Come casi particolari lo standard contempla anche le seguenti situazioni:

170
Per quanto riguarda il valore al quale deve essere inizialmente iscritta la proprietà
immobiliare, valgono le regole già descritte con riferimento allo IAS 16 (oppure allo
IAS 17, se acquisito in leasing). Specifica ed innovativa è invece la regola circa la va-
lutazione successiva all’acquisto. Lo IAS 40 consente all’azienda due alternative di va-
lutazione per l’investimento immobiliare: il primo metodo è quello del fair value, il qua-
le, sostanzialmente si risolve nell’attribuire al cespite un valore in linea con il suo va-
lore di mercato. La seconda alternativa è quella di valutarlo al costo di acquisto. La scel-
ta tra le due alternative è libera; tuttavia lo IAS 40 esprime una certa preferenza per il
criterio del fair value:
– affermando che il passaggio da un criterio di valutazione all’altro potrà essere ef-
fettuato solo se si migliora la rappresentazione in bilancio della situazione azienda-
le e ritenendo «altamente improbabile» che il passaggio dal criterio del fair value a
quello del costo migliori l’informativa di bilancio;
– considerando che le aziende che usano il criterio del costo devono comunque mo-
strare a titolo informativo il fair value dei beni in questione.
D’altronde, questa preferenza si inserisce nella graduale crescente affermazione del
criterio del fair value nelle valutazioni di bilancio secondo la logica IASB, così come
già visto per gli IAS 16 e 38.
Il metodo del fair value
Secondo il metodo del fair value, dopo l’iscrizione iniziale al costo, l’azienda deve
valutare i propri investimenti immobiliari determinando il fair value e considerando le
variazioni rispetto al costo iniziale come costi o ricavi nel Conto Economico, nel pe-
riodo in cui sono state registrate. In questo metodo il cespite non deve più essere am-
mortizzato.
Il fair value per gli investimenti immobiliari consiste nel loro valore di mercato alla
data del bilancio, inteso come prezzo ragionevolmente ottenibile dalla loro vendita ed
escludendo ipotesi particolari (lease-back, finanziamenti particolari, ecc.), tramite uno
scambio con soggetti informati circa le caratteristiche del bene, evitando anche in que-
sto caso di supporre eventuali casi di necessità assoluta di acquisto da parte di terzi.
Sia il compratore che il venditore devono essere ipotizzati operare con razionale logica
economica, ciascuno mirante a spuntare le migliori condizioni possibili.
È evidente che la determinazione del fair value risulta agevole in presenza di un
mercato attivo, con formazione di prezzi recenti per beni similari. Dove non risultino
prezzi correnti o il mercato non sia attivo, l’azienda deve riferirsi a mercati per beni

– se un immobile è in parte adibito ad investimento immobiliare e in parte a immobile strumentale per


altra attività produttiva, si dovrà anzitutto valutare la possibilità di separare contabilmente le due parti per
sottoporle a contabilizzazioni diverse; se ciò non fosse possibile, si dovrà considerare il tutto come inve-
stimento immobiliare solo se è insignificante la parte adibita ad altra attività produttiva;
– se agli occupanti di un investimento immobiliare l’azienda fornisce anche dei servizi complementari
(es. ristorazione o trasporto), si tratta di valutare quale componente (tra alloggio e servizi complementari) è
prevalente. Se prevalgono i servizi forniti (come in un albergo) la proprietà sarà contabilizzata secondo lo
IAS 16. La difficoltà di compiere nette separazioni in alcuni casi limite, induce comunque lo IAS 40 a ri-
chiedere attenzione nel giudizio.

171
similari, aggiustando il valore per tenere conto delle differenze dei beni. Oppure il fair
value potrebbe essere determinato stimando i flussi di cassa futuri derivanti da contrat-
ti di affitto in essere o da contratti di affitto esistenti per beni similari e scontandoli ad
un tasso che rifletta che rifletta le incertezze aziendali circa l’entità ed il momento di
verifica di tali flussi.
Lo IAS 40 incoraggia, pur non obbligando, le aziende a determinare il fair value
sulla base del giudizio espresso da un autonomo ed indipendente valutatore, dotato di
notevole competenza professionale, esperto nel settore.
Se si verificano casi eccezionali per i quali la determinazione del fair value diviene
impossibile, in quanto non vi sono prezzi di riferimento ottenuti da scambi di beni si-
milari, l’azienda deve valutare tali beni secondo il cost model, assumendo un valore di
realizzo finale al termine della vita utile pari a zero. Tale deroga è prevista dallo IAS
40 solo per quegli immobili privi di un fair value di riferimento. Gli altri investimenti
immobiliari per i quali è determinabile un prezzo di mercato di riferimento devono
continuare ad essere valutati con il metodo del fair value.

BOX 25 – IAS 40 e valutazione al fair value


Si supponga il caso in cui una società industriale rediga il proprio bilancio separato secondo gli IAS-
IFRS e valuti un investimento immobiliare secondo il metodo del fair value indicato dallo IAS 40. Si sup-
ponga che il fair value a fine esercizio sia 2.000 e il valore contabile sia 1.600. Essa dovrà dunque rilevare
a Conto Economico una plusvalenza di 400 incrementando in contropartita il valore del cespite. Su tale
plusvalenza grava un effetto fiscale per l’imponibilità di tale plusvalenza nel momento in cui si realizza. Per
cui l’onere fiscale relativo è di 31,4% (27,5% IRES + 3,9% IRAP)  400 = 125,6. Tale imposta dovrà esse-
re rilevata secondo quanto disposto dallo IAS 12 tra le imposte differite. La plusvalenza netta «potenziale»
(in quanto non realizzata, ma comunque inviata a Conto Economico) è dunque di 274,4 (400 – 125,6).

Rivalutazione di investimento immobiliare

Immobili (S.P.) 400


Rivalutazione (C.E.) 400

Stanziamento imposte differite

Imposte differite (C.E.) 125,6


Fondo imposte differite (S.P.) 125,6

Per quanto riguarda le aziende italiane si pone poi il problema del trattamento degli utili derivanti da
tale rivalutazione, come disciplinati dall’art. 6, D.Lgs. n. 38/2005.
Come trattato nel par. 10.12, si è in presenza di un caso di utili da valutazione diversi da quelli riferiti
a strumenti finanziari detenuti per negoziazione, all’operatività su cambi e di copertura, per cui opera la
cautela richiesta dall’art. 6, D.Lgs. n. 38/2005 volta ad evitare il rischio di distribuzione degli utili corri-
spondenti a tale rivalutazione. Si tratta quindi di definire tre situazioni alternative:
a) la società chiude il suo bilancio con un utile maggiore di 274,4, ad esempio 300;
b) la società chiude il suo bilancio con un utile inferiore a 274,4, ad esempio 200;
c) la società chiude il suo bilancio in perdita.

172
1. nel caso a) si tratterà di accantonare a riserva indisponibile un importo di 274,4 e la differenza di 25,6
(300 – 274,4) rimarrà disponibile per la distribuzione o l’accantonamento ad altra riserva;
2. nel caso b) si dovrà non solo accantonare a riserva disponibile l’intero utile di 200, ma accantonare
alla stessa posta anche la differenza di 74,4 (274,4 – 200), prelevandola da altra riserva disponibile,
oppure, se queste non sono capienti, segnalando (in Nota Integrativa, diremmo) che nei prossimi eser-
cizi si dovrà accantonare la differenza;
3. il caso c) non è affrontato direttamente dal Decreto; tuttavia chi scrive ritiene che anche in questo ca-
so si debba, per logica, accantonare prelevando da altra riserva, tenuto conto che l’anno successivo, in
presenza di utile, la plusvalenza ancora non realizzata potrebbe essere distribuita.

Il metodo del costo


Secondo il metodo del costo, l’investimento immobiliare deve essere valutato usando
il criterio preferito descritto nello IAS 16 (ossia costo diminuito degli ammortamenti e
di eventuali svalutazioni).
Cambi di destinazione
Lo IAS 40 dispone precisi criteri da seguire nel caso in cui vi siano cambi di desti-
nazione dell’immobile. Essi possono essere determinati dai seguenti eventi:
1. l’inizio di una occupazione dell’immobile da parte del proprietario, quale pas-
saggio da investimento immobiliare a immobile strumentale;
2. inizio della prospettiva di vendita, quale passaggio da investimento immobiliare
a immobile-merce.
In questi casi, l’azienda dovrà valutare al momento del passaggio il cespite appli-
cando le disposizioni rispettivamente contenute nello IAS 16 o nello IAS 2 (analizzato
nel cap. 5). In entrambi i casi essa necessiterà del costo e lo IAS 40 dispone che se, si-
no al momento del cambio di uso, l’investimento immobiliare era stato valutato al fair
value, quest’ultimo valore, così come risulta alla data del cambio di destinazione, di-
verrà il costo da impiegare nelle valutazioni;
3. fine di una occupazione dell’immobile da parte del proprietario, quale passaggio
da immobile strumentale a investimento immobiliare;
In tal caso l’azienda dovrà applicare lo IAS 16 fino alla data del cambio di uso. A
quella data l’azienda dovrà trattare l’eventuale differenza tra il costo ed il fair value
come una rivalutazione secondo lo IAS 16. Quindi, se l’applicazione del fair value de-
terminerà una minusvalenza rispetto al costo residuo esistente in bilancio, essa con-
fluirà come costo a Conto Economico. Se invece dal confronto scaturirà una plusva-
lenza, questa costituirà una plusvalenza da inviare a Conto Economico se e solo nella
misura in cui ripristina precedenti svalutazioni. Per la parte eccedente eventuali prece-
denti svalutazioni, si dovrà accreditare direttamente una riserva di rivalutazione, che
permarrà fino a quando il bene non sarà ceduto, momento nel quale sarà girata a riser-
va di utili senza transitare dal Conto Economico;
4. fine della costruzione interna, come passaggio da cespite valutato secondo lo IAS
16 a investimento immobiliare.
Nel momento in cui l’azienda completa la costruzione in economia di un immobile

173
che sarà considerato investimento immobiliare e valutato al fair value, ogni differenza
tra fair value e valore di carico dell’immobile sino a tale data (che, si ricorda, coincide
con il costo), rappresenterà plus(minus)valenza da inviare a Conto Economico.
Se invece l’azienda intende valutare i propri investimenti immobiliari secondo il
metodo del costo, i cambi di uso tra immobile strumentale, immobile-merce e investi-
mento immobiliare non determineranno variazioni nel valore di carico dell’immobile.
Informazione integrativa
Oltre a specificare in Nota se è stato usato il criterio del costo o del fair value,
l’azienda deve evidenziare:
1. i criteri usati per considerare un cespite come investimento immobiliare quando la
classificazione dell’immobile tra investimento immobiliare o immobile-merce è
difficile;
2. i metodi usati per determinare il fair value, includendo una esplicita affermazione
che detto valore dipende dalla esistenza di chiari riferimenti di mercato o che è sta-
to determinato usando altri fattori a causa della natura dell’immobile e della man-
canza di dati comparabili;
3. l’importo delle rendite conseguite dall’investimento immobiliare e delle spese ope-
rative dirette di gestione dell’investimento, distinguendo quelle relative a immobili
che hanno generato delle rendite e quelle di immobili che non le hanno generate;
4. l’esistenza di eventuali obblighi assunti nell’acquistare, costruire, riparare, ristrut-
turare degli investimenti immobiliari;
5. l’esistenza di restrizioni alla vendita dell’immobile;
6. i prospetti che mostrino la riconciliazione tra valore iniziale e finale del cespite, di-
stinguendo le diverse cause di variazione.
Nei casi in cui un’azienda valuti i propri investimenti immobiliari con il metodo del
costo, si devono invece indicare il metodo di ammortamento utilizzato, il costo storico e
il fondo ammortamento fino a quel momento esistente e il fair value della proprietà
(oppure, se di impossibile determinazione, una descrizione dell’immobile, la motiva-
zione della impossibilità di determinazione del fair value, e l’intervallo stimato entro il
quale dovrebbe ricadere il fair value).

4.4.4. I beni strumentali destinati alla vendita


L’IFRS 5 (Non-current assets held for sale and discontinued operations) disciplina
specificamente i beni strumentali destinati alla vendita (singolarmente o in gruppo) sta-
bilendo regole che li qualificano più come elementi del magazzino che come immobi-
lizzazioni, e le operazioni di dismissione, prevedendone una specifica evidenza in bi-
lancio.
Con riferimento ai beni strumentali destinati alla vendita, già il documento n. 16 del-
l’OIC stabilisce che dovessero essere inclusi nel circolante in voce apposita ed essere
valutati secondo il criterio generale di valutazione delle rimanenze di magazzino. Il
documento IASB fornisce una disciplina più dettagliata.

174
Anzitutto l’IFRS 5 specifica che la qualifica di «beni strumentali destinati alla ven-
dita» si ha quando tali cespiti siano immediatamente pronti alla cessione a terzi e la loro
vendita sia altamente probabile (approvata e pianificata formalmente dal management
con relativa procedura di ricerca di un acquirente) e da compiersi entro un anno 15.
Non integrano tale qualifica invece le immobilizzazioni prossime ad essere «rottama-
te» (abandoned), in quanto prossime al termine della loro vita utile in quanto il loro
valore residuo sarà recuperato tramite l’uso residuo e non tramite la vendita.
Criteri di valutazione
I beni strumentali destinati alla vendita saranno valutati al minore tra valore di ca-
rico e fair value diminuito dei costi di vendita (un criterio analogo alla regola generale
di valutazione del magazzino), dove il valore di carico sarà il valore al quale erano fi-
no a quel momento valutati in contabilità (che può consistere, in funzione del tipo di
bene e dei criteri alternativi permessi, nel costo storico diminuito degli ammortamenti
e delle eventuali svalutazioni, nel costo rivalutato diminuito degli ammortamenti e del-
le eventuali svalutazioni se è stato applicato il revaluation model, nel costo diminuito
delle eventuali svalutazioni se si tratta di intangible con vita utile indefinita). Dove il
fair value diminuito dei costi di vendita sia inferiore al valore di carico, si dovrà ope-
rare una svalutazione da imputare a Conto Economico.
Nel caso di fair value al netto dei costi di vendita superiore all’importo iscritto in
contabilità, potranno essere operate delle rivalutazioni di ripristino solo se in prece-
denza era stata effettuata una svalutazione (sia applicando le regole previste dallo
IAS 36 quando il bene era considerato una normale immobilizzazione, sia applican-
do l’IFRS 5 dopo che il bene era stato destinato alla vendita) e nei limiti della svalu-
tazione operata 16.
Finché il bene è classificato come «destinato alla vendita», non si dovrà più proce-
dere ad ammortamento. Si continueranno invece a capitalizzare i costi relativi, laddo-
ve permesso (vedi IAS 23 e IAS 16).
Se vengono meno le condizioni che permettono di considerare il bene strumentale
(o il gruppo) come destinati alla vendita, il cespite è di nuovo classificato tra le immo-
bilizzazioni e assumerà un valore pari al più basso tra valore di carico prima che fosse
destinato alla vendita (diminuito degli ammortamenti e svalutazioni che si sarebbero
avute nel frattempo) e valore recuperabile.

15 Periodi superiori sono ammissibili solo in casi eccezionali, indipendenti dalla volontà del manage-

ment e comunque non tali da modificare il piano di dismissioni. L’IFRS 5 dispone inoltre che se i requisi-
ti descritti nel testo si verificano nel periodo che va tra la data di chiusura dell’esercizio e quella di reda-
zione del bilancio, si deve dare informazione in Nota Integrativa, mentre nello Stato Patrimoniale dell’e-
sercizio chiuso resteranno qualificati come immobilizzazioni strumentali.
16 Se si è in presenza di un gruppo di asset destinati alla vendita, la svalutazione e l’eventuale rivalu-
tazione devono riguardare cumulativamente tutti gli elementi del gruppo. L’importo complessivo sarà poi
attribuito ai singoli elementi in proporzione al loro valore di carico.

175
Rappresentazione in bilancio
La regola generale stabilita dall’IFRS 5 è quella di evidenziare distintamente a bi-
lancio tanto i beni strumentali destinati alla vendita, quanto gli effetti reddituali e fi-
nanziari delle discontinued operations, ossia delle cessioni avvenute, in modo tale da
separare nettamente ciò che presumibilmente si ripeterà in futuro (che rappresenterà
l’area delle continuing operations) dalle operazioni di dismissioni avvenute nell’eser-
cizio o in procinto di avvenire (come beni strumentali destinati alla vendita).
In Stato Patrimoniale i beni destinati alla vendita dovranno essere classificati in un
gruppo a sé. Se si è in presenza di un gruppo che include anche dei debiti (es. la previ-
sta cessione di un intero ramo d’azienda), appositi classi autonome dovranno essere
costituite tanto nell’attivo quanto nel passivo (senza procedere a compensazioni). Al-
l’interno di tale/i classe/i dovranno essere evidenziate le sottoclassi più significative 17.
Non è prevista per tali beni una riclassificazione dei bilanci precedenti per applicare
retrospettivamente le nuove regole di valutazione.
A Conto Economico, l’evidenza distinta delle dismissioni avvenute va fornita quan-
do l’operazione ha riguardato un importante segmento operativo (ex IFRS 8) o costi-
tuisce una parte di un più ampio piano di dismissione di un segmento o riguarda una
partecipata acquisita solo con lo scopo di venderla successivamente.
In un unica voce del Conto Economico devono essere riepilogati:
 il risultato economico al netto delle tasse proveniente dalle suddette operazioni di
dismissione;
 il risultato economico al netto delle tasse proveniente dalle valutazione dei beni
strumentali destinati alla vendita e non ancora ceduti (come svalutazioni, rivaluta-
zioni, eventuali capitalizzazioni di singoli elementi di costo).
Questa voce deve poi essere esplosa (possibilmente in Nota Integrativa, ma anche
direttamente nel Conto Economico) in un prospetto che mostri sia i ricavi e i costi de-
rivanti dalle operazioni di dismissione e le relative imposte, sia i costi/ricavi derivanti
dalla valutazione dei beni strumentali (o gruppi) destinati alla vendita (e le relative im-
poste). Sempre in nota (ma anche direttamente nel rendiconto finanziario) deve essere
presentato il flusso di cassa netto riconducibile alle operazioni di dismissione (distinto
nelle consuete tre sezioni: operativa, investimento e finanziamento).
Per favorire la comparazione con il passato, l’azienda dovrà poi ripresentare retro-
spetticamente i bilanci degli esercizi precedenti, mostrando come componenti separati
gli effetti che le operazioni di dismissione avvenute nell’ultimo esercizio avrebbero
avuto sui bilanci degli esercizi precedenti.
In Nota Integrativa, oltre a quanto già stabilito per il dettaglio dei componenti red-
dituali, dovrà essere descritto il bene (o il gruppo) destinato alla vendita, le caratteri-

17 Una separata evidenza deve essere fornita anche per i costi/ricavi rilevati direttamente a patrimonio

netto relativi ai beni strumentali destinati alla vendita, come nel caso di riserva di rivalutazione per beni
destinati alla vendita che fin quando erano immobilizzazioni erano stati valutati al revaluation model ed
avevano generato rivalutazioni.

176
stiche dell’operazione di dismissione (o della decisione di non procedere più ad una
vendita prima pianificata), il segmento (ex IFRS 8) nel quale il bene è collocato.
Infine, se un’azienda annulla la decisione di dismettere un bene strumentale prima
classificato come destinato alla vendita, i relativi componenti reddituali e finanziari pri-
ma classificati come discontinued operations dovranno essere nuovamente attribuiti alla
sezione delle continuing operations.

177
178
5

Le rimanenze di magazzino

SOMMARIO: 5.1. Definizione e classificazione negli schemi di bilancio. – 5.2. La regola generale di
valutazione del «cost or market». – 5.3. Materie prime, sussidiarie e di consumo. – 5.3.1. La compo-
sizione del costo unitario di acquisto. – 5.3.2. I metodi di determinazione del costo per i beni fungibi-
li. – 5.3.3. Determinazione del valore di mercato ed eventuale svalutazione. – 5.4. Prodotti in corso
di lavorazione e semilavorati. – 5.5. Prodotti finiti. – 5.5.1. Formazione del costo unitario dei prodot-
ti finiti. – 5.5.2. Determinazione del costo complessivo dei prodotti in rimanenza. – 5.5.3. Il valore di
realizzazione desumibile dall’andamento di mercato. – 5.6. Merci. – 5.7. Lavori in corso su ordina-
zione. – 5.7.1. Metodo della «percentuale di completamento» e della «commessa completata». –
5.7.2. Fatturazioni, stati di avanzamento e anticipi. – 5.7.3. Metodo della percentuale di completa-
mento. – 5.7.4. Metodo della commessa completata. – 5.8. Contenuto della Nota Integrativa. – 5.9.
Le regole IASB. – 5.9.1. Le rimanenze di magazzino. – 5.9.2. Le commesse a lungo termine.

5.1. Definizione e classificazione negli schemi di bilancio


Il Codice Civile nell’attivo dello Stato Patrimoniale (art. 2424 c.c.) al numero I del-
la lett. C) «attivo circolante», prevede la classe delle «rimanenze» composta dalle se-
guenti voci:
1. materie prime, sussidiarie e di consumo;
2. prodotti in corso di lavorazione e semilavorati;
3. lavori in corso su ordinazione;
4. prodotti finiti e merci;
5. acconti.
La voce degli «acconti» si riferisce agli anticipi corrisposti ai fornitori di tali beni,
inseriti nel magazzino avendo riguardo all’aspetto economico della transazione (quota
di costo pagata in anticipo) piuttosto che a quello strettamente finanziario (credito ver-
so il fornitore). Gli acconti versati ai fornitori per l’acquisto di beni rientranti nelle ri-
manenze di magazzino sono rilevati inizialmente alla data in cui sorge l’obbligo al pa-
gamento di tali importi o, in assenza di un tale obbligo, al momento in cui è versato.
Nel Conto Economico civilistico appaiono le voci riferite alle variazioni delle ri-
manenze dei vari elementi del magazzino:
– A.2. variazione delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;

179
– A.3. variazione delle rimanenze di lavori in corso su ordinazione;
– B.11. variazione delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci.
Le suddette variazioni delle rimanenze derivano dalla differenza tra la rimanenza
finale e quella iniziale dei beni. Tale variazione, se positiva, va collocata con il segno
«+» nella voce A.2 (se riferita alle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semi-
lavorati e finiti) e nella voce A.3 (se riferita alle rimanenze di lavori in corso su ordi-
nazione) e con il segno «–» se riguarda i beni di cui alla voce B.11 (variazione delle
rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci), poiché, in tal caso, l’in-
cremento delle rimanenze funge da elemento riduttivo del costo della produzione
dell’esercizio.
L’OIC 13, specificamente dedicato alle rimanenze di magazzino, dispone che i be-
ni sono inclusi nelle rimanenze alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e be-
nefici connessi al bene acquisito che solitamente avviene con il passaggio del titolo di
proprietà 1. Detto passaggio solitamente si considerato avvenire alla data di spedizione
o di consegna per i beni mobili, secondo le modalità contrattuali dell’acquisto ed in
base al trasferimento dei rischi dal punto di vista sostanziale, e non solo formale, ed
alla data della stipulazione del contratto di compravendita per gli immobili. Se, in vir-
tù di specifiche clausole contrattuali, non vi sia coincidenza tra la data in cui avviene il
trasferimento dei rischi e dei benefici e la data in cui viene trasferito il titolo di pro-
prietà, prevale la data in cui è avvenuto il trasferimento dei rischi e dei benefici.
Pertanto, le rimanenze di magazzino includono:
a) le rimanenze presso i magazzini della società, ad esclusione di quelle ricevute da
terzi in visione, in prova, in conto lavorazione e/o deposito, ecc.;
b) le giacenze di proprietà presso terzi in conto deposito, lavorazione, prova, ecc.;
c) beni acquistati ma non ancora pervenuti bensì in viaggio quando, secondo le moda-
lità dell’acquisto, la società ha già acquisito il titolo di proprietà (ad esempio: con-
segna stabilimento o magazzino del fornitore).

5.2. La regola generale di valutazione del «cost or market»


La regola civilistica per la valutazione delle rimanenze è contenuta nell’art. 2426, 1°
comma, punto 9, dove si enuncia: «le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non
costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o produzione, calcolato
secondo il n. 1, ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato
se minore». In sostanza le rimanenze di magazzino sono costi da rinviare al futuro,
prudenzialmente svalutati quando il valore di mercato raggiunga livelli inferiori. Si ri-
getta quindi la possibilità di includere nel valore dei beni in magazzino anche parte del
margine reddituale in corso di formazione.

1 In alcuni casi i beni sono iscritti al trasferimento dei relativi rischi, per la rilevanza che tale momen-
to ha nell’ambito di tali operazioni (ad esempio, vendita con riserva di proprietà).

180
Il criterio base di valutazione è pertanto il costo storico di acquisto o di produzione.
Si utilizzerà il costo di acquisto per valutare le materie prime, sussidiarie, di consumo,
semilavorati d’acquisto e per le merci (per merci si intendono beni di sola commercia-
lizzazione, cioè acquistati e destinati alla rivendita, senza subire nessuna lavorazione);
mentre sarà rilevante il costo di produzione per valutare i prodotti in corso di lavora-
zione, i semilavorati di produzione ed i prodotti finiti. Qualora, però, il valore di rea-
lizzo stimato alla chiusura dell’esercizio sia minore, il costo dovrà essere svalutato
prudenzialmente.
Come regola base per la determinazione, l’OIC 13 stabilisce che il costo compren-
de il complesso delle spese sostenute per avere la disponibilità delle giacenze nel luo-
go e nella condizione in cui si trovano al momento della valutazione.
L’OIC 13 precisa che la valutazione dei beni in magazzino deve avvenire autono-
mamente per ciascuna categoria di elementi che compongono la voce. Operativamente
quindi si tratterà di distinguere la valutazione per ogni codice caratterizzante i vari be-
ni presenti a magazzino.
Per i lavori in corso su ordinazione, il Codice Civile stabilisce che, in deroga alla
regola generale del minore tra costo e valore di mercato valida per le rimanenze di
magazzino, la valutazione può essere fatta in base «ai corrispettivi pattuiti» pur esi-
stendo la possibilità di compiere la valutazione con il metodo del costo. Questa secon-
da opzione, forse più conosciuta come metodo della percentuale di completamento,
costituisce una rilevante eccezione rispetto alla regola del «cost or market». In effetti,
la valutazione in base ai corrispettivi pattuiti, in massima sintesi, consiste nel valutare
il lavoro in corso su ordinazione ad una percentuale del prezzo di vendita finale, per-
centuale determinata dallo stato di avanzamento delle lavorazioni. Questa eccezione è
giustificata dal fatto che si tratta di prodotti per i quali giù esiste, ancora prima della
produzione, un contratto di vendita che stabilisce chiaramente il valore di realizzo.

5.3. Materie prime, sussidiarie e di consumo


Appartengono a questa classe non solo i componenti di acquisto destinati ad essere
incorporati nei prodotti finiti (materie prime, componenti di acquisto e materie sussi-
diarie), ma anche i materiali di consumo (per es. lubrificanti per macchinari, materiale di
cancelleria e stampati, carburanti stoccati in magazzino). Secondo l’OIC 16 anche i pez-
zi di ricambio di impianti, macchinari e attrezzature di rilevante costo unitario e di uso
molto ricorrente devono essere contabilizzati come rimanenze di magazzino.
Per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, si tratta concretamente di stabi-
lire cosa debba intendersi per «costo» e cosa per «valore di realizzazione desumibile
dall’andamento del mercato», al fine di scegliere il minore tra i due.

5.3.1. La composizione del costo unitario di acquisto


L’art. 2426, 1° comma, punto 1, c.c. (a cui rimanda il punto 9) enuncia che «nel
costo di acquisto si computano anche i costi accessori».

181
L’OIC 13 precisa che nel costo di acquisto si devono considerare oltre al costo del
bene gli oneri accessori eventualmente sostenuti, quali le spese di trasporto, sdogana-
mento, assicurazione, computando se del caso anche l’IVA indetraibile. Per le società
che applicano la disciplina del costo ammortizzato e dell’attualizzazione, nel caso in
cui il pagamento sia differito rispetto alle normali condizioni di mercato, per opera-
zioni similari o equiparabili, i beni sono iscritti in bilancio al valore attuale dei futuri
pagamenti contrattuali (si veda meglio sub cap. 12).
Il valore così ottenuto va depurato da eventuali resi, abbuoni, premi e sconti com-
merciali (incondizionati o sulla quantità), mentre sono da includere i costi di ricevi-
mento, controllo e immagazzinaggio se tali costi sono rilevanti e quindi vi sia la con-
venienza ad effettuare tale imputazione. Al contrario, gli sconti per cassa, dipendendo
da una decisione di politica finanziaria (il pagamento immediato anziché dilazionato)
devono essere inclusi a Conto Economico come proventi finanziari. Gli oneri finanzia-
ri sono esclusi invece dalla nozione di costo di acquisto.
Contributi su costi di acquisto materie
L’OIC 13 disciplina anche i casi in cui la società riceva dei contributi in conto
esercizio per l’acquisto di materiali (come nel caso dei contributi pubblici prima con-
cessi alle società editoriali di quotidiani sul costo della carta). Ai fini della valutazione
delle rimanenze, i contributi in conto esercizio acquisiti a titolo definitivo sono portati
in deduzione al costo di acquisto dei materiali. Ai fini della classificazione degli im-
porti nel Conto Economico:
‒ i contributi in conto esercizio sono indicati separatamente nella voce A5 «altri ri-
cavi e proventi», come previsto dall’art. 2425 c.c.;
‒ i costi di acquisto di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci sono rilevati tra
i costi, alla voce B6, al lordo dei contributi in conto esercizio ricevuti;
‒ la variazione delle rimanenze di materie prime, semilavorati e prodotti finiti è indi-
cata nelle voci B11 o A2 al netto dei contributi ricevuti.

5.3.2. I metodi di determinazione del costo per i beni fungibili


Oltre alla determinazione del costo unitario, l’altra grande problematica insita nella
valutazione delle rimanenze è dovuta ai movimenti che le stesse subiscono nell’anno
(per acquisti, utilizzi, vendite), e quindi alla individuazione del criterio di rotazione del
magazzino.
La valutazione delle rimanenze di magazzino presupporrebbe l’individuazione e
l’attribuzione alle singole unità fisiche dei costi di acquisto o di produzione specifica-
mente sostenuti per le unità medesime. Tale individuazione ed attribuzione, però, non
è praticamente attuabile a causa dell’entità delle rimanenze e della loro velocità di ro-
tazione. Pertanto, dal punto di vista pratico vengono effettuate delle assunzioni sul
flusso delle rimanenze e dei costi cui corrispondono altrettanti metodi o criteri alterna-
tivi di determinazione del costo.

182
L’art. 2426, 1° comma, punto 10, c.c. dispone che il costo dei beni fungibili può es-
sere calcolato secondo una delle seguenti configurazioni 2:
 metodo della media ponderata;
 metodo «primo entrato, primo uscito»; terminologia anglosassone FIFO;
 metodo «ultimo entrato, primo uscito»; terminologia anglosassone LIFO;
sempre che la valutazione non venga e non possa convenientemente essere fatta a costi
specifici, cioè al loro effettivo costo d’acquisto (il che richiede l’esatta individuazione
delle rimanenze). La valutazione a costi specifici è invece obbligatoria per i beni infungi-
bili, ossia non sostituibili con altri della stesse specie (si pensi ad esempio ai quadri ed
agli oggetti artistici commercializzati da una galleria d’arte).
Per l’OIC 13 i tre metodi descritti sono ugualmente ammissibili.
Per uniformità di metodo la stessa configurazione di costo (LIFO, FIFO o medio
ponderato) è adottata per tutte le classi componenti le rimanenze di magazzino, salvo ca-
si particolari giustificati da circostanze specifiche di azienda. Potrebbe dunque succedere
che una società adotti il LIFO o il FIFO per le materie prime e il costo medio ponderato
per i prodotti. L’adozione di diversi metodi di valutazione per le diverse classi di giacen-
za è accettabile (OIC 13).
Il passaggio da uno ad altro dei suddetti criteri integra gli estremi di un cambiamento
di criteri di valutazione, soggetto alle limitazione civilistiche di cui al capitolo 2.
Metodo del costo medio ponderato
Di questo metodo l’OIC 13 presenta due alternative: quella cosiddetta «per perio-
do» e quella «per movimento». Si consideri in questo caso la variante più semplice,
quella «per periodo», che comporta il calcolo di una media dei prezzi di acquisto dei
beni ponderata per le quantità acquistate. Siccome la somma dei pesi corrisponde al
totale delle quantità acquistate nel periodo, tale metodo si risolve nel rapportare al to-
tale dei costi di acquisto del periodo la somma delle quantità acquistate nel periodo
stesso. Si consideri il seguente esempio:

2 I principi OIC, come applicazione del postulato della rilevanza informativa, consentono di mantene-
re ad un valore costante le scorte di quelle materie prime, sussidiarie o di consumo complessivamente di
scarso valore rispetto all’attivo patrimoniale e costantemente rinnovate, sempre che non si abbiano varia-
zioni sensibili nella loro entità, valore e composizione, onde semplificare le rilevazioni amministrative.
Tale è generalmente il caso delle scorte di cancelleria (materiale di consumo) o di materiale di consumo
indiretto impiegato nei processi di trasformazione tecnica-produttiva (lubrificanti, carburanti, piccoli ma-
teriali di consumo).

183
Tavola 1. – Esempio del metodo del costo medio ponderato per periodo

Data del movimento Quantità Prezzo Costo


di magazzino acquistate unitario in Quantità Quantità in
acquisto
(carico/scarico) (2) fattura (3) scaricate rimanenza
(2 × 3)
1° gennaio (rimanenza da 1.000 2 02.000 1.000
anno precedente)
2 aprile 2.000 3 06.000 3.000
3 maggio 0.800 2.200
4 giugno 3.000 4 12.000 5.200
10 settembre 1.200 4.000
31 dicembre (totali annui) 6.000 20.000 4.000

Il costo medio ponderato del periodo sarà pari a (2.000 + 6.000 + 12.000)/6.000 = 3,33;
per cui la rimanenza finale sarà pari a 3,33  4.000 = 13.320 €. Essendo 2.000 € il va-
lore delle rimanenze iniziali, la variazione delle rimanenze di materie inclusa nella vo-
ce B.11 del Conto Economico dell’esercizio sarà pari a (13.320 – 2.000) = 11.320 €
con segno «–» in quanto sarà riepilogata nell’area del costo della produzione 3.
Il metodo del costo medio ponderato «per movimento», rispetto a quello «per pe-
riodo», comporta la determinazione di un nuovo costo ponderato ogni qual volta si ve-
rifica un nuovo acquisto. Il costo medio ponderato così calcolato sarà utilizzato per va-
lorizzare gli scarichi immediatamente successivi. In tal modo ogni scarico può essere
valorizzato ad un costo significativo di recente formazione, diversamente da quanto
consentito dal metodo del costo medio per periodo. Sfruttando i dati contenuti nella
Tavola 1, il costo medio ponderato per movimento risulta dal prospetto seguente (Ta-
vola 2):

3 Generalmente il periodo coincide con l’esercizio amministrativo. Esso può consistere anche in pe-

riodi minori (trimestri, mesi, ecc.). In effetti la scelta di periodi lunghi fa sì che gli scarichi che avvengono
nel corso del periodo siano valorizzati al costo del precedente periodo oppure non siano valorizzati finché
non è disponibile il nuovo costo ponderato.

184
Tavola 2. – Esempio del metodo del costo medio ponderato per movimento

Data Quantità Costo unitario Ammontare Costo medio

1° gennaio (rimanenza anno 1.000 0000,2 2.000 2


precedente)
Acquisto 2 aprile 2.000 0000,3 + 6.000
Calcolo nuovo costo medio 3.000 = 8.000 8.000
= 2,66
3.000
Scarico 3 maggio – 800 0,02,66 – 2.133
Rimanenza 2.200 0,02,66 = 5.867
Acquisto 4 giugno 3.000 0000,4 + 12.000
Calcolo nuovo costo medio 5.200 = 17.867 17.867
= 3,4359...
5.200

Scarico 10 settembre 1.200 3,4359 – 4.123


Rimanenza 31 dicembre 4.000 3,4359 13.743

Supponendo che il valore di mercato sia maggiore, il valore delle rimanenze finali sarà
dunque 13.743 € con relativa variazione delle rimanenze pari a (13.743 – 2.000 =) 11.743 €
con segno «–» in quanto sarà riepilogata nell’area del costo della produzione. Compa-
rando le due varianti del metodo del costo medio, si può osservare che il criterio del
costo medio ponderato nella variante per movimento comporta un valore più alto delle
rimanenze (a livello unitario 3,44 contro 3,33). Tale risultato è giustificato dal fatto
che in tale metodo avviene una progressiva sostituzione delle quantità acquistate in
precedenza con quelle acquistate successivamente. In presenza di prezzi di acquisto
tendenzialmente crescenti, ciò porta ad un valore delle rimanenze superiore.
Metodo FIFO (primo entrato, primo uscito)
Tale metodo ipotizza una movimentazione delle rimanenze razionale e concreta, in
quanto si utilizzano o si vendono (e quindi si scaricano) quelle da più tempo disponibi-
li e restano quindi in magazzino le quantità relative agli acquisti o produzioni più re-
centi.
Riprendendo il prospetto di movimenti di materie mostrato nella Tavola 1, appli-
cando il FIFO il primo scarico di 800 si riferisce interamente alla rimanenza esistente
al 1/1 di 1.000 unità, mentre il secondo scarico di 1.200 unità va ricondotto alle 200
unità che ancora residuano della rimanenza iniziale e per le rimanenti 1.000 unità a
quanto acquistato in data 2/4. Ne consegue che al 31/12 la rimanenza di 4.000 unità
risulterà così formata:

185
1.000 ad un valore di 3 = 3.000 €
3.000 ad un valore di 4 = 12.000 €
__________________________________
valore rimanenze 15.000 € da cui valore unitario rimanenze
15.000/4.000 = 3,75 €
Supponendo che il valore di mercato sia maggiore, la variazione delle rimanenze
sarà pari a (15.000 – 2.000 =) 13.000 € con segno «–» in quanto sarà riepilogata
nell’area del costo della produzione.
Metodo LIFO (ultimo entrato, primo uscito) nella variante continua
Con il metodo LIFO si ipotizza che i beni in uscita dal magazzino siano quelli ac-
quistati per più recenti e che nel magazzino rimarranno quindi i beni entrati nei primi
periodi. Applicando tale regola all’esempio di movimenti mostrato nel caso 1, si può
osservare che il primo scarico di 800 deve essere riferito all’acquisto immediatamente
precedente compiuto in data 2/4, mentre il secondo scarico di 1.200 riguarda l’ac-
quisto immediatamente precedente compiuto in data 4/6.
Ne consegue che al 31/12 la rimanenza di 4.000 risulterà così formata:
1.000 ad un valore di 2 = 2.000 (rimanenza iniziale inalterata)
1.200 ad un valore di 3 = 3.600 (parte residua dell’acquisto del 2/4)
1.800 ad un valore di 4 = 7.200 (parte residua dell’acquisto del 4/6)
______________________________________________________
valore rimanenze 12.800 da cui valore unitario 12.800/4.000 = 3,2.

Supponendo che il valore di mercato sia maggiore, la variazione delle rimanenze


sarà pari a (12.800 – 2.000) = 10.800 € con segno «–» in quanto sarà riepilogata nel-
l’area del costo della produzione.
Considerando assieme i quattro metodi sopra esposti, si desume il seguente ordine:
Valore unitario rimanenze
 LIFO continuo 3,2
 Media ponderata per periodo 3,33
 Media ponderata per movimento 3,53
 FIFO 3,75
Si può dunque osservare che, usando i dati dell’esempio, la valutazione più pruden-
te è realizzata adottando il criterio LIFO che, in regime di prezzi crescenti, attribuisce
il valore più alto ai prelievi e il valore più basso alle rimanenze finali, essendo queste
valutate in base alle partite più remote. È del tutto logico che in una situazione di
prezzi in diminuzione si otterrebbe la valutazione più prudente applicando il criterio
FIFO in quanto le rimanenze sono valutate in base agli acquisti più recenti e quindi a
prezzi inferiori. Il LIFO conduce quindi generalmente ad una sottovalutazione delle
rimanenze nello Stato Patrimoniale. Al contrario, gli scarichi del magazzino, che av-
vengono al valore maggiore, determinano sul Conto Economico l’effetto contrario di
incrementare il costo del venduto. Proprio per segnalare questa potenziale sottovaluta-

186
zione e nel rispetto del postulato della chiarezza, l’art. 2426, 1° comma, n. 10, c.c. pre-
scrive che si indichi nella Nota Integrativa la differenza rispetto ai costi correnti, nel
caso in cui questi alla chiusura dell’esercizio divergano notevolmente dalla valutazio-
ne delle rimanenze ottenuta applicando non solo il metodo LIFO ma anche gli altri cri-
teri ammessi.
LIFO a scatti
Riguardo alla tenuta del magazzino, nelle aziende italiane era un tempo molto diffuso
il metodo del LIFO a scatti che rappresenta una variante del LIFO. Tale diffusione di-
pendeva dal fatto che la variante «a scatti» era il metodo secondo il quale l’ammini-
strazione finanziaria calcolava il valore minimo del magazzino ai fini della determina-
zione del reddito imponibile. Si parla di LIFO a scatti, in quanto il funzionamento è di-
verso dal LIFO continuo visto precedentemente: la valutazione viene fatta non gradual-
mente in base ad ogni movimento di entrata/uscita, ma soltanto a fine periodo.
Più nel dettaglio, nel primo esercizio la valutazione della quantità in rimanenza
viene effettuata applicando il costo medio ponderato di acquisto o fabbricazione riferi-
to allo stesso periodo. Nell’esercizio successivo è necessario verificare la quantità in
rimanenza e confrontarla con quello dell’esercizio precedente, poiché:
1. se è aumentata, la quantità preesistente viene valutata come l’esercizio precedente
mentre l’incremento («scatto») si valuta al costo medio ponderato dell’esercizio;
2. se è diminuita, invece si riduce proporzionalmente il valore delle rimanenze del-
l’esercizio precedente.
Negli esercizi successivi, nel caso di ulteriori aumenti, gli scatti positivi, valutati
con il costo medio ponderato dell’esercizio di formazione, si aggiungono alle quantità
preesistenti che restano inalterate come valore; nel caso invece di diminuzioni, si as-
sume che i decrementi riguardino gli scatti formatisi per ultimi a partire dal più recen-
te. Quindi si riduce il valore in base al costo medio ponderato delle partite più nuove,
fino ad arrivare alle più remote. È in questa particolarità che si ravvisa la logica LIFO.
Si supponga la seguente situazione:

Tavola 3. – Esempio del metodo LIFO a scatti

Costo medio ponderato


Esercizio Scatto a «quantità» Quantità in rimanenza
dell’esercizio
2014 100 + 200 200
2015 120 + 50 250
2016 130 – 60 190
2017 150 + 40 230

La valutazione nel primo esercizio avviene al costo medio ponderato e sarà pari a
200  100 = 20.000 €. Nel secondo esercizio lo scatto è positivo per 50 e limitatamen-

187
te ad esso si applica il nuovo costo medio ponderato. Quindi la valutazione delle 250
unità in rimanenza sarà pari a:
20.000 (quantità inalterata) +
50  120 (6.000, pari allo scatto del 2015) =
______________________________________
26.000 €
Nel terzo esercizio si è verificato uno «scatto» negativo e secondo la regola LIFO
tale riduzione deve attribuirsi agli scatti formatisi in precedenza a partire dal più recen-
te. Per cui il decremento di 60 deve attribuirsi per 50 allo scatto del 2015 e per la parte
residua, 10 unità, allo scatto del 2014. Consegue che la quantità di 190 alla fine del-
l’esercizio 2016 deve essere valutata al costo medio di 100, originatosi nel primo eser-
cizio, determinando un valore delle rimanenze di 19.000 €.
Nel quarto esercizio infine lo scatto è stato di nuovo positivo. Quindi alla quantità
di 19.000 ricevuta in eredità dal terzo esercizio, si aggiunge lo scatto di 40 unità valu-
tato al nuovo costo ponderato:
19.000 (quantità inalterata) +
40  150 (6.000, pari allo scatto del 2017) =
______________________________________
25.000 €
L’OIC 13 tuttavia riconosce che per rispettare la logica LIFO, l’incremento che si
verifica nel corso di un esercizio dovrebbe essere valutato non al costo medio
dell’esercizio stesso, bensì al costo dei primi carichi di magazzino, fino a concorrenza
della quantità incrementata. Questa seconda variante è meno diffusa della precedente 4.

5.3.3. Determinazione del valore di mercato ed eventuale svalutazione


Come sopra descritto, la regola per valutare le rimanenze di magazzino consiste
nella scelta del minore tra costo e valore di realizzazione desumibile dall’andamento
di mercato alla chiusura dell’esercizio (art. 2426, 1° comma, n. 9, c.c.).
L’OIC 13 specifica che per le materie prime di consumo e sussidiarie e per i semi-
lavorati di acquisto si deve prendere a riferimento il valore di mercato relativo ai pro-
dotti e ridurlo dei costi di completamento. Tale approccio implica che se vi sono mate-
rie costate 30 ma con prezzo di mercato di 20, ed il prezzo di realizzo dei prodotti è
60, con costi di trasformazione di 15, le materie non dovranno essere svalutate in
quanto il loro costo è inferiore al valore di realizzazione indiretto, derivante della sti-
ma del prezzo di vendita dei prodotti e dei costi di completamento. E ciò nonostante

4 Il documento invece non ammette il metodo NIFO (next in first out) secondo il quale gli scarichi

vengono valutati al prezzo di riacquisto in modo da avere un costo del venduto il più aggiornato possibile.
È possibile invece utilizzare criteri diversi per differenti classi di giacenze, ad esempio impiegando il LI-
FO per le materie ed il costo medio per i prodotti finiti.

188
che il prezzo di mercato delle materie sia 20 e quindi inferiore al costo. Nell’esempio
infatti il costo delle materie è 30 e il valore di realizzo indiretto è 60 – 15 = 45. Questo
approccio può esser criticabile perché si rinuncia ad usare un dato certo (il prezzo di
mercato delle materie alla chiusura dell’esercizio di 30) e si preferisce usare un dato
frutto di ulteriori ipotesi (il prezzo di vendita dei prodotti e il presunto costo di trasfor-
mazione). Tuttavia, secondo l’OIC 13, quando una diminuzione nel prezzo delle mate-
rie prime e sussidiarie indica che il costo dei prodotti finiti eccede il valore netto di
realizzazione desumibile dall’andamento del mercato dei prodotti finiti, le materie
prime e sussidiarie sono svalutate fino al valore netto di realizzazione. In tali circo-
stanze, il prezzo di mercato delle materie prime e sussidiarie può rappresentare la mi-
gliore stima disponibile del loro valore netto di realizzazione desumibile dall’anda-
mento del mercato.
La valutazione inoltre deve essere compiuta voce per voce, senza compensare le
svalutazioni relative ai beni che presentano un valore di realizzo inferiore al costo con
gli utili sperati relativi ai beni che si presume di poter vendere ad un valore superiore
al costo.
Se il bene deve essere svalutato in virtù del valore di mercato inferiore al costo, tale
valore di mercato non può essere mantenuto nei successivi bilanci se si ripristina la
condizione del valore di mercato superiore al costo. Contabilmente, se le materie in
rimanenza finale hanno un costo inferiore al loro valore di realizzo dovrà essere effet-
tuata una svalutazione in modo diretto, come minor valore delle rimanenze finali. Quin-
di la svalutazione materie va a detrazione del valore delle rimanenze esposte nell’attivo
patrimoniale mentre il costo per la svalutazione operata, a norma dell’OIC 12, deve es-
sere inserito nella voce B.11 del Conto Economico (variazione delle rimanenze di mate-
rie prime, sussidiarie e di consumo).
Se al termine dell’esercizio successivo gli stessi beni presentano un valore di mer-
cato di nuovo superiore al costo, allora la svalutazione deve essere eliminata, ripristi-
nando pertanto in bilancio il costo originario. Contabilmente il fondo svalutazione
precedentemente accreditato andrà stornato, rilevando in contropartita un componente
positivo di reddito nel Conto Economico, voce B.11, ma con segno «+».
Per cui supponendo che beni in magazzino dal costo di 100, presentino alla chiusura
dell’esercizio un valore di realizzo di 70, si tratterà di valutarli per 70. Contabilmente
ciò può essere realizzato rilevando direttamente rimanenze finali per 70, oppure rilevar-
le per 100 e iscrivere un fondo svalutazione (a fronte di un accantonamento a Conto
Economico) per 30. Se nell’esercizio successivo, fermo restando il costo dei beni a 100,
il valore di mercato recupera salendo a 92, si dovrà rivalutare di 22. Contabilmente ciò
può avvenire o rilevando direttamente rimanenze finali di 92 oppure, con rimanenze
finali di 100, riducendo il fondo per 22 a fronte di ricavo a Conto Economico.

5.4. Prodotti in corso di lavorazione e semilavorati


Secondo l’OIC 13 i semilavorati (che possono provenire tanto da acquisti all’ester-
no, quanto da produzione interna) hanno identità fisica definita, trattandosi di parti fi-

189
nite di produzione interna destinate ad essere utilizzate in un successivo processo pro-
duttivo mentre i prodotti in corso di lavorazione sono materiali e componenti in fase di
avanzamento non identificabili fisicamente in modo univoco. Da questo punto di vista,
ad esempio, semilavorati possono essere considerati per un’azienda del settore mobi-
liero dei pannelli che devono essere successivamente assemblati tra loro per comporre
il prodotto finito nelle fattezze richieste dal cliente con apposito ordine, mentre un
prodotto in corso di lavorazione sarebbe il pannello stesso non ancora terminato. Per
quanto riguarda la valutazione, i semilavorati di acquisto sono del tutto equiparabili
alle materie sopra esaminate. Per i prodotti in corso di lavorazione ed i semilavorati di
produzione, invece, si tratta di individuare classi di elementi che si trovano allo stesso
stadio del processo produttivo ed attribuire loro solo la parte di costi di produzione so-
stenuta fino a quel punto.
Anche per tali elementi si deve confrontare il costo col valore di realizzo al netto
dei costi ancora da sostenere, per scegliere il minore tra essi ed adottarlo nelle valuta-
zioni di bilancio.

5.5. Prodotti finiti

5.5.1. Formazione del costo unitario dei prodotti finiti


L’art. 2426, 1° comma, punto 1, c.c. dispone che «il costo di produzione compren-
de tutti i costi direttamente imputabili al prodotto. Può comprendere anche altri costi,
per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazio-
ne ...»; il legislatore dunque permette una valorizzazione a soli costi diretti, questo per
la facilità e la minor aleatorietà della stessa, anche se poi ha concesso facoltà di appli-
care una valutazione a costi pieni con l’imputazione dei costi indiretti. Nell’OIC 13
invece si raccomanda la valutazione al costo industriale (quindi comprensivo dei costi
indiretti industriali), per evitare una sottovalutazione delle rimanenze.
La determinazione del costo dei prodotti in rimanenza è un processo che avviene
nella pratica in due fasi.
Nella prima fase si procede al calcolo del costo industriale diretto (comprendente
materiali, e componenti, manodopera diretta, lavorazioni esterne, imballaggi), gene-
ralmente utilizzando la distinta base produttiva come documento che esplicita per ogni
codice di prodotto i consumi di fattori produttivi diretti. Nella seconda fase si imputa-
no i costi industriali indiretti. Il Codice Civile ammette che gli «altri costi» (quelli in-
diretti), possano essere compresi nel costo di produzione per la quota ragionevolmente
imputabile, senza offrire altre indicazioni, oltre il generico rinvio alla «ragionevolezza»,
sulle modalità di attribuzione dei costi indiretti ai prodotti in giacenza.
L’OIC 13 offre interessanti elementi per l’identificazione dei costi indiretti «ragio-
nevolmente» imputabili e di quelli che non devono essere imputati. Si tratta di deter-
minare quali costi indiretti (che l’OIC definisce anche come «costi generali industria-
li») hanno contribuito a portare le giacenze di magazzino nel luogo e nelle condizioni
in cui sono nel momento considerato e quali non vi hanno contribuito. I primi concor-

190
rono a far parte dei costi di trasformazione, i secondi vanno esclusi. Gli oneri indiretti
da considerare secondo l’OIC riguardano quindi esclusivamente quelli attinenti alla
funzione industriale-manifatturiera quali ammortamenti industriali, manodopera indi-
retta industriale, materiali di consumo, manutenzioni, ecc.
L’OIC 13 dispone anche che l’imputazione ai singoli prodotti dei costi fissi genera-
li industriali deve avvenire sulla base di criteri usuali (ore manodopera diretta, ore im-
pianti, ecc.) ma evitando di imputare il costo della capacità non utilizzata che non
avendo contribuito alla fabbricazione del prodotto deve essere inviata come costo di
periodo a Conto Economico senza essere sospesa come costo tra le rimanenze di ma-
gazzino. In caso contrario si sopravvaluterebbe il costo dei prodotti a magazzino. Per-
tanto la ripartizione dei costi generali fissi industriali sui prodotti deve compiersi utiliz-
zando un livello normale di produzione, che si prevede di realizzare in media in futuro.
Ad esempio dovendo ripartire costi fissi industriali quali ammortamenti di macchi-
nari per un totale di 1.000, e scegliendo le ore-macchina quale base di attribuzione, si
deve stimare il volume normale di ore-macchina producibile dallo stabilimento. Sup-
ponendo che la capacità effettivamente usata nell’ultimo periodo sia di 400 ore mac-
china e che quella massima teoricamente raggiungibile sia di 800 ore, l’azienda stima
che il volume normalmente producibile considerando le prospettive di mercato sia di
500 ore. In questo modo il costo fisso per ammortamenti per ogni ora-macchina sarà
di 2 (1.000/500). Per cui se un prodotto assorbe 10 ore macchina, il costo unitario del
prodotto assorbirà 20 quale costo fisso unitario per ammortamenti. Se fosse usato il vo-
lume effettivo il costo fisso unitario per ammortamenti sarebbe stato di 25 (1.000/400),
sopravvalutando il costo a magazzino di 5 (25 – 20).
L’OIC 13 specifica che nel caso di utilizzo della capacità produttiva oltre il livello
considerato normale, la ripartizione dei costi generali fissi sui prodotti avviene sulla
base della capacità produttiva effettiva, al fine di evitare che il valore delle rimanenze
risulti superiore al costo sostenuto.
Rimarranno invece escluse dal costo di produzione le seguenti classi di costi indiretti:
costi di distribuzione commerciale: la loro esclusione è stabilita dallo stesso Co-
dice Civile (art. 2426, 1° comma, n. 9) ed è comunque giustificata dal fatto che essi
non sono stati sostenuti per portare le giacenze di magazzino «in quello stato ed in
quel luogo», come prescrive la regola generale, dal momento che la fase di vendita se-
gue quella di stoccaggio;
costi di ricerca e sviluppo: poiché concernono produzioni future, la loro attribu-
zione trova un ostacolo nella mancata verifica del requisito della competenza. L’OIC
13 ammette solo che le spese di progettazione dovute a specifici ordini di clienti pos-
sono confluire nel costo di produzione;
costi amministrativi: essi sono esclusi in quanto «non specificamente sostenuti
per portare le rimanenze al loro sito e condizione» ma riguardanti l’azienda nel suo
complesso e aventi natura ricorrente;
oneri straordinari: dovuti a perdite, furti, incendi, ecc. In questo caso la loro esclu-
sione è agevolmente comprensibile tenendo conto che si tratta di costi che non hanno
determinato alcuna utilità per la produzione;

191
oneri finanziari: la loro esclusione dipende da varie circostanze. In primo luogo
emergono delle difficoltà di calcolo, relative alla determinazione della quota di oneri
di competenza di ciascun prodotto, che richiederebbe la conoscenza dell’investimento
medio in attività fisse e circolanti relative al prodotto stesso e nella scelta di un tasso
adeguato. Tale computo implica la definizione di ipotesi molto articolate e spesso
molto discrezionali. In secondo luogo vale il principio che le scelte di natura finanzia-
ria non devono incidere sul costo industriale di produzione. Si pensi ad esempio a due
aziende caratterizzate dallo stesso capitale investito, stesso processo produttivo e stes-
so volume di rimanenze di prodotti ma dotate di strutture finanziarie ben diverse: la
prima finanziata interamente col debito, la seconda con mezzi propri. È evidente che,
se fosse permessa la capitalizzazione degli oneri finanziari, la prima azienda si trove-
rebbe ad includere nel magazzino degli interessi passivi che la seconda invece non ha
sostenuto, perlomeno a livello effettivo.
La capitalizzazione degli oneri finanziari è ammessa solo con riferimento a beni
che richiedono un periodo di produzione significativo, come nel caso di liquori o ge-
neri alimentari che richiedono mesi se non anni per la maturazione o l’invecchia-
mento. Il limite della capitalizzazione degli oneri finanziari è rappresentato dal valore
realizzabile del bene desumibile dall’andamento del mercato: Per un esempio di impu-
tazione degli oneri finanziari si veda il cap. 4 sulle Immobilizzazioni materiali”.
Ne consegue che la configurazione del costo di produzione accettata dall’OIC 13
consiste nel costo effettivo industriale dato dalla somma dei costi diretti e dei costi in-
diretti riguardanti esclusivamente la funzione tecnico-manifatturiera. Tuttavia, secon-
do l’OIC 13, possono essere impiegate per praticità tecniche di determinazione del co-
sto delle rimanenze, quali il metodo dei costi standard, del prezzo al dettaglio e del va-
lore costante, se i risultati approssimano il costo effettivo delle rimanenze.
In questo senso:
‒ i costi standard approssimano il costo effettivo delle rimanenze quando considera-
no livelli normali di efficienza e di capacità produttiva, sono regolarmente sottopo-
sti a revisione e riveduti alla luce delle condizioni effettive del momento;
‒ il metodo del prezzo al dettaglio approssima il costo effettivo delle rimanenze
quando si valutano rimanenze di grandi quantità di beni soggetti a rapido rigiro con
margini di importo simile e per le quali è particolarmente difficoltosa l’adozione di
altri metodi di calcolo del costo. Il costo delle rimanenze viene determinato de-
traendo dal valore di vendita delle rimanenze una adeguata percentuale di margine
lordo;
‒ il metodo del valore costante si applica alle materie prime, sussidiarie e di consumo
qualora siano costantemente rinnovate e complessivamente di scarsa rilevanza ri-
spetto all’attivo di bilancio. Tale metodo approssima il costo effettivo delle rima-
nenze quando non si hanno variazioni sensibili nell’entità, valore e composizione
di tali rimanenze.

192
5.5.2. Determinazione del costo complessivo dei prodotti in rimanenza
Una volta calcolato il costo unitario dei prodotti, in presenza di fungibilità degli
stessi, si devono applicare i criteri di stima del flusso fisico per determinare il costo
complessivo delle rimanenze.
I metodi impiegabili sono gli stessi osservati per le rimanenze di materie: FIFO,
LIFO, costo medio ponderato e relative varianti. È possibile usare criteri diversi tra
materie e prodotti, anche se questo è sconsigliato. Per le esemplificazioni rinviamo
agli esempi descritti in precedenza avendo riguardo a sostituire al prezzo di acquisto il
costo unitario di produzione.
Diversamente dal caso delle materie sopra esaminato, i costi elementari dei prodotti
non derivano da fatture, ma dai risultati della contabilità dei costi, che fornisce gene-
ralmente su base mensile il costo medio di produzione di ciascun prodotto fabbricato.
Pertanto, l’applicazione dei metodi di movimentazione del flusso fisico si baserà
avendo come dato il costo medio di produzione ottenuto per gli intervalli di tempo su
cui è articolato l’output della contabilità industriale ed i movimenti del magazzino rie-
pilogati con uguali intervalli temporali.

5.5.3. Il valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato


Come sopra descritto, la regola per valutare le rimanenze di magazzino consiste
nella scelta del minore tra costo e valore di realizzazione desumibile dall’andamento
di mercato (art. 2426, 1° comma, n. 9, c.c.). In sostanza, ciò significa stabilire che la
valutazione non può essere superiore al valore recuperabile tramite la vendita (per i
prodotti finiti) o l’utilizzo interno (per le materie).
Interpretando il senso della espressione civilistica «valore di realizzazione desumi-
bile dall’andamento di mercato», l’OIC 13 ritiene che per i prodotti finiti il valore di
mercato coincide con il valore netto di realizzo, cioè con il prezzo di vendita al netto
di costi di completamento e distribuzione ancora da sostenere nella misura in cui sono
prevedibili. Il valore netto di realizzo, per quanto possibile, tiene conto delle specifi-
che circostanze di realizzo della produzione. Così, se un certo bene è prodotto su spe-
cifico ordine di un cliente, il valore di realizzo (limitatamente alla quantità oggetto del-
l’ordine) coincide con quello dell’ordine del cliente, se confermato.
La valutazione inoltre deve essere compiuta voce per voce, senza compensare le svalu-
tazioni relative ai beni che presentano un valore di mercato inferiore al costo con gli utili
sperati relativi ai beni che si presume di poter vendere ad un valore superiore al costo.
Se il bene deve essere svalutato in virtù del valore di mercato inferiore al costo, tale
valore di mercato non può essere mantenuto nei successivi bilanci se si ripristina la
condizione del valore di mercato superiore al costo. Contabilmente si applica la stessa
logica descritta in precedenza esaminando le materie.
Come casi particolari l’OIC 13 specifica che:
 in presenza di ordini di vendita confermati con prezzo prefissato si utilizza tale
prezzo per la determinazione del valore di realizzazione desumibile dall’andamento

193
del mercato. Per cui, le quantità in giacenza relative a ordini di vendita confermati
con prezzo prefissato restano valutate al costo, nonostante un declino dei prezzi, in
quanto è ragionevolmente certo che i prezzi concordati saranno rispettati;
 per i materiali obsoleti e i materiali a lento movimento, ossia in eccesso rispetto ad
una giacenza «normale», è lecito ipotizzare un valore di realizzo «di svendita», tenu-
to conto delle probabili difficoltà di collocazione sul mercato a condizioni normali.

5.6. Merci

Le merci sono beni di sola commercializzazione, il cui acquisto è documentato da


fattura. Ne consegue che ai fini della determinazione del costo per le valutazioni di bi-
lancio, si pongono gli stessi problemi esaminati per le materie. In senso contrario, per
la determinazione del valore di mercato con cui confrontare tale costo, valgono le stes-
se considerazioni osservate per i prodotti.
In aggiunta ai criteri già descritti, un criterio specifico di valutazione applicabile
solo alle merci è dato dal «metodo del dettaglio», menzionato dal legislatore fiscale. Va-
lutando la prassi amministrativa, tale metodo è finalizzato a determinare il valore delle
rimanenze finali senza procedere ad inventario fisico delle medesime. Ne consegue
che tale metodo semplifica le procedure amministrative delle aziende commerciali, ca-
ratterizzate da ampie scorte e con elevata rotazione.
Nella sostanza il metodo del dettaglio si basa sulle seguenti fasi:
1. determinazione del costo di acquisto delle singole categorie di merci;
2. espressione delle merci acquistate al prezzo di vendita;
3. calcolo dell’incidenza media del costo sul ricavo rapportando i dati di cui sub 1 e 2;
4. calcolo degli incassi riferiti alle merci acquistate;
5. sottrazione dalle merci acquistate (valorizzate ai prezzi di vendita) degli incassi ri-
feriti agli stessi beni; si ottiene così la rimanenza valorizzata a prezzi di vendita;
6. uso della percentuale di ricarico di cui al punto 3 per esprimere la rimanenza finale
al costo di acquisto.
In questo modo, senza usare i dati riferiti alle quantità fisiche (vendute o in rima-
nenza finale), è possibile stimare un approssimativo costo medio di acquisto da impie-
gare per la valutazione delle rimanenze finali. Si supponga ad esempio che per una ca-
tegoria di beni omogenea per natura e per valore vi siano i seguenti movimenti nel pe-
riodo (Tavola 4).

194
Tavola 4. – Movimenti per una categoria di beni omogenea per natura e valore

Carico Scarico

Valorizzazione Valorizzazione
Data Quantità al costo al ricavo Data Incasso
Unitario Totale Unitario Totale
1/1 20 10 200 14 280 10/2 260
10/3 30 12 360 15 450 25/6 340
20/9 40 15 600 18 720 30/9 800
Totale 1.160 1.450 1.400

 Calcolo incidenza media costi su ricavi: 1.160/1.450 = 0,8 = 80%;


 Calcolo rimanenze valutate a ricavo: 1.450 – 1.400 = 50 €;
 Espressione rimanenze al costo: 50 €  80% = 40 €.

5.7. Lavori in corso su ordinazione


Il Codice Civile nell’attivo dello Stato Patrimoniale (art. 2424 c.c.) al numero I del-
la lett. C) «attivo circolante», entro la classe delle «rimanenze», prevede al numero 3
la voce «lavori in corso su ordinazione». La variazione delle rimanenze di tali elemen-
ti appare nella voce A.3 della schema civilistico del Conto Economico. Il Codice Civi-
le stabilisce inoltre all’art. 2426, 1° comma, n. 11, che la valutazione dei lavori in cor-
so su ordinazione «può avvenire sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con
ragionevole certezza».
Secondo quanto disposto dall’OIC 23, «un lavoro in corso su ordinazione (o com-
messa) si riferisce a un contratto, di durata normalmente ultrannuale, per la realizza-
zione di un bene (o una combinazione di beni) o per la fornitura di beni o servizi non
di serie che insieme formino un unico progetto, ovvero siano strettamente connessi o
interdipendenti per ciò che riguarda la loro progettazione, tecnologia e funzione o la
loro utilizzazione finale. I lavori su ordinazione sono eseguiti su ordinazione del com-
mittente secondo le specifiche tecniche da questi richieste».
La qualifica di lavori in corso su ordinazione deriva quindi dalla presenza di alcune
caratteristiche fondamentali:
 carattere formale: deve esistere un apposito contratto (di appalto, di vendita di cosa
futura, ecc.) stipulato con il committente;
 durata: la durata delle attività derivanti è normalmente ultrannuale;
 oggetto: realizzazione di opere (beni o servizi) risultanti da unico progetto, eseguite
su ordinazione del committente, secondo le specifiche tecniche da questo richieste.

195
Il principio contabile dunque precisa come elementi qualificanti l’ordinazione spe-
cifica dell’opera da parte del committente e la fissazione da parte di quest’ultimo delle
caratteristiche tecniche dell’opera stessa. Tali elementi devono risultare da apposito
contratto nel quale saranno contenute la varie clausole disciplinanti i diversi aspetti del
rapporto commerciale, tra le quali, in primis il corrispettivo pattuito.
Al contrario, la durata non rappresenta un elemento discriminante, nel senso che
possono esistere anche lavori in corso su ordinazione aventi durata inferiore all’anno,
sebbene siano meno frequenti. La maggiore o minore durata condizionerà entro certi
limiti i criteri di valutazione, come più avanti esaminato, ma non influisce sulla quali-
ficazione di dette rimanenze come lavori in corso su ordinazione.
Nello stesso senso non discrimina la natura dell’oggetto del contratto. Essa può
consistere in un bene materiale (nave, strada, ponte, edificio, ecc.) o immateriale (si
pensi alla predisposizione di un software specifico per le esigenze del cliente) o in un
servizio (come una consulenza aziendale). L’aspetto determinante invece risiede nel
fatto che le caratteristiche tecniche di detto oggetto derivino da specifiche del commit-
tente, tali da richiedere un progetto unico e non destinato a sviluppare una produzione
di serie.
Per l’OIC 23 è possibile individuare due tipi di contratti di commessa, quelli a a
corrispettivo predeterminato e quelli con corrispettivo basato sul costo consuntivo più
il margine.
Nei contratti a corrispettivo predeterminato, l’appaltatore si impegna ad eseguire
l’opera ad un prezzo predeterminato. Per limitare i rischi, tale prezzo può essere ogget-
to di clausole di revisione per adeguarlo ad aumenti dei relativi costi. Altri motivi tipi-
ci che portano ad una variazione del prezzo possono essere, ad esempio, la richiesta di
modifiche all’originario progetto da parte del committente, regolamentato da un appo-
sito atto aggiuntivo (ad esempio, varianti in corso d’opera) o l’adeguamento ex lege
(art. 1664 c.c.).
Nei contratti con corrispettivo basato sul costo consuntivo più il margine, il prezzo
dell’opera è determinato dai costi sostenuti, specificamente previsti dal contratto,
maggiorati di una percentuale dei costi stessi a titolo di recupero di spese generali e di
altre spese non specificamente rimborsabili, oltre che del profitto, ovvero di un impor-
to fisso. In entrambi i casi, la determinazione del margine è stabilita contrattualmente.

5.7.1. Metodo della «percentuale di completamento» e della «commessa com-


pletata»
Il Codice Civile stabilisce, in deroga alla regola generale del minore tra costo e va-
lore di mercato valida per le rimanenze di magazzino, che la valutazione dei lavori in
corso su ordinazione può essere fatta «in base ai corrispettivi pattuiti». Questa opzio-
ne, conosciuta come «metodo della percentuale di completamento», costituisce una ri-
levante eccezione rispetto alla regola del costo. In effetti essa, in massima sintesi, con-
siste nel valutare la costruzione in corso ad una percentuale del prezzo di vendita fina-
le, percentuale determinata dallo stato di avanzamento delle lavorazioni.

196
Tramite il metodo della percentuale di completamento si riconosce ad ogni eserci-
zio una quota del ricavo pattuito a contratto, facendo in modo di distribuire il margine
reddituale derivante dalla commessa lungo tutti gli esercizi nei quali si è protratta la
costruzione del bene, in proporzione alla parte di lavoro svolto nell’esercizio. Con il
criterio della commessa completata invece tale margine è riconosciuto solo nel mo-
mento in cui vi è la cessione definitiva, coerentemente con il criterio della realizzazione.
Il metodo della commessa completata comporta pertanto una sensibile irregolarità
dei risultati reddituali in quanto l’intero margine viene riconosciuto in un unico eserci-
zio, quello della cessione dell’opera. Si comprende perciò come, applicando il metodo
della commessa completata, la comparabilità dei risultati di periodo venga disattesa e
proprio tale circostanza ha presumibilmente indotto a postergare la logica della realiz-
zazione dei ricavi. Analoga influenza deve essere ascritta anche al concetto sistemico
tipico della dottrina italiana, secondo il quale al reddito contribuiscono non solo i cicli
conclusi ma anche quelli in corso di svolgimento (Galassi, 1967). È questo uno dei ca-
si nei quali si preferisce non portare agli estremi l’applicazione rigida della logica pru-
denziale, che vorrebbe l’applicazione del criterio della commessa completata.

BOX 26 – Il diverso impatto dei due metodi di valutazione dei lavori in corso su ordinazione
Per esemplificare il diverso impatto dei due metodi, si supponga che nel 2014 l’azienda abbia stipula-
to un contratto di costruzione di un edificio pattuendo con il cliente un compenso di 1.000, e che i costi
di costruzione ammontino a 800, perciò con un margine di commessa stimato inizialmente di 200. Si sup-
ponga che a fine 2014 i costi sostenuti dall’inizio della costruzione siano di 200 (25% dei costi totali), a
fine 2015 siano 640 (80% dei costi totali) e che il termine della costruzione e la vendita avvengano rego-
larmente nel 2016. Si ipotizzi inoltre che la valutazione con il metodo della percentuale di completamento
avvenga in proporzione alla percentuale di costi sostenuti fino a quel momento. Si suppone inoltre che
tutti i costi di produzione siano serviti per fabbricare quell’unica commessa e non vi siano altri ricavi. I pro-
spetti successivi mostrano i diversi impatti dei due metodi sui prospetti di bilancio.

Metodo della percentuale Metodo della commessa


di completamento completata
Conto Economico 2014 Conto Economico 2014

A.3 Variazione lavori in corso su ordinazione A.3 Variazione lavori in corso su ordinazione
RF (1.000  25%) – RI 0 = 250 RF 200 – RI 0 = 200

B. Costo della produzione 200 B. Costo della produzione 200


da cui, indirettamente, margine da cui, indirettamente, margine
di commessa 50 di commessa 000

Stato Patrimoniale 2014 Stato Patrimoniale 2014

C.I.3. Lavori in corso C.I.3. Lavori in corso


su ordinazione 250 su ordinazione 200

197
Conto Economico 2015 Conto Economico 2015

A.3 Variazione lavori in corso su ordinazione A.3 Variazione lavori in corso su ordinazione
RF (1.000  80%) – RI 250 550 RF 640 – RI 200 = 440

B. Costo della produzione 440 B. Costo della produzione 440

da cui, indirettamente, margine da cui, indirettamente, margine


di commessa 110 di commessa 000

Stato Patrimoniale 2015 Stato Patrimoniale 2015

C.I.3. Lavori in corso C.I.3. Lavori in corso


su ordinazione 800 su ordinazione 640

Conto Economico 2016 Conto Economico 2016

A.1 Ricavi di vendita 1.000 A.1 Ricavi di vendita 1.000


A.3 Variazione lavori in corso su ordinazione A.3 Variazione lavori in corso su ordinazione
RF 0 – RI 800 = – 800 RF 0 – RI 640 = – 640

B. Costo della produzione 160 B. Costo della produzione 160

da cui, indirettamente, margine da cui, indirettamente, margine


di commessa 40 di commessa 200

Stato Patrimoniale 2016 Stato Patrimoniale 2016

C.I.3. Lavori in corso C.I.3. Lavori in corso


su ordinazione 0 su ordinazione 0

È evidente come il metodo del costo posticipa l’incidenza a Conto Economico del margine di com-
messa solo nell’esercizio in cui avviene la vendita, mentre il metodo della percentuale di completamento
ripartisce tale margine su tutti gli esercizi in cui vi è stata produzione, attribuendo ad ogni esercizio una
percentuale del margine di commessa pari alla percentuale di avanzamento delle lavorazioni compiuta
nello stesso esercizio (nel 2014 il 25% di 200, nel 2015 il 55% di 200, nel 2016 il 20% di 200).

L’OIC 23 esprime una netta preferenza per il criterio della percentuale di comple-
tamento in quanto «permette di raggiungere in modo corretto l’obiettivo della contabi-
lizzazione per competenza economica dei lavori in corso su ordinazione di durata ul-
trannuale». Tuttavia, tale criterio è da utilizzare solo quando sia possibile riscontrare le
seguenti circostanze:
1. esiste un contratto vincolante per le parti che ne definisca chiaramente le obbliga-
zioni e, in particolare, il diritto al corrispettivo per l’appaltatore;
2. il diritto al corrispettivo per la società che effettua i lavori matura con ragionevole
certezza via via che i lavori sono eseguiti; in particolare, secondo l’OIC 23, il corri-

198
spettivo può, ad esempio, considerarsi maturato quando il contratto garantisce alla
società che effettua i lavori, in caso di recesso del committente, il diritto al risarci-
mento dei costi sostenuti ed un congruo margine;
3. non sono presenti situazioni di incertezza relative a condizioni contrattuali o fattori
esterni di tale entità da rendere dubbia la capacità dei contraenti a far fronte alle pro-
prie obbligazioni (ad esempio, l’obbligo dell’appaltatore nel completare i lavori);
4. il risultato della commessa (margine) può essere attendibilmente misurato. Tale
circostanza nei contratti a prezzo determinato implica che i ricavi di commessa sia-
no attendibilmente determinabili ed il loro incasso sia ragionevolmente certo, e che
i costi di commessa siano già noti a consuntivo o determinabili attendibilmente se
ancora da sostenere; per i contratti a margine garantito è sufficiente che i costi di com-
messa attribuibili al contratto possano essere identificati con chiarezza e determina-
ti con attendibilità e l’incasso dei ricavi ragionevolmente certo.
Se non sono soddisfatte tali condizioni, la valutazione dei lavori è effettuata secon-
do il criterio della commessa completata.
In ogni caso, l’OIC 23 ammette l’applicabilità del criterio della commessa comple-
tata anche quando le commesse hanno durata infrannuale, perché «non genera anda-
menti irregolari nei risultati d’esercizio».
Una volta scelto, il metodo deve adottarsi per tutte le commesse e, ai sensi dell’art.
2423 bis c.c., può essere variato solo in presenza di casi eccezionali tali da rendere ne-
cessario il cambiamento per consentire la veritiera e corretta rappresentazione in bi-
lancio (con specificazione in nota dell’impatto economico-finanziario di tale variazio-
ne). È possibile comunque la coesistenza dei due metodi nei seguenti casi:
1. adozione della percentuale di completamento per le commesse i cui costi e ricavi
sono stimabili con attendibilità e del metodo della commessa completata per le
commesse soggette ad incertezze di stima;
2. adozione della percentuale di completamento per le commesse pluriennali e della
commessa completata per le commesse infrannuali.

5.7.2. Fatturazioni, stati di avanzamento e anticipi


Tenuto conto del rilevante impegno finanziario che la realizzazione di commesse
spesso comporta per il costruttore, è usuale che nei contratti sia prevista:
‒ la fatturazione di anticipi ai committenti generalmente prima dell’inizio o all’inizio
dei lavori oppure in corso d’opera, non necessariamente determinati in funzione del
valore dei lavori eseguiti;
‒ la liquidazione del ricavo di vendita in rate anziché in unica soluzione finale al
completamento definitivo della commessa. Spesso la liquidazione di tale rate av-
viene al raggiungimento di determinati stati di avanzamento lavori (S.A.L.) ove il
committente verifica l’effettuazione del ricavo e accetta la fattura quale liquidazio-
ne a titolo definitivo di una parte del ricavo complessivo dell’opera da parte del
committente.

199
Dal punto di vista contabile, i crediti per fatture emesse per anticipi, acconti o cor-
rispettivi acquisiti a titolo definitivo sono iscritti nell’attivo circolante alla voce C.II.1
«verso clienti» o alle successive voci 2, 3 e 4, se verso controllate, collegate e control-
lanti. In contropartita all’iscrizione del credito,
‒ quando si tratta di anticipi e acconti acquisiti a titolo non definitivo, si rileva una
passività alla voce dei debiti D6 «acconti»;
‒ quando trovano corrispondenza con il valore dei lavori eseguiti, sono imputati a ri-
cavo (voce A1 «ricavi delle vendite e delle prestazioni» del Conto Economico) nei
limiti di tale valore se vi è la certezza che il ricavo maturato sia definitivamente ri-
conosciuto all’appaltatore, ad esempio per accettazione della fattura da parte del
cliente quale liquidazione di un S.A.L.
Quindi per l’OIC 23 i corrispettivi fatturati confluiscono nella voce A1 «ricavi del-
le vendite e delle prestazioni» del Conto Economico ma se tale importo supera il valo-
re dei lavori eseguiti, si invierebbe a Conto Economico una quota di ricavi non di
competenza, in quanto non maturata nell’esercizio. Per cui in tal caso si tratterà di ret-
tificare riducendolo il ricavo iscritto a Conto Economico. A titolo di esempio, si sup-
ponga che il costruttore emetta fattura per 100 (prescindendo da IVA) quale anticipo a
titolo definitivo, quando però i ricavi per produzione effettivamente realizzata sono
80. In tal caso le scritture contabili saranno le seguenti:

Fatturazione dell’anticipo a titolo definitivo

Crediti verso clienti (S.P.) 100


Ricavi di vendita (C.E.) 100

Storno del ricavo non di competenza in quanto non realizzato

Ricavi di vendita (C.E.) 20


Anticipi da clienti (S.P.) 20

5.7.3. Metodo della percentuale di completamento


Preventivazione dei ricavi previsti dal contratto
Il primo passo per la valutazione delle rimanenze secondo il metodo della percen-
tuale di completamento consiste nello stimare i ricavi complessivamente derivanti dal-
la commessa. Tale stima dovrà essere compiuta inizialmente e quindi rivista periodi-
camente. Il prezzo stabilito a contratto può essere fisso, oppure stabilito con la tecnica
del costo consuntivo più un margine di profitto e di copertura spese generali. È evi-
dente che il secondo tipo di corrispettivo impone una maggiore correlazione tra costi e
ricavi fin dalla preventivazione.
Oltre al prezzo base, saranno componenti del ricavo di commessa anche:
‒ la revisione prezzi, quale maggiorazione dei ricavi in base a formule o indici espres-

200
samente previsti dal contratto per il riconoscimento, da parte del committente o di
terzi, di un ammontare a titolo di rimborso del maggior onere derivante dall’au-
mentato costo di alcuni fattori produttivi;
‒ i ricavi per varianti formalizzate, intese derivanti da richieste del committente che
modificano l’oggetto del lavoro originario che deve essere svolto in base al contratto;
‒ gli incentivi previsti contrattualmente al raggiungimento di determinati obiettivi.
Gli incentivi sono inclusi nei ricavi di commessa solo nel caso in cui l’obiettivo è
raggiunto e comprovato da accettazione del committente entro la data del bilancio,
ovvero, pur in assenza di una formale accettazione, alla data del bilancio è alta-
mente probabile che l’incentivo sia raggiunto e accettato sulla base delle più re-
centi informazioni e dell’esperienza storica;
‒ gli altri proventi accessori (ad esempio, i proventi derivanti dalla vendita di ecce-
denze di materiali non utilizzati o dalla dismissione di impianti e attrezzature al
termine della commessa);
‒ altre rettifiche di prezzo stabilite con patti aggiuntivi.
Invece i componenti di ricavo derivanti da richieste del costruttore di corrispettivi ag-
giuntivi (claims) per maggiori oneri sostenuti per cause imputabili al committente o mag-
giori lavori eseguiti o varianti di lavori non formalizzate in atti aggiuntivi, devono essere
contabilizzati prudenzialmente, imputandoli agli esercizi in cui la loro manifestazione sia
ragionevolmente certa, atteso che vengono normalmente riconosciuti in modo definitivo
solo in tempi lunghi per la risoluzione degli eventuali contraddittori con il committente.
Preventivazione dei costi di commessa
Come fase successiva, si tratta quindi di predisporre un preventivo di costo, distinto
nelle diverse fasi di articolazione dei lavori. Prima della stipulazione del contratto vie-
ne normalmente redatto un preventivo di massima, successivamente dettagliato quan-
do le due parti stipulano il contratto definitivo. Quindi il preventivo dovrà essere rivi-
sto periodicamente in funzione dei nuovi fatti emergenti a seguito dell’avanzamento
dei lavori. La preventivazione dovrà considerare anche l’impatto dell’inflazione sul-
l’ammontare futuro dei singoli elementi di costo.
In relazione alla commessa, i costi si distinguono secondo diversi criteri, che devo-
no condurre a classificazioni separate nelle rilevazioni amministrative dell’azienda co-
struttrice. Il criterio di classificazione si basa sul momento di sostenimento dei costi. Si
individuano pertanto i costi per l’acquisizione della commessa, i costi pre-operativi, i
costi di esecuzione della commessa ed i costi di smobilizzo.
 I costi per l’acquisizione della commessa (costi per partecipazione alla gara, studi
di fattibilità, ecc.) sono normalmente da escludere dal computo dei costi di com-
messa e andranno pertanto spesati nell’esercizio di sostenimento 5.

5 Tuttavia l’OIC 13 ammette la loro inclusione tra i costi pre-operativi se sono specificamente riferiti

alla commessa e la commessa sia assegnata prima della redazione del bilancio dell’esercizio in cui tali
costi sono sostenuti (oppure la data di assegnazione sia stimabile con ragionevole certezza) e se il costo
sia ricuperabile con il margine di commessa.

201
 I costi pre-operativi sono quelli sostenuti dopo l’acquisizione del contratto ma pri-
ma dell’inizio lavori (progettazione, predisposizione e organizzazione del cantie-
re). Tali costi, se si usa il metodo della percentuale di completamento, sono con-
siderati costi di commessa, partecipando alla formazione dei costi totali di com-
messa ai fini della valutazione dei lavori in corso su ordinazione e concorrendo al-
la formazione del margine di commessa in funzione dell’avanzamento dei lavori
determinato con le modalità previste per l’applicazione del criterio della percen-
tuale di completamento. Se si usa invece il criterio della commessa completata, es-
si sono calcolati direttamente come costi di commessa.
 I costi di esecuzione della commessa sono distinti in costi diretti di commessa dai
costi indiretti. Nella valutazione si dovrà tener conto dei costi diretti e della quota
ragionevolmente imputabile di quelli indiretti (costi generali di produzione e di
progettazione ragionevolmente attribuibili alla commessa). Sono considerati costi
di esecuzione della commessa ogni altro costo addebitabile al committente sulla
base delle clausole contrattuali.
 I costi successivi alla chiusura della commessa possono derivare da attività con-
nesse allo smobilizzo del cantiere, al collaudo delle opere eseguite o alla manuten-
zione periodica dell’opera stessa. A norma dell’OIC 13, qualora si applichi un me-
todo secondo cui la valutazione dei lavori sia funzione dei ricavi e dei costi previ-
sti, tali costi sono inclusi tra quelli della commessa e nel preventivo di costo. Suc-
cessivamente alla chiusura della commessa, per l’ammontare di tali costi non an-
cora sostenuto sono effettuati opportuni accantonamenti al fondo rischi ed oneri.
Qualora invece si applichi il metodo delle misurazioni fisiche o altri similari, gli
accantonamenti ai fondi rischi e oneri sono effettuati progressivamente in funzione
dell’avanzamento della commessa.
Eventuali sopravvenienze passive insorte per conguagli di costo non prevedibili du-
rante lo svolgimento della commessa vanno considerate comunque come costi di pro-
duzione dell’esercizio in cui si manifestano. Se di entità significativa, ne va data in-
formazione nella Nota Integrativa.
Oneri e proventi finanziari
Come affermato dall’OIC 23, i proventi e gli oneri finanziari derivanti dalla costru-
zione della commessa non sono considerati come ricavi e costi di commessa e sono
rilevati direttamente al Conto Economico nel momento in cui maturano o sono soste-
nuti, sia che venga adottato il criterio della commessa completata sia che venga adotta-
to il criterio della percentuale di completamento. Tuttavia la capitalizzazione degli
oneri finanziari è possibile quando ricorrono: a) le condizioni stabilite dall’OIC 16
«Immobilizzazioni materiali» e b) le condizioni seguenti.

1. Se è applicato il criterio della commessa completata, gli oneri finanziari possono es-
sere compresi tra i costi di commessa, quando sono rispettate le seguenti condizioni:
a) l’appaltatore non riceve anticipi ed acconti di entità tale da evitare squilibri rilevanti
nei flussi finanziari e dunque la quota finanziata dal committente non è rilevante;

202
b) gli interessi sono recuperabili con i ricavi della commessa e ciò sia comprovabi-
le con un preventivo di commessa che ne tenga conto.
2. Se è applicato il criterio della percentuale di completamento, gli oneri finanziari
possono essere compresi tra i costi della commessa e come tali partecipano ai risul-
tati dell’esercizio in funzione dell’avanzamento dei lavori, quando sussistono le se-
guenti condizioni:
a) in virtù delle clausole contrattuali o altro, gli aspetti finanziari costituiscono un
elemento determinante per valutare la redditività della commessa;
b) l’appaltatore non riceve anticipi ed acconti di entità tale da evitare squilibri rile-
vanti nei flussi finanziari e dunque la quota finanziata dal committente non è ri-
levante;
c) la percentuale di completamento è stimata attraverso il metodo del costo soste-
nuto (cost-to-cost) o altri metodi in cui la valutazione dei lavori è funzione dei
ricavi e costi previsti. Non è consentita la rilevazione degli oneri finanziari quali
costi di commessa in caso di applicazione del metodo delle misurazioni fisiche
o similari;
d) gli interessi sono recuperabili con i ricavi della commessa e ciò sia comprovabi-
le con un preventivo di commessa che ne tenga conto.
Determinazione dello stato di avanzamento dei lavori e valutazione della commessa
Il passo successivo consiste nella stima del grado di avanzamento dei lavori che
può essere stimato tramite diversi metodi. In ogni caso, una volta prescelto, il metodo
deve essere utilizzato in modo costante nello spazio (per tutte le commesse) e nel tem-
po. Deroghe a tale regole sono consentite solo in casi eccezionali ed impongono in-
formazione integrativa nella Nota al bilancio. Dei metodi ricordati dall’OIC 23 presen-
tiamo il metodo del costo e delle ore lavora rinviando direttamente al principio conta-
bile per i metodi delle unità consegnate e delle misurazioni fisiche.
Determinazione dello stato di avanzamento dei lavori con il metodo del costo
Con questo metodo si determina lo stadio di avanzamento della commessa come
rapporto tra costi di commessa già sostenuti e totale dei costi preventivati della com-
messa. La percentuale così ricavata viene applicata ai ricavi pattuiti a contratto. Da ta-
le moltiplicazione risulta il valore della commessa in corso di valutazione da esporre
nello Stato Patrimoniale quale rimanenza finale di magazzino. Si supponga, ad esem-
pio, che l’azienda sia al primo anno di lavorazione di una commessa (2015) dalla du-
rata prevista di tre esercizi (consegna nel 2017) e utilizzi, nell’ambito del criterio della
percentuale di completamento, il metodo del costo con i seguenti valori:
1. costi già sostenuti al 31/12/2015 200.000
2. costi totali di commessa da preventivo aggiornato 800.000
3. percentuale di completamento (1: 2) 25%
4. ricavi di commessa da preventivo aggiornato 1.000.000
5. valore della commessa in corso di lavorazione (3  4) 250.000

203
Nel Conto Economico pertanto sarà interessata la voce A.3, dove la variazione del-
le rimanenze di tali beni sarà pari a 250.000 €, mancando una rimanenza iniziale. Inol-
tre nelle varie voci da cui è composto il costo della produzione saranno contenuti i
200.000 € di costi finora sostenuti (per consumi materie, lavoro, ammortamenti, ecc.).
Ne consegue che il margine di commessa incluso implicitamente nel Conto Economi-
co del primo esercizio sarà di 250.000 – 200.000 = 50.000 €. L’indicazione di tale da-
to tuttavia non è espressamente richiesta dall’OIC 23. I costi da includere nel rapporto
sono quelli considerati in precedenza come costi operativi di commessa.
Il metodo del costo è ritenuto il miglior criterio di determinazione dello stato di
avanzamento da parte del principio contabile.
Determinazione dello stato di avanzamento dei lavori con il metodo delle ore lavorate
Questo metodo richiede la preventiva distinzione del ricavo totale previsto di com-
messa in due parti: la prima relativa al sostenimento dei costi «esterni» (materie e ser-
vizi), la seconda data dal residuo e considerabile quale valore aggiunto dall’azienda. Il
valore aggiunto così determinato viene quindi diviso per il totale delle ore di lavoro
previste dalla commessa, ottenendo pertanto un valore aggiunto orario. La valutazione
finale della commessa quindi sarà pari alla somma dei costi per materie e servizi sino
a quel momento impiegati nella commessa e del prodotto delle ore lavorate per il valo-
re aggiunto orario.
1. Totale ricavi di commessa da preventivo aggiornato 1.000.000
2. Costi materie e servizi da preventivo aggiornato 400.000
3. Valore aggiunto (1 – 2) 600.000
4. Ore lavoro previste 30.000
5. Valore aggiunto orario (3: 4) 20
6. Ore di lavoro già impiegate nella commessa 10.000
7. Valore aggiunto ottenuto dalla commessa (5  6) 200.000
8. Costi di materie già impiegate nella commessa 100.000
9. Costi di servizi già impiegati nella commessa 80.000
10. Valore della commessa in corso di lavorazione (7 + 8 + 9) 380.000
Questo metodo è particolarmente indicato nel caso in cui il contenuto di lavoro da
parte dell’azienda costruttrice sia particolarmente significativo sul totale dei costi di
commessa.
Aggiornamento dei preventivi e perdita di commessa
L’OIC 23 precisa che, nel metodo della percentuale di completamento, ogni varia-
zione (positiva o negativa) che subisce il margine di commessa per effetto di cambia-
menti nei preventivi di costo e di ricavo è di competenza dell’esercizio in cui l’ag-
giornamento si verifica. In presenza di cambiamento indotto da elementi molto insta-
bili e non permanenti è necessario, per il criterio della prudenza, comunque considera-
re di competenza l’impatto se negativo, mentre in caso di impatto positivo, è possibile
ripartire l’effetto anche sugli esercizi successivi. In ogni caso, in Nota Integrativa va
descritto l’effetto, se significativo, di tali mutamenti di preventivi.

204
Qualora dall’aggiornamento dei preventivi emerga una perdita sulla commessa,
l’azienda dovrà contabilizzare immediatamente l’intera perdita a carico dell’esercizio
nel quale è stata stimata, indipendentemente dallo stato di avanzamento lavori.
Per esemplificare, riprendendo i dati dell’esempio sub Determinazione dello stato
di avanzamento dei lavori con il metodo del costo, si supponga che al termine del se-
condo anno (2016) i dati di commessa siano i seguenti:
1. costi già sostenuti al 31/12/2016 (di cui 350.000 nel 2016) 550.000
2. costi di commessa da preventivo aggiornato 1.200.000
3. ricavi di commessa da preventivo aggiornato 1.100.000
4. perdita a completamento della commessa (3 – 2) – 100.000
Si consideri inoltre che nell’esercizio precedente era stato imputato un margine di
commessa a Conto Economico pari a 50.000, come differenza tra costi e ricavi. Pertan-
to nel Conto Economico dell’esercizio 2016 si deve far apparire una perdita di 150.000,
tale da annullare il margine positivo riconosciuto nell’esercizio precedente (50.000) e
stanziare l’intera perdita di commessa (100.000) conosciuta solo adesso. Considerando
che i costi del 2016 sono pari alle rimanenze iniziali di 250.000 a cui si aggiungono i
costi di produzione del 2016 per 350.000, risulta un costo complessivo di 600.000. La
perdita di 150.000 emerge quindi rilevando rimanenze finali per 450.000 6.
Così facendo, nell’esercizio 2017, terzo e ultimo periodo di costruzione della
commessa, avremo nel Conto Economico ricavi di vendita per 1.100.000 a fronte di
costi per 1.100.000 (dati da 450.000 di rimanenza iniziale + 650.000 di nuovi costi di
produzione del 2017), con un margine di commessa quindi nullo. La perdita di com-
messa risulta infatti interamente imputata all’esercizio nel quale è stata per la prima
volta stimata.

5.7.4. Metodo della commessa completata

Questo metodo, ispirato al postulato della prudenza, come si è visto inizialmente


impone di valutare il lavoro in corso su ordinazione solo sulla base dei costi sostenuti,
senza basarsi sul ricavo pattuito contrattualmente. Con il metodo della commessa
completata i costi da includere sono gli stessi costi di commessa discussi in preceden-
za. In realtà il criterio di valutazione applicabile consiste nel metodo basilare per la de-
terminazione del valore degli elementi appartenenti al capitale circolante, ossia il mi-
nore tra costo e mercato. Per cui, se ad un certo momento, i costi della commessa do-
vessero superare il presumibile valore di realizzo, nella valutazione si dovrebbe adot-
tare questo secondo importo.
Per stimare il valore di mercato, l’OIC 23 rinvia alle regole contenute nell’OIC 13
sulle rimanenze di magazzino. In realtà sembra evidente che la prima approssimazione

6
Se fosse usata la percentuale di avanzamento del 45,83% (data da 550.000/1.200.000) le rimanenze
sarebbero state pari a 504.166 (dato dal 45,83% di 1.100.000) e non avrebbe condotto ad un riconosci-
mento integrale della perdita.

205
del valore di mercato sia costituita dal prezzo stabilito contrattualmente per la com-
messa e solo nel caso questo non sia ragionevolmente certo si debbano prendere in
esame altri elementi (beni il più possibile simili, ecc.). Da ciò consegue che anche in
questo caso è sempre necessario attuare una efficace preventivazione dei ricavi conse-
guibili dalla commessa e dei costi relativi.
Non tenendo conto del ricavo nella valutazione è evidente che gli eventuali anticipi
concessi devono necessariamente essere sempre considerati come debiti e che non si pone
la problematica della conversione in valuta di conto del prezzo pattuito in valuta straniera.
Il documento precisa che con questo metodo la contabilizzazione del ricavo presup-
pone che la costruzione sia stata completata, i collaudi siano stati effettuati con esito po-
sitivo, gli eventuali costi da sostenere dopo il completamento siano non significativi ed
in ogni caso già stanziati a Conto Economico, siano ragionevolmente stimabili gli effet-
ti derivanti da situazioni di incertezza e fronteggiabili con eventuali stanziamenti.
Si supponga, ad esempio, che l’azienda sia al primo anno di lavorazione di una
commessa (2016) dalla durata prevista di tre esercizi (consegna nel 2018).
1. costi già sostenuti al 31/12/2016 200.000
2. costi totali di commessa da preventivo aggiornato 800.000
3. percentuale di completamento (1: 2) 25%
4. ricavi di commessa da preventivo aggiornato 1.000.000
L’uso del criterio della commessa completata conduce ad una rimanenza di 200.000 €
sempre che si possa ritenere che il valore di realizzo a tale fase dello stato di avanzamento
non sia inferiore. Dall’esempio si desume che il presunto valore di realizzo è di 250.000 €
(25% di 1.000.000 €), superiore al costo di 200.000 € e tale quindi da non richiedere una
svalutazione.

5.8. Contenuto della Nota Integrativa


Le rimanenze di materie, merci, prodotti
Con riferimento alle rimanenze di magazzino, gli artt. 2426 e 2427 c.c. richiedono
di fornire le seguenti informazioni nella Nota Integrativa:
‒ il criterio di valutazione applicato (art. 2427, n. 1);
‒ il valore ai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, per categorie di beni, ove dif-
ferisca in misura apprezzabile dal costo dei beni fungibili calcolato col metodo del-
la media ponderata o con quelli: «primo entrato, primo uscito» o: «ultimo entrato,
primo uscito» (art. 2426, n. 10);
‒ le variazioni intervenute nella consistenza delle altre voci dell’attivo (art. 2427, 1°
comma, n. 4);
‒ l’ammontare degli oneri finanziari imputati nell’esercizio (art. 2427, n. 8);
‒ l’eventuale cambiamento dei metodi di valutazione, le ragioni del medesimo ed il
relativo effetto sulla situazione patrimoniale e sul Conto Economico (art. 2423 bis,
2° comma, c.c.).

206
Ai sensi dell’art. 2423, 3° comma, c.c., si considerano informazioni complementari
da fornire nella Nota Integrativa:
‒ i criteri adottati per la svalutazione al valore di mercato, (valore netto di realizzo, co-
sto di sostituzione, ecc.), specificando anche a quale tipologia del valore di mercato
sono state svalutate le rimanenze obsolete ed a lento rigiro e il ripristino del costo
originario, qualora vengano meno le ragioni che avevano reso necessario l’abbatti-
mento al valore di mercato, ed il conseguente effetto sul Conto Economico;
‒ qualsiasi gravame (ad esempio, pegno, patto di riservato dominio ecc.) relativo alle
rimanenze di magazzino;
‒ i casi di utilizzo del criterio del costo specifico anziché del metodo del LIFO; FIFO,
costo medio ponderato.
I lavori in corso su ordinazione
Oltre a quanto disposto in via generale dall’art. 2427, n. 1 («i criteri applicati nella
valutazione delle voci del bilancio») e numero 4 («le variazioni intervenute nella con-
sistenza delle altre voci dell’attivo e del passivo»), secondo l’OIC 23, per i lavori in
corso su ordinazione, occorre indicare:
‒ se è stato utilizzato il criterio della commessa completata o il criterio della percen-
tuale di completamento;
‒ la metodologia adottata per stimare lo stato avanzamento;
‒ i criteri di contabilizzazione dei costi per l’acquisizione della commessa, dei costi
pre-operativi, dei costi da sostenersi dopo la chiusura della commessa;
‒ il trattamento contabile degli oneri finanziari, nel caso siano stati considerati nella
valutazione dei lavori in corso su ordinazione;
‒ la contabilizzazione delle probabili perdite di valore rilevate;
‒ l’esposizione dell’appaltatore nei confronti del committente per tutti i lavori non
ancora definitivamente accertati e liquidati;
‒ gli impegni contrattualmente assunti per opere e servizi ancora da eseguire a fine
esercizio, se di ammontare significativo.
Ove rilevante, la Nota Integrativa fornisce le seguenti informazioni:
‒ gli effetti dell’aggiornamento dei preventivi;
‒ le incertezze e le attività e passività potenziali connesse a contratti;
‒ l’ammontare delle altre richieste di corrispettivi aggiuntivi (claim), compresi rispet-
tivamente nelle rimanenze e nel valore della produzione, nonché quello delle retti-
fiche di valore operate sulle rimanenze;
‒ la distinzione tra anticipi e acconti, a meno che non sia stata già effettuata nello
Stato Patrimoniale;
‒ per le società appaltatrici partecipanti a consorzi, l’elenco, con relativa descrizione,
delle significative partecipazioni ai consorzi, con l’indicazione della quota di parte-
cipazione, delle clausole che comportano significativi impegni e dei lavori ottenuti
dai consorzi o affidati ai consorzi.

207
5.9. Le regole IASB
5.9.1. Le rimanenze di magazzino
Lo IAS 2 (Inventories) si applica alle rimanenze di magazzino ad esclusione delle
attività biologiche prima del raccolto (disciplinate dallo IAS 41), delle commesse di
lunga durata, trattate nello IAS 11 e degli strumenti finanziari.
Le rimanenze di magazzino devono essere valutate al minore tra costo e valore net-
to di realizzo, intendendo quest’ultimo pari al prezzo di vendita stimato meno i costi di
completamento e di vendita. Tale criterio generale di valutazione stabilito dallo IAS 2
non si applica, tuttavia, a:
1. le rimanenze di prodotti agricoli e minerari dopo il raccolto/estrazione detenute
dai relativi produttori, nella misura in cui vengono valutate al valore di realizzo al
netto dei costi presunti di vendita sulla base di prassi consolidate di settore. In tal
caso le rimanenze sono valutate al valore netto di realizzo, ossia al prezzo presun-
to di vendita diminuito dei costi da sostenere fino alla vendita e ogni variazione di
tale valore si riflette nel Conto Economico come costo o ricavo;
2. i generi di largo consumo detenuti da intermediari commerciali che valutano le lo-
ro scorte al fair value al netto dei costi di vendita ed il cui profitto è costituito da
fluttuazioni dei prezzi di mercato di tali beni. In tal caso le rimanenze sono valuta-
te al fair value diminuito dei costi di vendita e ogni variazione di tale valore si ri-
flette nel Conto Economico come costo o ricavo. La differenza tra il fair value ed
il valore netto di realizzo è che il primo è un dato astratto che deriva dalla tendenza
mercato generale, mentre il secondo tiene conto delle specifiche circostanze azien-
dali (per esempio, una temporanea difficoltà nel processo di consegna ai clienti, che
può far diminuire il valore del magazzino).
Eccettuata questa possibile deroga alla regola generale di valutazione, a queste due
categorie di rimanenze si applicano però tutte le altre disposizioni dello IAS 2, siano
esse di beni o di servizi, definite come le attività (materiali o meno) possedute per essere
vendute nella gestione ordinaria o per essere impiegate (come materiali o forniture) nel
processo di produzione necessario per la vendita.
Il costo unitario è determinato secondo criteri simili a quelli già descritti e riferiti
alla normativa italiana 7. Per l’attribuzione dei costi finanziari per interessi passivi si
rinvia allo IAS 23 (discusso più analiticamente nel capitolo 4), che in sostanza esclude
la capitalizzazione degli oneri finanziari nel caso di produzioni in serie o per grandi
quantità e la richiede obbligatoriamente solo per la costruzione dei qualifying assets,
intesi come prodotti che richiedono un tempo significativo, di regola eccedente l’anno,
per il loro sviluppo.

7 Nel caso di produzioni congiunte i costi di produzione devono essere attribuiti ai prodotti su basi ra-

zionali (es. in proporzione al fatturato). Nel caso che vi sia un prodotto principale e sottoprodotti di scarsa
rilevanza, questi ultimi sono valutati al loro valore netto di realizzo e tale importo è dedotto dal costo di
produzione totale per formare il costo del prodotto principale.

208
Per i beni infungibili il costo (di acquisto o di produzione), deve essere specifico,
ossia calcolato per singola unità di bene, mentre per il calcolo del costo dei beni fun-
gibili si deve usare o il metodo FIFO o il metodo della media ponderata (definite dallo
IAS come cost formulas). Per beni di natura diversa (anche non necessariamente tec-
nica) si possono usare cost formulas diverse. Non è quindi ammesso il LIFO, come in-
vece accade per la normativa italiana. Per le imprese italiane che passano ai principi
contabili internazionali, si possono verificare quindi modifiche in sede di transizione
come quelle descritte nel box seguente:

BOX 27 – La transizione agli IFRS e l’impatto sulle rimanenze di magazzino


Si supponga che un’azienda adotti gli IFRS a partire dall’esercizio 2014. Essa dovrà quindi redigere al 1°
gennaio 2013 uno Stato Patrimoniale di apertura redatto con i principi contabili internazionali. In merito
alle rimanenze di magazzino, l’azienda aveva sino a quel momento adottato il metodo del LIFO permesso
dalle norme nazionali; con la transizione agli IFRS l’azienda sceglie di adottare il metodo del costo medio
ponderato. Ne consegue che le rimanenze iniziali del 2013 (finali del 2012), già determinate secondo le
regole nazionali in base al LIFO, dovranno essere rideterminate tramite applicazione del metodo del costo
medio ponderato. Si supponga che il prospetto dei movimenti di magazzino materie prime sia il seguente:

Data movimento Quantità Prezzo Costo


Quantità Quantità in
di magazzino acquistate unitario in Acquisto
scaricate rimanenza
(carico/scarico) (2) fattura (3) (2 × 3)
1° gennaio 2012 (rimanenza 1.000 2 2.000 1.000
finale 2011)
2 aprile 2012 2.000 3 6.000 3.000
3 maggio 2012 800 2.200
4 giugno 2012 3.000 4 12.000 5.200
10 settembre 2012 3.200 2.000
31 dicembre (Totali 2012) 6.000 20.000 2.000

Con il LIFO le rimanenze al 31/12/2012 (e quindi al 1/1/2013) erano già state rilevate nel bilancio
2012 redatto con le regole nazionali a: (1.000  2) + (1.000  3) = 5.000. Passando al costo medio pon-
derato, nella variante per periodo, il costo medio unitario sarà pari al rapporto tra la somma dei costi di
acquisto e le relative quantità acquistate:
[(1.000  2) + (2.000  3) + (3.000  4)]/6.000 =20.000/6.000 = 3,33
Per cui il valore delle rimanenze sarà pari a 3,33  2.000 = 6.666,67. La differenza di transizione sarà
dunque pari a 6.666,67 – 5.000 = 1.666,67. Ipotizzando per semplicità un’aliquota fiscale media del 30%,
la rilevazione contabile di tale differenza sarà quindi:
1/1/2013 – Rilevazione differenza materie prime
Materie prime 1.666,67
Fondo imposte differite 500
Riserva transizione IFRS su magazzino 1.166,67

209
Anche la determinazione del valore netto di realizzo è simile alle regole stabilite
dalla normativa italiana, come pure la regola dell’eventuale svalutazione se il valore
netto di realizzo è inferiore al costo e del «riversamento» di questa svalutazione se nel
periodo successivo, il valore netto di realizzo si presenta nuovamente superiore al costo.
Come particolarità prevista dallo IAS 2 rispetto alla normativa italiana, in Nota In-
tegrativa deve essere esposto il valore totale del magazzino espresso al fair value me-
no i costi di vendita.

5.9.2. Le commesse a lungo termine

Secondo lo IAS 11 (Construction contracts) le commesse a lungo termine sono pro-


duzioni destinate alla vendita che iniziano in un esercizio e terminano in un esercizio
successivo iniziate a seguito di un contratto di costruzione stipulato con un committen-
te. Esse riguardano beni singoli o beni strettamente interdipendenti con riferimento al-
la loro progettazione e uso finale e comprendono i servizi complementari (distruzione
beni, bonifica ambientale, progettazione, ecc.). Se una commessa si riferisce a vari be-
ni, la costruzione di ciascun bene va trattata come commessa separata se la trattativa
commerciale si svolge distintamente per ogni bene ed è possibile individuare i costi e i
ricavi di ogni singolo bene. In sostanza è la congiunzione tecnica (stesso progetto, rea-
lizzazione simultanea) e soprattutto economica (prezzo complessivo, margine di pro-
fitto globale) che permette di accorpare costruzioni distinte nella stessa commessa.
A livello commerciale si distinguono la commessa a margine garantito (con prezzo
variabile, quindi) da quella a prezzo determinato (con margine variabile), ove il rischio
è a carico del costruttore.
Per gli aspetti di valutazione, lo IAS 11 definisce anzitutto i costi e i ricavi di com-
messa.
I ricavi comprendono il prezzo iniziale pattuito contrattualmente e altri corrispettivi
dovuti per varianti, revisione prezzi e incentivi purché siano valutabili attendibilmente
ed è probabile che si verifichino. Possono esservi infatti margini di incertezza legati
alla accettazione da parte del committente, alla conoscenza delle variabili che portano
alla determinazione del prezzo (costo dei materiali, ecc.).
I costi di commessa si distinguono in costi diretti (progettazione, cantiere, sposta-
menti macchinari e loro ammortamento, materiali, ecc.), costi indiretti (assicurazione,
spese generali di commessa, costi di progettazione non specifici di commessa) e altri
costi specificatamente addebitati al committente. Sono esclusi dal calcolo del costo di
commessa i costi commerciali, i costi generali e quelli di ricerca (questi ultimi purché
non ne sia previsto contrattualmente il rimborso).
Il periodo temporale a cui vanno riferiti i costi di commessa va dalla stipula del
contratto al completamento dei lavori. I costi per acquisire la commessa vanno inclusi
nel calcolo se sono distintamente individuabili.
I ricavi e i costi di commessa vanno attribuiti alla commessa in corso di costruzione
in relazione allo stato di avanzamento raggiunto alla data di chiusura del bilancio. In
sostanza si richiede di valutare la commessa in costruzione al corrispettivo pattuito (o

210
«metodo della percentuale di completamento»). Questo criterio si applica però se il
risultato di commessa può essere stimato con attendibilità; in caso contrario la com-
messa sarà valutata nei limiti del costo sostenuto.
L’attendibilità del risultato dipende dal tipo di contratto: per quelli a prezzo prede-
terminato, influisce l’attendibilità dei ricavi, la probabilità del buon esito della com-
messa, la possibilità di identificare e misurare costi e stati di avanzamento. Per quelli a
margine garantito, assume minore influenza la possibilità di determinazione attendibi-
le dei ricavi.
Lo stato di avanzamento può essere determinato secondo i criteri già descritti dal
documento n. 23 dell’OIC. Analogo trattamento a quanto previsto dalla normativa ita-
liana, è previsto per i casi di aggiornamento dei preventivi di costo e/o di ricavo e l’im-
mediata integrale imputazione a Conto Economico della perdita, indipendentemente dal-
lo stato di avanzamento raggiunto.

Molto diversa rispetto agli schemi del Codice Civile è la rappresentazione a Stato
Patrimoniale e a Conto Economico prevista dallo IAS 11. Nel Conto Economico non
andranno inserite le rimanenze iniziali e finali della commessa in lavorazione come
accade con le regole italiane ma direttamente come ricavo la parte di commessa lavo-
rata nell’anno. A Stato Patrimoniale dovrà apparire tra le attività il valore della com-
messa per la parte fino a quel momento eseguita cui si andranno a sottrarre direttamen-
te gli anticipi fatturati al committente e corrisposti a fronte di stati di avanzamento. Per
un esempio si veda il box successivo.

BOX 28 – Contabilizzazione secondo lo IAS 11


Si supponga che un’azienda abbia ricevuto una commessa per la costruzione di un tunnel stradale. Il
corrispettivo pattuito è di 2.400.000. I costi di commessa previsti ammontano a 1.600.000. Al termine del
primo anno di costruzione i costi sostenuti sono pari a 400.000. Nel secondo anno di costruzione si so-
stengono ulteriori costi per 800.000 e si emettono fatture attive per 1.500.000. Nel terzo anno di costru-
zione si sostengono ulteriori costi per 200.000 e si emettono fatture attive per 800.000. Nel quarto anno si
completano i lavori, fatturando il residuo. Le rilevazioni contabili sono le seguenti:

1° anno: stato avanzamento = 400.000/1.600.000 = 25% da cui stanziamento di ricavi per il 25% di
2.400.000 = 600.000 da cui la seguente rilevazione:

Lavori su ordinazione (S.P.) 600.000


Ricavi (C.E.) 600.000

2° anno: stato avanzamento = 1.200.000/1.600.000 = 75% da cui stanziamento di ricavi per il 75% – 25%
(già stanziato l’anno precedente), ossia 50%, di 2.400.000 = 1.200.000, per cui contabilmente:

Lavori su ordinazione (S.P.) 1.200.000


Ricavi (C.E.) 1.200.000

A questo punto la rimanenza di lavori su ordinazione ammonta a 1.800.000. Sempre nel secondo an-
no si emettono fatture per 1.500.000, per cui contabilmente la rimanenza si riduce a 300.000:

211
Crediti vs clienti 1.500.000
Lavori su ordinazione 1.500.000

3° anno: stato avanzamento = 1.400.000/1.600.000 = 87,5% da cui stanziamento di ricavi per 87,5% – 75%,
ossia 12,5% di 2.400.000 = 300.000, per cui contabilmente:

Lavori su ordinazione (S.P.) 300.000


Ricavi (C.E.) 300.000

A questo punto la rimanenza di lavori su ordinazione ammonta a 600.000. Sempre nel secondo anno
si emettono fatture per 800.000, per cui contabilmente la rimanenza è interamente eliminata e la diffe-
renza di 200.000 si qualifica come debito (fatturazione di anticipo a clienti):

Crediti vs clienti 800.000


Lavori su ordinazione 600.000
Anticipi da clienti 200.000

4° anno: stato avanzamento = 1.600.000/1.600.000 = 100% da cui stanziamento di ricavi per 100% – 87,5%,
ossia 12,5% di 2.400.000 = 300.000, per cui contabilmente:

Anticipi da clienti 200.000


Lavori su ordinazione (S.P.) 100.000
Ricavi (C.E.) 300.000

Seguirà quindi la fatturazione dei residui 100.000 con definitiva eliminazione della rimanenza dei la-
vori su ordinazione:

Crediti vs clienti 100.000


Lavori su ordinazione (S.P.) 100.000

In Nota Integrativa dovranno essere esposte le seguenti informazioni:


‒ totale ricavi di commessa imputati a Conto Economico;
‒ criteri di determinazione dei ricavi di commessa e dello stato di avanzamento;
‒ totale costi sostenuti e margini di commessa maturati dall’inizio della costruzione
sulle commesse ancora presenti in bilancio;
‒ totale anticipi ricevuti;
‒ totale ritenute a garanzia (parte delle fatture emesse sul committente non ancora
pagate perché permangono lavori ancora da compiere).
Lo IAS 11 è molto simile alle regole dell’OIC 13, per quanto vi siano alcune diffe-
renze:
‒ per lo IAS la valutazione deve avvenire con il metodo della percentuale di comple-
tamento, limitando l’applicabilità del metodo della commessa completata solo ai casi

212
nei quali il risultato di una commessa non possa essere stimato con attendibilità,
così come poi ripreso anche dall’OIC 23. Si ricorda invece che, nel nostro Paese, il
Codice Civile ammette anche la valutazione al costo e l’OIC 23 finisce poi per ri-
tenerla ammissibile anche quando le commesse hanno durata infrannuale e quando
l’azienda, pur potendo applicare la percentuale di completamento, opta comunque
per la commessa completata (visto che è ammessa dal Codice Civile) ma fornisce
in Nota Integrativa le informazioni derivanti dall’applicazione della percentuale di
completamento;
‒ la rilevazione contabile non si basa sull’uso dei conti rimanenza ma direttamente
sul riconoscimento come ricavo di esercizio della parte di lavoro eseguita nell’e-
sercizio.
Quanto ai singoli componenti da includere nel calcolo del valore di commessa, il
documento n. 23 richiede l’adozione del criterio della prudenza, tradotto con «ragio-
nevole certezza», nel riconoscere i ricavi suppletivi per maggiorazione di prezzi, men-
tre lo IAS si limita ad un più ampio richiamo alla attendibilità delle stima e probabilità
di verifica.
Inoltre, il documento dell’OIC considera espressamente i componenti finanziari re-
lativi alla commessa con il metodo della commessa completata mentre lo IAS 11 non
considera tali componenti tra quelli di commessa.
Infine, nella Nota Integrativa per lo IAS deve essere specificato l’ammontare degli
importi già fatturati trattenuti dal committente finché i requisiti per il relativo paga-
mento non sono stati raggiunti (ritenute a garanzia), mentre i principi italiani li consi-
derano come crediti a lungo termine.

213
214
6

I crediti

SOMMARIO: 6.1. Aspetti di definizione e classificazione negli schemi di bilancio. – 6.2. I problemi di
valutazione. – 6.2.1. Il criterio del costo ammortizzato. – 6.2.2. L’incidenza del fattore temporale. –
6.2.3. Il rischio di inesigibilità. – 6.3. Lo smobilizzo di crediti e la loro cancellazione dal bilancio. –
6.4. Contenuto della Nota Integrativa. – 6.5. Le regole IAS. – 6.5.1. Riconoscimento dei ricavi e del
relativo credito. – 6.5.2. Valutazione dei ricavi e dei crediti.

6.1. Aspetti di definizione e classificazione negli schemi di bilancio


I crediti rappresentano il diritto a ricevere determinate somme ad una data scadenza
da soggetti identificati. Assimilate ai crediti sono le cambiali attive che rappresentano
titoli di credito contenenti un ordine o una promessa incondizionata di pagamento ver-
so il portatore del titolo, che pertanto ha il diritto tutelato dalla legge di esigere il pa-
gamento. Le cambiali attive non presentano dunque sostanziali differenze rispetto agli
altri crediti.
Nello schema di Stato Patrimoniale, i crediti sono inclusi sia nell’attivo circolante
che tra le immobilizzazioni ed entro ciascun gruppo è usata una classificazione per
soggetto debitore.
Tra le immobilizzazioni la voce concernente i crediti (B.III.2) distingue al suo in-
terno i crediti:
a) verso imprese controllate;
b) verso imprese collegate;
c) verso imprese controllanti;
d) verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti;
d-bis) verso altri.
Nel circolante (classe C.II) appaiono le seguenti voci:
1. verso clienti;
2. verso imprese controllate;
3. verso imprese collegate;
4. verso imprese controllanti;
5. verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti;

215
5-bis. crediti tributari;
5-ter. imposte anticipate (si veda al riguardo il capitolo 13);
5-quater. verso altri.
Nel silenzio del codice, il documento 15 dell’OIC dedicato ai crediti sostiene che i
crediti di finanziamento trovano collocazione tra le immobilizzazioni, evidenziando
distintamente la quota esigibile entro la fine del prossimo esercizio, tenuto conto che
generalmente saranno scadenti a lungo termine. I crediti di origine commerciale deb-
bono invece essere inseriti nell’attivo circolante (evidenziando distintamente la quota
esigibile oltre l’esercizio successivo, visto che di regola saranno scadenti a breve ter-
mine). Ai fini dell’indicazione degli importi esigibili entro o oltre l’esercizio, la classi-
ficazione è effettuata con riferimento alla loro scadenza contrattuale o legale, tenendo
conto anche:
‒ di fatti ed eventi previsti nel contratto che possono determinare una modifica della
scadenza originaria, avvenuti entro la data di riferimento del bilancio;
‒ della realistica capacità del debitore di adempiere all’obbligazione nei termini pre-
visti nel contratto; e
‒ dell’orizzonte temporale in cui il creditore ritiene ragionevole di poter esigere il
credito vantato.
I crediti verso le imprese controllate, collegate, controllanti e verso imprese sotto-
poste al controllo delle controllanti, sono distintamente enucleati in ragione della loro
rilevanza ai fini della comprensione delle dinamiche intragruppo e possono essere
compresi sia tra le immobilizzazioni finanziarie che nell’attivo circolante.
Le voci B.III.2.c) e C.II.4) accolgono anche i crediti verso le controllanti di livello
superiore al primo, ovverosia le controllanti che controllano la società, indirettamente,
tramite loro controllate intermedie.
La voce «verso altri» dei crediti immobilizzati comprende crediti di finanziamento
verso imprese non consociate, mentre la corrispondente voce dell’attivo circolante in-
clude crediti scaturenti da vari motivi (incasso dividendi, crediti verso erario, verso
istituti previdenziali, verso dipendenti, altri soggetti non legati alla gestione caratteri-
stica, ecc.).
I fondi accoglienti le svalutazioni dei crediti per inesigibilità (presunta o effettiva)
o per resi, sconti e abbuoni, devono essere portati a rettifica delle corrispondenti voci
dell’attivo. Se il credito non esiste più in bilancio o se la rettifica comporta il paga-
mento di ulteriori somme, i fondi in questione devono essere collocati nel passivo del-
lo Stato Patrimoniale sotto la voce B. Tale è il caso ad esempio dei fondi rischi per
inesigibilità stanziati a fronte di crediti ceduti (allo sconto, al factoring, ecc.) per i qua-
li si è optato per l’alternativa contabile di eliminazione dal bilancio.
Non è possibile compensare crediti e debiti verso uno stesso soggetto a meno che sia
consentito giuridicamente (come nel caso di contratto di conto corrente, ad esempio).
Nel Conto Economico, nella voce B.10.d) del Conto Economico «svalutazioni dei
crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide» si classificano gli
accantonamenti e le svalutazioni dei crediti commerciali e diversi iscritti nell’attivo cir-

216
colante. Nella voce D.19.b) «svalutazioni di immobilizzazioni finanziarie che non co-
stituiscono partecipazioni», si classificano gli accantonamenti e le svalutazioni di cre-
diti finanziari iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie. Le perdite realizzate su crediti
non derivanti da valutazioni, (ad esempio derivanti da un riconoscimento giudiziale
inferiore al valore del credito, da una transazione o da prescrizione) si classificano nel-
la voce B.14 «oneri diversi di gestione» del Conto Economico, previo l’utilizzo del-
l’eventuale fondo svalutazione crediti.
Gli interessi maturati su crediti iscritti nell’attivo circolante (ad esempio per ritar-
dati pagamenti dei clienti, per rimborsi d’imposte, crediti verso dipendenti, crediti ver-
so enti previdenziali) sono iscritti nella voce C.16 «altri proventi finanziari», lett. d),
come pure i maggiori importi incassati sui crediti acquistati ed iscritti nelle immobiliz-
zazioni finanziarie. La voce deve essere suddivisa in tre ulteriori sottovoci, in presenza
di proventi finanziari maturati nei confronti di imprese controllate, collegate e control-
lanti, secondo quanto previsto dall’art. 2425.
Momento di iscrizione
In base all’origine muta anche il momento nel quale iscrivere il credito, come af-
fermato dall’OIC 15 dedicato ai crediti. I crediti derivanti da ricavi di vendita sono
iscrivibili se sono maturati i ricavi stessi, cioè quando il processo produttivo è stato
completato, lo scambio è avvenuto e si è verificato il passaggio sostanziale e non for-
male del titolo di proprietà assumendo quale parametro di riferimento, per il passaggio
sostanziale, il trasferimento dei rischi e benefici.
Salvo che le condizioni degli accordi contrattuali prevedano che il trasferimento
dei rischi e benefici avvenga diversamente, per le vendite di beni mobili tale trasferi-
mento si realizza con il momento della spedizione del bene (o di consegna se la clau-
sola di trasporto è franco magazzino compratore). Per le vendite di immobili, il mo-
mento rilevante è la stipula del contratto di compravendita. I crediti relativi a servizi
sono iscritti in contabilità quando la prestazione è stata effettuata (o, in caso di presta-
zioni continuative, quando sono maturati i corrispettivi contrattuali). I crediti di origi-
ne diversa da quella commerciale sono da rilevare quando sorge giuridicamente l’ob-
bligazione di terzi verso la controparte (concessione dei fondi per i finanziamenti, ecc.).

6.2. I problemi di valutazione


A seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 139/2015, per i bilanci degli
esercizi che iniziano dal 1° gennaio 2016 in poi, i crediti «sono rilevati in bilancio se-
condo il criterio del costo ammortizzato, tenendo conto del fattore temporale e, per
quanto riguarda i crediti, del valore di presumibile realizzo». Il documento OIC 15 in-
terviene per interpretare tali concetti e le relazioni che si pongono tra essi. Esamine-
remo quindi nell’ordine:
‒ il criterio del costo ammortizzato;
‒ l’incidenza del fattore temporale;
‒ il concetto di valore di presumibile realizzo.

217
6.2.1. Il criterio del costo ammortizzato
L’introduzione del criterio del costo ammortizzato nel Codice Civile è un cambia-
mento molto significativo. Detto criterio caratterizza la valutazione degli strumenti fi-
nanziari nei principi contabili internazionali e la Direttiva Europea n. 34/2013 aveva
posto tale metodo come semplice possibilità per gli Stati Membri. Il nostro Legislatore
ha inteso invece renderlo obbligatorio, vuoi perché si è ritenuto che tale metodo non
implicasse particolari modifiche, vuoi perché si è così ulteriormente avvicinato il bi-
lanci civilistico a quello redatto secondo i principi contabili.
Per la definizione del concetto di costo ammortizzato il nuovo 2° comma dell’art.
2426 rinvia espressamente alle regole dettate dai principi contabili internazionali. Il
metodo del costo ammortizzato secondo le regole internazionali richiede che sia uti-
lizzato il metodo del tasso effettivo di interesse. Con tale criterio, quindi, i crediti sono
inizialmente contabilizzati all’importo effettivamente erogato. Successivamente, ad
ogni fine esercizio, il loro valore tenderà a crescere fino a giungere al loro valore no-
minale alla data di rimborso in una misura definita dal tasso effettivo di interesse, cal-
colato come il TIR ossia come il tasso che uguaglia il valore attuale dei flussi di cassa
positivi e negativi derivanti dall’investimento nel credito immobilizzato. Le eventuali
commissioni attive e passive e ogni differenza tra valore iniziale e valore nominale a
scadenza sono inclusi nel calcolo del costo ammortizzato utilizzando il criterio dell’in-
teresse effettivo, che implica che tali differenze siano ammortizzate lungo la durata at-
tesa del credito.
I flussi finanziari futuri utili al calcolo del tasso di interesse effettivo non includono
le perdite e le svalutazioni future dei crediti, salvo il caso in cui le perdite siano rifles-
se nel valore iniziale di iscrizione del credito, in quanto acquistato ad un prezzo che
tenga conto delle perdite stimate per inesigibilità. Su tale punto si veda il successivo
par. 6.2.3.

BOX 29 – Esempio di valutazione di un credito di finanziamento con il criterio del costo ammor-
tizzato
L’esempio riguarda un prestito per nominali 100.000 erogato con uscita di liquidità per 95.900, frutti-
fero di interessi al tasso del 6% sul nominale e rimborsabile in somma unica dopo cinque anni. Le com-
missioni che la società erogante il prestito trattiene sono dunque pari a 4.100. Siamo quindi in presenza di
un credito che presenta uno scarto dovuto a commissione imputata al debitore; detto scarto dovrà essere
imputato per competenza lungo la durata del credito, come ad aumento dell’interesse attivo che matura.
Valutare un credito al costo ammortizzato comporta anzitutto stimare i flussi in entrata o in uscita di
denaro correlati a tale investimento. Nella colonna 2 della tabella seguente sono riportati i movimenti con
l’uscita per l’erogazione, le entrate per l’incasso degli interessi, fino ad arrivare al rimborso del quinto an-
no, inclusivo del valore capitale e degli interessi sull’ultimo anno. A tal punto si tratta di calcolare il tasso
interno di rendimento (TIR), ossia il tasso che rende uguale il valore attuale delle entrate e delle uscite.
Dalla formula ricaviamo un TIR annuale del 7%. Al termine del primo anno, per determinare il valore di
iscrizione del credito si applica il TIR al valore di iscrizione iniziale (95.900) e si ottiene un interesse com-
plessivo di 6.712,95 di cui 6.000 sono incassati come interessi annuali pattuiti. Il valore del credito au-
menta quindi della differenza 712,95. Si rileverà pertanto l’incremento del credito a Stato Patrimoniale
che così passa a 96.612,95 e si invierà a Conto Economico i 712,95 tra gli interessi attivi. Sul nuovo valore

218
di 96.612,95 si ripeterà per il secondo anno lo stesso procedimento. Così operando, nell’arco dei cinque
anni risulterà inviato a Conto Economico l’intero scarto.

4)
2) 5)
1) 3) Differenza tra
Flussi Costo
Anno Interesse (5*TIR) interesse maturato (3)
entrata/uscita ammortizzato
e interessi incassati (2)
0 – 95.900 – – 95.900,00
1 6.000 6.712,95 712,95 96.612,95
2 6.000 6.762,86 762,86 97,375,81
3 6.000 6.816,26 816,26 98.192,07
4 6.000 6.873,40 873,40 99.065,47
5 106.000 6.934,53 934,53 0
TIR = 7,00% Totale = 4.100

Contabilmente si avrà la rilevazione iniziale del credito a 95.900 euro a fronte di uscita di liquidità.

Crediti per finanziamenti 95.900


Banca c/c 95.900

Quindi ad ogni fine esercizio il credito aumenterà per effetto dell’accreditamento di interessi attivi (di
cui in colonna 3).

Crediti per finanziamenti 6.712,95


Banca c/c 6.712,95

L’incasso annuale degli interessi sarà rilevato come una riduzione del valore del credito a fronte di
un’entrata di cassa.

Banca c/c 6.000


Crediti per finanziamenti 6.000

In sostanza il metodo del costo ammortizzato differisce dal vecchio metodo di va-
lutazione dei crediti al valore nominale qualora sia prevista una differenza tra importo
del capitale prestato inizialmente e valore del capitale da rimborsare. La presenza di
questa differenza determinerà inevitabilmente un tasso di interesso effettivo che diver-
ge dal tasso di interesse nominale. Tale caratteristica implica che i crediti derivanti da
vendite, non presentando normalmente commissioni attive, difficilmente presenteran-
no una valutazione al costo ammortizzato diversa da quella tradizionale, dove risulta-
vano iscritti al valore nominale.
Se la concessione del credito richiedesse anche il sostenimento di costi di transa-
zione, quali compensi a intermediari, professionisti, ecc., tali costi andranno portati ad
aumento del credito e con la procedura del costo ammortizzato saranno indiretti inviati

219
a Conto Economico non tanto come costi ma come minori interessi attivi maturati sul
credito.
Il documento OIC 15 precisa che gli sconti e gli abbuoni di natura finanziaria (per
esempio per pagamento a pronta cassa), che non hanno concorso al computo del costo
ammortizzato perché non prevedibili al momento della rilevazione iniziale del credito,
sono rilevati al momento dell’incasso come oneri di natura finanziaria.
Disposizioni transitorie per l’applicazione del criterio del costo ammortizzato e pos-
sibili deroghe
Rispetto ai criteri base sopra indicati, vi sono tre possibili situazioni in cui la socie-
tà può semplificare i criteri di valutazione.
1. Per facilitare la transizione, l’art. 12 del D.Lgs. n. 139/2015 permette di non appli-
care il criterio del costo ammortizzato ai crediti già esistenti in bilancio alla data
del 1° gennaio 2016 («Le modificazioni previste dal presente decreto all’art. 2426,
1° comma, nn. 1, 6 e 8, c.c. possono non essere applicate alle componenti delle vo-
ci riferite a operazioni che non hanno ancora esaurito i loro effetti in bilancio»),
previa indicazione dell’utilizzo di tale facoltà in Nota Integrativa. Il criterio del co-
sto ammortizzato dovrà necessariamente essere applicato su tali elementi se sorti
successivamente a tale data.
2. Altra possibilità di non applicare il criterio del costo ammortizzato è costituita dal
ricorso al criterio della irrilevanza, di cui al nuovo testo dell’art. 2423, 4° comma,
c.c. In sostanza il criterio del costo ammortizzato può non essere applicato se i costi
di transazione, le commissioni pagate tra le parti e ogni altra differenza tra valore
iniziale e valore a scadenza sono di scarso rilievo. In tal caso in Nota Integrativa si
deve dare menzione del ricorso a tale possibilità.
3. Infine, le società che redigono il bilancio in forma abbreviata e le micro-imprese
possono non applicare il criterio del costo ammortizzato e del «fattore temporale».
Per esse, molto semplicemente, i crediti potranno apparire in bilancio al loro valore
nominale. Gli eventuali costi di transazione saranno considerati inizialmente come
costi pluriennali, da riscontare per quote costanti negli esercizi di durata del debito.

6.2.2. L’incidenza del fattore temporale


Vi sono molti casi nei quali i crediti non generano interessi attivi espliciti oppure li
generano ma con tassi di interesse inferiori a quelli di mercato, come specie di condi-
zione agevolativa. Per questi casi, a partire dai bilanci 2016, vige una specifica dispo-
sizione. L’art. 2426, 1° comma, n. 8, prescrive infatti che occorre tenere conto del «fat-
tore temporale» nella valutazione dei crediti. In sede di rilevazione iniziale, per tenere
conto del fattore temporale, il tasso di interesse desumibile dalle condizioni contrattua-
li deve essere confrontato con i tassi di interesse di mercato. Il tasso di interesse di mer-
cato è il tasso che sarebbe stato applicato se due parti indipendenti avessero negoziato
un’operazione similare di finanziamento con termini e condizioni comparabili a quella
oggetto di esame.

220
Qualora il tasso di interesse desumibile dalle condizioni contrattuali sia significati-
vamente diverso dal tasso di interesse di mercato, il tasso di interesse di mercato deve
essere utilizzato per attualizzare i flussi finanziari futuri derivanti dal credito. In tal ca-
so, il valore di iscrizione iniziale del credito è pari al valore attuale dei flussi finanziari
futuri più gli eventuali costi di transazione.
Il tasso di interesse desumibile dalle condizioni contrattuali (da confrontare con il
tasso di mercato) include le commissioni contrattuali tra le parti dell’operazione e ogni
altra differenza tra valore iniziale e valore a scadenza e non comprende i costi di tran-
sazione come precedentemente definiti; tuttavia, se le commissioni contrattuali tra le
parti e ogni altra differenza tra valore iniziale e valore a scadenza non sono significati-
vi, il tasso desumibile dalle condizioni contrattuali dell’operazione può essere appros-
simato dal tasso di interesse nominale.
Nel caso dei crediti finanziari, la differenza tra le disponibilità liquide erogate ed il
valore attuale dei flussi finanziari futuri è rilevata tra gli oneri finanziari o tra i proven-
ti finanziari del Conto Economico al momento della rilevazione iniziale, salvo che la
sostanza dell’operazione o del contratto non inducano ad attribuire a tale componente
una diversa natura. In tal caso, la società valuta ogni fatto e circostanza che caratteriz-
za il contratto o l’operazione, ponendo particolare attenzione alle ragioni sottostanti
alla scelta delle parti di concludere un contratto o un’operazione a condizioni signifi-
cativamente diverse da quelle di mercato. Per esempio:
a) un finanziamento infruttifero o a un tasso di interesse significativamente inferiore
al tasso di mercato erogato dalla società controllante ad una società controllata in-
corpora un vantaggio per la controllata (minori interessi passivi rispetto a finan-
ziamenti contratti con terzi a tassi di mercato) che potrebbe essere giustificato in
quanto la società finanziatrice è anche socio di controllo della società debitrice.
Pertanto, la società controllante, oltre ad erogare un finanziamento alla controllata
per un valore pari al valore attuale dei flussi finanziari futuri, effettua, nella sua
qualità di socio, anche un investimento aggiuntivo nella controllata, misurato dalla
differenza tra le disponibilità liquide erogate alla controllata e il valore attuale dei
flussi finanziari futuri; nell’ottica della controllata tale differenza rappresenta il be-
neficio che riceve in termini di valore attuale dei minori interessi passivi che essa è
tenuta a corrispondere alla controllante rispetto ai tassi di interesse di mercato. In
tal caso la società controllante rileva tale differenza ad incremento del valore della
partecipazione nella controllata e, coerentemente, la società controllata rileva un
incremento di patrimonio netto per lo stesso ammontare;
b) un finanziamento erogato dalla società ai propri dipendenti a tassi di interesse si-
gnificativamente inferiori a quelli di mercato incorpora un beneficio per i dipen-
denti pari ai minori interessi che essi corrispondono al datore di lavoro rispetto ai
tassi di mercato; in tal caso la differenza tra il valore attuale del credito e l’esborso
finanziario può essere riconducibile ad una forma di retribuzione aggiuntiva. In tal
caso la società classifica la differenza negativa iniziale nel costo del personale.
Rapporto tra attualizzazione e costo ammortizzato
Una volta determinato il valore di iscrizione iniziale a seguito dell’attualizzazione,

221
occorre calcolare il tasso di interesse effettivo, ossia il tasso interno di rendimento, co-
stante lungo la durata del credito, che rende uguale il valore attuale dei flussi finanzia-
ri futuri derivanti dal credito e il suo valore di rilevazione iniziale. Se il tasso di inte-
resse effettivo determinato in sede di rilevazione iniziale successivamente si discosta
dai tassi di mercato, esso non è comunque aggiornato.
In sostanza, la considerazione del fattore temporale, e quindi del criterio dell’attua-
lizzazione, inciderà soprattutto in due casi:
1. quando la società effettuerà prestiti (crediti di finanziamento) senza interessi o a tassi
di interesse fuori mercato;
2. quando la società effettuerà vendite (e conseguenti crediti di funzionamento) con
dilazione significativa inclusivi di interessi impliciti.
Di seguito si presentano due esempi per ciascuna delle due possibili situazioni.

BOX 30 – Valutazione di un credito considerando il fattore temporale


L’esempio riguarda un prestito ad altra società per 100.000 euro senza interessi ad altra società. Rim-
borso tra tre anni. Al momento dell’erogazione il tasso di interesse di mercato è pari al 5%. In tale caso, il
valore attuale di 100.000 euro tra tre anni al tasso del 5% è pari a 86.384 euro. Quindi la differenza, pari
a 13.616 euro è un costo che la società sostiene per aver finanziato con tassi inferiori a quelli di mercato e
si rileva come costo finanziario.

Erogazione del prestito


SP B.III.2 d-bis Crediti immobilizzati verso altre imprese 86.384
CE C.17 Oneri finanziari 13.616
SP D.1 Banca c/c 100.000

Al termine del primo anno, si applicherà la regola del costo ammortizzato ed in tal caso il tasso di inte-
resse effettivo coinciderà con il tasso di mercato; pertanto il credito aumenterà del 5% calcolato su 86.384
euro, pari a 4.119 euro e diverrà 90.703, fino a portarsi a 100.000 a scadenza.

Valutazione del credito


SP B.III.2 d-bis Crediti immobilizzati verso altre imprese 4.119
CE C.16 Proventi finanziari 4.119

Se il debitore fosse una controllata, come previsto dal documento OIC, al momento dell’erogazione,
anziché rilevare un onere finanziario, si potrà rilevare un incremento del costo della partecipazione.

BOX 31 – Crediti commerciali con interessi impliciti


I crediti commerciali con dilazioni significative dovrebbero comportare l’addebito al debitore di un in-
teresse ad un tasso appropriato per remunerare l’azienda della disponibilità di capitali concessa alla con-
troparte (quale ritardata uscita finanziaria). Nella pratica però accade spesso che le operazioni di compra-
vendita che prevedono lunghe dilazioni includono degli interessi impliciti, nel senso che il prezzo di ven-
dita include già una quota di interessi per considerare il ritardato pagamento.

222
Qualora questo interesse sia esplicitamente inesistente o esistente ma in misura irragionevolmente bas-
sa rispetto ad un appropriato tasso di mercato, se ne ricava che il credito implicitamente include un inte-
resse attivo. Dal momento che in tal caso questo interesse si riferisce all’intera durata del credito, parte
della quale eccede la breve scadenza, l’azienda dovrà procedere ad un’attualizzazione del credito stesso
in quanto, secondo il principio di competenza, gli interessi vanno riconosciuti proporzionalmente al tem-
po e al credito/debito in essere.
Si supponga quindi che un’azienda venda prodotti condendo dilazione di due anni. Il credito da incas-
sare a scadenza è pari a 200.000. Il valore dei ricavi e quindi del credito deve essere misurato al valore at-
tuale. Si tratta quindi i determinare il tasso di attualizzazione. Esso può derivare o direttamente dalla stima
di un tasso di mercato su operazioni commerciali oppure indirettamente, quale tasso desumibile dalla diffe-
renza tra prezzo a pronti, ossia per pagamento in contanti per la stessa operazione e importo a scadenza.
Nell’esempio si ipotizza che l’azienda avrebbe venduto la stessa quantità di prodotti applicando un
prezzo di 180.000. Quindi si ricavo il tasso come il TIR che uguaglia il valore attuale di 200.000 a scaden-
za tra due anni e 180.000 di valore attuale al momento della vendita. Si ricava quindi un tasso implicito
annuale di 5,4094%.
Quindi si rileva il credito al valore di 180.000, con misurazione del relativo ricavo.

Rilevazione del ricavo di vendita a valore attuale


Crediti verso clienti 180.000
Ricavi di vendita 180.000

Alla fine del primo anno si rileveranno quindi gli interessi di competenza nella misura del 5,4094%,
pari a 9.736,7.
31/12/x+1 – Computo di interessi impliciti su credito commerciale
Crediti verso clienti 9.736,7
Interessi attivi 9.736,7

Al termine del secondo anno sul credito che figura in contabilità a 189.736,7, si applicherà di nuovo il
tasso del 5,4094% con stanziamento interessi di competenza per 10.263,3, che porta quindi il credito ai
200.000 nominali.
31/12/x+2 – Computo di interessi impliciti su credito commerciale
Crediti verso clienti 10.263,3
Interessi attivi 10.263,3

6.2.3. Il rischio di inesigibilità


Il codice afferma (art. 2426, n. 8) che i crediti devono essere iscritti anche tenendo
conto del valore di presumibile realizzazione. Ciò significa che in sede di redazione
del bilancio si devono valutare i rischi di inesigibilità relativi ai crediti già contabiliz-
zati. L’azienda deve stanziare un fondo svalutazione crediti, da portare a diretta retti-
fica dei crediti a cui si riferisce, nei casi in cui:
‒ si siano già manifestate perdite per inesigibilità (fallimento dei debitori, debitori
irreperibili, contestazioni, ecc.);

223
‒ si tema che in futuro si verifichino insolvenze, sia per i crediti in portafoglio, sia
per i crediti ceduti per i quali sussiste ancora possibilità di azione di regresso.
Quindi, in base a tale norma il fondo svalutazione deve essere unico sia per le per-
dite già manifestate, sia per quelle solamente temute.
L’accantonamento a tali fondi deve avvenire negli esercizi in cui la perdita è pre-
vedibile, anche se verificabile solo in esercizi futuri. Il fondo verrà utilizzato nel mo-
mento in cui la perdita sia da ritenersi definitiva e ridotto se si stiamo perdite inferiori.
La misura dell’accantonamento può derivare o da una stima forfetaria (determinata
percentuale sulle vendite o sui crediti) o da una procedura più dettagliata che prevede
un’analisi dei singoli crediti per determinare le perdite di inesigibilità già manifestate-
si, la stima delle ulteriori perdite presumibili, la valutazione dell’andamento degli in-
dici di anzianità dei crediti scaduti rispetto a quelli degli esercizi precedenti, l’analisi
delle condizioni economiche generali, di settore e di rischio paese.
Le due procedure sono alternative: certamente più semplice la prima, applicabile
specialmente in presenza di crediti molto frazionati; più articolata e razionale la se-
conda. In entrambi i casi, è importante tenere un’aggiornata lista di anzianità dei credi-
ti scaduti (crediti scaduti da una settimana, da un mese, ecc.) o ageing list, in base alla
quale le aziende sono solite graduare il rischio di inesigibilità.
L’OIC 15 richiede di stanziare anche dei fondi rischi per le riduzioni di crediti che
probabilmente si verificheranno a seguito di resi o rettifiche di fatturazione e sconti e
abbuoni. L’importo degli accantonamenti deve essere basato sull’analisi delle diverse
situazioni e sull’esperienza dell’azienda.
L’accantonamento al fondo svalutazione dei crediti assistiti da garanzie (ad esem-
pio pegno, ipoteca, fidejussione) tiene conto degli effetti relativi all’escussione delle ga-
ranzie, mentre per i crediti assicurati si può accantonare un importo pari alla quota non
coperta dall’assicurazione solo se vi è la ragionevole certezza che l’impresa di assicu-
razione riconoscerà l’indennizzo.
L’accantonamento per rischi di inesigibilità dei crediti va iscritto nella voce B.10.d)
del Conto Economico se si riferisce ai crediti compresi nell’attivo circolante, e nella vo-
ce D.19.b se riguarda crediti inclusi tra le immobilizzazioni. La perdita su crediti non
coperta dal fondo che viene quindi rilevata come costo va inserita nella voce B.14 se ri-
guarda crediti compresi nell’attivo circolante o nella voce D.19.b se riguarda crediti im-
mobilizzati. L’eventuale eccedenza del fondo svalutazione che non ha più senso di esi-
stere, va contabilizzata come ricavo nella voce A.5 del Conto Economico anche se, co-
me previsto dall’OIC 15, il fondo svalutazione crediti accantonato alla fine dell’esercizio
è utilizzato negli esercizi successiva copertura di perdite realizzate sui crediti.
Rapporto con il criterio del costo ammortizzato
Il criterio della valutazione in base al valore di presumibile realizzo dal 1° gennaio
2016 convivrà necessariamente con il criterio del costo ammortizzato. In merito il do-
cumento OIC 15 stabilisce che se, successivamente alla rilevazione iniziale, la società
rivede le proprie stime di flussi finanziari futuri (es.: prevede che il credito sarà rim-
borsato anticipatamente o successivamente rispetto alla scadenza), essa deve rettificare
il valore contabile del credito per riflettere i rideterminati flussi finanziari stimati. La

224
società ricalcola il valore contabile del credito alla data di revisione della stima dei
flussi finanziari attualizzando i rideterminati flussi finanziari al tasso di interesse effet-
tivo calcolato in sede di rilevazione iniziale. La differenza tra il valore attuale rideter-
minato del credito alla data di revisione della stima dei flussi finanziari futuri e il suo
precedente valore contabile alla stessa data è rilevata a Conto Economico negli oneri o
nei proventi finanziari. Nel caso di incasso anticipato di un credito, l’eventuale diffe-
renza tra il valore contabile residuo del credito e l’incasso relativo alla sua estinzione
anticipata è rilevata nel Conto Economico tra i proventi o tra gli oneri finanziari. Il
tasso di interesse effettivo determinato in sede di rilevazione iniziale non è successi-
vamente ricalcolato ed è applicato fino all’estinzione del credito.
Per semplificare i profili contabili del rapporto tra costo ammortizzato e valore di
presumibile realizzo, si riprenda l’esempio di cui sub box 29 e si supponga che durante il
quarto anno si ritenga che il debitore non sarà in grado di pagare gli interessi per gli ul-
timi due anni e che rimborserà il capitale prestato solo per 90.000 anziché 100.000. Il
credito all’inizio del quarto anno, con il criterio del costo ammortizzato vale 98.192,07 €.
Nella seguente tabella si osserva l’impatto della svalutazione che porta il credito ad esse-
re svalutato fino a 78.609,49 (dato da 90.000 attualizzati per due anni al tasso del 7%)
con conseguente addebito di costi per svalutazioni per 19.582,58 (98.912,07 – 78.609,49)
da riepilogare nella voce D.19.b. Quindi per il quarto e quinto anno si procede a calcola-
re interessi continuando ad usare il TIR originario ma partendo dal nuovo valore del cre-
dito di 78.609,49.

2) 4)
Valore Interessi
1) 2) 5)
1) attualizzato al 3) dell’anno al
Valore iniziale Flussi entrata/ Valore
Anno TIR con Perdita TIR su
del credito uscita fine anno
perdite valore
previste iniziale
4 98.192,07 0 78.609,49 19.582,58 5.502,66 84.112,15
5 84.112,15 90.000 84.112,15 5.887,85 90.000,00
TIR = 7,00%

Il documento OIC prevede che il calcolo del valore attuale dei futuri flussi finanziari
stimati di un credito assistito da garanzia riflette i flussi finanziari che possono risultare
dall’escussione della garanzia meno i costi per l’escussione della garanzia stessa, te-
nendo conto se sia probabile o meno che la garanzia sia effettivamente escussa.
Inoltre, se, in un esercizio successivo, le ragioni che in precedenza avevano com-
portato la contabilizzazione di una svalutazione vengono meno in tutto o in parte (es.:
per un miglioramento nella solvibilità del debitore), la svalutazione rilevata preceden-
temente deve essere stornata. Il ripristino di valore del credito non deve determinare
un valore del credito superiore al costo ammortizzato che si sarebbe avuto se la svalu-
tazione non fosse mai stata rilevata.

225
6.3. Lo smobilizzo di crediti e la loro cancellazione dal bilancio
In termini generali, replicando quanto previsto dallo IAS 39, l’OIC 15 dispone che
la società cancelli il credito dal bilancio se si verifica una delle due situazioni:
a) i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono;
b) la titolarità dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito è trasferi-
ta e con essa sono trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito 1.
La situazione di cui sub b) riguarda la frequente operazione di smobilizzo del credi-
to per ottenere anticipatamente la liquidità derivante tramite cessione a terzi. La cessio-
ne di crediti (anche se rappresentati da titoli di credito come le cambiali) a intermediari
finanziari quali società di factoring o istituti bancari e altri soggetti, può essere effettua-
ta nella modalità pro soluto, cioè che non comporta azione di regresso sull’azienda
cedente in caso di insolvenza del debitore principale, o pro solvendo, ossia con rischio
di regresso sull’azienda cedente in caso di insolvenza del debitore principale.
Quando la cessione del credito non comporta la sua cancellazione dal bilancio per-
ché la società non ha trasferito sostanzialmente tutti i rischi, il credito dovrà essere va-
lutato seguendo le regole sopra descritte e si deve rilevare contabilmente l’entrata di
denaro per l’anticipazione da parte del cessionario movimentando in contropartita un
debito di finanziamento, oltre ai costi dell’operazione (interessi e commissioni) in Conto
Economico in base alla loro natura.
Qualora a seguito della cessione siano stati trasferiti sostanzialmente tutti i rischi
inerenti il credito ma rimangano in capo al cedente taluni rischi minimali, potrebbe es-
sere necessario, se ricorrono le condizioni previste dall’OIC 31 «Fondi per rischi e oneri
e Trattamento di Fine Rapporto», effettuare un apposito accantonamento. I conti d’or-
dine danno evidenza dei rischi a cui la società continua ad essere esposta successiva-
mente allo smobilizzo che non si sono tradotti in un apposito accantonamento ai sensi
dell’OIC 31.
Se la cessione di crediti è effettuata con modalità pro soluto, il credito deve essere
cancellato dal bilancio senza altre indicazioni, dal momento che sono stati trasferiti
tutti i rischi derivanti dalla esigibilità del credito. A tal fine si devono considerare tutte
le clausole contrattuali, (obblighi di riacquisto al verificarsi di certi eventi o l’esistenza
di commissioni, di franchigie e di penali dovute per il mancato pagamento).
Quando il credito è cancellato dal bilancio a seguito di un’operazione di cessione
che comporta il trasferimento sostanziale di tutti i rischi, la differenza tra corrispettivo
e valore contabile del credito al momento della cessione è rilevata come perdita da
cessione da iscriversi alla voce B.14 del Conto Economico.
Nel box seguente si sintetizza le regole contenute nell’OIC 15 relative alla contabi-
lizzazione dello smobilizzo di credito (da parte di banche o di società di factoring) per
ottenere anticipatamente liquidità.

1Merita rilevare che, salvo casi eccezionali, il trasferimento dei rischi implica anche il trasferimento
dei benefici.

226
BOX 32 – Il trattamento contabile della cessione dei crediti
Ipotizzando la cessione pro soluto di crediti per 30.000 con netto ricavo di 28.800, tale da determina-
re la cessazione di ogni rischio di insolvenza in capo all’azienda, la rilevazione sarà la seguente:

Cessione di crediti pro soluto


Banca c/c 28.800
Sconti finanziari 1.200
Crediti verso clienti 30.000

Se la cessione di crediti è effettuata con modalità pro solvendo, i creduti ceduti sono considerati come
una garanzia per l’anticipazione concessa che verrà quindi registrata come un debito verso finanziatori.
Tale debito sarà estinto a seguito del pagamento al cessionario da parte del debitore principale. Anche in
questo caso la Nota Integrativa deve evidenziare il valore nominale dei crediti ceduti.

Cessione di crediti pro solvendo


Banca c/c 28.800
Sconti finanziari 1.200
Factor (banche) c/anticipazioni su crediti ceduti 30.000

Pagamento da parte del debitore principale


Factor (banche) c/anticipazioni su crediti ceduti 30.000
Crediti verso clienti 30.000

Nel caso in cui il cessionario non anticipi alcuna somma ma presti soltanto un servizio di incasso, i
crediti ceduti vanno mantenuti in bilancio. Analogo comportamento deve osservarsi per le ricevute banca-
rie inviate all’incasso presso l’istituto di credito.

L’OIC 15 ricorda che le ricevute bancarie (o RIBA) sono strumenti che contengono
un ordine di incasso disposto dal creditore ad un istituto finanziario (banca assuntrice)
per la riscossione di crediti verso propri clienti derivanti da operazioni commerciali
comprovate da fatture. Le ricevute bancarie di tipo «elettronico» sono procedure inter-
bancarie di gestione automatica degli incassi commerciali. Esse non costituiscono tito-
li di credito, bensì strumenti per l’incasso dei crediti. Il trasferimento di ricevute ban-
carie non costituisce da un punto di vista sostanziale sconto o cessione del credito e,
pertanto, il credito non è rimosso dal bilancio fino all’incasso.

6.4. Contenuto della Nota Integrativa


Il Codice Civile, con specifico riferimento ai crediti, chiede di indicare varie informa-
zioni in diversi punti della Nota Integrativa, come da seguenti numeri di cui all’art. 2427:

227
1. i criteri applicati nelle valutazioni, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei
valori non espressi all’origine in euro; in particolare, l’OIC 15 chiede che siano
evidenziati i crediti finanziari senza interessi o con interessi irragionevolmente bas-
si e la componente finanziaria che sarebbe stata corretto rilevare. Si indica, altresì,
anche l’ammontare complessivo degli interessi attivi scorporati dal ricavo derivan-
te dalla vendita di beni o la prestazione di servizi;
2. le svalutazioni effettuate nell’esercizio per quanto riguarda i crediti classificati tra
le immobilizzazioni finanziarie;
3. le variazioni intervenute nella consistenza dei crediti da un esercizio all’altro;
4. distintamente per ciascuna voce, l’ammontare dei crediti e dei debiti di durata resi-
dua superiore a cinque anni, e dei debiti assistiti da garanzie reali su beni sociali,
con specifica indicazione della natura delle garanzie e con specifica ripartizione se-
condo le aree geografiche.
Inoltre, secondo l’OIC 15, ove rilevante, la Nota Integrativa indica:
‒ il tasso d’interesse effettivo e le scadenze;
‒ l’ammontare dei crediti per i quali sono state modificate le condizioni di pagamen-
to ed il relativo effetto sul Conto Economico;
‒ l’ammontare dei crediti dati in garanzia di propri debiti o impegni;
‒ l’ammontare degli interessi di mora compresi nei crediti scaduti, distinguendo tra
quelli ritenuti recuperabili e quelli ritenuti irrecuperabili;
‒ il grado di concentrazione dei crediti se è presente un fenomeno di concentrazione
dei crediti;
‒ la natura dei creditori e la composizione della voce B.III.2.d-bis) e C.II.5-quater)
«crediti verso altri».
Nella Nota Integrativa del bilancio in forma abbreviata sono omesse le informazio-
ni richieste dai nn. 2 e 10 dell’art. 2427, 1° comma, c.c. (svalutazione dei crediti iscrit-
ti nelle immobilizzazioni e ripartizione geografica dei ricavi).
Le informazioni da fornire in Nota Integrativa con riferimenti ai crediti verso imprese
controllate, collegate, controllanti e altri parti correlate sono disciplinate dall’OIC 12
«Composizione e schemi del bilancio d’esercizio». Analogamente le informazioni re-
lative ai crediti verso i soggetti che esercitano l’attività di direzione e coordinamento e
verso le altre società che vi sono soggette sono disciplinate nell’OIC 12.

6.5. Le regole IAS


Non esiste uno specifico IAS/IFRS che affronti espressamente la contabilizzazione
dei crediti. Si trovano però disperse in vari standard numerose norme importanti. In
particolare lo IAS 18 (Revenue) e lo IAS 20 (Accounting for government grants and
disclosure of government assistance) trattano rispettivamente della contabilizzazione
dei ricavi di vendita e di quella dei contributi pubblici, fornendo alcune interessanti
regole. Lo IAS 39 poi tratta degli strumenti finanziari e affronta anche la questione
della valutazione dei crediti.

228
Si segnala che il principio IAS 18 è stato sostituito dall’IFRS 15 che però sarà ap-
plicabile nell’Unione Europea soltanto a partire dal 1° gennaio 2018.

6.5.1. Riconoscimento dei ricavi e del relativo credito


La prima questione riguarda il momento nel quale riconoscere i ricavi di vendita e
quindi il relativo credito. Lo IAS 18 distingue a tal proposito la vendita di beni dalla
prestazione di servizi.
I ricavi da vendita di beni sono contabilizzati quando sono soddisfatte tutte le se-
guenti condizioni:
1. l’azienda ha trasferito all’acquirente i rischi significativi e i benefici connessi alla
proprietà dei beni;
2. l’azienda smette di esercitare il solito livello continuativo di attività associate con
la proprietà nonché l’effettivo controllo sulla merce venduta;
3. il valore dei ricavi può essere determinato attendibilmente;
4. è probabile che i benefici economici derivanti dall’operazione saranno fruiti dal-
l’azienda;
5. i costi sostenuti, o da sostenere, riguardo all’operazione possono essere attendibil-
mente determinati.
Da questo punto di vista lo IAS 18 pone condizioni più precise di quelle sancite dai
documenti dell’OIC. In forza di tali regole, ad esempio, un’azienda che ha compiuto una
vendita all’estero ma che non ha ancora ricevuto l’autorizzazione al pagamento del cor-
rispettivo e questa si presenta incerta, non può contabilizzare un ricavo in quanto la con-
dizione sub 4 non si è realizzata. Analogamente, se l’azienda ha trasferito la proprietà
del bene ma si è accollata contrattualmente anche dei costi che saranno sostenuti all’arri-
vo presso il cliente, non potrà rilevare il ricavo se non è in grado di stimare tali costi, co-
me da condizione sub 5. Se poi esiste una possibilità concreta di revoca da parte del
cliente, si deve ritenere che la condizione sub 1 non è ancora realizzata, impedendo an-
cora la contabilizzazione del ricavo. Se per difetto di una delle precedenti condizioni il
ricavo non può essere rilevato e sono stati già incassati dei corrispettivi, questi ultimi do-
vranno essere rilevati come una passività alla stregua di anticipi da clienti. Nel box suc-
cessivo si evidenzia la situazione nella quale il riconoscimento dei ricavi secondo lo IAS
18 non può essere integralmente imputato al Conto Economico dell’esercizio nel quale
avviene la vendita per difetto del requisito del passaggio dei rischi.

BOX 33 – Riconoscimento dei ricavi secondo lo IAS 18


Sono stati venduti beni per 1.000 con la clausola delivered duty unpaid nel porto di destino: a carico
del compratore sono solo quindi solo gli oneri doganali nella nazione di arrivo ed il venditore è responsa-
bile nei confronti del compratore per perdite/danneggiamenti durante il viaggio anche se la compagnia di
trasporto si assume i rischi di tali perdite/danneggiamenti. Per cui l’operazione non può generare ricavi al
momento della spedizione in suddetta carenza della condizione 1. Solo quando i beni sono giunti nel por-
to estero di destinazione i ricavi saranno di competenza. Contabilmente al momento della vendita si rile-
verà un ricavo differito a fronte del credito in fattura.

229
Crediti commerciali 1.000
Ricavi vendita differiti 1.000

Il ricavo diverrà di competenza solo al momento della consegna.


Alla consegna nel porto di destino.

Ricavi vendita differiti 1.000


Ricavi di vendita 1.000

I ricavi da vendita di servizi sono contabilizzati quando sono soddisfate tutte le se-
guenti condizioni:
1. l’ammontare dei ricavi può essere attendibilmente valutato;
2. è probabile che i benefici economici derivanti dall’operazione affluiranno all’a-
zienda;
3. lo stadio di completamento dell’operazione alla data del bilancio può essere atten-
dibilmente determinato (si rinvia al par. 5.7 per i criteri impiegabili per la determi-
nazione dello stadio di completamento, che vanno comunque specificati in nota se-
condo quanto disposto dallo IAS 18);
4. i costi sostenuti per l’operazione e i costi da sostenere per completarla possono es-
sere attendibilmente calcolati.
Si noti in particolare la condizione sub 3. Mentre l’OIC 11 stabilisce che il ricavo
va riconosciuto quando il processo produttivo è stato completato, lo IAS 18 ritiene che
la contabilizzazione del ricavo da vendita di un servizio possa essere effettuata anche
in assenza del completamento del servizio purché si possa stimare lo stadio di avan-
zamento lavori, come alla stregua di una commessa pluriennale. Ad esempio, un ser-
vizio di riparazione dalla durata di due mesi in corso di svolgimento alla data di chiu-
sura dell’esercizio può essere contabilizzato come ricavo per la parte già svolta se si è
in grado di stimare il grado di avanzamento alla chiusura dell’esercizio. Per i principi
contabili dell’OIC un ricavo del genere, la cui contabilizzazione è apparentemente
esclusa in quanto la prestazione non è completata, potrebbe ricadere nell’ambito del
documento n. 23 (lavori in corso su ordinazione) che permetterebbe una valutazione
con il metodo della percentuale di completamento di tale servizio tra le rimanenze di
magazzino.
Quando non si può stimare con attendibilità il risultato dell’operazione e non è
probabile che i costi sostenuti possano essere recuperati, i ricavi non possono essere
rilevati e i costi sostenuti vanno imputati a Conto Economico.
I contributi pubblici trattati dallo IAS 20 sono sempre dei ricavi, sia se corrisposti
in conto capitale, dovuti cioè per fronteggiare i costi di acquisto di beni strumentali,
sia se corrisposti in conto esercizio, quale forma di compensazione per costi comun-
que sostenuti dall’azienda. La contabilizzazione di detti ricavi potrà avvenire quando
esiste la ragionevole certezza che l’azienda rispetterà le condizioni stabilite dall’ente
pubblico per ricevere il contributo e che tale contributo sarà effettivamente ottenuto.

230
6.5.2. Valutazione dei ricavi e dei crediti
La regola generale di valutazione dei ricavi secondo lo IAS 18 è quella di iscriverli
ad un valore corrispondente al fair value dei beni del corrispettivo ricevuto. Pertanto
se la vendita di un prodotto include anche implicitamente delle componenti di servi-
zio, si deve rilevare separatamente il ricavo del prodotto al proprio fair value attri-
buendo il restante ricavo alla componente di servizio, con conseguente imputazione
temporale laddove necessario. In merito si veda il box seguente.

BOX 34 – I ricavi per garanzia prodotti secondo lo IAS 18


Alfa vende a Beta un macchinario al prezzo di 100.000 concedendo una garanzia triennale. il fair va-
lue del prodotto è 95.000. In base all’esperienza Alfa stima curva dei costi di garanzia saranno per i diversi
anni pari a 60%, 30%, 10%. Si tratterà quindi di imputare il ricavo per i servizi di garanzia separatamente
dal ricavo per vendita prodotti. Il ricavo per garanzia sarà poi riconosciuto lungo i tre anni in base alla per-
centuale stimata dei costi per il servizio di garanzia.

Crediti commerciali 100.000


Ricavi di vendita (C.E.) 95.000
Ricavi da differiti garanzia (S.P.) 05.000

Alla fine del primo anno si imputeranno a Conto Economico per competenza il 60% dei ricavi per ga-
ranzia mentre il fair value della vendita del prodotto sarà interamente di competenza dell’esercizio in cui
avviene la vendita.

Ricavi differiti di garanzia (S.P.) 3.000


Ricavi per servizi (C.E.) 3.000

Se il regolamento è per contanti non vi sono problemi; se il pagamento è differito e


non sono stabiliti degli interessi, allora il fair value non corrisponde al valore nomina-
le del credito, in quanto un credito che dà diritto ad incassare denaro tra qualche mese,
per effetto del fattore tempo, oggi ha un valore più basso del valore nominale (somma
esigibile a scadenza). Si tratta pertanto di scorporare dal credito l’ammontare degli in-
teressi impliciti secondo la procedura descritta sub 6.2.2.
Secondo lo IAS 20, i contributi in conto capitale posso essere trattati in uno dei due
modi già descritti nel par. 4.2.1. In ogni caso, sia i contributi in conto capitale che
quelli in conto esercizio dovranno essere imputati a Conto Economico negli esercizi in
cui si contrappongono ai costi sostenuti dall’azienda che l’ente pubblico intende com-
pensare.
Consistendo in una attività finanziaria, i crediti potrebbero essere classificati in tre
delle quattro classi descritte più diffusamente nel par. 8.7.2.
Potrebbero infatti essere classificati nelle categorie:

231
 fair value through profit and loss, ossia valutati al fair value con collocazione delle
variazioni da un esercizio all’altro nel Conto Economico, se i crediti formano og-
getto di negoziazione frequente con altre imprese. Tale fattispecie risulta alquanto
improbabile in Italia, dal momento che non vi è un mercato per tali strumenti fi-
nanziari;
 available for sale, ossia disponibili per la vendita, se vi è volontà di cederli prima
del loro naturale incasso. La Guida operativa alla transizione IAS dell’OIC ritiene
che siano collocabili in tale classe i prestiti concessi in pool dalla banca capofila
del pool che ha poi intenzione di ricollocarli presso altre banche. In tali casi i credi-
ti sono valutati al loro fair value ma le variazioni di tale grandezza tra un esercizio
e l’altro sono imputate a riserva del netto (sia se positive che negative);
 loans and receivables: è questa la categoria principale ove collocare i crediti che
implica la loro valutazione con il criterio del costo ammortizzato. Un esempio di
tale valutazione è presentato nel par. 8.13.2.
Il credito è in ogni caso iscritto originariamente al suo fair value.
Per i crediti a breve termine, tuttavia, si ritiene che il valore contabile possa essere
una buona approssimazione del fair value e che nelle valutazioni successive, possa
non essere applicato il metodo del costo ammortizzato previsto dalla categoria loans
and receivables, in quanto l’impatto della logica dell’attualizzazione previsto dal me-
todo del costo ammortizzato sarebbe trascurabile.
Per i crediti collocati nella categoria loans and receivables resta comunque valida
la regola di svalutarli se si assiste a riduzioni del loro valore recuperabile (e rivalutarli
qualora vengano meno i motivi di tale svalutazione). La svalutazione sarà pari alla dif-
ferenza tra valore di carico e valore attuale dei flussi finanziari determinato applicando
il metodo del tasso di interesse effettivo.
Nel caso di cessione di crediti con permanenza del rischio di regresso (continuing
involvement), esaminato nel box 32, lo IAS 39 stabilisce che il credito ceduto debba
permanere in contabilità e nel passivo deve essere iscritto un debito di importo pari al
minore tra valore nominale del credito ceduto e somma garantita al cessionario.
Circa la valutazione connessa alla esigibilità dei crediti, lo IAS 39 tratta delle even-
tuali svalutazioni (impairment) delle attività finanziarie, nel cui ambito sono trattati
anche i crediti. Si stabilisce che la valutazione debba essere compiuta per tutti i crediti,
raggruppandoli in classi omogenee quanto a caratteristiche circa la loro solvibilità. La
valutazione dovrà essere compiuta usando l’esperienza passata.

232
7

Poste in valuta estera

SOMMARIO: 7.1. La contabilizzazione iniziale delle operazioni in valuta. – 7.2. Le valutazioni a fi-
ne esercizio. – 7.2.1. La particolarità dei lavori in corso su ordinazione. – 7.2.2. La riserva utili su
cambi. – 7.3. Le regole IASB. – 7.3.1. La scelta della valuta «funzionale». – 7.3.2. La contabiliz-
zazione iniziale (recognition) delle operazioni in valuta. – 7.3.3. La conversione in bilancio delle
operazioni in valuta. – 7.3.4. La valuta di presentazione in bilancio. – 7.3.5. Informazioni da for-
nire in bilancio.

7.1. La contabilizzazione iniziale delle operazioni in valuta


La variabilità dei cambi determina incertezza sul valore delle poste contabili deri-
vanti da operazioni in valuta diversa da quella con la quale è tenuta la contabilità e re-
datto il bilancio (c.d. «moneta di conto»). Dovendo contabilizzare in moneta di conto
tali operazioni, sorge infatti il problema della scelta del tasso di cambio per la conver-
sione, da operare sia nel momento in cui l’operazione (acquisto/vendita/finanziamen-
to) viene effettuata, sia in sede di valutazioni di fine esercizio per la redazione del bi-
lancio, nel caso in cui tali operazioni abbiano generato delle rimanenze attive/passive
(principalmente crediti/debiti) lasciate in eredità agli esercizi futuri.
Il Codice Civile disciplina tale questione nell’art. 2425 bis, che stabilisce il criterio
da usare per la conversione in moneta di conto dell’operazione: «i ricavi e i proventi, i
costi e gli oneri relativi ad operazioni in valuta devono essere determinati al cambio cor-
rente alla data nella quale la relativa operazione è compiuta», dove per «compiuta» deve
intendersi «effettuata». Quindi si dovrà fare riferimento al cambio in vigore alla data di
consegna/spedizione per le compravendite di beni mobili, alla data di stipula del contrat-
to per i passaggi di proprietà di beni immobili, alla data di ultimazione per le prestazioni
di servizi. Tale tasso di conversione sarà d’ora in poi definito come cambio «storico».
Al momento del regolamento (ad esempio incasso di un credito in valuta o paga-
mento di un debito in valuta), tenuto conto della variabilità dei cambi, potranno sorge-
re delle differenze di cambio, ossia degli utili o delle perdite su cambi realizzati. Tali
componenti reddituali dovranno essere riepilogati nella voce C.17-bis del Conto Eco-
nomico (OIC 26). In sostanza, i costi e i ricavi dovuti a differenze di cambio sono con-
siderati componenti reddituali di natura finanziaria, in quanto il regolamento è un’o-
perazione tipicamente finanziaria e non deve inquinare l’area operativa della gestione

233
economica di esercizio. Le differenze di cambio quindi non andranno a rettificare i ri-
cavi e i costi già iscritti in sede di rilevazione iniziale dell’operazione in valuta, neppu-
re nei casi in cui la liquidazione finanziaria avvenga nello stesso esercizio.
A livello di schemi di Stato Patrimoniale non vi è alcuna specifica classificazione
degli elementi espressi in valuta che confluiranno nelle voci riferiti agli stessi elementi
sorti direttamente in moneta di conto.

7.2. Le valutazioni di fine esercizio


Il Codice Civile al punto 8-bis dell’art. 2426 afferma che «le attività e le passività
monetarie in valuta sono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiu-
sura dell’esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi devono essere imputati al conto
economico e l’eventuale utile netto deve essere accantonato in apposita riserva non
distribuibile fino al realizzo. Le attività e passività in valuta non monetarie devono es-
sere iscritte al cambio vigente al momento del loro acquisto». In merito, l’art. 2426, 2°
comma, c.c. prescrive che per la definizione di «attività monetaria» e «passività mone-
taria» si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall’Unione europea.
Quindi con tale regola, ispirata ai criteri stabiliti dai principi contabili internaziona-
li, diviene rilevante la distinzione tra attività o passività monetarie o non monetarie,
dove per elementi monetari si intendono le attività e passività che comportano il diritto
ad incassare o l’obbligo di pagare, a date future, importi di denaro in valuta determina-
ti o determinabili. Pertanto, sono elementi monetari: i crediti e debiti, le disponibilità
liquide, i ratei attivi e passivi, i titoli di debito e i fondi rischi e oneri.
Sono invece elementi non monetari le attività e le passività che non comportano il
diritto ad incassare o l’obbligo di pagare importi di denaro in valuta determinati o de-
terminabili. Pertanto si qualificano come elementi non monetari: le immobilizzazioni
materiali e immateriali, le partecipazioni e altri titoli che conferiscono il diritto a par-
tecipare al capitale di rischio dell’emittente, le rimanenze, gli anticipi per l’acquisto o
la vendita di beni e servizi, i risconti attivi e passivi 1.
Tale distinzione è rilevante perché le poste monetarie in valuta sono convertite in
bilancio al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio, imputando i re-
lativi utili e perdite su cambi al Conto Economico dell’esercizio, mentre le attività e le
passività in valuta aventi natura non monetaria restano iscritte nello Stato Patrimoniale
al cambio storico, ossia quello con il quale sono state contabilizzate inizialmente. Per
tali poste non monetarie, le differenze cambio positive o negative non danno luogo ad
una autonoma e separata rilevazione.

1 Sebbene espressamente stabilito dall’OIC 26 solo per gli anticipi ottenuti su lavori in corso su ordi-

nazione, si segnala che gli acconti ricevuti da clienti, per quanto siano classificati tra i debiti, dovrebbero
essere mantenuti al cambio storico in quanto nella sostanza non rappresentano una posta monetaria, dal
momento che tipicamente non origineranno un’uscita di denaro. Essi in sostanza esprimono ricavi non di
competenza ma già realizzati monetariamente.

234
L’OIC 26 compie una opportuna precisazione circa il congiunto effetto della varia-
zione cambi e della variazione del valore del bene espresso in valuta straniera. Secondo
l’OIC 26 per prima cosa si deve compiere una valutazione del bene nella valuta origina-
ria e solo successivamente, limitatamente alle poste monetarie, convertire il valore così
determinato al cambio di chiusura. Ciò significa, ad esempio, che ai crediti espressi in
valuta estera si applica prima il criterio generale del valore presumibile di realizzazio-
ne e poi il relativo risultato determinato in valuta è convertito al cambio di fine eserci-
zio. In sede di bilancio si dà evidenza separata della componente valutativa da quella
di conversione. In particolare, la componente valutativa è iscritta nella pertinente voce
di Conto Economico mentre la differenza relativa all’adeguamento del tasso di cambio
si imputa a Conto Economico nella voce C.17-bis) «utili e perdite su cambi». Tuttavia
la logica richiesta di separare le due componenti a Conto Economico avrebbe anche
richiesto di specificare a quale cambio (storico o corrente) esprimere la «componente
valutativa» propria dell’elemento, atteso che i risultati cui si giunge usando i due cam-
bi sarebbero diversi, come mostrato dal box seguente.

BOX 35 – Effetto cambi ed effetto valutativo «proprio» del bene


Un credito di 100 $ con cambio storico di 1 $/€, e quindi espresso in contabilità a 100 €, alla fine del-
l’esercizio presenta una esigibilità stimata del 90%. Alla fine dell’esercizio il cambio $/€ è pari a 1,2. Se-
condo il procedimento dell’OIC la corretta sequenza è:
1. valutare il credito all’importo esigibile in valuta straniera: 100 $ – 10% perdita presunta per insolvenza = 90 $;
2. convertire l’importo esigibile in moneta di conto: 90 $ /1,2 $/€ = 75 €. Il credito passerà quindi da 100 €
a 75 € determinando a C.E. una perdita complessiva di 25 €. Se si fosse adottata la procedura inversa
(prima la fase 2 e poi la fase 1) si sarebbe giunti ad una diversa valutazione del credito: 100 $ /1,2 $/€ =
66,6 €; 66,6 € – 10% = 60 €.
Nel Conto Economico la perdita complessiva di 25 € dovrà secondo l’OIC essere scomposta in due parti: ef-
fetto valutativo proprio dell’elemento (insolvenza presunta di 10$) ed effetto cambi. L’unica cosa che l’OIC 26
non specifica è se esprimere l’effetto valutativo proprio al cambio di chiusura o al cambio storico. Infatti:
– se si usa il cambio storico di 1 $/€, la componente valutativa di 10 $ dà una perdita presunta di 10 € e quindi,
fermo restando la rettifica complessiva del credito di 25 €, la perdita su cambi sarà di 15 € (25 – 10). I 15 € sa-
rebbero la differenza tra i 90 $ valutati a 1 $/€ e i 90 $ valutati a 1,2 $/€;
– se si usa il cambio corrente di 1,2 $/€, la componente valutativa di 10 $ dà una perdita presunta di 8,33 €
e quindi, fermo restando la rettifica complessiva del credito di 25 €, l’effetto cambi sarà di 16,67 €.
A chi scrive sembra logicamente più corretto esprimere la componente valutativa al cambio storico,
Per cui la svalutazione di 10 $ sarà tradotta al cambio $/€ di 1. Il risultato, pari a 10 €, esprime la svaluta-
zione che deve essere iscritta a Conto Economico nella voce B.10.d come perdita presunta su crediti. Il
credito rimanente di 90 $ tradotto a 1,2 $/€ porta ad un valore finale del credito di 75 € e comporta
l’iscrizione dell’effetto cambi nella voce C.17-bis dell’area finanziaria. La scrittura contabile sarà:
31/12/201x – Valutazione credito in valuta

Perdite presunte su crediti (C.E., B.10d) 10


Differenze conversione cambi (C.E., C.17-bis) 15
Crediti v/clienti in valuta (S.P., C.II.1) 25

235
Per gli elementi non monetari (partecipazioni, rimanenze, immobilizzazioni materiali
e immateriali) il costo originario (eventualmente ridotto dagli ammortamenti nel caso
delle immobilizzazioni materiali e immateriali) mantenuto al cambio storico andrà con-
frontato con il valore recuperabile (per le immobilizzazioni) o con il valore di realizza-
zione desumibile dall’andamento del mercato (per le poste in valuta non monetarie iscritte
nell’attivo circolante). In questo processo valutativo, come afferma l’OIC 26, «gli effetti
legati alla variazione del cambio sono uno degli elementi da considerare nella determi-
nazione del valore iscrivibile in bilancio per le singole attività».
Con riferimento alle partecipazioni valutate con il metodo del patrimonio netto, nel
caso in cui i bilanci delle partecipate siano espressi in valuta estera, l’OIC 26 prevede
che innanzi tutto si proceda alla traduzione degli stessi in euro secondo quanto previ-
sto dal principio OIC 17 «Bilancio consolidato e metodo del patrimonio netto», e, suc-
cessivamente, procedere alla valutazione della partecipazione secondo la specifica di-
sciplina contabile del metodo del patrimonio netto, per la quale si rinvia all’OIC 17
(trattato in questo volume sub si vedano i parr. 8.8.4 e segg.).
A titolo riepilogativo si supponga la seguente situazione:

Saldo al 31/12 Cambio storico Cambio 31/12 Differenza


Credito 100 £ 0,62 £/€ (161,29 €) 0,71 £/€ (140,84 €) – 20,45 €
Debito 200 $ 0,94 $/€ (212,76 €) 1,15 $/€ (173,92 €) + 38,84 €

Con tali differenze si dovrà ridurre il credito in sterline a fronte di un costo per dif-
ferenza negativa da conversione cambi (per 20,45 €) e ridurre anche il debito, a fronte
stavolta di un ricavo per differenza positiva cambi di 38,84 €. In Stato Patrimoniale
figureranno i debiti e i crediti ai cambi del 31/12 e nel Conto Economico si invierà alla
voce C.17-bis (utili su cambi), l’importo netto di 18,39 € (38,84 € – 20,45 €), come
ricavo. Ovviamente il saldo, in caso di perdita netta su cambi, avrebbe potuto essere
negativo; in effetti la voce C.17-bis attua al suo interno un «compenso di partite», in-
globando tanto gli utili quanto le perdite (ed in entrambi i casi, sia da conversione
cambi, sia da realizzo in corso di esercizio). Nel Codice Civile si conferma in ogni ca-
so che i costi/ricavi per differenze su cambi sono considerati come componenti reddi-
tuali appartenenti all’area finanziaria, similmente a quanto già affermato da parte dei
principi contabili dell’OIC.

7.2.1. La particolarità dei lavori in corso su ordinazione


Una questione particolare è rappresentata dalla valutazione dei lavori in corso su or-
dinazione espressi in valuta e sui relativi anticipi concessi da committenti espressi in va-
luta e iscritti tra i debiti. Gli anticipi o acconti, poiché non rappresentano debiti mone-
tari, bensì debiti a fronte di prestazioni da effettuare o effettuate ma ancora non fattu-
rate a titolo definitivo (i quali non prevedono infatti un flusso monetario successivo),
entrano in contabilità al cambio in vigore al momento dell’incasso ed a tale cambio

236
storico sono mantenuti, senza quindi essere allineati ai cambi in vigore alla fine di cia-
scun esercizio.
Quanto ai criteri di conversione da applicare alle rimanenze di lavori in corso su
ordinazione, occorre distinguere se si applica il criterio della percentuale di completa-
mento oppure se si applica il criterio della commessa completata (si veda par. 5.7).
Nel caso di adozione del criterio della commessa completata, la rimanenza è valo-
rizzata al costo di produzione. Si tratta dunque di poste non monetarie e come tali sono
iscritte al loro cambio storico. Se si usa invece il criterio della percentuale di comple-
tamento, le rimanenze di lavori in corso su ordinazione sono valutate in base ai ricavi
(corrispettivo contrattuale previsto). In tal caso, afferma l’OIC 26 «vi è dunque una rap-
presentazione per competenza della quota di corrispettivo maturata contrattualmente, e
quindi una logica di rappresentazione sostanzialmente in linea con quella delle poste
monetarie. Conseguentemente, i lavori in corso iscritti nell’attivo sono convertiti al
cambio corrente alla data di chiusura dell’esercizio».
In particolare, in caso di adozione della percentuale di completamento la procedura
di conversione dei lavori in corso su ordinazione in valuta è la seguente:
1. determinazione del valore dei lavori eseguiti nella moneta contrattuale in funzione
della percentuale di completamento;
2. detrazione dal valore delle opere eseguite determinato nella moneta contrattuale, di
cui al punto 1) degli importi, espressi nella stessa moneta, già contabilizzati a rica-
vo e fatturati. L’importo netto risultante dalla differenza tra il valore delle opere
eseguite espresso nella moneta contrattuale e gli importi espressi nella stessa mone-
ta e fatturati, rappresenterà il valore delle opere eseguite residue, costituenti le ri-
manenze, che occorre convertire nella moneta nazionale;
3. conversione della parte di tale valore, a fronte del quale vi siano anticipi e acconti
iscritti nel passivo, al cambio in cui gli stessi sono stati contabilizzati;
4. conversione al cambio in vigore alla data di bilancio della parte residua del valore
delle opere eseguite.
Ai fini dell’aggiornamento dei preventivi su cui si basa la valutazione con il crite-
rio della percentuale di completamento, i ricavi da fatturare ed i costi da sostenere in
moneta estera sono determinati utilizzando il cambio in vigore alla data di bilancio.
Come sintesi dei criteri di conversione a fine esercizio delle poste in valuta, ci
sembra molto utile il prospetto inserito in Appendice all’OIC 26.

Voci di bilancio in valuta estera Cambio da utilizzare

Poste monetarie e poste a loro assimilate

 Disponibilità liquide Cambio a pronti di fine esercizio


 Crediti iscritti nell’attivo circolante
 Lavori in corso su ordinazione valutati con il
criterio della percentuale di completamento
 Titoli di debito iscritti nell’attivo circolante
 Crediti iscritti nell’attivo immobilizzato
(segue)

237
 Titoli di debito iscritti nell’attivo immobilizzato
 Debiti
 Fondi per rischi ed oneri
 Conti d’ordine
Poste non monetarie
 Rimanenze di magazzino Cambio storico
 Lavori in corso su ordinazione valutati con il Del cambio a pronti di fine esercizio si tiene
criterio della commessa completata conto per la conversione di eventuali flussi fi-
 Partecipazioni iscritte nell’attivo circolante nanziari futuri espressi in valuta al fine di de-
terminare il valore recuperabile e l’eventuale
perdita durevole di valore
 Immobilizzazioni materiali e immateriali Cambio storico
 Partecipazioni iscritte nell’attivo immobiliz- Del cambio a pronti di fine esercizio si tiene conto
zato e valutate al costo quando si giudica durevole la riduzione al fine di
determinare il valore recuperabile e l’eventuale per-
dita durevole di valore dell’attività
 Partecipazioni iscritte nell’attivo immobilizza- Criteri di traduzione del bilancio in valuta (cfr.
to e valutate con metodo del patrimonio netto OIC 17)

7.2.2. La riserva utili su cambi


Una volta inviate nella voce C.17-bis le differenze di conversione cambi si deve
tuttavia evitare che queste possano originare redditi da distribuire ai soci, tenuto conto
che non si sono ancora realizzate e che si correrebbe pertanto il rischio di distribuire
un reddito che, perlomeno per la parte corrispondente agli utili netti da conversione
cambi, non è stato ancora realizzato. Afferma infatti il primo comma dell’art. 2426, n.
8-bis, c.c. che, una volta convertite le attività e le passività in valuta, «l’eventuale utile
netto deve essere accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo».
Secondo l’OIC 26 l’importo dell’eventuale utile netto derivante dall’adeguamento
ai cambi (saldo positivo tra utili e perdite non ancora realizzati) concorre alla forma-
zione del risultato d’esercizio e, in sede di approvazione del bilancio e conseguente
destinazione del risultato (ferma restando la priorità della sua destinazione a riserva
legale), è iscritto, per la parte non assorbita dall’eventuale perdita d’esercizio in un’ap-
posita riserva. Tale riserva, non distribuibile sino al momento del successivo realizzo,
tuttavia, può essere utilizzata, fin dall’esercizio della sua iscrizione, a copertura di per-
dite di esercizi precedenti (sul punto si veda OIC 28 «Patrimonio netto»).
L’OIC 26 dispone che qualora il risultato netto dell’esercizio sia inferiore all’utile
netto non realizzato sulle poste in valuta, l’importo iscritto nella riserva non distribui-
bile è pari al risultato economico dell’esercizio.
Rispetto a questa impostazione ci sentiamo di sollevare due critiche, specificate nel
box seguente, entrambe centrate sul problema della persistenza temporale degli utili da
conversione cambi per le poste che sono mantenute in bilancio e che già esistevano
alla fine dell’esercizio precedente.

238
BOX 36 – Trattamento contabile dell’utile da conversione cambi
La prima osservazione riguarda il fatto che anche quando l’esercizio chiude in perdita e si ha un utile
netto da conversione cambi, a nostro avviso si dovrebbe comunque costituire la riserva da conversione
attingendo da altra riserva disponibile, mentre per il documento dell’OIC nessuna riserva andrebbe costi-
tuita. In effetti, in tal caso, se è vero che non è possibile distribuire un utile dell’esercizio visto che non esi-
ste, è anche vero che l’anno successivo, senza che vi siano altri cambiamenti, si potrebbe correre il rischio
di distribuire l’utile netto da conversione cambi. Si ipotizzi infatti che nel primo esercizio si sia avuto un
utile su cambi di 18,39 (come nell’esempio precedente) e una perdita di esercizio di 10. Secondo il Do-
cumento dell’OIC nessun accantonamento a riserva da conversione cambi va effettuato. Si ipotizzi inoltre
che nell’anno successivo rimangono in vita le stesse poste (il debito di 200 $ e il credito di 100 £ del-
l’esempio precedente) e che, per semplicità, non vi siano variazioni cambi (nel nostro esempio cambio a
fine esercizio di 0,71 £/€ e 1,15 $/€). Secondo il documento dell’OIC in questo secondo esercizio non
essendovi utile netto da conversione cambi, non vi sarà costituzione della riserva. Se l’azienda allora chiu-
de l’esercizio con un utile di 40, dopo aver coperto la perdita del precedente esercizio di 10, l’azienda
potrà distribuire la differenza di 30 ed in questo modo renderà quindi distribuibile l’utile da conversione
cambi di 18,39 dell’esercizio precedente, visto che non sussisteranno più vincoli. Ma questo utile su cambi
non è stato ancora realizzato. Tale rischio potrà essere fronteggiato solo imponendo la costituzione di una
riserva da conversione cambi anche se l’esercizio chiude in perdita.
La seconda osservazione, simile alla precedente, riguarda il movimento della riserva da conversione
cambi, qualora costituita nell’esercizio precedente, nell’esercizio successivo. Sempre ipotizzando che nel-
l’esercizio successivo permangano le stesse poste ma stavolta supponendo che l’evoluzione del cambio
porti ad un ulteriore utile da conversione di 10, una possibile interpretazione riterrebbe che la riserva
debba essere ridotta da 18,39 a 10. Ma in questo modo si renderebbe distribuibile l’utile da conversione
cambi di 18,39 formatosi nell’esercizio precedente, che non è mai stato realizzato, mentre in questo caso
riterremmo più giusto che la riserva passasse da 18,39 a 28,39 (18,39 + 10). Ad avviso di chi scrive, per-
tanto, la riserva da conversione da cambi dovrà sempre essere pari in ogni esercizio all’eventuale utile netto da
conversione cambi dato dalla differenza tra saldo delle poste in valuta esistenti alla data del bilancio ed espres-
so al cambio di fine esercizio e saldo delle stesse poste «storico», ossia espresso al cambio del giorno di effet-
tuazione dell’operazione. Per maggiori dettagli su questa procedura si rinvia a Quagli-D’Alauro, 2004.

In Nota Integrativa, l’art. 2427, punto 7-bis), chiede di esporre «l’indicazione del-
l’apposita riserva da utili netti su cambi tra le voci di patrimonio netto, con specifica-
zione in appositi prospetti della loro origine, possibilità di utilizzazione e distribuibilità,
nonché della loro avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi». Secondo l’OIC 26, nel
fornire tali informazioni, la Nota Integrativa indica l’ammontare degli utili e delle per-
dite non realizzato su cambi, nonché la relativa articolazione per valuta di riferimento
quando la conoscenza di tale informazione sia utile per valutare la situazione patrimo-
niale e finanziaria della società.

7.3. Le regole IASB

7.3.1. La scelta della valuta «funzionale»


La prima questione affrontata dallo IAS 21 (The effects of changes in foreign ex-
change rates) riguarda la definizione della valuta funzionale (functional currency),

239
che è la valuta con la quale sono contabilizzate le operazioni. Questa non necessaria-
mente deve essere quella del paese nel quale risiede un’azienda. Essa deve essere scel-
ta tenendo conto della valuta nella quale si generano i flussi di cassa. Per cui se un’a-
zienda italiana acquista in dollari e vende in dollari, la valuta funzionale dovrebbe es-
sere il dollaro, anche se è localizzata in Italia. Nella scelta si deve tenere conto della
valuta che prevalentemente influenza i prezzi di acquisto dei fattori e di vendita dei
beni/servizi, in quanto tale o in quanto relativa ad un Paese con forza competitiva de-
terminante nell’influenzare tali prezzi. In subordine, potrebbe essere quella nella quale
sono generati i flussi delle attività di finanziamento. Il criterio basilare per la scelta
deve consistere nel cercare la valuta che meglio rappresenti la gestione aziendale,
avendo quindi più riguardo alla sostanza (valuta di riferimento) che non agli aspetti
formali (Paese di localizzazione). Come si vede, in questo senso al management è la-
sciata ampia discrezionalità e ciò potrebbe portare ad un forte cambiamento nelle poli-
tiche fin qui adottate da molte aziende la cui gestione è prevalentemente costituita da
operazioni in valuta.
Una volta stabilita, la valuta funzionale può essere variata se vi sono cambiamenti
nei sopra descritti aspetti della gestione (es. cambio della valuta di riferimento per le
operazioni di acquisto/vendita). Se vi è una variazione nella valuta funzionale, le diffe-
renze di cambio che si generano nel convertire gli elementi espressi con la «vecchia»
valuta nella nuova valuta funzionale, sono trattate in modo prospettico, convertendole
al tasso di cambio esistente alla data della variazione. Per le poste non monetarie (ve-
dasi più avanti) tale cambio diviene il nuovo cambio storico. A tal proposito si ricorda
che nella normativa italiana il bilancio deve essere redatto obbligatoriamente in euro.

7.3.2. La contabilizzazione iniziale (recognition) delle operazioni in valuta


Le operazioni in valuta devono essere contabilizzate convertendole nella valuta
funzionale usando il cambio spot del giorno di effettuazione, come previsto dalla nor-
mativa italiana. Per praticità, e a differenza di quanto stabilito dalle norme nazionali,
lo IAS 21 ammette l’uso di cambi medi (settimanali o mensili), purché non presentino
vistose oscillazioni. Le differenze di cambio che si manifestano in sede di regolamento
di crediti/debiti (e più in generale di tutte le poste monetarie) vanno inviate a Conto
Economico dell’esercizio nel quale si verificano.

7.3.3. La conversione in bilancio delle operazioni in valuta


Per la redazione del bilancio, la regola di conversione delle poste in valuta cambia
a seconda che l’elemento patrimoniale espresso in valuta sia una posta monetaria o
meno. Si ricorda che la poste monetarie sono gli elementi che rappresentano un diritto
(o un obbligo) a ricevere (o pagare) un importo monetario, come i crediti e i debiti in
valuta, i ratei, i fondi spese che origineranno uscite in valuta, ecc. Questi elementi con-
fluiranno in bilancio attribuendo loro il cambio esistente alla data di chiusura dell’e-
sercizio.

240
Le poste non monetarie (quali ad esempio le immobilizzazioni tecniche, i risconti,
le rimanenze di magazzino) denominate in valuta devono essere mantenute al cambio
storico. Solo nel caso in cui le poste non monetarie debbano essere valutate al fair va-
lue (per es. nel revaluation model descritto dallo IAS 16 per la valutazione delle im-
mobilizzazioni materiali), allora, coerentemente, si dovrà usare il tasso di cambio della
data in cui è stato determinato il fair value.
Per alcune poste non monetarie il criterio di valutazione da usare per la redazione
del bilancio impone il confronto tra due valori rilevati in date diverse. In tali casi si
dovranno usare i tassi di cambio riferiti a ciascuna delle due date. Ad esempio, le ri-
manenze di magazzino si valutano al minore tra costo e valore netto (dai costi di com-
pletamento e di vendita, vedi IAS 2) di realizzo. In tali casi il valore netto di realizzo
sarà determinato alla data di chiusura del bilancio (come richiesto dallo IAS 2) e ad
esso andrà applicato il tasso del giorno di chiusura dell’esercizio, mentre il costo sarà
determinato tramite il tasso storico già usato per la contabilizzazione iniziale. In tal
modo, per effetto dei tassi di cambio, potrebbe accadere che il confronto dia risultati
diversi se espresso nella valuta funzionale o nella valuta di contabilizzazione origina-
ria (se ovviamente quest’ultima risulta diversa dalla prima). Ma in questi frangenti le
differenze di cambio non saranno autonomamente rilevate ma confluiranno all’interno
della più ampia variazione complessiva.
Le differenze di conversione cambio rilevate in sede di valutazione di bilancio de-
vono essere inviate a Conto Economico, senza nessuna cautela circa l’accantonamento
a riserva degli utili da conversione cambi (non ancora realizzati), come invece è previ-
sto dalle norme italiane, Ad esempio, un credito di 2.000 $, iscritto in contabilità al
cambio storico di 1,10 $/€, pari a 1.818 €, a fine esercizio viene valutato a 1,22 $/€,
pari a 1.639 €. La differenza di (1.818 – 1.639 =) 179 € costituirà un costo da inviare a
Conto Economico in contropartita alla riduzione del credito, come mostrato dalla se-
guente rilevazione.

Differenze negative di cambio (CE) 179


Crediti vs clienti (SP) 179

In questo senso lo IAS 21 segue più il principio della competenza che non quello
della prudenza.
Secondo quanto stabilito poi dall’art. 6, 1° comma, D.Lgs. n. 38/2005, se un’a-
zienda italiana adotta gli IAS/IFRS nel suo bilancio separato (o individuale), gli even-
tuali utili su cambi inviati a Conto Economico a norma dello IAS 21 non danno origi-
ne ad alcuna cautela con accantonamento a riserva, ma sono liberamente distribuibili.
Si genera pertanto una evidente disparità di trattamento con la regola italiana prece-
dentemente descritta, volta ad evitare il rischio di una distribuzione degli utili presunti
su cambi sotto forma di dividendi.
Una eccezione a questo comportamento si ha per quelle poste non monetarie ove le
variazioni di valore per valutazioni di bilancio devono essere imputate direttamente a

241
capitale netto, come nel caso delle immobilizzazioni tecniche valutate con il revalua-
tion model. In tal caso, siccome un aumento del fair value si traduce in un incremento
di una riserva del netto (vedasi IAS 16, ad esempio), anche la variazione indotta dalla
differenza su cambi (che comunque non è disgiungibile dalla complessiva variazione
del fair value) si riflette nella variazione della riserva. Per questo tipo di beni, in modo
coerente, se al momento della cessione si realizza una differenza di cambio, questa va
riepilogata direttamente nel netto e costituire un other comprehensive income.
Nel caso in cui l’azienda tenga la sua contabilità in una valuta diversa da quella
funzionale, al momento della chiusura del bilancio, i saldi contabili devono essere tra-
slati nella valuta funzionale usando le stesse regole per la conversione cambi descritte
in precedenza (cambio storico per le poste non monetarie e cambio di chiusura per le
poste monetarie).
Come sintesi, si veda la seguente figura:

Le regole per la conversione in bilancio delle poste in valuta nello IAS 21


Scelta valuta funzionale

Contabilizzazione al cambio spot Differenze di regolamento a C.E.


(o cambio medio)

Conversione in bilancio

Poste monetarie: al cambio di chiusura Differenze di


conversione a C.E.
Poste non monetarie: al cambio storico Nessuna differenza

Se la valutazione si riflette nel C.E.,


eccezioni: la differenza di conversione va a C.E.
• valutazioni al fair value Se la valutazione si riflette nel netto, la
• confronti con valori correnti differenza di conversione va nel netto

7.3.4. La valuta di presentazione in bilancio


Un’impresa può predisporre il bilancio in una valuta diversa da quella funzionale.
Tale possibilità potrebbe essere utile quando nei gruppi le società componenti presenta-
no valute funzionali diverse. In tal caso il bilancio consolidato potrebbe essere espresso
in una valuta (chiamata presentation currency) che costringa alcune società del gruppo a
convertire i propri bilanci individuali redatti con valuta funzionale diversa. Si pone in
tale caso la questione di convertire nella valuta di presentazione i bilanci espressi origi-
nariamente in una valuta funzionale diversa. Le regole in tal caso sono le seguenti (si
veda il prospetto seguente):
 attività e passività per ogni bilancio sono convertite in valuta di presentazione usando
il tasso di chiusura dell’esercizio;

242
 costi e ricavi per ogni bilancio sono convertiti in valuta di presentazione usando il
tasso della data di effettuazione dell’operazione. Lo IAS 21 peraltro ammette l’im-
piego di un tasso medio (anche annuale), purché la valuta non sia stata soggetta ad
ampie oscillazioni nel periodo;
 le differenze di conversione risultanti sono stanziate in una riserva del netto. La
motivazione di questo diverso trattamento rispetto alla conversione descritta sub
7.3.3 (conversione poste in valuta diversa da quella funzionale nel bilancio «origi-
nario»), consiste nel fatto che queste differenze non influenzeranno probabilmente i
flussi di cassa, in quanto la transazione effettiva si svolgerà in una valuta diversa da
quella di presentazione del bilancio.

La conversione dei bilanci delle società in un bilancio con valuta di presentazione diversa

Bilanci in valuta funzionale Bilanci in valuta di presentazione

Attività, passività Al cambio di chiusura


Costi, ricavi a C.E. Al cambio di effettuazione
operazione (o cambio medio)

Differenze riepilogate in
riserva del netto

7.3.5. Informazioni da fornire in bilancio


Nel Conto Economico deve essere separatamente mostrata l’entità delle differenze
di cambio redditualizzate, come pure nello Stato Patrimoniale deve figurare l’importo
delle differenze che a norma dello IAS 21 sono state collocate in una riserva del netto.
Si deve inoltre precisare chiaramente quando la redazione del bilancio è stata ope-
rata in una valuta diversa da quella funzionale (ed in tal caso si deve specificare atten-
tamente se nel passaggio tra le due valute non sono state rispettate alcune regole stabi-
lite dallo IAS 21) come pure quando vi sia variazione nella valuta funzionale (specifi-
candone i motivi). Se un’impresa inserisce nel suo bilancio informazioni finanziarie
espresse in una valuta che non è né quella funzionale, né quella di presentazione (qua-
lora diversa), deve precisare:
 la valuta nella quale è espressa tale informazione;
 che tale fattispecie si configura come informazione supplementare rispetto a quella
aderente agli IAS;
 il metodo utilizzato per la conversione.

243
244
8

Titoli di debito e partecipazioni

SOMMARIO: 8.1. Definizione e classificazioni negli schemi di bilancio. – 8.1.1. Distinzione tra at-
tività immobilizzate e attività circolanti. – 8.1.2. Cambio di destinazione tra attività immobilizzate
e circolanti. – 8.2. Titoli obbligazionari: la contabilizzazione iniziale. – 8.3. Titoli obbligazionari:
le valutazioni al costo ammortizzato. – 8.3.1. Le possibili esclusioni dal criterio del costo ammor-
tizzato. – 8.4. Le svalutazioni dei titoli obbligazionari. – 8.4.1. I titoli obbligazionari immobilizza-
ti: svalutazioni per perdite durevoli ed eventuali ripristini di valore. – 8.4.2. La svalutazione dei ti-
toli obbligazionari compresi nell’attivo circolante. – 8.5. Acquisto di obbligazioni proprie. – 8.6. Il
contenuto della Nota Integrativa per i titoli obbligazionari. – 8.7. Le partecipazioni: contabilizza-
zione acquisto, cessione e dividendi. – 8.8. La valutazione delle partecipazioni a fine esercizio. –
8.8.1. La valutazione delle partecipazioni comprese nel circolante. – 8.8.2. La valutazione delle parte-
cipazioni immobilizzate: il metodo del costo. – 8.8.3. Partecipazioni e Nota Integrativa. – 8.8.4. Il me-
todo del patrimonio netto: logica e applicazione iniziale. – 8.8.5. Il metodo del patrimonio netto:
la considerazione del risultato di esercizio della partecipata. – 8.8.6. Il metodo del patrimonio netto:
variazioni del patrimonio netto della partecipata che non hanno concorso alla formazione del ri-
sultato economico dell’esercizio. – 8.8.7. Il metodo del patrimonio netto: acquisti di ulteriori quote
della partecipata e cessione della partecipazione. – 8.9. Cambiamento del criterio di valutazione
tra metodo del costo e metodo del patrimonio netto. – 8.9.1. Passaggio dal metodo del patrimonio
netto al metodo del costo. – 8.9.2. Passaggio dal metodo del costo al metodo del patrimonio netto. –
8.10. Le azioni proprie. – 8.11. Le attività finanziarie oggetto di compravendita con obbligo di retro-
cessione a termine. – 8.12. Le regole IASB. – 8.12.1. Le partecipazioni «strategiche». – 8.12.2. Le
attività finanziarie.

8.1. Definizione e classificazione negli schemi di bilancio


I titoli di debito, o titoli obbligazionari, sono titoli che attribuiscono al possessore il
diritto di ricevere un flusso determinato o determinabile di liquidità senza attribuire il
diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’entità che li ha emessi. In
tale ambito rientrano i titoli emessi da stati sovrani, le obbligazioni emesse da enti pub-
blici, da società finanziarie e da altre società, nonché i titoli a questi assimilabili. Le par-
tecipazioni sono investimenti nel capitale di altre imprese, rappresentate sia da azioni
che da quote, che attribuiscono diritti patrimoniali (come diritto ai dividendi) e non pa-
trimoniali (diritto di voto in assemblea). Assieme essi rappresentano una classe impor-
tante delle attività del patrimonio aziendale.
Il Codice Civile prevede due possibili collocazioni in bilancio di tali elementi.

245
Una prima possibilità è di collocarli nella classe B.III (Immobilizzazioni finanzia-
rie), la quale contiene le seguenti voci:
1. partecipazioni (distinte in partecipazioni in imprese controllate, collegate, control-
lanti, in imprese sottoposte al controllo delle controllanti e in altre imprese);
2. crediti (già discussi nel capitolo 6);
3. altri titoli.
Una seconda possibile collocazione consiste nella classe C.III, «Attività finanziarie
che non costituiscono immobilizzazioni», il cui contenuto è il seguente:
1. partecipazioni in controllate;
2. partecipazioni in collegate;
3. partecipazioni in controllanti;
3-bis) partecipazioni in imprese sottoposte al controllo delle controllanti
4. altre partecipazioni;
5. altri titoli.
Nel Conto Economico le voci interessate delle attività finanziarie sono essenzial-
mente l’area C) Proventi e oneri finanziari (voci 15, 16, 17 e relative sottovoci) e
l’area D) Rettifiche di valore di attività finanziarie (voci 18 e 19 e relative sottovoci).
Si fornisce di seguito il riepilogo della collocazione dei diversi elementi reddituali, se-
condo quanto stabilito dall’OIC 20 e dall’OIC 21, rinviando ai paragrafi successivi per
un commento analitico.
Nella voce C 15) «Proventi da partecipazioni» sono iscritti, sempre distinguendo
quelli ricevuti da controllate, controllanti, collegate e imprese sottoposte al controllo
delle controllanti:
 dividendi da partecipazioni (siano esse immobilizzate o circolanti);
 plusvalenze da cessione partecipazioni circolanti e immobilizzate.
Nella voce C16b) «altri proventi finanziari da titoli iscritti nelle immobilizzazioni
che non costituiscono partecipazioni», come stabilito, sono iscritti i seguenti compo-
nenti:
 interessi attivi e premi di sottoscrizione/negoziazione su titoli immobilizzati;
 plusvalenze da cessione titoli immobilizzati.
Nella voce C16c) «altri proventi finanziari da titoli iscritti nell’attivo circolante che
non costituiscono partecipazioni»:
 interessi attivi su titoli circolanti (inclusivi dell’eventuale quota di scarto o premio
di sottoscrizione/negoziazione);
 plusvalenze da cessione titoli circolanti.
Nella voce C17 «interessi e altri oneri finanziari»:
 minusvalenze da cessione titoli e partecipazioni, sia immobilizzati che circolanti.
Nella voce D.19.a) «Svalutazione di partecipazioni» si inseriscono le svalutazioni

246
di partecipazioni (sia immobilizzate, sia iscritte nell’attivo circolante) rispetto al valo-
re di iscrizione nell’attivo, mentre nelle voce D.18.a. «Rivalutazione di partecipazio-
ni» si inseriscono le relative rivalutazioni di ripristino.
Nella voce D19b) «svalutazioni di immobilizzazioni finanziarie che non costitui-
scono partecipazioni» si inseriscono le svalutazioni di titoli immobilizzati per effetto
di una riduzione durevole di valore rispetto al costo d’acquisto, mentre il ripristino di
valore, nel caso in cui sia venuta meno la ragione della svalutazione mobilizzato, è
iscritto nella voce D18b) «rivalutazioni di immobilizzazioni finanziarie che non costi-
tuiscono partecipazioni».
Nella voce D19c) «svalutazioni di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costi-
tuiscono immobilizzazioni finanziarie» si inseriscono le svalutazioni di titoli per effet-
to di valori di mercato inferiori ai valori iscritti in contabilità. La rivalutazione di ripri-
stino laddove il valore di mercato superi nuovamente il costo è imputata a Conto Eco-
nomico alla voce D18c) «rivalutazioni di titoli iscritti all’attivo circolante che non co-
stituiscono partecipazioni».

8.1.1. Distinzione tra attività immobilizzate e attività circolanti


La prima questione da affrontare, consiste nello stabilire quando una attività finan-
ziaria (titolo o partecipazione) deve considerarsi immobilizzata oppure circolante. Tale
scelta è basata sul criterio funzionale, cioè sull’intenzione degli amministratori di man-
tenere un titolo nel patrimonio aziendale fino alla sua naturale scadenza o quanto
meno per un lungo periodo di tempo, mentre la volontà di destinare l’elemento patri-
moniale a scambi sul mercato o comunque la previsione di un realizzo entro il termine
dell’esercizio successivo comporta la qualifica di attività finanziaria circolante, a pre-
scindere dal fatto che secondo la classificazione per natura la sua scadenza sia plurien-
nale (es. titoli con scadenza decennale). Non solo, ma può anche verificarsi che attività
finanziarie della stessa specie siano per una parte considerate immobilizzate e per la
quota residua siano considerate circolanti, come affermato dall’OIC 20 e dall’OIC 21.
Si consideri che la decisione di classificazione assume riflessi importanti perché le
attività finanziarie circolanti sono valutate con la regola generale del minore tra costo
e valore di mercato mentre le attività finanziarie immobilizzate sono mantenute al co-
sto, salvo perdite durevoli di valore, profili sui quali torneremo più avanti.
Solo per le partecipazioni, il Codice Civile compie una presunzione (contro la qua-
le gli amministratori devono motivare la scelta contraria), secondo la quale «le parte-
cipazioni in altre imprese in misura non inferiore a quelle stabilite dal 3° comma del-
l’art. 2359 (ossia almeno 20% se la società partecipata non è quotata in borsa e 10% se
invece è quotata, n.d.a.) si presumono immobilizzazioni», ritenendo che l’entità della
quota di capitale posseduta sia indizio di un investimento durevole.

8.1.2. Cambio di destinazione tra attività immobilizzate e circolanti


Può sempre verificarsi l’ipotesi, definita dall’OIC 20, come «presumibilmente rara»,

247
in cui le mutate condizioni gestionali inducano gli amministratori a variare la classifi-
cazione delle attività finanziarie da immobilizzate a circolanti o viceversa.
In tale caso, a norma dell’OIC 20 e dall’OIC 21, il trasferimento delle attività nella
nuova classe avviene mantenendo il valore risultante dall’applicazione – al momento
del trasferimento stesso – dei criteri valutativi della classe di provenienza. Pertanto:
– il trasferimento di titoli immobilizzati alle attività circolanti va rilevato in base al
costo, eventualmente rettificato per le perdite durature di valore;
– il trasferimento di titoli non immobilizzati alle immobilizzazioni finanziarie va ri-
levato in base al minor valore fra il costo e il valore di mercato.
Alla fine dell’esercizio in cui avviene il cambiamento di destinazione si procede al-
la valutazione del titolo con il criterio previsto per la sua nuova classificazione. I diffe-
renti criteri di valutazione e di classificazione adottati per effetto dell’intervenuto
cambiamento di destinazione del titolo sono indicati nella Nota Integrativa.

8.2. Titoli obbligazionari: la contabilizzazione iniziale


I titoli di debito sono contabilizzati alla data di regolamento, ossia alla consegna
del titolo. L’OIC 20 prevede che i titoli di debito, sia immobilizzati che circolanti, so-
no valutati titolo per titolo, ossia attribuendo a ciascun titolo il costo specificamente
sostenuto.
Nel momento della loro iscrizione in contabilità, sia per i titoli circolanti che per
quelli immobilizzati, si deve usare il costo di acquisto, includendo in esso gli oneri ac-
cessori direttamente imputabili (spese di consulenza di diretta imputazione, commis-
sioni, spese e imposte di bollo) ad esclusione degli interessi passivi eventualmente so-
stenuti (implicitamente o esplicitamente) per la fruizione di un pagamento dilazionato.
L’acquisto di zero coupon bond (titoli privi di cedola che attribuiscono l’interesse esclu-
sivamente come differenza tra prezzo di emissione e valore di rimborso), deve essere
sempre registrato al costo e non al valor nominale.
Per i titoli obbligazionari con cedola normalmente l’acquisto avviene al corso tel
quel, ossia pagando al venditore non solo il valore in linea capitale del titolo, ma anche
la cedola in corso di maturazione che poi l’acquirente incasserà alla prima data di godi-
mento successiva. Tale costo aggiuntivo (c.d. rateo interessi maturato) a norma dell’OIC
20 non fa parte del costo del titolo ma deve essere rilevato in un conto separato, de-
nominato appunto come rateo interessi.

8.3. Titoli obbligazionari: le valutazioni al costo ammortizzato


Il Codice Civile dispone che le immobilizzazioni rappresentate da titoli sono rile-
vate in bilancio con il criterio del costo ammortizzato, ove applicabile (art. 2426, n. 1)
mentre i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono va-
lutati al minore tra costo di acquisto e valore di realizzazione desumibile dall’anda-

248
mento del mercato, se minore (art. 2426, n. 9). Tuttavia tale disposizione è stata inter-
pretata dal Documento OIC 20 in senso estensivo, dal momento che prevede di appli-
care il criterio del costo ammortizzato tanto ai titoli immobilizzati quanto a quelli cir-
colanti, nonostante il tenore letterale dell’art. 2426, n. 9.
Pertanto il criterio del costo ammortizzato, introdotto dal D.Lgs. n. 139/2015, si
applica a tutti i titoli obbligazionari. Circa il significato di tale criterio, l’art. 2426, ul-
timo comma, del Codice rinvia direttamente ai principi contabili internazionali, nel
quale detto criterio è descritto nello IAS 39.
Con il criterio del costo ammortizzato, i costi di transazione, le eventuali commis-
sioni attive e passive e ogni differenza tra valore iniziale e valore nominale a scadenza
sono inclusi nel calcolo del costo ammortizzato utilizzando il criterio dell’interesse ef-
fettivo, che implica che essi siano ammortizzati lungo la durata attesa del titolo. Il loro
ammortamento integra o rettifica gli interessi attivi calcolati al tasso nominale (seguen-
done la medesima classificazione nel Conto Economico), di modo che il tasso di inte-
resse effettivo possa rimanere un tasso di interesse costante lungo la durata del titolo
da applicarsi al suo valore contabile, fatta salva la rilevazione delle variazioni imputa-
bili ai flussi finanziari dei tassi variabili di riferimento, ove applicabili.
I costi di transazione che saranno prevedibilmente sostenuti all’atto della eventuale
successiva cessione del titolo non sono inclusi nel valore del titolo ma si riepilogano
distintamente a Conto Economico. In sostanza, al momento dell’acquisto, il titolo en-
tra in contabilità al costo di acquisto, in voce unica, inclusivo di oneri accessori.
Il tasso di interesse effettivo è calcolato al momento della rilevazione iniziale del
titolo ed è poi utilizzato per la sua valutazione successiva. Detto tasso è il tasso interno
di rendimento, ossia il tasso che rende uguale il valore attuale dei flussi finanziari fu-
turi derivanti dal titolo di debito e il suo valore di rilevazione iniziale. I flussi finanzia-
ri futuri sono determinati tenendo in considerazione tutti i termini contrattuali del con-
tratto, incluse le scadenze previste di incasso e pagamento, la natura dei flussi finan-
ziari (capitale o interessi), e la probabilità che l’incasso o il pagamento anticipato si
verifichi quando contrattualmente è previsto. Anche nel caso di titoli destinati ad esse-
re venduti prima della data di scadenza si deve valutare lo strumento finanziario con-
siderando i flussi finanziari e le scadenze previste contrattualmente.
In caso di una variazione nelle stime dei flussi finanziari futuri (ad esempio, si pre-
vede che il titolo sarà rimborsato anticipatamente o successivamente rispetto alla sca-
denza), si deve rettificare il valore contabile del titolo per riflettere i rideterminati flus-
si finanziari stimati. La società ricalcola il valore contabile del titolo alla data di revi-
sione della stima dei flussi finanziari scontando i rideterminati flussi finanziari al tasso
di interesse effettivo calcolato in sede di rilevazione iniziale. La differenza tra il valore
attuale rideterminato del titolo alla data di revisione della stima dei flussi finanziari
futuri e il suo precedente valore contabile alla stessa data è rilevata a Conto Economi-
co negli oneri o nei proventi finanziari.
I flussi finanziari futuri utili al calcolo del tasso di interesse effettivo non includono
le perdite e le svalutazioni future dei titoli di debito, salvo il caso in cui i minori incas-
si attesi siano già riflessi nel valore iniziale di iscrizione del titolo, in quanto acquista-
to ad un prezzo che tiene conto di tali minori flussi finanziari futuri.

249
L’OIC 20 stabilisce che le scadenze di pagamento previste contrattualmente sono
disattese nella determinazione dei flussi finanziari futuri se ed in quanto, al momento
della rilevazione iniziale, sia oggettivamente dimostrabile, sulla base dell’esperienza o
di altri fattori documentati, che il titolo sarà incassato in date posteriori alle scadenze
contrattuali e a condizione che l’entità del ritardo negli incassi sia ragionevolmente
stimabile sulla base delle evidenze disponibili.
Il tasso di interesse effettivo quindi non muta in presenza di variazione nelle stime
dei flussi. Tuttavia, quando il tasso di interesse nominale contrattuale è variabile e pa-
rametrato ai tassi di mercato, i flussi finanziari futuri sono rideterminati periodicamen-
te per riflettere le variazioni del tasso di interesse e il tasso di interesse effettivo è ri-
calcolato con decorrenza dalla data in cui gli interessi sono stati rilevati in base al con-
tratto. Nel ricalcolare il tasso di interesse effettivo, in alternativa all’utilizzo della cur-
va dei tassi attesi, si può proiettare l’ultimo tasso disponibile. Non occorre ricalcolare
il tasso di interesse effettivo quando il tasso di interesse nominale aumenta o diminui-
sce in modo prestabilito dalle previsioni contrattuali e le sue variazioni non sono do-
vute a indicizzazioni legate a parametri di mercato; può essere il caso delle clausole
contrattuali di «step-up» o di «step-down» che prevedono incrementi o decrementi pre-
stabiliti del tasso di interesse nominale (es.: il tasso del 4% per il primo anno, del 6%
per il secondo e dell’8% dal terzo anno e fino alla data di scadenza).

BOX 37 – Valutazione di un titolo di debito con il costo ammortizzato


L’esempio riguarda un titolo obbligazionario per nominali 100.000 acquistato al costo di 95.900, fruttife-
ro di cedola di interessi al tasso del 6% sul nominale e rimborsato dopo cinque anni. Valutare un titolo al co-
sto ammortizzato comporta anzitutto stimare i flussi in entrata o in uscita di denaro correlati a tale investimen-
to. Nella colonna 2 della tabella seguente sono riportati i movimenti con l’uscita per l’erogazione, le entrate
per l’incasso delle cedole per interessi, fino ad arrivare al rimborso del quinto anno, inclusivo del valore capi-
tale e degli interessi sull’ultimo anno. A tal punto si tratta di calcolare il tasso interno di rendimento (TIR), os-
sia il tasso che rende uguale il valore attuale delle entrate e delle uscite. Dalla formula ricaviamo un TIR an-
nuale del 7%. Al termine del primo anno, per determinare il valore di iscrizione del titolo si applica il TIR al
valore di iscrizione iniziale (95.900) e si ottiene un interesse complessivo di 6.712,95 di cui 6.000 sono incas-
sati come cedola. Il valore del titolo aumenta quindi della differenza di 712,95. Si rileverà pertanto l’incre-
mento del credito a Stato Patrimoniale che così passa a 96.612,95 e si invierà a Conto Economico i 712,95
tra gli interessi attivi. Sul nuovo valore di 96.612,95 si ripeterà per il secondo anno lo stesso procedimento.
Così operando, nell’arco dei cinque anni risulterà inviato a Conto Economico l’intero scarto.

4) Differenza tra
2) Flussi interesse maturato 5) Costo
1) Anno 3) Interesse (5*TIR)
entrata/uscita (3) e cedola per inte- ammortizzato
ressi incassata (2)

0 – 95.900 95.900,00
1 6.000 6.712,95 712,95 96.612,95
2 6.000 6.762,86 762,86 97,375,81
3 6.000 6.816,26 816,26 98.192,07
(segue)

250
4) Differenza tra
2) Flussi interesse maturato 5) Costo
1) Anno 3) Interesse (5*TIR)
entrata/uscita (3) e cedola per inte- ammortizzato
ressi incassata (2)
4 6.000 6.873,40 873,40 99.065,47
5 106.000 6.934,53 934,53 0
TIR = 7,00% Totale = 4.100

Contabilmente si avrà la rilevazione iniziale del titolo a 95.900 euro a fronte di uscita di liquidità.
Quindi ad ogni fine esercizio il titolo aumenterà per effetto dell’accreditamento di interessi attivi (di cui in
colonna 3). L’incasso annuale della cedola sarà rilevato come una riduzione del valore del titolo a fronte di
un’entrata di cassa.

Usando il criterio del costo ammortizzato, gli interessi che maturano per competen-
za sul titolo si comprendono nel valore del titolo stesso, come sono compresi nel valo-
re del titolo pure ogni premio o scarto di sottoscrizione /negoziazione. Il premio (o scar-
to) di sottoscrizione/negoziazione è dato dalla differenza positiva (negativa) tra valore
di rimborso e prezzo di acquisto all’atto della sottoscrizione iniziale all’atto della emis-
sione o della negoziazione successiva al momento dell’acquisto del titolo sul mercato
secondario. Ad esempio per un titolo che sarà rimborsato a 100, se il costo di acquisto
o sottoscrizione è 97, il premio di negoziazione/sottoscrizione è pari a 3. Se per lo
stesso titolo il costo di acquisto o sottoscrizione fosse invece di 102, avremmo una
scarto di negoziazione/sottoscrizione pari a 2. L’incasso di cedole di interessi determi-
nerà una riduzione del valore del titolo.
Qualora il titolo venisse ceduto prima della scadenza, in contabilità la plus(mi-
nus)valenza di cessione non sarà data dalla sola differenza del prezzo di vendita con il
costo di acquisto, ma dalla differenza tra prezzo di vendita e valore contabile, dato dal
costo ammortizzato. Per quanto non più esplicitamente richiamato dal documento OIC
20, è opportuno che il conto «Titoli immobilizzati» funzioni in contabilità a struttura
«bifasica». Pertanto i titoli all’atto dell’acquisto sono registrati al valore capitale, men-
tre al momento della vendita si procede allo scarico del valore rilevato in precedenza
e, come già visto, la quota di interessi maturata dal titolo al giorno dell’acquisto viene
iscritta nei ratei attivi dello Stato Patrimoniale.
Come specificato dal Documento OIC 20, le spese di cessione dei titoli di debito si
rilevano autonomamente nel Conto Economico, senza contribuire alla determinazione
del saldo dell’eventuale plus/minusvalenza derivante dal realizzo dei titoli.
Riprendendo l’esempio del box 37, se il titolo venisse ceduto alla fine del terzo anno,
quando il suo valore contabile è pari a 98.192,07, ad un prezzo tel quel di 97,8, il cal-
colo della plus(minus)valenza è il seguente:
– ricavo di vendita al corso secco = (97,8/100) × 100.000 = 97.800;
– minusvalenza = 97.800 – 98.192,074 = – 392,07.

251
Il rateo di interessi maturati sulla cedola in scadenza incluso nel prezzo di vendita
di 97,8 (la contrattazione avviene generalmente con clausola tel quel, cioè con il pas-
saggio della cedola in scadenza all’acquirente e conseguente pagamento di quest’ulti-
mo al venditore del rateo di interessi maturati sulla stessa cedola) con la valutazione al
costo ammortizzato è già incluso nel valore contabile del titolo e non origina quindi
rilevazione contabile. La registrazione contabile è la seguente:

Vendita titoli immobilizzati

SP C.IV.2 Banca c/c 97.800


SP B.III.3 Titoli immobilizzati 98.192,07
CE C.17 Minusvalenze titoli immobilizzati 392,07

Si segnala che i titoli sia circolanti che immobilizzati devono essere valutati titolo
per titolo, attribuendo cioè a ciascuno il costo specificamente sostenuto per l’acquisto,
per quanto sia ammessa dall’OIC 20, anche l’uso dei metodi LIFO, FIFO e costo me-
dio ponderati, normalmente usati per i titoli circolanti. Qualora si usi uno dei tre sud-
detti metodi, la determinazione della plus(minus)valenza avverrà confrontando il prez-
zo di vendita con il valore risultante dall’applicazione di uno dei tre metodi ammessi
(LIFO, FIFO, Costo medio ponderato).

8.3.1. Le possibili esclusioni dal criterio del costo ammortizzato


Vi sono tre possibili situazioni ove è permesso facoltativamente non applicare il
criterio del costo ammortizzato sopra descritto.
La prima circostanza riguarda la disposizione di prima applicazione del D.Lgs. n.
139/2015, secondo la quale gli effetti derivanti dall’adozione del criterio del costo
ammortizzato possono essere rilevati solo prospetticamente e quindi ai titoli acquistati
a partire 1° gennaio 2016, caso in cui si deve dare indicazione in Nota Integrativa. Nel
caso in cui l’impresa decida di non avvalersi di tale facoltà, il criterio del costo am-
mortizzato deve essere applicato retroattivamente a tutti i titoli iscritti in bilancio alla
data di prima applicazione e la differenza tra il valore precedentemente iscritto e quel-
lo derivante dall’applicazione del metodo del costo ammortizzato deve essere imputata
agli utili a nuovo nel patrimonio netto, al netto dell’effetto fiscale.
La seconda situazione riguarda i casi nei quali l’applicazione di tale criterio condu-
ce ad effetti irrilevanti, in forza del postulato di cui all’art. 2423, 4° comma, c.c. In tal
caso la società può applicare tali regole. Generalmente gli effetti sono irrilevanti se: (a) i
titoli sono destinati ad essere detenuti durevolmente ma i costi di transazione, i pre-
mi/scarti di sottoscrizione o negoziazione e ogni altra differenza tra valore iniziale e
valore a scadenza sono di scarso rilievo; o (b) i titoli di debito sono detenuti presumi-
bilmente in portafoglio per un periodo inferiore ai 12 mesi. Per cui si può ritenere che

252
per i titoli circolanti la deroga al criterio del costo ammortizzato per irrilevanza sarà
spesso utilizzata, a condizione che la società specifichi in Nota Integrativa.
La terza possibile situazione riguarda le società che redigono il bilancio in forma ab-
breviata o le micro-imprese. L’art. 2435 bis c.c. dispone infatti che, in deroga a quanto
disposto dall’art. 2426, tali società possono iscrivere i titoli al costo d’acquisto e non
al costo ammortizzato. Per i bilancio delle micro-imprese, ai sensi dell’art. 2435 ter,
valgono gli stessi criteri di valutazione.

In tutti questi casi, i titoli immobilizzati e circolanti sono iscritti al costo di acquisto
(o costo di sottoscrizione) del titolo, che è costituito dal prezzo pagato, comprensivo
dei costi accessori (costi di intermediazione e consulenza di diretta imputazione, com-
missioni, spese e imposte di bollo).
Non si comprende nel costo il rateo relativo alla cedola di interessi maturata alla
data di acquisto, che deve essere contabilizzato come tale. In altri termini, per prezzo
di costo di un titolo quotato a reddito fisso si intende il prezzo corrispondente alla quo-
tazione del titolo al corso secco (che indica il solo valore capitale del titolo).
Se si opta per il criterio del costo «semplice» (e non costo «ammortizzato»), al
momento della valutazione, i titoli immobilizzati rimangono iscritti al costo rilevato al
momento dell’iscrizione iniziale, salvo la svalutazione per perdite durevoli e l’eventuale
successivo ripristino, secondo quanto di seguito commentato.
Circa la rilevazione degli interessi e dei premi di negoziazione/scarti di emissione,
vale il principio della competenza economica. Quindi, nel caso di titoli che prevedono
clausole di step-up o di step-down (ad esempio, titoli con cedola pari all’X% per i
primi n anni e poi pari all’X% +/– Y% per i restanti anni) gli interessi sono rilevati in
bilancio in quote costanti. Nel caso di titoli che prevedono per i primi n anni una cedo-
la fissa e per i restanti una cedola a tasso variabile, gli interessi si calcolano sul tasso
di volta in volta applicabile.
Il premio di sottoscrizione (negoziazione) partecipa alla formazione del risultato di
esercizio secondo competenza economica ed è quindi rilevato in rate costanti per la
durata di possesso del titolo. L’importo del premio di sottoscrizione (negoziazione) di
competenza dell’esercizio, determinato secondo la metodologia sopra indicata, è rile-
vato in diretta contropartita del valore di bilancio del titolo.
Lo scarto di sottoscrizione (negoziazione) partecipa alla formazione del risultato di
esercizio secondo competenza economica per il periodo di durata del titolo medesimo.
A questi fini si richiamano le disposizioni contenute nel paragrafo precedente.
Per i titoli senza cedola (zero coupon), il provento finanziario dell’investimento,
pari alla differenza tra il costo d’acquisto del titolo e il valore di rimborso finale, è con-
tabilizzato come nel caso di premio di sottoscrizione (negoziazione).
La differenza tra il costo d’acquisto del titolo e il valore di rimborso finale è rileva-
ta fra gli interessi attivi.
In Nota Integrativa, le imprese che redigono il bilancio in forma abbreviata ai sensi
dell’art. 2435 bis c.c. devono dare menzione del fatto che si avvalgono della facoltà di
valutare i titoli di debito al costo di acquisto e quindi non applicare il criterio del costo
ammortizzato. Le micro-imprese sono invece esonerate dalla redazione della Nota In-

253
tegrativa quando in calce allo Stato Patrimoniale risultino le informazioni previste dal
1° comma dell’art. 2427, nn. 9) e 16), c.c.

8.4. Le svalutazioni dei titoli obbligazionari


Il valore derivante dall’applicazione del metodo del costo ammortizzato o del costo
semplice qualora si eviti la valutazione al costo ammortizzato ricorrendo una delle tre
situazioni testé descritte, può dover esser ridotto per svalutazioni. La trattazione affron-
terà per primi i titoli immobilizzati e poi quelli compresi nel circolante.

8.4.1. I titoli obbligazionari immobilizzati: svalutazioni per perdite durevoli


ed eventuali ripristini di valore
Il costo deve però essere svalutato (a norma dell’art. 2426, n. 3, c.c.) qualora si ri-
scontri una perdita durevole. Nel silenzio del Codice, l’OIC 20 si è incaricato di preci-
sare cosa si intende per perdita durevole. La durevolezza della perdita emerge da indi-
zi di deterioramento duraturo della situazione di solvibilità dell’emittente. Secondo
l’OIC 20, sono indicatori di una situazione di deterioramento duraturo della situazione
di solvibilità dell’emittente i seguenti elementi:
 ritardato o mancato pagamento di quote capitale o interessi (ad eccezione del caso
in cui sia previsto contrattualmente che l’emittente abbia il diritto di ritardare o non
pagare quote interessi senza che ciò costituisca «inadempimento contrattuale»);
 ristrutturazione del debito;
 valore di mercato del titolo persistentemente inferiore al valore di iscrizione in bi-
lanci, dove il ribasso, per la sua entità relativa e/o per la sua durevolezza, deve
esprimere un significativo e sostanzialmente permanente peggioramento del merito
creditizio dell’emittente. A tal fine può essere utile effettuare anche un’analisi dei
prezzi e degli spread espressi dal mercato obbligazionario ed eventualmente dei Cre-
dit Default Swap, con l’obiettivo di evidenziare eventuali criticità legate allo spe-
cifico emittente e non al mercato di riferimento nella sua genericità. In tale ambito
possono assumere rilievo le seguenti circostanze, purché corroborate con altri ele-
menti informativi: a) repentino e significativo abbassamento del rating (c.d. down-
grade); b) repentina scomparsa di mercato attivo o significativo innalzamento delle
quotazioni di Credit Default Swap;
 indicatori economico-patrimoniali e finanziari dell’emittente che facciano ritenere
probabile un non integrale pagamento dei flussi finanziari del titolo in termini di
interessi e/o di rimborso del capitale alla scadenza. Ciò vale soprattutto per i titoli
non quotati;
 evento di default;
 ammissione a procedure concorsuali.
In ogni caso gli amministratori devono accostarsi a tale indagine utilizzando pru-
denza valutativa.

254
La riduzione di valore del titolo può essere considerata in parte duratura ed in parte
temporanea con conseguente abbattimento del valore solo per la prima parte.
La eventuale svalutazione va interamente imputata al Conto Economico dell’eser-
cizio in cui si è manifestata (voce D.19.b, svalutazioni delle immobilizzazioni finan-
ziarie diverse dalle partecipazioni), avendo quale contropartita un fondo svalutazione,
che a bilancio andrà nell’attivo con il segno «–» a diminuire il valore dei titoli, oppure
direttamente riducendo il saldo del conto titoli.
Nei successivi esercizi, se sono venuti meno i motivi della svalutazione, deve esse-
re ripristinato, parzialmente o totalmente, il valore originario (voce D.18.b del Conto
Economico e contemporaneo storno del fondo o incremento dal conto titoli). L’OIC
20 vieta in ogni caso che il processo di ripristino di valore possa superare il costo ori-
ginario. Il ripristino di valore può essere attuato solo in funzione del riassorbimento di
svalutazioni effettuate obbligatoriamente in precedenza.
Nell’ambito della valutazione con il criterio del costo ammortizzato, l’importo del-
la perdita di valore alla data di bilancio è pari alla differenza tra il valore contabile in
assenza di riduzione di valore e il valore attuale dei flussi finanziari futuri stimati, ri-
dotti degli importi che si stima di non incassare, determinato utilizzando il tasso di in-
teresse effettivo originario (ossia al tasso di interesse effettivo calcolato in sede di ri-
levazione iniziale).

8.4.2. La svalutazione dei titoli obbligazionari compresi nell’attivo circolante


In sede di valutazione il valore dei titoli circolanti iscritto in contabilità deve essere
confrontato singolarmente per ogni tipo di titolo con il «valore di realizzazione desu-
mibile dall’andamento di mercato», al fine di scegliere il minore tra i due, in ossequio
al principio della prudenza.
Il Codice Civile non fornisce indicazioni specifiche circa l’identificazione del mer-
cato di riferimento e le modalità di determinazione del valore di realizzazione desumi-
bile dall’andamento del mercato. Questi aspetti sono affrontati nel documento OIC 20
per dare contenuti tecnici al concetto generale enunciato dalla norma.
Il mercato, con riferimento alla valutazione del singolo titolo, esprime valori diver-
si nel corso del tempo. Occorre perciò stabilire il riferimento temporale espressivo di
un «andamento» del mercato alla data di bilancio.
Si possono considerare in astratto due riferimenti temporali: uno fisso, cioè la data
di fine esercizio (o quella di quotazione più prossima); l’altro rappresentato dalla me-
dia delle quotazioni del titolo relative a un determinato periodo, più o meno ampio.
Il dato puntuale di fine esercizio rappresenta la scelta che meno è influenzata da
fattori soggettivi. Tuttavia la quotazione di una giornata può essere influenzata da fat-
tori spesso esogeni, relativi a situazioni transitorie riferibili al singolo titolo o al mer-
cato mobiliare nel suo complesso o addirittura alla variabilità dei volumi trattati. Per
queste ragioni le quotazioni di una singola giornata non sono in genere considerate
rappresentative dell’«andamento del mercato». Occorre – piuttosto – assumere un va-
lore che, pur dovendosi riferire concettualmente alla chiusura dell’esercizio, possa ri-
tenersi consolidato ovvero sufficientemente scevro da perturbazioni temporanee. In

255
questo senso la media delle quotazioni passate, per un periodo ritenuto congruo rispet-
to alle finalità valutative, quale l’ultimo mese, può ritenersi maggiormente rappresen-
tativa. La scelta del periodo temporale cui fare riferimento va operata con giudizio,
avendo presente l’obiettivo generale imposto dal Codice Civile. Ad esempio, in un mer-
cato caratterizzato da quotazioni fortemente in flessione, il ricorso alla media aritmeti-
ca dei valori registrati nell’ultimo mese potrebbe non esprimere l’andamento del mer-
cato; occorre allora tenere conto di valori medi inferiori riferiti ad un arco temporale
inferiore.
L’andamento del mercato rilevato successivamente alla chiusura dell’esercizio è un
elemento informativo che concorre insieme a tutti gli altri alla stima del valore di rea-
lizzazione del titolo, che comunque deve riflettere la situazione in essere alla data di
riferimento del bilancio. Ove le quotazioni espresse dal mercato dopo la chiusura del-
l’esercizio siano espressive di un deterioramento della qualità creditizia dell’emittente,
si può ritenere che tale deterioramento sussistesse già alla fine dell’esercizio e dunque
se ne può tener conto nella valutazioni di bilancio. Negli altri casi le variazioni di va-
lore di un titolo registrate successivamente alla chiusura dell’esercizio appartengono
alla competenza economica del nuovo esercizio.
Se non esiste un mercato di riferimento per la determinazione del valore di presu-
mibile realizzazione si utilizzano tecniche valutative che consentano di individuare un
valore espressivo dell’importo al quale potrebbe perfezionarsi una ipotetica vendita
del titolo alla data di riferimento del bilancio. Tale determinazione tiene adeguatamen-
te conto dell’andamento del mercato di riferimento per la vendita del titolo oggetto di
valutazione.
Nel caso di titoli che vengono venduti successivamente alla chiusura dell’esercizio,
il prezzo di vendita rappresenta il valore di realizzazione da assumere a riferimento per
la valutazione dei titoli alla data di chiusura dell’esercizio. Ciò a condizione che la
vendita ed il trasferimento della proprietà siano stati effettuati entro la data di predi-
sposizione del bilancio e che il corrispettivo beneficio sia stato definitivamente conse-
guito.
Se il valore di presunto realizzo determinato come sopra è inferiore al costo, si de-
ve operare una svalutazione (voce D.19.c del Conto Economico, cioè svalutazioni di
titoli circolanti diversi dalle partecipazioni) a fronte di un fondo svalutazione o di una
diretta riduzione del conto titoli. Anche in questo caso negli esercizi successivi, se il
valore di mercato eccede nuovamente il costo originario, a Conto Economico si dovrà
inviare una plusvalenza di ripristino (voce D.18.c del Conto Economico, cioè rivaluta-
zioni di titoli circolanti diversi dalle partecipazioni), al massimo pari alla svalutazione
precedente.
La svalutazione dei titoli al minor valore di realizzazione è comunque effettuata
singolarmente, per ogni specie di titolo, e non per aggregati più o meno omogenei o
addirittura per l’intero comparto a meno che la valutazione non colpisca una categoria
omogenea di titoli applicati secondo le metodologie del costo medio ponderato, LIFO
e FIFO.

256
8.5. Acquisto di obbligazioni proprie
La società può avere convenienza ad acquistare le proprie obbligazioni se il loro
prezzo è inferiore al valore al quale sono iscritte in contabilità tra i debiti (voce D.1 e
D.2 del passivo patrimoniale). In tal caso, l’acquisto comporta la rilevazione nel Conto
Economico di un utile al momento dell’annullamento. Detto utile è iscritto nel Conto
Economico fra i proventi finanziari.
Secondo l’OIC 19, tuttavia, quando la società procede al riacquisto sul mercato del-
le proprie obbligazioni, l’evento deve essere trattato contabilmente come se avesse
proceduto ad un’estinzione anticipata del prestito obbligazionario mediante rimborso
con disponibilità liquide, anche nel caso in cui le obbligazioni acquistate non sono an-
nullate e sono successivamente rivendute sul mercato. Tale interpretazione sostanziale
dell’evento di riacquisto delle obbligazioni risiede nella considerazione che se la so-
cietà procedesse a iscrivere le proprie obbligazioni, riacquistate sul mercato, tra le at-
tività dello Stato Patrimoniale, essa iscriverebbe nell’attivo titoli di debito che rappre-
senterebbero crediti verso se stessa e lascerebbe iscritti nel passivo debiti per obbliga-
zioni parimenti verso se stessa; entrambe le poste non possono essere iscritte nello
Stato Patrimoniale, in quanto non rispondono alle definizioni di credito e di debito.
Quindi le obbligazioni proprie acquistate sono da collocarsi a riduzione del debito
per prestito obbligazionario.
Se la società applica il criterio del costo ammortizzato, quando prevede, con un
sufficiente grado di probabilità, di riacquistare in tutto o in parte le proprie obbligazio-
ni anticipatamente rispetto alla scadenza di rimborso, ne tiene conto nel processo di
revisione delle stime dei flussi finanziari futuri del debito obbligazionario e rettifica il
valore contabile del debito per riflettere i rideterminati flussi finanziari stimati.

8.6. Il contenuto della Nota Integrativa per i titoli obbligazionari


Ai sensi degli artt. 2427 e 2427 bis c.c., nella Nota Integrativa devono essere forni-
te numerose informazioni.
 Per i titoli immobilizzati, il criterio applicato nella valutazione, nelle rettifiche di
valore (art. 2427, n. 1) specificando le ragioni, nel caso di «perdita durevole» di valore
del titolo, dell’adozione di un valore inferiore al costo o al valore contabile precedente
e gli elementi che hanno costituito base o riferimento per l’adozione del valore mino-
re; le ragioni che hanno indotto a ripristinare il costo precedentemente svalutato a cau-
sa di una perdita durevole di valore; il trattamento contabile del premio o dell’onere
per il sottoscrittore di titoli immobilizzati e dello scarto di emissione.
 Per i titoli circolanti la Nota Integrativa illustra il criterio applicato nella valuta-
zione e il mercato cui si è fatto riferimento per comparare il costo e la differenza, se
apprezzabile, fra valore di bilancio (determinato con il criterio del costo ed i metodi
LIFO, FIFO o costo medio ponderato) e valore calcolato in base ai costi correnti (art.
2426, n. 10). A questo riguardo, la Nota Integrativa evidenzia i casi nei quali si utiliz-
za il costo specifico per la determinazione del costo di titoli fungibili.

257
 Sempre per i titoli circolanti, le variazioni intervenute, da un esercizio all’altro,
nella consistenza delle voci (art. 2427, n. 4).
 I movimenti dei titoli immobilizzati, specificando per ciascuna voce: il costo; le
precedenti svalutazioni e rivalutazioni; le acquisizioni, gli spostamenti da una ad altra
voce, le alienazioni avvenute nell’esercizio, le svalutazioni e le rivalutazioni effettuate
nell’esercizio (art. 2427, n. 2).
 I titoli, con relativo importo, che hanno costituito oggetto di cambiamento di de-
stinazione e le relative ragioni; inoltre è indicata l’influenza del cambiamento sulla
rappresentazione del situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico.
 Per le immobilizzazioni finanziarie iscritte a un valore superiore al loro fair va-
lue si deve indicare il valore contabile e il fair value dei singoli titoli, o di appropriati
raggruppamenti di tali attività, oltre ai motivi per i quali il valore contabile non è stato
ridotto, inclusa la natura degli elementi sostanziali sui quali si basa il convincimento
che tale valore possa essere recuperato (art. 2427 bis, 1° comma, n. 2).
Infine, ove rilevante, la Nota Integrativa fornisce un’analisi dei titoli raggruppati
per principali tipologie (es. titoli di stato a reddito fisso o variabile, obbligazioni socie-
tarie, titoli espressi in moneta estera, ecc.), evidenziando i titoli immobilizzati emessi
da controllanti, controllate o collegate. Con riguardo ai titoli strutturati, la descrizione
include l’analisi dei principali fattori di rischio riferibili alla componente «derivata»
(rischio tasso d’interesse, rischio azionario, ecc.). Si indicano, inoltre, le eventuali re-
strizioni alla disponibilità dei titoli e gli importi significativi di titoli non quotati.

8.7. Le partecipazioni: contabilizzazione acquisto, cessione e dividendi


L’OIC 21 fornisce regole circa la contabilizzazione delle partecipazioni.
Anzitutto, tanto per le partecipazioni immobilizzate che per quelle circolanti, la ri-
levazione iniziale è al costo comprensivo anche degli oneri accessori, costituiti da co-
sti direttamente imputabili all’operazione, quali, ad esempio, i costi di intermediazione
bancaria e finanziaria, le commissioni, le spese e le imposte. I costi accessori possono
comprendere costi di consulenza corrisposti a professionisti per la predisposizione di
contratti e di studi di fattibilità e/o di convenienza all’acquisto.
L’aumento del numero delle azioni per aumenti di capitale a pagamento implica un
incremento del valore delle azioni, mentre l’aumento gratuito per conversione di riser-
ve contabilmente non rileva, risolvendosi in un incremento del numero delle azioni
possedute e non in aumento del loro valore.
Nel caso di aumento di capitale realizzato per conversione di crediti posseduti ver-
so la partecipata, ricorrente specie nei casi di crisi della società partecipata, l’importo
del credito verrà ridotto e aumentato in contropartita il valore della partecipazione. Nel
caso invece di nuove partecipazioni per effetto di conversione di obbligazioni conver-
tibili, le nuove azioni o quote sono iscritte in bilancio al valore del titolo convertito sen-
za interessare il Conto Economico. Il documento OIC conferma inoltre che l’assegna-
zione del diritto gratuito di opzione non genera un ricavo per il percipiente. L’even-

258
tuale ricavo è rilevato soltanto al momento della vendita del diritto. Se il diritto di op-
zione scade senza essere esercitato occorre valutare se l’effetto di diluizione che ne de-
riva possa generare la necessità di rilevare una perdita durevole di valore.
Circa la cessione di partecipazioni, per il calcolo della plus(minus)valenza di ces-
sione, in presenza di più acquisti a prezzi diversi, si tratta di calcolare il costo da con-
frontare con il prezzo di vendita. Il Documento OIC afferma che per la partecipazioni,
tanto immobilizzate quanto circolanti, si deve preferire il metodo del costo specifico,
per quanto sia ammesso l’utilizzo di valori medi quali il LIFO, il FIFO o il costo me-
dio ponderato.
Per quanto riguarda la contabilizzazione dei dividendi, la regola disposta dall’OIC
21 è che si rilevano come ricavi solo quando vi è stata una delibera assembleare in tal
senso della società partecipata. Dalla nuova versione del documento OIC è stata eli-
minata la previsione che consentiva la rilevazione dei dividendi già nell’esercizio di
maturazione dei relativi utili a condizione che il bilancio della controllata fosse stato
approvato dall’organo amministrativo della controllata anteriormente alla data di ap-
provazione del bilancio da parte dell’organo amministrativo della controllante. Pertan-
to la controllante iscriverà il credito per dividendi nello stesso esercizio in cui sorge il
relativo debito per la controllata. La delibera dell’assemblea della partecipata che de-
stina utili quali dividendi tipicamente è la stessa che approva il bilancio dell’esercizio
in cui tali utili sono maturati. Perciò, salvo il caso di acconti su dividendi, il ricavo per
dividendi è imputata dalla partecipante nel Conto Economico dell’esercizio successivo
a quello in cui sono maturati gli utili per la partecipata (quindi utile dell’esercizio 2016
della partecipata rilevato nel 2017 come ricavo dalla partecipante).
A titolo prudenziale, l’OIC 21 richiede che la società partecipante verifichi se, a
seguito della distribuzione, il valore recuperabile della partecipazione non sia diminui-
to al punto tale da rendere necessaria la rilevazione di una perdita di valore.
La percezione di dividendi sotto forma di azioni
Secondo l’OIC 21, l’attribuzione sotto forma di dividendi di azioni della partecipa-
ta derivanti da un aumento gratuito di capitale non comporta, in capo alla partecipan-
te, la rilevazione di proventi da dividendi e non muta il valore a cui è iscritta in bilan-
cio la partecipazione. Allo stesso modo, non si procede alla rilevazione di proventi fi-
nanziari nel caso in cui la partecipata distribuisca a titolo di dividendo azioni proprie
detenute in portafoglio. L’operazione produce gli stessi effetti che produrrebbe un an-
nullamento delle azioni proprie con riduzione di capitale sociale. Anche in questa cir-
costanza non si producono variazioni nel valore di iscrizione della partecipata.

8.8. La valutazione delle partecipazioni a fine esercizio


Si deve distinguere la valutazione delle partecipazioni circolanti da quelle immobi-
lizzate. Per chiarezza è bene presentare subito il seguente prospetto che sintetizza i dif-
ferenti approcci valutativi.

259
Partecipazioni

Circolanti Immobilizzate

Valutate al minore tra costo in imprese controllate in altre imprese


e valore di realizzo desumibile
dall’andamento di mercato e/o collegate (né controllate,
(par. 8.8.1) né collegate)

Opzione metodo Opzione metodo Valutate al costo, salvo


perdite durevoli di valore
del patrimonio netto del costo (par. 8.8.2)

Valutate in base alla corrispondente


frazione del patrimonio netto della
società partecipata
(par. 8.8.4)

8.8.1. La valutazione delle partecipazioni comprese nel circolante


Per le partecipazioni incluse nell’attivo circolante, valgono sostanzialmente le stes-
se regole esaminate sub 8.4.2 a proposito dei titoli obbligazionari circolanti, ossia scel-
ta del minor valore tra costo e valore di presunto realizzo, modalità di determinazione
di ciascuno dei due termini. Rispetto ai titoli obbligazionari, è però diversa la colloca-
zione in Conto Economico delle eventuali svalutazioni delle partecipazioni circolanti
per effetto della differenza negativa tra costo e valore di realizzo desumibile dall’anda-
mento del mercato (voce D.19.a, cioè svalutazioni delle partecipazioni) e relative
eventuali rivalutazioni di ripristino (voce D.18.a).

8.8.2. La valutazione delle partecipazioni immobilizzate: il metodo del costo


Sono da considerarsi immobilizzate le partecipazioni detenute per investimento du-
raturo o in vista dell’esercizio di un’influenza dominante o notevole, assicurata rispet-
tivamente da posizioni di controllo o di collegamento, o allo scopo di percepire, oltre a
vantaggi diretti quali i dividendi anche vantaggi indiretti come collaborazioni relative
a più o meno ampie aree gestionali. Negli schemi di bilancio si devono distinguere le
partecipazioni in imprese controllate, in imprese collegate e in altre imprese.
Per le partecipazioni immobilizzate in imprese controllate e collegate agli ammini-
stratori si pone la questione se scegliere il criterio del costo o del patrimonio netto (o
equity method), tenuto conto che l’art. 2426, n. 4 consente entrambe le possibilità. Il
metodo del patrimonio netto consente al valore della partecipazione di seguire l’anda-
mento gestionale della partecipata. Per cui in presenza di influenza notevole o domi-

260
nante della partecipante sulla partecipata è opportuno scegliere il metodo del patrimo-
nio netto quale criterio di valutazione. Il metodo del costo dovrebbe essere limitato ai
casi in cui l’influenza della partecipante in controllate o collegate sia limitata da fattori
particolari (situazioni politiche, stato di liquidazione della partecipata, ecc.). Nella pra-
tica nei bilanci separati delle società italiane è più usata la valutazione al costo, vuoi
per la maggiore stabilità del valore della partecipazione, vuoi per la maggiore sempli-
cità applicativa.
In ogni caso, anche adottando il criterio del costo, deve comunque essere effettuato
un confronto in sede di bilancio, a norma dell’art. 2426, n. 3, c.c., con il valore deri-
vante dall’applicazione del metodo del patrimonio netto (nell’ipotesi in cui la parteci-
pante sia tenuta a redigere il bilancio consolidato) o con la frazione del patrimonio net-
to quale risulta dall’ultimo bilancio della partecipata (qualora non vi sia obbligo di re-
digere il bilancio consolidato). Infatti, se il metodo del costo conduce ad un valore mag-
giore di quello derivante dall’equity method, se ne deve dare menzione nella Nota In-
tegrativa e tale eccedenza è giustificata solo da plusvalori latenti dei beni della parte-
cipata o da un avviamento; in assenza di questi elementi l’eccedenza del costo non è
giustificata e richiede pertanto una svalutazione della relativa partecipazione.
Nel prosieguo del paragrafo esamineremo le questioni collegate al metodo del co-
sto e rinvieremo al paragrafo successivo per l’analisi del metodo del patrimonio netto.
La svalutazione per perdite durevoli e gli eventuali ripristini di valore
Come già osservato per le altre immobilizzazioni, il criterio del costo comporta una
modifica del costo originario solo a seguito di perdite durevoli che portino il valore
recuperabile al di sotto del valore contabile. In generale, sia per le partecipazioni quo-
tate che per quelle non quotate, per individuare il carattere durevole della perdita
l’OIC 21 richiede la verifica di perdite di esercizio strutturali della partecipata, tali da
intaccare la sua consistenza patrimoniale, frequentemente provocata da situazioni ne-
gative interne o esterne (di cui l’OIC 21 fornisce un’ampia esemplificazione). Tuttavia
il documento dell’OIC indica una «presunzione»: la perdita deve considerarsi durevole
se non è dimostrabile che nel breve periodo la partecipata possa sovvertirla con positi-
vi risultati economici. Tale dimostrazione risulta dalla predisposizione di appositi pia-
ni di riequilibrio concreti, analitici, fattibili, di breve attuazione, espressamente delibe-
rati dagli organi societari. Il mantenimento del costo pur in presenza di perdita è am-
messo, in via particolare, nel caso in cui la partecipata sia al primo esercizio di attività
e si possa fondatamente ritenere un’immediata redditività nel successivo esercizio.
Qualora la partecipante ritenga la perdita non durevole, nella Nota Integrativa del suo
bilancio devono essere sintetizzati gli elementi principali (primo tra tutti il tempo ne-
cessario per il recupero dell’economicità) di detti piani di riequilibrio.
In particolare, per le partecipazioni quotate sorge il quesito sull’influenza di una ri-
duzione dei corsi azionari. Al pari di quanto osservato per i titoli obbligazionari im-
mobilizzati, un significativo e generalizzato ribasso delle quotazioni integra gli estre-
mi della perdita durevole solo se oltre ad assumere carattere persistente, si accompa-
gna a risultati economici negativi e fa quindi «ritenere non possibile un’inversione di
tendenza».

261
Nel caso in cui vengano meno le ragioni che avevano indotto a svalutare per perdi-
ta durevole, si incrementa il valore del titolo fino alla concorrenza, al massimo, del co-
sto originario.
Le voci D.19.a) e D.18.a), rispettivamente, accoglieranno le svalutazioni (per per-
dita durevole) delle partecipazioni e le eventuali rivalutazioni di ripristino. In contro-
partita si movimenterà il fondo svalutazione relativo. In Nota Integrativa si dovranno
descrivere le ragioni della svalutazione (o della rivalutazione di ripristino), l’ammon-
tare della svalutazione e gli elementi presi a base per adottare il minor valore.
Qualora invece la partecipante ritenga non durevole la perdita e quindi mantenga le
partecipazioni al valore di costo, oltre a dover specificamente motivare in Nota tale
comportamento, si avranno dei riflessi contabili solo se vi è un impegno a coprire le
perdite della partecipata. In tal caso si dovrà accantonare un costo 1 (da inserire in
Conto Economico nella voce D.19.a) ad un apposito fondo spese (da inserire in Stato
Patrimoniale nella voce B.3 del passivo).

8.8.3. Partecipazioni e Nota Integrativa


Ai sensi degli artt. 2426 e 2427 c.c. e dell’OIC 21, nella Nota Integrativa sono for-
nite le seguenti informazioni:
– per le partecipazioni immobilizzate, il criterio applicato nella valutazione e nelle ret-
tifiche di valore, con particolare riferimento, nel caso di «perdita durevole» di valo-
re, agli elementi a base della svalutazione (art. 2427, n. 1); per le partecipazioni
circolanti, nell’illustrare il criterio di valutazione si deve specificare il mercato cui
si è fatto riferimento per comparare il costo;
– l’elenco delle partecipazioni (immobilizzate), possedute direttamente o per tramite
di società fiduciaria o per interposta persona, in imprese controllate e collegate, in-
dicando per ciascuna la denominazione, la sede, il capitale, l’importo del patrimo-
nio netto, l’utile o la perdita dell’ultimo esercizio, la quota posseduta, il valore at-
tribuito in bilancio o il corrispondente credito, l’ammontare delle riserve di utili o di
capitale soggetto a restituzioni o vincoli o in sospensione d’imposta (art. 2427, n. 5);
– i movimenti delle partecipazioni immobilizzate, specificando: il costo, le preceden-
ti svalutazioni e rivalutazioni; le acquisizioni, gli spostamenti da una ad altra voce,
le alienazioni avvenute nell’esercizio; le svalutazioni o le rivalutazioni effettuate nel-
l’esercizio (art. 2427, n. 2); in particolare, per l’OIC 21, si devono indicare le par-
tecipazioni, con relativo importo, che hanno costituito oggetto di cambiamento di
destinazione, le relative ragioni e l’influenza del cambiamento sulla situazione pa-
trimoniale e finanziaria e del risultato economico;
– per le partecipazioni circolanti, le variazioni intervenute nella consistenza (art. 2427,
n. 4);

1 Sembra logico precisare, in aggiunta al disposto del documento, che tale stanziamento di costo non è
richiesto se è già stata iscritta una svalutazione a seguito della rilevazione della perdita di esercizio della
partecipata configurante una perdita durevole della partecipazione.

262
– le informazioni sulle operazioni di aumento di capitale (a pagamento o gratuito) de-
liberate dalla società partecipata che ne descrivono le modalità di effettuazione e le
conseguenze per la partecipante;
– gli ammontari significativi dei saldi e delle operazioni compiute con consociate;
– l’ammontare dei proventi da partecipazioni (immobilizzate) di cui alla voce 15) del
Conto Economico, diversi da dividendi (art. 2427, n. 11);
– la ragione per cui la partecipazione è iscritta in bilancio al costo allorché questo
esprima un valore superiore alla corrispondente frazione del patrimonio netto della
partecipata (nel caso in cui la partecipante non sia obbligata a redigere il bilancio
consolidato), ovvero superiore a quello derivante dall’adozione del metodo del pa-
trimonio netto (nel caso in cui la partecipante sia obbligata a redigere il bilancio
consolidato), nonché la differenza tra il costo e il criterio di raffronto utilizzato (art.
2426, n. 4);
– ove rilevanti, le eventuali restrizioni alla disponibilità delle partecipazioni e l’esi-
stenza di diritti d’opzione, privilegi, su partecipazioni;
– nel caso, inoltre, di eseguita rivalutazione ai sensi di leggi speciali su partecipazio-
ni, occorre indicare la legge relativa, l’ammontare della rivalutazione, il trattamento
contabile della riserva da rivalutazione, suoi utilizzi e restrizioni all’utilizzo. Se la
tassazione della riserva di rivalutazione è soggetta alla condizione sospensiva della
sua distribuzione e la tassazione di tale riserva sia indipendente dall’alienazione dei
cespiti ai quali la rivalutazione si riferisce, qualora non siano accantonate imposte,
gli organi amministrativi debbono dichiarare che la distribuzione sarà differita a
tempo indefinito;
– solo per le partecipazioni circolanti, la differenza, se apprezzabile, fra valore di bi-
lancio (determinato con il criterio del costo ed i metodi LIFO, FIFO o costo medio)
e valore calcolato in base ai costi correnti (art. 2426, n. 10), evidenziando i casi nei
quali si utilizza il costo specifico per la determinazione del costo di titoli fungibili.
Ai sensi dell’art. 2427 bis, per le partecipazioni immobilizzate diverse da quelle de-
tenute in controllate o collegate che siano iscritte a un valore superiore al loro fair va-
lue si deve indicare in Nota Integrativa:
– il valore contabile e il fair value delle singole partecipazioni;
– i motivi per i quali il valore contabile non è stato ridotto, inclusa la natura degli
elementi sostanziali sui quali si basa il convincimento che tale valore possa essere
recuperato.

8.8.4. Il metodo del patrimonio netto: logica e applicazione inziale

Il Codice Civile ammette per la valutazione delle partecipazioni immobilizzate in


controllate o collegate tanto l’applicazione del metodo del costo sopra descritto, quan-
to quella del patrimonio netto (equity method). A norma dell’art. 2426, n. 4, si possono
applicare metodi diversi (costo e patrimonio netto) per partecipazioni diverse, senza
che in bilancio sia necessariamente adottato un unico metodo per tutte le partecipazioni.

263
L’OIC 17 dedica una sezione alle problematiche applicative del metodo del patri-
monio netto e rappresenta il testo di riferimento per l’analisi successiva.
Il metodo del patrimonio netto deve essere applicato in caso di esercizio di influen-
za effettiva perlomeno notevole sulla gestione della partecipata 2 e consiste in un con-
solidamento sintetico, dal momento che con l’applicazione che ne discende si va a so-
stituire al valore della partecipazione il patrimonio netto (pro-quota) della partecipata,
mentre con il consolidamento integrale, metodo alla base della formazione del bilan-
cio consolidato) al valore della partecipazione si sostituiscono analiticamente le diver-
se attività e passività della partecipata 3.
Come logica di fondo, fare in modo che il valore della partecipazione rifletta il cor-
rispondente valore del patrimonio netto della società partecipata significa rivalutare la
partecipazione se la partecipata aumenta il proprio patrimonio netto in quanto conse-
gue degli utili e svalutarla se invece consegue delle perdite.
Al riguardo si ritiene opportuno fornire il seguente prospetto di sintesi che confron-
ta il metodo del patrimonio netto con quello del costo.

Metodo utilizzato Criterio di scelta Aspetti contabili di base

Svalutare per
Svalutare per
Influenza Rivalutare perdite durevoli
perdite non
(effettiva) per utili della anche
durevoli della
almeno notevole partecipata eccedenti perdite
partecipata
di bilancio
PATRIMONIO
SI SI SI SI
NETTO
COSTO NO NO NO SI

Di seguito si espongono le varie fasi per la rappresentazione in bilancio delle parte-


cipazioni immobilizzate in controllate e collegate tramite l’opzione del metodo del pa-
trimonio netto.

2 Si tenga presente che per il meccanismo delle presunzioni civilistiche (art. 2424 bis, 2° comma e art.
2359, 3° comma, c.c.), si presume iuris tantum che vi sia influenza notevole nei confronti della partecipa-
ta in presenza di una partecipazione superiore ai limiti indicati dall’art. 2359 c.c. (10% dei voti in assem-
blea ordinaria se la partecipata è quotata in borsa o 20% se non è quotata). Pertanto ne consegue che, in
presenza di quei limiti, se non vi sono sufficienti spiegazioni in bilancio, il criterio da adottare sarebbe
quello del patrimonio netto e solo motivando e circostanziando la mancanza di influenza notevole, il me-
todo del costo sarebbe ammissibile.
3 Questo legame con le operazioni di consolidamento spiega perché il metodo del patrimonio netto sia
descritto nell’OIC 17 che è lo stesso documento dove si forniscono le regole per la redazione del bilancio
consolidato.

264
L’utilizzo di una situazione patrimoniale extracontabile della partecipata al momen-
to dell’acquisizione
Normalmente, all’acquisto di una partecipazione di controllo o di collegamento, l’ac-
quirente valuta la convenienza del costo rispetto ad una situazione patrimoniale a valo-
ri correnti. Tali valori correnti implicano rettifiche extracontabili rispetto ai valori con-
tabili del patrimonio della partecipata (OIC 17). È sul patrimonio netto emergente da
tale situazione patrimoniale extracontabile che si calcola la frazione di capitale acqui-
stata. In tal modo la partecipante è in grado di conoscere la composizione dei valori at-
tivi e passivi della partecipata, opportunamente rettificati, tenuto ovviamente conto della
frazione di capitale posseduta.
Al termine delle suddette rettifiche, la partecipante è in condizione di allocare le
differenze fra costo di acquisto e patrimonio netto contabile della partecipata ai singoli
componenti patrimoniali attivi e passivi e di determinarne la natura ai fini del loro trat-
tamento contabile. Questo prospetto verrà utilizzato per rettificare i risultati d’eserci-
zio della partecipata a partire dal primo bilancio successivo all’acquisto.
Le differenze iniziali tra costo e valore della corrispondente frazione del patrimonio
netto: la differenza positiva
Quando il costo d’acquisto della partecipazione è diverso dalla corrispondente quo-
ta del patrimonio netto contabile della partecipata alla data dell’acquisizione, si deter-
mina una differenza iniziale, positiva o negativa.
In presenza di una differenza iniziale positiva (costo di acquisto della partecipazio-
ne superiore alla corrispondente frazione di patrimonio netto contabile della partecipa-
ta), si possono prospettare due ipotesi:
a) la differenza iniziale positiva deriva da maggiori valori dell’attivo (per plusvalenze
latenti) patrimoniale della partecipata o alla presenza di avviamento, per cui la par-
tecipante iscrive la partecipazione al costo di acquisto, essendo tale costo giustificato
da maggiori valori patrimoniali della partecipata, come richiesto dall’art. 2426, n.
4, purché ne siano indicate le ragioni nella Nota Integrativa. Ai sensi di quanto di-
sposto dall’art. 2426, n. 4, 2° capoverso, tale differenza, a partire dal primo bilan-
cio successivo all’acquisto, deve essere ammortizzata limitatamente alla parte attri-
buibile ai beni ammortizzabili, compreso l’avviamento. In merito, l’OIC 17 ricorda
che la partecipazione appare nello Stato Patrimoniale della partecipante in voce
unica, senza che le plusvalenze latenti o l’avviamento eventualmente compreso nel
costo di acquisto, siano rilevati separatamente;
b) la differenza iniziale positiva non è giustificata da plusvalenze latenti o d avvia-
mento della partecipata, per cui la partecipazione è svalutata, imputando un costo a
Conto Economico nella voce D.19.a) «Svalutazione delle partecipazioni».

BOX 38 – Metodo del patrimonio netto: la differenza positiva iniziale


Si supponga che la società Alfa acquisisca una partecipazione del 60% in Beta al costo di 800. Nella con-
tabilità di Alfa l’operazione ha dato origine alla seguente rilevazione:

265
Acquisto della partecipazione

Partecipazioni in Beta 800


Banca c/c 800

Il patrimonio netto contabile di Beta alla data dell’acquisto è di 900. Effettuando le rettifiche extraconta-
bili anzidette, e prescindendo per semplicità dall’effetto fiscale, si supponga che emergano i seguenti dati:
rivalutazione immobili + 300
riduzione crediti – 100
stanziamento per oneri di riconversione – 100
avviamento + 200
__________________________________________________
totale rettifiche extracontabili + 300

Da cui si ricava:
 patrimonio netto rettificato di Beta = 900 + 300 = 1.200;
 quota patrimonio netto attribuito dalla partecipazione = 60% di 1.200 = 720;
 differenza (costo – quota patrimonio netto) = 800 – 720 = 80 da valutare se può essere considerata qua-
le avviamento (e quindi da lasciare inserita nel costo della partecipazione) o «cattivo affare», e quindi tale
da comportare una svalutazione.

Le differenze iniziali tra costo e valore della corrispondente frazione del patrimonio
netto: la differenza negativa
Una differenza iniziale negativa (costo di acquisto della partecipazione inferiore al-
la corrispondente frazione di patrimonio netto contabile della partecipata), può dipen-
dere da due circostanze alternative:
a) l’acquirente ha fatto un buon affare (si è pagato meno del valore reale), per cui la
partecipante iscrive la partecipazione al maggior valore del patrimonio netto rettifi-
cato della partecipata rispetto al prezzo di costo, iscrivendo quale contropartita, tra
le «Altre riserve», una «Riserva per plusvalori di partecipazioni acquisite», indi-
stribuibile;
b) si prevedono risultati economici sfavorevoli per la partecipata (badwill), per cui la
differenza negativa rappresenta un «Fondo per rischi e oneri futuri» di cui si man-
tiene memoria extracontabilmente In tal caso, la partecipazione è inizialmente iscritta
per un valore pari al costo sostenuto. Il fondo memorizzato extracontabilmente è
utilizzato negli esercizi successivi a rettifica dei risultati della partecipata secondo
la stessa logica prevista per il fondo di consolidamento per rischi e oneri futuri
(OIC 17).

BOX 39 – Metodo del patrimonio netto: la differenza negativa iniziale


Si supponga che la società Alfa acquisisca una partecipazione del 60% in Beta al costo di 600. Nella con-
tabilità di Alfa l’operazione ha dato origine alla seguente rilevazione:

266
Acquisto della partecipazione

Partecipazioni in Beta 600


Banca c/c 600

Alla data dell’acquisto, il patrimonio netto di Beta dopo le rettifiche extracontabili per evidenziare even-
tuali plusvalori latenti, è di 900. Si genera quindi una differenza negativa per 600 – 80% di 900 = – 120.
Tale differenza è considerata come un buon affare e determina quindi una rivalutazione per 120 del costo
di acquisto della partecipazione a fronte dello stanziamento di una «Riserva per plusvalori di partecipazio-
ni acquisite».

Adeguamento iniziale del costo della partecipazione al suo valore reale

Partecipazioni in Beta 120


Riserva per plusvalori di partecipazioni acquisite 120

8.8.5. Il metodo del patrimonio netto: la considerazione del risultato di eser-


cizio della partecipata

L’art. 2426, n. 4, 3° comma, afferma che «negli esercizi successivi le plusvalenze


derivanti dall’applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato
nel bilancio dell’esercizio precedente sono iscritte in una riserva indistribuibile». In
effetti, l’aspetto più caratterizzante il metodo del patrimonio netto consiste proprio nel
fatto che il valore della partecipazione dovrà riflettere non solo inizialmente ma anche
successivamente le variazioni che subisce il patrimonio netto della partecipata, dipen-
denti sia dagli andamenti reddituali che da variazioni esogene (aumenti di capitale a
pagamento, rivalutazioni monetarie, rimborsi di capitale).
Il bilancio della partecipata a base delle valutazioni di fine esercizio
Come questione preliminare si deve stabilire quale bilancio della società partecipa-
ta utilizzare per desumere i dati di partenza. In linea generale, il metodo del patrimonio
netto è applicato utilizzando il bilancio approvato dalla partecipata riferito alla stessa
data del bilancio della partecipante (OIC 17).
Possono però intervenire vari problemi. Anzitutto non è detto che la partecipata chiu-
da l’esercizio alla stessa data della partecipante; oppure potrebbe succedere che l’assem-
blea della partecipata non abbia approvato il bilancio in tempo utile per permetterne il
suo utilizzo da parte della partecipante. In questi casi soccorre l’OIC 17 che stabilisce
anzitutto che è accettabile assumere un progetto di bilancio formalmente redatto dall’or-
gano amministrativo della partecipata, qualora non sia ancora intervenuta l’approva-
zione da parte dell’assemblea. Nel caso in cui le date di riferimento dei bilanci della
partecipante e delle partecipate valutate con il metodo del patrimonio netto divergano,
gli amministratori della partecipante richiederanno alla partecipata di redigere un bi-
lancio straordinario la cui data di chiusura coincida con quella del bilancio della parte-
cipante; il metodo del patrimonio netto dovrà essere applicato utilizzando il suddetto

267
bilancio intermedio (OIC 17). Tuttavia, come eccezione e limitatamente alle società col-
legate, se la data di riferimento del bilancio della società collegata non coincide con quel-
la della partecipante, è accettabile utilizzare un bilancio a data diversa purché si verifi-
chino le seguenti condizioni:
 la differenza non ecceda i tre mesi;
 la differenza di data del bilancio sia mantenuta costante;
 la diversità di data venga indicata nella Nota Integrativa della partecipante;
 vengano riflessi gli effetti di operazioni ed eventi significativi verificatisi tra la data
del bilancio della collegata e quella della partecipante, ed essi siano posti in evi-
denza nella Nota Integrativa della partecipante.
Le rettifiche da apportare al risultato economico della partecipata
Poiché il metodo del patrimonio netto deve produrre gli stessi effetti del consoli-
damento, l’applicazione di tale metodo richiede analoghe rettifiche. Pertanto il risulta-
to (utile o perdita) d’esercizio risultante dal bilancio della partecipata, è soggetto alle
seguenti rettifiche, ove applicabili:
1. rettifiche derivanti dalla mancata applicazione di principi contabili uniformi a quel-
li applicati dalla partecipante;
2. rettifiche derivanti da eventuali eventi significativi verificatisi tra la data di chiusu-
ra dell’esercizio della collegata e quello della partecipante nell’ipotesi in cui tali date
non coincidano;
3. rettifiche derivanti dall’eliminazione degli utili e perdite interni relativi ad operazioni
intersocietarie; L’OIC 17 stabilisce che nel caso di utili/perdite derivanti da opera-
zioni tra la partecipante (incluse le sue controllate consolidate) e una partecipata, la
partecipante rileva nel proprio bilancio tali utili o perdite solo per la sua percentua-
le di possesso nella partecipata 4;
4. rettifiche per riflettere gli effetti, aggiornati annualmente, derivanti dall’iniziale im-
putazione delle differenze fra i valori contabili e i valori che tengono conto del di-
verso prezzo di acquisizione. In questo senso, se era stata considerata una plusva-
lenza latente su immobili della partecipata in sede di confronto iniziale, adesso su
quella plusvalenza andrà effettuato un ammortamento (calcolato secondo lo stesso
criterio adottato dalla partecipata), che farà ridurre il risultato di esercizio della par-
tecipata da considerare per l’applicazione del metodo del patrimonio netto. Nello
stesso modo, se dal confronto scaturiva un avviamento, adesso tale valore andrà am-
mortizzato con analogo impatto diminutivo;
5. rettifiche derivanti dalla percentuale di capitale della partecipata posseduto dalla
partecipante.

4 L’OIC 17 stabilisce che se la partecipata possiede una partecipazione nella partecipante, legittima-
mente assunta nei limiti indicati all’art. 2359 bis, 1° comma, c.c., e quest’ultima ha assegnato parte dei
propri utili alla partecipata, riducendo così il proprio patrimonio netto, il risultato d’esercizio della partecipa-
ta – che comprende tali dividendi e che la partecipante assume nel proprio Conto Economico con il meto-
do del patrimonio netto – non è depurato dei suddetti dividendi. Essi vanno a reintegrare il patrimonio netto
della partecipante.

268
Con particolare riferimento alle operazioni intersocietarie (punto 3), in sede di eli-
minazione di componenti positivi o negativi dal Conto Economico della partecipata si
deve tenere conto di quelli già riflessi nel Conto Economico della partecipante; non si
procede, infatti, all’eliminazione nella misura in cui componenti reddituali della parte-
cipata trovano perfetta contropartita in componenti reddituali di segno opposto presen-
ti nel Conto Economico della partecipante.
In effetti costi o ricavi della partecipante derivanti da operazioni intersocietarie sa-
ranno riflessi nel Conto Economico della partecipata da valori con segno opposto e
quindi l’utile della partecipata ne sarà comunque condizionato, portando quindi un so-
stanziale annullamento dell’impatto di tali valori sul Conto Economico della parteci-
pante. Le uniche rettifiche dovranno invece riguardare utili e perdite della partecipata
non riflessi già nel Conto Economico della partecipante da valori di segno contrario (e
viceversa) come nel caso di:
– utili/perdite lorde su vendita di beni-merce da eliminare solo se e nella misura in cui i
corrispondenti costi risultino sospesi dalla partecipata tra le rimanenze finali;
– plus(minus)valenze derivanti dalla vendita di beni strumentali, contabilizzate dal ven-
ditore, per la parte eccedente gli ammortamenti calcolati dall’acquirente sulla com-
ponente di costo che rappresenta l’utile interno (quindi sulla plus/minusvalenza stes-
sa). Ad esempio si supponga che Alfa acquisti per 1.000 beni strumentali da Beta,
partecipata al 40%, la quale realizza dalla vendita una plusvalenza di 300. Alfa impu-
ta un ammortamento del 10% pari a 100. La quota di ammortamento relativa alla
plusvalenza interna realizzata dalla partecipante è pari a 10%  300 = 30. La plusva-
lenza da eliminare dal Conto Economico della partecipata, ai fini dell’assunzione del
risultato nel bilancio della partecipante, sarà il 40% di (300 – 30), ossia 108.
Quale ultima rettifica (punto 5), si deve moltiplicare il risultato economico dell’e-
sercizio della partecipata al termine delle rettifiche (punti 1-4), per la frazione di capi-
tale posseduto dalla partecipante (OIC 17).
Imputazione del risultato economico di esercizio della partecipata nel bilancio della
partecipante
Nella logica di valutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto,
il risultato di esercizio della società partecipata, rettificato come sopra descritto, deter-
mina una variazione nel valore della partecipazione iscritta nel bilancio della partecipan-
te, proprio per assicurare che il valore di quest’ultima sia pari, ad ogni momento, alla
corrispondente frazione del patrimonio netto della partecipata. Per cui se il risultato di
esercizio della partecipata valutata con il metodo del patrimonio netto è positivo (ne-
gativo) si avrà un incremento (decremento) del valore della partecipazione.
In merito l’art. 2426, 1° comma, n. 4, c.c. stabilisce che «negli esercizi successivi
le plusvalenze, derivanti dall’applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al
valore indicato nel bilancio dell’esercizio precedente sono iscritte in una riserva non
distribuibile», previsione volta ad evitare che vengano distribuiti agli azionisti utili che
non sono ancora realizzati in capo alla partecipante.
L’OIC 17 stabilisce che la variazione suddetta del valore della partecipazione sia

269
imputata in ogni caso a Conto Economico e che la costituzione della riserva di cui al-
l’art. 2426, 1° comma, n. 4, sia costituita solo in un secondo momento come più avanti
specificato.
Per cui l’utile della partecipata si rileva nella voce D.18.a) rivalutazioni di parteci-
pazioni ed ha quale contropartita l’incremento nello Stato Patrimoniale della posta la
voce B.III.1) partecipazioni in imprese controllate oppure la voce B.III.1.b) partecipa-
zioni in imprese collegate.
La perdita della partecipata si rileva nella voce D.19.a) «Svalutazioni di partecipa-
zioni» e comporta una riduzione della corrispondente partecipazione.
A norma dell’OIC 17, in presenza di più partecipazioni alle quali debba applicarsi
il metodo del patrimonio netto, questo si applica ad ogni singola partecipazione e di
conseguenza non può essere effettuata una valutazione su base aggregata delle parte-
cipazioni. Pertanto la svalutazione da apportare ad una partecipazione non può essere
compensata dal mancato riconoscimento del maggior valore, attribuibile ad altre, deri-
vante dall’applicazione del metodo del patrimonio netto.
Creazione della riserva indistribuibile
Il Documento OIC 17 stabilisce che ogni plusvalenza derivante dall’applicazione
del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell’esercizio
precedente, deve essere iscritta in una riserva non distribuibile, come da art. 2426, n. 4.
Con tale regola si evita in ogni caso che possa essere distribuita sotto forma di utile la
rivalutazione derivante dal metodo del patrimonio netto.
La riserva suddetta può essere utilizzata, fin dall’esercizio della sua iscrizione e
senza necessità di rispettare ordini di priorità rispetto ad eventuali altre riserve distri-
buibili, a copertura della perdita di esercizi precedenti o successivi.
Trattamento dei dividendi percepiti
Nel momento in cui la partecipata distribuisce il suo utile di esercizio sotto forma
di dividendi, non sarebbe corretto far transitare tali elementi dal Conto Economico
della società partecipante che valuta tale partecipazione con il metodo del patrimonio
netto: si iscriverebbero altrimenti, nel Conto Economico due volte gli stessi ricavi: la
prima volta come rivalutazione della partecipazione e la seconda volta come dividen-
di. Di conseguenza, la distribuzione di dividendi dà origine direttamente ad una ridu-
zione del valore della partecipazione nella società partecipata. Pertanto, la distribuzio-
ne di dividendi comporta la riduzione del valore della partecipazione, rendendo nel
contempo disponibile, per l’importo dei dividendi distribuiti, la riserva ex art. 2426, 1°
comma, n. 4, c.c. dal momento che solo in tale momento il plusvalore della partecipa-
zione si può ritenere realizzato (Documento OIC 17).

BOX 40 – Trattamento del risultato della partecipata e successivi dividendi


Si supponga, riprendendo i dati del box 37, che il risultato di esercizio della partecipata sia un utile netto
di 200 al quale sono da aggiungersi le seguenti rettifiche:

270
Modifiche su risultato esercizio partecipata: conseguenze rettifiche extracontabili da confronto iniziale co-
sto-patrimonio netto
– ammortamento avviamento (es. 20% su avviamento 200) – 40
– ammortamento rivalutazione immobili (es. 5% su plusvalore di 300) – 15
______________________________________________________________________________
Totale – 55

+ RISULTATO DELL’ESERCIZIO DELLA PARTECIPATA + 200


______________________________________________________________________________
risultato d’esercizio della partecipata per il metodo del patrimonio netto + 145

Di tale risultato la partecipante dovrà considerare la parte corrispondente alla propria quota di parte-
cipazione. Nell’esempio iniziale tale quota è del 60%, che corrisponde ad un utile di 87 (60% di 145).
Contabilmente avremo:

Rivalutazione della partecipazione per utili della partecipata

Partecipazioni in Beta 87
Ricavo per rivalutazione partecipazioni ex art. 2426, n. 4 87

Supponendo poi che l’utile proprio della partecipante Alfa sia 150, ne consegue che l’intero importo
della rivalutazione debba essere accantonato dall’assemblea di Alfa che approva il bilancio, alla riserva
indistribuibile.

Destinazione dell’utile della partecipante a riserva indistribuibile

Utile dell’esercizio 201x di Alfa 87


Riserva indistribuibile ex art. 2426, n. 4 87

Nell’esercizio successivo, si supponga che Beta distribuisca dividendi per il 50% del suo utile come ri-
sultante da bilancio civilistico. Alfa percepirà quindi dividendi per: 200 x 50% x 60% = 60. Di conseguen-
za Alfa rileverà un credito per dividendi verso Beta a fronte della riduzione del valore della partecipazione
in Beta.

Rilevazione dividendi su partecipazione valutata con il metodo del patrimonio netto

Crediti verso Beta per dividendi 60


Partecipazione in Beta 60

A tal punto la riserva indistribuibile dovrà essere liberata per lo stesso importo confluendo in una riser-
va disponibile.

Destinazione dell’utile della partecipante a riserva indistribuibile

Riserva indistribuibile ex art. 2426, n. 4 60


Riserva straordinaria 60

271
L’OIC 17 non affronta due questioni legate all’uso della riserva non distribuibile ex
art. 2426 n. 4:
1. se tale riserva è stata formata in un esercizio per rivalutazione della partecipa-
zione e nell’esercizio successivo il risultato economico rettificato della partecipata è
una perdita tale da portare a svalutare la partecipazione, cosa succede alla riserva ? Chi
scrive ritiene che la riserva da rivalutazione ha lo scopo di rappresentare il plusvalore
rispetto al costo di acquisto che la partecipazione ha subito per effetto dei risultati
economici della società partecipata, per cui negli esercizi successivi alla costituzione
di tale riserva, se la partecipata presenta delle perdite, queste ultime oltre a riflettersi
nella svalutazione della partecipazione, determineranno anche una riduzione della ri-
serva (con contropartita una riserva disponibile), in modo da far coincidere il saldo della
riserva stessa con il plusvalore complessivamente cumulato nei diversi esercizi;
2. cosa succede contabilmente se dividendi dalla partecipata deliberati a favore della
partecipante (che, si ricorda sono calcolati sull’utile da bilancio civilistico) superano
l’importo della riserva non distribuibile stanziata nel bilancio di quest’ultima (deter-
minata invece dalle rivalutazione calcolate sull’utile rettificato e non su quello civili-
stico). In tal caso chi scrive ritiene che la logica del patrimonio netto imponga di ridurre
comunque il valore della partecipazione, in quanto comunque realizzatasi, per l’impor-
to dei dividendi distribuiti. La riserva ex art. 2426, n. 4 sarà in tal caso interamente li-
berata.
Perdite che eccedono il valore della partecipazione
A norma dell’OIC 17, nel caso in cui il valore della partecipazione diventi negativo
per effetto di perdite, la partecipazione si azzera. Se la partecipante si è impegnata al
supporto finanziario della partecipata, le perdite ulteriori rispetto a quelle che hanno
comportato l’azzeramento della partecipazione sono contabilizzate in un fondo per ri-
schi ed oneri.
Perdite durevoli di valore
Si ricorda infine che la partecipazione anche se valutata con il metodo del patrimo-
nio netto si svaluta comunque in presenza di perdite durevoli di valore, determinate ai
sensi di quanto disposto dall’OIC 21, anche nei casi in cui ciò comporti la necessità di
iscrivere la partecipazione ad un importo inferiore a quello determinato applicando il
metodo del patrimonio netto. Ciò si verifica quando la perdita di valore sia causata da
fattori che non trovano riflesso immediato nei risultati negativi della partecipata.

8.8.6. Il metodo del patrimonio netto: variazioni del patrimonio netto della
partecipata che non hanno concorso alla formazione del risultato econo-
mico dell’esercizio
Qualora la partecipata vari il proprio patrimonio netto per motivi diversi dal conse-
guimento di risultati economici (utili/perdite), il valore della partecipazione valutata
con il metodo del patrimonio netto e la riserva indistribuibile ex art. 2426, n. 4, do-

272
vranno variare di conseguenza (sempre in base alla percentuale di possesso), senza pe-
rò interessare il Conto Economico della partecipata. Tale è il caso di aumenti di capita-
le a pagamento sottoscritti dai soci in proporzione alle percentuali di proprietà, di per-
cezione di contributi in conto capitale, di rivalutazioni monetarie, di rimborsi propor-
zionali a soci, di distribuzione di riserve. Al contrario, in caso di aumento gratuito di
capitale della partecipata non si avrà nessuna rilevazione in quanto il patrimonio netto
resta invariato, mutando soltanto la sua composizione interna (trasformazione di riser-
ve in capitale sociale).

BOX 41 – Variazioni del netto non dovute a risultati di esercizio


Si supponga che Gamma valuti la partecipazione del 35% in Delta, collegata, con il metodo del patri-
monio netto. Delta durante l’esercizio ha effettuato una rivalutazione monetaria permessa da legge specia-
le con stanziamento di una riserva di rivalutazione di 1.000. Consegue che Gamma dovrà adeguare il valo-
re della propria partecipazione al nuovo capitale netto di Delta incrementando di 350 (35% di 1.000) la
partecipazione. In contropartita incrementerà il saldo della riserva indistribuibile ex art. 2426, n. 4.

Variazione della partecipazione per rivalutazione monetaria della partecipata

Partecipazioni in Delta 350


Riserva indistribuibile ex art. 2426, n. 4 350

Nell’OIC 17 si fornisce una disciplina anche per i casi in cui la partecipata valutata
con il metodo del patrimonio netto compie operazioni sul proprio patrimonio netto che
modificano la percentuale di proprietà della partecipante, come ad esempio nel caso in
cui la partecipata faccia un aumento di capitale riservato a favore di un altro socio op-
pure acquisti le proprie azioni da un terzo socio per poi annullarle.
In questi casi la variazione di valore della partecipazione va iscritta alla stregua di
un’operazione realizzativa effettuata con terzi che incrementa o riduce il valore della
partecipazione. Se l’ammontare di patrimonio netto riferibile alla partecipante aumen-
ta, si incrementa il valore della partecipazione iscritto nell’attivo dello Stato Patrimo-
niale in contropartita della voce D.18.a) rivalutazioni di partecipazioni, mentre se di-
minuisce si riduce il valore della partecipazione in contropartita alla voce D.19.a sva-
lutazioni di partecipazioni.

BOX 42 – Variazioni del netto che mutano la percentuale di possesso


Si supponga che Alfa valuti la partecipazione del 40% nella collegata Delta, della quale possiede azioni
per un valore nominale di 800, con il metodo del patrimonio netto. Delta presenta un capitale sociale di
2.000 e riserve di 1.000, per un totale del capitale netto pari a 3.000. Alfa ha iscritto la partecipazione in
bilancio a 1.200 (40% di 3.000). Delta durante l’esercizio ha aumentato il proprio capitale sociale con esclu-
sione del diritto di opzione per far entrare un nuovo socio. L’aumento di capitale è pari a 500 + sovrap-
prezzo di 300. Per cui il capitale netto di Delta passa da 3.000 a 3.800. Alfa vede ridurre la propria per-
centuale di partecipazione in Delta dal 40% al 32% (800/2.500, dove 2.500 è il capitale sociale di Delta

273
successivo all’aumento). Il nuovo valore della partecipazione sarà pari al 32% di 3.800, ossia 1.216. La
variazione aumentativa di 16 (1.216 – 1.200) è considerata realizzativa e non interesserà quindi la riserva
ex art. 2426 ma si trasmetterà direttamente a Conto Economico.

Variazione della partecipazione per riduzione della percentuale di possesso

Partecipazioni in Delta 16
Ricavo per rivalutazione partecipazioni ex art. 2426, n. 4 16

8.8.7. Il metodo del patrimonio netto: acquisti di ulteriori quote della parteci-
pata e cessione della partecipazione

Acquisizione di ulteriori quote di partecipazione – trattamento della differenza tra


costo d’acquisto e patrimonio netto contabile della partecipata
Se dopo l’acquisizione iniziale si acquistano ulteriori quote nella partecipata, la re-
lativa differenza (trattata in precedenza al par. 8.8.4) è determinata dalla differenza tra
il prezzo di acquisto della quota aggiuntiva e l’ammontare pari all’incremento della cor-
rispondente frazione del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio della
partecipata. Tale differenza è trattata analogamente alla differenza iniziale (OIC 17).
Cessione della partecipazione valutata con il metodo del patrimonio netto
La plusvalenza o la minusvalenza (utile o perdita) derivante dalla cessione di una
partecipazione contabilizzata secondo il metodo del patrimonio netto si calcola come
differenza tra prezzo di vendita e valore della partecipazione risultante dall’ultimo bi-
lancio e si imputa al Conto Economico. Gli eventuali oneri di transazione non concor-
rono alla formazione del saldo della plus/minusvalenza ma sono costi inviati diretta-
mente a Conto Economico (OIC 17). L’eventuale saldo della riserva ex art. 2426, n. 4,
si renderà disponibile inviando ad altra riserva straordinaria.
Nel caso di cessione solo di una parte delle azioni o di una quota della partecipata,
se c’è evidenza che la cessione parziale della partecipazione abbia diminuito durevol-
mente il valore della parte non ceduta (per esempio, quando la cessione parziale com-
porta la perdita del controllo da parte della capogruppo), il residuo valore della parte-
cipazione dovrà essere svalutato per l’ammontare del valore di carico residuo ecceden-
te il valore recuperabile (OIC 17).

8.9. Cambiamento del criterio di valutazione tra metodo del costo e me-
todo del patrimonio netto
Vi possono essere due situazioni opposte: passaggio dal metodo del patrimonio netto
a quello del costo e viceversa.

274
8.9.1. Passaggio dal metodo del patrimonio netto al metodo del costo
Il metodo del patrimonio netto deve essere abbandonato quando (OIC 17):
 la partecipante abbia perso l’influenza notevole sulla partecipata;
 la partecipazione sia stata trasferita dalle immobilizzazioni all’attivo circolante, in
previsione di una cessione a breve termine.
Il metodo di valutazione commentato può essere abbandonato anche nel caso in cui
la partecipazione rappresenti un bene posseduto al solo scopo di trarre dall’investi-
mento un utile di natura finanziaria senza coinvolgimento nella gestione.
Nel caso di abbandono del metodo del patrimonio netto, il valore risultante nel bi-
lancio dell’esercizio precedente viene assunto:
 quale valore di costo ridotto delle eventuali perdite durevoli di valore, se la parteci-
pazione permane tra le immobilizzazioni finanziarie;
 il minore tra il costo ed il valore corrente di mercato, se la partecipazione è iscritta
nell’attivo circolante.

8.9.2. Passaggio dal metodo del costo al metodo del patrimonio netto
L’OIC 17 disciplina il caso del passaggio dal metodo del costo a quello del patri-
monio netto.
Nel caso in cui la società possegga una partecipazione di controllo o collegamento
valutata al costo ed intenda modificare il criterio di valutazione per adottare il metodo
del patrimonio netto, ove rediga il bilancio consolidato, la partecipazione è iscritta al
corrispondente valore risultante dal bilancio consolidato. Negli esercizi successivi, si va-
luterà secondo i principi generali del metodo del patrimonio netto.
In assenza del bilancio consolidato, in sede di passaggio dal metodo del costo al me-
todo del patrimonio netto si possono ipotizzare due fattispecie, a seconda che la parte-
cipante disponga o meno di una situazione patrimoniale (extracontabile) di cui all’OIC
17, che è stata redatta all’atto dell’acquisto della partecipata tenendo conto del costo
sostenuto, distribuito tra attività e passività, mediante rettifica dei valori contabili sulla
base dei loro valori correnti.
a) Quando tale situazione patrimoniale (extracontabile) è disponibile, il metodo del
patrimonio netto si applica retroattivamente a partire dalla data di acquisizione della par-
tecipazione. In particolare, la differenza iniziale fra costo di acquisto e corrispondente
frazione del patrimonio netto risultante dalla situazione patrimoniale iniziale della par-
tecipata alla data di acquisizione, si tratta secondo i principi generali del metodo del pa-
trimonio netto. Negli esercizi successivi all’acquisizione, si effettuano le rettifiche per
aggiornare annualmente gli effetti della iniziale differenza fra costo di acquisto e valo-
re contabile della partecipata.
A partire dall’esercizio dell’acquisizione della partecipazione, nell’applicazione del
metodo del patrimonio netto si terrà conto della quota di pertinenza dei risultati eco-
nomici degli esercizi successivi, nonché della quota di pertinenza delle altre variazioni

275
del patrimonio netto della partecipata che non hanno concorso alla formazione del ri-
sultato economico di detti esercizi.
Dal confronto, alla data del cambiamento del criterio di valutazione, tra il valore
della partecipazione determinato con il metodo del patrimonio netto e quello contabile
iscritto nel bilancio della partecipata può emergere un valore superiore – differenza posi-
tiva – o un valore inferiore – differenza negativa.
In caso di differenza positiva si è in presenza di un plusvalore, il quale dà luogo, nei
conti della partecipante, ad un corrispondente aumento del valore di iscrizione della par-
tecipazione e, quale contropartita, all’accreditamento ad una riserva indistribuibile.
In caso di differenza negativa, si è in presenza di una minusvalenza, attribuibile a ri-
sultati d’esercizio negativi della partecipata, che non hanno dato luogo ad una rettifica
del costo per perdita durevole di valore; in tal caso, ancorché la rettifica non abbia avuto
luogo in considerazione della previsione di temporaneità della perdita, il valore della
partecipazione si riduce imputando a Conto Economico la conseguente svalutazione fra
le componenti straordinarie di reddito.
b) Quando la suddetta situazione patrimoniale extracontabile della partecipata rife-
rita alla data dell’acquisizione non è disponibile, la partecipante confronta il valore con-
tabile partecipazione all’inizio dell’esercizio con l’importo pari alla corrispondente fra-
zione del patrimonio netto della partecipata alla stessa data; tale patrimonio netto sarà
stato previamente assoggettato alle rettifiche extracontabili previste per l’applicazione
di detto metodo.
In tal caso, si possono presentare due ipotesi, a seconda che la differenza fra la cor-
rispondente frazione del patrimonio netto risultante dal bilancio della partecipata e il
valore contabile della partecipazione iscritto nel bilancio della partecipante sia positiva
o negativa.
In caso di differenza positiva si è in presenza di una plusvalenza, la quale dà luogo
ad un corrispondente incremento della voce «partecipazioni» iscritta nelle «immobiliz-
zazioni finanziarie» della partecipante e, quale contropartita, alla rilevazione di un pro-
vento straordinario con successivo corrispondente accreditamento ad una riserva indi-
stribuibile.
In caso di differenza negativa, essa costituisce:
– o una minusvalenza attribuibile ai risultati negativi d’esercizio della partecipata, che
non hanno comportato la svalutazione nella supposizione di non essere in presenza
di una perdita durevole, per cui occorre svalutare la partecipazione stessa imputan-
do la riduzione di valore fra le componenti straordinarie di reddito;
– o, allorché è comprovato che non può trattarsi di minusvalenza, in questo caso essa
va considerata quale rettifica extracontabile al bilancio di apertura della partecipa-
ta, cioè del bilancio di apertura dell’esercizio al termine del quale la partecipante ha
deciso di passare dal criterio del costo a quello del patrimonio netto.
Ottenuta comunque la corrispondenza fra patrimonio netto eventualmente rettifica-
to e valore di carico nella partecipante, questa assumerà il risultato d’esercizio della par-
tecipata rettificato con le specifiche tecniche del metodo qui esaminato.

276
8.10. Le azioni proprie
Il D.Lgs. n. 139/2015 ha eliminato l’iscrizione delle azioni proprie nell’attivo patri-
moniale. Per cui se la società acquista azioni proprie, l’operazione è contabilizzata co-
me una riduzione di patrimonio netto, dal momento che in sostanza l’operazione è un
rimborso di capitale ai soci. In contropartita all’uscita di liquidità, si dovrà movimen-
tare in dare un’apposita riserva, (voce A.X del passivo patrimoniale «Riserva negativa
per acquisto azioni proprie»).
Le azioni proprie sono eliminate dal bilancio a seguito di annullamento o di vendita
sul mercato.
Nel caso di annullamento, il loro valore si contrappone ad una riduzione del capita-
le sociale. Le eventuali differenze tra valore nominale e costo di acquisto non genera-
no componenti reddituali ma semplicemente modificano altre riserve disponibili dello
Stato Patrimoniale (aumentandole se il valore nominale delle azioni annullate è mag-
giore del costo o riducendole nel caso contrario).
Se poi le azioni proprie sono rivendute, si chiuderà la suddetta riserva negativa, e si
rileverà l’incremento di liquidità. L’eventuale plus(minus)valenza deve essere collocata,
analogamente al caso di annullamento, ad aumento(riduzione) di altra riserva del netto.

8.11. Le attività finanziarie oggetto di compravendita con obbligo di re-


trocessione a termine
Per impiegare la propria liquidità talvolta l’azienda stipula con banche o altre isti-
tuzioni finanziarie dei contratti di pronti contro termine, tramite i quali acquisisce atti-
vità finanziarie (per es. titoli obbligazionari) pagandole un prezzo «a pronti» e al tempo
stesso, l’ente finanziario si impegna a riacquistarle ad una data scadenza ad un prezzo
«a termine». La differenza tra prezzo a termine e prezzo a pronti rappresenta la remu-
nerazione per la liquidità impiegata dall’azienda.
In tali casi siamo di fronte ad un contratto di compravendita (di titoli) con obbligo
di retrocessione a termine. Dal punto di vista giuridico-formale, i titoli con l’acquisto a
pronti passano di proprietà dell’azienda, che però si impegna a cederli nuovamente «a
termine». Nella sostanza, più che un acquisto di titoli e successiva cessione, si è in pre-
senza di un prestito che l’azienda effettua all’ente finanziario, il quale sarà rimborsato
alla scadenza maggiorato di un interesse.
Con il D.Lgs. n. 6/2003 i riflessi in bilancio di tale operazione trovano menzione
nel Codice Civile a seguito dell’introduzione:
 del 5° comma dell’art. 2424 bis, il quale stabilisce che «le attività oggetto di con-
tratti di compravendita con obbligo di retrocessione a termine devono essere iscritte
nello Stato Patrimoniale del venditore», rendendo finalmente chiaro che a seguito
della stipula di un contratto «pronti contro termine», l’azienda acquirente non regi-
strerà un incremento di titoli, ma solamente un prestito (credito finanziario) verso
l’ente finanziario venditore a termine;

277
 dell’ultimo comma dell’art. 2425 bis, secondo il quale «i proventi e gli oneri relati-
vi ad operazioni di compravendita con obbligo di retrocessione a termine, ivi com-
presa la differenza tra prezzo a termine e prezzo a pronti, devono essere iscritti per
le quote di competenza dell’esercizio», intendendo che la componente reddituale
dell’operazione (la remunerazione pari alla differenza tra prezzo a pronti e prezzo a
termine) deve essere ripartita temporalmente lungo l’intera durata del contratto.
È come se il Codice Civile ribadisse con un’applicazione concreta il principio della
prevalenza della sostanza sulla forma. Un altro caso tipico nel quale trova applicazione
il principio sopra citato è dato dall’operazione di riporto (sia attivo che passivo), nella
quale spesso l’azienda opera come venditore a pronti e acquirente a termine di titoli.
L’OIC 12 distingue tali operazioni in due tipologie principali: le operazioni assimi-
late ad un finanziamento (classico caso di pronti contro termine su titoli stipulato tra
un’impresa con intenzione di impiegare temporaneamente le proprie eccedenze di li-
quidità e una banca) e quelle assimilate ad un prestito di beni (caso nel quale, ad esem-
pio, l’azienda debba disporre per un certo periodo di azioni che acquista da una banca
con l’obbligo di rivenderle successivamente ad un prezzo convenuto).
Nel primo caso, operazione equivalente ad un finanziamento, il bene rimane nello
Stato Patrimoniale del venditore a pronti. L’acquirente a pronti registra un’uscita di de-
naro costituente un credito e il venditore a pronti un’entrata di denaro a fronte di un de-
bito di finanziamento. Alla scadenza, si avrà una rilevazione opposta, con un movimento
di denaro maggiorato del costo (per l’acquirente a termine)/ricavo (per il venditore a ter-
mine). Se tra i due momenti intercorre la chiusura dell’esercizio, l’acquirente a pronti
rileverà un rateo attivo a fronte dell’interesse attivo di competenza maturato mentre il
venditore a pronti rileverà specularmente un rateo passivo a fronte del costo del finan-
ziamento.
Nel secondo caso, operazione equivalente ad un prestito di beni, l’acquirente a pronti
verserà una somma di denaro superiore all’importo che riceverà alla scadenza. La
somma corrisposta a pronti darà quindi origine a due componenti contabili: un credito
per la parte che riceverà poi a termine ed un costo per la differenza. Se tra i due mo-
menti intercorre la fine dell’esercizio, l’acquirente a pronti dovrà stornare parte del co-
sto rilevato tramite risconto attivo. Rilevazioni inverse compirà invece il venditore a
pronti.
Quale esempio di questo secondo caso, si consideri l’esempio di un acquisto a
pronti di azioni per 100 con impegno a rivenderle dopo un certo periodo a 90.
L’acquirente a pronti rileverà:
Acquisto azioni a pronti
Credito verso venditore a pronti 90
Costo per operazione a termine 10
Banca c/c 100

Il venditore, specularmente, rileverà:

278
Vendita azioni a pronti
Banca c/c 100
Ricavi per operazione a termine 10
Debiti verso acquirente a pronti 90

Alla scadenza, al momento della retrocessione, le rilevazioni saranno le seguenti:


per il venditore a termine (già acquirente a pronti):
Banca c/c 90
Credito verso venditore a pronti 90

per l’acquirente a termine (già venditore a pronti):


Debito verso acquirente a pronti 90
Banca c/c 90

Se l’esercizio si chiude prima che sia intervenuta la retrocessione, l’acquirente rile-


verà uno storno parziale del costo rilevato inizialmente tramite un risconto attivo,
mentre il venditore accenderà un risconto passivo quale storno parziale del ricavo già
registrato inizialmente. In aggiunta alle disposizioni del Codice circa il contenuto della
Nota Integrativa, il documento dell’OIC raccomanda di riportare anche le seguenti in-
formazioni:
– il trattamento contabile adottato per rappresentare l’operazione di compravendita
con clausola di retrocessione, specificando che l’operazione comporta l’obbligo di
retrocedere il bene;
– la natura del bene oggetto della vendita con retrocessione;
– i principali termini contrattuali (prezzo di vendita, prezzo di retrocessione, durata del
contratto, eventuali altre clausole rilevanti);
– gli ammontari iscritti per la rilevazione dell’operazione nello Stato Patrimoniale e
nel Conto Economico, distintamente per ciascuna voce di tali prospetti.

8.12. Le regole IASB

Per la diversità di standard cui fanno riferimento, nel prosieguo distingueremo il trat-
tamento contabile previsto per partecipazioni in società controllate, collegate e joint ven-
tures, le cosiddette partecipazioni strategiche, da quello delle altre attività finanziarie
(titoli obbligazionari, crediti finanziari e partecipazioni minoritarie).

279
8.12.1. Le partecipazioni «strategiche»

Le regole applicabili ed i concetti di controllo e collegamento


Per partecipazioni «strategiche» intendiamo quelle detenute in società controllate,
collegate e joint ventures. Per le partecipazioni in controllate, limitatamente al bilancio
separato ossia della singola società ed a prescindere dal trattamento nel bilancio con-
solidato di cui non ci occupiamo, risultano di interesse le disposizioni di cui allo IAS
27 (Bilancio separato), anche se dovremo comunque considerare la nozione di control-
lo fornita nello IFRS 10. Le partecipazioni in società collegate e nelle joint ventures
sono invece disciplinate rispettivamente dallo IAS 28 e dall’IFRS 11. Si ricorda che il
bilancio separato è il bilancio della singola società che redige anche un consolidato,
mentre il bilancio individuale è quello di una società che non rientra in nessun conso-
lidato non essendo controllata da nessuno né, a sua volta, controllante di altri.
Le partecipazioni in società controllate (subsidiaries), collegate (associates) e joint
ventures sono considerate dagli IAS in modo leggermente diverso da quanto prevede
la normativa italiana 5. Per lo IASB l’ambito naturale nel quale rappresentare tali par-
tecipazioni è dato dal bilancio consolidato (che in questo libro non è affrontato), nel
quale le partecipazioni in controllate sono valutate applicando il metodo di consolida-
mento integrale e quelle in collegate sono valutate con il metodo del patrimonio netto.
In presenza di un gruppo societario, per lo IASB l’unico bilancio che è obbligatorio
redigere è quello consolidato e per la società capogruppo non è richiesta la redazione
di un bilancio separato, come invece è previsto dalla normativa italiana. Per cui, in so-
stanza, un bilancio separato per la capogruppo secondo lo IASB dovrà essere redatto o
nei casi in cui una legge nazionale lo preveda (come nell’esempio italiano) o nei circo-
scritti casi in cui, ai sensi delle regole contenute nello IAS 27, la società capogruppo
sia esonerata dalla redazione del bilancio consolidato.
Un’altra premessa riguarda la nozione di controllo contenuta nell’IFRS 10 (e di
controllo congiunto contenuta nell’IFRS 11), che permette di definire quali siano le par-
tecipazioni in controllate e in joint ventures. Secondo l’IFRS 10, una società (investor)
controlla altra società (investee) se il suo investimento è sottoposto, o ha diritti, a ri-
torni variabili ed ha la capacità di influenzare tali ritorni tramite il potere operato sulla
società oggetto di investimento. Sono quindi i tre requisiti di fondo per identificare la
presenza del controllo: il concetto di potere, l’esposizione o il diritto a ritorni variabili
e il legame tra i due, ossia l’uso del potere per condizionare tali ritorni. L’accertamen-
to congiunto dei tre suddetti requisiti può essere in alcuni casi complesso e tale da non
far ritenere automaticamente controllata una società solo in virtù del possesso della
maggioranza dei diritti di voto in assemblea.

5Le partecipazioni in joint ventures non sono esplicitamente trattate nel Codice Civile ma solo nel
D.Lgs. n. 127/1991 parlando di bilancio consolidato.

280
BOX 43 – I requisiti per l’accertamento del controllo su altra azienda: potere, esposizione a ri-
torni variabili e relazione tra potere e ritorni variabili
1. Il potere è definito come la capacità attuale (current ability) di svolgere attività rilevanti per influen-
zare in modo significativo i rendimenti ritraibili dall’investee. Tale potere discende da diritti posseduti, per
accertare i quali in alcuni casi non vi sono particolari problemi (es. maggioranza assoluta dei diritti di voto),
mentre altri comportano valutazioni più articolate, come nel caso di sofisticati accordi contrattuali o casi
nei quali i diritti devono ancora essere esercitati (opzioni per acquisto azioni). In tali situazioni, l’inizio del-
le attività volte a influenzare i rendimenti dell’azienda può rappresentare un indizio dell’esistenza del po-
tere ma di per sé non costituisce indizio sufficiente. Per quanto riguarda le attività rilevanti che influenzano
in modo significativo i rendimenti della società oggetto di investimento, l’IFRS 10 presenta un elenco esem-
plificativo ma non esaustivo: nomina di manager e scelte circa la loro remunerazione, investimenti e disin-
vestimenti, gestione degli strumenti finanziari, scelta delle fonti di finanziamento. La individuazione delle
attività decisionali rilevanti è la base per valutare la costanza e l’intensità di esercizio del controllo nel cor-
so del tempo.
2. L’esposizione o il diritto a ritorni variabili si riscontra quando i rendimenti ritraibili dalla società og-
getto di investimento possono variare in funzione dei risultati di quest’ultima, determinando ritorni positivi
o negativi. La nozione di variabilità dei ritorni intesa dall’IFRS 10 è molto ampia, in quanto, ad esempio, an-
che il diritto ad ottenere interessi in misura fissa può esser considerato un ritorno variabile se il pagamento
degli interessi ed il rimborso dei titoli sono soggetti a rischio di insolvenza. Si può ritenere quindi la variabi-
lità come riflesso della perfomance dell’investee in tutti quei casi in cui il ritorno per l’investitore non sia
garantito in modo certo e definitivo. Anche la forma che possono assumere tali ritorni può essere molto va-
riegata. Essi possono assumere non solo la tipica forma di dividendi, interessi o variazione del valore del-
l’investimento, ma anche quella di remunerazioni pagate dall’investee per fornire supporto finanziario, di
interessi residuali sulle attività dell’investee in caso di liquidazione, di benefici fiscali, ecc. Integrano gli e-
stremi di risultati variabili anche ritorni derivanti dalla sinergie produttive tra le attività dell’investitore e
quelle dell’investee, tipo di ritorni non disponibili per altri detentori di interessi sull’investee.
3. Il terzo requisito del concetto di controllo è il legame tra la capacità di esercitare il potere e i ritorni
variabili. Si tratta di verificare quindi se l’uso del potere è in grado di influenzare i rendimenti ritraibili dal-
l’investee. Solo quando risulta verificata questa connessione si può ritenere che il controllo sia effettivo. In
merito, la questione principale che pone l’IFRS 10 riguarda l’esercizio del controllo per conto di terzi soggetti.
In questo senso, l’IFRS 10 precisa che l’esercizio di poteri decisionali su una società delegati da altri sogget-
ti qualifica il possessore di tali poteri (decision-maker) come un agente in una relazione di agenzia e non co-
me il principal (ossia come il soggetto per conto del quale si opera). Se opera per conto di terzi e a vantaggio
di questi ultimi, il delegato non può ritenersi come colui che controlla l’investee ed è l’investitore che deve
considerare il potere di influenza come se lo detenesse direttamente.

Secondo l’IFRS 11, il controllo congiunto che caratterizza le joint ventures è defi-
nito come il controllo, disciplinato contrattualmente, di una operazione o di una azien-
da, il cui esercizio richiede il consenso unanime delle parti o anche di un solo gruppo
delle parti.
Secondo lo IAS 28, infine, il collegamento esiste quando l’investitore esercita su
un’altra azienda un’influenza notevole, inteso come potere di partecipare alla determi-
nazione delle politiche finanziarie e gestionali della partecipata senza averne il con-
trollo o il controllo congiunto. Si suppone che esista collegamento, salvo prova contra-
ria, se si possiede direttamente o indirettamente, il 20% dei voti. Ma può esistere, dan-
done dimostrazione (rappresentanza nel consiglio di amministrazione, interscambio di-

281
rigenti, ecc.) anche con quote minori. In questo senso la disposizione è sostanzialmen-
te identica a quanto previsto dalla legge italiana.
Il trattamento contabile
Fatte queste fondamentali premesse, nei bilanci separati (IAS 27) della società ca-
pogruppo le partecipazioni in società controllate, collegate e joint ventures devono es-
sere valutate a scelta dell’azienda alternativamente in uno dei tre seguenti modi:
1. con il metodo del patrimonio netto, descritto nello IAS 28;
2. al costo, modificato solo in caso di svalutazioni rese necessarie dallo IAS 36
(trattato nel capitolo 4, al quale si rinvia in toto per tutti i dettagli);
3. secondo le regole stabilite dallo IAS 39. Ciò comporta la possibilità di valutarle
secondo due criteri alternativi. Il primo criterio consiste nella valutazione al fair value
through profit and loss (per semplicità, d’ora in poi, FVTPL), secondo il quale le varia-
zioni del fair value (in sostanza il valore di mercato) saranno imputate a Conto Eco-
nomico (tra i ricavi se aumentative, tra i costi se diminutive). Il secondo criterio consi-
ste nella considerazione di tali partecipazioni come available for sale, caso in cui le par-
tecipazioni in società controllate e collegate saranno sempre espresse al loro fair value
ma le variazioni di quest’ultimo non devono essere imputate a Conto Economico ma
devono essere imputate a riserva del netto che confluisce negli other comprehensive
income. Tuttavia se la partecipazione è in una società non quotata e con riferimento ad
essa non sia determinabile attendibilmente un fair value, la valutazione dovrà essere
comunque compiuta al costo.
Per ciascuna categoria di partecipazioni (es. tutte le collegate) si deve applicare lo
stesso criterio ma è possibile applicare criteri diversi a seconda della categoria. Se co-
me previsto dello IAS 28, nel consolidato si valutano le partecipazioni in collegate o
joint venture al FVTPL in base allo IAS 39, tali partecipazioni sono valutate in modo
analogo anche nel bilancio separato.
Nelle note dovrà comunque essere indicato l’elenco delle partecipazioni con evi-
denza del nome della società partecipata, del Paese di appartenenza, la percentuale di
proprietà (e di voti in assemblea, se diversa), il criterio di valutazione utilizzato.
Il metodo del patrimonio netto secondo lo IAS 28 differisce da quanto descritto dalla
normativa italiana (e discusso nel par. 8.4.3) soprattutto per la non previsione di una ri-
serva indistribuibile nella quale accantonare l’incremento del valore della partecipa-
zione nella collegata dovuto al risultato di esercizio conseguito da quest’ultima. Al con-
trario, anche se la collegata non distribuisce dividendi, la variazione positiva della par-
tecipazione nella collegata per effetto dell’incremento del suo patrimonio netto con-
nesso al conseguimento di un utile di esercizio confluisce direttamente a Conto Econo-
mico, senza nessun vincolo di distribuibilità, facendo aumentare in contropartita il va-
lore della partecipazione.
Se la collegata varia il proprio patrimonio netto per effetto di other comprehensive
income, si dovrà parimenti stanziare la contropartita alla corrispondete variazione della
partecipazione tra gli other comprehensive income. Per ulteriori approfondimenti del
metodo del patrimonio netto si rinvia al box successivo:

282
BOX 44 – Il metodo del patrimonio netto nello IAS 28
Data di riferimento – Per applicare il metodo del patrimonio netto si usa il più recente bilancio della col-
legata/joint venture. Se la data chiusura è diversa, la collegata/joint venture predispone un bilancio alla stessa
data del bilancio della entità, a meno che ciò non risulti fattibile. Se il bilancio della collegata/joint venture
si riferisce a data diversa, devono compiersi le rettifiche necessarie per tener conto di operazioni interve-
nute tra quella data e la data di riferimento del bilancio. In ogni caso, tale differenza non deve superare tre
mesi. La durata degli esercizi ed eventuali differenze nelle date di chiusura devono essere le medesime di
esercizio in esercizio.
Quota di pertinenza – Per determinare la quota di pertinenza nella collegata/joint venture, strumentale
al calcolo della quota del patrimonio netto e del risultato economico di spettanza, si deve fare la somma di
tutte le partecipazioni detenute, direttamente o indirettamente nella collegata attraverso la capogruppo e
le sue controllate, mentre le partecipazioni detenute da altre collegate/joint ventures sono ignorate per
questo scopo. Quindi se A possiede il 100% di azioni di B e il 30% di azioni di C e sia C che B possiedono
il 25% delle azioni di D, D risulta collegata ad A con la quota del 25%, non rilevando la quota posseduta
da A tramite C.
Operazioni con la collegata – Gli utili/perdite da operazioni con la collegata/joint venture sono rilevati
soltanto pro quota. La quota della partecipante agli utili/perdite della collegata/joint venture risultante da
tali operazioni è eliminata. Quindi se A possiede il 30% di B (collegata) e consegue da una vendita a B un
profitto di 50, dal risultato di esercizio di B si deve togliere il 30% di 50 (15) per calcolare la quota di uti-
le/perdita di B da includere nel bilancio di A. Analogamente su eventuali conferimenti di attività non mo-
netarie alla collegata/joint venture si rilevano gli utili/perdite solo pro quota.
Se operazioni «verso il basso» (da A verso B collegata) evidenziano riduzione del valore netto di realizzo
delle attività da vendere o da conferire, ovvero una perdita per riduzione di valore di tali attività, tali per-
dite devono essere rilevate in toto dalla partecipante. Se operazioni «verso l’alto» (da B collegata verso A)
evidenziano riduzione del valore netto di realizzo di attività da acquistare, o perdita per riduzione di valo-
re, la partecipante deve rilevare la propria quota parte di tali perdite.
Perdite eccedenti il valore della partecipazione: Se la quota delle perdite nella collegata/joint venture è
uguale o superiore al valore contabile della partecipazione nella collegata/joint venture (+ eventuali crediti
non commerciali con scadenze indefinita), si interrompe la rilevazione della propria quota delle ulteriori
perdite. Dopo aver azzerato la partecipazione, le ulteriori perdite sono accantonate come passività solo se
vi siano obbligazioni legali o implicite o siano stati effettuati pagamenti per conto della collegata nella col-
legata/joint venture. Se la collegata nella collegata/joint venture in seguito realizza utili, si riprende a rileva-
re la quota di utili solo dopo sia uguagliato la sua quota di perdite non rilevate. Dopo l’applicazione del
metodo del patrimonio netto, si applica lo IAS 39 per determinare se sia necessario rilevare ulteriori perdi-
te per riduzione di valore sul proprio investimento netto nella collegata/joint venture.
Impairment test su una partecipazione collegata/joint venture: poiché l’avviamento nella collegata/joint
venture è incluso nella partecipazione, l’intera partecipazione inclusiva di avviamento è sottoposta a IAS
36 confrontando valore recuperabile e valore contabile se l’applicazione dello IAS 39 indica una possibile
riduzione di valore. L’eventuale impairment loss non è allocata ad alcuna attività, compreso l’avviamento,
che fa parte della partecipazione ma colpisce l’intero valore della partecipazione. Ogni eventuale succes-
sivo ripristino di valore è rilevato conformemente allo IAS 36 nella misura in cui il valore recuperabile della
partecipazione aumenti successivamente. Il value in use è calcolato usando (a) la propria quota del valore
attuale dei flussi finanziari futuri che ci si attende verranno generati dalla collegata/joint venture, o (b) il
valore attuale dei flussi finanziari futuri stimati che si suppone deriveranno dai dividendi spettanti e dalla
dismissione finale dell’investimento.
Riduzione quota posseduta: se la partecipazione in una collegata/joint venture si riduce, ma conti-
nuando ad essere collegata si continua ad applicare il metodo del patrimonio netto, si deve riclassificare a
Conto Economico la parte di utile o perdita, relativa a tale riduzione nella partecipazione, che era stata pre-

283
cedentemente rilevata negli other comprehensive income, se è richiesto che tale utile o perdita debbano
essere riclassificati nell’utile (perdita) d’esercizio al momento della dismissione delle attività o passività cor-
relata.
Interruzione del metodo del patrimonio netto: il metodo del patrimonio netto non si applica più se (a)
la partecipazione diviene una controllata oppure (b) se la partecipazione residua diviene una semplice at-
tività finanziaria, caso in cui si valuta al fair value ex IAS 39. A seguito dell’interruzione, a Conto Economico va
qualsiasi differenza tra il fair value della quota residua e i proventi della dismissione parziale della quota
nella collegata o nella joint venture e il valore contabile della partecipazione alla data in cui è stato interrotto
l’utilizzo del metodo del patrimonio netto. Per cui, esemplificando, se una partecipazione di collegamento
di A in B pari al 30% del capitale di quest’ultima, con valore contabile di 600 è ceduta per metà, al prezzo
di mercato di 400, B non sarà più collegata dal momento che la quota posseduta passa al 15%. A incasserà
dalla vendita 400, rileverà una riduzione della partecipazione in B per 300 (la metà di 600) ed una plusva-
lenza di 100; allo stesso tempo però A dovrà rilevare un incremento della partecipazione residua in B va-
lutandola al fair value che è il prezzo derivante da quest’ultima transazione. Quindi incrementerà i residui
300 di altri 100 che rappresenteranno una plusvalenza a Conto Economico, poiché il 15% a tale data è
valutato 400, come risultante dall’ultima transazione.
Se si interrompe l’uso del metodo del patrimonio netto, gli importi precedentemente rilevati negli
other comprehensive income relativi a tale partecipazione sono contabilizzati secondo gli stessi criteri ri-
chiesti nel caso in cui la partecipata avesse dismesso direttamente le attività e le passività correlate.

Nel caso di partecipazioni di controllo, collegamento o di controllo congiunto de-


stinate ad essere cedute, invece, il criterio di rilevazione da applicare è quello descritto
dallo IFRS 5, già discusso parlando di immobilizzazioni, secondo il quale in bilancio
la partecipazione va espressa al minore tra costo e valore presunto di realizzo; come
previsto dall’IFRS 5, in tal caso le partecipazioni in parola saranno rilevate a parte nel
prospetto di Stato Patrimoniale. Tuttavia è possibile valutare le partecipazioni strategi-
che possedute per la vendita secondo quanto disposto dallo IAS 39, caso nel quale sa-
ranno sempre espresse al loro fair value.
La tabella seguente riepiloga i diversi criteri di valutazione previsti per le parteci-
pazioni «strategiche».

Partecipazioni in controllate Partecipazioni in collegate (IAS 28) e


(IFRS 10) Joint Ventures (IFRS 11)
Bilancio Se il bilancio è individuale, non vi sono Metodo del Patrimonio netto
individuale società controllate

Bilancio Metodo del Patrimonio netto Metodo del Patrimonio netto


separato Costo Costo
Fair value ex IAS 39 Fair value ex IAS 39

8.12.2. Le attività finanziarie


Per quanto riguarda i principi IASB accettati dall’Unione Europea, le regole che al-
la data in cui scriviamo devono essere osservate nel trattamento delle attività finanzia-
rie sono ancora quelle dello IAS 39 per gli aspetti di valutazione e dello IAS 32 per i

284
profili di rappresentazione in bilancio. In realtà, già dal 2009 lo IASB ha approvato
l’IFRS 9 a sostituzione dello IAS 39 ma sarà applicabile nell’Unione Europea solo per
gli esercizi che iniziano dal 1° gennaio 2018. Quindi nel prosieguo della trattazione con-
tinueremo a fare riferimento allo IAS 39.
Semplificando al massimo le complesse regole IASB e rinviando ad altri testi per
una più completa trattazione 6, lo IAS 39 distingue quattro categorie di attività finan-
ziarie:
1. Le attività detenute a scopo di negoziazione (held for trading, ossia destinate ad
essere oggetto di scambi frequenti come avviene nelle SIM o in altri istituti finanziari).
Esse devono essere contabilizzate con il metodo del fair value through profit and
loss, ossia iscritte inizialmente al fair value (consistente in sostanza nel corrispettivo
necessario per l’acquisizione ma non inclusivo dei costi accessori di acquisto) e valu-
tate alla chiusura dell’esercizio al fair value esistente a tale data. La differenza tra il
fair value iniziale e quello di fine esercizio farà variare il valore iscritto in Stato Patri-
moniale e sarà corrispondentemente collocata in Conto Economico come ricavo o co-
me costo a seconda del segno. Questo criterio di valutazione, obbligatorio per le attivi-
tà finanziarie held for trading, è applicabile facoltativamente anche alle altre categorie
di attività finanziarie di seguito esposte. In tal caso si parla di strumenti finanziari de-
signed at fair value.
2. Le attività detenute fino alla scadenza (held-to-maturity).
Appartengono a questa categoria solo le attività finanziarie con pagamenti fissi o
determinabili, con una scadenza definita, per i quali il management dichiara espressa-
mente l’intenzione di detenerli fino a scadenza. Questa dichiarazione deve trovare ri-
scontro anche in concreto, in quanto secondo lo IAS 39 non sono considerabili in ogni
caso held-to-maturity quelle attività che nell’esercizio corrente e in quelli due prece-
denti sono state oggetto di vendite prima della scadenza o riclassificazioni, se non per
quantità scarsamente significative, a meno che la vendita fosse dovuta ad un evento
isolato non prevedibile e non imputabile alla volontà aziendale. Non possono rientrare
in questa categoria i derivati finanziari, le attività che ricadono nelle due categorie suc-
cessive, quelle che sono valutate al fair value, le partecipazioni (in quanto non hanno
una scadenza definita). Per cui in sostanza rientrano in questa categoria i titoli obbli-
gazionari immobilizzati che l’azienda intende detenere fino a scadenza.
Le attività held-to-maturity sono valutate con il metodo del costo ammortizzato uti-
lizzando il metodo del tasso effettivo di interesse. Con tale criterio esse sono inizial-
mente valutate al costo comprensivo degli oneri accessori. Successivamente il loro va-
lore tenderà a crescere in presenza di uno scarto, ossia di una differenza negativa tra
costo di acquisto e valore di rimborso finale, in una misura definita dal tasso effettivo
di interesse. Possono essere soggette a svalutazione (impairment) in presenza di ogget-
tiva evidenza di difficoltà circa il rimborso o il pagamento degli interessi. In tal caso
l’ammontare della svalutazione sarà pari alla differenza tra costo iscritto in contabilità

6 In merito si veda Dezzani et al., 2012, cap. XXV.

285
e valore attuale dei flussi di cassa attesi futuri. Rivalutazioni di ripristino sono comun-
que possibili riversandosi a Conto Economico per compensare la svalutazione prece-
dente.
3. I prestiti e i crediti (loans and receivables). In questo caso si fa riferimento a cre-
diti sia commerciali che di finanziamento, trattati sub capitolo 6, solo che lo IASB
qualifica questa categoria come un’attività finanziaria, al pari di titoli e partecipazioni.
Lo IAS 39 stabilisce che non possono appartenere a questa categoria attività finanzia-
rie che sono quotate in mercati mobiliari, né attività che si è deciso di valutare al fair
value, (designed at fair value), né attività che sono state classificate nella categoria 2 o
4. Tali crediti richiedono che i pagamenti siano prefissati o comunque determinabili.
Essi devono essere valutati (ed eventualmente svalutati) con le regole testé descritte
con riferimento alla categoria 2 (costo ammortizzato). Si rinvia al par. 6.4 per quanto
riguarda la valutazione dei crediti a breve termine.
4. Attività finanziarie disponibili per la vendita (available for sale). Appartengono
a questa categoria le attività finanziarie diverse da quelle rientranti nelle categorie pre-
cedenti. Possono confluire in questa categoria titoli precedentemente appartenenti alla
categoria 2 (held-to-maturity) che un’azienda ha deciso di smobilizzare, oppure le par-
tecipazioni (purché non di controllo, controllo congiunto o collegamento) e i titoli che
non si è deciso di valutare al fair value through profit and loss. Esse sono valutate al
fair value ma le differenze tra il fair value a cui sono iscritte in contabilità e quello che
emerge in sede di chiusura di esercizio non sono imputate a Conto Economico ma tro-
vano contropartita in una riserva del netto che rappresenta un other comprehensive in-
come. Detta riserva confluirà a Conto Economico solo quando l’attività viene ceduta.
Sono suscettibili di impairment con addebito della svalutazione a Conto Economico 7.
Tale categoria è quella più utilizzata per a classificazione di strumenti finanziari da
parte delle aziende non finanziarie.

BOX 45 – Attività finanziarie available for sale e OCI


Si supponga di avere delle partecipazioni available for sale acquistate nell’anno n e rivendute nell’anno
N + 2. Si ricorda che per il fisco le valutazioni al fair value non sono riconosciute e solo al momento del
realizzo si genereranno componenti fiscalmente rilevanti; perciò in sede di valutazione si avranno movi-
menti delle imposte differite passive (attive) imputati direttamente a riduzione (aumento) della riserva. I mo-
vimenti sono i seguenti:
 Anno N: acquisto 100 azioni AFS a 5. Fair value finale = 6.
 Anno N + 1: vendita 50 azioni a 8; fair value finale = 4.
 Anno N + 2: vendita 50 azioni a 3.

7 Circa l’impairment vi è però forte discrasia nel trattamento degli strumenti nella categoria 4 (AFS)

rispetto a quello della categoria 3 (held for trading), in quanto per i primi, diversamente dai secondi, l’e-
ventuale rivalutazione di ripristino non si riversa al Conto Economico ma fa aumentare direttamente una ri-
serva del patrimonio netto, non determinando quindi un effetto compensativo a Conto Economico con la
precedente svalutazione.

286
Il tax rate è pari al 20%.
Nell’anno N in contabilità avremo al momento dell’acquisto:

Partecipazioni AFS 500


Banca c/c 500

Quindi in sede di redazione del bilancio:

Partecipazioni AFS (100 × (6 – 5)) 100


Imposte differite (S.P.) 20
Riserva AFS 80

Negli schemi di bilancio si rileverà una OCI lorda di + 100, netta di + 80. Nessuna rilevazione andrà
nel profit and loss.
Nell’anno N + 1 in contabilità al momento della vendita di 50 a 8 si registrerà quanto segue:

Banca c/c 400


Partecipazioni AFS data da 50 × 6 300
Plusvalenza (C.E) data da (8 – 6) × 50 100

Limitatamente alle 50 azioni vendute, si dovrà quindi stornare la riserva costituita nell’anno N reddi-
tualizzando la plusvalenza che sino ad allora era solo potenziale. La genesi di un provento imponibile de-
terminerà il rilascio pro quota del fondo imposte differite. In questo modo, a Conto Economico è inviata la
plusvalenza già netta da imposte di 40 e un ricavo per imposte differite di 10, che porta la plusvalenza
complessiva a 50 che è appunto il ricavo fiscalmente riconosciuto e quindi tassato con imposte correnti.

Riserva AFS 50% di 80 40


Plusvalenza (C.E) 40

imposte differite (S.P.) data dal 20% di 50 10


Imposte differite (C.E.) 10

Quindi in sede di redazione del bilancio si avrà la svalutazione della metà per le 50 azioni residue che
da 300 passano a 200 (50 × 4), con addebito conseguente della riserva e del fondo imposte differite.
Riserva AFS 80
Imposte differite (S.P.) 20
Partecipazioni AFS data da (6 – 8) × 50 100

Come schemi di bilancio, nell’anno N + 1 si invierà 150 di plusvalenza sulle 50 azioni vendute al profit
and loss con imposte di 30 (20% 150. La plusvalenza del periodo è data da 100 di plusvalenze «nuove», ossia
maturate nell’anno N + 1 (400 incasso – 300 valore di carico delle 50 partecipazioni vendute, dato da 50 × 6)
e 50 da realizzo riserva. L’effetto netto a Conto Economico è quindi pari a 120 (150 – 30). Il reclassification
adjustment sarà di – 50, riferito a plusvalenze maturate anno prima che ora vanno a profit and loss, con im-
poste di + 10; l’effetto netto del reclassification è quindi di – 40. Ma tra le OCI dell’anno N + 1 vi sarà anche
l’effetto derivante dalla valutazione al 31/12/N + 1 delle 50 azioni residue con riduzione della riserva da va-
lutazione su tali azioni di – 100 (50 × (4-6)) con imposte di + 20. Quindi tra le OCI dell’anno N + 1 vi sarà
– 40 dal recycling dell’anno prima e – 80 dalla nuova minusvalenza potenziale, per un totale di – 120.

287
Infine nell’anno N + 2 in contabilità si avrà la vendita delle 50 azioni residue a 3, con minusvalenza
lorda di 50 e storno sia della riserva residua (che a quel punto ha saldo dare di 40) e delle imposte differite
presenti ancora a Stato Patrimoniale (avevano a quel punto saldo dare per 10). Quindi:

Banca c/c 150


Partecipazioni AFS data da 50 × 4 200
Minusvalenza (C.E) data da (3-4) × 50 50
Riserva AFS 40
Minusvalenza (C.E.) 40
imposte differite (S.P.) data dal 20% di 50 10
Imposte differite (C.E.) 10

Nel profit and loss dell’anno N + 2 vi sarà la minusvalenza di 100, data da – 50 minusvalenze nuove
(150 incasso – 200 valore di carico partecipazioni, date da 50 × 4) e – 50 da realizzo riserva (contabilizza-
te come minusvalenza di 40 e imposte di 10). Tra gli OCI avremo il reclassification adjustment di 50, riferi-
to a minusvalenze maturate l’anno prima che ora vanno a profit and loss. Su tale OCI graveranno imposte
di – 10, per un effetto netto tra le OCI di 40.
In bilancio quindi si avrà:

Profit and loss N N+1 N+2

1. Plus(minus) a Profit and Loss 0 150 – 100


2. Imposte a Profit and Loss 0 – 30 20
a) Impatto netto a Profit and Loss (1 + 2) 0 120 – 80
Other comprehensive income
3. Plus(minus)valenze al netto imp. + 80 – 80 0
4. Reclassification al netto di imp. 0 – 40 40
b) Impatto netto a OCI (3 + 4) + 80 – 120 40
a + b) Total comprehensive income + 80 0 – 40

Se si considera l’impatto netto sui tre anni a Conto Economico si avrà una plusvalenza per 50 (vendite
550 – acquisti 500) – imposte 10 = 40 rilevata a profit and loss. Tale importo sarà dato anche dalla som-
ma dei redditi complessivi dei tre anni sommati assieme rilevati nello statement of comprehensive income.
Solo che in questo ultimo si vedrà meglio formarsi tale effetto finale lungo i diversi esercizi in cui si forma
tale plusvalenza netta.

Le partecipazioni diverse da quelle in controllate e collegate (trattate sub 8.8.1),


rientrano in pratica nella prima o nella quarta categoria. Tuttavia, se non sono quotate ed
il fair value non è determinabile, esse devono essere valutate al costo, eventualmente
abbattuto in caso di impairment.
Il fair value sarà pari in prima battuta al valore di mercato per le attività quotate

288
(mark to market); se non quotate, il fair value potrà essere equiparato ai prezzi genera-
ti da scambi di strumenti similari. In mancanza anche di tale supporto, si potrà far ri-
corso a metodi estimativi di generale accettazione (mark to model).
Come si nota da questa breve sintesi, sono notevoli le differenze tra l’attuale nor-
mativa italiana e le regole IASB. In particolare, per lo IASB le partecipazioni non di
controllo, controllo congiunto o collegamento sono necessariamente iscritte al loro va-
lore di mercato, mentre il Codice Civile ne chiede l’iscrizione al costo.

289
290
9

Liquidità, ratei e risconti

SOMMARIO: 9.1. Le disponibilità liquide. – 9.2. I ratei e i risconti.

9.1. Le disponibilità liquide


Al punto C.IV dell’attivo dello Stato Patrimoniale (art. 2424 c.c.), le disponibilità
liquide si classificano nelle seguenti voci:
1. depositi bancari e postali;
2. assegni (bancari e circolari);
3. denaro e valori in cassa (quindi anche valuta straniera, francobolli, marche bollate).
Non costituiscono disponibilità liquide invece le cambiali attive in portafoglio (so-
no crediti), i titoli a breve termine, di Stato o di terzi, che per quanto prontamente li-
quidabili, sono comunque da iscriversi tra le attività finanziarie.
Dal punto di vista della movimentazione contabile (OIC 14), i saldi dei conti ban-
cari includono, in diminuzione, tutti gli assegni emessi ed i bonifici disposti entro la
data di chiusura dell’esercizio e, in aumento, gli incassi effettuati dalle banche od altri
istituzioni creditizie ed accreditati nei conti entro la chiusura dell’esercizio, anche se la
relativa documentazione bancaria è pervenuta nell’esercizio successivo. Il denaro liqui-
do ricevuto in cassa o in banca (o uscito da) in data posteriore a quella di chiusura
dell’esercizio, incide sulla variazione della liquidità solo nell’esercizio successivo, an-
che se il loro giorno di valuta o la disposizione di pagamento da parte del debitore è
anteriore alla data di bilancio. La compensazione tra conti bancari attivi e passivi, an-
che se di ugual natura e tenuti presso la stessa banca, non è ammessa in quanto ciò
comporterebbe la compensazione di una attività con una passività, fra l’altro derivanti
da posizioni di debito e di credito a condizioni di solito non equivalenti.
I cosiddetti «sospesi di cassa», ossia uscite di numerario già avvenute ma che non
sono state ancora registrate, in attesa della documentazione necessaria alla loro rileva-
zione contabile, devono essere contabilizzati entro la chiusura dell’esercizio e incidere
in senso diminutivo sulla liquidità dal momento che si tratta di movimenti reali di
competenza dell’esercizio, per quanto non ancora completi nella loro documentazione.
La nuova versione dell’OIC 14 disciplina anche la questione della gestione della

291
tesoreria accentrata (cash pooling) per gruppi di società o comunque più società, siste-
ma gestionale sempre più diffuso per ottimizzare l’uso delle risorse finanziarie. In tali
circostanze, un’unica società (in genere la capogruppo o una società finanziaria del
gruppo) gestisce la liquidità per conto delle altre società del gruppo, tramite un conto
corrente comune (pool account) sul quale sono riversate le disponibilità liquide di cia-
scuna società aderente al cash pooling. Nel bilancio delle singole società partecipanti
al cash pooling, la liquidità versata nel conto corrente comune è un credito verso la
società che amministra il cash pooling stesso, mentre i prelevamenti dal conto corrente
comune costituiscono un debito verso il medesimo soggetto. Si applicano pertanto le
regole stabilite per la contabilizzazione e la valutazione di crediti e debiti. Nel bilancio
della società che gestisce la tesoreria, tali crediti e debiti sono classificati simmetrica-
mente alla classificazione operata dalla società partecipante al pooling.
Secondo l’OIC, il credito per cash pooling deve essere rilevato creando un’apposita
voce «Crediti per la gestione accentrata della tesoreria», indicando la controparte (con-
trollata, controllante, ecc.), da inserire tra i crediti circolanti. Se l’esisibilità di tali cre-
diti fosse però a lungo, allora saranno da inserire tra i crediti immobilizzati.
Ai sensi del n. 22 bis dell’art. 2427, la Nota Integrativa indica l’utilizzo di eventua-
li sistemi di cash pooling e, se rilevante, ogni tipo di rapporto ove sono coinvolte im-
prese controllate, collegate, controllanti e quelle sottoposte al controllo di queste ulti-
me, nonché, se diverse, imprese che rientrano sotto la stessa attività di direzione e
coordinamento.
Per quanto riguarda la valutazione, i depositi bancari e postali e gli assegni tecni-
camente costituiscono dei crediti e dovrebbero pertanto essere valutati secondo la re-
gola del valore di presumibile realizzo che coincide generalmente con il valore nomi-
nale, tenuto conto della scarsa rilevanza di rischi di inesigibilità quanto meno con rife-
rimento ai depositi bancari e postali.
La cassa in valuta straniera deve essere valutata al cambio esistente alla data di
chiusura dell’esercizio.
Per la cassa in moneta di conto addirittura non si dovrebbe neppure parlare di valu-
tazione ma di semplice enumerazione, in quanto il denaro rappresenta il bene numera-
rio per eccellenza.
Maggiore attenzione è dedicata invece dall’OIC 14, documento specificamente de-
dicato alle liquidità, a quei fondi liquidi che risultano non pienamente ed immediata-
mente disponibili per l’azienda. Tale è il caso di depositi presso certi Paesi esteri dove
vigono norme abbastanza restrittive in materia valutaria. Tali situazioni vanno segna-
late in Nota Integrativa e, se comportano una difficoltà di utilizzo o di rimpatrio, pos-
sono determinare l’esigenza di valutare questi beni al valore di presunto realizzo anzi-
ché al valore nominale.
Analoga menzione in Nota Integrativa è richiesta per i fondi liquidi vincolati per
qualsiasi motivo (i depositi a copertura di determinate operazioni finanziarie, il denaro
proveniente da finanziamenti da destinare a scopi specifici, ecc.). Se addirittura si pre-
vede che il vincolo perdurerà oltre la scadenza dell’esercizio successivo, queste som-
me vanno inserite tra le immobilizzazioni finanziarie.

292
9.2. I ratei e i risconti
Per quanto riguarda la collocazione, nello schema di Stato Patrimoniale civilistico i
ratei ed i risconti attivi figurano al gruppo D, mentre i ratei ed i risconti passivi sono
previsti al punto E del passivo. Separata indicazione entro il gruppo dei ratei e dei ri-
sconti deve avere il disaggio su obbligazioni (da collocare tra ratei e risconti attivi) o
l’aggio su obbligazioni (da collocare tra i ratei ed i risconti passivi).
Il Codice all’art. 2424 bis, 5° comma, stabilisce la regola di individuazione dei ra-
tei e dei risconti.
I ratei attivi (o passivi), a norma del Codice, si identificano per la presenza simul-
tanea delle seguenti caratteristiche:
1. quote di ricavi (o di costi) di competenza dell’esercizio ma che origineranno mani-
festazione finanziaria in esercizi successivi;
2. comuni a due o più esercizi;
3. la cui entità varia in ragione del tempo.
I risconti attivi (o passivi) a norma del Codice, si identificano per la presenza si-
multanea delle seguenti caratteristiche:
1. costi (o ricavi) già liquidati entro la chiusura dell’esercizio ma di competenza di
esercizi successivi;
2. comuni a due o più esercizi;
3. la cui entità varia in ragione del tempo.
Oltre ai punti generali riguardanti l’esposizione dei criteri di valutazione (art. 2427,
n. 1) e delle variazioni intervenute nell’esercizio (art. 2427, n. 4), in Nota Integrativa
deve essere segnalata anche la composizione delle voci ratei e risconti attivi e ratei e
risconti passivi, ove rilevante e i ratei e risconti di durata superiore ai cinque anni.
La normativa civilistica, specialmente con la precisa individuazione degli ultimi
due punti sopra indicati, ha contribuito ad una maggiore chiarezza, ad esempio stabi-
lendo, sia pur in modo implicito, che le fatture da ricevere non sono ratei, dal momen-
to che la loro entità non varia in funzione del tempo e non sono comuni a più esercizi,
bensì riguardano solo l’esercizio in chiusura.
Inoltre è da sottolineare la previsione dei ratei o dei risconti pluriennali, che si di-
stacca dalla concezione tradizionale che i ratei o i risconti sono poste caratterizzate dal
requisito di riferirsi a costi e ricavi «a cavallo di due esercizi», come si era soliti dire.
In senso critico resta da dire che il Codice Civile continua a tenere accorpate due
poste contabili ben diverse per natura (numeraria presunta i ratei e economica red-
dituale i risconti), che normalmente nelle analisi di bilancio confluiscono in classi di-
verse: ad esempio i ratei attivi non pluriennali tra le liquidità differite ed i risconti atti-
vi non pluriennali entro le rimanenze, considerandoli come una specie di «serbatoio»
di servizi acquisiti ancora da sfruttare.
Ad interpretazione della normativa civilistica, l’OIC 18, dedicato ai ratei ed ai ri-
sconti, precisa che:

293
 i ratei rappresentano crediti e debiti in moneta, costituenti tipica scrittura di inte-
grazione di costi o ricavi di competenza, per la parte da essi misurata, dell’esercizio
in chiusura ma la cui integrale liquidazione avverrà in un successivo esercizio. La
natura sostanziale di crediti o debiti induce il documento a richiedere per la loro va-
lutazione l’applicazione della disciplina prevista per tali poste (per i crediti, il valo-
re di presumibile realizzo, per i debiti il valore di presumibile estinzione);
 i risconti rappresentano storni di costi o di ricavi già contabilizzati per la già avve-
nuta manifestazione finanziaria, da rinviare per quota parte ad esercizi successivi.
In quanto tali, essi rappresentano una tipica scrittura di rettifica da effettuare in
modo diretto, cioè con movimentazione nella sezione opposta dello stesso conto
utilizzato per rilevare originariamente il costo o il ricavo.
L’importo dei ratei e dei risconti deve essere determinato mediante la ripartizione
del costo o del ricavo complessivo, per poi attribuire la quota parte di competenza al-
l’esercizio in chiusura. Normalmente il calcolo avviene sulla base del tempo fisico e
comporta la divisione del costo o del ricavo totale per il periodo temporale a cui il com-
ponente reddituale si riferisce. Il risultato così determinato viene poi moltiplicato:
 per il periodo di competenza di esercizi successivi, se si tratta di risconti;
 per il periodo di competenza dell’esercizio in chiusura, se si tratta di ratei.
Questa procedimento è definito criterio del «tempo fisico» poiché implicitamente
suppone che il costo o il ricavo maturino in modo strettamente proporzionale al decor-
so del tempo fisico.
L’OIC 18 ritiene che tale criterio sia inadeguato qualora il costo o il ricavo derivino
da prestazioni contrattuali il cui contenuto economico non sia costante nel tempo. In
tali casi si dovrebbe allora adottare il procedimento del «tempo economico». Un esem-
pio valga ad illustrare tale procedimento.
Si supponga che l’azienda sostenga un costo per affitto di un capannone con canoni
trimestrali posticipati di 9.000.000 a partire dal 21/11/2016. Il pagamento del primo
canone è quindi previsto per il 20/2/2017. Si supponga tuttavia che l’uso di detto ca-
pannone inizi solo dal 15/12/2016. Adottando il criterio del tempo fisico il rateo do-
vrebbe essere calcolato dividendo i 9.000.000 per 91 giorni (giorni intercorrenti nel
periodo 21/11-20/2) e moltiplicando poi il risultato per 40, cioè per i giorni riferiti al
2016 a cui riferisce il contratto. Se si considera però l’effettivo utilizzo, e quindi il rea-
le contenuto economico dell’operazione, i 9.000.000 andrebbero divisi per i giorni di
effettivo sfruttamento (dal 15/12 al 20/2, cioè 67) e moltiplicati per i 16 giorni in cui il
capannone è stato utilizzato nel 2016. In questo modo il rateo con il criterio del tempo
economico sarebbe pari a 2.149.248 (16 moltiplicato 9.000.000/67).
Il criterio del tempo economico facilita la rappresentazione attendibile del risultato
economico di periodo, consentendo agli amministratori di assecondare con le valuta-
zioni di bilancio gli effettivi andamenti economici della gestione. Al tempo stesso, tut-
tavia, bisogna ricordare che lo scopo ultimo dei principi contabili consiste essenzial-
mente nel consentire la comparabilità dei bilanci e quindi il processo di comunicazione
economico-finanziaria verso l’esterno. In questa visuale il criterio del tempo economi-

294
co amplia i margini di soggettività concessi agli amministratori e quindi tende a ridur-
re la portata comparativa dei principi stessi.
Circa le problematiche di valutazione, l’OIC 18 segnala che:
 i ratei attivi sono assimilati ai crediti e devono essere quindi valutati secondo il va-
lore presumibile di realizzazione. Se il valore presumibile di realizzazione è infe-
riore al valore contabile del rateo attivo, la società rileva una svalutazione nel Con-
to Economico da inviare nella voce B10d) «svalutazione dei crediti compresi nel-
l’attivo circolante e delle disponibilità liquide». Le svalutazioni dei ratei di natura
finanziaria (ad esempio, interessi) sono incluse nelle voci delle classi C «Proventi e
oneri finanziari» o D «Rettifiche di valore di attività finanziarie»;
 per i ratei passivi, in quanto assimilabili ai debiti, per la parte maturata, non vi è
una vera e propria valutazione a fine esercizio, rimanendo esposti in bilancio (come
regola generale) al valore nominale;
 per quanto riguarda la valutazione dei risconti attivi è necessaria la valutazione del
futuro beneficio economico correlato a questi costi differiti. Se tale beneficio è in-
feriore (in tutto od in parte) alla quota riscontata, occorre procedere ad opportune
rettifiche di valore. La società rileva una perdita di valore nella voce B10d) «svalu-
tazione dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide» del
Conto Economico in contropartita della riduzione del risconto attivo. Le svaluta-
zioni dei risconti di natura finanziaria (ad esempio, interessi) sono incluse nelle vo-
ci delle classi C «Proventi e oneri finanziari» o D «Rettifiche di valore di attività
finanziarie»;
 i risconti passivi rappresentano proventi differiti ad uno o più esercizi successivi e,
come tali, normalmente, non pongono problemi di valutazione in sede di bilancio.

295
296
10

Il patrimonio netto

SOMMARIO: 10.1. Definizione e classificazione negli schemi di bilancio. – 10.2. Il capitale sociale. –
10.3. Riserva sovrapprezzo azioni. – 10.4. Riserve di rivalutazione. – 10.5. Riserva legale. –10.6.
Riserve statutarie. – 10.7. Altre riserve. – 10.7.1. Riserva straordinaria (facoltativa), riserva per
rinnovamento impianti e macchinari. – 10.7.2. Riserva per acquisto azioni della società control-
lante. – 10.7.3. Riserva da conversione in euro. – 10.7.4. Riserva da riduzione capitale sociale. –
10.7.5. Riserva da deroghe ex art. 2423, 4° comma. – 10.7.6. Riserva non distribuibile da rivaluta-
zione delle partecipazioni. – 10.7.7. Riserve per versamenti di soci. – 10.7.8. Riserva per utili da
conversione cambi. – 10.7.9. Riserva per conguaglio utili in corso. – 10.7.10. Riserva per avanzo
di fusione. – 10.7.11. Riserva per apporti ex art. 2436, 6° comma. – 10.8. Riserva per operazioni
di copertura di flussi finanziari attesi. – 10.9. Utili (perdite) portate a nuovo. – 10.10. Utile (perdita)
dell’esercizio. – 10.11. Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio. – 10.12. Le regole IASB. –
10.12.1. Il prospetto delle variazioni del patrimonio netto. – 10.12.2. La contabilizzazione delle stock
options. – 10.12.3. L’utile per azione. – 10.12.4. Le «riserve IAS» nel D.Lgs. n. 38/2005.

10.1. Definizione e classificazione negli schemi di bilancio


Il patrimonio netto (o capitale netto o mezzi propri) consiste nella differenza tra attivi-
tà e passività patrimoniali, che si risolve in sostanza nella parte della ricchezza riconduci-
bile ai proprietari e che da questi può essere disposta, rispettando i vincoli normativi citati
successivamente. Al suo interno idealmente possono essere distinti due grandi gruppi: i
mezzi propri apportati dai soci sotto forma di capitale sociale ed altre riserve (capitale
d’apporto) e quelli derivanti dai risultati economici della gestione, sotto forma di reddito
dell’esercizio e di accumuli di redditi di precedenti esercizi (capitale autogenerato).
Negli schemi del bilancio d’esercizio il patrimonio netto deve essere esposto al punto
A) del passivo dello Stato Patrimoniale (art. 2424) del Codice Civile. Tale aggregato si
compone di dieci sottoclassi contrassegnate da numeri romani:
I Capitale.
II Riserva da soprapprezzo azioni.
III Riserva da rivalutazione.
IV Riserva legale.
V Riserve statutarie.
VI Altre riserve, distintamente indicate.

297
VII Riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi.
VIII Utili (perdite) portati a nuovo.
IX Utile (perdita) dell’esercizio.
X Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio.
Nella Nota Integrativa (art. 2427) in merito al patrimonio netto figurano i seguenti
punti:

– 4), nel quale, con riferimento alla descrizione delle variazioni intervenute nella
consistenza delle voci dell’attivo e del passivo per il patrimonio netto, si chiede esplici-
tamente di indicare la formazione e l’utilizzazione delle voci componenti; L’OIC 28
(dedicato al patrimonio netto) specifica che «con riguardo al numero degli esercizi pre-
cedenti per i quali occorre fornire l’informazione dell’avvenuta utilizzazione delle voci
di patrimonio netto, in genere è sufficiente fornire un’informazione riferita agli ultimi
tre esercizi. In presenza di particolari situazioni riguardanti l’importo e le modalità di
utilizzo delle riserve, è opportuno includere un’informazione riferita a un numero di
esercizi superiore ai tre indicati».
– 7), il quale dispone di specificare la composizione della voce «Altre riserve»;
– 7-bis), composizione e caratteristiche delle voci del netto. Per quanto riguarda le
caratteristiche è rilevante specificare:
 le possibilità di utilizzazione di ogni posta del netto per coperture perdite e per aumen-
to di capitale sociale. Non tutte le poste del patrimonio netto possono infatti disporre
di piena libertà di utilizzazione per tali operazioni: alcune riserve statutarie possono
essere indisponibili se lo statuto limita specificamente certi possibili impieghi;
 le possibilità di distribuzione ai soci delle riserve. Vi sono infatti limitazioni alla
distribuzione per quanto riguarda la riserva legale (fino al limite del 20% sul capi-
tale sociale), la riserva sovrapprezzo azioni (fin quando la riserva legale non ha
raggiunto il 20%) del capitale sociale, la riserva per utili da conversione cambi, la
riserva per rivalutazione partecipazioni per applicazione metodo patrimonio netto,
l’eventuale riserva di utili non realizzati ex art. 2423, 4° comma, una quota com-
plessiva delle riserve corrispondente agli oneri pluriennali capitalizzati non ancora
ammortizzati (costi di impianto e di pubblicità, costi di sviluppo);
– 17), che impone di indicare il numero e del valore nominale di ciascuna categoria
di azioni della società e delle nuove azioni sottoscritte durante l’esercizio;
– 18), che prevede l’indicazione delle azioni di godimento e delle obbligazioni con-
vertibili in azioni;
– 19), che richiede di specificare il numero e le caratteristiche degli altri strumenti
finanziari emessi dalla società, con l’indicazione dei diritti patrimoniali e partecipativi
che attribuiscono e delle principali caratteristiche delle operazioni relative.

Altre informazioni sul patrimonio netto devono essere annotate anche nella Relazio-
ne sulla Gestione (art. 2428). In tale documento devono essere fornite informazioni rela-
tive alla parte di capitale sociale corrispondente sia alle azioni proprie, sia alle azioni o

298
quote di società controllanti possedute dalla società, anche per tramite di società fiducia-
ria o per interposta persona, e/o acquistate/alienate dalla società nel corso dell’esercizio.

L’OIC 28 richiede che in Nota Integrativa siano inclusi tre prospetti.


Il primo prospetto riguarda la composizione del patrimonio netto e del relativo regime
di disponibilità (art. 2427, 7 bis), nel quale per ogni voce del netto è specificata la dispo-
nibilità per i seguenti tre scopi: aumento di capitale, copertura perdite, distribuibilità ai
soci, con individuazione anche degli importi non disponibili. Per quanto riguarda la de-
scrizione della «avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi» richiesta dal Codice Civile,
l’OIC ritiene che possa essere circoscritta agli ultimi tre, evitando di riportare informazioni
anteriori salvo casi particolari. Si riporta l’esempio come da Appendice A dell’OIC 28:

Riepilogo delle utilizzazioni


effettuate nei tre
Possibilità di Quota precedenti esercizi
Natura/descrizione Importo
utilizzazione disponibile
per copertura per altre
perdite ragioni
Capitale 10.000
Riserve di capitale:
Riserva da soprapprezzo azioni 2.000 A, B, C 2.000
Riserva da conversione
obbligazioni 2.000 A, B, C 2.000

Riserve di utili:
Riserva legale 2.000 B –
Riserva per azioni proprie 50
Riserva da utili netti su cambi 400 A, B 400
Riserva da valutazione delle
partecipazioni con il metodo
del patrimonio netto 100 A, B 100
Riserva da deroghe ex 4°
comma dell’art. 2423 100 A, B 100

Utili portati a nuovo 700 A, B, C 700
Totale 5.300
Quota non distribuibile 1 1.800
Residua quota distribuibile 3.500
Legenda: A: per aumento di capitale, B: per copertura perdite, C: per distribuzione ai soci.

1
Rappresenta l’ammontare della quota non distribuibile per effetto: della riserva da utili netti su cambi
(400), della riserva da valutazione delle partecipazioni con il metodo del patrimonio netto (100), della riserva da
deroghe ex 4° comma dell’art. 2423 (100) e della parte destinata a copertura dei costi pluriennali non ancora
ammortizzati ex art. 2426, n. 5 (1.200).

299
Il secondo prospetto di cui all’Appendice A dell’OIC 28 riguarda le variazioni av-
venute nei conti di patrimonio netto», ritenute necessarie (e non facoltative) per il rag-
giungimento della chiarezza nella redazione e per la rappresentazione veritiera e cor-
retta del bilancio d’esercizio. L’evidenza delle variazioni intervenute nella consistenza
delle voci non deve limitarsi ad un mero confronto tra gli importi di due esercizi con-
secutivi (informazione già contenuta nel prospetto di Stato Patrimoniale), ma deve iden-
tificare, almeno per le voci che presentano variazioni significative, i principali motivi
che le hanno determinate. Le variazioni nelle poste del patrimonio netto devono essere
fornite per tutte le voci elencate nello schema di Stato Patrimoniale sotto la lettera A
del passivo, con l’indicazione degli incrementi, dei decrementi e dei semplici trasferi-
menti da una voce all’altra dello schema. Tali informazioni devono essere presentate,
nella Nota Integrativa, sotto forma di prospetto, il quale, indipendentemente dal modo
specifico con cui è redatto, deve evidenziare:
 i valori dei singoli conti di netto all’inizio dell’esercizio;
 il dettaglio dei movimenti, senza compensazioni tra variazioni di segno opposto re-
lative a singole voci;
 i valori dei singoli conti alla fine dell’esercizio.
Si configura così l’obbligo di redigere il prospetto delle variazioni del patrimonio netto,
già richiesto da tempo dai principi contabili internazionali (si veda ad esempio lo IAS 1).
La tabella successiva ne dà una possibile rappresentazione grafica.

Capitale Riserva Risultato


Riserve 2 Totale
sociale legale dell’esercizio

All’inizio dell’esercizio precedente


Destinazione del risultato dell’esercizio:
– Attribuzione di dividendi (€ … per azione)
– Altre destinazioni
Altre variazioni:

Risultato dell’esercizio precedente
Alla chiusura dell’esercizio precedente
Destinazione del risultato dell’esercizio:
– Attribuzione di dividendi (€ … per azione)
– Altre destinazioni
Altre variazioni:

Risultato dell’esercizio corrente
Alla chiusura dell’esercizio corrente

2
Indicare in colonne distinte le diverse riserve, come da prospetto esemplificativo precedente.

300
Il terzo prospetto riguarda informazioni da fornire, ai sensi del n. 1b)-quater del-
l’art. 2427 bis, 1° comma, c.c., sulla riserva per operazioni di copertura di flussi finan-
ziari attesi (si veda cap. 14).

Incremento Decremento Rilascio a


All’inizio Rilascio a Alla chiusura
per per rettifica di Effetto fiscale
dell’esercizio Conto dell’esercizio
variazione di variazione di attività/ differito
precedente Economico precedente
fair value fair value passività

Incremento Decremento Rilascio a


All’inizio Rilascio a Alla chiusura
per per rettifica di Effetto fiscale
dell’esercizio Conto dell’esercizio
variazione di variazione di attività/ differito
corrente Economico corrente
fair value fair value passività

10.2. Il capitale sociale

Corrisponde al valore nominale dei conferimenti sottoscritti dai soci e delle riserve
girate a capitale nel corso del tempo. Nelle società a base azionaria (S.p.a., S.a.p.a.) il
capitale sociale deve essere uguale al prodotto del valore nominale unitario delle azio-
ni emesse per il rispettivo numero. La suddivisione del capitale tra diverse categorie di
azioni va segnalata non con diversi conti ma in Nota Integrativa (punto 17).
Il valore minimo del capitale sociale per le S.p.a. (art. 2327) e le S.a.p.a. è di
50.000 € e 10.000 € per le S.r.l. (art. 2463). Il valore nominale minimo delle azioni
delle S.p.a. e delle S.a.p.a. e delle quote delle S.r.l. è di 1 €.
Nell’atto costitutivo dovrà essere specificato l’ammontare del capitale sociale sot-
toscritto e versato e il valore dei crediti e dei beni conferiti in natura 3, il numero delle

3 Il Codice Civile prevede particolari obblighi per le società di capitali in tema di conferimenti. Per i

conferimenti in denaro, il codice anzitutto dispone (art. 2342) il versamento presso un istituto di credito
del 25% dei conferimenti in denaro come condizione preliminare per la costituzione. Tali decimi sono in-
disponibili finché gli amministratori non hanno dimostrato l’avvenuta costituzione della società. I rima-
nenti decimi saranno invece richiamati discrezionalmente dagli amministratori e quindi versati dai soci.
Per i conferimenti in natura (crediti e beni diversi dal denaro) la legge impone un’integrale ed immediata
liberazione (art. 2342); quindi dispone che il valore nominale delle azioni emesse a fronte del conferimen-
to risulti non superiore al valore attribuito in contabilità all’apporto in natura come risulta dalla stima at-
tribuita dal perito ufficiale nominato dal tribunale, la cui relazione è allegata all’atto costitutivo della so-
cietà (art. 2343); inoltre gli amministratori devono controllare entro sei mesi la valutazione dei beni con-
feriti. Se la revisione della stima evidenzia una sottovalutazione, bisogna considerare se la differenza su-
pera o meno il 20% del valore attribuito al conferimento. Se non supera tale valore, né il codice né l’OIC 28
si soffermano ad esaminare le conseguenze. Se invece risulta un divario superiore al 20%, si deve proce-
dere ad una svalutazione dei beni conferiti riducendo il valore in contabilità dei beni apportati e per con-
tropartita non iscrivere un costo a Conto Economico ma addebitare il conto «minusvalenza da apporto di
beni in natura», da inserire come voce di rettifica nella classe «patrimonio netto». Poi se il socio reintegra,

301
azioni o delle quote sottoscritte da ciascuno dei soci fondatori (artt. 2328 e 2463). Tut-
te le variazioni successive di capitale sociale, in aumento o in diminuzione, rappresen-
tano una modifica dell’atto costitutivo e quindi richiedono, per le società di capitali,
l’approvazione da parte dell’assemblea straordinaria (art. 2365) ed il rispetto dei con-
trolli e delle forme di pubblicità previste dall’art. 2436 c.c. (iscrizione presso il regi-
stro delle imprese). Per le società di persone si applica l’art. 2300.

10.3. Riserva sovrapprezzo azioni

La riserva sopraprezzo azioni include la differenza tra il valore di emissione delle


azioni ed il loro valore nominale, oltre alle differenze positive che sorgono, in occa-
sione di alcune operazioni particolari. Ad esempio, in occasione delle conversioni di
prestiti obbligazionari convertibili, la riserva sovraprezzo accoglie la differenza tra il
valore delle nuove azioni emesse ed il valore nominale delle obbligazioni annullate e
in caso di aumento di capitale a pagamento, la riserva in parola accoglie l’importo deri-
vante dalla vendita diritti di opzione non esercitati 4.
Il sovrapprezzo sul valore nominale delle nuove azioni emesse deve essere versato
immediatamente (art. 2439 e art. 2481 bis, 4° comma) e confluire in apposita riserva ri-
epilogata in bilancio alla voce A.II del passivo patrimoniale che, ex art. 2431, non può
essere distribuita finché la riserva legale non ha raggiunto i limiti indicati dall’art. 2430
(ossia un quinto del capitale sociale).

quest’ultimo conto si estinguerà a fronte della nascita di un credito verso il socio; altrimenti il socio potrà
recedere, determinando una riduzione del capitale sociale. Tuttavia ai sensi dell’art. 2343 ter, se sono con-
feriti valori mobiliari o strumenti del mercato monetario, la relazione di cui sopra non è richiesta se il va-
lore attribuito ai conferimenti (includendo il sovraprezzo) non è superiore:
– per strumenti del mercato finanziario, al prezzo medio di mercato titolo negli ultimi sei mesi;
– per altri beni, al fair value ricavato da un bilancio sottoposto a revisione legale (e senza rilievi del
revisore sul valore del bene) approvato da non oltre un anno;
– al fair value risultante dalla valutazione (risalente a non oltre sei mesi prima) fatta da esperto quali-
ficato, indipendentemente e competente e basata su criteri di valutazione generalmente riconosciuti per la
valutazione dei beni.
4 Nella conversione di prestiti obbligazionari convertibili ipotizzando che obbligazioni dal valore no-

minale di 50 siano convertite in azioni dal valore nominale di 10 con rapporto 1:4, la rilevazione sarà la
seguente:
________________________________________________
Prestiti obbligazionari convertibili 50
Capitale sociale 40
Riserva sovrapprezzo azioni 10
_________________________________________________
Nel caso di vendita di diritti di opzione non esercitati, la rilevazione consisterà semplicemente in un’en-
trata di liquidità a fronte dell’incremento della riserva sovrapprezzo azioni.

302
10.4. Riserve di rivalutazione

Accoglie soltanto le riserve per rivalutazioni eseguite in quanto permesse da appo-


site leggi di rivalutazione monetaria (tra le quali la legge n. 342/2000 commentata nel
par. 3.2.3, al quale si rinvia). Non sono da includersi le riserve da altri tipi di rivaluta-
zione, per le quali si rinvia al par. 10.8.

10.5. Riserva legale

Accoglie gli utili accantonati a norma dell’art. 2430 c.c. In essa devono confluire
almeno il 5% degli utili netti di bilancio finché il suo saldo non ha raggiunto il 20%
del capitale sociale. Fino a tale limite, essa può essere utilizzata riducendone l’importo
solo per copertura di perdite dopo che sono state impiegate già tutte le altre riserve
eventualmente presenti. Oltre tale limite, la riserva legale, per la parte eccedente, di-
viene una riserva disponibile anche per altri scopi (aumento gratuito del capitale socia-
le, distribuzione ai soci, ecc.). Se usata, va comunque ricostituita per il suo importo
originario. L’art. 2413 ne regola le modalità di costituzione in caso di riduzione del
capitale sociale in presenza di prestito obbligazionario emesso. Nella riserva legale è
confluita anche l’eventuale differenza derivante dalla conversione in euro del capitale
sociale.

10.6. Riserve statutarie


Le riserve statutarie sono disciplinate dalla statuto societario che può specificare gli
scopi per i quali sono state istituite e le modalità di formazione. Una modifica delle
modalità di funzionamento di tali riserve può essere adottata solo con le maggioranze
qualificate richieste dalle modifiche statutarie.

10.7. Altre riserve


In questa voce possono confluire molteplici conti, la cui specifica indicazione deve
comunque essere fornita nella Nota Integrativa (art. 2427, n. 7). L’OIC 28 cita le se-
guenti.

10.7.1. Riserva straordinaria (facoltativa), riserva per rinnovamento impianti


e macchinari
Sono tutte riserve da accantonamento di utili non imposte dalla legge o dallo statu-
to, ma deliberate dall’assemblea sociale e finalizzate o meno verso scopi specifici, che
possono peraltro essere variati dallo stesso organo societario. L’OIC 28 non specifica la

303
possibile inclusione tra queste della riserva perequazione (o integrazione) dividendi,
avente lo scopo di incrementare i dividendi per gli azionisti negli anni in cui siano scarsi
i redditi di esercizio per garantire un dividendo in linea con gli obiettivi gestionali.

10.7.2. Riserva per acquisto azioni della società controllante

Si tratta di una riserva obbligatoria ai sensi dell’art. 2359 bis, da costituirsi rispet-
tando le stesse regole già descritte a proposito della riserva per acquisto azioni proprie.

10.7.3. Riserva da conversione in euro


Consiste nella riserva iscritta per imputarvi gli eventuali utili differiti su cambi de-
rivanti dalla applicazione dei tassi di cambio irrevocabili alle poste contabili espresse
in valute aderenti all’unione monetaria europea; tale riserva può accogliere anche il
saldo delle differenze di arrotondamento scaturenti dal procedimento di conversione del-
la contabilità dalle lire all’euro; ovvero dal procedimento di redazione del bilancio in
unità (e non in centesimi) di euro.

10.7.4. Riserva da riduzione capitale sociale


Questa voce accoglie quelle somme che residuano quando si riduce il capitale so-
ciale per una cifra «tonda» a seguito di perdite o «per esuberanza» con relativa distri-
buzione ai soci, e la riduzione del capitale eccede l’importo della perdita o della quota
esuberante distribuita ai soci. La differenza tra importo della riduzione del capitale e la
perdita coperta (o il capitale esuberante rimborsato ai soci) confluisce in questa voce.

10.7.5. Riserva da deroghe ex art. 2423, 4° comma


Il Codice Civile prevede che in casi eccezionali si deve derogare alle norme sulla
redazione del bilancio (art. 2423 ss.), qualora la loro applicazione impedisca la rappre-
sentazione chiara, veritiera e corretta della situazione economica, finanziaria e patrimo-
niale. Se dalla deroga derivano degli utili (come nel caso di rivalutazione volontaria di
beni), il citato articolo prescrive che essi debbano trovare collocazione in tale riserva,
non distribuibile finché non si è realizzata la potenziale plusvalenza. Spetta alla Nota
Integrativa informare sulle motivazioni ed i riflessi della deroga ed agli organi di con-
trollo societari valutarne la congruità ed esprimere il loro assenso nella relazione da al-
legare al bilancio.

10.7.6. Riserva non distribuibile da rivalutazione delle partecipazioni


È la riserva che l’art. 2426, 4° comma, impone di iscrivere quale contropartita della
rivalutazione di partecipazioni immobilizzate in controllate e collegate, per le quali si

304
sia scelto di applicare il metodo del patrimonio netto, nel caso in cui dette partecipa-
zioni siano da rivalutare (a tal proposito si rinvia al capitolo 8). Tale riserva non è di-
stribuibile finché non si realizza effettivamente il plusvalore della partecipazione tra-
mite liquidazione dei dividendi. Si veda. par. 8.8.4.

10.7.7. Riserve per versamenti di soci


Entro questa tipologia, che confluisce idealmente nelle riserve di capitale, ossia fa-
centi parte del capitale di apporto, l’OIC 28 distingue varie riserve:
 i versamenti in conto aumento di capitale, riserva che accoglie in contropartita le
somme versate dai soci a seguito di sottoscrizione di aumento di capitale «scindibile»
(ossia eseguibile anche nel caso in cui non vi sia integrale sottoscrizione), già delibera-
to dall’assemblea ma non ancora perfezionato giuridicamente (es. in corso di iscrizio-
ne al registro delle imprese);
 i versamenti in conto futuro aumento di capitale, riserva che accoglie in contro-
partita le somme versate dai soci a seguito della semplice previsione di un futuro au-
mento di capitale non ancora deliberato dall’assemblea;
 i versamenti in conto capitale o a copertura perdite o a fondo perduto, riserva
che accoglie in contropartita le somme versate dai soci non connessi ad aumenti di ca-
pitale in corso o previsti, ma dettati soltanto dall’esigenza di potenziare l’azienda o di re-
integrare le risorse distrutte a seguito di perdite. In quest’ultimo caso, la riserva presenta
uno specifico vincolo di destinazione e non può essere variata finché la perdita non è
stata coperta.
Si tratta in ogni caso di versamenti per i quali non vi è obbligo di rimborso.

10.7.8. Riserva per utili da conversione cambi


È la riserva che si deve costituire accantonando degli utili di esercizio nel caso in cui
la conversione in moneta di conto delle poste in valuta esistenti a fine esercizio porti
ad un utile netto su cambi (vedasi par. 7.2.2). Tale riserva, come detto in precedenza, è
indistribuibile.

10.7.9. Riserva per conguaglio utili in corso


In una operazione di aumento di capitale sociale effettuata nel corso dell’esercizio
ai nuovi capitali può essere richiesto di versare una quota per consentire loro di parte-
cipare alla distribuzione degli utili in modo paritario con i capitali già esistenti, tenuto
conto che dall’inizio dell’esercizio l’azienda potrebbe avere già conseguito un risultato
economico positivo. In tale riserva sono accantonate le somme relative. Ad esempio,
se l’aumento di capitale è di 400.000 e il capitale sociale già esistente è di 800.000 e dal
rendiconto infrannuale risulta già conseguito un utile di 24.000, il conguaglio utili in
corso dovrebbe essere pari a 12.000 {(400.000/800.000)  24.000}.

305
10.7.10. Riserva per avanzo di fusione
In una operazione di fusione la differenza tra la quota corrispondente del valore
contabile del patrimonio netto della società incorporata e il valore contabile della par-
tecipazione posseduta dalla società incorporante può esser dovuta o alla previsione di
perdite future, ed in tal caso si iscriverà in un fondi rischi, oppure al conseguimento di
un buon affare (si è pagato meno un bene con valore maggiore), caso nel quale tale
differenza sarà iscritta nella riserva per avanzo di fusione 5.

10.7.11. Riserva per apporti ex art. 2436, 6° comma


Il Codice Civile, all’art. 2346 (dove si parla di categorie di azioni), 6° comma, af-
ferma che a fronte «dell’apporto da parte di soci o di terzi anche di opera o servizi» le
società possono emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di
diritti amministrativi ad eccezione del voto nelle assemblee generali. Allo statuto so-
cietario è affidato il compito di disciplinare modalità e condizioni di emissione, i diritti
relativi, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge
di circolazione di tali strumenti. In Nota Integrativa, poi, art. 2427, n. 19, è richiesto di
indicare il numero e le caratteristiche degli strumenti finanziari emessi dalla società
con indicazione dei diritti patrimoniali e partecipativi che conferiscono e delle princi-
pali caratteristiche delle operazioni relative.
Con tali strumenti non si può acquisire la qualifica di soci in quanto l’apporto in
una società per azioni non può consistere nella prestazione di opera o di servizi. Pos-
sono però essere emessi strumenti a favore di soggetti che sono giù soci in virtù del-
l’apporto precedente di beni.
Può essere opportuno specificare in Nota:
– se l’emissione è effettuata a favore dei soci o a favore di terzi e se si tratta di stru-
menti finanziari destinati alla circolazione;
– il numero degli strumenti finanziari, le modalità per il loro trasferimento e, infine,
presentare la suddivisione degli strumenti emessi in base alle principali caratteristi-
che degli stessi con l’indicazione dei relativi apporti;
– i diritti relativi agli strumenti finanziari previsti nello statuto, sia di tipo patrimonia-
le come il diritto alla partecipazione agli utili (ad esempio, se il risultato di eserci-
zio supera determinate soglie) che di tipo amministrativo (es. partecipazione, ma
senza voto, in assemblea).
Al di là del commento circa l’inclusione in Nota Integrativa, sarebbe stato utile che
l’OIC avesse affrontato il tema della collocazione in bilancio di tali strumenti finanzia-
ri e della relativa valutazione. Al contrario, l’OIC 28 dedicato al patrimonio netto non
affronta direttamente la problematica. A chi scrive sembra che qualora emessi, tali stru-

5 Dispone così l’art. 2504 bis: «Se dalla fusione emerge un avanzo, esso è iscritto ad apposita voce del

patrimonio netto, ovvero, quando sia dovuto a previsione di risultati economici sfavorevoli, in una voce dei
fondi per rischi ed oneri». Il trattamento contabile previsto è analogo a quello adottato per la rilevazione
delle differenze negative (avanzo) di consolidamento di cui all’art. 33, D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127.

306
menti debbano originare una specifica riserva del netto compresa tra le altre riserve di
cui al numero VI, tenuto conto che non possono essere considerati capitale sociale per
la mancanza di un conferimento patrimoniale e che, nel contempo, non possono essere
considerati debiti, visto che il Codice li equipara quasi ad azioni non prevedendo una
scadenza o un rimborso obbligatorio. Rimane comunque aperta la questione circa la
valutazione di tali strumenti che sarà presumibilmente dipendente dalla valutazione
dell’opera o del servizio a fronte del quale sono emessi.

10.8. Riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi


Tale riserva accoglie le variazioni di fair value dei derivati che sono designati quale
copertura efficace dei rischi connessi a fluissi finanziari. Per maggiori dettagli si rinvia
al capitolo 14.

10.9. Utili (perdite) portate a nuovo


Raccoglie i redditi (utili o perdite) formatisi in esercizi precedenti che l’assemblea
non ha ancora deciso come destinare in via definitiva.

10.10. Utile (perdita) dell’esercizio


È il reddito che emerge dal Conto Economico dell’esercizio, da riportare nello Stato
Patrimoniale, Se durante l’esercizio è stato distribuito un acconto o è stata già coperta
anticipatamente una parte della perdita in corso di formazione, tali importi vanno portati
distintamente a detrazione del risultato di esercizio per evitare compensi di partite.

10.11. Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio


Il D.Lgs. n. 139/2015 ha eliminazione l’iscrivibilità nell’attivo patrimoniale delle
azioni proprie, così come già prescriveva lo IAS 32. L’acquisto di azioni proprie quin-
di non darà più origine ad una rilevazione di attività a fronte di un esborso di liquidità,
ma ad una riduzione di patrimonio netto che sarà rilevata come riserva negativa del-
l’aggregato A del passivo alla nuova voce «X-Riserva negativa per azioni proprie in
portafoglio». In sostanza, il nuovo Codice interpreta tale acquisto come un rimborso di
capitale netto, segnalato con uno stanziamento a riserva negativa, anziché a diretta ret-
tifica di poste del netto. Se poi le azioni proprie fossero rivendute, tale riserva si ridur-
rà in avere. L’eventuale plusvalenza o minusvalenza connessa alla vendita, si rifletterà
su altra riserva del netto. In caso di annullamento di azioni proprie, la riserva negativa
in parola si estinguerà a fronte della riduzione del capitale sociale. L’eventuale diffe-
renza tra il valore nominale delle azioni annullate e il costo delle azioni proprie si ri-
verserà in altra posta del netto.

307
10.12. Le regole IASB
Sul patrimonio netto le regole IASB si distinguono sensibilmente dalle norme ita-
liane con riferimento soprattutto alla creazione di specifiche voci tra le riserve derivanti
da alcuni criteri di valutazione già esaminati. In questo senso, ad esempio, si ricorda
che in un bilancio IAS possono esistere le riserve di rivalutazione delle immobilizza-
zioni valutate secondo il revaluation model (vedi capitoli 3 e 4), come pure le riserve
per utili portati a nuovo saranno interessate dalla logica di applicazione retroattiva de-
gli impatti dovuti a cambiamenti di principi contabili (vedi capitolo 1). Il trattamento
di tali riserve sarà affrontato nel par. 10.12.4.
Si ricorda poi quanto già esaminato nel capitolo 8 circa le azioni proprie che ai sen-
si dello IAS 32 devono essere portate a riduzione dei mezzi propri, similmente a quan-
to previsto dal Codice Civile a partire dai bilanci del 2016.
Altre peculiarità rispetto alla normativa italiana consiste nella regola inserita nello
IAS 32 che i costi per emissione di mezzi propri (es. costo per stampa azioni, stipula
atto, ecc.) sono portati a riduzione dei mezzi propri. Per cui in presenza di un aumento
di capitale per 100 con costi di 2, si rileverà un incremento di capitale di 98 a fronte
dell’entrata di liquidità. Non avremo quindi i costi di impianto di cui al Codice Civile.

BOX 46 – La distinzione tra debiti e patrimonio netto


Una questione non banale consiste nello stabilire se un certo strumento finanziario emesso dalla socie-
tà debba qualificarsi come debito o come patrimonio netto, tenuto conto del fatto che l’evoluzione della
finanza ha fatto nascere titoli dalla classificazione incerta. Ad esempio un’azione con obbligo di rimborso a
richiesta dei soci può ancora qualificarsi componente del patrimonio netto ? Secondo lo IAS 32 entro il
patrimonio netto vanno inseriti i contratti che rappresentano la quota ideale di partecipazione residua nel-
le attività di una azienda dopo aver estinto tutte le passività. Non rileva il fatto che tale diritto sia incorpo-
rato in titoli qualificati formalmente come azioni: ad esempio un’azione privilegiata con diritto del posses-
sore a rimborso obbligatorio o un’azione con opzione put per il possessore sono titoli di debito, a prescin-
dere dalla denominazione di «azioni». In sostanza, quindi, un titolo si qualifica entro il patrimonio netto se
vi è il diritto incondizionato dell’azienda ad esimersi dal consegnare attività finanziarie.
Però le cooperative dove i soci hanno tipicamente il diritto a ottenere il rimborso, se richiesto, per le
azioni possedute non avrebbero patrimonio netto. Da cui lo IASB ha modificato nel 2008 lo IAS 32 (Put-
table financial instruments and obligations arising on liquidation) per dire che le azioni delle cooperative
sono entro il patrimonio netto in virtù del fatto che danno in sede di liquidazione il diritto a ricevere la
parte residua dell’attivo sottratte le passività e non perché l’azienda può esimersi incondizionatamente dal
rimborso, visto che non lo può fare.
Inoltre, come accade nel caso delle obbligazioni convertibili, vi sono strumenti finanziari emessi che in-
corporano nello stesso titolo una parte di debito e una parte di patrimonio netto, come nel caso delle obbli-
gazioni convertibili in azioni, dove si tratta allora ai fini IFRS di scindere le due parti (prima si stima il debito
basandosi su titoli con caratteristiche similari quanto a tasso e scadenza dei rimborsi) e poi per sottrazione si
ottiene la quota di patrimonio netto) per classificarle separatamente nei debiti e nel patrimonio netto.
Più in generale la separazione tra debiti e patrimonio netto sarà oggetto di prossimi interventi da parte
dello IASB.

308
10.12.1. Il prospetto delle variazioni del patrimonio netto
Nello IAS 1 si descrive il prospetto delle variazioni del patrimonio netto, già esa-
minato per quanto riguarda la normativa italiana nel par. 10.1 Per le regole dello IASB
invece, il prospetto in parola è un prospetto di bilancio a tutti gli effetti e non un detta-
glio da fornire nelle note.
Tale prospetto deve comprendere anzitutto il comprehensive income dell’esercizio
che scaturisce dallo statement of comprehensive income (il Conto Economico secondo
lo IASB), come causa endogena di variazione del patrimonio netto, distinguendo, in
un bilancio consolidato, la parte attribuibile alla capogruppo e quella di pertinenza del-
le minoranze.
Vanno poi inseriti, qualora presenti, gli impatti sugli utili a nuovo derivanti dall’ap-
plicazione retrospettiva ai sensi dello IAS 8 per effetto di cambi di criteri contabili o di
correzione di errori significativi connessi alla redazione dei bilanci degli esercizi pre-
cedenti. Gli impatti derivanti dai due diversi tipi di riclassificazione retrospettiva de-
vono essere tenuti distinti. Si ricorda la normativa italiana si è ormai allineata a tale
disposizione con le regole dell’OIC 29 discusse nel capitolo 1.
Quindi dovranno essere descritte le transazioni con i proprietari, distinguendo le sin-
gole tipologie di movimenti (aumenti/rimborsi capitale, distribuzione di utili/coperture di
perdite, acquisti azioni proprie, il tutto incrementato dei costi accessori di transazione).
Nel prospetto per ciascun elemento componente il patrimonio netto si devono poi
riconciliare i saldi iniziali e finali, descrivendo i motivi delle variazioni subite nel cor-
so dell’esercizio.
Nel prospetto o nelle note deve poi essere esposto il dividendo per azione (DPS,
dividend per share, discusso sub 10.12.3). Si riporta di seguito un quadro sintetico del
prospetto in parola.

Comprehensive income (come risultante da Statement of comprehensive income)


+/– Effetti su ogni componente del patrimonio netto per errori o cambi di criteri di valutazione ex
IAS 8
Transazioni con i proprietari (aumenti/rimborsi capitale, distribuzione di utili/coperture di perdite,
acquisti azioni proprie, ecc.)
= Totale variazione del patrimonio netto per effetto della gestione

Nelle Note o nel prospetto della posizione finanziaria (Stato Patrimoniale) o anche
nel prospetto delle variazioni del patrimonio netto si devono specificare la natura e lo
scopo di ciascuna riserva compresa nel patrimonio netto (anche se nel prospetto della
posizione finanziaria possono non essere analiticamente indicate) ed una serie di in-
formazioni riguardanti le azioni distinte per ciascuna categoria 6.

6In particolare, lo IAS 1 stabilisce che si dovrà specificare quanto segue:


– numero azioni autorizzate da assemblea, emesse e completamente liberate, emesse e da liberare;

309
10.12.2. La contabilizzazione delle stock options

L’IFRS 2 Share-based payments si occupa delle modalità con le quali contabiliz-


zare le stock options e, più in generale, le forme di remunerazione basate sull’utilizzo
di azioni emesse dalla società. Le remunerazioni su base azionaria (o per dirla con lo
IASB, con emissione di equity instruments) sono una forma di remunerazione di sog-
getti (spesso alti dirigenti della società) quale incentivo ulteriore rispetto allo stipen-
dio e sono spesso concesse solo dietro il soddisfacimento di particolari condizioni
come l’ottenimento di particolari performance, la permanenza in azienda per un pe-
riodo non breve, ecc. Tecnicamente esistono molte forme di piani di remunerazione
azionaria. Le più diffuse sono le stock options che consistono nell’assegnazione di
opzioni di acquisto di azioni della società ad un prezzo definito (detto prezzo di eser-
cizio dell’opzione) al raggiungimento di determinate condizioni (vesting conditions).
Maturate queste condizioni, nel contratto si stabilisce anche l’intervallo temporale
durante il quale le opzioni possono essere esercitate (detto periodo di esercizio). In
tale periodo, il soggetto assegnatario potrà esercitare le opzioni oppure rinunciare ad
esse. In questo senso l’andamento del prezzo del titolo influenzerà la sua scelta. È
ovvio che l’obiettivo di questo piano è di indurre il management a far crescere il prez-
zo delle azioni, a tutto vantaggio degli azionisti esistenti e della possibilità dei mana-
ger di acquisire le azioni ad un prezzo concordato in precedenza, minore di quello poi
raggiunto nel mercato.
L’IFRS 2 tratta delle share-based payments transaction (d’ora in poi SBPT), ossia
delle forme di remunerazione su base azionaria e definisce le equity-settled SBPT co-
me operazioni di acquisto di beni/servizi il cui pagamento consiste nella concessione
da parte della società di suoi equity instruments, che possono essere azioni o diritti di
opzione per acquisizione di azioni (share options) 7 ad un prezzo determinato. Sono
equiparate alle azioni (o strumenti similari) emesse dalle società, quelle emesse da so-
cietà del gruppo (controllate, controllante, altre consociate).
Il trattamento contabile
Come criterio generale di contabilizzazione, l’IFRS 2 accoglie la tesi che le equity-
settled SBPT (di cui le stock options sono un esempio) rappresentano una remunera-

– valore nominale (o specifica della mancanza di un valore nominale);


– riconciliazione tra numero azioni in circolazione all’inizio e alla fine del periodo;
– diritti, privilegi e limitazioni, con particolare riferimento alla distribuzioni di utili e al rimborso del
capitale;
– azioni proprie e possedute da collegate e controllate;
– contratti per vendita di azioni e azioni da emettere in base a opzioni accordate.
7 L’IFRS 2 si occupa anche di altre forme di share based payments, consistenti ne:

– le cash-settled SBPT, ossia operazioni di acquisto di beni/servizi per le quali l’ammontare del paga-
mento è commisurato al prezzo degli equity instruments emessi dalla società;
– le operazioni di acquisto di beni/servizi per il cui pagamento il fornitore può scegliere alternativa-
mente se farsi pagare in denaro oppure tramite equity instruments della società.

310
zione di fattori ricevuti dall’azienda sotto forma di prestazione lavorativa o di beni.
Consegue da ciò la rilevazione di un costo a Conto Economico esprimente il valore dei
fattori ricevuti. Solo che a fronte di tale costo non vi sarà un debito o un’uscita di cas-
sa ma un incremento di mezzi propri, visto che il pagamento avverrà in futuro emet-
tendo azioni.
Il momento nel quale rilevare il costo e quindi incrementare il patrimonio netto è
costituito dal momento nel quale i beni/servizi sono acquisiti dall’azienda.
Il valore da attribuire ai beni/servizi ricevuti (e quindi il costo da registrare a Conto
Economico e il corrispondente incremento di mezzi propri) consiste nel fair value di
questi ultimi. Trattandosi tuttavia di prestazioni legate a condizioni molto specifiche,
prive di un mercato attivo (quale ad esempio la permanenza in azienda per un certo
periodo), tale valore non può essere attendibilmente determinato, e allora la contabi-
lizzazione sarà fatta al fair value degli equity instruments utilizzati come forma di pa-
gamento, esistente al momento del contratto (grant date). Pertanto sarà il fair value
dell’opzione di acquisto delle azioni societarie a rappresentare il parametro con il qua-
le misurare il costo e il relativo incremento del patrimonio netto.
Per quanto riguarda il momento di rilevazione del costo e della corrispondente quo-
ta del netto, è determinante vedere se il prestatore dei beni/servizi ha già maturato le
condizioni necessarie affinché gli siano riconosciuti i benefici accordati dal piano
azionario:
 se non è diversamente specificato, si intende che alla data del contratto i beni/
servizi sono stati già acquisiti con conseguente contabilizzazione;
 altrimenti, il contratto definisce un vesting period, inteso come l’intervallo tem-
porale necessario affinché maturino le vesting conditions, ossia i requisiti per l’insor-
genza del diritto a percepire la remunerazione in forma di azioni. Tali condizioni soli-
tamente consistono in requisiti circa i servizi resi, come il service period, ossia la per-
manenza in azienda per un certo periodo di tempo e/o il raggiungimento degli obiettivi
di performance concordati tra l’azienda ed il beneficiario (spesso dipendente). Il mo-
mento nel quale per il beneficiario matura tale titolo si definisce vest date. In tal caso
l’azienda dovrà rilevare il costo lungo l’intero vesting period, presupponendo che i ser-
vizi stabiliti (prestazione di attività lavorativa, ad esempio, abbinata o meno al raggiun-
gimento di determinate performance) durante il vesting period siano resi dalla contropar-
te. Se non è definito un service period nel contratto ma solo un obiettivo di perfor-
mance, allora l’azienda deve stimare, alla data in cui si stipula il contratto, il vesting pe-
riod, ossia entro quanto sarà raggiunta tale performance, basandosi sui risultati più pro-
babili. Se l’obiettivo di performance consiste in un determinato livello dei prezzi dei
titoli, la stima del vesting period deve essere congrua con le assunzioni usate per de-
terminare il fair value degli equity instruments e non può più essere rivista. Negli altri
casi, la lunghezza del vesting period può essere rideterminata nel momento in cui in-
tervengano nuove informazioni. In questo senso se un’azienda stabilisce che il benefi-
cio sarà riconosciuto solo dopo la permanenza ininterrotta in azienda per tre anni, il
vesting period è di tre anni e il costo dovrà essere riconosciuto non tutto immediata-

311
mente alla grant date ma lungo il triennio, ripartendo il costo complessivo in ciascuno
dei tre esercizi.
Il fair value degli equity instruments da usare per determinare il corrispettivo del-
l’acquisto di beni/servizi, è stabilito come il prezzo di mercato delle azioni (o diritti di
opzione su azioni) alla data di stipula del contratto nel caso di rapporti con dipendenti
oppure nella data di ottenimento dei beni/servizi se si tratta di rapporti con soggetti
non dipendenti 8.
Quando si determina tale valore non si deve tenere conto delle vesting conditions
(diverse dalle condizioni di mercato); queste ultime intervengono per determinare la
quantità di equity instruments e non il prezzo di ciascuno. Per cui, se il beneficiario non
riesce a soddisfare le vesting conditions, il valore dei beni/servizi acquisiti potrà essere
al limite nullo. In ogni caso l’azienda deve compiere una stima del numero di equity
instruments sulla base delle vesting conditions che ci si aspetta di veder soddisfatte e
poi rivedere tale stima sulla base delle nuove informazioni circa il raggiungimento del-
le vesting conditions. Per quanto riguarda le condizioni di mercato comprese nelle ve-
sting conditions (es. raggiungimento di un prezzo delle azioni pari a X), la società ne
tiene conto per la determinazione del fair value dei beni/servizi, indipendentemente
dal fatto che la condizione di mercato sia stata raggiunta.
Successivamente alla vesting date, la società non deve più mutare l’importo del pa-
trimonio netto, anche nel caso in cui le opzioni non vengano esercitate. Al limite, si
tratterà di passare da un componente del netto ad un altro. Durante il periodo di eserci-
zio, si emetteranno le azioni per le quali l’opzione è stata sfruttata al prezzo inizialmente
pattuito, rilevando l’incremento dei mezzi propri a fronte del corrispettivo monetario.
Nel silenzio dell’IFRS 2 sarebbe poi opportuno stornare la riserva fino a quel momen-
to rilevata in contropartita al costo e girarla a posta del netto equiparabile ad un sovrap-
prezzo azioni. Se invece le opzioni non sono esercitate, nessun cambiamento andrà ope-
rato, in quanto le prestazioni lavorative sono state già effettuate.
Se il fair value degli equity instruments non può essere agevolmente determinato alla
data prevista, si devono valorizzare gli equity instruments al loro valore intrinseco alla
data in cui i servizi sono resi e considerare in ogni bilancio le variazioni nel valore in-
trinseco come differenza da imputare a Conto Economico (il valore intrinseco è dato
dalla differenza tra fair value delle azioni oggetto dell’opzione e prezzo di esercizio
dell’opzione medesima) e misurare la quantità di beni/servizi ricevuti in base al nume-
ro di equity instruments per le quali ci si aspetta che siano soddisfatte le vesting condi-

8 In molti casi non vi è un prezzo di mercato delle opzioni concesse, in quanto le condizioni sono al-
tamente specifiche per ogni tipo di accordo. Si deve quindi applicare un option pricing model che tenga
conto delle specificità del piano. In questo senso la formula di Black-Scholes-Merton potrebbe non essere
adeguata per i piani che prevedano lunghe vite delle opzioni. I modelli devono considerare il prezzo eser-
cizio, la vita dell’opzione, il prezzo corrente dell’azione, la volatilità attesa, i dividendi attesi, il tasso interes-
se risk-free, altri caratteri (es. impossibilità esercizio opzione in ogni momento della vita dell’opzione stes-
sa). Sono da escludere fattori soggettivi, che un operatore di mercato non considererebbe.

312
tions. Cambiamenti in quest’ultima stima determineranno variazioni nell’entità dei be-
ni /servizi corrispondenti.
Disposizioni più specifiche sono poi stabilite per vari casi di modifica delle origi-
nali condizioni contrattuali.

BOX 47 – Un piano di stock options


Un’azienda concorda con 500 suoi dipendenti un piano in base al quale assegnerà 100 diritti di op-
zione subordinandolo ad un service period di tre anni. Il fair value stimato delle opzioni è di 15 ciascuna.
Alla grant date, l’azienda stima che alla fine dei tre anni avranno soddisfatto la vesting condition 400 di-
pendenti (pari all’80% dei potenziali beneficiari). Prima della fine del primo periodo, dopo aver osservato
il numero di dipendenti che nel frattempo ha lasciato l’azienda, la stima viene rivista ritenendo che l’85%
dei dipendenti soddisferà la vesting conditions.
Il costo complessivo della prestazione fornita è stimato dunque pari a 500  100  0,85  15 =
637.500, di cui un terzo, pari a 212.500, sarà da addebitare al Conto Economico del primo periodo.
La rilevazione sarà dunque:

Remunerazione per bonus azionari (costo a C.E.) 212.500


Riserva assegnazione bonus azionari (S.P.) 212.500

Analoga rilevazione sarà fatta alla fine del secondo periodo, ipotizzando che nel frattempo le stime non
siano cambiate. A tal punto il costo complessivo imputato sarà di 425.000. Alla fine del terzo periodo si sup-
ponga che siano 443 i dipendenti che hanno soddisfatto le vesting conditions. Il costo da addebitare al terzo
periodo sarà dunque (100  443  15) ossia 664.500, dal quale si dovrà togliere la parte sino a quel momen-
to maturata, portando il costo da attribuire al terzo esercizio a (664.500 – 425.000 =) 239.500. La rilevazio-
ne sarà quindi:

Remunerazione per bonus azionari (costo a C.E.) 239.500


Riserva assegnazione bonus azionari (S.P.) 239.500

Vesting e non vesting conditions


Lo IASB ha precisato che le vesting conditions vanno distinte tra service conditions
(mantenimento costante del rapporto di lavoro con l’azienda per un definito periodo di
tempo) e performance conditions (raggiungimento di obiettivi gestionali, che potrebbe
includere una market condition). Tali due tipi di condizioni sono stati ritenuti come gli
unici due tipi di condizioni in presenza delle quali la società riceve un servizio dal di-
pendente.
Non sono state ritenute invece qualificarsi come vesting conditions, altre condizio-
ni per l’esercizio delle opzioni che sono state quindi riassunte nel termine non-vesting
conditions. Queste non-vesting conditions si qualificano per il fatto che non hanno ri-
ferimento all’attività prestata dal lavoratore in azienda e ai benefici da essa ritraibili.
A loro volta le non-vesting conditions sono classificate in:

313
a) non-vesting conditions per le quali né la società, né il beneficiario dell’opzione
possono influire sul loro raggiungimento (es. misura dei tassi di interesse di merca-
to, indice complessivo dei prezzi azionari, ecc.);
b) non-vesting conditions che il beneficiario può scegliere se soddisfare o meno, come
nel caso di destinazione di parte del proprio stipendio all’eventuale futuro esercizio
delle opzioni;
c) non-vesting conditions che la società può scegliere di soddisfare o meno, come nel
caso di decisione circa la continuazione del piano di stock option.
La differenza tra le suddette tipologie di non-vesting conditions ha riflessi contabili
nel caso in cui tali condizioni non siano soddisfatte. Infatti nel caso a), il mancato rag-
giungimento non ha alcun riflesso contabile. Diversamente, nei casi b) e c) il non sod-
disfacimento della condizione non-vesting comporta la cancellazione del piano, che
contabilmente implica spesare immediatamente a Conto Economico nell’esercizio in
cui avviene il mancato raggiungimento la parte residua (non ancora imputata) del co-
sto del piano determinato alla grant date.
Queste non-vesting conditions possono però influenzare il fair value della singola
opzione e come tali sono quindi da includersi alla stima compiuta alla grant date.
Si configura pertanto il seguente quadro delle condizioni presenti in un piano di
stock options.

314
VESTING CONDITIONS
NON-VESTING CONDITIONS
Performance conditions

Service conditions Raggiungimento


Raggiungimento
indipendente da Raggiungimento
Market conditions Other conditions dipendente da
società e da dipendente da società
beneficiario
beneficiario

Permanenza in servi- Prezzo di mercato Raggiungimento di Valore di un indice Pagamento per eser- Continuazione del pia-
Esempio
zio dell’azione obiettivo di reddito di borsa cizio futuro opzioni no

Influenza sul fair va-


NO SÌ NO SÌ SÌ SÌ
lue alla grant date

Riflessi contabili del Si rivede il costo del Nessun riflesso. Si Si rivede il costo del Nessun riflesso. Si Si considera come Si considera come una
non raggiungimen- piano considerando il procede con l’impu- piano considerando il procede con l’impu- una cancellazione. Il cancellazione. Il costo
to della condizione numero di opzioni e- tazione del costo lun- numero di opzioni e- tazione del costo lun- costo residuo del residuo del piano quin-
dopo la grant date e sercitabili e si imputa go il vesting period sercitabili e si imputa go il vesting period piano quindi è impu- di è imputato imme-
durante il vesting la parte residua lun- la parte residua lungo tato immediatamente diatamente a Conto E-
period go il vesting period il vesting period ri- a Conto Economico, conomico, senza spal-
rimanente manente senza spalmarlo lun- marlo lungo il vesting
go il vesting period period

293
BOX 48 – Un esempio applicativo di non-vesting conditions
Si supponga che sia emesso un piano di stock options triennale per partecipare al quale un dipenden-
te deve devolvere il 25% del proprio stipendio mensile di 4.000 euro (quindi 1.000 euro) quale importo
da pagare per l’esercizio delle opzioni. Al termine del triennio il dipendente può esercitare le opzioni. In
ogni momento il dipendente può recedere dal piano, ottenendo il rimborso di quanto versato sino a quel
momento. La società stima il valore delle opzioni concesse pari a 3.600, con quota annuale dunque pari a
1.200 da imputare a Conto Economico. Al termine del 18° mese, il dipendente recede dal piano e ottiene
quindi il rimborso di 18.000 euro, quota versata come trattenendola dallo stipendio.
Il piano presenta dunque una non-vesting condition il cui raggiungimento dipende esclusivamente dal
beneficiario (caso b) del paragrafo precedente).
La società nel primo anno farà le seguenti rilevazioni:

Rilevazione quota di competenza del costo del piano

Costo personale per stipendi C.E.) 1.200


Riserva stock options (S.P.; patrimonio netto) 1.200

Rilevazione stipendi (si suppone che sia cumulativa per l’intero anno)

Stipendi personale (C.E.) 48.000


Debiti per futuro esercizio opzioni (S.P.; debiti) 12.000
Banca (S.P.) 36.000

Nel secondo anno il dipendente recede dal piano dopo la fine del sesto mese. La cifra da lui versata in
conto stipendi al servizio del piano nel secondo anno sarà stata di 6.000 (di cui si omette la rilevazione)
che porterà l’importo totale versato a 18.000.
A quel punto l’azienda restituirà tale somma:

Debiti per futuro esercizio opzioni (S.P.; debiti) 18.000


Banca (S.P.) 18.000

e cancellerà il piano limitatamente a tale dipendente. Il costo residuo del piano (3.600 – 1.200 = 2.400)
sarà imputato integralmente a Conto Economico.

Costo personale per stipendi C.E.) 2.400


Riserva stock options (S.P.; patrimonio netto) 2.400

Il contenuto della note


In generale, secondo l’IFRS 2 si devono dare le informazioni necessarie per per-
mettere agli utenti di capire la natura e l’estensione delle SBPT esistenti nell’esercizio.
Nelle note si dovranno descrivere gli accordi che prevedono SBP esistenti durante il
periodo (vesting conditions, il metodo di regolamento, il termine per l’esercizio delle
opzioni, gli eventuali cambiamenti apportati ai piani), anche in forma aggregata se gli
accordi sono simili, il modo di determinazione del fair value dei beni/servizi ricevuti

316
(o degli equity instruments accordati, con particolare riferimento al metodo usato per
determinare il valore delle opzioni).
Si deve poi specificare il numero delle opzioni e il prezzo medio ponderato per ogni
gruppo distinguendo quelle:
– esistenti all’inizio del periodo;
– emesse nel periodo;
– esercitate nel periodo (indicando il prezzo medio ponderato di esercizio alla data di
esercizio o durante il periodo se convertite in modo regolare durante tutto l’eserci-
zio);
– scadute nel periodo;
– perse nel periodo, in quanto prive dei requisiti di assegnazione;
– esistenti alla fine del periodo (con indicazione della fascia di prezzi di esercizio e la
media ponderata della rimanente vita contrattuale);
– esercitabili alla fine del periodo.
La normativa italiana sulle stock options
Secondo l’attuale normativa italiana, per i piani di stock options non è prevista al-
cuna contabilizzazione fino al momento in cui si emetteranno le azioni per le quali è
sfruttata l’opzione, quando si avranno rilevazioni simili a quelle di un tradizionale au-
mento di capitale. Va peraltro sottolineato come esistano varie forme tecniche di remu-
nerazione su base azionaria, quali l’assegnazione gratuita di azioni a dipendenti (art.
2349 c.c.), l’emissione di azioni a dipendenti e altri collaboratori a pagamento con e-
sclusione del diritto di opzione (ex art. 2441, 8° comma). L’attribuzione di azioni agli
amministratori non dipendenti e ad altri collaboratori non legati alla società da rappor-
to di lavoro subordinato (agenti, promotori finanziari, ecc.), non rientrando nelle previ-
sioni degli artt. 2349 e 2441, 8° comma, può essere realizzata o tramite aumento di ca-
pitale con esclusione del diritto di opzione ex art. 2441, 5° e 6° comma, ovvero attra-
verso la vendita di azioni proprie o di società controllanti e controllate.
Con riferimento alle società quotate, vi sono degli obblighi informativi da fornire,
come previsto dalla Comunicazione n. 11508 del 18 febbraio 2000 della Consob (Rac-
comandazioni in merito alle informazioni riguardanti piani di stock option), con partico-
lare riferimento alle opzioni assegnate agli amministratori e ai dirigenti dell’azienda.
Sarà interessante osservare se per le aziende che applicano gli IASB la regola di
evidenziarne il costo a Conto Economico implicherà una riduzione della pratica di e-
missione dei piani di stock options, così come negli Stati Uniti molte aziende abituate
a tale procedura stanno considerando.

10.12.3. L’utile per azione

L’utile per azione è un rapporto ampiamente utilizzato dagli operatori dei mercati
mobiliari quale elemento di raffronto spaziale (tra aziende diverse) e nel tempo. Per lo
IAS 33 (Earnings per share) la determinazione di questo indice è obbligatoria.

317
Lo standard richiede la determinazione di due differenti rapporti (da presentare o
nelle note o nel prospetto delle variazioni del patrimonio netto e solo sulla base dei
dati consolidati nel caso di gruppo), ossia l’utile per azione «base» (basic EPS), ot-
tenuto rapportando l’utile netto (o perdita) 9 attribuibile alle azioni ordinarie al nu-
mero medio delle medesime azioni in circolazione e l’utile per azione «diluito» (di-
luted EPS), che consiste nel medesimo rapporto ottenuto però ipotizzando la com-
pleta conversione in azioni di tutti i titoli potenzialmente convertibili in azioni ordi-
narie (es. obbligazioni convertibili). Il principale oggetto di riferimento, dunque, è rap-
presentato in entrambi i casi dal denominatore del rapporto, ossia dal numero delle
azioni ordinarie in circolazione.
Utile «base» per azione
Nella determinazione di questo rapporto il numeratore deve rappresentare l’utile
netto attribuibile alle azioni ordinarie. Questo richiede sicuramente la deduzione dal ri-
sultato economico di periodo degli utili attribuibili alle azioni privilegiate (preferred
shares). Quanto al denominatore, in estrema sintesi 10, il numero di azioni ordinarie in
circolazione all’inizio dell’esercizio dovrà essere rettificato per tener conto di tutti gli
avvenimenti che nel corso dell’esercizio ne hanno modificato la quantità (emissione di
nuove azioni e conversione di obbligazioni come esempi di incremento del numero di
azioni in circolazione, acquisto di azioni proprie nel caso contrario), impiegando quale
elemento di ponderazione il fattore tempo. Il fattore di ponderazione temporale riflette
i giorni che un dato numero di azioni sono state in circolazione (in proporzione al nu-
mero totale di giorni dell’esercizio) fino al verificarsi di un avvenimento che ne ha mo-
dificato il numero.

BOX 49 – Determinazione dell’utile «base» per azione


Una società presenta un utile netto dell’esercizio pari a 4.350.000. Poiché l’utile base per azione è
ottenuto rapportando l’utile netto attribuibile alle azioni ordinarie dopo la deduzione degli utili spettan-
ti alle azioni privilegiate al numero medio delle azioni ordinarie in circolazione, si determina il numera-
tore del basic EPS sottraendo il dividendo attribuito alle azioni privilegiate. Ipotizzando che i dividendi
di queste ultime siano pari a 160.000, si ottiene un utile netto attribuibile alle azioni ordinarie pari a
(4.350.000 – 160.000 =) 4.190.000, numeratore del rapporto.
Per quanto riguarda il denominatore si deve calcolare il numero medio di azioni ordinarie in circola-
zione. Dal momento che la media deve essere ottenuta considerando come peso il fattore tempo, si pro-
cede anzitutto con il calcolo seguente:

9Il presente principio richiede esplicitamente di esporre l’utile base per azione e diluito anche in pre-
senza di valori negativi (perdita per azione).
10Per semplicità di esposizione si trascurano volontariamente alcune problematiche fra cui la presen-
za di azioni ordinarie parzialmente liberate o la cui emissione è subordinata al verificarsi di determinate
condizioni.

318
N. azioni ordinarie Periodo di tempo

N. azioni ordinarie all’1/1 anno «n» 3.000.000 –

Dall’1/1 all’1/3 3.000.000 2 mesi

1/3: conversione in 50.000 azioni di obbligazioni convertibili


Dall’1/3 al 30/4 3.050.000 2 mesi

30/4: emissione di 200.000 nuove azioni ordinarie, quindi:


Dal’1/5 al 30/6 3.250.000 2 mesi

1/7: acquisto di 100.000 azioni proprie (ordinarie), quindi:


Dall’1/7 al 31/12 3.150.000 6 mesi

Calcolo della media ponderata delle azioni ordinarie in circolazione nel corso dell’esercizio: (3.000.000 
2/12) + (3.050.000  2/12) + (3.250.000  2/12) + (3.150.000 6/12) = 3.125.000. Per cui avremo:

1. Utile netto attribuibile alle azioni ordinarie 4.190.000


2. Numero medio ponderato di azioni ordinarie in circolazione 3.125.000
3. EPS “base” (1/2) 1,34

Utile per azione «diluito»


Qualora l’azienda abbia concesso strumenti finanziari che potenzialmente consen-
tono al titolare di ottenere azioni ordinarie, essa è tenuta a calcolare il cosiddetto utile
per azione «diluito». La diluizione riguarda essenzialmente il denominatore del rappor-
to, ossia è necessario determinare il numero di azioni ordinarie potenzialmente in cir-
colazione ipotizzando l’esercizio di tutti i diritti che consentono di ottenere azioni or-
dinarie. L’ipotetica conversione deve essere effettuata all’inizio dell’esercizio oppure
al momento dell’effettiva emissione dei titoli, se successiva, tenendo in considerazione
anche in questo caso il fattore tempo. In presenza di obbligazioni convertibili in azioni
ordinarie, ad esempio, il numero di azioni in circolazione dovrebbe essere incrementa-
to ipotizzando la completa conversione delle obbligazioni per tutto l’esercizio o, in ca-
so di effettiva conversione nel corso dell’esercizio, esclusivamente fino a tale momen-
to (si veda esempio successivo). Con riferimento ai diritti di opzione (fra cui rientrano
ad esempio i c.d. piani di stock options) e agli altri accordi di acquisto di azioni, lo
IAS 33 richiede di considerare la diluizione esclusivamente per le azioni emesse a
fronte di un corrispettivo inferiore al valore corrente (fair value) del titolo (nel caso di
stock options in presenza di un prezzo di esercizio inferiore al valore corrente delle
azioni). In tal caso si dovrà determinare il numero di azioni che il titolare avrebbe di-
ritto a ricevere pagando il corrispettivo previsto dall’opzione ma al valore corrente
dell’azione (e non al prezzo di esercizio). Esclusivamente la parte di azioni che ecce-
dono tale numero può essere considerata emessa senza corrispettivo e, quindi, con un
potenziale effetto diluitivo. Quanto al numeratore, invece, risulta necessario rettificare
l’utile netto attribuibile alle azioni ordinarie tenendo in considerazione gli eventuali

319
risparmi di costi che si avrebbero in caso di conversione dei titoli in azioni ordinarie
(e.g. il risparmio di interessi che si avrebbe a seguito di una conversione delle obbliga-
zioni convertibili in azioni, il risparmio di dividendi nel caso di conversione delle
azioni privilegiate convertibili in azioni ordinarie, ecc.).

BOX 50 – Determinazione dell’utile «diluito» per azione


Riprendendo i dati del box 49, si supponga come ipotesi aggiuntiva che:
– le obbligazioni convertibili (500.000) erano state emesse nel mese di febbraio dell’esercizio preceden-
te («n-1») alla pari per un valore nominale di 5.000.000. Il tasso annuo di interesse riconosciuto è del
3,50% e le cedole maturano interessi semestralmente (scadenze 1 settembre e 1° marzo). Ogni 10 ob-
bligazioni il possessore ha diritto ad una azione ordinaria. Tutte le obbligazioni sono state convertite in
data 1° marzo dell’anno «n»;
– negli esercizi precedenti è stato emesso un piano di stock option che attribuisce il diritto a sottoscrive-
re, al prezzo di esercizio di 15, 200.000 azioni ordinarie a partire dall’1/1 dell’anno «n» e per tutto il
successivo esercizio «n + 1» (c.d. periodo di esercizio). Nessuna opzione viene esercitata nell’esercizio
«n». Valore medio di mercato delle azioni pari a 25.
A tal punto si consideri anzitutto l’impatto della diluizione sul numeratore, per il quale si dovrà consi-
derare il risparmio di costi connesso con l’eventuale emissione di azioni ordinarie «potenziali» (interessi
sulle obbligazioni convertibili):

Utile netto attribuibile alle azioni ordinarie (vedi supra) 4.190.000


Risparmio di interessi su obbligazioni ipotizzando la conversione a partire dall’1/1
(5.000.000  3,50%)  2/12 = 29.167 (29.167)
Utile netto attribuibile alle azioni ordinarie in presenza delle conversioni ipotizzate
4.160.833

Per il calcolo del denominatore, invece, è necessario tenere presente la possibile «diluizione» del nu-
mero di azioni ordinarie ipotizzando la conversione di tutti i titoli che consentono di modificare il numero
di azioni ordinarie in circolazione considerando, per convenzione, l’inizio dell’esercizio o, se successivo,
l’effettivo momento di emissione dei titoli che contengono questi potenziali effetti di diluizione.

Numero medio ponderato di azioni ordinarie in circolazione (v. supra) 3.125.000


Potenziale diluizione delle azioni:
– Obbligazioni convertibili, 50.000  2/12 8.334
– Stock options 80.000

Potenziale diluizione complessiva delle azioni ordinarie (80.000 + 8.334) + 88.334


Numero medio ponderato rettificato di azioni ordinarie in circolazione 3.213.340

Dove la potenziale diluizione delle azioni per effetto del piano di stock options è stata calcolata come
segue:
 prezzo che il titolare dovrebbe pagare in caso di esercizio di tutte le opzioni: 15  200.000 = 3.000.000;
 prezzo che il titolare dovrebbe pagare al valore di mercato: 25  200.000 = 5.000.000.

320
• n. azioni espresse al prezzo di mercato (5.000.000 complessivo) corrispondenti alla somma (3.000.000)
che il titolare dovrebbe pagare per l’esercizio delle 200.000 opzioni: (3.000.000/5.000.000) × 200.000
= 120.000.
• n. azioni di fatto concesse senza corrispettivo (che determinano quindi una diluizione): 200.000 –
120.000 = 80.000.
Per cui il calcolo del diluted EPS è il seguente:

a) Utile attribuibile alle azioni ordinarie in presenza delle conversioni ipotizzate 4.160.833
b) Numero medio ponderato rettificato di azioni ordinarie in circolazione 3.213.340
c) EPS «diluito» (a/b) 1,29

Disclosure richiesta dallo IAS 33


Lo IAS 33 richiede esplicitamente una serie di informazioni da presentare nelle no-
te al bilancio fra cui i valori dei numeratori utilizzati nel calcolo dei due EPS, e i pro-
spetti di raccordo fra questi e l’effettivo risultato netto dell’esercizio, nonché i due de-
nominatori impiegati e un prospetto che ne consenta il raccordo.

10.12.4. Le «riserve IAS» nel D.Lgs. n. 38/2005


Le riserve IAS derivanti dall’applicazione on going
L’art. 6, D.Lgs. n. 38/2005 e la relativa interpretazione fornita dalla Guida OIC 11
trattano, con riferimento al bilancio separato (o individuale) redatto dalle società ita-
liane che adottano i principi contabili internazionali, il problema delle plusvalenze da
valutazione non realizzate che secondo i principi IASB debbono essere iscritte:
1. in Conto Economico; oppure
2. imputate direttamente a riserva del patrimonio netto.
Le plusvalenze da valutazione di cui al n. 1 possono riguardare, come già osserva-
to, diverse poste contabili:
– attività/passività finanziarie valutate al criterio del fair value through profit and
loss previsto dallo IAS 39 (tutte le attività e passività finanziarie per le quali sia pos-
sibile stimare un fair value possono essere valutate secondo tale criterio 12 ed in
ogni caso quelle possedute per la negoziazione – «held for trading» );
– poste, di tipo «monetario», espresse in valuta diversa da quella funzionale (IAS 21);
– investimenti immobiliari ricadenti sotto l’ambito dello IAS 40, se l’azienda decide
di valutare tali beni al fair value anziché con il criterio del costo ammortizzato;

11 Guida operativa per la gestione contabile delle regole sulla distribuzione di utili e riserve ai sensi

del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38 – Guida 4.


12
Sono escluse soltanto le partecipazioni in non quotate e il cui fair value non può essere valutato in
maniera attendibile.

321
– partecipazioni valutate con il metodo del patrimonio netto (IAS 28), limitatamente
ai bilanci individuali (nel bilancio separato non è possibile applicare tale metodo);
– rimanenze di magazzino presso brokers e traders (IAS 2), valutate al fair value al
netto dei costi di vendita;
– rimanenze, successive al raccolto, di prodotti agricoli, forestali, minerari e minerali,
presso i rispettivi produttori, (IAS 2), valutate anch’esse al valore netto di realizzo.
Tra le plusvalenze da valutazione di cui al n. 2 vi possono essere, tra le altre, quelle
derivanti da:
– valutazione delle immobilizzazioni materiali e/o immateriali (rispettivamente IAS
16 e IAS 38) secondo il revaluation model, alternativo a quello del costo;
– valutazione delle attività/passività finanziarie disponibili per la vendita (classe avai-
lable for sale, prevista nello IAS 39) per le quali non sia scelto il criterio del fair
value through profit and loss;
– riserva da copertura efficace di derivato di tipo cash flow hedge;
– riserva da applicazione patrimonio netto per incrementi del netto non da utili (es.
riserve fair value);
– valutazione di un investimento netto in una gestione estera (IAS 21).
Il D.Lgs. n. 38 stabilisce all’art. 6, 1° comma, che laddove gli IAS siano adottati nel
bilancio di esercizio, non è possibile distribuire:
a) utili d’esercizio in misura corrispondente alle plusvalenze iscritte nel Conto Eco-
nomico, al netto del relativo onere fiscale e diverse da quelle riferibili agli strumenti
finanziari di negoziazione (held for trading) e all’operatività in cambi e di copertura,
che discendono dall’applicazione del criterio del fair value o del patrimonio netto. Con
le esclusioni suddette, in sostanza, i casi di utili da valutazione a Conto Economico de-
rivanti dalle regole IASB e non distribuibili per la legge italiana sembrano limitarsi ai
casi di applicazione del fair value per gli immobili civili disciplinati allo IAS 40, di va-
lutazione al fair value though profit and loss (FVTPL) di strumenti finanziari diversi
da quelli held for trading e di applicazione del metodo del patrimonio netto (eccezion
fatta per le tipologie particolari di valutazioni di magazzino al fair value sopra descritte);
b) riserve del patrimonio netto costituite e movimentate in contropartita diretta del-
la valutazione al fair value di strumenti finanziari e attività.
Per rafforzare questa cautela, al 2° comma dello stesso articolo il Decreto dispone
che «gli utili corrispondenti alle plusvalenze di cui alla lett. a), sono iscritti in una ri-
serva indisponibile. In caso di utili di esercizio di importo inferiore a quello delle plu-
svalenze, la riserva è integrata, per la differenza, utilizzando le riserve di utili disponi-
bili o, in mancanza, accantonando gli utili degli esercizi successivi. Tale riserva si ri-
duce in misura corrispondente all’importo delle plusvalenze realizzate, anche attraver-
so l’ammortamento, o divenute insussistenti per effetto di una svalutazione successiva».
Inoltre le riserve di cui al 1° comma, lett. b) e 2° sono indisponibili anche ai fini del-
l’imputazione a capitale e degli utilizzi previsti dagli articoli: 2350, 3° comma (garanzia
per utili su tracking stock); 2357, 1° comma (acquisto azioni proprie); 2358, 3° com-
ma (acquisto azioni sociali da parte dei dipendenti); 2359 bis, 1° comma (acquisto

322
azioni di società controllate e collegate); 2432 (partecipazioni agli utili di fondatori, pro-
motori, amministratori); 2478 bis, 4° comma (distribuzione utili nelle S.r.l.), del Codi-
ce Civile. In sostanza rimane la disponibilità per la sola copertura delle perdite.
Su quest’ultima forma di utilizzo, tuttavia, vi è un ulteriore cautela in quanto il suc-
cessivo comma dell’art. 6 dispone che «la riserva di cui al 2° comma può essere utiliz-
zata per la copertura delle perdite di esercizio solo dopo aver utilizzato le riserve di
utili disponibili e la riserva legale. In tale caso essa è reintegrata accantonando gli utili
degli esercizi successivi».
Infine, al 6° comma del medesimo articolo si afferma che «non si possono distri-
buire utili fino a quando la riserva di cui al 2° comma ha un importo inferiore a quello
delle plusvalenze di cui al 1° comma, lett. a), esistenti alla data di riferimento del bi-
lancio».
La disposizione è piuttosto articolata e la analizziamo distinguendo le due tipologie
di riserve individuate nell’art. 6.

a) Il caso di utili da valutazione a Conto Economico (art. 6, 1° comma, lett. a)


Si supponga il caso in cui una società industriale rediga il proprio bilancio separato
secondo gli IFRS e valuti un investimento immobiliare secondo il metodo del fair va-
lue indicato dallo IAS 40. Si supponga che il fair value a fine esercizio sia 2.000 e il
valore contabile sia 1.600. Essa dovrà dunque rilevare a Conto Economico una plusva-
lenza di 400 incrementando in contropartita il valore del cespite. Per cui l’onere fiscale
relativo è di 27,9% (IRES + IRAP) × 400 = 111,6. Tale imposta dovrà essere rilevata
secondo quanto disposto dallo IAS 12 tra le imposte differite. La plusvalenza netta «po-
tenziale» (in quanto non realizzata, ma comunque inviata a Conto Economico) è dun-
que di 288,4 (400 – 111,6). Supponiamo a questo punto tre situazioni alternative:
1. la società chiude il bilancio con utile maggiore di 288,4, ad esempio 300;
2. la società chiude il bilancio con utile inferiore a 288,4, ad esempio 200;
3. la società chiude il bilancio in perdita.
Anzitutto si è in presenza di un caso di utili da valutazione diversi da quelli riferiti
a strumenti finanziari detenuti per negoziazione, all’operatività su cambi e di copertura,
per cui opera la cautela richiesta dall’art. 6, D.Lgs. n. 38/2005. Si dovrà adottare quin-
di il seguente comportamento:
 nel caso a) si tratterà di accantonare a riserva indisponibile un importo di 288,4 e la
differenza di 11,6 (300 – 288,4) rimarrà disponibile per la distribuzione o l’accan-
tonamento ad altra riserva;
 nel caso b) si dovrà non solo accantonare a riserva disponibile l’intero utile di 200,
ma accantonare alla stessa posta anche la differenza di 88,4 (288,4 – 200), prele-
vandola da altra riserva disponibile, oppure, se queste non sono capienti, segnalan-
do (in Nota Integrativa, nel commento delle poste del netto) che nei prossimi eser-
cizi si dovrà accantonare la differenza;
 il caso c) non è affrontato direttamente dal Decreto; tuttavia chi scrive ritiene che
anche in questo caso si debba, per logica, accantonare prelevando da altra riserva,

323
tenuto conto che l’anno successivo, in presenza di utile, la plusvalenza ancora non
realizzata potrebbe essere distribuita.
In questo esempio la riserva potrà ridursi in caso di realizzo del cespite. In tal caso,
tuttavia, essa non darà origine ad un ricavo a Conto Economico, bensì, seguendo per
analogia le regole IAS (in particolare le regole previste per la riserva da rivalutazione),
visto che il Legislatore non ne parla, ad un incremento delle riserve di utili disponibili.
Supponendo infatti che il cespite venga venduto l’anno successivo per 2.500, si rileve-
rà contabilmente la plusvalenza realizzata di 500 (2.500 – 2.000) e si stornerà un im-
porto di 288,4 dalla riserva indisponibile di cui all’art. 6, 2° comma, girandolo a riser-
va disponibile di utili, parte della quale andrà ad aumentare la riserva legale in quanto
adesso l’utile + è effettivamente realizzato.
Nell’ipotesi alternativa del mantenimento del cespite in azienda con rilevazione pe-
rò di una svalutazione successiva, risulterebbe contabilmente una minusvalenza che
andrebbe a ridurre il valore del cespite e una rilevazione di imposte anticipate (o me-
glio, una riduzione di imposte differite). Si pone la questione se tale circostanza integri
gli estremi per una riduzione della riserva non distribuibile precedentemente creatasi,
fino a concorrenza della differenza tra minusvalenza e imposta anticipata. L’interpre-
tazione letterale del sopra citato art. 6, 2° comma sembrerebbe intendere che è possibi-
le ridurre la riserva. Tuttavia la Relazione Illustrativa al Decreto specifica che in caso
di minusvalenze imputate a Conto Economico per effetto di un fair value inferiore va-
le il principio «asimmetrico» tra plusvalenze e minusvalenze, «non consentendo la de-
duzione delle seconde dalla prime ai fini della quantificazione del vincolo di distribui-
bilità». Per cui solo se la svalutazione fosse indotta da altre circostanze (es. impair-
ment ai sensi dello IAS 36) essa determinerebbe la riduzione della riserva indisponibi-
le precedentemente accreditata. E siccome nel caso di applicazione del fair value negli
investimenti immobiliari (IAS 40) la procedura di impairment (IAS 36) non è applica-
bile, per l’esempio citato non vi sarebbe spazio per una riduzione della riserva indi-
sponibile da svalutazione. Non esistendo neppure l’ipotesi dell’ammortamento (il caso
dell’ammortamento non è previsto se si usa il criterio del fair value secondo lo IAS
40), l’unico frangente che consente di liberare la riserva dell’esempio è costituito dalla
cessione del cespite.
La disposizione del 6° comma dell’art. 1, secondo la quale «non si possono distri-
buire utili fino a quando la riserva di cui al 2° comma ha un importo inferiore a quello
delle plusvalenze di cui al 1° comma, lett. a), esistenti alla data di riferimento del bi-
lancio», potrebbe sembrare pleonastica dal momento che tale riserva dovrebbe essere
sempre uguale all’importo di dette plusvalenze. Vi è però il caso in cui non vi siano
utili di esercizio né altre riserve disponibili sufficienti ad accantonare a riserva indispo-
nibile l’importo corrispondente di tali plusvalenze. In tale fattispecie allora la suddetta
regola posta dal 6° comma è indispensabile al fine di impedire la distribuzione delle
plusvalenze imputate a Conto Economico (purché diverse da quelle per conversione
cambi e da valutazione strumenti finanziari). Si potrebbe peraltro ritenere che tale divie-
to sia già implicitamente contenuto nel 2° comma, ma la sua esplicitazione giova a riba-
dire il concetto. Rimane comunque arduo ipotizzare frangenti in cui si distribuiscano di-

324
videndi in situazioni dove non è stato possibile incrementare la riserva indisponibile in
quanto non vi erano utili sufficienti né riserve disponibili. Verrebbe infatti da chiedersi
che tipo di utili un’azienda potrà mai distribuire. Si presume quindi che il Legislatore
abbia inteso con il 6° comma rafforzare il tenore complessivo del divieto di distribu-
zione, più che disciplinare situazioni ove sia concreto ed effettivo pericolo di distribui-
re tali plusvalenze.
Al di là del meccanismo contabile, ci preme rilevare alcune incongruenze legate al-
la esclusione dalla previsione cautelativa dell’art. 6, 1° comma, lett. a) delle plus(mi-
nus)valenze da operatività su cambi e su strumenti finanziari di negoziazione che porta
il Legislatore a creare con questa norma una strada alquanto impervia.
Si poteva infatti scegliere di adottare gli IFRS in toto senza quindi porre alcun osta-
colo alla distribuzione degli utili corrispondenti alle plusvalenze potenziali redditua-
lizzate secondo gli IFRS. Questa prima strada sarebbe stata decisamente originale ri-
spetto al generale principio civilistico di realizzazione dei ricavi (art. 2423 bis), ma lo-
gica in chiave IFRS, come se le società adottanti gli IFRS godessero di un diritto com-
merciale «speciale», tale da permettere loro di distribuire sotto forma di utili anche
plusvalenze iscritte in contabilità che non sono state realizzate.
In alternativa, si poteva negare qualunque distribuzione di utili corrispondenti a plus-
valenze potenziali imputate a Conto Economico, imponendo la formazione della riser-
va anche per quelle derivanti da strumenti finanziari e da conversione cambi. Tale dispo-
sizione, come rigorosa interpretazione dell’impianto normativo civilistico, avrebbe ne-
gato la rilevanza sostanziale degli IAS in tema di distribuibilità del reddito, ma sareb-
be stata anch’essa logica 13.
Distinguendo invece le plusvalenze potenziali in due categorie, quelle distribuibili
e quelle non, si sono creati «figli e figliastri». Non vediamo il motivo per il quale un
utile potenziale da valutazione di strumenti finanziari abbia maggior titolo ad essere
distribuito sotto forma di dividendi rispetto ad un utile potenziale derivante dalla valu-
tazione di un immobile. Forse che i primi due (strumenti finanziari e cambi) riflettono
stime oggettive, espresse da un mercato liquido e trasparente mentre le seconde no?
Potrebbe essere. Ma si può facilmente replicare sostenendo che i primi due sono anche
estremamente volatili, mentre la valutazione di un immobile mediamente tende ad es-
sere più stabile nel tempo, seppur non fissa.

b) Il caso di utili da valutazione direttamente a riserva del netto


Si supponga invece che ad essere stato rivalutato sia stato un cespite per il quale è
stato utilizzato in bilancio il revaluation model previsto dallo IAS 16 o dallo IAS 38,
ricadendo pertanto nella previsione dell’art. 6, 1° comma, lett. b). Anche in questo ca-
so la riserva che si crea non è distribuibile. Si supponga solo che tale riserva sia rileva-
ta per un importo di 180.
Dal punto di vista contabile è opportuno utilizzare un conto diverso da quello uti-

13 Il tendenziale abbandono nella logica IAS del criterio della realizzazione è descritto anche da PIZZO, Il
fair value, cit.

325
lizzato in precedenza con riferimento alla riserva per utili da valutazione a Conto Eco-
nomico. Potrebbe essere chiamato «Riserva per utili da valutazione direttamente a pa-
trimonio netto» o nome similare. La differenza è necessaria in quanto con riferimento
a quest’ultima non opera l’ulteriore cautela di cui al 5° comma, secondo la quale «la
riserva di cui al 2° comma può essere utilizzata per la copertura delle perdite di eserci-
zio solo dopo aver utilizzato le riserve di utili disponibili e la riserva legale. In tale ca-
so essa è reintegrata accantonando gli utili degli esercizi successivi», mentre l’obbligo
di reintegro a seguito di utilizzo in chiave di copertura perdite non è previsto per la ri-
serva di cui al presente paragrafo.
La disposizione merita qualche commento a margine. Anche questo diverso tratta-
mento delle due riserve ai fini della possibilità di utilizzo per copertura della perdita
sembra strano. L’ipotesi implicita è che il Legislatore sembra ritenere la riserva di cui
al 2° comma formata da utili meno «certi» di quelli accantonati nella riserva di cui al
1° comma, lett. b), e quindi meno in grado di fronteggiare le perdite.
La regola è alquanto strana, anche perché le due riserve possono discendere da va-
lutazioni della stessa categoria. Infatti la riserva di cui al 2° comma dipende, ad esem-
pio, dalla valutazione di un immobile «civile» al fair value (ex IAS 40), mentre la ri-
serva di cui al 1° comma, lett. b), può dipendere dalla valutazione al fair value di un
immobile «strumentale» (ex IAS 16). Se è vero che la diversa destinazione di un im-
mobile può condurre verso mercati più o meno liquidi e trasparenti (ed il mercato de-
gli immobili civili lo è senz’altro di più rispetto al mercato degli immobili strumenta-
li), è anche vero che lo IAS 16 prevede che il revaluation model per un immobile
strumentale possa essere adottato solo in presenza di un «mercato attivo», e quindi non
diverso nelle logiche di formazione e diffusione dei prezzi e di svolgimento degli
scambi rispetto al mercato degli immobili civili.
Un’altra osservazione circa questa riserva. Si potrebbe ipotizzare che la riserva di
cui al 1° comma, lett. b) non possa ridursi per effetto di ammortamento o realizzo del
cespite la cui rivalutazione ne ha determinato l’insorgere, motivando tale supposizione
con il fatto che il Legislatore non disponga per tale riserva la stessa regola prevista per
la riserva di cui al 2° comma. Tale interpretazione non sembra corretta. Ci sembra in
realtà che il Legislatore abbia ritenuto necessario specificare le regole di movimento
della riserva di cui al 2° comma in quanto per gli IAS tali regole non esistono, dal mo-
mento che gli utili da plusvalenze inviate a Conto Economico non generano una riser-
va. Al contrario, per la riserva da rivalutazione diretta di beni (vedi revaluation mo-
del), di cui al 1° comma, lett. b), è già lo IAS 16, par. 41, (o lo IAS 38) a fornire le re-
gole di riduzione, che si verificano infatti a seguito di ammortamento o realizzo diretto
del cespite oppure in caso di svalutazione successiva. Inoltre, il successivo art. 7, 2°
comma, sia pure riferito ai casi di FTA, prevede proprio per le riserve da applicazione
del revaluation model movimentazione analoga a quella delle riserve di cui all’art. 6,
2° comma. Da questo punto di vista pertanto l’ipotesi suddetta non sembra valida, ap-
parendo razionale, stavolta, il comportamento del Legislatore.
Si segnala che con la modifica introdotta dal D.Lgs. n. 139/2015, è stato aggiunto il
n. 11 bis) all’art. 2426 ed in esso, con riferimento alla «riserva per copertura flussi fi-
nanziari» connessa a derivati di copertura cash flow hedge, si stabilisce che «le riserve

326
di patrimonio che derivano dalla valutazione al fair value di derivati utilizzati a coper-
tura dei flussi finanziari attesi di un altro strumento finanziario o di un’operazione pro-
grammata non sono considerate nel computo del patrimonio netto per le finalità di cui
agli articoli 2412, 2433, 2442, 2446 e 2447 e, se positive, non sono disponibili e non
sono utilizzabili a copertura delle perdite».
Le riserve IAS derivanti dalla fase di transizione
L’art. 7, D.Lgs. n. 38/2005 disciplina i casi in cui dalla prima applicazione delle re-
gole IASB derivino variazioni di patrimonio netto. Tali variazioni potrebbero infatti sor-
gere con il bilancio (di esercizio) di apertura che deve essere redatto secondo i criteri
dello IASB, come stabilito dall’IFRS 1. Sono previsti diversi casi:

 2° comma: «Le riserve da valutazione relative agli strumenti finanziari disponi-


bili per la vendita (inserite quindi nella classe available for sale di cui allo IAS 39) e
alle attività materiali e immateriali valutate al valore equo (fair value) in contropartita
del patrimonio netto hanno il regime di movimentazione e indisponibilità previsto per
le riserve di cui all’art. 6, 1° comma, lett. b)» 14. Ci si riferisce all’eventuale rilevazio-
ne di plusvalenze conseguenti la first time adoption (FTA) quando, anziché il prece-
dente regime del costo, sia previsto (o si scelga, se permesso) in base agli IAS la con-
tabilizzazione al fair value. Le regole di movimentazione di cui all’art. 6, 1° comma,
lett. b), sono state discusse nel paragrafo precedente e ad esse si rinvia. In sostanza è
come se il Legislatore prevedesse che la riserva creatasi con la FTA si movimenti co-
me la riserva generatasi a seguito dell’applicazione a regime degli IFRS;
 3° comma: «Il saldo delle differenze positive e negative di valore relative agli
strumenti finanziari di negoziazione e all’operatività in cambi e di copertura è imputa-
to alle riserve disponibili di utili». Regola logica questa, tenuto conto che anche negli
esercizi successivi alla FTA tali plusvalenze sono escluse dall’attrazione nella riserva
indisponibile, come discusso in precedenza;
 4° comma: «L’incremento patrimoniale dovuto al ripristino del costo storico del-
le attività materiali ammortizzate negli esercizi precedenti quello di prima applicazio-
ne dei principi contabili internazionali e che per i principi contabili internazionali non
sono soggette ad ammortamento è imputato alle riserve disponibili di utili». Questa
fattispecie si riferisce ad esempio al caso in cui da un immobile strumentale sia stato
scorporato contabilmente il terreno su cui sorge, come specificato dallo IAS 16. Si
rende infatti necessaria la component analysis per gli elementi significativi aventi vita
utile diversa che sono in precedenza inclusi in un unico conto. Dal momento che il ter-
reno da costruzione ha una vita utile indefinita, limitatamente ad esso non avrebbe do-
vuto compiersi l’ammortamento. Si rinvia al box 11 per un esempio;
 5° comma: «L’incremento patrimoniale dovuto all’insussistenza di svalutazioni

14La Guida 4 dell’OIC inserisce in tale gruppo anche la riserva da applicazione del metodo del patri-
monio netto e la riserva per cash flow hedge.

327
e accantonamenti per rischi e oneri iscritti nel Conto Economico degli esercizi prece-
denti quello di prima applicazione dei principi contabili internazionali è imputato alle
riserve disponibili di utili».
Tale è il caso di fondi spese manutenzione che non rispondono ai requisiti dello
IAS 37, in quanto non dipendono dall’esistenza di una obbligazione legal o construc-
tive. La rilevazione contabile in questo caso prevedrà la riduzione del fondo a fronte del-
l’accredito della riserva.
Ai fini delle imposte differite si possono generare due situazioni:
1. se l’accantonamento al fondo che viene ridotto a seguito della FTA non era stato
riconosciuto deducibile, adesso eliminandolo non si fa altro che allineare il suo va-
lore fiscale (pari a zero) e quello di bilancio. Se tale accantonamento aveva genera-
to imposte anticipate nel bilancio «italiano», queste adesso andranno stornate ridu-
cendo quindi l’incremento di riserva disponibile;
2. se, al contrario, l’accantonamento era stato dedotto fiscalmente, in sede di FTA lo
storno del fondo implica l’insorgere di imposte differite passive;
 6° comma: «L’incremento patrimoniale dovuto alla iscrizione delle attività ma-
teriali al valore equo (fair value) quale sostituto del costo è imputato a capitale o a una
specifica riserva. La riserva, ove non venga imputata al capitale, può essere ridotta sol-
tanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi 2° e 3° dell’art. 2445 c.c. In caso
di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non si può fare luogo a distribu-
zione di utili fino a quando la riserva non è reintegrata o ridotta in misura corrispon-
dente con deliberazione dell’assemblea straordinaria, non applicandosi le disposizioni
del 2° e 3° comma dell’art. 2445 c.c.».
Questa disposizione opera laddove l’azienda che adotta gli IFRS iscriva tali beni
nel bilancio di apertura al fair value, così come permesso dall’IFRS 1. In questo caso,
se ne deriva un incremento patrimoniale del valore del bene, questo dovrà essere iscritto
a riserva del netto (assoggettata a forti vincoli circa la sua riduzione, equiparandola in
sostanza a capitale sociale) o a capitale. Appare criticabile la scelta del Legislatore di
permettere in questo caso l’imputazione a capitale di detta riserva, dove al contrario,
ciò non è permesso nel caso della riserva di cui all’art. 6, 1° comma, lett. b) e 2° com-
ma, come sopra esaminato, nonostante le motivazioni che ne hanno determinato l’insor-
gere siano identiche. Quantomeno ci saremmo aspettati, come richiesto anche dall’OIC
nel commento citato, che il Legislatore richiedesse la perizia giurata di cui all’art.
2343 prima di imputare a capitale. Anche in questo frangente si genera discrasia tra le
società che adottano gli IAS e quelle assoggettate alla normativa civilistica;
 7° comma: «Il saldo delle differenze positive e negative di valore sulle attività e
passività diverse da quelle indicate ai commi dal 1° al 6° è imputato, se positivo, a una
specifica riserva indisponibile del patrimonio netto. Negli esercizi successivi la riserva
si libera per la parte che eccede le differenze positive sussistenti alla data di riferimen-
to del bilancio».

Si tratta di una disposizione residuale, volta a tutelarsi da ogni altro tipo di differenza
di transizione, come nel caso del plusvalore che le società che adottavano il LIFO rileve-

328
ranno nel momento in cui passeranno al FIFO o al costo medio ponderato o il maggior
valore derivante dalla capitalizzazione di costi di sviluppo altrimenti spesati. Permane
in questo caso il dubbio sul perché in questo caso non si utilizzi una riserva disponibi-
le di utili, profilo più coerente con la logica retroattiva prevista dalle regole IASB (e in
particolare dall’IFRS 1) e riconosciuto valido dal nostro Legislatore in altri punti del
Decreto (come i sopra esaminati 3°, 4° e 5° comma dell’art. 7) 15.
Secondo la Guida OIC 4 le altre riserve di transizione previste dalle varie regole
degli IFRS ma che non sono specificamente contemplate dal D.Lgs. n. 38, sono comun-
que regolate dal 7° comma, come la riserva stock option (IFRS 2), la riserva per uti-
li/perdite attuariali (IAS 19), la riserva per strumenti finanziari combinati (IAS 39), la
riserva per ripristino del valore dell’avviamento (IFRS 3), la riserva per fair value as
deemed cost su partecipazioni (ammessa dallo IAS 27). Il funzionamento a regime di
tali riserve, però, non è disciplinato dall’art. 6 del D.Lgs. n. 38 e la Guida OIC 4 non
se la sente, su tale questione, di prendere alcuna posizione.

15 La Guida 4 OIC precisa che può trattarsi:


– di attività e passività non iscritte nei bilanci italiani ma che alla transizione dovranno apparire nei
bilanci IFRS, come beni in leasing (che non possono ancora essere iscritti bei bilanci italiani, imposte an-
ticipate non rilevate in precedenza mancando la ragionevole certezza, attività immateriali non rilevate
precedentemente (come gli intangibles specifici sorti a seguito di business combinations), crediti rimossi
nei bilanci italiani e da ripristinare secondo le regole IFRS e relativi debiti eventualmente collegati;
– di attività e passività iscritte a valore diverso nei bilanci italiani, come rimanenze (che se erano va-
lutate al LIFO devono passare ad altro criterio), rimanenze attività biologiche (dal costo al fair value se-
condo lo IAS 2), commesse che prima erano al costo e secondo lo IAS 11 passano al ricavo maturato in
base alla percentuale di avanzamento lavori, fondo TFR, immobili IAS 40 (che dal costo ammortizzato
«italiano» possono passare al fair value secondo lo IAS 40.

329
330
11
I fondi per rischi e oneri ed il TFR

SOMMARIO: 11.1. Definizione e classificazione. – 11.1.1. Profili generali di contabilizzazione e


valutazione. – 11.2. Fondi di quiescenza ed obblighi simili. – 11.3. Fondi per imposte. – 11.4. Pas-
sività potenziali e fondi rischi. – 11.4.1. Fondi rischi per contenziosi. – 11.4.2. Fondi rischi per
garanzie prestate. – 11.4.3. Fondi rischi su crediti ceduti. – 11.5. Fondi per oneri (fondi spese). –
11.5.1. Fondi garanzia prodotti. – 11.5.2. Fondi prepensionamenti e ristrutturazioni aziendali. –
11.5.3. Fondi spese manutenzione. – 11.5.4. Fondi operazioni e concorsi a premio. – 11.5.5. Fondi
bonifiche e rischi ambientali. – 11.5.6. Fondi copertura perdite di società partecipate. – 11.5.7.
Fondi manutenzione e ripristino dei beni gratuitamente devolvibili e dei beni d’azienda ricevuti in
affitto. – 11.6. Il trattamento di fine rapporto lavoro subordinato. – 11.7. Le informazioni in Nota
Integrativa. – 11.8. Le regole IASB. – 11.8.1. I fondi del passivo. – 11.8.2. Il trattamento del fondo
TFR secondo le regole IASB.

11.1. Definizione e classificazione


Nella classificazione contenuta nello Stato Patrimoniale, i fondi per rischi ed oneri
sono riepilogati alla voce B del passivo e consistono in fondi:
1. per trattamento di quiescenza ed obblighi simili;
2. per imposte, anche differite;
3. strumenti finanziari derivati passivi;
4. altri.
Per l’analisi dei fondi sub B.3, «strumenti finanziari derivati passivi», per omoge-
neità di trattazione, si rinvia al capitolo 14.
Nella classe C) del passivo patrimoniale è compresa una voce soltanto, ossia, il
fondo per trattamento di fine rapporto per il lavoro subordinato, mentre gli altri fondi
per indennità di fine rapporto sono da includere nella voce B.1).
Nel Conto Economico, nella voce B.12 devono essere collocati i costi dovuti ad
«accantonamenti per rischi» e nella voce B.13 i costi per «altri accantonamenti», men-
tre nella voce B.9.c) va incluso il costo per TFR per lavoro subordinato. L’OIC 31 sta-
bilisce che i costi per accantonamenti ai fondi rischi e oneri sono iscritti fra le voci
dell’attività gestionale a cui si riferisce l’operazione (caratteristica, accessoria, finan-
ziaria o straordinaria) dovendo prevalere il criterio della classificazione «per natura»
dei costi, per cui gli accantonamenti per rischi e oneri relativi all’attività finanziaria

331
sono iscritti nella classe C del Conto Economico. Ad esempio, un accantonamento per
perdite stimate su strumenti finanziari è rilevato nella gestione finanziaria alla voce
C17 o C17-bis o nel caso di un contenzioso con fornitori di materie, l’accantonamento
è rilevato tra i costi per materie alla voce B.6.

All’art. 2424 bis il legislatore civile precisa che «gli accantonamenti per rischi ed
oneri sono destinati a coprire soltanto perdite o debiti di natura determinata, di esisten-
za certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell’esercizio sono indeterminati o
l’ammontare o la data di sopravvenienza».
Nella Nota Integrativa (art. 2427, 1° comma, n. 4, c.c.), si richiede di illustrare le
variazioni che hanno subito nel corso dell’esercizio le voci dell’attivo e del passivo,
con particolare evidenza degli utilizzi e degli accantonamenti relativi ai fondi citati.

Il documento n. 31 dell’OIC («I fondi per rischi e oneri e trattamento di fine rap-
porto»), fornisce interpretazioni delle regole civilistiche.
Questi fondi derivano dagli accantonamenti destinati a coprire costi o debiti futuri
di natura determinata, di esistenza certa o probabile, ma indeterminati nell’ammontare
e/o nella data di sopravvenienza.
I fondi si compongono di due rilevanti sottoclassi:
 i fondi per oneri, intesi come fondi destinati a coprire uscite future di competenza
economica dell’esercizio, certe nell’esistenza ma alla data del bilancio ancora inde-
terminate nell’ammontare (che risulta quindi solo stimabile) e/o nella data di so-
pravvenienza;
 i fondi per rischi, destinati a coprire le passività potenziali secondo la dizione uti-
lizzata nell’OIC 31, ossia spese o perdite che probabilmente (ma non sicuramente,
a differenza dei precedenti) si verificheranno in futuro ma che traggono origine da
eventi specifici relativi all’esercizio in chiusura o a quelli passati. A maggior ragio-
ne, tali voci sono indeterminate nell’ammontare e/o nella data di sopravvenienza.
Sono invece esclusi da questa classe i fondi contabili aventi natura rettificativa di
poste dell’attivo (fondi ammortamento, fondi svalutazione), i fondi costituiti per fron-
teggiare rischi generici, i fondi che accolgono accantonamenti per oneri o perdite deri-
vanti da eventi avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio e relativi a situazioni che non
erano in essere alla data di bilancio. L’iscrizione in bilancio di tali tipi di fondi non è
ammessa.

11.1.1. Profili generali di contabilizzazione e valutazione


Sotto l’aspetto contabile, ogni qualvolta si costituisce un fondo rischi oppure un
fondo spese, si stanzia a Conto Economico un costo per accantonamento a fronte del-
l’accreditamento del fondo da inviare nel passivo patrimoniale. Successivamente alla
costituzione e all’eventuale accrescimento (riduzione) per intensificarsi (attenuarsi) delle
perdite temute, il fondo andrà utilizzato nel momento in cui si verifica il danno per il

332
quale era stato stanziato, oppure andrà stornato dalla contabilità se tale evento non si
verificherà.
L’entità dell’accantonamento ai fondi è determinata dalla miglior stima dei costi al-
la data di bilancio, ivi incluse le spese legali determinabili in modo non aleatorio ed
arbitrario, necessari per fronteggiare la sottostante passività, certa o probabile. La misu-
razione degli accantonamenti ai fondi potrebbe non portare a definire un importo pun-
tuale e preciso. Tuttavia, in linea generale, si può comunque determinare un campo di
variabilità di valori dove l’accantonamento rappresenterà la migliore stima fattibile tra
i limiti massimi e minimi del campo di variabilità dei valori determinati.
La stima degli accantonamenti, quindi, può richiedere particolari conoscenze ed
esperienze. In questi casi, tra gli elementi utili per la valutazione complessiva della
congruità del fondo, potrà rendersi necessario secondo l’OIC 31:
– conseguire specifiche conoscenze della situazione di rischio ed incertezza in essere;
– elaborare statistiche per operazioni similari e serie storiche di accadimento in simi-
lari fattispecie;
– acquisire il supporto di pareri di consulenti esterni (ad esempio, pareri legali per
una stima dell’esito della causa in situazioni di contenzioso in corso);
– disporre di tutti quegli altri elementi pertinenti che consentono di effettuare una
stima ragionevolmente attendibile.
L’acquisizione di maggiori informazioni od esperienza in merito a presupposti o
fatti sui quali era fondata la stima originaria dell’accantonamento, richiede un aggior-
namento della stima stessa, con possibili rettifiche ai valori precedenti e/o al processo
di stima. È insito nello stesso concetto di fondo per rischi e oneri, un normale e ricor-
rente aggiornamento dei relativi valori. Considerato, inoltre, che i fondi rappresentano
valori stimati, le eventuali rettifiche che emergono dall’aggiornamento della congrui-
tà dei fondi non rappresentano correzioni di precedenti errori, ma sono dei cambia-
menti di stime i cui effetti sono rilevati nel Conto Economico, di regola, come compo-
nenti ordinarie.
L’OIC 31 stabilisce che nel caso si manifestino eventi dopo la chiusura dell’eserci-
zio, ma prima della formazione del bilancio, che evidenziano condizioni che già esi-
stevano alla data di bilancio, e che richiedono quindi modifiche al fondo iscritto, oc-
corre modificare il bilancio per tenere conto di tali effetti.
Interpretando estensivamente la modifica introdotta dal D.Lgs. n. 139/2015 circa il
criterio della attualizzazione per crediti e debiti, l’OIC 31 ha previsto quale novità la
possibilità che i fondi possano essere attualizzati, qualora ricorrano le seguenti circo-
stanze:
– si è in presenza di un fondo oneri, quindi alla data di bilancio esiste un’obbligazio-
ne certa, in forza di un vincolo contrattuale o di legge;
– è possibile operare una stima ragionevolmente attendibile dell’esborso connesso
all’obbligazione e della data di sopravvenienza;
– la data di sopravvenienza è così lontana nel tempo da rendere significativamente
diverso il valore attuale dell’obbligazione e la passività stimata al momento dell’e-
sborso.

333
Si rinvia al par. 11.8.1 per alcuni esempi contabili sul criterio del valore attuale dei
fondi.

In presenza di rischi assicurati, l’eventuale diritto al rimborso (ad esempio da parte


di una compagnia di assicurazione) delle passività a fronte delle quali sono stati effet-
tuati accantonamenti ai fondi è rilevato in bilancio tra i crediti nella voce CII5 «verso
altri», quando sono soddisfatti i requisiti per essere iscritto come attività. La contro-
partita di Conto Economico è rilevata nella stessa area in cui era stato rilevato l’origi-
nario accantonamento.
I fondi per rischi e oneri non sono oggetto di attualizzazione.

Le eventuali eccedenze dei fondi spese e dei fondi rischi, dopo che è venuto meno
il motivo che ne aveva determinato lo stanziamento, rappresenteranno delle sopravve-
nienze attive, da inviare a Conto Economico tra i ricavi nella stessa area ove era stato
collocato il costo per accantonamento. Ad esempio tale voce di ricavo debba essere
collocata nella voce A.5, quando l’accantonamento sia stato precedentemente inserito
nell’aggregato B.

11.2. Fondi di quiescenza ed obblighi simili


Tali fondi (da riepilogarsi alla voce B.1 del passivo dello Stato Patrimoniale) ac-
colgono accantonamenti che l’azienda effettua per corrispondere in futuro indennità di
fine rapporto o pensioni integrative a propri collaboratori. Pertanto essi fronteggiano
uscite future certe nell’esistenza ma indeterminate nell’ammontare e nella data di sca-
denza, in quanto condizionate da eventi futuri quali la durata del rapporto lavorativo
con i vari soggetti interessati. Gli importi degli accantonamenti annuali sono comun-
que stimabili con buona approssimazione derivando dalle regole stabilite nei contratti
di lavoro.
I fondi in parola differiscono dal fondo indennità di fine rapporto a personale di-
pendente obbligatorio ex art. 2120 c.c., riepilogato in bilancio alla voce C del passivo
dello Stato Patrimoniale. Tali fondi quindi consistono in:
 fondi a favore di dipendenti quali fondi pensione o fondi per indennità di fine
rapporto integrative di quella obbligatoria per legge;
 fondi indennità a collaboratori non legati da rapporto di lavoro dipendente. In
particolare questi ultimi sono prevalentemente riferiti a due classi di soggetti: i colla-
boratori coordinati e continuativi e gli agenti e rappresentanti. Tra i fondi indennità a
collaboratori coordinati e continuativi il fondo per indennità di fine rapporto degli
amministratori costituisce una fattispecie rilevante. Questa forma di remunerazione
per gli amministratori, da istituirsi su base volontaria, ha avuto una diffusione crescen-
te per lo sviluppo di pratiche di remunerazione integrativa a favore di soggetti stretta-
mente coinvolti nella gestione aziendale e spesso coincidenti con gli stessi proprietari.

334
Nei confronti dei rappresentanti può esistere il fondo indennità suppletiva di clien-
tela, da corrispondere agli agenti commerciali quando il contratto di agenzia (con o
senza rappresentanza) si scioglie per fatto non imputabile all’agente, non dovuto quin-
di, come specifica l’art. 1751 c.c., a comportamenti adottati dall’agente che configuri-
no una grave inadempienza contrattuale, una rescissione contrattuale o una cessione
dell’agenzia ad un sub-agente. L’importo da accantonare viene normalmente determi-
nato sulla base di determinate percentuali delle vendite procurate dal rappresentante
nel corso dell’esercizio e trova negli accordi collettivi ulteriori specificazioni.

Nel Conto Economico gli accantonamenti ai fondi per trattamento di quiescenza ed


obblighi simili riferiti a personale dipendente sono rilevati alla voce B.9.d. Si rilevano,
invece, alla voce B.7 gli altri accantonamenti relativi a trattamenti di fine rapporto, di-
versi da quelli di lavoro subordinato, come, ad esempio, gli accantonamenti ai fondi
indennità suppletiva di clientela, ai fondi indennità per la cessazione di rapporti di
agenzia e rappresentanza, ed ai fondi di indennità per la cessazione di rapporti di col-
laborazione coordinata e continuativa.

11.3. Fondi per imposte

I fondi per imposte inseriti nel gruppo B del passivo patrimoniale possono consiste-
re nel fondo imposte differite oppure nei fondi per contenziosi tributari. Per l’analisi
del fondo imposte differite si rinvia al capitolo 13. In questa sede invece, si commenta
il fondo per rischi fiscali.
Il rischio fiscale consiste nella possibilità che un’azienda debba essere obbligata a
versare all’erario un tributo maggiore di quello già imputato come costo. Tale tributo
può riferirsi alle diverse tipologie di imposte e tasse. Generalmente la percezione di
questo rischio avviene con l’insorgere di un contenzioso con l’amministrazione finan-
ziaria.
Tuttavia, affinché possa essere stanziato un fondo rischi fiscali è necessario non so-
lo che sia probabile il sostenimento di un onere futuro ma anche che l’importo del
«danno» temuto possa essere ragionevolmente stimato.
Contabilmente il fondo rischi dovrà essere costituito nell’esercizio nel quale il ri-
schio di maggiori oneri fiscali si manifesta. L’utilizzazione del fondo stesso avverrà
nel momento in cui l’evento temuto sfocerà in un effettivo esborso per l’azienda oppu-
re quando sarà comunque cessata la probabilità del futuro pagamento.
In bilancio il costo per accantonamento a fondo rischi confluirà nel Conto Econo-
mico nella voce 20, sia se riferito ad imposte di probabile competenza dello stesso
esercizio nel quale l’accantonamento è operato, sia se riferito ad imposte relative ad
esercizi passati ma ancora soggetti ad accertamento da parte dell’Amministrazione fi-
nanziaria. Nello Stato Patrimoniale, in ogni caso, il fondo sarà riepilogato nel passivo,
sotto la voce B.2.

335
11.4. Passività potenziali e fondi rischi
Le aziende sono sottoposte continuamente a situazioni di incertezza circa l’esito di
eventi futuri che possono comportare l’insorgere di perdite o passività (passività po-
tenziali). Quando questi eventi si riferiscono a situazioni specifiche, non attinenti quindi
alla generale attività aziendale, e derivano da operazioni compiute nell’esercizio, può
originarsi la necessità di costituire appositi fondi rischi.
Al riguardo, seguendo l’impostazione del OIC 31 è determinante stabilire una clas-
sificazione dei rischi (cioè delle possibilità di eventi negativi) in base a due parametri:
 la probabilità di realizzazione dell’evento temuto. L’OIC 31 individua tre grada-
zioni:
– eventi probabili (con una probabilità di verifica superiore al 50%), tale da far ri-
tenere ad una persona prudente più probabile la verifica dell’evento rispetto al
caso contrario;
– eventi possibili, quando il grado di verifica dell’evento futuro è inferiore al pro-
babile. Si tratta dunque di eventi contraddistinti da una ridotta probabilità di so-
pravvenienza;
– eventi remoti, quando ha scarsissime possibilità di verificarsi; ossia, potrà acca-
dere solo in situazioni eccezionali;
 la possibilità di stimare il danno derivante, distinguendo quindi gli «stimabili» dai
«non stimabili».
Incrociando questi criteri, si ottengono diverse combinazioni.
 1. I rischi giudicati probabili (in base alle informazioni disponibili al termine
dell’esercizio) e i cui danni sono stimabili con sufficiente ragionevolezza determinano
l’insorgere di fondi rischi, riepilogati in bilancio nella voce B.4 dello Stato Patrimo-
niale (a meno che il rischio sia così rilevante da richiedere l’enucleazione in voce au-
tonoma) e con contropartita un costo da inserire nella voce B.12 («accantonamenti per
rischi»). L’accantonamento deriva dalla scelta di un valore all’interno di un campo di
oscillazione dato da un minimo e da un massimo di perdite stimabili. Se nessuna indi-
cazione ulteriore fa propendere per un valore preciso, deve stanziarsi almeno il valore
minimo di questo intervallo. Lo stanziamento deve includere le eventuali spese legali
ed altri costi accessori originati dalla situazione temuta. In Nota Integrativa va com-
mentata la situazione di incertezza e l’ammontare dello stanziamento ed il rischio di
perdite superiori alla somma stanziata.
 2. Se l’evento è probabile ma la perdita non è stimabile, o se l’evento è possibile
(indipendentemente dalla possibilità di stimare il danno), nessun fondo deve compari-
re in bilancio, ma la Nota Integrativa deve contenere le indicazioni necessarie per va-
lutare gli eventuali riflessi di tale rischio ed in particolare la descrizione della situazio-
ne incerta, l’indicazione dell’impossibilità di stimare il danno, il parere della direzione
e dei suoi consulenti o legali. Queste situazioni potrebbero consistere in casi in cui il ve-
rificarsi di determinati fenomeni ambientali, meteorologici o politici comporti perdite
per l’azienda.

336
 3. Se l’evento è remoto (sia esso stimabile o meno) nessuna informazione deve
essere fornita, neppure in Nota Integrativa.

Caratteri del rischio Misurabili Non misurabili


Probabili Fondo in bilancio Informazione nelle note
Possibili Informazione nelle note Informazione nelle note
Remoti Nessuna informazione Nessuna informazione

Tipici esempi di fondi rischi sono i fondi rischi per contenziosi, i fondi rischi per
garanzie prestate e quelli per rischi su crediti ceduti.

11.4.1. Fondi rischi per contenziosi


I vari contenziosi nei quali la società è coinvolta come soggetto passivo e che pos-
sono originare esborsi a titolo di penalità, transazioni, risarcimenti per danni, ecc. de-
vono originare accantonamenti ad appositi fondi solo se, alla luce di quanto sopra de-
scritto, l’esito sfavorevole del contenzioso è ritenuto probabile. Tali sono i contenziosi
con fornitori, clienti o altri soggetti (autorità pubbliche, enti previdenziali soggetti pri-
vati). Sono esclusi da questa categoria i contenziosi fiscali, che se comportano perdite
probabili e stimabili, sono accolti nei fondi di cui al par. 11.3.
Considerando i tempi spesso lunghi per la definizione dei contenziosi, la stima di
tali fondi deve essere periodicamente riesaminata sulla base di una adeguata cono-
scenza delle situazioni specifiche, dell’esperienza passata e di ogni altro elemento uti-
le, inclusi i pareri di esperti, che permetta di tenere in adeguato conto il prevedibile
evolversi del contenzioso.
Si deve rilevare che nella pratica non è frequente vedere fondi per contenziosi chia-
ramente descritti in Stato Patrimoniale e nella Nota Integrativa per due motivi:
– da un lato, soggiacendo la loro iscrizione al requisito della probabilità superiore al
50%, un lettore del bilancio potrebbe ritenere che la contabilizzazione di tali fondi
equivalga ad una implicita ammissione di responsabilità da parte dell’azienda che
si presenta come soccombente in giudizio, dal momento che ritiene più probabile
l’esborso per risarcimento;
– dall’altro lato, la presenza evidente di fondi per contenziosi con clienti, fornitori e
dipendenti, può danneggiare la complessiva immagine aziendale, oltre a imporre la
divulgazione di informazioni che possono avere valore competitivo.

11.4.2. Fondi rischi per garanzie prestate


Una società può assumere rischi per garanzie prestate direttamente o indirettamen-
te. Al riguardo, l’art. 2424, 3° comma, c.c. richiede che in calce allo Stato Patrimonia-
le devono risultare le garanzie prestate direttamente o indirettamente, oltre ad altre in-
dicazioni (si veda cap. 9). Le disposizioni del suddetto articolo non disciplinano il di-

337
verso trattamento contabile qualora il rischio ed i potenziali oneri di escussione della
garanzia siano probabili, piuttosto che possibili o remoti.
Tuttavia, qualora la perdita sia probabile, occorre valutare il rischio ed i potenziali
oneri di escussione della garanzia al fine di iscrivere, ove ne ricorrano i presupposti,
un apposito fondo rischi. Esempi di garanzie comunemente rilasciate riguardano le fi-
dejussioni, avalli, altre garanzie personali e reali, ed altre obbligazioni similari.

11.4.3. Fondi rischi su crediti ceduti


Qualora a seguito della cessione dei crediti siano stati trasferiti sostanzialmente tut-
ti i rischi inerenti il credito ma rimangano in capo al cedente taluni rischi minimali, la
società cedente rileva un apposito fondo alla voce B.4 del passivo. I conti d’ordine
danno evidenza dei rischi a cui la società continua ad essere esposta successivamente
allo smobilizzo dei crediti ma con probabilità tali da non imporre l’accantonamento di
un fondo. L’iscrizione dell’accantonamento nel Conto Economico è effettuata alla vo-
ce B.12) «accantonamenti per rischi».

11.5. Fondi per oneri (fondi spese)


I fondi per oneri sono comunemente noti nel gergo ragionieristico come «fondi spe-
se», destinati a coprire cioè uscite future di competenza economica dell’esercizio, cer-
te nell’esistenza (a differenza dei fondi rischi) a ma di importo e/o data di sopravve-
nienza ancora indeterminata.

11.5.1. Fondi garanzia prodotti


Il fondo garanzia prodotti (da riepilogarsi alla voce B.4 del passivo dello Stato Pa-
trimoniale) è destinato a coprire le spese che si manifesteranno a seguito delle ripara-
zioni e/o sostituzioni dovute nel periodo di garanzia su prodotti venduti dall’azienda.
In relazione all’estendersi delle durate delle garanzie si può comprendere come il fe-
nomeno assuma un’importanza crescente.
Dal punto di vista teorico, questo fondo assume in parte anche natura di fondo «ri-
schi», dal momento che non è detto che l’intervento in garanzia si renda necessario.
Il costo (per accantonamento) va stanziato «al momento in cui viene riconosciuto il
ricavo del prodotto venduto». L’accantonamento effettuato nell’esercizio della vendita
deve prevedere i costi relativi alla garanzia anche relativi ai successivi esercizi ai quali
eventualmente si estende la garanzia contrattuale. Non esistono comunque regole pre-
cise riguardanti l’entità degli accantonamenti; l’OIC 31 richiede che tale stima sia ef-
fettuata sulla base dell’esperienza del passato e di elaborazioni statistiche che tengano
conto dei vari elementi pertinenti (costo di assistenza per tipo di prodotto, tipo di gua-
sti, ecc.).
Proprio per tale incertezza, il documento precisa che periodicamente devono essere
riesaminati i fondi stanziati alla luce dei fatti recenti, apportando modifiche se necessario.

338
11.5.2. Fondi prepensionamenti e ristrutturazioni aziendali
Durante la gestione aziendale, può rendersi necessario procedere ad una profonda
ristrutturazione dovuta ad un mutamento di strategia aziendale. Tali strategie sono pre-
valentemente deliberate per fronteggiare situazioni di crisi.
Tuttavia non sono rari casi nei quali, pur in assenza di crisi aziendali, i vertici deci-
dano di concentrarsi su determinate aree di affari, disimpegnandosi dalle altre. Queste
ristrutturazioni comportano generalmente la cessione di interi rami di azienda, stabili-
menti, reparti produttivi. A seguito di tali dismissioni l’azienda si trova costretta a so-
stenere ulteriori oneri definibili come «costi di uscita». Questi oneri possono essere sia
connessi alla dismissione dei fattori produttivi pluriennali (abbattimento di strutture
murarie, rimozione di detriti, trasporto e rottamazione di macchinari), sia alle risorse
umane (prepensionamenti, buonuscite, indennità di preavviso), sia a relazioni con clienti
e fornitori (pagamenti di penali per risoluzioni contrattuali).
Quando la decisione di effettuare una tale ristrutturazione è deliberata in modo
formale dall’organo amministrativo e prevede in dettaglio le future operazioni da com-
piere, dal punto di vista contabile per l’azienda si tratta di stanziare un apposito fondo
spese con contropartita un costo d’esercizio. Il costo deve essere considerato di com-
petenza dell’esercizio in cui è deliberato il piano, sebbene tali oneri si manifesteranno
solo in futuro, poiché nell’esercizio si erano già verificate le premesse che rendevano
necessaria tale delibera per salvaguardare le condizioni di economicità.
L’OIC 31 dispone che per lo stanziamento di questo fondo, oltre alle predette con-
dizioni (deliberazione formale di un piano dettagliato), è necessario che i costi futuri
possano essere attendibilmente stimati. Il costo che si origina si rifletterà nelle diverse
voci del Conto Economico interessate (es. B.9 per gli oneri relativi al personale, ecc.).
La Nota Integrativa inoltre deve fornire un’adeguata informazione sui criteri adot-
tati per valutare gli oneri futuri, gli accantonamenti e gli utilizzi del fondo in parola.
Inoltre è opportuno che la politica di ristrutturazione sia adeguatamente illustrata nella
relazione sulla gestione.
Il fondo sarà collocato nel passivo dello Stato Patrimoniale alla voce B.4 (altri fondi).

11.5.3. Fondi spese manutenzione


Questi fondi (da riepilogarsi alla voce B.4 del passivo dello Stato Patrimoniale) hanno
la funzione di coprire le spese di manutenzione che si renderanno necessarie per l’utilizzo
delle immobilizzazioni tecniche. Tali manutenzioni devono avere solo finalità di ripristi-
no dell’efficienza e non di aumento della capacità combinatoria, poiché altrimenti si rica-
de nel caso delle migliorie, con conseguente necessità di capitalizzare i costi relativi.
Dal momento che l’usura e, conseguentemente, il bisogno di manutenzione sono con-
nessi all’utilizzo, è evidente la necessità di stanziare per il principio di competenza ac-
cantonamenti per costi di manutenzione che in realtà si manifesteranno solo ciclicamen-
te (ad esempio, ogni certo numero di ore di volo per un aereo, ecc.) in un intervallo plu-
riennale. La crescente diffusione di pratiche di pianificazione dei lavori di manutenzione
indubbiamente accresce la rilevanza di questa voce contabile.

339
Pertanto, in base all’OIC 31, sono condizioni necessarie per la costituzione di detto
fondo:
 la certezza dell’esecuzione della manutenzione (conseguentemente pianificata) in
un periodo futuro;
 la certezza (ragionevole) che il cespite sarà utilizzato almeno fino al prossimo ciclo
di manutenzione;
 il fatto che la manutenzione ciclica ad intervalli pluriennali non sia sostituita da una
serie di interventi ciclici con periodicità annuale, i cui costi invece debbono essere
sistematicamente addebitati all’esercizio di sostenimento.
Il fondo per spese di manutenzione ciclica deve essere stimato per categorie di beni
omogenei. L’importo da accantonare (da inserire nel Conto Economico alla voce B.13,
«altri accantonamenti»), deve essere basato sulla stima dei costi che si sosterrebbero
se la manutenzione fosse effettuata alla chiusura dell’esercizio, senza quindi introdurre
attese di effetti inflazionistici, ma inserendo nel computo quegli aumenti di costo già
documentabili a tale data. La congruità del fondo deve essere periodicamente riesami-
nata per considerare variazioni nei costi e nei tempi di esecuzione della manutenzione.

11.5.4. Fondi operazioni e concorsi a premio


Le operazioni a premio rientrano tra le politiche promozionali a supporto della pe-
netrazione commerciale. Con esse l’azienda si impegna a riconoscere sconti o premi in
denaro o in natura ai consumatori che fanno pervenire all’azienda documentazione dei
propri acquisti (tagliandi o buoni). Nei concorsi a premio, invece, l’attribuzione dei pre-
mi offerti ai partecipanti dipende dalla sorte, dall’abilità o da qualsiasi altra logica che
affidi all’alea la designazione del vincitore. Pertanto, l’operazione a premio si distin-
gue dal concorso in quanto il premio promesso viene consegnato a tutti i partecipanti
che rispettino i requisiti di ammissione, e non solo ad alcuni, come invece accade nei
concorsi.
I costi connessi a queste operazioni si possono manifestare in esercizi successivi a
quello di vendita, per cui, per il principio della competenza, è necessario che l’azienda
stanzi un fondo apposito (da riepilogarsi alla voce B.4 del passivo dello Stato Patri-
moniale) per fronteggiare tali costi nell’esercizio in cui avviene la vendita.
L’importo dell’accantonamento, inserito nel Conto Economico alla voce B.13, de-
riva dalla stima dei costi (sia relativi al bonus, sia in generale collegati all’operazione
come spese legali, stampa dei tagliandi, ecc.) che si manifesteranno in futuro, basata sul-
l’esperienza passata (propria o di aziende simili) e su elaborazioni statistiche che ten-
gano anche conto del numero di buoni che effettivamente saranno presentati entro la
scadenza per l’ottenimento del bonus.
Anche in questo caso si renderà necessario riesaminare periodicamente l’accanto-
namento operato per considerare i ritorni effettivi e variazioni degli altri elementi (co-
sto dei premi, ecc.).

340
11.5.5. Fondi bonifiche e rischi ambientali
I fondi per bonifiche e rischi ambientali sono connessi a oneri futuri che l’azienda
dovrà sostenere per effettuare interventi di disinquinamento e ripristino ambientale re-
si necessari da proprie precedenti attività ad alto impatto ambientale.
In alcuni casi essi assumono la natura di veri e propri fondi rischi, in quanto il dan-
no ambientale è solamente temuto, sebbene si possa manifestare con un grado di pro-
babilità e con una possibilità di quantificazione tale da rendere necessaria la costitu-
zione del fondo medesimo.
In altri casi, invece, il fondo per bonifiche ambientali è costituito quando l’azienda,
che per la propria attività si trova a dover gestire una discarica, si assume verso l’am-
ministrazione locale l’obbligo di ripristinare il sito al termine dell’attività stessa. In que-
sti casi il fondo assume la natura di un fondo spese in quanto l’uscita futura sarà certa
nell’esistenza, sebbene incerta nei tempi e nei costi.
In entrambi i casi, il fondo sarà riepilogato alla voce B.4 del passivo patrimoniale,
mentre il costo troverà collocazione nella voce B.13 del Conto Economico, se connes-
so a situazioni fisiologiche.

11.5.6. Fondi copertura perdite di società partecipate


Il fondo per copertura perdite di società partecipate, citato nell’OIC 31, riguarda quei
casi in cui l’azienda si è impegnata in qualità di partecipante al capitale di altra socie-
tà, a reintegrare le perdite da questa subite ma che non hanno natura durevole (in caso
di durevolezza della perdita, infatti, occorre svalutare direttamente le partecipazioni) e
abbia l’obbligo o l’intenzione di coprire tali perdite per la quota spettante (percentuale
di proprietà). In relazione alla tipologia dell’impegno, se il relativo onere ha già la na-
tura di debito, sarà classificato come tale; se invece permangono incertezze sul momento
o sull’importo, dovrà essere iscritto un fondo. L’importo di dette perdite costituirà la
base per il calcolo dell’accantonamento. Il fondo deve essere riepilogato alla voce B.4
del passivo dello Stato Patrimoniale e l’accantonamento inserito alla voce D.18 del Con-
to Economico.

11.5.7. Fondi manutenzione e ripristino dei beni gratuitamente devolvibili e


dei beni d’azienda ricevuti in affitto
Le società che gestiscono attività in concessione alla scadenza della stessa devono
restituire gli impianti al concedente, gratuitamente ed in perfette condizioni di funzio-
namento. Ciò comporta il sostenimento di oneri sempre più rilevanti, man mano che si
avvicina la scadenza della concessione. Il processo di stima di tali oneri richiede che la
società acquisisca valida documentazione (perizie tecniche, ecc.), per determinare i
tempi e la tipologia degli interventi di ripristino e/o sostituzione dei beni oggetto della
devoluzione.

341
Sulla base di dette perizie si potrà, quindi, procedere alla misurazione di un accan-
tonamento che sia ragionevolmente attendibile e congruo nel suo complesso per assi-
curare la costituzione di un fondo che consenta di ripristinare gli impianti allo stato in
cui devono essere restituiti alla scadenza della concessione.
Il rispetto del principio della competenza richiede, poi, che i relativi accantonamen-
ti al fondo siano effettuati e ripartiti sistematicamente lungo la durata della concessione.
Le indicazioni relative al fondo manutenzione dei beni gratuitamente devolvibili
sono valide anche per le imprese che abbiano ricevuto in affitto, o in usufrutto, un’a-
zienda, qualora le parti non abbiano derogato agli obblighi previsti dagli artt. 2561 e
2562 c.c.

11.6. Il trattamento di fine rapporto lavoro subordinato


Il TFR per lavoro dipendente è l’unico fondo compreso nella classe C del passivo
patrimoniale. La disciplina civilistica è contenuta nell’art. 2120 c.c. e consiste nello
stanziare al termine di ogni esercizio una quota pari ad una frazione degli stipendi ma-
turati nello stesso periodo (totale stipendi/13,5) ed aggiungere ad essa la rivalutazione
del fondo già esistente ad inizio esercizio (1,5% fisso + ¾ dell’indice ISTAT di aumento
dei prezzi al consumo). Tale fondo sarà utilizzato 1 al momento dell’uscita del dipen-
dente dall’azienda, prevedendo in tal caso la liquidazione della quota già accantonata
nel fondo al termine dell’esercizio precedente a quello della fine del rapporto e la quo-
ta relativa alla frazione dell’anno in corso (calcolata con le stesse regole, tenendo con-
to che si equipara al mese ogni parte di mese uguali o superiore ai quindici giorni).
L’OIC 31 stabilisce che la passività per TFR include anche le eventuali somme
erogate a titolo di prestito, di cui il TFR maturato costituisce garanzia, le quali sono
rilevate tra i crediti nella voce «verso altri» delle immobilizzazioni finanziarie o del-
l’attivo circolante in relazione alla durata del prestito. Da detta passività sono invece
detratte le anticipazioni parziali del TFR maturato ed erogate in forza di contratti col-
lettivi o individuali o di accordi aziendali, per le quali non ne è richiesto il rimborso.
Altra questione è rappresentata dall’adeguamento del fondo TFR ad aumenti sala-
riali previsti dai contratti di impiego. Nel caso in cui i contratti in vigore siano scaduti
prima della data di bilancio e gli effetti del loro rinnovo sul TFR siano ragionevolmen-
te stimabili, ancorché non formalmente definiti alla data di formazione del bilancio,
per l’eventuale accantonamento a tale data si tiene conto di quanto previsto per la rile-
vazione degli effetti relativi ai fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio.
Talvolta le aziende stipulano polizze a fronte del trattamento di fine rapporto matu-
rato a suo carico prima della riforma della previdenza complementare, per non doversi
preoccupare di disporre finanziariamente degli importi necessari in caso di uscita del

1 A norma dell’art. 2120, 6° e 7° comma, è possibile che sia concesso un anticipo sul TFR fino al 70%

della quota accantonata per quei lavoratori che abbiano maturato almeno otto anni di servizio e che ne ab-
biano necessità per acquisto prima casa o spese mediche. Le richieste sono soddisfatte entro i limiti del 10%
degli aventi titolo e comunque del 4% del numero totale dei lavoratori.

342
dipendente dalla compagine aziendale, rimanendo tale esborso a carico della compa-
gnia di assicurazione. In tal caso l’entità del premio corrisposto alla compagnia assicu-
ratrice rappresenta un credito immobilizzato da esporre alla voce B.III.2 dello Stato Pa-
trimoniale, fermo restando l’accantonamento al fondo TFR come sopra descritto. La
maggiore entità rimborsabile dalla compagnia rispetto all’indennità maturata dal per-
sonale dipendente, derivante dalla rivalutazione dei premi versati, costituisce componen-
te positivo di reddito di natura finanziaria per l’impresa contraente, rilevabile annual-
mente per competenza economica con il conseguente incremento del credito.
Gli ammontari di TFR relativi a rapporti di lavoro cessati, il cui pagamento è già
scaduto o scadrà ad una data determinata dell’esercizio successivo, soddisfano i criteri
per essere considerati debiti e sono quindi classificati nello Stato Patrimoniale nella
voce D13.
Dal 1° gennaio 2007 il cambiamento della normativa prevede l’obbligo per le azien-
de con più di 50 dipendenti di versare le somme dovute per TFR o al fondo tesoreria
gestito dall’INPS o a fondi pensione scelti dal dipendente (legge 27 dicembre 2006, n.
296). Quindi per tali aziende invece di accantonare quota al fondo TFR si tratterà di
pagare mensilmente le quote equivalenti ad un soggetto esterno che si occuperà poi di
erogare quanto dovuto al dipendente al momento dell’uscita di quest’ultimo dall’a-
zienda. Ne consegue che per tali aziende il fondo TFR, non più alimentato da nuovi
accantonamenti, tenderà ad esaurirsi man mano che i dipendenti assunti prima del 2007
lasceranno l’azienda.

11.7. Le informazioni in Nota Integrativa

Con riferimento ai fondi rischi e oneri e al TFR, l’art. 2427, 1° comma, c.c. richie-
de di indicare in Nota Integrativa:
 i criteri applicati nelle valutazioni delle voci del bilancio (n. 1, art. 2427);
 le variazioni (saldo iniziale, accantonamenti, utilizzazioni e saldo finale) intervenu-
te nella consistenza dei fondi e del il trattamento di fine rapporto (n. 4, art. 2427);
 la composizione della voce «altri fondi» dello Stato Patrimoniale (n. 7, art. 2427).
Su tale punto l’OIC 31 richiede che la Nota Integrativa indichi:
– la descrizione della situazione d’incertezza e l’indicazione dell’ammontare dello
stanziamento, relativo alla perdita connessa da considerarsi probabile;
– l’evidenza del rischio di ulteriori perdite, se vi è la possibilità di subire perdite
addizionali rispetto agli ammontari degli accantonamenti iscritti;
– nel caso di passività potenziali ritenute probabili, ma il cui ammontare non può
essere determinato se non in modo aleatorio ed arbitrario, l’indicazione che l’e-
vento è probabile e le stesse informazioni da fornire nel caso di passività poten-
ziali ritenute possibili;
– l’evidenza della possibilità di sostenere perdite connesse alla mancata assicura-
zione di rischi solitamente assicurati (ad esempio, quando l’impresa decide di
auto assicurarsi), ovvero nel caso di indisponibilità di assicurazione;

343
– l’evidenza delle variazioni dei fondi relative ad accantonamenti che hanno tro-
vato contropartita in voci del Conto Economico diverse dalle voci B.12 e B.13.
Nel caso di passività potenziali ritenute possibili (art. 2427, n. 9), sono indicate in
Nota Integrativa le seguenti informazioni:
– la situazione d’incertezza, ove rilevante, che procurerebbe la perdita;
– l’importo stimato o l’indicazione che lo stesso non può essere determinato;
– altri possibili effetti se non evidenti;
– l’indicazione del parere della direzione dell’impresa e dei suoi consulenti legali ed
altri esperti, ove disponibili.
Tale informativa non è richiesta per le passività potenziali ritenute remote. In alcu-
ni casi, gli ammontari richiesti in una causa o in una controversia sono marcatamente
esagerati rispetto alla reale situazione. In questi casi, non è necessario, anzi potrebbe
essere fuorviante, mettere in evidenza l’ammontare dei danni richiesti.

11.8. Le regole IASB

11.8.1. I fondi del passivo


Lo IAS 37 (Provisions, contingent liabilities and contingent assets) stabilisce che
si dovrà costituire un fondo nel passivo quando ricorrono congiuntamente i seguenti ele-
menti:
 sull’azienda grava un’obbligazione dipendente da eventi avvenuti nel passato;
 è più probabile che da questa obbligazione derivi un uscita futura di risorse (incerta
comunque nel momento di manifestazione o nella quantità dell’esborso) rispetto al
caso in cui da essa non derivi nessun esborso;
 tale probabile fuoriuscita di risorse può essere stimata con attendibilità.
In mancanza di uno qualsiasi dei tre criteri, si avrà una contingent liability (passivi-
tà potenziale) che non determinerà una voce di bilancio. Le contingent liabilities de-
termineranno solo una menzione nelle note se vi è una certa probabilità di verifica del-
l’evento futuro, oppure quando, nonostante l’evento sia probabile, non si può stimare
il danno. Da questo punto di vista tale impostazione è simile a quanto stabilito dal-
l’OIC 31.
Per obbligazioni derivanti da eventi passati si devono intendere sia le obbligazioni
legal, ossia derivanti da contratti o da disposizioni di legge, sia le obbligazioni con-
structive, dove è l’azienda che finisce per assumersi autonomamente un’obbligazione
in quanto a seguito di comportamenti passati o regole che lei stessa si è imposta, ha in-
dicato a terzi soggetti che accetterà certe responsabilità, determinando in tali soggetti
un’aspettativa per il soddisfacimento degli impegni presi. Ad esempio, se un’azienda
reclamizza costantemente il fatto che rimborserà i clienti insoddisfatti, questo compor-
tamento fa nascere una constructive obligation. Oppure, come altro esempio, lo stesso
IAS 37 presenta il caso di un’azienda che ha operato in un Paese privo di legislazione

344
ambientale provocando inquinamento. Se l’azienda stessa è caratterizzata da una poli-
tica ambientale altamente responsabile, ben pubblicizzata, è logico che il suo compor-
tamento inquinante nel Paese considerato determinerà comunque un’aspettativa verso
il risanamento dei danni ambientali arrecati. Questa situazione originerà pertanto l’esi-
genza di stanziare una provision in bilancio.
Consegue da tale impostazione che la semplice intenzione del management di so-
stenere in futuro una spesa non è condizione sufficiente per stanziare un fondo spese.
Per far sorgere un fondo serve un’obbligazione assunta dall’azienda che coinvolga ter-
ze persone. Tale principio ha comportato l’eliminazione di molti fondi nei bilanci del-
le società italiane che hanno adottato gli IFRS.
In ogni caso l’obbligazione che dà luogo ad una provision deve essere determinata
da un comportamento o comunque da un evento già verificatosi alla data di chiusura
dell’esercizio. Laddove non sia chiaro se vi sia un’obbligazione effettiva derivante da
un evento passato, come ad esempio, in una causa giudiziaria, l’azienda deve conside-
rare tutta l’evidenza disponibile, includendo anche le opinioni degli esperti e altri ele-
menti utili anche conosciuti dopo la chiusura del bilancio. Su tali basi, se risulta mag-
giore la probabilità dell’esistenza di un’obbligazione rispetto a quella di non esistenza,
l’azienda deve costituire una provision. Non si devono considerare invece, e quindi non
hanno riflessi contabili, obblighi eventuali derivanti da comportamenti futuri. Ad esem-
pio, se l’azienda svolge produzioni che comportano l’immissione nell’ambiente circo-
stante di sostanze inquinanti e una normativa prevede costi per sanzioni o messa in
pristino se tale comportamento sia ripetuto anche nell’esercizio successivo, da tale si-
tuazione non deriverà per l’azienda l’obbligo di stanziare una provision, dal momento
che una modifica del processo operata nell’arco del prossimo esercizio consentirebbe
di evitare tali costi.
Nello stesso senso tuttavia, un evento che non origina obbligazioni attuali potrebbe
causarle successivamente. Riprendendo l’esempio precedente, si supponga che quella
normativa assuma adesso efficacia retroattiva. In tal caso l’azienda sarebbe tenuta a
stanziare una provision. Pertanto, ai fini della costituzione di una provision è richiesta
in sostanza l’esistenza un’obbligazione attuale causata da eventi passati (oltre ai ca-
ratteri di misurabilità attendibile e di probabile uscita di risorse).
Consegue da tale impostazione che molti fondi spese stanziati in bilancio con le re-
gole italiane in funzione della semplice intenzione del management, in una transizione
ai principi contabili internazionali dovranno essere eliminati.
Per quanto riguarda l’aspetto dell’individuazione della controparte, normalmente è
specificato il soggetto verso il quale tale obbligazione è dovuta. Tuttavia in alcuni casi
esso potrebbe essere definito solo nel genere e non nella specie. Ad esempio, se un’a-
zienda pubblicizza la propria volontà di rimborsare i clienti insoddisfatti ed è logico
attendersi ogni anno un certo numero di essi, si dovrà contabilmente stanziare una pro-
vision, sebbene non siano ancora definiti i singoli soggetti verso i quali l’obbligazione,
stavolta di tipo constructive, si manifesterà nel concreto.

Un caso particolare previsto dallo IAS 37 che può richiedere lo stanziamento di un


fondo è costituito dai contratti onerosi.

345
Per contratto oneroso (onerous contract) si deve intendere la circostanza nella qua-
le l’azienda abbia stipulato un contratto dove i costi «inevitabili» derivanti dalle obbli-
gazioni poste nel contratto stesso eccedano i benefici economici attesi. I costi «inevi-
tabili» sono rappresentati dal minore tra il costo derivante dall’esecuzione del contrat-
to ed il costo per penali o rimborsi dovuti per la sua mancata esecuzione. Si supponga
ad esempio che un’azienda di trasporti si sia impegnata a consegnare delle merci per
un corrispettivo di 100. Al momento di esecuzione del contratto di trasporto, il costo
dello stesso è salito tuttavia a 220. Se decide di recedere dal contratto, l’azienda dovrà
sostenere una penale di 80. In questo caso l’azienda si trova di fronte a due alternative:
a) eseguire il trasporto incassando 100 dal cliente ma sostenendo costi per 220, con
una perdita netta di 120; b) non eseguire il trasporto, sostenendo una penale di 80. Il
danno minore, dato dalla soluzione b), implica lo stanziamento di fondo per contratto
oneroso per un importo di 80.
La valutazione dell’esborso futuro
Le passività potenziali da inserire nello Stato Patrimoniale devono essere valutate
compiendo, alla data di redazione del bilancio, la migliore stima dell’esborso richiesto
per adempiere all’obbligazione che ne ha determinato l’insorgere. Questa stima richie-
de l’esperienza del management e se necessario, deve essere suffragata dai pareri di
qualificati esperti (per es. avvocati nei casi di liti giudiziarie, ecc.).
Nel computo dovranno essere inclusi anche eventuali avvenimenti futuri che po-
tranno modificare l’entità dell’esborso (es. nel caso di rischio di condanna ad un risar-
cimento si potranno considerare eventuali sconti futuri attesi in base all’emanazione di
una nuova normativa che alla data di redazione del bilancio è ancora in fase di appro-
vazione). Tali avvenimenti tuttavia non possono consistere in semplici speranze, ma
devono essere motivati da concrete e realistiche previsioni. Nel caso specifico, poi, di
modificazioni di leggi o altri regolamenti pubblici, l’azienda ne potrà tener conto solo
dove essi siano virtualmente certi.
Laddove la passività potenziale rifletta un ampio numero di elementi, la stima deve
essere condotta secondo il criterio statistico del valore atteso (expected value), inse-
rendo quindi nella valutazione come peso di ciascun elemento le singole probabilità di
accadimento. Come esempio di utilizzo della logica del valore atteso si consideri il ca-
so di un’azienda che rilascia una garanzia sui beni venduti tale da accollarsi i costi di
riparazione dei prodotti rivelatisi difettosi entro un anno dalla vendita. Si ipotizzi che
il costo di riparazione in base all’esperienza possa essere stimato pari a 50 per i difetti
di minor rilievo e per 120 per i difetti più importanti. A tal punto l’azienda dovrà sti-
mare la probabilità di accadimento di ciascun tipo di difetto. Quindi, se in base all’e-
sperienza passata, si stima che il 60% dei prodotti venduti non presenterà nessun difet-
to, il 30% presenterà lievi difetti ed il rimanente 10% sarà caratterizzato da difetti più
significativi, la passività potenziale da iscrivere in bilancio sarà pari a: (60%  0) +
(30%  50) + (10%  120) = 27.
Laddove l’evento rischioso invece si presenti singolarmente, allora l’azienda dovrà
stimare i diversi possibili esiti futuri dell’evento stesso e stanziare di conseguenza un
costo per rischi. Quindi se la spesa futura sarà con probabilità 100 ma vi sono altre

346
possibilità che essa sia superiore, il fondo rischi deve essere superiore a 100. Tuttavia
al di là di questa indicazione di principio, lo IAS 37 non impone di stanziare un costo
per rischi pari all’esborso massimo possibile.
In ogni caso gli eccessi di prudenza non sono ammessi. La stima del rischio deve
avvenire in base alle sue probabilità attendibili di manifestazione, senza sopravvaluta-
re le perdite potenziali.
L’attualizzazione degli esborsi futuri
Qualora infine sia significativo l’effetto del tempo, allora l’esborso futuro dovrà es-
sere attualizzato. Il tasso di attualizzazione dovrebbe consistere in un tasso al lordo da
imposte che rifletta i tassi correnti di mercato ed il profilo di rischio specifico dell’a-
zienda. La differenza tra il valore attuale ed il valore nominale dell’esborso va ricono-
sciuta negli esercizi successivi per competenza e trattata come un interesse passivo.
Ad esempio si supponga che un’azienda stimi di dover corrispondere molto probabil-
mente un importo di 1.000.000 tra tre anni come risarcimento per un contenzioso in
essere. Dal momento che in questo caso l’intervallo di tempo è significativo, l’azienda
decide di attualizzare l’importo di tale esborso. Si supponga che il tasso ritenuto con-
gruo sia pari ad un 10%. Applicando la formula del valore attuale si ricava l’ammonta-
re del fondo alla scadenza del primo periodo: 1.000.000/(1 + 0,1)3 = 751.315. In con-
tabilità pertanto avremo:
Costituzione del fondo rischi contenzioso
Accantonamento rischi contenzioso 751.315
Fondo rischi contenzioso 751.315

nell’esercizio successivo il fondo dovrà essere aumentato per la parte di interessi pas-
sivi maturata nell’esercizio stesso, ovvero 751.315  10% = 75.132.
Alimentazione del fondo rischi per interessi passivi
Interessi passivi 75.132
Fondo rischi contenzioso 75.132

In questo modo il fondo passa a 751.351 + 75.132 = 826.483. Con la stessa logica
si procede poi per i due anni successivi in modo tale che alla scadenza del terzo anno
successivo il fondo ammonterà a 1.000.000, importo inizialmente stimato.
Una variazione della stima o del tasso usato per le attualizzazioni e/o della spesa da
sostenere implicherà un cambiamento di stima che, ai sensi dello IAS 8, rifletterà i suoi
effetti a Conto Economico. Quindi, riprendendo i dati dell’esempio precedente, se al
termine del secondo anno per effetto dell’utilizzo di un tasso diverso di attualizzazione
e/o di una stima diversa dell’esborso finale, l’ammontare stanziato nel fondo deve es-
sere di 900.000 anziché di 826.483, la differenza di 73.517 rappresenterà un costo da
inserire nel Conto Economico in aggiunta ai 75.312 che vi confluiranno in relazione al
piano di attualizzazione originario.

347
Ad ogni chiusura di esercizio, l’azienda deve rivedere le passività potenziali già stan-
ziate in periodi precedenti ed aggiornarle (in più o meno) a seconda della variazione
delle previsioni di esborsi oppure eliminarle del tutto se la probabilità di un loro acca-
dimento si riduce.
Infine, se per l’obbligazione originante una passività potenziale stanziata in bilan-
cio, l’azienda avesse diritto ad un risarcimento (es. nel caso di rischio assicurato), il ri-
sarcimento deve essere riconosciuto contabilmente solo se esso è virtualmente certo. In
tal caso esso va a diminuire il costo per la passività potenziale stanziato nel Conto Eco-
nomico, in modo che esso si configura al netto del risarcimento stesso.
Il fondo rimozione cespiti (bonifica ambientale)
Come già accennato nel capitolo 4, per quanto riguarda i costi di smantellamento e
rimozione delle attività e i costi relativi al ripristino ambientale, lo IAS 16 precisa che
questi, debitamente attualizzati, devono essere ricompresi nel costo iniziale del bene
se rispondenti alle previsioni dello IAS 37, con contropartita un apposito fondo.
Quindi nel caso in cui con riferimento a determinati beni materiali sia possibile
stimare già al momento dell’acquisto (ma anche, eventualmente in periodi successivi)
l’importo della relativa passività che deve essere sostenuta in futuro dovuta ad obbli-
gazione actual (come da requisiti generali dello IAS 37) per il loro smantellamento,
rimozione e/o ripristino del sito, tale passività deve essere iscritta in un apposito fondo
nel passivo e il costo di acquisto del bene deve essere incrementato per l’importo di tale
stanziamento.
L’ammortamento di tali costi avviene lungo la vita residua del cespite, compren-
dendo nell’ammortamento del costo del cespite l’importo della passività da sostenere
in futuro.

BOX 51 – Il fondo rimozione cespiti


La società X installa un impianto (dal costo di € 200.000) che, sulla base della normativa locale, alla
sua dismissione impone delle spese di bonifica territoriale per € 30.000. La vita utile del cespite è pari a
10 anni. Il tasso di attualizzazione è del 5%. Applicando le regole previste dallo IAS 16 e IAS 37 si porta il
valore attuale del costo stimato di bonifica ad aumento del costo iniziale del cespite, con contropartita la
creazione tra le passività del fondo spese. Detto costo sarà ammortizzato con esso lungo la vita utile del
cespite ed assieme ad esso. Nella tabella seguente viene mostrato l’ammortamento del costo delle passività
future di bonifica.

1 2 3 4=2+3

Anno Fondo a S.P. Onere finanziario Amm.to a CE Impatto CE

0 18.417,40
1 19.338,27 920,87 1.841,74 2.762,61
2 20.305,18 966,91 1.841,74 2.808,65
3 21.320,44 1.015,26 1.841,74 2.857,00
(segue)
348
4 22.386,46 1.066,02 1.841,74 2.907,76
5 23.505,78 1.119,32 1.841,74 2.961,06
6 24.681,07 1.175,29 1.841,74 3.017,03
7 25.915,13 1.234,05 1.841,74 3.075,79
8 27.210,88 1.295,76 1.841,74 3.137,50
9 28.571,43 1.360,54 1.841,74 3.202,28
10 30.000,00 1.428,57 1.841,74 3.270,31
Totale 11.582,60 18.417,40 30.000,00

La rilevazione iniziale pertanto sarà:

Impianti 18.417,4
Fondo rimozione impianti 18.417,4

Al termine del primo esercizio, quindi si rileva l’incremento del fondo:

Oneri finanziari 920,87


Fondo rimozione impianti 920,87

Tralasciamo per semplicità la contabilizzazione dell’ammortamento del cespite, la cui quota annua sa-
rà data da (200.000/10) + 1.841,74.

Il trattamento contabile della valutazione successiva della stima iniziale dei costi di
smantellamento, rimozione e bonifica è stabilito dall’IFRIC 1 (Cambiamenti nelle pas-
sività iscritte per smantellamenti, ripristini e passività similari). Tale documento si ap-
plica ai cambiamenti nella misurazione delle passività in esame che siano rilevate co-
me parte del costo di un elemento relativo a cespiti e rilevate come passività in un ap-
posito fondo.
In particolare, vengono considerate variazioni successive:
 una modifica dell’ammontare della stima di risorse necessarie per estinguere l’ob-
bligazione futura;
 un cambiamento del tasso di attualizzazione utilizzato per scontare le uscite di cas-
sa attese;
 un incremento dell’onere finanziario derivante dal trascorrere del tempo.
I cambiamenti nella misurazione delle passività iscritte per smantellamenti, ripri-
stino o bonifica devono essere contabilizzati in modo differente a seconda che l’attivi-
tà materiale sia valutata (successivamente all’iscrizione iniziale) secondo il modello del
costo o secondo il modello del fair value.
Se l’attività è misurata utilizzando il modello del costo, le variazioni della passività
devono essere rilevate ad incremento o riduzione del costo della relativa attività nell’e-

349
sercizio in corso. È inoltre precisato che l’importo dedotto dal costo dell’attività (in
caso di riduzione della stima) non deve eccedere il valore residuo della medesima, ca-
so in cui l’eccedenza deve essere riportata a Conto Economico.
Se l’attività, invece, è misurata utilizzando il modello di rivalutazione al fair value,
le variazioni della passività andranno a modificare l’eccedenza o il deficit della ride-
terminazione del valore precedentemente rilevato su quella attività. Più precisamente:
– una riduzione della passività dovrà essere direttamente accreditata a patrimonio netto
alla riserva di rivalutazione, salvo il caso in cui vada rilevata (anche parzialmente)
a Conto Economico a storno di una precedente svalutazione dell’attività imputata a
Conto Economico;
– un incremento della passività deve essere rilevato a Conto Economico, salvo il caso
in cui vada accreditatato direttamente a patrimonio netto alla riserva di rivalutazione.
Il valore da ammortizzare dell’attività rideterminato a seguito degli eventi previsti
dall’IFRIC 1 (indipendentemente dal modello scelto di valutazione successiva alla rile-
vazione iniziale) viene ammortizzato nell’arco della vita utile residua del cespite. Una
volta che la relativa attività abbia raggiunto la fine della sua vita utile, tutte le eventua-
li variazioni successive della passività devono essere rilevate a Conto Economico al
momento in cui si verificano.

BOX 52 – Mutamenti di stima per il fondo rimozione cespiti (IFRIC 1)


Usando i dati del box precedente, si supponga che durante l’ottavo anno, dopo quindi aver compiuto
7 anni di ammortamenti del cespite inclusivi dell’ammortamento del valore attualizzato della spesa di ri-
mozione di 30.000, vi sia un cambiamento nella stima che si prevede essere di 45.000, fermo restando la
vita utile del cespite. Al termine dei primi 7 anni, come da tabella precedente, il fondo spese rimozione am-
monta a 27.210,88. Usando la nuova stima, la tabella limitatamente agli ultimi anni è così modificata:

1 2 3

Anno Fondo a S.P. Onere finanziario Amm.to a CE

8 40.816,33
9 42.857,14 2.040,816
10 45.000 2.142,857

La differenza tra l’importo di 40.816,33 e 27.210,88 rappresenta un incremento del costo dell’impian-
to, pari a 13.605,45. Tale incremento del costo del cespite dovrà essere ammortizzato lungo i tre anni di
vita residua. La rilevazione del cambio della stima pertanto sarà:
8° anno – Capitalizzazione della differenza della spesa di rimozione

Impianti 13.605,45
Fondo rimozione impianti 13.605,45

350
Contenuto della note
L’informazione nelle note deve essere fornita per classi di provision. La classe è
determinata raggruppando quelle passività potenziali aventi natura similare (es. una stes-
sa classe sarà formata dai rischi per garanzie su prodotti diversi ma non includerà in-
vece le eventuali penali dovute a seguito di contenziosi su vendita di prodotti). Per
ogni classe di provision l’azienda deve descrivere una serie di informazioni quantitati-
ve e qualitative simili a quelle già previste dall’OIC.
Lo IAS 37 introduce inoltre un’interessante considerazione relativamente alla pos-
sibilità che la disclosure su certe provision possa danneggiare l’azienda con riferimen-
to a dispute (es. cause giudiziarie) nelle quali essa è coinvolta. In questi casi il docu-
mento prevede che l’azienda debba solo descrivere la natura generale del contenzioso
ed esporre le ragioni per le quali le informazioni integrative non sono fornite. Questa
previsione risulta essere interessante ed in effetti coglie realisticamente un fenomeno
molto ricorrente nel senso che, ad esempio, se l’azienda è citata in giudizio da un terzo
soggetto, stanziare una provision e descrivere dettagliatamente i motivi per i quali si
prevede un esborso, può fornire alla controparte utili suggerimenti che si possono ri-
torcere contro l’azienda stessa. Ciò non toglie, si badi bene, che l’azienda non conside-
ri tale rischio. Lo stanziamento in bilancio dovrà essere comunque fatto per la misura
emergente dall’applicazione dei criteri di valutazione sopra definiti. Solo che l’infor-
mazione da inserire nella nota al riguardo potrà avere carattere più sfumato, anche se
l’azienda deve segnalare espressamente di essersi avvalsa di questa possibilità. Ad e-
sempio, lo IAS 37 cita il caso di un disputa su diritti di brevetto che ha originato in bi-
lancio l’insorgere di una provision e segnala la possibilità di apporre in Nota Integrati-
va la seguente informazione:

«è in corso un contenzioso contro una società concorrente che sostiene che l’azienda ha
leso i suoi diritti di brevetto causandole un danno di ... (descrizione dell’ammontare del
danno presunto). L’informazione solitamente richiesta dallo IAS 37 non è fornita poi-
ché ciò arrecherebbe pregiudizio all’esito della causa medesima. L’amministratore ri-
tiene che la controversia sarà risolta positivamente per l’azienda».
I punti di differenza con la normativa nazionale
Considerando il quadro suddetto, ci sembra la normativa italiana tenda ad essere
molto allineata con le regole IASB. Quest’ultima permane ad un livello più generale di
trattazione e non entra nel merito di specifici casi di provision. Per quanto riguarda l’e-
same delle regole generali, ci sembrano particolarmente interessanti alcuni elementi evi-
denziati dallo IAS 37 e non altrettanto chiariti dalle regole italiane.
In primo luogo appare interessante l’esame richiesto per verificare se l’azienda si
trovi in presenza di una obbligazione (comportante un’uscita di risorse) derivante da
comportamenti o eventi passati. Solo in questo caso infatti si potrà considerare l’esi-
stenza di una provision. Su tale valutazione interessante è la trattazione riferita alle
constructive obligation, quelle obbligazioni che derivano non dalla legge o da regole
contrattuali, ma che emergono semplicemente da deliberate politiche aziendali rese pub-
bliche all’esterno e tali da ingenerare aspettative nei terzi soggetti verso il soddisfaci-

351
mento di obblighi «morali». Questa regolamentazione chiarisce indubbiamente un aspet-
to sul quale la normativa italiana risulta incompleta.
Circoscrivendo il tipo di obbligazioni determinanti una provision a quelle legali o a
quelle constructive, lo IAS 37 impedisce che il management possa costituire fondi ri-
schi/spese tendenzialmente arbitrari, quali ad esempio un fondo spese manutenzione
per il quale non vi è un contratto stipulato con terzi, cosa che invece nella normativa
italiana è possibile se si ritengono rispettati i principi di competenza, specificità, misu-
rabilità dell’uscita e probabilità.
Altro spunto originale rispetto alla normativa italiana consiste nella previsione in
Nota Integrativa che certe informazioni siano omesse se ritenute potenzialmente in
grado di danneggiare l’azienda, disvelando preziose informazioni a terzi soggetti aventi
un interesse contrapposto (siano essi concorrenti o parti avverse in cause giudiziarie).
Ci piace rilevare che queste omissioni devono essere comunque segnalate chiaramente
al lettore del bilancio in modo tale che siano chiari i punti sui quali la disclosure risul-
ta carente. Un comportamento del genere costituirebbe indubbiamente una bella prova
di maturità da parte delle aziende nella comunicazione economico-finanziaria centrata
sul bilancio 2.
Rileviamo però che neppure lo IASB suggerisca alle aziende di prevedere una spe-
cifica sezione nel bilancio di esercizio (che nel nostro Paese potrebbe essere inserita
nella Relazione sulla gestione) nel quale si esamina e si riassume complessivamente
l’insieme di passività e attività potenziali gravante sulla gestione aziendale. Alcuni bi-
lanci di aziende italiane quotate presentano una sezione del genere che risulta di in-
dubbio ausilio per il lettore del bilancio desideroso di informarsi sulle prospettive futu-
re senza dover per questo concentrarsi sull’esame di singoli conti.

11.8.2. Il trattamento del fondo TFR secondo le regole IASB


Lo IAS 19 esamina dettagliatamente il trattamento contabile di tutte le forme di
remunerazione ai dipendenti, raggruppandole in quattro categorie:
– benefici a brevi termine come stipendi, contributi sociali, ecc.;
– benefici successivi al rapporto di lavoro quali pensioni, assicurazioni sulla vita, as-
sistenza medica;
– altri benefici a lungo termine;
– benefici dovuti a cessazione del rapporto prima del naturale termine previsto per il
pensionamento, quali indennità di prepensionamento, buonuscita, ecc.
Tenendo conto della sostanziale identità di trattamento contabile con la normativa
italiana per quanto riguarda i benefici a breve termine, la problematica maggiore susci-
tata dall’applicazione dello IAS 19 ai bilanci delle aziende italiane riguarda il tratta-
mento contabile del fondo TFR. A seguito di apposito quesito posto all’IFRIC (organo

2 Altri spunti originali, per il contesto italiano, dello IAS 37 consistono nella possibilità di presentare
l’importo attualizzato dell’esborso futuro o di utilizzare per la valutazione di passività potenziali omogenee
la regola dell’expected value descritta nel par. 2.

352
dello IASB dedicato alla risoluzione delle questioni interpretative), è stato disposto
che il TFR secondo le regole IASB è da considerarsi come un beneficio successivo al
rapporto di lavoro, appartenente in particolare alla categoria dei «piani con benefici de-
finiti».
Questo trattamento implica una notevole differenza con il trattamento consueto del
fondo TFR secondo la normativa italiana (art. 2120 c.c.) che adesso è calcolato come
se tutti i dipendenti uscissero dall’azienda alla chiusura dell’esercizio, mentre nella
realtà per buona parte tale fondo sarà corrisposto solo in un futuro molto lontano. In-
fatti i piani a contributi definiti prevedono che l’ammontare dei benefici computati nel
fondo debba essere calcolato nel seguente modo:

1. calcolare il valore nominale del debito alla chiusura dell’esercizio; in sostanza ciò
equivale all’importo del TFR calcolato come da norma del Codice;
2. compiere una stima attuariale circa le variabili demografiche dei lavoratori, ossia
ipotizzare quale sarà la vita lavorativa attesa residua dei diversi lavoratori, tenuto
conto delle possibilità di uscita dall’azienda (pensionamento, licenziamento, morte,
dimissioni). Tale periodo identifica il momento fino a quando si dovrà continuare a
calcolare il TFR con riferimento a quel lavoratore e a partire dal quale il TFR dovrà
essere liquidato;
3. compiere una stima attuariale circa le variabili finanziarie riferite al TFR, ossia sta-
bilire:
a) lungo la vita lavorativa attesa di cui al punto precedente quale sarà l’evoluzione
dello stipendio dei diversi lavoratori, tenuto conto che l’importo del TFR dipen-
de proporzionalmente dalla retribuzione percepita (stipendio/13,5) ed in rela-
zione ad esso quale sarà la quota da accantonare al fondo come quota corrente
durante la vita lavorativa residua;
b) ipotizzare l’evoluzione dell’indice ISTAT di aumento dei prezzi al consumo e
in relazione ad esso rivalutare con la formula nota (1,5% + 3/4 indice ISTAT)
l’importo determinato nei punti precedenti da applicarsi ogni anno delle vita la-
vorativa attesa. In sostanza si applica la formula con la quale determinare un
montante a scadenza. Dopo tale passaggio si è in grado di stimare l’importo no-
minale del TFR che sarà liquidato ai diversi lavoratori al termine della loro vita
lavorativa attesa;
4. attualizzare l’importo così determinato (il TFR dovuto tra X anni) ad un tasso pari
al rendimento di mercato, alla data del bilancio, dei titoli emessi dalle società più
importanti.

La risultante di questo calcolo abbastanza articolato, e che richiede il supporto di


un esperto di stime attuariali, rappresenta l’ammontare del fondo TFR da esporre in Sta-
to Patrimoniale. Per quanto riguarda le aziende italiane in sede di prima applicazione
si dovrà variare l’importo del fondo attualmente esistente nei bilanci «italiani» riducen-
dolo o aumentandolo e movimentando in contropartita una riserva del netto, così come
richiesto dallo IAS 8 e dall’IFRS 1.

353
L’incidenza a Conto Economico che ogni anno dovrà essere inserita (e che secondo
Assirevi 3 dovrà essere interamente computata nella voce del costo del personale) nel
suo documento sarà pari alla somma di diverse componenti:
 la quota «corrente» di incremento del fondo (stipendio annuo/13,5);
 gli interessi passivi, per l’incremento del valore attuale del fondo dovuto per il de-
corso del tempo. Essi comprendono l’effetto della rivalutazione del fondo esistente;
 l’effetto dovuto a cambiamenti delle ipotesi attuariali (actuarial gains and losses),
sia demografiche che finanziarie. Quest’ultimo componente può essere un ricavo o
un costo. Sarà ad esempio un ricavo se, rispetto alle ipotesi compiute negli esercizi
precedenti, si ipotizza una evoluzione più ridotta degli stipendi futuri, un tasso di
inflazione più basso, una minore vita lavorativa attesa del dipendente. Sarà un co-
sto nelle ipotesi contrarie. Lo IAS 19 richiede di inviare le variazioni dovute a
cambiamento delle ipotesi attuariali a riserva del netto (negativa se si tratta di per-
dite, positiva se si tratta di utili). In tal caso si è di fronte ad un other comprehensi-
ve income, da rilevare nell’apposita sezione dello statment of comprehensive inco-
me di cui allo IAS 1.

BOX 53 – Un esempio del TFR secondo lo IAS 19


Si supponga che per un dipendente si preveda una permanenza in azienda di dieci anni con partenza
da uno stipendio di 2.000 annui e tasso di crescita retributivo annuo come mostrato nella terza colonna.
La quota annua TFR (quarta colonna) deriva dal rapporto tra stipendio annuo e 13,5, come da art. 2120
del Codice Civile. Nella quinta colonna viene stimata l’evoluzione dell’indice ISTAT fino al decimo anno
tale da portare all’indice di rivalutazione TFR mostrato nella sesta colonna (1,5% fisso + tre quarti dell’in-
dice ISTAT). Nella settima colonna è riportata il costo complessivo stanziato a Conto Economico dato dalla
somma della quota TFR (quarta colonna) con il costo per rivalutazione (applicando la percentuale di cui in
sesta colonna sul fondo esistente a inizio anno mostrato nel rigo precedente dell’ultima colonna).
Nella ottava colonna è esposto l’ammontare del fondo TFR calcolato secondo le regole italiane al ter-
mine di ogni anno, dato dalla somma della quota a Conto Economico (settima colonna) con il fondo esistente
all’inizio del periodo.

Stipendio Variazione Quota Indice Quota Fondo


Anni Riv. TFR
annuo stipendio TFR ISTAT a CE TFR ITA

1 2.000,00 148,15 148,15 148,15


2 2.100,00 5% 155,56 2,75% 3,56% 160,83 308,98
3 2.205,00 5% 163,33 3,00% 3,75% 174,92 483,90
4 2.315,25 5% 171,50 3,20% 3,90% 190,37 674,27
5 2.407,86 4% 178,36 3,50% 4,13% 206,17 880,45
6 2.504,17 4% 185,49 3,20% 3,90% 219,83 1.100,28

(segue)
3
Assirevi è l’ente che rappresenta le società di revisione operanti in Italia e che ha emanato sull’argo-
mento un’apposita circolare.

354
7 2.604,34 4% 192,91 3,00% 3,75% 234,17 1.334,45
8 2.708,52 4% 200,63 2,80% 3,60% 248,67 1.583,13
9 2.762,69 2% 204,64 2,00% 3,00% 252,14 1.835,26
10 2.817,94 2% 208,74 1,50% 2,63% 256,91 2.092,17

Il calcolo IAS è ottenuto nella seconda tabella. Secondo lo IAS 19 si deve prendere l’importo stimato al
termine della vita lavorativa calcolato secondo le regole italiane (e ottenuto tramite le stime circa l’evolu-
zione della retribuzione e dell’indice Istat), pari a 2.092,17 e scomporlo nelle quote che si ritengono for-
mate ogni anno (metodo della proiezione unitaria del credito).
Sapendo le quote che si formano ogni anno (vedi quota TFR a Conto Economico del prospetto italiano),
si calcola il costo previdenziale attualizzando a partire dal nono anno utilizzando un tasso applicato sulle ob-
bligazioni delle primarie aziende (nel ns. esempio pari a 3,75%). Avremo quindi per il nono anno un costo
previdenziale pari a 243,02 dato da {252,14/(1 + 0,0375)}; si risalirà poi a ritroso per i diversi anni fino ad
attribuire al primo anno un costo previdenziale di 148,15/(1 + 0,0375)9. A tal punto si deve determinare la
parte attribuibile all’interesse per l’effetto del decorso del tempo, il cui calcolo sarà dato applicando al fondo
TFR ad inizio periodo il tasso già usato per l’attualizzazione. La somma del costo previdenziale e dell’interesse
determina la quota dell’anno del TFR che cumulata al fondo iniziale forma il fondo a fine esercizio.

Fondo TFR IAS all’1/1 Costo previdenziale IAS Interesse IAS Fondo TFR IAS al
Anno
(a) (b) (c = a  0,0375) 31/12 (d = a + b + c)
1 0 106,37 00,00 106,37
2 106,37 119,80 3,99 230,16
3 230,16 135,18 8,63 373,97
4 373,97 152,64 14,02 540,64
5 540,64 171,51 20,27 732,42
6 732,42 189,73 27,47 949,62
7 949,62 209,69 35,61 1.194,92
8 1.194,92 231,02 44,81 1.470,75
9 1.470,75 243,02 55,15 1.768,93
10 1.768,93 256,91 66,33 2.092,17

Per cui al quarto anno il valore del fondo TFR secondo lo IAS 19 è sensibilmente inferiore al corri-
spondente valore italiano (540,64 contro 674,27).
L’accantonamento del quinto anno secondo lo IAS sarà dato dal costo previdenziale di 171,51 e dal
costo per interessi di 20,27.

355
356
12

I debiti

SOMMARIO: 12.1. Classificazione, rilevazione e valutazione dei debiti. – 12.1.1. Contenuto della Nota
Integrativa. – 12.2. Obbligazioni e obbligazioni convertibili. – 12.3. Debiti verso soci per finanzia-
menti. – 12.4. Debiti verso banche. – 12.5. Debiti verso altri finanziatori. – 12.6. Acconti – 12.7. Debi-
ti verso fornitori. – 12.8. Debiti rappresentati da titoli di credito. – 12.9 Debiti verso controllate, colle-
gate e controllanti e verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti. – 12.10. Debiti tributari. –
12.11. Debiti verso istituti previdenziali. – 12.12. Altri debiti. – 12.13. La ristrutturazione dei debiti. –
12.13.1. Il concetto di ristrutturazione dei debiti. – 12.13.2. I riflessi contabili. – 12.13.3. Altre modali-
tà di ristrutturazione dei debiti. – 12.13.4. I costi connessi alla ristrutturazione. – 12.13.5. Informazio-
ne integrativa sulle ristrutturazioni dei debiti. – 12.14. Le regole IASB.

12.1. Classificazione, rilevazione e valutazione dei debiti


Come definito dall’OIC 19 i debiti sono passività di natura determinata ed esisten-
za certa, che rappresentano obbligazioni a pagare importi definiti di solito ad una data
stabilita e sono riepilogati in bilancio nella classe D del passivo patrimoniale, articola-
ta nelle seguenti voci:
1. obbligazioni;
2. obbligazioni convertibili;
3. debiti verso soci per finanziamenti;
4. debiti verso banche;
5. debiti verso altri finanziatori;
6. acconti;
7. debiti verso fornitori;
8. debiti rappresentati da titoli di credito;
9. debiti verso imprese controllate;
10. debiti verso imprese collegate;
11. debiti verso controllanti;
11-bis. debiti verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti;
12. debiti tributari;
13. debiti verso istituti previdenziali;
14. altri debiti.

357
È dunque una classificazione prevalentemente per natura, ossia basata sul soggetto
creditore. La classificazione per scadenza, molto importante ai fini di ogni analisi finan-
ziaria, invece non è direttamente presente, salvo poi poterla compiere avvalendosi della
regola sancita dallo stesso art. 2424, secondo la quale per ciascuna voce di debito deve
essere separatamente indicata la parte esigibile oltre la fine dell’esercizio successivo.
Ribadendo la più generale norma civilistica, l’OIC 19 impone di non compensare
crediti e debiti verso uno stesso soggetto a meno che sia consentito giuridicamente (co-
me nel caso di contratto di conto corrente, ad esempio).
Momento di iscrizione
In base all’origine muta il momento nel quale iscrivere il debito. Come regola ge-
nerale, l’OIC 19 afferma che il debito deve essere iscritto quando i rischi e i benefici
connessi alla proprietà sono trasferiti; per i debiti derivanti da acquisto di beni, tale tra-
sferimento si realizza con il passaggio del titolo di proprietà, fatto per semplicità coin-
cidere con il momento del ricevimento del bene (o della sua spedizione se la clausola
di trasporto è franco magazzino venditore). Tuttavia nel caso di vendite rateale (vendi-
ta con patto di riservato dominio), o di altre forme di acquisto in cui il possesso non
coincide con il trasferimento della proprietà, il debito è originato a seguito del passag-
gio dei rischi e benefici relativi all’uso del bene.
I debiti relativi a servizi sono iscritti in contabilità quando la prestazione è stata ef-
fettuata (o, in caso di prestazioni continuative, quando sono maturati i corrispettivi con-
trattuali).
I debiti di origine diversa da quella commerciale sono da rilevare quando sorge giu-
ridicamente l’obbligazione verso la controparte (concessione dei fondi per i finanzia-
menti bancari, momento di sottoscrizione per i prestiti obbligazionari, competenza tem-
porale per gli stipendi e le ritenute, ecc.).
Rilevazione iniziale e valutazione successiva: il criterio del costo ammortizzato
Per i bilanci degli esercizi che iniziano dal 1° gennaio 2016 vale la nuova regola in-
trodotta dal D.Lgs. n. 139/2015 che ha modificato l’art. 2426, n. 8, stabilendo che i
debiti si devono valutare «secondo il criterio del costo ammortizzato, tenendo conto
del fattore temporale». Fino a tale momento, i debiti erano stati sempre valutati al loro
valore nominale, ossia al valore da rimborsare al creditore al momento della estinzione.
Tale modifica ha riguardato specularmente i crediti, come già discusso al capitolo 6.
Con la modifica suddetta, i debiti dovranno essere inizialmente iscritti al valore no-
minale del debito, al netto dei costi di transazione e di tutti i premi, gli sconti, gli ab-
buoni direttamente derivanti dalla transazione che ha generato il debito. Sono conside-
rati costi di transazione le commissioni e gli onorari pagati a consulenti, mediatori fi-
nanziari e notai, i contributi pagati a organismi di regolamentazione e le tasse e gli oneri
sui trasferimenti. L’ammortamento dei costi di transazione si somma agli interessi pas-
sivi calcolati al tasso nominale (seguendone la medesima classificazione nel Conto Eco-
nomico), di modo che il tasso di interesse effettivo possa rimanere un tasso di interesse
costante lungo la durata del debito da applicarsi al suo valore contabile, fatta salva la ri-

358
levazione delle variazioni imputabili ai flussi finanziari dei tassi variabili di riferimento,
ove applicabili.
Se, successivamente alla rilevazione iniziale, la società rivede le proprie stime di
flussi finanziari futuri (es.: prevede che il debito sarà rimborsato anticipatamente ri-
spetto alla scadenza), essa deve rettificare il valore contabile del debito per riflettere i
rideterminati flussi finanziari stimati. La società ricalcola il valore contabile del debito
alla data di revisione della stima dei flussi finanziari attualizzando i rideterminati flus-
si finanziari al tasso di interesse effettivo calcolato in sede di rilevazione iniziale. La
differenza tra il valore attuale rideterminato del debito alla data di revisione della sti-
ma dei flussi finanziari futuri e il suo precedente valore contabile alla stessa data è ri-
levata a Conto Economico negli oneri o nei proventi finanziari.
Nel caso di estinzione anticipata di un debito a condizioni o in tempi non previsti
nell’ambito della stima dei flussi finanziari futuri, la differenza tra il valore contabile
residuo del debito al momento dell’estinzione anticipata e l’esborso di disponibilità
liquide è rilevata nel Conto Economico tra i proventi o tra gli oneri finanziari. Ciò si
applica anche nel caso di estinzione anticipata di un prestito obbligazionario.
Il tasso di interesse effettivo determinato in sede di rilevazione iniziale non è suc-
cessivamente ricalcolato ed è applicato fino all’estinzione del debito, ad eccezione del
caso in cui il tasso di interesse nominale contrattuale è variabile e parametrato ai tassi
di mercato. In tal caso, i flussi finanziari futuri sono rideterminati periodicamente per
riflettere le variazioni dei tassi di interesse di mercato e il tasso di interesse effettivo è
ricalcolato con decorrenza dalla data in cui gli interessi sono stati rilevati in base al
contratto. Nel ricalcolare il tasso di interesse effettivo, in alternativa all’utilizzo della
curva dei tassi attesi, si può proiettare l’ultimo tasso disponibile. Non occorre ricalco-
lare il tasso di interesse effettivo quando il tasso di interesse nominale aumenta o di-
minuisce in modo prestabilito dalle previsioni contrattuali e le sue variazioni non sono
dovute a indicizzazioni legate a parametri di mercato; può essere il caso delle clausole
contrattuali di «step up» o di «step-down» che prevedono incrementi o decrementi
prestabiliti del tasso di interesse nominale (es.: il tasso del 4% per il primo anno, del
6% per il secondo e dell’8% dal terzo anno e fino alla data di scadenza).
Gli sconti e gli abbuoni di natura finanziaria (per esempio per pagamento a pronta
cassa), che non hanno concorso al computo del costo ammortizzato perché non preve-
dibili al momento della rilevazione iniziale del debito, sono rilevati al momento del
pagamento come proventi di natura finanziaria.
Per cui, se si acquisisce un debito di finanziamento per 100 da rimborsare alla sca-
denza in unico importo, con costi di transazione di 5, il debito si iscriverà a 95, pari
alla liquidità effettivamente ricevuta, mentre i costi di transazione di 5 risulteranno at-
tribuiti a Conto Economico per competenza lungo la durata del debito, imputati con il
criterio del costo ammortizzato usando il tasso di interesse effettivo. Il tasso di interes-
se effettivo, secondo il criterio dell’interesse effettivo, è calcolato al momento della
rilevazione iniziale del debito ed è poi utilizzato per la sua valutazione successiva. Il
tasso di interesse effettivo è il tasso interno di rendimento, costante lungo la durata del
debito, che rende uguale il valore attuale dei flussi finanziari futuri derivanti dal debito
e il suo valore di rilevazione iniziale.

359
Con tale metodo il valore di 100 del debito, ossia il suo valore nominale, sarà rag-
giunto solo alla scadenza. Un esempio di tale procedura è fornito nel box seguente.

BOX 54 – Valutazione del debito al costo ammortizzato


Si supponga di ricevere all’anno 0 un prestito quinquennale per un valore nominale di 100.000, con
oneri transazione di 5.000. Il rimborso del capitale avverrà in quote costanti di 20.000 per ciascuno dei 5
anni. Il debito genera interessi passivi al tasso del 5% sul valore nominale al termine dell’anno precedente,
interessi da pagare al termine di ogni anno assieme alla rata capitale. Con tali dati si può costruire il profilo
dei flussi di cassa (colonna 1), che consente di calcolare il TIR del 7%. Quindi si applica il TIR sul debito
dell’anno precedente per calcolare a quanto sarebbe salito il debito prima di pagare la quota annua di in-
teressi e capitale (colonna 2). In tal modo si contabilizza in avere l’incremento del debito e in dare il costo
per interessi passivi + quota costi transazione. Tale costo appare in colonna 4. Quindi si riduce il debito a
fonte dell’uscita di cassa dell’anno per interessi a capitale (colonna 1) e si ottiene il valore residuo del debi-
to da esporre in bilancio (colonna 3).
Si noti come la somma dei costi a Conto Economico per i cinque anni, i 20.000 finali della colonna 4,
sia determinata dagli interessi calcolati sul valore nominale maturati nei cinque anni aumentati dei costi di
transazione di 5.000.

4) Oneri a Conto
2) Debito anno – 1 3) Debito in bilancio
Anno 1) Flussi cassa Economico
aumentato del TIR (= 2 + 1)
(= 2-debito anno – 1)

0 95.000 95.000,00
1 – 25.000 101.595,41 76.595,41 6.595,41
2 – 24.000 81.913,08 57.913,08 5.317,67
3 – 23.000 61.933,72 38.933,72 4.020,64
4 – 22.000 41.636,71 19.636,71 2.702,99
5 – 21.000 21.000,00 0,00 1.363,29
TIR 7% 20.000,00

La considerazione del valore attuale


L’art. 2426, 1° comma, n. 8, prescrive che occorre tenere conto del «fattore tempo-
rale» nella valutazione dei debiti. L’OIC 19 interpreta tale disposizione nel modo se-
guente.
In sede di rilevazione iniziale, per tenere conto del fattore temporale, il tasso di in-
teresse desumibile dalle condizioni contrattuali deve essere confrontato con i tassi di
interesse di mercato.
Il tasso di interesse di mercato è il tasso che sarebbe stato applicato se due parti in-
dipendenti avessero negoziato un’operazione similare di finanziamento con termini e
condizioni comparabili a quella oggetto di esame.
Può accadere che il tasso di interesse desumibile dalle condizioni contrattuali sia si-

360
gnificativamente diverso dal tasso di interesse di mercato. Casi del genere si verifica-
no principalmente:
– nel caso di debiti finanziari, quando la società ottiene dei finanziamenti a tasso
agevolato (o da altre società del gruppo o grazie a contributi pubblici);
– nel caso di debiti commerciali, quando la società ottiene delle dilazioni significa-
tive dal fornitore senza applicazione di interessi espliciti o con interessi a tassi
agevolati.
In queste circostanze, il tasso di interesse di mercato deve essere utilizzato per at-
tualizzare i flussi finanziari futuri derivanti dal debito. In tal caso, il valore di iscrizio-
ne iniziale del debito è pari al valore attuale dei flussi finanziari futuri diminuito degli
eventuali costi di transazione come definiti in precedenza. Il tasso di interesse desumi-
bile dalle condizioni contrattuali (da confrontare con il tasso di mercato) include le
commissioni contrattuali tra le parti dell’operazione e ogni altra differenza tra valore
iniziale e valore a scadenza e non comprende i costi di transazione; tuttavia, se le com-
missioni contrattuali tra le parti e ogni altra differenza tra valore iniziale e valore a sca-
denza non sono significativi, il tasso desumibile dalle condizioni contrattuali dell’ope-
razione può essere approssimato dal tasso di interesse nominale. Circa gli oneri di tran-
sazione a carico del debitore, si noti che essi vanno a ridurre il debito, riducendo la li-
quidità e rilevando in dare il debito. Così facendo il debito iniziale si abbassa e, per arri-
vare alla scadenza al valore da rimborsare, il debito si incrementerà di maggiori costi.
Infatti agli interessi passivi, indirettamente si somma la quota dei costi di transazione
attribuiti per competenza con il criterio dell’interesse effettivo.
Una volta determinato il valore di iscrizione iniziale a seguito dell’attualizzazione,
occorre calcolare il tasso di interesse effettivo, ossia il tasso interno di rendimento, co-
stante lungo la durata del debito, che rende uguale il valore attuale dei flussi finanziari
futuri derivanti dal debito e il suo valore di rilevazione iniziale. Se il tasso di interesse
effettivo determinato in sede di rilevazione iniziale successivamente si discosta dai tassi
di mercato, esso non è comunque aggiornato.
La differenza tra il valore di rilevazione iniziale del debito così determinato e il va-
lore a termine deve essere rilevata a Conto Economico come onere finanziario lungo
la durata del debito utilizzando il criterio del tasso di interesse effettivo, salvo che la
sostanza dell’operazione o del contratto non inducano ad attribuire a tale componente
una diversa natura. Per esempio, un finanziamento infruttifero erogato dalla società con-
trollante ad una società controllata incorpora un vantaggio per la controllata (minori
interessi passivi rispetto a finanziamenti contratti con terzi a tassi di mercato) che po-
trebbe essere giustificato in quanto la società finanziatrice è anche socio di controllo del-
la società debitrice. Pertanto, la società controllante, oltre ad erogare un finanziamento
alla controllata per un valore pari al valore attuale dei flussi finanziari futuri, effettua,
nella sua qualità di socio, anche un investimento aggiuntivo nella controllata, misurato
dalla differenza tra le disponibilità liquide erogate alla controllata e il valore attuale dei
flussi finanziari futuri; nell’ottica della controllata tale differenza rappresenta il benefi-
cio che riceve in termini di valore attuale dei minori interessi passivi che essa è tenuta
a corrispondere alla controllante rispetto ai tassi di interesse di mercato. In tal caso la

361
società controllante rileva tale differenza ad incremento del valore della partecipazione
nella controllata e, coerentemente, la società controllata rileva un incremento di patri-
monio netto per lo stesso ammontare.
Si consideri che l’OIC 19 non fornisce chiarimenti sulla determinazione del tasso
di mercato che, specialmente nel caso di debiti commerciali, non è facile da individua-
re. Per i debiti commerciali, anziché stimare direttamente un tasso di mercato, si po-
trebbe alternativamente determinare il valore attuale della fornitura usando il prezzo
che sarebbe stato pagato se l’acquisto fosse avvenuto per contanti. A quel punto il tas-
so emergerebbe in modo derivato calcolando il tasso interno di rendimento che ugua-
glia il valore attuale dell’eventuale pagamento a pronti con il valore a scadenza ottenu-
to applicando la dilazione.

BOX 55 – Valutazione di un debito con tasso di interesse inesistente o fuori mercato con il crite-
rio del costo ammortizzato
Esempio 1 – Debito commerciale – Si supponga di acquistare materie per 20.000 con dilazione due
anni. È intuitivo che il costo di 20.000 considera implicitamente interessi sulla dilazione. L’OIC 19 chiede
di attualizzare tale debito usando un «tasso di mercato». Supponendo che detto tasso sia pari al 6%, il va-
lore attuale del debito è pari a 20.000/(1+0,06)2 ossia 17.799,93. In contabilità dunque si rileva il costo e
il debito per tale importo.

Costi acquisto materie 17.799,93


Debiti v/fornitori 17.799,93

Al termine di ciascuno dei due anni si incrementerà il debito esistente in contabilità per interessi passi-
vi al 6%. Alla scadenza il valore sarà pari ai 20.000 nominali.

Fine 1° anno

Interessi passivi 1.068,00


Debiti v/fornitori 1.068,00

Fine 2° anno

Interessi passivi 1.132,07


Debiti v/fornitori 1.132,07

Esempio 2 – Debito di finanziamento – Si supponga che la società ottenga un finanziamento biennale


da rimborsare interamente a scadenza assieme agli interessi (da pagare al momento del rimborso finale) al
tasso agevolato del 2%, quando il tasso di mercato è pari al 5%. Il finanziamento è pari a 50.000, con costi
di transazione di 1.000. Secondo quanto disposto dall’OIC 19, il debito si rileva al valore attuale dei flussi
futuri aumentato dei costi di transazione. I flussi futuri sono un’uscita di 52.000 euro (50.000 capitale
+ 2.000 per interessi calcolati al tasso annuale del 2% su due anni). Per cui: 52.000/(1,05)2 = 47.165,53,
valore attuale usando il tasso del 5% – costi transazione 1.000 = 46.165,53. La differenza tra 49.000, im-
porto incassato, e 46.165,53 rappresenta un interesse attivo da rilevare tra gli proventi finanziari già al
momento della contabilizzazione iniziale.

362
Banca c/c 49.000,00
Interessi attivi 2.834,47
Debiti finanziamento 46.165,53

A questo punto si calcola il TIR che uguaglia 46.165,53 con il valore attuale di 52.000, flusso a sca-
denza, e si ottiene un tasso effettivo (TIR) del 6,1311%. Tale TIR sarà usato per applicare il criterio del co-
sto ammortizzato e determinerà con esso il valore del debito che sarà pari a 48.896 al termine del primo
anno e a 52.000 (valore nominale) alla scadenza.

Disposizioni transitorie per l’applicazione del criterio del costo ammortizzato e pos-
sibili deroghe
Rispetto ai criteri base sopra indicati, vi sono tre possibili situazioni in cui la socie-
tà può semplificare i criteri di valutazione.
1. Per facilitare la transizione, l’art. 12 del D.Lgs. n. 139/2015 permette di non appli-
care il criterio del costo ammortizzato ai debiti già esistenti in bilancio alla data del
1° gennaio 2016 («Le modificazioni previste dal presente decreto all’art. 2426, 1°
comma, nn. 1), 6) e 8), c.c., possono non essere applicate alle componenti delle vo-
ci riferite a operazioni che non hanno ancora esaurito i loro effetti in bilancio»),
previa indicazione dell’utilizzo di tale facoltà in Nota Integrativa. Il criterio del co-
sto ammortizzato dovrà necessariamente essere applicato su tali elementi se sorti
successivamente a tale data.
2. Altra possibilità di non applicare il criterio del costo ammortizzato è costituita dal ri-
corso al criterio della irrilevanza, di cui al nuovo testo dell’art. 2423, 4° comma, c.c.
In sostanza il criterio del costo ammortizzato può non essere applicato se i costi di
transazione, le commissioni pagate tra le parti e ogni altra differenza tra valore inizia-
le e valore a scadenza sono di scarso rilievo. In tal caso in Nota Integrativa si deve
dare menzione del ricorso a tale possibilità. Lo stesso OIC 19 riconosce la possibilità
di evitare la considerazione del valore attuale per i debiti aventi scadenza inferiore a
12 mesi.
3. Infine, le società che redigono il bilancio in forma abbreviata e le micro-imprese
possono non applicare il criterio del costo ammortizzato e del «fattore temporale».
Per esse, molto semplicemente, i debiti potranno apparire in bilancio al loro valore
nominale. Gli eventuali costi di transazione saranno considerati inizialmente come
costi pluriennali, da riscontare negli esercizi di durata del debito.
Casi particolari
Un caso particolare si verifica per i debiti da estinguersi non in denaro ma tramite
beni in natura, come nel caso di debiti derivanti da permuta, ove l’impresa riceve un
bene in un esercizio e deve consegnare l’altro bene in un esercizio successivo. Essi
devono essere valutati al valore di mercato dei beni da consegnare come pagamento.
La valutazione è effettuata a ciascuna data di bilancio; le eventuali modifiche ai valori
sono imputate al Conto Economico rispettivamente nelle voci B14 «oneri diversi di

363
gestione» e B7 «per servizi» del Conto Economico. Se l’opzione tra pagamento in de-
naro e pagamento in natura è lasciata al creditore, il debito deve apparire in bilancio ad
un valore pari al maggiore tra valore corrente dei beni e valore in contanti. Se
l’opzione è del debitore va utilizzato l’ammontare a seconda della scelta che si preve-
de verrà effettuata. Eventuali rettifiche al valore originario così iscritto sono imputate
al Conto Economico.
I debiti, sia per capitale che per eventuali interessi relativi, soggetti a condizione
sospensiva, non essendo ancora certi fino all’avverarsi della condizione, sono iscritti
tra fondi rischi se ricorrono le condizioni per la loro rilevazione. In Nota Integrativa si
fornisce adeguata informativa sulla natura e l’entità di tali debiti.

12.1.1. Contenuto della Nota Integrativa


L’art. 2427, 1° comma, richiede di indicare le seguenti informazioni in Nota Inte-
grativa:
«1) i criteri applicati nelle valutazioni, nelle rettifiche di valore;
4) le variazioni intervenute da un esercizio all’altro;
6) distintamente per ciascuna voce, l’ammontare dei crediti e dei debiti di durata
residua superiore a cinque anni, e dei debiti assistiti da garanzie reali su beni sociali,
con specifica indicazione della natura delle garanzie e con specifica ripartizione se-
condo le aree geografiche. Come specificato dall’OIC 19, l’indicazione sulla riparti-
zione geografica riguarda tutti i debiti della società e non solo i debiti di durata supe-
riore a cinque anni o, in termini ancora più circoscritti, i soli debiti assistiti da garanzie
reali. La suddivisione per ciascuna voce di debito per la richiesta analisi per area geo-
grafica è dovuta quando la stessa è significativa in relazione all’ammontare dovuto ai
creditori non nazionali;
12) la suddivisione degli interessi passivi ed altri oneri finanziari relativi a prestiti
obbligazionari, a debiti verso banche e altri;
18) le obbligazioni convertibili in azioni e i titoli o valori simili emessi dalla socie-
tà, specificando il loro numero e i diritti che essi attribuiscono;
19-bis) i finanziamenti effettuati dai soci alla società, ripartiti per scadenze e con la
separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori.
L’OIC 19 chiede di fornire tale informazione anche con riguardo ai finanziamenti ef-
fettuati dai soggetti che esercitano l’attività di direzione e coordinamento».
L’OIC 19 chiede che, nel fornire le indicazioni di cui ai nn. 6 e 12 dell’art. 2427, la
Nota Integrativa debba specificare:
 la scadenza, le modalità di rimborso e il tasso di interesse per i debiti assistiti da
garanzia reale;
 il tasso di interesse applicato ai prestiti obbligazionari (nonché le altre principali
caratteristiche del prestito, ad esempio modalità di rimborso e scadenza).
Inoltre, sempre secondo l’OIC 19, ove rilevante, la Nota Integrativa indica:

364
– la suddivisione tra debiti per anticipi su lavori da eseguire ed acconti corrisposti in
corso d’opera a fronte di lavori eseguiti;
– la suddivisione dei debiti verso banche tra: i debiti per conto corrente, debiti per
finanziamenti a breve, a medio e lungo termine;
– la natura dei creditori e la composizione della voce D14 «altri debiti»;
– l’ammontare dei debiti per i quali sono state modificate le condizioni di pagamento
ed il relativo effetto sul Conto Economico;
– il riacquisto sul mercato di obbligazioni o altri titoli di debito emessi dalla società.
Si esamina a questo punto il contenuto di ciascuna delle voci dello schema civili-
stico.

12.2. Obbligazioni e obbligazioni convertibili


I debiti inseriti in questa voce rappresentano debiti della società verso coloro che
hanno sottoscritto o acquistato successivamente le obbligazioni emesse. La normativa
sulle obbligazioni è contenuta negli artt. 2410-2420 c.c. ai quali si rinvia.
Il disaggio o l’aggio di emissione (come differenza tra valore di rimborso finale e
importo ricevuto dai sottoscrittori), le spese di emissione del prestito e i premi even-
tualmente riservati ai possessori di obbligazioni estratte a sorte, devono essere consi-
derati alla stregua di oneri finanziari e valutati assieme al debito con la procedura del
costo ammortizzato descritta nel primo paragrafo. La competenza temporale di tali
oneri deve estendersi all’intera vita del prestito.
Riacquisto sul mercato di obbligazioni
Se la società riacquista sul mercato proprie obbligazioni, contabilmente l’opera-
zione si rappresenta come se si fosse rimborsata quella parte di prestito, anche nel caso
in cui le obbligazioni acquistate non sono annullate e sono successivamente rivendute
sul mercato.
Se la società applica il criterio del costo ammortizzato quando prevede, con un suf-
ficiente grado di probabilità, di riacquistare in tutto o in parte le proprie obbligazioni
anticipatamente rispetto alla scadenza, ne tiene conto nel processo di revisione delle sti-
me dei flussi finanziari futuri del debito obbligazionario e rettifica il valore contabile
del debito per riflettere i rideterminati flussi finanziari.
Al momento del riacquisto delle obbligazioni, il debito obbligazionario corrispon-
dente alle obbligazioni riacquistate è cancellato dallo Stato Patrimoniale a fronte della
riduzione di liquidità per il riacquisto e la differenza tra valore contabile del debito e
l’esborso di liquidità è rilevata nel Conto Economico tra i proventi o tra gli oneri fi-
nanziari.
Il successivo annullamento delle obbligazioni non genera rilevazioni contabili, men-
tre la successiva rivendita sul mercato delle obbligazioni deve essere trattata come una
nuova emissione di un prestito obbligazionario ove la differenza tra il prezzo di vendi-
ta e il valore nominale di rimborso a scadenza delle obbligazioni costituisce un aggio o
un disaggio di emissione.

365
Le regole sopra descritte si applicano anche al riacquisto sul mercato titoli di debito
emessi dalla società diversi dalle obbligazioni.

I prestiti obbligazionari convertibili in azioni costituiscono un contratto ibrido com-


posto da uno strumento finanziario derivato (derivato incorporato) e un contratto prima-
rio (contratto non derivato regolato a normali condizioni di mercato), pertanto lo stru-
mento finanziario derivato incorporato (l’opzione di conversione in azioni) deve esse-
re scorporato ai sensi del documento OIC sugli «Strumenti finanziari derivati». Il con-
tratto primario è trattato secondo il criterio del costo ammortizzato, come previsto dal
presente principio. Per approfondimenti ed esemplificazioni, si rinvia al capitolo 14.

12.3. Debiti verso soci per finanziamenti


La voce n. 3 del passivo patrimoniale è dedicata a contenere i debiti verso soci per
finanziamenti. In alcuni casi può sorgere il problema di distinguere i debiti verso soci
per finanziamenti, da altre forme di finanziamento da parte dei soci che entrano nel pa-
trimonio netto, come le riserve per versamenti di soci trattate nel par. 10.8.8. Al ri-
guardo, i debiti verso soci per finanziamenti si qualificano come tali avendo riguardo al-
l’esistenza di un obbligo di restituzione (OIC 19), mentre non rappresentano elementi
discriminanti né l’eventuale non onerosità di tali prestiti, né il fatto che i loro conferi-
menti da parte dei singoli soci sia proporzionale alla quota di proprietà detenuta.
Vi è anche il punto n. 19-bis) della Nota Integrativa, secondo il quale si deve indi-
care in tale prospetto «i finanziamenti effettuati dai soci alla società, ripartiti per sca-
denze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli
altri creditori», al fine di dare maggiore chiarezza ai rapporti interni tra società e soci.

12.4. Debiti verso banche


Nei debiti verso banche vanno inserite tutte i conti riferiti alle forme tecniche di fi-
nanziamento bancario: mutui, anticipazioni, aperture di credito, salvo buon fine, ecc.
Spesso l’ottenimento di finanziamenti bancari a lungo termine dipende dal rispetto
di alcuni parametri finanziari, i cosiddetti covenant (ad es. un certo rapporto di indebi-
tamento complessivo, un certo rapporto tra redditività operativa e indebitamento finan-
ziario, ecc.). Il mancato rispetto di tali parametri comporta penalizzazioni in termini di
tassi di interesse applicati o richiesta di rimborso a breve termine. Proprio per affronta-
re i riflessi contabili di tale problematica, l’OIC 19 stabilisce che nel caso in cui la so-
cietà violi una clausola contrattuale prevista per un debito a lungo termine entro la da-
ta di riferimento del bilancio, tale da comportare la immediata esigibilità del debito, «es-
sa classifica il debito come esigibile entro l’esercizio, a meno che tra la data di chiusu-
ra dell’esercizio e prima della data di formazione del bilancio, non intervengano nuovi
accordi contrattuali che legittimano la classificazione come debiti a lungo termine. Se
rilevante, tale evento è illustrato nella Nota Integrativa secondo quanto previsto dal-
l’OIC 29 per i fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio».

366
L’OIC 19 disciplina anche il trattamento contabile del prefinanziamento, caso nel
quale in attesa dell’erogazione di un prestito a lungo termine (es. un finanziamento da
parte di enti pubblici), gli istituti bancari anticipino la liquidità mediante un prestito
ponte, destinato poi ad essere sostituito dal prestito a lungo termine. In tali casi, il pre-
stito a breve ottenuto mediante apertura di credito, è classificato come importo esigibi-
le oltre l’esercizio successivo, se vi è la ragionevole certezza che il mutuo verrà otte-
nuto e sono soddisfatte le seguenti condizioni:
 il prestito viene assunto specificamente come prefinanziamento nel periodo che in-
tercorre tra la data di stipulazione del contratto di mutuo ed il completamento delle
formalità (ad esempio, iscrizione di ipoteche e pegni, stipula di polizze di assicura-
zione, ecc.), esperite le quali l’istituto finanziatore effettua l’erogazione del mutuo, e
 il prestito dovrà, a norma del contratto di apertura di credito, essere rimborsato alla
banca che ha concesso il prestito a breve direttamente dall’istituto che effettua il fi-
nanziamento a medio o lungo termine all’atto dell’erogazione del mutuo ovvero
dall’impresa al tempo in cui ha ricevuto il mutuo.
Nel caso in cui la sostituzione di un prestito a breve con un prestito a lungo termine
si concluda tra la data di riferimento del bilancio e la data di formazione del bilancio, il
debito continua a essere classificato come esigibile entro l’esercizio successivo. Se rile-
vante, tale evento è illustrato nella Nota Integrativa secondo quanto previsto dall’OIC 29
per i fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio.
Gli oneri accessori sostenuti per ottenere finanziamenti sono valutati assieme al
debito con il criterio del costo ammortizzato discusso nel primo paragrafo.

12.5. Debiti verso altri finanziatori


Comprende i debiti per finanziamenti ricevuti da parte di soggetti non bancari e
non soci, quali ad esempio società di factoring, commercial papers, enti pubblici.

12.6. Acconti
Questa voce raccoglie gli anticipi ricevuti da clienti (già fatturati o da fatturare)
finché l’anticipo non è stornato per l’emissione della fattura definitiva.
I debiti per cauzioni ricevute da terzi relative ad imballaggi a rendere secondo l’OIC
19 vanno evidenziati nella voce 14 «altri debiti» e permangono tra i debiti finché l’im-
ballaggio non è restituito e la somma quindi rimborsata. In caso di mancata restituzio-
ne degli imballaggi, il debito deve essere eliminato in contropartita al conto di ricavo
relativo. L’ammontare dei depositi relativo agli imballaggi che non verranno più resi è
determinato periodicamente tenendo conto dell’esperienza del passato.

367
12.7. Debiti verso fornitori
I debiti verso fornitori riguardano prevalentemente gli acquisti di beni e servizi che
hanno trovato come contropartita un costo. Questi debiti devono essere iscritti portando
a sottrazione le riduzioni di debito per sconti, abbuoni, premi e resi eventualmente con-
cessi, documentati o meno da note di variazione (sia emesse che da emettere). Com-
prende ovviamente anche le fatture da ricevere. I debiti per forniture di beni e servizi
da parte di società del gruppo sono da inserire invece nelle voci 9, 10, 11, 11-bis, a se-
conda della natura del rapporto (controllo, collegamento, ecc.) con la consociata.
Normalmente il debito è iscritto in bilancio anche per i beni ricevuti soggetti a col-
laudo od installazione. Nel caso di beni ricevuti in deposito o custodia, la rilevazione è
invece effettuata nei conti d’ordine o nella Nota Integrativa.

12.8. Debiti rappresentati da titoli di credito


Questa voce sfugge alla regola generale della classificazione per natura. Il caso ti-
pico è rappresentato da cambiali passive commerciali e cambiali finanziarie (pagherò
diretti o cambiali tratte). Ora, siccome ciascuna cambiale avrà come beneficiario uno
dei soggetti citati nelle altre voci (es. fornitori, banche, società controllate, ecc.), è ov-
vio che gli importi iscritti in questa voce potrebbero trovare collocazione anche in al-
tre voci. Si realizza così la situazione prevista dal penultimo comma dell’art. 2424, se-
condo la quale «se un elemento dell’attivo o del passivo ricade sotto più voci dello
schema, nella Nota Integrativa deve annotarsi, qualora ciò sia necessario alla com-
prensione del bilancio, la sua appartenenza anche a voci diverse da quella nella quale è
iscritto».

12.9. Debiti verso controllate, collegate, controllanti e verso imprese


sottoposte al controllo delle controllanti
Questi debiti accolgono sia debiti commerciali sia debiti di finanziamento contratti
dalla società nei confronti delle controllate, collegate, controllanti. La distinta indica-
zione dei debiti verso questi enti discende dalla volontà del legislatore di porre in evi-
denza i rapporti entro il gruppo, per il rischio che tali operazioni siano effettuate su ba-
se contrattuale non indipendente. Il dettaglio di questi debiti, specie per la classifica-
zione tra debiti commerciali e finanziari, deve comunque essere evidenziato nella Re-
lazione sulla Gestione, come descritto sub 2.6.

12.10. Debiti tributari


Questa voce comprende i debiti per i vari tributi dovuti dall’azienda: imposte sul red-
dito (IRES-IRAP), IVA, ICI, ecc.

368
I debiti tributari non comprendono i debiti per imposte probabili o incerte nell’am-
montare o nella data di sopravvenienza (compreso il fondo imposte differite) che van-
no riepilogati nella voce B.2 del passivo «fondi per rischi ed oneri».
Essi devono essere rilevati al netto di acconti, ritenute (subite) e crediti di imposta,
a meno che ne sia stato chiesto il rimborso, caso nel quale deve essere iscritto un cre-
dito corrispondente nella voce «altri crediti» dell’attivo circolante. La compensazione
tra debiti e rediti tributari è ammessa nei limiti delle disposizioni vigenti.

12.11. Debiti verso istituti previdenziali


Comprende i debiti verso INPS, INAIL, ENASARCO ed altri istituti di categoria
per somme ancora da versare.

12.12. Altri debiti


Questa è una categoria residuale, con relativa difficoltà di definire il contenuto in
modo esauriente. Tra i principali, in questa voce vanno riepilogati i seguenti elementi:
 debiti verso dipendenti, inclusivi anche delle ferie maturate e non godute. Dal mo-
mento che le ferie sono retribuite e che maturano per competenza, anche se in un
esercizio non sono state sfruttate dal dipendenti, rinviandole ad esercizi successivi,
l’azienda deve comunque stanziare il costo corrispondente, ottenuto moltiplicando
il numero dei giorni di ferie spettanti al dipendente e il costo giornaliero (stipendi
più contributi) per l’azienda;
 debiti verso obbligazionisti per interessi maturati e obbligazioni estratte e debiti verso
soci per dividendi da distribuire o rimborsi di capitale (mentre i debiti per finan-
ziamenti ottenuti vanno inclusi nella voce D.4).
L’OIC 19 ritiene di inserire in questa voce anche i debiti verso amministratori e
sindaci.

12.13. La ristrutturazione dei debiti

12.13.1. Il concetto di ristrutturazione dei debiti


A seguito delle numerose situazioni di crisi aziendale successive alla crisi del 2009,
l’OIC ha emesso nel 2011 l’OIC 6 riguardante il trattamento contabile delle ristruttu-
razioni dei debiti intese come quelle operazioni mediante le quali «il creditore, per ra-
gioni economiche, effettua una concessione al debitore in considerazione delle diffi-
coltà finanziarie dello stesso, concessione che altrimenti non avrebbe accordato». In
sostanza il creditore rinuncia ad alcuni diritti contrattualmente definiti (per es. minori
interessi da pagare e/o capitale da rimborsare). Tale rinuncia implica un beneficio im-

369
mediato o differito per il debitore e una corrispondente perdita per il creditore. Le per-
dite per il creditore dovrebbero però essere compensate dal recupero delle condizioni
di equilibrio del debitore, tali da permettere l’adempimento del resto degli impegni
presi con il creditore ed il mantenimento nel tempo del rapporto commerciale tra i due
soggetti.
Secondo l’OIC un’operazione di ristrutturazione si configura quando sono soddi-
sfatte le seguenti condizioni:
a) il debitore si trova in una situazione di difficoltà finanziaria tale da non permettere
il regolare adempimento delle proprie obbligazioni;
b) il creditore, a causa dello stato di difficoltà finanziaria del debitore, effettua una
concessione al debitore rispetto alle condizioni originarie del contratto che gli cau-
sa una perdita.
I debiti possono essere sia di finanziamento (compresi i debiti per contratti di lea-
sing), di fornitura o di natura tributaria o previdenziale. La concessione può riguardare:
 l’ammontare del capitale da rimborsare (valore a scadenza del debito);
 l’ammontare degli interessi maturati (anche moratori) e non ancora pagati;
 l’ammontare degli interessi che matureranno dal momento della concessione fino al
momento dell’estinzione dell’obbligazione (interessi maturandi);
 la tempistica originaria dei pagamenti (a titolo di capitale e/o interessi) che il debi-
tore avrebbe dovuto effettuare, con lo spostamento in avanti delle scadenze; la mo-
difica delle tempistica originaria dei pagamenti può essere fruttifera o infruttifera (in-
teressi maturandi);
 accettare in pagamento, quale modalità di estinzione parziale del debito, un’attività
il cui valore risulti inferiore rispetto al valore contabile del debito.
Le operazioni di ristrutturazione sono spesso riconducibili a istituti previsti dalla
legge fallimentare ma potrebbero essere anche organizzate secondo logiche differenti,
purché presentino i caratteri sopra descritti. In particolare, la legge fallimentare preve-
de tre istituti, volti a salvaguardare la continuità aziendale evitando la liquidazione della
combinazione produttiva:
– l’accordo stragiudiziale ex art. 67 l.f., 3° comma, lett. d), che non prevede alcuna
azione specifica da parte del Tribunale ma si risolve nell’autonoma contrattazione
tra impresa in crisi e creditori per ottenere benefici finanziari stabilendo la non ap-
plicabilità dell’azione revocatoria «sugli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su
beni del debitore, purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia ido-
neo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assi-
curare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia at-
testata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i
requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto
comma, del codice civile»;
– il secondo istituto previsto dalla legge fallimentare è l’accordo di ristrutturazione
dei debiti (art. 182 bis l.f.) il quale dispone che «l’imprenditore in stato di crisi può
domandare, depositando la documentazione di cui all’articolo 161, l’omologazione

370
di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti
almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un
professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera
d) sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità
ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei». In questo caso il tri-
bunale interviene per omologare l’accordo e si stabiliscono delle percentuali mini-
me di accordo con i creditori stabilendo la regola dell’integrale e puntuale soddisfa-
cimento dei creditori che non partecipano all’accordo. L’omologa sospende le azioni
revocatorie nei termini stabiliti dal citato art. 67, 3° comma, lett. d);
– il terzo istituto è il concordato preventivo (art. 160 l.f.), il quale prevede che «l’im-
prenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato pre-
ventivo sulla base di un piano» contenente le proposte per il soddisfacimento dei
creditori. Al successivo art. 161, 3° comma, si specifica che «il piano e la documen-
tazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un
professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d), che
attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo». In questo
caso, trattandosi di vera e propria procedura concorsuale, il tribunale interviene in
misura più incisiva, verificando l’ammissibilità della proposta, nominando un com-
missario giudiziale che si occupa di verificare nella sostanza l’adeguatezza della pro-
posta concordataria, e disponendo la successiva eventuale omologa.
Il momento del perfezionamento giuridico
L’esatta collocazione temporale della ristrutturazione del debito è essenziale per
stabilire gli effetti contabili e i riflessi di bilancio. Il Documento OIC n. 6 enuclea le
seguenti situazioni:
1. in caso di concordato preventivo ex art. 161 l.f., il perfezionamento coincide con la
data in cui il concordato viene omologato da parte del Tribunale;
2. in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f., il perfezionamento
coincide con la data in cui l’accordo viene pubblicato presso il Registro delle Impre-
se; laddove l’accordo prevede che la sua efficacia sia subordinata all’omologa da par-
te del Tribunale, la data della ristrutturazione coincide con il momento dell’omologa;
3. in caso di piano di risanamento attestato ex art. 67, 3° comma, lett. d), l.f., qualora
risulti formalizzato un accordo con i creditori, il perfezionamento coincide con la
data di adesione dei creditori;
4. in caso di altre operazioni di ristrutturazione del debito, diverse rispetto a quelle
esplicitamente previste dalla legge fallimentare, il perfezionamento coincide con la
data di perfezionamento dell’accordo tra le parti.
Se l’efficacia dell’accordo dipende invece dal verificarsi di una condizione sospen-
siva, la data della ristrutturazione coinciderà allora con il momento in cui si verifica la
condizione. Tale momento può coincidere, ad esempio, con la data in cui certe attività
vengono trasferite dal debitore al creditore.
Sul punto poi il Documento OIC afferma che «se la data della ristrutturazione rica-
de tra la data di chiusura dell’esercizio e la data di formazione del bilancio, nel proget-

371
to di bilancio dell’esercizio in chiusura viene fornita adeguata informativa sulle carat-
teristiche della ristrutturazione e sui potenziali effetti patrimoniali e economici che es-
sa produrrà negli esercizi successivi».
In sostanza, una ristrutturazione che è perfezionata nei primi mesi del nuovo eser-
cizio, prima che venga materialmente redatto e approvato il bilancio dell’esercizio
precedente rappresenta un evento non adjusting, ossia che non modifica le risultanze
contabili dell’esercizio precedente. Tale ristrutturazione originerà invece nel bilancio
riferito al passato esercizio, solo una informativa da fornire nella relazione sulla ge-
stione in quanto evento significativo riferito al nuovo esercizio.
Tale affermazione è importante e si connette alla continuità gestionale. In effetti se
un’azienda versa in situazione di crisi, tale da vedere minacciata l’integrità del proprio
capitale, per evitare di stanziare congrue perdite che possano anche portare ad una ri-
duzione obbligatoria di capitale sociale (vedasi artt. 2446 e 2447 c.c.), gli amministra-
tori potrebbero esser tentati di imputare i benefici economici della ristrutturazione
all’esercizio precedente. In questo senso l’OIC ci sembra interpreti molto correttamen-
te il postulato della competenza economica.

12.13.2. I riflessi contabili


Le ristrutturazioni e le rinegoziazioni comportano per il debitore un beneficio eco-
nomico che può derivare da uno o più dei seguenti effetti:
1. riduzione dell’ammontare del capitale da rimborsare (valore a scadenza del debito);
2. riduzione dell’ammontare degli interessi maturati (anche moratori) e non ancora
pagati;
3. riduzione dell’ammontare degli interessi che matureranno a partire dal momento del-
l’accordo fino al momento dell’estinzione dell’obbligazione (interessi maturandi);
in altre parole, vi è una riduzione del tasso di interesse originariamente definito per
la vita residua del debito;
4. modifica della tempistica originaria dei pagamenti che il debitore avrebbe dovuto
effettuare, con uno spostamento in avanti delle scadenze previste per l’adempimen-
to dell’obbligazione sia in termini di capitale che interessi (c.d. rimodulazione o ri-
scadenzamento dei debiti).
I riflessi in bilancio delle operazioni di ristrutturazione secondo l’OIC 6 consistono
sia in impatti contabili che in informativa integrativa.
Perché la ristrutturazione produca impatti contabili si richiedono congiuntamente
due condizioni:
1. che l’accordo di ristrutturazione sia perfezionato dal punto di vista giuridico;
2. che l’effetto di tale accordo consista nella riduzione del debito per effetto della ap-
plicazione del criterio di valutazione dei debiti usato in bilancio.
In assenza anche di una sola delle due condizioni, le ristrutturazioni tutt’al più ori-
gineranno solo informazioni da inserire in Nota Integrativa. Semmai, secondo l’OIC 6
si parlerà di rinegoziazioni, intese come quelle operazioni di modifica dei termini ori-

372
ginari del debito (o revisione delle clausole contrattuali originarie) diverse dalle ri-
strutturazione. Esaminiamo separatamente le due condizioni.
Si può già intuire che ben diversi saranno gli effetti a seconda che i debiti siano va-
lutati al costo ammortizzato oppure no, questione discussa nel primo paragrafo di que-
sto capitolo. Infatti,
– se non sono valutati al costo ammortizzato, ma al valore nominale, come nel caso
della facoltà concessa alle imprese che redigono il bilancio in forma abbreviata o
alle micro-imprese, l’effetto contabile sarà solo riferito al caso in cui vi sia una ri-
duzione del debito fino ad allora esistente, sotto forma di capitale o sotto forma di
debiti per interessi già maturati, casi 1 e 2. Nessun effetto contabile invece si pro-
durrà nei casi 3 (riduzione degli interessi ancora da maturare) e 4 (dilazione nella
tempistica dei pagamenti);
– se sono valutati al costo ammortizzato, tutti i quattro casi suddetti determineranno
comunque una riduzione del valore attuale del debito, con conseguente riflesso con-
tabile. Con il criterio del costo ammortizzato tutti i suddetti quattro effetti implica-
no per il debitore in bilancio un «utile da ristrutturazione», quale provento finanzia-
rio, (voce C.16.d) del Conto Economico.
Effetti della ristrutturazione nel caso di valutazione al valore nominale
Come si è detto, con la valutazione dei debiti al valore nominale, vi sono effetti con-
tabili solo nel caso si riduzione dell’ammontare del capitale da rimborsare (valore a sca-
denza del debito) e/o di riduzione dell’ammontare degli interessi maturati (anche mora-
tori) e non ancora pagati. Negli altri due casi non si producono effetti dal momento che i
benefici a Conto Economico si manifesteranno come minori o posticipati interessi solo
quando le nuove condizioni eserciteranno i loro effetti. Si deve notare che anche in que-
sti due ultimi casi, riduzione degli interessi futuri o dilazione dei flussi in uscita, in realtà
il valore attuale del debito ristrutturato sarà diverso. Un debito di 100 al tasso di interes-
se del 7% ristrutturato in modo che il futuro tasso di interesse sia del 4% o che anche a
parità di importi presenti scadenze più allungate, evidentemente presenterà un valore at-
tuale più basso. Tuttavia, se i debiti sono valutati al loro valore nominale, una situazione
del genere non avrà effetti contabili, come mostrato dal seguente box.

BOX 56 – Gli effetti della ristrutturazione con valutazione dei debiti al valore nominale
Un’azienda in difficoltà finanziarie si accorda con i finanziatori per ristrutturare un debito, contratto in
data 1/1/2017 di 10.000 da rimborsare in rate annuali (scadenza 31/12) costanti di 2.000 e tasso di inte-
resse del 5%. A seguito dell’accordo di ristrutturazione intervenuto nel corso del 2017 i creditori concedo-
no l’annullamento della quota interessi maturata nel 2017 e la riduzione del tasso di interesse sulle pros-
sime rate dal 5% al 3%. Per valutare gli effetti nel bilancio dell’esercizio 2017, si riporta anzitutto il piano
originario (Piano A) dei flussi e a fianco il piano post-ristrutturazione (Piano B). Come si osserva, il beneficio
economico complessivo è rappresentato dalla differenza tra il valore contabile del debito ante-ristruttura-
zione ed il valore economico del debito post-ristrutturazione, ottenuto attualizzando i nuovi flussi previsti
al tasso effettivo ante-ristrutturazione (5%) ed è quindi pari a 822,13 (dato da 10.000 – 9.177,87). Di tale
beneficio, il riflesso contabile come provento realizzato è rappresentato solo dai 500 di interessi maturati
nel primo anno condonati dal creditore. Il beneficio non realizzato che non presenterà riflessi contabili è

373
pari alla differenza 822,13 – 500 = 322,13 ed andrà riportato in nota, analogamente alla descrizione del
nuovo tasso effettivo del 2%. Il tasso effettivo è ottenuto applicando la formula del tasso interno di rendimen-
to, consistendo nel tasso che uguaglia il valore attuale dei flussi di cassa positivi e negativi.

Piano A Piano B V. att. Piano A V. att. Piano B

01/01/2017 10.000 10.000


31/12/2017 – 2.500 – 2.000 – 2.380,95 – 1.904,76
31/12/2018 – 2.400 – 2.240 – 2.176,87 – 2.031,75
31/12/2019 – 2.300 – 2.180 – 1.986,83 – 1.883,17
31/12/2020 – 2.200 – 2.120 – 1.809,95 – 1.744,13
31/12/2021 – 2.100 – 2.060 – 1.645,40 – 1.614,06
Tasso effettivo 5% 2%
Valore economico – 10.000,00 – 9.177,87

In contabilità l’unico riflesso è rappresentato dallo storno del debito per 500 per interessi passivi matu-
rati lungo il 2017, che apparirà in Conto Economico come provento straordinario.

Debiti per interessi passivi 500


Utile da ristrutturazione (C.E.) 500

Si segnala che un riscadenzamento del debito può portare anche ad una riclassifica-
zione nel bilancio dalla classe dei debiti esigibili entro il prossimo esercizio a quella
dei debiti esigibili oltre il prossimo esercizio.
Se la ristrutturazione del debito prevede la rinuncia del socio/creditore ai versamenti
effettuati a titolo di finanziamento (iscritti nel passivo dello Stato Patrimoniale, alla voce
D 3), il debitore trasferisce il valore del debito a cui il creditore rinuncia, direttamente a
riserva senza transito nel Conto Economico, fornendo adeguata informativa nella Nota
Integrativa del bilancio. In linea con quanto previsto dall’OIC 28 Patrimonio netto, la
rinuncia da parte del socio/creditore è assimilata a un versamento in conto capitale.
Effetti della ristrutturazione nel caso di valutazione al costo ammortizzato
Usando il criterio del costo ammortizzato, qualunque variazione del valore attuale
degli esborsi futuri di cui ai punti 1-4 implica una rilevazione contabile. È da conside-
rare attentamente il fatto che la ristrutturazione può implicare un’applicazione di un
tasso di interesse diverso da quello di mercato. In tal caso si dovrà:
a) rideterminare alla data della ristrutturazione il nuovo valore attuale del debito con-
siderando i nuovi flussi contrattuali post-accordo; tale valore rappresenterà il nuovo
valore iniziale del debito alla data di ristrutturazione;
b) rilevare a Conto Economico la differenza tra l’importo di cui sub a) e il debito fino a
quel momento esistente in contabilità come provento finanziario da ristrutturazione;

374
c) calcolare il nuovo TIR, considerando i flussi contrattuali suddetti e le uscite per pa-
gamenti di oneri di ristrutturazione, quali consulenze per la redazione e l’attestazio-
ne del piano di risanamento e altri costi di transazione. La competenza economica
di tali oneri sarà quindi attribuita sugli anni di durata residua del debito; Il nuovo
tasso di interesse effettivo è una delle informazioni da fornire nella Nota Integrati-
va analogamente al valore del beneficio economico per il debitore, che corrisponde
alla differenza tra il valore economico del debito a seguito della ristrutturazione e il
valore contabile del debito ante‐ristrutturazione;
d) usare il nuovo TIR per computare gli interessi sul nuovo valore del debito.

BOX 57 – Gli effetti della ristrutturazione con valutazione dei debiti al costo ammortizzato
Un’azienda ha contratto un debito di 100.000, con incasso netto di 95.000, da rimborsare in 5 rate co-
stanti a partire da anno 3; interessi al tasso 5% da pagarsi sul capitale residuo, contratto all’anno 0, commis-
sione trattenute dai finanziatori pari a 5.000. Il TIR come risulta da tabella 1 è pari al 6% e serve per valutare
il debito come mostrato in Tabella 1.

Tabella 1

PIANO ORIGINARIO DEBITO

Anno Flussi Interessi Debito residuo


0 95.000
1 – 5.000 5.896 95.896
2 – 5.000 5.951 96.847
3 – 25.000 6.010 77.858
4 – 24.000 4.832 58.690
5 – 23.000 3.642 39.332
6 – 22.000 2.441 19.773
7 – 21.000 1.227 0
TIR 6%

All’inizio del terzo anno, a seguito di difficoltà finanziarie, ci si accorda con i finanziatori per ristruttu-
rare il debito, alle seguenti condizioni:
– oneri di ristrutturazione pari a 1.000;
– il debito è stralciato da 100.000 a 60.000 che saranno rimborsate con tre quote da 20.000 a partire
dal quinto anno;
– tasso di interesse del 4%, quando il tasso di mercato è 5%. La quota interessi del terzo, quarto e quinto
anno sarà dunque pari a 2.400, salvo poi ridursi quando si inizia a rimborsare il debito.
Per la considerazione nella valutazione del fattore temporale, si deve calcolare quindi il nuovo valore
del debito usando il tasso di mercato del 5%, pari a 57.780 (Tabella 2).

375
Tabella 2

Valore attuale
Anno Flussi contrattuali
dei flussi contrattuali (al 5%)

3 – 2.400 2.286
4 – 2.400 2.177
5 – 22.400 19.350
6 – 21.600 17.770
7 – 20.800 16.297
Tasso mercato 5% 57.880

Il nuovo valore del debito di 57.780 va quindi ridotto dei costi di transazione di 1.000, che verranno
quindi incorporati con gli interessi del nuovo debito per la loro attribuzione a Conto Economico, determi-
nando il nuovo TIR di 5,9613%. Il TIR sarà usato per computare gli interessi sul debito residuo (Tabella 3).

Tabella 3

PIANO DEBITO RISTRUTTURATO

Anno Flussi Att. al TIR Debito iniziale Interessi Debito finale


56.880
3 – 3.400 3.209 56.880 3.390,78 56.871
4 – 2.400 2.138 56.871 3.390,23 57.861
5 – 22.400 18.828 57.861 3.449,26 38.910
6 – 21.600 17.134 38.910 2.319,55 19.630
7 – 20.800 15.571 19.630 1.170,19 0
5,9613% 56.880

Contabilmente si dovrà rilevare la riduzione del debito che passa quindi da 96.847 (valore del debito
al terzo anno ante-ristrutturazione) a 56.880, al netto dei costi di transazione. La differenza per 38.967 è
rilevata quale provento finanziario da ristrutturazione.

Debito finanziamento vecchio 96.847


Banca c/c per oneri transazione 1.000
Proventi finanziari 38.967
Debiti finanziamento nuovo 56.880

Ad ogni fine esercizio si provvederà quindi a incrementare il valore del debito per gli interessi calcolati
al TIR e ridurlo per ogni pagamento per rimborsi effettuati.

376
L’esistenza nell’accordo di clausole contrattuali e/o circostanze che riducono o an-
nullano il beneficio per il debitore possono comportare l’iscrizione di fondi rischi.

12.13.3. Altre modalità di ristrutturazione dei debiti


Nelle ristrutturazioni dei debiti possono essere adottate anche altre operazioni fina-
lizzate a ridurre l’indebitamento o a permetterne più agevoli scadenze. Il documento
OIC 6 cita ad esempio:
1. la estinzione del debito mediante conversione in capitale, che si sostanzia in un au-
mento di capitale sociale tipicamente pari al debito che viene così annullato;
2. la estinzione del debito mediante emissione di un prestito obbligazionario conver-
tibile, dove l’aumento del capitale sociale diviene quindi solo eventuale ed effettua-
bile in un momento successivo dopo la conversione del prestito; anche in questo
caso generalmente il prestito emesso corrisponde al debito annullato, senza genera-
re pertanto alcun effetto (utile/perdita) a Conto Economico;
3. la rinuncia di crediti da parte del socio/creditore, caso in cui il debito si annulla
fronte di riserva di capitale come posta del netto (versamenti a fondo perduto o ver-
samenti in conto capitale);
4. la estinzione del debito con cessione di attività direttamente ai creditori o dopo pre-
ventiva dismissione del bene e conseguente uso del ricavato a rimborso del debito.
Contabilmente ciò implica la rilevazione di una plus(minus)valenza come compo-
nente reddituale per la differenza tra il valore del debito annullato e il valore contabile
dell’attività ceduta. In Nota Integrativa occorre illustrare e motivare l’eventuale diffe-
renza tra il valore contabile dell’attività ceduta e il suo valore di presumibile realizzo,
anche nel caso in cui, sebbene l’operazione di ristrutturazione si sia conclusa alla data
di riferimento del bilancio, non sia ancora avvenuta a tale data la cessione dell’attività
e pertanto l’operazione non ha ancora influenzato il risultato economico del periodo. Nel
Conto Economico la differenza andrà nella voce riferita ai riflessi reddituali dell’atti-
vità ceduta (es. A.5/B.14 se immobilizzazione).

Il Documento n. 6 afferma che se la dismissione ricade in un esercizio successivo a


quello del perfezionamento giuridico dell’operazione, a quest’ultimo momento il debi-
tore deve valutare conseguentemente il bene da cedere, inserendolo anzitutto nell’atti-
vo circolante se già non era colà collocato, sospendendo gli eventuali ammortamenti
cui il bene era sottoposto e valutandolo al minore tra valore contabile e il valore di pre-
sumibile realizzo; l’eventuale minusvalenza è rilevata nella alla voce di Conto Econo-
mico più appropriata in relazione alla natura dell’attività ceduta.

12.13.4. I costi connessi alla ristrutturazione


I costi connessi ad una ristrutturazione del debito sono spesso molto significativi e
consistono in costi di consulenza professionale quali spese legali e notarili, compensi per
soggetti incaricati della predisposizione del piano e per professionisti incaricati dell’at-
testazione della validità del piano, compensi per attività di due diligence, commissioni

377
e oneri per servizi finanziari. Spesso tali compensi sono formati da una componente
comunque dovuta (c.d. retainer fee), e da una componente di remunerazione eventuale
(fissa o variabile) riconosciuta solo al verificarsi di alcune condizioni, come la «sotto-
scrizione dell’accordo e/o l’erogazione di nuovi fondi da parte del sistema bancario
che porti alla ristrutturazione dei debiti ed alla conseguente rinuncia dei creditori a
parte di quanto agli stessi è dovuto (c.d. success fee)».
Tali costi secondo l’OIC sono spesati nell’esercizio del loro sostenimento e/o ma-
turazione all’interno degli oneri straordinari del Conto Economico, considerata la dif-
ficoltà di dimostrare la futura capacità di produrre benefici economici futuri.
I compensi relativi alle success fee sono inviati per competenza al Conto Economi-
co «solo nel momento in cui sono da ritenersi maturati i corrispettivi indicati dal con-
tratto e solo al realizzarsi delle condizioni previste». Tuttavia, se tali compensi non so-
no ancora maturati alla data del bilancio, si deve valutare se iscrivere un accantonamento
per fondi rischi e oneri qualora ricorrano le condizioni previste dal principio contabile
OIC 19. In tal caso, l’accantonamento al fondo è iscritto tra gli oneri straordinari del
Conto Economico alla voce B.14. La situazione d’incertezza e l’ammontare dello stan-
ziamento sono indicati nella Nota Integrativa se tali informazioni sono necessarie per
una corretta comprensione del bilancio.
L’ammortamento degli eventuali oneri accessori già capitalizzati sul debito ristrut-
turato è rideterminato sulla nuova durata del debito.

12.13.5. Informazione integrativa sulle ristrutturazioni dei debiti


Per le ristrutturazioni dei debiti l’informazione in Nota Integrativa assume un ruolo
importante al fine di spiegare ai lettori le cause della difficoltà finanziaria, le sue vie di
soluzione e la persistenza dei presupposti della continuità aziendale.
Le informazioni devono essere fornite sia nell’esercizio in cui sono in corso le trat-
tative tra il debitore e il creditore per la ristrutturazione del debito, sebbene al termine
dell’esercizio non vi sia ancora l’accordo, sia nell’esercizio in cui la ristrutturazione
del debito diviene efficace tra le parti che è anche il momento nel quale si possono ma-
nifestare gli effetti contabili di cui al par. 12.3.2. Per permettere il monitoraggio del rag-
giungimento degli obiettivi, è richiesta poi una informativa anche negli esercizi succes-
sivi circa l’esecuzione del piano.
In linea generale, l’informativa integrativa riguarda:
– lo stato di difficoltà finanziaria, le cause relative ed una chiara ed esaustiva rappre-
sentazione dell’esposizione debitoria;
– la chiara indicazione nella Nota Integrativa e/o nella relazione sulla gestione della
importanza della ristrutturazione per la salvaguardia della continuità gestionale, o,
nel caso in cui la ristrutturazione non sia ancora perfezionata alla data del bilancio
e tale accordo sia indispensabile per garantire la continuità aziendale, i motivi per i
quali il bilancio in corso di predisposizione è redatto in un’ottica di funzionamento
e non di liquidazione;
– i tratti principali dell’operazione di ristrutturazione del debito (tipo di accordo e da-
ta di perfezionamento, fasi del processo, eventuali condizioni sospensive e/o risolu-

378
tive, erogazione di nuova finanza, presenza di covenant e di garanzie, ) e dei relati-
vi effetti sulla posizione finanziaria netta, sul capitale e sul reddito, evidenziando i
valori di tali indicatori prima e dopo la ristrutturazione.
L’OIC 6 raccomanda di usare delle tabelle dalle quali risulti per ogni gruppo di de-
biti l’importo in valore assoluto e in percentuale dei debiti totali, di quelli ristruttura-
ti/rinegoziati e di quelli estranei alla ristrutturazione, distinguendo per ciascuno di essi
la quota scaduta alla data di chiusura dell’esercizio. Occorre poi fornire separata evi-
denza delle ristrutturazioni dei debiti che avvengono tra imprese dello stesso gruppo o
che vedono coinvolte parti correlate.
Sempre in nota, si devono poi evidenziare:
– i proventi e/o oneri derivanti dalla ristrutturazione iscritti nel Conto Economico;
– per gruppo di debiti le modalità di ristrutturazione seguite, con particolare riferi-
mento alle principali modifiche dei termini originari del debito, il valore contabile al-
la data della ristrutturazione e alla data di riferimento del bilancio (che possono non
coincidere, ad esempio, per maturazione di interessi non ancora corrisposti o rinun-
cia da parte del creditore della quota capitale);
– il beneficio a Conto Economico derivante dalla ristrutturazione;
– la durata residua del debito ante e post-ristrutturazione;
– il tasso contrattuale ante e post-ristrutturazione e il tasso d’interesse effettivo dell’o-
perazione ante e post-ristrutturazione;
– se di importo significativo, la natura e l’ammontare dei costi connessi all’operazio-
ne di ristrutturazione.
L’informazione sul risanamento implica ovviamente continuità temporale. Perciò ne-
gli esercizi precedenti al perfezionamento del piano, si devono fornire informazioni ge-
nerali sulle trattative in corso tra le parti, mentre negli esercizi successivi durante il quale
il piano di risanamento dispiega i suoi effetti, si deve informare sull’avanzamento e/o al
rispetto delle condizioni previste nel piano di ristrutturazione del debito, gli impatti delle
azioni intraprese, eventuali cambiamenti significativi del piano, le conseguenze che si
potranno verificare nel caso in cui emergano elementi tali da far ritenere che le condi-
zioni previste nel piano non si potranno realizzare, con conseguente possibilità di man-
cato ripristino delle condizioni di equilibrio e/o superamento delle difficoltà finanziarie.
Secondo l’OIC, tale informativa sarà progressivamente ridotta nei vari periodi inte-
ressati dall’operazione/i, soprattutto nel caso in cui la/e stessa/e si sta/stanno svolgen-
do secondo le ipotesi previste dall’accordo.
Quanto detto circa l’informativa in nota per le ristrutturazioni vale anche per le ri-
negoziazioni.

12.14. Le regole IASB


Per quanto riguarda le regole IASB, i debiti costituiscono delle financial liabilities
e come tali sono trattati nello IAS 39. Essi devono essere contabilizzati inizialmente al
loro fair value (in sostanza il corrispettivo ottenuto). Eventuali costi accessori sostenu-
ti, quali ad esempio i costi per emissione di un prestito obbligazionario, devono essere

379
portati a riduzione del debito a cui si riferiscono e ammortizzati per la durata del debi-
to con il criterio del tasso di interesse effettivo. Successivamente all’iscrizione origina-
ria, devono essere valutati secondo la regola del costo ammortizzato usando il metodo
del tasso di interesse effettivo, come già descritto ed esemplificato anche in questo ca-
pitolo, a meno che la società non li valuti al fair value in quanto tali passività sono de-
tenute a scopo di negoziazione.
Ai debiti a breve termine si può non applicare il metodo del costo ammortizzato e
nel processo di determinazione dell’impairment non si procede alla loro attualizzazio-
ne se si prevede il recupero a breve termine, come già discusso per i crediti. Inoltre, lo
IAS 32 prevede che per strumenti finanziari quali crediti e debiti commerciali a breve
termine non è necessaria alcuna indicazione sul fair value quando il valore contabile è
un’approssimazione ragionevole del fair value.
Regole particolari sono poi poste dallo IAS 32 per le obbligazioni convertibili, in
quanto si tratta di scorporare con riferimento ad esse la parte di «debito» e la parte di
«mezzi propri» e classificarle conseguentemente in Stato Patrimoniale, come esempli-
ficato nel box successivo.
Le informazioni da fornire in Nota relativamente ai debiti sono specificate, come già
discusso per i crediti e per le attività finanziarie, dall’IFRS 7. Tra le principali richieste
di informativa integrativa relativamente ai debiti, l’IFRS 7 richiede che si indichi:
– l’importo delle attività date in garanzia per passività e i termini contrattuali della
garanzia;
– le caratteristiche degli strumenti finanziari emessi dall’azienda (e rappresentati quindi
nel passivo dello Stato Patrimoniale) misti, ossia che uniscono sia una componente
di mezzi propri con una componente di debito (come nel caso di obbligazioni con-
vertibili), laddove lo strumento abbia incorporato dei derivati i cui valori sono in-
terdipendenti (come nel caso di strumenti di debito convertibili in azioni);
– l’entità degli interessi e della quota capitale di prestiti ottenuti per le quali durante
l’esercizio si sia verificato o un default o una dilazione dei termini del rimborso, il
valore iscritto in bilancio del prestito per il quale si sono verificate tali condizioni e
se, dopo la chiusura dell’esercizio ma prima dell’approvazione del bilancio, sono sta-
te contrattate delle modifiche ai termini del rimborso. Inoltre sempre in Nota si de-
ve indicare qualunque rottura dei termini contrattuali relativi ad un prestito ottenuto
in dipendenza dei quali il creditore ha il diritto di esigere un pagamento anticipato;
– gli interessi calcolati con il metodo del tasso di interesse effettivo per le passività
finanziarie che non sono state valutate al fair value through profit and loss;
– gli altri componenti reddituali diversi da quelli risultanti dall’applicazione del meto-
do del tasso di interesse effettivo imputati a Conto Economico con riferimento alle
passività finanziarie che non sono state valutate al fair value through profit and loss.
L’IFRS 7 richiama inoltre la necessità di fornire in nota il dettaglio dei criteri di va-
lutazione impiegati nel valutare le passività finanziarie. La parte più qualificante del-
l’IFRS 7 riguarda comunque l’informativa che un’azienda dovrà dare obbligatoriamente
circa i rischi collegati agli strumenti finanziari (rischio di mercato, di liquidità). Tale
informativa potrà essere fornita in nota oppure in un apposito prospetto allegato al bi-
lancio dedicato specificamente alla disclosure sulla gestione dei rischi.

380
13

Imposte sul reddito e fiscalità differita

SOMMARIO: 13.1. Variazioni al risultato di esercizio e imposizione differita. – 13.1.1. Differenze


temporanee e differenze definitive. – 13.1.2. Differenze temporanee tassabili e imposte differite. –
13.1.3. Differenze temporanee deducibili e imposte anticipate. – 13.2. Il calcolo delle imposte dif-
ferite/anticipate. – 13.2.1. Le imposte differite: condizioni per l’imputazione. – 13.2.2. Le imposte
anticipate: condizioni per l’imputazione. – 13.2.3. Alcune considerazioni in merito all’iscrizione del-
le imposte anticipate. – 13.3. Gli adeguamenti delle imposte differite/anticipate, le imposte diffe-
rite/anticipate potenziali e pregresse. – 13.4. Imposte differite che non transitano dal Conto Eco-
nomico. – 13.4.1. Imposte differite e leggi di rivalutazione. – 13.4.2. Imposte differite e operazio-
ni straordinarie. – 13.5. I riflessi nelle voci di bilancio. – 13.6. Il consolidato fiscale. – 13.7. Con-
tenuto della Nota Integrativa. – 13.8. Le regole IASB. – 13.8.1. I casi di insorgenza di imposte
differite (attive e passive). – 13.8.2. Requisiti per contabilizzare le imposte differite/anticipate e
relativa valutazione. – 13.8.3. Stanziamento delle imposte differite a Conto Economico e relative
eccezioni. – 13.8.4. Esposizione in bilancio.

Il reddito imponibile per il calcolo delle imposte è determinato apportando al risul-


tato economico lordo dell’esercizio scaturente dal Conto Economico delle variazioni (di-
minutive e aumentative) determinate secondo quanto disposto dagli articoli del TUIR.
Queste variazioni sono svolte nella dichiarazione dei redditi. Il bilancio accoglierà il
dato del costo di imposte che proviene dalla dichiarazione dei redditi, ma in aggiunta
ad esso si dovrà tenere conto della imposte differite, regolate da alcune disposizioni
del Codice Civile e dall’OIC 25. Rinviando per quanto riguarda la determinazione del
reddito imponibile ad altri lavori, sia relativi alle imprese che adottano le regole italia-
ne, sia riferiti alle imprese che adottano i principi contabili internazionali, la trattazio-
ne seguente riguarderà prevalentemente la questione delle imposte differite, fenomeno
a rilevanza esclusivamente civilistica. Un box finale riguarda il riflesso nel bilancio di
esercizio dell’opzione per il consolidato fiscale, introdotta con la riforma tributaria ex
D.Lgs. n. 344/2003.

13.1. Variazioni al risultato di esercizio e imposizione differita


La fiscalità differita è regolata da alcune disposizioni del Codice Civile e dall’OIC
25. L’obiettivo della procedura di calcolo e stanziamento delle imposte differite (attive

381
e passive, altrimenti definibili rispettivamente come imposte anticipate e imposte differi-
te) è fare in modo che nel Conto Economico dell’esercizio appaia il costo per imposte di
competenza dell’esercizio, a prescindere dal fatto che esso abbia comportato un effettivo
debito verso l’erario. Per capire come si arriva a questo risultato si deve partire dal con-
cetto di differenze temporanee tra risultato di esercizio e reddito imponibile.

13.1.1. Differenze temporanee e differenze definitive


Il reddito imponibile per il calcolo delle imposte è determinato apportando al risul-
tato economico dell’esercizio scaturente dal Conto Economico delle variazioni deter-
minate secondo quanto disposto dagli articoli del TUIR. Le differenze tra reddito im-
ponibile e risultato dell’esercizio scaturente dal Conto Economico sono di due tipi: dif-
ferenze definitive o differenze temporanee.
Le differenze definitive consistono in ricavi/costi di competenza economica dell’e-
sercizio rispettivamente non imponibili/deducibili, né nell’esercizio di competenza eco-
nomica, né in quelli successivi. Esse comportano una differenza tra risultato di bilan-
cio e reddito imponibile non più recuperabile in futuro.
Le differenze temporanee invece consistono differenze tra il valore di una attività o
una passività determinato con criteri di valutazione civilistici ed il loro valore ricono-
sciuto ai fini fiscali, destinate ad annullarsi negli esercizi successivi. Per esse in futuro
vi sarà dunque una compensazione che farà riconciliare reddito imponibile e risultato
di bilancio.
Le differenze temporanee possono sorgere a seguito di:
1. operazioni che hanno effetto sul Conto Economico. Si tratta di componenti negativi
(o positivi) di reddito parzialmente o totalmente indeducibili (o imponibili) ai fini
fiscali. Secondo l’attuale normativa fiscale, tali differenze derivano dalle differenze
tra il risultato civilistico e il reddito imponibile, che hanno origine in un esercizio e
si annullano in uno o più esercizi successivi; si tratta, dunque, di ricavi e costi (o di
parte di essi) che concorrono a formare il reddito imponibile in un esercizio diverso
da quello nel quale concorrono a formare il risultato civilistico. Alcuni componenti
di reddito, in tutto o in parte indeducibili o imponibili, producono differenze tem-
poranee, pur non determinando la rilevazione di un’attività o passività nello Stato
Patrimoniale;
2. operazioni che non hanno effetto sul Conto Economico. Si tratta, ad esempio, di
operazioni straordinarie (fusioni, scissioni o conferimenti), rivalutazione di attività
iscritte nello Stato Patrimoniale a seguito di specifiche leggi o riserve in sospensio-
ne di imposta.
Esempi di differenze definitive sono i seguenti:

1. costi di competenza economica, iscritti a Conto Economico, ma non riconosciuti in


detrazione dal fisco:
 multe e sanzioni;
 costi fiscalmente non documentati;
 liberalità integralmente indeducibili (art. 100, 4° comma, TUIR);

382
 liberalità parzialmente indeducibili per la parte eccedente il limite di deducibili-
tà previsto (art. 100, 1° e 2° comma, TUIR);
 imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa
(art. 99, 1° comma, TUIR).
2. ricavi di competenza economica, iscritti a Conto Economico, ma non riconosciuti
imponibili dal fisco quali dividendi esenti (art. 89 TUIR), proventi soggetti a rite-
nuta alla fonte a titolo di imposta o di imposta sostitutiva, quali interessi su titoli di
stato (art. 91, 1° comma, lett. b), TUIR).

Le differenze temporanee sono invece molto più numerose ed avremo modo di os-
servarne alcuni esempi successivamente. La cosa importante è capire che queste diffe-
renze sono destinate ad annullarsi nel futuro. L’OIC 25 distingue le differenze tempo-
ranee in tassabili e deducibili. Le prime determinano l’insorgere di imposte differite
mentre le seconde generano imposte anticipate (espressione equivalente a imposte dif-
ferite attive).

13.1.2. Differenze temporanee tassabili e imposte differite


Le differenze temporanee tassabili sono riconducibili alle seguenti due fattispecie:
1. ricavi la cui imponibilità fiscale avviene in esercizi successivi a quelli nei quali so-
no imputati per competenza economica. Tale è il caso di plusvalenze rateizzabili su
realizzo di immobilizzazioni (art. 86, 4° comma, TUIR) ed esemplificato più avan-
ti; oppure dividendi da partecipazioni inviati come ricavi al Conto Economico della
partecipante nello stesso esercizio in cui sono maturati gli utili della partecipata (si
veda cap. 8) per quanto non siano stati ancora incassati, quando per il fisco i divi-
dendi sono imponibili nell’esercizio di percezione;
2. costi la cui deducibilità fiscale avviene in esercizi precedenti a quelli nei quali sono
imputati per competenza economica (per es. compensi spettanti agli amministratori
delle società ed enti di cui all’art. 73, 1° comma, TUIR).
Il ragionamento che nei casi citati porta alla necessità di stanziare imposte differite
si compone dei seguenti passaggi:
1. nell’esercizio in cui il ricavo di competenza (quindi imputato a Conto Economico)
è stato rinviato al futuro nella dichiarazione dei redditi per la sua imponibilità fisca-
le o il costo non di competenza economica (non imputato dunque a Conto Econo-
mico) è stato anticipato nella dichiarazione dei redditi per la deducibilità fiscale, il
reddito imponibile sarà inferiore al risultato di esercizio determinato secondo cor-
retta competenza economica;
2. il carico fiscale effettivo (ossia che comporta debito esigibile verso l’erario deri-
vante dalla dichiarazione dei redditi) dell’esercizio sarà quindi minore di quello che
dovrebbe gravarvi secondo competenza;
3. poiché il costo per imposte che deve apparire nel Conto Economico deve essere
quello riferito al reddito di competenza, si tratterà quindi di aggiungere ulteriori co-

383
sti per imposte (ossia costi per imposte differite) a fronte di una posta patrimoniale
passiva che non è ancora un debito, in quanto non esigibile dall’erario, ma che rap-
presenta un fondo spese specifico, e che si definisce quale fondo imposte differite;
la rilevazione contabile sarà la seguente:

Imposte differite (C.E.) xxxxx


Fondo imposte differite (S.P.) xxxxx

4. così facendo, il costo per imposte differite è inserito nella voce 20 del Conto Eco-
nomico, che sarà quindi composta da due elementi: le imposte correnti, ossia che
comportano debito effettivo verso l’erario derivanti dalla dichiarazione dei redditi e
che dovranno essere pagate, e le imposte differite, ancora non esigibili. La voce 20
del Conto Economico a tal punto esporrà il totale delle imposte di competenza sul
reddito di esercizio, a prescindere dal reddito imponibile. Il fondo imposte differite
è collocato al punto B.2 del passivo patrimoniale;
5. negli esercizi successivi, quando il ricavo già imputato al Conto Economico (es. la
plusvalenza su cessione di immobilizzazioni) sarà imponibile ai fini fiscali o il co-
sto già fiscalmente dedotto diverrà di competenza economica, avverrà il contrario
di quanto descritto al passaggio 2, ossia il reddito imponibile risulterà maggiore di
quello determinato secondo corretta competenza economica;
6. quindi l’azienda in tale esercizio sarà tenuta a versare all’erario imposte maggiori
di quelle spettanti in base al risultato di esercizio di competenza che origineranno
un debito verso l’erario a fronte di un costo per imposte correnti;
7. il costo per tale maggiore versamento tuttavia sarà compensato da un ricavo per il
fatto che proprio in tale momento si inizierà ad usare l’apposito fondo imposte dif-
ferite in precedenza costituito. La rilevazione contabile sarà la seguente:

Fondo imposte differite (S.P.) xxxxx


Imposte differite (C.E.) xxxxx

Con tale rilevazione, una parte del costo per imposte correnti è ricondotta alla «quo-
ta» di reddito imponibile di competenza di esercizi precedenti e rinviata a questo eserci-
zio come imponibilità fiscale. Per tale quota quindi il costo per imposte pagate nell’anno
sarà compensato dall’uso del fondo. In gergo, questa compensazione è definita «river-
samento» (dall’inglese «reversal»).
Quindi lo stanziamento di imposte differite tramite costituzione di apposito fondo e
l’uso di quest’ultimo sono finalizzati a ripristinare la corretta competenza economica
delle imposte sul reddito di esercizio nelle fattispecie sopra descritte.
Se il fondo imposte differite accantonato in un esercizio si rivelasse successivamente
esuberante, l’eccedenza dovrà essere imputata quale ricavo a Conto Economico a retti-
fica della voce 20b «imposte differite» 1 salvo il caso in cui il fondo sia stato costituito

1 Come giustamente suggerisce Santesso (1999), in tale situazione l’eccedenza dovrebbe costituire ri-

384
direttamente da patrimonio netto (situazione esaminata più avanti). L’esuberanza può
derivare essenzialmente da due ragioni: una riduzione delle aliquote di imposizione
tributaria (per cui l’azienda si era preparata a versare all’erario più di quanto risulterà
necessario), e l’entità ridotta dei redditi imponibili futuri, che implicherà minori impo-
ste nel futuro rispetto a quelle accantonate in precedenza. Su questo punto torneremo
più avanti nel par. 13.3.

13.1.3. Differenze temporanee deducibili e imposte anticipate


Le differenze temporanee deducibili determinanti imposte anticipate, consistono
nelle seguenti tre fattispecie:
1. ricavi la cui imponibilità fiscale avviene in esercizi precedenti a quelli nei quali so-
no imputati per competenza economica;
2. costi la cui deducibilità fiscale avviene in esercizi successivi a quelli nei quali sono
imputati competenza economica 2;
3. riporto a nuovo di perdite fiscali.
Il ragionamento è speculare rispetto a quello descritto per le imposte differite. Nei
casi citati, nell’esercizio in cui un ricavo non di competenza economica (e quindi non
imputato a Conto Economico) è stato anticipato fiscalmente o il costo di competenza
(quindi imputato a Conto Economico) è reso fiscalmente deducibile solo in futuro, il
reddito imponibile sarà superiore al reddito determinato secondo corretta competenza
economica.
Il carico fiscale effettivo, con relativo debito esigibile dall’erario derivante dalla di-
chiarazione dei redditi, sarà quindi maggiore di quello che dovrebbe gravarvi secondo
competenza economica. Poiché si deve fare in modo che il Conto Economico racchiu-
da il costo per imposte calcolato sul reddito di competenza, si tratterà allora di diminuire

cavo da collocarsi nell’area straordinaria (voce E.20), per analogia col fatto che le imposte relative a pre-
cedenti esercizi, secondo lo stesso Codice, devono inserirsi tra i costi straordinari.
2 Entro questa seconda classe, si distinguono poi:

– i costi con deducibilità parzialmente differita (come, ad esempio, nel caso delle spese di manuten-
zione imputate a Conto Economico, eccedenti il 5% del costo dei beni materiali ammortizzabili (art. 102,
6° comma, TUIR) o facoltativamente differita, come le spese di ricerca e sviluppo (art. 108, 1° comma,
TUIR), i costi di pubblicità e propaganda (art. 108, 2° comma, TUIR), gli adeguamenti, per sopravvenute
modificazioni normative e retributive, del fondo di indennità di fine rapporto e dei fondi di previdenza del
personale dipendente (art. 105, 2° comma, TUIR);
– i costi che, pur se imputati per competenza ad un esercizio, sono deducibili fiscalmente solo nell’e-
sercizio in cui avverrà l’uscita monetaria, come ad esempio i contributi ad associazioni sindacali e di cate-
goria (art. 99, 3° comma, TUIR) e le imposte deducibili (art. 99, 1° comma, TUIR);
– i costi per accantonamento a fondi rischi, oneri e svalutazioni che, pur se imputati per competenza
al Conto Economico di un esercizio, sono deducibili solo entro prestabilite misure come la svalutazione
dei crediti (art. 106, 1° comma), l’ammortamento dei beni materiali (art. 102, 2° comma), l’ammortamen-
to dei beni immateriali e dell’avviamento (art. 103, 1° e 3° comma), l’ammortamento finanziario dei beni
gratuitamente devolvibili (art. 104, 4° comma), i lavori ciclici di manutenzione e revisione di navi e aeromo-
bili (art. 107, 1° comma), i costi di ripristino o di sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili (art. 107, 2°
comma), gli oneri derivanti da operazioni a premio e concorsi a premio (art. 107, 3° comma) e gli altri ac-
cantonamenti non previsti da norme tributarie (art. 107, 4° comma).

385
il costo per imposte pagato all’erario (imposte correnti), rettificando la voce 20 del Con-
to Economico, possibilmente usando una voce specifica quale «imposte anticipate sul
reddito», e rilevando in dare un’attività, assimilabile nella sostanza ad una specie di «ri-
sconto attivo».

Imposte anticipate (S.P.) xxxxx


Imposte anticipate sul reddito (C.E.) xxxxx

Tale voce dell’attivo patrimoniale («crediti per imposte anticipate») va esposta tra i
crediti compresi nell’attivo circolante (voce C.II.4-ter dell’attivo patrimoniale), anche
se è evidente che non si è in presenza di un credito, ossia di un valore esigibile mone-
tariamente, quanto di un costo sospeso.
Negli esercizi successivi, quando ad esempio il costo fino a quel momento non de-
dotto fiscalmente ma già imputato a Conto Economico diverrà finalmente deducibile,
avverrà il movimento contrario, ossia il reddito imponibile risulterà inferiore a quello
determinato secondo corretta competenza economica. Quindi l’azienda sarà tenuta a
versare all’erario imposte minori di quelle di competenza. Tale minore versamento non
originerà tuttavia un costo più basso, per il fatto che proprio in tale momento si storne-
rà l’attività per imposte anticipate in precedenza costituite (riversamento), riprendendo
il costo precedentemente sospeso.

Imposte anticipate sul reddito (C.E.) xxxxx


Imposte anticipate (S.P.) xxxxx

13.2. Il calcolo delle imposte differite/anticipate


Le imposte differite/anticipate devono essere calcolate sull’ammontare di tutte le
differenze temporanee tassabili applicando l’aliquota di imposizione sul reddito in vigo-
re nel momento in cui tali differenze si compenseranno, che potrebbe essere diversa da
quella in vigore nel momento in cui le differenze sorgono.
Qualora le imposte differite/anticipate siano già state stanziate e intervenga un cam-
biamento di aliquota, l’ammontare delle imposte anticipate/differite dovrà essere ade-
guato, purché la norma di legge che varia l’aliquota sia già stata emanata alla data di re-
dazione del bilancio. Tali eventuali aggiustamenti si rifletteranno perciò nell’incremento
(decremento) del fondo imposte differite e/o delle imposte anticipate iscritte nello Sta-
to Patrimoniale alla data della modifica normativa se l’aliquota di imposizione tributa-
ria aumenterà (diminuirà) a fronte di imputazione a Conto Economico.
Qualora fossero previste differenti aliquote fiscali da applicare a differenti livelli di
reddito, le imposte differite/anticipate vanno calcolate usando le aliquote medie attese
nei periodi in cui le differenze temporanee si riverseranno. Nel caso la stima dell’ali-
quota media futura sia particolarmente difficile, è accettabile usare l’aliquota effettiva
dell’ultimo esercizio.

386
L’OIC 25 stabilisce che il calcolo delle differenze temporanee di imposta deve es-
sere effettuato per tutte le differenze. Inoltre il calcolo deve essere fatto separatamente
per tipo di imposta, visto che IRES ed IRAP hanno basi imponibili ed aliquote diverse
tra loro. Quindi si dovranno effettuare i seguenti passaggi:
1. calcolo delle singole imposte differite ed anticipate ai fini IRES;
2. calcolo delle singole imposte differite ed anticipate ai fini IRAP.
L’OIC 25 richiede di effettuare il saldo tra le imposte differite e anticipate, alla lu-
ce di quanto dispone il Codice Civile 3, sebbene si possa, quale procedura che garanti-
sce più chiarezza, mantenere separate le due tipologie, sia a livello di Conto Economi-
co, sia a livello di conto patrimoniale.

13.2.1. Le imposte differite: condizioni per l’imputazione


L’OIC 25 stabilisce come condizioni basilari per lo stanziamento di imposte diffe-
rite che le differenze tra reddito imponibile e reddito determinato secondo corretti prin-
cipi contabili siano temporanee, ossia destinate a compensarsi negli esercizi successivi
e quindi non definitive.
Tra le fattispecie generanti imposte differite vi sono:
Casi di ricavi a imponibilità posticipata
 plusvalenze da cessione immobilizzazioni per le quali l’azienda ha optato per la
tassazione frazionata (si veda il caso seguente);
 dividendi (limitatamente al 5%, come disposto dall’art. 89, 2° comma, TUIR), lad-
dove siano iscritti come ricavi a Conto Economico e siano poi incassati in un eser-
cizio successivo;
 contributi non per acquisto beni ammortizzabili per i quali l’azienda opta per l’im-
ponibilità frazionata (art. 88, 3° comma, lett. b), TUIR).
Casi di costi a deducibilità anticipata
 compensi ad amministratori pagati in esercizi precedenti a quello di competenza
economica, quando saranno imputati come costi a Conto Economico (art. 95, 5°
comma, TUIR).

BOX 58 – Esempio di imposte differite: le plusvalenze da realizzo cespiti


Un cespite strumentale avente valore residuo fiscale 700 e valore residuo contabile del bene 700, pos-
seduto da più di tre anni è venduto per 1.200, realizzando quindi una plusvalenza di 500. La società opta
per l’agevolazione di cui all’art. 86, 4° comma, TUIR, scegliendo di sottoporre la plusvalenza a tassazione
in 5 anni.

3 «Le imposte anticipate/differite sono calcolate sull’ammontare cumulativo di tutte le differenze tempo-
ranee dell’esercizio, applicando le aliquote fiscali in vigore nell’esercizio nel quale le differenze temporanee
si riverseranno, previste dalla normativa fiscale vigente alla data di riferimento del bilancio» (OIC 25).

387
Nel Conto Economico del primo esercizio affluirà tutta la plusvalenza conseguita, pari a 500. Nel cal-
colo della base imponibile dovranno essere operate due variazioni: la prima in diminuzione, per l’importo
totale (– 500), e la seconda in aumento per la quota fiscalmente rilevante di 100 (500 : 5).
Nei conti economici dei quattro esercizi successivi non si avrà l’accredito di alcun componente positivo
di reddito, già iscritto per competenza nel Conto Economico dell’esercizio nel quale è avvenuta la cessione,
mentre si avranno quattro variazioni in aumento della base imponibile per un importo di 100 ciascuna.

Ricavo imponibile Differenza tra risultato


Anno Ricavo a CE
fiscalmente economico e reddito imponibile

1 500 100 + 400


2 – 100 – 100
3 – 100 – 100
4 – 100 – 100
5 – 100 – 100

L’ultima colonna evidenzia la differenza tra reddito economico e reddito imponibile secondo i criteri
fiscali. Tale differenza è positiva nel primo anno a seguito della posticipata tassazione di 4/5 della plusva-
lenza. Negli ultimi quattro esercizi invece l’ammortamento ordinario stanziato per competenza economica
non è più deducibile fiscalmente e genera pertanto riprese fiscali.
Nel primo esercizio dovrà essere stanziata una imposta differita a fronte dell’apposito fondo il cui uti-
lizzo inizierà a partire dal secondo esercizio, poiché sarà a partire da tale esercizio che l’azienda dovrà versare
all’erario imposte calcolate su un reddito imponibile superiore a quello economico. Le imposte calcolate su
tale differenza saranno versate senza generare un costo ma comporteranno l’uso del fondo precedentemente
costituito.
Il seguente prospetto riprende pertanto l’ultima colonna dello schema precedente e presenta il movi-
mento del fondo imposte differite. L’aliquota fiscale applicata è del 24% (IRES) in quanto ai fini IRAP non
rilevano le variazioni in aumento/diminuzione applicate in base all’IRES.

b) imposta differita c) saldo del fondo


Anno a) differenza temporanea
pari a 24% di a) imposte differite

1 + 400 – 96 96
2 – 100 + 24 72
3 – 100 + 24 48
4 – 100 + 24 24
6 – 100 + 24 0

Dal punto di vista delle scritture contabili si rileverà per il primo esercizio di vita del cespite il relativo
stanziamento al fondo imposte differite.

Stanziamento del fondo imposte differite


Imposte differite (C.E., come costo) 96
Fondo imposte differite 96

388
A partire dal secondo esercizio, il reddito imponibile (e quindi le imposte da pagare) inizieranno ad es-
sere superiori al reddito di competenza economica (e quindi il debito tributario superiore al costo per im-
poste di competenza), con conseguente necessità di utilizzo del fondo imposte differite precedentemente
costituito.
Pertanto, a partire dal secondo esercizio, il fondo imposte sarà utilizzato per non stanziare un costo per
imposte non di competenza a fronte del maggior debito verso l’erario a seguito della differenza stavolta
negativa tra reddito economico e reddito imponibile.

Utilizzo del fondo imposte differite

Fondo imposte differite 24


Imposte differite (C.E., come ricavo) 24

Questa rilevazione presuppone che il debito per imposte correnti dell’esercizio sia stato calcolato con-
siderando il reddito imponibile fiscale scaturente dalla dichiarazione dei redditi.
Rilevazioni analoghe saranno fatte per gli altri tre esercizi, al termine dei quali il fondo imposte differite
sarà stato azzerato in dipendenza del totale riversamento della differenza temporanea.

Un caso particolare di imposte differite: le partecipazioni valutate con il metodo del


patrimonio netto
Le differenze temporanee possono emergere anche nei casi in cui il valore contabi-
le di una partecipazione in società controllate, società collegate o in joint venture dif-
ferisce dal valore della partecipazione riconosciuto ai fini fiscali. Ad esempio, queste
differenze possono manifestarsi per:
1. l’esistenza di utili non distribuiti di controllate, collegate e joint venture valutate
con il metodo del patrimonio netto (si veda par. 8.8.4);
2. la svalutazione del valore contabile della partecipazione in una società controllata,
collegata e joint venture al suo ammontare recuperabile non deducibile fiscalmente.
Nel caso 2 non vi sono problemi particolari, nel senso che la società rileva un’atti-
vità per imposte anticipate, nella misura in cui è ragionevolmente certo che la diffe-
renza temporanea si annullerà nel prevedibile futuro e che sarà disponibile un reddito
imponibile a fronte del quale possa essere utilizzata tale differenza.
Nel caso 1 invece l’OIC 25 permette un «trattamento di favore» nel senso che con-
sente alla società partecipante di non stanziare un costo per imposte differite se la con-
trollante o il partecipante alla joint venture sia in grado di controllare i tempi dell’an-
nullamento delle differenze temporanee (ad esempio, decidendo dall’alto del suo pote-
re di controllo) di non distribuire degli utili, oltre a ritenere probabile, nel prevedibile
futuro, che la differenza temporanea non si annullerà (ad esempio per perdite della
partecipata che ristabiliscano il valore della partecipazione ad un livello non superiore
al costo). Al contrario, una società che detiene una partecipazione in una società colle-
gata non è in grado di stabilire la politica dei dividendi. Pertanto, la società rileva le
imposte differite derivanti dalle differenze imponibili riferibili alla sua partecipazione
nella società collegata, a meno che un patto vincolante tra i soci non stabilisca che non
saranno distribuiti dividendi nel futuro prevedibile.

389
13.2.2. Le imposte anticipate: condizioni per l’imputazione
L’OIC 25 stabilisce come condizioni basilari per lo stanziamento di imposte antici-
pate a Conto Economico che:
 le differenze tra reddito imponibile e reddito determinato secondo corretti principi
contabili siano temporanee, ossia destinate a compensarsi negli esercizi successivi
e quindi non definitive;
 vi sia ragionevole certezza del loro futuro recupero, comprovata da elementi ogget-
tivi di supporto quali piani previsionali attendibili. Il futuro recupero è subordinato
all’esistenza di risultati economici positivi negli esercizi a venire.
Con tali presupposti, l’iscrizione a Stato Patrimoniale delle imposte anticipate è ob-
bligatoria, anche se i suddetti requisiti emergessero successivamente al periodo nel
quale è sorto l’evento determinante imposte anticipate. Ad esempio, se in un esercizio
non erano state rilevate imposte anticipate perché si riteneva di chiudere gli esercizi
successivi in perdita, si dovrà procedere ad iscrizione delle imposte anticipate nel pe-
riodo in cui le previsioni circa i redditi futuri siano migliorate e tali da far ritenere l’e-
sistenza di futuri redditi imponibili capienti.
Si ricorda che l’imputazione quali ricavi (o meglio quali rettifica dei costi per im-
poste sul reddito) delle imposte anticipate non configura provento tassabile, come già
a suo tempo stabilito dalle istruzioni alla dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio
1998 (sez. 4.2 delle istruzioni) 4.
Tra le fattispecie generanti imposte anticipate vi sono:
 casi nei quali il fisco stabilisce aliquote massime di ammortamento (artt. 102,
103, 104, 108 TUIR) o di accantonamento a fondi rischi e oneri (artt. 105, 106, 107
TUIR) che possono essere inferiori a quelle giudicate congrue in base al criterio della
competenza economica e come tali inserite nel Conto Economico. In queste fattispe-
cie, il maggior costo per ammortamento o per accantonamento stanziato a Conto Eco-
nomico dell’esercizio rispetto al massimo ammesso fiscalmente, sarà deducibile fi-
scalmente solo in futuro, al verificarsi di determinate condizioni. Tale circostanza ac-
cadrà per gli accantonamenti a fondi rischi e spese quando si verificherà effettivamen-
te la spesa o il danno previsti tramite la costituzione del fondo; per gli ammortamenti
si dovrà attendere il momento in cui l’ammortamento «civilistico» è terminato, ma
dovrà essere ancora completato fiscalmente per effetto delle aliquote più basse previ-
ste dall’erario;
 altri casi tipici di imposte anticipate possono essere causati dai costi di manuten-
zione commentati nel box seguente.

4Nelle istruzioni si affermava infatti che «nel rigo RA45 vanno indicate le variazioni in diminuzione
diverse da quelle espressamente elencate ... nonché l’importo delle imposte differite, se imputate tra i pro-
venti».

390
BOX 59 – I costi di manutenzione e le imposte anticipate
In base al disposto dell’art. 102, 6° comma, TUIR, le spese di manutenzione sostenute nell’esercizio,
diminuite di quelle relative al pagamento di canoni di manutenzione annua e di quelle già capitalizzate
come incremento del costo dei beni sui quali sono state condotte, sono deducibili solo nei limiti del 5%
del valore dei cespiti risultanti ad inizio esercizio dal registro dei cespiti ammortizzabili. Il residuo è dedu-
cibile per quote costanti nei cinque esercizi successivi. Dei beni ceduti o acquisiti nel corso dell’esercizio si
tiene conto per la determinazione della base su cui calcolare il 5% in proporzione della durata del possesso.
Si ipotizzi la seguente situazione. L’azienda ha sostenuto costi di manutenzione di 100 di cui 20 dovu-
ti a canoni di periodici di manutenzione. Il valore dei cespiti ad inizio esercizio risultante da registro è di
800. Nel corso dell’esercizio è stato venduto un cespite dal costo storico di 400 a fine marzo sostituendolo
con un altro dal costo di 600 acquistato a fine giugno.
La base per il calcolo della percentuale del 5% è la seguente:
800 + (600/12 × 6) – (400/12 × 9) = 1.000 da cui 5% = 50 sono i costi di manutenzione deducibili
nell’esercizio, oltre ai 20 dovuti come canoni periodici. La parte detraibile in futuro è di 100 – 50 – 20 = 30,
che sarà detraibile nei prossimi cinque esercizi con quote costanti di 6 per esercizio.
Tuttavia nel Conto Economico anche i 30 deducibili solo in futuro sono imputati come costo e condu-
cono ad un risultato di esercizio inferiore al reddito imponibile. Perciò su quei costi di 30 l’azienda dovrà
pagare delle imposte che non è corretto ritenere di competenza economica del medesimo esercizio. Si dovrà
quindi rettificare il costo per imposte sul reddito per la misura di 7,2 (dato da aliquota fiscale di 24% × 30)
ed iscrivere un’attività per imposte anticipate, purché si ritenga che il loro realizzo sia ragionevolmente certo,
ossia che negli esercizi successivi vi sia un reddito imponibile positivo che consenta di assorbire tale impo-
sta anticipata. Si supponga inoltre che nello stesso esercizio gli altri componenti reddituali positivi e negati-
vi abbiano determinato un’imposta di 100 (e si prescinda dall’esistenza di ritenute, acconti e crediti di im-
posta). Il costo per imposte di competenza secondo corretti principi contabili gravante sull’esercizio sarà
quindi al netto delle imposte anticipate e pari dunque a 92,8 (100 – 7,2) mentre il debito verso l’erario
sarà comunque di 100.
In contabilità, quindi avremo:

Esercizio T: liquidazione imposte correnti


Imposte sul reddito 100
Debiti v/erario per imposte dirette 100

Esercizio T: rettifica imposte per imposte anticipate


Imposte anticipate (S.P.) 7,2
Imposte anticipate sul reddito (C.E.) 7,2

Con tale rilevazione sostanzialmente l’imposta anticipata determina una rettifica della voce 20 del
Conto Economico civilistico (costo per imposte sul reddito di esercizio).
Nell’esercizio successivo si ipotizzi che l’azienda consegua un reddito calcolato secondo competenza
economica (e quindi nel quale non vi è come componente negativa nessuna spesa di manutenzione deri-
vante dall’esercizio precedente) sul quale calcola un’imposta di competenza (IRES + IRAP) di 600. Tale
cifra include il costo per imposte già pagato nell’esercizio precedente ma la cui competenza economica ri-
cade nell’esercizio T + 1; questo componente negativo sarà contabilmente rappresentato da un quinto delle
imposte anticipate già rilevate in contabilità e che ora verranno in parte (per 1,44 dato da 7,2/5) stornate.
Il debito tributario sarà invece di 598,56 (600 – 1,44), in quanto per l’erario il reddito imponibile del pe-
riodo T + 1 sarà diminuito di un quinto dei costi manutenzione sospesi nell’esercizio precedente.

391
Esercizio T + 1: rilevazione carico fiscale con storno delle imposte anticipate
Imposte sul reddito (C.E.) 600
Imposte anticipate (S.P.) 1,44
Debiti per imposte correnti 598,56

Nei quattro esercizi successivi si continuerà a ridurre il conto «imposte anticipate», sempre che tali pe-
riodi amministrativi presentino redditi imponibili e quindi imposte tali da consentire l’assorbimento delle
imposte anticipate. Mancando tale condizione, il realizzo delle imposte anticipate non può avvenire e
quindi comporterà l’eliminazione (o la riduzione se il realizzo sarà solo parziale) del relativo conto a fronte
di una sopravvenienza passiva per imposte di esercizi precedenti.

Il beneficio per perdite fiscali


Un altro caso molto particolare riguardante le imposte anticipate è costituito dal
beneficio fiscale per perdite pregresse. La base del ragionamento è costituita dal fatto
che le perdite conseguite in un periodo d’imposta possono essere deducibili dal reddito
imponibile ai fini IRES dei futuri esercizi di imposta con il limite che tale deduzione
non può superare l’80% del reddito imponibile dell’esercizio nel quale la perdita è
portata in compensazione (art. 84 TUIR) 5. Ovviamente tale riporto è subordinato al-
l’esistenza di futuri redditi imponibili capienti. In sostanza si equipara la deducibilità
futura della perdita di esercizio a quelle dei singoli costi prima osservati (costi di ma-
nutenzione, per es.). Il minore onere fiscale che si pagherà in futuro per effetto della
deduzione posticipata deve essere attribuito, secondo il postulato della competenza,
all’esercizio nel quale è generato, non a quello futuro nel quale comporterà una minore
uscita di denaro per imposte pagate. In questo modo l’esercizio futuro sarà gravato di
un onere per imposte commisurato al risultato economico dell’esercizio, senza tener
conto del fatto che il debito tributario sarà più basso per effetto del riporto di perdite
fiscali originatesi in passato.
Il beneficio fiscale per perdite di esercizio collegato secondo l’OIC 25 è rilevato tra
le attività dello Stato Patrimoniale alla voce C.II.5-ter «imposte anticipate» solo se
sussiste la ragionevole certezza del loro futuro recupero, comprovata quando:
– esiste una proiezione dei risultati fiscali della società (pianificazione fiscale) per un
ragionevole periodo di tempo in base alla quale si prevede di avere redditi imponi-
bili sufficienti per utilizzare le perdite fiscali; e/o
– vi sono imposte differite relative a differenze temporanee imponibili, sufficienti per
coprire le perdite fiscali, di cui si prevede l’annullamento in esercizi successivi. Il
confronto è fatto tra perdita fiscale e differenze imponibili in futuro.

5 Le perdite conseguite nei primi 3 anni dalla costituzione continuano ad essere integralmente riporta-

bili, senza alcun limite alla possibilità di utilizzo (in altre parole, le imprese in start up, rispetto alla regola
a regime, non soffrono della limitazione allo scomputo dell’80%). Le imprese individuali e le società di per-
sone in contabilità ordinaria continueranno a riportare le perdite con vincolo quinquennale (ad eccezione
di quelle riferite ai primi tre esercizi di imposta) senza limiti all’importo compensabile.

392
In presenza di tali condizioni, a rettifica del costo per imposte a carico dell’eserci-
zio si devono stanziare delle imposte anticipate (riepilogate nell’attivo patrimoniale
alla voce C.II.5-ter) con contropartita la voce 20 del Conto Economico. Si genera così
la strana situazione che nell’esercizio di conseguimento delle perdite, la ragionevole
certezza sulla loro deducibilità futura fa sì che la voce 20 del Conto Economico, ossia
le imposte sul reddito, può assumere segno positivo.
Nell’assenza di tali condizioni, il beneficio sarà riconosciuto solo nell’esercizio in
cui sarà eventualmente utilizzato, riducendo la base imponibile. Qualora tali condizio-
ni, inizialmente assenti (ad esempio perché i futuri redditi imponibili previsti sembra-
vano non permettere l’utilizzo del beneficio per perdite), emergano in un esercizio
successivo (perché ad esempio le stime sui redditi futuri sono migliorate), in tale eser-
cizio dovranno essere rilevate a bilancio come imposte anticipate pregresse.
L’importo del beneficio fiscale dovrà essere portato a compensare eventuali impo-
ste differite, fino alla loro concorrenza, la cui esigibilità si manifesterà nel periodo in
cui le perdite saranno detraibili.

BOX 60 – Le perdite di esercizio deducibili e le imposte anticipate


Per esemplificare, si supponga che l’azienda abbia conseguito perdite per 2.400 nell’esercizio a segui-
to di un evento difficilmente ripetibile e che nei prossimi tre esercizi i piani economici, da ritenersi concre-
ti e fattibili, ipotizzino i seguenti redditi imponibili: t + 1 = + 1.000, t + 2 = + 500, t + 3 = – 100. L’a-
zienda non redige invece piani che riguardino esercizi ancora più distanti nel tempo.
Ne consegue che solo per 1.200 (80% × 1.000 + 80% × 500) le perdite saranno deducibili dai redditi
imponibili futuri. Il beneficio fiscale sarà dunque pari ai minori costi futuri per imposte, dati dal prodotto delle
perdite deducibili per l’aliquota di media di imposizione fiscale sui redditi prevista per i prossimi tre anni.
Con l’aliquota sia del 24% (le perdite sono deducibili solo ai fini IRES), il beneficio è di 288 (1.200 × 24%). Si
ipotizzi inoltre che nell’esercizio siano state anche calcolate imposte differite per 200 da versare nei pros-
simi due esercizi. Tali imposte, fino al loro esaurimento, andranno a compensare il beneficio suddetto che
sarà pertanto di 88 (288 – 200). La rilevazione di tale beneficio, ricorrendo i requisiti per la sua contabiliz-
zazione, sarà dunque la seguente:

T – Rilevazione del beneficio fiscale


Imposte anticipate (S.P.) 88
Imposte anticipate sul reddito (C.E.) 88

La voce 20 del Conto Economico in tale esercizio accoglierà quindi il ricavo per imposte anticipate.
L’OIC 25 non si sofferma a descrivere l’aspetto contabile relativo all’utilizzo delle «attività per perdite de-
ducibili». Si supponga ad esempio che nell’esercizio T + 1, invece del previsto reddito imponibile di 1.000,
l’azienda consegua un reddito imponibile di 200 con conseguente carico tributario di 48 (24% × 200). Dal
punto di vista contabile necessariamente si deve ritenere che nell’esercizio t + 1 si dovranno comunque rile-
vare le imposte di competenza e poi annullare il costo derivante utilizzando il conto «attività per perdite de-
ducibili».
Nell’esercizio successivo, considerando il suddetto limite dell’80%, si possono portare a detrazione perdi-
te per 160 (200 × 80%). Ciò significa contabilmente che il «credito» per imposte anticipate verrà utilizzato
per 38,4 (160 × 24%), riducendo il credito per imposte anticipate originario di 88 che così scende a 49,6. Il
20% residuo del reddito imponibile prima della compensazione delle perdite e pari a 40 (200 × 20%) de-
terminerà comunque imposte correnti per 9,6 (40 × 24%).

393
In contabilità si rileverà:

T + 1 – Rilevazione del carico fiscale

Imposte sul reddito (C.E.) 48


Imposte anticipate (S.P.) 38,4
Debiti tributari (S.P.) 9,6

La parte residua del beneficio precedentemente iscritto (49,6), pari al saldo del conto imposte antici-
pate, sarà disponibile per ulteriori ed eventuali compensazioni dei redditi imponibili futuri.
In Nota Integrativa si dovrà riportare l’ammontare del beneficio contabilizzato in bilancio relativo a
perdite dell’esercizio o a perdite riportabili sostenute in esercizi precedenti, fornendo le motivazioni a sup-
porto dell’iscrizione dello stesso e l’ammontare del beneficio che invece non è stato ancora contabilizzato
in bilancio.

13.2.3. Alcune considerazioni in merito all’iscrizione delle imposte anticipate


Si è detto come l’OIC 25 stabilisca che le imposte anticipate devono riconoscersi
qualora vi sia ragionevole certezza del loro futuro recupero subordinato all’esistenza
di redditi imponibili futuri. Gli amministratori dovrebbero raggiungere questa certezza
sullo studio dei risultati previsti dai piani futuri (opinione condivisa anche dalla Con-
sob con comunicazione n. 99059010 del 30 luglio 1999). Si è rilevato 6 come l’obbligo
di tale riconoscimento forzi notevolmente la prudenza amministrativa, soprattutto per
il fatto che il ricavo per imposte anticipate (o meglio, la rettifica di costi futuri) co-
munque non è realizzato, violando quindi un fondamentale postulato per la redazione
dei bilanci.
Inoltre, la considerazione del beneficio fiscale nella classe delle imposte anticipate
è solo in parte giustificata. In effetti le imposte anticipate sono iscritte a rettifica del
carico tributario dell’esercizio (rendendo comprensibile il loro inserimento nella voce
20 del Conto Economico con il segno meno) in quanto le norme tributarie determina-
no maggiori imposte a carico dell’esercizio a causa della riconosciuta non deducibilità
(sia pur temporanea) di oneri di competenza economica. Il beneficio fiscale per riporto
di perdite, più propriamente, rettifica più un presunto onere tributario futuro che non
l’onere tributario a carico dell’esercizio. È perciò meno logico il suo inserimento con
segno positivo nella voce dedicata alle imposte sul reddito. L’OIC 25 ritiene tuttavia
che la determinazione dell’esercizio di competenza di questo «strano» ricavo dipenda
più dalla manifestazione della premessa (conseguimento perdite) che non dall’effettiva
realizzazione (detrazione dal futuro reddito imponibile). Oltre a presentare una marca-
ta differenza dalle imposte anticipate per il sopra citato motivo, anche in questo caso,
sebbene si richieda sempre il rispetto della ragionevole certezza per il riporto al futuro,
questa contabilizzazione lede il postulato della realizzazione dei ricavi.

6 Per tutti Cerbioni Fabrizio (1999), La valutazione e la rappresentazione in bilancio della fiscalità
differita: problemi aperti, relazione al Convegno «Falso e invalidità di bilancio», Bressanone, 27-28 set-
tembre 1999.

394
13.3. Gli adeguamenti delle imposte differite/anticipate, le imposte dif-
ferite/anticipate potenziali e pregresse
Si è detto che il fondo imposte differite e le imposte anticipate presenti a bilancio si
riverseranno negli esercizi in cui si compenseranno fiscalmente le differenze tempora-
nee che avevano originato tali poste contabili. Si tenga però presente che queste voci,
una volta sorte, potrebbero anche movimentarsi per cause diverse dal riversamento. Le
cause possibili sono due:
 variazione dell’aliquota fiscale prevista per l’esercizio nel quale si riverseranno:
questa circostanza, a parità di altre condizioni deve comportare l’incremento (se l’ali-
quota aumenta) o la riduzione (se l’aliquota diminuisce) delle imposte differite/antici-
pate già stanziate a bilancio, se e nella misura in cui il loro presumibile riversamento
avverrà in un esercizio nel quale la nuova aliquota sarà applicata;
 insussistenza sopravvenuta di condizioni necessarie per lo stanziamento di impo-
ste differite/anticipate. Se ad esempio si erano stanziate in precedenti esercizi imposte
differite/anticipate di 400, ritenendo che potessero essere compensate in futuro da redditi
imponibili capienti, e il quadro futuro muta al punto da prevedere che solo 250 di tali
imposte potranno essere recuperate, allora si dovranno diminuire di 150 (400 – 250) le
imposte differite (o anticipate) già stanziate.
Nello stesso senso, se in passato non si era proceduto a stanziamento di imposte dif-
ferite/anticipate in quanto non si prevedevano per il futuro redditi imponibili capienti,
ed in seguito cambiassero le stime al punto da far ritenere probabile l’esistenza di tali
redditi imponibili, le imposte precedentemente non stanziate dovranno allora essere
contabilizzate, originando così imposte differite/anticipate pregresse, ossia riferite a dif-
ferenze temporanee sorte in esercizi precedenti. Finché non sono rilevate come imposte
pregresse, tali imposte differite/anticipate si definiscono come imposte potenziali. L’a-
zienda evidentemente dovrà tenere memoria delle imposte potenziali, pur senza averle
ancora iscritte in bilancio, perlomeno fin quando la differenza temporanea che le ha
originate non sarà stata compensata.
In tutti questi casi, contabilmente si avranno variazioni della posta patrimoniale
(fondo imposte differite oppure imposte anticipate) e a Conto Economico si inseriran-
no nella voce 20, in una sottovoce distinta, in quanto si tratta di imposte riferite a prece-
denti esercizi, di segno sia positivo – ossia riduzione del fondo imposte differite o au-
menti delle imposte anticipate già contabilizzati – o negativo – ossia aumenti del fondo
imposte differite o riduzioni delle imposte anticipate già contabilizzati.

13.4. Imposte differite che non transitano dal Conto Economico


Sinora sono stati presentati esempi di imposte differite (attive o passive) causate da
sfasamento temporaneo tra reddito imponibile e risultato di esercizio. Ad essi devono
essere aggiunti altri casi di imposte differite determinati dalla differenza tra valore con-
tabile e valore fiscale di un’attività/passività, anche se non hanno interessato il Conto

395
Economico, come nel caso di rivalutazione di attività iscritte nello Stato Patrimoniale
a seguito di specifiche leggi, riserve in sospensione di imposta e operazioni straordina-
rie (fusioni, scissioni o conferimenti).

13.4.1. Imposte differite e leggi di rivalutazione


Alcuni leggi speciali possono consentire la rivalutazione di un’attività a fronte
dell’iscrizione in contropartita di un’apposita riserva di patrimonio netto (per esempi
si veda il cap. 3). Fiscalmente la rivalutazione dell’attività può influire o meno sul red-
dito imponibile dell’esercizio in cui è avvenuta; in altre parole, i maggior valori contabi-
li dell’attività a seguito della rivalutazione possono essere o meno riconosciuti anche
ai fini fiscali.
Solitamente il maggior valore attribuito ad un’attività in sede di rivalutazione può
essere riconosciuto ai fini fiscali a fronte del pagamento di un’imposta sostitutiva. In
tal caso valore contabile e valore fiscale coincidono e nessun riflesso si ripercuote sul-
le imposte differite 7. L’OIC 25 precisa che il pagamento dell’imposta sostitutiva non ge-
nera un costo per imposte ma determina l’iscrizione di un debito tributario nello Stato
Patrimoniale della società a fronte della riduzione della riserva di rivalutazione. Gli
eventuali interessi dovuti nel caso di pagamento rateale dell’imposta sostitutiva sono
rilevati per competenza quando matureranno e imputati al Conto Economico.
Invece, nel caso in cui i maggiori valori iscritti nell’attivo non siano riconosciuti ai
fini fiscali, la rivalutazione determina una differenza temporanea tra il valore contabile
dell’attività rivalutata e il suo valore ai fini fiscali. In tal caso, alla data della rivaluta-
zione, la società iscrive pertanto le imposte differite, IRES e IRAP, direttamente a ri-
duzione della riserva iscritta nel patrimonio netto. Negli esercizi successivi, le imposte
differite, sono riversate a Conto Economico in misura corrispondente al realizzo del
maggior valore (attraverso ammortamento, cessione dell’immobile, successiva ridu-
zione per perdita di valore). In tal caso, la rilevazione iniziale della rivalutazione sa-
rebbe la seguente:

Impianti (S.P.) xxxx


Riserva rivalutazione (S.P.) xxxx
Fondo imposte differite (S.P.) xxxx

Alcune leggi di rivalutazione possono prevedere che in contropartita al maggior va-


lore contabile di un’attività sia iscritta una riserva nel patrimonio netto non soggetta a
tassazione (c.d. riserva in sospensione di imposta), se non in caso di distribuzione del-

7 Vi può essere il caso in cui, in una rivalutazione di un cespite ammortizzabile, pur con valore conta-

bile e valore fiscale allineati, gli ammortamenti sul maggior valore sono deducibili fiscalmente a partire
da un esercizio successivo a quello in cui la rivalutazione è eseguita. In tal caso, negli esercizi precedenti
a quello in cui gli ammortamenti sono fiscalmente deducibili, emergono differenze temporanee sulle quali
va considerata la fiscalità differita attiva, se esiste la ragionevole certezza del loro recupero.

396
la riserva ai soci. Il regime di sospensione d’imposta della riserva determina una diffe-
renza temporanea imponibile tra il valore contabile della riserva e il suo valore fiscale
che richiede l’iscrizione di imposte differite alla data della rivalutazione (rilevazione
iniziale). Tuttavia, in deroga alla regola generale, secondo l’OIC 25, le imposte differi-
te relative alla riserva possono non essere contabilizzate se vi sono scarse probabilità
di distribuire la riserva ai soci. La valutazione circa la probabilità di distribuzione del-
la riserva ai soci è effettuata caso per caso, tenendo conto anche dell’andamento stori-
co di distribuzione dei dividendi e della presenza nel bilancio di altre riserve di entità
tale da non richiedere l’utilizzo di riserve in sospensione ai fini della distribuzione, ol-
treché della composizione del patrimonio netto, con particolare riguardo alla presenza
di altre riserve di entità rilevante, le quali hanno già scontato l’imposta.

13.4.2. Imposte differite e operazioni straordinarie


Le operazioni definite in gergo «straordinarie» sono quelle che comportano il tra-
sferimento di patrimoni, di aziende, rami di azienda o società, quali le operazioni di
cessione e di conferimento di aziende o rami d’azienda e le operazioni di fusione e scis-
sione di società. Per tali operazioni, il regime fiscale previsto generalmente, è quello del-
la «neutralità fiscale» nel senso che i valori fiscalmente riconosciuti prima dell’opera-
zione sono fiscalmente mantenuti anche dopo.
Tuttavia sotto il profilo contabile tali operazioni possono comportare modifiche nel
valore di attività e passività acquisite a seguito dell’operazione straordinaria, dal mo-
mento che i valori di scambio sono basati sui valori correnti di mercato (e non contabili).
Tali maggior valori contabili delle attività e anche l’avviamento, ottenuto come voce re-
siduale (prezzo di acquisizione dell’intera azienda diminuito del valore delle attività net-
te acquisite), iscritti in bilancio a seguito dell’operazione, non sono riconosciuti ai fini
fiscali. Similmente a quanto descritto sub 13.4.1, in questo caso si genera una differenza
temporanea tra valore fiscale e valore contabile, che non ha interessato il Conto Econo-
mico. Pertanto, se l’operazione straordinaria genera una differenza temporanea, la socie-
tà acquirente iscrive le relative imposte differite o anticipate alla data in cui avviene
l’operazione, a fronte dei maggiori o minori valori derivanti dall’operazione rispetto ai
valori fiscali riconosciuti, senza interessare la voce 22 del Conto Economico.
La normativa fiscale prevede, tuttavia, la facoltà per una società di riallineare il va-
lore fiscale ai maggiori valori contabili delle attività e dell’avviamento mediante il pa-
gamento di un’imposta sostitutiva delle imposte dirette. Il riallineamento consente il
riconoscimento fiscale di questi maggiori valori (c.d. affrancamento).
La decisione di avvalersi del riallineamento può essere presa con riferimento al-
l’esercizio in cui avviene l’operazione straordinaria o a un esercizio successivo. L’OIC
25 stabilisce per le due situazioni le seguenti regole.
Se il riallineamento avviene nell’esercizio in cui avviene l’operazione ed entro la
data di redazione del bilancio, la società calcola l’imposta sostitutiva sul plusvalore
attribuito al valore contabile delle attività nei limiti del valore corrente della stessa at-
tività. L’imposta sostitutiva è iscritta come costo a fronte di un debito tributario alla

397
voce D12 «debiti tributari», in quanto l’aliquota sostitutiva è conosciuta fin dal mo-
mento dell’operazione straordinaria. In tal caso in bilancio non appariranno imposte
differite in quanto i valori contabili e quelli fiscali coincidono.
Se la decisione di riallineare i valori fiscali ai maggiori valori contabili dell’attivo è
presa con riferimento ad un esercizio successivo a quello dell’operazione, la società:
 elimina il fondo imposte differite originatosi a seguito dell’operazione straordinaria
nell’anno in cui questa è avvenuta, in contropartita alla rilevazione di un provento
nella voce 20 del Conto Economico, in quanto viene meno la differenza tempora-
nea imponibile;
 contemporaneamente, iscrive un costo per l’imposta sostitutiva alla voce 20, in con-
tropartita alla rilevazione di un debito tributario (D12 del passivo). Pertanto, a fron-
te del beneficio economico derivante dall’eliminazione del fondo, la società sostie-
ne un costo per l’imposta sostitutiva che mitiga il beneficio.
Imposte differite e avviamento
Una differenza temporanea imponibile può sorgere al momento della rilevazione
iniziale dell’avviamento. Tuttavia, a differenza di quanto accade per le altre attività e
passività che per l’operazione presentano valori contabili non allineati con quelli fisca-
li, per l’OIC 25 la società non deve iscrivere le imposte differite al momento della ri-
levazione iniziale dell’avviamento.
La ragione di ciò risiede nella natura residuale dell’avviamento. L’avviamento rap-
presenta, infatti, la differenza che residua dopo l’allocazione del costo di acquisizione
alle attività e passività iscritte con l’operazione straordinaria. Conseguentemente, l’i-
scrizione delle imposte differite comporterebbe un aumento del valore contabile del-
l’avviamento dal momento che il prezzo pagato per l’acquisizione è lo stesso, determi-
nando un contemporaneo incremento di pari importo dell’attivo e del passivo; ciò ren-
derebbe l’informazione contenuta nel bilancio meno trasparente.
Negli esercizi successivi, le variazioni della differenza temporanea imponibile, per
la quale non sono state rilevate imposte differite in quanto derivanti dalla rilevazione
iniziale dell’avviamento, sono anch’esse considerate come derivanti dalla rilevazione
iniziale dell’avviamento e pertanto non sono rilevate. Ad esempio, se l’avviamento di
100 rilevato in un’operazione straordinaria ha un valore fiscale pari a zero, la società
non rileva le imposte differite sull’avviamento. Se la società rileva successivamente,
per tale avviamento, una perdita di valore pari a 20, l’importo della differenza tempo-
ranea imponibile si riduce da 100 a 80. Il decremento nel valore della differenza tem-
poranea imponibile non rileva ai fini della contabilizzazione delle imposte differite in
quanto è anch’essa riferita alla rilevazione iniziale dell’avviamento. Pertanto, la socie-
tà continua a non rilevare le imposte differite sull’avviamento.
Le norme fiscali possono dare la possibilità di riconoscere fiscalmente il valore del-
l’avviamento riallineandolo con quello contabile dietro pagamento di imposta sostitutiva
(cosiddetto «affrancamento dell’avviamento»). Il costo pagato per l’imposta sostitutiva
secondo l’OIC 25 è ripartito lungo la durata del beneficio fiscale derivante dal riallinea-
mento. A detta dell’OIC, l’imposta sostitutiva rappresenta, infatti, un’anticipazione di

398
futuri oneri fiscali che altrimenti la società sarebbe tenuta a corrispondere ad aliquota
piena negli esercizi successivi, qualora non avesse aderito al regime fiscale agevolativo.
L’ammontare del costo differito agli esercizi successivi è rilevato nell’attivo circolante
tra i crediti mediante una voce ad hoc «Attività per imposta sostitutiva da riallineamen-
to». La quota del costo dell’imposta sostitutiva di competenza dell’esercizio è iscritta
nella voce 20 del Conto Economico «imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, differi-
te e anticipate». Il debito riconducibile all’imposta da pagare è rilevata nella voce D12
«debiti tributari» del passivo patrimoniale (cfr. OIC 25, esempio n. 4, Appendice C).
In presenza di «affrancamento», al momento della rilevazione iniziale dell’opera-
zione di riallineamento, l’avviamento è riconosciuto ai fini fiscali e, dunque, non sorge
alcuna differenza temporanea che comporti la rilevazione di imposte anticipate/differi-
te, poiché il valore contabile dell’avviamento è pari al suo valore fiscale.
Tuttavia, negli esercizi successivi a quello del riallineamento, se sorgono differenze
temporanee, la società deve rilevare imposte anticipate/differite. Ciò accade per il di-
verso regime di ammortamento civilistico e fiscale dell’avviamento. Infatti, se l’avvia-
mento è riconosciuto ai fini fiscali, ma l’ammortamento civilistico è imputato in un
periodo inferiore rispetto a quello fiscale (18 anni), negli esercizi in cui l’ammorta-
mento civilistico è superiore a quello fiscale si generano differenze temporanee dedu-
cibili che si annulleranno negli esercizi successivi, quando l’ammortamento civilistico
sarà terminato e continuerà quello fiscale.

13.5. I riflessi nelle voci di bilancio


A questo punto si è in grado di comprendere meglio il contenuto delle voci degli
schemi di bilancio civilistici.
Nello schema di Stato Patrimoniale civilistico appaiono dunque le seguenti voci ri-
ferite alle imposte:
 La voce dell’attivo C.II.5-bis «crediti tributari», che riepiloga gli importi certi e
determinati per i quali la società ha un diritto al realizzo tramite rimborso o compensa-
zione, quali ad esempio: i crediti per eccedenze d’imposte correnti per i quali è stato
richiesto il rimborso; l’IVA a credito da portare a nuovo; le ritenute a titolo di acconto
subite all’atto della riscossione di determinati proventi; gli acconti eccedenti il debito
tributario per imposte correnti.
 La voce dell’attivo C.II.5-ter «imposte anticipate», che comprende le attività per
le imposte anticipate determinate in base alle differenze temporanee deducibili o al ri-
porto a nuovo delle perdite fiscali. Per le imposte anticipate non è fornita l’indicazione
separata di quelle esigibili oltre l’esercizio successivo.
 La voce del passivo B.2 «Fondi per imposte, anche differite», che comprende sia
le passività per imposte probabili, aventi ammontare o data di sopravvenienza inde-
terminata, derivanti, ad esempio, da accertamenti non definitivi o contenziosi in corso
e altre fattispecie similari (si veda cap. 11), sia le passività per imposte differite deter-
minate in base alle differenze temporanee imponibili.
 La voce del passivo D12 «debiti tributari», con i debiti per imposte certe e de-

399
terminate, quali i debiti per imposte correnti dell’esercizio in corso e di quelli prece-
denti (IRES, IRAP ed eventuali imposte sostitutive delle stesse) dovute in base a dichia-
razioni dei redditi, per accertamenti definitivi o contenziosi chiusi, nonché i tributi di
qualsiasi tipo iscritti a ruolo. La voce accoglie, altresì, le ritenute operate come sostitu-
to d’imposta e non versate alla data di bilancio. I debiti tributari sono iscritti al netto di
acconti, di ritenute d’acconto subite e crediti d’imposta, se compensabili, tranne nel caso
in cui ne sia richiesto il rimborso. In questo caso, essi sono rilevati alla voce C.II.5-bis
«crediti tributari» dell’attivo di Stato Patrimoniale.
Nel Conto Economico è rilevante la voce 20) «imposte sul reddito dell’esercizio,
correnti, differite e anticipate». La voce 20 è suddivisa in tre voci distinte, che assieme
concorrono ad identificare l’importo complessivo delle imposte sul reddito di compe-
tenza dell’esercizio:

1. imposte correnti, con le imposte sul reddito dovute sul reddito imponibile dell’eser-
cizio derivanti dalla dichiarazione dei redditi, le eventuali sanzioni pecuniarie e gli
interessi maturati se attinenti ad eventi dell’esercizio (ad esempio, ritardato versa-
mento degli acconti ed altre irregolarità);
2. imposte differite e anticipate, che accoglie, con segno positivo, l’accantonamento
al fondo per imposte differite e, con segno negativo, le imposte anticipate. La voce
accoglie sia le imposte differite e anticipate dell’esercizio sia quelle provenienti da
esercizi precedenti. In particolare, la voce si movimenta per le imposte differite co-
me + costi nel momento in cui si generano, – costi nel momento in cui si riversano
e, per le imposte anticipate, come – costi nel momento in cui si generano, + costi
nel momento in cui si riversano. Più in generale, tutte le variazioni delle attività per
imposte anticipate e delle passività per imposte differite sono iscritte nel Conto
Economico in contropartita alla voce 20 «imposte sul reddito dell’esercizio, corren-
ti, differite e anticipate». Non si includono in tale voce le imposte differite/anticipa-
te che derivano da un’operazione o un fatto rilevato direttamente al patrimonio net-
to o da un’operazione straordinaria. Si ricorda che, come sopra descritto, la voce 20
si movimenta anche per:
– adeguamenti (variazioni in aumento o in diminuzione) del fondo imposte diffe-
rite (voce B.II del passivo) e dell’attività per imposte anticipate (voce C.II.5-ter
dell’attivo) dovuti a cambio di aliquota fiscale;
– per le imposte anticipate derivanti da differenze temporanee deducibili non con-
tabilizzate in esercizi precedenti in quanto non sussistevano i requisiti per il suo
riconoscimento e che nell’esercizio divengono invece sussistenti.
3. imposte correnti (dirette e indirette) relative agli esercizi precedenti, compresi i
relativi oneri accessori (sanzioni e interessi). Queste imposte possono derivare, ad
esempio, da iscrizioni a ruolo, avvisi di liquidazione, avvisi di pagamento, avvisi di
accertamento e di rettifica ed altre situazioni di contenzioso con l’Amministrazione
Finanziaria. La loro contropartita patrimoniale può essere costituita dalla voce B.2
«Fondo per imposte, anche differite» o dalla voce D.12 «debiti tributari», a secon-
da delle caratteristiche della passività.

400
13.6. Il consolidato fiscale
Con la riforma tributaria (D.Lgs. n. 344/2003) è stata data alle imprese la possibili-
tà di scegliere se assoggettare a imposizione tributaria il proprio reddito imponibile
singolarmente oppure come gruppo di società, ricorrendo all’istituto del «consolidato
fiscale». In pratica, sempre che ricorrano numerose condizioni (il cui esame esula dai
nostri scopi), è possibile nei confronti dell’erario determinare un reddito imponibile di
gruppo, dato dalla somma dei redditi imponibili della società capogruppo e delle so-
cietà controllate ed in relazione ad esso calcolare le imposte ed il relativo debito. Il
debito ed il successivo versamento verso l’erario sarà in capo alla società capogruppo,
alla quale in precedenza le singole società controllate avranno «trasferito» i loro ri-
spettivi redditi imponibili o perdite fiscalmente deducibili, in modo da formare il red-
dito imponibile «consolidato».
Come afferma l’OIC 25, nell’Appendice D, i rapporti giuridici, economici e finan-
ziari derivanti dall’adesione al consolidato fiscale devono essere regolati da specifici
accordi di carattere privatistico tra le parti, attraverso un «contratto di consolidamento
fiscale». Gli accordi di consolidamento possono prevedere la ripartizione degli even-
tuali benefici fiscali – sia di ordine finanziario (derivanti, ad esempio, dallo slittamen-
to in avanti del versamento delle imposte dovute) che di ordine economico (derivanti
da un effettivo e definitivo risparmio fiscale) – in modo differenziato a seconda delle
diverse situazioni e della composizione del capitale sociale delle diverse entità che
partecipano alla procedura. Le politiche fiscali del gruppo, ad esempio, potranno esse-
re differentemente strutturate a seconda che il risultato complessivo sia rappresentato
da un reddito imponibile soggetto ad imposta ovvero da una perdita fiscale di cui si
prevede il recupero eventuale soltanto dopo alcune annualità.
Il contratto di consolidato fiscale stabilisce inoltre il criterio di ripartizione/utilizzo
delle perdite fiscali all’interno delle società del gruppo, in particolare nell’eventualità
che le perdite conseguite dalle controllate siano superiori agli imponibili positivi gene-
rati dalle altre società partecipanti al consolidato fiscale. Ciò assume particolare rile-
vanza qualora gli accordi di consolidamento prevedano la remunerazione immediata
delle perdite fiscali, in presenza di redditi imponibili compensati; in tal caso, una solu-
zione basata su un principio di «equità» potrebbe prevedere l’utilizzo di un criterio di
ripartizione proporzionale, determinato dal rapporto tra la perdita della singola società
ed il totale delle perdite generate dalle società del gruppo.
Gli effetti contabili che derivano dall’applicazione del consolidamento fiscale di-
pendono direttamente dalle clausole contenute nel contratto.
Per quanto di interesse ai fini del bilancio di esercizio delle singole società, l’op-
zione del consolidato fiscale non è priva di riflessi. Si supponga infatti la situazione in
cui vi siano due aziende, Alfa capogruppo e Beta controllata. Alfa presenta un reddito
imponibile individuale di 400 e Beta di 300. L’aliquota di imposta è del 33%. Alfa re-
gistrerà anzitutto il proprio costo per imposte.

Imposte di esercizio 132


Debiti tributari 132

401
Quindi, con il trasferimento del reddito imponibile di Beta, rileverà un ulteriore de-
bito tributario al quale non farà contropartita un costo, bensì un credito verso Beta.

Crediti verso controllata Beta 99


Debiti tributari 99

Specularmente, Beta registrerà il proprio costo per imposte, ma il debito non sarà
verso l’erario, quanto verso Alfa, che si farà carico del versamento all’erario:

Imposte di esercizio 99
Debiti verso controllante Alfa 99

Qualora Beta trasferisca una perdita (es. di 200), Alfa ricaverà un beneficio in
quanto dovrà versare all’erario un importo inferiore delle imposte a suo carico indivi-
duale. Beta quindi rileverà un provento per imposte (sempre da registrare nella voce
20 del Conto Economico) a fronte di un credito verso Alfa. Il provento iscritto da Beta
in Conto Economico non è imponibile ai sensi dell’art. 118, 4° comma, TUIR.

Crediti verso controllante Alfa 66


Proventi trasferimento redditi imponibili negativi 66

Alfa, in tale situazione continuerà anzitutto a registrare il proprio costo per imposte.

Imposte di esercizio 132


Debiti tributari 132

E poi ridurrà il debito verso l’erario di 66, a fronte di un debito verso Beta che le ha
trasferito la perdita.

Debiti tributari 66
Debiti verso controllata Beta 66

Per ulteriori esempi e casi specifici si rinvia all’OIC 25, Appendice D.

13.7. Contenuto della Nota Integrativa


In Nota Integrativa (art. 2427), il n. 14 riguarda specificamente l’informazione a
corredo delle imposte differite e anticipate. Esso richiede di inserire in Nota Integrati-
va «un apposito prospetto contenente:

402
 a) la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazio-
ne di imposte differite e anticipate, specificando l’aliquota applicata e le variazioni ri-
spetto all’esercizio precedente, gli importi accreditati o addebitati a Conto Economico
oppure a patrimonio netto 8, le voci escluse dal computo e le relative motivazioni.
L’OIC 25 propone in merito la presentazione del seguente prospetto:

Rilevazione delle imposte differite e anticipate ed effetti conseguenti

A) Differenze temporanee Ammontare


Differenze temporanee deducibili:
Spese di manutenzione 200
Fondo rischi ed oneri 100
Perdite fiscali a nuovo (se utilizzabili con ragionevole certezza) 500
… 800
Differenze temporanee imponibili:
Plusvalenze patrimoniali 1.000
Dividendi rilevati in base al principio della maturazione 800
… 1.800
Differenze temporanee nette 1.000

B) Effetti fiscali (aliquota fiscale applicabile 27,5%)


Fondo imposte differite (anticipate) a fine esercizio A 275
Fondo imposte differite (anticipate) a fine esercizio precedente B 230
Imposte differite (anticipate) dell’esercizio A–B 45

 b) l’ammontare delle imposte anticipate contabilizzate in bilancio attinenti a perdi-


te dell’esercizio o di esercizi precedenti e le motivazioni dell’iscrizione, l’ammontare
non ancora contabilizzato e le motivazioni della mancata iscrizione». L’OIC 25 esem-
plifica nel seguente modo l’informazione da fornire in merito all’utilizzo delle per-
dite fiscali:

8 Per l’imputazione di imposte differite direttamente a patrimonio netto si veda par. 13.4.1.

403
Informativa sull’utilizzo delle perdite fiscali

Esercizio precedente Esercizio corrente


Ammontare delle Effetto fiscale Ammontare delle Effetto fiscale
perdite fiscali (aliquota X%) perdite fiscali (aliquota X%)

Perdite fiscali utilizzate


dell’esercizio
di esercizi precedenti
Totale utilizzo
Perdite fiscali a nuovo,
con ragionevole certezza
Totale beneficio rilevato

In aggiunta a quanto disposto dalla normativa civilistica, l’OIC 25 dei principi conta-
bili dell’OIC richiede che la Nota Integrativa descriva la riconciliazione, con relative
spiegazioni, tra l’onere fiscale effettivo e l’onere fiscale teorico (ossia calcolato appli-
cando l’aliquota di imposta sul risultato al lordo delle imposte, come mostrato nel Conto
Economico), qualora le differenze tra i due valori siano significative; in tali casi le diffe-
renze possono essere spiegate non solo dall’esistenza di variazioni temporanee (deter-
minanti imposte differite e anticipate), ma anche da agevolazioni tributarie di varia natu-
ra. Sul punto l’OIC 25 propone il seguente prospetto (distinguendo tra IRES e IRAP):

Riconciliazione tra l’onere fiscale corrente e l’onere fiscale teorico (IRES)

Risultato prima delle imposte 1.000


Onere fiscale teorico (aliquota 27,5%) 275
Differenze temporanee imponibili in esercizi successivi
Es.: Plusvalenze patrimoniali 20
Totale (20)
Differenze temporanee deducibili in esercizi successivi
Es.: Accantonamento per rischi su cause legali in corso 80
Totale 80
Rigiro delle differenze temporanee da esercizi precedenti 170
Totale (170)
Differenze che non si riverseranno negli esercizi successivi 21
Totale 21
Imponibile fiscale 911
Imposte correnti sul reddito dell’esercizio 250,5

404
Determinazione dell’imponibile IRAP

Differenza tra valore e costi della produzione 600


– Costi non rilevanti ai fini IRAP 258
= Totale 858
Onere fiscale teorico (aliquota 3,90%) 33,4
Differenza temporanee deducibili in esercizi successivi 22
Imponibile IRAP 880
IRAP corrente per l’esercizio 34,3

13.8. Le regole IASB

13.8.1. I casi di insorgenza di imposte differite (attive e passive)


Lo IAS 12 (Income taxes) tratta in larga misura della contabilizzazione delle impo-
ste differite (imposte anticipate definite come attività fiscali differite e imposte differi-
te definite come passività fiscali differite). Per lo IAS il fenomeno che comporta l’in-
sorgere di dette imposte consiste nelle differenze temporanee (temporary differences)
destinate ad essere riassorbite tra valore di un’attività o di una passività iscritto in con-
tabilità e valore riconosciuto ai fini fiscali, dove il valore fiscale:
– per una attività, consiste nel suo importo deducibile a fronte dei proventi imponibili
derivanti dal realizzo (diretto o indiretto) dell’attività stessa (per es. un impianto co-
stato 1.000 ma deducibile solo al 50%, presenta un valore fiscale di 500);
– per una passività, consiste nel suo valore contabile diminuito degli importi relativi
eventualmente deducibili in futuro (ad es. nel caso di un fondo rischi indeducibile
di 300 fino alla verifica della perdita temuta, il valore fiscale sarà 300 – 300 = 0).
Più in particolare:
– un’attività (passività) con valore contabile temporaneamente maggiore del valore
fiscalmente riconosciuto determina un’imposte differita passiva (attiva);
– un’attività (passività) con valore contabile temporaneamente minore del valore fi-
scalmente riconosciuto determina un’imposte differita attiva (attiva).
In modo molto razionale, secondo lo IASB, il valore di un’attività ai fini fiscali è il
valore fiscalmente deducibile a fronte dei proventi imponibili che l’impresa realizzerà
(o ha già realizzato) per l’utilizzo del bene. Per cui si pone molto l’accento sulla corre-
lazione tra imponibilità dei ricavi derivanti dall’uso del bene e deducibilità dei relativi
costi. Ad esempio, una immobilizzazione tecnica dal costo storico di 200, già ammor-
tizzata con aliquote, riconosciute anche ai fini fiscali, per 70, avrà un valore fiscale di
130, coincidente con il valore contabile, in quanto 130 saranno (o perlomeno si pre-
sume che siano) i ricavi imponibili futuri derivanti dall’utilizzo del bene e quindi gli

405
ammortamenti riconosciuti in deduzione per il futuro e quindi non determinerà impo-
ste differite. Al contrario, un credito in contabilità di 100 che determinerà imposizione
tributaria solo al momento dell’incasso, avrà un valore fiscale pari a 0, e dunque da que-
sta differenza tra valore fiscale e valore contabile, scaturirà un’imposta differita passiva.
Questa logica di ragionamento circa il motivo dell’insorgenza delle imposte differi-
te, pur essendo ripresa dall’OIC 25, pone l’accento sull’aspetto patrimoniale (diverso
valore attività/passività tra regole fiscali e criterio economico), mentre in Italia vi è più
consuetudine a fare riferimento all’aspetto economico (differenza temporanea tra red-
dito imponibile e risultato di esercizio).
La differenza temporanea tra reddito imponibile e risultato di bilancio costituisce
una timing difference (differenza temporale, alla lettera) ed è compresa nel più ampio
insieme delle differenze temporanee, generando comunque imposte differite (come d’al-
tronde siamo già abituati a fare nel contesto italiano).

13.8.2. Requisiti per contabilizzare le imposte differite/anticipate e relativa


valutazione
Mentre per lo stanziamento di imposte differite passive non è richiesta la verifica di
nessuna particolare condizione, per le imposte anticipate si richiede che sia probabile
che vi siano redditi imponibili futuri sufficienti a consentire il recupero delle imposte
anticipate. Tale probabilità è ritenuta esistere nella misura in cui vi siano imposte dif-
ferite passive sufficienti a coprire le imposte anticipate nello stesso esercizio in cui en-
trambe dovranno annullarsi.
Se invece le imposte differite passive non ci sono o sono insufficienti, allora si do-
vrà valutare la probabilità che per l’esercizio di riversamento delle imposte anticipate
possano esservi redditi imponibili capienti ad assorbirle (e tali redditi devono essere al
netto di quelle differenze deducibili che genereranno a loro volta altri redditi imponi-
bili). In alternativa, si dovrà valutare la possibilità di compiere politiche di pianifica-
zione fiscale attraverso le quali far confluire reddito imponibile capiente negli esercizi di
riversamento delle imposte anticipate. Tali politiche ovviamente dipenderanno dalle di-
sposizioni tributarie vigenti nei vari ordinamenti tributari ove tali IAS saranno applicati.
Se tuttavia l’impresa ha una storia recente di perdite fiscali, serviranno prove con-
vincenti del fatto che sarà disponibile un reddito imponibile sufficiente a compensare
le imposte anticipate. In Nota Integrativa andranno chiarite tali motivazioni. Nel valu-
tare la probabilità di ottenere redditi futuri capienti per assorbire imposte anticipate de-
rivanti da perdite fiscali si deve ritenere che le perdite siano state causate da cause
identificabili che è probabile che non si ripetano.
Ad ogni chiusura di esercizio, l’impresa deve valutare se potranno sopravvenire
condizioni tali (es. miglioramento del mercato, aggregazione di imprese, ecc.) da per-
mettere lo stanziamento di imposte anticipate fino a quel momento non stanziate. Se
così fosse, si dovranno stanziare le imposte anticipate.
Rispetto a tali regole, la normativa italiana di cui all’OIC 25 si differenzia per il fatto
che nel nostro Paese:

406
– la contabilizzazione delle imposte differite richiede che non sia scarsa la proba-
bilità del riversamento, il che presuppone l’esistenza (sia pur a un grado appena sopra
«lo scarso») di redditi imponibili futuri in grado di riassorbire le imposte differite;
– la contabilizzazione delle imposte anticipate può sussistere solo in presenza di
ragionevole certezza, requisito ben più stringente di quanto disposto dallo IAS 12.
Lo IAS 12 riconosce che aggregazioni tra imprese possono comportare la verifica
delle circostanze che permettono di stanziare imposte anticipate fino a quel momento
solo potenziali, ad esempio facendo presumere redditi imponibili capienti futuri. Per-
tanto a seguito dell’aggregazione, in un caso similare, dovrà essere rilevata l’imposta
anticipata. Questo fenomeno comporta un incremento dell’avviamento rilevato a se-
guito dell’aggregazione.
Per quanto riguarda i profili di valutazione, non vi sono particolari differenze ri-
spetto alla normativa italiana.

13.8.3. Stanziamento delle imposte differite a Conto Economico e relative ec-


cezioni
Le imposte differite devono essere rilevate in Conto Economico a meno che:
 derivino da acquisizione di imprese. Nel caso di operazioni di aggregazione, l’im-
presa potrà trovarsi ad acquisire un’azienda che presenta già nel suo bilancio delle
imposte anticipate o differite. In tal caso, tali elementi potranno essere trasferiti nel
bilancio dell’impresa acquirente senza che comportino ovviamente stanziamento a
Conto Economico;
 sia stata imputata direttamente a patrimonio netto.
Questo ultimo caso merita un approfondimento.
Le imputazioni di imposte differite direttamente a patrimonio netto avvengono ad
esempio in presenza di rivalutazione di immobilizzazioni (come permesso dal revalua-
tion model di cui allo IAS 16), caso nel quale già sappiamo che il valore contabile po-
trà essere superiore al valore fiscale del bene, implicando quindi lo stanziamento di
un’imposta differita. Supponendo ad esempio che un impianto dal costo di 2.000 sia
stato ammortizzato per 800 (es. 4 anni a quote annue del 10%) con valore contabile
quindi di 1.200 pari al valore fiscale. Se si rivaluta il valore contabile portandolo a
1.500 e l’aliquota fiscale è del 40%, la rilevazione sarà le seguente, con rilevazione di
un fondo imposte differite direttamente a patrimonio netto per 120 (300  40%):

Impianti 500
Fondo ammortamento 200
Riserva rivalutazione 180
Fondo imposte differite 120

In tale operazione si ricorda che la rivalutazione del valore netto contabile (pari a
300) appare indirettamente dalla differenza tra rivalutazione del costo storico e rivalu-

407
tazione del fondo ammortamento. Queste ultime saranno calcolate moltiplicando i va-
lori in contabilità (rispettivamente 2.000 e 800) per la percentuale di rivalutazione del
valore contabile (pari a 300/1.200, ossia pari al 25%), determinando così il nuovo va-
lore del cespite rivalutato (2.000 + 25% 2.000 = 2.500) e del fondo ammortamento
(800 + 25% 800 = 1.000). In conseguenza di ciò, dopo la rivalutazione si dovrà stanziare
un ammortamento calcolato sul nuovo valore di 2.500, quindi pari a 250 (2.500  10%).
Lo IAS 12, riprendendo la disposizione dello IAS 16, ricorda che l’avanzamento del-
l’ammortamento comporta che si giri a riserva disponibile la parte di riserva di rivalu-
tazione corrispondente alla differenza tra nuova e vecchia quota di ammortamento. So-
lo che la riduzione della riserva di rivalutazione dovrà essere al netto dell’imposta dif-
ferita ad esso relativa. Pertanto l’incremento degli utili a nuovo che sarà pari alla diffe-
renza tra le due quote di ammortamento (cioè 250 – 200 = 50), sarà generato dalla ri-
duzione della riserva di rivalutazione e del relativo fondo imposte differite (rispettan-
do la stessa proporzione di 3:2, ossia 30 e 20). La rilevazione, dopo l’ammortamento
di 250, sarà:

Riserva rivalutazione 30
Fondo imposte differite 20
Riserva disponibile 50

13.8.4. Esposizione in bilancio


Nelle note si dovranno riportare molti dati:
 imposte imputate a patrimonio netto;
 imposte riferite a componenti straordinari;
 prospetto di riconciliazione tra imposte effettive e imposte teoriche calcolate sul-
l’utile di bilancio;
 ammontare delle imposte anticipate potenziali, distinto per esercizio di formazione
con indicazione della data di scadenza, se esiste;
 ammontare delle imposte differite non rilevate su investimenti finanziari in società
controllate e collegate;
 spiegazione delle variazioni rispetto al precedente esercizio del tax rate (aliquota
complessiva di imposizione tributaria);
 imposte su plus(minus)valenze relative a cessazione di attività;
 il dettaglio degli elementi componenti la voce imposte a Conto Economico (che può
anche assumere segno positivo per l’esistenza delle imposte anticipate) ossia:
– imposte correnti;
– rettifiche per imposte correnti di esercizi precedenti;
– imposte differite e anticipate;
– imposte anticipate non rilevate in precedenza e usate per compensare le imposte
differite passive e, distintamente, le imposte correnti;
– onere fiscale per annullamento di imposte anticipate precedentemente stanziate.

408
14

Gli strumenti finanziari derivati

SOMMARIO: 14.1. I derivati e la riforma del D.Lgs. n. 139/2015. – 14.2. La definizione di strumen-
to finanziario derivato e le principali tipologie. – 14.3. La copertura e la sua efficacia. – 14.4. Classi-
ficazione in bilancio. – 14.5. Contabilizzazione iniziale e valutazione a fine esercizio. – 14.5.1. La
determinazione del fair value. – 14.6. I derivati di copertura. – 14.6.1. Coperture di fair value. –
14.6.2. Coperture di flussi finanziari. – 14.6.3. Contabilizzazione per relazioni di copertura sem-
plici. – 14.7 Separazione dei derivati incorporati. – 14.8. Le informazioni in Nota Integrativa. –
14.9. Disposizioni di prima adozione. – 14.10. Società che redigono il bilancio in forma abbrevia-
ta e micro-imprese.

14.1. I derivati e la riforma del D.Lgs. n. 139/2015


La riforma delle regole civilistiche in materia di bilancio di cui al D.Lgs. n. 139/2015
ha reso obbligatoria la contabilizzazione degli strumenti finanziari derivati (d’ora in
poi, semplicemente, derivati) a partire dal 1° gennaio 2016, introducendo il nuovo art.
2426, 1° comma, n. 11 bis).

Art. 2426, 1° comma, n. 11 bis


Gli strumenti finanziari derivati, anche se incorporati in altri strumenti finanziari, sono iscritti al fair va-
lue. Le variazioni del fair value sono imputate al Conto Economico oppure, se lo strumento copre il rischio
di variazione dei flussi finanziari attesi di un altro strumento finanziario o di un’operazione programmata,
direttamente ad una riserva positiva o negativa di patrimonio netto; tale riserva è imputata al Conto Eco-
nomico nella misura e nei tempi corrispondenti al verificarsi o al modificarsi dei flussi di cassa dello stru-
mento coperto o al verificarsi dell’operazione oggetto di copertura. Gli elementi oggetto di copertura con-
tro il rischio di variazioni dei tassi di interesse o dei tassi di cambio o dei prezzi di mercato o contro il ri-
schio di credito sono valutati simmetricamente allo strumento derivato di copertura; si considera sussisten-
te la copertura in presenza, fin dall’inizio, di stretta e documentata correlazione tra le caratteristiche dello
strumento o dell’operazione coperti e quelle dello strumento di copertura. Non sono distribuibili gli utili
che derivano dalla valutazione al fair value degli strumenti finanziari derivati non utilizzati o non necessari
per la copertura. Le riserve di patrimonio che derivano dalla valutazione al fair value di derivati utilizzati a
copertura dei flussi finanziari attesi di un altro strumento finanziario o di un’operazione programmata non
sono considerate nel computo del patrimonio netto per le finalità di cui agli artt. 2412, 2433, 2442, 2446
e 2447 e, se positive, non sono disponibili e non sono utilizzabili a copertura delle perdite.

409
Per la definizione di derivati, l’art. 2426, 2° comma, c.c. rinvia espressamente ai
principi contabili internazionali, sancendo, ammesso che ce ne fosse ancora il bisogno,
quanto le regole contabili dell’Unione Europea e conseguentemente nazionali anche
per le società non quotate stiano sempre più convergendo verso gli IAS/IFRS.

Art. 2426, 2° comma


Ai fini della presente Sezione, per la definizione di «strumento finanziario», di «attività finanziaria» e
«passività finanziaria», di «strumento finanziario derivato», di «costo ammortizzato», di «fair value», di «attivi-
tà monetaria» e «passività monetaria», «parte correlata» e «modello e tecnica di valutazione generalmente
accettato» si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall’Unione europea.

Ai derivati è dedicato il Documento OIC che sostituisce completamente le disposi-


zioni di cui all’OIC 3 «Le informazioni sugli strumenti finanziari da includere nella
Nota Integrativa e nella relazione sulla gestione». Inoltre, similmente alle regole IFRS,
dovranno essere scorporati e rilevati separatamente gli eventuali derivati «incorporati»
in altri strumenti finanziari. Dalla disciplina fornita dal Documento OIC sono esclusi:
a) i contratti derivati aventi ad oggetto le azioni proprie della società;
b) i contratti derivati stipulati tra un acquirente e un venditore relativi agli strumenti di
capitale oggetto di un’operazione straordinaria;
c) le opzioni di riscatto incluse nei contratti di leasing;
d) le relazioni di copertura in cui lo strumento di copertura è un’attività o passività fi-
nanziaria non derivata.

14.2. La definizione di strumento finanziario derivato e le principali ti-


pologie
Dopo aver definito che uno strumento finanziario è qualsiasi contratto che dia ori-
gine ad un’attività finanziaria per una società e ad una passività finanziaria o ad uno
strumento di capitale per un’altra società, secondo l’OIC un «derivato» è uno strumen-
to finanziario o un altro contratto che possiede le seguenti tre caratteristiche:
a) il suo valore varia come conseguenza della variazione di un determinato tasso di
interesse, prezzo di strumenti finanziari, prezzo di merci, tasso di cambio, indice di
prezzo o di tasso, rating di credito o indice di credito o altra variabile, a condizione
che, nel caso di una variabile non finanziaria, tale variabile non sia specifica di una
delle controparti contrattuali (a volte chiamato il sottostante). Le variabili non fi-
nanziarie specifiche di una parte contrattuale includono per esempio l’EBITDA o i
ricavi ma non il volume delle vendite;
b) non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale
che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspet-
terebbe una risposta simile a cambiamenti di fattori di mercato. Un contratto di op-

410
zione soddisfa tale definizione poiché il premio è inferiore all’investimento che sa-
rebbe richiesto per ottenere lo strumento finanziario sottostante al quale l’opzione
finanziaria è collegata. Un currency swap che richiede uno scambio iniziale di va-
lute diverse di pari fair value soddisfa la definizione perché ha un investimento net-
to iniziale pari a zero;
c) è regolato a data futura.
Un derivato presenta solitamente un valore nominale (o nozionale, come un impor-
to in valuta, un numero di azioni, un numero di unità di peso o di volume o altre unità
specificate nel contratto). L’interazione del valore nominale e del sottostante determi-
na l’ammontare del regolamento dello strumento finanziario derivato. Alternativamen-
te, un derivato potrebbe richiedere un pagamento fisso o il pagamento di un importo
che può variare (ma non proporzionalmente alla variazione dello strumento sottostan-
te) come risultato di un evento futuro che non è collegato ad un importo nozionale. È an-
che possibile il caso di strumenti finanziari derivati che non abbiano né il valore no-
minale né la previsione di pagamento. È l’esempio di un derivato in cui le parti con-
cordano di fissare il tasso di cambio di una valuta rispetto ad un’altra e in cui l’am-
montare di valuta da convertire è legato ai volumi di vendita della società. In questo
caso sono presenti due sottostanti uno finanziario (tasso di cambio) e uno non finan-
ziario (volume delle vendite).

Esempi di derivati
Caso 1
Una società sottoscrive un interest rate swap per cui corrisponde un tasso fisso dell’8% e riceve un im-
porto variabile in base all’Euribor a 3 mesi, rideterminato trimestralmente. Gli importi fissi e variabili sono
determinati sulla base di un importo nozionale di euro 100 milioni. La società C può corrispondere o rice-
vere trimestralmente un importo netto sulla base della differenza tra l’8% e l’Euribor a 3 mesi (regolamento
su base netta) oppure può corrispondere il variabile e ricevere il fisso (regolamento su base lorda). Il con-
tratto soddisfa la definizione di strumento finanziario derivato indipendentemente dal fatto che sussista o
meno un regolamento netto o lordo poiché il suo valore cambia in risposta ai cambiamenti del sottostante
(Euribor), non sussiste un investimento netto iniziale e i regolamenti avvengono a date future.
Caso 2
La società A stipula interest rate swap a cinque anni su un importo nozionale di euro 100 milioni, in
base al quale paga un tasso fisso e riceve un tasso variabile. Il tasso di interesse variabile dello swap è ride-
terminato trimestralmente in base all’Euribor a 3 mesi. Il tasso di interesse fisso dello swap è del 10% an-
nuo. La società A paga anticipatamente la propria obbligazione a tasso fisso pari ad un controvalore di eu-
ro 50 milioni (euro 100 milioni × 10% × 5 anni), scontati utilizzando tassi di interesse di mercato, pur
conservando il diritto a ricevere pagamenti per interessi su euro 100 milioni rideterminati trimestralmente
per tutta la durata dello swap in base all’Euribor a 3 mesi.
La definizione di strumento finanziario derivato è rispettata se una società paga anticipatamente, all’i-
nizio della copertura, il tasso fisso di un interest rate swap in quanto:
a) l’investimento netto iniziale nell’interest rate swap è significativamente inferiore all’importo nozionale
su cui saranno calcolati i pagamenti variabili in base alla parte variabile dello swap. Il contratto richie-
de un investimento netto iniziale minore di quanto sarebbe necessario per altri tipi di contratti che ci si
attende rispondano in maniera similare a cambiamenti dei fattori di mercato, quali un titolo obbliga-
zionario a tasso variabile. Quindi, il contratto soddisfa la disposizione dettata dal presente principio per

411
cui «non è richiesto alcun investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale che sia
minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una risposta simile
a cambiamenti di fattori di mercato»;
b) anche se la società non ha un’obbligazione ad un risultato futuro, il regolamento definitivo del contrat-
to è ad una data futura ed il valore del contratto varia in risposta alle variazioni dell’indice Euribor. Se
la parte fissa è pagata anticipatamente durante il periodo della copertura, e non all’inizio, ciò è consi-
derato come un’estinzione del vecchio contratto di swap e la creazione di un nuovo strumento.
Caso 3
La società ABC stipula un interest rate swap a cinque anni per un importo nozionale di euro 100 mi-
lioni, in base al quale paga un tasso variabile e riceve un tasso fisso. La parte variabile dello swap è ride-
terminata trimestralmente in base all’Euribor a 3 mesi. I pagamenti di tasso fisso in base allo swap sono calco-
lati al 10% moltiplicato per l’importo nozionale, ossia euro 10 milioni annui. La società ABC estingue anti-
cipatamente la propria obbligazione relativa alla parte variabile dello swap all’inizio ai tassi di mercato cor-
renti, conservando il diritto a ricevere pagamenti a tasso fisso del 10% su euro 100 milioni annui. I flussi
finanziari in entrata in base al contratto sono equivalenti a quelli di uno strumento finanziario con un flus-
so di rendite fisse, in quanto la società ABC riceverà euro 10 milioni annui per tutta la durata dello swap.
Pertanto, a parità di circostanze, l’investimento iniziale nel contratto dovrebbe essere pari a quello di altri
strumenti finanziari consistenti in rendite fisse. Un interest rate swap che paga anticipatamente un tasso
variabile e riceve un tasso fisso non è uno strumento finanziario derivato se il tasso variabile è pagato anti-
cipatamente all’inizio e non è più uno strumento finanziario derivato se il tasso variabile è pagato anticipa-
tamente in un momento successivo perché esso fornisce un rendimento sull’importo (investito) pagato an-
ticipatamente paragonabile a quello di uno strumento di debito con flussi finanziari fissi. L’importo pagato
anticipatamente non rispetta il criterio di un derivato secondo cui «non è richiesto alcun investimento net-
to iniziale o richiede un investimento netto iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi
di contratti da cui ci si aspetterebbe una risposta simile a cambiamenti di fattori di mercato».
Caso 4
Una società A vende prodotti in dollari e sottoscrive un contratto per convertire i dollari in euro. Il con-
tratto stabilisce che la società A corrisponda dollari in base ai volumi di vendita in cambio di euro a un
tasso di cambio fisso di 1,5 rispetta la definizione di contratto derivato in quanto a) ha due variabili sotto-
stanti (il tasso di cambio e il volume delle vendite); b) non richiede un investimento netto iniziale o richie-
de un investimento netto iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui
ci si aspetterebbero effetti simili in presenza di cambiamenti di fattori di mercato; e c) ha un accordo per il
regolamento a data futura. Il Documento OIC non esclude dal proprio ambito di applicazione strumenti fi-
nanziari derivati che si basano sul volume delle vendite.
Caso 5
Un contratto forward per l’acquisto di quote azionarie tra un anno al prezzo a termine che prevede il
pagamento anticipato all’inizio in base al prezzo corrente delle azioni non rispetta la definizione di stru-
mento finanziario derivato «non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto
iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una ri-
sposta simile a cambiamenti di fattori di mercato». La società B sottoscrive un contratto forward per
l’acquisto di numero 1 milioni di azioni ordinarie T a un anno. Il prezzo attuale di mercato di T è di euro
50 per azione; il prezzo a un anno di T è pari a euro 55 per azione. La società B deve pagare anticipata-
mente il contratto forward all’inizio effettuando un pagamento di euro 50 milioni. L’investimento iniziale
nel contratto forward di euro 50 milioni è inferiore all’importo nozionale applicato al sottostante, numero
1 milione di azioni al prezzo a termine di euro 55 per azione, ossia euro 55 milioni. Tuttavia, l’investimen-
to netto iniziale si avvicina all’investimento che sarebbe richiesto per altri tipi di contratti che ci si aspette-
rebbe abbiano risposte simili ai cambiamenti dei fattori del mercato perché le azioni di T potrebbero esse-
re acquistate all’inizio per lo stesso prezzo di euro 50. Di conseguenza, il contratto forward pagato in anti-
cipo non soddisfa la definizione di strumento finanziario derivato.

412
È opportuno descrivere succintamente i principali tipi di contratti derivati ricordan-
do che i contratti derivati possono avere la funzione di copertura da un rischio di oscil-
lazione dei prezzi oppure di speculare sull’andamento di mercato del sottostante.

Tipo di derivato Variabile sottostante Caratteristiche Funzione

Interest rate swap Tassi d’interesse Contratto con il quale Coprirsi dal (o specula-
(scambio di interessi) due parti si scambiano, re sul) rischio di varia-
in date stabilite e per bilità del tasso di in-
un periodo prefissato, teresse. Es: pagare flus-
flussi di denaro di se- si basati su tasso inte-
gno opposto determi- resse fisso e ricevere
nati applicando ad uno flusso basato su tasso di
stesso capitale nozio- interesse variabile.
nale due diversi tassi
d’interesse.
Currency Swap Tassi di cambio Contratto con il quale Coprirsi dal (o specu-
(scambio di valute) due parti si accordano lare sul) rischio di va-
per scambiarsi paga- riabilità del cambio di
menti calcolati sulla una certa valuta.
base di tassi di cambio
di valute differenti, ap-
plicati ad un capitale no-
zionale per un determi-
nato periodo.
Swap Prezzi materie Azioni Contratto con il quale
due parti si impegnano
a scambiarsi futuri pa-
gamenti, calcolati appli-
cando al medesimo ca-
pitale (detto nozionale)
due diversi parametri
riferiti a due diverse va-
riabili di mercato. Tale
contratto definisce le
date in cui verranno ef-
fettuati i pagamenti re-
ciproci e le modalità se-
condo le quali dovran-
no essere calcolate le ri-
spettive somme.
Opzioni di acquisto Tassi di interesse Contratti che attribui- Garantirsi flessibilità per
(call) Tassi di cambio scono al compratore il decidere se acquistare.
Prezzi materie Azioni diritto (ma non l’obbli-
Merci go) di acquistare un’at-
tività sottostante a (op-
pure entro) una certa da-
ta ad un prezzo prefis-
sato.
(segue)

413
Tipo di derivato Variabile sottostante Caratteristiche Funzione
Opzioni di vendita Tassi di interesse Contratti che attribui- Garantirsi flessibilità per
(put) Tassi di cambio scono al compratore il decidere se vendere.
Prezzi materie diritto (ma non l’ob-
Azioni bligo) di vendere una
Merci data un’attività sotto-
stante a (oppure entro)
una certa data ad un
prezzo prefissato (stri-
ke price).
Forward o future Tassi di interesse Contratto a termine
Tassi di cambio (standardizzato nel ca-
Prezzi materie so dei future) con cui
Azioni due parti si accordano
Merci a scambiare in una da-
ta futura una certa atti-
vità a un prezzo fissato
al momento della con-
clusione del contratto.

Gli strumenti finanziari derivati possono essere standardizzati e quotati in mercati


regolamentati, ovvero definiti su «misura» in relazione alle specifiche esigenze degli
operatori e trattati da istituzioni finanziarie nell’ambito di circuiti specializzati (cosid-
detti prodotti over the counter). Appartengono alla prima categoria i contratti futures e
le opzioni (call e put) quando esse sono negoziate sui mercati regolamentati. I contratti
a termine forward, le opzioni non quotate, nonché gli swap ed i derivati creditizi, vi-
ceversa, appartengono alla categoria degli strumenti over the counter.
I derivati creditizi
Altra categoria è rappresentata dai derivati creditizi. Essi sono contratti che perse-
guono la finalità di trasferire il rischio creditizio sottostante ad una determinata attività
dal soggetto che acquista protezione al soggetto che vende protezione. In tali operazio-
ni l’oggetto della transazione è rappresentato dal rischio di credito in capo ad un bene-
ficiario finale di fondi. Tali contratti si possono distinguere in:
 credit default swap, contratti nei quali il venditore di protezione deve adempiere
all’obbligazione prevista dal contratto al verificarsi di un determinato evento;
 credit spread swap/option, nei quali l’obbligo ad adempiere del venditore di prote-
zione dipende dall’andamento di mercato di un’entità di riferimento;
 total rate of return swap, nei quali l’acquirente ed il venditore di protezione si scam-
biano l’ammontare dei flussi di cassa generati da un’entità di riferimento e quelli
legati ad un tasso di interesse di mercato maggiorato o diminuito di un determinato
spread.

414
I derivati su merci
Sono inclusi tra gli strumenti finanziari derivati ai sensi dell’art. 2426, 3° comma,
c.c. anche quei contratti di acquisto e vendita di merci che conferiscono all’una o al-
l’altra parte contraente il diritto di procedere alla liquidazione del contratto per contan-
ti o mediante altri strumenti finanziari, ad eccezione del caso in cui si verifichino con-
temporaneamente le seguenti condizioni:
a) il contratto sia stato concluso e sia mantenuto per soddisfare le esigenze di acqui-
sto, vendita o di utilizzo merci;
b) il contratto sia destinato a tale scopo fin dalla sua conclusione;
c) si preveda che il contratto sia eseguito mediante consegna della merce.
Tuttavia, in relazione a questi ultimi contratti, se la società segue una prassi di re-
golamento al netto sulla base di disponibilità liquide, oppure per prassi riceve la merce
oggetto del contratto per poi rivenderla nel breve periodo, non può invocare l’aspetta-
tiva della consegna della merce per non valutare il contratto come uno strumento finan-
ziario derivato.
Con riferimento ai contratti sulle merci, il Documento OIC stabilisce che un’opzio-
ne (put o call) venduta per acquisto o vendita di merci che dà diritto ad entrambe le
parti di regolare il contratto al netto sulla base di disponibilità liquide oppure che ha
come sottostante merce facilmente liquidabile è da contabilizzarsi come fosse un deri-
vato, anche se nella prassi la società procede alla consegna fisica della merce.
In sostanza, i derivati su merci (es. un future) che si concludono con una consegna
fisica non sono da considerarsi derivati finanziari e non sono quindi assoggettati a que-
sto principio. Essi sono invece considerati come contratti a termine, per i quali in bi-
lancio si segnalerà l’impegno in nota; contabilmente essi avranno un riflesso solo nella
misura in cui a fine esercizio si sia maturata una perdita sul contratto che andrà rileva-
ta per il principio della prudenza.
Il Documento OIC definisce in linea generale le principali caratteristiche che le
merci devono avere affinché siano negoziate a termine sono le seguenti:
 volatilità dei prezzi;
 la commodity deve essere relativamente omogenea per la definizione di un contrat-
to standard ossia deve essere possibile standardizzare la qualità e le condizioni di
consegna delle commodities che costituiscono il sottostante dei contratti futures;
 la commodity deve essere profittevolmente stoccabile. Le possibilità di stoccaggio
sono legate alla deperibilità della commodity e costituiscono un presupposto irri-
nunciabile per le negoziazioni sui mercati a termine;
 il mercato del sottostante deve essere concorrenziale, con elevato numero di opera-
tori (produttori, consumatori e intermediari), tale da permettere un’adeguata volati-
lità dei prezzi. Il volume ed il valore commerciale delle commodities devono essere
inoltre abbastanza grandi da poter costituire una base adeguata per le negoziazioni
sui mercati a termine;
 produzione in surplus. Il ricorso ai mercati a termine per sfruttare le opportunità di
hedging è legato alla presenza di surplus produttivi. Se, infatti, la produzione an-
nuale venisse ogni volta interamente venduta, il ricorso ai mercati a termine per fini

415
di copertura verrebbe notevolmente ridimensionato in quanto non esisterebbe più il
rischio legato al prodotto immagazzinato.

Esempi di derivati su merci


Caso 1
Un contratto collegato a merci che prevede la consegna fisica del bene o il regolamento netto in di-
sponibilità liquide o altri strumenti finanziari ad una determinata data, sebbene corrisponda alla definizio-
ne di strumento finanziario derivato, non va necessariamente contabilizzato come tale. Il contratto è uno
strumento finanziario derivato in quanto non esiste un investimento iniziale netto, il contratto è basato sul
prezzo della merce e deve essere regolato in data futura. Tuttavia, se la società intende regolare il contrat-
to accettando la consegna e non avendo una storia pregressa, per contratti similari, di regolamento netto
tramite disponibilità liquide o di accettazione della consegna della merce con rivendita entro un breve
periodo dalla consegna al fine di generare un utile dalle fluttuazioni a breve termine del prezzo o dal mar-
gine di profitto dell’operatore, il contratto non è contabilizzato come uno strumento finanziario derivato
secondo quanto previsto dal presente principio. Esso va invece contabilizzato come un contratto di acqui-
sto a termine di merce.
Caso 2
La società A sottoscrive un contratto di opzione per l’acquisto di grano ad un prezzo d’esercizio di
euro/Q.le 25. Il prezzo corrente del grano è di euro/Q.le 27. La data di scadenza dell’opzione è fissata in
1 anno. L’opzione, se esercitata, dà alla società la facoltà di scegliere se il contratto debba essere regolato
con la consegna della merce, oppure mediante liquidazione per contanti o mediante altri strumenti finan-
ziari. La società ha concluso il contratto destinando l’esecuzione dello stesso al soddisfacimento delle pro-
prie esigenze produttive, mediante la consegna della merce. Il contratto di riferimento, sebbene corri-
sponda alla definizione di strumento finanziario derivato, non va contabilizzato come tale. Infatti si sono
verificate contemporaneamente le tre condizioni previste dal Codice Civile (art. 2426, 1° comma, n. 11
bis) che escludono il contratto dall’essere designato come strumento finanziario derivato: a) il contratto è
stato concluso e è mantenuto per soddisfare le esigenze di acquisto, di vendita o di utilizzo delle merci
previste dalla società che redige il bilancio; b) il contratto è stato destinato a tale scopo fin dalla sua con-
clusione; c) è previsto che il contratto sia eseguito mediante consegna della merce.
Caso 3
La società B che ha emesso l’opzione di cui all’esempio precedente non ha la facoltà di decidere se il
contratto verrà regolato con la futura consegna della merce oppure con un regolamento netto per liquida-
zione di contanti o mediante altri strumenti finanziari (tale scelta spetta infatti alla società A che ha acqui-
stato l’opzione). Non si sono verificate dunque contemporaneamente le tre condizioni indispensabili pre-
viste dal Codice Civile (art. 2426, 1° comma, n. 11 bis) per evitare di designare lo strumento come stru-
mento finanziario derivato. La società B dovrà dunque designare e contabilizzare l’opzione come strumen-
to finanziario derivato.

14.3. La copertura e la sua efficacia


Un derivato di copertura è un derivato designato alla copertura di uno dei rischi di
oscillazione suddetti (variazione dei tassi, cambi, ecc.); esso deve essere riconducibile
ad un elemento coperto, che può essere un’attività, una passività, un impegno irrevo-
cabile, un’operazione programmata altamente probabile (su quest’ultimo concetto, vedi

416
box successivo). Qualificano un elemento come coperto l’esposizione dell’elemento al
rischio di variazioni nel fair value o nei flussi finanziari futuri e la specifica designa-
zione come coperto da parte dei responsabili aziendali.
L’effettiva copertura dipende però dagli specifici caratteri del derivato e delle oscil-
lazioni cui è soggetto l’elemento coperto. Per cui la copertura può essere efficace o
meno, intendendo per efficacia il livello al quale le variazioni nel fair value o nei flus-
si finanziari dell’elemento coperto, che sono attribuibili a un rischio coperto, sono
compensate dalle variazioni nel fair value o nei flussi finanziari dello strumento di co-
pertura.
Se le variazioni del fair value o dei flussi finanziari del derivato di copertura supe-
rano o sono inferiori a quelle dell’elemento coperto, si avrà una inefficacia della co-
pertura. Il rapporto di copertura è quindi il rapporto percentuale tra la quantità dello stru-
mento di copertura efficace e la quantità dell’elemento coperto.

Il concetto di operazione programmata «altamente probabile»


L’OIC dedica l’Appendice C del Documento a chiarire il senso del concetto di «altamente probabile».
Potrebbe sempre verificarsi il caso che una società voglia far passare un’operazione in derivati come una
copertura per sfruttare, almeno nel caso di copertura dei flussi di cassa, la sterilizzazione a riserva delle
variazioni di fair value.
Secondo l’OIC il termine «altamente probabile» indica una probabilità di verificarsi molto più alta del
termine «più verosimile che non». Una valutazione della probabilità che un’operazione programmata si
verifichi non si basa esclusivamente sulle intenzioni della direzione aziendale perché le intenzioni non so-
no verificabili. La probabilità di un’operazione dovrebbe essere supportata da fatti osservabili e circostanze
attendibili. Nel valutare la probabilità che un’operazione abbia luogo, una società deve considerare:
a) la frequenza di operazioni passate similari;
b) l’abilità finanziaria e operativa della società nello svolgere l’operazione;
c) gli impegni sostanziali di risorse dedicate ad una particolare attività (per esempio, una struttura mani-
fatturiera che può essere utilizzata nel breve periodo soltanto per trasformare un particolare tipo di
merce);
d) la misura della perdita o interruzione delle attività che potrebbero risultare se l’operazione non si veri-
fica;
e) la probabilità che le operazioni con caratteristiche sostanzialmente diverse possano essere utilizzate
per ottenere la stessa finalità commerciale (per esempio, una società che intende raccogliere disponibi-
lità liquide può avere diversi modi per farlo, dal finanziamento a breve termine di una banca a un’offerta
di azioni ordinarie); e
f) il piano aziendale della società.
Il periodo di tempo fino a quando un’operazione programmata è attesa verificarsi è a sua volta un fat-
tore nella determinazione della probabilità. A parità di altre circostanze, più un’operazione programmata è
distante nel tempo, minore è la probabilità che l’operazione sarebbe considerata «altamente probabile» e
maggiore sarebbe l’evidenza necessaria per poter sostenere che essa sia «altamente probabile». Per esem-
pio, il verificarsi di un’operazione programmata tra cinque anni potrebbe essere meno probabile del verifi-
carsi di un’operazione programmata in un anno. Tuttavia, i pagamenti per interessi previsti per i prossimi
vent’anni su uno strumento di debito a tasso variabile sarebbero tipicamente «altamente probabili» se
supportati da un’obbligazione contrattuale esistente.
Inoltre, a parità di ogni altra circostanza, maggiore è la quantità fisica o il valore futuro di un’operazio-

417
ne programmata in proporzione alle operazioni della società della stessa natura, minore è la probabilità
che l’operazione sia considerata altrettanto «altamente probabile» e maggiore è l’evidenza che sarebbe ne-
cessaria per sostenere l’affermazione per cui essa è da considerare «altamente probabile». Per esempio,
generalmente sarebbero necessarie meno evidenze per sostenere vendite programmate di 100 mila unità
nel mese successivo rispetto a 950 mila unità nello stesso mese se le vendite recenti sono state in media di
950 mila unità al mese per gli ultimi tre mesi.
Una storia pregressa di designazioni di coperture di operazioni programmate seguite dalla successiva
determinazione che tali operazioni programmate non sono più attese verificarsi, chiamerebbero in questione
sia la capacità di una società di prevedere accuratamente le operazioni programmate, sia l’opportunità di
utilizzare in futuro la contabilizzazione di copertura per operazioni programmate similari.
È possibile soddisfare il criterio di «altamente probabile» quando, a fronte di numerose ed omogenee
operazioni programmate, la copertura è limitata ad una quota percentuale di tali operazioni. Per esempio
si potrebbero designare come elemento coperto le prime 80 vendite delle circa 100 programmate per il
mese di giugno 2016, in quanto è «altamente probabile» che almeno l’80% delle vendite programmate
verrà realizzato. Di contro, è meno probabile che si soddisfi il criterio di «altamente probabile» se si desi-
gna come elemento coperto la totalità delle vendite programmate, in questo caso tutte le 100 vendite pre-
viste per giugno 2016.
È possibile che il criterio di «altamente probabile» non venga soddisfatto sebbene, a fronte di un’of-
ferta presentata per un appalto che ha come sottostante un contratto da regolare in valuta estera, una so-
cietà acquisti una opzione (opzione in cambi) per la copertura di quella valuta estera.
Per esempio se una società presenta un’offerta per un appalto con sottostante da regolare in valuta
estera, ed acquista una opzione a copertura del rischio cambio, è possibile che, designando come elemen-
to coperto i flussi finanziari futuri in valuta estera, non soddisfi il criterio di operazione «altamente proba-
bile». Infatti, non è «altamente probabile» che la società vincerà la gara di appalto.
Di conseguenza i flussi finanziari in valuta estera non sono «altamente probabili» poiché essi dipendo-
no dalla probabilità che la società vinca la gara d’appalto.
Un ritardo nella manifestazione dell’operazione programmata potrebbe essere accettabile, nella misu-
ra in cui tale operazione possa essere chiaramente identificabile come l’originaria operazione programma-
ta oggetto di copertura. Quindi, l’operazione che si verifica successivamente dovrebbe presentare le stesse
specifiche dell’originaria operazione programmata. Per esempio potrebbe non essere corretto designare co-
me elemento coperto le prime 50 vendite programmate per il mese di giugno 2016 e, quando questo non
si verifica, sostenere che è «altamente probabile» che si verificheranno 50 vendite addizionali nel mese di
luglio che compenseranno le vendite perse a giugno. In tal senso si potrebbe considerare l’ipotesi di «fore-
cast error», identificando le operazioni programmate come non più «altamente probabili» il che implica la
cessazione dell’originaria relazione di copertura.

14.4. Classificazione in bilancio


A bilancio vanno inseriti tanto i derivati di copertura quanto i derivati speculativi,
misurati al loro valore di mercato. Il derivato sarà da inserire nell’attivo patrimoniale
se il suo valore di mercato alla data di valutazione è positivo, e nel passivo se il suo
valore alla data di valutazione è negativo.
L’art. 2424 c.c. prevede specifiche voci dello Stato Patrimoniale in cui sono esposti
gli strumenti finanziari derivati. Nell’attivo patrimoniale appaiono le seguenti voci:
– tra le «Immobilizzazioni finanziarie», la voce B) III 4) strumenti finanziari derivati
attivi;

418
– tra le «Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni» dell’attivo cir-
colante, la voce:
C) III 5) strumenti finanziari derivati attivi.
La distinzione dei derivati attivi tra immobilizzati e circolanti, secondo l’OIC, di-
pende dalle seguenti considerazioni:
a) uno strumento finanziario derivato di copertura dei flussi finanziari o del fair value
di un’attività segue la classificazione, nell’attivo circolante o immobilizzato, del-
l’attività coperta;
b) uno strumento finanziario derivato di copertura dei flussi finanziari e del fair value
di una passività, un impegno irrevocabile o un’operazione programmata altamente
probabile è classificato nell’attivo circolante;
c) uno strumento finanziario derivato non di copertura è classificato nell’attivo circo-
lante.
Nel passivo dello Stato Patrimoniale, sono state introdotte le seguenti voci:
– nel «Patrimonio netto», voce A) VII – riserva per operazioni di copertura dei flussi
finanziari attesi;
– tra i «Fondi per rischi e oneri», voce B) 3 – strumenti finanziari derivati passivi che
accoglie gli strumenti finanziari derivati con fair value negativo alla data di valuta-
zione.
In particolare, la riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi ac-
coglie le variazioni di fair value della componente efficace degli strumenti finanziari
derivati di copertura di flussi finanziari e si movimenta secondo quanto descritto nel
par. 14.6.2. La suddetta riserva deve essere considerata al netto degli effetti fiscali dif-
feriti. Come previsto dall’art. 2426, 1° comma, n. 11 bis, c.c.: «le riserve di patrimonio
che derivano dalla valutazione al fair value di derivati utilizzati per la copertura di
flussi finanziari attesi di un altro strumento finanziario o di un’operazione programma-
ta non sono considerate nel computo del patrimonio netto per le finalità di cui agli ar-
ticoli 2412, 2433, 2442, 2446 e 2447 e, se positivi, non sono disponibili e non sono
utilizzabili a copertura delle perdite».

I riflessi reddituali dei derivati, come variazioni del loro fair value determinate al
termine dell’esercizio, sono esposti nel Conto Economico nella sezione D) «Rettifiche
di valore di attività e passività finanziarie» nelle voci previste dall’art. 2425 c.c.:
– D) 18 d) rivalutazione di strumenti finanziari derivati, accoglie gli incrementi di va-
lore;
– D) 19 d) svalutazione di strumenti finanziari derivati, accoglie le riduzioni di valore.
Secondo l’OIC, nella voce D) 18 d) sono inclusi:
 le variazioni positive di fair value degli strumenti finanziari derivati non di coper-
tura;
 gli utili derivanti dalla componente inefficace della copertura nell’ambito di una
copertura dei flussi di cassa;

419
 gli utili derivanti dalla valutazione dell’elemento coperto e dello strumento di co-
pertura nell’ambito di una copertura di fair value e la variazione del valore tempo-
rale.
Nella voce D) 19 d) sono incluse:
 le variazioni negative di fair value degli strumenti finanziari derivati non di coper-
tura;
 le perdite derivanti dalla componente inefficace della copertura nell’ambito di una
copertura dei flussi di cassa;
 le perdite derivanti dalla valutazione dell’elemento coperto e dello strumento di
copertura nell’ambito di una copertura di fair value e la variazione del valore tem-
porale;
 l’ammontare della riserva per operazione di copertura di flussi finanziari attesi
quando la società non ne prevede il recupero.
Come previsto dall’art. 2426, 1° comma, n. 11 bis, c.c. «non sono distribuibili gli
utili che derivano dalla valutazione degli strumenti finanziari derivati non utilizzati o
non necessari per la copertura».
L’utilizzo della riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi che si
verifica non è invece imputato a voce specifica del Conto Economico ma è inserito al-
la voce reddituale impattata dai flussi finanziari attesi quando questi provocano effetti
sul risultato d’esercizio.
Nell’ambito delle coperture di fair value, se la variazione del valore del fair value
dell’elemento coperto è maggiore in valore assoluto alla variazione del fair value dello
strumento di copertura la differenza tra le due variazioni di fair value è rilevata nella
voce di Conto Economico interessata dall’elemento coperto.

14.5. Contabilizzazione iniziale e valutazione a fine esercizio


Gli strumenti finanziari derivati sono rilevati inizialmente nel sistema contabile
quando la società divenendo parte delle clausole contrattuali, ossia alla data di sotto-
scrizione del contratto, è soggetta ai relativi diritti ed obblighi. L’art. 2426, 1° comma,
n. 11 bis, c.c., afferma quindi che «gli strumenti finanziari derivati, anche se incorpo-
rati in altri strumenti finanziari derivati, sono iscritti al fair value».
Gli strumenti finanziari derivati sono dunque valutati al fair value sia alla data di
rilevazione iniziale sia ad ogni data di chiusura del bilancio. La variazione di fair va-
lue rispetto all’esercizio precedente è rilevata a Conto Economico nelle voci D.18 e
D.19.
Per la determinazione del fair value, il rinvio codicistico ai principi contabili inter-
nazionali implica che il principio contabili vi dedichi un’ampia parte.

420
14.5.1. La determinazione del fair value
Il Codice Civile all’art. 2426, 2° comma, rinvia alle regole IAS/IFRS per la defini-
zione di fair value (contenuta nell’IFRS 13). Pertanto il Documento OIC riprende quan-
to stabilito dall’IFRS 13, ossia che Il fair value è il prezzo che si percepirebbe per la
vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in
una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione.
La valutazione del fair value di un derivato richiede di determinare:
a) lo strumento finanziario derivato oggetto della valutazione, in quanto le sue caratte-
ristiche incidono sul valore (per es. le eventuali limitazioni alla vendita o all’uso
del sottostante);
b) il mercato principale (o più vantaggioso) per lo strumento finanziario derivato;
c) le tecniche di valutazione appropriate per la valutazione che devono considerare il
livello della gerarchia del fair value in cui sono classificati i parametri e le assunzioni
che gli operatori di mercato utilizzerebbero per determinare il prezzo del derivato.
Identificazione dei mercati di riferimento
Partendo dal presupposto che i mercati finanziari sono molteplici, sia fisici che te-
lematici, la valutazione del fair value suppone che un’operazione relativa ad uno stru-
mento finanziario derivato abbia luogo nel mercato principale dello strumento finan-
ziario derivato, o, in assenza di un mercato principale, nel mercato più vantaggioso per
lo strumento finanziario derivato.
Si presume che il mercato principale o il mercato più vantaggioso in assenza di un
mercato principale, sia il mercato in cui la società normalmente effettuerebbe un’ope-
razione relativa ad un derivato. Anche in mancanza di un mercato osservabile che for-
nisca informazioni sui prezzi di un derivato, una valutazione al fair value deve presu-
mere che in quella data abbia luogo una transazione, base per la stima del prezzo dello
strumento finanziario derivato.
Il prezzo nel mercato principale (o più vantaggioso) utilizzato per valutare il fair
value non deve essere ridotto dei costi dell’operazione. I costi dell’operazione non so-
no una caratteristica del derivato; piuttosto, essi sono specifici dell’operazione e varie-
ranno a seconda delle modalità con cui una società effettua un’operazione relativa allo
strumento finanziario derivato.
Gerarchia del fair value
Una società deve valutare il fair value massimizzando l’utilizzo di parametri osser-
vabili rilevanti e riducendo al minimo l’utilizzo di parametri non osservabili secondo
la gerarchia di fair value di seguito descritta. Il fair value, ai sensi dell’art. 2426, 4°
comma, c.c. è determinato con riferimento:
a) al valore di mercato, per gli strumenti finanziari per il quali è possibile individuare
facilmente un mercato attivo (livello 1); qualora il valore di mercato non sia facil-
mente individuabile per uno strumento, ma possa essere individuato per i suoi com-
ponenti o per uno strumento analogo, il valore di mercato può essere derivato da
quello dei componenti o dello strumento analogo (livello 2);

421
b) al valore che risulta da modelli e tecniche di valutazione generalmente accettati,
per gli strumenti per i quali non sia possibile individuare facilmente un mercato at-
tivo; tali modelli e tecniche di valutazione devono assicurare una ragionevole ap-
prossimazione al valore di mercato (livello 3).
L’art. 2426, 5° comma stabilisce poi che «Il fair value non è determinato se l’appli-
cazione dei criteri indicati al quarto comma non dà un risultato attendibile».

I derivati possono essere standardizzati e quotati in mercati attivi e regolamentati


(ed in questo caso il loro fair value può essere ragionevolmente rappresentato proprio
dalle quotazioni di borsa) oppure essere definiti su misura per rispondere alle esigenze
degli operatori e trattati over the counter (ed in questo caso il processo di determina-
zione del fair value sarà più articolato).
Il fair value, ai sensi dell’art. 2426, 5 °comma, c.c. non è determinato se l’appli-
cazione dei criteri indicati al paragrafo precedente non dà un risultato attendibile. La
non attendibilità del fair value è da considerarsi un caso eccezionale posto che proprio
l’ampia articolazione delle indicazioni fornite – prezzi di mercato, comparazioni, e so-
prattutto, tecniche di valutazione – rende possibile affrontare con ragionevolezza an-
che le valutazioni più complesse. Nei rari casi in cui ciò non fosse possibile e quindi il
fair value non possa essere determinato, la società deve darne informativa in Nota In-
tegrativa indicando le caratteristiche dello strumento finanziario derivato e le ragioni
che hanno generato l’inattendibilità del fair value.

 Livello 1 del fair value


Per determinare il fair value di livello 1 si fa riferimento al valore di mercato (non
rettificato), degli strumenti finanziari derivati oggetto di valutazione per i quali è pos-
sibile individuare facilmente un mercato attivo.
 Livello 2 del fair value
Qualora non sia possibile determinare il fair value di livello 1 si deve provvedere a
determinare il fair value di livello 2. Nella stima del fair value di livello 2 si prendono
a riferimento i prezzi su mercati attivi di strumenti analoghi. In assenza dei prezzi su
mercati attivi per strumenti analoghi si prendono a riferimento per ciascuna compo-
nente dello strumento finanziario derivato i parametri osservabili sul mercato, ad esem-
pio tassi di interesse e curve dei rendimenti osservabili a intervalli comunemente quo-
tati, volatilità implicite (normalmente per la stima del fair value di un’opzione) e ri-
schio di credito di entrambe le parti del contratto derivato.

Esempi di parametri utilizzati nella stima del fair value di livello 2 per particolari strumenti finanziari
derivati includono:
a) un interest rate swap che riceve un tasso fisso e paga un tasso variabile basato sul tasso swap Euribor.
Un parametro di livello 2 potrebbe essere il tasso Euribor riscontrabile su strumenti finanziari quotati in
un mercato attivo sostanzialmente per l’intero periodo di riferimento del contratto;
b) un interest rate swap che riceve un tasso fisso e paga un tasso variabile basato su una curva dei rendi-

422
menti denominata in una valuta estera. Un parametro di livello 2 potrebbe essere il tasso basato su
una curva dei rendimenti denominata in una valuta estera osservabile su strumenti finanziari quotati in
un mercato attivo sostanzialmente per l’intero periodo di riferimento del contratto;
c) opzione con scadenza di 3 anni su azioni negoziate in una borsa valori. Un parametro di livello 2 sa-
rebbe la volatilità implicita delle azioni derivata attraverso una estrapolazione fino all’anno 3 se sono
osservabili prezzi per le opzioni su azioni con scadenza a uno e a due anni e la volatilità implicita estrapo-
lata di un’opzione con scadenza a tre anni è supportata da dati di mercato osservabili per l’intera du-
rata dell’opzione.
In tal caso, la volatilità implicita potrebbe essere derivata attraverso un’estrapolazione dalla volatilità
implicita delle opzioni sulle azioni con scadenza a uno e due anni e supportata dalla volatilità implicita
delle opzioni con scadenza a tre anni su azioni della società comparabili, a condizione che venga stabilita
una correlazione con le volatilità implicite con scadenza a uno e due anni.

 Livello 3 del fair value


Qualora non sia possibile determinare il fair value di livello 2 si deve provvedere a
determinare il fair value di livello 3. I parametri di livello 3 devono riflettere le assun-
zioni che gli operatori di mercato utilizzerebbero nel determinare il prezzo del deriva-
to. Potrebbe essere necessario inserire una rettifica per il rischio laddove sussista una
significativa incertezza nella valutazione (per esempio, qualora vi sia stata una signifi-
cativa riduzione del volume o del livello di attività rispetto alla normale attività di
mercato per lo strumento finanziario derivato, oppure strumenti finanziari derivati
analoghi e la società abbia stabilito che il prezzo dell’operazione o il prezzo quotato
non rappresentano il fair value).
Una società deve elaborare parametri non osservabili utilizzando le migliori infor-
mazioni disponibili nelle circostanze specifiche, che potrebbero anche includere i dati
propri della società. Nell’elaborare parametri non osservabili, una società può iniziare
dai dati propri, ma deve rettificarli se informazioni ragionevolmente disponibili indi-
cano che altri operatori di mercato utilizzerebbero dati diversi o se sono presenti ele-
menti specifici della società non disponibili ad altri operatori di mercato. Una società
deve considerare tutte le informazioni relative ad assunzioni ragionevolmente disponi-
bili adottate dagli operatori di mercato.

Esempi di parametri utilizzati nella stima del fair value di livello 3 per particolari strumenti finanziari
derivati includono:
a) opzione con scadenza di 3 anni su azioni negoziate in una borsa valori. Un parametro di livello 3 sa-
rebbe la volatilità storica, ossia la volatilità delle azioni derivata dai prezzi storici delle azioni. Gene-
ralmente, la volatilità storica non rappresenta le aspettative correnti degli operatori di mercato sulla vo-
latilità futura, anche se è l’unica informazione disponibile per determinare il prezzo di un’opzione;
b) interest rate swap. Un parametro di livello 3 sarebbe una rettifica di un prezzo determinato dagli ana-
listi di mercato per lo swap sviluppato utilizzando dati non direttamente osservabili e che non possono
essere altrimenti supportati da dati di mercato osservabili.

423
Tecniche di valutazione del fair value
Una tecnica di valutazione deve incorporare tutti i fattori che i partecipanti al mer-
cato considererebbero nello stabilire il prezzo e deve essere coerente con le metodolo-
gie economiche accettate per la determinazione del prezzo degli strumenti finanziari
derivati. I più comuni fattori da prendere in considerazione nella determinazione del
fair value di uno strumento finanziario derivato sono il valore finanziario del tempo
(tasso di interesse base o tasso privo di rischio, solitamente derivato dai prezzi dei tito-
li di Stato) e il rischio di credito.
L’effetto sul fair value del rischio di insolvenza (ovvero, il premio aggiunto al tas-
so base per rischio di credito) può derivare ad esempio da prezzi osservabili da nego-
ziazioni di strumenti finanziari che incorporano differenti qualità di credito o da tassi
di interessi, presenti sul mercato, richiesti dagli operatori di mercato sui prestiti in base
alla varie situazioni creditizie collegate a differenti rating di credito.
Tra le tecniche di valutazione maggiormente utilizzate per i livelli 2 e 3 rientrano il
metodo della valutazione di mercato e il metodo reddituale:
a) il metodo della valutazione di mercato utilizza i prezzi e altre informazioni rilevanti
generati da operazioni di mercato riguardanti i derivati da valutare o analoghi, ad
esempio multipli di mercato tratti da una serie di valori di mercato comparabili;
b) il metodo reddituale converte importi futuri (per esempio, flussi finanziari o ricavi
e costi) in un unico importo corrente (ossia attualizzato). Quando si utilizza il me-
todo reddituale, la valutazione del fair value riflette le attuali aspettative del merca-
to su tali importi futuri. A titolo esemplificativo, tali tecniche di valutazione com-
prendono tecniche del valore attuale e modelli di misurazione del prezzo delle op-
zioni, quali la formula di Black-Scholes-Merton o il modello degli alberi binomiali,
che incorporano tecniche di calcolo del valore attuale e riflettono sia il valore tem-
porale, sia il valore intrinseco di un’opzione.
Nell’applicazione delle tecniche di attualizzazione dei flussi di cassa si potranno
usare uno o più tassi di attualizzazione purché questi consentano di replicare il tasso di
rendimento di strumenti finanziari aventi le stesse caratteristiche con riferimento a (i)
rischio di credito dello strumento, (ii) termine di definizione di tassi d’interesse con-
trattualmente stabiliti, (iii) termine per il rimborso del capitale, (iv) valute nelle quali
sono definiti i singoli flussi di pagamento.

Calcolo del fair value di uno swap secondo il modello del valore attuale
La società C acquista un interest rate swap (IRS) che ha le seguenti caratteristiche:
 nozionale: euro 1 milione;
 data di inizio del contratto: 1° gennaio 2017;
 scadenza del contratto: 31 dicembre 2019;
 regolamento flussi: annuale;
 flussi in entrata per la società C (Leg Receive): 3% all’anno;
 flussi in uscita per la società C (Leg Pay): Euribor 6M + 150 bps (spread).

424
Contrattualmente il tasso della leg receive è stato determinato alla stipula in base alla curva dei tassi
esistente al 1° gennaio 2017.

Tasso spot Euribor Tasso forward


Anni Giorni Tasso spot Euribor
+ 150 bps Euribor + 150 bps

0 0
1 360 0,80% 2,30% 2,30%
2 720 1,20% 2,70% 3,10%
3 1.080 1,50% 3,00% 3,60%

Per determinare il fair value dello swap la società utilizza la curva dei tassi spot al 31 dicembre 2017
aggiustata per tener conto dello spread incluso nella leg pay dello swap. Nel corso del 2017 i tassi di inte-
resse si sono notevolmente abbassati. La curva dei tassi che risulta al 31 dicembre 2017 è la seguente:

Tasso spot Tasso forward


Tasso spot Coefficiente di
Anni Giorni Euribor + 150 Euribor + 150
Euribor attualizzazione
bps bps

1 360 0,60% 2,10% 2,10% 0,9794


2 720 0,90% 2,40% 2,70% 0,9537

Il tasso forward è stato calcolato per poter determinare l’ammontare dei flussi che si prevede la società
pagherà ogni anno successivo, mentre il coefficiente di attualizzazione, determinato sulla base del tasso
spot serve ad attualizzare al 31 dicembre 2017 i flussi attesi dello swap. La stima del valore attuale dei flus-
si finanziari attesi avviene nel seguente modo:

Valore attuale
Anni Flusso entrata Flusso uscita Regolamento netto
regolamento netto

31.12.2018 30.000 (21.000) 9.000 8.814,6


31.12.2019 30.000 (27.000) 3.000 2.861,1

Da ciò si evince che il fair value dello swap al 31.12.2017 è di 11.675,7, dato dal valore attuale del to-
tale dei flussi attesi (8.814,6+2.861,1).
Il fair value dello swap non è aggiustato per tenere conto del rischio di credito della controparte in
quanto non significativamente mutato dalla data di stipula del contratto. Non si rende necessaria una retti-
fica al valore dei flussi finanziari per il merito di credito della società in quanto non sono previsti flussi netti
in uscita dal derivato. Il valore attuale dei flussi attesi equivale dunque al fair value dello strumento finan-
ziario derivato. Il valore positivo del fair value è giustificato dal forte abbassamento dei tassi che, nel caso
dell’esempio, riduce i flussi finanziari attesi da pagare.

Valutazione di sintesi dei risultati ottenuti dalle tecniche di valutazione


Se per la valutazione del fair value sono utilizzate più tecniche di valutazione, i ri-

425
sultati dovranno essere valutati considerando la ragionevolezza della gamma di valori
indicata.
Se il prezzo dell’operazione è il fair value al momento della rilevazione iniziale, e
per valutare il fair value in periodi successivi sarà impiegata una tecnica di valutazio-
ne che utilizza parametri non osservabili sul mercato, quest’ultima dovrà essere cali-
brata in modo che, al momento della rilevazione iniziale, il risultato della tecnica di
valutazione equivalga al prezzo dell’operazione. La calibratura assicura che la tecnica
di valutazione rifletta le condizioni di mercato correnti e aiuta la società a determinare
se è necessario rettificare la tecnica di valutazione (per esempio, potrebbe essere pre-
sente una caratteristica dello strumento finanziario derivato non considerata dalla tec-
nica di valutazione).
Cambiamenti dei criteri di determinazione del fair value
Le tecniche di valutazione utilizzate per valutare il fair value devono essere appli-
cate in maniera uniforme. Tuttavia, è opportuno apportare un cambiamento ad una tec-
nica di valutazione o alla sua applicazione se comporta una valutazione esatta o co-
munque più rappresentativa del fair value in quelle circostanze specifiche. Ciò potreb-
be accadere se, per esempio, si verifica uno sviluppo di nuovi mercati o un mutamento
delle condizioni di mercato, oppure sono disponibili nuove informazioni o sono indi-
sponibili informazioni utilizzate in precedenza.
Le revisioni risultanti da un cambiamento nella tecnica di valutazione o nella sua
applicazione saranno contabilizzate come un cambiamento nella stima contabile, se-
condo quanto disposto dall’OIC 29.
Presenza di scarto bid-ask
Se uno strumento finanziario derivato valutato al fair value ha un prezzo denaro e
un prezzo lettera (per esempio un dato proveniente da un mercato a scambi diretti e
assistiti), per valutare il fair value deve essere utilizzato il prezzo rientrante nello scar-
to denaro-lettera (bid-ask spread) più rappresentativo del fair value in quelle circo-
stanze specifiche, indipendentemente da come tale dato è classificato nella gerarchia
del fair value. È consentito l’utilizzo di prezzi denaro per posizioni attive e di prezzi
lettera per posizioni passive, ma non è obbligatorio. L’OIC non preclude l’utilizzo dei
prezzi medi di mercato, né di altre convenzioni di prezzo rientranti nello scarto dena-
ro-lettera (bid-ask spread), utilizzate dagli operatori di mercato come espediente prati-
co per le valutazioni del fair value.

14.6. I derivati di copertura


L’uso di derivati di copertura può incidere anche sulla contabilizzazione e l’OIC
dedica ampio spazio, similmente alle regole dello IASB. Le relazioni di copertura so-
no di due tipi:
a) copertura delle variazioni di fair value: si applica nei casi in cui l’obiettivo della co-

426
pertura è quello di limitare l’esposizione al rischio delle variazioni di fair value di
attività, passività iscritte in bilancio o impegni irrevocabili;
b) copertura di flussi finanziari: si applica nei casi in cui l’obiettivo della copertura è
quello di limitare l’esposizione al rischio di variabilità dei flussi finanziari attribui-
bili ad attività, passività iscritte in bilancio, ad impegni irrevocabili oppure operazio-
ni programmate altamente probabili.
È ammessa la contabilizzazione di copertura solo per i seguenti rischi:
a) rischio di tasso d’interesse, ad esempio, legato ad un debito;
b) rischio di cambio, ad esempio su un acquisto futuro in valuta estera;
c) rischio di prezzo, ad esempio su una merce in magazzino o un titolo azionario;
d) rischio di credito (ad esclusione del rischio di credito proprio della società).
È frequente riscontrare che le operazioni di copertura sono poste in essere mediante
strumenti finanziari derivati aventi caratteristiche del tutto simili a quelle dell’elemento
coperto, quali la scadenza, il valore nominale, la data di regolamento dei flussi finanziari
ed il sottostante (definite «relazioni di copertura semplici») e in cui il fair value dello
strumento finanziario derivato è prossimo allo zero alla data di rilevazione iniziale.
Strumenti di copertura ammissibili e designazione di copertura
Un derivato può essere designato come strumento di copertura mentre un’opzione
(put o call) venduta, o una combinazione di derivati che abbia lo stesso effetto di un’op-
zione venduta, non è ammissibile come strumento di copertura a meno che sia desi-
gnata a compensazione di un’opzione (put o call) acquistata.
Il derivato deve essere designato come strumento di copertura nella sua interezza.
Non è infatti consentito suddividere il fair value in componenti e designare una o più
di queste come strumento di copertura.

Ad eccezione delle regole generale di designazione dell’intero derivato quale copertura, possono esse-
re designati come strumenti di copertura di flussi finanziari:
a) il solo valore intrinseco (o variazione di valore del prezzo a pronti) del fair value di un’opzione (put o
call) acquistata. Il valore intrinseco dell’opzione rappresenta la differenza tra il prezzo di mercato uni-
tario del sottostante e il prezzo di esercizio dell’opzione moltiplicata per il sottostante. Ciò che residua
rispetto al fair value dell’opzione è il valore temporale, ossia la probabilità che, con il passare del tem-
po, il valore intrinseco aumenti;
b) il solo elemento spot di un contratto forward. Similmente a quanto previsto per le opzioni, anche per i
contratti forward è possibile designare come strumento di copertura esclusivamente il valore intrinseco
(nel caso del forward il c.d. spot element); e
c) una quota dell’intero strumento di copertura, quale ad esempio il 50% del sottostante. La restante quota
rappresenta uno strumento finanziario derivato non di copertura. Tuttavia, lo strumento di copertura
non può essere designato per una parte del periodo di tempo in cui lo strumento è in circolazione.

427
Elementi coperti ammissibili
Sono ammissibili come elementi coperti, sia singolarmente che raggruppati, attività
e passività iscritte in bilancio, impegni irrevocabili e operazioni programmate altamente
probabili. Un elemento di Patrimonio Netto non può essere designato come elemento
coperto.
Può essere oggetto di copertura anche un’esposizione aggregata, ossia una combi-
nazione tra un elemento coperto e uno strumento finanziario derivato.

Per esempio, una società italiana che prevede di acquistare 5 quintali di caffè nei prossimi 10 mesi,
può sottoscrivere un contratto forward sul caffè per coprirsi dal rischio di prezzo. Tuttavia, poiché il for-
ward prevede uno scambio a termine di un quantitativo di caffè contro un ammontare fisso in dollari, la
società è esposta al rischio di tasso di cambio. Per eliminare anche tale rischio la società decide di stipulare
un forward sul dollaro per un ammontare pari al prezzo fissato col forward sul caffè. Ai fini contabili desi-
gna come elemento coperto l’esposizione costituita dalla somma dell’esposizione derivante dalla previsio-
ne di acquisto di caffè e da quella derivante dal forward sul caffè (esposizione aggregata), quindi il rischio
di tasso di cambio euro/dollaro sull’esposizione aggregata.

Copertura parziale
Una società può designare una parte del fair value o dei flussi finanziari attesi di un
elemento coperto o gruppi di elementi coperti solo se attribuibile:
a) alle variazioni dei flussi finanziari o del fair value di uno specifico rischio o di spe-
cifici rischi, a condizione che la componente di rischio sia identificabile separata-
mente e valutabile attendibilmente;
b) a uno o più flussi finanziari contrattuali;
c) ad una parte determinata dell’importo dell’elemento coperto, ad esempio il 50%
oppure uno strato del valore nominale dell’elemento coperto.
La componente dei flussi finanziari di un elemento finanziario o non finanziario
designata come elemento coperto dev’essere inferiore o uguale ai flussi finanziari tota-
li dell’intero elemento.
Coperture di gruppi di elementi o posizioni nette
Un gruppo di elementi (es. insieme di attività) è ammissibile per la copertura sol-
tanto se:
a) è costituito da elementi (o componenti di elementi) che individualmente sono ele-
menti ammissibili per la copertura;
b) gli elementi del gruppo sono utilizzati nell’insieme ai fini della gestione del rischio
oggetto di copertura; e
c) la designazione della posizione netta stabilisce l’esercizio in cui si prevede che le
operazioni programmate incidano sull’utile (perdita) d’esercizio, nonché la loro na-
tura e l’ammontare atteso.

428
Purché ciò sia coerente con gli obiettivi della gestione del rischio della società, è
possibile designare anche solo una componente di un gruppo di elementi come percen-
tuale del gruppo di elementi o come strato del gruppo di elementi (es. le prime 20 ope-
razioni programmate del mese successivo se altamente probabili oppure i primi 20 mi-
lioni di divisa estera incassati nel successivo trimestre) sempreché la società sia in
grado di tracciare le operazioni designate e verificarne nel tempo la conformità ai cri-
teri di ammissibilità per le coperture.
La contabilizzazione delle operazioni di copertura su base netta può avvenire solo se
il fatto che la società usa tale tipo di copertura risulta anche dalla realtà dei fatti e non da
una semplice affermazione o dalla sola documentazione. La copertura delle posizioni
nette deve essere supportata dalla strategia della società nella gestione del rischio.
Se un gruppo di elementi che costituiscono una posizione netta è designato come
elemento coperto, la società deve designare tutto il gruppo di elementi. La società non
può designare un importo indefinito di una posizione netta.
Criteri di ammissibilità per la contabilizzazione delle operazioni di copertura
La relazione di copertura soddisfa i criteri di ammissibilità per la contabilizzazione
delle operazioni di copertura se, e soltanto se, tutte le seguenti condizioni sono soddi-
sfatte:
a) la relazione di copertura consiste solo di strumenti di copertura ammissibili ed ele-
menti coperti ammissibili;
b) ai sensi dell’art. 2426, 1° comma, n. 11 bis «si considera sussistente la copertura in
presenza, di stretta e documentata correlazione tra le caratteristiche dello strumento
o dell’operazione coperti e quelle dello strumento di copertura». Pertanto all’inizio
della relazione di copertura vi è una designazione e documentazione formale della
relazione di copertura, degli obiettivi della società nella gestione del rischio e della
strategia nell’effettuare la copertura. La documentazione deve includere l’indivi-
duazione dello strumento di copertura, dell’elemento coperto, della natura del ri-
schio coperto e di come la società valuterà se la relazione di copertura soddisfi i re-
quisiti di efficacia della copertura (compresa la sua analisi delle fonti di inefficacia
della copertura e di come essa determina il rapporto di copertura);
c) la relazione di copertura è da considerarsi efficace.
Efficacia della copertura
Una copertura efficace richiede tre condizioni:
1. vi è un rapporto economico tra l’elemento coperto e lo strumento di copertura. Ciò
implica che il valore dello strumento di copertura varia al variare, in relazione al ri-
schio oggetto della copertura, nella direzione opposta del valore dell’elemento co-
perto;
2. l’effetto del rischio di credito della controparte del derivato e dell’elemento coper-
to, qualora il rischio di credito non sia il rischio oggetto di copertura, non prevale
sulle variazioni di valore risultanti dal rapporto economico. Pertanto ci si attende che
il rischio di credito non incida significativamente sul fair value dello strumento di
copertura e dell’elemento coperto;

429
3. viene determinato il rapporto di copertura pari al rapporto tra le quantità di stru-
menti finanziari derivati utilizzati e le quantità di elementi coperti. Normalmente
questo rapporto è 1:1 (uno strumento finanziario derivato copre esattamente l’ele-
mento coperto) sebbene in alcuni casi possa essere differente. Il calcolo del rappor-
to di copertura deve essere tale da non determinare ex ante inefficacia della coper-
tura (esempio copertura di un nozionale superiore di quello dell’elemento coperto).
La verifica dell’efficacia della copertura può avvenire con approccio qualitativo o
quantitativo. Essa avviene in via qualitativa quando l’importo nominale, la data di re-
golamento, i flussi finanziari, la scadenza ed il sottostante dello strumento di copertura
e dell’elemento coperto corrispondono o sono strettamente allineati.
Per una valutazione sotto il profilo quantitativo dell’efficacia del rapporto econo-
mico è possibile ricorrere a varie metodologie, anche statistiche, normalmente utilizza-
te in azienda nell’attività di risk management. La valutazione in via quantitativa del
rapporto economico può essere utilizzata per il calcolo della componente di inefficacia
della copertura da determinare per le coperture dei flussi finanziari.
Circa la possibilità di considerare contabilmente la copertura, il Documento OIC
presenta il seguente schema decisionale:

La relazione di copertura consiste


solo di strumenti di copertura ed NO
elementi coperti ammissibili?

SI

Esiste un’individuazione formale


operazione copertura (elemento NO OPERAZIONE DI
COPERTURA
coperto/copertura/rischio …)?
NON
SI APPLICABILE

Il rapporto economico è verifica- Il rapporto economico


bile con un metodo qualitativo? NO è verificabile con un NO
metodo quantitativo?
SI

L’effetto del rischio di credito pre-


vale sulle variazioni di valore risul-
tanti dal rapporto economico? SI

NO

OPERAZIONE DI COPERTURA APPLICABILE

La verifica della sussistenza dei criteri di ammissibilità deve essere fatta in via con-
tinuativa. Ad ogni data di chiusura del bilancio la società deve valutare se la relazione
di copertura soddisfi ancora i requisiti di efficacia. In caso di cambiamenti significativi

430
nel rapporto economico tra elemento coperto e strumento di copertura oppure di in-
cremento significativo del rischio di credito, è necessario applicare le regole di cessa-
zione di una relazione di copertura. Il Documento OIC tuttavia non stabilisce una so-
glia quantitativa oltre la quale è necessario cessare la copertura.
Revisione della copertura
Se per fattori esogeni alla società cambia il rapporto economico tra elemento coper-
to e strumento di copertura, è necessario operare una revisione del rapporto di copertu-
ra per evitare che ulteriori variazioni di tale rapporto possano successivamente com-
portare la cessazione della copertura per inefficacia. Le tecniche per operare una revi-
sione del rapporto di copertura (riequilibrio della copertura) sono le seguenti:
 aumento delle quantità dell’elemento coperto designate per la copertura. In tal caso
si dovrà contabilizzare la variazione del valore della quantità supplementare di
elemento coperto dalla data del riequilibrio e non alla data di designazione della re-
lazione di copertura;
 riduzione delle quantità dello strumento di copertura designate per la copertura. In
tal caso si dovrà contabilizzare, dalla data del riequilibrio, la variazione in riduzio-
ne dello strumento di copertura, inviandola nel Conto Economico sezione D) al suo
fair value rilevato;
 aumento delle quantità dello strumento di copertura designate per la copertura. In
tal caso si dovranno contabilizzare anche le variazioni del valore della quantità sup-
plementare di strumento di copertura dalla data del riequilibrio dalla data di desi-
gnazione della relazione di copertura;
 riduzione delle quantità dell’elemento coperto designate per la copertura. In tal ca-
so, dalla data del riequilibrio, la quantità di cui è stato ridotto l’elemento coperto
sono contabilizzate conformemente ai requisiti per la cessazione delle operazioni di
copertura.
In ogni caso, secondo l’OIC, all’atto della revisione del rapporto di copertura è ne-
cessario calcolare l’inefficacia della copertura che va imputata al Conto Economico del-
l’esercizio nella sezione D) prima di rettificare prospetticamente il rapporto di copertura.
Cessazione della copertura
Si deve cessare di applicare prospetticamente la contabilizzazione delle operazioni
di copertura soltanto e dalla data in cui la relazione di copertura (o una parte di essa)
cessa di soddisfare i criteri di ammissibilità. A questo scopo, la sostituzione dello stru-
mento di copertura con un altro strumento di copertura prevista nell’originaria strate-
gia di copertura oppure come conseguenza di una normativa o di regolamenti esistenti
o dell’introduzione di leggi o regolamenti non è da considerarsi una scadenza o una
cessazione.
La società non deve riclassificare e quindi non deve cessare, una relazione di co-
pertura che risponde ancora all’obiettivo di gestione del rischio che si è deciso di co-
prire e continua a soddisfare tutti gli altri criteri di ammissibilità.
Gli effetti contabili derivanti dalla cessazione di una relazione di copertura differi-

431
scono a seconda che si tratti di coperture del fair value o di coperture dei flussi finan-
ziari.

14.6.1. Coperture di fair value


La copertura di fair value è attivata quando l’elemento coperto è un’attività o una
passività iscritta in bilancio oppure un impegno irrevocabile.

È questo il caso di un portafoglio titoli azionari detenuto dalla società con l’obiettivo di mantenerlo in
portafoglio per un periodo di tempo determinato senza correre il rischio di un deprezzamento del valore
di mercato. Un altro esempio di copertura del fair value è quello di un magazzino di materie prime che, per
strategia aziendale, possono essere destinate sia alla produzione interna di prodotti finiti sia alla vendita a
terzi. Anche in questo caso l’obiettivo della copertura non è quella di stabilizzare flussi finanziari attesi,
bensì di evitare un deprezzamento del valore del magazzino materie prime.

La copertura di fair value lungo la sua durata deve essere contabilizzata rilevando
il derivato di copertura al fair value nello Stato Patrimoniale come un’attività o una
passività, mentre il valore contabile dell’elemento coperto, se attività o passività in bi-
lancio, è adeguato per tener conto della valutazione al fair value della componente re-
lativa rischio oggetto di copertura. Nel caso di copertura di un impegno irrevocabile, il
fair value della componente relativa al rischio oggetto di copertura è iscritta nello Sta-
to Patrimoniale come attività o passività nella voce di Stato Patrimoniale che sarà inte-
ressata dall’impegno irrevocabile al momento del suo realizzo.
In sostanza, quindi, l’elemento coperto sarà contabilizzato inizialmente secondo il
criterio stabilito per la classe (es. il magazzino al minore tra costo e valore di merca-
to). Quindi, se le oscillazioni del suo fair value sono oggetto di copertura contabile, il
suo valore andrà adeguato lungo la durata della copertura per le variazioni di fair va-
lue intervenute successivamente all’avvio della copertura contabile. Le variazioni del
fair value dello strumento di copertura e dell’elemento coperto sono rilevate nella se-
zione D) del Conto Economico.
Qualora la variazione del valore del fair value dell’elemento coperto sia maggiore
in valore assoluto della variazione del fair value dello strumento di copertura, la diffe-
renza tra le due variazioni di fair value è rilevata nella voce di Conto Economico inte-
ressata dall’elemento coperto e non nell’area D (quindi, ad esempio, in caso di coper-
tura del magazzino, tale effetto andrà nelle voci riferite alla variazione del magazzino).

Esempio di copertura di fair value


Il 30 settembre del 2017 la società C decide di coprirsi dal rischio di variazione di fair value del pro-
prio magazzino per una quantità di 50 barili di greggio fino al 30 giugno 2018, sottoscrivendo un forward
sul prezzo Brent del petrolio che prevede che al 30 giugno 2018 la società regolerà al netto con la contro-
parte del derivato la differenza tra il valore di mercato (espresso in euro) di 50 barili di petrolio al 30 giu-

432
gno 2018 e il prezzo prefissato pari a euro 2.000. Di fatto se il prezzo del Brent fosse superiore a euro 40 al
barile la società pagherebbe la differenza alla controparte del derivato, viceversa incasserebbe tale differenza.
All’inizio della copertura il fair value del derivato è zero, il valore contabile del magazzino è euro 2.000.
La società decide di designare il contratto derivato a copertura del rischio di fair value sul prezzo del
petrolio in modo tale che se si dovesse verificare al 30 giugno un eccesso di materia prima per la produ-
zione sarebbe libera di rivendere tale materia prima senza correre il rischio di rilevare perdite. Ai sensi del
modello contabile della copertura del fair value la società valuta sia il rischio coperto sia il derivato al fair
value. Al 31 dicembre il fair value del derivato si è incrementato di euro 450 (per effetto delle componenti
finanziarie incluse nel contratto derivato) mentre il fair value del magazzino si è decrementato di euro 500.
In contabilità si avrà al 31 dicembre 2017:
1 la rilevazione del derivato al fair value positivo per 450, da inserire nell’attivo circolante in quanto a
copertura del magazzino ed invio del ricavo alla voce D.18.d)
C.III.5) Derivati attivi 450
D.18.d) Rivalutazione derivati 450
2 la svalutazione dell’elemento coperto, qualificata come componente finanziaria per la parte coperta
(450) e come componente operativa per la differenza tra riduzione del fair value del magazzino e par-
te coperta 500 – 450 = 50).
B.11) Variazione materie 50
D.19.d) Svalutazione derivati 450
C.I.1) Materie 500

Cessazione della copertura di fair value


La società deve cessare prospetticamente la contabilizzazione di copertura del fair
value se e soltanto se lo strumento di copertura scade, è venduto o cessato oppure se la
copertura non soddisfa più le condizioni per la contabilizzazione di copertura sopra
specificate. Nel momento in cui cessa l’operazione di copertura, l’adeguamento del
valore dell’elemento coperto già contabilizzato è mantenuto nello Stato Patrimoniale e
considerato componente del costo dell’attività/passività/impegno irrevocabile. Qualora
l’elemento coperto sia un’attività o una passività finanziaria, l’adeguamento del valore
dell’elemento coperto è imputata gradualmente a Conto Economico lungo la durata
dell’operazione di copertura originariamente prevista. Se l’elemento coperto è un’atti-
vità o una passività finanziaria valutata al costo ammortizzato l’adeguamento del valo-
re dell’elemento coperto è imputato a Conto Economico secondo il criterio dell’inte-
resse effettivo stabilito dall’OIC 15 e OIC 19.
14.6.2. Coperture di flussi finanziari
In una copertura dei flussi finanziari l’obiettivo della direzione aziendale è stabiliz-
zare i flussi finanziari attesi di un elemento coperto (attività, passività, impegno irre-
vocabile) quale, ad esempio, l’interesse variabile pagato periodicamente su un debito
finanziario, un impegno all’acquisto o vendita di beni, oppure un’operazione program-
mata altamente probabile dalla quale scaturirà per esempio un acquisto o una vendita
di beni.
Nel modello contabile della copertura dei flussi finanziari, ad ogni chiusura di bilan-
cio, la società rileva nello Stato Patrimoniale lo strumento di copertura al fair value e

433
in contropartita alimenta la riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi.
Tale riserva di patrimonio netto non può accogliere le componenti inefficaci della
copertura contabile, ossia variazioni di fair value dello strumento finanziario derivato
alle quali non corrisponde una variazione di segno contrario dei flussi finanziari attesi
sull’elemento coperto. Qualora, infatti, l’ammontare delle variazioni di fair value in-
tervenute nello strumento di copertura sia superiore all’ammontare delle variazioni di
fair value intervenute nell’elemento coperto dall’inizio della relazione di copertura, l’ec-
cedenza rappresenta la parte di inefficacia della copertura. La parte inefficace, come
detto, è rilevata nella sezione D del Conto Economico.
Il rilascio della riserva per copertura di flussi finanziari attesi deve avvenire come
segue:
a) in una copertura dei flussi finanziari connessi ad un’operazione programmata alta-
mente probabile o impegno irrevocabile che comporta successivamente la rileva-
zione di un’attività o passività non finanziaria, la società al momento della rileva-
zione dell’attività o della passività deve eliminare l’importo dalla riserva per ope-
razioni di copertura dei flussi finanziari attesi e includerlo direttamente nel valore
contabile dell’attività o della passività non finanziaria;
b) in una copertura di flussi finanziari connessi ad un’attività o passività già iscritta in
bilancio, l’importo della riserva deve essere riclassificato a Conto Economico nello
stesso esercizio o negli stessi esercizi in cui i flussi finanziari futuri coperti hanno
un effetto sull’utile (perdita) d’esercizio (per esempio, negli esercizi in cui sono ri-
levati gli interessi attivi o gli interessi passivi o quando si verifica la vendita pro-
grammata). La voce di Conto Economico in cui classificare il rilascio della riserva
è la stessa che è impattata dai flussi finanziari attesi quando hanno effetto sull’utile
(perdita) d’esercizio.

Copertura di flussi finanziari di un finanziamento a tasso variabile (operazioni di copertura sem-


plici)
La società A sottoscrive al 30 giugno 2016 un finanziamento con le seguenti caratteristiche: importo:
euro 100.000
– data sottoscrizione: 30 giugno 2016;
– scadenza: 30 giugno 2018;
– regolamento flussi: semestrale;
– tasso: Euribor 6 mesi.
Contestualmente per coprirsi dal rischio di variazione dei tassi di interesse sottoscrive un interest rate
swap con le seguenti caratteristiche:
– nozionale: euro 100.000;
– data sottoscrizione: 30 giugno 2016;
– scadenza: 30 giugno 2018;
– regolamento flussi: semestrale;
– diritto a incassare: Euribor 6 mesi;
– obbligo a pagare: 4,99% fisso.

434
Dal momento che i termini del finanziamento e del contratto derivato coincidono, la società stabilisce
in via qualitativa, che vi è un rapporto economico tra l’elemento coperto e lo strumento di copertura e che
la relazione di efficacia della copertura è dimostrata. Il fair value del contratto derivato al momento della
stipula è prossimo allo zero pertanto la società è esonerata dal calcolare la componente di inefficacia ad
ogni chiusura di bilancio.
Si riepilogano di seguito le scritture per la chiusura di bilancio al 31 dicembre 2016, ipotizzando un
fair value del derivato attivo pari a euro 147 1.
Rilevazione del finanziamento
C) IV) 1) banca c/c 100.000
D) 4) debiti verso banche 100.000
Rilevazione degli interessi sul finanziamento (2.225) e differenziali IRS pagati (239)
C) IV) 1) banca c/c 2.464
C) 17) interessi passivi 2.464
Rilevazione del derivato a fair value
C) III 5) strumenti finanziari derivati attivi 147
A) VII) riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi 147
Al 31 dicembre 2017 si ipotizza che la società abbia:
– pagato interessi per euro 4.890 (euro 2.274 al 30 giugno 2017 e euro 2.616 al 31 dicembre 2017);
– pagato sul derivato al 30 dicembre 2017 euro 37 (differenza tra fisso dovuto di euro 4.927 e variabile
ricevuto di euro 4.890);
– stimato un fair value del derivato pari 479.
Le scritture contabili al 31 dicembre 2017 sarebbero le seguenti:
Rilevazione interessi corrisposti nell’anno (4.890) e differenziali IRS pagati (37)
C) IV) 1) banca c/c 4.927
C) 17) interessi passivi 4.927
Valutazione del derivato a fair value
C) III 5) strumenti finanziari derivati attivi 332
A) VII) riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi 332
Al 31 dicembre 2018 si ipotizza che la società abbia:
– pagato interessi per euro 2.464 al 30 giugno 2018;
– incassato sul derivato al 30 giugno 2018 euro 493 (differenza tra fisso dovuto di euro 2.464 e variabile
ricevuto di euro 2.957).
Le scritture contabili al 30 giugno 2018 sarebbero le seguenti:
Rilevazione interessi corrisposti (2.957) e differenziali IRS ricevuti (493)
C) IV) 1) banca c/c 2.464
C) 17) interessi passivi 2.464
Pagamento del debito e chiusura del derivato
C) IV) 1) banca c/c 100.000

1Si evidenzia che questo esempio contenuto nella bozza del Documento OIC non specifica la evolu-
zione del tasso Euribor per gli anni usati nell’esempio ma solo il risultato degli interessi maturati.

435
D) 4) debiti verso banche 100.000
A) VII) riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi 479
C) III 5) strumenti finanziari derivati attivi 479
Come si può osservare la riserva si chiude al momento della estinzione del debito coperto, chiudendo
in contropartita il derivato. Essa non si riversa direttamente a Conto Economico; a Conto Economico con-
fluisce invece il valore di mercato positivo del derivato come differenziale positivo di flussi che viene incas-
sato (o meglio, che va a ridurre gli interessi da pagare sul debito).

Tuttavia, se l’importo costituisce una perdita e la società non prevede di recuperare


tutta la perdita o parte di essa in un esercizio o in più esercizi futuri, la società deve
immediatamente imputare alla voce D) 19) d) del Conto Economico dell’esercizio l’im-
porto che non prevede di recuperare.
Contabilizzazione delle coperture di flussi con opzioni o forward
L’OIC fornisce poi una procedura opzionale alternativa rispetto alla precedente nei
casi in cui lo strumento di copertura sia un’opzione acquistata (put o call) oppure un
contratto forward. In tal caso il solo valore intrinseco può essere utilizzato per coprire
le variazioni di flussi finanziari attribuibili al rischio coperto. La variazione del valore
temporale dell’opzione, separata, è imputata nella sezione D) del Conto Economico
dell’esercizio per tutta la durata della copertura, mentre nel caso in cui l’elemento co-
perto sia un’operazione programmata o un impegno irrevocabile di acquisto di un’at-
tività o una passività, la variazione del valore temporale imputata a Conto Economico
nell’esercizio è sospesa a risconto attivo o passivo. Alla cessazione della copertura il
risconto è rilevato come componente del valore contabile dell’attività o passività deri-
vante dal concretizzarsi dell’operazione programmata o dell’impegno irrevocabile. In
ogni caso è sempre possibile designare l’intero derivato come di copertura e rilevare
l’inefficacia al Conto Economico.
Cessazione della copertura di flussi di cassa
La società deve cessare prospetticamente la contabilizzazione di copertura dei flus-
si finanziari se e soltanto se:
a) lo strumento di copertura scade, è venduto o cessato senza che sia stato sostituito
da altro con ugual funzione;
b) la copertura non soddisfa più i criteri per la contabilizzazione di copertura;
c) in una copertura di un’operazione programmata, l’operazione programmata non è
più altamente probabile.
Se cessa la contabilizzazione delle operazioni di copertura per la copertura di flussi
finanziari, si deve contabilizzare l’importo accumulato nella riserva per operazioni di
copertura dei flussi finanziari attesi, come segue:
 se si prevede che si verifichino ancora futuri flussi finanziari dall’elemento coperto,
l’importo deve rimanere nella riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari
attesi fino al verificarsi dei flussi finanziari futuri;

436
 se non si prevedono più flussi finanziari futuri l’importo della riserva deve essere
riclassificato immediatamente nella sezione D) in quanto l’ammontare della riserva
è divenuto inefficace.

14.6.3. Contabilizzazione per relazioni di copertura semplici


L’OIC permette poi un approccio più snello amministrativamente nel caso di «rela-
zioni di copertura semplici», quando le operazioni di copertura riguardano strumenti
finanziari derivati aventi caratteristiche del tutto simili a quelle dell’elemento coperto
(definite).
Fermi restando gli altri requisiti in termini di elementi coperti e strumenti di coper-
tura e designazione formale, la semplificazione riguarda la determinazione dell’effica-
cia della copertura che inizialmente richiede solo di verificare che gli elementi portanti
(quali importo nominale, scadenza e sottostante) dello strumento di copertura e dell’e-
lemento coperto corrispondano o siano strettamente allineati e il rischio di credito del-
la controparte non sia tale da incidere significativamente sul fair value sia dello stru-
mento di copertura sia dello strumento coperto. Sembra quindi che la semplificazione
consista nel non richiedere un’analisi quantitativa della efficacia della copertura, per
quanto nella designazione formale si deve specificare come la società valuterà se la
relazione di copertura soddisfi i requisiti di efficacia della copertura (compresa la sua
analisi delle fonti di inefficacia della copertura e di come essa determina il rapporto di
copertura).
La semplificazione riguarda poi anche le valutazioni successive, nel senso che per
coperture di flussi finanziari, non è necessario calcolare quanta parte della riserva sia
inefficace e quindi vada rilevata a Conto Economico, sezione D).
Nel caso invece di copertura di fair value, con l’approccio semplificato non è altre-
sì necessario calcolare la differenza da imputare nella voce di Conto Economico
dell’elemento coperto se al momento della rilevazione iniziale il fair value dello stru-
mento finanziario derivato approssima lo zero.
La scelta dell’approccio semplificato non esonera la società dall’analisi della
continua sussistenza dei requisiti della copertura semplice, inclusa la verifica del ri-
schio di credito della controparte dello strumento di copertura e dell’elemento coper-
to che qualora significativo potrebbe determinare la cessazione della relazione di co-
pertura.

Esempio di copertura dei flussi di cassa


La società A sottoscrive al 30 giugno 2016 un finanziamento con le seguenti caratteristiche: importo:
euro 100.000, data sottoscrizione: 30 giugno 2016, scadenza: 30 giugno 2018, regolamento flussi: seme-
strale, tasso: Euribor 6 mesi. Contestualmente per coprirsi dal rischio di variazione dei tassi di interesse sot-
toscrive un interest rate swap con le seguenti caratteristiche: nozionale: euro 100.000, data sottoscrizione:
30 giugno 2016, scadenza: 30 giugno 2018, regolamento flussi: semestrale, diritto a incassare: Euribor 6 me-
si, obbligo a pagare: 4,99% fisso.
Dal momento che i termini del finanziamento e del contratto derivato coincidono, la società stabilisce
in via qualitativa, che vi è un rapporto economico tra l’elemento coperto e lo strumento di copertura e che

437
la relazione di efficacia della copertura è dimostrata. Il fair value del contratto derivato al momento della
stipula è prossimo allo zero pertanto la società è esonerata dal calcolare la componente di inefficacia ad
ogni chiusura di bilancio.

Nell’ambito delle coperture dei flussi finanziari se lo strumento di copertura è un’op-


zione acquistata (put o call) oppure un forward, è possibile rilevare la variazione di
valore temporale del fair value nella riserva per operazioni di copertura dei flussi fi-
nanziari attesi perché vi è la presunzione relativa che, in assenza di altri fonti di ineffi-
cacia, l’effetto del valore temporale sia irrilevante e pertanto possa essere contabilizza-
to come fosse parte del valore intrinseco. Se la società dovesse verificare, alla data di
designazione della copertura, che tale valore non sia insignificante è necessario sepa-
rare contabilmente il valore temporale e applicare il modello contabile decritto al par.
6.7 (sub Contabilizzazione delle coperture di flussi con opzioni o forward) anche per
le relazioni di copertura semplici, oppure rilevare il valore temporale come componen-
te di inefficacia della copertura.

14.7. Separazione dei derivati incorporati


Si definisce contratto ibrido un contratto composto da un derivato (derivato incor-
porato) e un contratto primario (contratto non derivato regolato a normali condizioni
di mercato). Un contratto ibrido genera flussi finanziari che non avrebbero avuto luo-
go se non fosse stata presente la componente derivativa.
Un derivato incorporato deve essere separato dal contratto primario e contabilizza-
to come un derivato secondo il presente principio, se, e soltanto se:
a) le caratteristiche economiche e i rischi del derivato incorporato non sono stretta-
mente correlati alle caratteristiche economiche e ai rischi del contratto primario;
b) sono soddisfatti tutti gli elementi della definizione di derivato di cui al par. 1.
Ad esempio è evidente che un finanziamento che prevede il pagamento di interessi
in base all’andamento dell’indice di prezzo dell’oro contenga una componente deriva-
tiva. In tale circostanza il contratto di finanziamento (contratto ibrido) si compone di
un contratto di finanziamento a condizioni normali di mercato (contratto primario) e di
uno swap (derivato incorporato).
Un derivato incorporato è separato dal contratto primario anche nei casi in cui que-
st’ultimo non abbia natura finanziaria (ad esempio nel caso di un contratto di acquisto
di merci).
Di seguito si presentano due tabelle, riferite rispettivamente ai casi di derivati in-
corporati da scorporare e da non scorporare, così come contenuti nell’apposita appen-
dice del Documento OIC.

438
Alcuni esempi di derivati incorporati da scorporare
 Un’opzione put incorporata in un debito finanziario che permette al possessore di richiedere all’emit-
tente di regolare il proprio debito attraverso il pagamento in denaro, il cui valore varia sulla base del
prezzo di uno strumento di capitale, di una merce o di un indice non è strettamente correlato allo
strumento di debito primario e pertanto deve essere scorporata.
 Nella prospettiva della società che detenga lo strumento, un’opzione call incorporata in uno strumento
di capitale che permetta all’emittente di riacquistare tale strumento ad un prezzo determinato o de-
terminabile non è strettamente correlata allo strumento primario rappresentativo di capitale e pertanto
deve essere scorporata.
 Un’opzione o una clausola automatica di estensione della scadenza di uno strumento di debito non è
strettamente correlata allo strumento primario di debito a meno che non sia previsto che tale estensio-
ne avvenga al tasso di mercato e pertanto deve essere scorporata.
 Interessi o quote capitale indicizzati al valore di strumenti di capitale o di una merce – incorporati in uno
strumento primario di debito o in un contratto assicurativo – non sono strettamente correlati allo strumento
primario poiché i rischi inerenti al contratto primario e al derivato incorporato non sono simili.
 Un’opzione di conversione in capitale incorporata in uno strumento di debito convertibile non stret-
tamente correlata allo strumento primario di debito.
 Un’opzione call, put o di rimborso anticipato incorporata in un contratto di debito sottostante o in un
contratto assicurativo sottostante non è strettamente correlata al contratto sottostante a meno che il prez-
zo di esercizio dell’opzione non sia approssimativamente uguale, a ogni singola data di esercizio, al
costo ammortizzato dello strumento di debito sottostante o al valore contabile del contratto assicurati-
vo sottostante; il valore dell’opzione di rimborso anticipato non sia trascurabile, in quanto «deep out
of the money» alla data di prima rilevazione dello strumento ibrido.

Esempi di di derivati incorporati strettamente correlati allo strumento primario (da non scorpo-
rare)
 Un derivato incorporato, in cui il sottostante sia un tasso d’interesse o un indice su tassi d’interesse che
possa cambiare l’importo degli interessi che sarebbero altrimenti pagati o ricevuti in caso di contratto
di debito sottostante fruttifero o di contratto assicurativo, è strettamente correlato al contratto sottostante
a meno che lo strumento combinato non possa essere estinto in modo tale che l’assicurato non recuperi
tutto l’investimento contabilizzato o che il derivato incorporato non possa almeno raddoppiare il tasso
di rendimento iniziale del contratto sottostante e risultare in un tasso di rendimento almeno doppio
del rendimento di mercato di un contratto con clausole contrattuali analoghe a quelle del contratto sotto-
stante.
 Un contratto floor o cap su tassi d’interesse incorporato in un contratto di debito o in un contratto as-
sicurativo è considerato strettamente correlato al contratto sottostante, se il cap è uguale o maggiore
del tasso d’interesse di mercato e se il floor è uguale o inferiore al tasso d’interesse di mercato quando
il contratto è emesso. Analogamente, le disposizioni incluse al paragrafo precedente valgono per un con-
tratto di acquisto o vendita di un’attività (per esempio una merce) che prevedono un cap e un floor,
sul prezzo da corrispondere o ricevere per l’attività.
 Un derivato su cambi incorporato in un contratto sottostante è strettamente correlato al contratto sotto-
stante se non contiene un’opzione e se i pagamenti devono essere effettuati in una delle seguenti valute:
– la valuta funzionale di una qualsiasi parte contrattuale rilevante;
– la valuta in cui il prezzo del relativo bene o servizio acquistato o consegnato è normalmente e-
spresso in operazioni commerciali nel mondo (quali il dollaro americano per operazioni sul petro-
lio greggio).

439
 Un derivato incorporato in un contratto di locazione primario è strettamente correlato al contratto pr-
imario se il derivato incorporato è rappresentato da (i) un indice collegato all’inflazione quale l’indiciz-
zazione dei pagamenti di leasing basato su di un indice di prezzi al consumo (sempre che il contratto
di leasing non sia «leveraged» e l’indice sia collegato all’inflazione propria dell’ambiente economico in
cui la società opera), (ii) rate di noleggio che dipendono dalle vendite connesse, o (iii) canoni poten-
ziali basati su tassi di interesse variabili.

L’analisi dei caratteri di cui sub a) e b) è effettuata esclusivamente alla data di rile-
vazione iniziale dello strumento ibrido o alla data di modifica delle clausole contrat-
tuali; eventuali variazioni alle condizioni di mercato successive a tale data non devono
essere tenute in considerazione ai fini dell’eventuale contabilizzazione separata del de-
rivato incorporato.
Il derivato scorporato è valutato al fair value sia alla data di scorporo, ossia alla da-
ta di rilevazione iniziale dello strumento ibrido, sia ad ogni data di chiusura di bilancio
successiva. Alla data di scorporo l’eventuale differenza tra il valore del contratto ibri-
do e il fair value del derivato incorporato è attribuito al contratto primario. Il contratto
primario è successivamente valutato secondo i criteri di valutazione del principio con-
tabile nazionale di riferimento per quella tipologia di contratto.
Nel caso in cui il derivato incorporato sia un’opzione (call o put), la separazione
dal contratto primario avviene determinando il premio, che ne rappresenta il fair value
alla data di scorporo, sulla base delle condizioni contrattuali. Se invece il derivato in-
corporato è un forward o uno swap, la separazione è effettuata sulla base delle condi-
zioni sostanziali o implicite del derivato incorporato stesso, determinate in maniera ta-
le da attribuire allo stesso un fair value pari a zero alla data di rilevazione iniziale. Ad
ogni data di chiusura di bilancio successiva il derivato scorporato è valutato al fair va-
lue e le variazioni di fair value imputate nella sezione D) del Conto Economico a me-
no che il derivato scorporato non sia designato come di copertura dei flussi finanziari,
nel qual caso la contropartita della variazione di fair value è contabilizzata a riserva.
Se una società, alla data di scorporo o successivamente, non è in grado di determi-
nare in modo attendibile il fair value del derivato incorporato, determina il fair value
del derivato incorporato come la differenza tra il fair value dello strumento ibrido e il
fair value del contratto primario.
Nel caso di un titolo di debito obbligazionario convertibile emesso, l’allocazione
del valore del contratto ibrido al contratto primario e al contratto derivato deve avveni-
re determinando il fair value del contratto primario e attribuendo il valore che residua
al contratto derivato. Successivamente eventuali costi di transazione sono ripartiti pro-
porzionalmente tra il debito e la componente di patrimonio netto.

Esempio – Contabilizzazione di prestito obbligazionario convertibile


Alfa emette un prestito obbligazionario convertibile per euro 1 milione di durata di 5 anni che capita-
lizza interessi annui al 3% e rimborsa il capitale a scadenza. Al quinto anno il possessore può convertire il
debito in strumenti di capitale ad un prezzo per azione prestabilito. La società colloca i titoli ad un prezzo
di euro 86,2 ed incassa euro 862 mila. Il contratto primario è uno strumento di debito perché lo strumen-

440
to ibrido ha una scadenza stabilita nella quale sarà previsto un esborso finanziario da parte della società A,
ed è contabilizzato come uno strumento di debito zero coupon. Poiché l’opzione, se esercitata, dà diritto
al possessore a ricevere azioni, il fair value dell’opzione viene registrato in una riserva di futuro aumento di
capitale. Il fair value di detta opzione può essere determinato per differenza rispetto al valore del debito.
Ipotizzando un tasso spot di mercato a 5 anni per titoli quotati dello stesso rating della società A pari al 4% e
un premio di liquidità del 2%, il valore attuale dello strumento di debito sarebbe pari a euro 747.258 euro (euro
1 milione attualizzato al tasso del 6% per cinque anni). La differenza rispetto a quanto incassato (euro 862 mila)
è pari a euro 114.742 e rappresenta il valore dell’opzione. Tale valore è iscritto in una riserva di patrimonio netto
e non viene aggiornato annualmente, in quanto rappresenta il prezzo pagato dai sottoscrittori del titolo obbliga-
zionario per il diritto di conversione in capitale. Il debito è iscritto in bilancio a euro 747 mila e valutato al costo
ammortizzato applicando il TIR calcolato sul profilo dei flussi per capitale e interessi connessi al debito.
Contabilmente, all’emissione si avrà:
Banca c/c 862.000
Prestiti obbligazionari convertibili 747.258
Riserva per prestiti obbligazionari convertibili 114.742
A fine esercizio si dovrà valutare il prestito al costo ammortizzato, incrementandolo degli interessi al TIR
(9,59913%):
Interessi passivi 71.730
Prestiti obbligazionari convertibili 71.730
Procedendo in questo modo al termine dei 5 anni, il prestito sarà pari a 1 milione. La riserva come speci-
ficato dall’OIC resterà iscritta nel patrimonio netto, indipendentemente dall’eventuale conversione.

Nel caso di prestiti obbligazionari convertibili emessi lo strumento finanziario de-


rivato separato, ossia l’opzione di conversione del prestito in strumento di capitale, è
iscritta in una riserva di patrimonio netto. Tale riserva, che rappresenta il diritto a par-
tecipare al futuro aumento di capitale, non è soggetta a rivalutazioni successive e viene
mantenuta nel patrimonio netto.
Nel caso la società possieda un contratto ibrido quotato (fair value di livello 1) può
adottare come politica contabile di valutarlo al fair value nella sua interezza, senza
pertanto ricorrere alla separazione del derivato incorporato. Ciò in quanto normalmen-
te la valutazione del fair value dell’intero strumento ibrido risulta più affidabile rispet-
to all’esercizio di scorporo del derivato incorporato e alla sua conseguente valutazione
al fair value. Tale politica contabile deve essere applicata a tutti i contratti ibridi quo-
tati posseduti dalla società. Qualora la società decidesse di cambiare politica contabile
deve applicare l’OIC 29 «Cambiamenti di principi contabili, cambiamenti di stime
contabili, correzione di errori, fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio».

14.8. Le informazioni in Nota Integrativa


L’art. 2427, al n. 1, richiede l’indicazione dei «criteri applicati nella valutazione delle
voci del bilancio e delle rettifiche di valore».
Tale disposizione implica che, circa i derivati, si dovrà indicare la scelta fatta dalla
società tra più criteri di valutazione ammessi dalla norma (ad esempio, nel caso dei de-

441
rivati se la società valuta gli strumenti finanziari derivati come di copertura o non di
copertura), come pure quei criteri che, sebbene non previsti dall’art. 2426 c.c., sono
richiamati nel Documento OIC (ad esempio l’adozione del metodo semplificato per le
operazioni di copertura semplici o la valutazione al fair value dell’intero contratto ibrido
posseduto qualora questo sia quotato).
Quindi l’art. 2427 bis, 1° comma stabilisce che nella Nota Integrativa devono esse-
re indicate una serie di informazioni sui derivati che il Documento OIC precisa meglio
in termini tecnici.
Le informazioni da riportare per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati
sono le seguenti:
a) il loro fair value (informazioni quindi quantitative);
b) informazioni sulla loro entità e sulla loro natura, compresi i termini e le condizioni
significative che possono influenzare l’importo, le scadenze e la certezza dei flussi
finanziari futuri;
b-bis) gli assunti fondamentali su cui si basano i modelli e le tecniche di valu-
tazione, qualora il fair value non sia stato determinato sulla base di evi-
denze di mercato; per il Documento OIC si tratta di dare informativa di
quale o quali metodo/i e di quali parametri sono stati utilizzati per la de-
terminazione del fair value;
b-ter) le variazioni di valore iscritte direttamente nel Conto Economico, nonché
quelle imputate alle riserve di patrimonio netto; tali informazioni posso-
no essere date in forma descrittiva a commento delle singole voci di
Conto Economico o Stato Patrimoniale;
b-quater) una tabella che indichi i movimenti delle riserve di fair value avvenuti
nell’esercizio. Tali informazioni per il Documento OIC possono essere
esposte, nella sezione relativa al patrimonio netto, secondo il modello
proposto nell’OIC 28 «Patrimonio netto».
L’individuazione delle categorie di strumenti finanziari derivati deve avvenire, se-
condo il Documento OIC, con il fine di garantire la migliore informativa possibile, per
il lettore del bilancio, tenendo in considerazione la natura, le caratteristiche e i rischi de-
gli strumenti finanziari derivati. Per esempio la società potrebbe raggruppare gli stru-
menti finanziari a seconda che siano strumenti non di copertura o strumenti di copertu-
ra e a seconda del rischio coperto per tipologia di strumento finanziario (future, swap,
opzioni). Gli strumenti di copertura possono essere ulteriormente raggruppati a secon-
da che l’oggetto della copertura sia fair value o flussi finanziari.
Secondo il Documento OIC, la società dà inoltre in Nota Integrativa le seguenti in-
formazioni:
a) la componente di fair value inclusa nelle attività e passività oggetto di copertura di
fair value;
b) le informazioni sui casi di indeterminabilità del fair value;
c) la descrizione del venir meno del requisito «altamente probabile» per un’operazio-
ne programmata oggetto di copertura di flussi finanziari;

442
d) la compente inefficace riconosciuta a Conto Economico nel caso di copertura dei
flussi finanziari;
e) eventuali cause di cessazione della relazione di copertura e i relativi effetti contabili.

14.9. Disposizioni di prima adozione


Come regola generale, una società deve applicare il presente principio retrospetti-
camente, ai sensi dell’OIC 29.
Tuttavia, per le operazioni di copertura preesistenti alla prima applicazione del Do-
cumento OIC (in vigore dal 1° gennaio 2016), è possibile procedere alla designazione
della copertura contabile alla data di prima applicazione del Documento OIC. Ciò com-
porta:
a) la verifica a tale data dei criteri di ammissibilità;
b) in caso di copertura del fair value, la valutazione del fair value sia dell’elemento
coperto, sia dello strumento di copertura, fatta alla data di inizio del bilancio del-
l’esercizio di prima applicazione del presente principio, è interamente imputata agli
utili o perdite di esercizi precedenti;
c) in caso di coperture dei flussi finanziari, il calcolo dell’inefficacia della copertura,
fatto alla data di inizio del bilancio dell’esercizio di prima applicazione del presen-
te principio comporta che la componente di inefficacia sia imputata agli utili o per-
dite di esercizi precedenti, mentre la componente efficace sia imputata alla riserva
per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi.
Ciò consente di rilevare nel Conto Economico dell’esercizio di prima adozione so-
lo gli effetti della copertura di competenza.
Tale opzione deve essere adottata per tutte le operazioni designate di copertura
nell’esercizio di prima applicazione del presente principio contabile.
Per i derivati incorporati, preesistenti all’applicazione del presente principio conta-
bile, è possibile far coincidere la data dello scorporo, a cui deve essere effettuata la va-
lutazione del fair value del derivato scorporato, con la data di prima applicazione del
presente principio contabile.

Per la prima applicazione delle suddette regole di contabilizzazione dei derivati, e


limitatamente alle relazioni di copertura in essere alla data di designazione della rela-
zione di copertura, si presume che la copertura sia pienamente efficace se sono rispet-
tati i requisiti per la verifica in termini qualitativi del rapporto economico tra elemento
coperto e strumento di copertura. In questo caso il calcolo dell’inefficacia o la diffe-
renza tra variazioni dell’elemento coperto e strumento di copertura non va fatto nean-
che in esercizi successivi.

443
14.10. Società che redigono il bilancio in forma abbreviata e micro-
imprese
Società che redigono il bilancio in forma abbreviata
Le società che redigono il bilancio in forma abbreviata sono tenute ad applicare la
disciplina prevista dall’art. 2426, 1° comma, n. 11 bis, c.c. e pertanto applicano il pre-
sente principio.
Ai sensi dell’art. 2435 bis, c.c., nel bilancio in forma abbreviata, «lo Stato Patrimo-
niale comprende solo le voci contrassegnate nell’art. 2424 con lettere maiuscole e con
numeri romani», per cui può non risultare la distinta evidenza nello schema di Stato
Patrimoniale delle voci riferite ai derivati, come pure i loro effetti reddituali, dal momen-
to che, nel Conto Economico del bilancio in forma abbreviata le voci D18(a), D18(b),
D18(c) e D18(d) possono essere aggregate in unica voce come pure le voci D19(a),
D19(b), D19(c) e D19(d).
Ai sensi dell’art. 2435 bis, c.c. la Nota Integrativa deve fornire le informazioni ri-
chieste dall’art. 2427 bis, 1° comma, n. 1.
Micro-imprese
L’art. 2435 ter, 2° comma, c.c. prevede che non sia applicabile la disciplina degli
strumenti finanziari derivati e delle operazioni di copertura contenuta nell’art. 2426, 1°
comma, n.11 bis, c.c.
Nel caso di strumenti finanziari derivati non di copertura ove ricorrano le condizio-
ni per l’iscrizione di un fondo per rischi e oneri in base a quanto previsto dall’OIC 31
la società rileva nella sezione D) del Conto Economico con contropartita un fondo ri-
schi ed oneri il fair value negativo degli strumenti finanziari derivati non di copertura.
Ai sensi dell’art. 2435 ter, c.c., gli schemi di bilancio e i criteri di valutazione delle
micro-imprese sono determinati secondo quanto disposto dall’art. 2435 bis, c.c.
Secondo quanto previsto dall’art. 2435 ter, 1° comma, n. 2, c.c. «Le microimprese
sono esonerate dalla redazione della Nota Integrativa quando in calce allo Stato Patri-
moniale risultino le informazioni previste dal primo comma dell’articolo 2427, numeri
9) e 16) del codice civile».

444
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