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v: 1 AzzONE, UM ER.

TO BE
,
Sl~TEM
DI~O~ERNO,
VALUTAZIO~E
E ,~NROLLO
QUINTA EDIZIONE
GIOVANNI AZZONE
UMBERTO BERTELÈ

L'impresa
Sistemi di governo, valutazione
e controllo

Quinta edizione

con il contributo di
Michela Arnaboldi e Davide Chiaroni

appendici di
Marco Giorgina e Franco Quillico

~zzoli Er A s
Michela Arnaboldiè associato presso il Politecnico di Milano, dove è anche docente di Econo-
mia ed organizzazione aziendale.

Davide Chiaroniè ricercatore presso il Politecnico di Milano, dove è anche docente di Econo-
mia ed organizzazione aziendale.

Marco Giorgino è ordinario di Analisi dei sistemi finanziari al Politecnico di Milano, dove
coordina anche le iniziative nell'area bancario-finanziaria del MI P.

FrancoQuillico, managing partner di Andromeda Consulting, è docente di Finance all'lnter-


national MBA del MIP Politecnico di Milano e di Mergers & Acquisitions alla lnternational
University of Monaco.

Redazione e fotocomposizione: Studio Norma, Parma

ISBN 978-88-17-05187-3

Copyright © 2011 RCS Libri SPA


Prima edizione Etas: aprile 2002
Seconda edizione: settembre 2003
Terza edizione: ottobre 2005
Quarta edizione: ottobre 2007
Quinta edizione Rizzoli Etas: ottobre 2011
Prima ristampa della quinta edizione: aprile 2014 .
Seconda ristampa della quinta edizione: maggio 2015
Terza ristampa della quinta edizione: settembre 2016
Indice

Introduzione XIII

Parte I
L'impresa: gli obiettivi, le modalità competitive e i sistemi di governance 1
I

1. L'impresa, con Davide Chiaroni 5


1.1 Una grande impresa internazionale operante nei beni
di largo consumo: Procter & Gamble 6
1.2 Un'impresa multinazionale "tascabile" italiana di successo:
De' Longhi 14
1.3 Un'impresa italiana che ha saputo coniugare innovatività
e tradizione: Yoox 21
1.4 La competizione nell'Information & Communication Technology:
una guerra "tutti contro tutti" che coinvolge una fetta crescente
dell'economia 27
1.5 Le principali imprese a livello italiano e mondiale 40
1.5.1 I principali gruppi e società mondiali 40
1.5.2 I principali gruppi e società italiane 47

2. L'impresa e il contesto 65
2.1 L'impresa come componente del sistema economico-finanziario 66
2.1.1 Il "perimetro" dell'impresa: il portafoglio di business 70
2.1.2 Il "perimetro" dell'impresa: il grado di integrazione verticale 74
2.1.3 L'assetto tecnologico-organizzativo 78
2.1.4 L'immagine 82
2.1.5 L'assetto giuridico-proprietario-finanziario 87
VI I L'IMPRESA: SISTEMI DI GOVERNO, VALUTAZIONE E CONTROLLO

2.2 L'impresa, il ruolo economico dello Stato e la responsabilità sociale 92


2.2.1 Tasse e incentivi 93
2.2.2 Privatizzazioni, liberalizzazioni, ruolo diretto dello Stato nell'economia 96
2.2.3 Responsabilità sociale 99
2.3 L'impresa nella sua configurazione geo-politica 104
2.3.1 La globalizzazione dell'economia e della società 105
2.3.2 L'internazionalizzazione delle imprese e la globalizzazione dei mercati 108
2.3.3 I sistemi economici locali "a elevata integrazione" 117
2.4 Il cambiamento 121
2.5 L'innovazione 125
2.6 Il rischio 135
2.6.1 Il rischio è connaturato con la vita dell'impresa 138
2.6.2 Il rischio può essere gestito 145

3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa 153


3.1 Shareholder e stakeholder: i diritti e i doveri di chi detiene
la proprietà dell'impresa e di chi partecipa alla sua vita 153
3.2 La corporate governance 161
3.3 La trasparenza e la fedeltà delle comunicazioni sociali 176
3.4 La punibilità dell'impresa per i reati societari 179
3.5 La responsabilità sociale dell'impresa 182

4. Il valore economico dell'impresa 189


4.1 Il valore per gli azionisti come obiettivo di riferimento 189
4.2 La definizione di valore economico 194
4.3 Le interpretazioni del valore economico 199
4.3.1 L'interpretazione "finanziaria" 201
4.3.2 L'interpretazione "economica" 202
4.4 La linea del valore 203
4.5 Il valore come obiettivo-guida per la gestione dell'impresa 214
4.6 Il valore per gli stakeholder 220

5. La competizione 223
5.1 Le chiavi di lettura 223
5.2 Il business model dell'impresa 234
5.3 Il portafoglio di output 24 7
5.4 L'integrazione verticale e il ricorso ali' outsourcing 250
5.5 Le attività 253
5.6 I differenziali competitivi 258
5.7 I margini 264
5.8 I principali fattori alla base dei differenziali competitivi
e dei margini 270
5.8.1 La scala o dimensione 271
5.8.2 Il grado di utilizzo delle risorse o grado di saturazione 276
5.8.3 L'esperienza accumulata o apprendimento 278
5.8.4 Le risorse "critiche" materiali e immateriali 283
Indice J VII

5.8.5 Le risorse umane 285


5.8.6 La localizzazione. 286
5.8. 7 I fattori istituzionali 287
5.9 La competizione e la creazione di valore 288
5.9.1 Lo scenario "l ": la competizione con prodotti indifferenziati 289
5.9.2 Lo scenario "2": la differenziazione dei prodotti
e le sottoaree di business 292
5.9.3 Lo scenario "3": la vicinanza dei bisogni e le superaree di business 301
5.9.4 Lo scenario "4": le disomogeneità di portafoglio 302
5.9.5 Lo scenario "5": le disomogeneità geo-politiche 303
5.9.6 La regolamentazione della competizione e le authority 307
5.9. 7 Il cambiamento e l'innovazione 308

Parte II
L'organizzazione di impresa 317

6. Dalle decisioni ai risultati: il ruolo dell'organizzazione di impresa 319


6.1 Introduzione 319
6.2 Le dimensioni della progettazione organizzativa 320
6.3 Scelte strategiche e assetto organizzativo 322
6.4 Organizzazione dei capitoli successivi 324

7. L'attività 325
7.1 L'attività come unità di analisi organizzativa 325
7.2 L'individuazione delle attività di un'impresa 328
7.3 L'analisi delle attività 331
7.3.1 L'utilità dell'analisi per attività 331
7.3.2 Il portafoglio di attività 332
7.3.3 Le prestazioni critiche delle attività 333
7.3.4 Le prestazioni delle attività come input all'analisi organizzativa 336

8. L'individuo e i suoi comportamenti 339


8.1 Prestazioni dell'individuo e prestazioni dell'impresa:
uno schema di riferimento 339
8.2 La motivazione 340
8.2.1 Le teorie dell'azione 341
8.2.2 Le teorie della scelta 342
8.3 La posizione individuale 344
8.3.1 I compiti 344
8.3.2 L'autonomia e la formalizzazione 348
8.3.3 I profili di competenze 349

9. Il gruppo 353
9.1 I meccanismi di coordinamento 353
9.2 Responsabilità individuale e responsabilità collettiva 360
VIII L'IMPRESA: SISTEMI DI GOVERNO, VALUTAZIONE E CONTROLLO

10. Iproce~i 363


10.1 Dalle attività ai processi 363
10.2 Le tipologie di processi aziendali 366
10.2.1 Processi primari e processi di supporto 367
10.2.2 Processi ripetitivi e processi a impulso 367
10.3 L'analisi dei processi: considerazioni generali 369
10.3.1 Attività e interdipendenze 369
10.3.2 I confini dei processi 371
10.3.3 Le responsabilità organizzative 372
10.3.4 Il sistema informativo 372
10.4 La progettazione dei processi: le specificità
dei processi discontinui 375

11. Le strutture organizzative 377


11.1 Le logiche elementari di raggruppamento delle attività 381
11.2 Le modalità di raggruppamento base: strutture funzionali
e divisionali 386
11.3 La gestione dei trade-off 394
11.3.1 Adottare soluzioni ibride 394
11.3.2 Modificare l'assetto organizzativo nel tempo 394
11.3.3 I meccanismi di integrazione 395

Parte III
Le informazioni clinatura economico-finanziaria, con MichelaAmabo/,di 399

12. Lo stato patrimoniale 405


12.1 Introduzione 405
12.1.1 L'attivo 405
12.1.2 Il passivo 406
12.1.3 Le relazioni tra attivo e passivo 407
12.2 L'attivo 409
12.2.1 Attività non correnti 410
12.2.2 Attività correnti 418
12.2.3 Attività non correnti disponibili per la vendita 421
12.3 Il passivo 421
12.3.1 Patrimonio netto 421
12.3.2 Passività non correnti 422
12.3.3 Passività correnti 424

13. Il conto economico 425


13.1 Introduzione 425
13.1.1 La struttura del conto economico 427
13.2 Il conto economico per natura 427
13.2.1 Ricavi e costi operativi 429
13.2.2 Proventi e oneri finanziari 432
Indice I IX

13.2.3 Utile d'esercizio da attività in funzionamento 433


13.2.4 Ricavi e perdite da attività destinate a cessare 434
13.2.5 Utile d'esercizio 435
13.2.6 Utile per azione 435
13.3 Il conto economico per destinazione 436
13.4 Le diverse "gestioni" 439

14. Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni


di patrimonio netto e documenti integrativi 441
14.1 Introduzione 441
14.2 Il rendiconto finanziario 441
14.2.1 Il metodo indiretto 443
14.2.2 Il metodo diretto 445
14.3 Il prospetto delle variazioni di patrimonio netto 446
14.4 I documenti integrativi 448
14.4.1 La relazione sulla gestione 449
14.4.2 La nota integrativa 450
14.4.3 La relazione di revisione 452

15. La contabilità analitica: elementi di base 453


15.1 Introduzione 453
15.2 Gli obiettivi specifici della contabilità analitica 453
15.3 Le tipologie di costo 454
15.3.1 Costi di prodotto e di periodo 455
15.3.2 Costi fissi e variabili 457
15.3.3 Costi evitabili e costi non evitabili 459

16. I sistemi per la rilevazione dei costi 461


16.1 Considerazioni introduttive 461
16.1.1 Le componenti di un sistema di rilevazione dei costi 461
16.1.2 La progettazione degli archivi contabili 462
16.1.3 La progettazione delle "regole" di rilevazione 464
16.2 Full costing vs. direct costing 465
16.3 Costi storici vs. costi standard 466
16.4 Le modalità di ripartizione dei costi delle attività
di supporto ai prodotti 468
16.5 I metodi di rilevazione dei costi dei prodotti 471
16.5.1 Iljob costing 472
16.5.2 Il process costing 474
16.5.3 L'operati on costing 477
16.5.4 L'activity based costing 478
16.6 Il costo delle unità organizzative 485
X I L'IMPRESA: SISTEMI DI GOVERNO, VALUTAZIONE E CONTROLLO

Parte IV
I sistemi di decisione 487
17. L'analisi delle decisioni aziendali: un quadro di riferimento 489
17.1 La misura indiretta della creazione di valore economico 490
17.2 Le fasi dell'analisi di una decisione 493
17.3 L'individuazione delle alternative 495
17.3.1 Gli investimenti non obbligati 495
17.3.2 Gli investimenti obbligati 496
17.3.3 Investimenti obbligati o non obbligati? 497
17.4 La "consistenza" del progetto 498
17.4.1 Bundling dei progetti sinergici 499
17.4.2 Unbundling dei progetti indipendenti 500
17.5 I confini dell'analisi 500
17.6 Gli impatti competitivi 501
18. La metrica dei net cash flow 505
18.1 Le componenti del NCF operativo 505
18.1.1 Il cash flow operativo lordo 506
18.1.2 L'investimento operativo 507
18.1.3 Il valore residuo 509
18.2 Logica incrementale e costi affondati 509
18.3 L'effetto fiscale 511
18.3.1 Il ruolo degli ammortamenti e lo scudo fiscale 511
18.3.2 Plusvalenze e minusvalenze 513
18.3.3 Il tasso di attualizzazione 513
18.4 Le modalità di finanziamento 513
18.5 Considerazioni di sintesi 517

19. I criteri di decisione 519


19.1 I criteri deterministici 520
19.1.1 Il net present value 521
19.1.2 Il profitability index 522
19.1.3 L'internal rate ofreturn 524
19.1.4 La funzione di ripagamento e il pay back attualizzato 532
19.1.5 I principali criteri non DCF: tempo di pay back e ROI 535
19.2 Il problema del rischio 537
19.3 Gli approcci pseudo-deterministici 539
19.3.1 L'equivalente certo (CE) 539
19.3.2 Il risk adjusted rate (RAR) 541
19.3.3 RAR e CE 542
19.4 L'approccio stocastico 543
19.4.1 Il net present value atteso 543
19.4.2 Gli indicatori di rischio 543
19.4.3 La stima degli indicatori di rischio 544
19.4.4 Il criterio di decisione 549
Indice j Xl
20. Le decisioni di breve periodo 553
20.1 Introduzione 553
20.2 I criteri per le decisioni di breve periodo 554
20.3 L'analisi di break even 556
20.4 Il ruolo decisionale del costo pieno 558

Parte V
I sistemi di controllo 561
21. I sistemi di controllo 563
21.1 Il flusso logico del controllo 564
21.1.1 La programmazione dei risultati 564
21.1.2 La misura dei risultati 565
21.1.3 L'analisi degli scostamenti 566
21.1.4 L'introduzione delle azioni correttive 566
21.2 Il processo di controllo 567
21.2.1 L'approccio feed-back 567
21.2.2 Il controllo feed-forward 568

22. Il sistema di controllo a livello di impresa 571


22.1 La costruzione dei bilanci prospettici e il budgeting 571
22.1.1 I budget operativi 574
22.1.2 Il budget degli investimenti 580
22.1.3 I budget finanziari 581
22.1.4 Conto economico e stato patrimoniale di budget 586
22.2 Gli indicatori tradizionali a livello di impresa 587
22.2.1 Gli indicatori di redditività 589
22.2.2 La liquidità 596
22.2.3 Gli indicatori di crescita 600
22.3 Le caratteristiche degli indicatori delle prestazioni "tradizionali" 602
22.4 Gli indicatori di redditività non convenzionali: residuai income
ed economie value added 605
22.4.1 Il residuai income 605
22.4.2 L'EVA 606
22.5 La necessità di informazioni tempestive e orientate
al lungo periodo: l'uso degli indicatori non finanziari 608

23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità 611


23.1 I centri di spesa 612
23.1.1 La misura delle prestazioni dei centri di spesa 613
23.1.2 I problemi applicativi 615
23.2 I centri di costo 618
23.2.1 L'analisi degli scostamenti nei centri di costo 618
23.2.2 I limiti dell'analisi degli scostamenti 622
23.3 I centri di ricavo 624
Xli I L'IMPRESA: SISTEMI DI GOVERNO, VALUTAZIONE E CONTROLLO

23.3.1 L'analisi degli scostamenti nei centri di ricavo 624


23.3.2 I limiti dell'analisi degli scostamenti 627
23.4 I centri di profitto 628

Integrazioni e approfondimenti 629


1.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento
dell'impresa, di Marco Giorgino 631
1.2 Le metodologie di valutazione d'impresa, di Franco QJ.1,illico 649
II.I Elementi di base dei sisterni contabili 665
11.2 Cenni ai problemi di consolidamento 668
III. I La relazione analitica tra NCF e NCG 675
111.2 L'attualizzazione 677
Bibliografia 683
Introduzione

I. [ (dall'introduzione alla I edizione (marzo 2002)] Con questo testo-


giunge a maturazione un progetto editoriale iniziato quasi dieci anni
orsono: un progetto che si proponeva di predisporre e di aggiornare
periodicamente una serie di testi - autonomi ma animati da una filoso-
fia comune - volti a rispondere alle esigenze dei tre insegnamenti di
Economia e organizzazioneaziendale, Sistemi di controllodi gestionee Strategi,a
e sistemi di pianificazione. Il testo ha in comune con i due della serie che
lo hanno preceduto (Innovare il sistema di controllodi gestionee Valutare
l'innovazione) un approccio all'impresa e alle sue logiche di funziona-
mento - caratteristico della Scuow di Ingegneria Gestiona/,e-che presenta
alcune peculiarità rispetto ad altre scuole di management, derivanti dal
cordoneombelicalecon ingegneria ma divenute sempre più attuali con l'i-
nasprirsi della competizione e l'accelerazione del cambiamento:
• l'enfasi posta sulla natura dinamica dell'impresa e del contesto in
cui essa opera;
• l'enfasi posta sulla complessità,all'interno dell'impresa e nelle sue
interrelazioni con il sistema economico-finanziario e in generale
con la società;
• l'enfasi posta sulla tecnologi,a;
• l'attenzione dedicata ali' innovazione, tecnologi,cama anche (e spes-
so congiuntamente) organizzativae gestionale.con una lettura però
sempre critica, per verificarne l'effettiva capacità di creare valore
per l'impresa;
• la preferenza per gli strumenti di analisi e di supporto quantitativi,
laddove il loro uso non si configuri come riduzionistico.
XIV I L'IMPRESA: SISTEMI DI GOVERNO, VALUTAZIONE E CONTROLLO

Ma - a differenza dei due libri precedenti, focalizzati e approfonditi - questo


testo si propone di fornire una lettura di base e a largo spettro dell'impresa,
della sua strutturazione, del suo funzionamento e delle condizioni che ne re-
golano la soprawivenza e la crescita. È un obiettivo ambizioso, in cui abbiamo
cercato di coniugare il realismo e la completezza dell'analisi con l'esigenza di
fornire in forma semplice i concetti e gli strumenti analitici fondamentali a
chi non dispone ancora di conoscenze approfondite.
Il testo si articola in particolare in quattro parti:
• la prima analizza l'impresa in termini complessivi: fornendo un quadro
delle tipowgi,eche essa può assumere, delle interrelazioni che ha con il
contesto esterno (con particolare riguardo alla competizione), dei siste-
mi di governanceche può adottare, degli obiettivi che persegue (primo
fra tutti la creazione di valore economico) e delle modalità con cui li per-
segue;
• la seconda presenta le principali fonti di informazione disponibili per va-
lutare l'impatto delle scelte di fondo dell'impresa e delle sue decisioni
specifiche: la contabilità generale e quella analitica;
• la terza affronta il problema dei sistemi di decisione: attraverso i quali
l'impresa può valutare la coerenza fra decisioni e obiettivi;
• la quarta, infine, esamina i sistemi di programmazione e controllo: attra-
verso i quali l'impresa si assicura che le decisioni vengano effettivamente
implementate e modifica eventualmente i suoi piani di azione al variare
del contesto. Rivolto prevalentemente agli studenti delle facoltà di inge-
gneria, di scienze e di disegno industriale, esso può costituire anche un
utile riferimento per chi - all'interno dell'impresa - voglia disporre di
un quadro sistematico e di base degli strumenti di governo, valutazione
e controllo.

II. [dall'introduzione alla II edizione (settembre 2003)] A sedici mesi dalla


prima edizione, esce questa seconda: aggiornata, modificata e ampliata. Ag-
giornata al luglio 2003 per quanto concerne il quadro giuridico-normativo e i
numerosi casi riportati a titolo di esempio. Visibilmente modificata nella gra-
fica della copertina, nella rilegatura e nella consistenza del volume che il let-
tore si trova fra le mani. Gli ampliamenti e le modifiche più consistenti hanno
riguardato la parte prima. È stato introdotto in particolare nel capitolo 1 un
nuovo caso, quello Eni (primo gruppo in Italia e fra i tap50 al mondo per ca-
pitalizzazione di Borsa). È stata estesa a nuove "dimensioni" - quali la corporale
social responsibility- l'analisi sulle peculiarità e i cambiamenti del contesto in
cui l'impresa opera, oggetto del capitow 2. È stata posta una attenzione più
puntuale sulle variazioni in atto nello stato giuridico-normativo dell'impresa e
sui sistemi di govf!!nancee di protezione degli interessi degli stakeholàer,ogget-
to del capitolo3. E stata introdotta una appendic,eal capitow 4, di Franco Quilli-
co, sulle metodologie concretamente usate nella realtà per calcolare il valore
Introduzione I XV
....
delle imprese. E stata introdotta una appendice al capitolo 5, di Marco Giorgina,
sulla gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa.

III. [dall'introduzione alla III edizione (settembre 2005)] Sono due le novità
importanti di questa terza edizione. Vi è una parte completamente nuova, dedica-
ta alle problematiche organizzative dell'impresa. Vi è una parte, quella riguardan-
te il bilancio, che è stata radicalmente ristrutturata per adeguarsi agli Ias-Ifrs. i
nuovi criteri contabili europei, obbligatori da quest'anno per tutte le imprese
quotate in borsa e la quasi totalità di quelle (anche se non quotate) bancario-
finanziario-assicurative. La scelta di introdurre una parte espressamente dedi-
cata all'organizzazione, affrontando in modo esplicito e con sistematicità pro-
blematiche spesso affioranti (nelle precedenti edizioni) nell'ambito delle te-
matiche più diverse, è congruente con il nostro principio di dare dell'impresa
una rappresentazione stilizzata ma realistica, che - pur puntando alla semplifi-
cazione - ne evidenzi la multidimensionalità e la complessità. La scelta, nel ri-
strutturare radicalmente la parte dedicata al bilancio, di privilegiare la nuova
contabilità (obbligatoria per ora solo per le realtà economico-finanziarie più
rilevanti) e di relegare viceversa in secondo piano quella tradizionale (anche se
presumibilmente destinata a essere ancora utilizzata dalla maggioranza nu-
merica delle nostre imprese per un periodo non breve), risponde a un altro
nostro principio: guardare al futuro e non al passato. Accanto a questi cambia-
menti in grande, la terza edizione ne presenta numerosi altri più in piccow. Si è
dato esplicito rilievo alla crisi strutturale che molte nostre imprese stanno attra-
versando, in uno scenario mondiale in continua evoluzione, e alle trasforma-
zioni - nei modi di pensare e di operare - che essa loro impone per sfuggire a
rischi che possono divenire mortali. Si è fatto cenno a fenomeni che hanno as-
sunto un rilievo maggiore negli ultimissimi anni, quali la crescita del private
equity, e a fenomeni che appaiono destinati ad assumerlo, quali l'entrata in vi-
gore nel 2007 delle nuove regole (in gergo Basilea 2) che le banche dovranno
rispettare nell'erogazione dei crediti: gli uni e gli altri con impatti rilevanti sul
funzionamento del sistema delle imprese.

IV. [dall'introduzione alla IV edizione (settembre 2007)] Che cosa cambia in


questa edizione rispetto alla terza? Non molto nella struttura complessiva.
Non poco, soprattutto nella parte generale, nel rilievo dato ai fenomeni
emergenti e nel tentativo di coniugare i concetti teorici di fondo con le situa-
zioni nuove. Alcuni esempi: La forte attenzione dedicata al private equity, al
culmine del ciclo di vita dopo l'enorme espansione degli ultimi anni, in rela-
zione alla sua consistenza e ai suoi meccanismi. La maggiore attenzione dedi-
cata alla valutazione del rischio (alla ribalta dopo la crisi dei mutui subprime):
sempre più necessaria non solo per i riflessi di Basilea 2, ma soprattutto per la
crescente finanziarizzazione delle imprese. L'inserimento del profilo di Goo-
gle, impresa-simbolo degli anni 2000, fra quelli che aprono il testo. Lo sguar-
XVI I L'IMPRESA: SISTEMI DI GOVERNO, VALUTAZIONE E CONTROLLO

do anche a realtà meno consolidate - Second Life, YouTube o Web2.0 - per


gli utilizzi che di esse potrebbero fare le imprese.

V. Sono passati solo quattro anni dalla scorsa edizione, ma sono stati quattro
anni che hanno cambiato profondamente lo scenario economico-finanziario
e geo-politico in cui opera l'impresa. La crisi iniziata nel 2008, la più rilevante
dopo quella famosa del 1929 che stravolse il mondo di allora, ha messoaUoscrr
perto e amplificato - sino a renderli talora irreversimli- una serie di squilibri
preesistenti (molti dei quali oggetto di attenzione nelle scorse edizioni). Essa
ha creato un vero e proprio fossato, con pochissime eccezioni, fra i tassi di cre-
scita dei paesi da poco emersi sulla scena mondiale (Cina, India ecc., ma non
solo) e i paesi tradizionalmente ricchi; ha messo alle corde, fra questi ultimi,
quelli più oberati dal debito e/ o dal deficit corrente, provocando tensioni so-
ciali che potrebbero acutizzarsi; ha messo in dubbio la solidità della moneta
di riserva principedalla fine della seconda guerra mondiale, il dollaro, e la stes-
sa sopravvivenza dell'euro. Essa ha avuto e sta avendo un impatto di grande ri-
levanza sulla vita delle imprese industriali e di servizi: sia per l'effetto combi-
nato delle restrizioni creditizie e del calo della domanda, che ne ha già fatte
uscire diverse di scena (per fallimento o chiusura dell'attività); sia per gli sce-
nari macroche essa sta facendo emergere, che obbligano anche le imprese più
prospere e consolidate a ripensare le loro strategie e a predisporsi alla nuova
concorrenza da parte delle imprese nuove dei paesi nuovi. Essa ha avuto inve-
ce un impatto relativamente limitato sulle dimensioni complessive e sui com-
portamenti del sistema finanziario, che proprio con la sua crescita abnorme e
i suoi eccessi ne era stato la causa prima: sono infatti fallite nella fase iniziale o
sono state salvate con soldi pubblici alcune delle principali realtà finanziarie
mondiali, ma nuova linfa - soprattutto per le operazioni a carattere più mar-
catamente speculativo - è paradossalmente arrivata dalla liquidità messa in
circolo dagli Stati per i salvataggi e per evitare il tracollo dell'economia reak.
L'impostazione di questa quinta edizione si basa sul presupposto che il cam-
biamento di scenario non vada tanto a intaccarela strumentazione di base - re-
lativa al governo, all'organizzazione, alla valutazione e al controllo (parti secon-
da, terza, quarta e quinta) - di cui l'impresa si awale, quanto le modalità di uti-
lizzo di tale strumentazione da parte dell'impresa stessa nel rapportarsi dialet-
ticamente con il contesto. E che sia importante dare spazio ancora maggiore a
tematiche, quale quella ad esempio della responsabilità sociale, che (a prescin-
dere dalla crisi) sempre più condizionano le scelte di fondo dell'impresa.
La parte prima è stata ristrutturata di conseguenza, soprattutto nei capitoli
iniziali, con un ampliamento che si è concentrato su cinque grandi temi: il ri-
schio, la responsabilità sociale, il posizionamento strategico su scala interna-
zionale, l'innovazione, l'ICT e i socia[network. ,
L'esigenza di una maggiore attenzione da parte dell'impresa a individuare
le principali fonti potenziali di rischioe a gestirle proattivamente è figlia in ge-
Introduzione I XVI I

nerale della maggiore precarietà del contesto, ma è pure legata alle maggiori
difficoltà di accesso al credito bancario che il rischio potrà provocare con il
prossimo awento di BasilRa3 e - anche se più simbolicamente - all'obbligo di
trasparenza a tale riguardo, in occasione della presentazione del bilancio an-
nuale, imposto dalle norme Ias-1.frs.
Tra le sorgenti di rischio, soprattutto nelle aree tradizionalmente ricche,
cresce il peso della responsabilitàsocialR.Il rispetto per l'ambiente e per la salu-
te e la sicurezza di chi lavora, il rispetto degli obblighi verso lo Stato e le collet-
tività locali, il rispetto della correttezza nei rapporti con i clienti e i fornitori e
della trasparenza nei rapporti con i finanziatori, sono - se palesemente violati
- oggetto di sanzioni crescenti da parte sia dei pubblici poteri sia dei cittadini-
consumatori-investitori: rispettivamente con condanne anche penali e con
penalizzazioni negli acquisti e nelle quotazioni.
Il divario nelw crescitafra i paesi di sviluppo recente e quelli tradizionalmen-
te ricchi, con la persistenza però di una forte diversità culturalR,e il passaggio
nei primi dall'autosufficienza all'economia di mercatodi centinaia di milioni di
persone, impone all'impresa sfide qualitativamente nuove: quanto ad esem-
pio essere cosmopolitanella composizione del top management, per gestire le di-
versità;quanto impegnarsi nel mettere a punto prodotti very ww cost,per con-
quistare i nuovi consumatori.
L'innovazione, in una situazione di cambiamento anche radicale, rappresen-
ta l'arma per eccellenza dell'impresa per cercare di uscire dalle situazioni di
impasse,se consolidata, o per crearsi uno spazio di vita, se nuova: è un tema
centrale sin dalla prima edizione, che abbiamo ritenuto opportuno trattare
con maggiore sistematicità.
Le ICT-Information & Communication Technowgye i socialnetworkcontinuano
a essere fra le maggiori sorgenti di innovazione e di start-up: a esse abbiamo
dedicato una specifica attenzione, in relazione sia alla straordinaria dinami-
cità della competizione in atto fra le principali imprese del comparto sia ai ri-
flessi sull'organizzazione dell'economia e della società.

Il testo è - sin dalla prima edizione - il frutto della concezione comune dei
due autori, che si sono però suddivisi la fase diretta di scrittura e coordina-
mento e si sono awalsi dell'importante contributo di colleghi giovani e senior
della Scuola di Ingegneria Gestionale. Umberto Bertelè ha curato in partico-
lare la parte concernente l'impresa nel suo complesso: insieme a Davide Chia-
roni per il capitow 1. Giovanni Azzone ha curato le altre parti: insieme a Mi-
chela Arnaboldi per la parte terza. Marco Giorgina e Franco Quillico sono au-
tori delle due appendici. Michele Giovannini ci ha messo a disposizione le sue
competenze giuridiche e Federico Frattini quelle in tema di innovazione.

Politecnico di Milano, settembre 2011


Giovanni Azzone e UmbertoBerteli
PARTE PRIMA

L'impresa:
gli obiettivi, le modalità competitive
e i sistemi di govern'ance
In un testo che- come visto nell'Introduzione-si propone di fornire una letturadi
basee a largospettrodell'impresa,è naturale che le parti di natura più analitica sia-
no precedute da una presentazione di carattere generale dell'impresa stessa: del-
le tipologie che essa può assumere (in termini di attività, dimensione, forma giu-
ridica ecc.), delle sue interrelazioni competitive e cooperative con gli altri attori
dell'economia e della società, della sua strutturazione, dei sistemi di governance
che può adottare, degli obiettivi che persegue, delle condizioni che ne regolano la
soprawivenza e la crescita.
Ed è questo il contenuto della Parteprima:ove si è cercato un compromesso
fra la vastità della materia oggetto della trattazione e la limitatezza dello spazio da
dedicare a essa in un testo di base, fra il rischio di entrare in dettagli eccessivi e
quello contrapposto di dare dell'impresa una rappresentazione ipersemplicistica
che ne nasconda la natura multidimensionale e la complessità.
Il capitolo1, in particolare, cerca di far capire che cosa sia un'impresa - nella
enorme varietà delle configurazioni che essa può assumere (dal punto di vista
della dimensione, della tipologia di attività, del grado di internazionalizzazione,
della struttura giuridico-proprietaria, dell'assetto organizzativo, delle modalità di
gestione ecc.) e dei contesti in cui può trovarsi a competere - partendo da quattro
casi, molto lontanifra loro. Esso fornisce inoltre un quadro aggiornato delle prin-
cipali imprese a livello nazionale e mondiale: a scopo innanzitutto conoscitivo,
ma anche per far comprendere la necessità, in presenza di giridi affaritalora su-
periori a quelli di intere nazioni, di disporre di sistemi - di rilevazione dell'infor-
mazione, di decisione e di controllo - estremamente sofisticati.
11capitolo2 evidenzia come l'impresa sia un microsistema aperto, che opera in
stretta interdipendenza dinamica con il macrosistema economico-finanziario di
I. L'impresa I 3

cui fa parte e più in generale con quello socio-politico, su scala globale e nei terri-
tori in cui è presente: subendone le continue trasformazioni - negli assetti tecno-
logico-organizzativi, nei valori e nei comportamenti, nelle regole e nei meccanismi
di funzionamento - ma anche contribuendo ad attivarle o a rafforzarle. Mette in
luce come conseguentemente il cambiamento, e non la stabilità, debba essere
considerato lo stato di normalità. Come l'innovazione, in tutte le sue molteplici
connotazioni, giochi un ruolo di grande rilievo nel forgiare il futuro dell'impresa e
la sua capacità di creare valore. E come il rischio connesso alla ridotta prevedibilità
rappresenti un qualcosa di organico alla natura dell'impresa stessa e alla funzione
a essa attribuita nell'ambito dell'economia e della società.
Il capitolo3 affronta la tematica dello stato giuridico e della governancedell'im-
presa: guardando ai rapporti che essa ha con i suoi interlocutori economico-finan-
ziari e socio-politici e alle regole - stabilite dalla legge o concordate fra le parti o
frutto dell'adesione volontaria a forme codificate di autodisciplina - che devono
improntarli.
Il capitolo4 guarda agli obiettivi che l'impresa persegue e ai potenziali conflitti
che si possono generare fra gli interessi di tutti coloro che giocano un qualche
ruolo nell'ambito di essa o nei rapporti con essa. Definisce in particolare la nozio-
ne di valore di impresa, di rilevanza centrale nelle economie di mercato, e ne forni-
sce le diverse interpretazioni in chiave finanziaria e in chiave economica.
Il capitolo5, infine, guarda all'impresa nella sua consistenza e concretezza rea-
le, per illustrarne le attività e le possibili configurazioni, ma anche e soprattutto
per capire come si formi il valore e come esso sia estremamente sensibile alla ca-
pacità di competere dell'impresa stessa. E affronta la tematica delle relazioni fra
competizione e creazione di valore con riferimento a una serie di scenari-tipo di
complessità crescente.
1 L'impresa

Al centro di questo testo vi è l'impresa: "mattone di base" del sistema economi-


co-finanziario e "motore primo" del suo sviluppo quantitativo e qualitativo.
Invece che dare una definizione formale di che cosa sia l'impresa, abbiamo
scelto di iniziare la trattazione partendo dall'osservazione della realtà, e in
particolare:
• presentando in primo luogo (cfr. paragrafo 1.1) quella che viene conside-
rata la principale impresa internazionale al mondo nell'ambito dei co-
siddetti packaged goods,Procter & Gamble: interessante per la sua presen-
za in quasi tutto il mondo, per la sua bravura nel marketing, per la sua in-
novatività, per la sua capacità di gestire una struttura organizzativa estre-
mamente complessa;
• presentando (cfr. paragrafo 1.2) quella che può essere considerata un ti-
pico esempio di multinaziona/,e tascabi/,eitaliana di successo,De' Longhi,
operante nei piccoli elettrodomestici: quali le macchine da caffè (famo-
sa quella per Nespresso) e i condizionatori portatili (Pinguino), ove è
leader mondiale;
• presentando (cfr. paragrafo 1.3) con Yoox - che opera nella vendita online
di prodotti di moda delle grandi case - un esempio di come si possa crea-
re anche in Italia un'impresa di successo nell'ambito del cosiddetto e-
commerce,combinando la capacità tecnologica con lo sfruttamento della
notorietà della moda italiana nel mondo;
• presentando (cfr. paragrafo 1.4) un quadro della guerra "tutti contro tut-
ti" nell'ambito dell' ICT-Information & Communication Technologyche vede
fra i protagonisti Apple, Google, Microsoft, Nokia e Facebook: una guer-
ra di grande interesse, anche perché coinvolge mondi diversi come quel-
6 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

lo dei media e comporta cambiamenti significativi negli stessi stili di vita


( social network ecc.) ;
• fornendo (paragrafo 1.5) un quadro delle principali imprese, per dimen-
. sioni e per valore, a livello italiano e mondiale.
Data la natura introduttiva di questo capitolo, si è cercato di renderne il più
facile possibile la lettura, semplificando al massimo i concetti che vengono
progressivamente introdotti e richiamando ogni volta le parti del libro ove
essi sono trattati invece in dettaglio. Nonostante lo sforzo (che trova un limi-
te nel rischio di ipersemplificazione), temiamo che alcune difficoltà possano
permanere, soprattutto per chi è completamente digiuno della materia. Il
consiglio che diamo, conseguentemente, è di usare questo capitolo in tre mo-
menti e modi diversi: in fase di approccio al libro, per avere un'idea dei temi
che il libro stesso affronterà, del quadro d'insieme in cui essi si collocano e
delle interconnessioni talora di grande rilievo che li legano; durante la lettu-
ra, per avere sottomano esemplificazioni reali (oltre a quelle di volta in volta ri-
portate) dei concetti che si stanno approfondendo; finito il libro, per mette-
re alla prova il proprio grado di comprensione dei singoli concetti e dei fili
che li legano.

Una grandeimpresainternazionaleoperantenei beni di largoconsumo:


1.1
Procter& Cambie

Perché Procter & Gamble (P &G) come primo caso? Perché P &G:
• è un'impresa straordinariamente longeva, essendo stata fondata negli
Stati Uniti nel lontano 1837 dall'inglese William Procter e dall'irlandese
James Gamble (a seguito del loro matrimonio con due sorelle di Cincin-
nati), a fronte di un ciclo di vita medio delle imprese significativamente
inferiore a quello umano;
• è un'impresa sulla cresta dell'onda da molti anni, al quinto posto assoluto
nella classifica di Fortune delle Worlds Most Admired Companies 2011 (alle
spalle di Appie e Google, ma davanti ad esempio a Coca-Cola e ad Ama-
zon), che può vantarsi di avere sempre distribuito dividendi agli azionisti
negli ultimi 120 anni e di averli ogni anno aumentati (a un tasso medio
annuo composto del 9,5% circa) negli ultimi 54 anni;
• è un'impresa presente in gran parte del mondo: che raggiunge con i
suoi prodotti 4,2 miliardi di potenziali clienti; che realizza più di un ter-
zo dei suoi ricavi nei paesi cosiddetti emergenti (nei paesi cioè, come la
Cina, che stanno accrescendo a ritmi sostenuti il loro PIL); che punta
per crescere su una presenza sempre più elevata in tali paesi, anche at-
traverso l'offerta di prodotti appositamente progettati (in termini di
prezzo, caratteristiche e packaging) per le nuove masse che stanno
uscendo dallo stato di povertà;
I. L'impresa I 7

• è un'impresa che opera in comparti "tradizionali" giocando la carta del-


l'innovazione: per questo riconosciuta da SymphonyIRI 1 as the most inno-
vative manuf acturerin the consumerpackagedgoodsindustryfor the last decade,
• è un'impresa che per essere innovativa investe significativamente in
R&D (ricerca e sviluppo), ma che da dieci anni a questa parte coinvolge
nella ricerca di prodotti e soluzioni innovative - attraverso l'iniziativa
Connect+Develop- molti partner esterni: giocando la carta della cosiddet-
ta open innovation;
• è un'impresa che, sempre nell'ultimo decennio, ha realizzato la sua cre-
scita attraverso un mix di acquisizioni - la più importante quella di Gil-
lette - e di sviluppo organico (owero di sviluppo delle vendite "a parità
di perimetro" attraverso l'impegno della struttura e nuovi investimenti);
ma che ha anche effettuato importanti cessioni, l'ultima quella di Prin-
gles (operante nei potato crispcon 1,8 miliardi di dollari di vendite) nel
2011, per razionalizzare il suo portafoglio;
• è un'impresa che, avendo come clienti per le sue diverse categorie di
prodotti - per la cura dei tessuti e della casa, per la cura della bellezza e
della salute, per la cura dell'igiene orale, per la rasatura ecc. - le fami-
glie, ha messo a punto nel tempo capacità straordinarie nel marketing,
nella pubblicità e nella comunicazione in generale: nel comprendere
cioè i cosiddetti bisogniinespressidei clienti attuali e potenziali, nel rende-
re edotti gli stessi sull'esistenza e sulle caratteristiche dei propri prodotti,
nell'affermare i !Jranddelle diverse categorie (sono attualmente ben 24 i
I

!Jrandche superano la soglia del miliardo di dollari di vendite all'anno);


• è un'impresa che, non potendo vendere direttamente i suoi prodotti ai
clienti finali e dovendo passare per quei clienti intermedi che sono le
strutture di distribuzione al dettaglio - da grandissime catene come la
statunitense Wal-Mart ai circa 20 milioni di highfrequency storesnei paesi
emergenti - ha maturato elevate competenze nella gestione dei rapporti
con la rete stessa;
• è un'impresa che guarda al suo interno ai costi, sia attraverso i classici
meccanismi di controllo sia attraverso l'uso estensivo degli investimenti
in ICT-Information & Communication Technowgy:per ridurre ad esempio "a
parità di livello di servizio" i costi della logistica, ossia degli enormi flussi
di materie prime, semilavorati e prodotti finiti diretti ai suoi insediamen-
ti produttivi, ai suoi magazzini o ai punti di vendita finali;
• è una tipica public companystatunitense, con un azionariato estremamen-
te diffuso - i primi cinque azionisti non superano messi insieme il 16 per
cento - e una conseguente prevalenza dei consiglieri indipendenti (cfr.

1. SymphonyIRI (www.symphonyiri.com) è una delle società leader a livello mondiale nelle ri-
cerche di mercato relative ai CPC - consumerpackagedgoods.
8 I L'IMPRESA: Gli OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

schema3. 7) nel consiglio di amministrazione, con un potere molto forte


"in assenza di padroni" del top management. almeno sino a quando esso
sarà in grado di portare buoni risultati.

P&Gin sintesi

Il Finandal Times, nel suo Partfolio,dà della società la seguente descrizione:


"The Procter & Gambi e Company (P &G) is focused on providing consumer
packaged goods. The Company's products are sold in more than 180 coun-
tries primarily through mass merchandisers, grocery stores, membership club
stores, drug stores and high-frequency stores, the neighborhood stores, which
serve many consumers in developing markets. It has on-the-ground opera-
tions in approximately 80 countries. As of June 30, 2010, P&G comprised of
three Global Business Units (GBUs): Beauty and Grooming, Health and Well-
Being and Household Care. Sales to Wal-Mart Stores, Inc. [la più importante
catena distributiva del mondo, con una presenza prevalente negli USA] and
its affiliates represent approximately 16% of its total revenue during the fiscal
year endedjune 30, 2010 (fiscal 2010) ".
Il valore complessivo delle vendite di P&G, che ha nel mondo 127 mila ad-
detti, è ammontato nel 2010 a 80,63 miliardi di dollari, con un utile netto di
11,24 miliardi. La capitalizzazione di borsa della società, a metà 2011, era di
179,40 miliardi di dollari: una cifra rilevante, ma superiore solo del 15,6 per
cento a quella di cinque anni prima (cfr. figura 1.1) e ancora lontana dai livelli
raggiunti prima dello scoppio della grande crisi.L'evoluzione ridotta del valore
di borsa della società - peraltro un po' superiore a quella del Dow Jones Indu-
striai Average (l'indice generale di borsa delle società non bancario-finanzia-
rio-assicurative) cresciuto nello stesso periodo del 12,8 per cento - può essere
spiegata in parte con la stagnazione dei consumi nei paesi ricchicausata dalla
crisi e in parte con il fatto che P&G già premiaogni anno l'insieme dei suoi azio-
nisti attraverso la distribuzione di dividendi (a tutti i possessori di azioni) e at-
traverso il riacquisto di azioni proprie (da quegli azionisti che sono disponibili
a cederle): per un ammontare complessivo nei conferimenti del 2011-rispet-
tivamente di 5,5 e 6 miliardi-pari al 6 per cento circa della capitalizzazione.

I prodottie i brand

Il partafoglioprodotti di P&G - 80,63 miliardi di dollari circa di vendite com-


plessive nel 2010- è estremamente variegato, dal punto di vista delle tipologie
dei prodotti stessi e dei bisogni che essi vogliono soddisfare. Esso si articola
nei tre macrosegmenti, che trovano una corrispondenza a livello organizzati-
vo nelle omonime GwbalBusiness Units.
1. L'impresa I 9

FIGURA 1.1 -Andamento del titolo P&Gnel quinquennio 2006-2011

70

+12,06% -12,80% -3,46% +6,10% -0,09%


2006 )00} 2008 ?010 2011

Fonte:FinancialTimes.

• Beauty and Grooming(27,1 miliardi di$),


• Health and Well-Being( 14,6 miliardi di $),
• Household Care (38,5 miliardi di$),
ciascuno dei quali comprendente a sua volta diversi segmenti e categorie di
prodotti.
I

Il segmento Beauty comprende ad esempio le seguenti categorie: Cosmetics,Femal,eAntiperspi,-


rant and Deodorant,Femal,ePersona[Cl,eansing,Femal,eShave Care,Hair Care,Hair Color,Hair Sty-
ling, Pharmacy Channe4 PrestigeProduds, Salon Professional,Skin Care.E il segmento Baby Care
and Family Carecon tiene: Baby Wipes,Bath Tissue,Diapers,Fadal Tissue,Paper Towels.

I llrand con cui i prodotti sono proposti al mercato sono su scala mondiale cir-
ca 250 (Ace, Ariel, AZ, Braun, Duracell, Gillette, Max Factor, Oral B, Pampers,
Pantene, Wella alcuni dei più noti in Italia), ma con ricavi specifici molto di-
versi fra loro: in particolare sono 24, ossia meno di un decimo, quelli che su-
perano il miliardo di dollari di ricavi annui e che complessivamente pesano
per più del 70 per cento sul valore totale delle vendite.
La grande varietà dei prodotti potrebbe far apparire P&G come un'impre-
sa conglomeral,e, caratterizzata cioè da un insieme di business sconnessifra loro.
Ma, come visto, esiste un fattore unificante di grande rilievo: tutti i prodotti
hanno come clienti finali le famiglie e come clienti intermedile strutture di di-
stribuzione al dettaglio. Di qui l'importanza dei llrand, necessari per differen-
ziare i prodotti - rispetto a quelli dei concorrenti - agli occhi degli acquirenti
finali e per incrementare il potere contrattuale rispetto alle strutture distribu-
tive: obbligandole, per non perdere (a favore di strutture concorrenti) i clien-
ti affezionati ai llrandP&G, ad accettare margini di guadagno meno elevati e a
concedere spazi più ampi sugli scaffali.
10 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

La strutturaorganizzativa

Come tipico delle grandi imprese a presenza internazionale diffusa, specie se


operanti in comparti consurner(più soggetti ai valori e alle tradizioni locali e più
sensibili ai fattori emotivi), la struttura organizzativa di P&G vuole combinare
"the global scale benefits of a $80 billion global company with a local focus to
win with consumers and retail customers in each country where P&G products
are sold". Vuole cioè trovare un corretto equilibrio fra i vantaggi della sca/,a(in
termini di decrescita dei costi unitari all'aumentare delle quantità) - che spin-
gerebbero a omogeneizzare al massimo i prodotti offerti nei diversi paesi e a
semplificare le gamme - e i vantaggi della personalizzazionedei prodotti alle esi-
genze dei territori (che riducendo le scalein gioco accrescono però i costi).
Le unità organizzative collocate al di sotto della struttura centrale carporate
di governo sono di tre tipi:
• Gwbal Business Units (GBU), in corrispondenza ai tre macrosegmenti -
Beauty & Grooming,Health & Well-Beinge H(YUseholdCare-visti in prece-
denza, focalizzate sui consumatori, sui brande sui competitori in giro per
il mondo; responsabili per l'innovazione e per la profittabilità, relativa-
mente ai loro business;
• Market Development Organizations (MDO), con il compito di conoscere a
fondo i consumatori e le strutture di distribuzione al dettaglio in ciascun
mercato locale in cui P&G compete e di poter tradurre le innovazioni
che nascono a livello di GBU - sulla base di queste conoscenze - in b-usi-
nessp!,anlocali potenzialmente di successo;
• Gwbal Business Services (GBS), con il compito di utilizzare le capacità di
P &G e dei suoi partner esterni per fornire servizi best-in-c/,assdi supporto
al business ai costi più bassi, sfruttando la sca/,aper ottenere vantaggi
... competitivi.
E una struttura organizzativa che può essere qualificata come matricialeda al-
meno due punti di vista:
• per la matricialitàfra unità di business e unità di erogazione dei servizi,
ambedue coordinate con una logica globale (per sfruttare i vantaggi del-
la sca/,a)e ambedue facenti capo direttamente alla struttura carporatedi
governo;
• per la matricialitàfra unità di business e unità per lo sviluppo dei mercati,
le prime operanti con una logica globale e le seconde viceversa legate ai
singoli territori.

Lefinalitàe i puntidi forzadi P&Gvistida P&G

Le grandi imprese- soprattutto se con un mix di risorse umane variegato per


nazionalità, cultura, religione ecc. - cercano spesso di puntualizzare alcuni
r. L'impresa I 11

concettiche, indicando i valori di fondo che si vogliono perseguire, rappresen-


tino un fattore cementante per le persone e una guida per le grandi decisioni
che si devono assumere: un qualcosa di simile a quello che i principi costitu-
zionali rappresentano per i paesi democratici.
P &G ha una finalità storica dichiarata - purpose - da perseguire: 'We will
provide branded products and services of superior quality and value that im-
prove the lives of the world's consumers, now and for generations to come. As
a result, consumers will reward us with leadership sales, profit and value crea-
tion, allowing our people, our shareholders and the communities in which we
live and work to pro'sper". P&G dichiara cioè la sua convinzione che offrire
prodotti e servizi di marca di qualità elevata e di valore per i consumatori rap-
presenti la chiave di volta per acquisire la leadership sui mercati, e con essa la
creazione di valore per gli azionisti e la prosperità per i dipendenti e i partner.
In tempi più recenti l'esigenza sempre più sentita di promuovere la crescita
ha portato all'aggiunta di una nuova espressione (integrata nella precedente
più generale): "More consumers in more parts of the world, more complete-
ly". Owero raggiungere un numero maggiore di consumatori, anche andan-
do ad operare in paesi ove P&G non è attualmente presente, e incrementare
l'offerta delle diverse categorie di prodotti- attualmente spesso parziale -nei
paesi ove viceversa P &G è già presente.
P &G parallelamente evidenzia quelli che ritiene essere i suoi maggiori pun-
ti di forza - alla base della continuità del successo nel ,tempo - anche allo sco-
po di mantenerli sempre sotto controllo, in termini assoluti e di comparazio-
ne con i competitori:
• Consumer Understanding, ovvero la capacità di comprendere i comporta-
menti e i bisogni dei consumatori, anche attraverso ricerche ad hoc (P &G
ne svolge 20 mila circa all'anno, con una spesa complessiva in questo am-
bito di quasi mezzo miliardo di dollari);
• Innovation, ovvero la capacità di introdurre nuovi prodotti e !Jrando di
migliorare gli esistenti attraverso l'attività di R&D condotta all'interno
(che assorbe circa 2 miliardi di dollari all'anno) e i contributi apportati
dai partner esterni (cfr. schema 1.1): attività e contributi cui quasi pariteti-
camente deve essere attribuito il merito della componente organica (al
netto cioè del contributo derivante da acquisizioni di imprese) della cre-
scita dei ricavi P&G negli ultimi nove anni;
• Brand-Buil.ding,ovvero la capacità di lanciare e far crescere nuovi !Jrandin
cui P&G è ritenuta universalmente maestra:essa ha come visto ben 24
!Jrandche superano il miliardo di dollari di vendite annue e diversi di es-
si occupano posizioni di rilievo anche in una classifica assoluta estesa a
tutti i settori;
• Go-to-MarketCapabilities,ovvero la capacità di gestire al meglio i rapporti
(naturalmente critici) con il sistema distributivo, dimostrata dal fatto che
P&G è indicato in generale dalle strutture di distribuzione al dettaglio
12 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

come uno dei fornitori preferiti: per la quantità di vendite generate, ma


anche per fattori più qualitativi come l'innovatività dei programmi di
marketing;
• Scal,e,owero la capacità (discussa in relazione alla struttura organizzati-
va) di sfruttare al massimo i vantaggi potenzialmente connessi con la di-
mensione complessiva di P&G, evitando omologazioni eccessive che po-
trebbero penalizzare la domanda.
È importante sottolineare che la forza compl,essiva di una società come P&G di-
pende non solo e non tanto dalla presenza e dall'intensità delle singole capa-
cità descritte, quanto dalla contemporaneità delle presenze stesse e dall'in-
tensità delle interazioni che si vengono a creare. Capire i consumatori non
serve, se non si è in grado di mettere a punto prodotti e lYrandche li soddisfi-
no o - pur disponendo di prodotti adeguati - non si è in grado di superare la
"tagliola" della distribuzione al dettaglio. Innovare può non servire se non si è
in grado di far comprendere ai consumatori le virtù dei propri prodotti e di
conquistarne la fedeltà attraverso la costruzione di lYrandche li r~ndano im-
mediatamente riconoscibili. Disporre di prodotti buoni e di lYrandconosciuti
può non bastare per creare valore se non si è capaci di contrapporre ai sovra-
costi di coordinamento, tipici di un'impresa che opera in molti paesi.con mol-
ti prodotti, le economie di scala che la dimensione rilevante può permettere.
E così via.

Nel 2010 Annual Report Robert A. McDonald, chairman e CEO-central executive officer (owero
presidente e amministratore delegato) di P&G, spiega chiaramente l'import.anza dell'inte-
grazione fra le diverse capacità, in un capitoletto dal titolo significativo lnvesting to Grow,
Changi,ng to Lead: 'We are supporting our innovation program with strong levels of marke-
ting investment. We delivered a 20% increase in consumer impressions - the number of ti-
mes consumers hear about our brands and new products - this fiscal year, with most of the
increase in the second half of the fiscal year behind many of the innovations I just described.
This investment is criticai. Decades of experience have demonstrated that making people
aware of our innovation and motivating them to try our new produ~ts is the key to long-term
success. When people experience the innovation we bring to market, they are frequently de-
lighted, which in turn drives repurchase and sustainable share growth. This is the founda-
tion of brand building, and P&G is committed to investing sufficiently and consistently to
support innovation and build brands that thrive for decades. One of the most important
ways we fuel investments in innovation and brand building is through cost savings and pro-
ductivity improvements. P&G is very disciplined about cash management and cost reduc-
tion. We are strengthening this discipline with a culture that continually simplifies the way
we work and increases productivity. [ ...] Another good example of how we're becoming mo-
re productive is the 'digitization' of P&G. With digitization, our goal is to standardize, auto-
mate and integrate systems and data so we can create a real-time operating and decision-
making environment. We want P&G to be the most technology-enabled company in the
world. We are targeting a 20-25% reduction in some spending areas and we are looking fora
sevenfold increase in real-time data. By getting the right datato the right decision makers at
the right time, we can become increasingly efficient and productive. [...] Another waywe are
increasing productivity is by turning the Company's size into scale and our scale into growth.
To do this, we are increasingly competing as one Company. Our individuai categories,
brands, countries and functions are ali critical and each has unique value to add. But at the
total Company level, we can create scale advantages by allocating resources more strategica!-
r. L'impresa I 13

ly and efficiently than any individua! business can do on its own. The combination of the in-
dividual components is greater together as one Company than the sum of the parts - and we
are focused on maximizing this total value. We are working across our businesses and
markets to leverage P&G scale. [ ...] By leveraging P&G scale and competing more effectively
as one Company- rather than as individua! businesses and brands alone - we are able to tou-
ch and improve more lives while creating meaningful competitive advantage".

ScH EMA 1.1 - l!open innovationcome componenteorganicadella strategia


di crescitadi P&G

Nell'ambito della strategia di crescita di P&G una specifica attenzione può essere ri-
servata al programma Connect+Deve/op(C+D) - "a systemic, company-wide open in-
novation program charged with bringing the outside in, and taking the inside out" -
introdotto in modo quasi pionieristico da P&G una decina di anni fa, in una fase di
rallentamento della crescita della società, e cresciuto poi sempre più di rilevanza nel
tempo.

As a program C+D includes a global team that searches for solutions to business needs via external
networks, preferred suppliers and existing partners. They are linked via six main hubs in China, EMEA
(Europe/Middle East and Africa}, India, Japan, Latin America and North America. They also run an in-
novation portai (pgconnectdevelop.com) in 5 languages (English, Japanese, Chinese, Spanish, Por-
tuguese) for idea submissions. Collaborating for innovation solution~ has become part of everyone's
job at P&G. [...] C+D looks for innovative solutions for all areas of the business, from packaging to
processes to products. C+D looks to partner with anyone with a winning idea: academia, small and
medium enterprises, global companies, individuals, NGOs and government labs. [...] C+D enabled
projects consistently delivered with greater effìciency, speed, value and market impact:
• >50% of P&G innovation [is] currently sourced externally
• 40% of C+D partners have multiple deals with P&G
• about $3 billion in annual sales at partner companies [are] driven by P&G-shared innovation.

È interessante notare come il programma sia multi-localizzato, allo scopo non solo di
interagire più facilmente con reti esterne, fornitori e partner sparsi in tutto il mondo,
ma anche per cogliere le potenzialità e le peculiarità dei diversi territori. In termini di
competenze cui avere accesso, da un lato. In termini, dall'altro, di caratteristiche da
conferire ai prodotti sulla base di esigenze locali:con la successiva scoperta, talora,
che i prodotti di nuova concezione possono avere una valenza molto più generale,
perché in grado di soddisfare esigenze simili inespressein aree simili per sviluppo o
esigenze diverse in aree diverse (ad esempio per le famiglie con basso potere d'acqui-
sto nei paesi ricchi).
È importante anche evidenziare come la open innovationaumenti le opportunità e ri-
duca il numero di persone che un'impresa deve mantenere al suo interno, ma al prez-
zo di una complessità organizzativa più rilevante per la gestione dei rapporti.
14 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

1.2 Un'impresamultinazionale"tascabile"italianadi successo:De' Longhi

Perché riteniamo il caso De' Longhi di particolare interesse?


Perché De' Longhi appare, guardando al suo profilo, come il tipico esem-
pio (utilizzando un termine in voga diversi anni fa) di multinazionale tascabile
italiana di successo:
• di successo(come suggerisce anche il rapporto, laudativo sin dal titolo
"Small appliances,big potentials", di Mediobanca del 2011), perché si pre-
senta in crescita su tutti i fronti: nella capitalizzazione di borsa, 1,24 mi-
liardi di euro a metà 2011, aumentata in un anno del 140 per cento (con
il completo recupero prima del terreno perduto durante la crisi e la sali-
ta poi al massimo storico); nei ricavi, aumentati significativamente nel
2010 e in ulteriore aumento nel 2011; nelle quote di mercato, per le po-
sizioni rubate su scala mondiale - in primo luogo nelle macchine per il
caffè - ai principali competitori; nella presenza nei paesi, quali la Cina, a
sviluppo più consistente della domanda;
• tascamleper le dimensioni: 1,69 miliardi circa di ricavi e 83 milioni circa
di utile netto nel 2010; un po' più di 7 mila dipendenti;
• multinazionale per la presenza commerciale capillare in molti paesi del
mondo (50 circa), che fa sì che le vendite in Italia rappresentino sola-
mente un quinto del totale, e per la localizzazione all'estero (in Cina in
primo luogo) della maggior parte della produzione e degli addetti;
• italiana per la capacità, dimostrata in tutto l'arco della sua storia ormai
quarantennale, di essere innovativa nei prodotti in comparti considerati
"tradizionali"; e per la capacità, per diversi di essi (a partire dalle macchi-
ne per il caffè), di sfruttare il prestigio di cui gode lo stile di vita italiano su
scala mondiale: "the De' Longhi brand is ambassador in the world of the
italian capability to combine technology, style, quality and innovation, fa-
vouring a unique and sustainable lifestyle", recita in apertura il sito.
Perché De' Longhi è simile per luogo di nascita - la provincia e nella fattispe-
cie Treviso - alla quasi totalità delle multinazionali italiane di media dimen-
sione: Ferrero è nata ad Alba, Luxottica nel Cadore, Barilla e Parmalat a Par-
ma, Indesit a Fabriano. Perché, come la maggior parte delle imprese italiane
quotate (il caso Yoox che si vedrà nel seguito rappresenta un'eccezione), vede
la famiglia ancora predominante nella composizione dell'azionariato con il
75 per cento del capitale.
Perché De' Longhi ha una storia lunga e relativamente breve allo stesso
tempo. Fondata infatti nel 1902 per la produzione di stufe a legna, ha iniziato
la vera fase di decollo solo negli anni '70 come fornitore di radiatori e compo-
nentistica. Negli anni '80 è entrata di forza nel mercato consumer,aggiungen-
do al suo portafoglio prodotti i condizionatori portatili (con il celebre Pingui-
no) e iniziando a lanciare il proprio brand attraverso la sponsorizzazione del
team Tyrrel in Formula 1. Negli anni '90 ha allo stesso tempo ampliato la pre-
I. L'impresa I 15

senza internazionale, aprendo sussidiarie in diversi paesi, e arricchito il por-


tafoglio con i prodotti per la cottura e le macchine da caffè: raggiungendo a
fine decennio i 550 milioni di euro di ricavi e i 2 mila addetti. Nei primi anni
2000 la grande svolta: con l'acquisizione di Kenwood, la quotazione in borsa e
la delocalizzazione in Cina di larga parte dei suoi impianti produttivi (giudi-
cata vitale per il mantenimento della competitività su scala internazionale).

I prodottie i numeri

Mediobanca, nel sopracitato rapporto 2011 su De' Longhi, descrive così l'atti-
vità della società: "De' Longhi is a leading manufacturer in the small domestic
appliances market, and is also present in the professional channel producing
large thermo-cooling systems, radiators and fixed air-conditioning units. The
group is therefore organised into two different industriai poles, one for each
business:
• the Househol,ddivision, which operates in the domestic appliances mar-
ket, designing, manufacturing and selling products within the following
segments: cooking and food preparation, heating and air conditioning,
cleaning and ironing;
• the Professionaldivision, which operates in the markets for large thermo-
cooling systems (with the Climaveneta and RC G;roup brands), radiators
(DL Radiators) and fixed air-conditioning units for the professional
channel.
Within the small ekctrical appliance market, the De' Longhi group is global
leader in portable heaters and air conditioners, as well as for espresso coffee
makers. Furthermore, in Western Europe the company is leader in the food
processor segment (with the Kenwood brand), while it ranks second in cook-
ing products (following the SEB group) and third in ironing systems. The
group product positioning (excluding portables heaters and air condition-
ers) is on average higher than that of its main competitors, with more than
half of the goods sold falling in the high-end segment".
Le small appliances,concentrate come visto nella divisione Househol,d,con il
76 per cento circa degli addetti e 1'86 per cento delle vendite, costituiscono di
gran lunga la componente principale del portafoglio prodotti. Esse rappre-
sentano un insieme eterogeneo dal punto di vista della progettazione e della
produzione, ma hanno in comune i canali commerciali attraverso cui viene
effettuata la vendita alle famiglie e godono della coperturadei due principali
&rand(De' Longhi e Kenwood) con cui opera la società. Mentre le apparec-
chiature fisse per il riscaldamento e per il condizionamento della divisione Pro-
fessional sono caratterizzate da una sorta di continuità tecnologica con quelle
portatili vendute direttamente alle famiglie, ma sono destinate al canale com-
pletamente diverso degli operatori di montaggio nel comparto edilizio.
16 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

FIGURA 1.2 -Andamento del titolo De' Longhinel quinquennio2006-2011

,,Jl,d,.
,,"··r1tiÌr1,~,x, ibA,b ..·"'

-15,91% -61,22% +120,38% +85,93%


2006 1007 2008 2009 2010 2011

Fonte:FinancialTimes.

Le vendite complessive nel 2010 sono ammontate come detto a 1,69 miliar-
di di euro e sono state realizzate per il 19 per cento circa in Italia, p~eril 70 per
cento in Europa e, per il rimanente 30 per cento, in misura significativa nei
paesi emergenti.L'utile netto complessivo è stato di 83,5 milioni. Dei 7 mila di-
pendenti circa, 2.600 operano in Italia e - a seguito soprattutto della deloca-
lizzazione di ampia parte della produzione - 4.400 all'estero.
La capitalizzazione di borsa ammontava come detto a metà 2011 a 1,24 mi-
liardi di euro, con un incremento del 140 per cento circa rispetto a un anno
prima e del 222 per cento rispetto a cinque anni prima (cfr.figura 1.2).

La scissione"annunciata"e le prospettive

Dal comunicato stampa del 21.7.2011 al termine della riunione del Consiglio di Amministra-
zione di De' Longhi: 'Today the Board of Directors ofDe' Longhi has approved the project
of partial and proportional spin-off for the separation of the Professionaldivision. [ ...] De'
Longhi Professional S.A. is the company within the De' Longhi Group representing the acti-
vities relateci to the manufacturing and marketing of devices for systems of air conditioning
and refrigeration in industriai processes. [... ] In particular, participations in Climaveneta
S.p.A., R.C. Group S.p.A. and DL Radiators S.p.A. can be referred to De' Longhi Professio-
nal S.A. As a consequence of the spin-off, the two areas where the business of the De' Longhi
Group currently develops will be separateci: activities of the Household division will be under
De' Longhi S.p.A., those of the Professional division will be under De' Longhi Clima S.p.A.
[...]. The two divisions have different clients and reference market and do not benefit from
operative synergies. The transaction will allow greater managing efficiency based on two dif-
ferent teams of managers, focused only on one of the two businesses; will make possible mo-
re flexibility in implementing the strategies of each of the two divisions and, finally, make the
strategies of both areas of business within the De' Longhi Group more clearly identifiable.
[...] From the effective date of the spin-off (which can reasonably be expected to be January
JSt,2012), the shares of De' Longhi Clima S.p.A. will be listed separately from the shares of
De' Longhi S.p.A. The spin-offwill be proportional [...] ".
r. L'impresa I 17

La scissione fra le due "anime" della De' Longhi - con una tipologia di clienti
e un conseguente approccio al mercato completamente diversi e con sinergie
ormai inesistenti - appariva immediatamente, guardando alla composizione
del portafoglio della società e alle aree con prospettive più brillanti, come
un'opzione razionale da perseguire (cfr. sottaparagrafo2.1.1). Con due proble-
mi: la sindrome del distacco,la riluttanza cioè da parte di chi ha creato un'im-
presa a tagliarneuna parte; l'individuazione di una destinazione adeguata (ol-
tre che remunerativa) della componente Professional.
La soluzione individuata-quella dello spin-offe quindi della nascita di una
nuova società quotata completamente indipendente - non era l'unica a prio-
ri possibile, essendo presenti sulla carta almeno due altre alternative: la ces-
sione a un acquirentestrategi,co,a un'impresa cioè che vedesse le attività della
componente Professionalcome integrabili e/ o complementari alle proprie; la
cessione a un fondo di private equity, che la gestisse nell'ottica di trovarle in
tempi più lunghi una sistemazione adeguata. Una soluzione sfidante, perché
il giro d'affari della nuova società è relativamente piccolo e perché il merca-
to di sbocco è già affollato. Una soluzione che punta sull'effetto stretch (cfr.
paragrafo 5. 6): sulla forte motivazione cioè del futuro gruppo dirigente, in
termini di impegno e di creatività, nell'assumere la responsabilità di una so-
cietà quotata.
Le prospettive per la componente Househoul,owero per la De' Longhi nel-
la nuova versione più focalizzata, rimangono sostanzialmente quelle suggerite
nel rapporto Mediobanca precedentemente citato. Esse vedono come punti
basilari-per un'ulteriore crescita delle vendite e del valore -il rafforzamento
dei b-rand(collocati in prevalenza nella fascia alta premium) e lo sfruttamento
I

di una serie di nuove opportunità, più specificamente:


• l'accrescimento della posizione di leadership nei segmenti in crescita, e
in particolare nelle macchine da caffè: sfruttando la nuova partnership
con Nestlé per NescaféDolce-Gusto,dopo quella di grande successo per
Nespresso,e ampliando la propria presenza commerciale nel mondo;
• lo sviluppo e il lancio di nuovi prodotti, tecnologicamente innovativi, nel
segmento Cookingand food preparation,con il b-randKenwood;
• l'aumento della penetrazione nei paesi emergenti, in Cina in particola-
re, puntando sulla crescita delle classi medie per i prodotti di fascia alta e
sull'adattamento alle esigenze specifiche dei diversi paesi del portafoglio
prodotti;
• l'attenzione alle opportunità di crescita esterne,rese possibili dal basso li-
vello di indebitamento, attraverso l'acquisizione di imprese con una for-
te presenza (anche in termini di b-rand)nelle aree geografiche più strate-
giche o di imprese che permettano di ampliare il portafoglio prodotti
nelle small appliancesdella società.
18 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Il futurodi De' Longhivistoda De' Longhi

Che cosa pensa la De' Longhi del proprio futuro? Fabio De' Longhi, ammini-
stratore delegato della società (oltre che vicepresidente e membro della fami-
glia principale azionista), ha esposto il suo punto di vista in una intervista fat-
tagli da Umberto Bertelè, riportata in ICT4Executive (n. 5, aprile 2011).

D. De' Longhi è cresriuta,con momenti di discontinuità ancheforti (quali il passaggi,oda ter-


zista a produttore con un forte brand negli anni '80 piuttosto che l'acquisizione di
Kenwood nei primi anni 2000), ampliando continuamente il suo portafoglioprodotti e va-
negando la tipowgi,adella sua clientela. Una strategi,amolto apprezzabi,l,e per la capacità
dimostrata di creareprodotti vincenti, ma che può comportare (almeno guardando arte
esperienupassate di molte imprese)difficoltà di gestione connessealla compkssità del por-
tafogliostesso.Mi piacerebbeavere un Suo punto di vista su questo tema, in particolaresu
quellecheLei ritiene esserele sinergi,epiù importanti a fronte dellapredetta compkssità.
R. L'azienda per sua natura è sempre stata indirizzata alla crescita e non ha mai vo-
luto essere legata a un singolo prodotto, per quanto di successo. Inizialmente
producevamo radiatori a olio portatili, poi - con il famosissimo Pinguino - venne
il condizionamento portatile. Poi vennero i prodotti - quali i forni, le friggitrici e
le macchine da caffè - per la cucina, i ferri da stiro e le macchine per la pulizia.
All'inizio degli anni 2000 ci siamo trovati con un portafoglio dawero variegato e
complesso, senza necessariamente avere le masse critiche e il posizionamento
adeguato sul mercato per tutti i prodotti. A partire dalla seconda metà degli an-
ni 2000 abbiamo adottato una nuova logica, riducendo progressivamente la nu-
merosità nell'ambito delle famiglie di prodotti e cercando di concentrarci su
quelli da noi ritenuti core.Abbiamo per esempio abbandonato prodotti per la
pulizia della casa quali i pulitori ad acqua e i battitappeto e abbiamo invece pun-
tato sulle scope elettriche, prodotti per noi strategici. Abbiamo abbandonato
buona parte dei ferri da stiro tradizionali, per concentrarci maggiormente sui si-
stemi stiranti. Abbiamo cioè iniziato a fare pulizia nel nostro portafoglio prodot-
ti, pur senza apportare cambiamenti drastici quali il totale abbandono di intere
famiglie di prodotti per noi di minore rilevanza. Abbiamo ricalibrato l'attività
dei nostri centri di R&D e i nostri investimenti: puntando molto sulle macchine
per il caffè, per le loro prospettive di crescita; continuando a puntare sul riscal-
damento e sul raffreddamento portatile, ossia sulle fan1iglie di prodotti con cui
siamo nati; riducendo gli sforzi in altre categorie.
D. Nel vostro settorec'è una richiesta significativa di personalizzazionedei prodotti per area
geografica?O riuscite a venderelo stessoidenticoprodotto in tutti i paesi?
R. Si tende ad avere prodotti unici a livello globale, con due tipi di varianti però in-
dispensabili: la prima legata al fatto che i prodotti elettrici devono rispettare
normative, omologazioni e standard elettrici in generale differenti per area geo-
grafica; la seconda alla necessità, a livello elettronico, di configurare la lingua
per ciascun paese. Ci possono pure essere personalizzazioni "in senso stretto",
sebbene si cerchi di limitarle al massimo, per venire incontro ad abitudini con-
solidate diverse: negli Stati Uniti ad esempio i forni vengono utilizzati anche per
tostare il pane, mentre in Europa questo non accade. Ci sono poi considerazioni
r. L'impresa I 19

più legate al marketing e alla comunicazione di prodotto, che possono portare a


differenziare la grafica o l'imballaggio.
D. De' Longhi realizzò/,aprima ''grandesvolta" negli anni '80, chelepermisel'ingressonel club
deiproduttoridi marca- vitaleper chi ha prevalentement,e comeclientilefamiglie e non vuole
rassegnarsia una esist,enzada terzista - entrando comesponsornellaFormu/,a1. E da allo-
ra, coerentement,e con il posizionamentoelevatodella maggi,orpart,edei suoi prodotti,ha sem-
pre dimostrato una notevoleabilità nel gestirei suoi brand (in partico/,areDe' Longhi e
Kenwood).Mi sembradi capireche/,aVostraideaportante sia quelladi usare lo stessobrand
- ad esempioDe' Longhi - perprodottidiversiaccomunatidal/,afort,econnotazionedi unicità:
un po' comefa in un aùro campoFerrero,cheperòpone un 'enfasipiù fort,esul nome deisin-
goliprodotti (a somiglianzadi quelloche Voifacest,enel /,anciareil celebrePinguino). È un'i-
dea portante chefa perno sull'uso del brand comecappelloprotettivo,ma cheimponepoi di
metterein camposoloprodotti chesiano riconosciuticoerenticon l 'immagi,necomplessiva,pe-
na il deterioramento'dell'immagi,ne stessa.Mi piacerebbeconoscere il Suo punto di vista.
R. Sia puntare sul brand globale che su quello dei singoli prodotti comporta vantag-
gi e svantaggi. Puntare sul brand globale permette di dare piena visibilità al grup-
po, di attivare possibili economiedi comunicazione e di rendere più agevole - coe-
terisparibus- l'entrata sul mercato di nuovi prodotti. Puntare su brand di prodot-
to può permettere una più elevata focalizzazione ed evitare, se un nuovo pro-
dotto non si rivela all'altezza degli altri, di compromettere il brand globale. Noi
abbiamo una strategia un po' ibrida e puntiamo sia sul brand globale (De' Lon-
ghi o Kenwood) sia sul nome del prodotto o della categoria (come nel caso cita-
to del Pinguino). Come logica per il futuro abbiamo comunque intenzione di
cercare di dare più spazio al primo.
D. De' Longhi è stata molto tempestivae coerente,sin dai primi anni 2000, nel delocalizzare
(sctfrrattuttoper /,acomponentehousehold) la maggi,orpartedellesue attività produttive-
1,asciandosostanzialmente in Italia gli headquarters e le attività più orientateall'innr>-
vazione - e si è guadagnata con questoun differenzialecompetitivosignificativo rispettoai
competitori.Ha inoltre /,agrossafortuna di avereuna presenzaproduttiva molto rilevante
proprio in Cina, cioèin uno dei mercatia maggi,orcrescitasu sca/,amondiale. Ri,tieneche
/,astrada del/,adelocalizzazionedel/,aproduzione che avete intrapresodiversi anni fa sia
ancorapremiante in termini competitivio cheabbiaperso mordenteperchétutti i competitr>-
ri hanno effettuato sceltesimili o si sono addirittura localizzatiin paesi (quali il Vietnam)
a costodel /,avoropiù basso?esisteil rischio che /,adelocalizzazionein Cina alimenti con il
proprioknow-how, comeaccaduto in molti altri comparti, l'emergeredi pericolosicompeti-
tori wcali? avete in mente di localizzarein Cina anche una parte delleattività innovative,
per coglieremegliogli stimoli chepossono nasceredal/,acrescentedomanda locale?
R. Parlando limitatamente al settore househoul,e in relazione al costo della manodo-
pera, la Cina è ancora estremamente competitiva rispetto all'Europa e presenta
ancora un notevole margine di incremento di efficienza tramite l'investimento
in tecnologie. La manodopera, peraltro, non è per noi importante come in altri
settori (quali il tessile): non riteniamo quindi necessario spostarci in luoghi a
più basso costo della manodopera, anche considerando che la complessità della
componentistica da noi utilizzata renderebbe difficile lo spostamento integrale
di tutti i macchinari.
Per quanto concerne la concorrenza, ritengo che il numero di concorrenti si
stia riducendo: con imprese che scompaiono, a fronte di altre che si rafforzano.
20 j L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

In termini più specifici mi sembra che nel nostro settore non ci siano marchi ci-
nesi importanti, che le imprese cinesi non abbiano network distributivi e siano
ancora solo fabbriche. Non vedo quindi rischi in questo senso.
Noi abbiamo strutture di R&D in Cina e ritengo impensabile produrre senza
avere in locoanche la componente di ricerca e sviluppo. Ed è capitato che alcune
soluzioni tecniche siano state concepite in quei laboratori e poi utilizzate nel
gruppo a livello mondiale.
L'elemento che a mio avviso determinerà la capacità della Cina di competere
sul mercato n1ondiale sarà il tasso di cambio, soprattutto nei confronti dell'Eu-
ropa. Bisognerà vedere come si muoverà il cambio euro/dollaro.
D. De' Longhi ha sreltodi quotarsi in Borsa all'inizio degli anni 2000. Siarrwin un rrwmento
storicoin cui le uscitedal/,aBorsasuperano /,enuove entratee sonofrequenti /,e/,amentel,e:
per
/,apesantezzadegli obblighie per i costiche /,aquotazione comporta;per /,efluttuazioni nel/,a
capitalizzazioneesagerate, rispettoallefluttuazioni nei risultati e nell,easpettative, cui /,e
societàquotate sono esposte;per l'obbligo(e questo sarebbeun vantaggio) a un forte rigore
ma anche (e questopuòessereuno svantaggio) per il privil,egi,oche si deve dare al brevepe-
riodo. Voi avete rappresentatoprobabilmenteuno dei pochi casi di successodi /PO effettuati
negli ultimi 10-12 anni, ma sietestati anche soggettiall,emontagne russe durante /,afase
più acuta della crisi, con una discesarrwltoaccentuata e il successivocomp!,etorecuperonel-
l'ultimo anno. Qy,alè il vostro bi/,anciocompkssivo sull'esperienzadi quotazione?
R. Siamo andati in Borsa subito dopo l'aquisizione di Kenwood e ritenijilllo l'espe-
rienza complessivamente soddisfacente. È vero che mentre un'impresa dovreb-
be avere una visione di lungo periodo per il proprio sviluppo industriale, la Bor-
sa ragiona prevalentemente sul cortissimo raggio e obbliga a ricercare un punto
di equilibrio fra le due esigenze. Ma d'altro canto l'esigenza di fornire continua-
mente dati agli azionisti, di tenere sotto controllo il circolante (anche nei mo-
menti di maggiore difficoltà come durante la crisi) e di ottenere risultati visibili
rappresenta un esercizio utile e obbliga alla disciplina.
D. De' Longhi, vista dal di fuori, sembra attribuire molta rikvanza nel/,asua comunicazione
al fatto di essereun 'impresacon la testa in Italia, ancorché con molte dell,esue attività
sparsenel mondo. Quanto riteneteche l'essereun 'impresaitaliana abbia contribuito al v<r
stro successo?
R. In generale, nel mondo industriale, l'essere italiani non è un valore forte. Il pro-
dotto italiano può essere visto come bellodai consumatori internazionali, ma diffi-
cilmente viene condiderato in quanto tale come prodotto di altissima qualità. Di-
versa è la percezione per le macchine da caffè o per i prodotti per la cucina, dal
momento che nell'immaginario globale gli italiani sanno fare bene il caffè e san-
no cucinare bene. Il marchio De' Longhi è riconosciuto come italiano e ha quin-
di, in questi segmenti di mercato, un valore aggiunto rispetto ai concorrenti.
La Germania, invece, è molto più vista come sinonimo di precisione e qualità. È
stata per questo per noi una soddisfazione esserci aggiudicati un premio in Ger-
mania [il Best Brand 2011], rientrando tra i primi 10 brand per tasso di crescita-
in quinta posizione [con Appie in testa al gruppo] - nella percezione dei consu-
matori tedeschi.
D. De' Longhi ha sempreperseguitouna strategi,avolta a portare nuovi prodotti sul mercatoe
intende continuare a farlo - come da Lei affermato - in un 'otticadi rafforzamento dell,e
gamme esistenti.Possiamoquantificare il vostro impegnoper l'innovazione?
I. L'impresa I 21

R. Spendiamo circa il 3,5% dei ricavi in attività di ricerca e sviluppo: molto in Italia,
ma anche in Inghilterra e_in Cina. È difficile industrializzare un prodotto in Ci-
na se non si ha un adeguato reparto R&D a supporto.
D. De' Longhi, con la sua presenza commercia/,e o produttiva in tutto il mondo, ovviamente
ha dovuto e deve dedicareuna fortissima attenzione all'efficaciae all'efficienzadella sua
macchina organizzativa. Qµ,aleruo/,oha gi,ocatoe gi,ocal1CT nel rendereefficaceed effi-
cientela vostra organizzazione?E in relazionea Internet, pensate di sfruttare /,enuove p~
tenzialità di marketing connessecon /,osviluppo dei sodai network - per crearecontatti
diretti con i clientiprivati e perfidelizzarli, comediverseesperienzerecenti(P&G, Barilla,
Fiat ecc.)dimostrano- o non /,eritenetesignificativenel vostrocontestocompetitivo?
R. Il gruppo ha sempre investito molto in IT, dotandosi di una struttura che si oc-
cupa dell'informatizzazione. Il 90 per cento della nostra impresa opera con lo
stesso sistema informativo - SAP - che abbiamo adottato da una decina di anni e
di cui utilizziamo tutti i moduli principali. Continuiamo a fare importanti inve-
stimenti in IT, per rispondere alle nuove esigenze che emergono: a quella ad
esempio, in contesti di mercato che si muovono sempre più velocemente, di di-
sporre dei dati mensili di conto economico consolidato di gruppo entro pochi
giorni dalla fine del mese.
Ritengo affascinante il tema dei socialnetwork,ma allo stesso tempo molto contro-
verso in termini di suo utilizzo a fini di marketing. Sono molte le imprese che si
stanno lanciando ad esempio su Facebook, ma credo che sia prima indispensabile
- se non si vuole sortire un effetto opposto a quello desiderato - assicurarsi di poter
garantire un flusso realmente bidirezionale (attraverso la creazione di una struttu-
ra capace di rispondere alle richieste dei consumatori) e di essere in grado di at-
trarre un numero di fan adeguato all'importanza del gruppo. Per questo stiamo la-
vorando a un progetto di digi,talstrat,egy, che comprenderà anche i socialnetwork.
I

1.3Un'impresaitalianache ha saputoconiugareinnovativitàe tradizione:Yoox

Perché riteniamo il caso YOOX Group (nel seguito denominato per brevità
Yoox) di particolare interesse? Perché Yoox
• è un'impresa molto giovane, fondata da un giovane nel 2000 e quotata
in borsa alla fine del 2009, cresciuta - come accade nella Silicon Valley
ma molto meno in Italia- con l'aiuto di una serie di fondi di venture capi-
tal italiani e stranieri (cfr. schema 4.3);
• è - fatto abbastanza raro in Italia - una public companydi stampo anglo-
sassone, una società cioè quotata (owero public come contrapposta apri-
vate) senza azio~isti di riferimento con quote significative: Federico Mar-
chetti, il fondatore che ne è dalla nascita presidente e amministratore
delegato, risulta al quinto posto come azionista con il 4,6 per cento e po-
trebbe salire nel futuro all'll,1 se esercitasse tutte le stockoption2; mentre

2. Yoox ha implementato, a decorrere dal 2000, una serie di piani di stockoption. Le stockoption-
owero le opzioni di acquistare dopo un periodo predeterminato dalla società un numero di
22 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

il primo azionista, il fondo inglese di venture capita[Balderton Capitai I


L.P., che aveva finanziato la crescita di Yoox sin dal 2003 e che possedeva
il 23,1 per cento al momento dell'IPO (initial public offering), ne ha sola-
mente 1'11,1 (ossia molto di meno di quanto usualmente gli azionisti di
riferimento detengono nelle società in Italia per tutelarsi dai rischi di
takeover);
• in fase di decollo ha saputo coniugare un business del tutto nuovo come
l' e-comrnerce
B2C - in cui moltissime imprese (tradizionali o di nuova co-
stituzione) si stavano buttando con business model spesso inconsistenti -
con un settore co1ne quello della moda ove l'Italia gode di un assoluto
prestigio nel mondo: puntando sui prodotti di fine stagi,onedei grandi
brand, per non entrare in collisione con i canali di vendita tradizionali, e
ponendosi come targetil mercato globale;
• negli anni successivi ha sviluppato - sull'onda di Amazon - una seconda
businessidea rilevante, volta allo stesso tempo a incrementare le attività e
a difendere i rapporti privilegiati con i grandi !Jranddella moda, metten-
do la propria infrastruttura informatica e logistica a disposizione dei siti
online che questi ultimi stavano progressivamente aprendo (quali Alber-
ta Ferretti, Emporio Armani, Diesel, Dolce & Gabbana, Moschino, Ro-
berto Cavalli, Valentino e Zegna, per citarne solo alcuni);
• con la crescita consistente delle vendite nel 2010 (più 40 per cento circa
rispetto al 2009) è entrata nelle tap 10 dell' e-commerceB2C in Italia - a
fianco di altre Internet company quali eBay e Amazon, di una grande im-
presa telecom come Vodafone e di ben cinque operatori (due tradizio-
nali e tre nati con Internet) di turismo e trasporti- ed è seconda a livello
di consistenza dell'export generato.

Che cosafa Yoox

(Dal RapportoAnnua/,e 2010) "Il Gruppo Yoox, il partner globale di Internet re-
tail per i principali brand della moda e del design, si è affermato tra i leader di
mercato con gli storeMulti-brand yoox.come thecorner.com,ed i numerosi Online

azioni (di nuova emissione) predeterminato a un prezzo anch'esso predeterminato - sono


strumenti tipicamente utilizzati per incentivare e fidelizzare il management e per assicurarne
una costante tensione alla creazione di valore: quanto maggiore è infatti la crescita del valore
di mercato nel periodo di 1iferimento, tanto più elevata è la plusvalenza realizzabile eserci-
tando l'opzione (che viceversa non sarebbe conveniente esercitare se il valore scendesse).
Nel~ajuly 2011 ~adshow Presentation di Yoox è riportato - accanto al quadro delle quote at-
tuali - quello cosiddetto fully diluted che ci sarebbe allo scadere dei piani se tutti i beneficiari
esercitassero le opzioni e mantenessero nel loro portafoglio le azioni così acquisite. Federico
Marchetti salirebbe come visto all'll,l per cento e gli altri manager beneficiari complessiva-
mente al 10 per cento.
r. L'impresa I 23

StareMono-brand tra i quali zegna.com, vaumtino.come diesel.com,tutti 'Poweredby


Yoox Group'. Il Gruppo vanta centri logistici e uffici in Europa, Stati Uniti, Ci-
na e Giappone e distribuisce in 67 paesi nel mondo.
yoox.com, fondato nel 2000, è lo starevirtuale di moda e design multi-brand
leader nel mondo. Grazie a consolidate relazioni dirette con designer, pro-
duttori e dealerautorizzati, yoox.comoffre una selezione infinita di prodotti dif-
ficili da trovare: un'ampia scelta di capi d'abbigliamento e accessori di fine
stagione dei più importanti designer al mondo, capsu/,ecolkctionesclusive, pro-
poste di moda eco-friendly,un assortimento unico di oggetti di design, rari capi
vintage e originali libri d'arte.
thecorner.comè la boutique online che presenta una selezione di abbiglia-
mento e accessori di ricerca per uomo e donna attraverso mini-starededicati.
L'elemento chiave di questo innovativo retail conceptè il 'corner: ministore e
piattaforma creativa dedicati a ogni brand per presentare le ultime collezioni
attraverso contenuti multimediali, permettendo ai visitatori di vivere a pieno
il mondo dei designer e le loro ispirazioni.
Dal 2006, il Gruppo Yoox progetta e gestisce gli Online StareMono-branddei
principali brand di moda che intendono offrire su Internet la stessa collezio-
ne disponibile attualmente nei negozi. Grazie al know-how acquisito e ali' e-
sperienza pluriennale, il Gruppo Yoox offre ai propri brand-partneruna solu-
zione completa che include una piattaforma tecnologica e logistica globale,
interface design altamente innovativo, customer care eccellente e attività di web
marketinga livello internazionale".

I numeri

Il valore complessivo delle vendite di Yoox, che ha 372 addetti, è ammontato


nel 2010 a 214,3 milioni di€, con un utile netto di 9,1 milioni. La capitalizza-
zione di borsa della società a metà 2011 era di 672 milioni di€, più del doppio
della quotazione al 3 dicembre 2009: un incremento rilevante, legato da un
lato alla estrema debolezza del mercato finanziario al momento dell'IPO, ma
dall'altro alla capacità dimostrata da Yoox di sapersi espandere a tassi molto
elevati (cfr. figura 1.3). Il rapporto fra la capitalizzazione e l'utile netto supe-
riore a 70- a fronte di quello di P&G pari a circa 17 - sta a indicare (cfr. para-
grafo 4. 4) che la borsa sta scommettendo su una ulteriore crescita di Yoox e
degli utili da essa generati.
La linea di business multi-marca ha ancora un peso prevalente rispetto a
quella mono-marca (che ha visto salire a 27 i siti delle case di moda gestiti) -
sia sul totale delle vendite sia sul risultato operativo generato (un po' più del
76 per cento per ambedue) - ma in calo. Così come nel suo ambito risulta
prevalente il negozio online yoox.com, ma con un tasso di crescita inferiore a
quello di thecorner.com.
24 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

F1GURA 1.3 -Andamento del titolo Yooxdall'IPO al 2011

12

10

••.1.........1,I Id 111I11u1.•
+ 4,40 +84,29%
·····I
..-..Iu,1•• I 1, I
_+83, 11 +32,33%
I,1.1.""
h 1111 dli ••JII.I ._.1 ,11111.1

20H9 201 O . 2011

Fonte:FinancialTimes.

L'Italia ha pesato complessivamente nel 2010 per il 23 per cento circa dei
ricavi, il resto dell'Europa per il 48, il Nord America per circa il 20 e il Giap-
pone per un po' più del 6: percentuali tutte in movimento, in connessione
con il processo di internazionalizzazione- e in particolare di entrata in nuove
aree quali la Cina- in atto.
In linea con la sua prospettiva di crescita, Yoox ha effettuato nel 2010 inve-
stimenti per 12,3 milioni di €, equamente suddivisi fra immobilizzazioni im-
1nateriali e immobilizzazioni materiali. Nell'ambito delle prime la voce princi-
pale è stata quella dello sviluppo di specifici progetti volti a individuare solu-
zioni innovative per la realizzazione e gestione dei negozi online. Nell'ambito
delle seconde ha avuto un peso rilevante l'avvio della messa a punto della
nuova piattaforma tecno-logistica ad automatizzazione elevata: resa necessaria
dal continuo aumento del numero di ordini da evadere, che hanno superato
nel 2010 la soglia del milione e mezzo.
Il business model di Yoox, quale in precedenza sinteticamente descritto, si
presenta come una sorta di unicum su scala mondiale nel~'ambito fashion: am-
bito in cui non tutte le case di moda effettuano vendite online, se lo fanno ope-
rano (escludendo ovviamente le 27 sopra citate) quasi sempr.e con siti propri
e in pochissimi casi riescono a realizzare quote significative rispetto ai canali
tradizionali. Il maggior caso di successo è quello di Polo Ralph Lauren, 300
milioni di$ circa di ricavi online (su un totale di 5,66 miliardi nel 2010), con
un sito negli Stati Uniti fatto gestire da un operatore e-commerceche però - a
differenza di Yoox - è un generalista(supporta cioè la vendita online di_prodot-
ti merceologicamente molto diversi).
r. L'impresa I 25

Le prospettivedi crescita

"La Cina è uno dei più importanti tasselli per completare la nostra offerta al
settore della moda, con l'obiettivo di consolidare la nostra posizione di part-
ner globale di Internet retailper i principali &rand(dalla LetteradelPresidenteagli
azionisti acclusa al Bilancio 201 O). Si tratta di una strategia di lungo periodo in
un mercato dalle grandi potenzialità in cui stiamo agendo da first mover.Per
affermarsi in Cina, Yoox intende per i primi anni adottare una strategia full
pricee posizionarsi nella fascia alta del mercato. [...] Abbiamo intrapreso un
importante percorso di investimenti nell'automazione della nostra piattafor-
ma tecno-logistica centrale di distribuzione. Grazie al connubio tra l'impiego
dei più moderni sistemi di automazione e l'utilizzo della tecnologia RFid, la
nuova piattaforma tecno-logistica globale sarà unica nel settore [...] ".
E nella july 2011 Roadshow Presentationvengono evidenziati gli altri grandi
obiettivi di crescita che Yoox si pone per il 2015:
• accrescere a 50 il numero di online store "poweredby YOOX Group" (27 a
metà 2011) , puntando a the worlds /,eadingfashion and designpwyers-,
• accrescere al 50 per cento dei ricavi totali la quota di prodotti in-season
(contrapposti ai fine stagi,oneche sono stati alla base della nascita e della
prima crescita di Yoox) e, in connessione, il valore medio degli ordini;
• vedendo il perseguimento di una forte crescita come il motore per ac-
crescere la profittabilità e la generazione di cashflow.
Sono obiettivi complessivamente molto ambiziosi, che mirano a fare di Yoox
un leader mondiale nella nicchia che si è scelto.
Sono obiettivi costosi da perseguire, sia per gli investimenti che richiedono
sia per i maggiori costi di struttura che comportano. Affermarsi in Cina rap-
presenta ad esempio una stretta necessità per un'impresa che voglia essere
leader globale, ma i tempi necessari per affermarsi possono essere lunghi. Per-
sonalizzarein generale i siti rispetto alle abitudini dei consumatori delle aree a
potenziale maggiore e rafforzare in esse le piattaforme tecno-logistiche è fun-
zionale a far crescere i clienti (oltreché a evitare la nascita di competitori che
sappiano meglio allinearsi agli usi locali), ma ha come primo effetto - in atte-
sa che la crescita si concretizzi - una moltiplicazione dei costi.
Il perseguimento di una forte crescita ha però un ruolo essenziale, che giu-
stifica - questa è la scommessa di Yoox3 - gli investimenti e gli aumenti dei co-
sti di struttura, per una serie di ragioni.
Più Yoox cresce nelle dimensioni e nella varietà e qualità dei servizi che of-
fre, innanzitutto, più elevata dovrebbe essere la sua attrattività per le grandi
case di moda, che

3. Diverse delle considerazioni che seguono sono frutto di un colloquio di Umberto Bertelè
con Federico Marchetti.
26 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• da un lato dovrebbero trovare sempre meno conveniente "fare da sole",


per i costi elevati e le difficoltà di approccio alla clientela che gli insuc-
cessi in cui alcune di esse sono già incorse hanno messo in evidenza;
• dall'altro dovrebbero essere attirate dal mix di servizi che l' ecosistema4
Yooxè in grado di offrire loro e scoraggiate dal cercare fornitori alterna-
tivi di servizi e-comrnerce.
Ove il termine ecosistemavuole evidenziare i legami sinergici esistenti - fra le
due linee di business e fra i siti multi-marca e quelli mono-marca - dal punto
di vista sia di Yoox sia delle case di moda. Più specificamente, Yoox può fruire
dei vantaggi di scala che le derivano dall'uso in comune della piattaforma tec-
no-logistica e/ o delle sue personalizzazionilocali e può continuamente accre-
scere le sue competenze nel retail online dei prodotti di moda; le case di moda
possono ricorrere a Yoox per la progettazione e gestione dei loro siti mono-
marca, per la vendita di collezioni particolari nei ministoredi thecorner. come per
la vendita dei fine stagi,oneattraverso yoox.com.
Quanto maggiore sarà poi il numero di grandi case di moda che Yoox riu-
scirà a coinvolgere in tempi ravvicinati, italiane ma ancor più di altri paesi,
tanto più elevata dovrebbe essere la barriera non solo rispetto all~ nascita di
start-up che vogliano imitare il modello Yoox ma anche rispetto a entrate latera-
li di grandi operatori generalisti e-comrnerce. meno sensibili ai differenziali di
scala e di costo, data la loro consistenza in altri comparti; ma molto meno in
grado di fare un'offerta, focalizzata rispetto alle peculiarità del comparto,
comparabile a quella di Yoox. E la barriera dovrebbe essere rafforzata da una
serie di altri fattori:
• il rischio per le case di moda di incorrere in switching cost (cfr. paragrafo
5. 7) rilevanti, cambiando operatore e-comrnerceopassando a una gestione
in proprio: presumibilmente tanto più rilevanti quanto maggiori sono le
vendite attraverso il sito mono-marca;
• l'impossibilità comunque di farlo, se non con penalità, prima della sca-
denza dei contratti (solitamente almeno quinquennali);
• la tendenza a evitare il ricorso a operatori e-comrnerce.diversi per le diverse
aree geo-politiche - ricorso che renderebbe più critica l'affermazione di
Yoox ad esempio in un mercato come quello cinese - a seguito delle diffi-
coltà di chi (come Burberry) ha sperimentato tale strada e della propen-
sione a una gestione centralizzata dei brand da parte delle principali case.
Con due importanti salti che potrebbero impattare sul futuro di Yoox:
• una maggiore propensione dei clienti all'uso del canale online, anche
per gli acquisti in-season (ove non sarebbero presenti vantaggi di prezzo

4. Il term~ne ecosist~a o business ecosystem,che apparirà più volte anche nel seguito (cfr. paragrafo
1.4), divenuto d1 uso comune soprattutto in relazione alla competizione nel comparto del-
1'ICT-ln[armatio~ & Communication Technology, fu introdotto per la prima volta da James F.
Moore m un artIColo della Harvard Business Reviewdel 1993 sul "sistema Cisco".
r. L'impresa I 27

rispetto al canale tradizionale) e non solo per i saldi: propensione sicura-


men te legata alla qualità dei servizi che Yoox e gli altri siti e-commerce del-
la moda sapranno offrire;
• una maggiore propensione delle grandi case del lusso- LVMH (cfr. para-
grafo 5.3) e PPR5 in primo luogo - a utilizzare per tutti i loro &rand il ca-
nale online, superando il pregiudizio che esso mal si concili con il lusso e
nella prospettiva di un aumento complessivo delle vendite e non di una
cannibalizzazionedi quelle del canale tradizionale: che potrebbe per altri
versi awantaggiarsi dell'effetto vetrina che i siti possono avere nell'indiriz-
zare verso i negozi potenziali nuovi clienti.

1.4La competizionenell'lnformation& CommunicationTechnology:


una guerra"tutti controtutti" che coinvolgeuna fetta crescentedell'economia

Ha una certezza l'autore di questo paragrafo: che chi lo leggerà, anche poco tempo dopo la
sua pubblicazione, troverà la descrizione della competizione nell' ICT-Information & Commu-
nication Technologypiù o meno difforme dalla realtà del momento. Questo perché il contesto
dell'ICT è caratterizzato da una dinamicità estremamente elevata - con pochi precedenti
nella storia dell'economia - in cui si assiste alla continua entrata in scena di nuove tecnolo-
gie, nuovi prodotti, nuovi businessmodele nuove imprese e alla frequente caduta dei paletti di
confine fra i diversi settori.
Basta andare indietro di pochi anni - ad esempio a metà 2007 (quando fu pubblicata la quar-
ta edizione di questo libro) - per trovare un quadro radicalmente diverso dall'attuale. I PC
dominavano ancora la scena nell'Information Technology,facendo la felicità di Microsoft (quasi
monopolista nei sistemi operativi), di Intel (leader di mercato nei microprocessori) e di HP
(che aveva soppiantato Dell come leader nelle vendite dei PC etl era solamente insidiato dagli
asiatici nella fascia bassa del mercato), anche perché l'apparizione dei primi tabl,etnon aveva
destato alcun interesse. Google era riuscita da poco a trasformare il suo innovativo motoredi ri-
cercain una potente macchina per attrarre pubblicità - passando dai 440 milioni di $ di ricavi
nel 2004 (al momento della quotazione) ai 10,6 miliardi del 2006, da 682 addetti a circa 12
mila - e aveva surclassato i due competitori Yahoo! e Microsoft. Appie stava felicemente cre-
scendo (dopo il rischio di morte corso negli anni '90 6 ), praticamente senza concorrenti, con
l' iPod e con il sistema iTunes costruito attorno a esso; e recuperava terreno con il Mac nella fa-
scia più alta dei PC. Nokia regnava incontrastata - con il 40 per cento circa su scala mondiale
- nel mercato dei cellulari e in quello in fase di sviluppo degli smartphone.ove RIM, con il suo
BlackBerry,si era ritagliata una nicchia completamente protetta. Il settore delle consol,eper 1.ti-
deogameaveva da anni tre protagonisti - Nintendo, Sony e Microsoft - con successi alterni al-
1'apparire dei nuovi modelli. Il settore tel,ecomsoffriva già della perdita di ricavi nella voce,ma
puntava sui dati e sui cosiddetti VAS (servizi a valore aggiunto). I socia[networkerano apparsi

5. Per i urand di LVMH si veda il paragrafo5.3. Tra i principali urand del pow del lussodi PPR (che
con il complesso delle sue attività ha realizzato nel 2010 ricavi pari a 14,6 miliardi di€, con circa
60 mila addetti): Gucci, Bottega Veneta, \ves Saint Laurent, Balenciaga e Girard-Perregaux.
6. Fondata nel 1976 da tre soci- uno dei quali era Stevejobs (artefice dei trionfi dell'ultimo de-
cennio) -Appie ebbe un ruolo pionieristico nei PC, ove introdusse importanti innovazioni ma
uscì sconfitta dallo scontro con l'accoppiata IBM-Microsoft (cfr. schema5.11). I cattivi risultati e
il crollo della quotazione di borsa negli anni '90 indussero Appie nel 1997 a richiamare come
CEO Steve Jobs, che era stato allontanato nel 1985 dopo uno scontro di potere per la leader-
ship e che nel frattempo aveva acquistato e lanciato la Pixar (poi ceduta alla Walt Disney).
28 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

da qualche anno all'orizzonte, ma la loro popolarità non era ancora espl~sa: anche se ave~~
destato un certo scalpore l'acquisto di MySpace da parte della News Corp d1 Murdoch per pm
di mezzo miliardo di dollari. Il cloud computing esisteva, ma - con qualche eccezione (Ama-
zon) - si era a livello di progetti di ricerca. Non si parlava ancora, se non in Giappone, di pa-
gamenti effettuati con gli smartphone. Le grandi imprese musicali, forse le prime grandi vitti-
me della pirateria informatica, avevano già scelto come male minore l'accordo con l' iTunes di
Apple. Le grandi imprese cinematografiche erano anch'esse sotto attacco e il mondo dei me-
dia faceva in un certo senso concorrenza a se stesso attraverso i siti gratuiti online dei giornali
(famosa la dichiarazione "Fra cinque anni il New York Times potrebbe sparire dalle edicole; e
non importa, perché ormai viviamo nell'era di Internet" che fece il suo editore, a seguito del-
1'emorragia di copie vendute e del calo della pubblicità su carta).

Quali sono i fatti nuovi che rendono così diversa, a metà 2011 rispetto a metà
2007, la competizione nell' ICT-Information & Communication Technowgy (più
specificamente nella componente dell'ICT che si rivolge prevalentemente al
mercato consumer) e che - ben lungi dall'aver esaurito il loro effetto - appaio-
no destinati a generare ulteriori terremoti o scosse di assestamento? Se ne
possono indicare tre principali:
• lo sviluppo tumultuoso del mercato degli smartphone e dei tabl,et,origina-
to da Appie con il lancio dell'iPhoneneI 2007 e dell'iPadneI 2010 e con il
conseguente rafforzamento del suo AppStore. che da un lato 4,a quasi ob-
bligato Google a entrar e in gioco per difendere il suo mercato nella pub-
blicità e messo in crisi il leader storico Nokia; che dall'altro minaccia la
centralità dei PC e di conseguenza le posizioni di chi - come Microsoft,
Intel o HP- sui PC ha per tanti anni prosperato;
• lo sviluppo tumultuoso, che potrebbe portare a una nuova bolla Internet,
dei social network: in primo luogo di Facebook, che per creare valore deve
ridimensionare la leadership di Google nel mercato della pubblicità e
quella di Amazon nell' e-commercee allo stesso tempo contenere le velleità
di espansione di Appie in ambedue i mercati;
• l'esplosione del cwud computing, per il momento soprattutto a livello di
offerta di servizi: che non solo coinvolge la quasi totalità dei protagonisti
dell' Information Technology- IBM, HP, Microsoft, Amazon, Accenture ecc.
- nei servizi ai clienti-imprese, ma che viene sfrut~to anche strategica-
mente da Appie (con iCwud), piuttosto che da Google o Amazon, per ga-
rantirsi la fedeltà dei clienti-persone.
Un quarto fatto nuovo potrebbe diventare importante nel prossimo futuro: il
ruolo rilevante che la Cina vuole giocare - e in parte sta già giocando - nel-
l'ICT, forte dei suoi numeri sul mercato interno (divenuto ad esempio il pri-
mo al mondo per i PC) e della protezione che essa riesce a garantire alle sue
imprese sul mercato internazionale.

Smartphonee tablet

Il teatro di guerra con lo scontro al momento più virulento è quello degli


smartphone e dei tabl,et,prodotti caratterizzati da un tasso di crescita della do-
r. L'impresa I 29

manda molto elevato e da un ritmo di innovazione - nei modelli e nelle


performance - altrettanto elevato.
I principali protagonisti dello scontro sono:
• Appie (cfr. tabella 1.2 e schema5.11), con il suo sistema proprietario chiu-
so, con la sua corte di produttori di apps e di contenuti (giornali, libri,
musica ecc.) che contribuiscono al successo dei devicefisici e garantisco-
no ricavi addizionali di grande rilievo;
• Google (cfr. tabel/,a1.2), con il suo sistema aperto, insieme con i produt-
tori di smartphone e tablet che usano gratuitamente Android e Honey-
comb (Motorola Mobility e Sony Ericsson tra quelli storici, Samsung,
HTC, LG, Huawei e ZTE fra gli asiatici), con un app staremeno fornito di
Appie ma in fase di potenziamento; con una strategia futura più incerta
dopo l'acquisizione di Motorola Mobility 7, giustificata dall'esigenza di ir-
robustire il portafoglio brevetti (divenuto come si vedrà nel seguito un
assetfondamentale) ma potenziale fonte di conflitti con i produttori in-
dipendenti;
• N okia (cfr. sottoparagrafo2. 6.2), dal febbraio 2011 in coppia con Micro-
soft, in una partnership che vorrebbe simulare il modello Appie: un'u-
nione fra il leader storico dei cellulari e sino alla fine del 201 O degli stes-
si smartphone, che ha visto declinare per questi ultimi la sua quota a causa
delle ridotte performance del sistema proprietario Symbian, e il maggior
produttore mondiale di software, leader nei sistemi operativi per PC ma
con una quota sinora ridottissima in quelli per smartphone;
• RIM, owero la canadese Research in Motion (cfr. paragrafo 4.1), pioniere
dello smartphone con il BwckBerry, che vede la sua storica nicchia dissol-
versi ed è costretta a operare in un mercato molto più grande.
È uno scontro fra imprese, ma è allo stesso tempo - usando un termine di
moda forse abusato - uno scontro fra ecosistemi.Le nuove prestazioni intro-
dotte da Appie con l' iPhone e l' iPad hanno infatti modificato profonda-
mente i criteri di scelta da parte degli acquirenti. Per vincere, ai competito-
ri non basta fare prodotti intrinsecamente buoni, ma occorre anche saper
coinvolgere le imprese indipendenti di software che producono apps (navi-

7. Google ha acquisito nell'agosto 2011 per 12,5 miliardi di$ Motorola Mobilicy, la componente
di Mo toro la operante negli smartphonee nei tabletoggetto di uno spin-offnel gennaio 2011. La
decisione, motivata come detto dall'esigenza di Google (e in particolare di Android) di di-
sporre di un portafoglio brevetti che la rendesse meno esposta agli attacchi di società come
Appie e Microsoft, ha destato molti dubbi per due ragioni: per il rischio che la dominanza di
Android fra i sistemi operativi per smartphone potesse essere messa in crisi dal nuovo ruolo di
Google non solo come fornitore ma anche come competitore diretto, rischio che Google ha
minimizzato impegnandosi a gestire Motorola Mobilicy come un'unità completamente sepa-
rata; per il rischio che l'ingresso nell'hardware da parte di quella che da sempre era stata una
Internet company potesse alterarne negativamente la cultura d'impresa. La decisione di Goo-
gle, che ha preceduto di pochissimo l'uscita di HP (discussa nel seguito) dal comparto dei ta-
blet,ha anche aperto la possibilità di nuovi scenari: quali la possibile acquisizione di Nokia da
parte di Microsoft.
30 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

gatori, giochi ecc.) e quelle che dispongono di contenuti (giornali, libri:


film, musica ecc.), come pure mettere a disposizione attraverso accordi
nuove funzionalità quale quella degli strumenti per il pagamento ( wave
and pay ecc.). Occorre, in altre parole, trasformare lo smartphone in un
qualcosa che assomiglia sempre meno a un semplice cellulare e creare con
il tablet uno strumento dalle prestazioni inedite, che di volta in volta si tra-
sforma in un PC, in una PlayStation portatile o in un lettore di libri e gior-
nali in formato elettronico.
È uno scontro fra business model radicalmente diversi fra loro. Apple - che
come detto ha un sistema operativo proprietario chiuso - guadagna venden-
do gli smartphone,richiedendo in certi casi una percentuale sul grande traffico
generato ai carrier telecom, riscuotendo sempre attraverso il suo stare una
percentuale significativa sulle vendite in vertiginosa crescita di apps. vendite
che potrebbero intaccarei ricavi pubblicitari che ora confluiscono nei motori
di ricerca.

"Gartner, the research group, estimates that 17.7bn apps will be downloaded in 2011, a 117
per cent increase on last year (dal Finanaal Times del 20.2.2011). Revenue from mobile apps
is expected to surpass $15.lbn this year, including paid downloads and adve~tising revenue
generated by free apps, up from $5.2bn in 2010".

RIM, che ha anch'essa un sistema operativo proprietario chiuso, vive sulla


vendita dei suoi smartphone, mentre è un'incognita il successo che potranno
avere il suo staree il suo tabkt. Google non guadagna con il suo sistema opera-
tivo, che (analogamente a quanto avviene per il motore di ricerca o per You-
Tube) è fornito gratuitamente ai produttori di smartphone e tabl,et,guadagna
un po' con l' app stare,richiedendo però percentuali più basse di quelle di Ap-
ple (per aumentarne l'appetibilità); ma ha come obiettivo principale quello
di mantenere un forte contatto con il pubblico - che ha permesso al suo mo-
tore di ricerca di impadronirsi di una fetta molto consistente dei ricavi pubbli-
citari complessivi - e di evitare uno smottamentodi parte di tali ricavi (attraver-
so le apps) verso Apple. Nokia guadagna vendendo gli srnartphone,ma deve pa-
gare a Microsoft l'uso del sistema operativo; Microsoft a sua volta, concorren-
te di Google (anche se molto distanziato) nel motore di ricerca, vuole sfrutta-
re quella che potrebbe essere l'ultima occasione per conquistarsi un posto di
rilievo nei sistemi operativi per smartphone e tablet,che rappresentano una mi-
naccia prospettica concreta al ruolo dei PC.
Il quadro competitivo a metà 2011 vede Apple con un'elevatissima quota di
mercato nei tabkt, previsti in forte crescita. Vede Apple in ottima posizione dal
punto di vista dei ricavi complessivi negli smartphone, mentre - in termini nu-
merici - è Android, il sistema operativo di Google, che ha soppiantato Nokia
come leader di mercato. Vede Nokia in difficoltà, a causa anche del tempo ne-
cessario per sostituire il sistema operativo di Microsoft a Symbian. Vede pure
RIM in difficoltà, al progressivo svanire delle difese della sua nicchia.
r. L'impresa j 31

Ma anche Arnazon (94,7 miliardi di$ di valore di mercato a metà 2011 e 36,9 miliardi di ri-
cavi) potrebbe entrare in questa guerra, per difendere - cercando di contrattaccare - i suoi
interessi nell' e-commercee negli e-book."Appie vs. Arnazon is going to get fiercer (da The Wall
Street]aumal del 3.6.2011, "Appie vs. Arnazon: Another round of tablet wars?", di Dave Kan-
sas). [ ...] In a research report CLSA argues that Arnazon is getting dose to launching an
Arnazon-branded tablet to take on Appie. Arnazon would join a very crowded field that is
currently dominated by Apple's iPad. [ ... ] The Arnazon entrance into the tablet market
looks particularly intriguing, and it portends a bigger battle between the online retailer and
Appie, which is a formidable online retailer itself via iTunes. Arnazon has 137 million user ac-
counts, Appie iTunes has 160 million user accounts. Appie has sold more than 100 million e-
books since launching its book service back in Aprii, which Arnazon has certainly noticed. It
has slashed prices for its Kindle device since Appie got into the e-book game. Also, Apple's
launch of iCloud, along with Google's cloud computing efforts, could create additional chal-
lenges for Arnazon. 'Given the existence of Appie and Google ecosystems by way of Appie
and Android devices, Arnazon's business will be under threat of direct attack once Appie and
Google drive adoption of their native cloud services (i.e., books, music, video, storage).
However, Appie and Google's pursuit of establishing adoption of their clouds is more threa-
tening to Arnazon than Arnazon's pursuit of a tablet,' CLSA says [ ...] ".

Socialnetwork

Apple, Google e le altre imprese citate hanno un nuovo potenziale grande


awersario, Facebook, il numero uno dei social network, che - forte dei suoi
750 milioni di utenti nel mondo e desideroso di quotarsi in borsa al valore
più alto possibile (sull'onda dei successi di social network molto più piccoli) -
vuole sfruttare economicamente la sua dimensione: non solo facendo paga-
re un pedaggi,oalle imprese (come Zynga e Groupon) che guadagnano attra-
verso le apps sulla sua rete, ma anche impadronendosi di una parte della
spesa pubblicitaria complessiva. Facebook è valorizzata sul mercato grigi,o
più di I 00 miliardi di dollari, circa il doppio rispetto a sei mesi prima: una
cifra che induce molti a parlare di una nuova bolla Internet, perché la profit-

FIGURA 1.4-Crescita comparatadelle "valorizzazioni"di Facebook,Linkedlne Twitter

200%

150

100

50

o
2010 2011
Fonte: The WallStreetjournaldel 19-4-2011,"In Silicon Valley, investors are jockeying like it's 1999", di Monica Langley.
32 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

tabilità è buona, ma i ricavi sono ancora estremamente modesti (circa 2 mi-


liardi di dollari).
Twitter (divenuta famosa anche per il ruolo che ha giocato nei moti di piazza in Iran), con
più di 250 milioni di utenti unici per mese, ha trattato a metà 2011 un finanziamento di di-
verse centinaia di milioni come se il suo valore implicito (anche in questo caso in assenza di
quotazione) fosse di 7 miliardi di$: nonostante il continuo rinvio delle promesse azioni vol-
te ad accrescere i suoi ricavi, che nel 2011 non dovrebbero superare i 100 milioni di$.
Linkedln, che ha circa 100 milioni di utenti, si è quotata a maggio 2011 e la sua capitalizza-
zione di borsa si aggira sui 9,5 miliardi di$: un multiplo elevatissimo (cfr. schema 4.1) rispetto
all'utile netto di 15 milioni del 2010, difficile da giustificare nonostante il tasso di crescita dei
suoi ricavi (raddoppiatisi nel 2010 a 243 milioni di$).

In panda a Facebook sono nel frattempo nate e cresciute diverse imprese, ag-
gregando le persone sulle basi più diverse: Zynga mette ad esempio a disposi-
zione giochi elettronici innovativi (l'idea di business è di vendere virtual goods
in cambio di real money);Groupon organizza gruppi di acquisto finalizzati alla
riduzione dei prezzi.
~

Zynga, che ha 232 milioni di utenti unici per mese in 166 paesi e che-cresciuta moltissimo a
partire dal 2007 - ha avuto nel 2010 ricavi (al lordo del pedaggi,o da pagare a Facebook) di
quasi 600 milioni, punta con l'IPO a un valore implicito fra i 15 e i 20 miliardi di$. Groupon,
che ha rifiutato i 6 miliardi offerti da Google per acquisirla, mira con l'IPO a un valore simi-
le a quello di Zynga: è una società che presenta un forte tasso di crescita e ricavi rilevanti
(650 milioni di$ circa nel primo trimestre 2011); ma ha anche perdite molto rilevanti (450
milioni circa nel 201 O), ha un businesscon basse barriere ali' entrata ed è molto labour-inten-
sive (7 mila addetti).

Google, cogliendo i potenziali pericoli per i propri ricavi pubblicitari (sorgen-


te quasi unica delle sue entrate), ha tentato diverse reazioni. Ha cercato con
insuccesso di creare un proprio soci,alnetwork,ha cercato con altrettanto insuc-
cesso (nonostante i 6 miliardi di dollari offerti) di acquisire Groupon e - l'esi-
to dell'operazione in corso potrà essere visto solo nel seguito - ha cercato con
l'introduzione di Googl.e+di conferire al suo motore di ricerca un maggiore ca-
rattere di socialità.

PCe sistemioperativiper PC

Quello che avviene nel principale teatro di guerra, e nei suoi dintorni, -crea
scompiglio anche in altri teatri di guerra sino a poco tempo fa completamen-
te separati.
Dominato da Microsoft per la componente software e storicamente da In-
tel per i microprocessori, il mercato dei PC ha visto nell'ultimo decennio l'en-
trata prepotente dei produttori asiatici (in primo luogo di Lenovo e Acer che-
si contendono il terzo posto nel mondo) per crescita organica e/ o acquisizio-
ni, il sorpasso ai vertici di Dell da parte di HP e la rivitalizzazione della presen-
I. L'impresa I 33

za di Appie (caratterizzata come negli smartphone e nei tablet da un sistema


operativo proprietario). Ora questo mercato appare in una fase di maturità -
soprattutto nei paesi tradizionalmente ricchi - e molti scommettono su un
suo declino, a favore dell'accoppiata tabl,et-cloudcomputing. Una situazione
problematica per Microsoft, che ha in Windows e Office il suo santuario del
profitto e che proprio per questo sta cercando di posizionarsi nei tabl,et(oltre
che nei servizi di doud computing). Una situazione che colpisce ovviamente i
produttori, con reazioni diverse e talora clamorose: il leader mondiale HP, do-
po aver acquisito nel 2010 Palm per entrare nei tablet,ha annunciato nell'ago-
sto 2011 la sua uscita non solo dai tabletma anche dai PC (destinati a essere
scorporati per essere venduti o quotati separatamente sul mercato); Lenovo,
meno sensibile alla disaffezione verso i PC per la crescita tuttora in atto del
mercato cinese (divenuto come detto il primo nel mondo), ove gode di una
posizione di leadership, ha viceversa annunciato il suo crescente impegno nei
tablet,con una gamma volta a far crescere la domanda anche nei segmenti più
bassi.Una situazione in cui la distanza fra PC e tabletappare destinata a ridursi:
sembra ad esempio che Appie stia lavorando nella direzione di una conver-
genza fra i relativi sistemi operativi. Una situazione in cui alcuni analisti, pro-
prio scommettendo sull'avvicinamento e sulla nascita di nuovi deuiceibridi,
hanno iniziato a ragionare in termini di mercato unico e a valutare su tale ba-
se le quote delle diverse imprese.

"Some research firms have even started to look at tablets as part of the PC market when de-
termining market share, which significantly changes Apple's position (da The Wall Street]our-
nal del 15.8.2011, "Microsoft Faces the Post-PC World", di Nick Wingfield). Canalys, for ex-
ample, now calls Appie the second-largest PC vendor, after Hewlett Packard. Adding in
iPads as well as Macs ~ which only accounted for about 5% of global shipments - the firm esti-
mates thatApple accounted for 13.6% in world-wide PC shipments in the second quarter, up
from 8.2% a year earlier, andjust a bit behind H-P's 15.7% share".

Videogames

Il mercato dei video games, di valore consistente, vede da diversi anni (come
detto) tre grandi competitori battersi fra loro con alterne vicende: Nintendo,
che ha avuto un ruolo pionieristico nel settore e che ha riconquistato la lea-
dership con l'introduzione di Wii qualche anno fa; Sony, a lungo leader con
due generazioni di PlayStation;Microsoft, ultimo entrato nel 2004, che sta co-
gliendo successi con l'introduzione di Kinect a integrazione di Xbox. La com-
ponente economicamente più consistente è quella delle console,ma parallela-
mente esiste una componente di consoleportatili, che anni addietro aveva visto
pure l'ingresso (non di particolare successo) di Nokia. Perché accostare que-
sto teatro di guerra al principale? Non solo perché Microsoft e-in misura mi-
nore - Sony sono presenti in ambedue i teatri, ma perché il cosiddetto casual
smartphonegaming, l'utilizzo cioè degli smartphone (e nel futuro in misura ere-
34 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

scente dei tabl,et)a scopo di gioco, rappresenta sempre più un sostituto estre-
mamente pericoloso.

Interessante a questo proposito la strategia di Sony, che offre i suoi giochi ai casual gamersu-
gli smartphone della famiglia Android e che ha fatto mettere a punto alla sua joint venture Sony
Ericsson uno smartphone concepito per essere facilmente usato come consol,eportatile.

Libri,giornali,musica,film e televisione

L'introduzione del formato elettronico per i libri, per i giornali, per la musica
e per i film - avvenuta ormai diversi anni or sono - ha progressivamente alte-
rato l'economia dei rispettivi settori.
La prima vittima è stata come detto la musica, resa gratuitamente disponi-
bile su Internet da siti pirati divenuti per questo famosi. Con l'entrata in cam-
po dell'iPod di Appie nel 2001 e soprattutto con gli accordi della stessa con le
case musicali per la vendita di brani musicali via rete a prezzo contenuto tra-
mite iTunes (forse il primo caso strutturato di ecosistemain questo ambito), il
settore della musica ha cambiato completamente assetto. Negli ultimi anni la
situazione si è ulteriormente modificata, con una vendita di CD ormai su li-
velli estremamente limitati e un novero di businessmodele di distributori in re-
te in espansione: un business model di successo è quello della svedese Spotify
(che ha una valutazione implicita di circa 1 miliardo di dollari), in fase di
espansione internazionale, che offre la musica in streaming invece che attra-
verso downwad; qualcosa di simile fanno le statunitensi Pandora (2,9 miliardi
di dollari di capitalizzazione, in fortissimo calo rispetto all'IPO) e Rhapsody,
mentre fra i nuovi distributori sono da citare Amazon e Google.
Il fallimento di Blockbuster, catena leader a livello mondiale nella distribu-
zione di film su DVD, testimonia come qualcosa di simile sia accaduto anche
per i film: dove l'avvento dei DVD aveva ridotto il numero di spettatori nei ci-
nema e dove l'avvento delle nuove forme di distribuzione - la rete ma anche
il digitale terrestre e il satellite - porta la vendita dei DVD a livelli estrema-
mente bassi. Come nella musica, Appie è leader nel downwad dei film, con
quasi i due terzi del mercato; seguono Microsoft (forte delle vendite di Xbox
Kinect) e Wal-Mart, il gigante della distribuzione da poco passato dalla vendita
di DVD a quella di film online, che si batte negli USA per il terzo posto con
Amazon e Sony. Come nella musica vi è un business model alternativo basato
sullo streaming,che ha fatto la fortuna di Netflix (che capitalizza più di 15 mi-
liardi di dollari) e che vede come nuovi entranti Amazon e Facebook.

Il tema del progressivo passaggio - nelle preferenze degli utenti - dal download allo streaming,
dall'acquisto cioè di un brano musicale o di un film all'acquisto (più economico) del diritto
di ascoltare il brano o di vedere il film, è di particolare interesse. "Rent or buy? The house-
hunter's dilemma is becoming an increasingly serious question for media companies as they
contemplate the digitai era's latest upset to their businesses models (dal Finandal Times del
r. L'impresa I 35

15.6.2011, "Content owners find nothing going on but the rent", di Andrew Edgecliffe:Jobn-
son). Content companies bave long mixed various methods ofmaking money into their mo-
dels, notably advertising, taking a cut of subscriptions to services sucb as cable television, or
selling pbysical media sucb as CDs, DVDs or video games. [ ...] Recent figures on wbat media
consumers actually buy, particularly in the most advanced media markets, are mucb less reas-
suring. US consumer spending on bome video fell 3.3 per cent last year. DVD sales, even in-
cluding Blu-Ray discs, bave been falling since 2007, and the US pbysical video market was
down 14.9 per cent. [ ...] Digitai music downloads from stores led by Apple's iTunes are now
sputtering, rather tban compensating far the long slide in CD sales, and tbe US video game
market bit a four-year low, driven down by a 20 per cent fall in packaged software sales year-
on-year. [ ...] Tbe trend is clear. A significant sbift is emerging, away from payment models
that involve buying and owning content that is stored on a device and toward paying far the
rigbt to consume it on a rented basis via streaming from cloud-based services. Tbe tale of
pbysical media substitution by less lucrative digitai forms is a familiar one, but the sbift from
ownersbip to rental or access models could be as important as a secular cbange. [ ...] What
sbould worry media companies is thatAmericans bave become 'a nation of renters'. [ ...] As
consumers move from high-margin purcbases to low-margin rentals, studios' annual profit
per household would tumble from $135 in 2005 to just $89 by 2015. Tbe rent-versus-buy
equation has been different in music, because people wbo migbt watch a film only once or
twice would listen to a song dozens of times. On-demand access far a monthly fee cbanges
that equation, however, and streaming or access models such as Pandora and Spotify are gai-
ning ground wbile downloads flatline. In the digitai world, owning big video files also bogs
hard drive space, pushing consumers to streaming services instead. Why do most content ow-
ners see new services using storage in the digitai 'cloud' as an incrementai growth opportu-
nity? First, they encourage ownersbip: users get access from any device to content they bave
already bougbt. [...] Finally, media owners know that there are rational and irrational rea-
sons to believe thai rental and ownership models can still co-exist. [ ...] With compelling con-
tent, and the right packaging, you can still persuade people to buy. Since Tbe Beatles' arrivai
on iTunes in November, 1.3m digitai copies of tbeir albums bave sold, belped by extras such
as exclusive documentary footage [... ] ".

Per i libri la prima rivoluzione, nei secondi anni '90, aveva toccato solo i mec-
canismi distributivi di un prodotto che rimaneva cartaceo. Amazon, con i suoi
algoritmi per delineare il profilo e i gusti dei clienti, era stato il vincitore asso-
luto di questa fase e aveva ampliato il suo raggio d'azione internazionalizzan-
dosi da un lato e diventando dall'altro un operatore di e-commerce a tutto cam-
po. Alla prima fase ne è seguita una seconda, che vede l'affiancamento del
formato elettronico a quello cartaceo e l'entrata in campo dei lettori elettro-
nici - primo fra tutti il Kindl,edi Amazon - dotati di biblioteca virtuale (ossia di
possibilità di memorizzazione di molti testi) e di capacità incorporata di ac-
quisto di nuovi titoli via etere. L'entrata in gioco dell'iPad nel 2010- cui han-
no fatto seguito nel 2011 una seconda versione dello stesso e un'intera fami-
glia di tabl,etbasati sull'Honeycomb di Google (l'uno e gli altri dotati di stare
per gli acquisti) - mette in gioco come detto un importante sostituto e ari-
schio la supremazia di Amazon; mentre nel frattempo, in primo luogo negli
USA, prosegue il processo di radicale ridimensionamento delle librerie fisiche.

Amazon reagisce però con vigore, giocando la carta della crescita anche sacrificando i mar-
gini. 'The Seattle-based company (dal Finandal Times del 26.7.2011, "Amazon sales surge
most in a decade", di Barney Jopson) reported that its second-quarter revenue jumped 51 %
to $9.9 billion, which Amazon finance chief said was the company's best growth rate in 10
36 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

years. But the increased sales carne at a high cost, as the company spends heavily to add wa-
rehouses and digitai offerings. The online retailer's profit fell 8% [ ...] as operating expenses
rose 54%. Operating margins were squeezed to 2.0%, down from 3.3% from a quarter ear-
lier and 4.1 % a year earlier [...] ".

Per i giornali la scelta storica (forse obbligata) di creare siti a libero accesso di
supporto alla carta stampata ha contribuito a innescare un fenomeno, accele-
ratosi poi con la crisi, di drammatica discesa del numero di copie vendute e -
in connessione - dei ricavi pubblicitari. Solo a pochi, al notissimo quotidiano
economico-finanziario statunitense The Wall StreetJournal in prima posizione,
era riuscito sino a poco tempo fa il passaggio a una logica di pagamento per
molti dei contenuti del sito. La novità si è avuta con l'awento dell' iPad, che -
insieme con i tabl,etsimilari che stanno approdando sul mercato - viene visto
dagli editori di giornali come una possibile ancora di salvezza per ricavare de-
naro dalla vendita via rete dei giornali: un qualcosa di simile a quello che l'i-
Pod rappresentò per le case discografiche.
Per la televisione la minaccia è meno direttamente connessa agli~smartphone
e ai tablet,ma precede in un certo senso il loro attuale sviluppo. La navigazio-
ne su Internet e ora sempre più la frequentazione dei sodal networksottraggo-
no fisicamente parte del tempo libero prima dedicato dai singoli e dalle fami-
glie alla televisione; riducono quindi l'audience e con essa coeterisparibus i rica-
vi pubblicitari.

Ma qualcosa si muove anche in questo ambito. "Appie TV customers will be able to watch
Major League Baseball and National Basketball Association games after the tech group si-
gned deals with the sports leagues, in a sign that cable companies will face more online
competition (dal Finanaal Times del 10.3.2011, "Appie TV to offer sports leagues", di David
Gelles). The deal could signal a shift in thinking for sports leagues about how they make
their content available online. Originally launched in 2007, Appie TV failed to gain traction
until a new version was unveiled in September last year. In December, Appie said it had sold
lm of the devices, adding to speculation that US consumers were beginning to shift away
from cable subscriptions and consume more traditional entertainment content online
[ ...]".E in parallelo Google cerca da tempo di promuovere, con continui miglioramenti, la
sua Googk Tv.

Retitelecom

Sino a qualche anno fa i carriertelecom apparivano tra i possibili vincitori del


futuro dell'ICT e della rete. Si pensava che il presidio che essi esercitavano
sulle reti stesse avrebbe permesso loro di generare e far generare una serie di
servizi a valore aggiunto (VAS) sempre più ampia. Nella realtà l'attività nella
rete è cresciuta enormemente e sono cresciuti i servizi, ma molti dei nuovi
servizi transitano attraverso Internet e finiscono nelle mani di Appie, Google
& C. I carriersi lamentano perché sta a loro effettuare gli investimenti molto
ingenti necessari per poter disporre di una rete che non si paralizzi; chiedo-
1. L'impresa I 37

no, per incrementare le loro entrate future, di poter effettuare un pricingdif-


ferenziato in funzione della qualità del servizio offerto; trovano un' opposi-
zione forte in chi sostiene la neutralità della rete ( net neutrality) rispetto agli
utilizzi. I carriercercano anche, in uno sforzo che accomuna i protagonisti su
scala internazionale (tra gli altri Vodafone, Telefonica e China Mobile, ac-
canto a Telecom Italia), di diventare essi stessi erogatori di apps utilizzabili su
tutti i tipi di device. proposta sinora accolta però con tiepidezza dai produtto-
ri di apps.

"Chi guarda lontano sa che la sfida strategica sarà quella regolatoria su scala globale con
Google, Appie, Facebook, Twitter, Skype e le legioni di applicatori che vengono ospitati
sugli smartphone (dal Corrieredella Sera del 9.3.2011, "Telecom nella partita delle nomine/
Bernabè e le nuove sfide Internet", di Massimo Mucchetti). Le compagnie di telecomuni-
cazioni stanno perdendo irrimediabilmente terreno nei servizi a valore aggiunto, che 10
anni fa rappresentavano la loro nuova frontiera, e si vedono erodere anche il traffico voce
da 'usurpatori' che si awalgono delle loro reti, architrave del protocollo Internet, ma non
pagano né fanno pagare i loro clienti-applicatori assorbendo, in compenso, crescenti ca-
pacità trasmissive [ ... ] ".

Cloudcomputing

Nell'ambito della guerra in atto "tutti contro tutti" avrà un ruolo importante,
come in diversi punti accennato in precedenza, il cosiddetto cloud computing.
la modalità cioè, in forte crescita (seppur con significativi ostacoli da superare
in termini di continuità del servizio, di privacy e di regolamentazione), di for-
nire in outsourcing e spesso con una formula pay per use - agli individui e alle
imprese - una serie di servizi sostitutivi o compleme:qtari rispetto al mantene-
re "in casa" un'infrastruttura informatica e/ o disporre "in casa" di tutto il
software necessario.
È il doud computing che può permettere ai tabi.etdi disporre di una serie di
potenzialità tipiche dei PC e di sostituirli nella soddisfazione dei bisogni di in-
numerevoli utenti. È ricorrendo al cloud computingche diverse imprese - ope-
ranti nell'offerta di musica, film e libri - già offrono ai loro clienti la conser-
vazione di quanto acquistato in una memoria remota, cui possono nel seguito
accedere liberamente attraverso qualunque tipo di device (dal PC al tabi.etallo
smartphone).
E nell'offerta di servizi di cloud computingsi ritrovano i principali protago-
nisti della guerra in corso: Apple, Google, Microsoft e Amazon. Mentre fra i
principali produttori di infrastrutture per il cloud computing si ritrovano an-
che HP e Dell, citate in precedenza in relazione ai PC e - la prima - anche ai
tabi.et.
38 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Pagamenti

Vale pure la pena citare quello che potrebbe essere un importante campo di
espansione nel prossimo futuro: i pagamenti - invece che mediante carte di
credito, bancomat, assegni o contanti- con il ricorso a una nuova generazio-
ne di smartphone (in fase di apparizione) che permettano, come già avviene da
tempo in Giappone, il riconoscimento contactkss dell'acquirente da parte di
apposite apparecchiature installate nei punti di vendita: attraverso l'uso della
tecnologia cosiddetta near-fìel,d-communication (NFC). Il successo è ovviamente
condizionato dalla diffusione di tali apparecchiature e dai tempi con cui essa
si verificherà, 1na la posta in gioco è piuttosto elevata. In gara per sottrarre
margini alle banche, per i pagamenti relativamente piccoli, ci sono gli opera-
tori telecom: che potrebbero incorporare i relativi ammontari nei conti te-
lefonici. In gara per i pagamenti più consistenti, per operare insieme con i ge-
stori di carte di credito o per diventare loro concorrenti, i soliti Appie e Goo-
gle (forte la prima dei 200 milioni di persone che hanno già utilizzato il suo si-
stema di pagamento per gli acquisti in rete di canzoni, film e apps e presente
la seconda con il suo CheckOut), eBay con il suo popolarissimo PayPal e Ama-
zon con Amazon Payments.

Un uso creativo (ancorché invasivo) della tecnologia NFC, in un contesto di importanza cre-
scente della geo-localizzazione per inviare selettivamente ai possessori di smartphone "in zo-
na" messaggi sulle iniziative delle strutture commerciali locali, potrebbe essere quello - in-
travisto da Google-di retrocedere alle strutture stesse che hanno pagato per l'invio dei me1---
saggi le informazioni sugli acquisti dei clienti tramite CheckOut.

Laguerrasi svolgesemprepiù anchenei tribunali

Non rappresenta sicuramente un fatto nuovo, nel mon~o ICT, il ricorso alle
authority antitrust come strumento competitivo.

Microsoft è rimasta per molti anni nel mirino delle authority USA e UE con l'accusa di abusa-
re della sua posizione dominante nei sistemi operativi per PC per bloccare la crescita dei pro-
duttori di software specialistici. Google vi è entrata più recentemente, in relazione ad acquisi-
zioni che avrebbero potuto rafforzare ulteriormente la sua posizione dominante nei motori
di ricerca. ·

Né rappresenta un fatto nuovo l'uso dei brevetti come strumento competiti-


vo, in chiave non solo difensiva ma offensiva. Ma la guerra in questo campo si
è estesa a un livello tale da provocare un intervento deljustù;e Department sta-
tunitense, preoccupato per l'eventualità di un uso improprio dei brevetti per
frenare la competizione.

'The Jus~ce Department is intensifying an investigation into whether tech giants including
Appie, Microsoft and RIM could use a recently acquired trove of patents to unfairly hobble
r. L'impresa I 39

com peting smartphones using Google 's Andro id software (da The Wall StreetJournal del
30.7.2011, "Nortel patent probe picks up", di Thomas Catan). A consortium of six compa-
nies last month paid $4.5 billion to acquire a portfolio of 6,000 patents auctioned by the
bankrupt Canadian telecom equipment maker Nortel, thwarting Google's interest. The fi-
nal amount, five times Google's originai $900 million bid, stunned observers and raised con-
cerns about how the consortium intended to use them. [ ...] Google says that the bid was 'a
sign of companies coming together not to buy new technology, not to buy great engineers or
great products, butto buy the legal right to stop btllter people from innovating'. [ ...] Android
supporters say that the six would never bave paid so much if they merely wanted the patents
to protect themselves against lawsuits: because Microsoft, for example, already had a license
to use the patents, so it wouldn't face any law suits whoever owned them.
Google has already come under attack. Appie (which also has been on the receiving end of
such suits, recently settling a case brought by Nokia) sued a number ofhandset makers using
Android, including HTC, Samsung and Motorola. [...]
The Justice Department could still impose conditions on the parties. In Aprii, the Depart-
ment forced a consortium of companies including Microsoft, Apple and Oracle to promise
not to use a portfolio of patents it had acquired to unfairly hurt rivals and Microsoft was
forced to give up the patents it was buying and license them instead. 'We're seeing a situation
where big companies seem more willing to try to use, and in essence misuse, their patent
portfolio in a really aggressive way to go after open-source products and weaker competi-
tors,' said the president of the Computer & Communications Industry Association, a tech
lobbying group. 'That's really troubling"'.

Il fenomeno si è ulteriormente esteso, sino a creare quella che il Financial


Times ha definito una GreatPatent Bubble.una crescita impetuosa dei valori di
borsa di società, dai nomi spesso ignoti al grande pubblico, specializzate nello
sfruttare le potenzialità della proprietà intellettuale per creare non tanto pro-
dotti innovativi, ma brevetti-trappolacon cui estorcere danaro in chi vi incappa.

"[ ... ] As always in tech bubbles ("Patent hunting is latest game on tech bubble circuit", di Ri-
chard Waters, 27.7.2011), it is the 'pure plays' that bave drawn the most interest - in this ca-
se, the companies set up mainly to exploit the value of pure IP, rather than actually to build
things. Shares in InterDigital, which specialises in mobile communications IP, bave soared 75
per cent since it said last week that it was looking at putting itself up for sale: with a market va-
lue of $3.2bn even before any auction begins. [ ...] But even that pales in comparison with
VirnetX. Despite baving only one licensee for its internet security technology and royalties of
just $17,000 in its latest quarter, VirnetX's 14 US and 16 non-US patents pack a punch: with
lawsuits out against Cisco, Appie and Avaya, among others, its stock market value bas jumped
more than fivefold in the past year, to $1.6bn. [ ...] The battle over the smartphone market
has greatly raised the stakes. That is partly because of the buge amount of money the rivals in
this figbt bave on band. (Appie just revealed that it is putting up $2.6bn of the $4.Sbn that
the winning consortium of tecb companies agreed to pay for the Nortel patents.) But it also
reflects the unusual imbalance that exists in this market: with relatively little IP to their na-
mes, companies sucb as Apple and, in particular, Google, bave little cboice but to pay up.
Tbis distorts prices [... ] ".

Ed è proprio in relazione ali' esigenza di disporre di un portafoglio brevetti


più consistente, da utilizzare per difendersi e per contrattaccare, che Google
ha giustificato l'acquisto di Motorola Mobility- che ne possiede 17 mila circa -
nonostante il costo dell'operazione e le controindicazioni strategiche sopra
discusse.
40 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

1.5Leprincipaliimpresea livelloitalianoe mondiale8

Obiettivo di questo paragrafo è di fornire un quadro d'insieme 9 delle princi-


pali imprese e gruppi 10 operanti su scala mondiale e su scala italiana, classifi-
cati sulla base dei ricavi ( tabeUe1.1, 1.3 e 1.4) e del valore di mercato 11 ( tabelle
1.2 e 1.5), con alcuni commenti volti ad anticipare temi che saranno oggetto
di trattazione nel seguito.

1.5.1 I principaligruppie societàmondiali

La tabella1.1 riporta l' elenco 12 dei tap 15 gruppi mondiali operanti nell'indu-
stria e nei servizi. Essa fornisce, oltre ai ricavi, anche l'utile realizzato nello
stesso anno e il numero di addetti, nonché - con riferimento a metà 2011 - il
valore di mercato. Non sono inclusi nell'elenco i gruppi bancario-finanziario-
assicurativi, per la loro disomogeneità dal punto di vista della tipologia delle
entrate e dei criteri di contabilizzazione.
In termini di nazionalità, di paese cioè sede dei quartieri generali ( headquar-
ters),i gruppi statunitensi sono sei (due dei quali al primo e al terzo posto), gli
europei sei, i cinesi due e i giapponesi uno.
In termini di settore,ben nove gruppi sono petroliferi (di cui cinque nelle
prime sei posizioni) e quattro automotoristici. Wal-Mart, che occupa il primo

8. Tutte le considerazioni svolte in questo paragrafo fanno riferimento alla situazione esistente
al momento della consegna del testo all'editore: situazione che potrebbe essere diversa al mo-
mento della lettura, data la forte dinamicità che caratterizza (come si è già affermato e come
si affermerà più volte nel seguito) il contesto economico-finanziario.
9. Si sono utilizzati come fonti per i dati quantitativi Financial Times e Financial Times FT Global
500 (www.ft.com), Mediobancae R&S (www.mbres.it), ai cui siçi si rimanda per informazioni
aggiuntive. Per gli aspetti di natura più qualitativa e i legami azionari si possono consultare di-
rettamente i siti delle società.
10. Con il termine gruppo si fa riferimento a un insieme più o meno aµipio di imprese, con una
loro connotazione giuridico-societaria autonoma, possedute o comunque controllate diretta-
mente o indirettamente da una società - denominata solitamente holàing- nel cui ambito so-
no collocati i quartierigeneralidel gruppo stesso; i dati economico-finanziari dei gruppi (quali
quelli qui riportati e salvo ove diversamente indicato) sono consolidati,calcolati cioè come se i
gruppi stessi fossero monolitici.
11. Il termine valoredi mercatoè qui utilizzato come sinonimo di capitalizzazionedi borsa,in relazio-
ne a imprese quotate nelle diverse borse; esso è calcolabile come prodotto della quotazione
della singola azione (se ne esiste un solo tipo), quale riportata nelle pagine economico-finan-
ziarie di un qualunque quotidiano, per il numero di azioni.
12. L'elenco da cui sono tratti i top 15 è l'FT Global500, owero l'elenco delle 500 società quotatea
maggiore capitalizzazione, a prescindere dalla loro nazionalità e dalla borsa (o borse) di quo-
tazione. Potrebbero quindi non essere compresi gruppi non quotati. I dati relativi ai ricavi e al-
l'utile netto del 2010, in dollari nell'elenco, sono stati convertiti in euro al tasso di cambio del
31 dicembre 2010. I valori di mercato dei top 15- nella classifica originale relativi al 31 marzo
2011 - sono stati aggiornati a metà 2011 e ove necessario convertiti in euro, sempre utilizzan-
do il Financial Times come fonte ufficiale, per renderli più facilmente comparabili con quelli
delle imprese italiane discussi nel sottoparagrafo1.5.2.
I. L'impresa I 41

TABELLA 1.1 - I principaligruppimondialiperordinedi ricavi

Gruppo Settore Paese Ricavi Utile netto Addetti Valore


mld€ mld€ migliaia di mercato
a metà 2011
mld€

Wal-Mart Stores A us 314,2 12,3 2.100,0 125,9


Royal Dutch Shell B UK 279,9 15,3 97,0 150,2
Exxon Mobil B us 256,2 22,8 83,6 270,7
BP B UK 225,3 -2,8 79,7 93,2
Sinopec B China 213,6 8,2 373,4 n.d.
Petrochina B China 166,7 15,9 552,7 207,6
Toyota Motor c Jap 152,1 1,7 320,6 94,8
Chevron B us 142,2 14,3 62,0 139,2
Total B Fra 141,0 10,6 92,9 90,6
ConocoPhillips B us 132,7 8,5 29,7 71,4
Volkswagen c Ger 127,4 6,9 399,4 n.d.
Generai Electric D us 111,8 8,7 287,0 134,9
Generai Motors c us 101,6 4,6 67,0 32,9
Eni B lta 98,5 6,3 79,9 66,0
Daimler c Ger 98,2 4,5 260,1 54,7

Legendasettori
A: Generai Retailers; B: Oil & Gas; C: Automobiles & Parts; D: Generai lndustrials.

posto, è la principale catena distributiva del mondo con oltre 2 milioni di ad-
detti. Generai Electric {cfr. paragrafo 2. 2.3), famosa per la sua longevità, è la
sola società conglomeral,e-in ambito sia industriale sia finanziario - in classifi-
ca. Eni è l'unico gruppo italiano fra i top15.

La posizione dei gruppi petroliferi 13, cresciuti dimensionalmen~ con i processi di fusione
"tra grandi" della fine degli anni '90, è dovuta anche all'aumento post-crisi del prezzo del pe-
trolio. La posizione dei gruppi automotoristici può essere spiegata con la rilevanza che le eco-
nomie di scala (cfr. sottoparagrafo5. 8.1) hanno nel comparto.

Con 22,8 miliardi di euro Exxon Mobil - che capeggia pure la classifica per
valore di mercato - è prima fra le top15 per utile, superata però dalla russa
Gazprom con 23,8: una cifra non molto inferiore, per fornire un ordine di
grandezza, a quella degli interi ricavi della nostra Telecom Italia. Al di sopra
dei 15 miliardi di euro di utile si collocano altre tre società petrolifere - Petro-
china, Petrobras e Royal Dutch Shell - mentre le prime non petrolifere (poco
al di sotto dei 15) sono AT&T e Microsoft.
La tabell,a1.2guarda invece al valore di mercato 14 delle società quotate che so-

13. Si vedano al termine del presente paragrafo le considerazioni relative ai gruppi petroliferi di
proprietà degli stati emergenti detentori delle riserve di petrolio, che - in quanto non quotati
- non sono presi in considerazione in questa classificazione.
14. La tabella riporta i dati delle prime 29 imprese al mondo con valore di mercato (a metà 2011)
L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
42 I
TABELLA 1.2 - I principaligruppi mondiali per valore di mercato

Settore Paese Valoredi mercato Utile netto


Gruppo mld€
a metà 2011
mld€

Exxon Mobil B us 270,7 22,8


Appie E us 213,9 10,5
B China 207,6 15,9
PetroChina
F China 171,2 18,8
l&C Bank of China
B Bra 160,3 15,9
Petrobras
G Aus 155,9 9,1
BHP Billiton
H Switz 155,0 8,8
Nestlé
B UK 150,2 15,3
Royal Dutch Shell
Microsoft us 150,l 14,l
IBM us 142,l 11, l
China Construction Bank F China 141,2 15,3
Chevron B us 139,2 14,3
Generai Electric D us 134,9 8,7
Berkshire Hathaway L us 130,4 9,7
China Mobile M Hong Kong 128,5 13,3
AT&T N us 126,8 14,9
Wal-Mart Stores A us 125,9 12,3
Johnson & Johnson o us 124,7 10,0
Procter & Cambie p us 120,8 9,6
HSBC F UK 119,3 10,0
Gazprom B Rus 113,0 23,8
Oracle I us 112,9 4,6
Novartis o Switz 112,4 8,2
Pnzer o us 112,0 6,2
Vale G Bra 110,4 13,6
Google us 109,8 6,4
JP Morgan Chase F us 108,4 12,3
Coca-Cola Q us 104,3 8,9
Wells Fargo F us 100,3 9,3

Agricultural Bank of China F China 98,9 10,8


Rio Tinto G Aus-UK 97,2 10,7
Bank of China F China 95,2 11,9
Toyota Motor c Jap 94,8 1,7
Vodafone M UK 92,'o 9,8
Total B Fra 90,6 10,6

Legendasettori
A: Generai Retailers; B: Oil & Gas; C: Automobiles & parts; D: Generai industrials; E: Technology hardware &
equipment; F: Banks; G: Mining; H: Food producers; I: Software & computer services; L: lnsurance; M: Mobi-
le telecommunications; N: Fixed line telecommunications; O: Pharmaceuticals & biotechnology; P: Hou-
sehold goods & home construction; Q: Beverages.

superiore a 100 miliardi di€ e delle successive 6 imprese con valore di mercato superiore a 90
miliardi di €. I dati di utile netto - tratti dalla già richiamata classifica fT Global500 redatta in
dollari -sono relativi all'anno 2010 e sono stati convertiti in euro al tasso di cambio del 31 di-
cembre 2010. I dati di valore di mercato (capitalizzazione di borsa) - nella classifica originale
relativi al 31 marzo 2011 - sono stati aggiornati a metà 2011 e ove necessario convertiti in eu-
ro, per le medesime ragioni già richiamate in precedenza.
I. L'impresa I 43

no ai vertici dei gruppi e include, a differenza della tabella 1.1, anche le banca-
rio-finarµ:iario-assicurative - quali Berkshire Hathaway e JPMorgan Chase - che
dal punto di vista della quotazione e del valore risultano del tutto omogenee alle
altre. Essa riporta in particolare la fotografia, "scattata" a metà 2011, delle prime
35 società per valore di mercato: 17 delle quali statunitensi, 6 cinesi, 3 inglesi, 2
svizzere, 2 brasiliane, 2 australiane, una francese, una giapponese e una russa.
Una fotografia divisa in due parti: quella superiore relativa alle aver 100, alle 29
società cioè con un valore superiore ai 100 miliardi di euro; quella inferiore rela-
tiva alle 6 società con un valore compreso fra 90 e 100 miliardi di euro.
Exxon Mobil capeggia la classifica, con altre tre società petrolifere nelle pri-
me otto posizioni e complessivamente sette nelle prime 35. Appie (cfr. paragrafo
1.4), al secondo posto, ha rubato a Microsoft il quasi storico ruolo di società di
maggior valore nell'ambito ICT: un comparto che ha ben tre società nelle top
1Oe otto nelle prime 35. Pure otto sono le società bancario-finanziario-assicura-
tive, tre le minerarie e tre le farmaceutiche. Nestlé, al settimo posto 15, e Coca-
Cola rappresentano rispettivamente i comparti food e beuerages. Generai Electric
è l'unica vera società conglmneraledella lista, in una posizione più arretrata ri-
spetto a un passato che l'aveva vista spesso alternarsi in una delle prime tre posi-
zioni con Exxon Mobil e con Microsoft. Wal-Mart è l'unica società di distribu-
zione e Procter & Gamble (cfr. paragrafo1.1) l'unica nei beni di largo consumo.
Toyota - fatto a prima vista più sorprendente per il contrasto con la classifica
per ricavi - è a sua volta la sola impresa automotoristica fra le prime 35: con
Daimler, Volkswagen e Honda distanziate oltre il novantesimo posto.

Ormai arrivato alla saturazione nei paesi tradizionalmente ricchi,il mercato automotoristico
cresce solo nelle economie emergenti. Il mercato cinese ha superato per dimensione nel
2010 quello statunitense. La concorrenza rimane molto alta: perché le concentrazioni - at-
traverso acquisizioni e/ o fusioni di imprese di dimensione rilevante - sono relativamente ra-
re; perché la più importante di esse sinora effettuata, fra Daimler e Chrysler, si è conclusa nel
2007 con un divorzio, cui hanno fatto seguito nel 2009 il fallimento di Chryslere l'entrata in gi,ocodi
Fiat (cfr. schema 1.4); perché le imprese che falliscono - oltre a Chrysler nel 2009 fallì anche
General Motors, che per decenni era stata l'impresa leader su scala mondiale -vengono in
generale rimessein vita dai loro governi, per il contributo che esse danno al PIL e all'occupa-
zione (diretta e indotta); perché nei mercati nuovi nascono nuovi competitori, che giocando
sul mix protezionismo-bassicostidel lavoro-bassistandard richiestipossono poi crescere in quantità
e qualità e presentarsi sui mercati mondiali.

Rispetto al prospetto precedente, e prescindendo dall'immissione delle so-


cietà bancario-finanziarie-assicurative, il fatto che può colpire di più è la pre-
senza, in posizioni anche elevate, di società viceversa piccolese misurate con il
metro dei ricavi o del numero di addetti. Ma è un fatto che non deve stupire
perché (come detto) il valore che il mercato finanziario attribuisce alla pro-

15. L'utile netto di Nestlé riportato in tabella di 8,8 miliardi di€ è stato ottenuto depurando il
contributo di 18,75 miliardi proveniente dall'operazione straordinaria (discontinuedoperation)
di riacquisto da parte di Novartis del 52% della Alcon detenuto da Nestlé.
44 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

prietà dell'impresa, detenuta dagli azionisti in proporzione alle risorse finan-


ziarie da essi messe in gioco, è legato (cfr. capitow 4) - oltre che al capitale pro-
prio (owero alla quantità complessiva di tali risorse) - alle aspettative di red-
ditività e di crescita e alla connessa capacità attesa di generare nel futuro flus-
si netti di danaro (dividendi al netto degli aumenti di capitale a pagamento e
dei buyback)verso gli azionisti. Il valore può risultare molto differente, in altri
termini, a parità di ricavi:in funzione delle diverse aspettative; in funzione del
diverso ammontare complessivo di capitale di cui l'impresa ha bisogno, sulla
base delle attività che essa decide di svolgere all'interno e dei relativi investi-
menti; in funzione anche del ricorso più o meno elevato all'indebitamento fi-
nanziario (in alternativa al capitale proprio) per la sua copertura e al rischio
addizionale che esso comporta.
Appie ha ad esempio un valore di mercato pari a oltre 3 volte e mezzo i suoi
ricavi e a quasi 16 volte il suo utile annuo. IBM (cfr. schema 2.2) ha un valore
pari a 2 volte i ricavi e a quasi 13 volte l'utile. Microsoft, leader mondiale nel
settore del software, ha un valore pari a 3,2 volte i ricavi e a 1Ovolte l'utile: ma
quattro anni prima aveva multipli rispettivamente pari a 6 e 22.

Negli anni precedenti il grande cambiamento verificatosi nell'ICT mondiale ~(cfr.paragrafo


1.4), Microsoft era evidentemente ritenuta dal mercato finanziario molto appetibile, per le
sue prospettive di redditività e di crescita- dimostratesi realistiche le prime e meno le secon-
de negli anni successivi - e per la sua propensione a restituire agli azionisti, sotto forma di di-
videndi straordinari o di lmyback,i rilevanti cashflow "liberi" generati. Era forte il ricordo del-
la distribuzione ai suoi azionisti nel dicembre 2004 del dividendo straordinario più ricco nel-
la storia del mondo, quasi 33 miliardi di $ (circa 24 miliardi di €), seguito nel 2006 da un lmy-
backdi 19 ,2 miliardi di $ (circa 14 miliardi di €). Il rapporto fra margine operativo netto e ri-
cavi delle sue due principali famiglie di prodotti, leggermente in calo rispetto al passato, era
nel 2006 ancora superiore al 77 per cento per i sistemi operativi (Windows ecc.) e al 70 per
cento per i pacchetti tipo Office.
"Over the past 12 months IBM (dalFinancì,al Timesdel 24.7.2011) has returned more than its
free cash flow of $16bn to shareholders, with buy-backs of $15.3bn and dividends of just
$3.3bn. And it still has $8. 7bn of future buy-backs authorised": più di quanto distribuito da
Microsoft nel 2006. Mentre Apple mantiene la sua politica di contrarietà ai dividendi e ai lmy-
back (cfr. schema5.11).

Lo schema 1.2 mette in luce i profondi cambiamenti nei valori assoluti e relati-
vi delle principali società del mondo intercorsi fra metà 2007 (quando fu pub-
blicata la quarta edizione di questo libro) e metà 2011: cambiamenti in parte
direttamente imputabili alla grande crisi iniziata nel 2008, in parte connessi a
dinamiche geo-politiche e/ o settoriali spesso accelerate dalla crisi. Mette in
luce in particolare come sia diminuito - da 34 a 29 - il numero delle società
over 100, delle società cioè con un valore di almeno 100 miliardi di euro; e co-
me ben 14 delle 34 over 100 del 2007 non lo siano più nel 2011.
La classifica per valore guarda ovviamente, come detto, solo alle società
quotate'.Vi sono però società non quotate che, se valutate con criteri simili a
quelli delle quotate (cfr. appendice1.2), verrebbero a occupare posizioni di ri-
levanza assoluta.
r. L'impresa I 45

Lo dimostra uno studio realizzato da McKinsey per il F'inanrial Times, volto a individuare le top
150 società non quotate su scala mondiale. "[ ...] Private and state companies (dal Financial
Times del 15.12.2006, "Hidden value: how unlisted companies are eclipsing the public equity
market", di Francesco Guerrera) are lagging behind publicly traded companies. McKinsey
estimates that the world's largest non-public 150 companies would be worth a total $7,000bn
(€5,313bn) if they had been listed in 2005 - roughly half the market value of their quoted
counterparts. [...] Twelve of the largest 13 companies are state oil groups from developing
countries. Such government-owned entities contrai three-quarters of the world's oil reserves
[...] ". In una classifica "ricostruita" 16 per il 2007 la società di Stato arabo-saudita Saudi Aram-
eo, con un valore di 593 miliardi di €, sarebbe balzata al primo posto assoluto davanti a Exxon
Mobil. Petr6leos Mexicanos (Pemex) e Petr6leos de Venezuela, con valori rispettivamente di
315 e 295 miliardi di€, si sarebbero collocati immediatamente alle spalle di Exxon Mobile
Kuwait Petroleum Corporation (287) poco lontana. La malese Petroliam Nasional Berhad
(Petronas) e l'algerina Sonatrach, con valmi rispettivamente di 176 e 170 miliardi di€, si sa-
rebbero collocate prima di BP, e la National lranian Oil Company (167) alla pari.

ScH EMA 1.2 - Vincitorie vinti "a cavallodella grandecrisi":


come sono cambiati i valoridelle principalisocietàmondiali

Rileggere a quattro anni di distanza la classifica - sulla base della capitalizzazione di


borsa - delle principali società mondiali aiuta a capire la portata dei cambiamenti av-
venuti in una determinata fase storica: uscendo dalla logica del giornoper giornocon
cui spesso si guarda a questi numeri. Quattro anni possono sembrare pochi, ma non
lo sono se nel frattempo si è verificata una crisi come quella iniziata nel 2008 e se
questa crisi ha accelerato una serie di fenomeni che erano nell'aria ma poco visibili:
quali in primo luogo la forza propulsiva delle economie emergenti rispetto al torpore
(e all'elevato indebitamento) dei paesi ricchi; la nuova importanza delle materie pri-
me (energetiche e minerarie in genere) in un contesto mondiale simile a quello dei
paesi ricchi nella loro fase di crescita; le crepe nel sistema bancario-finanziario-assicu-
rativo, sempre più orientato a organizzare scommesse truccateinvece che assolvere
alla sua funzione sociale di finanziare la crescita e di gestire i rischi; le difficoltà in set-
tori un tempo gloriosi come quello automobilistico o il farmaceutico, di fronte a una
saturazione della domanda il primo e a una difficoltà strutturale di trovare nuovi
blockbusteralla scadenza degli esistenti il secondo; la voglia di aprire una nuova sta-
gione di innovazioni, in parte scardinando gli equilibri costruitisi nel tempo, dell'ICT.
Il confronto proposto è quello fra le liste delle società mondiali top per capitalizzazio-
ne a metà 2011 (cfr. tabella1.2) e a metà 2007 (riportata nella precedente quarta edi-
zione di questo libro).

Il confronto prescinde sia dalle erogazioni dalle società agli azionisti - dividendi ordinari e/o
straordinari e/o buyback- sia dagli aumenti di capitale a pagamento sia dagli eventuali aiuti pub-
blici corrisposti nel frattempo. Esso quindi non vuole né può essere utilizzato per calcolare il valo-
re creatoo distruttofra le due date.

16. La "ricostruzione" è meramente indicativa, in quanto si confrontano dati relativi a momenti


diversi - il 29 giugno 2007 per le quotate citate in questo passaggio del testo e il 31 dicembre
2005 per le non quotate (utilizzando per la conversione da$ a€ lo stesso tasso di cambio cita-
to implicitamente nell'articolo). Ancorché non precisi, i risultati però sono estremamente si-
gnificativi.
46 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

È sceso innanzitutto, da 34 a 29, il numero di società over 100, delle società cioè con
un valore pari ad almeno 100 miliardi di euro.
Vi è stato un notevolissimo ricambio nelle top 10. Sono uscite Citigroup e BP, la prima
per essere rimasta coinvolta nella crisi del sistema bancario statunitense e la seconda
per aver causato con un suo pozzo un rilevantissimo danno ambientale nel Golfo del
Messico: con una caduta del valore, al di sotto della soglia dei go miliardi di euro, che
le ha escluse dal gruppo delle prime 35. È uscita Toyota (-42,8%), pur rimanendo nel-
la fascia bassa (quella fra go e 100 miliardi di euro di valore), a seguito delle difficoltà
della domanda nel settore automobilistico ma anche di errori che ne hanno danneg-
giato l'immagine. Sono uscite Generai Electric (-53,7%), Gazprom (-38,6%) e AT&T
(-30,9%), rimanendo però nelle over100: Generai Electric, in particolare, è stata forte-
mente penalizzata dalla crisi nella sua componente finanziaria GE Capitai. È rimasta
Exxon Mobil, sempre in testa alla classifica, ma con una perdita di valore superiore al
20 per cento. Sono rimaste Microsoft e Royal Dutch Shell, con una perdita di valore
prossima al 30 per cento la prima e un po' superiore al 20 la seconda. È rimasta l&C
Bank of China, con un leggero incremento di valore. Sono entrate Nestlé e I BM, che
già nel 2007 erano nelle over 100, con crescite del valore superiori al 40 per cento la
prima e al 20 la seconda. Sono entrate - tutte con crescite del valore superiori o larga-
mente superiori al 50 per cento - Appie al secondo posto, la cinese Petrochina e la
brasiliana Petrobras (settore petrolifero) al terzo e quinto posto, l'australiana BH P Bil-
liton (settore minerario) al sesto posto.
Sono complessivamente 14 su 34- oltre il 40 per cento - le società che non fanno più
parte delle over100: le quattro con un valore più prossimo a tale soglia (Bank of China,
Vodafone e Total, oltre a Toyota) appaiono nella fascia bassa delle prime 35; le restanti
dieci (Bank of-America, American lnternational Group, Cisco, Roche, GlaxoSmithKli-
ne, Altria, Eni e lntel, oltre a Citigroup e BP) sono uscite dalla lista. Mentre sono nove
le società che entrano a far parte delle over100 (China Construction Bank, Oracle, Va-
le, Coca-Cola e Wells Fargo, oltre a Appie, Petrochina, Petrobras e BHP Billiton), due
delle quali nell'ICT, due nel comparto bancario, due nel petrolifero, due nel minerario
e una nel beverage.

Le ragioni dell'uscita sono varie. Bank of America soffre, come Citibank, della crisi del settore
bancario-finanziario-assicurativo; così c~me American lnternational Group, nel 2007 leader
mondiale nelle assicurazioni, salvata dal fallimento dall'intervento pubblico. La svizzera Roche
e l'inglese GlaxoSmithKline, due delle più famose società farmaceutic_he del mondo, soffrono
come visto della difficoltà di trovare nuovi prodotti di successo in sostituzione di quelli per cui
scade il brevetto. La statunitense Cisco soffre della crescente conco.~renza, e della guerra dei
prezzi, nei suoi comparti di forza tradizionali legati a Internet, nonché della difficoltà di trova-
re nuovi comparti con margini elevati. L'altra statunitense, lntel, regina nei microprocessori
per PC, dell'errore strategico di non aver compreso per tempo le potenzialità di crescita degli
smartphone e dei tablet, lasciando crescere nuovi concorrenti in questi ambiti. E la nostra Eni,
come si vedrà nel seguito, subisce cali di valore molto più elevati che gli altri grandi gruppi pe-
troliferi: per difficoltà tecniche e conseguenti ritardi nello sfruttamento dei giacimenti di Ka-
shagan (Kazakistan), che hanno permesso ad altri gruppi concorrenti di acquisire quote e
posizioni di controllo; per difficoltà di ordine soprattutto politico, in paesi come la Libia e la
Nigeria.
1. L'impresa I 47

1.5.2 I principaligruppie societàitaliane

La tabel/,a1.3 17 riporta i dati fondamentali dei top 27 gruppi e delle top 6 hol-
ding di partecipazioniper ricavi- almeno 4 miliardi di euro nel 2010- operanti
in Italia nell'industria e nei servizi.

Sono presi in considerazione i gruppi e società con sede legale in Italia o comunque con
azionariato italiano, a esclusione di quelli bancario-finanziario-assicurativi riportati nella ta-
bellal .4. Sono riportate (in modo graficamente differenziato) nell'elenco anche le società
che a nostro avviso possono essere classificate con1e hol,dingdi partecipazioni:come società
cioè che hanno quale ruolo prevalente quello di detenere i pacchetti azionari delle società
industriali e di servizi controllate (o semplicemente partecipate) senza entrarne direttamen-
te nella gestione. Sono esclusi dall'elenco i gruppi facenti parte di gruppi più grandi riporta-
ti nell'elenco stesso (che non abbiano il carattere di hol,dingdi partecipazioni),e viceversa in-
clusi quelli appartenenti a gruppi a base estera (con l'esclusione delle filiali meramente
commerciali dei gruppi petroliferi e automobilistici) .
...
E una realtà, quella dei principali gruppi del nostro paese, in cui sono assai po-
chi (come visto) i gruppi giudicabili come grandi su scala internazionale - Eni,
Enel e Telecom Italia (cfr. schema1.3), Fiat e Fiat Industriai (cfr. schema1.4), Po-
ste Italiane 18 e Finmeccanica - ed è assai elevata la distanza fra i top 7 e gli altri. È
una realtà in cui hanno un ruolo molto forte i servizi infrastrutturali (energia,
telecomunicazioni, poste e trasporti), destinati in misura ampia (anche se fortu-
natamente minore che nel passato) o talora prevalente al mercato nazionale, in
cui risultano coinvolti ben sei dei primi dodici gruppi: Eni,
...
Enel, Telecom Italia,
Poste Italiane, Edison e Ferrovie dello Stato Italiane. E una realtà (cfr. schema
1.5) ancora dominata dai gruppi un tempo pubblici o tuttora pubblici.
Fiat rimane il principale gruppo industrial,edel paese, seguito da Fiat Indu-
striai e da Finmeccanica: società quest'ultima che opera principalmente nei
sistemi di difesa - owero negli armamenti - e che è cresciuta sensibilmente
prima della crisi con una strategia di importanti acquisizioni all'estero (vitali
per le commesse). Sono tre gruppi multinazionali nel senso più proprio del
termine, perché vendono all'estero una parte consistente del loro output e
perché all'estero sono basate molte delle loro attività di produzione e di R&D,
oltre ovviamente a quelle commerciali. Spendono cifre consistenti in R&D:
Finmeccanica (cfr. schema 2.24), 1,93 miliardi di euro, primo fra i gruppi ita-
liani e sedicesimo fra gli europei, e le due Fiatante-scorporo, 1,62 miliardi.

17. I dati presenti nella tabella e discussi nel testo sono tratti dai bilanci consolidati dei diversi
gruppi o comunque da informazioni riportate nei siti dei gruppi. Sono approssimati per di-
fetto, in assenza di informazioni aggiornate, i dati relativi ad alcune hol,ding.più specificamen-
te il consolidato Exor è stato posto pari a quello Fiat ante-scissione, il consolidato Techint è sta-
to calcolato sommando i dati delle principali società controllate; il consolidato Edizione è sta-
to calcolato come somma dei consolidati di Benetton Group, Autogrill e Atlantia (con una
forte sottostima degli addetti per la non inclusione delle attività agricole).
18. L'inclusione di Poste Italiane fra le società industriali e di servizi è giustificata per quanto con-
cerne i servizi postali (5,1 miliardi di€ sui complessivi 19,6 di ricavi, proventi e premi assicu-
rativi), mentre lo è meno per i servizi finanziari (4,7) e assicurativi (9,5).
48 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

TABELLA 1.3 - I principaligruppiindustriali


e di servizioperantiin Italia''.-

Gruppo Ricavi Utile Addetti


mld€ mld€ Migliaia

Eni 98,52 6,32 79,9


Enel 73,38 4,39 76,6
Exor(Agnelli) 56,30 0,60 201,4
Fiat 35,90 0,20 137,8
Telecom Italia 27,57 3,12 84,1
Poste Italiane 21,83 1,02 149,7
Fiat Industriai 21,30 0,40 63,6
Fin meccanica 18,70 0,56 74,5
Techint(Rocca) 13,30 n.d. n.d.
Edizione(Benetton) 11,95 n.d. 29,5
Edison 11,08 0,20 3,9
STM icroelectronics 10,35 0,83 53,3
Saras 8,62 -0,04 2,3
Vodafone Italia (Vodafone) 8,76 n.d. 7,9
Ferrovie dello Stato Italiane 8,06 0,13 80,2
Erg 7,90 0,04 0,7
Riva Fire 7,79 -0,07 21,9
Ferrero 6,60 n.d. 21,7
Supermarkets italiani 6,20 0,24 19,3
A2A 6,04 0,31 12,1
Autogrill (Edizione) 5,70 0,10 J 1,5
Fininvest(Berlusconi) 5,90 O,16 9,9
Wind (Vimpe/com) 5,90 -0,25 6,9
Tenaris (Techint) 5,82 0,85 25,4
Luxottica 5,80 0,41 62,0
Pirelli&C 4,85 0,01 29,6
Cofide(DeBenedett9 4,81 0,02 12,9
ltalcementi 4,79 0,20 20,7
Prysmian 4,57 0,15 22,0
De Agostini(Boro/i-Drago) 4,32 -0,56 n.d.
Parmalat (Lactalis) 4,30 0,28 13,9
Mediaset (Fininvest) 4,29 0,35 6,2
Barilla 4,03 0,03 15,0

* Le top 6 holdingdi partecipazionisono evidenziate completamente in corsivo (tra parentesi l'indicazione del-
la famiglia che ne detiene il controllo). Per i top 27 gruppiè indicata fra parentesi l'eventuale appartenenza a
una holdingo a un gruppo estero: in corsivo nel secondo caso.

L'unico altro gruppo realmente focalizzato sulle tecnowgi,eavanzate è STMi-


croelectronics, che spende in R&D 1,55 miliardi di euro.

"STMicroelectronics is an independent semiconductor company (dal Portfoliodel Financial


Times) that designs, develops, manufactures and markets a range of semiconductor products
used in a variety of microelectronic applications, including automotive products, computer
peripherals, telecommunications systems, consumer products, industriai automation and
contro} systems".

Possono essere definiti come multinazionali a baseitaliana, operanti però in com-


parti più tradizionali,sette gruppi a controllo prevalentemente o completamen-
te familiare - Ferrero, Luxottica, Tenaris, Autogrill, Pirelli, Italcementi e Barilla
- e uno, Prysmian, viceversa assimilabile a una public companystatunitense.
I. L'impresa I 49

Ha una presenza consistente e-radicata in molti paesi europei ed è cresciuto


esclusivamente per via organica (cioè attraverso investimenti diretti e non acqui-
sizioni) il gruppo Ferrero, integralmente posseduto dalla famiglia omonima.

(da The Wall Street]aurnal, "Globaldata company profiles") "Ferrero offers a large portfolio of
products under world renowned brands. The key products include Ferrero Rocher, Raffael-
lo, Mon Chéri, Nutella, Kinder Surprise, Kinder Chocolate, Kinder Bueno, Kinder Pingui
and Tic Tac. It takes pride in being one of the world's largest chocolate producers, making
treats such as chocolates and its origina! product, the chocolate-hazelnut spread, Nutella.
The key strength of the company is the leading market presence and global network. Apart
from domestic market, the company has presence in international markets across Europe,
Asia, Australia and Americas. [ ...] The company operates more than seventy affiliates in mo-
re than one hundred countries worldwide, which includes 38 business units, 15 production
plants and three social enterprises".

Fa capo a Edizione, l' hoùting della famiglia Benetton, Autogrill: privatizzata


nel 1995, quotata nel 1997 e cresciuta poi attraverso una serie di acquisizioni
su scala internazionale, opera nella ristorazione (nei canali della mobilità ae-
rea, stradale e ferroviaria) e nel retail aeroportuale in 37 diversi paesi.

(dal sito www.edizione.it) "Edizione è una tra le maggiori holding di partecipazioni italiane,
con investimenti nei seguenti principali settori - tessile e abbigliamento, ristorazione e retail
autostradale e aeroportuale, infrastrutture e servizi per la mobilità - che fanno capo rispetti-
vamente a Benetton Group [2,05 miliardi di€ di ricavi e quasi 8 mila dipendenti], Autogrill
e Sintonia, che a sua volta è l'azionista di riferimento di Atlantia [ex-Autostrade, 3,71 miliar-
di di€ di ricavi e più di 10 mila dipendenti]. È presente anche in attività immobiliari e agri-
cole, diverse da quelle direttamente detenute dalle società sopra. citate, nel mondo dello
sport. Edizione non è quotata ed è interamente controllata dalla famiglia Benetton".

È leader mondiale nell'occhialeria di fascia alta il gruppo Luxottica, facente


capo al suo fondatore Leonardo Del Vecchio (cfr. schema 2.5).
È cresciuto sfruttando le privatizzazioni e opera nel settore dell'acciaio -
con una presenza molto importante in Argentina ove è nato e in Messico (ol-
tre che in Italia) - il gruppo Tenaris, facente capo al gruppo Techint della fa-
miglia Rocca.

(da The Wall StreetJaurna~ "Globaldata company profiles") ''The Techint group is a diversi-
fied company, operating more than hundred companies. The group is engaged in steel mak-
ing; building of complex infrastructures; oil and gas exploration; production and designing
and assembling industriai plants; and selected public services. It also operates and manages
hospitals in Italy. The group operates six group companies, namely, Tenaris, leading supplier
of tubes and related services; Ternium [4,37 miliardi di€ di capitalizzazione di borsa e 5,53
miliardi di ricavi nel 2010], supplier of flat and long steel products; Techint Engineering and
Construction [circa 1 miliardo di€ di ricavi], specialist in design and construction of oil and
gas facilities, petrochemical plants, power plants and many others; Tenova [circa 1 miliardo
di € di ricavi], provider of leading technologies and capi tal goods for metal and mining;
Tecpetrol, involved in oil and gas exploration; and Humanitas, supplier of health services in
Italy. The group along with its subsidiaries operates in 38 countries".
I ricavi consolidati di 13,3 miliardi _di€ riportati nella tabella J.Jrappresentano una stima per
difetto, sulla base dei dati disponibili.
50 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Pirelli, il gruppo più antico per nascita e più agi,tatocome storia recente - per
l'acquisizione del controllo e poi l'uscita da Telecom Italia, l'uscita dal settore
dei cavi (ora Prysmian), l'entrata e poi l'uscita dal real estate- ha come azioni-
sta di riferimento Marco Tronchetti Provera e conserva la sua anima tradizio-
nalmente multinaziona/,enei pneumatici.
(da The Wall Streetjournal, "Globaldata company profiles") "Pirelli Tyre operates 19 plants in
11 countries throughout the world (Argentina, Brazil, China, Egypt, Germany, Uniteci King-
dom, Italy, Romania, Turkey, Uniteci States and Venezuela), and a commercial network that
covers over 160 companies. [...] During the fiscal year 2009, the Italy segment contributed
9% of the total revenue, followed by Rest of Europe (33%), North America (8%), Centrai
and South America (34%) and Africa, Asia and Pacific (16%) ".

Italcementi, cresciuta internazionalmente anche attraverso l'ormai storica ac-


quisizione del controllo di Cimen __ts Français, è una delle società leader mon-
diali nel comparto del cemento. E controllata da ltalmobiliare, facente capo
alla famiglia Pesenti, con più del 60 per cento delle azioni.

(da 17zeWall StreetJournal, "Globaldata company profiles") "Italcementi is engaged in the


production and distribution of cement and cement relateci products across the world. The
company has a wide geographical presence in approximately 22 countries, which enhances
its competitive position and provides flexibility to its cost structure. The environmental ma-
nagement systems of Italcementi increase its brand value and flexibility in the backdrop of
growing safety regulations in cement manufacturing industry. [...] Italcementi has reinfor-
ced its presence in main geographical clusters, namely, Middle East region, North America,
and India, through greenfield/brownfield, acquisitions and vertical integration. The com-
pany has set up new lines in India, Morocco, Bulgaria, and North America. [...] Italcementi,
under its growth strategy, has also increased its presence in emerging markets through part-
nerships and joint ventures in the region".

Il gruppo Barilla, integralmente posseduto dalla famiglia omonima, è leader


mondiale nel settore della pasta e leader italiano nei prodotti da forno.

"Barilla (da www.barillagroup.com) is one of the top Italian food groups: a leader in the pas-
ta business worldwide, in the pasta sauces business in continental Europe, in the bakery
products business in Italy and in the crispbread business in Scandinavia. [ ...] Barilla owns 49
production facili ties ( 14 in I taly and 35 outside I taly). Barill 4 exports to more than 150 coun-
tries, with the brands Barilla, Mulino Bianco, Voiello, Pavesi, Wasa, Harry's _(France and Rus-
sia), Lieken Urkorn and Golden Toast (Germany), Alixir, Academia Barilla, Misko (Greece),
Filiz (Turkey), Vernina and Vesta (Mexico)". Ha accresciuto nel 2010 la sua leadership nella
pasta negli U__SA, con il 29 per cento della quota in valore. Con Lieken è leader nel bread mar-
ket tedesco. E stato riconosciuto nel 2010 dal Reputation Institute "the 19th most reputable
company in the world and the most reputable company in Italy''.

Prysmian, la ex Pirelli Cavi, è primo al mondo per ricavi e per capitalizzazione


nel suo comparto, dopo l'acquisizione a inizio 2011 dell'olandese Draka che le
ha permesso di superare il gruppo francese Nexan, suo principale concorrente.

"Le~der mondial_e (da ~-prysmian.it) nel settore dei cavi e sistemi ad elevata tecnologia
per 11trasporto d1 energia e per le telecomunicazioni, con ricavi pari a circa 7 miliardi di eu-
I. L'impresa I Sl

ro (pro-forma 2010 Prysmian/Draka) il Gruppo Prysn1ian è una realtà di dimensioni globa-


li presente in 50 paesi con 98 stabilimenti, 7 centri di R&S e 22.000 dipendenti [...] ".

Hanno una presenza internazionale significativa anche alcune delle imprese


- nella fattispecie De Agostini operante nell'editoria e Lottomatica (dopo
l'acquisizione della statunitense GTech nel 2006) - della holding De Agostini
della famiglia Boroli-Drago (cfr. paragrafo 5.3): presente anche con DeA Capi-
tal nel private equity e detentore di una quota significativa di Generali.
Prevalentemente orientato al mercato interno (due terzi dei ricavi) appare
invece il gruppo Riva Fire, leader in Italia nell'acciaio, integralmente posse-
duto dalla famiglia omonima. Così come i gruppi Saras (operante nella raffi-
nazione del petrolio e facente capo alla famiglia Moratti), Erg (operante nella
distribuzione al dettaglio oltre che nella raffinazione e facente capo alla fami-
glia Garrone) e Supermarkets Italiani (operante nella grande distribuzione
con il marchio Esselunga e di proprietà della famiglia Caprotti), che hanno
una presenza internazionale nulla o comunque poco significativa.

Non compare fra i top27Coop, leader nella grande distribuzione - con oltre 56 mila addetti
- davanti a Supermarkets Italiani, che si collocherebbe in ottava posizione, alle spalle di Fin-
meccanica, avendo avuto nel 2010 ricavi complessivamente pari a 12,9 miliardi di€. L'ano-
malia consiste nel fatto che Coop non ha una forma giuridica unitaria - anche se opera con
una logica di fondo unitaria e un marchio unitario e si avvale di Coop Italia per la gestione di
una parte rilevante degli approvvigionamenti e dei servizi comuni - ma si configura come
un sistema di cooperative di consumatori: oltre cento, con nove però che realizzano più del
90 per cento dei ricavi complessivi.

Prevalentemente rivolte al mercato interno sono anche le imprese facenti ca-


po alla holding Cofide della famiglia De Benedetti: Sorgenia (energia elettrica
e gas naturale, 2,67 miliardi di€ di ricavi), Espresso ( media, 0,89 miliardi), So-
gefi (componentistica per autoveicoli, 0,92 miliardi) e Kos (sanità, 0,32 mi-
liardi) le principali.
Un po' più internazionale è Mediaset, che ha come principale azionista -
con una quota del 39 per cento circa - la holding Fininvest di proprietà della
famiglia Berlusconi, che controlla anche Mondadori e (pariteticamente con
la famiglia Doris) Mediolanum.

Mediaset è l'azionista di maggioranza - con il 50,5 per cento - di Mediaset Espaiia Comu-
nicaci6n (909,2 milioni di€ di ricavi), che opera prevalentemente in Spagna con il brandTe-
lecinco.

Due dei top27 gruppi sono di proprietà estera, essendo divenuti tali a seguito di
acquisizioni e successivi passaggi di proprietà più o meno lontane nel tempo: Vo-
dafone Italia (facente capo all'omonimo gruppo a base inglese) e Wind Teleco-
municazioni (facente capo al gruppo a base egiziana Sawiris confluito nel grup-
po a base russa Vimpelcom), ambedue operatori telecom. E un terzo, Parmalat,
è passato sotto il controllo del gruppo alimentare francese Lactalis - rafforzan-
done ulteriormente la presenza in Italia e la leadership mondiale - a metà 2011.
52 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

"Con il successo dell'OPA-Offerta Pubblica di acquisto su Parmalat, il gruppo francese Lac-


talis - integralmente posseduto dalla famiglia Besnier - è diventato leader mondiale dei latti-
cini (da Il So/,e24 Oredel 8.7.2011, "Parmalat va ai francesi. Lactalis conquista 1'83%", di Si-
mone Filippetti) con un giro d'affari di 14,7 miliardi di euro realizzato in 35 paesi del mon-
do e con circa 50 mila dipendenti, davanti alla multinazionale Nestlé e alla francese Danone
[...] ". Lactalis in Italia controllava già Galbani e le società con i marchi Invernizzi, Cademar-
tori, Locatelli e il marchio storico del gruppo Président.

Due gruppi, Edison e ST Microelectronics, l'uno operante nel comparto


energetico e l'altro nella microelettronica, sono a controllo paritetico italo-
francese: Edison a seguito di un ca1nbiamento di proprietà, ST Microelectro-
nics come risultato di una fusione fra una società italiana e una francese.

Edison è in una fase di transizione al momento del licenziamento di questo testo, che po-
trebbe preludere all'assunzione del pieno controllo da parte del gruppo elettrico francese
EDF - tra i principali al mondo - che ne ha una quota superiore al 50 per cento, ma che è
stato costretto dal governo italiano a condividere pariteticamente la govemance con un grup-
po di soci italiani (di cui A2A è il più importante): in contropartita verrebbe smembrata Edi-
power, che Edison controlla al 50 per cento, e suddivise le sue centrali.

A conclusione di questa sintetica presentazione dei principali gruppi indu-


striali e di servizi operanti in Italia, si possono fornire ulteriori-informazioni
sulle profonde differenze che essi- da diversi punti di vista-presentano.
Il primo confronto, significativo per evidenziare il grado di internazionaliz-
zazione (soprattutto in relazione alla dislocazione delle attività produttive), ri-
guarda il rapporto fra addetti all'estero e in Italia. Pirelli, Luxottica e Parma-
lat, con più di 5 addetti all'estero per ogni addetto in Italia, sono in testa alla
classifica compilata da R&S-Mediobanca ("Indagine sulle multinazionali 2000-
2011 "). Seguono Italcementi e Prysmian, che ne hanno più di 4. Barilla ne ha
più di 2, Fiatante-scissione 1,4 (cifra destinata a cambiare con il consolida-
mento di Chrysler), Eni poco più di 1 e Finmeccanica solamente O,7.
Il secondo confronto (cfr. schema 1. 6) riguarda invece i fabbisogni di capita/,e
- proprio o preso a prestito - in relazione al giro d'affari e il grado di indebita-
mentofinanziario.

ScH EMA 1.3 - Eni, Enele Telecomltalia19

11profiloche Eni offre di se stessa su www.eni.com: "Eni opera nelle attività del petrolio e
del gas naturale, della generazione e commercializzazione di energia elettrica, della pe-
trolchimica e dell'ingegneria e costruzioni, in cui vanta competenze di eccellenza e forti
posizioni di mercato a livello internazionale. Ogni azione è caratterizzata dal forte impe-
gno per lo sviluppo sostenibile: valorizzare le persone, contribuire allo sviluppo e al be-

19. Le quote ~i prop~ietà azionaria cui si fa riferimento in questo e nel prossimo schema sono
tratte dal sito ufficiale della Consob (www.consob.it) e riferite a metà 2011. ,
1. L'impresa I 53

nessere delle comunità nelle quali opera, rispettare l'ambiente, investire nell'innovazio-
ne tecnica, perseguire l'efficienza energetica e mitigare i rischi del cambiamento climati-
co. Eni è presente in 79 paesi con circa 80 mila dipendenti". E il profilonel Portfolio
del Fi-
nancialTimes:"Eni is engaged in the oil and gas exploration and production, gas marke-
ting operations, management of gas infrastructures, power generation, petrochemicals,
oil fìeld services and engineering industries. Eni has operations in 79 countries. The
Company segments include Exploration & Production, Gas & Power, Refìning & Marke-
ting, Engineering & Construction, Petrochemicals and other activities [...]".

Eni è controllata dallo Stato - direttamente per il 3,9 per cento dal Ministero dell'Economia e delle
Finanze e indirettamente attraverso la Cassa Depositi e Prestiti per il 26,4 per cento - e possiede
azioni proprie per il 7,5 per cento. Controlla a sua volta due società anch'esse quotate e di valore di
mercato consistente (cfr. tabella 1.5): Saipem (ingegneria e costruzioni) con una quota pari al
42,93 per cento e Snam Rete Gas con una quota pari al 50,031 per cento.
Da vari anni essa ha preso il posto che storicamente era di Fiat come società leader - fra quelle a
base italiana - sia per ricavi sia per valore di mercato. Ha perso però, fra la metà del 2007 e la metà
del 2011, il 37 per cento della sua capitalizzazione di borsa (cfr. schema 1.6): quasi il doppio rispet-
to a Exxon Mobile a Royal Dutch Shell.

Il profilodi Enel su www.enel.it: "Siamo la più grande azienda elettrica italiana, con
una capacità installata di circa 40-400 MW e una produzione di 84 TWh. Con quasi 30
milioni di clienti, contribuiamo in modo determinante al fabbisogno energetico del
Paese e alla sua crescita. Dal 2006 siamo anche il secondo operatore nazic;malenel
settore del gas. ~ambiente, la lotta ai cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile
sono fattori strategici nell'esercizio delle nostre attività e nel consolidamento della no-
stra leadership nel mercato dell'energia". E sul FinancialTimes:"Enel is an electricity
operator in ltaly. The Company produces, distributes, and sells electricity and natural
gas across Europe, Russia, North America and Latin America. The Company operates
a range of hydroelectric, thermoelectric, nuclear, geothermal, wind-power, photovol-
taic and biomass power stations. The Company has presence in 40 countries with
over 97,000 megawatt of generating capacity and serves over 61 million power and
gas customers. Enel operates in ltaly, Bulgaria, Canada, France, Greece, Guatemala,
Mexico, Panama, Romania, Russia, Slovakia, Spain and in the United States, Latin
America and Portugal among others. [...]"

Enel è controllata direttamente dallo Stato, più specificamente dal Ministero dell'Economia e
delle Finanze, con una quota del 31,2 per cento. Ha quotato nel 2011 Enel Green Power, la sua
componente operante nelle energie rinnovabili, per ridurre il debito gonfiatosi con l'acquisizio-
ne della spagnola Endesa: mantenendone però una quota pari al 69,171 per cento. È quello tra i
grandi gruppi (cfr. schema 1.7) che ha perso meno - fra metà 2007 e metà 2011 - in termini di
capitalizzazione di borsa.

Il profilodi Telecom Italia su www.telecomitalia.com: "Telecom Italia offre infrastrutture e


piattaforme tecnologiche - su cui voce e dati si trasformano in servizi di telecomunica-
zioni avanzati - e soluzioni ICT e Media all'avanguardia. Tali servizi si configurano co-
stantemente quali strumenti di crescita ed evoluzione non solo per il gruppo ma per l'in-
tero sistema Paese.Telecom Italia, TIM, Virgilio, La7 e MTV Italia, Olivetti sono i princi-
pali marchi del Gruppo, icone familiari ai consumatori e garanzia di affidabilità e compe-
54 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

tenza. Attenzione al cliente e innovazione tecnologica sono le parole chiave che guidano
le attività del gruppo [...]. I mercati strategici in cui il gruppo opera sono Italia, Brasile e
Argentina. [...)". E sul FinancialTimes:"Telecom Italia is an ltaly-based company that
operates in the telecommunications sector. lt provides fìxed and mobile telephony, In-
ternet, media and news services through fìxed and mobile telephones, persona! compu-
ters, and television terminals. The Company has the following operating segments: Do-
mestic Business (domestic operations for voice and data services on fìxed and mobile
networks for fìnal customers and other operators); Brazil Business (TIM Brasil and lnte-
lig); Argentina Business (Telecom Argentina and Telecom Persona!); Media Business
Unit (television network operations and management); Olivetti Business Unit (manu-
facturing operations for digitai printing systems, office products and other operations)".

Telecom Italia ha come azionista di riferimento Telco, con una quota del 22,44 per cento. Telco, co-
stituita appositamente per questo ruolo, ha come azionisti Telef-6nica- l'operatore telecom spa-
gnolo fra i maggiori al mondo- con il 46,18 per cento, Generali con il 30,58, Intesa Sanpaolo e Me-
diobanca con 1'11,62ciascuno. Telecom Italia possiede il 77,7 per cento di Telecom Italia Media, an-
ch'essa quotata.

ScH EMA 1.4 - Fiat

"[ ...] At the beginning of 2005, the ltalian company was widely believed to be heading
towards bankruptcy [...)". Così scriveva il FinancialTimes ("Fiat awarded investment
grade rating", di Adrian Michaels, 19.6.2007), nel dar notizia del ritorno dopo ben
quattro anni - nella valutazione di una delle principali agenzie modiali di rating- del
debito di Fiat nell'area investmentgrade.E il giorno dopo, in un altro articolo ("Fiat to
develop Truck Engines with DaimlerChrysler", di John Reed e Adrian Michaels): "[ ...]
The ltalian industriai group has been rescued from fìnancial perii by a restructured ba-
lance sheet, new management and a focus on a number of alliances with companies
including Ford, Peugeot, Tata, Suzuki and Severstal [...]".

Che Fiat attraversasse un momento storico molto critico per la sua stessa soprawivenza rappre-
sentava una convinzione largamente diffusa. Nella terza edizione di questo testo, licenziata in quel
periodo (luglio 2005), si diceva: "Attraversa una fase di forte travaglio il gruppo Fiat, storicamente
il più importante e il politicamente più influente dei gruppi italiani, fondato più di un secolo orso-
no dalla famiglia Agnelli e tuttora avente nella famiglia - che ne controlla il 30 per cento circa attra-
verso la catena lfì-lfìl - l'azionista di riferimento. Il travaglio è legato soprattutto alla crisi di Fiat Au-
to, che ha visto scendere drammaticamente la sua quota di mercato in Italia e in Europa e che è in-
corsa in perdite di consistenza tale da mettere a repentaglio la stessa soprawivenza del gruppo". E
sulla stampa:"[ ...] Da 15anni a questa parte, il feeling della Fiat con il mercato è andato via via af-
fievolendosi (da La Repubblicadel 7.6.2005, "Errori, flop e occasioni mancate: perse per strada
75omila auto"), spingendo pericolosamente la società verso la periferia del mondo dell'auto: Fiat
nel 'go, con il 13,6 per cento delle vendite europee (e quasi il 50 per cento in Italia), lottava gomito
a gomito per la maglia rosa del continente con Vw, Ford e Gm. Oggi[ ...] la sua quota è ridimensio-
nata a un risicatissimo 6,4 per cento (il 27,9 per cento in Italia). Lo scivolone è ancora più evidente
leggendo a distanza di anni la hit parade delle quattroruote. Nel '95 Fiat era il quinto produttore
mondiale con 2,35 milioni di auto dietro Gm, Ford, Toyota e Vw. Ora arranca in undicesima posi-
r. L'impresa I 55

zione. Sorpassata anche da Hyundai, Peugeot, Honda, Nissan, Renault e DaimlerChrysler. Non
solo: mentre il mercato è cresciuto di volumi (nel 2004 al mondo sono stati prodotti 43,6 milioni
di auto contro i 35,4 del '95) dalle fabbriche Fiat escono oggi 1,6 milioni di vetture, il 30 per cento in
meno di 10 anni fa, addirittura 900 mila in meno del '97 [...)".

Quello che sembrava essere il turnarounddefinitivo del gruppo era oggetto di esalta-
zione, all'esterno e ancor più all'interno del gruppo."[ ...] 'Oggi Fiat è un'azienda che ha
più che quadruplicato la capitalizzazione di borsa e vale più di Gm e Ford messe assie-
me' (da La Repubblicadel 12.5.2007, "Un acquisto importante entro il 2010: Fiat vuole
competere con Toyota", di Salvatore Tropea). Sergio Marchionne [amministratore dele-
gato del gruppo], con un sostanziale aggiustamento di rotta, annuncia il passaggio de-
ciso dalla fase di risanamento e rilancio della Fiat alla stagione dello shopping, annun-
ciando entro il 2010 un'acquisizione e disegnando una Fiat lanciata verso un modello
che è quello del numero uno del mondo. 'Puntiamo a raggiungere la prima della clas-
se, owero Toyota'. Un traguardo impossibile appena due anni fa e che oggi Marchion-
ne propone dopo aver messo in programma il raggiungimento nel 2010 di ricavi per 70
miliardi contro i 51,8 attuali e di un risultato operativo di 5 miliardi, pari a 100 volte quel-
lo del 2004 che era appunto di 50 milioni [...]". La situazione sembrava cambiata così
tanto da far affermare a Mario Deaglio, nel suo rapporto Einaudi-Lazard 2007 20 , che
una parte significativa della crescita dell'1,9% del PIL italiano nel 2006 poteva essere
attribuita al rilancio di Fiat, tenendo conto dell'impatto di tale rilancio sia a monte
(componentistica) sia a valle (credito al consumo, assicurazioni ecc.).
li sognodi Marchionne riceve un duro colpo dalla crisi del mercato dell'auto, innesca-
ta negli Stati Uniti dalla fiammata nel prezzo del petrolio ed estesasi poi a tutta la par-
te ricca del mondo - nonostante i corposi incentivi statali all'acquisto - con la grande
crisiiniziata nel 2008. I ricavi 2010 sono un po' inferiori ai 60 miliardi, l'utile netto è
prossimo ai 650 milioni, Toyota (anche se un po' azzoppata dai suoi errori) è ancora
molto lontana e combatte per la leadershipcon Volkswagen e la risuscitata Generai
Motors, ma a una promessa Marchionne non manca di fare onore: quella di fare
un'importante acquisizione. L!acquisizione, un po' rocambolesca,è quella di Chrysler:
il terzo gruppo automobilistico statunitense, controllato da un fondo di privateequity
dopo l'insuccesso della fusione con la tedesca Daimler, che fallisce, viene salvato dal-
l'intervento pubblico e viene affidato alla gestione di Fiat - insieme con una quota
azionaria e l'opzione di acquisire la maggioranza assoluta a fronte del raggiungimen-
to di determinati obiettivi - in cambio della disponibilità delle tecnologie Fiata favore
dei bassi consumi e del ridotto inquinamento ambientale.

"[ ...] Chrysler must present a pian showing how it intends to be viable (da The Wa/1StreetJournal
del 3.2.2009, "Fiat races U.S. deadline to set deal with Chrysler", di John D. Stoll e Jeff Bennett).
The Fiat pact is a key part of the effort. [...] Under the deaI, Fiat will end up with at least a 35% stake
in Chrysler in exchange for helping revitalize the U.S. car maker. Mr. Marchionne said Fiat will
provide technology and engineering for the U.S. company to make small cars that would meet
coming strider federai fuel-economy standards. Such know-how would cost Chrysler $3 billion or
more to develop, he said. Fiat also would help the company operationally, he said. Mr. Marchionne

20. XII Rapporto sull'economia gwbale e l1talia, promosso dal Centro Einaudi e da Lazard e pubbli-
cato da Guerini e Associati.
56 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

is credited with helping turna round Fiat after taking the CEO job in 2004. For Fiat, the alliance is a
'lottery ticket' that could be worth nothing if Chrysler doesn't recover, he added [...]".

"Fiat SpA's strength in fuel effìciency is its biggest bargaining chip as it negotiates a stake in
Chrysler LLC (da The Wa/1StreetJournal del 7.4.2009, "Fiat in strong position", di Jennifer Clark).
The ltalian auto maker's fuel systems offer Chrysler access to something it hasn't had in years: cut-
ting-edge technology. The U.S. government's pian to let states set their own fuel-effìciency rules
could make fuel effìciency and emissions levels more important. [...] Until recently, the quickest
way for auto makers to improve emissions was to pursue diesel technology, because it is more
effìcient. But the European Parliament has tightened emissions standards of nitrogen oxide, mak-
ing it more expensive to produce diesel engines that meet those standards. That means European
manufacturers are focusing more and more on wringing greater effìciency from gasoline-powered
engines. European auto makers such as Fiat, Volkswagen AG, PSA Peugeot-Citroen SA and others
are at the forefront of making gasoline engines smaller and cleaner, which gives them a big advan-
tage over other car companies. [...] Fiat future strategy depends on innovations such as its MultiAir
engine technology, which reduces engine waste and boosts fuel effìciency by 10%. MultiAir-pow-
ered and downsized engines could achieve fuel economy of up to 25% [...]".

In vista dell'acquisizione del controllo di Chrysler, Fiat decide di dividersi in due a par-
tire dal 1° gennaio 2011, scorporando Fiat Industriai. Azionista di riferimento per am-
bedue le società rimane, come detto, la famiglia Agnelli attraverso la Giovanni Agnelli
& C. sapa (società in accomandita per azioni), che possiede il 52,664 per cento di
Exor,società quotata che a sua volta possiede il 30,417 per cento di Fiat Industriai e il
30,419 per cento di Fiat.

"Fiat SpA (dalla descrizione delle società nel Portfoliodel FinancialTimes) aesigns, produces and
sells cars under the Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Fiat Professional, Abarth, Ferrari and Maserati
brands. In additi on, it also operates in the car components sector through Magneti Marelli, Teksid
and Fiat Powertrain Technologies and in the production systems sector through Comau. Fiat SpA
is also active in the publishing sector through Editrice La Stampa SpA and in the reselling of adver-
tisement space through Publikompass SpA. The subsidiaries of Fiat SpA include, among others,
Maserati SpA, Fiatgroup Automobilies SpA, Ferrari SpA, Fiat Powertrain Technologies SpA, Mag-
neti Marelli SpA, Teksid SpA, Comau SpA and !tedi-Italiana Edizioni SpA.
Fiat Industriai SpA designs, products and sells trucks, commerciai vehicles, buses, special vehi-
cles, tractors, and agricultural and construction equipment, in addition to engines and trans-
missions for those vehicles and engines for marine applications. Fiàt Industriai SpA markets its
products worldwide under the brands: Case, Case IH, New Holland Agriculture, New Holland
Construction, Steyr and Kobelco for agricultural and construction Equipment; lveco, Astra, lrisbus
and Magirus for trucks and commerciai vehicles and FPT Industriai for powertrain technologies".

I dati proforma 2010 forniti al momento dello scorporo mostrano che, dei circa 200
mila addetti complessivi, 137.800 sono rimasti in Fiat e 63.600 sono passati a Fiat In-
dustriai. I ricavi di Fiat sono pari a 35,9 miliardi di€ e quelli di Fiat Industriai a 21,3-

Rispetto alla decisione di Fiat di separare la parte "auto" dalle altre attività automotoristiche,
Volkswagen si è mossa qualche mese dopo in una direzione completamente opposta. "[ ...] Volks-
wagen ha comunicato di controllare il 53,7% del capitale e il 55,9% dei diritti di voto di Man (da //
Sole24 Oredel 5.7.2011, "Volkswagen controlla Man", di Beda Romano). L'acquisto è avvenuto con
un'offerta pubblica di acquisto.[ ...] La società tedesca sta accumulando i marchi, da Porsche a Au-
di, da Seat a Lamborghini, da Bugatti a Skoda. Grazie a Man, Volkswagen vuol mettere radici nel
settore dei camion, unendo le proprie forze a quelle di Scania (controllata al 70,9%). Insieme Man
r. L'impresa \ 57

[15,3 miliardi di€ di ricavi nel 2010 con oltre 47 mila dipendenti] e Scania hanno costruito l'anno
scorso 176 mila mezzi pesanti con un peso superiore alle sei tonnellate. Il confronto è con Daimler
(274 mila) e Volvo (171mila) [...]".

Nel giugno 2011 Fiat ha assunto il controllo di Chrysler e ha annunciato il prossimo


consolidamento dei conti della Chrysler stessa nel proprio bilancio.

(Dal FinancialTimesdel 3-6.2011,"Fiat assumes contro! of Chrysler", di Tom Braithwaite, Helen Tho-
mas e John Reed): "Fiat has acquired majority contro! of Chrysler, its US counterpart that was bailed
out by Washington, after agreeing to buy government-owned equity and options. The US Treasury
said it had agreed to sell its 6 per cent stake in Chrysler for $5oom [...]. Fiat also paid $75m for options
on a stake of about 47.5 per cent held by an employee trust. The Canadian government is also dose to
selling its 1.7 per cent holding in Chrysler, valuing the whole transaction at about $7oom [...]".

(Da un'agenzia onlinedel 9.6.2011, "Fiat-Chrysler, debiti a 6,3 miliardi"): "Il nuovo gruppo Fiat-Chry-
sler ha un debito industriale di 6,35 miliardi di euro e un debito netto di 8,56 miliardi di euro se si com-
prendono le esposizioni finanziarie. Lo evidenzia // Sole 24 Ore che riporta i dati al 31 dicembre delle
due società desumibili dal documento informativo presentato al momento dell'ascesa al 46% di
Chrysler. Nel bilancio pro-forma i ricavi del gruppo si attestano a 67 miliardi di euro contro i soli 35,8
di Fiat (post scissione). Il risultato operativo è positivo per 2,16 miliardi di euro contro i 992 milioni di
Fiat e l'utile netto consolidato pro-forma è a 496 milioni (a 222 milioni il risultato di Fiat da sola)".

ScH EMA 1.5 - Lo Stato azionista

Molti dei gruppi e società che appaiono nelle tabelle1.3,1.4e 1.5sono stati o sono anco-
ra - parzialmente o totalmente - di proprietà pubblica o sottoposti al controllo pubbli-
co: a testimonianza del ruolo che lo Stato ha giocato e gioca nella vita economica del no-
stro paese. In particolare, appartengono ancora completamente allo Stato, anche se con
lo statusgiuridico di società per azioni e con un'autonomia gestionale molto più elevata
che nel passato, Poste Italiane e Ferrovie dello Stato Italiane: rispettivamente al primo e
al terzo posto nel 2010 per numero di addetti, complessivamente 230 mila circa.
Hanno ancora lo Stato come principale azionista, direttamente o indirettamente, Eni,
Enel, Finmeccanica e - pariteticamente con i francesi - ST Microelectronics. Hanno
lo Stato come azionista unico Fincantieri (gruppo Fintecna) e Rai. Ha i Comuni di Mi-
lano e Brescia come principali azionisti A2A. Sono ormai passate completamente sot-
to il controllo privato Telecom Italia, Telecom Italia Media, Edison, Atlantia e Autogrill
(Edizione Holding), Riva, Wind e Alitalia. Erano di proprietà pubblica o sottoposte in
forme diverse al controllo pubblico tutte le banche maggiori; e molte di esse hanno
come azionisti di riferimento le fondazioni bancarie, i cui amministratori sono in larga
misura designati (direttamente o indirettamente) dagli enti pubblici territoriali. Gli en-
ti pubblici territoriali giocano un ruolo più diretto, come azionisti unici o come azioni-
sti principali di società quotate, nei servizi infrastrutturali (distribuzione di energia
elettrica e gas, trasporti pubblici locali ecc.) - Acea, Acegas-Aps, Acsm-Agam, Hera e
Iride, oltre ad A2A-tutte ex municipalizzate o aggregazioni di ex municipalizzate, tut-
te con ricavi superiori a 2 miliardi di euro.
58 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ScH EMA 1.6 - Capitaleproprioe indebitamentofinanziario:


le differenzenelleesigenzedelle imprese

È interessante osservare, guardando ai dati di bilancio di alcuni dei top 27 gruppi,


quanto siano profonde le differenze nelle loro esigenze complessive di capitale, rap-
portate al giro d'affari, e nel loro grado di indebitamento finanziario netto.
Il gruppo Ferrovie dello Stato Italiane ad esempio - che necessita di una rilevantissi-
ma infrastrutturazione (rotaie, stazioni e treni) per erogare i servizi ferroviari e che ha
investito moltissimo per il progetto alta velocità- esibisce un capitale investito (som-
ma del patrimonio netto e dell'indebitamento finanziario netto, cfr. capitolo12) di 46,6
miliardi di €, pari a quasi 6 volte i ricavi. Lo stesso rapporto è pari circa a 2,3 per Tele-
com Italia, a 1,3 per Enel, a 0,9 per Luxottica, a o,8 per Eni e solamente a 0,33 per Erg.
Il gruppo Autogrill invece è il più indebitato, in termini relativi, fra i gruppi considerati:
con un indebitamento finanziario netto più che doppio rispetto al patrimonio netto di
pertinenza degli azionisti. Un rapporto che è quasi pari a 1 per Telecom Italia, è supe-
riore a o,8 per Enel e che scende a o, 16 per Pireili.

Capitaleproprio Debiti Capitaleinvestito Ricavi cap/ricavi dflp


p finanziaridf cap=p+df mln€ [%] [%]
mln€ mln€ mln€

Eni 55.728 26.119 81.847 98.523 83,1 46,9


Enel 53.545 44.924 98.479 73.377 134,2 83,9
Telecom Italia 32.610 31.468 64.078 27.571 232,4 96,5
Finmeccanica 7.098 3.133 10.231 18.695 54,7 44,1
Ferrovie dello Stato 36.520 10.072 46.592 8.064 577,8 27,6
Erg 1.891 0.723 2.614 7.899 33, 1 38,2
Luxottica 3.269 2.111 5.380 5.798 92,8 64,6
Autogrill 0.711 1.576 2.287 5.704 40,1 221,7
Pirelli 2.825 0.456 3.281 4.848 67,7 16, 1

Le ragioni delle differenze nel rapporto fra capitale investito e ricavi possono essere di
natura varia: è diverso in primo luogo il fabbisogno teoricod! capitale per tipologia di
attività svolte, ma possono essere ad esempio diversi, cqeterisparibus,il grado di inte-
grazione verticale (quanto meno un'impresa ricorre all'outsourcing tanto più è neces-
sario che si infrastrutturi e/o disponga di capitale circolante netto) o l'età media dei
beni infrastrutturali (quanto più lontano è stato il momento del loro acquisto tanto
maggiori sono gli ammortamenti già effettuati e minore il capitale impegnato).
Anche le ragioni delle differenze nel grado di indebitamento finanziario, rapportato
al capitale proprio, possono essere diverse. Un gruppo è costretto ad accrescere l'in-
debitamento, in assenza di aumenti di capitale compensativi da parte dei soci, se ef-
fettua un'acquisizione rilevante, se investe pesantementeper rinnovare la gamma dei
prodotti o per ristrutturare l'organizzazione, se è troppo generosonella distribuzione
di dividendi agli azionisti o se incorre in grosse perdite. Ma lo può diminuire utiliz-
zando parte del cashjlow (utile più ammortamenti) che gli deriva dalla gestione cor-
rente oppure cedendo asseto rami di impresa o partecipazioni di minoranza in altre
. '
imprese.
r. L'impresa I 59

La tabella 1.4 21 riporta i dati fondamentali dei top 7 gruppi bancario-finanziari


per ricavi e consistenza patrimoniale e dei top 5 gruppi assicurativi per ricavi -
almeno 10 miliardi di euro nel 2010- operanti in Italia.

Come ricavi dei gruppi bancario-finanziari si sono riportati i proventioperativinetti ( operatingin-


carne),costituiti principalmente dalla somma degli interessi netti, delle commissioni nette e dei
proventi da negoziazioni; come ricavi dei gruppi assicurativi principalmente i premiincassati.

Unicredit e Intesa Sanpaolo sovrastano largamente, per dimensioni, gli altri


gruppi bancario-finanziari e hanno numeri del tutto paragonabili a quelli dei
principali gruppi industriali e di servizi (cfr. tabella 1.1): con cui condividono
(cfr. schema 1. 7), peraltro, la contrazione molto rilevante - fra metà 2007 e
metà 2011 - della capitalizzazione di borsa. Gli addetti di U nicredit superano
quelli di Poste Italiane e di Fiat post-scissione,gli addetti di Intesa Sanpaolo su-
perano quelli di Telecom Italia, Eni ed Enel. Ambedue i gruppi - e in partico-
lare il primo cresciuto attraverso l'incorporazione di una grande banca tede-
sca in difficoltà - hanno perseguito una strategia di internazionalizzazione,
acquisendo posizioni di rilievo nell'Est europeo e in Turchia. Ambedue sono
cresciuti in Italia attraverso una lunga serie di fusioni e acquisizioni (tra gli ul-
timi anni '90 e l'inizio della crisi), che ha fatto sì che abbiano le fondazioni
bancarie come azionisti di rifèrimento.

Unicredit è il principale azionista singolo (con 1'8,7 per cento circa) di Mediobanca, che a
sua volta è il principalè azionista singolo (con il 13,5 per cento circa) di Generali, che è azio-
nista a sua volta (con una quota del 4,8 per cento circa) di Intesa San paolo: a testimonianza
degli strani intrecciche si sono formati storicamente nella finanza italiana.
I

Banco Popolare e Ubi Banca sono anch'essi il risultato di una serie di fusioni.
Non si è sviluppato invece con le fusioni, ma con acquisizioni (di particolare
rilievo quella di Antonveneta), il Monte dei Paschi di Siena.

Monte dei Paschi di Siena acquistò Antonveneta nel 2007 per 9 miliardi di euro dallo spa-
gnolo Banco Santander, nelle cui mani era caduta dopo una serie di vicende con esiti anche
giudiziari: una cifra in linea con i prezzi ante-crisi,ma enorme se paragonata alla capitalizza-
zione - 3,10 miliardi di euro - a metà 2011.

BNL, un tempo principale gruppo bancario italiano, è l'unico - fra quelli di


maggiore consistenza - in mani estere: esso è stato integrato dopo l'acquisi-
zione nel grande gruppo francese BNP Paribas, che già aveva una serie di atti-
vità nel nostro paese.

21. I dati presenti nella tabella e discussi nel testo sono tratti dai bilanci consolidati dei diversi_gru{:
pi o comunque da informazioni riportate nei siti dei gruppi. I dati di Mediobanca, che chmde il
bilancio al 30 giugno, sono stati "ricostruiti" - e riportati al 2010 - a partire dal bilancio 2009-
2010 e dalla prima semestrale 2010-2011. I dati di Allianz Italia, "annegati" in quelli del gruppo
Allianz strutturato come societàeuropea(cfr. schema3. 6), sono tratti dal sito del gruppo.
60 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

TABELLA 1.4 - I principaligruppibancario-finanziario-assicurativi


operantiin Italia (1')

Gruppo Ricavi Utile Addetti


mld€ mld€ Migliaia

Unicredit 25,61 1,65 160,7


Intesa Sanpaolo 16,63 2,71 102,0
Monte dei Paschi di Siena 5,57 0,99 31,4
Banco Popolare 3,72 0,31 19,6
Ubi Banca 3,50 0,17 19,5
BNL (BNP Paribas) 3,10 -0,06 14,7
Mediobanca 2,09 0,39 3,8

Generali 73,19 1,70 85,4


Fondiaria Sai 12,95 -0,93 8,0
Allianz Italia (Allianz) 13,00 5,0
Unipol 10,68 0,07 7,5
Mediolanum 10,26 0,22 2,1

(*) L'.appartenenza a un gruppo estero è indicata tra parentesi in corsivo.

Mediobanca rappresenta in questo panorama una realtà un po' diversa, no-


ta sin dal dopoguerra come principale banca d'affari del nostro paese e come
detentrice di una serie di partecipazioni-strategiche dal punto di vista del con-
trollo - nei principali gruppi industriali e di servizi italiani (oltre che in Gene-
rali). Con CheBanca!,fondata nel 2008, è entrata anche nel retailbancario.
Generali, con i suoi oltre 85 mila addetti e con una presenza internazionale
molto ampia, è uno dei gruppi assicurativi più importanti su scala mondiale:
alle spalle della tedesca Allianz, della francese Axa e dell'olandese (anche se
con un profilo un po' diverso) ING.
Allianz, strutturata come visto come una societàeuropea (cfr. schema 3. 6), ha
un'importante presenza diretta nel nostro paese: dove è presumibile, date le
difficoltà in cui versa Fondiaria Sai al momento del 'licenziamento di questo
testo, che la sua posizione sia destinata a migliorare.
Unipol fa capo al sistema cooperativo, ed è cresciuta anche attraverso l'ac-
quisizione delle attività assicurative ex Winterthur del gruppo bancario svizze-
ro Credit Suisse. Mediolanum infine, che ha avuto Ennio Doris come fonda-
tore e come capo-impresa nella sua rilevante crescita, è controllata, come det-
to, pariteticamente dalla famiglia Doris e da Fininvest.
La tabell,a1.5 classifica tutte le società italiane quotateper valore di mercato,
come la tabell,a1.2 classificava le mondiali: evidenziando quelle con una capi-
talizzazione di borsa (a metà 2011) superiore ai 9 miliardi di €: quindici so-
cietà, che diventano dodici se si escludono dal conteggio le tre (riportate in
corsivo) il cui controllo fa capo ad altre della lista.

Saipem (cfr. schema 1.3) è controllata da Eni con una quota pari al 42,93 per cento. Snam Re-
te Gas è controllata da Eni con una quota pari al 50,031 per cento e detiene il 5,017 per cen-
r. L'impresa I 61

to delle azioni proprie. Enel Green Power è controllata da Enel con una quota pari al 69,171
per cento.

Fiat Industriai e Fiat (cfr. schema 1.4) hanno ambedue come azionista di riferimento la fami-
glia Agnelli, che con la Giovanni Agnelli & C. sapa possiede il 52,664 per cento di Exor, so-
cietà anch'essa quotata, che a sua volta possiede il 30,417 per cento di Fiat Industriai e il
30,419 per cento di Fiat. Fiata sua volta ha una quota del 3,233 per cento di Fiat Industriai e
detiene il 3,226 per cento delle azioni proprie.

In testa alla classifica - come accennato in precedenza - è collocata Eni, princi-


pale gruppo petrolifero del paese, con un valore di 66 miliardi circa di euro. Se-
guito da Enel, principale gruppo elettrico, con un valore di 42,4 miliardi circa.
Le tre posizioni successive sono occupate da Intesa Sanpaolo e Unicredit,
principali gruppi bancari, e da Generali, principale gruppo assicurativo italia-
no e tra i primi su scala mondiale.
Fiat e Fiat Industriai, rispettivamente al decimo e all'ottavo posto, occupe-
rebbero il sesto posto se fossero ancora insieme come prima dello scorporo
della seconda all'inizio del 2011: posto che è invece del gruppo Tenaris. Com-
pletano la lista Telecom Italia (principale gruppo italiano nelle telecomunica-
zioni), Prada (operante nella moda nella fascia di lusso), Luxottica e Atlantia.

Prada ha fatto il suo debutto il 24 giugno 2011 alla Borsa di Hong-Kong (invece che alla Bor-
sa di Milano ove voleva in precedenza quotarsi), per sfruttare l'effervescenza della borsa stes-
sa e l'elevata quota della sua produzione- circa un terzo-venduta nell'Est asiatico. La gran-
de maggioranza delle azioni, oltre 1'80 per cento, è nelle mani della famiglia.

Lo schema1. 7 evidenzia la caduta di valore che negli ultimi quattro anni ha col-
pito molte delle principali società italiane, in misura spesso più consistente ri-
spetto alle principali società mondiali. Solo nove società italiane sono presenti

TABELLA 1.5 - Le prime societàitalianeper valoredi mercato

Società Valoredi mercatoa metà 2011


mld€

Eni 66,0
Enel 42,4
Intesa Sanpaolo 31, l
Unicredit 29,7
Generali 22,7
Tenaris 18,6
Telecom Italia 17,7
Saipem 75,7
Snam Rete Gas 4,8
Fiat Industriai 10,7
Prada 10,5
Luxottica 10,4
EnelGreenPower 9,5
Fiat 9,2
Atlantia 9,0
62 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

a metà 2011 fra le GwbalFI' 500, e non nelle posizioni di testa: con Eni scesa al
cinquantaquattresimo posto ed Enel in centoventunesima posizione.

L'enfasi posta sui grandi gruppi non deve far dimenticare che la dimensioneri-
dotta e la proprietàfamiliare sono ancora dominanti nel sistema delle imprese
del nostro paese. Sono soltanto 11 le imprese italiane che appaiono tra le Gw-
bal 500 censite da Fortune. un numero inferiore non solo a quello di paesi che
hanno un PIL maggiore del nostro-gli Stati Uniti ne hanno 133, il Giappone
78, la Cina 61, la Francia 35,'la Germania 34 e il Regno Unito 32-ma anche a
quello di paesi più piccoli e con PIL inferiore al nostro: la Svizzera ne ha 15, la
Corea del Sud 14, l'Olanda 13 e il Canada 11 come noi. Non sono nemmeno
molte le imprese italiane censite da Mediobanca 22, 140, che superano il mi-
liardo di euro di ricavi: una cifra che le fa qualificare come (molto) grandi se si
segue la classificazione comunitaria 23, ma che le pone fra le picco/,e- almeno
nel sentire collettivo - se paragonate alle topsu scala mondiale. ~
Tutte le altre, poco meno di 4,5 milioni, sono imprese medie,picco/,eo micro.

"Nel 2009 (lstat, "Struttura e dimensione delle imprese -Anno 2009", giugno 2011) le im-
prese attive nell'industria e nei servizi sono poco meno di 4,5 milioni e occupano complessi-
vamente circa 17,5 milioni di addetti. Il sistema produttivo italiano è caratterizzato nel com-
plesso dalla forte presenza di microimprese: quelle con meno di 1O addetti sono quasi 4,3 mi-
lioni, rappresentano il 95% del totale e occupano il 47% degli addetti. Il 21 % degli addetti
(circa 3,6 milioni di individui) lavora nelle picco/,eimprese (da 10 a 49 addetti) e il 12,4%
(quasi 2,2 milioni) in quelle medie (da 50 a 249 addetti). Soltanto 3.718 imprese (0,08%) im-
piegano 250 addetti e più, assorbendo, tuttavia, il 20% dell'occupazione complessiva (circa
3,6 milioni di addetti). L'occupazione si concentra nel settore manifatturiero, con oltre il
23% degli addetti totali, nel commercio all'ingrosso e al dettaglio (20% dell'occupazione to-
tale) e nelle costruzioni (poco meno dell' 11 %) ".

La nostra economia vede cioè tuttora, nonostante le tras~ormazioni degli ulti-


mi anni, la netta predominanza delle imprese di dimensione ridotta a proprietà
familiare. in una fase storica in cui la globalizzazione di molti mercati richiede-
rebbe invece, per rimanere competitivi, una crescita delle dimensioni e del
grado di internazionalizzazione delle imprese stesse.

22. La rilevazione di Mediobanca, relativa a tutte le imprese operanti nell'industria e nei servizi (a
eccezione di quelli bancario-finanziario-assicurativi) con ricavi consolidati 2009 non inferiori
ai 50 milioni di€, censisce poco meno di 2.600 imprese (con un grado di "copertura" dell'or-
dine del 75 per cento, molto elevato per le imprese maggiori e viceversa più ridotto al ridursi
delle dimensioni). Escludendo le imprese che sono controllate da altre presenti nella lista, il
numero si riduce a 1.489, comprendente le topda noi evidenziate e le filiali commerciali di
gruppi petroliferi e automotoristici internazionali da noi escluse. Sono 41 in particolare le im-
prese (gruppi) con ricavi compresi fra 2 e 4 miliardi di€ e 73 quelle tra 1 e 2 miliardi di€.
23. L'UE definisce come microimpresequelle con un numero di addetti minore di 10, che non su-
peri~o i 2 milio_nidi € di ricavi e i 2 di attivo di bilancio; come imprese pirco/,equelle con me-
no ~1 50 addetti, che no~ superino i_10 milioni di€ e i 10 di attivo di bilancio; come imprese
mediequelle con meno d1 250 addetti, che non superino i 50 milioni di ricavi e i 43 di attivo di
bilancio; come grandi quelle che superano almeno una di queste soglie.
1. L'impresa \ 63

"La pr~senza all'estero di imprese multinazionali italiane (/stat, "Struttura, performance e


comportamenti delle multinazionali italiane -Anni 2008-2011 ", marzo 2011) risulta geografi-
camente diffusa: quasi 21 mila unità nel 2008, che impiegano 1,5 milioni di addetti, produco-
no un fatturato di 386 miliardi e operano in oltre 150 paesi. Queste imprese hanno realizzato
un fatturato pari al 10% di quello del complesso delle imprese residenti in Italia, quota che sa-
le al 13,5% per il fatturato al netto degli acquisti di beni e servizi. Le controllate all'estero nella
manifattura (quasi 6.500 imprese) sono poco più della metà di quelle dei servizi non finanzia-
ri, ma il loro grado di internazionalizzazione è quattro volte superiore. Le attività industriali so-
no maggiormente presenti in Romania ( 116 mila addetti), Brasile (75 mila) e Cina (66 mila),
mentre i servizi si concentrano negli Stati Uniti (106 mila addetti) e in Germania (66 mila)" .

...
E una transizione non facile, per un paese che riesce -quando opera in piccow-
a esprimere meglio la sua creatività e imprenditorialità, e che di converso ama
poco le grandi organizzazioni. La crescita dimensionale richiede infatti, ad
esempio, di sostituire ~ controllo diretto sistemi di gestione e controllo via via
più sofisticati, spesso estranei alla cultura dei piccolo-medi imprenditori; ri-
chiede, per reperire le risorse finanziarie necessarie alla crescita, di immettere
nuovi soci (privati o fondi) nel capitale azionario o addirittura di quotarsi in
borsa, tagliando quel "cordone ombelicale" che spesso rende sfumati i confini
fra interessi della famiglia e interessi dell'impresa; richiede di rendere que-
st'ultima molto più "trasparente" verso l'esterno, con impatti talora significati-
vi dal punto di vista degli oneri fiscali e previdenziali e dell'appesantimento or-
ganizzativo imposto dalle normative (relative all'ambiente, alla privacy ecc.);
può favorire (anche se questo era un problema più sentito nel passato), insie-
me ...con la crescita degli addetti, una maggiore conflittualità sindacale .
E una transizione però necessaria. Per poter mantenere nelle diverse aree
del mondo strutture commerciali e di assistenza post-vendita, come pure
strutture produttive, funzionali alla penetrazione e al consolidamento delle
posizioni nei mercati locali. Per poter creare o rafforzare i propri !,rand e la
propria immagine. Per poter portare avanti progetti strutturati di R&D (ricer-
ca e sviluppo), volti all'innovazione. Per poter finanziare le acquisizioni di im-
prese, se necessarie per non perdere terreno rispetto ai competitori o per
conquistare proattivamente posizioni di kadership.
Al problema della crescita dimensionale delle imprese esistenti (operanti
in larga prevalenza nei comparti tradizionali) se ne affiancano almeno altri
due ben noti:
• la nostra scarsa presenza nei settori più nuovi dell'economia (ICT, bio-
tecnologie ecc.), che sono quelli che presentano tassi di crescita più rile-
vanti a livello mondiale;
• il nostro ridotto utilizzo, a livello organizzativo, degli strumenti che l'ICT
mette a disposizione.

La situazione, almeno da quest'ultimo punto di vista, è però in movimento. L'indicatore del


livello di maturità /CTdelle PMI italiane con numero di addetti compreso tra 10 e 500, messo
a punto dall'Osservatorio ICT & PMI della School ofManagement del Politecnico di Milano, è
cresciuto - in una scala che va da O a 100 - da 40 a 49 tra il 2007 e il 2010: sotto la spinta sia
delle esigenze di ristrutturazione imposte dalla crisi sia del ricambio generazionale in atto.
64 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ScH EMA 1.7 - Vincitorie vinti "a cavallodellagrandecrisi":


comesonocambiatii valoridelle principalisocietàitaliane

Il confronto proposto - analogo a quello dello schema 1.2 - è fra le liste delle società
italiane top per capitalizzazione a metà 2011 (cfr. tabella1.5)e al 29 giugno 2007 (ri-
portata nella quarta edizione di questo libro).

Il confronto, analogamente al precedente, prescinde sia dalle erogazioni dalle società agli azionisti -
dividendi ordinari e/o straordinari e/o buyback- sia dagli aumenti di capitale a pagamento corrispo-
sti nel frattempo. Questi ultimi sono stati particolarmente consistenti nel comparto bancario, a se-
guito da un lato delle perdite causate dalla crisi (fallimenti e/o ristrutturazioni del debito delle impre-
se industriali e di servizi clienti) e dall'altro delle esigenze di rafforzamento dei coefficienti patrimo-
niali poste da Basilea3: con alcuni casi clamorosi, come quello del Banco Popolare, che al 29 giugno
2011 valeva 2,85 miliardi di€ dopo averne ricevuti poco prima ben 2 come aumento di capitale. "I cre-
diti in sofferenza (quelli insolventi, di difficile recupero) sono probabilmente il problema numero uno
delle banche italiane: perché sono tanti e sono cresciuti troppo velocemente (da // Sole 24 Ore del
5.7.2011, "Banche italiane, maxi-svendita di sofferenze", di Morya Longo). Nel 2097, prima della crisi,
nei bilanci degli istituti di credito c'erano 48 miliardi di euro di sofferenze lorde: ora - secondo l'Abi -
questa zavorra è aumentata a 95 miliardi. [...] Questa massa abnorme di crediti dubbi assorbe infatti
capitale alle banche e riduce di conseguenza le loro possibilità di finanziare l'economia[ ...]".

Delle top 18società che avevano un valore superiore a 9 miliardi di€ nel 2007, ben ot-
to sono scese al di sotto di tale soglia nel ~011,con cali nella capitalizzazione di borsa
in diversi casi molto rilevanti: Banco Popolare (-80,5%), Ubi Banca (-79%), Monte
dei Paschi di Siena (-72,4%) e Mediobanca (-58,4%), fra le bancarie; nonché Edison
(-59,6%), Mediaset (-57,7%), ST Microelectronics (-51,1%) e Finmeccanica (-50%).
Ma cali nella capitalizzazione, più o meno rilevanti, si sono avuti anche fra le dieci so-
prawissute (diventate peraltro undici a seguito dello sdoppiamentodi Fiat): Unicredit
(-66,1%), Intesa Sanpaolo (-55,3%) e Generali (-45,6%), fra le società bancario-fi-
nanziario-assicurative; Telecom Italia (-52,5%), Eni (-37,1%), Atlantia (-35,3%), Fiat e
Fiat Industriai (-26% rispetto alla "vecchia" Fiat), Luxottica (-20,6%), Tenaris
(-13,5%) ed Enel (-12,6%), fra le società industriali e di servizi.
L'unica nuova entrante è Prada, di valore non raffrontabile (come detto) data la "fre-
sca" quotazione.
Se si estende l'analisi anche alle quotate controllate da società di dimensioni maggio-
ri, si hanno due nuove entrate e una permanenza. La permanenza è quella di Saipem,
cresciuta del 50 per cento circa. Le nuove entrate sono quelle di SnamRete Gas, cre-
sciuta del 70 per cento circa, e di Enel Green Power, quotata nel 2011.
2 L'impresae il contesto

._.L'impre_sa- come detto - può essere vista come un microsistema aperto, che
opera in stretta interdipendenza dinamica con il macrosistema economico-fi-
nanziario di cui fa parte e più in generale con quello socio-politico, su scala,
globale e nei territori in cui è presente: subendone le continue trasformazio-
ni - negli assetti tecnologico-organizzativi, nei valori e nei comportamenti,
nelle regole e nei meccanismi di funzionamento - ma anche contribuendo
I

ad attivarle o a rafforzarle.
JI._cambiamentQ, e non la stabilità,_deve essere considerato come lo stato di
_.nor_rnalità;f in_novazione come lo strumento principe con cui l'impresa può
adattarsi al cambiamento o esserne il motore; il rischio, connesso con lari-
dotta prevedibilità del futuro, come un qualcosa di strutturalmente organico
alla natura dell'impresa e alla funzione a essa attribuita nell'ambito dell'eco-
nomia e della società.
Il capitolo 2 è coerentemente articolato in sei paragrafi.
II paragrafo2.1 guarda all'impresa come componente del sistema economi-
co-finanziario: al suo portafoglio di business, al grado di integrazione vertica-
le dei suoi diversi business, al suo assetto tecnologico-organizzativo, alla sua
immagine e al suo assetto giuridicq-proprietario-finanziario.
II paragrafo2.2 guarda al ruolo dello Stato inteso in senso lato - nelle sue
diverse articolazioni nazionali, sovranazionali e locali - come determinatore
delle regole del gioco e regolatore dell'economia e della finanza, come impo-
sitore di oneri fiscali ed erogatore di incentivi, come imprenditore. Esso guar-
da anche alle interrelazioni fra impresa e società, e in particolare al tema sem-
pre più sentito della responsabilità sociale dell'impresa.
II paragrafo2.3 affronta i temi dell'internazionalizzazione delle imprese e
66 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

della globalizzazione dei mercati, con i loro riflessi strategico-organizzativi, e


di converso dell'evoluzione dei sistemi locali a elevata integrazione, quali i di-
stretti (tradizionali punti di forza della nostra economia).
I paragrafi 2.4 e 2.5 sono dedicati rispettivamente al cambiamento e all'in-
novazione, mentre il paragrafo 1.6 affronta la tematica del rischio, delle sue
principali cause e della sua gestione da parte dell'impresa.

2.1 L'impresacome componentedel sistemaeconomico-finanziario

L'impresa rappresenta una componente di un sistema estremamente più arti-


colato e complesso - che possiamo chiamare sistema economico-finanziario - e
opera in stretta interdipendenza con altre componenti nell'ambito di tale si-
stema.
Essa utilizza infatti come input beni e servizi provenienti da altre imprese
del sistema, quali materie prime e semilavorati, energia, servizi di trasporto
(per merci e persone), servizi di consulenza. Essa vende il suo output- forma-
to da un portafoglio più o meno ampio e diversificato di beni e/o servizi (nel
seguito denominati sinteticamente prodotti) - ai consumatori finali o ad altre
imprese o alla pubblica amministrazione. Essa finanzia le sue attività con il de-
naro degli azionisti (persone fisiche, fondi di investimento, fondi previdenzia-
li ecc.) - approvvigionandosi di danaro, se quotata, sul mercato borsistico - e
con i prestiti concessi prevalentemente dalle banche.
L'interdipendenza,che si è mediamente accresciuta nel tempo a fronte dell'ac-
centuarsi dei processi di deverticalizzazione (cfr. schema2.4), !!_Ol} pregiudJcét_~-~-
r~1enoa priori- I' indipendenza1: perché non esiste nelle cosiddette "economie di
mercato" (quale la nostra), a differenza di quanto accadeva nelle "economie
pianificate" (quali quella ex sovietica), un'autorità mntralesupremacui fare riferi-
mento. Ma ovviamente la volontà dell'impre~a, sia 2er quanto riguarda le scelt~
_ç9rrenti sia quelle per il futuro, si deve confron~e - talora integrandosi e talal-
_tra scontrandosi, in un contesto in cui convivono (con pesi di volta in volta di-
versi) momenti di cooperazione e momenti di competizione-con le volontà delle al-
__
tre imprese e più in generale degli altri attori dell'economia e della società.

1. Il grado di indipendenza e di autonomia decisionale può risultare ovviamente diverso per


un'impresa stand alone o capogruppo,da un lato, e per un'impresa viceversa facente parte di
un gruppo industriale-finanziario più grande, dall'altro. Ma può risultare diverso anche al-
l'interno di questa seconda categoria: a seconda ad esempio che l'impresa in questione abbia
un ruolo di servizio nell'ambito del gruppo o competa direttamente sul mercato; a seconda
che sia posseduta integralmente o solo in parte e addirittura quotata; a seconda che la capo-
gruppo eserciti un coordinamentoindustriai.eforte o si comporti piuttosto come una hol,dingfi-
nanziaria di partecipazioni. Per tale ragione, in questo paragrafo e in tutta la prima parte del
testo, con il termine generico impresaverranno indicate - in assenza di avviso contrario - solo
le realtà caratterizzate (a prescindere dal loro assetto giuridico-proprietario) da un grado di
autonomia decisionale elevato.
2. L'impresa e il contesto I 67

lnt!,_ipe'f},denza significa che la "consistenza" e i "confini" dell_'i_mpre.sal)~l-


l'_ambito dell'economia - owero il suo output e i clienti che essa serve, le atti-
vità_che essa svolge all'interno e le modalità di interconnessione a monte con
i fornitori t:a valle, la sua collocazione geo-politica (aree servite, localizzazio-
ne delle attività e localizzazione dei fornitori), 1~-~ec~9J<?g_t~--~}_}!_!09"~Hi_orga-
nizzativi che essa adotta, le risorse umane che essa impiega e che ne costitui-
scono la linfa vitale - non s9no_p;r_ed_~terminati.
_JIJdijle_n_(j,e_n_zq, significa che le "vie" e i "modi" con cui l'impresa reperisce le
risorse finanziarie necessarie per la sua crescita e/ o per le sue trasformazioni
- in addizione a quel~e che è in grado di "produrre" essa stessa attraverso la
generazione di cashjlow - non s9no predeterminati, ma dipendono dalle sue
sc~1~e:nell'ambito ovviamente delle possibilità che il mercato finanziario met-
te a dis.posizion_e_, in funzione ari.che d~lle performance.
Così come non è preqeter:rp.irl_~~ la._n(l,Scita çli un'impres<1: che può essere il
frutto dell'awentura imprenditoriale di una o più persone o di una gemma-
zione da parte di un 'impresa già esistente o di una decisione pubblica: per
mettere sul mercato ad esempio un prodotto innovativo, per coprire un biso-
gno che si ritiene latente, per sfruttare una nuova tecnologia di produzione o
una innovazione organizzativa, e così via.
Né è predetermi~ata la sua crescit{l:. Un'impresa può rimanere reh1tivamen-
-~e_piccola dopo _°.lf!~un secolo c:li~ta~-~ gli ~sern.pi__11onmanc~QO, o moltipli-
care i suoi rica.tj_- come Google -_ill pochi an_I).i.Cresce chi è bravo e capace
di vedere e cogl_iere 1~ opportunità, ma non crescere Spesso è una scelta. Per-
ché crescere significa per l'imprenditore-manager passare da un controllo di-
retto delle attività e delle persone a un'organizzazione vera e propria, con la
sua complessità e spersonalizzazione. Perché crescere significa per l'impren-
ditore-capo famiglia mettere maggiormente a rischio il patrimonio familiare
o comunque - dati i fabbisogni finanziari che la crescita stessa comporta - rin-
viare nel tempo la possibilità di prelevare dividendi dall'impresa per "metterli
al sicuro" (ammesso che lo siano) in altri tipi di investimento.
~é-~ __pre_~eterminato il tempo di vita, mediamente (come risulta dalle stati-
stiche) e_i_\} __
2~~~~~~!~-~!!_lpi:e~.~--~~~ per il ge~~_re umano ma potenzialmente
indefinito, né l'eventuale "tipo di morte":
• p~r fallimento, ossia per scioglimento coatto e vendita separata degli asset
(edifici, brevetti, !Jrand,impianti ecc.), quando essa non è più in grado di
generare cashjlow compatibili con il livello di indebitamento;
• per liquidazion~,ossia per scioglimento volontario e vendita separata de-
gli asset,
• per !Jreak-up,ossia _pe! decomposizione nelle singole unità di busine_ss (nel
caso ovviamente di impresa multibusiness) ~ cessione separata __ qJjquid4-
_zione _delle ste.sse;
• e,er assorbimento
• .,_....,...
__ .,._..,_.,.,, da ....C:.~
narte
•·•,.,~--..-••·• __.__di
,_.,.., un'altra
,....,...,._._.
r••--•• ___ _,_, impresa .
68 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

SCHEMA 2.1 - L'impresae le crisidel sistemaeconomico-finanziario

Quale componente del sistema economico-finanziario, operante in stretta interdi-


11

pendenza con le altre componenti di tale sistema", l'impresa non è sensibile sola-
mente alle trasformazioni strutturali del sistema, ma può risentire in forma anche
amplificata delle fluttuazioni congiunturali - più o meno pronunciate - dello stesso:
con conseguenze che in diversi casi non sono meramente congiunturali ma toccano
la sua carneviva,condizionandone la strategia e i comportamenti futuri.
Come caso estremo, si può sinteticamente guardare a quanto accaduto con la grande
crisidel 2008: una crisi in cui le difficoltà nate nell'ambito bancario-finanziario-assicu-
rativo si sono rapidamente trasferite - amplificandosi progressivamente - alle impre-
se industriali e di servizi, mettendo in moto una pericolosa spirale negativa interrotta-
si solo con l'awio della ripresa. Nel seguito vengono evidenziate, con il rischio di iper-
semplificarle, alcune fasi fondamentali della crisi.

Lecrescentid[ffìcoltàdi accessoal credito.Il primo impatto della crisi - per le imprese in-
dustriali e di servizi - fu la maggiore difficoltà di accesso al credito, fosse esso richie-
sto per rispondere a nuove esigenze di finanziamento (derivanti ad esempio dalla ne-
cessità di coprire le uscite di cassa per la conclusione di un investimento o da quella
di sostenere le vendite allungando ai clienti i tempi di pagamento) o per rinnovare i
prestiti giunti a scadenza. Un impatto non critico per le imprese finanziariamentesoli-
de, ma particolarmente grave per quelle molto indebitate:categoria comprendente
non soltanto le imprese economicamente deboli, ma anche quelle - economicamen-
te forti e in fase di crescita - indebitatesi per sostenere la crescita stessa sui mercati
nazionali e internazionali. Le difficoltà di accesso al credito toccarono anche le fami-
glie, in relazione alla concessione di mutui per l'acquisto delle case o alla rateizzazio-
ne per l'acquisto di beni durevoli (quali le automobili).

li calodelladomanda in diversisettoridell'economia.Il primo calo della domanda, non


uniforme, differenziato per comparti e per aree geo-politiche, ma mediamente molto
consistente, fu in parte causato dalle difficoltà di accesso al credito, e tuttavia risentì
in misura almeno altrettanto forte delle aspettative negative che si vennero a creare e
che spinsero alla virtuositànelle spese. Molte imprese limitarono gli investimenti al
compimento di quelli in corso o alla sostituzione degli asset obsoleti e· ridussero le
scorte. Molte famiglie rimandarono a tempi migliori l'acquisto della prima casa, sfrut-
tando l'opzione di rimanere in affitto, e la sostituzione di beni durevoli, allungandone
se necessario il tempo di vita con una manutenzione straordinaria. L'effetto comples-
sivo fu esplosivo:per i produttori di beni di investimento (capannoni industriali, im-
pianti, macchinari ecc.), che videro cali delle vendite anche superiori al 50 per cento;
per i produttori di beni di consumo durevoli come le automobili; per i fornitori diretti
e indiretti degli uni e degli altri.
La conseguenza di un forte calo delle vendite, come meglio si vedrà nel seguito, è che
i ricavi - al netto dei costi (materie prime o semilavorati, consumi energetici ecc.) va-
riabiliin funzione delle quantità prodotte e vendute - non sono più in grado di coprire
i costi fissi (personale a tempo indeterminato, spese pubblicitarie, spese per la ricerca
e lo sviluppo ecc.): con la conseguenza che l'impresa può andare in passivo e_;_in as-
2. L'impresa e il contesto I 69

senza di riserve fìnanziarie - dover coprire le perdite chiedendo soldi agli azionisti o al
sistema bancario.

Il tagliodei costie dell'occupazione.


"Le imprese devono muoversi come i lombrichi,al-
lungandosi nelle fasi congiunturali positive e restringendosi nei momenti di crisi", so-
steneva un importante manager durante una delle tante crisi del dopoguerra. Restrin-
gersifu quello che fecero molte imprese soprawissute al primo calo della domanda, ta-
gliando tutti i costi ritenuti non strettamente indispensabili nel breve periodo per ab-
bassare il break-evenpoint (owero il livello minimo di vendite necessario per evitare le
perdite): in parte ristrutturandosi (attraverso l'abbandono di talune attività, la chiusura
di taluni impianti o fìliali commerciali, il ridimensionamento di alcune funzioni centrali
ecc.), in parte riducendo le spese discrezionali (quali quelle in pubblicità e comunica-
zione, in ricerca e sviluppo, in formazione ecc.). Le conseguenze furono importanti.
L'area di calo della domanda si allargò ai settori vittime dei tagli (al comparto dei media
per la minor pubblicità, alle businessschoolper la minor formazione ecc.). Aumentò ov-
viamente il livello di disoccupazione: in misura rilevantissima nei paesi a bassa prote-
zione del lavoro (passando ad esempio dal 5 al 10 per cento negli Stati Uniti), in misu-
ra minore in Italia per l'esistenza di quella rete di protezione che è la C/G-cassaintegra-
zione guadagni.La minor domanda nei settori vittime dei tagli obbligò le imprese ope-
ranti in tali settori a tagliare.La maggiore disoccupazione, o comunque la minore di-
sponibilità di potere d'acquisto dei cassintegrati, provocò un calo della domanda - o
almeno un abbassamento della qualità media dei prodotti acquistati - anche nei com-
parti sino ad allora poco toccati, quelli dei beni di consumo meno voluttuari.

Il "rimbalzo"sul sistema bancario-finanziario-assicurativo.


I comportamenti virtuosi dei
singoli (famiglie o imprese) risultano come ben noto spesso dannosiper il sistema eco-
nomico-fìnanziario nel suo complesso, che per prosperare ha bisogno che le famiglie
spendano con continuità e che le imprese producano e investano con continuità (le
une e le altre senza eccedere creando bolleesiziali per il sistema). La rottura di questo
equilibrio dinamico -testé descritta - portò diverse imprese a fallire, altre a chiudere la
loro attività e altre ancora a cercare disperatamente accordi con le banche per spostare
in avanti i tempi previsti per la restituzione dei prestiti o delle loro rate; portò diverse fa-
miglie a dover rinunciare agli immobili acquistati, per l'impossibilità di ripagare i mu-
tui, o a cercare di ricontrattare i tempi di pagamento. Le banche si trovarono a perdere
i soldi, nei casi di fallimento delle imprese, o a vedere i propri prestiti incagliati,nei casi
di difficoltà di restituzione: incorrendo in seri problemi di liquidità, quando non (come
per le Caixasspagnole travolte dalla bolla edilizia) nel fallimento o nella nazionalizza-
zione da parte dei governi, proprio nel momento storico in cui veniva richiesto loro dal-
le autorità e dal mercato di rafforzarsi patrimonialmente per evitarenuoviguai.

GliinterventidegliStati. In una prima fase gli Stati - e con essi le banche centrali - in-
tervennero principalmente per evitare il collasso dei sistemi bancario-fìnanziario-assi-
curativi e i loro riflessi a catena sulle economie reali: in misura molto differenziata, in
dipendenza dalla gravità delle specifìche situazioni di crisi. Intervennero poi, anche se
in misura meno consistente, per rilanciare la domanda e fermare la spirale negativa:
ad esempio fìnanziando l'acquisto di nuove auto "a basso tasso di inquinamento" in
70 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

cambio delle vecchie molto inquinanti. Intervennero, in particolare negli Stati Uniti e
in Cina, con macroprogetti infrastrutturali essi pure volti al riawio della domanda.
Le economie ripartirono, anche se con ritmi lenti e molte incertezze, ma gli Stati si ri-
trovarono con livelli di indebitamento molto più alti. Con pesanti conseguenze ad
esempio per le prospettive dell'Eurozona e dell'euro, a causa delle crisi finanziarie di
alcuni suoi paesi (Grecia, Irlanda, Portogallo e successivamente Spagna e Italia), ma
anche per la credibilità dell'unica vera moneta di riferimento dalla fine della guerra
mondiale a oggi, il dollaro 2 •

Dopola crisinullaè più come prima. L'impresa che esce viva dalla crisi è spesso molto
diversa da quella che vi era entrata, perché la crisi - soprattutto quando di grande ri-
lievo - rappresenta un potente stimolo al ripensamento della strategia e della struttu-
ra. Ma anche il sistema economico-finanziario è in generale molto diverso: perché al-
cuni suoi attori non ci sono più (falliti o assorbiti), perché altri si sono viceversa raffor-
zati, perché altri ancora (le cosiddette start-up)stanno nascendo per riempire gli spa-
zi aperti dalle mutate prospettive. E diversi sono i pesi relativi delle diverse economie,
con owi impatti sulle imprese in funzione della nazionalità della loro casa-madre e
della distribuzione geo-politica dei loro asset produttivi e dei loro clienti: la crisi del
2008 ha ridimensionato la rilevanza delle aree ricche del mondo, appesantite (come
visto) dai debiti e dalla bassa crescita; ha esaltato quella delle aree nuove--(BRICecc.),
forti sia dal punto di vista finanziario sia da quello della crescita, che dovranno però
evitare nel futuro la tipica tendenza alla creazione di bolle(in primo luogo quella edili-
zia) che accompagna la crescita stessa e può interromperla. L'irrompere nei primi po-
sti della classifica mondiale per valore di borsa di società con casa-madre in questi
paesi, prima di tutto di società cinesi operanti nei comparti più disparati, può essere
visto come un chiaro segnale del profondo cambiamento verificatosi.

2.1.1 li "perimetro"dell'impresa:il portafogliodi business

L'impresa può avere un output estremamente diversificato, caratterizzato da


una molteplicità di prodotti poco imparentati fra loro (dal punto di vista dei
clienti, delle reti di distribuzione, della produzione, della ricerca e sviluppo),

2. La riduzione della credibilità del dollaro come moneta mondiakè stata confermata, nell'agosto
2011, dal doumgrading (a opera di Standard & Poor's) del ratingdel debito pubblico statuni-
tense - sino ad allora considerato a rischionuUoe assunto come 1iferimento (cfr. capitow 4) per
tutte le valutazioni - con la conseguente perdita per la prima volta nella storia del paese della
"tripla A" (AAA), a seguito delle difficoltà nel trovare un accordo politico interno sulla ge-
stione del debito e sulla riduzione del deficit corrente. Il ratingrappresenta, per le imprese e
per gli Stati, una misura della loro affidabilità come debitori, formulata da agenzie specializ-
zate (Standard & Poor's, Moody's e Fitch le più famose) sulla base della situazione economi-
co-finanziaria e delle prospettive. Le agenzie di ratingsono state a loro volta oggetto di fortis-
sime critiche e (in un caso) poste sotto inchiesta per avere mantenuto sino all'ultimo la "tri-
pla A" a istituzioni finanziarie - come Lehman - rivelatesi viceversa estremamente fragili e
collassate con la crisi del 2008.
2. L'impresa e il contesto I 71

ossia - come si dice in gergo - avere un portafogliodi businessdi natura congw-


rnerak.Può avere un output variegato, ma formato da prodotti viceversa impa-
rentati da qualche punto di vista fra loro ( "comunanza" o ''vicinanza" dei
clienti e/ o delle reti di distribuzione e/ o delle tecnologie ecc.), e quindi più
correlato.Può avere un output estremamente focalizzato: al limite formato da
un solo prodotto.

Un esempio classico di "comunanza" o '\ricinanza" sia dei clienti sia delle reti di distribuzio-
ne al dettaglio - nell'ambito di un portafoglio molto ricco e variegato di prodotti - è quello
di Procter & Gamble (cfr. paragrafo 1.1), che ha poi puntato a un secondo livello di "comu-
nanza" (nell'individuazione dei bisogni dei clienti, nelle politiche di comunicazione ecc.)
aggregan~o i prodotti nelle tre macroaree Beauty and Grooming,Health and Well-BeingeHouse-
hol,dCare.E interessante_ notare a tale proposito come la società abbia cercato negli anni, at-
traverso la politica di acquisizioni e dismissioni, di rendere più ampi e più coerentii portafogli
all'interno di ciascuna macroarea: ad esempio cedendo nel 2011 un business come quello
degli snack Pringles, molto redditizio ma poco coerente con la maggior parte degli altri pro-
dotti della macroarea Health and Well-Being.
Appaiono più lontane - anche se con una debole "comunanza" tecnologica - le due ma-
croaree Househol,de Professionalin cui si articola il portafoglio prodotti quasi conglomera/,e di
De' Longhi (cfr. paragrafo 1.2): che, anche per questo, ne ha deciso la separazione societaria.
Mentre, se si guarda alla composizione del portafoglio della macroarea Househol,d(quella
preponderante per peso e prospettive), si trovano prodotti diversissimi fra loro - dalla mac-
china per il caffè al condizionatore portatile Pinguino- ma accomunati, come per Procter &
Cambie, dal tipo di clientela e di canale distributivo.

La dimensione dell'impresa gioca mediamente a favore della diversificazione,


di natura correlata o conglomerale, ma non vi sono regole assolute.
Un'impresa può essere grande anche se monoprod<i:>tto,purché il mercato
del bene o servizio che essa produce lo permetta.

È il caso ad esempio di Enel (cfr. schema 1.3), monopolista per legge per più di un trentennio
in un comparto grande come quello dell'energia elettrica, prima della privatizzazione; e di
nuovo dopo la pulizia del portafoglio dei primi anni 2000, che l'ha fatta tornare a essere qua-
si monoprodotto. È il caso di Fiat (cfr. schema 1.4), che - dopo lo scorporo all'inizio del 2011
di Fiat Industria! - opera quasi esclusivamente nel comparto automobilistico.

Specularmente un'impresa può avere un portafoglio diversificato, anche se


piccola.
In termini generali, la tendenza alla focalizzazionedel portafogliodi business-
vale a dire alla concentrazione delle risorse su un numero relativamente limi-
tato e comunque correlato di corebusiness (di business cioè ritenuti centrali),
nell'ambito dei quali puntare al massimo rafforzamento della posizione com-
petitiva - è solitamente prevalente:
• nei periodi di crisi dell'economia;
• nelle fasi di grande trasformazione (in connessione ad esempio con l'in-
troduzione di nuove tecnologie pervasive o con l'affermazione di mo-
delli di vita diversi o con la modifica dei confini geo-politici dei mercati
ecc.): che, per il loro impatto differenziato sui singoli business, esaltano
72 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

l'importanza delle competenze e risorse specifiche rispetto alle sinergie


ottenibili attraverso la messa in comune di quelle generali (risorse finan-
ziarie, competenze di genera[management ecc.);
• nelle imprese che si trovino ad affrontare, per le ragioni viste sopra o in-
dipendentemente da esse, momenti di crisi economica e/ o finanziaria:
che impongono di concentrare le energie e le attenzioni del tap manage-
ment sui business da risanare e/ o di alienare i non corebusinessper ridurre
l'indebitamento complessivo e/ o coprire le perdite e finanziare la ri-
strutturazione dei corebusiness.
In termini ancora generali, la tendenza alla diversificazione è viceversa più
elevata:
• nei periodi di boom dell'economia;
• nelle imprese - soprattutto se grandi, quotate in borsa e gestite da un tap
managementprofessionale - che si ritrovino a disporre di quantità consi-
stenti di risorse finanziarie libere derivanti dallo squilibrio fra il livello ele-
vato dei cashflow (cfr. capi,tolo14) e le opportunità viceversa ridotte di inve-
stimenti profittevoli nell'ambito del portafoglio esistente (risorse facil-
mente amplificabili finché I.ecosevanno beneattraverso il ricorso all'indebita-
mento o alla sottoscrizione di aumenti di capitale da parte degli azionisti).

La tendenza alla focalizzazioneha dominato gli anni '80 e larga parte degli anni '90, trainata
dalle profonde trasformazioni awenute nel contesto, e ha portato alla decomposizione( break-
up) della maggior parte delle imprese conglomerali cresciute tumultuosamente (soprattutto
negli Stati Uniti) nei decenni precedenti. Il trend si è ribaltatonella fase di boom dell'econo-
mia mondiale dei secondi anni '90, con numerose grandi imprese che hanno imboccato la
strada della crescita"a qualunque costo": entrando in lmsinessanche del tutto incorrelati o so-
lo apparentemente contigui e indebitandosi in misura spesso molto consistente. Ma, con
l'afflosciarsi della bolla speculativa (la cosiddetta Internet lmbbl,e)a partire dal 2000 e la succes-
siva crisi dell'economia mondiale, il ritorno alla focalizzazione è stato una scelta obbligata
per molte di esse, in particolare per quelle che si sono trovate in situazioni di forte squilibrio
finanziario e di difficoltà di accesso a nuovi finanziamenti - con la conseguente esigenza di
fare cassa vendendo i business ritenuti non core- a fronte dei cali di P!Ofittabilità e di genera-
zione di cashflow dovuti alle difficoltà di mercato e (spesso) dell'emergenza di minusvalenze
rilevanti sulle acquisizioni effettuate in precedenza a prezzi molto elevati.

ScH EMA 2.2 - IBM: un casoemblematicodi rifocalizzazione periodica


del portafogliodi businessin funzionedel contestoesterno

I BM (cfr. sottoparagrafo1.5.1) - lo storico leader dell' lnformation Technology,arrivato


nel 2011 al suo centesimo anno di vita occupando nel comparto la prima posizione al
mondo per numero di addetti (quasi 430 mila) e la seconda per ricavi (circa 100 mi-
liardi di dollari nel 2010) - rappresenta un caso estremamente interessante di come
si possa far evolvere nel tempo, mantenendolo correlato, il proprio portafoglio di busi-
ness:con diversificazioni nei businessvicini emergenti e abbandono di quelli maturi, in
funzione dell'evoluzione del contesto esterno. "IBM benefìts from the deal.by getting
2. L'impresa e il contesto I 73

rid of a business - PCs - that defìned the company in the 1980s, but later became a
drag on profìt margins ·(da Knowledge@Emory, in occasione della cessione dei PC
IBM alla cinese Lenovo nel dicembre 2004). Over the past decade IBM has transfor-
med itself into a services and software company, and set its sights clearly on China as
a potentially huge market. lt has shed disk drives, displays, desktop manufacturing
and network processor businesses while adding PricewaterhouseCoopers' services
fìrm PwC Consulting. IBM has also acquired software companies such as Tivoli, Ra-
tional and lnformix. 'IBM's strength historically has been reinventing itself', says
Wharton management professor Mark J. Zbaracki. The company has manufactured
everything from timekeeping devices to card sorting machines to videodiscs to typew-
riters and printers, only to jettison those businesses later".
Nel bilancio consolidato 2006 IBM diceva di se stessa: "We exited commoditizing bu-
sinesses like PCs and hard disk drives, and strengthened our position in areas like ser-
vice-oriented architecture (SOA), information on demand, business process services
and open, modular systems for businesses of all sizes. This has changed our busi-
ness mix toward higher-value segments of the industry. [...] The company's broad ca-
pabilities include services, software, hardware, fundamental research, fìnancing and
the component technologies used to build larger systems. [...] In 2006, 13acquisitions
were completed, all focused on expanding the company's software and services capa-
bilities, at an aggregate cost of approximately $4.8 billion [...]". Con il software e i ser-
vizi arrivati a contribuire per quasi I'8o per cento - 40 e 37 per cento rispettivamente -
alla formazione del margine operativo netto, provenendo il restante 23 dai sistemi e
dalfinancing.
E nel bilancio consolidato 2010: "We believed that these shifts [in the world, in tech-
nology, in client demand] would change our industry, creating winners and losers, we
transformed IBM's mix of products, services, skills and technologies - exiting com-
moditizing businesses like PCs and hard disk drives, and making 116 strategie acquisi-
tions over the course of the decade [17 nel solo 2010, per un valore complessivo di 6
miliardi di dollari], largely in software and services. We amassed substantial cross-indu-
stry expertise, and reinvented the way we deploy it, shifting skills and decision making
closer to the marketplace and the client. We invested signifìcantly more in our teams
and capabilities in the developing world, and we accelerated the global integration of
IBM's operations. We also worked to rebalance our internal R&D. Of the 5,896 U.S. pa-
tents IBM received in 2010, more than 70 percent were for software and services.[...]".

ScH EMA 2.3 - Come si ripartisceil redditolungo la "catenadel valore"

"Dalla pelle del cuoio di cui sono fatte alle mani del commesso che le vende, il viaggio di
un paio di Nike racconta il mercato globale meglio di un'infinità di teorie (dalla lezione al
Festivaldell'Economia di Trento dell'economista francese Daniel Cohen, ripresa dal Cor-
rieredellaSeradel 2.6.2007 nell'articolo di Federico Fubini "Scarpe globali: 2,75dollari al-
l'operaio, 17 al testimonial"). ~esempio è concreto: un paio di scarpe da ginnastica Air
Pegasusdella Nike, che costano 70 dollari in alcuni punti-vendita negli Stati Uniti. Di que-
74 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

sta cifra sborsata dal consumatore, all'operaio che produce materialmente le scarpe (in
Indonesia, Vietnam o Cina) va circa il 3 per cento[ ...], in media 2,75dollari per ogni paio.
Gli oneri della fabbricazione materiale salgono sino a 16 o 17dollari, se si tiene conto del
costo delle materie prime e [sotto forma di ammortamento] dei macchinari spesso im-
portati dai paesi avanzati [...]. Le Air Pegasusche arrivano dall'Asia a uno stabilimento di
Los Angeles sono già costate dunque circa il 25 per cento del loro prezzo di listino. 'A
questo punto occorre investire - dice Cohen - perché il prodotto fisico diventi un pro-
dottosociale'.Nike investe circa 16 o 17dollari al paio in pubblicità o sponsorizzazioni af-
fidate a campioni dello sport. [...] Resta una differenza di 35 dollari circa fra l'investimen-
to compiuto dalla Nike e il prezzo che la società propone nei punti-vendita. In gran par-
te, questa cifra residua è assorbita dalla commercializzazione in senso stretto: recapita-
re le scarpe in centinaia di migliaia di punti-vendita, pagare gli affitti dei negozi, versare i
salari dei commessi. Oltre, presumibilmente, all'utile della società".
In un bene destinato al consumatore finale, molto più soggetto alla rilevanza del brand
che non un bene destinato alle imprese o alla pubblica amministrazione, fanno quindi
la "parte del leone" le attività "finali" della catenadel valore:
• far conoscere ai potenziali acquirenti il bene e l'impresa che lo concepisce e lo
mette a disposizione sul mercato;
• portare fisicamente il bene (la cosiddetta logisticain uscita)nei punti ove awerrà
l'acquisto;
• remunerare chi effettua concretamente la vendita: una struttura distributivo-
commerciale esterna o una rete di negozi propria (quali quelle di Benetton o di
Zara), gestita direttamente e/o con il ricorso alfranchising.
Nella parte a monte dellacatena del valore,la concezione e la progettazione spesso
"valgono" di più della fase di produzione in senso stretto. E, nell'ambito di quest'ulti-
ma, l'ammortamento dei macchinari spesso "vale" di più della remunerazione del la-
voro: in particolare quando la produzione stessa è effettuata in paesi a basso costo
del lavoro, a seguito di delocalizzazione degli impianti o di ricorso all'outsourcing da
parte dell'impresa produttrice.Con l'aggettivo produttriceche - come meglio si vedrà
nel seguito - rimane attaccato all'impresa che concepisce e rende disponibile sul
mercato il bene, eventualmente avvalendosi di servizidi produzioneesterni.

2.1.2 Il "perimetro"dell'impresa:il gradodi integrazioneverticale

L'impresa può svolgere in casa, a un estremo, la quasi totalità delle attività ne-
cessarie per la produzione 3 di un prodotto o di una famiglia di prodotti, avere
cioè un grado di integrazione verticale molto elevato. Può, ali' altro estremo, es-
sere fortemente deverticalizzata: limitare cioè il suo interesse alle sole fasi "pros-
sime al mercato" (quali il marketing, la vendita e l'assistenza post-vendita), ac-
quistando da fornitori esterni - in outsourcing- i beni fisici che vende, i servizi

3. Il termine produzione, qui come nel seguito, è utilizzato in senso lato come sinonimo di messa
sul mercatoa disposizione dei clienti.
2. L'impresa e il contesto I 75

logistici per far giungere i beni ai clienti e gli stessi servizi di ricerca e proget-
tazione necessari nella fase estremamente rilevante di concezionedelprodotto.

Il ricorso all'esterno per potenziare la capacità innovativa dell'impresa - a complemento di


un'attività interna comunque rilevante o in quasisostituzione di essa- si è molto sviluppato nel-
l'ultimo decennio, dando luogo alla cosiddetta open innovatùm (cfr. paragrafo 1.1). Le forme che
tale ricorso (usualmente da parte delle imprese di maggiori dimensioni) può assumere sono
molto diverse. Si possono cercare sul "mercato delle imprese" start-up che abbiano sviluppato
idee innovative, come strutturalmente accade nel comparto farmaceutico e in quello dell' Irifor-
mation Technowgy. il sistema operativo Android, ad esempio, leader negli smartphone (cfr. para-
grafo 1.4), è stato sviluppato originariamente in una start-up acquisita poi da Google. Si possono
affidare commesse di ricerca, sviluppo e/ o progettazione a università, centri di ricerca o impre-
se specializzate in questo tipo particolare di forniture. Si può cercare, laddove l'innovazione ri-
guardi più le caratteristiche di un prodotto che non la tecnologia, di coinvolgere gli individui
nell'apporto di nuove idee: come hanno fatto ad esempio attraverso i sodal network,in una logi-
ca anche (o talora soprattutto) di fidelizzazione dei clienti, imprese come Fiat (con l'iniziativa
"500 Wanl5 Yau" per la configurazione della nuova 500), Barilla (con l'iniziativa "fl Mulino che
varrei...") e Procter & Gamble (con il programma "Conned +Develop"visto in precedenza) .
Una diversa modalità di aul5aurdng- per un'area molto vasta di applicazioni nell'ambito del-
1'lnformation Technowgy e dell'amministrazione -è connessa con lo sviluppo del cosiddetto cwud
computing (cfr. paragrafo 1. 4 e schema 2. 6) . Con il cwud computing applicato nelle sue forme estre-
me l'impresa non investe più né in apparati informatici (server, memorie ecc.) né in software,
ma usa- con una modalità pay per use-i server, le memorie e i software delle imprese (IBM, Mi-
crosoft, Dell, Arnazon, Google, Salesforce.com ecc.) che erogano via Internet tali servizi.

Analogamente a quanto detto per il portafoglio di business,anche il portafoglio


di attività che l'impresa deve detenere in corrispondenza a ciascun business
non è predeterminato. La scelta di "che cosa fare in casa e che cosa delegare
all'esterno" - in gergo make or buy - rappresenta af\zi una componente rile-
vante della strategia dell'impresa (cfr. schemi2. 4 e 2.5), da riverificare con una
certa continuità per tenere conto delle opportunità che si possono creare e
dei rischi cui si può andare incontro.
In termini del tutto generali, le attività comunque da "tenere in casa" - per
tale motivo denominate strategi,che-sono quelle:
• che l'impresa ritiene di saper "fare meglio": realizzando quindi una più
elevata profittabilità del capitale messo in gioco;
• che, pure se potenzialmente meno profittevoli, essa ritiene "pericoloso"
affidare totalmente a fornitori esterni: per non favorire fenomeni di spill-
over (cfr. paragrafo5. 4) e/ o per non perdere le competenze necessarie al-
la concezione e progettazione dell'output futuro e/ o per non esporsi a
criticità nell'approvvigionamento degli input- in termini di tempi, costi
o livelli di qualità - che possano impattare negativamente sulle sue pre-
stazioni correnti (ad esempio causando ritardi nelle consegne ai clienti
e/ o rialzi indesiderati nei costi di produzione e distribuzione e/ o peg-
gioramenti nelle caratteristiche e nella conformità dell'output).
Da un lato, però, comprendere quali saranno le competenze importanti nel
futuro rappresenta spesso una vera e propria "scommessa", che l'impresa può
vincere o perdere. Dall'altro, tendono a modificarsi nel tempo le convenienze-
76 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

con l'evolvere del ciclo di vita del prodotto (cfr. schema 5.2), in funzione della
fase del ciclo economico che si sta attraversando, per l'affacciarsi di innova-
zioni tecnologico-informatiche e/ o organizzativo-gestionali, per l'abbassarsi o
il rialzarsi delle barriere agli scambi con altre aree geo-politiche, per il variare
dei rapporti di forza lungo la filiera (nei riguardi cioè dei fornitori e/ o dei
clienti diretti e indiretti) - provocando accelerazioni anche brusche, frenate
o addirittura inversioni nei processi di deverticalizzazione.

La scelta di espandersi a valle non può essere presa con leggerezza dall'impresa, che deve
"porre sui piatti della bilancia" da un lato gli incrementi di valore (cfr. capi,tow4) che le nuove
attività possono apportare - rafforzandone la posizione competitiva ed evitandole di essere
taglieggi,atada chi controlla i canali di vendita- e dall'altro i decrementi di valore che potrel:r
bero derivare da una minore redditività delle nuove attività (per il clima competitivo ivi esi-
stente) rispetto a quelle esistenti e da un conseguente annacquamento dell'uso del capitale.
L'espansione a valle nel settore retail non è peraltro sempre possibile. Imprese ad esempio
come Procter & Cambie e De' Longhi (cfr. paragrafi 1.1 e 1.2) sono comunque costrette -
per raggiungere il consumatore finale - a passare la prima attraverso il canale della grande
distribuzione o della distribuzione organizzata (Esselunga o Coop in Italia e Wal-Mart negli
Stati Uniti) e la seconda attraverso le catene di vendita degli elettrodomestici (MediaWorld o
Saturn), non essendo nemmeno immaginabile l'opzione di gestire catene di negozi in pro-
prio. E vivono dialetticamente il loro rapporto, in parte scontrandosi con le marcheprc;prie
della distribuzione e in parte instaurando rapporti di cooperazione con la distribuzione stes-
sa (ad esempio attraverso il cosiddetto categorymanagement) che le pongano in condizioni di
vantaggio rispetto ai competitori industriali.

ScH EMA 2.4 - Deverticalizzazionee ricorsoall'outsourcing

Èfisiologico che le imprese operanti nei settori nuovi dell'economia tendano - dopo un
periodo iniziale di forte integrazioneverticale(in carenza da un lato di una chiara defini-
zione di quali saranno i prodotti e le tecnologie vincenti e per evitare dall'altro i fenome-
ni di spilloverdelle competenze) - a deverticalizzarsi. Per ragioni di mera convenienza o
per l'emergere di attori, in qualche punto della filiera, più competitivi: perché innovativi
e/o in grado di operare su livelli di scala più elevata, perché localizzati con le loro infra-
strutture produttive in aree a più basso costo del lavoro e con minori requisiti ambienta-
li, ma anche talora perché meno rispettosi delle leggi (in termini di diritti di chi lavora, di
rispetto dell'ambiente e di pagamento delle tasse). È fisiologico che si possa arrivare
(anche se questo non sempre awiene) a una vera e propria decomposizioneverticaledi
tali settori, a uno spezzamento cioè in più tronconi contenenti imprese in generale di-
verse, come accadde ad esempio nell'industria informatica che - al momento del pas-
saggio dai grandi calcolatori ai persona! computer - si divise in almeno tre pezzi: quello
dei PC veri e propri, in cui il leader storico I BM manteneva una posizione di leadership;
quello dei microprocessori, dominato da lntel; quello del software,dominato da Microsoft.
Ed è fisiologico che il processo di deverticalizzazione tenda progressivamente (a meno
di eventi nuovi) ad arrestarsi con la stabilizzazione dei settori stessi.
Ma, accanto a queste dinamiche naturali, vi sono stati e/o sono in atto fenomeni di de-
verticalizzazione riguardanti trasversalmente
tutte le imprese, a prescindere da,ll'età dei
2. L'impresa e il contesto I 77

settori in cui operano: con un conseguente ricorso all'outsourcing da imprese di nuova


nascita o frutto di scorpori, completamente esterne o talora interne ai grandi gruppi (si
parla in quest'ultimo caso di insourcing).È stata ad esempio progressivamente esterna-
lizzata, a partire dagli anni '70, tutta una serie di servizispecialisticidi supportoalledeci-
sioni- in tema di strategia, finanza, affari legali e societari, amministrazione e fiscalità,
organizzazione, produzione e logistica, innovazione tecnologica, marketing e pubbli-
cità, formazione avanzata ecc. - dando vita al cosiddetto terziario avanzato. In anni più
recenti ha avuto una crescita rilevante, anche per imprese di dimensioni minori, ilfaci-
lity management: l'affidamento cioè a soggetti esterni del mantenimento in efficienza
di beni capitali (edifici, macchinari ecc.) in uso e/o di altri servizi generali (pulizie, cura
del verde, sicurezza e reception, forniture cancelleria ecc.). E i gruppi maggiori (presu-
mibilmente presto seguiti dalle altre imprese con l'awento del cloudcomputing)tendo-
no a delegare almeno in parte- ricorrendo all'outsourcing e/o all'insourcing-i servizi di
gestione dell'lnformationand Communication Technologye la stessa attività ammini-
strativa: un'attività che in passato era assolutamente impensabile delegare e la cui de-
lega è stata resa peraltro più facile dallo sviluppo della rete.

ScH EMA 2.5 - Spostare"a valle" il baricentrodell'impresa:il caso Luxottica

Lo schema 2.4 ha messo in luce come spesso, allo scorrere del ciclo di vita del prodot-
to (cfr. schema 5.2), l'impresa tenda a deverticalizzarsi, espeNendoattività che prima
erano nel suo perimetro e ricorrendo all'outsourcing.Ma non è infrequente che un'im-
presa, in particolare un'impresa industriale originariamente "baricentrata" sull'atti-
vità manifatturiera, recuperi a valle quello che (eventualmente) espelle a monte: spo-
stando in avanti il baricentrodelle sue attività, per awicinarsi ai destinatari ultimi dei
suoi prodotti e per evitare di diventare ostaggiodelle scelte delle imprese commerciali
e/o distributive che controllano i canali che permettono di arrivare a essi.
È interessante a tale proposito la strategia seguita negli ultimi quindici anni da
Luxottica, leader mondiale nell'occhialeria di fascia alta (5,8 miliardi di euro di ricavi
nel 2010 e 10,4 miliardi di capitalizzazione di borsa a metà 2011), per "aumentare la
sua presa" sul mercato mondiale e per diventare (come appariva dalla titolazione
nel sito www.luxottica.com) a successfulverticallyintegratedbusinessmodel: accresce-
re, anche attraverso una serie di importanti acquisizioni, il portafoglio di brande la
presenza diretta nel retail. Luxottica compra il marchio storico italiano Persol nel
1995 e i marchi storici statunitensi Ray-Ban e Oakley rispettivamente nel 1999 e nel
2007; mentre nel campo del retailingl'acquisizione di US Shoe Corp. (proprietaria
della catena The LensCrafters con 604 retailstores)è del 1995, quella di Sunglass Hat
(circa 2 mila negozi negli Stati Uniti) del 2001, quella di OPSM (461 negozi in Au-
stralia, Nuova Zelanda, Hong Kong, Singapore e Malesia) del 2003, quella di Cole
National (quasi 3 mila negozi gestiti direttamente o in franchisingnegli USA, in Cana-
da e nei Caraibi) del 2004, quella della cinese Xueliang del 2005 e quella del 40 per
cento di Multiopticas (390 negozi in Cile, Perù, Ecuador e Colombia), con una op-
zione per il restante 60, del 2009.
78 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

2.1.3L'assettotecnologico-organizzativo

L'impresa concepisme produce (utilizzando tale termine in senso estensivo) il


suo output con modalità tecnologi,chee /arme di arganizzazione(interne e di raccor-
do in generale con gli altri soggetti economico-finanziari) che tendono a mo-
dificarsi continuamente nel tempo, in modo strettamente interrelato e in mi-
sura più o meno radicale, in funzione principalmente de:
• l'evoluzione quantitativa e/o qualitativa della domanda (a sua volta sensi-
bile all'offerta);
• l'evoluzione delle convenienze,ossia del sistema dei prezzi relativi.
Il sistema dei prezzi relativi e la stessa domanda sono a loro volta influenzati
fra l'altro da:
• la scarsitàdi risarsecritiche(energia, manodopera specializzata, competen-
ze specialistiche ecc.);
• la disponibilitàdi nuove tecnologi,e, frutto dell'esperienza maturata e/ o del-
1'attività di ricerca svolta nelle imprese stesse e/ o nelle istituzioni deputa-
te (accademiche ecc.) ;
• la disponibilità di nuove infrastrutture materiali e immateriali (quali quelle di
trasporto o Internet).
Un aumento consistente della domanda di un nuovo prodotto, ad esempio,
spinge usualmente l'impresa o le imprese che lo producono a cercare nuove
combinazionitecnologi,co-arganizzative, che permettano di ottenere vantaggi - in
termini di costi e/ o caratteristiche intrinseche e/ o qualità del servizio - dalla
scala e di usare tali vantaggi per sopravanzare i competitori esistenti o per non
farsi sopravanzare dagli stessi o per creare barriere all'ingresso di competitori
nuovi.

Può essere modificato il processo produttivo (in senso stretto), con l'introduzione di nuovi
impianti e apparecchiature; può essere introdotta una diversa articolazione verticale del pro-
cesso, con prodotti intermedi differenti dai precedenti; può essere modificata la distribuzio-
ne fisica, con una diversa strutturazione della rete logistica e delle procedure informatiche;
può essere modificato lo stesso "perimetro" delle imprese, con l'assorbimento di attività in
precedenza esterne (quali ad esempio la vendita) e viceversa con l'espulsione di attività in
precedenza interne (quali ad esempio quelle per la produzione di prodotti intermedi a bas-
so contenuto tecnologico ed elevato costo del lavoro); viene modificata comunque (sia "a
perimetro costante" che "variato") l'organizzazione interna e, insieme con essa, le modalità
operative e le logiche gestionali, e può risultare di conseguenza anche profondamente diver-
so il fabbisogno quantitativo e qualitativo di competenze.

Una modifica "in grande" del sistema dei prezzi relativi- quale quella che si ve-
rificò ad esempio su scala mondiale negli anni '70 con l'au1nento strutturale del
prezzo del petrolio (che era rimasto dalla fine della Seconda guerra mondiale
su livelli bassissimi) - può stravolgere completainente, sino a provocarne talora
la morte, l'equilibrio economico delle imprese: che, proprio sulla base del siste-
ma dei prezzi precedente, avevano scelto come combinare i fattori di produzio-
ne, quale "perimetro" darsi e quali tecnologie e forme organizzative adottare.
2. L'impresa e il contesto I 79

La risposta può essere molto diversa, a seconda della rilevanza e della sostituibilità del "pro-
dotto" in oggetto. Nel caso citato del petrolio - che proprio per il suo basso costo preceden-
te si era affermato come principale fonte energetica ("scalzando" altre fonti come il carbo-
ne) e aveva permesso il diffondersi della meccanizzazione e automazione di larga parte dei
processi industriali dell'economia - furono battute contemporaneamente strade differenti:
vi fu un profondo ripensamento dei processi, per renderli meno energi,vori, in alcuni compar-
ti; si abbandonarono i prodotti eccessivamente energivori, a favore di prodotti sostitutivi, in
altri; si rinunciò alle lavorazioni più energivore, quali le prime lavorazioni dei minerali me-
talliferi, "spostandole" nelle aree a elevata disponibilità di energia (ad esempio di origine
idroelettrica) a basso costo, in altri ancora; si ritornò a sfruttare giacimenti petroliferi in pre-
cedenza abbandonati per il costo di estrazione troppo elevato (rispetto al prezzo); si ricerca-
rono fonti energetiche alternative e, soprattutto, si riattivò - stimolata dal prezzo - la ricerca
di nuovi giacimenti petroliferi. Il tutto con una profonda ristrutturazione del sistema delle
imprese, dei loro "perimetri" e delle loro localizzazioni e con una notevole iniezione di "nuo-
ve" tecnologie: alcune delle quali di concezione realmente "innovativa" e frutto dello sforzo
di ricerca indotto dallo stato di necessità, altre già esistenti (almeno in linea di principio) ma
non convenienti in regime di bassi costi energetici.

Ma anche l'introduzione di nuove tecnologie e di nuove infrastrutture può


portare a trasformazioni radicali nelle combinazionitecnologi,co-organizzative,
a li-
vello di impresa e a livello di sistema, e allo stesso tempo creare le condizioni
per l'introduzione di prodotti e/ o servizi innovativi in grado di soddisfare
una domanda anch'essa del tutto nuova.

È quanto sta accadendo da molti anni a questa parte con la continua evoluzione dell' ICT-
Information & Communication Technologi,es e con il progressivo affermarsi di Internet nell'eco-
nomia e nella società (cfr. schema 2.14): un'evoluzione e un'affermazione che assumono in
taluni momenti le caratteristiche di veri e propri salti, seguiti da processi di profondo aggiu-
stamento - con "morti" e "feriti" ma anche con l'emergere di nuovi protagonisti- nella strut-
turazione dell'economia, nell'organizzazione delle imprese e delle istituzioni pubbliche,
nelle loro mutue interazioni, nei rapporti che esse intrattengono con i privati (consumatori
per le prime e cittadini per le seconde), nei rapporti fra privati.

I cambiamenti negli assetti politico-istituzionali, nei rapporti fra le diverse par-


ti sociali, nella legislazione, nella fiscalità e nelle normative tecniche specifi-
che - a livello locale, nazionale, sovranazionale e globale - possono avere ov-
viamente impatti molto rilevanti ( cfr.paragrafo 2.5): sia indiretti, sulla doman-
da e sul sistema dei prezzi relativi; sia diretti, sulle tecnologie che l'impresa
può utilizzare (ad esempio in funzione della salvaguardia dell'ambiente), sul-
le sue forme di organizzazione (ad esempio in relazione ai diritti dei lavorato-
ri) e sulle sue modalità di governance(cfr. schemi3. 9 e 3.1 O).

ScH EMA 2.6 - Leinnovazioninell'ICTe il potenziamentoinfrastrutturale


di Internet
ridisegnanol'organizzazionedell'economiae delle imprese

"Le rilevanti innovazioni in atto nel mondo delle telecomunicazioni mobili (dalla pre-
sentazione di Andrea Rangone dei risultati 2011 dell'Osse,vatorioMobileInternet,Con-
80 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

tent & Apps della School of Management del Politecnico di Milano) - la rapida affer-
mazione del mobile Internete degli applicationstore,la diffusione di smartphonesem-
pre più sofisticati ed efficaci anche per accedere a Internet, lo sviluppo delle reti di
nuova generazione (LTE),il lancio di molteplici applicazioni innovative capaci di sfrut-
tare le caratteristiche specifiche del telefono cellulare, la messa a punto di nuovi mo-
delli di business che puntano su nuovi format di pubblicità e su nuove forme di ricavo
pay - sono le ragioni che inducono alcuni a parlare addirittura di MobileRevolution.
Queste innovazioni sono alla base di un processo circolare che vede quattro elementi
principali influenzarsi reciprocamente: la crescente penetrazione degli smartphone
[500 milioni nel mondo a metà 2011], l'aumento del numero di utenti che accedono a
Internet da cellulare [destinato a superare in pochi anni il numero di utenti che acce-
dono da PC], l'incremento della banda disponibile [che potrebbe arrivare nel giro di
qualche anno a 100 megabit al secondo], lo sviluppo di un'offerta sempre più ampia
di contenuti e servizi specificamente pensati o ottimizzati per il cellulare. [...] Nelle
abitudini dei consumatori il cellulare sta diventando uno strumento non solo per co-
municare ma anche per leggere news, ascoltare musica, vedere video, accedere ai so-
cia/network,navigare il web, giocare, effettuare pagamenti, comprare prodotti e servi-
zi ecc. [...] Questa trasformazione ha importanti implicazioni anche sul mondo delle
imprese e della pubblica amministrazione: fornendo loro un nuovo potente canale di
gestione della relazione con i propri clienti/cittadini. [...] Non c'è fase del ciclo di vita
della relazione impresa-cliente che non venga impattata: dalla pubblicità alla promo-
zione, dai servizi pre-vendita a quelli post-vendita, dall'acquisto al pagamento[ ...]".
E a proposito della complessità degli effetti - sull'offerta - della crescita del cosiddet-
to cloudcomputing(dalla presentazione di Mariano Corso e Stefano Mainetti dei risul-
tati 2011 dell'Osservatorio Cloud& ICTas a Servicedella School of Management del Po-
litecnico di Milano): "Con il termine cloudvengono qualificate offerte molto differenti:
da quella di chi [come ad esempio Cisco o I BM] offre componenti di base hardware e
software per la costruzione delle infrastrutture cloud (componentdeveloper),a chi [co-
me IBM, Accenture o BravoSolution] offre servizi via rete (serviceprovider),a chi [come
Accenture] aggrega e rivende servizi (cfoudbroker),a chi [come ltaltel] realizza proget-
ti su misura (solutiondeveloper)o aiuta l'impresa nel percorso verso il cloud (consul-
tant)". Non dimenticando che la nascita di nuovi business a carattere innovativo ha in
generale il duplice effetto di spingere le imprese già operanti in attività similari - quali
quelle citate - ad ampliare il proprio output e di favorire la nascita di nuove imprese vi-
ceversa focalizzate.

Il termine tecnologjaviene utilizzato, a livello professionale e nel linguaggio co-


mune, con connotazioni diverse fra loro: spesso identificando la tecnologia
con la sua componente più elevatae innovativa, quella ad esempio che sta por-
tando in questi anni a una radicale trasformazione del mondo dell'informa-
zione e delle comunicazioni.
Noi attribuiremo nel seguito al termine tecnologia, in assenza di indicazio-
ni diverse, il significato generico di modo di fare /,ecose.per cui parleremo di tec-
nologia non soltanto in relazione ad attività (quale quella di produzione in-
2. L'impresa e il contesto I 81

dustriale, dell'acciaio piuttosto che dell'energia elettrica o dei microprocesso-


ri) con connotati naturalmente tecnici, ma anche in relazione ad attività -
quali la vendita - che con la tecnica sembrano aver poco da spartire.
L'accezione così lata attribuita al termine tecnologia fa comprendere per-
ché (come evidenziato in precedenza) la tecnologia stessa venga sempre da
noi vista in stretta interconnessione con l'organizzazione: il modo di fare le
cose è infatti "figlio" di un modello "astratto" più o meno articolato e com-
plesso, ma si concretizza attraverso le persone, le strutture e le modalità di ge-
stione che le une e le altre adottano.
~!:~-~A~ -~e!i:r:ii~~_<YrgarJ,~ZZ/!:
__
zj_<!!_!:e
- peraltro - verrà da noi considerato,in as-
senza di indicazioni contrarie, nella sua accezione più lata. Guardando non
solo all'interno del "perimetro" dell'impresa, ma anche ai rapporti con le al-
tre imprese che fanno parte idealmente - come fornitori e/ o clienti - della
s.te~_safilierq(o filiere nel caso di portafoglio multibusiness) e che in quanto tali
"cooperano" al processo complessivo: perché si è mediamente accentuata nel
tempo la tendenza alla deverticalizzazione delle imprese (cfr. schema2. 4 e pa-
ragrafo5. 4) e si è conseguentemente accresciuta in molti comparti la necessità
di un forte coordinarneritoverticali!difi:(il[fa_,_in grado di simulare - in termini di
qualità e tempi di risposta - i_lfunzionamento di un'impresa a elevata integra-
zione verticale. Guardando non solo alle strutture organizzative,ma anche ai
meccanismi di funzionamento e alle wgi,chegestionali: uti~izzando un paragone
cl~sico, non solo all'hardware ma anche - e forse ancor più - al software.
E impossibile trovare due imprese - anche strettamente affini (nonché in
competizione) fra loro dal punto di vista dell'output e dei clienti serviti - che
adottino la stessa combinazione tecnologia-organizzazione: perché comun-
que fattori quali la scala dimensionale o le caratteristiche personali delle ri-
sorse umane in posizioni-chiave comportano differenziazioni.
Vi possono essere però situazioni di forte similitudine tecnologico-organiz-
zativa, a un estremo, e viceversa di forte differenziazione, all'altro: con implica-
zioni importanti sulle modalità di competizione delle imprese (cfr. capitow5).
La bontà di una combinazionetecnowgi,co-organizzativa - in termini di capacità
di creazione di valore economico (cfr. capitow4) - non può in generale essere
giudicata in termini assoluti e in astratto, ma deve essere valutata con riferi-
mento alle contingenze, ai luoghi e allo specifico momento in cui l'impresa si
trova a operare.

Un cambiamento dei prezzi relativi, ad esempio, che porti a un aumento sensibile del prezzo
del lavoro e/ o di quello dell'energia (quali quelli visti in precedenza) rispetto alla media dei
prezzi dell'economia, rende non mwne- ossia non economiche- combinazioni a elevato conte-
nuto di lavoro e/ o di energia che in precedenza lo erano.
Combinazioni tecnologico-organizzative molto lontane fra loro dal punto di vista del conte-
nuto di lavoro e/ o di energia possono peraltro essere contemporaneamente presenti - risul-
tando localmente le migliori disponibili- in aree geo-politiche diverse: si pensi alle differen-
ze esistenti nel tessile-abbigliamento fra le combinazioni ad alta intensità di capitale del no-
stro paese e quelle ad alta intensità di lavoro di molti paesi asiatici.
82 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Ma anche un cambiamento nella domanda - ad esempio, come accaduto negli anni '80, in
termini di richiesta di un più elevato livello di qualità (intesa come conformità agli standard)
di prodotti intermedi quali le parti meccaniche di un'automobile o di una più elevata tem-
pestività di fornitura degli stessi a fronte degli ordini - può rendere non economica, perché
non più rispondente a ciò che il mercato richiede e quindi potenzialmente destinata a far
perdere clienti all'impresa che continua ad adottarla, una combinazione tecnologico-orga-
nizzativa in precedenza vincente.

2.1.4 l!immagine

È dal 1997 che la rivista statunitense Fortune4 pubblica ogni anno l'elenco - messo a punto
da Hay Group- delle Worlds Most Admired Companies, delle imprese cioè che (a prescindere
dai comparti in cui operano e dai paesi delle case madri) godono della reputazione più ele-
vata con riferimento a una serie di parametri: innovatività, qualità dei prodotti, qualità del
management, competitività su scala globale, solidità finanziaria, investimenti a lungo termi-
ne, utilizzo degli asset, gestione delle risorse umane e socia[ responsibiHty. La nazionalità pre-
valente -fra le top 50del 2011 - è quella statunitense, anche per le modalità con cui l'elen-
co è stato costruito, consultando "executives, directors, and securities analysts" in larga mi-
sura statunitensi. Ma è comunque interessante vedere quali siano le imprese con I'immagi,ne
più elevata: Appie e Google occupano le posizioni di testa, In questa come peraltro in altre
classifiche riportate nel seguito; Berkshire Hathaway, la creatura finanziaria di Warren Buf-
fett (a lungo secondo uomo più ricco del mondo), precede SouthwestAirlines (capostipite
delle low cost aeree) e Procter & Gamble (cfr. paragrafo 1.1); seguono Coca-Cola, Amazon
(cfr. paragrafo 1.4), FedEx (notissima per i suoi servizi rapidi di spedizione ip tutto il mon-
do), Microsoft (cfr. paragrafo 1.4), McDonald's (leader mondiale nel fastfood), Wal-Mart
(leader mondiale nella grande distribuzione), IBM (cfr. sotto-paragrafo 1.5.1), Generai Elec-
tric (cfr. sotto-paragrafo 1.5.1) e Walt Disney (famosa per i suoi cartoni animati ma anche per
aver incorporato Pixar). Le imprese italiane selezionate per la gara- sulla base della loro di-
mensione e del peso nell'ambito del proprio comparto - sono state soltanto otto: Eni, la
principale impresa del nostro paese (nota anche, ad esempio, per la forte attenzione che
dedica alla corporale governance), è risultata prima fra esse con un buon punteggio comples-
sivo; mentre Fiat, nonostante i successi americani con Chrysler, occupa la posizione di coda
con un punteggio piuttosto basso.

La reputazione di cui l'impresa gode, owero l' immagi,ne di sé che essa proietta
all'esterno (verso i clienti, le banche, gli azionisti e i mercati finanziari, le au-
torità pubbliche, le collettività locali, i giovani alla ricerca del primo lavoro
ecc.) ma anche all'interno (verso i suoi dipendenti), rappresenta una gran-
dezza - ancorché impalpabi/,e- di rilevanza a nostro avviso paragonabile a quel-
la del suo assetto tecnologico-organizzativo (da cui peraltro è fortemente in-
fluenzata). L' immagi,ne dell'impresa non è legata solo alle performance econo-
mico-finanziarie correnti, ma anche - come traspare dai criteri di Fortune per
individuare le most admired - alla qualità dei suoi prodotti e del suo manage-
ment, alla sua proiezione verso il futuro (quindi alla sua innovatività e alla di-
sponibilità a investire in un'ottica di medio-lungo periodo), alla qualità del-
l'ambiente umano (quindi alla sua capacità di attrarre i cosiddetti taknti), alla

4. Cfr. http://money.cnn.com/ magazines/ fortune/ mostadmired/2011 / full_list/.


2. L'impresa e il contesto I 83

responsabilità sociale (al rispetto cioè delle leggi, alla salvaguardia dell 'am-
biente e all'attenzione verso le collettività dei territori in cui opera).
L'immagine che dell'impresa si ha- soprattutto all'esterno - può non corri-
spondere alla realtà. La difficoltà di far _conoscere la propria esistenza, in un
contesto informativo sempre più affollato, può far sì che ci sia una sottostima
dell'impresa; ma l'inerzia, per un'impresa che ha goduto viceversa di un'ele-
vata notorietà, può prolungarne l'immagine positiva anche quando i fattori
che l'hanno generata tendono a scemare.
Il potenziale ~ivario-fra immagine e realtà ha fatto crescere l'importanza
della comunicazione.che, quando utilizzata in modo virtuoso, mira a cancellare
tale divario e/ o a spianare la strada per i salti di qualità che effettivamente
l'impresa sta cercando di fare; che viceversa può essere utilizzata, in modo in-
gannevole, per fornire dell'impresa un'immagine molto lontana rispetto alla
realtà corrente e futura.

Un caso interessante è quello della sudcoreana Hyundai. "Ask North American car industry
executives which rival they most admire, and many come up with a surprising reply: Hyundai
(dal Financial Times del 17.5.2011, "A tale of two sectors", di Bernard Simon). The respect
the South Korean carmaker garners is especially remarkable given its early reputation in the
North American market. Derided in the late 1980s and early 1990s for dumping cheap rust
buckets on US car buyers, Hyundai has transformed its image, and has a record for innova-
tion and quality that rivals the best in the industry. Its share of the US light-vehicle market
has doubled in the past six years [ ...]. Hyundai is seeking to build on its new-found brand
loyalty by targeting young families. [...] ". Il passaggio dalla derisione all'ammirazione è stato
sicuramente il frutto di un cambio di strategia dell'impresa relativamente alla qualità e al-
l'innovatività delle sue auto, ma la comunicazione ha avuto il compito determinante di far
oscer a tutti tale cambio di rotta e di invertirein tempi non troppo lunghi un'immagine
nerzia rende in generale difficilmente reversibile.

È utile distinguere l'immagin_~_.Q~~!).mpres 4. in quanto tale, owero la corporate


image,rispetto a quella''àei suoi prodotti, laddove esistano !Jrandper denotarli.
È una distinzione significativa, perché differenti sono in generale sia gli inter-
locutori di riferimento sia le modalità della comunicazione; è una distinzione
però che tende a sfu~~~.<;.._g~ando
~ ~ .. ·-··
l'impresa
.... ..
_ ,
si ~dentifica fortemente con i st19i
•.. --
____~•,. ~, ,....,_ ·...:· ,.,._-_.,,.:~,;,

prodqJ.t!. La cmporateimage è soprattutto rilevante, con pesi delle sue compo-


..
~'.:•-~~,,--,

nenti di volta in volta diversi, per gli stakehol,dereper gli sharehol,derdell'impre-


sa (cfr. paragrafo3.1). Mentre la forza dei !Jranddei singoli prodotti (o famiglie
di prodotti) - che sfruttano l'importanza dell'inerzia nelle scelte che le perso-
ne fanno - ha una valenza principalmente commerciale e può rappresentare
una garanzia di continuità in un contesto di cambiamento (cfr. schema2. 7).

Procter & Gamble (cfr. paragrafo 1.1) si è storicamente collocata a un estremo, con una corpo-
rate image completamente separata rispetto alla !Jrandimage dei suoi prodotti, spesso anche
molto distinti fra loro. Apple (cfr. paragrafo 1.4) rappresenta invece, all'altro estremo, un ca-
so emblematico di forte identificazione fra impresa e prodotti e di forte apparentamento fra
i prodotti stessi, progettati in un'ottica di interoperabilità e tutti awalentisi dell'ecosistema
messo a punto dall'impresa. Un "guaiq,, __ a un prodotto di Pro~~er _8-c_.~~I:1]:!?l~
non_ sarebbe
quasi visibile agli acquirenti dègttattri proèiof.ff e·aweooe-=-iiélla maggioranza dei casi - un
84 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

~~-!~--~QP..Q!g({'.j~e;
impatto lim!~..!.<? ma il success<_:>_~ un P~?_?:~~todi Procter & Gamble, se
.no11C1Sara- un'inversione completa nella strategiadi &aniiing (attualmente, come detto, in
fase di cambiamento), è sostanzialmente irrilevante per gli altri prodot_ti. L'oppost?, __E~~Ap-
~le! ove sinora il successo ·de1nuovlproctofti".:·quàTI1"tPlwiieeTzPiuf=ba rilanciato-la vendita
- gli esistenti (come il Mac); ove in contropartita il rischio che corre l'impresa è che l' emer-
gere (che non auguriamo) di seri problemi per un prodotto possa danneggiare tutti gli altri.

La corporaleimage,proprio per la sua natura non soltanto economico-finanzia-


ria, può essere fortemente ~a~.~=~i~ta in presen~a dell~emer~ere _:J
~Jti?Yz1e
vere O false-che mettano 1n·e~ I presupposti su CUI essa e cresciuta.
Esemplari i casi di Tata, uno ctciprincipali gruppi indiani, e di TomTom
(cfr. paragrafo 4.1), la società olandese molto più piccola ma diventata famosa
per i suoi navigatori.

"Emerging markets are yet to produce brands equivalent to Generai Electric or Microsoft.
But when they do, Tata, the Indian conglomerate, would like to be counted among them
(dal Finanaal Times del 14.4.2011, 'Tata: polished image under threat?", di James Lamont).
The company, which values its brand at about $14bn, more than double what it was six years
ago, is embarking on an ambitious branding push into the US, UK, South Africa - and Chi-
na. But it has its work cut out to home. Tata managers are worried India's spate of corrup-
tion scandals might tarnish the global standing of its largest company [... ] ".
'TomTom, the Amsterdam-based navigation device maker, has a bit of an image problem on
its hands after it was discovered that some of the data it collects from drivers 'Yas being used
by the Dutch police to choose the best sites for speed cameras (da The Wall StreetJournal del
28.4.2011, "TomTom drives into speed camera scandal", di Archibald Preuschat). Not an
enhancement its paying customers would appreciate. TomTom - which faces a shrinking
market for persona! navigation devices and has been pushing its higher-margin service offe-
rings - collects anonymized data from owners of high-end navigation devices and Vodafone
mobile phone [ ...]. Unfortunately, a Dutch paper revealed that Dutch police were making
use of the data [ ...]. It's too early to asses how far this has knocked TomTom's image or
whether Vodafone customers are switching off their mobile phones [ ...] ".
In ambedue i casi la reputazione dell'impresa -faticosamente conquistata-è a 1ischio:per il coin-
volgimento in scandali politico-finanziari Tata, per la rivelazione di comportamenti poco lea-
li verso i suoi clienti TomTom. Con un impatto però potenzialmente diverso. Per una con-
glomerata come Tata, presente nei settori più diversi dell'economia con le tipologie più di-
verse di clienti, i danni maggiori potrebbero verificarsi nelle relazioni che essa intrattiene
con il governo indiano e con i governi dei paesi ove è presente o vuole investire: con riflessi
sulle grandi commesse pubbliche e sulle nuove concessioni. Per un'impresa viceversa foca-
lizzata sul mercato consumer come TomTom, che si identifica con il brand dei suoi prodotti,
sarebbe la vendita di questi ultimi che potrebbe entrare in crisi.

Per la costruzione della brand image-particolarmente rilevante per i beni e ser-


vizi destinati al mercato consumer- le imprese si awalgono largamente di quel-
la forma particolare di comunicazione che è la P!!:._bblicità: sulle reti televisive e
radiofoniche, sui giornali e sui periodici, su Inteihei fsu Google, attraverso gli
ads sui giornali online ecc.), sui muri con le affissioni. Ma cresce sempre più, a
fianco di una pubblicità che si sposta verso la rete,u,n nu~~Q.1]la.rg~ che cer-
. • • • • • .... ~•,J.•·.•q--. ,.
~ .,_.,,u<,ii'fl' . .
ca d1 alhnears1 a1 profondi cambiamenti - ong1nat1 da un lato dalla diffusione
degli smartphonee dei tabl,ete dall'altro dal successo dei socia[network- nel pro-
cesso di acquisto: processo in cui riscuotono sempre più importanza sia il pare-
re dei pari sia il rapporto diretto con il brand (cfr. schema2. 8).
2. L'impresa e il contesto \ 85

Mentre il valore della carporateima_genon è s~arabile ~a quello dell'impre-


e.E'::~_essariamèntevero p~~ l<:l&randimage (~fr:·sch~ma·2. 7);i
~51Ll_?_s~~~-~~-~~~-
!Jrandpossono essere oggetiò.d'i acquisizione, solitamente - ma non obbliga-
toriamente - con i rami di impresa in cui sono inseriti; i ·!Jrandpossono essere
concessi in uso a pagamento, per dare smalto a prodotti (quali gli occhiali da
sole nel caso Luxottica) che le imprese detentrici dei !Jrand(Armani piuttosto
che Prada) non intendono inserire nel loro output.

SCHEMA 2.7-1 brandglobalidi maggiorvalore

Quale sia il valore dei brand,rispetto a quello delle imprese cui fanno capo, è un pro-
blema concettualmente aperto. 11v~!~f-~is~l!~ -~~P~?PP~?'.!QD~,.!e!1!9~.P!.~ ..~J!E~..9~.§!.IJ~.O
E!}!.!!1-..-:
più_él__l
__ ..i.~~S.~~-~H-~~JtrjJatto.riiri g_i,9.-ca.~ yi~_f"!e
..a~Tib_~_i_tg
i!_mçrf.t.o...__çl~~l_livel!9
aèlle ven~~-d-~Uiv.e.llQ.dei prezzL(con il loro impatto sui margini e sulla capitalizza-
zione) è~resi realizzano "sotto il suo cappello". La logica sottostante alle valutazioni
più alte è quella di attribuire al brandtutta la differenza fra ciò che l'impresa (o il ramo
di impresa che a esso fa capo) vale e ciò che . .. varréboe··1r;·asse~zàdel
-.' . . . - .
- . . ..
hrand.
.- ,. .. - .
,. "'
In altre pa-
'' ~

role: quanto riuscirebbe a vendere, e a che prezzi, un'impresa come Coca-Cola o Pra-
da se fosse privata coeterisparibusdel suo brand?
La valutazione di un branddeve quindi awalersi, congiuntamente, di un'analisi finan-
ziaria approfondita sulle imprese e di un'analisi quantitativa dei consumatori: que-
st'ultima per comprendere quale sia la fiducia (formatasi nel tempo) che essi ripon-
gono nel brandstesso, ma anche quale la convinzione, sulla base delle esperienze re-
centi, che il brandcontinui a garantire lo stesso livello di prestazioni; e quale sia il di-
vario fra il prezzo che essi riterrebbero corretto pagare, in funzione del loro desiderio
di acquisto, e il prezzo reale.
La valutazione può essere fatta solo per i cosiddetti marketfacingbrand,ossia per i
brandche generano direttamente i ricavi e i profitti attraverso la vendita ai clienti dei
beni e dei servizi. Mentre essa non può riguardare i corporatebrand di gruppi (quali
Procter & Gamble, Unilever, Nestlé o LVHM) che hanno in portafoglio marketfacing
branddiversamente denominati o di gruppi (quali l'.Oréal) per cui la coincidenza fra
corporatee marketfacingbrandriguarda solo una parte dell'output.

Il rapporto messo a punto da WPP, BrandZ Top 100 Most valuable global brands 2011
(www.ft.com/reports/global-brands-2011;www.brandz.com), con i criteri metodologici testé citati,
è probabilmente il più noto. "[...] The ranking includes some of the world's most recognized
brands and brands that are virtually unknown. [...] lt values brands from 13 categories, ranging
from apparel, beer, cars, to fast food, fìnancial services, insurance, luxury goods, telecom provi-
ders, oil & gas companies, persona! care, retail, soft drinks, and technology. [...] AIIthese brands
survived the most challenging global economy of the past 80 years. Most emerged strengthened
and poised for growth. Success is diffìcultto unbundle. [...] Brand contributes signifìcantlyto ear-
nings across all sectors, both consumer facing and business-te-business. The value of the BrandZ
Top100 Most ValuableGlobalBrandsincreased 64 percent since 2006. During the same period, the
stock market value ofthe BrandZ portfolio grew by 35.9% compared with a fall of 1.1%for the S&P
500. lt's not that strong brands always are immune to the vicissitudes of the market and fate.
86 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

~repar~d.re~ourc~fy.L~r,d__
They're not. But ~trong br~~~~~.:....~~E:....e!.<?~ected, ~f:~i_H~~!=
They'r~
inoculated with product innovation, marketing acumen, customer closeness, trust and respons1-
ble citizenship. Having a strong brand is especially important today as consumers emerge from
the recession less trustful and much more thoughtful about what and how much they purchase.
On average worldwide, only 7 percent of consumers buy on price alone, down from 20 percent ten
years ago. In contrast, 81 percent regard brand as an important consideration [...]".
Appie e Google sono in testa alla classifica generale - con un valore stimato dei loro brand pari ri-
spettivamente a 153,3e 111,5miliardi di dollari - seguiti da IBM, McDonald's, Microsoft, Coca-Cola,
AT&T, Mari boro, China Mobile e Generai Electric. Facebook (salito al trentacinquesimo posto con
19,1miliardi) è il brandche ha avuto il più elevato accrescimento di valore percentuale, +246 per cen-
to, rispetto al 2010; mentre Appie ha avuto il più rilevante, +153,3miliardi, in termini assoluti.
Appie e Google sono owiamente in testa anche nella categoria technology,seguiti da IBM, Micro-
soft, H P, Oracle e (in decima posizione) da Facebook. Amazon vede il suo brand primo nel retail,
addirittura davanti a Wal-Mart. Nel persona/care Procter & Gamble, non classificato perché corpo-
rate,vede ben quattro suoi brandnelle prime 12 posizioni, con Gillette in testa; mentre L'.Oréal,se-
condo come marketfacingbrand,vede - come corporate- altri due suoi brand nelle prime 7 posi-
zioni. LVHM, non classificato per le stesse ragioni di Procter & Gamble, ha nel luxuryben quattro
dei suoi brand nelle prime g posizioni (Louis Vuitton, Hennessy, Moet & Chandon e Fendi), con
Louis Vuitton in testa che precede tre grandi case come Hermès, Gucci e Chanel.
Gucci e Fendi sono tra le pochissime imprese italiane e con headquartersin Italia, anche se non più
a proprietà italiana perché integrate rispettivamente nei gruppi francesi LVH M e PPR, che appaio-
no nelle classifiche settoriali. Telecom Italia e Tim sono gli unici brand italiani - anche-se non nelle
posizioni più avanzate - nell'elenco dei top 100.
Posizioni di testa invertite fra Google e Appie nella classifica de The World'sMost ReputableCom-
paniesstilata dal Reputation lnstitute (www.reputationinstitute.com/advisory-services/global-rep-
trak-pulse.php), che vede fra le top 10 imprese diverse dalle precedenti - BMW, Daimler e Volkswa-
gen, owero l'industria tedesca dell'auto; le giapponesi Sony e Canon; le altre statunitensi The Walt
Disney Company e lntel; la danese Lego - e fra le top 100 solo tre italiane: Ferrero (ventiduesima),
Pirelli (trentunesima) e Barilla (cinquantaduesima).
Perché così poche imprese del nostro paese, soprattutto nelle categorie più legate al lusso? Probabil-
mente la loro ridotta dimensione e la loro assenza in borsa (tendenza invertitasi a metà 2011 con l'I-
PO di Prada e Ferragamo), e quindi il ridotto contributo in termini assoluti all'utile e al valore di mer-
cato attribuibile al brand,giocano un ruolo non trascurabile. Anche perché le nostre imprese operanti
nella moda occupano posizioni di testa in altre classifiche: Prada, Armani, Versace e Valentino ap-
paiono ad esempio a fianco di Gucci e Fendi nei Top10 Most ExpensiveFashionBrands(http:/ /top-10-
list.org/2010/11/13/top-10-most-expensive-fashion-brands/) e a fianco di Louis Vuitton, Hermès e
Chanel nei Top 10 Most ExpensiveClothingBrands(www.top-10-blog.com/top-10-most-expensive-
clothing-brands/). Anche perché Ferrari è sicuramente uno dei brandpiù conosciuti al mondo nelle
auto sportive di lusso, per la sua presenza da sempre e le sue vittorie nella Formula 1.

ScH EMA 2.8 - Gli smartphonee i tablet ridisegnanoil processodi acquisto


e obbliganoil marketinga "cambiarepelle"

La tecnologia non ridisegnasolo l'organizzazione dell'economia e delle imprese (cfr.


schema2. 6), ma ridisegnaanche profondamente il processo di acquist~ di individui e
famiglie "grazie al fenomeno della convergenza mediale (testi, audio e video fruibili
sullo stesso apparecchio) e alla progressiva diffusione di smartphonee tablet [cfr. pa-
2. L'impresa e il contesto I 87

ragrafo1.4],come sostiene Giuliano Noci (L'Impresa,maggio 2011). Il 44 per cento


della popolazione italiana, circa 23 milioni di persone, interagisce infatti con imprese
e brand - come emerso dall'indagine condotta dall'Osservatorio Multicanalità nel
20105 - utilizzando più canali (web, mobile, media tradizionali) e confrontandosi
spesso con i pari,che sempre più svolgono un ruolo di influenzatori nel processo de-
cisionale di acquisto. [...] È dunque necessario che il marketing cambi pelle, [...] te-
nendo conto di due cambiamenti strutturali della società: la sempre maggiore diffi-
coltà degli individui a prestare attenzione ai numerosissimi messaggi a cui quotidia-
namente sono esposti e il sempre più marcato orientamento delle persone a matu-
rare le proprie scelte di acquisto in contesti di socialità (in rete) e attraverso lo svi-
luppo di un dialogo consistente con il brand.[...]". Occorre che l'impresa si focalizzi
su tre principali obiettivi:
• che operi "pensando di cogliere l'attenzione dell'individuo solo quando questo è
positivamente predisposto. [...] Un esempio per tutti: il punto vendita può diven-
tare uno dei canali determinanti per le attività di comunicazione in ottica conte-
stualizzata al momento dell'acquisto;
• che veda come elemento centrale della propria strategia di marketing la valoriz-
zazione di forme di interazione sociale orizzontali (tra pari) e verticali (individuo-
brand).In termini operativi, è richiesta la progettazione di siti, applicazioni mobi-
le e servizi web che favoriscano il confronto con coloro che, nella ristretta cerchia
degli amici, sono reputati credibili rispetto allo specifico fabbisogno informativo
del momento;
• che abbia una presenza coordinata e consistente in tutti i molteplici canali di in-
terazione: web, mobile,digitaiout of home, media tradizionali. I
Si tratta di obiettivi che richiedono una revisione profonda del modello di interazione
impresa-mercato[ ...]".

2.1.5 L'assettogiuridico-proprietario-finanziario

Come componente del sistema economico-finanziario, ma anche come "pez-


zo" della società (cfr. paragrafo 2.2) cui è delegata la produzione del reddito e
che si awale per tale produzione di risorse (umane, finanziarie, materiali
ecc.) face~~o alla società stessa, "l'impresa (cfr. capito/,o3) ha una sua per-
sonalità ji,uridi definita - distinta da quella di chi ne detiene la proprietà
e/ o ha ru'ò · nella sua gestione e/ o comunque interagisce con essa - che può
conformarsi a modelli sodetari differenti: per ciascuno dei quali la legge defini-
sce diritti e doveri degli azionisti (shareholder) e degli altri partecipanti
( stakehol,der)".
Tra i diversi modelli,che verranno brevemente discussi nel seguito (cfr. schema
3.1), risulta prevalente - nei paesi a economia di mercato - quello della s~.cie__~~e:

5. Cfr. www.multicanalita.it.
88 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

mioni,..che vede la proprietà dell'impresa in capo a uno o più azionisti: questi pos-
s~'ru-7essere persone fisiche e/ o persone giuridiche (imprese, banche e assicura-
zioni, fondi di natura varia) e/ o entità pubbliche (Stato, Regioni, Comuni ecc.).
Sta agli azionisti (sharehoùkr)nominare il tap managementdell'impresa e assumere
le decisioni di fondo che la riguardano, rispettando i diritti delle eventuali mino-
ranze e quelli - fissati dalla legge e/ o frutto di accordi contrattuali - di chi
(stakehoùkr)partecipa attivamente alla vita dell'impresa: di chi lavora per essa, di
chi ne è fornitore o cliente, di chi le presta denaro, di chi vive nello stesso o negli
stessi territoii ove essa opera ecc. L'azionista può essere unico, come spesso acca-
de per le imprese familiari di piima generazione ancora rette dall'imprenditore-
fondatore. Il numero di azionisti può essere limitato, come prevalentemente ac-
cade per le imprese familiari a partire dalla seconda generazione o anche per
quelle di nascita recente fondate da più soci. Il numero di azionisti può essere
anche molto elevato, quando le imprese si sono quotate in borsa - raccogliendo
capitali a fronte della vendita di quote di propiietà - e vedono il loro flottante 6
oggetto di scambi giornalie1i sul mercato; ma anche nel caso di azionariato diffu-
so l'impresa può iisultare non contendibik (non soggetta cioè a potenziali scalate
da parte di terzi) se esiste un socio di maggioranza- o un insieme di~sociche for-
malizzano un patto fra loro - che possiede almeno la metà delle azioni.

Procter & Cambie (cfr. paragrafo1.1), in linea con la maggior parte delle grandi imprese del
mondo anglosassone, ha un azionariato estremamente diffuso: essa risulta quindi contendibi1e,
anche se il suo elevato valore - legato non solo alla dimensione ma anche alla bontà delle perfar-
manc,e- rende al momento improbabile (perché poco conveniente) la possibilità che essa ven-
ga scalata. Yoox (cfr. paragrafo1.4) ha una composizione proprietaria simile, che fa sì che an-
ch'essa sia contendibi/,e.
anche se il ruolo propulsivo che il suo fondatore e attuale amministrato-
re delegato continua ad avere rende al momento poco probabile l'eventualità di una scalata
ostile.Mentre in De' Longhi, che pure è quotata, il controllo della famiglia è pari al 75 per cen-
to. Non sono invece quotate, ma ancora a proprietà integralmente familiare, società della rile-
vanza di Ferrero e Barilla (cfr. sottoparagrafo
1.5.2). In Italia, in generale, è estremamente ridot-
to il numero delle società quotate; e larga parte di esse non è contendibile(cfr. schema2. 9').

ScH EMA 2.9 - Sonopochele societàquotatein Italia


e pochissimequelle"contendibili"

"[ ...] Nel nostro Paese il mercato azionario ha da sempre rivestito un ruolo modesto
(dal discorso del presidente della Consob, Giuseppe Vegas, in occasione dell'Incontro
annuale con il mercatofinanziariodel 9 maggio 2011), che nell'ultimo decennio ha co-
nosciuto un'ulteriore contrazione, solo in parte spiegata da andamenti congiunturali

6. Il flottante rappresenta la quota parte delle azioni dell'impresa effettivamente in circolazione


sul mercato azionario: perché non facenti capo a partecipazioni di controllo, non vincolate
da patti parasociali e non soggette a vincoli di wrk-up(quali quelli fissati in sede di IPO per ga-
rantire agli azionisti-sottoscrittori la permanenza nell'impresa per un periodo s~fficiente-
mente lungo degli imprenditori-manager).
2. L'impresa e il contesto I 89

sfavorevoli. Fra il 2001 e il 2010 il numero delle società quotate domestiche è rimasto
sostanzialmente invariato (appena al di sotto delle 300 unità) e il peso della capitaliz-
zazione sul PIL si è quasi dimezzato (dal 47 al 27 per cento circa); i dividendi (e i riac-
quisti di azioni proprie) hanno sopravanzato gli aumenti di capitale e ogni anno agli
azionisti sono state restituite risorse pari in media al 2,6 per cento della capitalizza-
zione. Anche il mercato obbligazionario è storicamente poco sviluppato; rappresenta
un canale di finanziamento accessibile soprattutto a banche e società non finanziarie
di grandi dimensioni e con elevato merito di credito.
Il sottodimensionamento_q_~!!~J~_qr.~a ~ta_li_?_r,~--~-!.~ga,t9,
fo_nd,amen_talmente alla scarsa
presenza delle,_ rrti.dTé~imp!ese.n~Uisti_n9-.Si tratta di un fenomeno radicato nella strut-
turale frarn~entazione del nostro sistema produttivo in un numero elev?tissimQ _dL
piccole e medie imprese, prive delle dimensioni minime nec~ss'i~ie-per affrontare i
cosHlìssfi;g~ti ~alÌaqì:ù5tazioriÈte·rnùttanti·-~cfaccettare la maggiore trasparenza e
con·fendibifftà degli as.setti proprietari richieste dall'ingresso sul mercato azionario.
Per alcune di queste aziende il passaggio generazionale e l'apertura di nuovi mercati,
che postula l'aumento della scala produttiva, potrebbero essere il momento giusto per
compiere un salto dimensionale e per aprire il capitale o gli assetti manageriali a sogget-
ti portatori delle professionalità necessarie per guidarle verso la crescita e la quotazione.
Ma è ancora troppo debole il ruolo degli investitori istituzionali, in particolare di quelli
specializzati in investimenti nel capitale di rischio, che dovrebbero sostenere le società
nelle delicate fasi di passaggio che ne caratterizzano la crescita. [...] Il nostro mercato
azionario continua a essere[ ...] caratterizzato da assetti proprietari concentrati.
Nel periodo 1998-2010 il numero di società controllate di diritto o di fatto è aumenta-
to da 156 a 178, mentre la quota media detenuta dal primo azionista è rimasta presso-
ché stabile, passando dal 47 al 45 per cento.
La presenza degli investitori istituzionali [...] non è sostanzialmente, mutata negli ulti-
mi dieci anni considerati, se non per la nazionalità di tali soggetti. Da una situazione
di sostanziale parità nel 1998, quando sia gli istituzionali esteri sia quelli italiani con
partecipazioni superiori al 2 per cento erano presenti in circa una società su quattro,
si è passati, a fine 2010, a una presenza degli investitori esteri nel 40 per cento delle
società e di quelli italiani nell'8 per cento. Il fenomeno del cosiddetto interlocking con-
tinua a essere diffuso: a fine 2010, circa il 74 per cento delle società quotate aveva un
consiglio composto da almeno un membro con incarichi in altre società quotate; per
45 emittenti l'interlocking riguardava oltre il 50 per cento dei componenti[ ...]".

Il capitale messo a disposizione da parte dell'insieme degli azionisti - somma


di quello versato in sede di formazione del capitale iniziale e/ o di sottoscrizio-
ne di aumenti di capitale a pagamento e di quello lasciato all'interno rinun-
ciando alla distribuzione degli utili, al netto dei riacquisti di azioni proprie
( buyback) da parte dell'impresa - copre in generale solo una parte dei bisogni
finanziari dell'impresa stessa. L'impresa, come meglio si vedrà nel seguito, ha
bisognodi sol,diper diverse ragioni:
• per infrastrutturarsi: acquistando capannoni, uffici, impianti, attrezzature
di natura varia, sistemi informatici, mezzi di traspo_rto, brevetti, brand o
addirittura imprese (o loro rami) ~a integrare al suo interno;
90 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• per finanziare l'attività corrente.per creare e mantenere livelli adeguati di


scorte, per concedere ai clienti (anche in chiave competitiva) tempi di
pagamento più o meno lunghi.
Gli acquisti infrastrutturali si ripagano nel tempo, sempreché essi permettano
all'impresa di portare avanti attività remunerative e non incorrano invece in
problemi di obsolescenza, attraverso gli ammortamenti:che sbwccanoprogressi-
vamente i soldi congewtiin occasione del loro acquisto. Il finanziamento del-
l'attività corrente può essere reso più lieve- sino a invertirne il segno in alcuni
casi particolari come quello della grande distribuzione - dal ritardo con cui si
riescono a pagare i fornitori: che diventano a tutti gli effetti co-finanziatori
dell'impresa, come l'impresa lo è dei suoi clienti.
Per colmare il gap, presente nella larghissima maggioranza delle imprese,
fra la disponibilità di capitali di pertinenza degli azionisti - o capitali di rischio
(così denominabili perché ultimi a essere recuperabili nel caso di chiusura vo-
lontaria o di fallimento) - e i bisogni finanziari, l'impi::esa devt; i1J:debita~~ es-
senzialmente (ma esistono alternative quali l'emissione di obbligazioni) con
le banche, che le possono erogare crediti con modalità e tempi di restituzione
molto variegati e applicando tassi di interessi tanto più elevati quanto maggio-
re è il rischio percepito di non restituzione. Tale rischio è ovviamente percepi-
to tanto più alto quanto maggiore è il grado di indebitamento dell'impresa,
quanto più ravvicinati sono i tempi di restituzione dei debiti che essa ha con-
tratto in precedenza, quanto minore o comunque incerta è la prospettiva che
essa ha di realizzare flussi di cassa - ammortamenti più utili - rilevanti attra-
verso la sua attività.

Procter & Cambie, al 31 agosto 2010, aveva un capitale di pertinenza degli azionisti (stakehol-
der's equity) - o capitale di rischio - pari a 61,4 miliardi di dollari, sostanzialmente provenien-
te da utili non distribuiti ( retained earnings): essendo lontanissima nel tempo la formazione
del capitale iniziale e non essendovi stati recenti aumenti di capitale a pagamento, data la
forte capacità di generare cassa o comunque (nel caso ad esempio di acquisizioni rilevanti)
di accendere prestiti presso il sistema bancario o attraverso emissioni obbligazionarie. Alla
stessa data il rapporto debt/equity (cfr. schema 1.6), fra indebitamento finanziario e capitale di
pertinenza degli azionisti, risultava pari al 46,85 per cento. Può valere la pena evidenziare la
differenza fra la consistenza contabilR del capitale di pertinenza degli azionisti - pari come
detto a 61,4 miliardi di euro - e il valore quasi triplo che il mercato borsistico assegna al com-
plesso delle azioni, legata (cfr. schema 4.1) alla logica radicalmente diversa con cui le due
grandezze sono costruite: il valore contabi!Rriflette il passato, sommando (senza attualizzarle)
tutte le cifre versate o non ritirate nel passato; il valore di borsa riflette le aspettative sui risul-
tati futuri, che ovviamente non sono sensibili solo alla quantità di denaro messo in gioco, ma
anche e spesso soprattutto alla qualità delle scelte rese possibili da tale denaro.

Seat Pagine Gialle ( 1, 11 miliardi di euro di ricavi nel 20 I O, con circa 4800 addetti), aveva inve-
ce al 31 dicembre 2010 un capitale di pertinenza degli azionisti pari a 357,8 milioni di euro -
dopo una svalutazione dell'avviamento di 673,8 milioni a seguito dell'effettuazione dell'impair-
ment test (cfr. capitolo12) - e un indebitamento finanziaiio di ben 2,731 miliardi. Una struttura
finanziaria molto sbilanciata, che impediva al valore di borsa di superare i 160 milioni di euro,
"figlia" in larga misura del duplice passaggio della società attraverso le maglie del private equity
(cfr. schema 4.3). Come spiega Massimo Mucchetti nel suo articolo "Seat Pagine Gialle e le av-
2. L'impresa e il contesto I 91

venture del private equity" sul Camere d.RllaSeradel 3.6.2007: "I fondi di private equityhanno det-
to di voler vendere il loro 50, 1% di Seat Pagine Gialle. È dunque l'occasione per tirare le som-
me di un'operazione che esemplifica la prevalenza della finanza nell'economia. Seat, una co-
stola di Telecom Italia privatizzata nel 1997, è prossima al quarto cambio di proprietà in dieci
anni. I primi acquirenti furono fondi di privateequity,poi Telecom Italia se la riprese strapagan-
dola, volendo farne una internet cmnpanycon tv annessa; nell'agosto 2003, riallocata la tv, i fondi
sono rientrati e ora stanno per monetizzare. Questi fondi hanno pagato il 61,5% di Seat 3,03
miliardi di euro e si sono finanziati per 874 milioni con capitali che appaiono come propri e
per il resto con prestiti. Dopo pochi mesi, hanno imposto a Seat la corresponsione di un divi-
dendo straordinario di 3,6 miliardi, che la società operativa si è procurata facendo, a sua volta,
debiti in banca. Con la loro quota di dividendo, i fondi hanno rimborsato il proprio debito tra-
sferendo così il rischio all'impresa [...]".Un caso esemplare di come la finanza sia indispensa-
bile per la crescita economica dell'impresa, ma anche di come il perseguimento di obiettivi fi-
nanziari a breve possa risultare letale per la sua stessa sopravvivenza.

L'equilibriofinanziario, come meglio si vedrà nel seguito, è determinanteper la


vita di un'impresa. L'impresa fallisce, ed è costretta dalla legge a interrompere
definitivamente la sua attività e a mettere in vendita (attraverso un curatore
fallimentare nominato dal tribunale) i suoi asset per rimborsare almeno in
parte i creditori, quando non è più in grado di pagare i suoi debiti: perché i
soci non sono disponibili a sottoscrivere aumenti di capitale, perché le ban-
che non sono disponibili a concedere ulteriori prestiti. La presenza di buone
prospettive economiche rende più facile, ma non garantisce, il reperimento
delle risorse finanziarie per onorare i debiti in scadenza.

Non è sufficiente cioè, nel clima di incertezza che caratterizza l'attività economica, presentare
prospettive favorevoli per il futuro: perché i potenziali finanziatori possono da un lato non ri-
tenere sufficientemente credibili tali prospettive e dall'altro - se la disponibilità di risorse da
mettere a disposizione è limitata (ad esempio per i vincoli ai prestiti posti da Basilea 27) - tro-
vare più conveniente concedere i finanziamenti ad altre imprese. Un'impresa viceversa con
prospettive non particolarmente favorevoli, ma che si sia costruita nel tempo un solido patri-
monio di fiducia o che goda di un buon sistema di relazioni (economiche, politiche ecc.),
può avere talora più facilità nell'accedere al credito e nel prolungare la sua vita.

L'equilibriofinanziario può rjs1-:1ltare.fragileanche in presenza di un andamento


-~n~n solo prospettico - buono o addirittura brillante. È
econor.11.~.~-o.c:~iI"i.~Ù~
la tip1.casituazione in cui può venirsi a trovare un'impresa che voglia crescere,
a fronte di una domanda che pure cresce o rubando quote di mercato ai com-

7. Il Nuovo Accordosui requisiti minimi di capitale,meglio noto come Basi"lea2, è stato firmato nel
2004 dal Comitato di Basilea - organizzazione internazionale istituita dai governatori delle
Banche Centrali dei dieci paesi più industrializzati alla fine del 1974 - ed è entrato in vigore
nel 2007 (e poi parzialmente modificato nel 2008 e nel 2009 a seguito della crisi economica)
in sostituzione del precedente accordo del 1988. Basilea 2 è uno strumento di vigilanza pru-
denziale, riguardante le quote di capitale (riserve patrimoniali) che le banche devono accan-
tonare per sostenere la loro attività e che devono essere proporzionate al rischio assunto. Il 12
settembre 2010, sempre a seguito della crisi economica, è stata approvata una nuova versione
dell'accordo - Basil.ea3- che contiene condizioni ancora più restrittive di rafforzamento dei
patrimoni delle banche, che (sebbene destinate a non entrare in vigore prima del 2013) han-
no già spinto le principali banche del nostro paese a ricapitalizzarsi anticipatamente nel 2011.
92 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

petitori: quando i flussi di cassa generati dall'attività corrente non sono suffi-
cienti per finanziare sia gli investimenti sia gli incrementi di capitale circolan-
te netto che la crescita comporta.

Il caso Facebook (cfr. paragrafo 1.4) è esemplare. Si è in presenza di un'impresa con una buo-
na profittabilità, ma ancora molto piccola dal punto di vista dei ricavi rispetto a quelle che
potrebbero essere le sue potenzialità, con azionisti che puntano a una quotazione sul merca-
to borsistico a prezzi molto elevati: che devono a tale scopo mostrare che l'impresa è effetti-
vamente capace di accrescere le sue entrate e realizzare margini consistenti, e per questo in-
vestire, non disponendo però di flussi di cassa (data la dimensione economica) sufficienti a
finanziare la crescita. È la tipica situazione in cui risulta necessario l'aumento del capitale di
rischio (premessa anche per un aumento del ricorso alle banche), coinvolgendo nuovi azio-
nisti che vogliano scommettere sulla valorizzazione della società. Solitamente sono i fondi
cosiddetti di venture capi,tal(cfr. schema 4.3) che giocano questo ruolo, ma alternativamente -
come ha fatto Facebook con il supporto di Goldman Sachs all'inizio del 2011 - si possono
cercare, creando una sorta di borsa secondaria in cui vendere i titoli, finanziatori privati di-
sposti a pagare meglio le azioni.

2.2 L'impresa,il ruoloeconomicodello Stato e la responsabilitàsociale

L'impresa non deve essere vista soltanto come una componente ~del sistema
economico-finanziario, ma anche - più in generale - come un "pezzo" della
società:
• società di cui (nel suo ruolo più proprio) cerca di soddisfare direttalnen-
te o indirettamente, percependoli o anticipandoli ·o àriciìé ..sollecitando-
li, bisogni e aspirazioni individuali e collettivi, attraverso i prodotti (beni
e sérvizif che mette sul mercato;
• società da cui ~rae le risorse u~ane che operano stabilmente o tempora-
neamente in essa o per essa, e delle cui esigenze e visioni della realtà de-
ve tenere conto se vuole garantirsene impegno e fedeltà;
• società ai cui vawri di fondo, in con.tinua ev~~µ,zioqe, deve adeguarsi (pe-
raltro contribuendo consciamente o inconsciamente alla loro formazio-
ne), pena l'ostracismo e la sparizione: si pensi ad esempio al fortissimo
~ ~

sviluppo dellasensibilità ambientale)nei paesi più ricchi e ai riflessi che


ciò sta avendo sull'economia e sulla vita (o morte) delle imprese;
• società alle cui leggi e n_orme deve conformarsi,. çercando eventualmen-
te di incidere sul relativo processo- di formazione, e con le cui istituzioni
interagisce continuamente.
L'impresa è in altri termini un'istituzione sociale, non solo economico-finan-
ziaria. E a sua volta il sistema economico-finanziario non può e non deve esse-
re una monade con velleità di autoregolazione (con gli effetti nefasti visti nella
crisi del 2008), ma una componente - peraltro essenziale -della società.
La società orienta i comportamenti dell'impresa non solo attraverso le scel-
te che essa effettua sul mercato o attraverso le risorse umane che essa mette a
disposizione, ma in una forma più direttamente cogente attraverso lo Stato e la
2. L'impresa e il contesto I 93

pubblica qmministrazione. che, anche in una "economia di mercato" come la


nostra (che riconosce, come detto, all'impresa un elevato livello di indipen-
denza nelle sue scelte), hanno un ruolo determinante - oltre che nel garanti-
re un assetto infrastrutturale adeguato - nello stabilire e nel rendere operati-
ve le regok di funzionamento del sistema economico-finanziario.

Con il termine Stato si fa riferimento non solo allo Stato nazionale, ma anche alle sue artic~
fazioni territoriali (Regioni, Province, Comuni) da un lato e all'Unione Europea dall'altro,
che stanno sottraendo spazi crescenti al primo: in connessione con il trasferimentoversoil bas-
so di alcuni poteri, introdotto in seguito a modifiche apportate al nostro ordinamento costi-
tuzionale, e con il trasferimentoverso l'alto di altri, legato alla costruzione (ancorché travaglia-
ta) dell"'edificio" comunitario.

Al ruolo dello Stato nell'ambito del sistema economico-finanziario - come re-


golatore, come impositore di contributi fiscali ed erogatore di incentivi, come
imprenditore direttamente coinvolto nell'attività produttiva - e alla responsabi-
lità sociale dell'impresa è dedicato questo paragrafo.

2.2.1 Tassee incentivi

"'Un fisco più leggero su imprese e lavoratori, paghi anche la finanza' (dall'articolo di Mat-
teo Meneghello su fl So/,e24 Oredel 20.4.2011). 'Il convincimento degli imprenditori lombar-
di - spiega il presidente di Confindustria Lombardia - è che il sistema vada cambiato, in mo-
do che sia ridotta l'imposizione fiscale su imprese e lavoratori dipendenti e trasferita, piutto-
sto, sulle rendite di qualsiasi natura e sui beni materiali. Le imprese hanno bisogno di un si-
stema di esazione fiscale più equo e sostenibile. Il carico fiscale è un elemento di competiti-
vità di sistema: se continuiamo a far pagare le tasse soprattutto alle imprese e ai lavoratori, il
rischio di perdere attrattività è reale. Un rischio che ci condanna I a una spirale involutiva'. 'Si
deve ridurre la spesa pubblica - aggiunge il presidente dell'Associazione industriale brescia-
na - abbattendo gli sprechi, diminuendo i costi della burocrazia e della politica. Costi che, se
ridotti in maniera significativa, possono permetterci di recuperare risorse importanti. E que-
sto senza trascurare l'impegno contro l'evasione'". E negli Stati Uniti "[ ...] Obama admini-
stration officials have been working behind the scenes for severa! months on corporate tax
reform (dal Financial Times del 17.3.2011, "Prospects for early US corporate tax reform in
doubt", di James Politi), running the numbers, meeting business leaders and think-tanks,
and consulting members of Congress and their staff on how to advance legislation. The aim
is to lower the top corporate tax rate from its current 35 per cent- one of the highest in the
developed world - to boost US competitiveness. In order to do so without further running
up budget deficits, a vast array of tax breaks, deductions and special incen tives would have to
be eliminated from the corporate tax code. [ ...] But moving from generai statements of am-
bition to accomplish corporate tax reform to the specifics of legislation - a process that is be-
ginning to unfold now - is proving to be difficult [... ] ".

La tassazione - nelle molteplici forme dirette e indirette che essa può assume-
re e con le molteplici voci che essa può colpire (gli utili, il valore aggiunto, il
costo del lavoro ecc.) - rappresenta una componente di grande rilevanza nel
bilancio di un'impresa, in grado di condizionarne la profittabilità, la crescita
e talora la stessa sopravvivenza.
La ~~-~i2E:~~~z.l!~.!U1.3:lJ!.~~1E.E.~'2LJA!!.ti{~)~
,.__......~.~
~Ql~H.ç_~_e,_pg~~~Q,,12~.-~J.~~E.e
...tr,~_sf
e-
94 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

riti agli azionisti sotto forma di dividendi; ma limita anche le possibilità di au-
tofinan:riamento per un'impresa che· voglia reinvestire i suoi utili per cresce-
re. La tassazione sul lavoro (contributi previdenziali ecc.), se elevata, rappre-
senta un disincentivo ad assumere o un incentivo -violando la legge - al ri-
corso al cosiddetto lavoronero.L'IVA- l'ìmposta sul valore aggiunto che accre-
sce il costo di acquisto di un bene o di un servizio per il consumatore - pena-
lizza coeterisparibus il volume dei consumi e spinge spesso i comparti in crisi a
chiederne la riduzione.
La t3:s.sazione delle imprese è d'altra parte indispensabil~, insieme con
qu~Ti~-dell~-persone fisiche, per mantenere lo Stato e finanziare la spesa pub-
blica. L'impatto fiscale sulle imprese, in un paese (ma ormai sono numerosi
quelli con una situazione simile) oberato dal volume di debito pubblico accu-
mulato nel tempo e dall'ammontare degli interessi, può essere ridotto o di-
stribuito in modo differente solo spostando il tiroverso altri comparti (riducen-
do la spesa pubblica, tassando maggiormente le persone fisiche, aumentando
le aliquote sulle rendite' finanziarie, riducendo o eliminando gli incentivi in
essere ecc.): con un'ovvia resistenza di tali comparti, che rende politicamente
difficile effettuare anche le riforme giudicate più necessarie.
La tassazione inoltre, in un sistema geo-politicamente aperto (cfr. paragrafo
2.3), diventa un fattore competitivo:per le imprese, favorite o penalizzate dalla
localizzazione delle loro attività, che possono per questo essere spinte a modi-
ficarla; per gli Stati, che sempre più spesso cercano di attrarre imprese sul lo-
ro territorio offrendo un'imposizione fiscale più favorevole.

"Dall'Est caccia aperta alle imprese venete (dall'articolo del 27.10.2010 di Federico Nicoletti
sul Corriere della Sera). E gli industriali rilanciano l'appello: 'La politica crei le condizioni per
rimanere qui'. Il mix si fa sempre più allettante: bassa tassazione sulle imprese, costi del lavo-
ro più favorevoli, poche settimane per costituire società e siti industriali disponibili. Magari
con incentivi, come il taglio delle tasse per un certo numero di anni, per chi si insedia. Op-
portunità che rendono attraenti non solo paesi come Repubblica Ceca e Slovacchia, Roma-
nia e Serbia, ultima frontiera degli insediamenti all'estero, ma anche Austria e Ger_mania. In-
centivi con cui le agenzie di marketing territoriale bussano alle porte degli imprenditori del
Nord Est [...] ". E in Francia "France will refuse a cut in the cost of Ireland's European bail-
out loans at next week's meeting of eurozone finance ministers as 'long as Dublin maintains
its ultra-low corporate tax rate (dal Anancial Times del 10.5.2011, "France resists Ireland's low
corporate tax", di Peggy Hollinger e John Murray Brown). President Nicolas Sarkozy has at-
tacked Ireland's 12.5 per cent corporate tax rate as a form of 'fiscal dumping', accusing Du-
blin of using unfair methods to attract foreign investment and compete against the Euro-
pean partners who bailed the country out of its severe banking crisis. His view has previously
been endorsed in Germany, where Berlin has also called for an increase in the corporate tax
rate. [ ...] Irish officials are lobbying intensely to shift the French position, arguing that the
corporate tax rate is necessary for the competitiveness of a country with 4.5m people and
any change could severely dent investor confidence [... ] ".

Gli incentivi possono essere visti invece come una sorta di tasse negative. La tas-
sazione ridotta è già una forma di incentivazione, ma in diversi casi si inverte
la direzione delle risorse finanziarie. È lo Stato cioè, nelle sue molteplici arti-
2. L'impresa e il contesto I 95

colazioni, che dà soldi alle imprese: direttamente o agevolando chi acquista -


attraverso, ad esempio, la detraibilità della spesa dal reddito imponibile (dal
reddito cioè su cui viene calcolato l'ammontare dell'imposizione fiscale diret-
ta) - o imponendo a soggetti terzi l'onere dell'erogazione. Possono essere in-
centivate le società di trasporto urbano, di trasporto ferroviario a lunga di-
stanza o di traghetti perché mantengano un livello di servizio più elevato di
quello che la vendita dei biglietti consentirebbe e/ o un livello dei prezzi non
in grado di coprire i costi; possono essere incentivati gli editori di giornali, per
impedire un'eccessiva concentrazione dell'informazione; possono essere in-
centivate le energie alternative (cfr. schema 2.10), almeno al momento non
competitive rispetto a quelle tradizionali; possono essere incentivati gli inve-
stimenti, attraverso ad esempio la copertura di una parte degli interessi o la
detassazione degli utili non distribuiti.

ScH EMA 2.1O - Rinnovabili"superstar"con gli incentivi

"Rinnovabili, 100 miliardi in cerca d'autore: è il valore degli investimenti da qui al


2020; fotovoltaico superstar, l'eolico vince per potenza installata": è il titolo di un arti-
colo di Elena Comelli del 16 maggio 2010 su Il Corrieredella Sera. "L'.ltalia, con 203
operazioni registrate nel 2010 e 12,3 miliardi di euro di investimenti, è uno dei merca-
ti più attraenti al mondo per le rinnovabili. Un dato, in particolare, balza agli occhi: il
totale degli investimenti del 2010 nelle energie pulite equivale allo 0,4% del PIL italia-
no. [...] Gli effetti degli investimenti in rinnovabili hanno anche risvolti occupazionali
non trascurabili: go mila posti di lavoro potenziali in più al 2020, purché si superi l'at-
tuale stato di incertezza con una normativa non penalizzante[ ... ' ]". Le energie rinnova-
bili rappresentano un clamoroso esempio della forza degli incentivi nel promuovere
nuova imprenditorialità e investimenti massicci, soprattutto quando la loro attratti-
vità è elevata anche in una scala mondiale. Ma rappresentano anche un altrettanto
clamoroso esempio di come la loro sospensione possa avere effetti letali per imprese
che spesso sono di fresca nascita.
Lo conferma il Solar EnergyReport2011 della School of Management del Politecnico
di Milano, nell'introduzione di Umberto Bertelè e Vittorio Chiesa: "L'.accelerazione a
ritmi esponenziali ed inattesa delle installazioni fotovoltaiche registrata nel corso del
2010 ha portato ad un parco di impianti che assomma una potenza complessiva
prossima all'obiettivo fissato per il fotovoltaico dal Piano d'Azione Nazionale per il
2020. Di fronte a questa vera a propria 'corsa' alle installazioni, innescata dalla vo-
lontà di sfruttare la finestra di incentivazione più favorevole, il Governo ha improvvi-
samente [...] posto un blocco all'applicazione dell'attuale sistema di incentivi. Ne è
conseguito uno stallo delle attività in attesa ,del nuovo schema di incentivazione[ ...].
Le sorti del fotovoltaico dipenderanno fortemente dalle scelte che verranno fatte in
tal senso. [...] Concepire una normativa efficace ed efficiente si è sempre dimostrata
impresa ardua, ma ci sono le condizioni per trovare una soluzione equilibrata che
96 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

tenga conto delle istanze delle diverse parti in gioco [...)". E Davide Chiaroni, Federi-
co Frattini e Lorenzo Boscherini, nello stesso Report:11 Nel complesso, nel corso del
2010 in Italia sono stati installati impianti per 2.100 MW (+ 192% rispetto al 2009).
[...] A fine 2010 erano in funzione in Italia circa 210.000 impianti fotovoltaici, per una
potenza totale di 3:276 MW, oltre 64 volte il valore che si registrava in Italia all'inizio
del 2007 (prima dell'entrata in vigore dei nuovi incentivi): con 800 imprese circa
operanti lungo l'intera filiera, oltre a diverse migliaia di operatori locali attivi nella fa-
se di installazione e a 430 banche e istituti di credito attivi nel finanziamento degli
impianti. [...] Una crescita così esplosiva lascia evidentemente qualche perplessità
ed ha inevitabilmente attratto sul fotovoltaico gli 'strali' di chi è particolarmente
preoccupato del diffondersi di atteggiamenti opportunistici e speculativi, in qualche
modo mascherati dalla connotazione 11verde" dell'investimento in energie rinnovabi-
li[ ...)". Una perplessità soprattutto per l'onere (stimato 40 miliardi di euro circa) che
gli incentivi comporteranno per la collettività lungo l'arco ventennale di erogazione:
sempreché, nel frattempo, l'incremento dei prezzi dell'energia da fonti tradizionali
non cambi le carte in tavola.

2.2.2 Privatizzazioni,liberalizzazioni,ruolodirettodelloStato nell'economia

Lo Stato italiano (cfr. schema 1.5), con gradazioni e modalità diverse da altri
Stati, ha giocato sino a non molti anni or sono un ruolo - nell'economia e
nella finanza - molto più intrusivo di quello che gioca attualmente, svolgendo
funzioni di imprenditore-azionista e regolamentando con mano pesante in
molti comparti lo stesso diritto di "fare impresa". E il processo di ,privatizzazioni
e liberalizzazioni portato avanti successivamente ha cambiato profondamente
la mappa del nostro sistema economico-finanziario: impattando con partico-
lare forza sulle imprese di dimensione maggiore e mettendo in moto una se-
quenza di acquisizioni, fusioni e smembramenti forse non ancora arrestatasi.
Con il termine ,privatizzazione ( di un 'impresa), più precisamente, si intende il
passaggio della proprietà dell'impresa stessa - completo o parziale, concen-
trato nel tempo o effettuato per tappe successive - dalle mani pubbliche a
quelle private.
Con il termine liberalizzazione ( di un settore), invece, si intende il processo
di abbattimento del monopolio pubblico (statale o locale) precedentemen-
te in atto o di attenuazione dei meccanismi di iper-regolamentazione del
settore stesso (restrizioni discrezionali all'ingresso di nuovi attori, obblighi
di autorizzazione preventiva per gli investimenti di espansione ecc.), non-
ché di messa in moto di meccanismi volti a incre1nentare il numero e il peso
delle imprese presenti e il livello di competizione: affidandone la gestione -
laddove il mercato non sia strutturalmente in grado di svolgere il suo ruolo
di mediazione fra la domanda e l'offerta - ad authority settoriali costituite ad
hoc ( cfr. schema 2.11).
2. L'impresa e il contesto I 97

Che lo Stato abbia avuto, e in parte conservi, un peso di estremo rilievo nella sua attività di
imprenditore lo si è visto nello schema 1.5. E d'altra parte basta tornare ai secondi anni '80 o
ai primi '90 per trovare uno Stato che produceva ancora apparati di telecomunicazione con
ltaltel 'e panettoni e gelati con i marchi Motta e Alemagna, che si occupava di grande distri-
buzione con GS e che faceva il "ristoratore" con Autogrill lungo le autostrade (anch'esse pe-
raltro in larga misura di sua proprietà); che gestiva (anche se indirettamente) la Borsa; che
possedeva diverse delle principali banche e controllava a vista attraverso la Banca d'Italia il si-
stema bancario, concedendo con il contagocce l'autorizzazione a creare nuovi sportelli e fa-
cendo sostanzialmente da baluardo all'ingresso di nuovi competitori; che a livello locale con-
trollava quasi integralmente le utility.
Questo sino all'arrivo anche in Italia, sotto il pungolo dell'Unione Europea, dell'onda lunga
proveniente dal Regno Unito e dagli Stati Uniti. Ove le privatizzazioni e le liberalizzazioni
avevano dato una forte spinta alla rivitalizzazione delle economie, ambedue in affanno an-
che se in misura e per ragioni diverse: la prima in crisi dal dopoguerra per la perdita del suo
vastissimo impero coloniale; la seconda in crisi sotto le bordate di un'industria giapponese
che al momento sembrava invincibile.

Molti passi si sono fatti dagli anni '90 in poi: diversi gruppi sono stati privatiz-
zati; in diversi settori é stata intrapresa, anche se con maggiori difficoltà (alcu-
ne delle quali oggettive), la strada della liberalizzazione; si sono fortemente ri-
dotte nei gruppi rimasti pubblici o sotto controllo pubblico, a livello centrale,
le pressioni politico-clientelari e sindacali che avevano caratterizzato i periodi
precedenti. Molto meno si è fatto a livello periferico (regionale, ma soprattut-
to provinciale e comunale), ove la proprietà di molte imprese - operanti tipi-
camente nei trasporti pubblici, nella pulizia urbana e nel trattamento dei ri-
fiuti, nella gestione dell'acqua, nelle utility per la fornitura di energia ecc. - è
tuttora prevalentemente in mano pubblica.
Il "pendolo" potrebbe cambiare però di direzione. Su scala mondiale per-
ché alcuni dei paesi a tasso di sviluppo più elevato, in primo luogo la Cina, so-
no caratterizzati da una presenza pubblica forte nelle imprese; e anche per-
ché i salvataggi - soprattutto delle banche - e_ffettuati durante la crisi del 2008
hanno accresciuto il peso della mano pubblica in diversi paesi sviluppati. In
Italia perché l'intervento diretto dello Stato è invocato come strumento di
promozione di una crescita ritenuta troppo bassa o come strumento di difesa
contro le scalate a imprese italiane: dimenticando gli effetti nefasti che il cli-
ma statalista aveva generato (in termini di inefficienze, pressioni della più di-
versa natura, corruzione ecc.) e che potrebbe tornare a generare.

ScH EMA 2.11 - Le authoritynel nostropaese8

~AutoritàGarantedella Concorrenzae del Mercato,più spesso denominata Autorità


Antitrust,è probabilmente la più nota fra le authorityoperanti nel nostro paese. Nata
nel 1990 per adeguare il nostro ordinamento a quello comunitario:

8. Per maggiori dettagli si possono consultare il sito www.organidellostato.it, nella sezione Auto-
98 L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• vigila, con rilevanti poteri sanzionatori, sulle intese restrittive della concorrenza
(quali gli accordi fra imprese volti a nonfarsi troppaconcorrenzae a mantenere ele-
vato il livello dei prezzi ai danni dei consumatori o delle imprese acquirenti) e su-
gli abusi di posizione dominante (quali l'uso da parte delle imprese leader del
proprio potere di mercato per scoraggiare la distribuzione e/o l'acquisto di pro-
dotti concorrenti);
• vigila sulle operazioni di concentrazione fra imprese (acquisizioni e/o fusioni),
per evitare la costituzione o il rafforzamento di posizioni dominanti tali da elimi-
nare o ridurre in misura sostanziale e duratura la concorrenza sul territorio nazio-
nale: concedendo o meno l'autorizzazione (o condizionandola all'adozione di
determinati rimedi)a tutte quelle operazioni che per legge - data la loro rilevanza
- le devono essere preventivamente sottoposte e che non ricadono nella sfera di
azione dell'antitrusteuropeo.
Ha anche competenze in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparati-
va e in materia di conflitti di interessi.
È un'authority"indipendente", ove con questo termine si fa riferimento a un'ammini-
strazione pubblica che prende le proprie decisioni sulla base della legge, senza possi-
bilità di ingerenze da parte del governo né di altri organi della rappresentanza politica.
È un organo collegiale che prende le decisioni votando a maggioranza, formato da
persone scelte per legge sulla base della professionalità e della correttezza dei com-
portamenti.
È composta da un presidente e da quattro componenti, nominati di concerto dai pre-
sidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, che durano in carica
sette anni senza possibilità di un secondo mandato.
Tra le sanzioni pecuniarie più consistenti comminate per "intese restrittive della con-
correnza" si possono ricordare quelle alle società petrolifere (relativamente ai prezzi
di distribuzione al dettaglio) e alle società assicurative (relativamente ai premi per le
polizze). Sia nel caso di sanzioni pecuniarie, sia in quello di mancate autorizzazioni o
di imposizione di rimediritenuti ingiustificati, esiste la possibilità di ricorso al TAR del
Lazio9 e, in ultima istanza, al Consiglio di Stato.
LAutoritàper l'energiaelettricae il gas, nata nel 1995a fronte dei processi di liberalizza-
zione dei corrispondenti settori e di privatizzazione delle imprese pubbliche (nella fatti-
specie Enel ed Eni) in essi operanti in condizione di monopolio legale, ha poteri forti di
regolazione nella determinazione delle tariffe, dei livelli di qualità dei servizi e delle con-
dizioni tecnico-economiche di accesso e interconnessione alle reti, giustificati dal fatto
che il mercato non è in grado di garantire l'interesse di utenti e consumatori a causa
dei vincoli (tecnici e/o legali) - connessi con la non replicabilità delle reti - che limitano
il normale funzionamento dei meccanismi concorrenziali. È anch'essa un organo colle-
giale, formato da cinque membri, ma le modalità di nomina sono un po' differenti.
LAutoritàper le garanzienellecomunicazioni,o Agcom, nata nel 1997,è in parte figlia
dei processi di liberalizzazione e privatizzazione (di quella che è l'attuale Telecom lta-

rità Indipendenti, o direttamente i siti delle authority: www.agcm.it; www.autorita.energia.it;


www.agcom.it; www.avcp.it; www.bancaditalia.it; www.consob.it; www.garanteprivacy.it.
9. Il TAR-Tribunale Amministrativo Regionale interessato è quello del Lazio perché la sede del-
1'Antitrust è a Roma.
2. L'impresa e il contesto I 99

lia) nel comparto delle telecomunicazioni, ma deve istituzionalmente occuparsi - ol-


tre che dei mezzi trasmissivi - anche della salvaguardia della pluralitàdell'informazio-
ne e quindi della capacitàdi sopravvivenzadei diversi produttoridi contenuti(media),in
larga misura dipendente dalla pubblicità che essi riescono ad acquisire. Ha per que-
sto una composizione più articolata delle precedenti, con due Commissioni (struttu-
rate come organi collegiali) che operano in parallelo - la Commissioneper le infrastrut-
ture e le retie la Commissioneper i servizie i prodotti- condividendo lo stesso presiden-
te e convergendo nel Consiglio.
~Autoritàper la vigilanzasui contrattipubblicidi lavori,servizieforniture,che (comple-
tamente ridisegnata) ha preso il posto nel 2006 dell'Autoritàper la vigilanzasui lavori
pubblici,ha come compito principale quello di vigilare sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture: al fìne di garantire il rispetto dei principi di correttezza e traspa-
renza delle procedure di scelta del contraente, l'economica ed efficiente esecuzione
dei contratti, nonché il rispetto delle regole della concorrenza nelle singole procedu-
re di gara.
La Banca d'Italia, che prima dell'introduzione dell'euro sovraintendeva alla lira, e
I' lsvaphanno compiti di vigilanza sulle imprese bancarie e assicurative (in precedenza
soggette a una regolazione pubblica molto più stringente) e - specificamente la pri-
ma - di autorizzazione (guardando alle sole implicazioni in tema di stabilità) dei loro
processi aggregativi. Mentre la Consob- Commissione nazionale per le Società e la
Borsa - ha compiti di vigilanza sul corretto funzionamento dei mercati finanziari.
~Autoritàgaranteper la protezionedei datipersonali,o per la privacy,come più spesso è
denominata, chiude questa lista: che potrebbe subire modifiche anche di rilievo, se
fosse approvato dal Parlamento il riordino di cui si discute ormai da anni.

2.2.3 Responsabilità
sociale

In connessione con la sua natura di istituzione sociale - e non soltanto econo-


mico-finanziaria - all'impresa è richiesto un crescente impegno in termini di
responsabilitàsociale:nel gergo anglosassone, alternativamente, corporalesocial
responsibility,sustainabilityo citizenship.

Eni (cfr. schema 1.2), il principale gruppo del nostro paese per ricavi e per capitalizzazione,
esprime con forte enfasi l'Impegno per la Sostenibilità sul suo sito www.eni.com: "Operare in
modo sostenibile significa creare valore per gli stakeholder e utilizzare le risorse in modo ta-
le da non compromettere i fabbisogni delle generazioni future, rispettando le persone, l'am-
biente e la società nel suo complesso. Eni si ispira ai principi di correttezza, trasparenza, one-
stà e integrità e adotta i più elevati standard e linee guida internazionali nella gestione delle
proprie attività in tutti i contesti in cui opera. Considera la sostenibilità come il motore di un
processo di miglioramento continuo che garantisce i risultati nel tempo e il rafforzamento
delle performance economiche e della reputazione. Si impegna a realizzare azioni tese a
promuovere il rispetto delle persone e dei loro diritti, dell'ambiente e, più in generale, degli
interessi diffusi delle collettività in cui opera. Conduce le sue attività prendendo in conside-
razione gli interessi degli stakeholder, nella consapevolezza che il dialogo e la condivisione
degli obiettivi sono strumenti attraverso i quali creàre valore reciproco. Contribuisce, at~a:
verso le sue attività, a uno sviluppo sostenibile dei Paesi in cui opera, creando opportumta
100 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

per le persone e le imprese locali. Garantisce la sostenibilità delle sue attività attraverso un
modello declinato nei processi e trasversale a tutte le funzioni aziendali, orientato all'innova-
zione e al conseguimento di obiettivi di lungo periodo e attraverso una valutazione e una ge-
stione dei rischi che contribuisce alla loro prevenzione o mitigazione". Sulla base di tale im-
pegno il titolo Eni è stato ripetutamente confermato nell'indice DowJones Sustainamlity World
e nell'indice di sostenibilità FI'SE4Good.
Procter & Cambie (cfr. paragrafo 1.1) attribuisce anch'essa sul suo sito www.pg.com un ruolo
molto elevato alla sustainamlity: "Sustainability is about ensuring a better quality of life, now
and for generations to come. P&G does this through the products and services we offer,
making these products in an environmentally responsible manner, and through our social
responsibility programs that improve lives for those in need around the world. We define su-
stainability broadly at P&G to include both ehvironmental sustainability and socia! responsi-
bility". E i capitoli in cui essa articola la tematica sono: "environmental sustainability, socia!
responsibility, product safety, privacy, employee engagement".
Generai Electric (cfr. sotto-paragrafo1.5.1) - una delle società più note al mondo per longe-
vità, innovatività e redditività - attribuisce sul suo sito www.ge.com un rilievo molto elevato
alla citizenship:"GE's approach to corporate citizenship and to business are driven by a com-
mon understanding of the role we can play in helping to solve the world's toughest pro-
blems. Our goals are to make money (strong, sustained economie performance), make it
ethically (rigorous compliance with financial and legai rules), and make a difference (ethi-
cal actions, beyond formai requirements, to advance GE's reputation and long-term
health). GE's corporate citizenship strategy is defined by three key pillars of energy and cli-
mate change, sustainable healthcare and community building, and underpinned by a foun-
dation of operational excellence in the way that we do business. We highlight our citizen-
ship performance with data points, metrics, actions and progress made in the following
priority areas: our people; our people: health & safety; compliance & governance; public
policy; environment; our suppliers; human rights; our products & services; our customers;
our communities".
Le impostazioni comuni alle tre grandi realtà citate appaiono in linea con il successo che ha
avuto nel mondo - almeno nelle dichiarazioni- l'idea macrodi sviluppo sostenibde,cqme sinte-
si di tematiche prima promosse singolarmente. "Sustainable development [secondo la diffu-
sissima definizione del Brundtl,and Report] is development that meets the needs of the pre-
sent without compromising the ability of future generations to meet their own needs. It con-
tains within it two key concepts: (1) the concept of needs, in particular the essential needs of
the world's poor, to which overriding priority should be given; and (2) the idea oflimitations
imposed by the state of technology and social organization on the environment's ability to
meet present and future needs". Il mondo in altre parole deve essere visto come un sistema
"that connects space and that connects time (cfr. www.iisd.org/ sd/) ". Perché "the air pollu-
tion from North America affects air quality in Asia, and that pesticides sprayed in Argentina
could harm fish stocks off the coast of Australia". Perché "the decisions our grandparents
made about how to farm the land continue to affect agricultural practice today; and the eco-
nomie policies we endorse today will have an impact on urban poverty when our children
are adults". E ancora, relativamente alla qualità dell,avita da considerare anch'essa in un'otti-
ca di sistema: "It's good to be physically healthy, but what if you are poor and don'fhave ac-
cess to education? It's good to have a secure income, but what if the air in your part of the
world is unclean? And it' s good to have freedom of religious expression, but what if you can 't
feed your family?". Tale visione olistica dello sviluppo sostenibile, accompagnata dal tentati-
vo di una classificazione sistematica di tutto ciò che un'impresa dovrebbe fare per contribui-
re allo sviluppo sostenibile del mondo, è alla base ad esempio dello standard ISO 26000 che
verrà discusso nel seguito (cfr. paragrafo3.5).

A fronte di una definizione della responsabilità sociale suggestiva e di largo


respiro ma anche sufficientemente astratta, due sono le p1:incipali domande -
interrelate fra loro - cui si deve dare una risposta:
2. L'impresa e il contesto \ 101

• dove l'impresa debba collocare la linea di confine fra perseguimento


dell'obiettivo di creazione di valoreeconomicoper gli azionisti ( shareholàer)
e responsabilitàsociale,owero attenzione agli interessi di tutti gli altri par-
tecipanti (stakeholàer);
• se sia sufficiente la ricaduta sociale che l'impresa ha - in termini di occu-
pazione, sviluppo di nuove competenze ecc. - perseguendo il suo obiet-
tivo di fondo di creazione di valore (nel rispetto delle regole della so-
cietà) o se l'impresa debba assumersi compiti sociali addizionali, surro-
gando o complementando il ruolo dello Stato.
Il primo è a nostro avviso un falso problema.
Perché molte delle azioni apparentemente sociali dell'impresa, non giusti-
ficabili in termini economico-finanziari correnti (in quanto non apportatrici
di vantaggi al conto economico ma solo di costi), trovano una loro giustifica-
zione in una prospettiva temporale più lunga: proprio quella che caratterizza
(cfr. capitow 4) l'obiettivo di creazione di valore rispetto a quello di massimiz-
zazione del profitto corrente. Creare un buon rapporto con le risorse umane
che operano nell'impresa, favorendone ad esempio la crescita professionale
al di là delle esigenze contingenti, o con le collettività locali, prestando atten-
zione ai problemi di impatto ambientale al di là delle prescrizioni di legge,
non è solo un atto di responsabilità sociale, ma anche un investimento per il
futuro: non quantizzabile, con il carattere di "scommessa" che spesso gli inve-
stimenti hanno, ma potenzialmente in grado di aumentare in misura sensibi-
le il coinvolgimento delle prime e di rendere più facili e veloci (quando e se
necessari) i processi autorizzativi da parte delle seconde.
Perché sono il sistema di regoleche la società crea, con le sanzioni concreta-
mente e visibilmente inflitte a chi le viola, e il sistema di valori dei cittadini-
consumatori, con il suo impatto sulla fortuna delle imprese in funzione della
loro immagine sociale, che spostano naturalmente la linea di confine: ren-
dendo non convenienti comportamenti che prima le imprese ritenevano giu-
stificati dalla logica "gli affari sono affari"; stimolando le imprese a cavalcare i
nuovi valori assumendo iniziative, in precedenza viste come mere fonti di
sprechi, utilizzabili a fini competitivi.
Il secondo problema deve avere a nostro avviso una risposta estremamente
netta: l'impresa non deve assumersi compiti impropri, ma lavorare per creare
valore. Sono le regole che la società stabilisce che devono far sì che la creazio-
ne di valore per gli azionisti non sia realizzata a discapito degli stakeholàere
della società, ma il più possibile allineata (cfr. capitow 4).
Gli schemi 2.12 e 2.13 trattano il tema della responsabilità sociale da diversi
punti di vista.
102 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ScH EMA 2.12 - Strategiadi impresae responsabilitàsociale

"Companies can meld social responsibility with strategy by focusing on the interde-
pendence of business and society, rather than on the friction between them. The re-
sults benefit both far more than prevailing corporate social programs can". È il sotto-
titolo dell'articolo "Strategy and society: The Link Between Competitive Advantage
and Corporate Social Responsibility", di Michael E. Porter e Mark R. Kramer, pubblica-
to sulla HarvardBusinessReviewItaliadel gennaio-febbraio 2007, n. 1-2, sintetizzato
da Umberto Bertelè nel suo commento (che rieccheggia varie considerazioni riporta-
te nel testo) nell'edizione italiana della rivista.

"La 'responsabilità sociale'non è più un 'optional'.È il punto di partenza di questo am-


bizioso articolo di Porter. La convenienza dell'impresa a sfuggireai propridoveri- tipi-
camente in tema di attenzione ai diritti degli stakeholdere di rispetto dell'ambiente fi-
sico e dei territori - si scontra con l'aumento della probabilità di essere coltainfallo e
con la crescente rilevanza delle possibili sanzioni: detenzioni anche lunghe nei casi
(come quello di Enron) in cui sia la legge ad essere infranta, contrazioni anche violen-
te nelle vendite e nelle quotazioni a fronte di cali di immagine. La scarsa attenzione
verso la responsabilitàsociale,in altre parole, può minare molto più che nel passato la
sostenibilità economico-finanziaria dell'impresa.

Privilegiare
le azioniche creano'valorecondiviso'per l'impresae la società.Limpresa non
deve avere però, come troppo spesso ha attualmente, un approccio cosmeticoalla re-
sponsabilità sociale. Non deve comportarsi come un'istituzione filantropica, disper-
dendo i suoi interventi in azioni di generico interesse per la società. Non deve affidare
le politiche CSR (CorporateSocia/Responsibility) a persone diverse da quelle che gesti-
scono i corebusiness.Essa deve invece - ed è la tesi fondamentale dell'articolo - inte-
grare le politiche CSR nella sua strategia complessiva, privilegiando quelle azioni che
producono benefici strutturali allo stesso tempo per se stessa e per la società. Un in-
dirizzo di fondo che, riecheggiando Adam Smith, vede come situazione ideale per la
società e per l'impresa quella in cui ciascuno gioca bene la propria parte: la società ge-
nerando segnali chiari e coerenti sul suo sistema di valori, l'impresa perseguendo i
suoi obiettivi di profittabilità e crescita in linea con i valori sociali e consolidando di
conseguenza la sua sostenibilità nel tempo. Un indirizzo di fondo che ritiene eccessi-
va l'attenzione usualmente posta sui trade-ojffra interessi della società e dell'impresa
e che punta invece a uscire dalla logica del 'gioco a somma nulla' attraverso lo sfrutta-
mento intelligente delle interrelazioni fra la società e l'impres'a stessa.

Focalizzarsi
sui 'punti di interrelazione'.Le attività e i processi dell'impresa hanno un
impatto (inside-out)più o meno rilevante, nel bene e nel male, sul contesto socio-am-
bientale-territoriale esterno. E il contesto esterno - con le sue disponibilità locali di ri-
sorse umane e naturali, la sua infrastrutturazione, i suoi vincoli e incentivi, le altre sue
peculiarità - ha a sua volta un impatto (outside-in)più o meno rilevante sull'impresa:
condizionandone la competitività e le strategie di lungo termine. La tesi di Porter è
che proprio su questi punti di interrelazione l'impresa deve focalizzarsi, costruendosi
una agendasocialeche non si preoccupi soltanto di accontentare genericamente gli
stakeholder,ma che - al di là dei doveriminimi - sia selettiva nella scelta delle iniziati-
2. L'impresa e il contesto I l 03

ve. Un'agendain particolare che privilegi quelle che offrono opportunità dirette in te-
ma di competitività o che appaiono come sorgenti di idee innovative, potenzialmente
trasformabili in differenziali competitivi (ad esempio inducendo il regolatore pubblico
ad adottare come standard l'innovazione in tema di ambiente sviluppata nell'ambito
dell'impresa stessa). Un'agendache risponda al principio di trasformare la responsabi-
litàsocialein opportunitàsociale.
La CSR come parte integrantedellastrategia.Le esigenze sociali da soddisfare devono
diventare parte integrante della value propositiondell'impresa. Le scelte in tema di
CSRdevono essere assunte congiuntamente a quelle in tema di business, e agli stes-
si livelli decisionali. Più ìn generale è tutta l'organizzazione che deve adeguarsi - nei
processi, negli obiettivi, nelle misure di prestazioni - se si vuole che l'integrazione fra
obiettivi economici e sociali non resti sulla carta."

SCHEMA 2.13 - Responsabilitàsociale:aumentanoi casidi punizione


per le imprese"coltein fallo"

I casi di ripercussione di comportamenti socialmentenon responsabili sulla profìttabi-


lità e il valore delle imprese sono sempre più numerosi e dimensionalmente sempre
più rilevanti. Nel seguito viene fatto cenno ad alcuni di essi, 'che si sommano ad
esempio a quelli che hanno visto "tracollare" branddi rilevanza mondiale nel campo
dell'abbigliamento, sotto l'accusa di sfruttamento (da parte di loro fornitori in out-
sourcing)del lavoro minorile, o che hanno portato sull'orlo del fallimento imprese di
primaria rilevanza accusate di disastri ambientali in paesi terzi.

(da// Sole 24 Ore del 1.10.2004, "Terremoto Merck a Wall Street", di Stefano Carrer) "Una bato-
sta per gli investitori internazionali in uno dei titoli azionari considerati relativamente più sicuri.
Il terzo gruppo farmaceutico mondiale, l'americana Merck, ha perso ieri circa 27 miliardi di $ di
capitalizzazione [di borsa] dopo la decisione di procedere al ritiro volontario immediato su scala
globale del Vioxx: uno dei farmaci più venduti nel mondo, con un giro d'affari totale stimato per
quest'anno in quasi 3 miliardi di $; il più utilizzato al di fuori degli USA per combattere l'artrite e
i dolori acuti. La decisione si è basata sui risultati di uno studio triennale che ha indicato un rad-
doppio del rischio di problemi cardiovascolari, come infarti e ictus, in pazienti affetti da cancro
colonrettale [...] Le azioni della Merck sono così precipitate del 26,8 per cento a 33 $: il peggior
tonfo da 11 anni di un titolo del Dow Jones [...]. Il panico degli investitori non deriva tanto [dal ca-
lo atteso degli utili per quest'anno], ma dalle conseguenze a largo raggio. Viene messa in forse
l'approvazione da parte della FDA (l'authoritystatunitense preposta alle autorizzazioni) della
nuova versione del farmaco, Arcoxia, già commercializzato in 47 Paesi ma non ancora in USA.
C'è la probabilità di una valanga di cause giudiziarie di risarcimento danni (alcune già iniziate ie-
ri), tanto più che i dubbi sugli effetti collaterali del Vioxx erano emersi da tempo e la società li
aveva minimizzati.[ ...] Grandi investitori istituzionali USA potrebbero imboccare anch'essi la via
dei tribunali.
Solo due mesi fa, in occasione della trimestrale, Merck aveva sottolineato che le vendite di Vioxx
erano aumentate a 1,3 miliardi nel primo semestre (da 2,5 in tutto il 2003), aveva applaudito la de-
cisione della FDA del marzo scorso di estenderne l'approvazione al trattamento acuto dell'emicra-
104 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

nia e aveva dichiarato di continuare a cercare di promuovere nuovi utilizzi per il Vioxx per estende-
re i benefìci clinici del prodotto a 'new populations' [...]".

(dal FinancialTimes del 17-4.2011, "ThyssenKrupp executive convicted", di Guy Dinmore) "A
Turin court has sent shockwaves through ltaly's business community by making legal history in
convicting a German executive ofThyssenKrupp on charges of manslaughter. At the end of one
of ltaly's most watched trials on Friday, H.E., chief executive of the German steelmaker at its
Turin plant, was sentenced to 16½ years in prison on charges of 'second degree murder', ovP.r
the deaths of seven workers in an industriai accident at its steel plant in northern ltaly. [...] The
prosecution argued that the plant's managers had deliberately sacrifìced security for cost-
savings ahead of the planned closure of the plant, knowing that an accident was possible. The
seven workers died in a blaze that broke out in its Turin plant in December 2007. The Essen-
based steelmaker, which described the verdicts as 'incomprehensible', is appealing. lt reiterated
its commitment to ensuring the safety of its workers and said such a tragedy should not be
allowed to happen again. Although ltaly has improved its record on industriai accidents over the
past decade, its fatality rate remains the worst among major industriai countries in Europe.
Courts had been criticised in the past by trade unions of taking too lenient an attitude towards
employers. This time some commentators asked whether the judges had taken a particularly
tough line as the accused were foreign [...]".

(dal FinancialTimes del 24.8.2011, "Google reaches $5oom deal over drug ads", di Joseph Menn
e Richard Waters) "Google has reached a $5oom settlement with US prosecutors to resolve a
criminal investigation into its accepting advertisements from companies selling unlicensed
pharmaceuticals. The payment is one of the largest forfeitures imposed in the US, according to
federai authorities, and is a severe dent to the reputation of a company that ~unched with a
promise to 'do good in the world'. The internet search company was aware as long ago as 2003
that it was illegal in most cases for pharmacies based in Canada to ship prescription drugs into
the US [...]. Despite this, Google continued to accept the adverts on its AdWords search adver-
tising system, and advised pharmacies on how to make messages more effective, unti I it learnt
of the cri minai inquiry in 2009. [... ] The $5oom payment represents the revenues Google made
from selling the adverts and the estimated revenues generated by the pharmacies from their
sales to US consumers. [...] Like Microsoft and Yahoo, Google has already changed its ad
policies following pressure from licensed pharmacies, major drugmakers and the FDA to do
more to fìlter out ads for prescription medications that are counterfeit or unlicensed for sale in
the US. Many are manufactured in China, India and other countries [...]".

2.3 L'impresanellasua configurazionegeo-politica

L'impresa non può essere analizzata e compresa appieno, in relazione all'as-


setto interno ma anche alle interazioni con il sistema economico-finanziario e
più in generale con la società, se non si guarda alla sua articolazioneterritoria/,e,
owero - utilizzando un termine che meglio riflette anche gli aspetti politico-
amministrativi - alla sua articolazione geopolitica (cfr. sottaparagrafo5. 9.5): per
quanto concerne sia le attività sia i mercati serviti.
L'articolazione geopolitica è owiamente frutto delle scelte strategiche che
l'impresa autonomamente assume, ma risente in misura non trascurabile del-
le trasformazioni- con il carattere di lenta deriva alcune e di subitaneo cambia-
2. L'impresa e il contesto I l 05

mento altre - che si verificano nel contestoesterno:impattando sulla profittabi-


lità dell'impresa stessa; generando opportunità o minacce per il futuro; con-
dizionando i comportamenti dei competitori, dei clienti, dei fornitori e degli
altri attori del sistema economico-finanziario.
➔ Tre sono le tematiche rilevanti che verranno discusse a tale proposito:
é··. • il processo di gwbalizzazionedell'economiae, più in generale, dell,asocietà;
; • il processo di internazionalizzazione delle impresee la formazione di mercati
Ì _ globali;
t.,:_ la permanenza di sistemi economiciwcali "a ekvata integrazione".

2.3.1 Laglobalizzazionedell'economiae della società

Con il termine gwbalizzazionedell'economiasi intende in questo testo il processo


che ha portato ad accrescere progressivamente gli scambi e le interazioni fra
le diverse aree del mondo: tipicamente la circolazione dei beni e servizi, la cir-
colazione delle persone, la circolazione dei capitali, l'insediamento di filiali di
banche e/ o attività industriali o di servizi in altri paesi, la collaborazione "a di-
stanza", i flussi migratori con finalità occupazionali.
Con il termine gwbalizzazionedell,asocietàsi intende invece il processo (inter-
'
connesso con il precedente) - di impatto molto rilevante ma geo-politica-
mente più limitato -di omowgazionedei valori, degli stili di vita e delleabitudini, al-
meno nell'ambito dei paesi economicamente più avanzati e dei gruppi sociali
più ricchi di alcuni dei paesi in fase di crescita: premessa indispensabile all'o-
mologazione dei bisogni e delle aspirazioni, e quindi dei consumi e della do-
manda in generale.
La globalizzazione non rappresenta un fenomeno storicamente nuovo:
l'impero romano, due millenni fa, e l'impero inglese, tramontato con la Se-
conda guerra mondiale, hanno sicuramente spinto - in contesti socio-politici
e tecnologici profondamente diversi - in tale direzione. Ma è un fenomeno
che negli ultimi decenni ha preso velocità e ha continuato a cambiare forma:
offrendo alle imprese talora importanti opportunità, talaltra rischi mortali.
La tecnologia ha creato le premesse per rendere possibili- attraverso un'a-
deguata infrastrutturazione- scambi, rapporti economici e modalità collabora-
tive "a distanza" in precedenza impensabili: lo sviluppo dei sistemi di traspor-
to, lo sviluppo delle reti di telecomunicazione e la diffusione quasi capillare di
Internet hanno di fatto reso più strettoil mondo.
Ma, a fianco dei fattori tecnowgi,ci,hanno avuto un ruolo determinante i fat-
tori più prettamente politici:
• la promozione, attraverso gli investimenti pubblici e/ o lo stimolo (giuri-
dico-amministrativo, fiscale, finanziario ecc.) all'apporto dei privati, del-
la costruzione delle infrastrutture di cui sopra;
• la sottoscrizione di accordi a livello internazionale per il progressivo ab-
106 i L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

battimento delle barrieredi natura protezionistica - paksi (dazi doganali,


contingentamenti all'import, vincoli all'insediamento di banche e/ o at-
tività industriali o di servizi ecc.) e occulte (normative ambientali, sanita-
rie, di sicurezza ecc.) - alla circolazione dei capitali, dei beni e dei servizi
e delle imprese;
• la creazione di aree sovranazionali (quali l'Unione Europea) a più eleva-
ta integrazione economica o addirittura monetaria, in un contesto di dif-
fusa percezione di "sicurezza" (in qualche misura incrinata a partire dai
primi anni 2000 dal succedersi di guerre e guerriglie, dal verificarsi di
eventi traumatici di matrice terroristica e dal moltiplicarsi di moti insur-
rezionali in paesi a gestione autoritaria), presupposto fondamentale per-
ché le imprese e le istituzioni finanziarie alle loro spalle possano operare
con una proiezione temporale lunga, garantita da quella che è stata talo-
ra definita la "pax americana".
L'intensificarsi degli scambi e l'omologazione della domanda sono poi alla
base, in un quadro di circolaritàfra cause ed effetti, dei processi di globalizzazio-
ne di un numero crescente di mercati, di internazionalizzazione di un nume-
ro crescente di imprese, di moltiplicazione da parte delle imprese delle scelte
di delocalizzazione ( offshoring) di parte delle loro attività e/ o di ricorso in out-
sourcinga fornitori delocalizzati (cfr. schema 2.17).
Alla spinta alla globalizzazione - sinora complessivamente vincente - si so-
no però storicamente accompagnate e continueranno presumibilmente ad
accompagnarsi nel futuro una serie di controspinte. Alcune controspinte
hanno una origi,neeconomica,ancorché con ovvie ricadute politiche, con carat-
teredi volta in volta prevalentemente difensivo o offensivo: difensivo quando
volte a fronteggiare le difficoltà che la maggior concorrenzialità genera per
talune imprese e per taluni paesi; offensivoquando il protezionismo è usato co-
me un'arma per far crescere le imprese e in generale l'economia dì un paese
nel contesto mondiale. Altre controspinte nascono da motivazioni (almeno ap-
parentemente) non economiche- quali la volontà di difenderel'identità wcal,ee/o
di non metterein discussionei sistemi di governo in esseree/ o di preservare/,etradizio-
ni (in primo luogo quelle religiose) a fronte delle minacce provenienti dai
processi di omologazione sociale - ma hanno ovviamente ricadute economi-
che anche importanti. Con confini non sempre ben delineati fra le diverse ti-
pologie di controspinte (cfr. schema 2.14).

ScH EMA 2.14 - Un'economiaglobalesemprepiù "larga"in un mondo


semprepiù "stretto"

Se lo sviluppo dei sistemi di trasporto e delle reti di telecomunicazione e la diffusione


quasi capillare di Internet hanno di fatto reso il mondo più stretto,come detto in pre-
cedenza, è anche vero che il mondo si è enormemente allargato in termini di numero
2. L'impresa e il contesto I l 07

di persone coinvolte nell'economia globalizzata.Una data molto significativa a tale


proposito è 1'11dicembre 2001, quando la Cina - il paese più popoloso del mondo
(1,3 miliardi di abitanti circa) - entrò nel WTO-WorldTradeOrganizatione caddero
conseguentemente molte delle barriere che si frapponevano al suo export nei paesi
ricchi, dando inizio a una fase di crescita (con tassi annui dell'ordine del 10 per cento)
che l'ha portata a diventare alla fine del 2010 la seconda economia del mondo alle
spalle degli Stati Uniti e davanti al Giappone.
La Cina non è stato l'unico paese a uscire dal quasi isolamento e a integrarsi con suc-
cesso nell'economia globale. Lo evidenzia la sigla BRIC, divenuta estremamente po-
polare pure nei media, nata per evidenziare anche gli altri grandi paesi che hanno ac-
quistato un rilievo globale crescente nel primo decennio degli anni 2000: l'India, se-
condo paese al mondo per popolosità (1,1 miliardi di abitanti); il Brasile, tornato acre-
scere dopo le grandi difficoltà degli anni '80; la Russia, faticosamente uscita dalla crisi
politica del periodo comunista, che si è awalsa delle ·sue ingenti risorse energetiche.
Non solo. "In 2011 a growing number of businesspeople will distinguish between the
'old' emerging markets and 'new' emerging markets (da The Economist del
22.12.2010, "The emerging markets: Businesses will learn to look beyond the BRICs",
di Adrian Wooldridge). The rich world will continue to suffer from anaemic growth for
years to come. The emerging world, by contrast, will be a whirling hub of dynamism
and creativity. Over the next decade it will account for more than 50% of global
growth. lt will see 700m people enter the middle class. [...] Which ' emerging markets?
The 'old' ones, the group that Goldman Sachs dubbed the BRICs, are suffering from
the law of diminishing returns. [...] So why not look elsewhere, to 'new' emerging
markets [...] that can rivai the BRICs in terms of prosperity? The biggest concentration
[...] of overlooked markets is in Africa, where star performers are South Africa, Egypt,
Algeria, Botswana, Libya, Mauritius, Morocco and Tunisia [si noti come in diversi di
questi Stati si siano verificati nel 2011 moti insurrezionali]. Collectively these countries
match the average GDP per head of the BRICs. But there are also huge overlooked
emerging giants in every corner of the world. In the Middle East, Turkey and Saudi
Arabia will attract a lot of attention. Turkey is one of the world's most dynamic econo-
mies. Saudi Arabia has been liberalising its business environment rapidly. In Latin
America people will take another look at Mexico for its successful companies and thri-
ving middle class. But the biggest praise will be for Indonesia: it will be the emerging-
market star of 2011, with analysts lauding its innovative companies, growing middle
class and relative politica I stability [...]".
A parità di potere d'acquisto - peraltro - il PIL complessivo dei paesi in fase di svilup-
po ha quasi eguagliato nel 2010 quello dei paesi ricchi, a seguito dei rilevantissimi dif-
ferenziali di crescita a partire dal 2002. "Developing nations will undoubtedly be truly
powerful before they are really rich (dal FinancialTimes/Lexdel 25.4.2011,"Late develo-
pers"). The population imbalance - about 6bn in middle and lower income countries,
1bn in developed economies - means these lands will stil I be relatively poor when they
account for the majority of the world's gross domestic product and resource use. [...]
The rich consume less food, even though their diets include more of the expensive
stuff, proteins and fats. More steel, mobile phones and concrete were purchased or
produced in 2010 in developing than developed economies. Car production was just
about evenly divided. And at purchasing power parity (PPP), non-rich countries ac-
counted for 48 per cent of global GDP, according to the lnternational Monetary Fund.
I
108 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

[...] At market exchange rates, the non-rich share of world GDP comes to something
like 38 per cent. [...] But the trend is clear. Back in 1990, the advanced economies ac-
counted for 69 per cent of global GDP (in PPPterms). And in the past eight years, real
GDP in advanced economies increased by a mere 14per cent, while developing nations
grew by 69 per cent".
L'.allargamento dell'economia globalizzata a nuovi paesi, caratterizzati da un PIL pro
capite molto più basso e da differenze culturali spesso molto rilevanti, ha interrottoal-
meno temporaneamente - mantenendolo nei precedenti confini - quel processo di
omologazionedellasocietàche aveva caratterizzato i decenni precedenti al 2000. Le di-
versità territoriali hanno riacquistato importanza, con conseguenze significative sulle
modalità di internazionalizzazione delle imprese e sulla globalizzazione dei mercati
(cfr.schema2. 15).

2.3.2 l!internazionalizzazione
delle impresee la globalizzazionedei mercati

L'impresa può offrire il suo output in un'area geo-politica circoscritta (una


città, un distretto industriale, una regione ecc.) o in uno Stato o in un insieme
integrato di Stati (quale l'Unione Europea o il Mercosur) o in aree geo-politi-
che completamente diverse e lontane fra loro. Lo può fare attraverso interme-
diari commercialio può aprire in loco filiali commercialio creare societàsussidiarie,
talora in joint venture con operatori locali, che svolgano anche attività di pro-
duzione piuttosto che di ricerca e sviluppo.
L'impresa può d'altro canto concentrare tutte le sue attività di produzione
e ricerca e sviluppo, nonché la sede direzionale - i cosiddetti headquarters- in
una sola area: sia nel caso in cui abbia come mercato solamente tale area, sia
in quello in cui abbia clienti sparsi in tutto il mondo. Oppure essa può decen-
trare su scala geo-politica molte delle sue attività - per sfruttare la disponibi-
lità di materie prime (come Eni) o di manodopera a basso costo per le attività
produttive più povere (come De' Longhi al momento del trasferimento di lar-
ga parte della produzione in Cina), per sfruttare la disponibilità di competen-
ze specialistiche elevate per le attività di sviluppo e progettazione più avanza-
te, per non perdere i clienti che hanno delocalizzato (almeno in parte) le lo-
ro attività e/o per avere (come sempre più di frequente sta awenendo) un
migliore accesso ai mercati locali - sia nel caso in cui il suo mercato sia geo-po-
liticamen te concentrato sia in quello in cui venda in tutto il mondo. O può,
invece che decentrare le sue attività in aree geo-politiche più o meno lontane
(il cosiddetto offshoring), ricorrere in outsourcinga imprese fornitrici operanti
in tali aree: anche legandole con contratti a medio-lungo termine o acquisen-
do partecipazioni azionarie di minoranza (cfr. schema 2.17).

Brembo, la multinazional,etascabi,l,e italiana nota in tutto il mondo per la qualità dei suoi siste-
mi frenanti (utilizzati tra l'altro da Ferrari per la Formula 1), che occupa 6 mila addetti (il 10
per cento dei quali nell'R&D) con ricavi 2010 pari a 1,08 miliardi di€ e una capitalizzazione
2. L'impresa e il contesto I l 09

di borsa di 660 milioni, ha aperto ad esempio nel 2001 il suo primo impianto in Cina a Nan-
chino - per rifornire la fabbrica locale dei veicoli commerciali Iveco (al seguito quindi del
suo cliente Fiat) - attraverso una joint venture con un partner cinese di cui detiene una quota
di minoranza. Nel 2006 ha aperto un secondo impianto nell'area cittadina di Pechino, per
rifornire invece le fabbriche in Estremo Oriente dei costruttori di automobili sia europei sia
asiatici (e quindi anche il mercato locale), attraverso una joint venture con un socio finanzia-
rio di cui questa volta detiene la quota di maggioranza. Ancora nel 2006 ha aperto in India
una joint venture con una sussidiaria del gruppo multinazionale tedesco Bosch - la KBX Mo-
torbike Products Private Ltd. - per la fornitura di sistemi frenanti per motociclette al merca-
to indiano e in generale del Far East: rilevandone poi la totale proprietà nel 2008. Nel 2007
ha acquisito la divisione freni della statunitense Hayes Lemmerz (operante nella componen-
tistica automobilistica), e con essa i due impianti produttivi nel Michigan e in Messico; nel
2009 il ramo di azienda per la produzione e la commercializzazione di volani motore per
l'industria automobilistica della brasiliana Sawem Industriai; nel 2010 una fonderia a Nan-
chino, nel quadro della realizzazione di un polo produttivo integrato per triplicare la produ-
zione di dischi e pinze freno per il mercato cinese. Complessivamente Brembo, allo scopo di-
chiarato di coprire i mercati serviti e di acquisire nuovi clienti, dispone di siti produttivi in 12
paesi (in Europa, America e Asia) e commercializza i propri prodotti in 70.

Mapei (acronimo di "Materiali ausiliari per l'edilizia e l'industria") è una multinazionale ta-
scabile altrettanto famosa, che nel giro di 15 anni ha moltiplicato per 20 il suo fatturato -
l'aggregato è pari a circa 1,9 miliardi di€ nel 2010 (oltre il 60 per tento dei quali al di fuori
dell'Italia) - puntando sull'innovazione e sull'internazionalizzazione e ricorrendo ampia-
mente a tale scopo alle acquisizioni. Mapei ha 7.500 addetti (a fronte dei 50 degli inizi degli
anni '70). Ha 69 diverse società che operano in 58 stabilimenti (9 in Italia) in 44 paesi diver-
si. Investe il 5 per cento circa del suo fatturato nella R&D, che assorbe il 12 per cento degli
addetti e che si avvale di dieci centri di ricerca principali (tre in Italia, uno in Francia, uno in
Germania, uno in Norvegia, uno in Canada e tre negli Stati Uniti).
Ha una gamma di più di 1.350 prodotti per l'edilizia (adesivi, sigillanti, malte, additivi, lattici
ecc.), in larga misura frutto degli investimenti in R&D. Tra le acquisizioni più significative:
Vinavil nel 1994, Gorka Cement (cementeria polacca) e VA.CA. (impresa estrattiva di sabbia
pregiata italiana) nel 2000, Sopra (uno dei principali produttori tedeschi di prodotti chimici
per l'edilizia) nel 2002, Rasco Bitumentechnik (produttore tedesco di materiali bituminosi)
nel 2006, Gruppo Polyglass (produttore di membrane impermeabilizzanti e sistemi isolanti)
nel 2008, Betontechnik (produttore austriaco di additivi) nel 2009 ed Henkel South Korea
(produttore di adesivi per l'edilizia) nel 2011.

Con il termine internazionalizzazione,o più frequentemente con quello (spesso


inteso come sinonimo) di multinazionalizzazione,si indica il processo-in larga
misura complementare a quello di gwbalizzazionedei mercatima non coinci-
dente con esso - che vede la specifica impresa:
• nel caso minimal,e,localizzare alcuni insediamenti - commerciali, produt-
tivi e/ o di ricerca e sviluppo - in paesi diversi da quello di origine: per es-
sere vicina ai mercati esteri che vuole servire direttamente (invece che
attraverso intermediari commerciali), per non incorrere negli handicap
di alti costi di trasporto, per poter operare in paesi con forti barriere al-
l'import, per poter sfruttare condizioni di particolare vantaggio (basso
costo del lavoro, ridotti vincoli ambientali, facilitazioni fiscali, elevato li-
vello delle competenze disponibili ecc.); ,
• nel caso estremo,diffondere in maniera così ampia i propri insediamenti
110 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

(anche quelli strategicamente più critici e parte degli stessi headquarters)


e rendere così aperto ai provenienti dai diversi paesi l'accesso al tapma-
nagement da perdere quasi l'identificazione con il paese di origine (cfr.
schema 2.15).
Si parla invece di globalizzazione dei mercati quando perdono di rilevanza i
"confini" dei mercati nazionali e si formano mercati "allargati" a macroaree
sovranazionali - ampie ed economicamente significative - o addirittura al
mondo intero.
Perché un mercato si possa considerare globalizzato, relativamente a una de-
terminata macroarea e a una specifica categoria di prodotti - i televisori piut-
tosto che i servizi finanziari avanzati -, devono sussistere tre condizioni fonda-
men tali:
• la sostanziale omogeneità dei prodotti richiesti nei paesi facenti capo alla
macroarea;
• la presenza come competitori "effettivi" nei diversi paesi delle stesse im-
prese: stimolate a diventare competitori "globali" dalla rilevanza delle
potenziali economie di scala (riduzioni dei costi unitari all'accrescersi dei
volumi in gioco), nelle fasi di produzione e/ o di ricerca e sviluppo, piut-
tosto che dall'internazionalizzazione delle imprese loro clienti;
• l'assenza di vincoli giuridici alla presenza delle imprese nei diversi paesi
e la sostanziale assenza di ostacoli - naturali ( deperibilità, costi di tra-
sporto elevati ecc.) o artificiali (barriere doganali ecc.) - alla circolazione
dei prodotti fra i paesi stessi.
Non sempre esiste una divisione netta fra mercati "globalizzati" e "non globa-
lizzati", spesso differiscono il grado di omogeneità interno e/ o l'articolazione
geo-politica della globalizzazione. Nel mercato automobilistico, che pur vede
le stesse imprese operare in tutte le diverse aree del mondo, permangono for-
ti polarizzazioni territoriali- ancorché in attenuazione-legate alla nazionalità
delle imprese.

Fiat continua a essere leader in Italia, Peugeot e Renault in Francia, le tre grandi tedesche
(Volkswagen, Daimler Benz e BMW) in Germania, Toyota e Honda in Giappone. Ma la
stessa cosa non accade nel Regno Unito, dove le imprese nazionali hanno perso la loro au-
tonomia - essendo state assorbite da gruppi di altri paesi - molti anni fa. Non accade in
Brasile, dove una vera industria nazionale non è mai esistita e dove Fiat e Volkswagen - da
molti anni con loro stabilimenti nel paese - dominano il mercato. Accade solo parzial-
mente in Cina, diventato nel 2010 il più importante mercato del mondo, dove le imprese
cinesi pesano per 45 per cento circa e le joint ventures con le grandi imprese mondiali per il
restante 55.

Negli smartphone e negli aerei per uso civile (per scegliere due esempi lonta-
ni fra loro) il grado di omologazione - a livello addirittura mondiale - è
molto più elevato, pur permanendo differenze nella forza relativa dei com-
petitori nelle diverse aree del mondo: analogamente peraltro a quanto ac-
2. L'impresa e il contesto I lll

cadeva e accade per i competitori di un mercato "nazionale" nelle diverse


regioni e città.

Negli smartphone (cfr. paragrafo 1.4 e schema 2.8), a differenza di quanto accade per le auto-
mobili, le imprese competitrici fanno capo a un numero molto ridotto di paesi. E, a diffe-
renza dell'automobile, si è in presenza di un mercato nato pochi anni fa e molto meno cri-
stallizzato, che vede una continua evoluzione dei prodotti e delle quote. È significativo ricor-
dare, a testimonianza delle differenze di peso nei diversi paesi anche in un comparto così
globale, che nel 2009 Nokia - pur essendo leader mondiale con quota complessiva del 40
per cento circa- aveva una presenza quasi irrilevante in un mercato importante come quel-
lo statunitense.

Internazionalizzazione delle imprese e globalizzazione dei mercati non sono


necessariamente sinonimi. La formazione di mercati globali richiede eviden-
temente quella di competitori globali, che non possono che essere imprese a
elevato livello di multinazionalizzazione: quali ad esempio, per fare qualche
nome, IBM nel comparto dell' Information Technologyo Nestlé nel campo del-
l'alimentazione.
Ma diverse fra le più importanti multinazionali, a conferma della non coin-
cidenza, sono nate prima dei mercati globali. A partire soprattutto dalla fine
della Seconda guerra mondiale, infatti, diverse imprese (principalmente ma
non solo statunitensi) - fra cui ad esempio, oltre alle citate IBM e Nestlé, Proc-
ter & Gamble, Coca-Cola, U nilever, Exxon Mobil, Royal Dutch Shell e Bayer -
incrementarono progressivamente la loro presenza nei differenti mercati na-
zionali protetti con insediamenti produttivi e commerciali locali, battendosi
in ciascun mercato con i competitori del luogo e usando come vantaggio
competitivo nei loro riguardi l'esperienza accumulata nel produrre e com-
mercializzare gli stessi prodotti nei paesi (all'epoca) più sviluppati. L'abbatti-
mento delle barriere ha poi permesso a tali imprese il salto da multidomestiche
(il termine utilizzato per denotare chi compete in ciascun paese come se fosse
un'impresa nazionale) a realmente transnazionali:
• stimolando una diversa strutturazione organizzativa, caratterizzata dal
predominio dell'aggregazione su scala globale delle attività per prodotti
rispetto a quella per aree geo-politiche (cfr. sottoparagrafo5. 9.5);
• rendendo molto meno vincolate le scelte localizzative e creando così un
acceso clima di competizione fra i diversi territori per attirare i nuovi in-
sediamenti o non perdere gli esistenti.

Le conseguenze della transnazionalizzazione delle imprese sono state molto rilevanti anche
nel nostro paese e in particolare in una città come Milano. Sono quasi tutte scese di rango le
sussidiarie italiane dei grandi gruppi internazionali (che spesso avevano sede proprio a Mila-
no), riducendosi molto spesso al ruolo di umbrella companies delle attività nel nostro paese
(nei rapporti con il governo e le autorità in genere, nei rapporti con il sindacato, nella ge-
stione delle sedi ecc.): avendo dovuto cedere il coordinamento per prodotti alle divisioni
globali e il (meno rilevante) coordinamento territoriale alle divisioni continentali site in
qualche capitale europea. Emblematico è il caso di IBM, che aveva una presenza così signifi-
cativa nel nostro paese - anche in termini occupazionali - da far eleggere negli anni '90 il
112 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

suo presidente ai vertici dell'Assolombarda, la principale ramificazione territoriale di Con-


findustria.

Il peso però sempre più forte che, come visto, stanno assumendo le economie
dei paesi emergenti - caratterizzate da livelli del PIL pro capite relativamente
bassi (pur essendo in continuo ampliamento al loro interno le fasce di consu-
matori allineate per potere d'acquisto a quelle dei paesi ricchi), da distanze
culturali spesso molto rilevanti (si pensi ai paesi dell'area del Golfo, così lon-
tani per religione e tradizioni) e da forme di protezionismo di varia natura
spesso altrettanto rilevanti - costringe le imprese che vogliano essere presenti
anche in tali paesi ad assumere caratteri e strutturazioni interne che ricorda-
no quelli delle multidomestiche di mezzo secolo fa.

Rispetto a mezzo secolo fa sono però molto differenti i mercatidomesticirispetto a cui l'impre-
sa si articola: l'Europa ha spesso preso il posto dei tanti mercati nazionali che la componeva-
no; gli Stati Uniti sono spesso associati al Canada; il Giappone può rappreseatare un merca-
to a sé stante o aggregare i paesi ricchi vicini (Corea del Sud, Australia ecc.); la Cina e l'India
sono così grandi e così culturalmente lontane da fare vita a sé; l'area del Mercosur (Brasile,
Argentina, Cile ecc.) ha una sua specificità per le barriere che la proteggono; l'Africa, in cre-
scita, potrebbe diventare anch'essa un'area a sé stante.

Con una grande differenza però, data dalla maggiore diversità dal punto di vi-
sta della cultura, della religione, delle abitudini e degli assetti politici: che po-
ne alle imprese maggiori il dilemma se diventare cosmopolite - nella composi-
zione del tap management (cfr. schema 2.15) e nella copertura dei nuovi bisogni
dei gruppi emergenti nei paesi emergenti (cfr. schema 2.16) - o se privilegiare
l'omogeneità, e con essa le economie di scala, optando per una maggiore fo-
calizzazione del portafoglio prodotti-aree.

Ma continuano a esistere, e spesso sono destinati a permanere tali o addirittu-


ra a crearsi ex novo, i mercati "locali" (nazionali, regionali ecc.). Non tanto o
non solo per le resistenze esercitate, anche nei paesi più liberisti, dai settori
dell'economia e della società più colpiti (talora mortalmente) dall'abbatti-
mento delle barriere protettive - che pure incidono sul versante delle decisio-
ni politiche (cfr. sottaparagrafo 5. 8. 7) - ma perché permangono o talora si
rafforzano le barriere naturali alla "globalizzazione":
• la differenziazione nella tipologia di beni e servizi richiesti nelle varie
aree, legata al permanere di abitudini tradizionali, all'insorgere di nuove
mode "localistiche" o all'uscita dalla mera sussistenza di gruppi estrema-
mente consistenti di nuovi consumatori (cfr. schema 2.16);
• la difficoltà di conservazione e/ o il costo nello spostare i prodotti;
• la non esistenza di economie di scala significative, o talora addirittura l' e-
mergere di nuove tecnologie che rendono meno critico il fattore scala.
2. L'impresa e il contesto I 113

ScH EMA 2.15 - Versol'impresa"cosmopolita"o versoportafogliprodotti-aree


"focalizzati"in un mondo più "globale"ma più "diverso"?

"Per avere successo a livello globale le imprese devono valorizzare la diversità e la di-
stanza anziché cercare di- eliminarle" (HarvardBusinessReviewItalia,"~azienda co-
smopolita", maggio 2011), sostiene lo studioso di strategia d'impresa Pankaj Ghe-
mawat, rifiutando l'idea - molto diffusa prima della crisi - che si andasse verso un
mondo in cui i confini geo-politici si sarebbero progressivamente annullati. "Una cre-
scita sbilanciata, costellata di problemi finanziari. Le minacce protezionistiche causa-
te da una disoccupazione costantemente elevata, in particolare nei paesi avanzati.
Tensioni, nelle nazioni ricche come in quelle povere, su divisioni etniche, religiose e
linguistiche e discorsi su una nuova era di secessioni e tribalismi. Sono alcuni degli
sviluppi che contraddicono la storia che eravamo abituati a sentire: una storia di mer-
cati che si stavano integrando alla perfezione a prescindere dalle frontiere, di una tec-
nologia che stava cancellando le distanze e di Governi nazionali sempre meno in-
fluenti. Le conseguenze della crisi finanziaria del 2008 ci ricordano in quanti modi le
differenze contano ancora. [...]
[Ci sono] tre modi fondamentali in cui le imprese possono creare valore oltre frontie-
ra: adattamento, aggregazionee arbitraggio.Le strategie di adattamento puntano a col-
mare le differenze tra Paesi e a rispondere ai bisogni locali. Le strategie di aggregazio-
ne cercano di superare le differenze per ottenere economie di scala e di scopo attra-
verso i confini nazionali. Le strategie di arbitraggiotentano di sfruttare le differenze,
per esempio comprando a prezzo basso in un paese e rivendendo a prezzi elevati in
un altro. [...]
Nel medio termine per molte imprese potrebbe avere senso porre l'accento sull'adat-
tamento più che sull'aggregazione o sull'arbitraggio: [soprattutto per sfruttare me-
glio] le opportunità aperte dallo spostamento delle attività verso le nuove aree della
crescita globale. Data la debolezza della crescita dei mercati occidentali, le imprese
occidentali devono competere nei grandi mercati emergenti come la Cina e l'India.
Ma non possono entrarvi di prepotenza. E non possono nemmeno prosperare affi-
dandosi alla vecchia abitudine di rivolgersi ai clienti d'élite delle grandi città, che ten-
dono ad assomigliare di più ai clienti in madrepatria. Le imprese occidentali dovran-
no prendere sul serio i concorrenti locali e pensare ad allargare la loro presenza alle
città minori e anche a quelle più piccole, dove sarà richiesto un maggiore adattamen-
to. Ma è impossibile investire in ogni mercato del mondo solo in modo adattivo.[ ...] È
necessario comprendere veramente i mercati prescelti e dimostrare un profondo im-
pegno verso clienti, fornitori, Governi e in generale il pubblico, con un approccio assai
lontano da quell'atteggiamento imperialistico che consiste nell'imporre su scala glo-
bale dei prodotti standardizzati e nel pretendere che gli altri si adeguino al nostro mo-
do di fare affari. [...] ~innovazione per i mercati emergenti spesso richiede business
model diversi, non solo sfavillanti tecnologie. [...] ~ingrediente organizzativo forse cru-
ciale in un mondo che richiede adattamento è la composizione del gruppo dirigente.
La maggior parte delle imprese è lungi dall'essere cosmopolita[...]".
E Umberto Bertelè, nel suo commento: "Pankaj Ghemawat è radicale. Non gli basta-
no prodotti e businessmodel innovativi, non gli bastano strutture di R&D localizzate
nei paesi emergenti in prossimità dei nuovi potenziali clienti, ma vuole che sia l'im-
114 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

presa nella sua interezza a cambiare anima e a diventare sempre più cosmopolita:co-
struendo management team composti da persone provenienti in modo bilanciato da
paesi ed esperienze diverse, selezionate (o formate) per la loro multiculturalità, che
siano in grado di cogliere e di valorizzare le diversità. Un'idea a mio awiso molto bel-
la, che può scontrarsi però con una serie di difficoltà (oltre a quella di costruire e man-
tenere management team con le caratteristiche viste sopra):
• in un contesto in cui gli Stati hanno spesso un ruolo forte nella gestione degli af-
fari, un'impresa realmente cosmopolitarischia - come orfana(se non sentita pro-
pria da nessuno Stato) - di incorrere in pesanti differenziali competitivi negativi;
• un'attenzione troppo forte alle differenze, anche quando necessaria per rafforza-
re i posizionamenti locali, può comportare livelli di complessità tali da cancellare
i vantaggi di scala tipici delle imprese globali: diventando esiziale per la stessa so-
pravvivenza dell'impresa cosmopolita.
In sintesi concordo con Ghemawat quando sostiene che costruire un'impresa globale
- in un mondo che ha incrementato le diversità invece che omologarsi - sia estrema-
mente difficile. [...] Concordo sulla tesi che l'impresa cosmopolitapossa rappresentare
una soluzione in taluni casi, quando la scala non è surclassata dalla complessità. [...]
Non ritengo però che questo sarà il caso più frequente. Penso piuttosto che le imprese
sceglieranno, molto più spesso, un portafoglio prodotti-aree meno globale ma anche
meno complesso, maggiormente orientato allo sfruttamento degli effetti di scala e me-
no sfidante dal punto di vista del cosmopolitismo e della composizione del manage-
ment team: una scelta rischiosa in prospettiva (per gli spazi che apre a nuovi player),
ma più sicura nei risultati a breve e quindi più rassicurante per i mercati finanziari".

ScH EMA 2.16 - Nuovi businessmodel per i mercatiemergenti?

"Le multinazionali puntano sui mercati emergenti per la crescit~ futura. Ma nel tentati-
vo di trapiantare i modelli di business che applicano in patria, finiscono per comprime-
re eccessivamente i margini o per autoconfinarsi nei segmenti di clientela a più alto
reddito, che non sono abbastanza grandi da generare ritorni sufficienti". È l'analisi -
peraltro sempre più oggetto di attenzione e dibattito a livello mondiale - da cui parto-
no Matthew J. Eyring, Mark W. Johnson e Hari Nair (HarvardBusinessReviewItalia,gen-
naio-febbraio 2011, "Nuovi modelli di business nei mercati emergenti") per formulare
le loro proposte. "[Esse] stanno trascurando un'opportunità straordinaria: quel 'merca-
to intermedio' poco servito di consumatori a basso reddito che devono soddisfare bi-
sogni primari come il possesso del frigorifero o della lavatrice con soluzioni di fascia
bassa perché le alternative di alta gamma sono fuori dalla loro portata. Per sfruttare
questo mercato, le imprese devono identificare dei bisogni importanti ancora insoddi-
sfatti, sviluppare modelli di business radicalmente nuovi in grado di garantire loro pro-
fittabilità e costi compatibili, e implementare adeguatamente e far evolvere quei mo-
delli mettendoli continuamente alla prova e adattandoli in continuazione".
Una tesi interessante, oggetto di attenzione e dibattito a livello internazionale, com-
mentata da Umberto Bertelè. "Il grande successo del low cost [cfr. schema 5.4]insegna.
2. L'impresa e il contesto I 115

Il mercato va analizzato con estrema cura, guardando agli effettivi bisogni - siano es-
si insoddisfatti o addirittura inespressi - e alle effettive disponibilità di spesa dei po-
tenziali acquirenti. I prodotti, siano essi beni (materiali o immateriali) o servizi o mix
dei precedenti, vanno progettati di conseguenza: in maniera che diano il meglio -
compatibilmente con i costi - in termini di performancerealmente indispensabili e
non si sprechino soldi per prestazioni ritenute superflue dagli acquirenti scelti come
target. La tesi di fondo di Eyring, Johnson e Nair (che mi sembra in linea con la filoso-
fia del low cast), può essere così riassunta:
• la transizione verso livelli medi di vita occidentali, nei paesi BRIC e in generale in
quelli che stanno emergendo dalla povertà, non sarà brevissima, per cui gli spazi
maggiori di mercato non saranno nei prodotti di fascia alta - dove già le imprese
occidentali si stanno dando da fare con successo - ma piuttosto in quelli in gra-
do di soddisfare i bisogni delle centinaia di milioni di persone che usciranno pro-
gressivamente dalla sussistenza e dall'autoconsumo;
• è in questa fascia che le imprese multinazionali potranno cogliere i successi più
consistenti, se saranno in grado di progettare prodotti non di bassa qualità, ma
di qualità adatta ai bisogni dei nuovi consumatori: consumatori che non solo
hanno pochi soldi da spendere, ma che vivono spesso in un habitat con forti ca-
renze infrastrutturali (nella disponibilità ad esempio di energia elettrica piuttosto
che di acqua).
Concordo sui prodotti. A fronte di una diversa composizione della platea dei consu-
matori mondiali - che si amplierà da un lato con l'affacciarsi sul mercato di chi esce
dalla sussistenza e dall'autoconsumo e che potrebbe modificarsi dall'altro (aggiungo
io) per il manifestarsi di una maggiore parsimonia nei paesi ricchi in affanno - e con-
seguentemente di una diversa composizione dei bisogni da soddisfare, si crea uno
spazio importante per prodotti e businessmodel di nuova concezione. Perché i prodot-
ti attuali sono tarati su target di consumatori più abbienti. Perché non è pensabile ri-
pescare dal nostro passato i prodotti abbandonati al crescere della ricchezza, non più
in linea con le potenzialità tecnologiche e con i modi di vita che si sono nel frattempo
affermati (emblematica a tale proposito è la presenza diffusa di antenne paraboliche
sovrastanti capanne spesso malferme nelle aree più povere del mondo).
Ho viceversa forti dubbi sul fatto che siano le multinazionali attuali, quelle con base
nei paesi ricchi cui è rivolto primariamente l'articolo, le maggiori protagoniste dell'in-
novazione. Il primo dubbio nasce dall'osservazione di quanto successo nel low cast,
dove sono state le imprese nate per sfruttare il nuovo concetto che hanno colto i suc-
cessi più rilevanti, soprattutto dove sono riuscite (si pensi ad esempio ai casi lkea e
Ryanair) a creare beni o servizi capaci non solo di attrarre i consumatori 'a basso red-
dito', ma anche di catturare - per parte dei loro bisogni - i consumatori 'a reddito ele-
vato'.[ ...] Mi sembra anche più naturale che siano imprese con base nei paesi in cre-
scita, piuttosto che nei paesi ricchi, a cogliere meglio i nuovi bisogni e a individuare le
risposte appropriate: [giovandosi, in paesi ad esempio come la Cina o l'India,] oltre
che della vicinanza ai nuovi bisogni e di un significativo protezionismo da parte dei
governi, della convivenza sul territorio di lavoro lowcaste di conoscenze hi-tech,la mi-
scela ideale per prodotti realmente nuovi".
116 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ScH EMA 2.17 - Offshoringe deverticalizzazione


offshore

Tra i fenomeni che più hanno sconvolto negli anni 2000 il tessuto produttivo del no-
stro paese - con pesanti riflessi anche sociali in alcune aree - vi è la chiusura di tutta
una serie di attività, in precedenza svolte in loco,da parte delle imprese che le effet-
tuavano: chiusura che si è trasformata in morte per le imprese che avevano tali attività
come prevalenti o esclusive. Il fattore scatenante è stato l'abbattimento, nel quadro
del processo di globalizzazione sopra descritto, delle barriere che in precedenza pro-
teggevano le aree sviluppate e la conseguente entrata in gioco delle aree povere del
mondo: contraddistinte, almeno nelle fasi iniziali del loro sviluppo, da costi del lavoro
estremamente più bassi e da vincoli di compliance- qua!i quelli relativi al rispetto del-
l'ambiente e alle condizioni di lavoro - estremamente più laschi. Le attività entrate
per prime in crisi sono state owiamente quelle caratterizzate da un basso contenuto
di competenze e da un elevato contenuto di manodopera e/o impatto ambientale:
proprio le attività per cui storicamente l'Italia, in ritardo rispetto ad altri paesi comuni-
tari, si era ritagliata una "riserva di caccia". Ma, con il procedere del tempo e con lo
sviluppo di maggiori competenze in alcune delle aree·emergenti, altre attività sono
entrate o rischiano di entrare in crisi. Come hanno reagito le nostre imprese, owia-
mente quelle non colpite mortalmente? In due modi, delocalizzandole attività più po-
vere e/o inquinanti - ricorrendo cioè all'offshoring-oppure deverticalizzandosi e ricor-
rendo in outsourcinga fornitori offshore:legandoli talora (come detto) con contratti a
medio-lungo termine o con partecipazioni azionarie di minoranza.

Il fenomeno ha colpito in particolare molti distretti industriali del nostro paese (cfr. sottoparagrafo
2.3-3),obbligandoli - quando gli effetti non sono stati peggiori - a rinunciare a interi "pezzi" del-
le loro filiere. E in taluni casi la comunanza delle scelte di delocalizzazione da parte delle nostre
imprese e lo sviluppo indotto di un'imprenditoria locale hanno portato alla nascita di veri e pro-
pri distretti - complementari ai nostri - in altre aree del mondo. Con il rischio ovviamente che, al
crescere del know-how e al moltiplicarsi delle nuove imprese local,i, questi distretti vogliano
estendere la loro presenza dalle attività più povere a quelle ricche della filiera: come alcuni di essi
stanno facendo e come in fondo fecero in passato diversi distretti del tessile-abbigliamento ita-
liano, convertendosi da fornitori a basso costo delle imprese di moda francesi a protagonisti del-
la moda mondiale.

~offshoringe la deverticalizzazione"offshore"- fenomeni che come evidenzia il loro


stesso nome sono tipicamente di transizione - hanno subito una forte trasformazio-
ne negli ultimi anni: in parte attenuandosi o esaurendosi, in parte modificando la loro
natura. Perché sono cambiate e continuano a cambiare le convenienze relative. Per-
ché è cambiata e cambia la specializzazione dei territori. Perché la crescita del potere
d'acquisto in molti paesi emergenti induce, come detto, politiche di localizzazione -
da parte delle imprese dei paesi sviluppati - più attente alla vicinanza al mercato di
sbocco che non al mero arbitraggiosui costi. Perché la crescita nei paesi emergenti,
con il sovraffollamento di talune aree e i problemi che ne conseguono (aumento del
costo del lavoro, aumento del grado di inquinamento ecc.), spinge a nuove forme di
delocalizzazione: verso aree interne meno congestionate o verso paesi economica-
mente più arretrati.
2. L'impresa e il contesto I 117

l'.attenuazione dei fenomeni descritti - dai paesi ricchi a quelli più poveri - ha principalmente due
cause. In taluni comparti essa è dovuta al quasi completamento del·processo di trasferimento e di
concentrazione di specifiche attività (soprattutto nell'ambito del manufacturing)- da parte di tutti
i competitori mondiali - in aree geo-politiche dei paesi emergenti a elevataspecializzazione: in pri-
mo luogo della Cina, per questo spesso definita fabbrica del mondo dai media. In altri comparti
l'aumento dei costi del personale e i più elevati vincoli di compliancenei paesi emergenti hanno ri-
dotto la convenienza: soprattutto quando, parallelamente, le aree ricche a rischiodi deserti.fìcazione
hanno risposto alla sfida con misure (politiche di incentivazione per i nuovi insediamenti, conces-
sione di sconti fiscali per gli insediamenti esistenti, investimenti in nuove infrastrutture materiali e
immateriali ecc.) atte a ribilanciare le convenienze stesse.
L'.elevataspecializzazionedi talune aree nei riguardi di specifiche attività, soprattutto se accompa-
gnata dalla crescita delle competenze tecnologiche e della capacità di innovazione, spinge le im-
prese mondiali a insediamenti in tali aree - o al ricorso a fornitori operanti in tali aree - anche per
le nuovè iniziative: per cui non ha più senso parlare di delocalizzazionie si deve parlare invece di lo-
calizzazioni.Un esempio interessante è quello di Appie. Appie si deverticalizzò nei secondi anni
'go, esternalizzando tutto quanto concerneva la produzione fisica dei PC (all'epoca suoi prodotti
più importanti) a imprese asiatiche, in occasione del rientro di Steve Jobs (cfr. paragrafo1.4).Da al-
lora è sempre rimasta un'impresa a grado di integrazione verticale limitato, avendo delegato alle
imprese asiatiche - in occasione della loro successiva introduzione sul mercato - anche la fabbri-
cazione fisica degli iPod,degli iPhonee degli iPad.Per Fiat si è continuato invece a parlare nel 2010
di una possibile delocalizzazionedegli impianti, in Polonia o in Croazia piuttosto che negli Stati
Uniti (sede di Chrysler) o in Brasile, in relazione al rischio che non fossero più localizzati in Italia i
nuovi stabilimenti destinati a sostituire - incrementando nel contempo la capacità produttiva -
I
quelli ormai obsoleti di Pomigliano e di Torino.
I nuovi fenomeni di delocalizzazione e/o di ricorso a fornitori delocalizzati - all'interno dei paesi
emergenti o fra paesi emergenti - sono ben visibili in Cina e (in misura più circoscritta) in India. In
Cina, a fronte del sovraffollamento industriale delle zone costiere e della volontà del governo di
promuovere le attività a maggior valore, è in atto la spinta al trasferimento delle attività a minor va-
lore dalle zone costiere a quelle interne più povere, nonché la concessione di nuovi insediamenti
solo in queste ultime; o, in alternativa, l'apertura di filiali di imprese cinesi in paesi asiatici come il
Vietnam o l'Indonesia o in paesi africani. In India, che ha assunto un rilievo mondiale nel software
e nei servizi informatici in termini di presenza sia delle multinazionali del comparto (IBM ha ben
go mila dipendenti nel paese) sia di imprese a proprietà indiana operanti in outsourcing,la conge-
stione creatasi a Bangalore ha spinto a pianificare la concentrazione in nuove aree (Chennai,
Mumbai ecc.) dei nuovi insediamenti e a riflettere in quali paesi "poveri" le imprese indiane po-
trebbero delocalizzare alcune attività.

2.3.3 I sistemieconomicilocali"a elevataintegrazione"

Il fenomeno della globalizzazione convive, come si è detto più volte, con quel-
lo dello sviluppo di sistemi economici locali "a elevata integrazione", ossia di
aggregati di impreseindipendenti:
• operanti sullo stesso territorio, almeno per la loro componente preva-
lente: centri direzionali ( headquarters)e attività strategicamente più rile-
vanti;
• fortemente interconnesse dal punto di vista dell'interscambio di beni
118 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

e/ o servizi, anche se con relazioni mutue non necessariamente stabili


nel tempo;
• fortemente legate alle collettività locali, da cui traggono o in cui integra-
no (attirandole dall'esterno) le risorse umane operanti al loro interno e
con le cui istituzioni (socio-politiche piuttosto che accademico-culturali)
interagiscono bidirezionalmente.

L'importanza dei sistemi economia localiha spinto alcuni anni fa l'IMD di Losanna a introdurre,
nella sua tradizionale classifica per grado di competitività complessiva delle aree geo-politiche
con meno di 20 milioni di abitanti, le regioni accanto agli Stati nazionali "piccoli". Questo per-
ché un numero crescente di imprese, nello scegliere ad esempio ove localizzare le loro nuove
strutture (produttive, commerciali o di ricerca), guarda con sempre maggiore selettività e at-
tenzione alle peculiarità puntuali dei territori.

Si possono prospettare, a grandi linee, tre tipologie-tipo:


• l'area-sistema;
• il parco scientifico-tecnowgi,co
o technowgycluster,
• il distrettoindustrial.e.

L'area-sistema.Un esempio tipico è Milano, che vede la convivenza e la forte


interazione sullo stesso territorio degli headquartersdi molte delle più grandi
imprese industriali e di servizi (a base italiana o estera) e delle più grandi ban-
che e istituzioni finanziarie operanti in Italia, della borsa, delle principali so-
cietà di consulenza (strategica, informatica, logistico-produttiva ecc.) alle im-
prese, delle principali società di pubblicità e comunicazione, di alcuni dei
principali atenei del paese ecc.

Il parco scientifico-tecnowgi,co
o technowgycluster.L'esempio più classico è la Sili-
con Valley, area di punta storica dello sviluppo mondi~e dell'informatica e
delle telecomunicazioni, che ha fondato il suo successo sulla felice integrazio-
ne fra imprese, università (Berkeley e Stanford in primo luogo) e istituzioni fi-
nanziarie di sostegno alla nascita e allo sviluppo di nuove imprese innovative
( incubator,venture capita!ecc.) .

Il distrettoindustrial.e.Rappresenta il tradizionale cuore dell'economia del no-


stro paese. Esempi tipici sono il serico di Como, il metalmeccanico di Lecco,
quello delle rubinetterie della Valsesia o delle piastrelle di Sassuolo, tutti stori-
camente sviluppatisi come aggregati di imprese di dimensioni prevalente-
mente medio-piccole, localizzate sullo stesso territorio, operanti in diverse fa-
si della stessa filiera verticale e concorrenti (in combinazioni di volta in volta
variabili e mantenendo la propria autonomia) alla produzione dell'output
(prodotti in seta ecc.), affiancati da banche wcali o con specializzazionewcal.ee
fortemente integrati con le coll.ettivitàwcali (fornitriciin larghissima misura del-
le risorse umane, dei capitali e delle energie imprenditoriali) e con le autorità
locali (indispensabili ad esempio per le autorizzazioni ai nuovi insediamenti
2. L'impresa e il contesto I 119

produttivi piuttosto che per l'uso delle discariche). È un modello entrato in


difficoltà (cfr. schema 2.18), anche se in misura tutt'altro che omogenea rispet-
to ai territori e ai settori di attività, a causa della forte concorrenza (dei paesi
asiatici dopo il loro ingresso nel WTO e di quelli dell'Est Europa entrati nel-
l'UE) nei primi anni 2000 e dell'inaridirsi della domanda (in molti paesi) con
il procedere della crisi 2_008.Molte imprese hanno subito le difficoltà dei di-
stretti di appartenenza, peggiorando progressivamente i loro risultati e al li-
mite chiudendo i battenti. Altre hanno reagito esaltando la propria individua-
lità: aumentando le dimensioni, internazionalizzandosi, rinnovando i prodot-
ti attraverso l'innovazione tecnologica e il design, rafforzando i lirand e l' im-
magi,ne, riorganizzandosi anche attraverso un ricorso maggiore alle nuove tec-
nologie dell'informazione e della comunicazione (ICT); rimanendo cioè sul
territorio, ma modificando il rapporto con esso e richiedendo professionalità
diverse da quelle tradizionali.

I modelli misti. Una variante, molto diffusa anche negli altri paesi, è quella del
modello misto "distretto-grande impresa": del distretto cioè che nasce e vive
per la presenza di una o più grandi imprese che fanno da traino, come Fiata I

Torino o le "grandi dell'automobile'' statunitensi a Detroit. Una variante simi-


le, forse meglio qualificabile come modello misto "technowgy cluster-grande im-
presa", è quella nata in Canada attorno a RIM-Resarch in Motion (cfr. paragra-
fi 1.4e 4.1).

Dal Financial Times del 13.7.2011 ("Cracks in the heart of a cluster", di Bernard Simon): "[ ...]
As the BlackBerry's popularity has spread around the world over the past 15 years, RIMhas
helped transform Kitchener-Waterloo from a quiet manufacturing centre best known for its
Mennonite community and Oktoberfest celebration into a thriving technology cluster.
Ideally, businesses that comprise a cluster feed off each other's skills and resources to improve
productivity, stimulate innovation and bring new products to market. The process takes piace
through myriad networks, from chance encounters in the pub to joint training schemes and
philanthropic ventures. [...] The CEO of Communitech, a non-profit organisation, estimates
that 800 technology companies now ct;l.11 Kitchener-Waterloo home. Communitech, which
supports start-ups and champions collaboration among locai businesses, universities and gov-
ernment, owes its own existence to a drive by locai businesses, including RIM. [...]
RIM's influence on Kitchener-Waterloo is pervasive. [...] The company occupies 25 build-
ings in an area nicknamed RIM City, and employs about half of its 17,500 workforce in
Kitchener-Waterloo. [... ]
The question now is whether the cluster can withstand RIM's troubles [...] ".

ScH EMA 2.18 - Vitadifficileperi distretti

"[ ... ] 1 11nostro è un distretto che ha combattuto la crisi con grande coraggio. Ha fatto
ricorso agli accorpamenti, s'è ristrutturato, le fusioni sono state almeno sette', sostie-
ne il presidente di Confindustria Ceramica (da// Sole24 Ore del 15.5.2011,"Sassuolo ri-
parte dopo lo stop ai cinesi", di Rita Fatiguso). Il 50% delle aziend 1, pari all'8o% della
120 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

produzione industriale, ha fatto ricorso a vari ammortizzatori sociali che hanno tocca-
to almeno 6 mila addetti su 24.600, con preferenza per i contratti di solidarietà[ ...]".
L'introduzione di dazi per le piastrelle cinesi importate nei paesi UE può rappresenta-
re almeno temporaneamente (la misura dovrebbe essere prorogata per un quinquen-
nio) un"'ancora di salvezza" per il distretto di Sassuolo (in provincia di Modena), sto-
ricamente fra i più citati quando nel mondo si parla dei distretti italiani: che potrebbe
frenare l'emorragia delle quote delle sue imprese operanti nella fascia medio-bassa
del mercato comunitario, mentre - per quanto concerne il resto del mondo - sono
necessari trasformazioni e riposizionamenti molto più radicali. "La quota di prodotto
cinese in Europa galoppava dall'1% del 2005 al 7% del 2009, in parallelo la quota ita-
liana crollava del 25%. I dazi danno una boccata di ossigeno perché in certi casi l'ali-
quota schizza fino al 73% e, tra una cosa e l'altra, un container di piastrelle made in
Chinaall'importatore può costare il doppio. Il vantaggio, per l'Italia, è che in un di-
stretto afflitto da una domanda interna depressa, l'export diventa essenziale. La com-
petizione sleale neutralizza anche la variabile export. 'I dazi antidumping stanno resti-
tuendo i giusti valori al rapporto tra produzione cinese ed europea, dand()_,unabocca-
ta d'ossigeno a Sassuolo e questo awiene soprattutto per le produzioni di livello me-
dio-basso[ ...]. Perché la produzione di qualità corre sui suoi binari'.[ ...] La Cina maci-
na piastrelle: il Guangdong è passato da 113,7milioni di metri quadri del 1995 ai 659,5
del 2010, seguito dal Fujian con 13 milioni del 1995 balzati a 573,2 l'anno scorso. Per
non parlare delle quote di mercato internazionali perse a causa del fenomeno delle
copie. [...] L'eco dei dazi s'è sentito, forte, in Cina. 'Noi però non possiamo vivere di
questo, sarebbe un errore fatale. Anche perché cominciano a circolare in varie località
piastrelle commissionate da produttori cinesi marchiate made in Vietnam, destinate
all'export europeo, per le quali il dazio all'import è appena del 5 per cento"'.

Con 1.089 imprese e 10 mila addetti circa il distretto di Lumezzane (in provincia di Bre-
scia) - specializzato nella lavorazione di metalli non ferrosi per la produzione di valvola-
me, rubinetteria, posate e casalinghi in genere - è stato soggetto anch'esso ai problemi
di competizione prima da parte dei paesi emergenti e di crollo.della domanda poi du-
rante la crisi. "[ ...] Il centro studi dell'Aib, l'associazione degli industriali di Brescia, ha
analizzato (da Il Sole-24Ore del 21.4.2011,"Le valvoie di Lumezzane sfidano Cina e com-
modity'', di Nino Ciravegna) i bilanci 2008 e 2009 dei primi cento gruppi di Lumezzane,
fotografando le gravi difficoltà del distretto: i ricavi delle aziende che operano nella me-
tallurgia sono crollati del 41,6% in un anno, mentre il giro d'affari di rubinetti, valvolame
e casalinghi è sceso del 25,2%; peggio ancora sono andati i costruttori delle macchine
utensili (-32,1%). Ma pur di far girare gli impianti gli imprenditori hanno accettato di di-
mezzare il loro Roa, che misura la redditività degli investimenti: dal 7% del 2007 al 3,2%
del 2009, con punte minime dello o,6% delle imprese metallurgiche.[ ...] Il 2010 ha per-
messo di recuperare terreno, ma fin dai primi segnali di ripresa su! distretto si è abbattu-
ta la corsa dei prezzi delle materie prime. [...] Ma ha ancora un futuro un distretto come
Lumezzane, abbarbicato sulle montagne bresciane? 'Senz'altro - assicura uno dei prin-
cipali industriali locali - a patto che gli imprenditori sappiano alzare l'asticella della qua-
lità e del servizio ai clienti. Qui si trovano competenze, capacità e tecnologie che non si
possono e non si devono perdere. E dovremo continuare a investire e innovare"'. La
grande sfida della maggior parte dei distretti del nostro paese.
2. L'impresa e il contesto I 121

2.4 li cambiamento

Le considerazioni svolte nei due punti precedenti evidenziano come l'impresa


operi in un contesto continuamente soggetto al cambiamentoe come essa stessa
- nell'adattarsi al contesto esterno, nel prevenirlo o nel cercare proattivamen-
te di affermarsi al suo interno innovando - contribuisca ad alimentarlo.
Il cambiamento rappresenta cioè la condizione normale di vita per l'im-
presa, anche se può manifestarsi in forma più o meno virulenta a seconda dei
momenti storici, mentre la stabilità rappresenta l'eccezione: con importanti
implicazioni dal punto di vista dell'organizzazione - dell'impresa, ma più in
generale dell'economia e della società- che deve riservare alla gestionedel cam-
biamentoun ruolo di forte rilievo.
Il contesto cambia - riprendendo anche quanto detto in precedenza - per-
ché cambiano, in un processo fortemente interattivo in cui è impossibile trac-
ciare un confine netto fra cause ed effetti:
• il quadro politico-social.e, nelle singole aree geo-politjche e nelle intercon-
nessioni fra aree;
• i valmi, i modi di vita, le abitudini di /,avaroe di consumo:con moti talora co-
muni alle diverse aree e talaltra diversificati, talora tendenti all'omologa-
zione e talaltra viceversa divergenti;
• il patrimonio di conoscenzetecnowgi,che e organizzativee la loro diffusione;
• le infrastrutture materiali e immateriali;
• la tipologia dei soggettiril.evanti (imprese, authority, istituzioni pubbliche
ecc.), con le loro peculiarità e comportamenti, e della rete che li intercon-
nette (modalità dei rapporti fra imprese, organizzazioni dei mercati reali
e finanziari ecc.): ossia, in termini sintetici, l'organizzazionedell'economia;
• le regol.edel gi,oco,di diritto (leggi e norme) e di fatto, prevalenti;
• le risorsee le competenzecritiche;
• le potenzialità critiche:connesse con l'emergere di nuove conoscenze, di
nuovi sbocchi di mercato ecc.;
e tutta una serie di altri fattori.
Alcuni cambiamenti presentano il carattere di fluttuazioni, più o meno am-
pie e regolari, di breve o di medio periodo. Altri si configurano chiaramente
come vere e proprie derive,owero come mutazioni strutturali irreversibili. Al-
tri ancora, la maggior parte, combinano le due nature: è ben difficile, ad
esempio, che una fluttuazione tipica come il cicw economiconon lasci tracce
permanenti (anche profonde) sulla struttura dell'economia, sull'organizza-
zione del sistema delle imprese e sugli stessi comportamenti delle persone.
Vi è una tendenza peraltro a una maggiore irregolarità, nell'occorrenza e
nei profili, delle fluttuazioni e a una più elevata probabilità del verificarsi dei
fenomeni di deriva: in altre parole, usando un termine 1 di moda alcuni anni
or sono, verso una crescente turbol.enzadel contesto. Ed è sempre più ridotta /,a
prevedibilità delfuturo - e specularmente più elevato il rischio per le imprese
122 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

(cfr. paragrafo2. 6) - al moltiplicarsi degli attori in gioco e all'accrescersi della


numerosità e frequenza delle loro interazioni.

Le fluttuazioni e le derive, sia che si presentino in forma pura sia (come più spesso accade)
combinate in "proporzioni" a prioridiverse fra loro, possono essere originate dal verificarsi di
fenomeni rilevanti "esterni" alla sfera economico-finanziaria (Twin Towers, guerra dell'Iraq
ecc.) o essere il mero frutto della dinamica interna. Un caso esemplare (cfr. schema 2.19) è
quello citato dei cicli economici: che, in quanto cicli, dovrebbero avere il carattere tipico di
fluttuazioni; ma che in realtà, in molti casi, hanno un impatto significativo - che può trasfor-
marsi in una vera e propria deriva- sulla struttura dell'economia, sull'organizzazione del si-
stema delle imprese e sui comportamenti delle persone.

ScH EMA 2.19 - Il cambiamentopuò generarsiancheper autocombustione

"Tanto più lunga è la fase di crescita, quale quella vissuta dall'economia mondiale si-
no al volgere del secolo, tanto più consistente è la crisi che fa seguito a essa e tanto
più complessa è la fuoruscita", ha scritto ad esempio Umberto Bertelè nel suo edito-
riale "Pulizia necessaria" su // Sole 24 Ore del 17.7.2002, in un momento di forte crisi
dell'economia, ripetutosi poi su scala molto più ampia nel 2008.
"La teoria è di semplice illustrazione. Come in politica la permanenza al potere per pe-
riodi lunghi delle stesse persone o partiti (utile per realizzare le trasformazioni più im-
pegnative) alimenta quel senso di sicurezza e impunità che spesso è propedeutico al-
l'emergere della corruzione, così nell'economia una fase di crescita molto prolungata
del ciclo - invocata da tutti per i benefici che apporta alle imprese e in generale alla so-
cietà - solitamente genera squilibri e fa emergere comportamenti progressivamente
più disattenti, imprudenti o addirittura (usando un eufemismo) disinvolti. La crescita
prolungata, facendo prosperare i profitti, premia le imprese intraprendenti ed efficien-
ti, ma cela - agli occhi del pubblico ma spesso anche all'attenzione dei top manager-
le crepedi quelle che lo sono meno: crepe che vengono poi alla luce al contrarsi della
domanda e al restringersi dei margini, con una estensione e profondità tanto più ele-
vate quanto più a lungo è stata ignorata la loro esistenza. Molte delle situazioni estre-
me, che vengono a galla drammaticamente ora, forse non sarebbero arrivate a questo
punto se riconosciute e curate per tempo. La crescita prolungata può generare l'illu-
sione - e lo ha fatto spesso anche nel passato - di essere destinata a durare per sem-
pre, come in una mitica età dell'oro,con conseguenze drammatiche. La certezza della
crescita fa perdere infatti ogni freno inibitore nel decidere investimenti e acquisizioni,
creando fragilità finanziarie che rimangono nascoste finché tutto va bene. La certezza
della crescita, e quindi l'illusione che assunzioni di rischio al di fuori della norma non
creino pericoli reali o che situazioni critiche abbiano carattere transitorio, può forse
spiegare_i comportamenti (altrimenti incomprensibili) [tenuti nel caso Enron] della
più antica società di revisione del mondo [Arthur Andersen, poi letteralmente .dissol-
tasi come conseguenza dello scandalo].
La crescita prolungata, accrescendo la dimensione della torta da spartire, accresce pa-
rallelamente la cupidigia - dei top manager(attraverso le stockoption),degli uomini di
finanza e degli azionisti - o comunque il timore di rimanere esclusi con danni non solo
per il portafoglio, ma anche per lo status e per lo stesso mantenimento delle posizioni
2. L'impresa e il contesto I 123

di potere. Questo può spiegare perché Enron, pur di conservare l'immagine di impresa
vincente, si sia assunta di nascosto rischi di proporzioni colossali. Ma può spiegare an-
che il ricorso - per certi versi più sorprendente - a pratiche al limite della legge (di gon-
fiamento dei ricavi) da parte di gruppi di grandissimo prestigio e leader nei loro settori
come Xerox e Merck, che non avevano particolari errori da coprire: operazione molto
meno dannosa per gli azionisti (in quanto neutrale rispetto agli utili), ma apportatrice
comunque di nuova sfiducia. La crisi in atto, in sintesi, è un qualcosa che un lettore at-
tento della storia poteva aspettarsi. E alla crisi è affidata peraltro, nelle economie di
mercato, la funzione catartica di rigenerare il sistema, eliminando le strutture più debo-
li e rimuovendo le principali cause di malfunzionamento e di sfiducia.[ ...]".

ScH EMA 2.20 - Il cambiamentoè originatospessodalla tecnologia

~evoluzione della tecnologia rappresenta spesso un forte motore di cambiamento:


perché modifica il modo di fare le cose, perché induce modifiche nell'organizzazione,
perché induce modifiche nelle scelte dei consumatori e talora negli stessi stili di vita.
Le imprese possono cavalcareil cambiamento indotto dalla tecndlogia, sino ad ampli-
ficarne con i loro comportamenti gli effetti, o possono diventarne vittime:talora per-
ché non si adeguano per tempo, talaltra perché la nuova tecnologia sconvolge le logi-
che competitive.
È esemplare a tale proposito il caso di Kodak, leader mondiale delle pellicole fotogra-
fiche, rimasta per quasi tutto il secolo scorso tra le principali società quotate nei listini
statunitensi, travoltadall'avvento della fotografia digitale: non solo per il ritardo nel
reagire alla transizione, ma anche e forse soprattutto perché i margini che le erano ga-
rantiti dalla posizione di quasi monopolio nelle pellicole - resa possibile dalle peculia-
rità della tecnologia chimica utilizzata per le stesse e dai connessi differenziali compe-
titivi - sono inimmaginabili nell'attuale contesto digitaledella fotografia. Kodak in altri
termini era a nostro awiso una vittima predestinata - in assenza di possibilità di dif-
ferenziazione "a parità di margini" in comparti vicini - sin dal profilarsi della nuova
tecnologia: affermatasi in tempi rapidissimi, ma dopo un'incubazione molto iunga, al
raggiungimento di un livello di megapixeltale da garantire una qualità comparabile.
Con una strada alternativa difficile (anche umanamente) da seguire: disinvestire dal
suo settore storico di presenza, "mandando a casa" la grande maggioranza dei di-
pendenti, e scommettere il proprio denaro su nuovi comparti in crescita.
Si è visto (cfr. schema 2.2) come IBM abbia invece rappresentato un esempio di capa-
cità di uscita dalle aree di business meno promettenti per concentrarsi e rafforzarsi
sulle nuove: potendo fruire rispetto a Kodak di più opzioni di passaggio a comparti vi-
cini, ma dovendo superare l'ostacolo (spesso insormontabile) di convertire alla logica
del servizioe del softwareun'impresa che aveva basato il suo successo sull'hardware.
Il problema che si sono trovate ad affrontare con diverso successo Kodak e IBM è in
realtà più generale. "lf you want to be reborn, you have to die first" (dal Financial
Times/Lexdel 16.5.2011, "Tech conglomerates: com petition bites"), se vuoi resuscitare
devi prima morire. Perché al maturare delle aree di business "at every big tech group
124 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

competition turns profitable products into margin-killers. To protect earnings, compa-


nies must move into adjacent - or not-so-adjacent - areas. This can lead to overpaying
for acquisitions and drifting priorities. But the other option is sticking with businesses
as they wither [...]". È quello che apparentemente sta accadendo a Cisco, insidiata da
una pressione sempre più forte sui margini nel suo switchingbusiness(santuariodelpro-
fitto sin dagli albori di Internet) e da un mix organizzazione-strategia che "after decades
of diversification has become baroque". È quello che apparentemente sta accadendo a
HP (cfr. paragrafo1.4),altra storica protagonista dell'ICT, che non sembra essere finora
riuscita a bilanciare la caduta dei margini nei PC con l'espansione dei servizi. È quello
che - nonostante la profittabilità tuttora elevatissima - potrebbe accadere a Microsoft
e lntel, che sull'esplosione del mercato dei PC hanno costruito la loro fortuna, se il de-
clino annunciato dei PC stessi a favore dei tabletdovesse diventare concreto.
Il caso lntel è particolarmente interessante. A differenza di Cisco e HP, lntel non sof-
fre al momento di una particolare pressione sui margini; ha 12,2 miliardi di dollari di
utile netto su 46,2 di ricavi, con più di 93 mila dipendenti; ha una quota di mercato
elevatissima nei microprocessor chip per PC. Ma il suo "tallone di Achille" è che "is
lagging badly in chips for mobile gadgets that run on batteries - a market that is
growing embarrassingly fast" (dal FinancialTimes/Lex dell'8.5.2011, ''lntel: power
struggle", e da The Wa/1StreetJournaldel 18.5.2011,"lntel chips to power down", di
Don Clarck e Shara Tibken), perché "its current architecture drinkstoo much power".Il
mix di quasi assenza dai comparti (smartphonee tablet) ove è prevista la crescita mag-
giore, e viceversa di predominio in un comparto (PC) dal futuro molto più incerto, è
alla base della valutazione che la borsa dà della società: alta in assoluto, essendo
prossima a 125 miliardi di dollari, ma quasipunitiva (solo 10 volte tanto) se la si rap-
porta agli utili prospettici "despite revenue growth rates that most companies would
kill for". Ovviamente, anche se in ritardo, lntel ha cercato di rimediare. "lntel
announced what it called a third major shift in its chip-development strategy, moving
more aggressively to cut power consumption to target smartphones and tablet com-
puters and streamline future designs for laptop PCs. lntel, [w~ich] had recently de-
signed its mainstream microprocessor chips to draw around 35 to 40 watts, told
analysts that it will reduce that figure over the next few years_to around 15watts, hop-
ing to extend the battery life of portable devices as well as save power in server sys-
tems that use its chips". Ma, anche se lntel riuscirà a diventare competitiva nei con-
sumi energetici e saprà awalersi della capacità di operare su larga scala per acquisire
quote rilevanti nei comparti in crescita, il futuro non appare per nulla roseo. "Trouble
is that device makers are already entrenched in a silicon-hardware-software ecosys-
tem based on Arm Holdings' chips. The lntel alternative will have to be superior and
competitively priced to make customers switch. Given that mobile processors now
sell for as low as $10 (a fraction of what lntel is accustomed to charging), margins, for
the near future, are unlikely to be great. [...] So Intel is entering a nasty fight fora small-
ish slice of the market that promises middling profitability. But mobile is where the
growth is, so there will be no backing down [...]". Esistono in altre parole per lntel
comparti vicini in cui differenziarsi, esiste (almeno in linea teorica) la possibilità di
vincere la guerra contro la "piccola" Arm (7,75 miliardi di sterline di capitalizzazione,
88 di utile netto su 430 di ricavi, quasi 2 mila addetti), ma potrebbe essere una "vitto-
ria di Pirro" se i margini rimangono in linea con gli attuali.
2. L'impresa e il contesto I 125

2.5 L'innovazione

"Il cambiamento rappresenta la condizione normale di vita per l'impresa, che


- nell'adattarsi al contesto esterno, nel prevenirlo o nel cercare proattivamen-
te di affermarsi - contribuisce ad alhnentarlo", era questa la tesi di fondo del
paragrafo precedente.
Il cambiamento, ripercorrendo quanto detto nel capitolo, può riguardare il
portafoglio dell'impresa: che può essere arricchito, attraverso acquisizioni o me-
diante lo sviluppo organicodi nuovi business all'interno, o semplificato, cedendo
o liquidando business esistenti. Può riguardare il grado di integrazione ~erticale
dei diversi business: che può essere ridotto acqu~stando in outsourcingquelloche
prima si faceva in casa,o ampliato a monte piuttosto che a valle. Può riguardare
l'assetto tecnologico-organizzativo, in combinazione o meno con modifiche nel
perimetro e nel posizionamento nell'ambito delle filiere, o l'assetto giuridico-fi-
nanziario-proprietario. Può riguardare la presenza sui mercati internazionali e la
localizzazione geo-politica delle attività. Può riguardare, in particolare per un'im-
presa quotata, i meccanismi di governance:ad esempio per andare incontro ai de-
sideri espressi dagli investitori. Oppure l'immaginecomplessiva che l'impresa vuo-
le dare ali' esterno di se stessa, in termini di responsabilità sociale piuttosto che di
attenzione all'ambiente o di vicinanza a una collettività. E così via, in un processo
incessante che vede alternarsi mosse piccole e grandi, non solo in funzione di
quanto avviene nel contesto ma anche ad esempio di successioni- tra padri e fi-
gli o fra manager professionali diversi-al vertice dell'impresa.
Il passaggio dell'impresa a uno stato diverso, soprattutto se implica il pas-
saggio da una combinazionetecnologico-organizzativa a un'altra diversa, è spesso
qualificato nel linguaggio comune come innovazione:a prescindere dal conte-
nuto di elementi più o meno significativi di originalità, in termini assoluti
piuttosto che in relazione allo specifico comparto o alla specifica area geo-po-
litica ove l'impresa attua il cambiamento. Questo in potenziale contrasto con
la connotazionedi originalità e di successoche spesso - nella testa delle persone -
è associata alla parola innovazione, in linea con il pensiero di molti economisti
e studiosi di strategia di impresa (cfr. schema2.22) da Schumpeter in poi.

Joseph Alois Schumpeter (1883-1950), austriaco, è considerato uno dei più importanti econo-
misti del XX secolo (per un approfondimento non specialistico http:/ /it.wikipedia.org/
wiki/Joseph_Schumpeter). Schumpeter ha posto al centro della sua analisi sulla dinamica del-
lo sviluppo dell'economia la figura dell'imprenditore-innovatoreche-con i capitali messi a dispo-
sizione dalle banche e remunerati con l'interesse (ossia con una parte del "profitto aggiuntivo"
realizzato grazie all'innovazione) - introduce nuovi prodotti, sfrutta le innovazioni tecnologi-
che, apre nuovi mercati, cambia le modalità organizzative della produzione. Schumpeter spie-
gai cicli economici come l'alternarsi di fasi espansive, caratterizzate dall'introduzione massic-
cia e squilibrantedi innovazioni, e di fasi recessive, in cui l'economia ricerca un nuovo equilibrio
ovviamente diverso dal precedente. Egli ha introdotto anche l'importante concetto di distruzio-
ne creatrù:e,in relazione al drastico processo selettivo che si accompagna all'introduzione delle
innovazioni a maggiore impatto e che porta alla "morte" alcune imprese, ne rafforza altre e ne
fa nascere altre ancora: offrendo una lettura "darwiniana" positiva di tale processo, giudicato -
nonostante gli elementi di dolorosità- indispensabile per lo sviluppo.
126 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

In un'ideale graduatoria, si ha il "massimo" di innovazione in pr~senza di un


bene e/ o servizio radicalmente nuovo a livello mondiale, che va a soddisfare
un bisogno nuovo e che viene realizzato con una combinazione tecnologico-
organizzativa owiamente anch'essa nuova: da un'impresa già esistente, che
amplia o modifica il suo output, o da un'impresa completamente nuova (in
gergo start-up). All'altro estremo si ha invece la situazione in cui l'impresa -
con una strategia di mera imitazione talora definita me too- introduce al suo
interno gli stessi beni-servizi e/ o tecnologie e/ o modalità organizzative che i
competitori (almeno uno dei quali in modo originale) hanno già introdotto.
Con una gamma di situazioni intermedie, però, estremamente articolata: fra
cui quella molto frequente in cui l'impresa si awale sì di innovazioni sviluppa-
te in altri comparti, ma riesce a utilizzarle con originalità - in combinazione
con l'esistente - e a farne un fattore di successo.
L'innovazione - in particolare quella a elevato contenuto di originalità -
può rappresentare la chiave di volta per il successo di un'impresa, già esisten-·
te o che nasce attorno alla nuova idea.

IBM ad esempio, già leader mondiale nelle macchine per scrivere e nelle calcolatrici, riuscì a
diventare una delle principali società del mondo (per ricavi e valore) in assoluto per la sua
capacità di innovare in un comparto al momento in fase nascente come quello dei calcolato-
ri elettronici. Lo stesso fece Intel nei microprocessori, nascendo però da zero. Lo stesso in
anni più recenti hanno fatto Google e Appie (cfr. paragrafo 1.4): Google non solo e non tan-
to per la bontà dei suoi algoritmi di ricerca, quanto per la capacità di costruire su di essi
un'imponente infrastruttura per la ricerca e di farne un grande motore di acquisizione di ri-
cavi pubblicitari; Appie per la sua capacità di mettere sul mercato nuovi oggetti (quali I'iPod,
l'iPhoneo I'iPad), con nuove prestazioni e nuovi servizi acclusi, in grado di far emergere biso-
gni totalmente inespressi. Lo stesso spera di fare Facebook, se riuscirà a trasformare in suc-
cesso economico il successo che ha avuto nel creare il socia! network più popolare nel mondo:
successo non legato a innovazioni di natura tecnologica, ma a innovazioni nelle modalità di
interazione fra i soci.

L'innovazione peraltro, pure quella contraddistinta da un forte livello di ori-


ginalità, non ha necessariamente un cuore tecnologico·: anche se, in assenza
di quest'ultimo, può essere più difficile per l'impresa innovatrice proteggersi
dall'imitazione e mantenere nel tempo i differenziali competitivi acquisiti. La
storia anche recente, infatti, presenta importanti casi di successo legati a inno-
vazioni - quali quelle nell'organizzazione- con una componente tecnologica
(in senso proprio) irrilevante o comunque non determinante ai fini del suc-
cesso stesso 10.
Il ruolo determinante che l'innovazione può avere per la crescita dell'eco-

10. Una serie di casi di successo basati su innovazioni non tecnowgfrhe- relativi a imprese multina-
zionali (molte delle quali citate in questo testo) nate in aree differenti del mondo, specifica-
mente Toyota, Wal-Mart Stores, Starbucks, Ryanair, Gillette (ora parte del gruppo Procter &
Gamble), Swatch, Italcementi e Tenaris - è riportata ad esempio in EntrepreneurialStrategy:
Emergi,ng Business in Declining Industries, di Lucio Cassia, Michael Fattore e Stefano Paleari
(Edward Elgar Publishing, 2005).
2. L'impresa e il contesto I 127

nomia e della stessa società fa sì che l'impresa innovatrice-già esistente o crea-


ta ex novo- sia oggetto di interesse e di grande attenzione nei paesi più svilup-
pati e che a favore della promozione dell'innovazione vengano create istitu-
zioni e forme di supporto, sia pubbliche che private.
Non sempre però l'innovazione paga. Non solo per i rischi connaturati con
essa - l'accoglienza negativa o ritardata che un nuovo prodotto può ricevere
sul mercato, piuttosto che l'eccesso di costi rispetto alle previsioni o il non
conseguimento dei risultati attesi dalla ricerca - ma spesso, anche quando
queste eventualità non si concretizzino, per l'incapacità di chi innova di co-
struire una vera impresa attorno all'idea innovativa o per l'impossibilità di
proteggersi dalle imitazioni. In assenza di un monopolio temparaneo, infatti, l'im-
presa che ha investito risorse per innovare si trova finanziariamente "appesanti-
ta" rispetto all'impresa o alle imprese che sono state in grado - con investi-
menti nulli o limitati - di copiare l'innovazione e rischia di essere punita inve-
ce che premiata; il discorso poi si fa ancora più critico se chi copia dispone di
una forza di penetrazione commerciale o di un'abilità di produrre su larga
scala superiore rispetto a chi ha generato l'idea.

ScH EMA 2.21 - L'innovazionecome fattoredi cambiamentodella storia

L'innovazione non è un fenomeno di rilievo solo nell'ambito economico, ma ha gioca-


to - e gioca - un ruolo di primo piano addirittura nelforgiarela storia.
Il primo esempio riguarda una innovazioneorganizzativa- la falange macedone - che
giocò un ruolo molto forte (anche se owiamente in concomitanza con altri fattori) nei
successi di Alessandro Magno e nel terremoto nell'articolazione politica di mezzo
mondo di allora che essi provocarono. La falange era una particolare formazione di
fanteria dell'antico esercito macedone, di cui era considerata la punta di diamante. Fu
costituita da Filippo Il di Macedonia, padre di Alessandro Magno, che si ispirò - mi-
gliorandolo - al modello del "Battaglione Sacro" tebano di Epaminonda e allo schie-
ramento (l' 110rdine obliquo") con cui si disponeva. Fu sfruttata largamente da Ales-
sandro Magno nel corso delle sue conquiste e contribuì alla fama di invincibilità dei
macedoni per decenni.
Il secondo esempio, a distanza di molti secoli, riguarda quella che potrebbe essere
definita la versione 11 moderna" della falange, che fu messa a punto da Maurizio di
Orange-Nassau (1567-1625),protagonista della lotta per l'indipendenza dell'Olanda
contro la Spagna. Egli riorganizzò l'armata ispirandosi ai metodi antichi, in un'epoca
caratterizzata però dalla presenza delle armi da fuoco. In battaglia schierava i suoi uo-
mini su solo 10 file: la prima linea scaricava simultaneamente i moschetti sul nemico,
poi arretrava per ricaricare le armi mentre le altre nove linee prendevano man mano il
suo posto, creando una grandine continua di fuoco. Il coordinamento doveva essere
perfetto, per cui furono reintrodotte le esercitazioni in uso nell'antichità. Le sue idee
furono a lungo oggetto di imitazioni in tutta Europa.
Il terzo esempio, quasi coevo al secondo, vuole mettere in luce la combinazione di in-
128 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

novazioni originali e di perfezionamento delle innovazioni di altri che portò Gustavo


Adolfo (1594-1632),re di Svezia dal 1611alla morte, a essere annoverato fra i protago-
nisti della Guerra dei Trent'anni (1618-1648)e fra i grandi geni dell'arte militare. È con-
siderato il padre della moderna artiglieria, che diventò definitivamente con lui il mez-
zo di distruzione principe sui campi di battaglia: introducendo innovazioni tecnologi-
che e introducendo il concetto assolutamente originale di fuoco mobile di massa. In
particolare diminuì peso e ingombro delle artiglierie, riducendone e razionalizzando-
ne i calibri a sole 24, 12 e 3 once, facilitando enormemente i problemi logistici. Riela-
borò in modo originale i precetti di Maurizio di Orange-Nassau, trovando un modo
efficacissimo per realizzare la tattica delle armi combinate della picca e del moschet-
to: l'alta cadenza di tiro dei suoi moschettieri e soprattutto l'invenzione della salva di
fucileria, mediante la quale la linea di moschettieri scaricava contemporaneamente i
suoi colpi sul bersaglio, provocava nei nemici non solo perdite ma anche una perico-
losa disorganizzazione. Riarmò la fanteria, rendendo le picche più maneggevoli.
Rinforzò con lunghe e solide bandelle laterali le punte, affinché le sciabole di cavalleria
non potessero tranciarle. Alleggerì il moschetto, dimezzandone in pratica il peso.
Adottò, se non inventò addirittura, la cartuccia a carica fissa e con palla ai:inessa.
La forza militare che portò al successo i tre personaggi può essere assimilata alla for-
za che sul mercato hanno le imprese: l'una e l'altra derivanti da una combinazione
originale e non facilmente imitabile di aspetti organizzativi e tecnologici, di razionaliz-
zazione e standardizzazione, di attenzione alla formazione delle persone affinché la
cosiddetta execution- la messa in opera cioè delle linee strategiche e tattiche pensate
a tavolino - porti ai risultati attesi.

ScH EMA 2.22 - Che cos'èl'innovazione?Cinquedefinizionia confronto

l:innovazione- come tutti i termini che servono a indicare fenomeni importanti, com-
plessi e variegati - è un concetto dai contorni estremamente- indefiniti e indefinibili.
Fra le definizioni più interessanti (tratte da J. Tidd e J. Bessant, Managinglnnovation.
lntegrating Technological,Market and OrganizationalChange, 4a ed., John Wiley &
Sons, 2009):
• lnnovationis the successful exploitation of new ideas (UK Department of Trade
and lndustry- DTI)
• Industriai innovationincludes the technical, design, manufacturing, management
and commerciai activities involved in the marketing of a new (or improved) prod-
uct or the fìrst commerciai use of a new (or improved) process or equipment
(Chris Freeman)
• lnnovationis the specifìc tool of entrepreneurs, the means by which they exploit
change as an opportunity fora different business or service (Peter Drucker)
• Companies achieve competitive advantage through acts of innovation.They ap-
proach innovation in its broadest sense, including both new technologies and
new ways of doing things (Michael Porter)
• An innovativebusinessis one that lives and breathes "outside the box". lt is not
2. L'impresa e il contesto I 129

just good ideas, it is a combination of good ideas, motivated staff and an instinc-
tive understanding of what your customer wants (Richard Branson).
11DTI inglese pone l'accento sul fatto che l'innovazione richiede allo stesso tempo
idee nuove e capacità di sfruttarle con successo. Freeman mette in luce la natura mul-
tidimensionale dell'innovazione, che - relativamente sia alla messa sul mercato di un
nuovo prodotto sia all'impiego di un nuovo processo - deve integrare tecnologia, de-
sign, produzione, marketing e vendite, gestione. Drucker vede l'innovazione (non dis-
similmente da Schumpeter) come un qualcosa di profondamente legato agli impren-
ditori che la pongono in àtto e come loro strumento principale per sfruttare il cambia-
mento come opportunità di diversificazione. Porter considera determinante l'innova-
zione, intesa nella sua accezione più ampia, come strumento per acquisire vantaggi
competitivi. Branson, infine, vede l'innovazione come un qualcosa che "esce dagli
schemi", dovendo combinare la bontà delle idee con la motivazione dello staff che la
realizza e con la capacità di comprendere istintivamente i desideri del mercato.

ScH EMA 2.23 - Le impresepiù innovativedel mondo

Dal 2005 BCG-Boston Consulting Group (www.businessweek.com/interactive_reports/in-


novative_companies_201o.html) individua ogni anno per conto di BloombergBusinessWeek - in-
tervistando top managerdi tutto il mondo (1.590 per l'indagine relativa al 2010) - le imprese con-
siderate in assoluto come le più innovative.È una valutazione ovviamente soggettiva, data la stes-
sa indefìnizionedel concetto di innovazione, che può risentire dell'immaginedi innovatività(non
sempre in sintonia con la realtà) dei comparti di appartenenza delle imprese e della nazionalità de-
gli intervistati. È una valutazione che attribuisce un peso, anche se ridotto, al successodelle impre-
se: al ritorno totale (incremento della capitalizzazione più .dividendi netti) per gli azionisti e alla
crescita dei ricavi e dei margini nel triennio precedente.

Operano nel mondo dell'ICT e sono statunitensi, secondo la classifica 2010 di Bloom-
bergBusinessWeek,le quattro impresepiù innovativedel mondo:nell'ordine Appie, Goo-
gle, Microsoft e IBM. L'ICT fa la parte del leone anche nelle posizioni successive: 9 im-
prese fra le prime 12, con Amazon, LG, Sony, Samsung e lntel che si aggiungono alle
precedenti; 12 sulle top 20, con RIM, HP e Nintendo. L'auto è l'altro grande protagoni-
sta: 2 delle prime 10 imprese, la giapponese Toyota e la cinese BYD, al quinto e all'ot-
tavo posto; 6 delle top 20, con Ford, Volkswagen, Tata e Bmw che si aggiungono alle
prime due; Fiat - unica italiana nelle top 50 - al quarantatreesimo posto. Solo Generai
Electric e Coca-Cola fanno capo a comparti diversi dai due citati fra le top 20; cui si ag-
giungono - se si guarda alle top 25- Wal-Mart, Virgin e Procter & Gamble.

P&G, leader mondiale nei consumergoods (cfr. paragrafo1.1 e schema 1.1), è entrata nella classifica
delle imprese più innovative per essersi focalizzata nel 2010 sul miglioramento dei lower-priced
goods, più adatti alle fasi di recessione dell'economia. Wal-Mart, leader mondiale della grande di-
stribuzione, innovativa nel passato nel ridurre i costi della supply-chain,per l'orientamento am-
bientale che ha posto in atto (che punta ad esempio a una significativa riduzione del packaging).
Coca-Cola, per il suo nuovo fountain-drinkdispenserche può erogare più di cento bevande diverse,
realizzato con la tecnologia Microsoft e con il design italiano. Generai Electric, la più importante e
130 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

longeva conglomerata del mondo, per la sua attività di ricerca (2.537brevetti nel 2010) che spazia
dalle nanotecnologie alle bioscienze.

Dal punto di vista della nazionalità delle case-madri, anche se mantengono la testa
della classifica, le imprese statunitensi nelle top 50 sono scese nel 2010 a 22 dalle 35 di
quattro anni prima. Mentre le asiatiche sono salite a 15, le europee sono 11 (4 inglesi,
3 tedesche, 1 italiana, 1 spagnola, 1 svizzera e 1 finlandese) e vi sono inoltre 1 canade-
se e 1 brasiliana.

"Before the world shuddered two years ago (dall'introduzione alla classifica), US companies dom-
inated our Most InnovativeCompaniesranking, easily outnumbering corporations based outside of
America. But now that the global economy seems to be growing again, senior executives surveyed
by the BCG no longer consider the US the be-all and end-alI in innovation. Yes,Appie reigns as No.
1 again, trailed by silver medalist Google. And Microsoft and IBM fìnd themselves back in the top
fìve. But for the fìrst time ever, more companies on our top 50 are based outside the U.S. China's
rise is the fastest. A year ago, its only representative was Lenovo, at 46. This year Greater China is
tied with Asia's postwar powerhouse, Japan, thanks to showings by BYD (8), Haier Electronics
(27), Lenovo (29), China Mobile (44), and Taiwan-based HTC (47). To make room for 201o's fresh-
men, a half-dozen American giants on 2009's list got dumped: AT&T, ExxonMobil, 3M, Johnson &
Johnson, Southwest Airlines, and Target". ~

Di rilievo l'ottava posizione della cinese BYD - una sorta di conglomerata con 180 mi-
la addetti che opera, oltre che in Cina, in India, Ungheria e Brasile - entrata nel top de-
gli innovatori per i suoi ultimi modelli di automobili, ibride ed elettriche plug-in,che
intende esportare negli US e in Europa.

BYD (la cui sigla sta per Build Your Dreams), fattura 7,2 miliardi di dollari circa con quasi 400
milioni di utile e ha una capitalizzazione di borsa (al 22 maggio 2011) di poco superiore a 8 mi-
liardi: del 600 per cento circa superiore rispetto a quella di cinque anni prima, ma del 52 inferio-
re rispetto a un anno prima. Fornisce di se stessa, un po' enfaticamente, il seguente profilo
(http://bydit.com/doce/about/CompanyProfìle/): "Established in February 1995, BYD Com-
pany Limited specializes in IT, automobile and new energy. BYD is the ·Iargest supplier of re-
chargeable batteries in the globe, and has the largest market share for Nickel-cadmium batter-
ies, handset Li-ion batteries, cell-phone chargers and keypads worldwide. lt is the largest sup-
plier of rechargeable batteries and it also has the second largest market share for cell-phone
shells in the globe. BYD Auto becomes the most innovative independent national auto brand
and leads the fìeld of electric vehicles with unique technologies. In the field of new energy, BYD
has developed green products such as solar farm, battery energy storage station, electric vehi-
cle, and LED ecc.".

Può stupire che paesi noti per la loro creatività- quali Francia, Italia e Spagna - siano
così poco presenti (solo Fiat e Banco Santander sono nelle top 50) in una classifica
che dichiaratamente fa riferimento all'innovazione nel senso più lato del termine, e
non solo a quella tecnologica. Ma giocano presumibilmente la più diffusa notorietà
delle imprese di dimensione maggiore, rispetto alla dimensione medio-piccola che
spesso le imprese creative(quali quelle che operano nella moda e nel design) hanno,
e le loro migliori performancedal punto di vista del valore di borsa.
11diverso peso attribuito al successo economico e finanziario, rispetto all'originalità
in senso stretto dell'innovazione, spiega anche le significative differenze nelle gradua-
2. L'impresa e il contesto I 131

torie e negli stessi nomi in lista che si ritrovano in classifiche meno note di quella
BloombergBusinessWeek.

Appie capeggia anche la graduatoria di The World'sMost InnovativeCornpanies2011 compilata dal


mensile statunitense FastCornpanye Google è sesta. Ma nelle restanti posizioni ci sono imprese
completamente diverse, nell'ordine: "Twitter (for fìve years of explosive growth that have redefìned
communication), Facebook (for 600 million users, despite Hollywood [l'accenno è al film sul fon-
datore]), Nissan (for creating the Leaf, the fìrst mass-market all-electric car), Groupon (for reinvi-
gorating retail and turning down $6 billion [l'offerta di acquisto di Google], Dawning lnformation
lndustry (for building the world's fastest supercomputer), Netflix (for streaming itself into a $9 bil-
lion powerhouse and crushing Blockbuster), Zynga (for being the $500 million alpha dog of social
gaming) e Epocrates (for giving doctors and nurses instant drug reference)". Il commento: "The
50 companies on our 2011 list have chosen a unique path. Today's business landscape is littered
with heritage companies whose CEOs battle their industry's broken model with inertia, layoffs,
lawsuits - anything that squeezes pennies and delays the inevitable. How many of these compa-
nies will be dominant in 2025? Few.That world will be ruled by the kinds of companies on this list.
They're nondogmatic, willing to scrap conventional ideas (A mere 30-second TV ad? Let's do 200
online videos in two days, say the creatives at Wieden+Kennedy.) They're willing to fail (Google's
search team runs up to 200 experiments at any one time). They know what they stand for (by
making home-viewing as easy as possible, Netflix walloped Blockbuster, which thought its busi-
ness had something to do with stores).This is a list full of surprises, even though our No.1 pick is
no surprise at all. Appie itself was once written off; but the company restored innovation to its pro-
per piace and our enti re economy has benefìted as a result".

Ma da che cosa nasce la spinta all'innovazione in un'impresa? Quanto conta-


no gli investimenti in R&D nel promuovere l'innovazione? In primo luogo è
essenziale che l'impresa stessa e - più specificamente - il suo tap management
considerino l'innovazione stessa come una priorità strategica nell'ottica di
creazione di valore.

"[ ... ] The Chinese government is trying to encourage more companies to be innovators (an-
cora dall'introduzione alla classifica 8/oornbergBusinessWeek).Beijing has implemented new
procurement policies to promote what it calls 'indigenous innovation' by requiring locally
made technology in certain government purchases. [ ...] [But] China's indigenous initiative
isn't the main driver of innovation there, according to BCG's annual survey of top execu-
tives. [ ...] The crucial factor is a mindset- a belief that innovation matters. In China, 95% of
executives said innovation was the key to economie growth, while 90% and 89%. of respon-
dents in South America and India, respectively, agreed. In the U.S., only 72% said innovation
was important. Similarly, 88% of executives in China said they were raising their innovation
budgets this year, followed by 82% in South America and 73% in India. The rate fell to 48%
in the U.S., ahead of only Japan, where just 34% of executives said their companies planned
to increase innovation spending. All of which suggests the U .S. may not be dominating the
list again soon".

Gli investimenti in R&D sicuramente hanno un peso nel promuovere l'innova-


zione, in taluni ambiti anche di grande rilievo, ma non esiste una stretta corre-
lazione. Perché talora l'innovazione può nascere più dalla capacità di intuire
quello che il mercato vorrà accettare - come nel caso già discusso di iPod,iPho-
132 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ne e iPad- che non dalla dimensione degli sforzi fatti nei laboratori di ricerca.
Perché l'attività di R&D è per sua natura rischiosa e può non portare (si pensi
ai fallimenti nella costosissima ricerca di nuovi farmaci) ai risultati desiderati.
Perché l'attività di R&D può essere indirizzata verso obiettivi che, anche se rag-
giunti, non danno i frutti desiderati. Perché l'attività di R&D, soprattutto per la
componente D, può essere sovradimensionata dall'ampiezza della gamma of-
ferta al mercato. Perché la cosiddetta open innovation ( cfr. paragrafo 1.1) spinge
le imprese a ricercare ali' esterno - spesso ridimensionando gli sforzi interni -
le sorgenti dell'innovazione: stringendo accordi con università ed enti di ricer-
ca, offrendo ai fornitori piani di acquisto pluriennali in cambio della messa a
punto di prodotti con le performance desiderate, acquistando sul mercato bre-
vetti o addirittura imprese che abbiano in pancia brevetti o kno11.rhowdi rilievo
(come accaduto con l'incorporazione in Google di Android).

"[ ...] There's little apparent connection between R&D expenditures and successful product
launches. Apple, for instance, has come up with new products like the iPhone and the iPad
despite spending less on R&D over the entire past decade than Microsoft did in fiscal 2010
alone (da The Wall StreetJournal del 30.3.2011, "For RIM, less research could mean more mo-
tion" [è evidente il gioco di parole rispetto al significato "Research in Motion" della sigla
RIM], di Martin Peers). At BlackBerry maker RIM, R&D expense has more than tripled to
$1.35 billion in fiscal 2011 since 2008. As a percentage of sales, R&D roseto 6.8% from 5.9%
[ ...]. RIM is introducing a new operating system on its coming PlayBook tablet, but one it ac-
quired through an acquisition rather than internal development.
The same trend is evident at Nokia. Facing challenges to its once-dominant global market
share, Nokia's R&D spending rose to 13.8% of net sales in 2010 from 9.5% in 2006. That's
dose to its new mobile partner, Microsoft, which routinely spends 14%-15% of its sales on
R&D, or $8.7 billion in fiscal 2010. For its money, over the past few years Microsoft has pro-
duced such duds as the Zune music player and Windows Vista along with hits like the Xbox
Kinect videogame device.
Apple, by contrast, spent only about 2.7% of its annual sales on R&D last year. Over the past
decade, Apple has spent $8.5 billion on R&D. Apple benefits from focus. It doesn't produce
an endless variety of products. Apple releases only one new version of its iPhone a year [ ...].
The same goes for tablets. Apple just released its annual update of the iPad.
But RIM said last week that R&D expense would be higher due to this year's release of multi-
ple 4G PlayBook tablets. [ ...] It couldn't hurt RIM to sharpen its focus. A narrower selection
of products could reduce R&D costs and would make marketing more effective. And by em-
ulating Apple, RIM would have a chance to regain some motion".

Fra i massimi protagonisti nel secolo scorso dell'innovazione "ad alta intensità di
R&D" (cfr. schema 2.24), con forti ricadute positive sulla profittabilità e sulla
capitalizzazione di borsa delle sue principali imprese, il comparto farmaceuti-
co sembra sempre più attraversato da dubbi su quante risorse continuare a
dedicare agli investimenti interni in R&D, a fronte della crescente insofferen-
za del mercato finanziario verso i risultati più incerti (date le maggiori diffi-
coltà di trovare nuovi farmaci e farli approvare) e comunque proiettati su
tempi lunghi degli stessi. La strada dell'open innovation è ampiamente battuta
da anni, in particolare attraverso l'acquisizione di start-up operanti nell'inno-
vazione biotecnologica. Ma sempre più viene messa in dubbio, seppur nel-
2. L'impresa e il contesto I 133

l'ambito di una notevole differenziazione delle strategie, la sopravvivenza dei


grandi laboratori di ricerca.

'The newly minted chief executives of two of the world's biggest drug makers sketched out
sharply divergent strategies for reviving their businesses this week, setting up a showdown
over which is the better strategy for the industry's future (da The Wall StreetJournal del
4.2.2011, "Pfizer, Merck take different R&D tacks", dijonathan D. Rockoff). Merck's CEO
[Merck ha una capitalizzazione di 110 miliardi di dollari, ricavi 2010 di 46,2 e 93 mila addet-
ti] took steps that are sure to anger Wall Street, saying the company won't make the cuts nec-
essary to meet its long-term forecasts. Instead, it will focus on investing in drug development
to drive growth. By contrast Pfizer's CEO [Pfizer ha una capitalizzazione di 160 miliardi di
dollari] (dopo averne investiti ben 230 in acquisizioni nel decennio 2000-2010), ricavi di
67,6 e oltre 110 mila addetti] pleased shareholders byvowing to slash the company's spend-
ing on drug research and development by a third and to spend an additional $5 billion to
buy back its stock. lnvestors punished Merck with a drop in its share price, while Pfizer's
stock was up. Big pharmaceutical companies are scrambling to find ways to overcome .the
loss of tens of billions of dollars in revenue as patents on top-selling drugs run out. Many
sound similar notes about encouraging entrepreneurialism in their ranks, making smart
deals and capitalizing on emerging-market growth, But their actual plans are often qui te dif-
ferent - and each carries significant risks. Novartis AG, for instance, isso convinced that di-
versification is the best course that the company has a considerable business selling low-
priced generics. Bristol-Myers Squibb Co. has decided to concentrate on innovative medi-
cines, shedding so many nonpharmaceutical units that it has become midsize. GlaxoSmith-
Kline PLC is still investing in research, but like Pfizer it has narrowed the range of disease ar-
eas in which it's seeking new treatments. Underlying the divergepce is a deep-seated philo-
sophical dispute over the merits of the heavy investment that companies must make to dis-
cover new drugs. By most estimates, bringing a new molecule to market costs drug makers
more than $1 billion. Industry officials have been engaged in a vigorous debate over
whether the investment is worth it, or whether they should leave it to others whose work they
can acquire or license after a demonstration of strong potential. Pfizer's CEO expressed
common cause with investors and consultants who argue that much of R&D spending isn't
cost effective. [ ...] Hence his decision to shutter the company's laboratories in Sandwich
[2.400 addetti], U.K, which carne up with blockbuster Viagra. [ ...] Merck's CEO on the oth-
er hand said that Merck either had to 'cut more costs at the expense of the top-line and the
long-term growth or invest in the long-term growth'. [...] Pfizer and Merck are going in dif-
ferent directions and each strategy carries its own risks: if it cuts R&D too much, Pfizer could
miss out on the next blockbuster drug that could propel significant growth and be forced to
over-spend to acquire new products; Merck could end up wasting billions of dollars probing
compounds that don't pan out".

ScHEMA 2.24 - Le impreseche investonodi più in R&D al mondo

~"EU IndustriaiR&D lnvestment Scoreboard2010" 11 fornisce informazioni, tratte dai loro bilanci,
sulle 1000 imprese UE e le 1.000 non UE che più hanno investito in R&D nel 2009 e sugli am-
montari di tali investimenti, a prescindere dall'area geo-politica ove sono stati effettuati. Elabora
anche un campione di 1.400 imprese, che hanno investito in R&D almeno 28 milioni di euro nel
2009, composto dalle 1.000 non UE e da 400 UE. È il comparto Pharmaceuticals & Biotechnology
che, come detto nel testo, presenta la più elevata R&Dintensity,nonostante i disinvestimenti effet-

11. Cfr. http://iriJrc.ec.europa.eu/research/scoreboard_20lO.htm, attivo dall'ottobre 2010.


134 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

tuati negli ultimi anni: quasi il 16 per cento dei ricavi, come media del campione. Seguono il com-
parto Software& ComputerServices(software, computer services, internet) vicino al 10 per cento, e
quello Technology Hardware& Equipment(computerhardware,electronicofficeequipment,semicon-
ductors,telecommunicationsequipment) con 1'8,7. Il comparto LeisureGoods (consumerelectronics,
ricreational
products,toys) segue al 6,5, quello Healthcareequipment& servicesal 6,2 e quello Auto-
mobiles& partsal 4,7.

La giapponese Toyota è stata nel 2009 l'impresa che ha investito di più al mondo in
R&D in termini assoluti: 6,77 miliardi di €, pari al 4,4 per cento dei suoi ricavi. La te-
desca Volkswagen, rimanendo nel comparto automobilistico, ha occupato il quarto
posto con 5,79miliardi (5,7per cento). E nelle top 20 sono entrate anche la statuniten-
se Generai Motors (4,23 miliardi), la giapponese Honda (4,22) e la tedesca Daimler
(4,16).
La svizzera Roche, seconda in assoluto (6,40 miliardi, pari al 19,4 per cento), è in te-
sta al gruppo delle imprese farmaceutiche e biotecnologiche. La seguono la statuni-
tense Pfizer (5,40) al quinto posto e, fra le top 10, l'altra svizzera Novartis (5,16),la sta-
tunitense Johnson & Johnson (4,87)e la francese Sanofi--Aventis (4,57).Cui si aggiun-
gono, nelle top 20, l'inglese GlaxoSmithKline (4,08) e la statunitense Merck (4,07).
La statunitense Microsoft (6,07 miliardi), terza in assoluto, capeggia l'articolato mon-
do ICT. È seguita dalla finlandese Nokia (5,00) e dalla sudcoreana Samsung (4,51)nel-
le top 10; nonché dalle statunitensi lntel (3,94) e Cisco (3,63)e dalle giapponesi Pana-
sonic (3,88)e Sony (3,72)nelle top 20.
Con solo la tedesca Siemens (4,28), fra le top 20, non inquadrabile (anche se in misu-
ra ridotta essa opera nell'ICT) in alcuno dei tre gruppi precedenti.
Se si incrociano i dati delle imprese più innovative e di quelle che investono di più in
R&D si può vedere che 12delle top 20 per innovazione appaiono anche fra le top 50 per
R&D. Google è seconda per innovatività, ma solo quarantasettesima per spesa in
R&D; Microsoft è terza in ambedue le graduatorie; le altre imprese a presenza doppia
(tra parentesi le posizioni nelle due classifiche) sono IBM (4, 22), Toyota (5, 1), Generai
Electric (9, 38), Sony (10,19), Samsung (11,10), lntel (12,17),Ford (13,23),Volkswagen
(15,4), HP (16,48) e BMW (18,35).Specularmente, 10 delle top 20 per spesa in R&D
appaiono fra le top 50 per innovatività (tra parentesi le posizioni invertite nelle due clas-
sifiche): Toyota (1,5), Microsoft (3,3), Volkswagen (4, 15),Nokia .(8,23), Samsung (10,
11),Siemens (11,34), Honda (13,26), lntel (17,12),Sony (19,10) e Cisco (20, 31).
Non vi è nessuna impresa italiana che investa più di 2 miliardi di euro in R&D, contro
le 15statunitensi, le 12giapponesi, le 7 tedesche, le 3 francesi e le 2 inglesi e svizzere.
Sono solo 3 quelle che superano la soglia di 1 rr.iliardo di euro - Finmeccanica (1,93),
sedicesima nell'UE e quarantanovesima nel mondo; Fiat (1,62 miliardi), nella sua
configurazione ante-scissione, rispettivamente diciottesima e cinquantatreesima;
STMicroelectronics (1,55miliardi), ventesima e cinquantacinquesima - a fronte delle
28 statunitensi, delle 18giapponesi e delle 11tedesche. Se si abbassa l'asticella a mez-
zo miliardo, entra in gioco anche Telecom Italia (842 milioni); mentre le successive -
Intesa Sanpaolo ed Eni - superano di poco i 200 milioni.
Perché queste differenze così sensibili con altri paesi? Perché ci sono poche grandi
imprese in Italia (cfr. sottoparagrafo1.5.2),con l'apparente paradosso che poche di es-
se hanno ricavi superiori agli investimenti in R&D di imprese come Toyota, Roche,
Microsoft, Volkswagen, Pfizer, Novartis o Nokia. Perché il nostro paese è relativamen-
2. L'impresa e il contesto I 135

te poco presente nei settori - come quello chimico-farmaceutico - R&D-intensive e vi-


ceversa schiera gli altri suoi gruppi maggiori (Eni, Enel, Unicredit, Intesa Sanpaolo,
Generali) in comparti dove l'R&D risulta meno vitale.

Il basso livello di investimenti in R&D nel nostro paese, che sarebbe altamente auspicabile riu-
scire ad accrescere nei prossimi anni in un contesto internazionale sempre più competitivo,
non comporta però che sia altrettanto basso il livello di innovazione: che, come evidenziato in
precedenza, può assumere I caratteri più differenti e manifestarsi nei modi più diversi. È fre-
quente nel nostro paese, anche per la dimensione relativamente ridotta delle imprese, la pre-
senza di un'innovazione non strutturata (senza cioè personale dedicato e quindi senza traccia
nei bilanci) di natura incrementale e non radicale: che gioca sulla creatività nei settori tipici del
made in ltaly (come la moda o i mobili), ove il design è un'arma fondamentale; che gioca sulla
capacità di personalizzazionein settori quali quello delle macchine industriali, ove pure l'Italia ha
spesso una posizione di leadership.

2.6 Il rischio

Non esiste impresa senza rischio. 11rischio è intimamente connesso all'idea stessa
di "economia di mercato", qualunque sia la configurazione che quest'ultima
assume - variabile a seconda dei paesi e del momento storico - in funzione
del ruolo riservato allo Stato.
In una "economia di mercato" infatti, a differenza di quanto accadeva nelle
economie "pianificate", una parte comunque estremamente ampia delle de-
cisioni concernenti il futuro è assunta attraverso le scommesse- investimenti di
risorse finanziarie e allo stesso tempo impegno ( commitment) delle risorse uma-
ne - delle imprese: quali ad esempio il lancio sul mercato di nuovi beni e/ o
servizi; la costruzione di impianti o di infrastrutture logistico-distributive (ma-
gazzini, depositi ecc.); la creazione di reti commerciali; il lancio di nuovi mar-
chi; la promozione di progetti di ricerca.

L'assunto che non esisteimpresasenza rischiopuò essere considerato in una qualche misura tau-
tologico, nel senso che si può decidere di non considerareimprese,almeno nel senso più pro-
prio del termine:
• le società che operino con "retidi protezione"eccessive,da parte dello Stato (come le società
pubbliche e parapubbliche nel nostro paese sino all'awento delle regole comunitarie e
all'awio dei processi di privatizzazione e liberalizzazione) o delle case madri (come le so-
cietà, in verità in numero sempre più decrescente, che vengono fatte operare come for-
nitori unici per i bisogni interni);
• le società che non dispongano di un liveUodi autonomia decisionalesufficiente,rispetto al
gruppo privato o all'istituzione pubblica cui fanno capo dal punto di vista proprietario,
in quanto assimilabili a divisioni interne di questi ultimi;
• le società che mettano in gioco, per operare e per svilupparsi, risorse.finanziariemodesteri-
spettoal wro volume di attività: quali ad esempio quelle società di consulenza che, pur con
la forma giuridica di società di capitali e pur di dimensioni rilevanti, rimangono assimila-
bili a studi professionali (rischiando più l'impegno e la carriera dei "professionisti-part-
ner" che non i soldi investiti);
. .
e, a maggior ragione:
136 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• le strutture, quali quelle della pubblica amministrazione, che non abbiano un output
'\rendibile" e un mercato in cui confrontarsi con i competitori (effettivi o anche solo po-
tenziali).
È la scelta fatta in questo testo, tenendo anche presente che la maggior parte delle teorie
concernenti l'impresa - soprattutto se di matrice statunitense - hanno proprio l'assunto ini-
ziale come presupposto esplicito o implicito.

Rischio significa 12 che non esiste a priori alcuna certezza su quelli che saranno
gli esiti delle scommessedell'impresa, nel breve e nel medio-lungo termine.
Scommesse che potranno essere perdenti, sino a portare al limite l'impresa
stessa alla dissoluzione coatta: ossia al / allimento. O che potranno essere vin-
centi, sino a innescare spirali di crescita e moltiplicazione del va/me creato per
gli azionisti ( shareholder) e per gli altri soggetti in qualche misura coinvolti
(stakeholder):il top management e le risorse umane in genere che operano nel-
l'impresa, le collettività locali che ne ospitano gli insediamenti, i clienti, i for-
nitori, le banche e così via.
Il rischio che l'impresa, e con essa gli shareholdere gli stakeholder,affrontano
presenta però una asimmetria sostanziale: mentre non esiste teoricamente al-
cun limite superiore al successo, e mentre dal successo "si può tornare indie-
tro" (molte delle imprese top negli anni '30 o '50 o anche negli anni '70 non
appaiono nemmeno più nelle classifiche perché assorbite da altre più dinami-
che), il fallimento rappresenta un evento irreversibileche non lascia spazi a possi-
bili recuperi (cfr. schema 2. 25).

ScH EMA 2.25 - Non esisteimpresasenzarischio:


l'impresaha una "aspettativadi vita" inferiorea quelladell'uomo

Nel loro libro Ladistruzionecreatrice(Etas, 2001) Richard N. Foster e Sarah Kaplan, af-
frontando l'affascinante tema del ciclodi vita delle imprese - con_riferimento a quelle
statunitensi più importanti e in relazione al periodo intercorrente fra il 1917 (anno del-
la prima pubblicazione da parte di Forbes dell'elenco delle top 100 imprese USA) e i
giorni nostri, per un campione più ristretto, e agli ultimi quattro decenni, per un cam-
pione molto ampio - hanno ad esempio verificato empiricamente che:
• sono rarissimi i casi di imprese capaci di soprawivere per periodi molto lunghi ai
vertici della classifica per capitalizzazione di borsa e di mantenere allo stesso

12. In larga parte della discussione che segue, e in generale nella teoria finanziaria, il termine "ri-
schio" è usato - utilizzando una definizione dei latini (che ad esempio con la parola jMtuna
indicavano sia la fortuna sia la sfòrtuna) - come una vox media: non attribuendogli alcun con-
notato negativo a priori, se non quello della variabilità degli esiti più o meno rilevante (nel
male ma anche nel bene) che esso comporta. Nel linguaggio normale, invece - come in alcu-
ne considerazioni che verranno fatte (cfr. scherna 2.25) - spesso il termine "rischio" assume
una connotazione più sbilanriata in senso negativo: per "impianto a rischio" si intende ad
esempio un impianto ove si teme che possa accadere qualche incidente e ove viceversa si spe-
ra (ben che vada) che non accada nulla.
2. L'impresa e il contesto \ 137

tempo tassi di remunerazione totale per gli azionisti superiori a quelli medi del
mercato finanziario: a causa delle discontinuità esterne (salti tecnologici, nuove
normative quali quelle ambientali ecc.) ma anche delle debolezze interne (barrie-
re culturali al cambiamento ecc.);
• sono viceversa molto numerosi i casi di imprese, arrivate al successo in un deter-
minato momento storico, che "muoiono" - per fallimento o assorbimento da par-
te di altre - o entrano in una fase di progressivo regresso, assoluto o relativo, dei li-
velli di capitalizzazione e di remunerazione totale degli azionisti: solo 74 delle 500
maggiori imprese statunitensi presenti nella lista S&P500 delle top 500 nel 1957,
ad esempio, lo erano ancora nel 1997; e se lo S&P500 avesse mantenuto nel 1997
la stessa composizione di quarant'anni prima, la performance complessiva sareb-
be stata di gran lunga inferiore rispetto a quella a composizione aggiornata;
• il tempo di permanenza di un'impresa nella lista delle top si è violentemente ridot-
to fra gli anni '20 e la situazione attuale, con un'accelerazione del tasso di ricambio
in corrispondenza alle grandi transizioni dell'economia (quali quelle legate all'u-
scita degli Stati Uniti dall'economia di guerra nei secondi anni '40, ai grandi pro-
grammi federali di sviluppo della difesa e dell'aerospazio negli anni '60 e all'esplo-
sione delle ICT negli anni '90): passando da un'aspettativa di permanenza di 65
anni negli anni '20 a una compresa fra i 20 e i 10 anni nel periodo più recente.
l'.impresa in altre parole è una creatura "mortale" e tende anzi, come evidenziato in al-
tri studi, ad avere una vita media di durata inferiore rispetto a 'quella dell'uomo: nono-
stante, in quanto istituzione, non soffra a prioridei limiti che la natura pone all'uomo.

La paura del fallimento, e in generale il prevalere nella "testa" delle persone del-
la preoccupazionedi perdererispetto alla possibilitàdi vincere,è alla base dell'atteg-
giamento mediamente auuersoal rischioche caratterizza il mercato finanziario e
che lo porta a richiedere - nell'acquistare quote di proprietà delle imprese o
nel partecipare ad aumenti di capitale, ma anche nel prestare denaro - premi di
rischiocommisurati alla variabilità attesa dei possibili esiti delle scommesse.
In termini statistici il mercato finanziario nel mettere in gioco le sue risorse
non guarda solo al valnre attesodi tali esiti, ma anche alla loro varianza: dando
la preferenza, a parità di valore atteso, agli investimenti o ai prestiti che pre-
sentano la varianza più bassa; owero considerando "equipollente" un investi-
mento a elevato valore atteso ma a elevata varianza a uno a minor valore atte-
so ma anche a minor varianza (cfr. capitolo19).
La paura del rischio, e l'esistenza d'altra parte di premi per chi lo affronta,
è alla base dell'importanza che in un'economia di mercato - e più in genera-
le in una società che adotta tale forma di organizzazione - assumono gli im-
prenditori.E un fenomeno analogo si ha all'interno delle imprese di dimensio-
ni maggiori, ove il timore della burocratizzazione spinge sempre più spesso a
richiedere ai dirigenti di essere essi pure imprenditori:mettendo in gioco conti-
nuamente la propria carriera, ma con la prospettiva di remunerazioni anche
molto elevate (attraverso ad esempio i meccanismi di stock aption o stockgrant)
nel caso di successo delle iniziative (cfr. schema2. 26) .
138 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ScH EMA 2.26 - Non esistecarrierasenzarischio

Non esistecarrierasenza rischio,perché non esisteimpresasenza rischio.La carriera è si-


curamente legata alle capacità degli individui e alla loro bravura o fortuna nel cogliere
le opportunità, ma anche alle sorti dell'impresa ove essi hanno scelto di operare. E
nella scelta si può optare per la prudenza o sfidarela sorte:abbandonando ad esempio
posizioni brillanti e ben pagate per entrare in imprese dal futuro (al momento della
scelta) molto più incerto. È quello che hanno fatto più di duecento manager e tecnici
di alto profilo, passando da Google - ai primissimi posti in quasi tutte le classifiche
che si compilano nel mondo (per l'ammirazione che desta, per il valore del suo brand,
per la sua innovatività ecc.) - a Facebook, prima che quest'ultima diventasse così fa-
mosa e che la sua capitalizzazione virtuale crescesse così tanto (cfr. paragrafo1.4).
Si possono azzardare due spiegazioni, non necessariamente alternative fra loro.
La prima - apparentemente più romantica- riguarda il gusto per le nuove awenture
(soprattutto se rischiose) e viceversa l'insofferenza a operare inquadrati in grandi
strutture che spesso caratterizza le persone dotate di una forte creatività: un qualcosa
di simile a quanto si legge nella storia in relazione a personaggi, come Garibaldi o Che
Guevara, incapaci di trovare uno spazio soddisfacente di vita nella nuova normalità
che essi avevano contribuito a costruire.
La seconda - molto più prosaica- riguarda l'entità del premio riservato a ehi partecipa
alle start-updi successo. Chi fosse passato a Facebook nell'ottobre 2007, nel momen-
to in cui Microsoft ne dava una valutazione implicita (attraverso il prezzo pagato per
una piccola quota) di 15 miliardi di dollari, si sarebbe trovato dopo tre anni e mezzo
ad avere moltiplicato circa per otto il valore del pacchetto di azioni ricevuto (sotto for-
ma di granto di stockoption):un risultato simile a quello ottenuto da chi era entrato in
Google ai tempi della sua prima crescita, non replicabile una volta che il valore di bor-
sa si sia stabilizzato su livelli elevati.
Lazzardopuò portare però owiamente a esiti disastrosi: lo sperimentarono sulla loro
pelle molti di coloro che abbandonarono posti di pregio nell'economia tradizionale
per passare alle start-updel mondo Internet prima che la bollascoppiasse.

2.6.1 Il rischioè connaturatocon la vita dell'impresa

L'impresa (come in generale gli individui) ha una ridotta capacità di prevede-


re il futuro, ma è obbligata - se vuole fare il suo mestieredi impresa - a scommet-
tereso/,die temposul futuro: assumendosi, come un qualsiasi scommettitore, il ri-
schio connesso. Analogamente a quanto accade per lo scommettitore, che -
se prende a prestito una parte dei soldi - può vincere di più ma anche perde-
re di più (non solo i suoi soldi ma anche quelli da restituire), l'impresa che si
indebita accresce il suo rischio. E la forbicefra il risultato atteso nel caso in cui
le cose vadano al meglio e quello nel caso in cui vadano al peggio si amplia
tanto più versoil bassoquanto più l'impresa è esposta al pericolo del verificarsi
2. L'impresa e il contesto I 139

di insorgenze negative (incidenti sul lavoro, disastri ambientali ecc.) nell'atti-


vità day by day.
Sono questi i grandi temi del paragrafo, cui - data la natura non specialisti-
ca del testo - verranno dedicate solo alcune considerazioni generali.

La scarsa prevedibilità del futuro e l'irreversibilità delle decisioni


La prima osservazione è che le imprese, e per esse i loro dirigenti, operano
strutturalmente in situazioni di ridotta conoscenzadel contesto (esterno ma an-
che interno) e - come visto in precedenza - di ridottaprevedibilitàdel futuro.
Devono quindi, nell'assumere le loro decisioni, mettereinsiemerazionalità, in-
tuito e azzardo.
Il miglioramento della conoscenza del contesto e dei possibili scenari evo-
lutivi - ad esempio attraverso una più approfondita analisi di mercato nel caso
di lancio di un nuovo prodotto - rappresenta una via percorribile per ridurre
il rischio, ma con due trade-offimportanti:
• esso comporta un costoaddiziona/,e(quello dell'indagine), che deve essere
concettualmente confrontato con il vantaggio che statisticamente l'im-
presa pensa di poter trarre dalla maggiore conoscenza e prevedibilità;
• esso comporta un ritardo nella decisione (connesso al tempo necessario
per svolgere l'indagine), che potrebbe tradursi in una perdita di oppor-
tunità per l'impresa stessa rispetto ai competitori.
La seconda osservazione è legata alla natura irreversibili! che in generale - con
ricadute più o meno rilevanti - hanno le decisioni che l'impresa assume: ana-
logamente a ciò che accade a ciascuno di noi nella nostra vita. Più specifica-
mente, poiché:
• esistono sfasamenti temporalifra i momenti in cui l'impresa si struttura,
vincolando risorse finanziarie e assumendosi obbligazioni nei riguardi
delle risorse umane che recluta e dei fornitori che coinvolge nei suoi
progetti, e i momenti in cui è in grado di verificarel'esito delle sue scom-
messe;
• ancor prima, esistono sfasamenti temporalifra i momenti in cui l'impresa
decide lungo quali linee strutturarsi o ristrutturarsie i momenti in cui è in
grado di concretizzare le sue decisioni;
• l'impresa opera in generale in condizioni di irreversibilità:di impossibilità
cioè di ritornare sui suoi passi senza incorrere in oneri (talora molto pe-
santi), nel caso in cui abbia vincolato risorse e assunto obbligazioni per
conseguire un determinato fine; di impossibilità peraltro di recuperare
il tempo perduto, nel caso in cui non lo abbia fatto tempestivamente,
si ha come conseguenza che
• quanto più prolungati sono gli sfasamenti temporali;e
• quanto più e/,evataè la consistenzadelk risorsee delk obbligazionida mettere
1n gioco,
tanto maggi,orerisulta essere il rischioche l'impresa deve assumersi: sia che de-
cida di fare sia di non fare.
140 i L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

La turboknza del contesto, la cui evoluzione, come visto, è di difficile prevedi-


bilità, può modificare infatti anche profondamente gli scenari attesi: con rica-
dute potenzialmente sia positive sia negative per l'impresa.
Investire rappresenta quindi un rischio (cfr. schema 2.27). Ma anche non
muoversi velocemente - mettendo in gioco risorse elevate per posizionarsi
nei mercati in crescita e creare barriere all'entrata o alla crescita dei possibili
competitori- può tradursi, come non raramente accade (cfr. schema 2.28), in
handicap irrecuperabili.

Diverse fra le imprese italiane di media dimensione che hanno ad esempio effettuato rile-
vanti investimenti nel 2006 o nel 2007 per potenziare la loro capacità di export- in un con-
testo mondiale che appariva molto promettente - si sono venute a trovare allo scoppio della
crisi nella spiacevole situazione di avere un'esposizione finanziaria molto forte (a causa del
debito contratto per l'investimento), a fronte di una minore disponibilità di credito da parte
del sistema bancario (colpito a sua volta dalla crisi) e di una caduta talora verticale delle ven-
dite (per la crisi dell'economia mondiale): sino a rischiare il fallimento.
Significativo, non per le implicazioni finanziarie ma perché esemplare degli effetti combina-
ti che il ritardo e l'irreversibilità possono produrre, è il caso di un'impresa come Edison: dan-
neggiata (sino a presentare per la prima volta i conti in rossonel primo trimestre 2011) per un
investimento che al momento della sua concezione appariva molto brill,ant,e.La business idea
sottostante, nata diversi anni prima ma rallentata dagli ostacoli autorizzativi, era quella di p~
tenziare la propria presenza nel mercato italiano del gas naturale - affrancandosi dal potere
dell'ex monopolista Snam (gruppo Eni) - attraverso l'importazione dal Qatar (con un tipi-
co contratto di fornitura take or pay) di gas liquefatto trasportato per nave e)a sua rigassifica-
zione in un impianto ad hoc fatto costruire ,nell'area di Rovigo. L'effetto della crisi è stato
quello di ridurre sensibilmente il fabbisogno di energia elettrica (per la caduta della produ-
zione industriale) e in connessione il fabbisogno di gas: con la conseguenza di un uso ridot-
to del rigassificatore e di una ricaduta negativa del contratto (che costringe comunque l'ac-
quirente a pagare anche il gas non ritirato).
La turbolenzapuò giocare a favore. Il passaggio dall'IRI, storico gruppo conglomerale a pr~
prietà pubblica del nostro paese, alla famiglia Riva del più grosso impianto italiano per la
produzione dell'acciaio - quello di Taranto - awenne a una cifra che rifletteva la situazione
mondiale del mercato dell'acciaio al momento. Ma l'aumento del prezzo dell'acciaio sul
mercato mondiale (prezzo catterizzato da una forte vo/,atilitàa causa della rigi,ditàdell'offerta
nel breve periodo) che si verificò poco dopo fu di dimensioni tali da rendere l'operazione
quasi gratuita: un vantaggio per l'acquirente, ma ovviamente un dispiacere per il venditore.
Un qualcosa di simile awenne per una "vecchia" raffineria in Sicilia, ceduta da Eni a Erg sul-
la base dei margini di raffinazione del momento, che si trasformò• in un quasi regaw per la
crescita nei margini (anch'essi molto vo/,atilz)che poco dopo si verificò.

ScH EMA 2.27 - Il rischiodi investire

11rischio può riguardare l'esito di uno specifico progettodell'impresa.


È il caso di Polaroid, società nata e cresciuta con grandissimo successo attorno al bre-
vetto di Land del 1947 di fotografia a sviluppo istantaneo, che decise negli anni '70 -
sotto la spinta dello stesso Land che ne era anche CEO (chiefexecutiveofficer,l'equiva-
lente statunitense del nostro amministratoredelegato)- di scommettere" sulla mes-
11

sa a punto del film a sviluppo istantaneo come allargamento naturale della sua offer-
2. L'impresa e il contesto j 141

ta. L'obiettivo (estremamente ambizioso per le difficoltà tecniche che comportava) al-
la fine fu raggiunto, ma in tempi lunghi e con un ingentissimo assorbimento di risor-
se per la ricerca e per l'ingegnerizzazione. Il risultato fu un pesantissimo flop, ricondu-
cibile in larga misura alla nascita awenuta nel frattempo delle innovative e più ma-
neggevoli cinecamere digitali. Polaroid, e per essa Land che venne poi estromesso da-
gli altri azionisti, probabilmente sottovalutò la potenzialità delle tecnologie informati-
che nel comparto, al momento di lanciare il progetto, o non seppe (o non volle) inter-
rompere tempestivamente il progetto stesso - accettando la perdita di quanto già in-
vestito ma senza mettere in gioco risorse addizionali - nel vederne la progressiva cre-
scita. Ma la lunghezza del tempo necessario per la messa a punto del nuovo sistema
- il cosiddetto time to market- giocò sicuramente un ruolo negativo determinante.
Il rischio può riguardare l'esito di un'intera impresa.
È il caso delle numerosissime start-up,per cui vi era una sostanziale coincidenza fra
impresee progettiportati avanti, nate alla fine degli anni '90 nella prospettiva di una ra-
pida transizione dai mercati tradizionaliai mercati virtuali82c e 82b. Le scommesse
sono state, come noto, in larga misura perdenti (anche se con importanti eccezioni
come Amazon o eBay). Con il trascorrere del tempo, infatti, molte delle aspettative -
ad esempio quella che una parte significativa delle entrate dei siti 82c sarebbe prove-
nuta dai flussi pubblicitari "rubati" ai mediatradizionali - si sono dimostrate irrealisti-
che. E le risorse finanziarie, in taluni casi reperite in misura mdlto consistente (tipica-
mente al Nasdaq) con l'obiettivo dichiarato di precostituire posizioni di forza per il fu-
turo, sono state rapidamente "bruciate" nella messa a punto e nel successivo sowen-
zionamento di una strutturaorganizzativarivelatasi progressivamente incapace di au-
tomantenersi, incedibile ad altri e liquidabile solo al prezzo della perdita quasi inte-
grale delle risorse messe in gioco.

ScHEMA 2.28 - Il rischiodi non investireper tempo

Un caso interessante del rischio di non investire per tempo è quello di un grande del-
l'industria della pasta (e dell'industria alimentare in genere) come Barilla, che alcuni
anni or sono, resa forse troppo sicura da un periodo almeno ventennale di alta profit-
tabilità e di continua crescita, incorse in quella che viene chiamata una miopia di
marketing(ma le miopie spesso si rivelano tali solo troppo tardi): non comprendendo
per tempo la nuova propensione dei consumatori italiani - nel quadro di un riorienta-
mento generale verso ilfresco- verso la pasta fresca (tortellini ecc.). Barilla lasciò cre-
scere infatti un'impresa all'inizio piccola come Rana, in quella che riteneva probabil-
mente essere una nicchia destinata a rimanere tale e quindi di consistenza non ade-
guata per una grande impresa, e quando si accorse dell'errore si trovò a fronteggiare
un concorrente che nel frattempo - forse conscio delle potenzialità di crescita o anche
solo per difendere al meglio la sua nicchia - si era costruito un brandestremamente
solido presso i consumatori: concorrente che cercò prima invano di combattere, no-
nostante la "potenza di fuoco" messa in gioco, e poi invano di comprare. Barilla si
in ~na situazione in cui il
venne a trovare cioè in una tipica situazione di irreversibilità:
142 i L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

recupero delle opportunità non sfruttate al momento giusto può risultare impossibile
(come di fatto awenne) o comportare extracostianche molto elevati (quali quello che
Barilla era disponibile a pagare per l'acquisizione).
Un altro caso da manuale è quello di un gigantecome I BM (cfr. sottoparagrafo1.5.1 e
schema 2.2), che - partendo da una posizione quasi monopolistica nei calcolatori -
comprese solo in ritardo l'importanza che, con l'affermarsi dell'informatica distribuita
e dei PC, avrebbero assunto i microprocessori e il software e le potenzialità di disinte-
grazioneverticaleche ciò comportava per un comparto sino a quel momento caratte-
rizzato da una fortissima verticalizzazione. I BM lasciò prosperare due suoi fornitori di-
venuti nel seguito famosissimi, Microsoft e lntel, favorendone anzi la crescita senza
contropartite azionarie o rinunciando a sfruttare quelle di cui disponeva: non chiese
infatti partecipazione azionaria alcuna o opzione di acquisto a Bill Gates, nel momen-
to in cui lo faceva crescere dal nulla mettendo sulle sue macchine il sistema MS-DOS;
cedette addirittura come non strategica la quota di lntel di cui era in possesso e ri-
nunciò conseguentemente, nel contempo, a esercitare l'opzione di acquisto del pac-
chetto di controllo di cui disponeva. Un altro caso di miopiadi marketinge un altro ca-
so di irreversibilità,
con vani tentativi poi da parte di IBM di rimontare nei due compar-
ti - con investimenti elevati - una situazione ormai di forte debolezza competitiva.
Un caso che dimostra come rilevanti errori di valutazione possano essere fatti anche
da imprese che viceversa, nella loro storia precedente e successiva, hanno mostrato
notevoli capacità di adattamento alle mutazioni del contesto esterno.

L'indebitamento finanziario e il ricorso alla leva


Più un'impresa si indebita, più il rischiodiventa elevato: il rischiodi andare in
perdita, e al limite di fallire; ma anche il rischiodi essere molto più profittevo-
le, indebitandosi, di quanto non lo sarebbe usando solo soldi suoi.
L'indebitamento finanziario, o come si dice in gergo l'uso della leva finan-
ziaria, è cioè un'arma a doppio taglio: esalta la profittabilità e le possibilità di
crescita delle imprese che vanno bene, ha effetti perniciosi per quelle che
vanno male.

Negli anni 2000 sono state spesso le imprese passate sotto il controllo dei fondi di private
equity a esacerbare l'uso della leva. Per due ragioni: per retrocedere una parte del capitale
proprio - sostituendolo con debito - ai fondi che le avevano acquistate, permettendo loro di
recuperare più rapidamente le fuoruscite finanziarie per l'acqùisizione; per esaltare al mas-
simo la redditività del capitale proprio, nell'ipotesi ovviamente (non sempre dimostratasi
poi realistica) di prospettive positive per l'impresa. Ma il ricorso all'indebitamento finanzia-
rio non deriva nella maggior parte dei casi da un ragi,onarrientoa freddo (quale quello del pri-
vate equity), ma dal fabbisogno di risorse finanziarie delle imprese che vogliono crescere o di
quelle che - più tristemente - devono coprire le loro perdite.

Qual è il meccanismo retrostante (cfr. appendice1.1)? A parità di capitale inve-


stito (owero della somma del capitale proprio e del debito finanziario sotto-
scritto con le banche e/ o con gli obbligazionisti) e a parità di costo del debito,
ha una profittabilità che cresce con la leva l'impresa che presenta un rendi-
2. L'impresa e il contesto I 143

mento sul capitale investito superiore al tasso di interesse sul debito; ha vice-
versa una profittabilità che decresce con la leva, sino ad andare in perdita,
l'impresa che - a causa di crisi temporanee o di problemi strutturali - sa far
rendere il capitale meno di quanto paga per il prestito.

Un esempio numerico, trascurando per semplicità l'effetto fiscale e immaginando che sia
pari a 1000 il capitale investito e al 5 per cento il tasso di interesse sul debito, può aiutare a
comprendere il meccanismo. Un'impresa che impieghi solo soldi suoi avrebbe ovviamente
una profittabilità sul capitale proprio pari al rendimento sul capitale investito: del 10, del 5
o dello O per cento a fronte di rendimenti analoghi. Un'impresa con un mix bilanciato di
capitale proprio (500) e indebitamento finanziario (500) vedrebbe, nel caso di rendimen-
to del 10 per cento sul capitale investito di 1000 (100 in valore assoluto), salire la profitta-
bilità sul capitale proprio dal 10 al 15 per cento (essendo pari a 25 gli interessi complessivi
da pagare e andando i restanti 75 a remunerare il capitale di 500); vedrebbe la profittabi-
lità immutata, al 5 per cento, in caso di parità fra rendimento e tasso di interesse; vedrebbe
l'impresa passare da una profittabilità nulla a una negativa del 5 per cento (a causa degli
interessi comunque da pagare) nel caso di rendimento nullo del capitale investito. Una for-
bicequindi che si allarga- da un range compreso fra il 10 e lo O per cento a uno fra il 15 e il
-5 per cento- a dimostrazione della crescita del rischio. Una forbice che si allargherebbe ul-
teriormente se l'impresa coprisse con i soldi suoi solo il 20 per cento del capitale investito
(ossia 200 a fronte di 800 di debito): gli interessi complessivi da pagare salirebbero infatti a
40 e la profittabilità sul capitale proprio si porterebbe rispettivamente al 30, al 5 e al -20
per cento.

Le cose funzionano nella realtà in modo un po' più articolato. Perché l'inde-
bitamento finanziario ha un costo che cresce (in termini di tasso di interesse)
quando il grado di /,evasi porta a livelli molto elevati, riducendo o annullando
la convenienza - anche dell'impresa che abbia buone prospettive di rendi-
mento - di indebitarsi ulteriormente. Perché l'indebitamento finanziario ha
un costo che cresce, per l'impresa già indebitata, al peggiorare delle prospet-
tive: sino a una situazione estrema in cui, non riuscendo più l'impresa né a
contrarre nuovi debiti per coprire le perdite né a rifinanziare quelli in sca-
denza, si prospetta la possibilità concreta del fallimento.

L'utilizzo di una l,eua molto elevata da parte delle grandi banche d'affari - non solo le grandi
statunitensi (Goldman Sachs, Lehman Brothers, Morgan Stanley, Merrill Lynch ecc.) ma an-
che molte europee - ha contribuito fortemente, come visto (cfr. schema 2.1), allo scoppio
della grande crisi del 2008. La l,eua, che nel caso delle banche si misura come rapporto fra
l'ammontare complessivo delle operazioni di investimento in essere (effettuate in generale
con il danaro dei clienti delle banche stesse) e il capitale proprio, si era portata in taluni casi
a quota 30: con un effetto ovviamente moltiplicativo sulla profitta?ilità e sui bonus, ma un~
capacità quasi nulla di rispondere con risorse proprie alle perdite. E ciò che puntualmente e
accaduto: con il fallimento di Lehman Brothers e con il salvataggio - pubblico o comunque
realizzato con aiuti pubblici - di molte altre realtà.

L'insorgenza di eventi negativi


La farbicedel rischio si alwrga- soprattutto verso il basso - al crescere per l'im-
presa della possibilità di incorrere in eventi negativi nell'attività day by day.
Due esempi possono chiarire che cosa si intenda per fVenti negativi:
144 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• il disastro nucleare di Fukushima del marzo 2011, causato da un feno-


meno naturale a bassissima probabilità, che ha messo in luce però le ca-
renze nelle misure di sicurezza da parte della Tokyo Electric Power .Co
(Tepco) proprietaria degli impianti: con riflessi potenzialmente disastro-
si per la società;
• le accuse rivolte nel maggio 2011 a Goldman Sachs, la principale banca
d'affari del mondo, di aver ingannato deliberatamente i clienti venden-
do loro i titoli connessi ai mutui subprime (causa prima della grande crisi
del 2008), mentre scommetteva sulla loro caduta: accuse per cui aveva
già accettato nel 2010 di pagare una multa di 550 milioni di dollari alla
SEC (Securities and Exchange Commission, l'equivalente della Consob
italiana).

Tepco.Il Corrieredella Seradel 21.5.2011 ("Nucleare, maxiperdita per Tepco"): "Il disastro nu-
cleare di Fukushima abbatte i conti della Tepco, il gestore dell'impianto, che segna un rosso
da 10,6 miliardi di euro (di cui 8,5 come diretta conseguenza della crisi). 'Mi dimetto perché
sono responsabile del crollo di fiducia dell'opinione pubblica nell'energia nucleare e per
aver causato tanti problemi' ha annunciato il CEO Masataka Shimizu". The Wall Street]ournal
del 17.5.2011 ('Tepco shares plummet as confusion reigns over its debt", di Brad Frisch-
korn): "Apprehension over the future ofTokyo Electric Power Co. triggered its worst single-
day share sell-off in more than a month, as concern mounted over its debts and problematic
news from the stricken Fukushima Daiichi nuclear power plant. The sell-off also hit banks
that have large loans outstanding to the company, which was once seen as representing bed-
rock corporate Japan. Tepco's shares slid 9.5% [ ...]. The closing level represents an 82% fall
fromjust before the earthquake that devastated northernjapan on March 11. [ ...] Tepco's
creditors haven't escaped the fallout [...] ". Un caso estremo quello del disastro nucleare in
Giappone, causato dal combinarsi di un terremoto di magnitudo molto elevata e dello tsu-
nami da esso generato. Causato però, secondo gli esperti, anche da mancanze della Tepco in
sede di progettazione e in sede di gestione: cui la società sarà chiamata presumibilmente ari-
spondere in sede penale e civile, con ulteriori oneri che la potrebbero portare alla chiusura
e/ o al fallimento. Un caso che mostra come rischino di rimanere finanziariamente coinvolti
nella crisi della Tepco anche le banche e i fornitori: immeritatamente,dato che l'importanza e
la solidità finanziaria di cui Tepco era accreditata non potevano far immaginare l'esistenza di
rischi da cui proteggersi.

GoUman Sachs. Il Financial Times del 2.6.2011 ("NY prosecutors probe Goldman on crisis"):
"Goldman Sachs was subpoenaed by Manhattan prosecutors seeking details on its conduct
during the financial crisis, [...] after a US Senate subcommittee accused the investment bank
of misleading clients when it sold mortgage-linked securities just as the credit markets fell in-
to crisis. Goldman agreed last year to pay the Securities and Exchange Commission $550m
to settle civil fraud charges against the bank. The conclusions drawn by the Senate perma-
nent subcommittee on investigations triggered a new wave of probes into Goldman's busi-
ness practices, reigniting concerns that its legai headaches coulcl worsen. Goldman's shares
have fallen 20 per cent this year [ ...] ".

L'impresa che non sappia o non voglia cautelarsi per impedire il verificarsi di
evenienze negative (cfr. sottoparagrafo 2.6.2), o comunque limitarne le conse-
guenze, aumenta la sua rischiosità. Perché - spendendo meno del dovuto per
le misure di sicurezza (come nel caso Tepco) o accrescendo i ricavi con l'in-
ganno (come nel caso Goldman Sachs) - essa spinge verso l'alto i risultati nel ca-
2. L'impresa e il contesto J 145

somigliare (nessuna evenienza negativa) e versoil bassoi risultati nel casopeggi,are.


Non solo per le punizioni che le possano arrivare da parte dei tribunali e del-
le authority, ma anche per quelle che le possono venire dal mercato con il sa-
botaggi,odegli acquisti da parte dei consumatori piuttosto che del titolo in bor-
sa da parte dei risparmiatori e dei fondi.

2.6.2 Il rischiopuò esseregestito

Il rischio, come visto, è figlio della ridotta capacità di prevedere il futuro - tan-
to più pericolosa quanto più il contesto è caratterizzato da una forte ed errati-
ca variabilità- e dall'irreversibilità delle decisioni, owero dai tempi e dai costi
necessari per correggere una decisione assunta su presupposti rivelatisi poi
sbagliati. È figlio delle modalità con cui l'impresa si finanzia. È figlio della sua
attitudine nei riguardi del verificarsi di evenienze negative. Non esistono ri-
cette garantite per eliminare il rischio, ma non esistono nemmeno per l'im-
presa strade obbligate da percorrere. '
L'impresa cioè, nel decidere le scelte da adottare fra quelle disponibili, può
valutarne a priori sia la rischiosità sia il trade-offcon la profittabilità attesa: pun-
tando su quelle più rischiose, per il premio elevato che garantiscono se le co-
se vanno bene; o puntando su quelle (almeno apparentemente) più sicure,
anche se il premio in palio è più modesto.
È importante notare però come il ventaglio delle scelte disponibili possa ri-
sultare più o meno ampio in funzione dello stato e delle prospettivedella speci-
fica impresa: non tutte le strade cioè sono percorribili da tutti. E come la stes-
sa rischiosità abbia una componente soggettiva:l'aumento del grado di indebi-
tamento, ad esempio, è molto meno pericolosoper un'impresa che operi in
condizione di quasi-monopolio che non per una esposta alla concorrenza in-
ternazionale.
È importante notare anche che in generale il rischio risulta tanto minore
quanto più la specifica impresa è in grado di incidere proattivamente sull'evo-
luzione del contesto ( riducendone quindi l'imprevedibilità) e/ o quanto più -
mantenendosi flessibile - rende meno irreversibilile sue scelte.

La flessibilità
La flessibilità- intesa come capacità e/ o possibilità dell'impresa di reagire ra~
pidamente e/ o senza extracosti eccessivi a determinati cambiamenti del con-
testo - tende in generale a contenere il rischio: assicurando esiti delle scom-
messe meno "distanti"" fra loro, owero caratterizzati da una minore varianza,
per un ''ventaglio" di possibili scenari alternativi futuri.
Di converso la rigi,dità,owero la presenza di vincoli che rendono difficile
per l'impresa adattarsi ai cambiamenti del contesto, tehde ad amplificare il
rischio.
146 i L'IMPRESA: Gli OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Ma non si possono fare ragionamenti troppo semplicistici,in quanto:


• la flessibilità non è ·un qualcosa di univocamente definito,ma può assumere
le configurazioni più diverse: per cui non esiste l'impresa flessibilein asso-
luto, bensì l'impresa flessibilerispetto a determinate tipologie e a deter-
minate ampiezze di variazioni del contesto;
• la scelta di quale e quanta flessibilità avere può essere vista conseguente-
mente anch'essa come una scommessadell'impresa, sulla base delle ipote-
si sulle possibili evoluzioni del contesto;
• la flessibilità in generale non è gratuita, ma comporta per l'impresa costi
più elevati o rinuncia a potenzialità.

La scelta ad esempio di un sistema flessibile robotizzato di produzione in un'impresa auto-


mobilistica, in luogo di un molto meno costoso sistema "dedicato", aumenta la flessibilità
dell'impresa, ma aumenta anche l'onere che essa deve sostenere per l'investimento. Non so-
lo. In generale la scelta riguarda anche quale fra i sistemi flessibili adottare: sapendo che essi
hanno prestazioni diverse - sono in grado cioè di gestire ambiti di variabilità più o meno am-
pi e talora tipologicamente diversi- e costi diversi. Per cui l'impresa, nell'effettuare la scelta
e nel giustificarla economicamente, deve valutare se il sovrapprezzo più o meno elevato in
cui incorre per comprare una specifica "flessibilità" troverà un controbilanciamento:
• nei minori extracosti ed extratempi, permessi dallo specifico sistema flessibile rispetto a
un sistema "dedicato", che l'impresa dovrebbe sostenere a fronte di modifiche del "por-
tafoglio prodotti" imposte da mutazioni della domanda o da nuove normative;
oltreché:
• nei maggiori ricavi eventualmente ottenibili con un "portafoglio" più variegato e perso-
nalizzato e più passibile di modifiche (non coatte) nel tempo.
Deve in altre parole scommetteresulla variabilità piuttosto che sulla staticità del futuro conte-
sto, sul tipo di variabilità che ritiene più probabile e sull'estensione dei confini di tale varia-
bilità. Sapendo che andrebbe incontro a uno spreco di risorse sia sovrastimando la possibile
variabilità sia non indovinandone tipologia e confini.

Un'impresa ad esempio - industriale, di servizi o finanziaria- che mantenes-


se per un periodo molto prolungato la maggior parte delle sue risorse in for-
ma liquida, per non perdere flessibilità, incorrerebbe in livelli di profittabilità
inaccettabili per il mercato: con un probabile allontanamento del suo tapma-
nagementda parte degli azionisti.
Anzi, come visto anche in precedenza, è proprio puntando sulla rigi,dità--
ossia imprigi,onandorisorsefinanziarie in impianti e attrezzature, in know-how e
brevetti, in riconoscibilità sul mercato e brand commerciali, in competenza e
coesione delle risorse umane, in organizzazione - che l'impresa usualmente
cerca di acquisire differenziali competitivi e di creare barrier~ ali' entrata ri-
spetto ai competitori.

Il potere di mercato
II poteredi mercato,tipicamente derivante dalla forza del brande/ o dal possesso
di un know-howesclusivo, riduce il rischio: sempre che non si verifichino rottu-
re sostanziali - nelle abitudini, nelle tecnologie, nelle normative ecc. - che
portino a trasformazioni radicali nell'organizzazione industriale.
2. L'impresa e il contesto I 147

Possedere un &rand forte, come nel caso di un'impresa di beni di largo


consumo quale Coca-Cola, significa poter sfruttare a proprio favore l'inerzia
- ossia la tendenza al mantenimento delle abitudini - che mediamente carat-
terizza i comportamenti degli acquirenti: inerzia che, se opportunamente so-
stenuta per "rintuzzare" le spinte eccentriche dei competitori, può costituire
una barriera determinante nei confronti dei competitori stessi (esistenti o
potenziali).
Possedere un know-how esclusivo, ad esempio un brevetto farmaceutico
quale quello del Viagra (l'esempio farà sorridere) che condusse in poco tem-
po la Pfizer ad assumere la leadership del comparto per capitalizzazione di
borsa, garantisce all'impresa la possibilità di esercitare il monopolio per tutto
l'arco temporale stabilito dalla legge.
Ma anche in assenza di brevetti il know-how può garantire un monopolio
temporaneo, prolungabile se l'impresa riesce a mantenere un vantaggio dina-
mico sui competitori arricchendo continuamente - con la ricerca ma anche
sfruttando l'esperienza - il suo know-how. '
Il potere di mercato si può però ridurre o addirittura svanire, come detto,
per ragioni diverse: con un'agonia lenta in certi casi, in modo repentino in al-
tri. Un &randdi lusso nella moda può perdere progressivamente il suo fascino
se l'impresa non è in grado di mantenere un differenziale di originalità ade-
guato nelle nuove collezioni o se emergono concorrenti capaci di imporre
nuovi gusti. I brevetti - nell'ambito farmaceutico piuttosto che nell'ICT -
hanno una scadenza fissata dalla legge, dopo la quale le formulazioni e le tec-
nologie che essi proteggono diventano un patrimonio pubblico a disposizio-
ne di tutti. Il mantenimento di un vantaggio dinamico sui competitori, sfrut-
tando la maggiore esperienza e/o la maggiore capacità di innovare, può esau-
rirsi anche rapidamente se il verificarsi di salti nelle tecnologie azzera i fattori
di vantaggio o se l'impresa cade nell'autocompiacimento e nell'illusione di in-
vincimlità che l'eccesso di successo talora provoca.

La prossimità della scadenza del brevetto del Viagra ha ad esempio messo in difficoltà Pfizer.
"An expiring patent for the little blue pill (da Fortune 2011: Top 500 American Companies)is
making Pfizer blue these days. Pfizer's blockbuster Viagra will face competition from gene-
rics starting next year. To prepare, the company is scrambling to find other uses for the drug.
It's also making variations ofViagra, such as a chewable tablet called ViagraJet, which it's al-
ready selling in Mexico. Like many big pharmas facing a generics threat, Pfizer is slimming
down and restructuring [...] ".

Una rotturasostanziale - nel passaggio dai cellulari di precedente generazione agli smartphone
(cfr. paragrafo1.4 e schema2. 8) - è quella che sembra aver colpito Nokia, dopo tanti anni di lea-
dership sul mercato mondiale. "Nokia shares tumbled almost 18 per cent after the Finnish mo-
bile phone maker issued a profit warning (dal Finanaal Timesdel 1.6.2011, "Embattled Nokia
hit by profit warning", di Andrew Ward e Andrew Parker). Nokia said second-quarter sales and
operating margins would be 'substantially below' previous guidance because of lower-than-
expected volumes and prices. Tue warning increased the sense of ~risis surrounding Nokia as
it continues to lose market share to the Appie iPhone, devices using Google's Android opera-
ting system and low-end Chinese manufacturers. [...] The company lowered its second-quarter
operating margin target from 6-9 per cent to 'around breakeven', and said that the outlook
148 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

was too uncertain to provide new full-year estimates. Nokia shares fell to their lowest for 13
years. The stock has shed one-third of its value over the past six months and more than 70 per
cent over the past five years as Nokia's status as the world's biggest mobile phone maker has
come under threat. [...] An analyst warned that Nokia faces a 'Motorola-type scenario' - refer-
ring to the US mobile phone maker that once dominated the industry only to see its market
share collapse - and predicted that the shares could slump as low as €3, compared with a high
of €64.95 in 2000 [...] ". Indipendentemente da quello che sarà il futuro di Nokia - i recuperi
sono difficili ma non impossibili come insegna la storia di Appie (cfr. paragrafo 1.4) - il caso
evidenzia come il potere di mercato, importantissimo sino a che c'è nel conferire stabilità al con-
testo e nel permettere all'impresa che lo detiene di mantenere o accrescere le sue quote (la
quota di Nokia negli smartphoneera ancora pari al 40 per cento nel 2009, mentre ne è previsto
il più che dimezzamento nel 2011), possa precipitare anche in tempi rapidi.

L'impresa mira owiamente al poteredi mercato:per garantirsi allo stesso tempo


elevata profittabilità e più basso rischio. Ma nella maggior parte dei casi, per
perseguire questo obiettivo e sino al suo conseguimento, l'impresa deve vice-
versa assumersi rischi elevati: ricorrendo ad esempio massicciamente alla leva
finanziaria, per disporre delle risorse necessarie per la crescita; investendo ad
esempio massicciamente in capacità produttiva, per scoraggiare l'entrata di
potenziali concorrenti, prima di avere la certezza del successo di un prodotto
innovativo lanciato sul mercato.
L'impresa, se ne esistono le condizioni, può puntare a trasformare il suo po-
teredi mercatoin un quasi-mono,polio:trovando però spesso sulla sua strada le au-
torità "antitrust" (cfr. schema 2.11), che hanno come obiettivo dichiarato quello
di favorire la concorrenza e quindi, in un certo senso, di rendere più esposte
al rischio le imprese oggetto delle loro misure.

È quanto fece ad esempio negli anni '60 e '70 IBM, dopo aver sbaragliato gli awersari nella
guerra per il dominio nella crescente computer industry, imponendo ai clienti una serie di
condizioni che sbarravano la strada all'entrata di concorrenti nelle forniture all'epoca
marginali (periferiche, software e servizi): trovando però sulla sua strada l'antitrust statu-
nitense, che la costrinse all' unbundling, alla vendita cioè separata e senza condizioni delle
diverse componenti di un computer. È quanto fece negli anni '90 ad esempio Microsoft, che
avendo creato un quasi-monopolio nei sistemi operativi e nel software per i personal computer
- essendo divenuti Windows e Office uno standard defacto- utilizzò il suo potere per cercare
di eliminare i concorrenti nel frattempo cresciuti con Internet: famoso l'attacco "mortale" a
Netscape, che aveva messo a punto il browserdi gran lunga più diffuso, attraverso la stretta in-
tegrazione in Windows del suo browserExplorer. Con una serie di successivi interventi sia del-
1'antitrust USA sia di quello UE.

L'innovatività
Anche l'innovatività di ciò che l'impresa fa può impattare sul rischio: talora ri-
ducendolo e talaltra esaltandolo.
L'introduzione di processi nuovi, volti a ridurre i costi e/ o a innalzare le ca-
ratteristiche di prodotti a mercato consolidato, tende coeterisparilms a ridurre
il rischio dell'impresa: dal momento che ne rafforza la competitività.
L'introduzione periodica di prodotti - beni e/ o servizi - che rappresentino
un continuo upgrade rispetto agli esistenti è uno dei tipici strumenti utilizzati
dalle imprese con un potere di mercato forte per riaffermarlo: muovendosi in
2. L'impresa e il contesto I 149

anticipo rispetto ai concorrenti nel proporre miglioramenti e scoraggiando


nuovi entranti che potrebbero altrimenti approffittare della staticità dell' of-
ferta del leader per con9uistare quote offrendo prestazioni più elevate e/ o
prezzi più convenienti. E con questa strategia che Intel (cfr. schema 2.20) ha
dominato sin dalla sua nascita il mercato dei microprocessori per PC, sino a
diventare una delle imprese a maggior capitalizzazione del mondo. È con
questa strategia che Generai Motors ha dominato il mercato statunitense del-
1'auto, allora di gran lunga il più grande del mondo, dagli anni '20 agli anni
'80 del secolo scorso.
L'introduzione invece di beni e/ o servizi di concezione radicalmente nuova,
finalizzati a soddisfare bisogni ritenuti latenti (esistenti ma inespressi) dei consu-
matori, tende coeterisparibus ad amplificare il rischio: aprendo talora la strada a
grandi successi, portando talaltra a perdere integralmente le risorse investite.

Non sono solo le imprese di nuova costituzione - le cosiddette start-up- ad affrontare un


grosso rischio quando si presentano sul mercato con idee radicalmente nuove, ma anche le
imprese consolidate con potere di mercato forte. La differenza è cl\e per le prime è in gioco
la sopravvivenza, per le seconde il livello dei profitti e il valore di borsa. Sono rari infatti i casi
in cui il flop di un 'innovazione ha travolto una grande impresa: successe a Polaroid (cfr. sche-
ma 2.27), per l'enormità delle risorse investite nei film a sviluppo immediato.

Gli strumenti ~icurativo-finanziari


L'impresa può gestire il rischio - contenendolo ma pagando un prezzoper farlo
- anche ricorrendo agli strumenti che il sistema bancario-finanziario-assicura-
tivo mette a disposizione. E, pure se ritenuta a forte rischio, può puntare a ot-
tenere risorse - in cambio di quote di proprietà - da fondi a tale scopo costi-
tuiti: come può tipicamente accadere a una start-up innovativa rivolgendosi ai
fondi cosiddetti di venture capital.
Il trasferimento di rischi da chi li vuole ridurre a chi è disposto ad assumer-
seli purché il compenso sia adeguato è uno dei compiti che gjustificano social-
mente l'esistenza del sistema bancario-finanziario-assicurativo, che ha messo a
punto storicamente e continua a mettere a punto innovativamente strumenti
finalizzati a tale scopo.
L'impresa può tipicamente assicurarsi,pagando un premio, contro le eve-
nienze a bassa probabilità ma a impatto negativo elevato. Può assicurarei suoi
crediti, rinunciando a una percentuale più o meno elevata degli stessi in cam-
bio della certezza dei pagamenti. Può assicurarsi,rivolgendosi ai mercatia termi-
ne o operando attraverso i future, contro incrementi significativi dei prezzi dei
suoi input: una compagnia aerea dei prezzi dei carburanti, un'impresa di ab-
bigliamento dei prezzi della seta o del cachemire (tradizionalmente soggetti a
forti fluttuazioni).
Nessuna di queste scelte può essere assunta acriticamente dall'impresa, ma
deve essere posta in alternativa ad altre soluzioni. Può fflsere conveniente per
l'impresa autoassicurarsicontro il verificarsi di eventi negativi, owero mante-
nere il rischio in casa, se il premio da pagare è percentualmente troppo alto.
150 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Può essere valutata la convenienza, invece che di assicurare i crediti, di au-


mentare la selettività nella scelta dei clienti: rinunciando a quelli finanziaria-
mente più a rischio. Può essere valutata la convenienza, in presenza di una
forte volatilità dei mercati degli input, di operare allo stesso modo di uno spe-
culatore esterno: puntando non tanto al proteggersi dagli aumenti, quanto a
ridurre il costo medio dell'approvvigionamento.

La gestione del rischio deve coinvolgere futta l'organizzazione


La gestione del rischio, owero (utilizzando la diffusissima dizione anglosasso-
ne) il risk management,
• deve coinvolgere tutta l'organizzazione;
• deve coinvolgerla con continuità nel tempo;
• deve guardare al rischio nella sua globalità e dinamicità e nel suo trade-off
con la profittabilità;
• deve essere tempestiva nell'evidenziare i riflessi di cambiamentinerteaspet-
tative e nell'adottare eventuali interventi correttivi;
• deve essere tempestiva nel rispondere alle evenienzenegativeo addirittura
strutturata - tipicamente attraverso i sistemiinterni di controUo-per preve-
nirle.
La necessità di coinvolgeretutta l'organizzazionederiva dal fatto che - anche se le
grandi scelte in termini di posizione di rischio dell'impresa devono essere as-
sun te a livello di vertice (di amministratore delegato e di consiglio di ammini-
strazione) e anche se l'impresa stessa può awalersi di specialisti dj risk manage-
ment- non esiste decisione, nella scelta delle strategie e nell'operatività quoti-
diana, che possa essere presa prescindendo completamente dal rischio.
Il coinvolgimento deve avere continuità nel tempo.Perché la valutazione del
rischio e il conseguente posizionamento sono strettamente legati, come visto,
alle aspettative e perché le aspettative evolvono anche profondamente con lo
scorrere del tempo e con il verificarsi o meno di determinati eventi.

Il manifestarsi di una serie di segnali premonitori di una possibile crisi - le prime difficoltà
negli IPO (initial public offering) di imprese della new economy nel 2000 che anticiparono lo
scoppio della bolla Internet o quelle nelle quotazioni dei titoli legati ai mutui subprime che an-
ticiparono la grande crisi del 2008 - può ad esempio mettere in moto un processo di rivalu-
tazione del profilo di rischio dell'impresa (anche se non direttamente implicata né nella new
economy né nei mutui subprime), all'esterno e all'interno dell'impresa stessa. Con possibili
conseguenze sulla quotazione in borsa e sulle condizioni di accesso al credito bancario. Con
possibili conseguenze nelle scelte dell'impresa, che -in vista del calo della domanda che una
crisi potrebbe generare e delle potenziali difficoltà nell'accesso al credito - potrebbe aliena-
re alcuni dei suoi business non care per fare cassa e ridurre l'indebitamento finanziario: mo-
dificando ulteriormente in tal modo il suo profilo di rischio.

Il rischio va visto nella sua globalitàe nella sua dinamùità: perché le diverse sor-
genti di rischio possono, interagendo dinamicamente fra loro, generare veri e
propri effettia catena.
2. L'impresa e il contesto I 151

Esemplare degli effetti a catena è il caso Nokia già visto in questo paragrafo. Pochi giorni do-
po l'annuncio, nel giugno 2011, della crescita delle sue difficoltà sul mercato degli
smartphone e il conseguente tonfo del titolo in borsa, Nokia ha dovuto subire una riduzione
quasi umiliante del suo rating (dell'affidabilità cioè riconosciutale nel restituire il denaro
preso a prestito) sino a un livello prossimo a quello dei cosiddetti junk-bond o titoli-spazzatu-
ra: con possibili inasprimenti sui tassi di interesse da pagare sui debiti in scadenza e/ o nuo-
vi e quindi con possibili ulteriori impatti negativi sulla profittabilità. "Nokia's debt has been
downgraded to one notch above junk status by Fitch, the credit rating agency, amid con-
cern over accelerating <ledine in the mobile phone maker's market share (dal Financial Ti-
mesdel 7.6.2011, "Nokia hit by debt downgrade", di Andrew Ward). Fitch said Nokia's cash
position was relatively strong but warned that mature companies in fast-moving sectors can
feel threatened to rapidly spend accumulated cash [ ... ] when faced with step changes in
market share dynamics".

Il rischio va visto nel suo possibile trade-offcon la profittabilità, perché insieme


concorrono alla creazione di valore economico: che rappresenta, come detto
più volte, l'obiettivo di fondo dell'impresa.
Il rischio va tenuto permanentemente sotto controllo, perché occorre tem-
pestività nell'individuare l'emergere di nuove fonti o il 'Concretizzarsi di eve-
nienze negative. Perché il timing con cui si effettuano gli eventuali interventi
correttivi è spesso determinante per il successo degli stessi.

È molto diverso, in relazione all'esempio precedente, se l'impresa per fare cassa mette in
vendita i suoi business non coreprima che la crisi provochi una diminuzione generalizzata de-
gli indici di borsa - e quindi dei valori a cui si vendono e si comprano le imprese - o dopo. È
molto diverso, nel caso in cui inizino a girare in retevoci negative - ad esempio (cfr. "Measu-
ring the human cost of an iPad made in China", di John Bussey, The Wall StreetJournal,
3.6.2011) sulla correttezza di imprese come Appie, HP e Dell nell'awalersi come grande for-
nitore della taiwanese Foxconn, divenuta nota per le condizioni di lavoro estremamente pre-
carie (con numerosi incidenti e suicidi) del milione circa di dipendenti che essa ha in Cina -
se le imprese coinvolte rispondono tempestivamente con misure credibili o se lasciano cre-
scere il brusioa livelli pericolosi per la loro reputazione.

I controlliinterni possono giocare un ruolo rilevante soprattutto quando l'im-


presa ha dimensioni grandi, !Yusiness differenziati al suo interno e attività geo-
politicamente disperse. Perché permettono di evitare i ritardi e perché agevo-
lano il convogliamento tempestivo delle informazioni dalla periferiaal centrodi
governodell'impresa.

Nella sua R.ilazionefinanziaria annuale 201 OEni (cfr. schema 1.3) dedica un capitolo ai fattori di
rischio e incertezzae alle misure organizzative messe in atto per la loro gestione (pp. 87-98):
"Nell'ambito dei rischi d'impresa, i principali rischi identificati, monitorati e attivamente ge-
stiti da Eni sono i seguenti: (i) il rischio di mercato derivante dall'esposizione alle fluttuazio-
ni dei tassi di interesse, dei tassi di cambio tra l'euro e le altre valute nelle quali opera l'im-
presa, nonché alla volatilità dei prezzi delle commodity;(ii) il rischio di credito derivante dalla
possibilità di default di una controparte; (iii) il rischio liquidità derivante dalla mancanza di
risorse finanziarie per far fronte agli impegni finanziari a breve termine; (iv) il rischio Paese
nell'attività oil&gas; (v) il rischio operation; (vi) la possibile evohy:ione del mercato italiano
del gas e gli altri rischi di settore; (vii) i rischi specifici dell'attività di ricerca e produzione di
idrocarburi. La gestione dei rischi finanziari si basa su linee guida emanate centralmente
con l'obiettivo di uniformare e coordinare le politiche Eni in materia di rischi finanziari
152 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

[ ...] ". E nel paragrafo dedicato al rischioPaese: "Una parte notevole delle riserve di idrocar-
buri Eni sono localizzate in Paesi al di fuori dell'Unione Europea e dell'America Settentrio-
nale, alcuni dei quali possono essere politicamente o economicamente meno stabili. Al 31
dicembre 2010 circa 1'80% delle riserve certe di idrocarburi di Eni erano localizzate in tali
Paesi. [ ...] Evoluzioni del quadro politico, crisi economiche, conflitti sociali interni possono
compromettere in modo temporaneo o permanente la capacità di Eni di operare in condi-
zioni economiche in tali Paesi[ ...]. Ulteriori rischi: (i) mancanza di un quadro legislativo sta-
bile e incertezze sulla tutela dei diritti [ ...]; (ii) sviluppi o applicazioni penalizzanti di leggi
[...]; (iii) restrizioni di varia natura sulle attività di esplorazione, produzione, importazione
ed esportazione; (iv) incrementi della fiscalità applicabile; (v) conflitti sociali interni che sfo-
ciano in atti di sabotaggio, attentati, violenze e accadimenti simili. Ferma restando la loro na-
tura imprevedibile, tali eventi possono accadere in ogni momento comportando impatti ne-
gativi sui risultati economico-finanziari attesi di Eni. Eni monitora periodicamente i rischi di
natura politica, sociale ed economica dei circa 60 Paesi dove ha investito o intende investire,
al fine della valutazione economica-finanziaria degli investimenti di cui il rischio Paese è par-
te integrante [...] ".
3 Lo stato giuridicoe la governancedell'impresa

Se il capitolo2 ha affrontato in termini molto generali il rapporto dinamico e


interattivo fra l'impresa, il sistema economico-finanziario e il sistema socio-po-
litico (con le sue articolazioni territoriali), questo capitolo vuole comprende-
re più in dettaglio quali siano gli attori in gioco, tradizionalmente aggregati
nelle due macrocategorie di:
• coloro che detengono la proprietà dell'impresa: owero gli azionisti o
shareholder,
• coloro che partecipano alla vita dell'impresa, a diverso titolo e con diver-
si ruoli, e/ o sono comunque sensibili al suo andamento e ai suoi com-
portamenti: owero i partecipanti o stakeholder,
e quali siano, nelle differenti fattispecie, le rego/,e
cui devono attenersi nelle loro
mutue relazioni: siano esse stabilite dalla legge o concordate fra le parti o frutto
dell'adesione volontaria a forme codificate di autodisciplina. Ricordando che
le regolesi ispirano, almeno in linea di principio, al duplice obiettivo di mettereor-
dine nel funzionamento del sistema economico-finanziario (per potenziarne la
capacità di sviluppo) e di armonizzaretale funzionamento con i valori generali
della società e con le modalità di convivenza che essa vuole darsi.

3.1Shareholdere stakeholder:
i dirittie i doveridi chidetienela proprietà
dell'impresae di chi partecipaallasuavita

L'organizzazione che le economie di mercato - figlie del modello capitalistico


- si sono date prevede, come visto, che l'impresa abbia una personalità gi,uridi-
ca definita, distinta da quella di chi ne detiene la proprietà e/ o ha ruoli nella
154 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

sua gestione e/ o comunque interagisce con essa: che può conformarsi a mo-
delli societarie a modellidi governancedifferenti, per ciascuno dei quali la legge
definisce diritti e doveri dei diversi attori.
Nel modello societario più diffuso e più rilevante nell'ambito della nostra
trattazione, quello della societàper azioni1 e più in generale dell,asocietàdi capita-
li, essa prevede che i capitali necessari per avviare e portare avanti l'attività del-
l'impresa stessa siano conferiti da uno o più azionisti - shareholder- che:
• si assumono il rischiodi perdere anche interamente tali capitali se l'im-
presa ''va ma 1e ,,;
• hanno il diritto, a fronte di tale rischio, di gestire l'impresa e/ o di desi-
gnare il top managementche la gestisca;
• sono i destinatari, a fronte di tale rischio, del surplus (owero dell' uti/,e)
che l'impresa riesce a generare e possono decidere se lasciarlo nell'im-
presa o se ritirarlo sotto forma di dividendo;
• devono operare però nel rispetto generale e specifico delle leggi e delle
normative, e in particolare rispettare - e fare in modo che vengano ri-
spettati dall'impresa - i diritti degli altri partecipanti alla vita dell'impresa
owero degli stakeholder.
Specularmente essa prevede che i partecipanti non azionisti alla vita dell'im-
presa - stakeholder- godano di una serie di diritti, determinati dalle leggi e dal-
le normative, e di una serie di forme di rispetto, legate ai valori della colletti-
vità, che l'impresa stessa deve garantire: attraverso l'organizzazione, le regole
di governance,i sistemi di controllo e i codici di comportamento che si dà o de-
ve per legge darsi.

Il rapporto fra sharehol,derestakehol,der,fra chi ha la proprietà dell'impresa (e per questo po-


trebbe sentirsi abilitato ad assumere qualunque tipo di decisione) e chi opera per essa, è
molto variato nel tempo: con una forte crescita, soprattutto nei paesi cosiddetti avanzati, dei
diritti dei secondi a danno del potere dei primi. Esso presenta caratteristiche più o meno di-
verse in funzione della dimensione dell'impresa: nell'impresa piccola, soprattutto se dina-
scita recente, esiste ancora la figura del padrone fondatore e unico azionista, che segue di per-
sona i rapporti con gli stakehol,der,nell'impresa grande, soprattutto se di nascita non recente,
gli sharehol,dersono in generale tanti (anche se con poteri molto diversi), la gestione è spesso
affidata a manager professionali e i rapporti fra top management e stakehol,dersono comunque
mediati dall'organizzazione. Esso può presentare caratteristiche diverse quando l'azionista-
di riferimento, di maggioranza o unico - è lo Stato nelle sue diverse ramificazioni. Esso può
presentare differenze in funzione del paese ove l'impresa ha i, suoi quartieri generali o co-
munque opera: tali differenze sono più limitate, a seguito dell'adozione di molte regole co-
muni, nell'ambito dei paesi avanzati; possono esser-: anche molto rilevanti fra paesi avanzati,
paesi emergenti(quali la Cina) e paesi sottosviluppati.

Il modello della società di capitali è il più diffuso, ma non è l'unico che l'im-
presa può adottare. Ed esso viene adottato da imprese che possono differire

1. Nel seguito di questo capitolo si useranno alternativamente i termini impresa o società, in fun-
zione del risalto che si vuole dare agli aspetti "reali" o a quelli più squisitamente "giuridici".
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 155

anche profondamente per tipologia degli azionisti, dimensione, composizio-


ne del portafoglio di business, numerosità delle aree geo-politiche di presen-
za e architettura societaria. Lo schema3.1 analizza sinteticamente i modelli so-
cietari diversi. Lo schema3. 2 evidenzia, attraverso una serie di casi reali, le dif-
ferenze negli assetti proprietari e nelle architetture societarie.

Gli shareholder

Non tutte le società-imprese hanno la stessa composizione della compagine


azionaria. Non tutti gli azionisti godono degli stessi diritti, perché diverse pos-
sono essere le quote che essi detengono e diversa - anche a parità di quote -
la partecipazione alla gestione dell'impresa.
Esiste conseguentemente un problema di salvaguardia dei diritti non solo
degli stakeholder,ma anche degìi shareholderche sono in posizione di minoran-
za - e che quindi hanno poca voce in capitolo nella scelta del management- o
che comunque non sono coinvolti direttamente nella gestione. Un problema
da risolvere non solo per ragioni di legalità e giustizia, ma anche perché in as-
senza di una prospettiva di salvaguardia sarebbe molto più ardua la raccolta di
capitali per il finanziamento del sistema delle imprese: in particolare quella
effettuata attraverso la borsa. La tematica della corporategovernance, oggetto
del paragrafo 3.2, è intimamente legata a questo problema.

Gli stakeholder

La lista degli stakeholderè lunga. Essa comprende principalmente:


• le risorseumane che operano nell'ambito dell'impresa: in posizioni e con
responsabilità e competenze diverse, a tempo indeterminato o con con-
tratti a termine;
• le istituzioni bancarie e finanziarie e gli obbligazionisti,che permettono al-
l'impresa di disporre di quelle risorse finanziarie che, insieme con il ca-
pitale di rischio degli azionisti, vanno a formare il cosiddetto capitaleinve-
stito;
• i clienti, ossia gli acquirenti dell'output dell'impresa, e i fornitori degli in-
put, nonché gli eventuali intermediaricommercialia valle e a monte;
• i competitori;
• i governi centralie wcali dei paesi ove l'impresa è presente con sue attività,
nonché le collettivitànazionali e wcali;
ma anche altri soggetti di natura diversa: quali ad esempio talune istituzioni
accademiche operanti nelle aree ove l'impresa è presehte, che vedono nel-
l'impresa stessa un clientein grado di assorbire i laureati "prodotti", un partner
con cui sviluppare nuovo know-howe/ o un possibile mecenate.
156 i L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Le risorseumane rappresentano i partecipanti per eccellenza: con un potere


contrattuale diverso a seconda che esse siano facilmente sostituibili o apporta-
trici di competenze specialistiche e capacità dirigenziali in grado di fare la dif-
ferenza; con un rilievo ai fini del successo legato anche, in misura rilevante, al-
l'impegno che esse mettono nello svolgimento della loro attività e allo spirito
di squadra con cui si trovano a operare.
I livelli bassi, che fanno fronte usualmente al ridotto potere contrattuale or-
ganizzandosi sindacalmente e (nel nostro paese) awalendosi della protezione
data dallo Statuto dei lavoratori,si trovano in potenziale conflitto con l'impresa
in relazione principalmente alle remunerazioni, agli orari e alle condizioni di
lavoro, alla produttività e alla stabilità dell'impiego nel tempo. I livelli alti so-
no maggiormente sensibili alle possibilità di crescita professionale e alla com-
partecipazione, attraverso la componente variabile della loro remunerazione,
ai risultati dell'impresa.
Per gli uni e per gli altri è comunque importante che l'impresa continui a
vivere e possibilmente prosperi, in linea quindi con gli obiettivi degli azionisti
ma nel contempo in conflitto con essi sul come ripartirela torta:un tipico caso
di coesistenza di spinte contrastanti e di necessità di ricerca di un equilibrio
che agevoli - e sia nel contempo agevolato da - l'aumento delle dimensioni
della "torta".
Per l'impresa a sua volta, soprattutto se operante in settori (nuovi o anche
tradizionali) ove l'innovazione gioca un ruolo rilevante nella competizione, è
importante non solo creare un'atmosfera positiva al suo interno ma anche es-
sere punto di attrazione per le risorse umane più pregiate: i cosiddetti talenti.
Le istituzioni bancarieefinanziarie che prestano denaro all'impresa e i detento-
ridi obbligazioni(titoli venduti dall'impresa con la promessa di restituzione del
prezzo pagato e di corresponsione dei relativi interessi nella misura, con le
modalità e nei tempi pattuiti in sede di emissione) sono a loro volta in poten-
ziale conflitto con l'impresa per quanto concerne le condizioni dei prestiti,
ma sono anche interessati al suo buon andamento economico dal momento
che - pur con garanzie molto maggiori di quelle degli azionisti - anch'essi ri-
schiano la perdita parziale o totale delle somme prestate e degli interessi pro-
messi nel caso in cui l'impresa venga a trovarsi in condizioni di disequilibrio
finanziario o addirittura fallisca.
Una governance corretta dell'impresa, che riduca il rischio di operazioni
contrarie all'interesse dell'impresa in quanto tale e garantisca un adeguato li-
vello di trasparenza, risulta quindi essenziale anche per questa categoria di
stakehouler.non solo dopo che i prestiti sono stati concessi, ma anche come
precondizione per concederli.
I clienti (in particolare se anch'essi i1nprese) e i fornitori- che possono tro-
varsi gli uni e gli altri in conflitto con l'i1npresa relativa1nente ai prezzi, ai livel-
li qualitativi e alle modalità di transazione dei beni e servizi scambiati - sono
viceversa partnerdell'impresa per quanto concerne l'attività corrente, con for-
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I l 57

me di integrazione di filiera che sono diventate sempre più stringenti. Essi so-
no conseguentemente sensibili alla correttezza dei suoi comportamenti e in-
teressati al suo buon andamento economico e al suo sviluppo quali-quantitati-
vo: per i danni ad esempio, nel caso dei clienti, che potrebbero derivare da un
ritardo o dalla cattiva qualità di una fornitura, talora molto più elevati del va-
lore della fornitura stessa (si pensi al costo di sostituzione di un componente
difettoso in un'automobile appena uscita dalla catena di montaggio); come
garanzia, nel caso dei fornitori, della sicurezza del pagamento delle forniture;
come garanzia, sia per i clienti sia per i fornitori, della potenziale continuità
del rapporto nel tempo; per le nuove opportunità, sia per i clienti sia per i for-
nitori, che possono nascere da un'espansione dell'attività dell'impresa e/o da
un innalzamento delle prestazioni del suo output.
- owero i soggetti che sono a prioriin condizioni più conflittua-
I competitori,
li rispetto all'impresa- hanno la necessità che la competizionesi svolga senza ec-
cessive scorrettezzee condividono comunque alcuni interessi comuni nei ri-
guardi di parti terze (quali i sindacati, le banche, le imprese fornitrici di ener-
gia, il fisco ecc.) .
I governi e le coUettivitànazionali o localivedono da un lato l'impresa come
contribuente fiscale, di cui cercare di prevenire le possibili forme di evasione
o elusione (a livello di tassazione diretta e indiretta e di versamento dei con-
tributi previdenziali); vedono dall'altro l'impresa stessa come vettore di cresci-
ta occupazionale e di sviluppo e sono spesso spinti per tale motivo, dalla com-
petizione con gli altri paesi o territori, a offrire condizioni - di trattamento fi-
scale, di erogazione di contributi pubblici, di facilitazione dei processi autoriz-
zativi, di disponibilità di servizi infrastrutturali - che attraggano nuovi insedia-
menti o almeno mantengano gli esistenti (evitando la disoccupazione e il de-
clino). Essi si possono trovare a vedere l'impresa come un nemico del loro am-
bienteo come un possibile all.eatonel risanamento dell'ambiente stesso e nel
recupero dal degrado del territorio. Essi rappresentano in ogni caso interlo-
cutori importanti per l'impresa, dal momento che - con i poteri di cui di-
spongono - ne possono agevolare lo sviluppo o frenare i piani di espansione e
la stessa operatività diretta.

SCHEMA 3.1 - I diversimodellisocietari

La formula della societàdi capitali,che ha giocato un ruolo fondamentale nello svilup-


po delle economie di mercato, si basa sull'idea fondamentale (da taluni posta fra le
grandi innovazioni della storia) della limitazionedellaresponsal:Jilità
degli azionisti-so-
ci, che possono conseguentemente partecipare pro-quota alla proprietà dell'impresa
mettendo a rischio solo i capitali conferiti e non - a differenza di quanto accade ad
esempio nelle societàdi persone- i patrimoni personali.
158 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Essaè la chiave di volta per il disaccoppiamento fra proprietà e gestione: non solo nel
caso in cui la gestione stessa venga affidata a un management professionale esterno,
ma anche nel caso (estremamente frequente nell'economia del nostro paese) in cui
tale ruolo vada a membri delle famiglie proprietarie che sono titolari soltanto di una
quota parte delle azioni. È la chiave di volta anche per il passaggio da una proprietà
concentrata in poche mani a una proprietà diffusaattraverso la quotazione in borsa.
Non è l'unica forma possibile su cui costruire un'impresa, anche se di gran lunga la
più diffusa.
Rimane in vita la formula della societàdi personecon responsabilità personale,di tutti i
soci o del solo socio-gestore nel caso delle società cosiddette in accomandita.
Hanno una natura più squisitamente sociale - e per tale motivo godono di signifi-
cativi vantaggi fiscali quando risulta prevalente il loro carattere di mutualità - le so-
cietà cooperative,caratterizzate da una serie di differenze rispetto alle normali so-
cietà di capitali:
• i socidevono essere cointeressati concretamente alle attività delle società stesse:
come fornitori di materie prime agricole per le cooperative di trasformazione ali-
mentare o commercializzazione; come lavoratori per le cooperative di costruzio-
ne; come consumatori per le cooperative di consumo quali le Coop; come clienti
per le mutue assicuratrici ecc.;
• le decisioni in sede di assemblea vengono sostanzialmente prese contando le te-
ste e non le quote di capitaleconferite (anche queste ultime comunque percen-
tualmente limitate);
• non vi è distribuzione di dividendi, ma gli utili potenziali non reinvestiti vengono
tradotti in integrazioni dei prezzi o dei salari pagati (nel caso ad esempio degli
agricoltori e degli addetti alle costruzioni) o in riduzioni dei costi dei~prodotti o
servizi forniti (in quello dei consumatori o dei clienti delle mutue).
Ai margini dell'economia, e con una rilevanza determinante del volontariato al suo in-
terno, si colloca infine il modello delle società non profit (regolato in Italia dal Decreto
legislativo 460/1997 di istituzione delle cosidette Onlus),che stanno assumendo un
peso crescente nei paesi più avanzati e che vedono la componente economica - talo-
ra anche di grande consistenza - come meramente strumentale, essendo le loro fina-
lità di tutt'altra natura: prettamente assistenziale, ad esempio, nel caso della Caritas,
orientata alla protezione dell'ambiente e del paesaggio nei casi del WWF e del FAI.

ScH EMA 3.2 - La diversitànegliassettiproprietarie nell'architetturasocietaria


dell'impresa

L'assetto societario e proprietario può essere relativamente semplicee consistere di


una sola società per azioni a proprietà familiare.
L'assetto societario e propri-etario può essere di complessità media, come nel caso
Mapei (cfr. sottoparagrafo2.3-2).Mapei si presenta come un gruppo,ossia come un in-
sieme integrato di società per azioni, invece che come una società unica: ma ha un
funzionamento assimilabile a quello di una società unica, per la semplicitàdella confi-
gurazione ad alberorovesciatodel gruppo e la monoliticitàdella proprietà a tutti i livelli.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 159

FIGURA 3.1 - La strutturadel gruppoEni


Natural gas supply,
trading and marketing,
LNC operations
and power ......-iftn Transport, repsificatlon,
ancl~iiy-..; stDrageanddlstributlon-lta~

snam rete gas


gas & power (eni 52,54%)

exploration& production refining& marketing


Oil and natural ps explo,atòoll, \ .: ;\
.....,_ ..... ,-tudiaa Petroleum product
refiningand marlceting

engineering& construction I
saipem f eni trading& shipping
(eni 52,54%)
Servicesf<><the (eni 100%)
o~ ~ ps industry
Group services in commodity
trading,shippingand derivatives;
trading
proprietary
in commodityderivatives

petrochemicals otheractivities
polimeri europa
(eni 100%)
Petrochemical produci
Corporalefinancial
produclion anclsale
and senricecompanles

Fonte: sito Eni.

Specificamente, al vertice di Mapei è collocata una società per azioni madre,con la fa-
miglia fondatrice come azionista unico e un membro della famiglia come ammini-
stratore unico, che allo stesso tempo è la scatolagiuridicain cui si colloca larga parte
delle attività del gruppo (fra cui quelle di natura più strategica), la sededel governo del
gruppo e l'azionista unico di tutte le società per azionifiglielocate nei paesi esteri eri-
spondenti alle leggi locali: create, come contenitoridelle attività ivi svolte, allo scopo di
meglio gestire i rapporti con i governi, i sindacati e le autorità locali.
Una variante molto diffusa del modello Mapei, soprattutto in presenza di business di-
versificati, è quella che vede una separazione giuridica netta fra le società operative e il
governo generale - in gergo corporate- dell'impresa: con una configurazione anche in
questo caso ad alberorovesciato, ma con al vertice una società per azioni - in gergo hol-
ding- con i soli ruoli di governo e di "cassaforte" delle azioni delle società operative.
~assetto societario e proprietario può essere molto complesso, come nel caso di Eni
(cfr. schema 1.3efigura3-1).Ove sono della natura più varia - relative ai business piut-
tosto che ai servizi comuni e/o ai paesi - e collocate su molteplici livelli le società per
azioni figlieche in numero molto elevato fanno capo al gruppo, sotto il governo di una
holding(la Eni spa) che ha funzioni sia di capogrupposia (a seguito delle trasformazio-
ni delle capogruppodi settoreAgip, Snam e Agip Petroli in divisioniinterne)di società
operativa.E ove soprattutto due società per azioni - Snam Ret~ Gas e Saipem - sono
quotate in borsa e hanno qurndi al loro interno azionistiterzi,con interessi non neces-
sariamente e non sempre coincidenti con quelli generali del gruppo.
~assetto societario e proprietario è ancora più complesso nelle due società quotate -
Fiat e Fiat Industriai - in cui dall'inizio del 2011 si è suddiviso lo storico gruppo Fiat
160 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

(cfr. schema1.4),per la presenza di una catenasovrastante ambedue le società che ne


permette il controlloalla famiglia Agnelli: formata dall'Exor, società quotata che è
l'azionistadi riferimento(con più del 30 per cento delle azioni) di ambedue e dalla Gio-
vanni Agnelli & C. sapa (la società in accomandita per azioni che rappresenta la cas-
saforte della famiglia) che ha più del 50 per cento di Exor. Con l'ulteriore elemento di
complessità derivante dal fatto che Fiat ha (al momento dell'uscita di questo libro)
più del 50 per cento della statunitense Chrysler. Alla base di tale assetto vi è la neces-
sità del coinvolgimento di azionistiterzi,attraverso una società quotata come Exor, per
permettere alla famiglia Agnelli di disporre di capitali di rischio più ampi - senza ri-
nunciare al controllo - per finanziare la crescita o la ristrutturazione del gruppo o co-
prirne le perdite. Un meccanismo non ammesso in altri mercati finanziari, quale quel-
lo statunitense. Un meccanismo (storicamente ma anche attualmente) molto diffu-
so, rimasto in vita però solo per le situazioni ereditate dal passato. Lo scottoda paga-
re è tuttavia quello della minor libertà a livello di governo del gruppo, per i vincoli che
la salvaguardia degli interessi dei terzi viene a imporre.
L'.assettoproprietario in particolare - a parità di complessità di quello societario - si
presenta come ulteriormente diverso, rispetto a quelli di Eni o Fiat, in molte delle co-
siddette publiccompany statunitensi quali ad esempio Procter & Gamble (cfr. para-
grafo1.1):caratterizzate da una proprietà estremamente diffusa, in mano in larga par-
te ai fondi pensionistici e di investimento, e dall'assenza di un azionista di controllo a
prioristabile. Il top management del gruppo, in questo caso, come visto, di origine
esclusivamente professionale, è espressione dell'insieme degli azionisti che riescono
ad avere il controllo in sede assembleare e solitamente rischiail posto nel caso in cui
non riesca a garantire con la bontà dei risultati una valutazione di mercato sufficiente-
mente elevata, perché rimosso direttamente dagli azionisti che lo hanno designato o
a seguito di un takeoverdella società da parte di terzi: tanto meno costosoquanto più
bassa è la valutazione e facilitato dall'assenza di un azionista stabile e dalla conse-
guente contendibilitàdella società stessa.

Un esempio eclatante di perdita del posto, a seguito dell'insuccesso agli occhi degli azionisti del-
le strategie scelte, è quello di Carly Fiorina: CEO (l'equivalente nel mondo anglosassone del no-
stro amministratore delegato) di HP - uno dei gruppi leader a livello mondiale nell'Jnformation
Technology(cfr. paragrafo1.4) - dal 1999 al febbraio 2005, universalmente considerata una sorta
di icona della donna-manager di successo. Scriveva poco prima della caduta il' più autorevole
quotidiano economico statunitense (da The Wa/1Streetjournal del 26.1.2005, "Carly Fiorina fails
at Hewlett-Packard after betting badly'', di Jesse Eisinger): "[ ...] The centerpiece of Ms. Fiorina's
tenure has been her controversia I takeover of Compaq, which H P continues to defend as a
smart pian for improving its competitive edge with cost cfficiencies. That Get-Big strategy to
compete with lnternational Business Machines hasn't been a panacea for the complex and my-
riad problems H P faced: the drubbing its PC unit was taking from Dell, its faltering ability to
compete with I BM in servicing big corporate clients, its lack of any big new consumer gadgets.
[...] Since the merger, H P has lost market share and fai led to revive its profìt margins. lt relinqui-
shed the No. 1 position in market share of persona I computers last year to Dell. [...] I BM and
Dell gained share in network servers. [...] H P is stil I stuck in between high-end services provider
I BM and master of the PC-as-commodity market Dell. [...]". Il seguito della storia: il titolo H P
iniziò a salire in borsa all'allontanamento di Carly Fiorina e continuò per lungo tempo a salire,
mentre la società tornava a essere leader nel mercato dei PC: curiosamente, sino a che il suo
successore Mark Hurd non perse il posto a sua volta travolto da un'accusa di sexual harassment.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 161

Ma in questo caso l'effetto in borsa fu di segno completamente opposto. "The value of Mark
Hurd, one of Silicon Valley's bèst-regarded business leaders, was spelt out in no uncertain
terms by Wall Street on Friday (dal FinancialTimes del 7.8.2010, "Hurd departure wipes $1obn
off HP", di Richard Waters). Within minutes of Hewlett-Packard disclosing the departure of its
chief executive amid allegations of unethical behaviour, nearly $1obn was wiped from its stock
market value [...]".

3.2 La corporategovernance

L'impresa- nel decidere come strutturare al suo interno i processi decisiona-


li, quali organi di controllo introdurre e più in generale come organizzarsi -
deve rispettare un insieme di regole volte, come detto, a garantire i diritti sia
degli sharehol,der(nella fattispecie di quelli che non partecipano alla gestione o
alla nomina del top management) sia degli stakehol,der.
Gli obblighi cui essa deve sottostare e gli ambiti di discrezionalità a sua di-
sposizione nella determinazione dei meccanismi di governance- molto variabi-
li in funzione della tipologia dell'attività dell'impresa, della sua dimensione,
della composizione concentrata o diffusa della compagine sociale e delle mo-
dalità di reperimento del capitale di rischio - sono definiti dalla normativa cui
essa è soggetta (comunitaria, nazionale e/ o locale) che può:
• avere natura estremamente vincolistica; o
• prevedere la delega ad authoritydella definizione corrente dei vincoli nel
rispetto dei principi predefiniti; o
• codificare modalità di autodisciplina - nei comportamenti (ad esempio
in materia ambientale o nei rapporti con le risorse umane), nella traspa-
renza verso il mondo esterno ecc. - cui aderire su base volontaria e sul
cui corretto rispetto ottenere eventualmente da parti terze (designate a
tale scopo dalla normativa stessa) la certificazione.
L'obiettivo, seppure in un contesto dominato dal rischio,è quello di garantire
una gestione improntata all'efficienza e all'integrità aziendal,e(premesse indi-
spensabili per la creazione di va/me economico),trovando un adeguato bilancia-
mento fra i poteri da delegare a chi deve gestire l'impresa - che in linea di
principio dovrebbero essere molto estesi per non introdurre rallentamenti e
intralci - e il controllo da esercitare ai diversi livelli. Non solo per accertarsi
che la macchina-impresa sia ben funzionante (altrimenti chi la gestisce deve
essere prontamente allontanato), ma anche per evitare che chi ha il potere lo
usi indebitamente con atti che possano "spolpare" l'impresa e comprometter-
ne il va/me. nel caso estremo rubando oppure trovando il modo di autoassegnar-
si remunerazioni "eccessive"(ad esempio attraverso un uso improprio delle stock
option) oppure attuando operazioni in condizioni di conflitto di interesse(a van-
taggio proprio e/ o degli azionisti di maggioranza o di riferimento); ma anche
nascondendo le reali condizioni finanziarie dell'impresa per continuare ad
162 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

avere accesso al mercato dei capitali oppure attuando frodi fiscali o rispar-
miando sulla sicurezza del lavoro e sulla salvaguardia dell'ambiente a scopo di
profitto (con esiti di segno completamente opposto quando i cattivi compor-
tamenti '\rengono a galla").

I primi anni 2000 hanno visto fiorire una serie di scandali, dovuti a comportamenti del tipo
testé descritto, che hanno impressionato l'opinione pubblica e portato ad esempio gli Stati
Uniti- con il varo nel 2002 del Sarbanes-OxleyAct- a irrigidire le pratiche contabili e le rego-
le in generale di cmporategovernanc,edelle imprese quotate in una misura da molti ritenuta ec-
cessiva. Nel 2001 scoppiò lo scandalo Enron: la società statunitense operante nell'energia e
nelle commodity,che per ben sei anni consecutivi era apparsa nella classifica di Fortune come
la AmericasMost Innovative Companyper l'originalità del businessmodel,rimase travolta da una
serie di scommesse.finanziarie perdenti e trascinò nella rovina quella che all'epoca era la prin-
cipale società di revisione del mondo - Arthur Andersen - rea di aver contribuito a tenere
nascosto al mercato finanziario il buco che si stava progressivamente creando. Nel 2002 fu il
turno di World-Com, la società telecom statunitense che partendo quasi dal nulla aveva rag-
giunto ai tempi della bol/,aInternet ricavi pari a 37 miliardi di$: il bucodi 11 miliardi portò alla
condanna a 25 anni di prigione di Bernard Ebbers - l'artefice della crescita- per truffa, as-
sociazione a delinquere e falso in bilancio.

Il nostro paese non fu da meno. Nel 2002 scoppiò lo scandalo Cirio e nel 2003 quello Par-
malat. Il bucodi 14 miliardi di € generato da Parmalat, tra i più grandi in assoluto della storia
dell'economia mondiale, fu il risultato di una lunga serie di bilanci/al5i che permisero alla
società di continuare per molti anni a trovare nuovi finanziamenti. Oltre al top management ri-
masero coinvolte - con risarcimenti di grossa entità - alcune grandi banche italiane e inter-
nazionali, sospettate di essere state al corrente della situazione e di averne approffittato per
ottenere commissioni più ricche.

Nel 2008 il caso Madoff, un po' diverso perché riguardante un fondo e non un'impresa in-
dustriale o di servizi. Il bucodi 65 miliardi di$, che portò Madoff alla condanna a 150 anni di
carcere (una pena simbolica data anche l'età avanzata), nacque dall'uso prolungato per de-
cenni del cosiddetto Ponzi scheme:una sorta di "catena di sant'Antonio", in cui i soldi dei nuo-
vi sottoscrittori venivano utilizzati per pagare gli interessi (avviamenti elevati) di quelli esi-
stenti, che prosperò per la debolezza dei controlli e (forse) per il siknzio di alcune banche
che ne traevano profitto.

La tematica della corporalegovernanceviene affrontata in questo paragrafo, in


termini necessariamente sintetici e rimandando ai paragrafi successivi per al-
cuni aspetti più specifici, con il triplice obiettivo di:
• evidenziare le principali voci oggetto di attenzione da parte del Codice
Civile, a seguito della riforma organica del sistema delle societàdi capi,tali2
divenuta pienamente operativa nel 2004;
• evidenziare in particolare i principali modellidi governanceche le società
per azioni possono adottare: quelli stabiliti dal Codice Civile, in linea con

2. La Legge delega 366/2001 si è concretizzata con l'emanazione dei Decreti legislativi 6/2003
(riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative), 5/2003 (pro-
cedimenti per le controversie societarie) e 61/2002 (reati societari), cui sono seguiti alcuni
aggiustamenti negli anni successivi (ad esempio con il Decreto legislativo 224/2010). Per i te-
sti della Legge delega e dei Decreti legislativi di attuazione si veda www.senato.it.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 163

la tradizione del nostro paese ma anche con gli orientamenti nei princi-
pali paesi dell'UE, e quello proposto direttamente dall'UE;
• evidenziare le principali prescrizioni del Codice di autodisdplina promosso
- per le società quotate - dalla società-mercato (Borsa Italiana) che gesti-
sce il mercato borsistico.

L'attenzione posta su quanto prevedono il Codice Civile del nostro paese e il Codice di auto-
disciplina della nostra borsa non deve far dimenticare che la configurazione sempre più glo-
bale dei mercati (di quello finanziario in primo luogo) e l'integrazione della nostra econo-
mia in quella comunitaria fanno sì che le norme nazionali - per libera scelta o sulla base di
accordi a livello comunitario o mondiale - siano sempre più in linea con quelle dei paesi
avanzati e in particolare dei paesi UE. Una strada obbligata, come evidenziato anche nelle
premesse della legge-quadro di riforma, per permettere alle nostre imprese di essere com-
petitive su scala internazionale. L'omogeneità delle regole, particolarmente forte nell'ambi-
to UE (che la persegue attraverso direttive di inquadramento e regolamentidi validità imme-
diata e diretta) e comunque elevata anche nel quadro più ampio dei paesi a maggiore svi-
luppo, è come detto minore nei paesi emergenti e in quelli sottosviluppati: con tensioni po-
tenzialmente crescenti soprattutto al crescere del peso dei primi - Cina, India, Brasile ecc. -
nell'economia mondiale. '

Il Codice Civile con la riforma ha puntato ad accrescere la flessibilità nello


strutturarsi delle imprese, ma allo stesso tempo le ha obbligate - affinché la
flessibilità non si trasformasse in arbitrio - a porre molto maggiore attenzione
sui meccanismi di governance. Con l'obiettivo di fondo dichiarato (come appa-
re dalla Legge delega) di favorire la nascita, la crescita e la competitività delle
imprese stesse, anche attraverso l'accesso ai mercati interni e internazionali
dei capitali. Questo
• ricercando l'equilibrio più appropriato, tra funzionalità e salvaguardia
dei diritti delle diverse parti interessate, nelle diverse fattispecie - di
composizione della compagine sociale (concentrata o diffusa) e di mo-
dalità di reperimento del capitale di rischio - che si possono presentare:
in chiave di sburocratizzazione e valorizzazione del carattere imprendito-
riale delle imprese;
• arnpliando gli ambiti dell'autonomia statutaria delle imprese, nel rispet-
to degli interessi coinvolti nelle diverse fattispecie: riducendo cioè le im-
posizioni, ma obbligando le imprese stesse a prendere posizione nello
statuto su tematiche di particolare criticità relative alla governance (quali
ad esempio i potenziali conflitti di interesse degli amministratori);
• puntando comunque a una definizione chiara e precisa, attraverso la
legge o lo statuto, dei compiti e delle responsabilità degli organi sociali
nelle diverse fattispecie.
Sono stati conseguentemente aumentati i gradi di libertà, per evitare che uno
stato giuridico troppo limitante o burocratico potesse rappresentare un osta-
colo in un contesto competitivo sempre più internazionalizzato. Ma sono stati
nel contempo introdotti nuovi tipi di vincoli, per evitare che uno stato giuridi-
co troppo lasco in termini di governance potesse risultare poco rassicurante
164 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

per i mercati finanziari. E sono state individuate due diverse tipologie di mo-
delli societari, la societàa responsabilitàlimitata e la societàper azioni, con obbli-
ghi di controllo e trasparenza differenziati a seconda della natura concentrata
piuttosto che diffusa degli azionisti e della modalità - diretta o attraverso il ri-
corso ai mercati borsistici - di raccolta dei capitali.
Lo schema3.3 riporta una sorta di indice dei "pezzi" del Codice Civile, per le
sole società per azioni, privilegiando le voci di più immediata comprensibilità:
allo scopo di evidenziare quanto ampia sia la rilevanza della normativa nelle
scelte di fondo e nei meccanismi di governancedell'impresa.
Gli schemi3.4 e 3.5 prendono spunto dal fatto che il Codice Civile3 , a segui-
to della riforma, non prevede un modelw di governanceunico, ma mette le so-
cietà per azioni nella condizione di scegliere fra tre modelli diversi:
• il modelw "tradiziona"le", ispirato cioè al nostro ordinamento storico, op-
portunamente rivisitato;
• il modelw "dualistico",ispirato agli ordinamenti tedesco e francese;
• il modelw "monistico",ispirato all'ordinamento anglosassone.
Lo schema3.6 illustra infine il modellodi societàeuropea- SE (societaseuropaea)-
lanciato dall'UE 4 allo scopo dichiarato di far prosperare imprese che sempre
più percepiscano concretamente l'UE stessa come loro patria, che possano
operare indifferentemente nei paesi che ne fanno parte e che siano quindi
agevolate nel conseguimento di quei livelli di scala che le rendano competiti-
ve nei mercati globali: un modello però che, pur essendo operativo dal 2004,
ha riscosso un successo limitato (in termini numerici e di nazionalità) e po-
trebbe quindi essere rivisto.

Nessuna impresa a base italiana ha adottato il modello europeo né quello monistico, e si


contano sulle punte delle dita le imprese, anche se di dimensioni rilevanti, passate al duali-
stico: Intesa San Paolo, Banco Popolare, Uhi Banca, e A2A (cfr. sottoparagrafo1.5.2) - tutte in
occasione della fusione attraverso cui si erano formate - e Mediobanca. Mediobanca è rapi-
damente tornata al sistema tradizionale e Banco Popolare vi sta tornando (al momento del-
l'uscita di questo libro) in occasione di una ristrutturazione complessiva del gruppo. Un for-
te sospetto, soprattutto nella fase iniziale, era che il passaggio non fosse finalizzato allo sfrut-
tamento di quello che sarebbe dovuto essere il maggior pregio del dualistico - creare una
netta separazione di compiti e di poteri fra chi gestisce l'impresa, il consiglio di gestione, for-
mato essenzialmente da top managerdell'impresa stessa, e chi esercita il controllo e stabilisce
a nome degli azionisti (il cui peso diretto si riduce) gli indirizzi generali - quanto allo sdop-

3. Le società non debbono solo obbedire a quanto previsto dal Codice Civile nella sezione "Am-
ministrazione e controllo" (cfr. schema 3.2), ma - in particolare se quotate - sono soggette ad
altre norme: quali quelle del 1èsto Unico del/,aFinanza, con i conseguenti regolamenti della
Consob e della Banca d'Italia. Sono soggette anche alle "regole del gioco" derivanti dal rece-
pimento a livello nazionale della direttiva europea MiFID (Market in Financial Instruments Di-
rective), nata con l'obiettivo di creare un ambiente finanziario competitivo e armonizzato -
per i mercati regolamentati e le imprese di investimento - e di rafforzare la protezione degli
investitori e l'efficienza e integrità dei mercati finanziari stessi (rafforzamento apparente-
mente non centrato visti gli esiti della crisi del 2008).
4. Per il testo del Regolamento si veda http:/ /europa.eu.int/eur-lex/it/search.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 165

piamento defado del consiglio di an1ministrazione del modello tradizionale, senza una sepa-
razione netta dei poteri fra i due consigli, per garantire a tutti i rappresentanti degli azionisti
di rilievo delle società fuse la presenza in almeno uno dei due consigli.
Nonostante l'esperienza ben più lunga alle spalle, anche il sistema dualistico tedesco - un
tempo "orgoglio" del paese e oggetto di attenzione all'estero - sembra caratterizzato da di-
verse "crepe". Al centro delle critiche sono il potere, ritenuto da molti eccessivo rispetto a
quello degli azionisti, e la difficile amovibilità dei membri del consiglio di sorveglianza: che
viceversa possono con facilità rimuovere il top management, se non sufficientemente "allinea-
to". Ma pure oggetto di critiche, a somiglianza di quanto avviene in Italia, è l'esistenza di in-
croci di membri dei consigli anche fra imprese concorrenti. "Siemens and Volkswagen have
severa! things in common - not only are they Germany's two most emblematic companies,
but both have recently been embroiled in two of the country's biggest corporate corruption
scandals (dal Financial Tirnes del 9.5.2007, "Germany's two-tier governance system comes
under fire", di Richard Milne). On top of the recent controversies, there is another shared is-
sue: opaque goings--on in their supervisory boards. Chief executives at both companies have
been ousted in efforts led by their chairmen despite being respected by investors and not im-
plicated in the scandals. [ ... ] Several companies are turning towards the European Company
(SE) set-up that allows them to shrink their supervisory board to 12 members and invite for-
eign workers on to the labour side. Allianz, Porsche and BASF have taken this path and
more are likely to join them. The smaller board makes discussions more efficient and the
presence of foreign workers weakens co-determination, although half the board remains la-
bour representatives [ ...] ".

ScH EMA 3.3 - Lo stato giuridicodell'impresa:i principalicapitolidel CodiceCivile

CapoV "Societàper azioni"

I. Disposizionigenerali:responsabilità; società che fanno ricorso al mercato del ca-


pitale di rischio; denominazione sociale; ammontare minimo del capitale; atto
costitutivo; condizioni per la costituzione; deposito dell'atto costitutivo e iscri-
zione della società; effetti dell'iscrizione; nullità della società.
11. Costituzioneper pubblicasottoscrizione
111. Promotorie socifondatori
111
b. Patti parasociali
IV. Conferimenti
V. Azionie altri strumentifinanziaripartecipativi:emissione delle azioni; indivisibi-
lità delle azioni; categorie di azioni; •azfoni e strumenti finanziari a favore dei pre-
statori di lavoro; diritto agli utili e alla quota di liquidazione; diritto di voto; pe-
gno, usufrutto e sequestro delle azioni; azioni di godimento; titoli azionari; circo-
lazione delle azioni; limiti alla circolazione delle azioni; responsabilità in caso di
trasferimento di azioni non liberate; acquisto delle proprie azioni; casi speciali di
acquisto delle proprie azioni; disciplina delle proprie azioni; divieto di sottoscri-
zione delle proprie azioni; altre operazioni sulle proprie azioni; società controlla-
te e società collegate; acquisto di azioni o quote da parte di società controllate;
alienazione o annullamento delle azioni o quote della socie~àcontrollante; casi
speciali di acquisto o di possesso di azioni o quote della società controllante;
sottoscrizione di azioni o quote della società controllante; divieto di sottoscrizio-
ne reciproca di azioni; partecipazioni; unico azionista.
166 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

VI. Assemblea:luogo di convocazione, assemblea ordinaria nelle società prive di


consiglio di sorveglianza, assemblea ordinaria nelle società con consiglio di sor-
veglianza, assemblea straordinaria, formalità per la convocazione, convocazione
su richiesta di soci, costituzione dell'assemblea e validità delle deliberazioni; se-
conda convocazione e convocazioni successive, diritto d'intervento all'assem-
blea ed esercizio del voto, presidenza dell'assemblea, rappresentanza nell'as-
semblea, conflitto di interessi, rinvio dell'assemblea, verbale delle deliberazioni
dell'assemblea, assemblee speciali, annullabilità delle deliberazioni, procedi-
mento d'impugnazione, nullità delle deliberazioni, sanatoria della nullità, invali-
dità delle deliberazioni di aumento o di riduzione del capitale e della emissione
di obbligazioni.
VI b. Amministrazionee controllo
• Sistemidi amministrazionee di controllo
• Amministratori:amministrazione della società; presidente, comitato esecuti-
vo e amministratori delegati; cause di ineleggibilità e di decadenza; nomina e
revoca degli amministratori; poteri di rappresentanza; cessazione degli am-
ministratori; sostituzione degli amministratori; requisiti di onorabilità, pro-
fessionalità e indipendenza; validità delle deliberazioni del consiglio; com-
pensi degli amministratori; divieto di concorrenza; interessi degli ammini-
stratori; operazioni con parti correlate; responsabilità verso la società; azione
sociale di responsabilità; azione sociale di responsabilità esercitata dai soci;
responsabilità verso i creditori sociali; azioni di responsabilità nelle procedu-
re concorsuali; azione individuale del socio e del terzo; direttori generali. ·
• Collegiosindacale:composizione del collegio; presidenza del collegio; cause
d'ineleggibilità e di decadenza; nomina e cessazione dall'ufficio; sostituzio-
ne; retribuzione; doveri del collegio sindacale; poteri del collegio sindacale;
riunioni e deliberazioni del collegio; intervento alle adunanze del consiglio di
amministrazione e alle assemblee; omissioni degli amministratori; respon-
sabilità; denunzia al collegio sindacale; denunzia al tribunale.
• Controllocontabile:funzioni di controllo contabile; conferimento e revoca del-
l'incarico; cause di ineleggibilità e decadenza; responsabilità; scambio di
informazioni.
• Sistemadualistico(basato su un consiglio di gestione e un consiglio di sorve-
glianza): consiglio di gestione; azione sociale di responsabilità; norme appli-
cabili; consiglio di sorveglianza; competenza del consiglio di sorveglianza;
norme applicabili; revisione.
• Sistema monistico (basato sul consiglio di amministrazione e un comitato
costituito al suo interno): consiglio di amministrazione; comitato per il con-
trollo sulla gestione; norme applicabili e revisione legale.
VII. Obbligazioni:emissione; diritti degli obbligazionisti; limiti all'emissione; riduzio-
ne del capitale; contenuto delle obbligazioni; costituzione delle garanzie; assem-
blea degli obbligazionisti; impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea; rap-
presentante comune; obblighi e poteri del rappresentante comune; azione indi-
viduale degli obbligazionisti; sorteggio delle obbligazioni; obbligazioni converti-
bili in azioni; delega agli amministratori.
VI 11.Librisocialiobbligatori
IX. Bilancio:redazione del bilancio; princìpi di redazione del bilancio; strùttura dello
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 167

stato patrimoniale e del conto economico; contenuto dello stato patrimoniale;


disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale; contenuto del conto
economico; iscrizione dei ricavi, proventi, costi ed oneri; criteri di valutazioni;
contenuto della nota integrativa; informazioni relative al valore equo "fair value"
degli strumenti fìnanziari; relazione sulla gestione; relazione dei sindaci e depo-
sito del bilancio; riserva legale; soprapprezzo delle azioni; partecipazione agli
utili; distribuzione degli utili ai soci; acconti sui dividendi; azione di responsabi-
lità; invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio; pubblicazione del
bilancio e dell'elenco dei soci e dei titolari di diritti su azioni; bilancio in forma
abbreviata.
X. Modificazionidellostatuto
Xl. Patrimonidestinatia uno specificoaffare
XlI. Effettidella pubblicazionenel registrodelleimprese
Xl11.Societàcon partecipazionedelloStatoo di enti pubblici
XIV. Societàdi interessenazionale

CapoX "Trasformazione,
fusionee scissionedellesocietà"

I. Trasformazione:continuità dei rapporti giuridici; limiti alla trasformazione; con-


tenuto, pubblicità ed efficacia dell'atto di trasformazione; invalidità della trasfor-
mazione; trasformazione di società di persone; assegnazione di azioni o quote;
responsabilità dei soci; trasformazione di società di capitali; trasformazione ete-
rogenea da società di capitali; trasformazione eterogenea in società di capitali;
opposizione dei creditori.
11. Fusionedellesocietà:forme di fusione; fusione a seguito di acquisizione con in-
debitamento; progetto di fusione; situazione patrimoniale; relazione dell'organo
amministrativo; relazione degli esperti; deposito di atti; decisione in ordine alla
fusione; deposito e iscrizione della decisione di fusione; opposizione dei credito-
ri; obbligazioni; atto di fusione; effetti della fusione; divieto di assegnazione di
azioni o quote; invalidità della fusione; incorporazione di società interamente
possedute; incorporazione di società possedute al novanta per cento; effetti del-
la pubblicazione degli atti del procedimento di fusione nel registro delle impre-
se; fusioni cui non partecipano società con capitale rappresentato da azioni.
111. Scissionedellesocietà:forme di scissione; progetto di scissione; norme applica-
bili; effetti della scissione.

ScH EMA 3.4 - Il modello"tradizionale"di governancedella societàper azioni

Il rnodello"tradizionale"di go11ernancedella società per azioni - nella forma prevista


dall'attuale ordinamento - affida a due organi diversi, nominati con cadenza triennale
dall'assembleadei soci (dei possessori cioè delle azioni della società), l'attività di am-
ministrazione e gestione e quella di controllo.
168 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

I poteri di amministrazione e gestione e di rappresentanza della società sono di esclusi-


va pertinenza del consigliodi amministrazioneo - per le società minori e in casi affatto ec-
cezionali come quello di Mapei (cfr. sottoparagrafo 2.3.2)- dell'amministratore unico.
I poteri di controllo sono invece assegnati al collegiosindacale,che "vigila sull'osser-
vanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione
e in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabi-
le adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento". Che non sempre è invece
chiamato a effettuare il controllocontabile,sua prerogativa nel passato, e che quando
lo effettua deve essere costituito da soli revisori autorizzati.
Il controllocontabiledeve essere infatti obbligatoriamente affidato, nelle società quota-
te, a una societàdi revisioneesterna autorizzata (iscritta cioè nel registro dei revisori
contabili istituito presso il Ministero della Giustizia), assoggettata alla vigilanza Con-
sob. O può essere affidato, nelle società non quotate, a un revisoreesterno autorizzato.
Il consigliodi amministrazionesceglie un presidenteal suo interno, se non già designa-
to dall'assemblea, e può delegare (nei limiti consentiti dalla legge, dallo statuto e dal-
l'assemblea) propri poteri al presidentestessoe/o a un cornitatoesecutivocomposto da
alcuni dei suoi componenti e/o a uno o più amministratoridelegati:che "curano che
l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle di-
mensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sin-
dacale, con la periodicità fissata dallo statuto, sul generale andamento della gestione
e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le lo-
ro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società o dalle sue controllate". Il con-
sigliodi amministrazione"determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di
esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a
sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'a-
deguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quan-
do elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sul-
la base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione".
"Lo statuto può subordinare l'assunzione della carica di amministratoreal possesso
di speciali requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza, anche con riferi-
mento ai requisiti al·riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associa-
zioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati": come nel caso
del Codicedi autodisciplina redatto da Borsa Italiana.
~assembleadei soci, in sede ordinaria:
• approva il bilancio (su proposta del consigliodi amministrazione);
• nomina o revoca gli amministratori e nomina i sindaci, determinandone i com-
pensi; nomina, se previsti, la società di revisione o il revisore autorizzato cui è de-
mandato il controllo contabile;
• promuove eventuali azioni di responsabilità nei riguardi degli amministratori e/o
dei sindaci;
e, in sede straordinaria:
• approva le modifiche dello statuto.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 169

ScH EMA 3.5 - Il modello"dualistico"e il modello"monistico"di governance

Al modello tradizionale di governancela riforma ha affiancato altri due modelli che le


società possono alternativamente adottare - il dualistico,vicino alla tradizione franco-
tedesca, e il monistico,vicino a quella anglosassone - che coincidono con i due siste-
mi previsti nello Statuto dellasocietàeuropea(cfr. schema3.6).
Il modellodualisticoprevede la presenza di un consigliodi gestione(managementboard)
e di un consigliodi sorveglianza(supervisory board).Il consigliodi gestione,costituito da
almeno due membri designati dal consigliodi sorveglianza(non al suo interno), do-
vrebbe avere poteri simili a quelli di cui godono nel modello tradizionale il consigliodi
amministrazionee la stessa facoltà di delega. Il consigliodi sorveglianza, costituito da al-
meno tre membri designati dall'assembleaordinaria(almeno unQ dei quali revisoreau-
torizzato), ha sia le funzioni di vigilanza e le responsabilità che sono proprie del colle-
gio sindacale nel modello tradizionale, sia molte delle funzioni dell'assemblea ordina-
ria nell'ambito dello stesso, quali: l'approvazione del bilancio (su proposta del consi-
gliodi gestione);la nomina o revoca dei membri del consiglio di gestione e la determi-
nazione dei relativi compensi; la promozione delle azioni sociali di responsabilità nei
confronti degli stessi. A differenza dell'ordinamento tedesco, il modello italiano non
prevede la presenza nel consiglio di sorveglianza di rappresentanti dei lavoratori.
Per il controllocontabilevalgono le stesse norme del modello tradizionale, eccezion
fatta owiamente per la possibilità di affidamento al collegio sindacale (in quanto ine-
sistente).
~assembleaviene a perdere invece molti poteri rispetto al modello tradizionale.
Spettano a essa in particolare, in sede ordinaria:
• la nomina o revoca dei membri del consiglio di sorveglianza e l'eventuale promo-
zione di azioni di responsabilità nei loro riguardi;
• la determinazione della distribuzione degli utili;
• la scelta della società di revisione o del revisore contabile.
Il modellomonistico,molto più simile al tradizionale di quello dualistico, a differenza
di esso:
• non prevede la presenza del collegiosindacale:da cui il termine monistico,che evi-
denzia l'assenza di contrapposizione fra l'organo di amministrazione e gestione
e quello di controllo;
• prevede invece, in luogo di esso e con compiti sostanzialmente analoghi, la pre-
senza in seno al consigliodi amministrazionedel comitatoper il controllosullage-
stione:formato da amministratori in possesso degli stessi requisiti di indipenden-
za stabiliti per i sindaci ed eventualmente di quelli di onorabilità e professionalità
previsti dallo statuto e comprendente almeno un revisoreautorizzato.

ScH EMA 3.6 - La SE- societaseuropaea

Lo Statuto dellasocietàeuropea- SE- intende rispondere alle esigenze di regole e mec-


canismi giuridici uniformi, immediatamente riconosciuti e applicati da tutti gli Stati
170 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

UE, delle imprese strutturate con più unità operative distribuite sul territorio comunita-
rio: che favoriscano una pianificazione su scala internazionale; che consentano di rea-
lizzare in modo semplificato operazioni straordinarie come le fusioni, le trasformazioni
e le scissioni; che rendano possibili i trasferimenti da uno Stato UE all'altro.
(Dal Regolamento CE 2157/2001 dell'8 ottobre 2001, operativo dalla fine del 2004)
"1.1 Nel territorio della Comunità possono essere costituite società in forma di società
per azioni europea (societàeuropea,in seguito denominata "SE"); 2.1 Le società per
azioni, costituite secondo la legge di uno Stato membro e aventi la sede sociale e
l'amministrazione centrale nella Comunità, possono costituire una SE mediante fu-
sione se almeno due di esse sono soggette alla legge di Stati membri differenti; 5.1 Il
capitale della SE [che deve essere espresso in euro e non essere inferiore a 120 mila
euro], la sua salvaguardia, le sue modificazioni, nonché le azioni, le obbligazioni e gli
altri titoli assimilabili della SE sono disciplinati dalle disposizioni che si applichereb-
bero a una società per azioni con sede nello Stato membro in cui la SE è iscritta; 7.1 La
sede sociale della SE deve essere situata all'interno della Comunità, nello stesso Stato
membro dell'amministrazione centrale; 8.1 La sede sociale della SE può essere trasfe-
rita in un altro Stato membro. Il trasferimento non dà luogo a scioglimento né alla co-
stituzione di una nuova persona giuridica; 8.3 L'organo di direzione o di amministra-
zione redige una relazione nella quale sono spiegati e giustificati gli asp~ettigiuridici
ed economici del trasferimento e sono spiegate le sue conseguenze per gli azionisti,
per i creditori e per i lavoratori".
Tra i primi ad adottare questo modello- nella forma duale- può essere citato il grup-
po multinazionale tedesco Allianz (cfr. sottoparagrafo1.5.2),nell'ambito della sua fu-
sione con la controllata italiana Ras. Lo hanno adottato anche, fra le altre, le tedesche
Porsche (automobili), Man (veicoli commerciali) e BASF (chimica): anche per la mag-
giore flessibilità del duale "europeo"rispetto al duale "tedesco".

Per quanto concerne i codici di autodisciplina, il più rilevante nel nostro paese
è il Codicedi autodisciplina (o CodicePreda dal nome del suo promotore) promos-
so dalla società - Borsa Italiana - che gestisce il nostro mercato azionario, da es-
sa reso cogente per le società di nuova quotazione e da ·essa fortemente racco-
mandato alle società già quotate (cui è fatto obbligo comunque di dare giustifi-
cazione formale al mercato delle ragioni dell'eventuale non adozione).
Il Codice- messo a punto per la prima volta nel 1999 - ha anticipato diversi
punti ripresi poi dalla riforma ed è stato in seguito modificato anche in con-
seguenza della riforma: perché alcune norme da esso consigliate sono diven-
tate legge e perché il modell,odi governance cui esso faceva esclusivo riferimento
era quello tradizionale. Esso viene proposto alla lettura (cfr. schema 3. 7), an-
che se in forma non integrale, per due ragioni:
• una strettamente di merito: perché permette di meglio comprendere la
natura degli organi di controllo e dei meccanismi decisionali che posso-
no migliorare la governance e la tipologia dei principali conflitti di inte-
resse;
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 171

• l'altra di carattere generale: perché fornisce al lettore, anche se questa


non era owiamente la sua finalità, un quadro dell'intergioco nel sistema
tradizionale (con cenni agli altri sistemi) fra i diversi organi - l'assem-
blea dei soci, il consiglio di amn1inistrazione, il presidente, gli ammini-
stratori delegati, i sindaci - preposti al governo delle società per azioni
(anche delle non quotate, con l'eccezione di quelle che per ragioni di
dimensione e/ o di concentrazione della proprietà ricorrono all'ammi-
nistratore unico) .

Il Codice di autodisciplina attualmente in vigore (reperibile in forma completa sul sito di


Borsa Italiana) è quello messo a punto nel marzo 2006 dal Comitato per la Corporate Gover-
nance di Borsa Italiana e successivamente modificato nel marzo 2010 relativamente al tema
- emerso come estremamente critico con la crisi del 2008 - della '1Remunerazione degli am-
ministratori" (art. 7). Nel giugno 2011, in vista del nuovo aggiornamento del Codice previ-
sto, il Comitato - promosso dalle principali associazioni degli emittenti e degli intermediari
(Confindustria, Assonime, Assogestioni, Ahi, Ania e Borsa Italiana) - ha deliberato di acqui-
sire una maggiore autonomia rispetto a Borsa Italiana.

ScHEMA 3.7 - Il Codicedi autodisciplinaper le societàquotate

Consigliodi amministrazione
1.P.1. l'.emittente [owero la società quotata] è guidato da un consiglio di amministra-
zione che si riunisce con regolare cadenza e che si organizza ed opera in modo
da garantire un efficace svolgimento delle proprie funzioni.
1.P.2. Gli amministratori agiscono e deliberano con cognizione di causa ed in auto-
nomia, perseguendo l'obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azio-
nisti. Coerentemente con tale obiettivo, gli amministratori, nello svolgimento
dell'incarico, tengono anche conto delle direttive e politiche definite per il grup-
po di cui l'emittente è parte nonché dei benefici derivanti dall'appartenenza al
gruppo medesimo.
1.C.1. Il consiglio di amministrazione:
a) esamina e approva i piani strategici, industriali e finanziari dell'emittente e
del gruppo di cui esso sia a capo, il sistema di governo societario dell'emit-
tente stesso e la struttura del gruppo medesimo;
b) valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile
generale dell'emittente e delle controllate aventi rilevanza strategica predi-
sposto dagli amministratori delegati, con particolare riferimento al sistema
di controllo interno e alla gestione dei conflitti di interesse;
I
c) attribuisce e revoca le deleghe agli amministratori delegati ed al comitato
esecutivo definendone i limiti e le modalità di esercizio; stabilisce altresì la
periodicità, comunque non superiore al trimestre, con la quale gli organi de-
legati devono riferire al consiglio circa l'attività svolta nell'esercizio delle de-
leghe loro conferite;
d) determina, esaminate le proposte dell'apposito comitato e sentito il collegio
sindacale, la remunerazione degli amministratori delegati e degli altri am-
172 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ministratori che ricoprono particolari cariche, nonché, qualora non vi abbia


già proweduto l'assemblea, la suddivisione del compenso globale spettan-
te ai membri del consiglio;
e) valuta il generale andamento della gestione, tenendo in considerazione, in
particolare, le informazioni ricevute dagli organi delegati, nonché confron-
tando, periodicamente, i risultati conseguiti con quelli programmati;
f) esamina e approva preventivamente le operazioni dell'emittente e delle sue
controllate, quando tali operazioni abbiano un significativo rilievo strategi-
co, economico, patrimoniale o finanziario per l'emittente stesso, prestando
particolare attenzione alle situazioni in cui uno o più amministratori siano
portatori di un interesse per conto proprio o di terzi e, più in generale, alle
operazioni con parti correlate; a tal fine stabilisce criteri generali per indivi-
duare le operazioni di significativo rilievo;
g) effettua, almeno una volta all'anno, una valutazione sulla dimensione, sulla
composizione e sul funzionamento del consiglio stesso e dei suoi comitati,
eventualmente esprimendo orientamenti sulle figure professionali la cui
presenza in consiglio sia ritenuta opportuna;
h) fornisce informativa, nella relazione sul governo societario, sulle modalità di
applicazione del presente art. 1 e, in particolare, sul numero delle riunioni
del consiglio e del comitato esecutivo, ove presente, tenutesi nel corso del-
l'esercizio e sulla relativa percentuale di partecipazione di ciascun ammini-
stratore.
2.P.1. Il consiglio di amministrazione è composto da amministratori esecutivi e non
esecutivi.
2.P.2. Gli amministratori non esecutivi apportano le loro specifiche competenze alle
discussioni consiliari, contribuendo all'assunzione di decisioni equilibrate e
prestando particolare cura alle aree in cui possono manifestarsi conflitti di inte-
resse.
2.P.3. Il numero, la competenza, l'autorevolezza e la disponibilità di tempo degli.am-
ministratori non esecutivi sono tali da garantire che il loro giudizio possa avere
un peso significativo nell'assunzione delle decisioni consiliari.
2.P-4. È opportuno evitare la concentrazione di cariche sociali in una sola persona.
3.P.1. Un numero adeguato di amministratori non esecutivi ·sono indipendenti, nel
senso che non intrattengono, né hanno di recente intrattenuto, neppure indiret-
tamente, con l'emittente o con soggetti legati all'emittente, relazioni tali da con-
dizionarne attualmente l'autonomia di giudizio.
3.P.2. L'indipendenza degli amministratori è periodicamente valutata dal consiglio
di amministrazione. L'esito delle valutazioni del consiglio è comunicato al
mercato.
3-C.6.Gli amministratori indipendenti si riuniscono almeno una volta all'anno in as-
senza degli altri amministratori.

Collegiosindacale
10.P.1. La nomina dei sindaci awiene secondo un procedimento trasparente. Esso ga-
rantisce, tra l'altro, tempestiva e adeguata informazione sulle caratteristiche
personali e professionali dei candidati alla carica.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 173

10.P.2.I sindaci agiscono con autonomia ed indipendenza anche nei confronti degli
azionisti che li hanno eletti.
10.P.3.L'.emittente predispone le misure atte a garantire un efficace svolgimento dei
compiti propri del collegio sindacale.

Remunerazioni
7.P.1. La remunerazione degli amministratori e dei dirigenti con responsabilità strategi-
che è stabilita in misura sufficiente ad attrarre, trattenere e motivare persone do-
tate delle qualità professionali richieste per gestire con successo l'emittente.
7.P.2. La remunerazione[ ...] è definita in modo tale da allineare gli interessi con il per-
seguimento dell'obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azionisti in
un orizzonte di medio-lungo periodo. [...] Una parte significativa è legata al rag-
giungimento di specifici obiettivi di performance, anche di natura non econo-
mica, preventivamente indicati. [...] La remunerazione aegli amministratori
non esecutivi è commisurata all'impegno richiesto a ciascuno di essi, tenuto
anche conto dell'eventuale partecipazione ad uno o più comitati.
7.P.3. Il consiglio di amministrazione costituisce al proprio interno un comitato per
la remunerazione, composto da amministratori non esecutivi, la maggioranza
dei quali indipendenti. [...]
7.C.1. La politica generale per la remunerazione [...] definisce linee guida con riferi-
mento alle tematiche e in coerenza con i criteri seguenti:
a) la componente fissa e la componente variabile sono adeguatamente bilan-
ciate in funzione degli obiettivi strategici e della politica di gestione dei rischi
dell'emittente[ ...];
b) sono previsti limiti massimi per le componenti variabili;
c) la componente fissa è sufficiente a remunerare la prestazione dell'ammini-
stratore nel caso in cui la componente variabile non fosse erogata [...];
d) gli obiettivi di performance[ ...] cui è collegata l'erogazione delle componen-
ti variabili[ ...] sono predeterminati, misurabili e collegati alla creazione di va-
lore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo;
e) la corresponsione di una porzione rilevante della componente variabile del-
la remunerazione è differita di un adeguato lasso temporale rispetto al mo-
mento della maturazione; [...]
f) l'indennità eventualmente prevista per la cessazione anticipata del rapporto
di amministrazione o per il suo mancato rinnovo è definita in modo tale che
il suo ammontare complessivo non superi un determinato importo[ ...]; non
è corrisposta se la cessazione del rapporto è dovuta al raggiungimento di ri-
sultati obiettivamente inadeguati.
7.C.2. Nel predisporre piani di remunerazione basati su azioni, il consiglio di ammi-
nistrazione assicura che:
a) le azioni, le opzioni ed ogni altro diritto assegnato agli,amministratori di ac-
quistare azioni o di essere remunerati sulla base dell'andamento del prezzo
delle azioni abbiano un periodo di vesting[ovvero di attesa prima di poter
godere delle assegnazioni] pari ad almeno tre anni;
b) il vestingsia soggetto a obiettivi di performance predeterminati e misurabili;
c) gli amministratori mantengano sino al termine del mandato una quota del-
le azioni assegnate o acquistate attraverso l'esercizio [di tali] diritti.
174 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Controllointerno
8.P.1. Il sistema di controllo interno è l'insieme delle regole, delle procedure e delle
strutture organizzative volte a consentire, attraverso un adeguato processo di
identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una
conduzione dell'impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati.
8.P.2. Un efficace sistema di controllo interno contribuisce a garantire la salvaguardia
del patrimonio sociale, l'efficienza e l'efficacia delle operazioni aziendali, l'affi-
dabilità dell'informazione finanziaria, il rispetto di leggi e regolamenti.
8.P.3. Il consiglio di amministrazione valuta l'adeguatezza del sistema di controllo in-
terno rispetto alle caratteristiche dell'impresa.
8.P.4. Il consiglio di amministrazione assicura che le proprie valutazioni e decisioni
relative al sistema di controllo interno, alla approvazione dei bilanci e delle rela-
zioni semestrali ed ai rapporti tra l'emittente ed il revisore esterno siano sup-
portate da un'adeguata attività istruttoria. A tal fine il consiglio di amministra-
zione costituisce un comitato per il controllo interno, composto da ammini-
stratori non esecutivi, la maggioranza dei quali indipendenti. Se l'emittente è
controllato da altra società quotata, il comitato per il controllo interno è com-
posto esclusivamente da amministratori indipendenti. Almeno un componen-
te del comitato possiede una adeguata esperienza in materia contabile e finan-
ziaria, da valutarsi dal consiglio di amministrazione al momento della nomina.
8.C.1. Il consiglio di amministrazione, con l'assistenza del comitato per il controllo
interno:
a) definisce le linee di indirizzo del sistema di controllo interno, in modo che i
principali rischi afferenti all'emittente e alle sue controllate risultino corretta-
mente identificati, nonché adeguatamente misurati, gestiti e monitorati, de-
terminando inoltre criteri di compatibilità di tali rischi con una sana e còrret-
ta gestione dell'impresa;
b) individua un amministratore esecutivo (di norma, uno degli amministratori
delegati) incaricato di sovrintendere alla funzionalità del sistema di control-
lo interno;
c) valuta, con cadenza almeno annuale, l'adeguatezza, l'efficacia e l'effettivo
funzionamento del sistema di controllo interno;
d) descrive, nella relazione sul governo societario, gli elementi essenziali del si-
stema di controllo interno, esprimendo la propria valutazione sull'adegua-
tezza complessiva dello stesso.
11consiglio di amministrazione, inoltre, su proposta dell'amministratore ese-
cutivo incaricato di sovrintendere alla funzionalità del sistema di controllo in-
terno e sentito il parere del comitato per il controllo interno, nomina e revoca
uno o più soggetti preposti al controllo interno e ne definisce la remunerazione
coerentemente con le politiche aziendali.
8.C.3. 11comitato per il controllo interno, oltre ad assistere il consiglio di amministra-
zione nell'espletamento dei compiti indicati nel criterio 8.C.1:
a) valuta, unitamente al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabi-
li societari ed ai revisori, il corretto utilizzo dei principi contabili e, nel caso di
gruppi, la loro omogeneità ai fini della redazione del bilancio consolidato·,
b) su richiesta dell'amministratore esecutivo all'uopo incaricato esprime pare-
ri su specifici aspetti inerenti alla identificazione dei principali rischi azien-
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 175

dali nonché alla progettazione, realizzazione e gestione del sistema di con-


trollo interno;
c) esamina il piano di lavoro preparato dai preposti al controllo interno nonché
le relazioni periodiche da essi predisposte;
d) valuta le proposte formulate dalle società di revisione per ottenere l'affida-
mento del relativo incarico, nonché il piano di lavoro predisposto per la revi-
sione e i risultati esposti nella relazione e nella eventuale lettera di suggeri-
menti;
e) vigila sull'efficacia del processo di revisione contabile;
f) svolge gli ulteriori compiti che gli vengono attribuiti dal consiglio di ammini-
strazione;
g) riferisce al consiglio, almeno semestralmente, in occasione dell'approvazio-
ne del bilancio e della relazione semestrale, sull'attività svolta nonché sull'a-
deguatezza del sistema di controllo interno.
8.C.7. ~emittente istituisce una funzione di internal audit. Il preposto al controllo in-
terno si identifica, di regola, con il responsabile di tale funzione aziendale.
8.C.8. La funzione di internal audit, nel suo complesso o per segmenti di operatività,
può essere affidata a soggetti esterni all'emittente, purché dotati di adeguati re-
quisiti di professionalità e indipendenza; a tali soggetti può anche essere attri-
buito il ruolo di preposto al controllo interno. ~adozione di tali scelte organiz-
zative, adeguatamente motivata, è comunicata agli azionisti e al mercato nel-
l'ambito della relazione sul governo societario.

Operazionicon parti correlate


9.C.1. Il consiglio di amministrazione, sentito il comitato per il controllo interno, sta-
bilisce le modalità di approvazione e di esecuzione delle operazioni poste in es-
sere dall'emittente, o dalle sue controllate, con parti correlate. Definisce, in par-
ticolare, le specifiche operazioni (ovvero determina i criteri per individuare le
operazioni) che debbono essere approvate previo parere dello stesso comitato
per il controllo interno e/o con l'assistenza di esperti indipendenti.
9.C.2. Il consiglio di amministrazione adotta soluzioni operative idonee ad agevolare
l'individuazione ed una adeguata gestione delle situazioni in cui un ammini-
stratore sia portatore di un interesse per conto proprio o di terzi.

Rapporticon gli azionisti


11.P.1. Il consiglio di amministrazione promuove iniziative volte a favorire la parteci-
pazione più ampia possibile degli azionisti alle assemblee e a rendere agevole
l'esercizio dei diritti dei soci.
11.P.2. li consiglio di amministrazione si adopera per instaurare un dialogo continuati-
vo con gli azionisti fondato sulla comprensione dei reciproci ruoli.
11.C.1.Il consiglio di amministrazione si adopera per rendere tempestivo e agevole
l'accesso alle informazioni concernenti l'emittente che rivestono rilievo per i
propri azionisti, in modo da consentire a questi ultimi un esercizio consapevo-
le dei propri diritti. A tal fine l'emittente istituisce un'apposita sezione nell'am-
bito del proprio sito internet, facilmente individuabile ed accessibile, nella qua-
le sono messe a disposizione le predette informazioni, con particolare riferi-
mento alle modalità previste per la partecipazione e l'esercizio del diritto divo-
176 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

to in assemblea, nonché alla documentazione relativa agli argomenti posti al-


l'ordine del giorno, ivi incluse le liste di candidati alle cariche di amministratore
e di sindaco con l'indicazione delle relative caratteristiche personali e profes-
sionali.
11.C.2. li consiglio di amministrazione assicura che venga identificato un responsabile
incaricato della gestione dei rapporti con gli azionisti e valuta periodicamente
l'opportunità di procedere alla costituzione di una struttura aziendale incarica-
ta di tale funzione.

3.3 Latrasparenzae la fedeltàdellecomunicazionisociali

La trasparenza su tutto ciò che concerne i meccanismi di governancee i princi-


pi cui si impronta l'azione dell'impresa, da un lato, e la fedeltà e~correttezza
nel comunicare (nei tempi dovuti e con le modalità prescritte) i dati sull'an-
damento della gestione e sulla situazione patrimoniale e finanziaria dell'im-
presa, dall'altro, rappresentano un'importante garanzia - imposta dal Codice
Civile e ben presente nel Codice di autodisciplina delle società quotate - sia
per gli sharehouler(esistenti e potenziali) che non partecipano direttamente
alla gestione sia per gli stakehouler.
Analogamente a quanto avvenuto per le regole sulla governance,le innova-
zioni introdotte nel Codice Civile dalla riforma si sono ispirate al duplice prin-
cipio di imporre da un lato un'informazione più razionale e trasparente, ma
di graduarne dall'altro la quantità (con i connessi costi interni di raccolta ed
elaborazione) in funzione della dimensione e dei soggetti coinvolti. In parti-
colare esse hanno puntato a:
• eliminare le distorsioni nella presentazione delle diverse poste dello sta-
to patrimoniale e del conto economico che potessero nascere dall'inter-
ferenza con la normativa fiscale;
• fornire un quadro chiaro e preciso della formazione e utilizzo delle po-
ste del patrimonio netto (ovvero dello schema di cashjlow);
• prevedere la possibilità, per i gruppi a maggiore vocazione internaziona-
le, di predisporre bilanci consolidati: bilanci cioè che, una volta definito
il perimetro del gruppo, ne mettessero in luce lo stato patrimoniale e il
conto economico in termini complessivi, a prescindere dall'articolazio-
ne societaria interna (quindi escludendo, ad esempio, dai ricavi consoli-
dati le vendite fra società del gruppo), ed evidenziassero gli eventuali in-
teressi dei terzi (degli azionisti, cioè delle società del gruppo non posse-
dute integralmente dalla houling);
• prevedere la possibilità, per le società viceversa a controllo molto con-
centrato, di predisporre schemi più sintetici.
La formulazione del bilanciosocietarioè stata nel contempo significativamente
modificata a partire dal 2005, con cogenzaper le società quotate e per la quasi
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 177

totalità di quelle (anche se non quotate) bancario-finanziario-assicurative,


dall'introduzione da parte dell'UE (cfr. Parte terza) - accolta nel Codice Civile
- degli Ifrs-International Finanrial Reporting Standards o (utilizzando il vecchio
nome come spesso viene fatto) Ias-International Accounting Standards.

Ladisciplinadi bilanciointrodottadallariforma

I nuovi standard Ias-Ifrs introdotti dall'UE, più vicini a quelli GAAPstatuniten-


si, si sono ispirati all'ambizioso (e complesso) obiettivo di fondo di garantire
una valorizzazione più realistica, nell'ambito dello stato patrimoniale, degli asset
dell'impresa: avvirinando il cosiddetto valnre di libro - quello desumibile ap-
punto dallo stato patrimoniaie - al valnre economico e al valnre di mercato dell'im-
presa stessa (cfr. capitow 4). Alla logica tradizionale di valorizzare gli asset in ba-
se al loro costo storico di acquisizione è stata in larga misura sostituita quella
del fair value, che richiede il riaggiornamento costante dei valori sulla base del
mercato o (in caso di impossibilità) sulla base di valutazioni indirette ad hoc
che tengano conto del mercato. Al centro del cambiamento stanno soprattut-
to gli asset di natura finanziaria: ovviamente determinanti per il loro peso nel-
le società operanti nell'ambito bancario-finanziario-assicurativo, ma di rile-
vanza crescente - in connessione con la crescente finanziarizzazione- anche in
molte società operanti nell'ambito dell'industria e dei servizi non finanziari.
Non è stata però ancora conseguita al momento dell'uscita di questo libro,
nonostante la prossimità fra Ias-Ifrs e GAAP, l'unificazione degli standard su
scala mondiale (che richiederebbe peraltro anche l'adeguamento di quelli ci-
nesi e giapponesi): un obiettivo importante, che renderebbe finalmente com-
parabili - in un mercato finanziario sempre più globalizzato - i risultati delle
imprese operanti nelle varie parti del mondo.

Diversi passi sono però stati fatti. Nel 2007 (da The Wall Street]ournal del 21.6.2007, "Is end
near for 'U.S. only' accounting?", di Kara Scannell e David Reilly): 'The SEC-Securities and
Exchange Commission [l'equivalente della Consob italiana] took its first step toward em-
bracing international accounting standards for all companies that file financial reports in
the U.S. The SEC yesterday voted unanimously to propose allowing companies based out-
side the US to file financial results using international financial reporting standards, or Ifrs,
as set by the IASB-International Accounting Standards Board [l' authority UE] -without rec-
onciling the figures to US generally accepted accounting principles, or GAAP, and highlight-
ing the differences, as is now required. [...] Differences between the two accounting systems
make it difficult for investors to compare companies, even firms in the same industry. Under
US GAAP, research and development costs, for example, are generally expensed when they
occur. Under the international standards, once a project gets to t9e development stage, costs
are spread out over time. The upshot is that a company could show different operating in-
come and net profit depending on which system they use [...]".Nel 2011 (dal Financial Times
del 26.1.2011, "Fair value accounting"): 'The new chairman of the FASB-Financial Account-
ing Standards Board [I' authority statunitense] announced a reversal of the board's most con-
troversial piece of regulation: mark-to-market accounting [owero le modalità di utilizzo del cri-
terio del fair value]. Instead of forcing companies, particularly banks, to value their financial
178 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

assets at market values, the new rules will allow them to value certain ones at historic values,
even when the market for those assets falls. [...] The compromise brings US standards more
into line with the rest of the world, aiding the process of converging the FASB's rules with
those of the IASB. [...] A positive result would then piace significant pressure on China and
Japan - among the last remaining countries which use their own modified rules- to fall into
line". Ancora nel 2011 (dal Financial Tirnesdel 22.4.2011, "IASB optimistic on US rules tim-
ing", di AdamJones): 'The chairman of the IASB said the US could still decide in 2011 to
drop its domestic accounting standards, known as US GAAP. The IASB wants the US to move
to its 1.frsaccounting norms - followed in the European Union and some other countries -
amid politica! pressure fora global financial reporting language. Supporters of an 'Esperan-
to for accounting' claim it would benefit investors, companies and regulators [ ...] ".

La cogenzadell'adozione degli Ias-Ifrssolo per le imprese quotate e quelle ban-


cario-finanziario-assicurative e viceversa il mantenimento degli standard tradi-
zionali per la massa delle altre hanno come conseguenza la non comparabilità
dei bilanci anche di imprese che competono nella stessa area di business. Lo
schema3.8, evidenziando i cambiamenti awenuti per un insieme significativo
di grandi gruppi con il passaggio dal vecchio al nuovo standard (relativamente
all'unico anno per cui i gruppi stessi hanno avuto l'obbligo di predisporre le
due formulazioni), permette di comprendere meglio la portata del problema.
L'estensione dell'obbligatorietà degli las-1.frsa tutte le imprese, in particola-
re a quelle (numerosissime nel nostro paese) medio-piccole, non è però fra le
opzioni possibili: perché molto minori sono in generale le esigenze di traspa-
renza informativa, se le imprese hanno (non essendo quotate) un numero li-
mitato di azionisti e ancor più se sono piccole; perché troppo oneroso sareb-
be per esse l'uso di standard che richiedono un expertise avanzato. Di qui l'i-
dea di introdurre una versione semplificata degli Ias-Ifrs,in grado di accresce-
re la comparabilità senza oneri eccessivi.per le imprese: un'idea decollata
operativamente nel 2007, ma non ancora tradotta in normativa - nonostante
i passi avanti compiuti - al momento della pubblicazio:µe di questo libro.

ScH EMA 3.8 - Il bilanciosocietariocambiacon lo standardcontabileutilizzato

L'.usodi standard contabili differenti fa/sa, talora profondamente, la comparazione fra


i bilanci di imprese diverse. Il confronto fra il bilancio di Vodafone (cfr. sottoparagrafo
1.5.1)con lo standard tradizionalee con gli las-lfrspuò essere illuminante a questo pro-
posito. "New rules help Vodafone" era il titolo di una notizia di agenzia riportata dal-
1'lnternationalHera/dTribuneil 13.7.2005. "Vodafone Group, the largest mobile phone
operator, said it would have posted a [6.41 billion, or $11.3 billion, profìt for its latest
fìnancial year under new international accounting rules in force in 2005. The figure for
t_he12 months ended March, restated under lfrs, compares with a net loss of [7.54 bil-
lion that the company reported under British accounting rules in May.Vodafone,
whi~h no longer amortizes goodwill under the international standars, has posted fìve
stra1ght annual losses, writing down goodwill tied to acquisitions, including the pur-
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 179

chase of Germany's Mannesmann [e conseguentemente della nostra Omnitel (dive-


nuta poi Vodafone Italia) da essa controllata] in 2000". Un impatto estremamente vi-
stoso, che in misura più o meno rilevante tocca tutti i gruppi cresciuti con le acquisi-
zioni: che con gli las-lfrsnon possono e non devono includere come costo la quota
annua di ammortamento del goodwi/1, di quello che in italiano viene chiamato avvia-
mento, ossia della differenza fra il prezzo pagato per l'acquisizione e il valore di libro
(cfr. capitolo4) della società acquisita; ma che devono vedere il goodwi/1come una
"parte integrante" del valore complessivo del patrimonio, da svalutare solamente nel
caso in cui se ne verifichi (nei controlli sistematici cui è sottoposta la società acqui-
rente) una perdita di aderenza alla realtà. Anche per Telecom Italia (cfr. sottoparagrafo
1.5.2),che essa pure ha operato importanti acquisizioni, l'effetto goodwi/1è rilevante:
l'utile 2004 che emerge dalla riclassificazione supera del 163 per cento - , ,8 invece
che 0,78 miliardi di € - quello calcolato con i criteri contabili tradizionali.Ma non vi è
solo l'effetto goodwi/1. I ricavi riclassificati scendono ad esempio da Jl,2 a 28,6 miliardi
di€: perché sparisce (essendo trattata in maniera diversa) la componente relativa alle
attività consolidate già vendute o destinate a essere cedute - le cosiddette disconti-
nued operations(nella fattispecie quelle relative a Finsiel, Digitel Venezuela, Tim Hel-
las ed Entel Chile, oggetto di alienazione nel 2004 o nella prima parte del 2005) - e
perché ad esempio vengono differite nel tempo le componenti relative ai ricavi da atti-
vazione del servizio telefonico (spalmati sulla base della durata del rapporto con i
clienti) e da ricarica delle carte prepagate (spostatial momento dell'utilizzo). Le varia-
zioni che gli las-lfrshanno introdotto nei criteri di consolidamento - quali società par-
tecipate consolidare(integrando i loro dati rigaper riganello stato patrimoniale e nel
conto economico consolidato) e quali valutare invece a patrimonio netto (inserendo
soltanto il valore attribuito alla partecipazione fra gli asset)- hanno invece un ruolo ri-
levante nelle riclassificazioni effettuate da Fiat, ove l'indebitamento netto passa da
13,3a 25,4 miliardi di€ per il consolidamento di Banca Unione di Credito (prima vice-
versa valutata a patrimonio netto per la sua eccentricità rispetto ai business core).
L'obbligo di valutare alfair value- invece che al costo storico di acquisto - i titoli e le
attività finanziarie potenzialmente oggetto di cessione ha effetti rilevanti soprattutto
per le società bancarie e assicurative: quali BN L (successivamente scalata dal gruppo
francese BNP Paribas), che vede il suo attivo patrimoniale rivalutarsi di circa 4 miliar-
di e mezzo di€. Così come talora hanno un impatto significativo le diverse logiche di
capitalizzazione degli investimentiimmateriali:con gli las-lfrsnon sono ad esempio ca-
pitalizzabili - ma devono essere considerate integralmente come costidi esercizio- le
spese di ricerca, pubblicità, formazione e ristrutturazione; mentre devono essere ob-
bligatoriamente capitalizzate le spese di sviluppo, che a differenza di quelle di ricerca
hanno obiettivi di ritorno futuro molto più determinati e precisi.

3.4 La punibilitàdell'impresaper i reatisocietari

Il Decreto legislativo 231/2001, "Disciplina della responsabilità amministrati-


va delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di
personalità giuridica", ha introdotto nell'ordinamento italiano la responsa!Jilità
180 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

direttadelle imprese per reati commessia lorovantaggi,oe nel lorointeresse- princi-


palmente a danno dello Stato o di enti pubblici - quali la c~nc~ssione: la cor-
ruzione, la malversazione, l'indebita percezione di erogaz1on1 pubbhche, la
truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Lo ha fatto in ossequio a: .
• la Convenzione Europea del 26 maggio 1997, relativa alla lotta contro la corruzione nel-
la quale siano coinvolti funzionari delle Comunità Europee o degli Stati membri dell'U-
nione Europea;
• la Convenzione OCSE del 17 settembre 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici uffi-
ciali nelle operazioni economiche internazionali.

Nel 2009, con le leggi n. 94 e n. 99, è stato notevolmente allargato il novero


dei reati societari,includendone (o ampliando la portata di) altri a danno del
buon funzionamento del mercato, quali le frodi commerciali e le contraffa-
zioni nelle loro diverse forme e le false comunicazioni sociali.

Tra i nuovi reati appaiono: la contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ov-
vero di brevetti, modelli e disegni; l'introduzione nello Stato e il commercio di prodotti con se-
gni falsi; la vendita di prodotti industriali con segni mendaci; la fabbricazione e il commercio
di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale; la turbata libertà dell'industria o del
commercio; le frodi contro le industrie nazionali; la frode nell'esercizio del commercio; l'ille-
cita concorrenza con minaccia o violenza; la vendita di sostanze alimentari non genuine come
genuine; la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti
agro-alimentari. Tra i reati relativi a violazioni di norme del Codice Civile: le false comunica-
zioni sociali; l'impedito controllo; l'omessa comunicazione del conflitto di interessi da parte
degli amministratori; l'infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità; l'ostacolo all'eserci-
zio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. E anche: i delitti di associazione a de-
linquere finalizzata alla riduzione o al mantenimento in schiavitù, alla tratta di persone, all'ac-
quisto e alienazione di schiavi e ai reati concernenti le violazioni delle disposizioni sull'immi-
grazione clandestina; le associazioni di tipo mafioso anche straniere; lo scambio elettorale po-
litico-mafioso; il sequestro di persona a scopo di estorsione; l'associazione a delinquere finaliz-
zata allo spaccio di sostanze stupefacenti o psicotrope; l'associazione per delinquere; i delitti
concernenti la fabbricazione e il traffico di armi da guerra, 'esplosivi e armi clandestine.

In particolare è previsto che la società-impresa sia responsabile-e quindi poten-


ziale oggetto di sanzioni (sino alla sospensione dell'attività) - per i reati com-
messi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di
rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'impresa stessa o di una
sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché
da persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza. Ma è previsto anche che
la società-impresa venga ritenuta non responsabilese può dimostrare che:
• il suo consiglio di amministrazione ha adottato ed efficacemente attuato,
prima che i reati fossero commessi, sistemi di organizzazione e di gestione
idonei a prevenire reati di tale specie;
• il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei sistemi pre-
detti e di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo
interno dotato di poteri autonomi di iniziativa e di controllo e non vi è sta-
ta omessa o insufficiente vigilanza da parte di tale organismo;
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 181

• le persone hanno commesso i reati eludendo fraudolentemente i sistemi


di organizzazione e di gestione.
La società-impresa deve inoltre:
• individuare preventivamente le attività in cui i reati possono essere com-
messi;
• prevedere specifici protocolli per programmare la formazione e l'attua-
zione delle decisioni in materia;
• individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impe-
dire i reati;
• prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo depu-
tato al controllo;
• introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispet-
to delle misure messe a punto.
Vengono resi in altre parole molto più stringenti e più puntuali i compiti del
controllointerno nel garantire il rispetto di leggi e regolamenti. Controllare di-
venta un obbligo. Omettere il controllo significa per la società-impresa assu-
mersi il rischio di essere punita penalmente: con conseguenze potenzialmen-
te molto pesanti per il suo valore - nel caso estremo di chiusura ma anche, ad
esempio, nel caso di inibizione a partecipare a gare pubbliche dell'impresa -
e quindi per i suoi shareholder.

"È stata pronunciata a Milano (da Il Sole 24 Ore del 21.3.2007, "Dal decreto 231 prima con-
danna", di Giovanni Negri) la prima condanna dibattimentale di una società per effetto del
Decreto legislativo n. 231 del 2001. La Decima sezione penale del tribunale ha condannato
la MyChef, società che opera nel settore della ristorazione e dei buoni pasto, a una sanzione
pecuniaria di 75 mila euro, al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per la
durata di un anno e alla confisca di un milione di euro, considerato frutto del reato. [ ...] Si-
nora la disciplina che ha introdotto sei anni fa nel nostro ordinamento la responsabilità del-
la società per reati commessi da propri dipendenti, ma dai quali ha tratto vantaggio, è stata
applicata solo in ambito cautelare o all'esito di un patteggiamento. In questo caso, invece, la
società ha scelto di andare al dibattimento e ha subìto una condanna che abbina, secondo lo
schema 'classico' del decreto 231, la misura pecuniaria (sanzione più confisca, con quest'ul-
tima sempre obbligatoria) alla misura interdittiva. Anche l'apparato sanzionatorio costitui-
sce una novità assoluta, visto che a una multa individuata con il sistema delle quote che van-
no da un minimo a un massimo per lasciare al giudice la massima flessibilità nell'infliggere
la pena, si può accompagnare (anche in via cautelare) un'altra tipologia di sanzioni, forse
più temute della stessa misura pecuniaria. In alcuni casi si può andare infatti sino al blocco
dell'attività o, quando ci sia pericolo per la salvaguardia dell'occupazione, al commissaria-
mento. Ma è anche prevista - ed è stata applicata in questo caso - la sospensione della con-
trattazione con la pubblica amministrazione (che per un'azienda abituata a reggersi sulle
commesse pubbliche rischia di avere effetti equivalenti alla chiusura) oppure il divieto di far-
si pubblicità. Inizialmente circoscritta ai reati commessi nell'ambito delle relazioni con la
pubblica amministrazione (e quindi soprattutto corruzione, concufsione, indebita percezio-
ne di finanziamenti), la disciplina ha poi gradualmente allargato il proprio perimetro agli il-
leciti societari e finanziari [...] ".
Ma tre anni dopo lo stesso autore sullo stesso quotidiano ("In tribunale funziona l'ombrello
della 231 ") scriveva: "Le cose potrebbero iniziare a cambiare. [...] La possibilità [di non con-
danna per le imprese che avessero adottato congrui modelli organizzativi] sinora era stata
soprattutto teorica, visto che i pubblici ministeri avevano avuto gioco facile nei procedimenti
contro le società: la maggioranza di queste non aveva infatti adottato modelli [ ...] e [anche
182 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

in presenza di essi] - è il caso per esempio di Impregilo ~ella vicend~ pe~ale sugli_appalti per
lo smaltimento dei rifiuti in Campania - ne era stata d1 fatto sancita 1mefficac1a. [...] Ora
una sentenza del tribunale di Milano, lo scorso 17 novembre, ha prosciolto una società- [cu-
riosamente] la stessa Impregilo - sulla base della sua condotta 'virtuosa'. La società, condot-
ta sul banco degli imputati per avere tratto un beneficio dal reato di aggiotaggio informativo
compiuto da suoi manager, aveva inserito specifiche misure organizzative sin dal 2003, [...]
anticipando di gran lunga le maggiori imprese del comparto, e inoltre dal 2000 aveva adot-
tato un sistema di controllo interno basato sui principi del Codice di autodisciplina di Borsa
Italiana [...] ".

3.5 La responsabilità
socialedell'impresa

La spinta verso un comportamentopiù proattivo da parte dell'impresa (cfr. sotto-


paragrafo 2.2.3) non solo nell'evitare azioni che vengano percepite come so-
cialmentenon responsabilio addirittura vengano sanzionate dalla legge, ma an-
che nel promuovere la sua immagi,nesocialRe nell'impegnarsi per costruire
rapporti di maggiore fiducia con specifici stakehol,der(ad esempio con le col-
lettività locali in tema di salvaguardia dell'ambiente) e/o con il mercato fi-
nanziario, ha origini diverse (spesso complementari fra loro):
• proviene, come detto, da una società sempre più attenta, nei paesi avan-
zati, alla salvaguardia e alla promozione dei propri diritti e sempre più
pronta a reagire - con richieste di risarcimenti talora esorbitanti e/ o con
cali talora verticali negli acquisti - ad azioni che li ledano direttamente
(disastri ambientali, inganni o truffe ai danni della clientela ecc.) o che
offendano i valori di fondo (sfruttamento anche indiretto del lavoro mi-
norile ecc.);
• proviene dal mercato finanziario internazionale, e in particolar~ dal biso-
gno di rassicurazione di investitori sempre più lnntani (a seguito dei feno-
meni di globalizzazione) dalle imprese in cui mettono il loro denaro e da
molti dei paesi in cui queste disperdono le loro attività: consci delle con-
seguenze, sulla profittabilità e sulla capitalizzazione di borsa delle impre-
se stesse, delle eventuali sanzioni erogate dalle autorità pubbliche e delle
eventuali reazioni (sopra accennate) delle collettività sociali e dei singoli;
• proviene dalla crescente importanza attribuita dall'impresa stessa ad ac-
creditarsi come istituzione attenta ai problemi e alle esigenze degli indi-
vidui e delle collettività con cui interagisce, come istituzione che non si
limita a rispettare le leggi e le normative ma chef a qualcosadi più.
Tale spinta si può tradurre, al di là di quanto visto nei punti precedenti:
• nell'adesione a forme volontarie di certificazione- in materia di gestione
ambientale, gestione delle risorse umane, qualità ecc. - rilasciate da sog-
getti terzi autorizzati con modalità definite dalla legge e/ o dagli enti pre-
posti alla normazione: certificazioniche solitamente hanno come premes-
sa indispensabile la creazione di sistemi ad hocdi gestione e/ o controllo;
• nell'adozione di codicidi comportamento- relativi alle problematiche am-
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 183

bientali, al trattamento delle risorse umane, ai rapporti con la pubblica


amministrazione ecé. - di formato standard (messi a punto tipicamente
da istituzioni terze o associazioni) o ad hoc,
• nell'accrescimento del livello di trasparenza verso l'esterno, anche a testi-
monianza dell'aderenza nei comportamenti concreti agli impegni assun-
ti su base volontaria: ad esempio ampliando i contenuti informativi dei
bilanci (al di là di quanto richiesto dalla normativa) e integrando l'infor-
mazione economico-finanziaria con rapporti ad hoc- quali quelli cosid-
detti socio-ambientali- su tematiche di interesse dei diversi stakeholder,
• nell'ampliamento delle iniziative - quali le sponsorizzazioni(di eventi arti-
stici e restauri di monumenti, di infrastrutture e ricerche mediche, di at-
tività di formazione e di ricerca scolastiche e universitarie ecc.) piuttosto
che le erogazionibenefichea favore delle popolazioni più povere del mon-
do - che rafforzino l' immagi,nesocialedell'impresa stessa.
Lo spirito con cui l'impresa si 1nuove in questo delicato terreno della responsa-
/Jilitàsocialepuò essere molto diverso: a un estremo le possibili azioni sopra
elencate sono una parte integrante della strategia dell'impresa (cfr. schema
2.12), all'altro estremo ci si trova di fronte a mereoperazionidi facciata intese a
coprire comportamenti molto meno virtuosi.
'
E convinzione ad esempio di chi scrive che, nel momento in cui un 'impresa enfatizza con un
ampio ricorso ai canali pubblicitari un'erogazione completamente estranea al suo corebusiness
- a favore ad esempio dell'istruzione dei bambini di una regione del Burkina Faso (un paese
africano fra i più poveri del mondo) -dovrebbe essere obbligata a fornire i dati dell'entità del-
l'erogazione e dell'entità della spesa sostenuta per pubblicizzare l'erogazione stessa.

In coerenza con il quadro esposto e nei limiti consentiti dagli obiettivi che
questo libro si pone, verrà dedicata una qualche attenzione alle forme volonta-
rie di certificazioneconcernenti:
• la salvaguardia dell'ambiente, della sicurezza e della salute (cfr. schema
3. 9), e
• la salvaguardia dei diritti di chi lavora (cfr. schema3.1 O),
e al codicedi comportamentoISO 26000 sulla responsa!Jilitàsociale,di carattere
molto più generale, introdotto nel 201O (cfr. schema3.11).

Gli standard oggetto di attenzione sono stati scelti il primo per la sua diffusione, il secondo
(anche se poco diffuso) perché offre un'ampia visuale sui diritti di chi lavora e sui rischi di
una loro violazione, il terzo (ancora meno diffuso data la giovane età) per il suo carattere -
almeno nelle intenzioni - onnicomprensivo. Fra gli altri standard proposti negli anni 2000 si
può ricordare l'ISO 31000, introdotto nel 2009, che propone un approccio onnicomprensi-
vo al risk management (cfr. sotto-paragrafo
2. 6.2) .

Sono interessanti da sottolineare due elementi che caratterizzano le certifica-


zioni oggetto di attenzione:
• la dinamicità dell'approccio,per cui non viene certificata la compliance,in
quanto il rispetto delle leggi è visto come una precondizione, ma si pun-
184 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ta - allo scopo di creare un clima di fiducia con gli stakehol,der-al migli~


ramento continuo su obiettivi misurabili;
• l'esigenza di costruire un sistema di gestione e/o controUonell'ambito del-
l'impresa.
Un'esigenza quest'ultima comprensibile, ma che - se messa insieme con le
esigenze simili connesse ad esempio con il Codice di autodisciplina e/ o con il
Decreto legislativo 231/2001- rischia di portare a un eccessivo appesantimen-
to dei costi di struttura e a un'eccessiva burocratizzazione dei processi decisi<r
nali dell'impresa, che tende a diventare sempre più un sistema di sistemi:
• di sistemi volti all'operatività e all'autotrasformazione (innovazioni di
prodotto, di processo, di assetto organizzativo ecc.);
• di sistemi di corporalegovernanc,ein senso proprio;
• di sistemi, parallelamente, che focalizzano l'attenzione su specifiche te-
matiche di interazione con gli stakelw/,der.
Sono necessarie quindi soluzioni organizzative adeguate per non contrappor-
re, ai vantaggi derivanti da una corporalegovernanc,eattenta al rispetto delle re-
gole e socialmente responsabile, costie rallentamenti nelledecisionitali da mette-
re in pericolo la vita stessa delle imprese di dimensioni medi<rpiccole (comp<r
ne1:te prevalente della nostra economia) e disincentivare la nascita di nuove.
E necessario anche, a fronte del ruolo crescente dei paesi emergenti e del-
le loro imprese nell'economia mondiale, che l'insieme di regoledel giocosinte-
ticamente descritto in questo capitolo - nato in un contesto (completamente
diverso dall'attuale) che vedeva l'economia dominata dai paesi avanzati e dal-
le loro imprese - venga esteso a tutto il mondo: pena la perdita di competiti-
vità delle imprese più sodalmente re.\ponsabilirispetto a quelle che possano im-
punemente adottare comportamenti disinvolti.

SCHEMA 3.9- La salvaguardiadell'ambiente,della sicurezzae della salute

(Dalla "Dichiarazione Ambientale 2003" della Raffi:ieria di Venezia di Eni Rejìning&


Marketing,sviluppata in conformità al Regolamento Comunitario CE 761/01, che ha
ottenuto nell'aprile 2003 la certificazione Emas dall'auditor Det Norske Veritas):
"[ ...] La Dichiarazione Ambientale vuole rispondere adeguatamente all'esigenza di
tutta la comunità locale [veneziana] di conoscere gli aspetti ambientali e soprattutto
gli obiettivi di miglioramento adottati per ridurre gli effetti delle attività produttive
sul territorio.
Attraverso una presentazione della raffineria, delle sue politiche, strategie e organiz-
zazione dei sistemi di gestione e delle attività produttive presenti, si offre la massima
trasparenza e completezza nella comunicazione dei dati e delle informazioni di carat-
tere ambientale. In particolare si rende nota la posizione della raffineria in materia di
rispetto delle leggi, di protezione dell'ambiente e gestione dei propri impatti .sul terri-
torio. 11traguardo raggiunto [l'ottenimento della certificazioneambientale]implica pre-
cisi impegni di miglioramento pianificati per il prossimo futuro. Tale risultato non de-
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 185

ve essere visto tuttavia come un punto di arrivo, ma come una tappa importante sulla
strada del miglioramentocontinuodelleprescrizioniambientali.I dati e le informazioni
della Dichiarazione Ambientale saranno pertanto aggiornati annualmente, fornendo
una continua occasione di confronto con l'esterno e di verifica del raggiungimento
degli obiettivi di miglioramento".
Si è riportata quasi integralmente la premessa alla Dichiarazione Ambientale, perché
in essa sono espressi i punti chiave della problematica che l'impresa cerca di affronta-
re con la certificazione e della strada prevista - dallo standard internazionale ISO
14001 e da quello (simile ma più impegnativo) europeo Emas - per conseguire la cer-
tificazione stessa. Alla base di tutto sta la crescente ostilità delle collettività locali per
gli insediamenti giudicati ambientalmente critici(stabilimenti chimici, raffinerie, cen-
trali elettriche ecc.) nel loro territorio: il rifiuto in particolare di accoglierne di nuovi e il
tentativo di rendere la vita difficile a quelli esistenti. La strada suggerita all'impresa da-
gli standard internazionali e comunitari, per rassicurare le collettività locali e creare un
clima di cooperazione con esse, è quella - come ben appare dal testo - della traspa-
renza nei loro riguardi, dell'impegno verso il miglioramentocontinuoscandito con pre-
cisione nei tempi e definito mediante indicatori misurabili e nella conseguente possi-
bilità di controllo da parte delle collettività stesse dell'effettivo mantenimento delle
promesse. Ed essa passa attraverso:
• la creazione nell'ambito dell'impresa del sistemadi gestioneambientale;
• la definizione della politicaambientale- qualificata nella fattispecie "politica di si-
curezza, salute, ambiente e prevenzione degli incidenti rilevanti" - dell'impresa
stessa, relativamente allo specifico insediamento o al complesso delle attività;
• la messa a punto di un piano di miglioramentoambientale,che evidenzi in relazio-
ne agli aspetti critici - nella fattispecie le emissioni in atmosfera, l'approvvigiona-
mento e gli scarichi idrici, il suolo/sottosuolo e le acque di falda, le emissioni acu-
stiche - gli interventi previsti, i risultati puntuali che attraverso essi si vogliono
conseguire, i loro costi e le unità interne responsabili;
• la verifica periodica dei risultati raggiunti e la messa a punto di nuovi piani più
ambiziosi.
La certificazione ambientale non è però appannaggio solo dei comparti ambiental-
mente più critici. Possono essere ad esempio le imprese della grande distribuzione
che si certificano - in relazione a tematiche quali la riduzione dei consumi energetici,
la gestione degli imballaggi ecc. - per aumentare la loro attrattività agli occhi degli ac-
quirenti finali più sensibili ai temi dell'ambiente.

ScH EMA 3.1O- Lasalvaguardia


dei dirittidi chi lavora

I requisiti per la salvaguardia dei diritti di chi lavora hanno trovato una loro codificazio-
ne nella norma SA8ooo, ove SA sta per socia/accountability(responsabilità sociale):con
un'accezione della responsabilità socialemolto più focalizzata di quella da noi utilizzata.
Nonostante la norma - messa a punto da un ente statunitense - non sia molto diffu-
sa in sede di certificazione, abbiamo ritenuto interessante riportare alcuni articoli
estratti dalla lista dei requisitiper evidenziare le dimensionichiavedella tematica.
186 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

1. Lavoroinfantile
1. 1 ~azienda non deve utilizzare o dare sostegno all'utilizzo del lavoro infantile.
1. 4 ~azienda non deve esporre bambini [qualsiasi persona con meno di 15 anni di
età] e giovani lavoratori [qualsiasi lavoratore "non bambino" con meno di 18 anni
di età] a situazioni pericolose, rischiose o nocive per la salute, sia all'interno che
all'esterno del luogo di lavoro.

2. Lavoroobbligato
2.1 ~azienda non deve ricorrere a, né sostenere, l'utilizzo del lavoro obbligato e non
deve essere richiesto al personale di lasciare "depositi" in denaro o documenti di
identità al momento dell'inizio del rapporto di lavoro.

3. Salutee sicurezza
3.1 ~azienda, tenendo presente lo stato delle conoscenze prevalenti riguardo al set-
tore e a tutti i relativi rischi, deve garantire un luogo di lavoro sicuro e salubre e
deve adottare le misure adeguate per prevenire incidenti e danni alla salute[ ...].

4. Libertàdi associazione
e dirittoalla contrattazionecollettiva
4.1 ~azienda deve rispettare il diritto di tutto il personale di formare e aderire ai sin-
dacati di sua scelta e il diritto alla contrattazione collettiva.
4.3 ~azienda deve garantire che i rappresentanti del personale non siano soggetti a
discriminazione[ ...].

5. Discriminazione
5.1 ~azienda non deve attuare o dare sostegno alla discriminazione nell'assunzione,
retribuzione, accesso alla formazione, promozione, licenziamento o pensiona-
mento, in base a razza, ceto, origine nazionale, religione, invalidità, sesso, orien-
tamento sessuale, appartenenza sindacale o affiliazione politica.
5.3 ~azienda non deve permettere comportamenti, inclusi gesti, linguaggio o contat-
to fisico, che siano sessualmente coercitivi, minacciosi, offensivi o volti allo sfrut-
tamento.

6. Proceduredisciplinari
6.1 ~azienda non deve utilizzare o dare sostegno all'utilizzo di punizioni corporali,
coercizione mentale o fisica, abuso verbale.

7. Orariodi lavoro
7.1 ~azienda deve conformarsi all'orario di lavoro previsto dalle leggi vigenti e dagli
standard del settore; in ogni caso al personale non deve essere richiesto di lavo-
rare in maniera continuativa per un periodo superiore alle 48 ore settimanali e
deve essere previsto almeno un giorno di riposo ogni 7 giorni lavorativi.
7.2 ~azienda deve garantire che il lavoro straordinario (superiore alle 48 ore settima-
nali) non ecceda le 12 ore settimanali, che non sia richiesto se non in circostanze
aziendali eccezionali è sia retribuito con una tariffa superiore alla normale.
8. Retribuzione
8.1 ~azienda deve garantire che il salario pagato per una settimana lavorativa regola-
re sia almeno conforme ai minimi retributivi legali o industriali e che sia sempre
sufficiente a soddisfare i bisogni primari del personale, oltre a fornire un qualche
guadagno discrezionale.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 187

8.3 L:azienda deve garantire che non vengano stipulati accordi di lavoro nero e pro-
grammi di falso apprendistato volti a evitare l'adempimento degli obblighi azien-
dali nei confronti del personale, in base alla legislazione vigente in materia di la-
voro e di sicurezza sociale.

9. Sistemidi gestione
9.1 L:alta direzione deve definire una politica aziendale in materia di responsabilità
sociale e di condizioni lavorative in maniera tale da garantire che essa:
a) comprenda l'impegno dell'azienda a conformarsi a tutti i requisiti della pre-
sente norma e a tutti quelli altrimenti sottoscritti dall'azienda;
b) comprenda l'impegno a conformarsi alle leggi nazionali e alle altre leggi vigen-
ti e a rispettare gli strumenti internazionali [...];
e) comprenda l'impegno al miglioramento continuo;
e) sia disponibile al pubblico.
9.2 L:alta direzione deve periodicamente riesaminare l'adeguatezza, l'appropriatezza
e la continua efficacia della politica aziendale, delle procedure e dei risultati di
performance in ottemperanza ai requisiti previsti dalla presente norma e dagli al-
tri requisiti sottoscritti dall'azienda. Tutte le modifiche di sistema e i migliora-
menti ritenuti necessari devono essere implementati.
9.6 L:azienda deve stabilire e mantenere attive procedure appropriate per la valuta-
zione e la selezione dei fornitori sulla base della loro capacità di rispondere ai re-
quisiti della presente norma.
9.8 L:aziendadeve mantenere ragionevoli evidenze in merito alla conformità di forni-
tori e sub-fornitori ai requisiti della presente norma.

La tematica della salvaguardia dei diritti di chi lavora è più critica di quanto appaia a
prima vista, per un'impresa italiana o comunque con base in un paese avanzato, se
questa impresa, come sempre più spesso accade, ha attività dirette - in particolare
produttive - in paesi ove esiste una legislazione protettiva molto debole o comunque
non rispettata e/o si awale di fornitori operanti in tali paesi.

ScH EMA 3.11 - Il codicedi comportamentoISO 26ooo sullaresponsabilità


sociale

11
1S0 (dalla presentazione del codice dell' /SO-lnternationalOrganizationfor
26000
Standardization)is intended to assist organizations in contributing to sustainablede-
velopment.lt is intended to encourage them to go beyondlegaicompliance,recognizing
that compliance with law is a fundamental duty of any organization and an essential
part of their sodai responsibility. lt is intended to promote common understanding in
the field of sodai responsibility, and to complement other instruments and initiatives
for sodai responsibility, not to replace them.
In applying ISO 26000, it is advisable that an organization take into consideration so-
cietal, environmental, legal, cultura!, politica! and organizational diversity, as well as
differences in economie conditions, while being consistent with international norms
of behaviour.
188 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ISO 26000 is not a management system standard. lt is not intended or appropriate


for certifìcation purposes or regulatory or contractual use.
ISO 26000 addresses seven coresubjectsof socia/responsibility:
• Organizationalgovernance
• Human rights (human rights risk situations; avoidance of complicity; resolving
grievances; discrimination and vulnerable groups; civil and politica! rights; eco-
nomie, social and cultura! rights; fundamental principles and rights at work)
• Labourpractices(employment and employment relationships; conditions of work
and social protection; social dialogue; health and safety at work; human develop-
ment and training in the workplace)
• The environment (prevention of pollution; sustainable resource use; cli mate
change mitigation and adaptation; protection of the environment, biodiversity
and restoration of natural habitats)
• Fairoperatingpractices(anti-corruption; responsible politica! involvement; fair
competition; promoting social responsibility in the value chain; respect for prop-
erty rights)
• Consumerissues(fair marketing, factual and unbiased information and fair con-
tractual practices; protecting consumers' health and safety; sustainable con-
sumption; consumer service, support, and complaint and dispute resolution;
consumer data protection and privacy; access to essential services; education
and awareness)
• Community involvementand development (community involvement; education
and culture; employment creation and skills development; technology develop-
ment and access; wealth and income creation; health; social investment).
Once the principles have been understood, and the core subjects an·d relevant and sig-
nifìcant issues of social responsibility have been identifìed, an organization should
seek to integrate social responsibility throughout its decisions and activities. This in-
volves practices such as: making social responsibility integrai to its policies, organiza-
tional culture, strategies and operations; building internal competency for social re-
sponsibility; undertaking internal and external communication on social responsibility;
and regularly reviewing these actions and practices related to social responsibility"S.

:>. <_:fi:.
_www.is,,:org/is~1/is~)_ca~alogut'/management_and_leadership_standards/social_respon-
s1h1l1ty/sr_d1sn1n-nng_1so2b000.htm.
4 Il valoreeconomicodell'impresa

4.1 Il valoreper gli azionisticome obiettivodi riferimento

Dal Financial Timesdel 24.10.2009 ("Amazon share surge recalls tech boom days", di Richard
Waters ejonathan Birchall): "Shares in Amazon, the world's largest online retailer, soared 25
per cent yesterday, returning to a peak last hit at the height of the dotcom boom on evidence
of a revival in spending on digitai gadget-;; and internet bargains. Amazon's rise capped a re-
vival of confidence in America's technology industry and strengthened growing optimism
on Wall Street that demand for its products could underpin economie recovery. The jump in
Amazon's share price followed news of a 28 per cent increase in its net sales in the third quar-
ter and a 68 per cent rise in net profits [...] ".

Dal Financial Tirnes del 17.6.2011 ("BlackBerry maker's stock plunges on outlook cut", di
Paul Taylor): "Shares in Research in Motion plunged more than 21 per cent after the Black-
Berry maker again slashed its earnings outlook due to product delays and falling market
share in the US. [ ...] The stock has lost more than 43 per cent of its value this year. The Cana-
dian company is facing rising competition for its ageing smartphones from Apple's iPhone
and handsets running Google's Android operating system. RIM reported net profits of$1.33
a share, on revenue of $4.9bn for the first quarter. Analysts had expected profits of $1.32 a
share on revenue of $5.lbn [...] ".

Dal Financial Tirnes del 28.6.2011 ("Smartphone apps continue to hit TomTom", di Matt Ste-
inglass): "Shares in TomTom [cfr. sottoparagrafo 2.1.4] plunged 27 per cent on Tuesday after
the Dutch auto navigation company issued a profit warning forecasting revenues for the year
would fall to some €1.25bn, nearly €200m short of analysts' consensus. [...] TomTom cited
falling revenues from its persona! navigation devices (PNDs), as customers shift to navigation
tools integrated in smartphones or devices built into their car dashboards. In North Ameri-
ca, PND sales are expected to fall 30 per cent for the year, while in f.urope they are expected
to drop 10 per cent. The company's strategy is based mainly on increasing sales of built-in
dashboard devices through auto companies, on business solutions for shipping and other
navigation-dependent companies, and on growth in subscriptions to its premium Live ser-
vice which provides real-time updates on traffic and disturbances [...] ".
190 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

FI G u RA 4.1 - Andamento del titolo Amazon nel quinquennio 2006-2011

200

150

100

50

+2,02% :+ 125.01 % .-38,78% +147,46% +33,81%


2006 2007 2008 2009 2010 2011

Fonte:FinancialTimes.

F1GURA 4.2 -Andamento del titolo Research in Motion nell'anno 2011

60
55
50
45

40
3·5

, -6.98 -16.88%
giugno 2011

Fonte:FinancialTimes.

FIGURA 4.3 -Andamento del titolo TomTom nel quinquennio 2006-2011

50

40

30

20

10

+33,37% +26,24%
2009 2010 , 2011
Fonte:FinancialTimes.
4. Il valore economico dell'impresa I 191

Tre imprese famose in tre momenti critici. An1azon che vede la sua capitalizzazione di borsa
salire addirittura di un quarto in un solo giorno, dopo aver comunicato al mercato finanzia-
rio risultati molto più brillanti di quelli attesi: nell'ottobre 2009, quando gli indici generali di
borsa statunitensi stavano ancora cercando di recuperare i livelli ante-crisi. RIM che vede vi-
ceversa la capitalizzazione scendere di più di un quinto, e di oltre il 40 per cento in un mese,
non perché perde ma perché i risultati inferiori agli attesi insinuano nuovi dubbi sulla sua
capacità di trasformarsi da monopolista di nicchia a competitore globale negli smartphone.
TomTom che vede la sua capitalizzazione di borsa scendere di più di un quarto in un solo
giorno, perché i suoi risultati (come quelli di RIM) sono inferiori alle attese e perché questo
spinge il mercato a dare più peso al danno che le vendite di TomTom possono subire dalla
concorrenza con le apps degli smartphone.un danno simile a quello che le vendite degli oro-
logi hanno subito da quando la loro storica funzione di fornire l'ora è assolta - anche e per
giunta gratuitamente - dai cellulari e dagli smar1phone.

I tre casi riportati permettono di approcciare una delle nozioni più centrali,
ma anche per certi versi più sfuggenti, del libro: il valoredi impresa,inteso co-
me valore per gli azionisti.
La massimizzazionedel valoreper gli azionisti, obiettivo ben noto in economia
nella sua formulazione astratta, ha infatti assunto a partir~ dagli anni '80 una
sempre maggiore concretezzacome guida per i comportamenti dell'impresa e
quindi per il suo tap management,in parallelo con lo sviluppo e con la crescen-
te globalizzazione dei mercati finanziari: con conseguenze positive, ma anche
con eccessi e distorsioni.
Una spinta molto forte in questa direzione è venuta dal moltiplicarsi e dal-
1'estendersi anche alle imprese di dimensione maggiore - soprattutto negli
Stati Uniti ove molte imprese quotate (le cosiddette public company) hanno un
azionariato estremamente diffuso e sono quindi contendibili - delle scalate
(takeover) ostili, con susseguente "licenziamento" del tap management, nel caso
in cui il divario fra la capitalizzazione di borsa corrente e quella 1itenuta con-
seguibile lo rendesse possibile e conveniente: scalate rese sempre più facili nel
primo decennio del nuovo secolo - sino allo scoppiare della crisi - dalla cre-
scita vertiginosa delle risorse a disposizione dei fondi di private equity, sia sotto
forma di conferimenti ai fondi stessi sia di capitale di debito a tassi di interesse
molto ridotti). Il tap management si è così trovato esposto a una verifica quasi
continua del suo operato e dei risultati da parte del mercato, attraverso il fil-
tro degli analisti finanziari, e ha dovuto passare dalla logica - prevalente in
precedenza anche negli stessi USA - del perseguimentodi risultati soddisfacentia
quella del massimosfruttamento dell,epotenzialità di creazionedi valoreper gli azioni-
sti. Con la minaccia della possibile "punizione", ma anche con la prospettiva
in caso di successo di essere compartecipe con gli azionisti - attraverso le stock
aption - dell'aumento di valore. Con la spinta positiva a "non accontentarsi",
a
ma talora con quella negativa Jar crescereil valoredi borsa,in un'ottica di breve
periodo, con azioni atte a compiacere gli analisti e il mercato (anche se nega-
tive in una prospettiva più lunga) o addirittura - come emerso durante la crisi
- con comportamenti scorretti e false comunicazioni.
192 j L' 1M PRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Un esempio di "punizione" è quello - visto in precedenza (cfr. sc~.a 3.2) - ~guardante


Carly Fiorina, CEO di HP dal 1999 e altamente stimata per la sua carne_ra pro~ess10n~e pre~
cedente, che perse il posto nel 2005 a fronte di performance ritenute 1nsodd1sfacent1 dagh
azionisti.
Ma anche i "premi" possono essere di grande o grandissimo rilievo e sono per questo
crescentemente oggetto, soprattutto dopo la crisi del 2008, di critiche e di proposte - ge-
neralmente di scarso successo - tese a limitarli: "Chief executives at the biggest U.S. compa-
nies saw their pay jump sharply in 201 O,as boards rewarded them for strong profit and share-
price growth with bigger bonuses and stock grants (da The Wall Street]ournal del 9.5.2011,
"CEO pay in 2010jumped 11%", dijoann S. Lublin). The median value ofsalaries, bonuses
and long-term incentive awards for CEOs of 350 major companies surged 11 % to $9.3 mil-
lion [...] . The rise followed a year in which pay for the top boss was flat at these companies.
Viacom CEO Philippe P. Dauman topped the list. He received compensation [salary, bonus-
es and the granted value of stock, stock options and other long-term incentives given for ser-
vice in fiscal 2010] valued at $84.3 million, more than double his 2009 pay, thanks largely to
equity awards in a renewed contract (Viacom shares appreciated 33% during calendar year
2010 as compared with the 13% increa-;e in the S&P 500). Larry Ellison, the billionaire
founder of OracleCorp., took second piace. Long ranked among the highest-paid chiefs, he
received compensation valued at $68.6 million [... ] ". E anche nel comparto delle grandi
banche, all'origine della crisi del 2008, le remunerazioni sono in risalita: 'The leap in aver-
age pay la-;tyear for the chief executives of 15 leading US and European banks suggests the
era of contrition for the financial crisis is well and truly over (dal Finanrial Times del
15.6.2011, "Bank chiefs ditch the hair shirts", di Megan Murphy). Gone were 2008's and
2009's grand gestures, when bank bosses on both sides of the Atlantic waived their bonuses
to defuse public and politica! out.rage over pay. In 2010 total pav for these CEO rose by 36
per cent to $9.7m. Lloyd Blankfein, chief executive of G-oldman Sachs, was paid $14m in
2010, more than 15 times his 2009 earnings. [ ...] Even at $14m, Mr Blankfein is earning a
fraction of the $70m he took home in 2007. Dick Fuld, the man at the head of Lehman
Brothers when it collapsed into bankruptcy, earned $34m that year [ ...] ".

Questo cambiamento di "fuoco", iniziato come detto negli Stati Uniti e in pa-
rallelo nel Regno Unito, si è poi esteso - con la.globalizzazione dei mercati fi-
nanziari e con l'attivazione dei processi di liberalizzazione e privatizzazione -
anche a paesi, come quelli continentali europei, ove i modelli di organizzazio-
ne dell'economia erano molto diversi: per il forte controllo esercitato dallo
Stato (come in Italia e in Francia) o dal sistema bancario (come in Germania)
e per la ridotta contendibilità delle imprese (causata ad esempio dai meccani-
smi di scatolecinesi, dall'esistenza di clausole di gradimento per l'ingresso di
nuovi soci o dalla necessità di autorizzazione per l'ingresso di soci esteri).
La caduta generalizzata delle quotazioni di borsa, la prima volta dopo lo
scoppio della bol/,aInternet e dopo l'attentato alle Twin Towerse la seconda con
la grande crisi del 2008, ha messo almeno temporaneamente in crisi il mecca-
nismo sopra descritto. Quando il trend è calante, infatti, cambia c·ompleta-
mente il modo con cui il mercato esprime soddisfazione nei riguardi delle
performancedi un'impresa: non più accrescendone la quotazione (con l'ecce-
zione di pochissimi casi), ma riducendola in misura inferiore alla media, con
una distruzionecomunque di valoredal punto di vista degli azionisti e con una
perdita di attrattività dei meccanismi di compartecipazione del topmanage-
ment alla creazione di valore.
4. Il valore economico dell'impresa I 193

Le due cadute, di consistenza molto rilevante data anche l'elevatezza dei li-
velli raggiunti in precedenza, hanno pure generato un animato dibattito sul
funzionamento dei mercati finanziari, ancora di attualità. Un dibattito che ri-
guarda in particolare il ruolo distorcente - nell'orientare gli investitori e nel
forzare le scelte delle imprese - talora esercitato dagli analisti finanziari e dalle
società di rating nella loro veste di gi,udici,e l'eccessiva presenza di potenziali
sorgenti di conflitti di interessi nell'ambito delle istituzioni finanziarie ope-
ranti nel mercato.
D'altro canto, già da prima si era sviluppata una corrente di opinione
estremamente critica sulle implicazioni, per alcuni degli stakehoùler, di una lo-
gica di impresa troppo orientata al valore. Nel "mirino" in particolare le opera-
zioni di razionalizzazione e ristrutturazione radicale in imprese non in crisi,
per le ricadute sui dipendenti "espulsi", ma ancor più per quelle sulle colletti-
vità locali e sugli stessi Stati, a fronte di ridimensionamenti o eliminazioni de-
gli insediamenti sul loro territorio: con ovvi riflessi sul tessuto economico
I

oltre che su quello sociale. Riaprendo un dibattito storico-politico di lunga


data: fra chi sostiene che la creazione di valore per gli azionisti è la premessa
indispensabile per lo sviluppo dell'economia, perché permette di liberare ri-
sorse e di indirizzarle verso utilizzi innovativi, e chi agli antipodi sostiene che
la creazione di valore per alcuni corrisponde alla sottrazione di valore per al-
tri (in una sorta di gi,oco a somma nulla); fra chi vede come fondamentale la
creazione di condizioni che permettano lo sviluppo e la crescita dei livelli di
vita nel futuro, anche se questo comporta grandi sacrifici per alcuni al pre-
sente, e chi ritiene invece che comunque la priorità debba essere assegnata al
presente. Con la storia, ed è ovviamente un giudizio personale, che mostra
come la logica dei primi sia stata vincente in società e in momenti storici in
cui effettivamente il valore creato veniva indirizzato virtuosamente nella dire-
zione della crescita; ma anche come, in altri casi, essa abbia rappresentato la
foglia di fico a copertura di obiettivi meramente egoistici. E in presenza di
profonde differenze - che affondano le loro radici nel passato e che sopravvi-
vono ai processi di globalizzazione - nella cultura di fondo delle diverse aree
del mondo: fra gli Stati Uniti ad esempio, ove i meccanismi generali vengono
per tradizione ritenuti molto più importanti da salvaguardare della sorte dei
singoli, e l'Europa (con l'eccezione in parte del Regno Unito), più incline al-
la solidarietà (o, con termine negativo, all'assistenzialismo) e specularmente
meno capace di creare e mantenere un clima di tensione verso l'efficienza;
fra gli Stati Uniti e l'Europa, da un lato, e il Giappone (primo paese asiatico
giunto ai vertici dell'economia mondiale) piuttosto che la Cina (in fase di
prepotente sviluppo) o i paesi arabi, dall'altro.
Il valore mantiene comunque una sua forte significatività come obiettivo am-
trale dell'impresa, ed è importante quindi comprenderne i\ significato di fondo.
194 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

4.2 Ladefinizionedi valoreeconomico

La nostra trattazione del valorepartirà dalla sua definizione astratta, per poi
tornare alle implicazioni concrete.
Le domande cui rispondere sono diverse. Tra le principali:
• quali origini ha il valoreattribuito alla proprietà dell'impresa (o più pre-
cisamente delle azioni dell'impresa), che si può materializzare in un prez-
zo in corrispondenza a una transazione o anche nel rifiuto di una transa-
zione a fronte di un prezzo non ritenuto congruo?
• su quali basi può essere calcolato? e per quanto tempo il calcolo rimane
valido?
• è una grandezza meramente finanziaria o può essere riportata all'anda-
mento economicodell'impresa?
• quanto è importante nella sua determinazione il passato, l'entità ad
esempio delle somme immesse o non ritirate sotto forma di dividendi da
parte degli azionisti (il cosiddetto valoredi libroo bookvalue) o la bontà
dei risultati conseguiti, e quanto il futuro?
• quanta soggettività vi è nel valore e quanta oggettività?
• si può parlare di valore anche per le imprese non quotate (che come
detto costituiscono in termini numerici la quasi totalità delle imprese)?
L'idea-base è che un'impresa ha un valoreper gli azionisti solo se si ritieneche
essa nel futuro - a partire dal n1omento in cui si effettua la valutazione, consi-
derato come istante O - sarà in grado di generare flussi di danaro verso gli
azionisti stessi, come frutto della sua attività o con1e conseguenza della sua
alienazione o liquidazione, superiori a quelli che eventualmente richiederà
agli azionisti stessi (sempre a partire dall'istante O) per promuovere nuove at-
tività, finanziare riconversioni o ristrutturazioni o coprire eventuali perdite.
Vi è una chiara indicazione della soggettivitàdel valore, in quanto riferito
esclusivamente a eventi futuri: per loro natura non prevedibili con certezza,
ma solo presumibili da chi effettua la valutazione sulla base delle conoscenze
e delle aspettative relative al contesto oltre che all'impresa. Soggettività raffor-
zata dal diverso grado di conoscenza del presente, oltre che dalla possibile di-
versa visione degli scenari futuri, che può contraddistinguere chi valuta (l'am-
ministratore delegato dell'impresa piuttosto che il generico operatore finan-
ziario) e dalla diversa aspettativa di poter incidere sul futuro (ad esempio, fra
chi rimarrà comunque esterno alla gestione dell'impresa e chi pensa acqui-
standola di poterne modificare le strategie o addirittura fonderla con un 'im-
presa consimile già in suo possesso).
Vi è una chiara indicazione che ciò che conta è solamente il futuro. Anche
se è il passato ad aver generato l'impresa quale è, con le sue potenzialità e i
suoi problemi, con le risorse visibili di cui dispone e la sua rete di relazioni,
con i prodotti che fa e le idee innovative per farne di nuovi, con la sua imma-
gine, con il suo rapita/11di libro.Ed è anche il passato che può fornire una "car-
4. Il valore economico dell'impresa I 195

tina di tornasole" sulla capacità dell'impresa e del suo management di gestire la


continuità o di confrontarsi con le discontinuità.
Vì è un'indicazione, meno evidente ma implicita, che la valutazione è signifi-
cativa solo per il momento- l'istante O- in cui viene effettuata. Pure in assenza
di cambiamenti nell'impresa e nei suoi competitori, infatti, il verificarsi o anche
soltanto il venire a conoscenza di fatti nuovi (come quelli riportati negli articoli)
- in grado di modificare gli scenari di fondo - impone una valutazione nuova.
La definizione generale data non è però sufficiente per ricondurre i flussi
di danaro attesi, dall'impresa verso gli azionisti e nel senso opposto, a un solo
numero. Non è possibile infatti sommare algebricamente flussi relativi a perio-
di differenti, dal momento che il danaro può essere indirizzato dagli azionisti
verso impieghi redditizi alternativi - ha cioè un rendimento-opportunità - e che
conseguentemente è diverso per gli azionisti stessi disporne in un momento
piuttosto che in un altro. Occorre quindi introdurre un criterio di indifferenza,
che permetta di "spostare" i flussi lungo l'asse dei tempi e specificamente di
attualizzarli all'istante O in cui si effettua la valutazione: rendendoli così omo-
genei e sommabili algebricamente per ridurli a un numero.
Il criterio di indifferenza più semplice, anche se non il più sofisticato, è
quello di determinare il tasso-opportunità di rendimento 1 k a parità di rischio
- usualmente la somma del rendimento garantito dall'impiego in titoli di sta-
to (convenzionalmente considerati a rischio zero) e di un premio connesso al ri-
schio di fare impresa ( cJr.
paragrafo 2. 6) - e di considerare indifferenti due flussi,
relativi a periodi diversi, se la loro differenza riflette esattamente il tasso-op-
portunità di rendimento 2 .

"[ ...] Western finance has traditionally assumed that governments were the safest entities in
the markets. [...] No longer (dal Financial Times del 29.8.2011, "Sovereign spreads challen-
ging cherished notions", di Gillian Tett). Tue financial crisis is challenging some cherished
20th cen tury ideas in fin ance [...] ". Il tradizionale cri terio di considerare come risk-freei ti to-
li di stato dei paesi "base" delle società, e di calcolare i premi connessi al rischio medio di fa-
re impresa, per ciascun paese, sulla base delle differenze (spread')manifestatesi nel medio-
lungo periodo fra i rendimenti dei titoli di stato e i rendimenti del mercato azionario nel suo
complesso, appare sempre più concettualmente in crisi: anche se, per il momento, non sem-
brano esistere criteri alternativi consolidati. L'elevato indebitamento statale, non solo in Ita-
lia ma anche in molti altri Paesi a economia avanzata (tra cui gli USA cui è stata simbolica-
mente revocata la "tripla A" da parte di Standard & Poor's nell'agosto 2011), rende poco cre-
dibile l'ipotesi che i titoli di stato (quali i nostri Btp decennali) possano essere considerati a
rischionullo. L'altrettanto elevata volatilità - manifestatasi con particolare virulenza nel 2011
- degli spread fra i rendimenti dei titoli di stato dei diversi paesi, anche in un'area a moneta
unica come quella dell'euro, rende pure più dubbia la modalità di calcolare i premi connes-

1. Per una trattazione più dettagliata si veda ad esempio Aswath Damodaran, Applied CorporateFi-
nance:A User'sManua~ John Wiley & Sons, New York, 2005.
2. Nell'ipotesi ad esempio di un tasso-opportunitàannuo del 10 per cento, questo significa consi-
derare indifferenteper gli azionisti ricevere o versare 100 € oggi o 11•0€ fra un anno, owero ri-
cevere o versare 100 € fra un anno o 100/1,10 = 90,9 oggi; significa parimenti ricevere o ver-
sare 100 € oggi o 121 € fra due anni, owero 100 € fra due anni o 100/1,21 = 82,6 oggi. Per ap-
profondire questi aspetti, cfr. appendice1.1.
196 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

si al rischio mediodi fare impresa in un determinato paese. La crescente internazionalizzazio-


ne delle imprese (cfr. sottoparagrafo2.3.2), d'altra parte, che può in ~olti casi far dive~~e la-
bile il legame fra le imprese stesse e i loro paesi "base", dovrebbe spmgere s~mpre pm a no-
stro awiso - in un contesto di globalizzazione della finanza su scala mondiale - verso una
modalità globa'-edi valutazione del tasso-opportunità k, che prescinda dai paesi "base" delle
imprese se non per quanto concerne la moneta utilizzata per la valutazione e i country risk (i
rischi per le imprese stesse derivanti dagli eventuali default dei loro paesi ''base" o dalle even-
tuali misure da essi adottate per evitare i default).

II valare attua/,e- riferito cioè all'istante O - dell'impresapuò essere di conse-


guenza calcolato "riportando" all'istante O stesso, ossia "attualizzando", i flussi
nettiFF(t)relativi ai diversi periodi futuri e sommandoli algebricamente 3 :

V(O) = I FF(t) = I NCG (t) (4.1)


t=l (l+k)t t=l (l+k)t

I flussi netti annuiFf'(t) o generazioninettedi cassaNCG (i)-dall'impresa verso gli


azionisti - sono nella realtà la somma algebrica di tre voci:
• i dividendi che l'impresa corrisponde agli azionisti: in generale una quota
più o meno rilevante di quelli che si stima siano stati - in una logica ec<r
nomica (che si discuterà nel seguito) e non finanziaria - i profitti "dopok
tasse"dell'anno;
• gli aumenti di capita/,ea pagarnento:ossia i versamenti di danaro addiziona-
li che gli azionisti possono fare all'impresa per integrare il capitale di
propria pertinenza;
• le restituzionidi capitaledall'in1presa agli azionisti: consistenti nel riacquisto
(in gergo bu,-;rback) da parte dell'impresa di azioni proprie e/ o nell'eroga-
zione di dividendi straordinari.

Procter & Cambie (cfr. paragrafo 1.1), ad esempio, ha distribuito nel 2011 agli azionisti 11,5
miliardi di$ (pari al 6 per cento circa della sua capitalizzazione), 5,5 dei quali sotto forma di
dividendi ordinari e 6 sotto forma di buy-back.l\1icrosoft (cfr. sottoparagrafo1.5.1) distribuì ai
suoi azionisti nel dicembre 2004 il dividendo straordinario più ricco nella storia del mondo,
quasi 33 miliardi di $, seguito nel 2006 da un buy-backdi 19,2 miliardi di dollari. Intesa San-
paolo e Banco Popolare (cfr. sottoparagrafo5.2) hanno effettuato nel 2011, per rafforzare il

3. La quantizzazione della variabile t dovrebbe essere estremamente fine: è infatti diverso rice-
vere o versare 100 € il 22 settembre o il 22 ottobre dello stesso anno, per il rendimento-op-
portunità che anche in un solo mese si può ottenere; così come pure l'intervallo di un giorno
diventa significativo, quando le cifre in gioco sono consistenti. Nel seguito p~rò, per semplicità,
noi utilizzeremo una quantiz.zazione annua: come se l'impresa concentrasse tutte le sue opera-
zioni che prevedono introiti o esborsi di danaro al 31 dicembre alle ore 24 di ogni anno. La
modalità di determinazione del tasso-opportunità k, stùla base di quello offerto dai titoli pub-
blici (a sua volta strettamente interconnesso con l'andamento dei tassi di interesse nell'eco-
nomia), fa capire come anche tale tasso dmTebbe essere considerato nella sua variabilità nel
tempo: non solo all'interno di un medesimo anno ma pure tra anni diversi. L'adozione da
noi fatta di un tasso prospettico k costante è da vedersi quindi come una semplificazione, ma
anc~e n~me t~n ric_onoscimento delle difficoltà di effetn1are una ragionevole previsione del
profilo dmamICo eh k (soprattutto all'allontanarsi dall'istante O).
4. Il valore economico dell'impresa I 197

loro patrimonio in linea con Basilea3, un aumento di capitale a pagamento pari rispettiva-
mente a 5 e a 2 miliardi di€.

Nessuna delle tre voci è necessariamente presente in un generico anno.


L'impresa infatti non è obbligata a distribuire dividendi, anche se in presen-
za di profitti buoni e continui nel tempo è normale che lo faccia; sempre che le
esigenze finanziarie (per crescere o ristrutturarsi) non la spingano a rinuncia-
re a ogni distribuzione e a dare agli azionisti solo un riconoscimento virtuale
dei loro diritti: sotto forma di incremento della voce riserve nella contabilità
patrimoniale o di nuove azioni emesse nell'ambito di un aumento di capitak
"non" a pagamento (non accompagnato cioè dall'immissione di nuovo dena-
ro). Così come ovviamente l'impresa non distribuisce dividendi, o non li do-
vrebbe distribuire, in presenza di risultati costantemente negativi.
L'occorrenza di aumenti di capitak a pagamento (accompagnati in questo ca-
so dall'immissione di nuov~ denaro) dovrebbe avere per sua natura carattere
di maggiore eccezionalità. E considerata infatti buona 'norma che l'impresa,
in assenza di grandi progetti (che richiedano finanziamenti di entità straordi-
naria) o di grandi perdite correnti (che richiedano ricapitalizzazioni), ricorra
ali' autofinanziamento e all'indebitamento (se entro limiti accettabili) per procu-
rarsi le risorse finanziarie necessarie alla sua attività e alla sua crescita quali-
quantitativa.
Eccezionale dovrebbe essere, se non nel caso di fine vita per l'impresa, l' oc-
correnza delle restituzioni di capitak agli azionisti. In linea di principio essa do-
vrebbe verificarsi quando l'impresa, in difficoltà nel trovare utilizzi fruttuosi del-
le risorse di cui dispone, preferisce retrocederle agli azionisti o quando l'impresa
(quotata) ritiene così bassa la quotazione delle sue azioni rispetto al valore effet-
tivo da considerare il loro riacquisto ( lYuy-back),in attesa di un maggiore apprez-
zamento da parte del mercato, l'investimento in assoluto più conveniente. In
realtà essa si verifica con maggiore frequenza: per contrastare, rendendole più
rostoseattraverso il sostegno delle quotazioni, scalate potenziali o in atto; o sem-
plicemente per mantenere elevate le quotazioni, soprattutto se a esse sono legate
- tipicamente attraverso le stock option- Ie remunerazioni del management.
All'ipotesi fatta implicitamente finora, in relazione alla determinazione di
V(O),di impresa a priori immortak- con durata cioè indefinita nel tempo - si
può contrapporre quella di impresa a termine. owero di impresa che, al mo-
mento della valutazione o addirittura già a quello della costituzione, appare
destinata dopo un intervallo di tempo Tad essere liquidata (avendo esaurito il
suo scopo) o ad essere completamente alienata (assorbita ad esempio da
un'altra impresa), in ambedue i casi con la restituzione agli azionisti di tutto il
capitale residuato di loro pertinenza 4 .

4. Un'impresa ad esempio che nasca per gestire un grande evento sportivo quale un'olimpiade
è per sua natura a termine (a meno che i suoi azionisti non la vogliano indirizzare successiva-
198 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Detta V(T) questa particolare restituzionedi capita/,eagli azionisti, il valore at-


tuale V(O)può essere espresso nella forma

~ NCG(t) V(T) (4.2)


V(O) =""'
---+--
1=1 (1 + k) 1 (1 + k)T

La formulazione a termineè usata spesso per motivi pratici anche nel caso di
imprese a tempo di vita indefinito: suddividendo l'orizzonte temporale in un
orizzonte prossimo(da 1 a 1), per cui è possibile effettuare valutazioni più ana-
litiche, e in un orizzonte /,ontano(teoricamente da Tall'infinito), per cui si ri-
corre a una valutazione globale sintetica attraverso V(T).
Può essere infine osservato che - soggettivamente (ma non per questo con
implicazioni n1inori) -1' impresaè "vista" come se fosse a tennine dai suoi azio-
nisti, quando sono gli azionististessi ad essere a tennine:ad essere intenzionati
cioè a uscire dall'azionariato dell'impresa, vendendo le quote in loro posses-
so, entro un orizzonte temporale predeterminato. Con ricadute di rilievo sul-
l'impresa quando tali azionisti ne determinano le scelte di fondo: come tipi-
camente avviene quando è un fondo di private equity o di venture capi.tal (cfr.
schema4.3) ad avere assunto il controllo, con la prospettiva di "rimanere" nel-
l'impresa solo per il tempo necessario (normalmente non superiore ai 5 an-
ni) a "far rendere" i soldi investiti. E analogamente l'impresa può essere '\ri-
sta" a terminedal suo top management,quando quest'ultimo è incentivato a ter-
mine (tipicamente attraverso le stockoption) o soggetto a fer?n,ine
al giudizio de-
gli azionisti per determinarne o meno il rinnovo. In tutte queste situazioni la
visione di breve o medio termine prevale su quella di lungo 5, e le azioni capa-
ci di portare a risultati tangibili a tempi ravvicinati passano davanti a quelle
che riescono a manifestare i loro effetti solo in tempi lunghi: anche quando il
più elevato potenziale di creazione di valore dovrebbe far propendere per le
seconde (cfr. paragrafo4.5).

mente ad attività diverse): a evento concluso essa è cioè destinata ad essere liquidata,con re-
~ocessione agli azionisti di quanto residuato - nwltoo pocorispetto al capitale versato in fun-
z10ne del grado di successo - una volta soddisfatti tutti gli stakelwlàer che vantano crediti nei
co~fronti dell'impresa stessa. Ma anche una start-up in settori di punta come quello biotecno-
logico o quello del software (sistemi operativi, giochi ecc.) può-già al momento della nascita
- e_ssereconcepita a termine, non tanto in questo caso (almeno nelle speranze) per essere li-
qmc~ata, quan_to per esse~e ceduta ~n caso di successo a imprese di dimensione molto maggio-
r~:.fan~a~et~llc~e ~el pnmo caso, m grado di gestire e finanziare i lunghissimi iter autorizza-
llVI e d1 d1stnbmre _1prodotti_ su s~ala mo?diale; operanti nell'ICI nel secondo, in grado - co-
me ac~a~luto con_ ~I pass~gg1? _di ~ndr01~ a Google - di inserire la start-up stessa in circuiti
monchah molto pm ampi e d1 formrle le nsorse per crescere.
f>. Si parla talora a tale proposito, con un brutto anglicismo, di shortennismo.
4. Il valore economico dell'impresa I 199

4.3 Le interpretazionidel valoreeconomico

La definizione del valore come somma attualizzata dei FF(t), owero delle ge-
nerazioni nette di cassa dall'impresa verso gli azionisti NCG( t), è l'unica con-
cettualmente e operativamente corretta: anche perché tiene conto degli istan-
ti precisi in cui si verificano in effetti i flussi finanziari in entrata o in uscita.
Essa non esplicita però il legame esistente fra il valore da attribuire all'im-
presa e i suoi risultati attesi: legame che sta invece usualmente alla base di
ogni ragionamento di tipo valutativo. È conveniente, di conseguenza, affian-
care alla formulazione diretta altre formulazioni: sicuramente più imprecise e
meno generali, per le ipotesi semplificative su cui sono costruite, ma molto
più intuitive e molto più legate ai concetti di fondo che verranno sviluppati
nel testo.
Per introdurre tali formulazioni può essere utile fare riferimento a una rap-
presentazione semplificata dell'impresa (figura 4. 4), bas 4 ta su un modello in-
put/ output e valida sotto le seguenti ipotesi:
• l'attività dell'impresa e i relativi flussi di cassain entrata e in uscita vengo-
no immaginati come concentrati in un singow istante per ciascun anno (ti-
picamente alle ore 24 del 31 dicembre o alle ore O del 1° gennaio succes-
sivo): in modo da evitare i problemi connessi con le differenze di occor-
renza dei flussi stessi all'interno dell'anno;
• l'impresa ha come unica fonte di finanziamento gli azionisti, e non può
quindi ricorrere all'indebitamento finanziario;
• l'impresa non detiene scortefinanziarie: in altri termini, si ipotizza che l' e-
ventuale liquidità generata dall'impresa sia immediatamente utilizzata
per nuovi investimenti o sia ceduta agli azionisti sotto forma di dividendi.
Nella figura in particolare vengono evidenziati due diversi input: quelli "cor-
renti", come il lavoro o i materiali, e quelli "pluriennali", come gli impianti o i
brevetti, che vengono utilizzati per più esercizi.
In termini generali, il risultato dell'impresa può essere misurato dalla diffe-
renza tra il valore dell'output prodotto e quello degli input da essa utilizzati.
Questa differenza può essere in realtà espressa secondo due diverse logiche:
• la logica "finanziaria" (figura 4.5), che misura l'output attraverso le entra-

FIGURA 4.4 - Il modelloinput/output

Lavoro e input
correnti di beni
e/o servizi
~---,

.... 1 Output di beni

/ L..-------------t-----t~P e/o servizi


Tecnologie e
infrastrutture materiali
e immateriali
200 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

FIGURA 4.5 - La lettura"finanziaria"dell'impresa

Uscite di cassa

~
correnti
...
.....
Entrate
di cassa

Uscite di cassa /' L.--------'


pluriennali

FIGURA 4.6- La lettura"economica"dell'impresa

Costi di esercizio

~
.... Ricavi

/' L...--------'
Ammortamenti

te di cassa generate nel periodo e gli input attraverso le uscite di cassa


"correnti" e le uscite di cassa "per investimenti";
• la logica "economica" (figura 4. 6), che misura l'output attraverso il valore
dei prodotti venduti nel periodo ( ricavi di competenza)6 e gli input attra-
7.
verso il valore delle risorse utilizzate per realizzarli ( costidi c.ompetenza)
Nell'ambito della prima logica il risultato dell'impresa nel periodo t in termi-
ni finanziari è misurato dal net cashjlow NCF(t) o free cashflow FCF(t),differenza
tra entrate e uscite di cassa.
Nell'ambito della seconda logica il risultato dell'impresa nel periodo t in
termini economici è misurato dal profitto (o perdita nel caso di saldo negativo)
X (t), differenza fra ricavi e costi di competenza, o dall' extraprofittoX*(t), che
(come si vedrà) include fra i costi di competenza anche il costo-opportunità
del capitale di pertinenza degli azionisti.

6. Per una definizione più puntuale di ricavi e costi di competenza, cfr. capitolo 13.
7. L'operazione di riallineamento fra ricavi e costi relativi allo stesso output~ sulla base del cosid-
detto criteriodi competenza,ha l'obiettivo di comprendere - pur con l'introduzione di alcune
arbitrarietà- se l'impresa riesce o meno a utilizzare bene le risorse finanziarie a disposizione.
Essa comporta come detto un'interpretazione differenziata dei diversi flus.5idi cassa e un loro
possibile spostamento ideale nel tempo: i fllls.5iad esempio relativi all'acquisto di macchinari
o di brevetti vengono qualificati come investimenti in capitalefisso e ripartiti - spostandoli nel
tempo - in costida imputarsi pro-quota annualmente lungo tutto l'arco temporale di ammor-
tamentr1,i flussi relativi all'acquisto di materie prime o semilavorati vengono qualificati come
invP.stirnenli
in rapita/eci.rrolant,e
e trasformati in costi (solitamente in tempi molto più rapidi) so-
lo al momento della loro "incorporazione" nell'output; i flus.5irelativi all'affitto della sede o al-
l'amministrazione vengono invece immediatamente qualificati come costi cOTTl'nti. Analoga-
mente, il flusso di cassa corrispondente al pagamento ritardato di una vendita viene riportato
indit'tro rwl tempo e quello anticipato fatto slittare in avanti.
4. Il valore economico dell'impresa J 201

Si cerca cioè - dando un"'interpretazione" ai diversi flussi e spostandone


alcuni idealmente nel tempo - di portare a coerenza i ricavi e i costi attri-
buibili all'output dell'impresa in un determinato intervallo di tempo (quale
l'anno).

4.3.1L'interpretazione
"finanziaria"

Una prima riformulazione del valore economico è quella che fa riferimento


alNCFoFCF3.
L'idea sottostante alla definizione di questa grandezza è quella di guarda-
re ai rapporti fra l'impresa e il sistema reale (fornitori, clienti, dipendenti
ecc.) - invece che a quelli fra l'impresa e gli azionisti - e di valutare l'entità
del saldo fra:
• gli incrementid.elledisponibilità liquid.edi cassaderivanti all'impresa dall'atti-
vità corrente;
• gli assarbimentid.ell.edisponibilità liquid.edi cassa derivanti all'impresa dalle
necessità di investimenti di sviluppo e/ o mantenimento e/ o trasforma-
zione.
Tale saldo, se positivo, viene utilizzato dall'impresa per corrispondere divi-
dendi agli azionisti (al netto degli eventuali aumenti di capitale a pagamento
richiesti agli stessi) e/ o per diminuire l'indebitamento finanziario e/ o per ac-
crescere le scorte finanziarie; e viceversa se negativo.
Nel caso invece in cui valgano le ipotesi limitative da noi fatte, in cui non
esista cioè la possibilità di indebitamento e di accumulo di scorte finanziarie,
il saldo NCF(t) viene necessariamente a coincidere con NCG(t). Solo l' esisten-
za di un saldo positivo nei rapporti finanziari dell'impresa con il sistema reale
permette infatti di trovare le risorse da corrispondere agli azionisti; e d'altro
canto, essendo questi ultimi l'unica fonte di finanziamento dell'impresa, è ad
essi che l'impresa stessa deve rivolgersi nel caso in cui il saldo dei suoi rappor-
ti con il mondo reale si prospetti negativo.
Nell'ambito delle ipotesi limitative, quindi, e ricordando l'equivalenza fra
NCG(t) e NCF(t), il valore può essere allora in primo luogo riformulato, per
un'impresa non a termine, come

V(O) =
.
i
t=l
NCF(t)
(l+k)t
( 4.3)

dando evidenza ai rapporti dell'impresa con il sistema reale.

8. Per un'analisi più puntuale delle relazioni tra NCF e NCG, cfr. ap,pendice l//.1.
202 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

4.3.2 L'interpretazione
"economica"

La grandezza chiave per l'interpretazione "economica" del valore è l'extra~


fitto X*(t), che correla il profitto alle aspettative di rendimento del capitale di
pertinenza degli azionisti in gioco e che è la differenza, più precisamente, fra:
• il profitto X(t) che l'impresa pensa di realizzare nell'anno t, e
• il profitto che il mercato finanziario si attende sulla base delle opportu-
nità alternative di utilizzo del danaro: calcolabile come prodotto del ca-
pitale di pertinenza degli azionisti che l'impresa pensa di utilizzare nel-
l'anno t per il tasso-opportunità k.
Nell'ambito delle ipotesi fatte si può dimostrare (con una serie di passaggi qui
non riportata per ragioni di brevità) che il valore può essere espresso alterna-
tivamente come

r-0 X*(t)
V(O) = V"(O) + I (4.4)
t=I(l+k)t

ossia come somma de:


• il capitale V"(O) di pertinenza degli azionisti, o capitalRdi libro(bookvalue),
all'istante O: all'istante cioè in cui si effettua la valutazione 9 e
• gli extraprofittiX*(t), attualizzati, previsti per il futuro.
Questa formulazione evidenzia la stretta connessione fra il valore attribuibile
all'impresa e la sua capacità di essere extraprofittevole. Non è sufficiente cioè
ai fini del valore che l'impresa sia profittevole, ma occorre che la sua profitta-
bilità - denotata usualmente con il parametro ROE ( return on equity), che rap-
porta per ciascun anno il profitto al corrispondente capitale di libro (di perti-
nenza degli azionisti) in gioco - superi !'"asticella" fissata dal mercato a livello
del tasso-opportunità k.
Questa formulazione non rende invece immediatamente palese l'impor-
tanza che ai fini del valore ha la crescitadell'impresa, e più propriamente la
crescita del capitale V"(t) di libro che l'impresa stessa mette in gioco nel tem-
po per ampliare il suo raggio di attività, incren1entando - attraverso i profitti
non distribuiti o gli aumenti di capitale a pagan1ento -quello iniziale V"(O).
Ma è immediato comprendere che, a paiità di redditività, l'entità degli ex-
traprofitti relativi ai diversi anni è proporzionale all'entità dei capitali di libro
V" in gioco negli stessi.
Questa formulazione pone una forte enfasi stù capitale di libro V"(O) iniziale:
• perché è a partire da esso che si calcolano (in base agli incrementi o ai

9. Il capitale di pertinenza <leg-liazionisti può essere definito concettualmente come il valore


"storico" del capitalt' immesso <lag-liazionisti nell'azienda, o direttamente o sotto forma di
profitti di anni pn·cedt'nti rt'investiti nell'impresa. Per una definizione più puntuale, cfr. c.api-
touJ I 2.
4. Il valore economico dell'impresa \ 203

decrementi) i capitali di libro V"(t) relativi agli anni successivi, e quindi i


profitti richiesti dal mercato e gli extraprofi tti;
• perché è il valore che assume l'impresa se riesce a raggiungere, pur sen-
za superarla, l'asticella fissata dal mercato: se presenta cioè extraprofitti
mediamente nulli;
• perché potrebbe essere di conseguenza considerato una sorta di bench-
mark per correlare il valore alle risorse messe in gioco.
Ma è importante osservare che, mentre le due prime affermazioni sono sem-
pre vere, la terza - posta come condizionale - assume un significato reale solo
se si ha a che fare con un'impresa in fase di nascita. In tale caso infatti V"(O)
rappresenta esattamente la quantità di danaro da impiegare per la costruzio-·
ne da zerodell'ossatura della nuova impresa e ha senso vederlo come un bench-
mark per il valore 1l(O)della medesima.
Lo stesso non si può dire per un'impresa già esistente. A differenza infatti
del caso precedente, V"(O) non rappresenta il valore di 'acquisto- o meglio di
riacquisto- dell'insieme delle risorse in gioco all'istante O, ma solo la misura
contabile di quanto immesso o non ritirato dagli azionisti nel passato. Alcune
risorse patrimoniali infatti, come gli impianti e le attrezzature in fase di am-
mortamento, vengono ad avere un valore di riacquisto difficilmente definibi-
le: soprattutto se nel frattempo sono state soggette a fenomeni più o meno
marcati di obsolescenza tecnica. Altre risorse, come l' immagi,neo il cosiddetto
apprendimento organizzativo, risultano addirittura non acquistabili - singolar-
mente e/ o nel momento desiderato - sul mercato ( nonmarketabl,e).

4.4 La lineadel valore

Una comprensione più immediata e intuitiva dei legamifra valore,scala (intesa


come volume delle risorse in gioco), profittabilità, crescitae rischiopuò essere ot-
tenuta - a prezzo di una minore vicinanza alla realtà- utilizzando il modelwdel-
la linea del vawre ( value line), prendendo cioè in esame un'impresa estremamente
stilizzata dal punto di vista dell'andamento economico nel tempo, e più preci-
samente introducendo come ipotesi addizionali che:
a. l'impresa sia contraddistinta da un livello ROE di profittabilità costante
nel tempo;
b. l'impresa cresca in modo regolare nel tempo: presenti cioè un tasso an-
nuo costante di crescita g del suo capitale di libro;
c. l'impresa distribuisca agli azionisti sotto forma di dividendi solo una par-
te percentualmente costante dei suoi profitti, riservando la restante par-
te all'autofinanziamento della crescita 1°.

10. Nell'ipotesi ad esempio che il valore di libro iniziale V''(O) sia pari a 100 milioni di€, la profit-
204 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

La formulazione del valore, con riferimento a un orizzonte temporale indefi-


nito, diventa (come si può analiticamente dimostrare) estremamente compat-
ta, e precisamente

V(O) = V"(O) ROE/k-g/k = V"(O) ROE -g0 0


(4.5)
1-g/k 1-go

ove la profittabilità normalizzata ROE ha come livello naturale di riferimento


0

I (profittabilità ROE dell'impresa pari a queHa k richiesta dal mercato) e assu-


me quindi il significato di misura di extraprofittabilitic,ove la crescita normaliz-
zata g ha a sua volta in assenza di inflazione come livello naturale di riferi-
0

mento O (scala di attività costante nel tempo) e assume quindi implicitamente


il significato di misura di extracresci,ta,con un limite massimo (imposto dalla
matematica per non arrivare a livelli infiniti del valore ma largamente giustifi-
cato dalla realtà) che deve essere ipotizzato inferiore a 1. La figura 4. 7 fornisce
una rappresentazione grafica del legame fra valore ed extraprofittabilità- os-
sia della linea del valure- nelle diverse condizioni di crescita.
Nell'ipotesi di cresatanulla (g = g = O) 0

ROE
V(O) = V"(O) = V"(O) . ROE 0 (4.6)
k

la stretta interconnessione fra valore, extraprofittabilità e scala risalta in ma-


niera palese. -
Il valore dell'impresa viene in particolare a coincidere con quello iniziale di
libro V"(0) se la profittabilità è in linea con le opportunità alternative offerte dal
mercato (ROE =1), è superiore ad esso se l'impresa è extraprofittevole (ROE >
0 0

1) e inferiore se sottoprofittevole (ROE < 1): con un legame di tipo lineare 11.
0

tabilità ROEal 15 per cento e il tasso di crescita gal 5 per cento, il profitto dell'impresa alla fi-
ne del primo anno risulterà pari a 15 milioni di€ e l'incremento di capitale di libro necessa-
rio per finanziare la crescita risulterà pari a 5 milioni di €. Nella ipotesi c. di autofinanziamen-
to fatta, valida ovviamente solo perché ROE è maggiore di g, l'impresa ha la possibilità di de-
stinare un terzo del suo profitto alla crescita, elevando il capitale di libro a 105 milioni di €, e
due terzi- 10 miliòni di €-agli azionisti sotto forma di dividendi. Alla fine del secondo anno
il profitto salirà a 15,750 milioni di€, essendo inalterata la profittabilità ma più elevato il ca-
pitale di libro da remunerare; la crescita assorbirà 5,250 milioni di€, portando il capitale di li-
bro a 110,250 milioni di €; i dividendi saranno pari alla differenza - 10,500 milioni di€ - con
un incremento percentuale rispetto a quelli dell'anno precedente pari anch'esso a g, ossia al
5 per cento. E così via per gli anni successivi.
11. Questo significa ad esempio, per una nuova impresa che si costituisca con un capitale iniziale
(destinato a mantenersi tale nel tempo) di 100 milioni di€, che la cifra è salvaguardata solo
se la profittabilità è almeno pari a quella richiesta dal mercato; che in presenza di una profit-
tabilit.à attesa del 50 per cento supe1;ore, il valore dell'impresa si colloca a 150 milioni di€, os--
sia a un livello del 50 per cento al di sopra della cifra messa in gioco; che, in presenza di una
profittabilità attesa che (seppur positiva) sia solo la metà di k, il valore dell'impresa si colloca
a 50 milioni di€, con una distruz.ùmedi metà della cifra messa in gioco.
4- Il valore economico dell'impresa I 205

FIGURA 4.7 - La lineadel valore:l'effettodellacrescita

V(O) V(O)
g>O
V"(O)

l V"(O)

o o

o 0,8 l 1,3
ROE
ROE 0 =--
k

La sca/,adell'impresa- quale desumibile da VA(O)- rimane comunque impor-


tante: a parità di ROE infatti, owiamente, il valore dipende solo dalla scala 12 .
0

Nel caso generale di crescitanon nul/,a (superiore o inferiore a O), invece,


l'impatto della crescita sul valore non è univoco.
Il valore dell'impresa continua a coincidere con il valore di libro per ROE = 1 0

e continua ad avere un legame di tipo lineare con l' extraprofittabilità a parità


di crescita.
Cambia però il segno dell'impatto della crescita,a seconda che la profittabi-
lità attesa sia superiore o inferiore a quella richiesta dal mercato. Cambia la
sensibilità del valore ali' extraprofittabilità, che risulta esaltata per g > O e atte-
nuata per g < O (essendo il coefficiente angolare pari a 1/ ( 1 - g 0
) ) •

In particolare:
• la combinazione più favorevole si ha quando l'impresa è extraprofittevoke
allo stesso tempo cresce:perché si creano le condizioni per un continuo
incremento del capitale che l'impresa sa far rendere al di sopra delle ri-
chieste del mercato;

' I
12. E immediato (oltre che owio) vedere a tale proposito che un'impresa, anche se molto più
&rava di un'altra, può presentare un valore sensibilmente inferiore. Se si considerano infatti
un'impresa A con ROE = 0,5 e VA(O)= 100 (in milioni di€) e una B con ROE = 2 e VA(O)=
0 0

10, il valore della seconda- molto più &rava della prima- si colloca comunque in un rappor-
to 20 contro 50.
206 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• la combinazione più negativa si ha quando l'impresa è sottoprofittevoke


allo stesso tempo cresce:perché gli azionisti si trovano davanti non solo a
un sottorendimento delle risorse inizialmente in gioco, ma (nell'ambito
delle ipotesi fatte) sono costrettiad aumentarle continuamente, rinun-
ciando a ritirare una parte dei profitti o addirittura nei casi peggiori
(teoricamente) reintegrandole con nuove immissioni;
• un'attenuazione degli effetti sul valore, sia di quelli positivi dell'extrapro-
fittabilità sia di quelli negativi della sottoprofittabilità, si ha infine per l'im-
presa che decresce restituendo progressivamente il capitale agli azionisti: in
ambedue i casi proprio perché si riduce la scala delle risorse in gioco 13.
La crescitaquindi non può essere considerata - alla luce del suo impatto sul va-
lore - come l'obiettivo prioritario da perseguire, come invece spesso è storica-
mente accaduto e può accadere soprattutto nel caso di non coincidenza fra
top managemente proprietà e di ricerca da parte del primo della visibilità e del
prestigio che gestire un'impresa più grande può dare. Essa infatti, se non si
accompagna a una capacità dell'impresa di essere extraprofittevole o se non
contribuisce addirittura a creare le condizioni perché questo avvenga (attra-
verso ad esempio il gioco delle economie di scala e di apprendimento), può
abbattere anziché innalzare il valore dell 'in1presa stessa.
Ma nemmeno la profittamlità può essere assunta con1e l'obiettivo priorita-
rio, prescindendo dalla crescita. Un'impresa ad esempio che, puntando a una
profittabilità molto elevata, limiti l'azione ai comparti in cui è più facile con-
seguirla e non si curi di ricercare le occasioni per crescere in maniera sana
(anche se talora con difficoltà nelle fasi di avvio delle nuove iniziative) è desti-
nata a rimanere relativan1ente piccola e di valore inferiore-rispetto a un'altra
che sappia coniugare più intelligentemente i due obiettivi.
L' extraprofittabilità, che viene misurata sul capitale correntemente in gioco,
e l' (extra) crescita, che contribuisce all'evoluzione di tale capitale nel tempo,
possono in un certo senso essere viste-a parità di capitale iniziale V"(O)-come
parzialmenteintercammamliaifini dellaf armazionedel valore.Lo stesso livello di valo-
re V(O),in altre parole, è conseguibile con coppie differenti di ROE e di g 014• 0

13. A puro titolo di esempio, a parità di V"(0) = 100 (in milioni di€) e di ROE = 1,2 e ipotizzando
0

un tasso-opportunità k pari al 10 per cento, il valore V(0)- pari a 120 in condizione di crescita
n~lla - sale a 1:5 per una crescita del 2 per cento (g = 0,02 /0,10 = 0,2) e a 140 per una cre-
0

sCita del 5 (g = 0,05); mentre scende a 116,6 per una decrescita del 2 per cento
(1(= -0:02/0,10 =-0,2). A fronte invece di ROE = 0,8, il valore V(O)-pari a 80 in condizione
0

d1 crescita nulla - scende a 75 per una crescita del 2 per cento e a 60 per una crescita del 5;
mentre sale a 83,3 per una decrescita del 2 per cento.
14. ~tornando all'esempio precedente-valore di libro iniziale pari a 100 e kpari al 10 per cento
- 11valore 140 può essere conseguito da un'impresa che abbia un ROEdel 12 per cento e una
crescita del 5 o da un 'altra con un ROE del 14 per cento e crescita nulla. L'intercambiabilità
pcrù è vera soltanto in relazione alla determinazione del valore, ma non ad esempio se si van-
no a co~1fn~•~ta~·e l_ese~uenze dei 1itorni agli azionisti. Gli azionisti della seconda impresa ser
no d~stmat1 11~fatt1 a ncevere un dividendo 14 costante nel tempo e pari al profitto, mentre
quclh della pnma clm,,-anno accontentarsi di partire da un dividendo molto più basso nel pri-
4. Il valore economico dell'impresa I 207

Il valore attribuito a un'impresa può essere analizzato, ai fini della sua com-
parabilità con quello di altre imprese, introducendo degli indici: che hanno il
pregio di mettere a fuoco determinati fenomeni, ma che (come tutti gli indici
in generale) danno una rappresentazione parziale della realtà.
A titolo di esempio ne prenderemo in esame due, utilizzati frequentemen-
te nel comparare le quotazioni di borsa, per mostrarne la formulazione nel-
l'ambito della nostra trattazione:
• l'indice M/B ( market su book), che rappresenta il rapporto fra la capitaliz-
zazione di borsa e il valore di libro dell'impresa, corrispondente al rap-
porto V(O)/V"(O), e
• l'indice PIE (price eaming), rapporto fra la capitalizzazione di borsa e il
profitto atteso, corrispondente al rapporto fra V(O) e X( 1), che risponde
alla domanda: a quanti anni di profitti (supposti p<tITia quello atteso a fi-
ne anno) corrisponde il valore di mercato dell'impresa?
Risulta:

M V(O) - ROE -g 0 0

-
B VA(Q) I -go
( 4.7)
p V(O)
= -I . I-g RQE
0 0
/
-
E X(I) k I -go

e, in condizioni di crescita nulla,

M V(O)
- = ROE 0

B VA(O) (4.8)
p V(O) I
-- - -
E X(I) k

L'indice M/B, come risulta evidente, vale 1 in corrispondenza a ROE = 1, a 0

prescindere dalla crescita, e presenta poi un andamento in funzione di ROE 0

e di g analogo a quello di V(O).


L'indice P/E vale sempre 1/k in condizioni di crescita nulla: owero il molti-
plicatoreda applicare al profitto per ottenere il valore di mercato, in tale caso
sempre lo stesso, è inversamente proporzionale al tasso-apportunitàk, a indica-
re che tanto più basse sono le opportunità alternative esterne - owero i tassi
di interesse attesi dell'economia - tanto più si deve pagare per un'impresa
che presenti un determinato livello assoluto di profitti, e viceversa.
L'indice P/Evale comunque 1/kse ROE = 1, mentre è1sensibile all'entità e
0

al segno della crescita quando la redditività attesa è superiore o inferiore a k.

mo anno - in quanto possono prelevare solo 7 dal profitto 12 perché 5 servono per finanzia-
re la crescita- per poi accrescerlo al ritmo del 5 per cento all'anno.
208 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

SCHEMA 4.1 - Valoreeconomicoe capitalizzazione


di borsa

Può essere interessante, con tutte le cautele necessarie a causa della natura stilizzata
del nostro modello (in particolare delle ipotesi di costanza nel lungo termine di tutte
le grandezze in gioco), mettere a raffronto quello che il modello stesso "dice" con ciò
che accade nella realtà dei mercati borsistici.
Risulta solitamente confermato il legame inversofra quotazioni delle imprese - e con-
nesse capitalizzazioni - e livello reale dei tassi di interesse previsto dal modello: al pro-
spettarsi di un abbassamento prolungato nel tempo dei tassi, cioè, la borsa coeterispa-
ribussale e viceversa. La realtà sottostante è però molto più complessa. Perché l'ab-
bassamento dei tassi di interesse può avere un impatto diretto positivo, attraverso la
riduzione del costo del danaro che esso comporta, sul livello di profìttabilità delle im-
prese (ipotizzato invece costante nel modello) e sulla loro facilità di finanziare la cre-
scita. Perché viceversa l'abbassamento dei tassi di interesse può essere una spia dello
stato di malessere dell'economia, con implicazioni di segno opposto: per l'effetto de-
pressivo che una contrazione della domanda ha sul fatturato e sui margini, e quindi
sul livello di profìttabilità e le prospettive di crescita, delle imprese stesse.
Anche i valori assunti nella realtà di mercato dagli indici M/B e P/E, riportati sulle pa-
gine di borsa dei principali giornali economico-finanziari, richiedono di essere "inter-
pretati".
Se si guarda all'indice M/B a metà 2011,per alcune delle imprese quotate italiane, si
ritrova una dispersione dei valori molto elevata: Fiat 0,81, Enel 1,10,Eni 1,26, De' Lon-
ghi 1,59,Tenaris 2,51,Geox 2,61, Luxottica 3,10,Tod's 4,55, Ferragamo 8,47, Yoox 9,70.
È una dispersione notevolmente superiore a quella prevista dalle formule viste in pre-
cedenza, sensibili alla combinazione profìttabilità-crescita ed eventualmente (come si
vedrà nel seguito) al differenziale di rischio. Ma che trova la sua spiegazione nella si-
stematica sottovalutazionenel capitale di libro B di alcuni asset "intangibili" (i brevetti,
il know-how,i brand, l'immagine ecc.), determinanti per spiegare il valore di mercato
M di molte imprese, e nel conseguente gonfiamentodell'indice M/B. Le imprese ad
esempio che hanno come asset fondamentali i brand (come Tod's e Ferragamo) pre-
sentano livelli più elevati degli indici rispetto alle imprese energetiche (Enel ed Eni) e
alle automobilistiche (Fiat) che operano con asset ''tangibili" proporzionalmente più
consistenti. La sottovalutazioneè legata al fatto che gli esborsi che le imprese sosten-
gono nel tempo per finanziare la ricerca o per fare pubblicità ai loro prodotti, a diffe-
renza di quelli per acquistare impianti o software, non vengono usualmente contabi-
lizzati come investimenti:come invece awiene se i brevetti o i brand non sono svilup-
pati all'interno, ma acquistati da altre imprese.
Se si guarda all'indice P/E - i dati che riportiamo (tratti dal FinancialTimes) sono an-
ch'essi relativi a metà 2011- si ritrova di nuovo una dispersione elevata dei valori: 54,7
per Fiat, 20,9 per Google, 19,6 per Oracle, 18,4 per PepsiCo, 17,1per Appie e Procter &
Gamble, 13,2per Coca-Cola, 12,6 per Wal-Mart Stores, 12,2 per Cisco, 11,7per Exxon
Mobil, 10,7 per Vodafone, 10,5 per Microsoft, 9,9 per Dell, 9,3 per Royal Dutch Shell,
9,1 per AT&T, 8,7 per Samsung, 8,7 per HP, 8,6 per Enel ed Eni, 8,1 per Nokia, 7,1 per
Telef6nica e 5,5per Telecom Italia.
Una parte di questa dispersione è in linea con quanto previsto dal nostro modello sti-
lizzatorelativamente all'impatto della crescita o decrescita attesa.
4. Il valore economico dell'impresa \ 209

La presenza di multipli molto differenziati nell'ambito dell'ICT - dal 20 circa di Google e Oracle al
10 di Microsoft e all'8 circa di HP e Nokia - riflette le differenti aspettative (commentate nel para-
grafo1.4e in altri punti del testo) sul futuro delle imprese. Tali aspettative si sono peraltro molto
modificate negli ultimi anni, sia in termini assoluti (ove hanno risentito anche del generale abbas-
samento dei multipli verificatosi) sia in termini relativi: a metà 2007 Google aveva ad esempio un
multiplo pari a 44,9 e Microsoft a 23,0. Nella situazione attuale sono le imprese operanti nei socia/
networkche hanno multipli, di mercato o impliciti,estremamente elevati; mentre Google, ormai
più stabilizzata nelle attese di crescita, ha un multiplo simile a quello che aveva Microsoft prima di
essere considerata (a torto o a ragione) una realtà a bassa crescita.
Anche per Telecom Italia (cfr. schema 1.3)la borsa sembra esprimere - con un multiplo veramente
molto basso - un giudizio non positivo sulle aspettative di crescita: legato probabilmente sia alle
difficoltà della componente mobilesul mercato italiano sia al carattere composito e potenzialmen-
te instabile dei suoi azionisti di riferimento sia alla sua ridotta contendibilità defacto per i vincoli
che potrebbero essere posti dallo Stato. Apparentemente il multiplo di Telef6nica - uno dei leader
mondiali del comparto - non è di moito superiore, ma vi è un effetto di illusionelegato al diverso
rapporto utile/ricavi (10,8 contro 16,3 per cento): che fa sì che la capitalizzazione di borsa di Te-
lef6nica sia pari al 117per cento dei suoi ricavi e quella di Telecom Italia soltanto al 56,8 (Vodafone
ha un rapporto addirittura pari al 180 per cento e AT&T al 146).

Ma una parte della dispersione ha ragioni diverse:


• l'impresa in oggetto può essere giudicata non contendibile,e conseguentemente
penalizzata nel multiplo per l'improbabilità del verificarsi di scalatecon i conse-
guenti incrementi del valore di mercato che tanto piacciono agli azionisti: se il
flottante - owero la quota di azioni non nelle mani di chi controlla l'impresa - è
basso (o comunque inferiore al 50 per cento); se è lo Stato l'azionista di riferi-
mento, come per Enel ed Eni; se comunque, come per Telecom Italia, lo Stato po-
trebbe porre ostacoli a un cambio di controllo;
• l'impresa in oggetto può essere giudicata poco trasparente,e conseguentemente
penalizzata nel multiplo per la maggiore rischiosità percepita da chi acquisti le
azioni: come nel caso della coreana Samsung, che continua a presentare multipli
inferiori a quelli delle imprese comparabili;
• il profitto corrente E può essere giudicato anomalo dal mercato, e quindi non si-
gnificativo in termini di proiettabilità nel futuro, perché molto sensibile al ciclo
economico (e quindi soggetto a forti oscillazioni che fanno perdere significatività
a P/E) o perché legato a fatti straordinari: quali la plusvalenza registrata in corri-
spondenza alla vendita di un ramo dell'impresa o viceversa il costo attribuito al-
l'esercizio di una ristrutturazione che preveda il write-offdi alcune voci dello stato
patrimoniale e la corresponsione di incentivi per favorire la riduzione su base vo-
lontaria del numero degli addetti.

li multiplo 54,7 di Fiat rientra in quest'ultima fattispecie - un profitto corrente giudicato straordi-
nariamente basso rispetto all'andamento futuro (in termini assoluti e in relazione ai ricavi) - e non
è attribuibile, come il numero potrebbe far pensare, a un'aspettativa di crescita simile a quella dei
socia/network.Se si guarda infatti al rapporto fra capitalizzazione di borsa e ricavi (che per i socia/
networkè altissimo), si può verificare che esso è pari solo al 24 per cento per Fiat, contro il 57 per
cento di Daimler e Toyota e il 70 di BMW.
210 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

La trattazione effettuata sinora ha preso in considerazione un tasso-opportu-


nità k corrispondente a una situazione ritenuta di rischiomedio.Tuttavia il mer-
cato finanziario in generale e i singoli operatori, con punti di vista che posso-
no essere anche diversi, guardano solitamente al rischiospecificodelle imprese
in esame - dipendente dai comparti e dalle aree geo-politiche in cui operano
ma anche ad esempio dal loro grado di indebitamento - soprattutto se esso si
discosta in misura sensibile da quello medio.
Dal punto di vista formale la formulazione del valore esposta in precedenza
continua a valere, pur di numerizzare k in funzione del rischio specifico inve-
ce che di quello medio.
Dal punto di vista invece de1la possibilità di confronto fra imprese diverse o
della comprensione di quale sia l'effetto depressivo o esaltativo - sul valore -
di una percezione del rischio superiore o inferiore alla media, conviene pro-
cedere a una formulazione un po' diversa: -
• considerando k come il prodotto del tasso-opportunità k in condizione 0

di rischio medio e di un fattore di extrarischio (J + q) legato alle condi-


zioni specifiche dell'impresa;
• normalizzando la profittabilità e la crescita, attraverso ROE e g rispetto 0 0
,

al rischio medio e non a quello specifico.


Si ottiene:

ROE /(l + q) -g /(l + q)


0 0

V(O) = V"(O) ( 4.9)


l -g /(I+
0
q)
'
E immediato vedere da questa forn1ulazione come la percezione di un sovra-
rischio o di un sottorischio si scarichi direttamente sulle "'attese" di profittabi-
lità e di crescita: deprimendole o esaltandole, rispetto al caso di rischio me-
dio, attraverso il medesimo fattore (1 + q) posto a denominatore di ciascuna
delle due. Con un effetto che può apparire analogo a quello di un differente
livello di crescita - owero di rotazione della linea del valore, anche se a segni
ovviamente invertiti - ma con un 'importante differenza: che mentre la cresci-
ta non andava ad alterare il livello di profittabilità, per cui il valore risultava
pari a quello di libro (particolarmente significativo per un'impresa di nuova
costituzione) in corrispondenza a un valore di ROE pari a k l'allontanamen- 0
,

to dal rischio medio sposta a k (l + q) tale livello. La figura 4.8 fornisce una
0

rappresentazione grafica dell'impatto del rischio stùla linea del valore.Essa evi-
denzia in particolare l'effetto congiunto di traslazione e di rotazione, a fronte
di un rischio superiore a quello medio, che subisce - a parità di crescita - la
retta che correla il valore all'extraprofittabilità.
Il tema del rischio,della sua centralità nella \tita dell'impresa- oltre che della
sua rilevanza per il mercato finanziario - e dei fattori che possono esaltarlo o at-
tenuarlo (quali la minore o maggiore flessibilità), è stato oggetto di attenzione
nel parawafo 2.6. Si possono aggiungere però alcune considerazioni sintetiche.
4. Il valore economico dell'impresa I 211

FIGURA 4.8 - La lineadel valore:l'effettodel rischio

V(O) V(O)
V/\(0) g=O

g=O

l ·············································································
·························1····················

o o
o l l +q ROE
ROE 0 =--
k

Il peso attribuito al rischio è innanzitutto, come detto, estremamente sogget-


tivo. E conseguentemente molto diversi sono i comportamenti degli attori
economici e finanziari: delle imprese, nelle scelte relative ai loro investimenti
e alla loro collocazione strategica; degli investitori, nelle scommesse che essi
fanno allocando il proprio danaro. Fermo restando che chi si prende più ri-
schi rispetto alla media vuole essere premiato e chi se ne prende meno accet-
ta di subire una decurtazione dei suoi ritorni attesi.
Il premio nasce dalla differenza fra le aspettative ex ante e i risultati ex post.
Se la previsione della distribuzione di probabilità dei ritorni fatta ex ante è
corretta, infatti, la media ex post dei risultati deve riflettere esattamente il va~
re atteso;mentre la varianza determina la distribuzione attorno al valore medio
dei risultati, ma non può incidere ovviamente sul valore medio stesso.
Quanto maggiore è, di conseguenza, la penalizzazione q data ex ante al valo-
re (medio) atteso, in connessione con la varianza, tanto più elevata è la diffe-
renza - in termini ovviamente stocastici e non deterministici - con il valore
medio ex post. e tanto più elevato, sempre in termini stocastici, è il premio per
chi si assume l'extrarischio 15.

15. Con riferimento all'esempio precedente - V"(O) pari a 100, ROE pari a 1,2 e g pari a 0,2- e 0 0

ipotizzando una penalizzazione q dovuta alla varianza del 25 per cento, il valore ex ante V(O)
dell'impresa si riduce da 125 a 95,2, con il passaggio addirittura d 1ll'area di creazione a quel-
la di distruzione del valore: per l'effetto depressivo che qgioca sulle attese di profittabilità e di
crescita, che passano rispettivamente da 1,2 a 0,96 e da 0,2 a 0,16.
212 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

La scelta di un investimento più rischioso rispetto a uno meno rischioso -


per un'impresa o per un investitore finanziario- si pone concretamente, d'al-
tra parte, solo quando a un maggior rischio si affiancano una maggiore pro-
fittabilità e/ o una maggiore crescita attese. Mentre non è oggetto di interesse
un investimento che si presenti nel contempo come poco remunerativo e
molto rischioso.
I grandi successi sono spesso nati da grandi azzardi: lanciare un prodotto
completamente nuovo (cfr. sottoparagrafo2.6.2) è assai più rischioso che fare
investimenti per migliorare il processo di produzione di un prodotto già con-
solidato; ma il prodotto nuovo, se ha successo, può portare a risultati e a pro-
spettive di crescita molto soddisfacenti.
Il rischio può essere ridotto o esaltato in funzione delle scelte di portafoglio
che si effettuano.
Un'impresa ad esempio che operi in molti business,poco correlati fra loro,
presenta un rischio coeterisparibus inferiore rispetto a un 'altra che punti tutte
le sue carte su un solo business.Un investitore finanziario che scelga un por-
tafoglio di azioni composito (sia dal punto di vista dei settori che delle nazio-
nalità delle imprese) presenta un rischio coeterisparibus inferiore rispetto a un
altro che punti tutte le sue carte su una sola in1presa.
Ma il desiderio di ridurre il rischio - owero la varianza - può portare a una
riduzione del valore atteso.L'impresa che distribuisca in troppi rivoli le sue ri-
sorse può trovarsi ad esempio, se non consegue la massa criticanei business in
cui è presente, ad essere poco competitiva e conseguente1nente ad avere una
bassa profittabilità e una bassa attesa di crescita.

SCHEMA 4.2 - I criterie le metodologiein uso nella.realtàper il calcolo


del valoreeconomico

È frequente, leggendo i giornali finanziari o le pagine economiche dei giornali, imbat-


tersi in espressioni del tipo: l'impresa x è stata valutata quattro volte il suo ebitda o
sette volte il suo ebit o venti volte il suo utile o due volte il suo fatturato. Se si guarda
invece alla letteratura specialistica, le formule che esprimono il valore sono spesso

Il valo~e medi? ex post dei risultati, se la disn;buzione attesa degli stessi riflette le previsioni,
deve nsultare mvece pari al valore (medio) atteso ex ante 125: dal momento che la varianza è
ininciden te su di esso.
Chi si assume il rischio, acquistando al valore 95,2 atn;buito ex ante dal mercato finanziario si
. . . '
n,trova ex post - m .termmi ovviame1?te sto_casticie non deterministici - con un valore pari a
125 e c~n un c~>~nspondente prem10 pan alla differenza 29,8. La varianza elevata però fa sì
che egh - a panta d1 valore medio 125 - possa ottenere risultati molto lontani fra loro: estre-
m~1m~nt_cs~ddisfac~nti a t_mestr~mo, con un valore pari ad esempio a 250 e un corrispon-
dtnte prenuo effettivo pan alla differenza 154,8; profondamente deludenti all'altro estremo
con un ~zcrament~> (1?el caso di simmetria della dismbuzione di probabilità) del valore ~
una perdita st·cca dfetuva pari a 95,2.
4. Il valore economico dell'impresa I 213

molto complesse dal punto di vista statistico e ricorrono talora all'uso del concetto di
opzione.La domanda che viene legittimo porsi è: che rapporti esistono fra la nozione
di valoreeconomicofornita nel capitolo e le molteplici versioni, tutte diverse fra di loro
ma anche inquadrabili in macrocategorie, che si ritrovano nell'uso corrente o nelle
trattazioni più sofisticate?
~appendice/.2, scritta da Franco Quillico, si propone di rispondere a questa domanda
e allo stesso tempo di offrire un quadro ampio e piuttosto esaustivo delle molteplici
metodologie impiegate nella realtà. Per comprendere i legami fra tale quadro e la no-
stra nozione di valore,si deve ricordare (riprendendo discorsi in parte già fatti) che nel
formulare quest'ultima:
• si è fatto riferimento a un'impresaprivadi debitifinanziari,a un'impresa cioè in cui
il capitale investito coincide con quello di pertinenza degli azionisti e il valore at-
tribuibile al capitale azionario V(O) coincide quindi con quello attribuibile all'im-
presa (enterprisevalue) EV(O);
• si è fatto riferimento a un'impresa non soggetta alla tassazionedell'utile:ipotesi
particolarmente limitativa in presenza di indebitamento per il diverso trattamen-
to fiscale riservato agli oneri finanziari, che vanno a ripagare il debito, rispetto al-
l'utile e per le conseguenze che questo può avere sulla scelta del livello di indebi-
tamento (cfr. appendice/.1);
• si è ipotizzato di disporre di proiezioni esplicitee quasi-deterministiche dell'anda-
mento futuro dell'impresa e in particolare della sua capacità di generare cassa
verso gli azionisti: esplicitein quanto rappresentate da numeri relativi a tutti gli an-
ni futuri; quasi-deterministiche nel senso che il determinismodei numeri è stato
parzialmente corretto attraverso l'introduzione sintetica del rischio(medio o diffe-
renziato per impresa), che in parte però è un riflesso del livello di indebitamento;
• ci si è posti, nel definire il valorecome somma scontata delle generazioni nette di
cassa verso gli azionisti, nei panni degli azionisti cosiddetti cassettisti,che guarda-
no ai ritorni nel medio-lungo termine loro derivanti dal possesso del capitale
azionario e non sono particolarmente sensibili quindi alle eventuali fluttuazioni
che si possono invece verificare nel valore corrente di mercato: di rilevanza cen-
trale viceversa per gli azionisti speculatori(termine utilizzato senza connotazione
negativa alcuna), che effettuano frequenti operazioni di compravendita di azioni
sul mercato finanziario.
~appendice/.2 "rifiuta" le prime due ipotesi (da noi introdotte per semplificare la trat-
tazione) e fa riferimento quindi a un'impresa reale, che ricorre usualmente al debito
come fonte di finanziamento e che opera in un contesto in cui gli utili sono soggetti a
tassazione. Relativamente alla terza ipotesi, essa suddivide le metodologie in due ma-
crocatego rie:
• metodologie basate su proiezioni esplicitedell'andamento futuro dell'impresa,
concettualmente simili a quella da noi utilizzata, con il mantenimento della logi-
ca quasi-deterministica o il passaggio a modalità più sofisticate di trattamento del
rischio e dell'incertezza;
• metodologie basate su proiezioni implicite:prime fra tutte quelle che valutano
l'impresa, attraverso i cosiddetti multipli,guardando a come il mercato finanzia-
rio sta valutando imprese ritenute comparabili.
Le metodologie basate sui multipli,quelle appunto che vedono il valore come un mul-
tiplodell'ebitdapiuttosto che dell'utile, appaiono - relativam'ente alla quarta ipotesi -
214 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

le più adeguate per gli azionisti speculatori: data l'attenzione costante che esse presta-
no all'andamento delle quotazioni sul mercato finanziario, che non sono invece mini-
mamente tenute in conto nella nostra formulazione.
!.:appendice /.2 si chiude con due consigli, che vale la pena sottolineare:
• verificare sempre con una analisidi sensitivitàl'impatto che le specifiche ipotesi
fatte hanno sulle proiezioni, in particolare su quelle esplicite: perché sono le ipo-
tesi a impatto più elevato che richiedono una validazione più attenta;
• utilizzare se possibile più metodologie, per verificare il loro grado di convergenza
e per cercare di comprendere le ragioni di divergenze significative.

4.5 Il valorecomeobiettivo-guidaper la gestionedell'impresa

"La massimizzazionedel valareper gli azionisti ha a~sun to una sern pre maggiore
concretezzacome guida per i comportamenti dell'impresa e quindi per il suo
top management", si diceva all'inizio di questo capitolo. E il termine value based
management è indicativo di una modalità di conduzione dell'impresa attenta
ai risultati correnti, ma attenta anche a trasmettere ali' esterno- al sistema fi-
nanziario in particolare - l'idea (non sempre corrispondente alla verità inter-
na) della sostenibilitànel tempoe possibilmente della crescitadell'utile.
Con il vantaggio per una società quotata di poter monetizzare subito, attra-
verso l'aumento della capitalizzazione di borsa, eventuali miglioramenti nelle
aspettative per il futuro.
Con il vantaggio, per una società non quotata, di aumentarne il prezzo nel-
la prospettiva di una cessione o di una quotazione in borsa (/PO - initial pu-
blic offering).
I comportamenti reali, anche quando tutti formal·mente ispirati al value ba-
sed management, possono differire però profondamente in funzione della di-
versa tipologia degli azionisti e del top management.
Una prima grande differenza-focalizzando la nostra attenzione sugli azionisti
che detengono il controllo dell'impresa e quindi la gestiscono direttamente
e/ o ne scelgono il top management- è fra gli azionisti a tempo indeterminatoe gli
azionisti a termine.quali tipicamente i fondi di p1ivate equity.Per ambedue le ca-
tegorie sono rilevanti sia il valore "corrente" che l'impresa assume 16 nel tempo
sia i dividendi ordinati e straordinari (restituzioni di capitale) - al netto degli
aumenti di capitale a pagamento - che essa eroga. Per ambedue le categorie è
importante che gli investimenti o i reinvesti.menti generino valore. Mal' esisten-
za di un termine massimo "desiderato" di permanenza nel capitale dell'impresa
fa sì che per i secondi - a differenza che per i primi - non risultano accettabili

16. Il :a_Iore "corrente" è PsjJ/iritato


solo quando l'impresa è quotata, aloimenti è impli.cit.o
e desu-
rmb1le sulla hase dei criteri accennati in precedenza. Tale valore decresce ov\iamente, c.oeteris
/J_r:rih1H:_al
crescere delle res_titu~ioni <licapitale agli azionisti: a fronte dell'alienazione di "pez-
zi <lt'II impresa o della sost1tuz10ne <licapitale propdo con capitale di debito.
4. Il valore economico dell'impresa I 215

investimenti che non riescano a rendere visibi1eilloro potenziale di valore entro


tale termine: con la conseguenza che talora il ridimensionamento dell'impresa,
con l'alienazione di sue parti e la retrocessione all'azionariato dei relativi ricavi,
può essere privilegiato rispetto a un potenziamento non capace di tradursi in
un aumento del prezzo realizzabile al momento (predeterminato) della vendi-
ta. Per gli azionisti a terminepuò esistere inoltre la tentazione, sfruttando la sen-
sibilità ai risultati correnti dei criteri di valutazione "grossolani" spesso utilizzati
dal mondo finanziario, di migliorare i risultati visimliriducendo gli investimenti
discrezionalia impatto più ritardato nel tempo (quali quelli in R&D, in immagi-
ne o in formazione, tutti contabilizzabili come costi correnti): con un effetto ne-
gativo sul valore effettivo,su quello cioè calcolato "correttamente" sulla base dei
flussi di cassa netti futuri; ma con il vantaggio viceversa, oltre che di aumentare
l'utile, di incrementare il valore visimle- quello calcolato "convenzionalmente"
sulla base di indicatori - e con esso il possibile prezzo di vendita.
Una secondadifferenzaè legata alla coincidenza o meno fra chi gestisce l'im-
presa e chi la possiede e, nel caso in cui tale coincidenza non esista o sia par-
ziale17, alle modalità con cui il top managementviene cointeressato alla creazio-
ne di valore. Anche in questo caso è solitamente l'orizzonte temporale "atte-
so" di permanenza nella carica e/ o di realizzabilità delle stock option a fare la
differenza: con un potere discrezionale del top management, comunque infe-
riore rispetto a quello dell'azionista a termine del punto precedente, più am-
pio nelle public cmnpany- nelle società cioè ad azionariato molto diffuso e pri-
ve di azionisti di riferimento - e meno ampio in presenza di un azionariato
più concentrato o addirittura familiare.
I comportamenti reali possono risentire anche, e talora pesantemente, delle
ideeche il mercato finanziario si fa - talora più sulla base di modeche non di va-
lutazioni razionali-sulle strategie da perseguire in chiave di valore. Negli ultimi
anni '90 e sino allo scoppio della ''bolla", la moda imponeva ad esempio alle im-
prese di effettuare investimenti consistenti su Internet, attribuendo valori eleva-
ti alle "obbedienti" e penalizzando con basse capitalizzazioni - sino a esporle ai
rischi di scalata - le "disobbedienti": con i risultati che tutti conoscono.
E più o meno nello stesso periodo molte imprese, "obbligate" dalla moda,
alienarono il loro patrimonio edilizio: a prezzi sensibilmente inferiori rispetto
al boomdegli anni successivi.
Gestire sulla base del valore non significa comunque, in nessun caso, non
occuparsi dell'andamento corrente; ma piuttosto evitare di ~uardare quasi
esclusivamente a esso nella scelta delle azioni da privilegiare. E infatti l'anda-
mento corrente, per le imprese quotate, la principale base per la determina-
zione della capitalizzazione da parte del mercato finanziario: con riflessi ne-

17. La coincidenza è parziale quando l'amministratore delegato è anche azionista (ad esempio
perché membro della famiglia proprietaria), ma non detentore di una quota tale da farlo ra-
gionare come proprietario-,
la coincidenza non esiste quando l'amfninistratore delegato è un
manager professionale.
216 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

gativi, se quest'ultima è bassa, sulla possibilità e/ o convenienza a ricorrere


agli aumenti di capitale o con il rischio addirittura - se la società è con tendibi-
le - di takeoverostili. È l'andamento corrente che spesso risulta determinante
ai fini della valutazione della rischiosità dell'impresa e delle sue possibilità e
condizioni di indebitamento. È l'andamento corrente che può rendere più
confidenti i fornitori ad assumere impegni a lunga scadenza, che presuppon-
gano investimenti ad hoc, o i clienti ad acquistare beni di investimento o beni
di consumo durevole, bisognosi di assistenza lungo l'arco della loro vita. Ra-
gionare in termine di valore ha senso, in altre parole, solo se si prendono in
considerazione strategie concretamente perseguibili' (incertezze sul futuro a
parte), perché compatibililungo tutto l'arco di tempo considerato.

ScH EMA 4.3 - Il privateequitye il venturecapitai

Da unfondinodel Corriere
dellaSeradel 22.5.2007, intitolato - parafrasando il titolo di un noto film
con Michael Douglas - "Un'ordinaria giornata da private equity": "La britannica Emi, terza casa di-
scografica mondiale, ieri ha accettato l'offerta da 3,2 miliardi di sterline [...] da parte del fondo d'inve-
stimenti Terra Firma. Alltel, quinto operatore di wireless degli Stati Uniti, ha raggiunto un accordo per
essere acquistato per 27,5 miliardi di dollari dal consorzio formato dal fondo di private equity Tpg Ca-
pitai e dal braccio di private equity della banca d'affari Goldman Sachs. E, per la prima volta nella sua
storia, la Cina ha preso una partecipazione da 3 miliardi di dollari nel fondo americano Blackstone [...].
È la cronaca di un'ordinaria giornata sui mercati mondiali, dove i fondi di private equity sono sempre
più i protagonisti dei grandi affari. 1.'.ultimocolpo risale a qualche giorno fa, quando Cerberus ha com-
prato il gruppo automobilistico Chrysler [un colpo rivelatosi poi molto dubbio dato il fallimento del
gruppo]. Non trascurano nessun settore: dall'industria aerea [...] alla moda, con la battaglia per Valen-
tino Fashion Group tra Carlyle e Permira [poi vinta da Permira]".

112006 e il 2007 hanno rappresentato gli anni d'oro- sia dal punto di vista della raccol-
ta che da quello della dimensione delle operazioni di fusioni e acquisizioni gestite-del
privateequity18 (figura4.9), del protagonista cioè de!le operazioni sopra riportate.
Che cos'è il privateequity?Come opera?
Le società del privateequity,semplificando al massimo la spiegazione, operano nel
modo seguente:
• raccolgono le risorse finanziarie dagli investitori istituzionali (banche, fondi di inve-
stimento, fondi pensione, fondazioni ecc.), collocandole infondi più o meno dedi-
cati (ossia con vincoli più o meno stringenti sulle tipologie di investimenti possibili)
e impegnandosi a liquidare ifondi stessi - disinvestendo - entro un orizzonte di vi-
ta solitamente decennale: con l'opzione di restituire anticipatamente 19 parte dei sol-
di versati ma con la libertà di trattenerli sino alla scadenza decennale·
'
• utilizzano le risorse finanziarie raccolte per entrare nell'azionariato (da cui il ter-

Rtpart 2010effettuato da
18. Lo studio da cui sono tratti i dati e le figure è il Global P,ivate F,quiti,·
Bain & ( :ompany. ·
19• La restituzione anticipata, tanto più "normale" quanto più ci si avvicina alla data di liquidazione
4. Il valore economico dell'impresa I 217

FIGURA 4.9- Valorecomplessivo


dei dealad operadei privateequitydal 1995 al 2010
Globalbuyoutdealvalue
$ 800B

CAGR CAGR
(07-09) (09-1O)

ROW -58% 207%

lii Asia-Pacifìc -42% 37%

■ Europe -64% 160%

■ North America -73% 192%

95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 lO

mine privateequity)delle imprese-preda, con le modalità più diverse (accordi, aste


ecc.) e le partnership più diverse (ad esempio con altre società di privateequity):
può essere acquisita la proprietà totale dell'impresa, ad esempio attraverso
un'OPA (offertapubblicadi acquisto)e il successivo delisting;può essere acquisita
una quota parziale, anche minoritaria, finalizzata ad aiutare l'imprenditore-pro-
prietario a quotare l'impresa in borsa (listing);
• moltiplicanole risorse finanziarie raccolte nel fondo attraverso, come detto, il ricor-
so alla leva finanziaria: in una misura tanto più elevata quanto più bassi sono (co-
me spesso accaduto nel loro periodo di massimo successo) i tassi di interesse;
• rimangono nelle imprese-preda per un periodo solitamente compreso fra i quattro
e i sei anni, occupandosi attivamente della gestione: utilizzando in alcuni casi il
top management preesistente e immettendone in altri uno nuovo, con una remu-
nerazione comunque fortemente legata al risultato complessivo;
• escono dalla proprietà attraverso tre possibili strade diverse: quotando l'impresa-
predain borsa e mettendo in vendita la propria parte di azioni; vendendo l'impre-
sa-preda(o la quota parte di azioni in essa detenute) a un acquirente strategico,a
un'impresa cioè che la voglia integrare al suo interno perché operante nello stes-
so ambito o complementare; cedendo l'impresa-preda (o la quota parte di azioni
in essa detenute), come paradossalmente troppo spesso accade, a un altro fon-
do di privateequitydi formazione più recente;
• suddividono la plusvalenza netta (se positiva) - differenza fra i ricavi (oltre agli
incassi derivanti dall'uscita dalla proprietà, anche i dividendi ordinari e straordi-
nari incassati durante la gestione) e i costi (per l'acquisizione e per la gestione) -

del fondo e risultano quindi inibite tutte le operazioni che prevedano un tempo di permanenza
nelle imprese-predapiù elevato, è giustificata dal modo di conteggiare il rtndimento complessivo
garantito agli azionisti, che non considera a denominatore - come capitale da remunerare -
quello raccolto inizialmente proiettato sull'intero arco di vita decennale del fondo, ma tiene
conto del fatto che il capitale da remunerare si assottig/,ia
a ogni restituzione anticipata.
218 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

in tre parti: la prima per gli investitori, la seconda per la società che ha costituito il
fondo, la terza per il top managementdell'impresa-preda.
In molti casi - soprattutto agli inizi - il privateequityè riuscito allo stesso tempo a per-
seguire il proprio interesse (far rendere al massimo i capitali avuti in affidamento) e a
giocare un ruolosocialeimportante, finanziando il processo di profonda ristrutturazio-
ne del sistema delle imprese reso ineludibiledalla globalizzazione. In altri casi non ha
esitato a intraprendere operazioni di dubbio vantaggio per le imprese coinvolte: ad
esempio spingendole verso scorporiredditizi a breve ma discutibili in un'ottica di me-
dio-lungo termine; o indebitandole in misura estremamente consistente, per recupe-
rare nei tempi più brevi possibili i soldi investiti e incrementare con il ricorso spinto al-
la leva finanziaria il rendimento dei rimanenti.

Già nel 2007 cominciano i primi scricchiolii:


• il maggior aumento del volume di risorse disponibili per le operazioni di M&A 20 rispetto al

numero di dea/ realmente "attraenti" - su cui hanno messo gli occhi peraltro anche gli hedge
fund 21 (essi pure ricchissimi di liquidità e alla ricerca di nuovi impieghi vantaggiosi) - e la cre-
scita del numero dei fondi di privateequity hanno portato a una maggiore concorrenza e a
una redditività media più prossima ai livelli normali;
• è cresciuta la difficoltà dell'exit,dell'uscita cioè dei fondi dal capitale delle loro prededopo il pe-
riodo canonico di permanenza, per le difficoltà esistenti - soprattutto ai livelli dì prezzo richiesti
(necessari per la redditività dei dea/22 ) - nel trovare acquirenti strategici o nel quotare in borsa le
predestesse: con la conseguenza che sempre più spesso i fondi vendono ad altri fondi;
• si profila il rischio (rivelatosi poi una realtà) di una maggiore riluttanza delle banche a conce-
privateequity,a seguito della crisi generata dalle insol-
dere crediti, vitali per le operazioni di
venze relative ai mutui ipotecari statunitensi cosiddetti subprime(cfr. schema2.1).

20. Con M&A- mergers& aquisitions- si indica il complesso delle operazioni di fusioni fra impre-
se e/ o di acquisizioni di imprese (da parte di altre imprese o di fondi o di investitori privati o
istituzionali).
21. Gli hedgefund (cfr. www.borsaitaliana.it) sono fondi di investimento aperti (che consentono
cioè in ogni momento la sottoscrizione di quote da parte degli investitori e dai quali si può
uscire attraverso il rimborso delle quote) altamente speculativi, caratterizzati da un elevato
profilo di rendimento-rischio. Sulla base delle attività tradizionalmente prevalenti, sono indi-
viduabili tre macrocategorie principali:
• macrofund: sono i fondi che speculano, in un'ottica di breve periodo, sull'andamento del-
le economie mondiali, cercando di anticipare l'andamento dei tassi d'interesse, delle va-
lute o dei mercati azionari;
• arbitragefund: sono i fondi che effettuano operazioni di arbitraggio. Possono sfruttare ad
esempio il momentaneo disallinean1ento tra l'andamento di un titolo in due mercati:
vendendo su un mercato, acquistando sull'altro e ottenendo così un profitto pari alla dif-
ferenza tra i due valori. Possono acquistare titoli sottovalutati e vendere contemporanea-
mente titoli valutati (o sopravvalutati) fortemente correlati con i primi;
• equity hedgefund: sono i fondi che acquistano e vendono allo scoperto azioni sui mercati
regolamentati, scommettendo di fatto sui titoli destinati a salire o a scendere. Si vendono
ad esempio allo scoperto al prezzo corrente titoli che non si hanno, ritenendo che il prez-
zo scenderà. Si acquistano effettivamente i titoli (per coprire le vendite già effettuate) so-
lo successivamente, lucrando - se la scommessa è stata vincente e il prezzo è effettivamen-
te sceso - sulla differenza tra i due prezzi.
22. IJeal è il termine anglosalisone utilizzato in gergo, anche nel nostro paese, per denotare le
operazioni di M&A di potenziale interesse.
4. Il valore economico dell'impresa I 219

A distanza di quattro anni da allora il privateequity è soprawissuto, anche se con qualche "am-
maccatura" (soprattutto per i fondi che avevano completato i loro acquisti a prezzi e multipli alti
poco prima della crisi). Ha perso però quell'immagine di altissima profìttabilità che aveva attirato
tanti investitori istituzionali negli anni d'oro, ma che allo stesso tempo aveva aperto le porte a ope-
ratori molto meno professionali e a manager di livello inferiore a quelli della prima leva. La speran-
za di chi scrive è di un ritorno all'origine: meno soldi, meno fondi, più equilibrio con le prede po-
tenziali, più professionalità, più capacità di far convivere il proprio interesse con un ruolo sociale-
quello di ristrutturare e rilanciare le imprese - che continua a essere di grandissima rilevanza.
Dal Financial Times del 19.6.2011 ("Survey points to failures for private equity", di Daniel
Schafer): "lnstitutional investors are forecasting that one in fìve private equity groups will disap-
pear during this decade, according to a global survey that predicts a shake-out in the sector in
the wake of the fìnancial crisis. The research underlined how large investors, including pension
funds, fund of funds and insurers, have started to become more picky in the wake of the fìnan-
cial crisis and that underperformers have become more visible. Almost nine in 10 investors ex-
pect to turn down some of the requests by private equity groups to reinvest into their next fund
generation, according to a survey of 11 o investors [...]. The survey suggested that private equity
will be facing a Darwinian time in the next few years, comparable with the drastic shake-out in
the venture capitai market in the decade that followed the end of the dotcom bubble. [...] One of
the largest private equity investors in Europe, said this was a consequence of the credit bubble,
when the sector attracted [between 2004 and 2007] too many inexperienced newcomers and fì-
nancial engineers [...]".

A differenza del privateequitynell'accezione più stretta, che come visto opera nella ri-
strutturazione e nel rilancio di imprese già consolidate, il venturecapitai(cfr. paragrafo
1.3per il caso Yoox) è una forma particolare di privateequity (nell'accezione più lata)
che opera nel lancio di start-upinnovative con forti potenzialità di crescita: entrando
nel loro azionariato con quote importanti, data la forte rischiosità di questo tipo di
operazioni; aiutandole a ottenere prestiti dalle banche; irrobustendole dal punto di vi-
sta organizzativo, con la creazione di nuove funzioni e con l'immissione di nuovi ma-
nager; aiutandole a raggiungere un assetto che renda possibile la quotazione in borsa
o l'acquisizione da parte di un grosso gruppo che la integri al suo interno (come acca-
duto nel passaggio di Android a Google) o l'acquisizione da parte di un fondo più
specializzato.
~ICT, il bio-teche il green-techsono i comparti tipici, ma non gli unici, in cui opera il
venturecapitai:che spesso subentra nell'azionariato delle start-upad altri fondi, quali i
cosiddetti businessangel,che intervengono in una fase precedente del ciclo di vita.
Data la probabilità molto elevata che le acquisizioni si traducano in flop, un fondo di
venturecapitai- oltre a essere molto selettivo nella scelta degli investimenti - scom-
mette sul fatto che almeno alcune delle start-upin cui entra garantiscano plusvalenze
tali da coprire le perdite sulle altre e da lasciare margini per la remunerazione degli in-
vestitori, dei gestori dei fondi e dei manager (anch'essi compartecipi del rischio per
una parte elevata della loro remunerazione).
Se il 2006 e il 2007 sono stati gli anni d'oro per il privateequifyin senso stretto, il ven-
turecapitaiha avuto il suo massimo momento di gloria (in termini di raccolta da par-
te dei fondi) negli anni precedenti lo scoppio della bollaInternet:una situazione che ri-
schia di ripetersi con i socia/network(cfr. paragrafo1.4).
220 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

4.6 Il valorepergli stakeholder

Le ultime considerazioni, di tipo generale, riguardano il tema, introdotto al-


l'inizio del capitolo, della correttezza o meno ai fini del benessere della so-
cietà di assumere - come obiettivo centrale dell'impresa - la massimizzazione
del valoreper gli azionisti.
Il tema non ammette, come detto, risposte definitive: per diverse ragioni,
alcune delle quali vengono sinteticamente riportate.
Può essere molto diversa ed è oggetto da sempre di dibattito politico e filo-
sofico, innanzitutto, l'idea stessa di benessere della società: in relazione ad
esempio al peso relativo da attribuire al reddito medio pro-capite rispetto alla
distribuzione del reddito stesso o al peso relativo da attribuire a grandezze mi-
surabili quali il reddito rispetto a grandezze di assai difficile misurabilità quali
la qualità della vita o dell'ambiente.
Possono essere molto diversi i comportamenti reali di coloro che gestisco-
no le imprese, a parità di obiettivo astratto di massimizzazione del valore:
• più attenti da un lato a creare un clima di lungo termine favorevole, ad
esempio nei riguardi dei dipendenti e delle collettività locali (cfr. sottopa-
ragrafo2.2.3 e paragrafo 3.5), nella convinzione che tale clima sia la pre-
condizione per non incorrere in ostacoli futuri alla crescita: quali quelli
che potrebbero nascere nella fattispecie dalla de1notivazione dei dipen-
denti o dall'ostilità dell'opinione pubblica;
• più propensi dall'altro (cfr. paragrafo 4.5) a spingere sul "pedale" della
profittabilità corrente: per il timore che essa venga considerata dal mer-
cato finanziario come un indicatore della capacità dell'impresa di creare
valore e della bravura del top management, con possibili conseguenze (se
non sono azionisti di controllo) sulla loro stessa permanenza ai posti di
comando; piuttosto che nella prospettiva Lhe l'impresa sia messa in ven-
dita a tempi ravvicinati, e debba quindi presentarsi con l'aspetto migliore,
quando ad esempio è un fondo di private equity (cfr. schema 4.3) ad aver-
ne il controllo.
Può essere molto diversa la volontà e la capacità dei governi e delle collettività
di stabilire (attraverso la legislazione e la normazione) regoledi amvivenza che le
imprese devono rispettare, e soprattutto di farle rispettare senza creare disin-
centivi alla loro presenza sui propri territori: compito più facile per i paesi e le
aree evolute, che possono mettere sul piatto della bilancia - in contrapposizio-
ne ai maggiori vincoli - la disponibilità di competenze e infrastrutture critichee
di spazi di mercato an1pi, e più difficile invece per i paesi e le aree meno attrat-
tivi da tali punti di vista e più esposti alla concorrenza sulle localizzazioni.
Il possibile conflitto fra interessi degli azionisti e interessi degli altri stakehol-
der pone un ulteriore proble1na, di natura concettuale, che qui si vuole solo
accennare: su quale significato si debba dare alla nozione di valore,per le di-
4. Il valore economico dell'impresa I 221

verse tipologie di stakehokler,se si vuole seguire lo stesso filo logico utilizzato


per gli azionisti.
Il punto di partenza è che il valnreper gli azionisti è calcolato come differenza
rispetto a quanto essi potrebbero ottenere normalmenteinvestendo alternativa-
mente le loro risorse- con un rischio equivalente- sul mercato finanziario. Si
presume cioè che esista un livello di normalità e si parla di creazione di valore
solo in corrispondenza a prestazioni al di sopra della norma.
Se si applica lo stesso tipo di ragionamento nei riguardi ad esempio delle ri-
sorse umane che operano nell'impresa, si dovrebbe dire che vi è una creazio-
ne di valore per esse solo nei casi in cui:
• vi è disoccupazione, che l'impresa contribuisce a ridurre;
• le remunerazioni offerte dall'impresa sono superiori coeterisparibus a
quelle che mediamente il mercato del lavoro offre;
• la professionalità e l'esperienza che l'impresa permette di acquisire sono
superiori rispetto alla normalità e aprono prospettive superiori per il fu-
turo.
Ed è effettivamente quanto accade ad esempio quando nasce un'impresa for-
temente innovativa in un determinato paese o area, come fu a suo tempo nel
caso di Nokia per la Finlandia o di RIM per il technologycluster canadese di
Kitchener-Waterloo (cfr. paragrafo 2.3.3). O quando imprese di primaria im-
portanza aprono loro sussidiarie in paesi meno evoluti, come fu con l'arrivo
delle imprese multinazionali statunitensi nel nostro paese nel dopoguerra:
che portò alla crescita di una classe manageriale più colta,che prese poi il co-
mando in molte imprese italiane e vi trasferì il know-how acquisito. Con van-
taggi, nell'uno e nell'altro caso, non solo per le risorse umane, ma anche per i
territori ospitanti le imprese.
5 La competizione

La trattazione svolta finora ha riguardato tematiche di grande rilievo per l'im-


presa, ma - con l'eccezione dei casi presentati all'inizio - ha privilegiato gli
aspetti generali e le interrelazioni con il contesto esterno rispetto a una pro-
spezione più di dettaglio e a una focalizzazione sulla competizione.
Guardare ali' impresa comeentità real,ee alla sua capacitàdi competereè lo scopo
di questo capitolo: per introdurre il lettore alle tematiche più specialistiche
dei capitoli successivi, ma prima ancora per capiremegliocomesiformi il valore.

5.1Lechiavidi lettura

Osservata senza istruzioni per l,a l,ettura,l'impresa appare come un coacervodi at-
tività della natura più diversa, di relazioni interne e con l'esterno, di persone
che (cooperativamente ma talora anche conflittualmente) giocano i ruoli più
vari, di risorse materiali e immateriali, di competenze e di esperienze accumu-
late nel tempo (sia individuali che collettive) ecc., con una localizzazione con-
centrata in un singolo territorio piuttosto che distribuita in aree geo-politiche
differenti: coacervoche, come detto, si modifica incessantemente nel tempo,
in modo graduale o con discontinuità radicali, sotto la pressione delle forze
esterne ma anche delle spinte che si sviluppano all'interno, talora in forma (al-
meno apparentemente) disordinata e casuale e talaltra seguendo un copione
studiato a tavolino.
Per orientarsi nella comprensione di questo coacervoè necessario quindi
adottare chiavi di l,etturache - guardando all'impresa sotto angoli prospettici
diversi - mirino a ricostruirne alla fine un profilo ragionevolmente completo.
224 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Ci muoveremo in particolare secondo uno schema che prevede due chiavi


di lettura diverse, comp!,ementari fra loro ma con confini talora sfumati:
• la prima orientata a capire ciò che l'impresa è, guardando a ciò che essa
fa e a comelofa, nell'ipotesi di assenza di variazioni radicali nel contesto e
nella st~ssa impresa: attenta cioè agli aspetti più apparentiin un'ottica di
continuità;
• la seconda orientata invece a capire ciò che l'impresa può diventare, a
fronte di cambiamenti strutturali del contesto e/ o di azioni proattiva-
mente volte a trasformare se stessa: attenta anche agli aspetti più nascosti
e interessata soprattutto alle discontinuità.

Si dice talora- in riferimento alle due chiavi di lettura - che la prima è orientata al breve ter-
mine e la seconda al medio-lungo: come se le discontinuità dovessero rappresentare even-
tualità temporalmente più lontane. In realtà, se è statisticamente vero che la continuità è più
associabile al breve termine e le discontinuità al medio-lungo, è anche vero che le disconti-
nuità possono verificarsi in un qualsia5i momento, con tempi e intensità spesso imprevedibi-
li: com'è accaduto ad esempio in molti comparti dell'economia a fronte di eventi esterni del
tutto inattesi, quali il disastro di Chernobylo l'attentato alle Twin Towers,come può accadere
nelle imprese in occasione di atti del tutto normali, perché tipici del modo di competere an-
che in un contesto di continuità, quali la sostituzione di un modello esistente con uno nuovo
o la riorganizzazione a fronte di un calo di natura ciclicadella domanda.

Per capire ciò che l'impresa è analizzando ciò che essa fa (prima chiave di let-
tura), si deve guardareprioritariamenteal suo output:
• ai benie serviziche essa vende;
• ai clientiche serve;
• ai bisogniche cerca di soddisfare;
• alle areegeopoliticheove vende;
e interpretare e valutare tutto ciò che sta alle spalledell' output, ossia:
• le attività che l'impresa svolge, o fa svolgere ali' esterno;
• le risorsee le competenzeche mette in gioco, o comunque attiva;
in funzione del contributo che esse danno alla generazione dell'output stesso.
Si deve guardare allo stesso tempo, per il ruolo che la competizioneha da un
lato nel pungolarel'impresa e dall'altro nel condizionarne il valore, a:
• i competitoridiretti:ossia le imprese con un profilo almeno in parte sovrap-
posto relativamente ai beni e servizi, ai clienti, ai bisogni e alle aree geo-
politiche;
• i competitoripotenziali:ossia le imprese che potrebbero essere interessate a
entrare nella competizione, e che entrando renderebbero più aspra la
competizione stessa;
• i competitoriindiretti:le imprese cioè che mirano agli stessi clienti con beni
e servizi anche molto diversi, ma percepiti come sostitutivi,in una visione
più lata dei bisogni;
con un 'analisi tanto più differenziata quanto meno l'output dell'impresa si
presenta come omogeneo.
5. La com petizione I 225

I competitori diretti sono quelli che l'impresa deve più visibilmente affrontare per conqui-
starsi i clienti e realizzare ricavi e quote di mercato e che più condizionano i prezzi che essa
può richiedere ai clienti per ì beni e servizi, in funzione anche delle caratteristiche e quindi
dell'attrattività relativa di questi ultimi.
I competitori indiretti rappresentano nemici apparentemente più lontani, ma non per que-
sto meno insidiosi per l'impresa e i suoi competitori diretti, perché possono porre serie ipo-
teche allo sviluppo del mercato o addirittura provocarne una contrazione più o meno sensi-
bile - offrendo vie alternative di soddisfazione dei bisogni - e comunque condizionarne i
prezzi. La competizione indiretta si presenta con tanta più forza quanto meno puntualmen-
te risulta definito il bisogno: come nel caso in cui l'oggetto del contendere sia l'occupazione
del tempoliberopiuttosto che lo snack o la bevanda per il fuori pasto.
I competitori potenziali sono quelli che, con la loro entrata, potrebbero pure stravolgere gli
equilibri esistenti; e che possono comunque, anche solo con la virtualità della loro esistenza,
condizionare i comportamenti dell'impresa e dei suoi competitori: spingendoli ad esempio
a contenere i prezzi e i profitti, per non creare voglie eccessive, o a lasciare inutilizzata come
deterrente (da usare in caso di attacco) parte della capacità produttiva.

Una volta individuati i competitori rispetto all'output o a una sua componente


più omogenea, si deve guardare - ai fini del valore - alla forza e alla bravura del-
1'impresa comparativamente a essi: sinteticamente, alla capacità relativa di
soddisfare con i suoi beni e servizi i bisogni dei clienti nelle varie aree, alla sua
efficienza relativa nel generare l'output, al potere contrattuale relativo nella
spartizione dei margini con i fornitori e con i clienti; ma anche, parallelamen-
te, alla mantenibilità nel tempo degli eventuali vantaggi o alla recuperabilità degli
eventuali svantaggi.

L'impresa deve, nel confrontarsi con i competitori diretti in relazione a ogni specifica cate-
goria di beni e/o servizi, battersi su due fronti: sul fronte dei costi, per avere mano più libera
nella fissazione dei prezzi o per incrementare i profitti unitari; sul fronte dell' attrattività, della
rispondenza cioè delle caratteristiche e dell'immagine dei suoi beni e/ o servizi ai bisogni dei
clienti, per incrementare le quote di mercatoo fruire dei premi di prezzo.
Nel perseguire l'uno e/ o l'altro di tali obiettivi, essa può - se le tipologie di clienti e di biso-
gni non sono (come quasi sempre accade) del tutto omogenee - scegliere se presentarsi co-
me un fornitore a tutto campo, mirante a soddisfare tutti i clienti e tutti i bisogni, o se focaliz-
zarsi su tipologie specifiche di clienti e bisogni (ossia su segmenti o nicchie del mercato), per
ridurre i costi e/ o aumentare l'attrattività attraverso beni e/ o servizi più mirati.
Può anche puntare a migliorare le sue prestazioni, dal punto di vista dei costi e/ o dell'attrat-
tività, con un portafoglio di beni e/ o servizi più ampio: che permetta attraverso le opportu-
ne sinergie di ridurre i costi (utilizzando ad esempio le stesse reti distributive e passando per
gli stessi canali commerciali nell'ambito dei beni di largo consumo) e/o di aumentare l'at-
trattività (allargando ad esempio la gamma dei servizi offerti per coprire integralmente le
necessità di approvvigionamento di un ufficio professionale o di un reparto manutenzioni di
un'impresa).

Si deve guardare - sempre ai fini del valore - oltre che ai fattori differenzianti,
anche a quelli che possono impattare in modo analogo (positivo o negativo)
sulle prestazioni dell'impresa e dei suoi competitori e porli mediamente in
condizioni di vantaggio o svantaggio rispetto alla media d~ll'economia.
Di rilievo potenzialmente elevato, nel bene o nel male, tra questi fattori: il
livello di asprezza della competizione interna, la dinamica della domanda, lo
stato di salute dei clienti, la forza relativa dei fornitori, il grado di permeabilità
226 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

a nuove entrate, il grado di concorrenzialità dei beni e servizi percepiti come


sostitutivi, la capacità di lobbyingnei riguardi delle autorità pubbliche (in rela-
zione alla definizione delle normative, della fiscalità, delle agevolazioni ecc.).

Un comparto che è stato ad esempio caratterizzato per molti anni da una situazione di pe-
renni perdite da parte delle imprese (la maggior parte delle quali di grandi dimensioni) in
esso operanti, a livello italiano ed europeo, è quello dell'acciaio: in precedenza considerato,
a partire dall'800 e ancora nel periodo della ricostruzione susseguente alla Seconda guerra
mondiale, come uno dei settori più strategicisia ai fini della crescita economica sia a quelli
militari, in grado di creare vere e proprie dinastie industriali (qualche cinefilo ricorderà a tale
proposito il celebre film di Visconti La caduta deglidez). La crisi si manifestò a fronte del ral-
lentamento nel trend di crescita della domanda, dovuta al minor bisogno relativo di acciaio
rispetto alle fasi iniziali dello sviluppo, e della conseguente formazione di un eccesso struttu-
rale di capacità produttiva complessiva (accresciutasi nel frattempo per il contemporaneo
tentativo da parte di tutte le imprese di abbattere i costi unitari incrementando la propria
scala) rispetto alla domanda, che portò a una fortissima pressione al ribasso dei prezzi: pre~
sione che non si invertì se non molti anni dopo (con l'aiuto delle sowenzioni elargite dal-
l'UE per distruggere capacità produttiva e dei divieti di costruirne di nuova), perché nessu-
na impresa - in un mercato caratterizzato dalla rilevanza dei costi affondati (relativi alle usci-
te di cassa già awenute al momento degli investimenti) e falsato dagli aiuti nazionali-usciva
dal gioco nonostante le perdite talora rilevantissime.

Si deve guardare infine, dal momento che l'impresa può avere un output più o
meno eterogeneo e può operare - a livello sia di mercati sia di localizzazione
delle attività - su una scala geo-politica più o meno ampia e diversificata, ai
vantaggi e agli svantaggi che essa può trarre dalla composizione del suo por-
tafoglio.

Lo sfruttamento ad esempio di sinergie- relativamente ai canali di vendita piuttosto che alla


produzione - fra due o più categorie di beni o servizi destinati a soddisfa.re bisogni del tutto
diversi può rafforza.re la posizione relativa dell'impresa rispet_toai competitori che essa si tro-
va a fronteggia.re per ciascw1a delle categorie. Ma i maggiori costi di coordina.mento e la mi-
nore flessibilità che lo sfruttamento delle sinergie comporta raggiungono, in taluni casi, li-
velli tali da porre l'impresa in condizioni di sfavore.
Analoga.mente, la presenza contemporanea in più grandi a.ree - ad esempio negli USA, nel-
l'UE e nell'Est asiatico - permette all'impresa livelli di investimenti nella ricerca e/ o nello
sviluppo di nuovi prodotti impensabili per competitori che operino in un solo paese: perché
l'onere degli investimenti può essere spalmatosu una quantità molto più ampia di beni o ser-
vizi. D'altra parte, l'impresa geo-politica.mente focalizzata può riuscire talora a trarre vantag-
gi dalla maggiore capacità di personaliuazione dell'offerta rispetto ai bisogni locali e dalla
maggiore attenzione alla qualità del servi,zio:sempreché, ovvia.mente, le differenze nei costi o
nelle caratteristiche dei prodotti non siano tali da escluderla dal mercato.

L'impresa va in ogni caso guardata e valutata - anche nell'ipotesi di conti-


nuità fatta- in relazione a quella che può essere considerata la sua dinamica ti-
pica: legata al contesto generale e ai contesti specifici in cui opera e ai modi
usuali di competere in ciascuno di questi ultimi, in funzione anche della fase del
aclo di vita che stanno attraversando.
Tra i principali fenomeni dinamici in cui l'impresa si trova a essere tipica-
mente coinvolta anche in assenza di qualsiasi forma di disrontinuità sostanziale
5. La competizione I 227

- ma che possono rappresentare e spesso rappresentano occasioni per la na-


scita di discontinuità - si possono citare:
• le fluttuazioni di diversa natura che caratterizzano l'economia in gene-
rale, e in particolare quelle di natura ciclica- che vedono l'alternarsi di
fasi di espansione e di fasi di rallentamento o recessione con le loro ri-
cadute sulla domanda complessiva - particolarmente accentuate in al-
cuni comparti (quali quelli dei beni di investimento e dei beni di consu-
mo durevole);
• le fluttuazioni cicliche di natura stagi,onale, che riguardano un numero
non irrilevante di comparti (l'agricoltura e l'industria alimentare più le-
gata a essa, l'industria delle vacanze ecc.), o di natura addirittura settima-
nale o giornaliera (nei consumi di energia elettrica, nei volumi di traffico
telefonico ecc.), che possono comportare anch'esse problemi di carenza
o di sottoutilizzo delle capacità;
• le variazioni tendenziali nel livello della domanda complessiva di ciascun
comparto, al di là delle fluttuazioni, di intensità e segno diverso in fun-
zione dello stadio del cicw di vita in cui si trova il comparto stesso: cui
l'impresa o i competitori devono cercare di rispondere adeguatamente,
pena la perdita di quote di mercato o il formarsi di capacità eccedenti;
• il miglioramento continuo nella qualità e nei costi in funzione dell' esperien-
za e dell'apprendimento che caratterizza (anche se con intensità diversa)
tutti i comparti: che può comportare per l'impresa o i competitori - se
non perseguito con sforzi ad hoc- la formazione di differenziali negativi;
• l'introduzione di nuovi modelli per i beni o i servizi, in sostituzione di
quelli esistenti, con periodicità determinata e diversa a seconda del com-
parto ( stagi,onal.e ad esempio nella moda, fra annuale e biennal.e negli
smartphonee nei PC, circa quinquennale nelle automobili): resa obbligatoria
per l'impresa o i competitori, pena la perdita di quote di mercato, dalle
regole del gioco della competizione predominanti in un larghissimo nu-
mero di comparti.

La natura obbligata - anche se discrezionale nelle forme con cui si concretizza - attribuita
(forse sorprendentemente) al miglioramento continuo e all'introduzione di nuovi modelli
merita qualche riflessione.
La casa automobilistica che non rinnovasse ad esempio con continuità la sua gamma di mo-
delli- introducendo in un primo anno il nuovo modello di utilitaria, in un secondo il nuovo
modello di ammiraglia, e così via, e procedendo comunque a frequenti operazioni di restyling
lungo l'arco di vita dei singoli modelli - si troverebbe presumibilmente a perdere quote di
mercato rispetto alle altre case: non solo perché i nuovi modelli usualmente incorporanoi
progressi tecnologici più recenti (a eccezione di quelli sviluppati in forma proprietaria dai
competitori), ma anche perché - nel campo automobilistico come in molti altri campi - la
moda gioca un ruolo rilevante e fa sì che un modello percepito di foggi,anon attual,e,anche se
aggiornato nelle prestazioni, risulti in generale soccombente. Introdurre modelli nuovi, di
conseguenza, è un obbligo; mentre discrezionale (come detto) è la s~elta di come realizzarli,
e in particolare di quanta innovazione incorporarvi.
L'impresa industriale o di servizi, d'altro canto, che non si impegnasse annualmente - in se-
de di predisposizione del budget - a migliorare almeno un po' la sua efficienza e la sua effica-
228 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

eia si troverebbe nel giro di pochi anni, in comparti ove i margini siano compressi dalla com-
petizione, ad accumulare perdite di posizione sempre più preoccupanti: basta riflettere a
questo proposito su cosa significhi ad esempio rinunciare per cinque anni di fila a migliora-
menti anche modesti nei costi - tipicamente di un ordine di grandezza coeterisparibus com-
preso fra l'l e 1'1,5 per cento - laddove la percentuale media dei profitti rispetto ai ricavi sia
ad esempio dell'ordine del 4 o 5 per cento.

La focalizzazione sull'output che la frrima chiave di lettura propone, come è in


parte emerso anche dalle considerazioni sinora svolte, ha una serie di motiva-
zioni ben precise:
• è in funzione dell'output che viene costruita e che opera nella sua massi-
ma parte l'impresa;
• è all'output che è riconducibile la competizionecon le altre imprese, che
può condizionarne profondamente il valore;
• è sulla base dell'articolazione dell'output che solitamente si cerca di effet-
tuare la categorizzazione (con ricadute spesso anche sulle ~scelte dell' as-
setto organizzativo) - in unità e in areedi lmsinessrispettivamente - delle
attività dell'impresa, da un lato, e del contesto in cui essa opera e dei sog-
getti con cui compete, dall'altro;
• è ali' output (come si vedrà nel seguito) che fanno riferimento formale la
lettura economica dei flussi finanziari dell'impresa e la conseguente co-
struzione del bilancio.
La secondachiavedi letturainvece, orientata a capire ciò che l'impresa potrà di-
ventare, cambia radicalmente l'oggetto su cui focalizzare la principale atten-
zione: non più l'output, ma le risarsee le competenzedi cui l'impresa dispone.
Essa parte infatti dall'assunto che l'impresa non ha davanti a sé una strada ob-
bligatadi continuità con il passato, ma che ha la libertà (se lo ritiene convenien-
te) e talora quasi l'obbligo di intraprenderne di nuove, più o meno distanti. Dal-
l'assunto cioè che l'impresa può modificare parzialmente o radicalmente an-
che il suo output, e che può modificare - insieme con l'output o pure se l' out-
put non cambia - il suo assetto tecnologico-organizzativo, le sue attività e i rap-
porti a montecon le altre imprese: a fronte di modifiche nel contesto generale
e specifico in cui opera e/ o di spinte provenienti dall'interno.
Essa cerca conseguentemente di leggerel'impresa guardando, oltre che agii
aspetti più visibili, ad altri meno apparenti ma spesso determinanti, quali:
• le caratteristiche reattive piuttosto che anticipative o addirittura creative
del suo top management;
• la qualità delle sue risorse umane e la capacità di attrarne di nuove: so-
prattutto in relazione ai cosiddetti talenti;
• l'importanza che l'impresa attribuisce alla ricerca e sviluppo, e le idee in-
novative e i brevetti che sta portando avanti;
• la forza della sua struttura commerciale e dei suoi brand·
'
• l'attitudine a operare in nuovi paesi, sia dal punto di vista commerciale
che produttivo;
5. La competizione I 229

• la solidità finanziaria e il credito e la reputazione di cui gode presso la co-


muni tà finanziaria.

L'importanza attribuita alla creatività del caperimpresa- sia esso l'imprenditore-proprietario


o l'amministratore delegaterazionista di riferimento o il CEO-chiejexecutiveofficer(usando la
terminologia anglosassone) professionale - nasce dalla constatazione che sono diversi i casi
111 cm sono:
• · la sua visione,vision nel gergo anglosassone;
• la determinazionecon cui persegue il suo disegno, spesso rivelandolo poco alla volta per
non essere considerato un visionario (nell'accezione negativa che la nostra lingua attri-
buisce al termine);
• la sua capacitàdi ottenere rapidamente successi visibili, creando un clima di forte motiva-
zione all'interno dell'impresa "in progressivo allargamento" e di forte credibilità all' e-
sterno,
che fanno la fortuna di un'impresa, facendole raggiungere traguardi a priori impensabili.
Sarebbe stato ad esempio difficile prevedere, al momento dell'assunzione del comando ri-
spettivamente in Ferrero e Mapei, che Michele Ferrero e Giorgio Squinzi (cfr. sotto-paragrafi
1.5.2e 2.3.2) avrebbero trasformato le piccole imprese di famiglia in società presenti in tutto
il mondo, conservandone completamente la proprietà. O che Leonardo Del Vecchio, dopo
aver costruito la sua Luxottica (cfr. schema 2.5) nel distretto degli occhiali del Cadore, l'a-
vrebbe trasformata - allargando progressivamente la presenza nelle reti di vendita di tutto il
mondo - nella leader mondiale del settore, rimanendone il principale azionista. O che War-
ren Buffett nel 1964, quando acquisì il pacchetto di controllo della Berkshire Hathaway
(un'impresa tessile con una lunga storia alle spalle ma in condizioni non brillanti), l'avrebbe
trasformata in una congl,omerateholding company con una capitalizzazione di 187 miliardi di
dollari: capace di garantire ai suoi azionisti un total return - dividendi netti più incremento
della capitalizzazione - del +76 per cento (a fronte del -11,3 per cento dell'indice generale
S&P 500) nel decennio 2000-2010 e una crescita media annua del capitale di libro del 20,3
per cento negli ultimi 44 anni. O che Alessandro Profumo dal 1997, quando divenne ammi-
nistratore delegato di Credito Italiano (una banca solida ma relativamente piccola e consi-
derata molto conservativa), nel giro di dieci anni l'avrebbe trasformata con una lunga serie di
fusioni in Unicredit: al momento "prima banca dell'Eurozona, seconda dell'Europa e setti-
ma del mondo, leader nei nuovi paesi dell'Est Europa, con 96,7 miliardi di capitalizzazione,
9.200 sportelli di cui 5 mila in Italia (con una quota di mercato del 16%), oltre il 50% dei ri-
cavi sul mercato estero e 170 mila dipendenti 1".

La focalizzazione sulle risorse e sulle competenze, invece che sull'output, non


comporta necessariamente che quest'ultimo debba modificarsi, o almeno
modificarsi in misura molto sensibile e apparente.
Vi è infatti a un estremo il caso, che si verifica più facilmente in presenza di
dimensioni ridotte, di abbandono completo da parte dell'impresa del suo bu-
siness - a fronte ad esempio di una riduzione drastica della domanda o del-
l'accentuarsi della concorrenza da parte di prodotti provenienti da paesi a
basso costo del lavoro - e di spostamento a un altro business a priori più inte-
ressante: operazione possibile se le risorse finanziarie sono liberabili(non es-
sendo imprigfonatead esempio in beni di investimento in larga misura ancora
da ammortizzare) e le risorse umane non eccessivamente dedicate;operazione
potenzialmente promettente se, insieme con le risorse .finanziarie, esiste an-

1. Dal Corrieredella Sera del 21.5.2007.


230 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

che un nucleo di competenze-formalizzate (ad esempio in brevetti) e/ o incor-


porate nelle risorse umane - e/ o un nucleo di relazioni (con i clienti, con i ca-
nali commerciali, con i fornitori ecc.) su cui l'impresa può puntare per supe-
rare le eventuali barriere all'entrata e per costruire differenziali competitivi a
proprio favore.
Vi è una serie di casi intermedi, storicamente frequenti e ritornati di attua-
lità (nell'ottica discussa di sfruttamento di tutte le potenzialità di creazione di
valore), in cui sono:
• il sottoutilizzo di determinate risorse (impianti di produzione, reti com-
merciali e/ o distributive, laboratori di ricerca, uffici di progettazione,
brand ecc.), dimensionate sulla base della massa critica indispensabile
per la loro efficacia; e/ o
• l' estendibilità di competenzeparticolarmente pregiate, sviluppate all'inter-
no o comunque disponibili,
che convincono l'impresa ad ampliare il suo output entrando in nuovi busi-
ness: ovviamente sinergici rispetto agli esistenti, ma talora anche molto di-
stanti per tipologia di prodotti, clienti e bisogni.
Ma vi è d'altra parte una serie estremamente ampia di casi in cui le partite
si giocano - anche con connotati forti di innovazione - rimanendo nello stret-
to ambito del business: non modificando l'output, e comunque mantenendo
tipologicamente circoscritte le eventuali modifiche.
Sono i casi che si verificano tipicamente allo scorrere del ciclodi vita (cfr.
schema5.1) dei prodotti o delle categorie di prodotti - dalla fase di prima in-
troduzione, a quelle successive di crescita sostenuta del grado di penetrazione
del mercato potenziale, di progressivo rallentamento della crescita della do-
manda complessiva e di saturazione della stessa, sino al crollo definitivo o al ri-
dimensionamento (per l'entrata in gioco di prodotti sostitutivi più attrattivi
dal punto di vista del prezzo e delle prestazioni o per il declino del bisogno) -
e che vedono l'impresa e i suoi competitori battersi in modo diverso a secon-
da delle fasi, cercando i modi migliori per prevalere o per non farsi espellere
sino a che la situazione rimane fluida e per preservare o ribaltare la situazione
una volta che si sia più consolidata.È proprio ad alcuni caratteri comuni della
dinamica che caratterizza la competizione lungo il ciclo di vita che ad esem-
pio Porter ha dedicato notevole attenzione nell'introdurre la nozione di cate-
na del valorecui si farà cenno nel seguito.

Nel caso degli srnartphone(cfr. paragrafo 1.4) ci si può chiedere se si sia in presenza di una rot-
tura o meno del ciclo di vita dei cellulari,già molte volte oggetto <li innovazioni significative
nelle caratteristiche e nelle prestazioni. Da un lato si può infatti attribuire peso alla continuità
nel comportamento degli acquirenti, che - quando acquistano per la prima volta uno
srnartphone- dismettono (o comunque non sostituiscono con un prodotto simile) il cellulare
di cui si awalevano in precedenza; dall'altro si può porre l'enfasi sulle profonde e crescenti
dif.ferenu nelle J1restazionie sulla moltiplicazione degli utiliz.:zi,ovvero sulla constatazione che
lo smartplwne è anche un cellulare,ma che è moltodi più di un cellulare.A favore della seconda
tesi ~ioca il fatto che le differenze sono così forti che, come ,isto, sono cambiate molte delle
5. La com petizione j 231

imprese protagoniste. E entrata di prepotenza Appie, offrendo in aggiunta all'oggetto fisico


l'accesso al suo ecosistema e cambiando così le regole del gioco della competizione. Ha per-
so peso Nokia, leader assoluto dell'era dei rellulari,per le sue grandi difficoltà nel giocare con
le regole nuove. Si è ritagliata con grandissimo successo un ruolo prima inesistente Google
con Android, mettendo o rimettendo (come nei casi di Samsung e Motorola) in corsa pro-
duttori che avrebbero altrimenti dovuto - operazione impossibile per diversi di loro - co-
struirsi in casa un sistema operativo prop1;etario competitivo. Ha perso peso RIM, che non è
riuscita a far passare il suo notissimo Black.Berry dal ruolo di precursoree monopolista di nic-
chia a quello di leader o ca-leader di un mercato in fortissima espansione.
Un dubbio simile si potrebbe presentare con il passaggio, almeno parziale, dall'automobile
attuale a quella elettrica. Anche in questo caso ci sarebbe continuità nel comportamento de-
gli acquirenti, che dismetterebbero la prima (tradizionale o ibrida) a favore della seconda,
almeno per gli usi urbani; ma potrebbe essere deflagrante l'impatto sull'industria automobi-
listica, per la perdita di importanza dell'esperienza accumulata e per la possibile entrata in
gioco di configurazioni fortemente innovative, proposte da qualcuno degli incumbent o da
una start-up.

ScH EMA 5.1 - Il ciclodi vitadel prodotto

La classica teoria del ciclodi vita del prodotto- o più correttamente del ciclodi vita del
business(per riflettere anche la componente di mercato e di competizione) - indivi-
dua la sequenza difasi che usualmente caratterizzano la vita di un prodotto, o di una
famiglia di prodotti, dallacullaallatomba.
La durata del ciclo di vita, la consistenza della domanda nel suo punto di massima e i
tempi del passaggio da una fase all'altra sono tutte grandezze poco prevedibili a prio-
ri - sensibili non solo allo specifico contesto ma anche alle mosse proattive delle im-
prese - e fortemente variabili a seconda delle situazioni. Mentre molto più simile si
mantiene nelle differenti situazioni il profilodel ciclo e molto più simili le peculiarità
che le diverse fasi presentano dal punto di vista della dinamica della domanda, del
suo grado di segmentazione, dell'evolversi delle tecnologie di prodotto e di processo,
della criticitàdelle singole attività ai fini della posizione competitiva.
Le fasi, se si adotta il classico schema di Hofer e Schendel2,sono le seguenti: sviluppo
iniziale del mercato (development),crescita (growth),rallentamento o decelerazione
(shakeout),maturità (maturity),saturazione (saturation)e declino (decline).
Il declino in particolare può portare:
• alla morte del prodotto stesso: a fronte della caduta del bisogno o della sua sod-
disfazione con un prodotto diverso, nuovo o frutto di un processo di rivitalizza-
zione; oppure
• a un ridimensionamento su livelli più bassi della sua domanda complessiva, se
almeno una parte dei clienti e/o dei bisogni permane, con un secondo stadio di
saturazione: chiamato talora di pietrificazione (petrification).
~introduzione di innovazioni rilevanti (in qualunque fase del ciclo) - che vadano a
modificare in modo significativo le peculiarità del prodotto o ne riducano in modo so-
stanziale il prezzo, con possibili riflessi sulla tipologia dei clienti serviti, dei bisogni

2. Charles W. Hofer e Dan Schendel, Strateg;yFormu/,ation:Analytical Conrepts,West Publishing


Company, 1978.
232 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

soddisfatti e dei canali utilizzati - può portare a una rivitalizzazionedel prodotto stes-
so e all'innescarsi, come detto, di un nuovo ciclo.
Le caratteristiche salienti delle diverse fasi sono solitamente quelle riportate, in termi-
ni estremamente sintetici, di seguito.
• Sviluppoinizialedel mercato:domanda ridotta e in scarsa crescita; segmentazione
ridotta; grandissima evoluzione delle tecnologie di prodotto, alla ricerca della
configurazione più attrattiva del prodotto stesso; scarsa evoluzione delle tecnolo-
gie di processo, in connessione con l'instabilità delle caratteristiche del prodotto
e con i ridotti volumi; rilievo prevalente dell'attività di ricerca e sviluppo.
• Crescita:domanda in forte crescita e accelerazione; segmentazione ridotta; gran-
de evoluzione delle tecnologie di prodotto, ma inferiore rispetto alla fase prece-
dente; moderata evoluzione delle tecnologie di processo; rilievo prevalente del-
l'attività di progettazione.
• Rallentamento:domanda ancora in crescita ma in rapida decelerazione, con il pos-
sibile formarsi di unaforbicerispetto alla capacità produttiva e di una conseguente
maggior pressione competitiva se la decelerazione non è percepita per tempo;
segmentazione ridotta; evoluzione più moderata, rispetto alla fase precedente,
delle tecnologie di prodotto; evoluzione molto sostenuta delle tecnologie di pro-
cesso, allo scopo di ridurre i costi e di mantenere un'elevata competitività a fronte
dell'accentuarsi della pressione competitiva e della tendenza all'espulsione dei
competitori più deboli (shakeout);rilievo prevalente dell'attività di produzione.

domanda
complessiva

sviluppo crescita rallentamento maturità saturazione declino t


del mercato

Maturitàe saturazione:domanda in crescita ridotta, in linea con il PIL o addirittura con


la popolazione; spinta a uno sviluppo sempre maggiore della segmentazione, in chia-
5. La competizione I 233

ve di difesa rispetto ai competitori a scala più elevata e costi più bassi; evoluzione
molto ridotta delle tecnologie di prodotto; evoluzione decrescente delle tecnologie di
processo; rilievo prevalente delle attività di marketing (in funzione della differenzia-
zione e della segmentazione), distribuzione (in funzione del miglioramento del servi-
zio e/o della creazione di rapporti positivi con i canali) e finanza (in funzione dell'im-
portanza crescente che la crescita esterna, attraverso acquisizioni e/o fusioni, viene
ad assumere rispetto a quella organica autogenerata dall'interno).

La nostra trattazione darà molto maggiore spazio alla prima chiave di lettura
- che comunque rappresenta una premessa indispensabile e che permette di
introdurre una sorta di grarnmatica elementare di base in tema di competi-
zione - che alla seconda, più complessa da affrontare e per certi versi più sfug-
gente: per cui si rimanda a trattazioni più specialistiche.
Con la raccomandazione però al lettore di non considerare la seconda co-
me meno importante della prima, come taluni testi sembrano indurre impli-
citamente a pensare. In un'economia e in una società sempre più improntate
al cambiamento e ali' innovazione è infatti pericoloso vedere la continuità quale
stato naturale dell'impresa, mentre è concettualmente più prudente e co-
struttivo considerarla a priori solo come una delle opzioni possibili: se si vuole
evitare, nel caso dell'analista esterno, di farsi sorprendere dal verificarsi di di-
scontinuità; se si vuole evitare, nel caso del decisore interno, di non guardare
con sufficiente attenzione e anticipo ai problemi ma anche alle opportunità
che le discontinuità possono prospettare.
L'ordine logico scelto per trattare con un qualche dettaglio le tematiche
in cui, come appena visto, può essere articolata la prima chiave di lettura è il
seguente:
• il paragrafo 5.2 introduce il concetto di business model dell'impresa: che
guarda contemporaneamente a ciò che l'impresa vuole vendere, a chi e
per soddisfare quale bisogno lo vuole vendere e all'assetto tecnologico-
organizzativo con cui essa opera per essere competitiva e per salvaguar-
dare i suoi margini;
• il paragrafo 5.3 evidenzia, guardando alle diverse configurazioni che il
portafoglio di output può assumere, come l'impresa possa essere a un
estremo molto focalizzata e all'altro estremo presente in una moltepli-
cità di business del tutto eterogenei fra loro; ,
• i paragrafi 5.4 e 5.5 centrano invece l'attenzione sull'assetto tecnologico-
organizzativo che sta alle spalle dell' oittput: sul grado di integrazione ver-
ticale o di ricorso all' outsoitrcing, il primo; sulle attività necessarie alla rea-
lizzazione dell' oittput, svolte all'interno o delegate all'esterno, il secondo;
• i paragrafi 5. 6 e 5. 7 affrontano, rispettivamente, la tematica dei differen-
ziali competitivi di costo e/ o attrattività fra competitori in senso stretto e
234 i L'IMPRESA: Gli OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

la tematica della formazione dei margini sulla base della competizione


in senso lato che caratterizza l'area di business,
• il paragrafo 5. 8 analizza i principali fattori che impattano sulla formazio-
ne dei differenziali competitivi e dei margini;
• il paragrafo 5. 9, infine, esamina la competizione in una serie di scenari-ti-
po diversi.

5.2 Il businessmodeldell'impresa

Comprendere - a scopo di analisi o in chiave decisionale - ciò che l'impresa è


e quali sono i suoi principali avversari, dal punto di vista delle vendite e da
quello dei margini di profittabilità, richiede di cornprendere:
• quale sia il suo output,
• quale sia più in generale il suo modello di business ( business model): qua-
le sia cioè la collocazionestrategi,cada essa scelta nell'ambito dell'econo-
mia, sulla base dell'idea imprenditorial,e( business idea) con cui si propone
di creare valore.
Per quanto concerne l'output, entrando in un maggior dettaglio rispetto al pa-
ragrafo introduttivo, si deve guardare contemporaneamente a:
• i prodotti ( in senso stretto) dell'impresa: ossia i beni ( materiali o immateriali)
e/ o i servizi che essa vende (cfr. schema 5.2);
• i clienti ultimi che l'impresa si propone di servire, i msogni che vuole sod-
disfare con i suoi prodotti e gli eventuali servizi complementari,in fase di
pre-vendita, vendita e/ o post-vendita, che fornisce per rendere più co-
nosciuti e appetibili i suoi prodotti e che possono essere visti come com-
ponenti dei prodotti stessi se nella definizione di questi ·ultimi si adotta
un'accezione più lata;
• i clienti intermedi con cui l'impresa può trovarsi a interagire per raggiun-
gere i clienti ultimi, tipicamente gli intermediari commerciali(grossisti, det-
taglianti, grande distribuzione ecc.), e gli eventuali servizi complementaria
essi forniti;
• le areegeo-politiche(città, territori, regioni, Stati, aggregati sovranazionali)
in cui l'impresa vende i suoi prodotti.
I prodotti dell'impresa devono in altre parole essere visti in una doppia acce-
zione:
• in una accezionestretta, puntando l'attenzione sugli oggetti della vendita:
l'automobile, il lettore DVD, il pacchetto software, il viaggio aereo ecc;
• in una accezionelata, allargando l'attenzione agli eventuali servizi che
complementano la vendita: finalizzati ad aumentare l'appetibilità dei
prodotti, ma ovviamente apportatori di appesantimenti organizzativi e
coeterisparibus di incrementi di costi.
5. La competizione I 235

ScH EMA 5.2 - Non sempre l'output dell'impresaè quelloche sembra

Precisare quali siano realmente, al di là delle apparenze, i prodottidi un'impresa - in


senso lato ma anche in senso stretto - è fondamentale per chi analizza l'impresa
stessa dall'esterno, e a maggior ragione per chi ha la responsabilità di gestirla.
È un'affermazione che potrebbe apparire strana o inutile, ed effettivamente in una lar-
ga parte dei casi i prodotti - se considerati in senso stretto - coincidono con i beni
e/o i servizi che l'impresa vende. Ma vi è da un lato un insieme molto numeroso di ca-
si ove la definizione dei prodotti in senso stretto è del tutto insufficiente; vi è dall'altro
un insieme comunque significativo di casi dove realtà e apparenza divergono, anche
in relazione alla definizione in senso stretto.
Non si può guardare solo al prodotto in senso stretto quando i servizicomplementari
che lo accompagnano risultano determinanti per l'equilibrio economico dell'impresa
e per la sua competitività.

Le imprese automobilistiche ad esempio non vendono solo l'oggettofisico automobile, ma affian-


cano a tale vendita l'assistenza post-vendita a condizioni predeterminate per il periodo di garanzia
e talora (con una tariffazione forfettaria annua addizionale predefinita per l'accesso opzionale al
servizio) anche per un arco temporale più prolungato, oltre alla disponibilità al ritiro dell'usato e
all'assistenza finanziaria per pagamenti rateali o per acquisti in leasing: non solo con un impatto
sempre più rilevante {nel bene e nel male) di tali servizi sui bilanci delle imprese, ma anche con de-
cisioni importanti - quali quelle concernenti il prezzo di vendita delle automobili - calibrate sul da-
re e sull'averelungo tutto il ciclo di vita dell'oggetto auto.
Gli ancillaryservicesgiocano un ruolo sempre più fondamentale anche nel comparto del trasporto
aereo. "Ai rii ne revenue from add-ons to ticket sales jumped to almost $22 billion last year and con-
tinues to soar as more carriers chase extra sources of income (da The Wa/1StreetJournal del
31.5.2011,"Extra airline fees a growth market/revenue from add-on fees soars amid fuel and fare
pressures", di Daniel Michaels). Faced with rising fuel prices and intense competitive pressure to
hold down airfares, a growing number of carriers world-wide are charging passengers for services
once included in ticket prices, such as baggage and food. Carriers are also finding new revenue
sources, such as in-flight Internet connections and access to airport lounges that were previously
restricted to loyal customers. 'Ancillaryrevenueis a growth market and it's here to stay', said an air-
line consultant. [...] 47 of the world's biggest airlines, which together account for almost half of all
airline revenue, last year reported ancillarysalesof €15.11billion, up 38% from 2009. [...] Budget car-
riers began charging for extras more than a decade ago, when the rise of Internet ticket sales al-
lowed them to split out elements more easily and charge passengers directly. They attract fliers
with bargain ticket prices and earn more than 20% of their tota I revenue from ancillarysources.No-
frills carriers such as Ryanair are still top earners. [...] But more traditional carriers are expanding
quickly, especially because fuel prices have risen significantly over recent years and airlines haven't
been able to raise fares. [...]". E in relazione a Ryanair (dal FinancialTimes del 1.6.2010): "[ ...] In-
• sometimes sneaky extra
come from ancillaryservices,the lifeblood of the airline, looks shaky. These
charges for baggage and check-in service handed the airline €664m last year, more than twice its
profit. But after five straight years of boosting the amount paid per passenger, this year it dropped
to under €10 per person [...]".

I servizicomplementaripossono addirittura assumere una rilevanza tale da farli appari-


re come il vero prodotto (inteso in senso stretto) dell'impresa.
236 i L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Se si torna al caso automobilistico, l'allungamento dei tempi di garanzia o comunque l'assistenza


integrale a condizioni forfettarie predeterminate su un arco di tempo lungo che alcune case so-
prattutto hanno adottato fanno assomigliare sempre di più la vendita dell'automobile a un affitto
su tempi lunghi: al passaggio cioè da una logica di vendita di un bene fisico a quella di vendita di
un servizio di fruizione dello stesso.

Realtàe apparenzapossonodivergere
anche in relazione alla definizione in senso stretto.

Un esempio tipico di questa seconda fattispecie è quello del dettagliante o della catena distributiva
che vendono alimentari: che hanno in generale come prodottonon ciò che apparentementevendono,
ma il serviziodi intermediazione commerciale-distributiva che permette di far giungere ai consumatori
finali gli alimentari provenienti direttamente o indirettamente {attraverso i grossisti) dalle imprese
alimentari o agricole e considerabili come prodottidi queste ultime. E lo stesso discorso può essere
fatto per chi vende componenti meccanici a imprese utilizzatrici, fornendosi da {altre) imprese pro-
duttrici, in assenzadi interazioni dirette fra le prime e le seconde.
Il discorso si fa invece più complesso quando un'impresa della grande distribuzione - come av-
viene sempre più frequentemente e intensamente anche nel nostro paese - affianca sui suoi
scaffali, agli alimentari di marca, alimentari con marchio proprio: fatti produrre, sulla base di pre-
cise specifiche, a imprese alimentari.Dev'essere ridefinito infatti l'output della grande distribu-
zione: che non produce più solo servizi di intermediazione commerciale-distributiva, ma che è
del tutto assimilabile - per quanto concerne la quota parte venduta con marchio proprio - a
un'impresa alimentare che ricorra all'outsourcing{come non infrequentemente awiene) per l'in-
tera fase produttiva.
Deve essere ridefinito però anche l'outputdi chi fisicamenteproduce per conto e su specifiche del-
la grande distribuzione, che - almeno per quanto concerne la quota parte venduta in outsourcing-
non ha più come prodottogli alimentari, bensì il serviziodi produzione(ed eventualmente di previa
progettazione)degli stessi: con differenze fondamentali ad esempio, per chi venda esclusivamente
in outsourcingrispetto a chi venda con marchio proprio, sia nella finalizzazione e strutturazione
delle attività di vendita che nella stessa individuazione dei clientiultimi.

I clientidell'impresa devono essere anch'essi visti nella loro interezza, laddove


non vi siano rapporti diretti, per le ricadute sui bisognida soddisfare e sui servi-
zi complementarida mettere in gioco. E talora sì pone addirittura all'impresa la
scelta di fondo su chi considerare più importanti, tra i clienti ultimi e i clienti
intermedi.

Si parla talora a questo proposito, nell'ambito dei beni di consumo ma anche di taluni beni
di produzione, dell'alternativa fra strategie pushe pull Le prime cercano di conquistare i
clienti ultimi utilizzando i cli~nti intermedi - gli intermediari commerciali piuttosto che co-
loro che effettuano i montaggi di apparecchiature (scaldabagni ecc.) - come promotori dei
prodotti dell'impresa: concedendo ad esempio sconti percentualmente crescenti con i volu-
mi di vendita. Le seconde puntano invece direttamente ai clienti ultimi, ad esempio attraver-
so lo strumento pubblicitario, con il duplice obiettivo di conquistare il loro interesse e di
esercitare una pressione indiretta attraverso essi sui canali intermedi.

Le areegeo-politiche ove l'impresa è presente con i suoi prodotti devono essere


viste non solo ai fini della valutazione dei volumi complessivi potenziali di ven-
5. La competizione I 237

dita, ma anche per i riflessi che le loro diso1nogeneità- nei comportamenti di


acquisto dei clienti e nella loro sensibilità al prezzo, nella tipologia dei canali
di intermediazione commerciale, nella tipologia dei competitori ecc. - posso-
no avere sulle caratteristiche richieste ai prodotti: sino a renderne non conve-
niente la presenza stessa.
I prodotti dell'impresa, considerati sia nell'accezione stretta sia in quella la-
ta, possono avere a un estremo caratteristiche standard: conseguenti ad esem-
pio alla tradizione o imposte addirittura dalla normativa.

Le caratteristiche standard sono più frequenti nei prodotti destinati alle imprese che non in
quelli di consumo destinati alle famiglie, anche perché esiste una normativa internazionale
ISO che spinge in molti casi in questa direzione. Fra i prodotti di consumo percepiti sostan-
zialmente come standard nelle scelte di acquisto - anche se contraddistinti da marche molto
note -vi sono ad esempio la benzina e lo zucchero. ·

Possono avere all'altro estremo caratteristiche di forte unicità, essere percepiti


cioè dal mercato come diversi rispetto a quelli dei competitori - anche se ri-
volti agli stessi clienti, bisogni, canali e aree geo-politiche - ad esempio perché
contraddistinti da:
• una tecnowgi,aproprietaria,coperta da brevetti o da un know-howmantenu-
to segreto: come tipicamente nel campo farmaceutico o in quello dei
materiali innovativi di sintesi;
• uno standard proprietario, non compatibile con quello dei competitori
(cfr. schema 5.3): come tipicamente nel softwareo nelle apparecchiature
fotografiche reflex;
• un design fortemente caratterizzante:tipicamente per i prodotti dell'abbi-
gliamento più orientati alla moda o per le automobili;
• una modalità di serviziofortemente caratterizzante:tipicamente in compar-
ti quali quelli del Jastfood;
• una marca ( brand) nota, denotante il singolo prodotto o categoria di pro-
dotti o talora l'intera impresa, spesso-ma non necessariamente-accop-
piata a una o più caratteristiche differenzianti (del tipo visto in prece-
denza): soprattutto quando i clienti sono le famiglie o le imprese di di-
mensioni minori (esercizi commerciali, uffici professionali ecc.);
• un' immagi,ne- di serietà, competenza, accuratezza del servizio, solidità fi-
nanziaria ecc. - elevata, legata all'impresa più che ai singoli prodotti o
categorie di prodotti: soprattutto quando i clienti sono le imprese o la
pubblica amministrazione. •
La percezione di unicità può essere legata anche al pacchetto di servizi comp!R-
mentari, se più ricco e funzionale rispetto a quelli dei competitori, che accom-
pagnano - attraverso un'operazione di accorpamento( &undling) effettuata dal-
1'impresa - il prodotto (bene o servizio) inteso in senso stretto. O di converso
al fatto che l'impresa, a differenza dei competitori, metta sul mercato il pro-
dotto nudo a un prezzo più basso: con un'operazione di scorparo( un&undling)
238 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

di tutti quei servizi complementari tradizionalmente offerti ai clienti ultimi


ma non più ritenuti di interesse per gli stessi (cfr. schema5. 4).

ScHEMA 5.3 - Un businessmodel"oggettodel desiderio":affermare


il propriostandardproprietario

Avere una quota di mercato elevata in un comparto che cresce, in cui i principali com-
petitori gareggiano ciascuno con il proprio standardproprietario, rappresenta il sognodi
molte imprese.
Lo rappresenta nei contesti ove si ha a che fare con prodotti compositi, soggetti a signi-
ficative integrazioni o a parziali sostituzioni nel tempo: un esempio tipico è quello delle
apparecchiature fotografiche reflex,ove per l'acquisto di un nuovo obiettivo o di un nuo-
vo flash sincronizzato, piuttosto che per la loro sostituzione, ci si deve necessariamente
rivolgere alla stessa impresa - per ragioni di compatibilitàcon il corpo macchina e con
gli altri accessori in precedenza acquistati - o al più a una che produca componenti
adattabiliai diversi standard proprietari; l'alternativa essendo quella di buttare via tutto e
di riacquistare il corpo macchina, gli obiettivi e il flash da un'impresa concorrente.
Lo rappresenta nei contesti ove gli acquirenti - di un bene fisico come il PC o lo
smartphoneo di un servizio quale quello della posta elettronica - hanno l'esigenza di
interagire fra loro e non possono farlo se la mancanza di standard generali si accom-
pagna all'incomunicabilità fra standard proprietari. Il grande successo di Microsoft
(cfr. paragrafo1.4)è figlio del fatto che Windows- sulle orme dell'enorme successo dei
PC di I BM - riusd ad affermare il suo standard proprietario come standarddifatto di
(quasi) tutti i PC, conquistando una posizione di quasimonopolio;mentre la margina-
lizzazione in quegli anni del Macdella Appie, da molti ritenuto superiore nella qualità,
è largamente da ascrivere al fatto che il suo sistema operativo proprietario non era in
grado di colloquiare con i più.
Osservata dal punto di vista dei potenziali acquirenti, e in certi casi anche da quello
delle potenzialità di crescita del comparto, l'assenza di standard ufficiali condivisi può
essere viceversa molto negativa. Perché la competizione si ingessa e i prezzi possono
rimanere strutturalmente più alti; perché senza interoperabilità e/o intercomunicabi-
lità l'utilità percepita decresce, come appare chiaro dalla differente penetrazione dei
cellulari di seconda generazione fra gli Stati Uniti (ove non era stato trovato un accor-
do soddisfacente fra i grandi operatori) e l'Europa (ove viceversa l'accordo per il GSM
coinvolse tutti).
Con gli smartphone,i tablet e il cloud computing (cfr. paragrafo1.4) l'idea di trovare
standard comuni sembra lontana anni-luce, e viceversa quella di far crescere e di te-
nersi stretti i propri clienti, facendoli spendere possibilmente di più e rendendo sem-
pre più costoso e meno attraente l'eventuale passaggio a un concorrente, sembra
quella in maggior voga soprattutto in Appie. Appie ha introdotto a questo proposito
un businessmodel molto originale, che come visto poggia su alcuni elementi salienti:
• la presenza in portafoglio di quattro famiglie di devicediversi - Mac,iPod,iPhone
e iPad- tutti caratterizzati da performance e immagine molto elevate, nonché
l'affiancamento a essi di iC/oud;
5. La competizione I 239

• la possibilità per i clienti di fruire di tutto ciò che l'ecosistema che Appie ha creato
attorno a sé può offrire: brani musicali, fìlm, libri ecc.;
• l'affiancamento, sull'onda di quanto fatto con successo da altre imprese, di una
logica di streaminga quella più tradizionale di downloading:che, unitamente al-
l'offerta di spazi di memoria ampi sulla nuvolae all'aggiornamento in tempo rea-
le - sincronizzazione - di tutti i devicenel momento in cui essi si vengono a trova-
re in prossimità, permette di accedere da ciascuno di essi in qualsiasi momento a
tutti i contenuti prodotti o raccolti.
La concezione integrata e la sincronizzazione automatica dei devicesono un potente
stimolo al possesso contemporaneo di più di uno di essi e, in assenza di proposte
concorrenti fortemente innovative, al mantenimento di tale integrazione nel tempo.
La non disponibilità fìsica di tutti i brani musicali, film, libri ecc. acquistati - sostituita
dalla possibilità di accesso a essi in streamingin qualsiasi momento - può d'altra par-
te rappresentare un forte freno ai passaggi alla concorrenza.
Diversa la partita di Google, che - rendendo disponibile il suo sistema operativo Android
in forma gratuita (anche se con vincoli sullo sfruttamento commerciale) ai produttori di
smartphonedi tutto il mondo3 e favorendone così la crescita di quota complessiva - cer-
ca di farne un qualcosa di simile a ciò che Windowsè stato per i PC,owero uno standard
difatto: puntando a far retrocedere a nicchia lo spazio occupato dall'iPhone.
Mentre il dover competere con un sistema proprietario e con un ecosistema proprio
sembra rappresentare, come visto, più un handicap che un vantaggio per le altre
grandi imprese in gara.

ScH EMA 5.4 - Un businessmodelsemprepiù diffuso:il low cost

Lowcosthighvalueè stato il titolo di un convegno4 dedicato a un businessmodelsempre


più diffuso, basato sull'unbundling,che tanti successi ha colto - soprattutto nell'ultimo
decennio - in diversi comparti dell'economia. A evidenziare che la logica lowcostabbat-
te lo storico binomio bassocosto-basse prestazionie punta invece a offrire prodotti calibra-
ti sulle reali esigenze degli acquirenti e/o delle loro occasioni di acquisto individuate co-
me target:offrendo prestazioni più che soddisfacenti rispetto a tali esigenze e "non spre-
cando soldi" per soddisfare esigenze non essenziali o addirittura irrilevanti.
I discount- esercizi commerciali ove non solo è abolito (a somiglianza dei supermer-
cati) il servizio, ma anche ogni tipo di confezionamento che non abbia carattere di
stretta funzionalità e ogni tipo di marca, con vantaggi rilevanti in termini di prezzi - ri-
flettono bene tale logica. La medesima logica che ha permesso a imprese quali lkea
(23,1 miliardi di€ di ricavi nel 2010 a fronte dei 4 circa di quindici anni prima) e Ryan-
air (3,6 miliardi di€ di ricavi nel 2010, passata da meno di 3 a 66,9 milioni di passeg-
geri in quindici anni) di crescere molto e di conquistarsi nel contempo un'immagine

3. L'ipotesi è che la strategia di Google nei riguardi di Android non cambi - come affermato dal
vertice della società- a seguito dell'acquisizione di Motorola Mobility (cfr. paragrafo1.4).
4. Organizzato a Milano nel 2006 dal Boston Consulting Group.
240 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

FIGURA 5.1 - Evoluzionedel numerodi passeggeriRyanairfrail 1984 e il 2010 5

75
70
65 ■
60 I

55
I
-e
o 45
50

I

40 ■
-E
. i::
o 30
35
I

.....
ns I
o.o 25 ■
o.o /
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20
>
15 I

10
5
o
1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 201 O
Anno

fortemente positiva, offrendo (come ben noto) la prima mobili e arredi e la seconda
viaggi aerei a prezzi molto contenuti: non solo ad acquirenti "poveri", ma in misura
significativa anche ad acquirenti "ricchi" ma desiderosi di usare bene il loro denaro in
funzione delle esigenze contingenti.
È evidente come businessmodel di questo tipo, caratterizzati da margini unitari estre-
mamente risicati, richiedano grande bravura non solo nella concezione, ma anche e
forse soprattutto nella concreta messa in atto e conduzione (in gergo nell'execution):
come dimostra l'elevata percentuale di fallimenti ad esempio nel low cost aereo.

I prodotti dell'impresa (come più dettagliatamente si vedrà nel seguito) pos-


sono essere pochi - al limite si può avere un'impresa monoprodotto - o tanti;
e in questo secondo caso possono far capo a una gamma relativamente omo-
genea, dal punto di vista merceologico o da quello della domanda, oppure es-
sere del tutto disomogenei.
La coUocazione di mercatoscelta dall'impresa (in termini di clienti, bisogni e
canali) e le peculiarità che essa cerca di conferire ai prodotti per affrontare
con successo il mercato (ossia per conquistarne quote significative) e per di-

5. http:/ /it.wikipedia.org/wiki/File:Ryanair _passengers.png; www.ryanair.com/ doc/inve-


stor /2010/ Annual_report_201 0_web.pdf.
5. La competizione I 241

sporre di margini di profittabilità elevati- ingredienti ambedue fondamenta-


li per la creazione di valore - sono imprescindibihnente legate all'assetto tec-
nologico-organizzativo che sta alle spalle, cioè alle modalità con cui l'impresa
stessa organizza, svolge e coordina le attività (all'interno del suo perimetroori-
correndo all' outsourcingda altre imprese) necessarie per rendere disponibili i
prodotti per il mercato stesso.
Nel senso che le attività, con i relativi meccanismi di governo e di coordina-
mento dei processi che le interconnettono, sono disegnate in funzione della
collocazione di mercato e delle peculiarità dei prodotti scelte.
Ma anche nel senso che sono le attività, con le loro peculiarità, che condi-
zionano (nel bene e nel male) il costodei prodotti e la loro attrattività sul mer-
cato o che addirittura determinano le stesse scelte di prodotto e di mercato.
La collocazione strategica e il businessmodeldell'impresa devono in altre pa-
role guardare contemporaneamente all'output e a ciò che sta alle spalle del-
1'output, al versante prodotto-mercato e al versante attività-processi. L'idea im-
prenditoriale brillantepuò nascere e svilupparsi più sul primo versante o più
sul secondo, ma nell'una e nell'altra situazione è solo sulla combinazione fra i
due aspetti che si può costruire e far prosperare l'impresa nel tempo (cfr. sche-
mi 5.5, 5.6 e 5. 7).

La messa a punto di una determinata tecnologia proprietaria o l'acquisto di un determinato


brevetto o il ricorso in esclusiva a un determinato fornitore possono rappresentare le pre-
condizioni per rendere unico un prodotto fornito al mercato o per ridurne il costo e mano-
vrarne di conseguenza più liberamente il prezzo. E comunque l'assetto tecnologico-organiz-
zativo non può mai essere trascurato, se non si vuole correre il rischio di "uccidere" anche l'i-
dea imprenditoriale di prodotto-mercato più brillante.
D'altra parte, l'impresa che dedichi un'attenzione molto maggiore alla tecnologia e/o ai co-
sti che non alla domanda è destinata a creare poco valore o addirittura a soccombere.

L'impresa può avere nel suo portafoglio, come detto, prodotti anche molto
diversi: destinati a clienti, bisogni e canali diversi.
In taluni casi questi prodotti possono fruire sinergicamente di alcune atti-
vità e processi, con potenziali vantaggi di costo e/ o di attrattività. In altri casi la
diversità è tale da ridurre le possibili sinergi,ealla sola gestione comune delle ri-
sorse finanziarie e alla parziale intercambiabilità dellè risorse umane di pregio.

Spesso è stata storicamente proprio la possibilità di sinergi,eche ha portato le imprese, come


accennato in precedenza, a introdurre nel loro portafoglio prodotti affatto eterogenei. Un
caso celebre nel nostro paese è stato quello di Pirelli: la cui contemporanea presenza nei
pneumatici e nei cavi (questi secondi venduti e ora facenti capo a Prysmian), quasi un uni-
cum rispetto al portafoglio di business dei competitori internazi?nali, era dovuta al comune
uso che all'epoca della nascita della società (negli ultimi decenni dell'800) - ma non più da
molto tempo - era fatto della materia prima caucciù.

La presenza di prodotti diversi- destinati a mercati diversinon (o scarsamen-


te) interagenti fra loro- e di assetti tecnologico-organizzativi a loro volta diver-
si, o solo in parte sinergi,ci,rende ovviamente più articolato il businessmodeldel-
242 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

l'impresa e più complessa l'analisi della competizione e della creazione di va-


lore. E lo stesso accade quando l'impresa vende i suoi prodotti in aree geo-po-
litiche diverse,con scarse sinergie fra le attività svolte in ciascuna di esse.
Risulta allora conveniente per facilitare l'analisi, anche se a costo di qual-
che eccesso di semplificazione, introdurre una serie di nozioni che permetta-
no di gestire in modo appropriato tale diversità.
Si può introdurre in primo luogo la nozione di area di business ( business
area), per denotare lo specifico contesto competitivo relativo a:
• un determinato prodotto o categoria orrwgeneadi prodotti;
• un determinato insieme omogeneodi clienti, bisogni e canali;
• una determinata area geo-politica (se disorrwgenearispetto alle altre),
e, in corrispondenza a essa, la nozione di unità di business ( business unit): per
denotare la porzione dell'impresa che opera in tale area di business.
Si può evidenziare complementariamente un livello corporatepiù elevato e
sovrastante le unità di business, quello dei cosiddetti quartieri generali (head-
quarters), associato al portafoglio di business (business portfolio) dell'impresa:
cui spettano le scelte relative alla composizione del portafoglio stesso -1' even-
tuale uscita da determinati business o l'entrata in altri, l'allocazione delle ri-
sorse finanziarie ecc. - e la gestione delle attività e risorse che si vogliono te-
nere 1n comune.
Il business model dell'impresa deve essere quindi letto, se si segue tale ottica,
come composto da due livelli diversi. E analogamente si può vedere l'impresa
come l'insieme di:
• una cornponente corporate,con funzioni di governo generale;
• tante unità di business quanti sono i business contenuti nel portafoglio
... dell'impresa stessa.
E uno schema di analisi semplice, tanto più facile da utilizzare quanto minori
sono le interazioni fra le diverse aree di business e quanto minori sono le comu-
nanze- a livello di strutture commerciali-distributivè, di infrastrutture produt-
tive ecc. - fra le diverse unità di business. Anche se è proprio sulle potenzialità
connesse con le interazioni e con le comunanze che l'impresa costruisce spesso
il suo portafoglio.

La scelta del portafoglio di business dell'impresa (cfr. sottoparagrafo 2.1.1) risulta di rilievo al-
trettanto importante - se non in certi casi superiore - rispetto alle scelte che vengono effettua-
te relativamente a ciascun business. Vì sono imprese, come accennato in precedenza, che pri-
vilegiano l'idea che il portafoglio sia in una qualche misura focalizzato, almeno a livello della
cosiddetta cultura d'impresa:che comprenda ad esempio solo business che richiedano forti abi-
lità nella gestione del mercato (marketing, pubblicità ecc.) o che vedano il predominio dell'a-
nima tecnologica. Vì sono imprese invece che operano secondo una logica strettamente finan-
ziaria e che guardano alle sole potenzialità di creazione di valore dei singoli business, senza
cercare sinergie che non siano quelle derivanti dalla gestione finanziaria co_mune e senza
preoccuparsi delle difficoltà che l'eterogeneità può comportare soprattutto nelle fasi di gran-
de transizione: difficoltà che si manifestarono ad esempio in forma forte negli anni '80, a fron-
te dei fenomeni di internazionalizzazione dell'economia e dei cambiamenti tecnologici, e che
portarono a un radicale ridimensionamento delle imprese con portafoglio rongwmeral.e.
5. La competizione I 243
...
E importante rilevare com.e con il termine businessmodelsi guardi usualmente
a quelle che sono le caratteristiche salienti delle scelte dell'impresa - a livello
corporatee dei singoli business, sul versante prodotto-mercato e sul versante at-
tività-processi - più che al buon funzionamento nell'ambito di tali scelte.
Scindere la valutazione della bontà del modello dalla valutazione della
bontà della sua realizzazionepuò essere operativamente costruttivo: ma richie-
de grande cautela, soprattutto nella verifica del presupposto che il modello
sia in effetti in grado di funzionare bene e non rappresenti un'idea meramen-
te astratta.

Si può dire cioè di un'impresa che ha un business modelche non può funzionare o che l'idea
è buona ma la realizzazione cattiva. Ma è estremamente pericoloso proporre modelli astratti
- che non tengano conto cioè delle reali caratteristiche del contesto - soprattutto se su que-
sti modelli si chiedono e ottengono soldi dal mercato finanziario attraverso /PO ( initial public
offering):come accaduto al volgere del secolo per molte società della cosiddetta new economy.

La nozione di business ·modele l'enucleazione di un eventuale livello corporalee


dei livelli business rappresentano uno strumento importante nell'analisi della
competizione e della creazione di valore.
Più prossimi infatti sono i business modeldi imprese in competizione fra loro
- in termini di collocazione di mercato, di peculiarità dell'output, di assetto
tecnologico-organizzativo generale e di grado di ricorso all' outsourcing- più
ha senso confrontare la strutturazione e il funzionamento delle specifiche at-
tività, e dei relativi meccanismi di governo e coordinamento, per cercare di
comprendere dove nascano i differenziali di costo e di attrattività fra le impre-
se stesse e se essi siano destinati o meno a permanere nel tempo in assenza di
eventi straordinari.
Più lontane sono invece le collocazioni di mercato e le concezioni dell' out-
put, più l'attenzione deve spostarsi alle differenze nei modelli e nel funziona-
mento compl,essivo:le peculiarità delle attività rimanendo importanti, ma sem-
pre più per il loro impatto integrale e sempre meno per quello puntuale.

Se si torna ad esempio al caso dei beni di largo consumo (alimentari, detersivi ecc.) e si guar-
da a un paese come il Regno Unito ove il canale della grande distribuzione è largamente
prevalente, la competizione è relativamente omogenea tra le imprese industriali che si batto-
no fra loro ricorrendo ampiamente a una politica di marca: e<lè lecito un confronto fra le at-
tività e i processi dei differenti competitori, per comprendere dove siano localizzate le origi-
ni dei differenziali esistenti fra loro. Nel momento in cui invece si prende atto dell'impor-
tanza che hanno -in relazione alla stessa tipologia di prodotti, agli stessi clienti e bisogni e al-
lo stesso canale della grande distribuzione - le marcheproprie della distribuzione stessa e si
prende atto del fatto (già discusso in precedenza) che le imprese di distribuzione sono in
realtà anch'esse competitori a pieno titolo, il quadro si modifica radicalmente: perché si
fronteggiano sul mercato business modelmolto lontani fra loro, chb rendono possibile soltan-
to una comparazione integrale.
II lmsinessmodeldi un'impresa della grande distribuzione - a differenza di quello dei produt-
tori di marca- non prevede in particolare né di fare in casa la produzione e l'eventuale pro-
gettazione né di fare politiche specifiche di marca dei prodotti; e ha come unico canale di
sbocco il proprio, che usa anche (nella veste di produttore di servizi commerciali-distributi-
244 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

vi) per far transitare i prodotti di marca di quelli che sono nello stesso tempo suoi fornitori e
competitori.

II businessmodel,infine, deve concettualmente contenere al suo interno anche


la logi,cacon cui l'impresa pensa di affrontare il futuro: almeno per quanto
concerne la sua dinamica tipica.
Questo perché l'impresa deve essere sempre disegnatain relazione al conte-
sto in cui vuole operare e quindi alle caratteristiche evolutive dello stesso (al-
meno per quanto è ragionevolmente prevedibile): sino ad avere in taluni casi,
come idea imprenditorialealla base della sua stessa esistenza, quella di battersi
attraverso il cambiamentoe l'innovazione.

Una parte delle attività dell'impresa è dedicata usualmente a predisporre il futuro, owero al-
1'autotrasformazionedell'impresa stessa: alla messa a punto di nuovi prodotti, alla messa a punto
di nuove tecnologie e nuovi processi produttivi, alla creazione di nuovi brantle/o al rafforza-
mento degli esistenti, al rinnovo e/o al potenziamento delle infrastrutture produttive e com-
merciali (attraverso investimenti materiali e immateriali), e così via. Più tale parte è struttural-
mente rilevante in percentuale, più l'impresa si ritrova con una collocazione per certi versi sm-
ln,naata rispetto all'asse dei tempi: con un profitto corrente che guarda zn.di.etro, che dipende
cioè in larga misura da quanto si è predisposto nel passato; con un 'allocazione delle risorse in
larga misura proiettata in avanti, difficilmente valutabile in termini di risultati correnti.

ScHEMA 5.5 - Un businessmodelsemprepiù diffuso:chi paganonè chifruisce


del servizio

È cos1da lungo tempo, anche se non integralmente, per i quotidiani e i periodici: che
possono far pagare ai lettori solo una parte dei costi che affrontano e dei loro profitti,
perché il resto viene dalla pubblicità. Lo stesso accade per la RAI, che non riuscirebbe
a soprawivere con il solo canone. Lafree press(i quotidiani distribuiti gratuitamente
nelle stazioni della metropolitana o in altri luoghi a elevato passaggio delle grandi
città) vive della sola pubblicità, che le garantisce ricavi proporzionati al numero di let-
tori che essa riesce a conquistare. Lo stesso accade per La7. Mediaset ha introdotto
con l'awio del digitale terrestre, accanto agli storici canali che da sempre vivono inte-
gralmente di pubblicità, una serie di canali pay. E Sky, che trasmette via satellite e ri-
chiede l'uso del decoder,trae dagli abbonamenti la componente principale dei suoi ri-
cavi: ricorrendo anche alla pubblicità.
Google ha anch'essa un businessmodel completamente fondato sulla pubblicità (cfr.
paragrafo1.4),che usa la superiorità del suo motoredi ricercacome 11 esca" per attrarre
i visitatori nel sito. Lo stesso fanno Yahoo e Microsoft, che faticano a scalfire la leader-
ship di Google nella pubblicità su Internet. Mentre più pericolosa può essere, dato an-
che il numero di frequentatori, Facebook.
Ma anche ATM a Milano, come in generale le società che gestiscono i trasporti urba-
ni, ricorre alla pubblicità - si pensi ai 11 rivestimenti" di tram e autobus o ai totem nelle
stazioni e nelle pensiline - come componente essenziale, anche se minoritaria, del
suo equilibrio economico. E accettando un rivestimento pubblicitario si può acquista-
re a minor prezzo una Smart.
5. La com petizione I 245

"Chipaga non è chifruiscedel servizio"è stato anche il principio su cui sono cresciuti in
numero e in ricavi gli OsservatoriICT della Schoolof Management del Politecnico di
Milano. Il servizio consiste nella predisposizione di un rapporto annuale molto detta-
gliato sul settore o sulla tematica oggetto di ciascun Osservatorio (Mobile Internet,
Content & Apps, RFld, NFC & Mobile Payment, Cloud & ICT as a Service ecc.), nella
sua presentazione e discussione pubblica e sulla sua consultabilità e scaricabilità dal
sito. I fruitori sono gli interessati,con i ruoli più diversi, alla tematica in oggetto: mana-
ger di impresa, esponenti del sistema bancario-finanziario, consulenti, giornalisti spe-
cializzati ecc. Gli sponsorsono in generale le imprese che vogliono rafforzare i contatti
con gli interessati(perché loro clienti ecc.) o mettersi in luce presso di loro o sensibi-
lizzare il mondo esterno alle nuove potenzialità che la tecnologia rende disponibili. Il
circolovirtuosoche favorisce la crescita è di immediata comprensione: più gli Osserva-
tori sono noti, più aumentano gli interessatiche partecipano alle presentazioni e/o
scaricano i rapporti; più sono gli interessati,più sono i potenziali sponsore maggiore il
contributo che sono disposti a corrispondere; più crescono i ricavi, più può aumenta-
re la "potenza di fuoco" del gruppo di ricerca, con riflessi sulla qualità dei rapporti e
sull'apertura di nuovi Osservatori.

ScH EMA 5.6 - Il rischiodi rimanereintrappolatinel businessmodel


che ha fatto il successodell'impresa:il casoDell

Un businessmodel "buono" può portare un'impresa sino ai vertici mondiali, ma è dif-


ficile - in un contesto in continua trasformazione - che esso rimanga "buono" mol-
to a lungo. In diversi casi è l'imitazione da parte dei competitori che riduce progres-
sivamente i margini di vantaggio di un'impresa cresciuta adottando un businessmo-
del innovativo. In altri sono invece i cambiamenti nel contesto che rendono inattuale
il businessmodel e obbligano l'impresa, se non vuole entrare in una lenta agonia, alla
faticosa - e talora vana - ricerca di un businessmodel in grado di riportarla ai "fasti"
precedenti.
La crisi in cui si è venuta a trovare Dell, leader mondiale nelle vendite di PC sino al
2005, è esemplare da questo punto di vista. L'uso della sola vendita diretta (via rete,
via telefono ecc.), che era stato alla base del successo, rappresentava la chiave di vol-
ta del businessmodel:
• evitando a Dell il confronto con i distributori (in particolare con quelli più forti
quali Wal-Mart) per la ripartizione dei margini;
• riducendo al minimo le necessità di capitale circolante: a fronte dei pagamenti im-
mediati da parte degli acquirenti e dei livelli estremamente bassi di scorte da dete-
nere (in presenza di una produzione strettamente sagomata sulla domanda).
La disaffezione dei consumatori nord-americani per tale modalità di acquisto e il re-
cupero di efficienza da parte dei competitori (HP in primo luogo) hanno messo in cri-
si questo businessmodel e costretto Dell ad affiancare alla vendita diretta quella attra-
verso i grandi distributori (tipicamente Wal-Mart). Con ovvie conseguenze sia sui
margini sia sulle esigenze di maggiori scorte e di maggiori risorse per finanziarle.
246 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

"Dell will sell its persona! computers through Wal-Mart Stores (da The Wa/1StreetJournal del
25.5.2007, "Dell to rely less on direct sales: Wal-Mart will offer PCs as computer maker seeks a
broader retail reach", di Christopher Lawton}, breakingfrom thedirect-sales model that previously
helped it become the world's largest PC company but which missed out on a recent consumer
boom as more people started to buy computers in retail stores. [...] Dell has sold PCs over the
phone and the Internet for years, allowing it to convert inventory into cash much faster than its
competition. The efficiency allowed Dell to underprice its rivals. But the model began to lose
steam in 2005 as rivals such as Hewlett-Packard became more effìcient themselves. What's more,
Dell became boxed in by its direct-sales strategy as PC-buying behavior began to change. Con-
sumers - the growth engine of the U.S. PC market - have started gravitating to stores to buy
portable notebook computers. Dell, which had focused on selling desktop PCs to corporate cus-
tomers, was largely unable to participate. Dell's sales and profìts have since slowed [...]. Last year,
the company lost the No. 1 spot in the PC industry to H-P, which sells PCs through 110,000 retail
outlets world-wide [...]. Over the last year, H-P's stock has risen 42%, while Dell's is up 9%. [...] lt is
unclear if Dell plans to match HP's presence in retail stores. Since 2002, Dell has populated shop-
ping malls with kiosks that sell its PCs. [...] But all of these retail efforts have used the direct-sales
model, meaning that while customers can peruse merchandise at the kiosks and stores, they have
to order the PC online, over the phone at home or in the store, and have the PC delivered. [...] Dell
faces potentially signifìcant challenges in retail, given the company will now have t~ hold onto PC
inventory longer than under its direct model. [...] More inventory will generate less cash for Dell to
reinvest back into the business. [...] Wal-Mart is tough on suppliers, so Dell's margins from sales
through the retailer may be lower than it is used to. Mr. Dell has recently signaled that Dell was
open to moving beyond its direct-sales model.[ ...] 'The Direct Model has been a revolution, but is
nota religion', Mr. Dell wrote".

Dell ha perso più del 40 per cento della sua capitalizzazione di borsa fra il 2006 e il
2010, per poi recuperare significativamente valore - fra il 2010 e il 2011 - come risul-
tato congiunto di una strategia di crescita nell'ambito dei servere del miglior anda-
mento nei PC della domanda corporate(ove Dell è più competitiva) rispetto a quella
privata.

ScH EMA 5.7 - È sufficientecambiareun businessmodeldi successo


in funzionedel cambiamentodel contesto
per salvaguardareil valoredell'impresa?

Saper prevedere per tempo che il vento sta mutando radicalmente direzione - ovve-
ro che il contesto è destinato a subire un cambiamento profondo con contraccolpi
potenziali pesanti per la propria impresa - è importante, perché permette (almeno
in linea di principio) di adeguare con tempestività il businessmodel al nuovo conte-
sto, ma spesso non è sufficiente a salvaguardare il valore dell'impresa. E questo è
tanto più vero quanto più elevato, e legato alla peculiarità del businessmodel, è il va-
lore dell'impresa.
La ragione è semplice: un valore alto (cfr. capitolo4) riflette differenziali di costo e/o di
attrattività elevati, che possono non essere replicabili nel nuovo contesto; non è in altre
5. La competizione I 247

parole sufficiente adeguarsi al nuovo contesto, ma occorre individuare - ammesso che


esistano e/o siano accessibili all'impresa - nuove sorgenti di differenziali competitivi.
Lo si vede nel caso Dell (cfr. schema5.6), lo si vede nel caso Kodak (cfr. schema2.20), lo
si vede guardando ai travagli in cui si dibattono gli editori dei più importanti giornali del
mondo, che hanno capito da anni che il futuro dell'informazione risiede molto più nel-
la rete che non nella carta,ma che non riescono a individuare businessmodel che per-
mettano loro di replicare operando in rete quanto ricavavano dalla carta.

Famosa a tale proposito la dichiarazione che nel 2007 fece provocatoriamente Arthur Sultzberger,
editore di uno dei più celebri quotidiani del mondo: "Fra cinque anni il New YorkTimes potrebbe
sparire dalle edicole. E non importa, perché ormai viviamo nell'era di Internet". Ma altrettanto in-
teressante, dopo che il successo dell'iPadaveva fatto sperare a molti editori di poter finalmente di-
sporre di un'edicolavirtualeattraverso cui vendere i propri giornali onlinee li aveva spinti a predi-
sporre format che agevolassero la lettura, la "doccia fredda" proveniente da Appie con la richiesta
del 30 per cento del valore di copertina (poi in parte rientrata a fronte della ribellione degli editori)
per distribuirei giornali onlinestessi.

La risalita non è però impossibile, come dimostrano i casi IBM (cfr. schema 2.2) e Ap-
pie (cfr. paragrafo1.4):casi ambedue ove però il recupero o addirittura l'incremento di
valore hanno richiesto la ricerca di nuove opportunità in settori attiguima diversi.
Vale la pena anche osservare che i problemi dell'impresa non sono gli stessi che han-
no i suoi azionisti con quote minori, quali tipicamente i fondi: che hanno la possibilità
di cedere facilmente i loro pacchetti ai primi "scricchiolii", con perdite rispetto ai mas-
simi tanto minori quanto più in anticipo si colgono gli "scricchiolii" stessi.

5.3Il portafoglio
di output

L'impresa, come detto, può presentare a un estremo un output molto focaliz-


zato - in termini di prodotti, clienti, bisogni e aree di presenza - o all'altro
estremo un output assai variegato e differenziato: con interazioni potenzial-
mente importanti con l'assetto tecnologico-organizzativo e con ricadute ov-
viamente significative sulla sua economiae in ultima analisi sul suo valore.
Il caso estremo di portafoglioprodottifocalizzatoè quello (più teorico che rea-
le) dell'impresa con un solo prodotto, che serve clienti omogenei dal punto
di vista dei bisogni e dei comportamenti di acquisto, concentrati in un'area
geo-politica omogenea, eventualmente attraverso un unico canale commer-
ciale-distributivo.
La variegazione e differenziazione del portafoglio prodotti può assumere
poi direzioni e intensità diverse.
Può rimanere ad esempio relativamente omogenea la 'tipologia dei prodot-
ti, ma esserlo molto meno quella dei clienti ultimi e/ o dei bisogni e/ o dei
clienti intermedi: con una possibile ulteriore spinta verso la disomogeneità
proveniente dalle diverse caratteristiche delle aree geo-politiche di presenza.
248 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Un'impresa produttrice di pneumatici, ad esempio, come Pirelli si trova ad avere prodotti


che - pur facendo capo alla categoria merceologica dei pneumatici - hanno caratteristiche,
livelli di prezzi, clienti, utilizzi e canali commerciali molto diversi. Essa produce pneumatici
per le auto, per le moto e per i veicoli industriali: avendo le auto e le moto, come ben noto,
quali acquirenti prevalentemente le famiglie e i veicoli industriali esclusivamente le imprese.
Nei pneumatici per auto ha come clienti ultimi le case automobilistiche, senza passaggi in-
termedi, per le prime forniture: caratterizzate da volumi molto elevati e prezzi molto ridotti;
ha viceversa come clienti ultimi le famiglie, attraverso le officine di assistenza e i gommisti,
per i ricambi: a prezzi molto più alti ma su volumi (per canale oltre che ovviamente per
cliente) molto più ridotti. Sempre nei pneumatici per auto, essa deve soddisfare esigenze
(bisogni) molto diverse, di chi ad esempio possiede soltanto un'utilitaria che usa prevalente-
mente per andare al lavoro o di chi ha tra le altre un'auto di grossa cilindrata con prestazio-
ni sportive, presumibilmente molto sensibile al prezzo e alla durata il primo e molto più di-
sposto a spendere a fronte di un'immagine di prodotto e di un livello delle prestazioni eleva-
ti il secondo. E così via.

Può viceversa essere disomogenea dal punto di vista merceologico la tipologia


dei prodotti, ma comune la finalizzazione in tern1ini di clienti ultimi e/ o biso-
gni e/ o clienti intermedi.

Due esempi sono quelli di Procter & Gamble (cfr. paragrafo1.1) e di Unil~ver. Quest'ultima,
come P&G operante su scala mondiale, ha fatturato nel 2010 più di 44 miliardi di€ e ne vale
in borsa circa 67. Ha nel suo portafoglio prodotti una molteplicità di beni di consumo im-
mediato - principalmente alimentari, detersivi e prodotti per la toeletta - che rispondono a
bisogni diversi, ma che hanno come principali clienti ultimi le famiglie e che transitano in
misura significativa attraverso il canale della grande distribuzione. I brand con un fatturato
annuo superiore a 1 miliardo di€ sono 12: Axe/L)TIX, Blue Band, Dove, Becel/Flora, Heart-
brand ice creams, Hellmann 's, Knorr, Lipton, Lux, Omo, Rexona e Sunsilk.

Un esempio per certi versi similare è quello di LVMH (più di 20 miliardi di€ di fatturato nel
2010 con una capitalizzazione prossima ai 60), che ha nel suo portafoglio prodotti beni di
consumo - nella moda in generale, nei vini, nei superalcolici e nei profumi - che, pur
rispondendo a bisogni apparentemente diversi, risultano accomunati dal fatto di soddisfare
la domanda di lusso da parte dei loro principali clienti ultimi, anche in questo caso le

F1cuRA 5.2 -Andamento del titolo Unilevernel quinquennio2006-2011

2.000

1.800

1.600

1.400

1.200

+31,93% -13,96% +23,01% -1,55%


2006 2007 2008 2009 2010 2011

Fonte:Financia/Times.
5. La competizione I 249

FIGURA 5.3 -Andamento del titolo LVMH nel quinquennio 2006-2011

120

100

80

60

40

+0,3% -1,05% -38,82% +61,94% +57,06% -0,81%


2006 2007 7..008 2009 2010 . 2011

Fonte:FinancialTimes.

famiglie. "LVMHis a France-based luxury goods company (dal breve prospetto della società
fornito dal Financial Times). The Company uwns a portfolio of luxury brands and its business
activities are divided into five business groups: Wines and Spirits, Perfumes and Cosmetics,
Watches and Jewelry, Fashion and Leather Goods, and Selective Retailing. The activities of
the wines and spirits sector include che Champagne and Wines branch, and the Cognac and
Spirits branch. LVMH is present in the perfume and cosmetics sector with the French Hous-
es Christian Dior, Guerlain, Givenchy and Kenzo brands. The Fashion and Leather Goods
business group includes Louis Vuitton, Donna Karan, Fendi, Loewe, Celine, Kenzo, Marcja-
cobs, Givenchy, Thomas Pink, Pucci and Berluti. Watches andjewelry se1ls products, such as
TAG Heuer, Hublot, Zenith, Dior Watches, Chaumet, Fred and De Beers. The Selective Re-
tailing businesses operate in two segments: travel retail and the selective retail concepts rep-
resented by Sephora and Le Bon Marché".

L'estremo opposto rispetto alla focalizzazione si ha infine quando sono diversi


sia i prodotti, sia i clienti, sia i bisogni soddisfatti, sia i canali. O quando co-
munque - come è più frequente per le imprese di dimensioni maggiori -
l'output assume una composizione a cluster:
• focalizzati, o con comunanze dei tipi visti in precedenza, al loro interno;
• molto distanti però l'uno dall'altro per tipologia dei prodotti, clienti, bi-
sogni soddisfatti e canali.
Con una ulteriore biforcazione:
• i clusterpossono presentare comunanze a livello di produzione (intesa in
senso lato) e concezione - nei processi produttivi, nelle materie prime
utilizzate, nelle tecnologie, nelle fasi di ricerca e progettazione ecc. - o
possono essere collocati in cascata l'uno rispetto all'altro nelle medesime
filiere (con l'impresa cioè almeno in parte cliente/fornitrice di se stessa);
• i clusterpossono essere separati totalmente anche dal punto di vista della
produzione (in senso lato) e della concezione, e sfparla allora di por-
tafogli prodotti conglomerali.

Il gruppo De Agostini (cfr. sotto-paragrafo


1.5.2), che nel 2011 ha compiuto 11Oanni di vita, co-
stituisce un esempio interessante di passaggio - innescato dall'alienazione a condizioni parti-
250 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

colarmente "felici" di un suo business durante il boom della new economy- da un portafoglio
focalizzato sul tradizionale business dell'editoria a uno congf,omerak. Arrivato nel 2003 a 6,3 mi-
liardi di€ di ricavi, quasi 4 dei quali costituti dai premi di Toro Assicurazione (acquisita da Fiat
e ceduta poi ad Assicurazioni Generali), il gruppo- che ha realizzato ricavi pari a 4,32 miliar-
di di€ nel 2010- si autodefinisce "una holding di partecipazioni presente in diversi settori in-
dustriali e nel settore finanziario". È presente nell'editoria con De Agostini Editore, nelle atti-
vità mediae communicationcon DeAgostini Communications (Zodiac Media, Antena 3 de Tele-
visi6n ecc.), nei gfochie_servizicon Lottomatica (che con l'acquisizione nel 2006 della statuni-
tense Gtech è diventata il più grande player mondiale nelle lotterie, giochi e servizi) e nelle at-
tività.finanziariecon DeA Capi tal (partecipazioni e fondi di privat.eequity).
Il gruppo Fiat (cfr. schema1.4) ha percorso invece un cammino inverso in due fasi successive:
nella prima tornando, a seguito dell'alienazione delle attività non core,alla sua originale foca-
lizzazione automotoristica;nella seconda, come visto, separando il business automobilistico
dalle altre attività attraverso lo scorporo di Fiat Industriai (veicoli industriali, macchine per
l'agricoltura e per le costruzioni).

La dimensione geo-politica dell'output aggiunge un ulteriore elemento di com-


plessità, sia nel caso in cui il portafoglio prodotti sia focalizzato che in quello in
cui risulti invece molto variegato e di natura più o meno conglomerale.

I casi visti in precedenza - Fiat, De Agostini, LVMHe U nilever - sono rutti caratterizzati dalla
presenza in una molteplicità di aree geo-politiche: con differenze anche molto significative
però, per ciascuna impresa, nella diffusione internazionale dei diversi prodotti facenti capo
al suo portafoglio.

5.4 L'integrazione
verticalee il ricorsoall'outsourcing

I prodotti che l'impresa pone sul 1nercato - beni fisici e/ o servizi ed eventuali
servizi complementari- possono essere realizzati, se si considerano i due casi
estremi:
• prevalentemente all'interno del perimetrodell'impresa stessa, o
• con un ricorso quasi integrale all' outsourcing.
Nel primo caso si parla di impresa a integrazioneverticalemolto elevata.
Nel secondo caso si tende alla cosiddetta lwllaw corporation- all'impresa vu~
ta - che si riserva al limite i soli ruoli di cervelwe di cassaforte,mentre delega
tutte le altre attività all'esterno.
Le situazioni reali si collocano all'interno di questi due estremi, con una
tendenza accentuatasi nel tempo (cfr. sottoparagrafo2.1.2) a fare in casa solo le
attività ove si è più bravi o che è rischioso delegare e a ricorrere all' outsourci.ng
o a forme misteper tutte le altre.

Gli esempi di forme mist.epossono essere di natura varia. Vi può essere la centralizzazione a li-
vello di gruppo delle attività intermediein precedenza incorporate nelle diverse società e/ o
divisioni del gruppo stesso, con la nascita di unità e/ o società ad hoc che soddisfano soltanto
~ee~igen_zeinte~ne. È quanto avviene nel gruppo Eni (cfr. schemi1.3 e 3.2). È quanto awiene
m d1vers1grandi gruppi bancari, che concentrano in apposite società i servizi informatici: co-
me tappa in taluni ca.o,;i
di un processo che porta alla cessione delle stesse ·a "specialisti" del
settore (IBM, HP ecc.), a fronte di contratti di fornitura in outsourringa medio termine.
5. La competizione I 251

Vi può essere una situazione simile, ma in cui viene chiesto alle società intermediedi operare
anche sul mercato esterno: per:-all.eggerire__
i costi del gruppo e/ o per mantenersi competitive
e/o per far crescere un nuovo business. E quanto avvenuto ad esempio nel gruppo Fiat (cfr.
schema 1.3): storicamente con le società produttrici di componenti o di sistemi di produzione
(Magneti Marelli, Comau ecc.); più recentemente, prima della separazione del gruppo in
due tronconi all'inizio del 2011, con la concentrazione in Powertrain delle produzioni di
motori, attraverso lo scorporo dalle società in cui erano precedentemente inserite (Fiat Au-
to, Iveco, CNH ecc.) e con la sottoscrizione di importanti accordi di fornitura ad altre case.
Oppure si possono trasformare le società intennediein joint venture con "specialisti" del setto-
re, invece che cederle integralmente a questi ultimi: come nel caso della joint venture Global
Value tra Fiat e IBM nelle Infonnation & Communication Technologi,es, poi confluita in IBM,
creata con l'idea di servire non solo il mercato captiveinterno, ma anche di sfruttare le estese
relazioni di Fiat (fornitori, concessionari ecc.) per allargare il proprio raggio di azione.

Il ricorso ali' outsourcing- specularmente a quanto accade per ciò che l'impre-
sa vende - può riguardare, a un estremo, prodotti con caratteristiche stan-
dard: per cui esistono mercati strutturati e quindi prezzi di mercato ben defi-
niti (owiamente variabili nel te1npo e in rapporto alle quantità e alle condi-
zioni di fornitura).
Esso può riguardare invece, all'altro estremo, beni e/ o servizi ad hoc: che
devono essere concepiti sulla base di esigenze che l'impresa stessa ha (e che
talora inizialmente non riesce nemmeno a definire con precisione), che pos-
sono richiedere per la produzione investimenti anch'essi ad hoc da parte dei
fornitori, che possono prevedere un orizzonte temporale di fornitura lungo
(addirittura pluriennale) e che necessitano conseguentemente di un'organiz-
zazione del rapporto molto più complessa.
Esso risulta spesso nei primi casi una sceltaobbligataper l'impresa, mentre è
molto più discrezionalenei secondi.

Sarebbe ad esempio impensabile, per un 'impresa che operi al di fuori del comparto energe-
tico, non ricorrere a un fornitore esterno per il gasolio o per il metano. Così come sino a po-
chi anni addietro rappresenta una scelta obbligata il ricorso all'esterno per l'energia elettri-
ca, a meno che l'impresa non avesse un'attività produttiva così energi,vorada rendere conve-
niente un'autoproduzione o fosse spinta in tale direzione dalla necessità di ridurre gli scari-
chi nell'ambiente (nel comparto chimico piuttosto che nella raffinazione del petrolio) o dal-
la grande disponibilità di residui di lavorazione: una situazione profondamente cambiata in
presenza dei ricchiincentivi messi a disposizione dallo Stato (cfr. schema2.10), con un conse-
guente aumento della discrezionalità.
La decisione invece nel comparto automobilistico se fare in casa determinati componenti,
ammesso che le esigenze di scala lo permettano (circostanza che non si verifica ad esempio
per i pneumatici), è di natura più discrezionale. Così come discrezionale è la decisione se ge-
stire all'interno la logistica, piuttosto che la manutenzione degli impianti o l'amministrazio-
ne, o se affidarsi all'esterno.

Al crescere del ricorso ali' outsourcing, soprattutto ove esso comporta una com-
plessità dei rapporti elevata, cresce la necessità di attivit:ì di coordinamento
con i fornitori esterni volte a simu/,areun funzionamento della filiera analogo a
quello che si avrebbe mantenendo le diverse attività all'interno dell'impresa.
Più sono elevate poi le prestazioni che si richiedono ali' output e di conse-
252 j L'IMPRESA: eu OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

guenza alla filiera - in termini di tempestività nella risposta alle richieste dei
clienti, in termini di qualità intrinseca e di conformità ecc. - più si evidenzia
la necessità di un'organizzazione anche per processi:
• trasversalerispetto all'impresa e a tutte quelle collocate a montelungo la fi-
liera;
• eventualmente prolungata nella stessa logica anche a valle, verso i clienti
finali;
• trasversalerispetto alle singole unità organizzative in cui si articolano tut-
te le imprese della filiera, se omogenee per attività.

I processirilevanti per l'impresa possono essere di varia natura, e qui ne verranno richiamati a
titolo di esempio i due forse più importanti (se non altro per consistenza e frequenza), in re-
lazione ancora - data la sua grande complessità- all'industria automobilistica.
Il primo processo parte dall'ordine del cliente, che sceglie fra le diverse opzioni prospettate
dalla casa automobilistica (relativamente al modello, alla motorizzazione, al tipo di cambio, al
colore, alle tappezzerie interne ecc.), e si chiude con la consegna: coinvolgendo le attività di
vendita (sino ai concessionari) e quelle produttiverlogistiche, interne all'impresa e a monte,
in termini sia fisici sia amministrativi.La necessità di rispondere in tempi predeterminati ali' or-
dine e quella affermatasi nel tempo di tenere ai livelli minimi le scorte (sia in chiave di conte-
nimento del capitale circolante sia di possibilità di garantire una varietà _ampia di scelte), ac-
coppiata alla molteplicità delle imprese che concorrono al prodotto finale, rendono particer
larmente critica l'organizzazione - usualmente denominata just-in-tim11-del processo stesso.
Il secondo processo riguarda la realizzazione di un nuovo modello. Esso comporta: la proget-
tazione,sulla base del targetdi clienti e bisogni che si vuole servire e delle potenzialità offerte
dalla tecnologia a livello di processo produttivo, prodotto e assistenza post-vendita; l' ingegne-
rizzazione(intesa in senso lato), la predisposizione cioè di tutte le attreuature e del software
necessari per la produzione di serie (presso la casa automobilistica e presso i fornitori) e per
la commercializzazione (presso i concessionari); l'individuazione dell'immagine che si vuole
conferire al nuovo prodotto e la predisposizione delle campagne pubblicitarie e della logica
di comunicazione.
La necessità di contenere i tempi necessari per l'intera operazione (che sino a vent'anni or
sono prendeva circa sei anni) e di sfruttare non solo le competenze della c~ automobilisti-
ca, ma anche quelle dei fornitori in grado di contribuire con idee innovative alla messa a
punto di un prodotto competitivo, ha portato ad esempio in questo campo negli anni '80 al-
l'adozione del cosiddetto concurrentengineering:a far entrare in gioco cioè sin dall'inizio del-
la fase di progettazione i fornitori considerati strategiciai fini del risultato finale, simulando il
comportamento di un'impresa integrata verticalmente.

Vi sono diverse ragioni che spingono nella direzione dell' outsourcing,o alme-
no verso forme miste, e quindi verso la riduzione del grado di integrazione a
monte dell'impresa.
Vi è il timore che il senso di sicurezzaderivante dal disporre di un mercato
assicurato a priori - captive- riduca la propensione al miglioramento conti-
nuo e all'innovazione di chi opera come fornitore interno. Che la consistenza
del mercato interno possa essere o diventare insufficiente a garantire le econo-
mie di scala e di apprendimento di cui dispongono i produttori esterni, quan-
do tali economie giocano o rischiano di giocare un ruolo rilevante. Che l' en-
trata o la permanenza di risorse umane pregiate (i cosiddetti talenti) in attività
per loro natura non core- non centralicioè e proprio per tale motivo potenzia!-
5. La competizione I 253

mente esternalizzabili - vengano scoraggiate dalla difficoltà di conquistare, a


partire da tali attività, posizioni di vertice nell'impresa.
Vi può essere il timore, pure in assenza dei pericoli sopra paventati, che le
risorse imprigionateper finanziare il capitale fisso e circolante netto di attività
non corepossano avere un rendimento inferiore a quello che si otterrebbe in-
vestendole in maniera alternativa e comportino quindi un valore di impresa
inferiore a quello potenzialmente conseguibile.
Vi può essere il desiderio di ridurre il rischio: tanto più elevato ovviamente
- coeterisparibus - quanto più le attività sono correlate fra loro e legate al suc-
cesso del prodotto finale che va sul mercato.
L'integrazione verticale presenta però anche vantaggi.
Essa è ad esempio una garanzia contro la perdita di controllo del know-how
(quando non salvaguardato da un brevetto) e quindi contro i fenomeni co-
siddetti di spillover,che possono permettere ai competitori di un'impresa di
annullare una parte rilevante dei vantaggi che essa ha acquisito con l'appren-
dimento attraverso il ricorso ai medesimi fornitori (di servizi di consulenza
piuttosto che di attrezzature). E per tale motivo è spesso adottata dalle impre-
se più innovative.
Essa è una garanzia contro la formazione di posizioni monopolistiche o oli-
gopolistiche lungo la filiera, potenzialmente in grado di ridurre la profittabi-
lità dell'impresa: sempreché ovviamente le esigenze di scala non la rendano
inattuabile e che il pericolo sia reale.
Essa è una garanzia contro le perturbazioni che potrebbero nascere - in
termine di continuità, tempestività, qualità e prezzi degli input - nelle fasi di
punta del ciclo economico.

A tale proposito sono molteplici i casi di imprese che - avendo intrapreso la strada dell' out-
sourcing in una fase bassa del ciclo economico, allettate da condizioni di approvvigionamen-
to esterno particolarmente favorevoli per la presenza di un eccesso di offerta - sono dovute
ritornare poi sui loro passi a fronte delle difficoltà insorte nella fase espansiva del ciclo, al ri-
baltarsi del rapporto fra domanda e offerta.

L'integrazione verticale, infine, rappresenta una modalità interessante - se i


problemi di scala ne permettono un'attuazione limitata a una quota parte dei
bisogni - per mantenere sotto controllo l'evoluzione dei costi e per avere
quindi più forza contrattuale nel contenere le naturali spinte ad accrescere i
prezzi dei fornitori esterni, soprattutto nei periodi di inflazione.

5.5Leattività

Indipendentemente dal fatto che vengano svolte all'interdo del perimetrodel-


l'impresa o al di fuori di esso (presso le imprese fornitrici), risulta molto utile
classificare tutte le attività che concorrono alla realizzazione dell'output sulla
254 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

FIGURA 5.4 - Lacatenadel valorenellaclassicaversionedi Porter

attività complessive di governo

o
-e svil~ppo delle tecnologie
~o
·s: o..
·- o..
tC'O VI
:::l

""O gestione delle risorse ·umane

acquisizione degli input


'' ''
' '
' '

QJ
,l"O ·-
+" ....
·- C'O logistica in operations logistica in marketing
.:::: E
t--
C'O .... entrata uscita e vendite
o..

base del contributoche esse danno a tale realizzazione, a prescindere dalla loro
natura intrinseca.
Questo per poter effettuare una comparazionepiù fine fra i diversi competitari
(a scopo di analisi e/ o come premessa a possibili interventi), che:
• possono impostare le attività stesse in modo simile o diverso, in funzione
del loro business model generale e specifico: in particolare in funzione
della struttura del portafoglio di output, delle scelte di collocazione sul
mercato e delle peculiarità dei prodotti, dell'assetto tecnologico-organiz-
zativo, del grado di ricorso all' outsourcing,della dimensione generale e di
quella relativa allo specifico business;
• possono presentare un funzionamento effettivodelle attività a priori diver-
so, anche a parità di impostazionedelle stesse, con ricadute differenzialiim-
portanti sul costoe/ o sull' attrattività dei prodotti e conseguentemente
sulla posizione competitiva e sulla capacità di creare valore.
Lo schema standard qui presentato per la classificazione· delle attività sulla ba-
se del loro contributo alla realizzazione dell' 01.,tput- riferito per semplicità a
un'impresa con un output estremamente focalizzato - riprende sostanzial-
mente, seppur con qualche variazione, lo schema ormai classico proposto da
Porter nell'ambito del modello della catena del valme (figura 5. 4).
Esso distingue al livello più alto, seppur con confini (come meglio si vedrà
nel seguito) non sempre così netti:
• le attività primarie:tutte quelle direttamente e correntemente volte a ren-
dere disponibile l'output sul mercato; e
• le attività di supporto:tutte quelle volte a creare le condizioni correnti per-
ché le attività primarie possano funzionare al meglio o a predisporre il
futuro dell'impresa (a livello di output e di assetto tecnologico-organiz-
zativo).
5. La competizione I 255

Le attività primarievengono poste in relazione ali' output suddividendole in:


• attività di gestionedel mercato:attività di vendita, marketing e servizi com-
plementari in fase di pre-vendita, vendita e post-vendita;
• attività produttive e logistiche.attività volte a produrre l'output ( operations),a
renderlo disponibile presso il cliente e a procedere a tutti gli spostamen-
ti di materie prime, prodotti intermedi e prodotti finali (se fisici) che
l'articolazione scelta per la produzione (in fasi e unità, interne o esterne
al perimetro dell'impresa, con le relative localizzazioni) richiede;
• attività progettuali:attività di messa a punto dei prodotti sulla base delle
specifiche ad hoc del cliente, presenti solo per taluni tipi di business (ad
esempio nella produzione di stampi per l'industria meccanica).
Le attività di suppmto, a loro volta, vengono poste in relazione all'output suddi-
videndole in:
• attività di gestionedelleri.sarse:procacciamento, mantenimento e/ o svilup-
po delle risorse umane, delle risorse finanziarie, delle infrastrutture pro-
duttive e commerciali; acquisizione (procurement)degli input di beni e/ o
servizi da altre imprese;
• attività di autotrasforrnazione,volte a costruire il futuro a breve e a medio-
lungo termine dell'impresa, modificandone in misura più o m.eno radi-
cale l'output e/ o l'assetto tecnologico-organizzativo: ricerca e sviluppo
(in senso stretto), solitamente orientata al prodotto; ricerca, spesso por-
tata avanti sul campo da chi si occupa della produzione, di miglioramen-
ti continui nell'efficienza degli impianti e nella qualità di conformità dei
prodotti; progetti di razionalizzazione e potenziamento della rete com-
merciale o di riposizionamento dei brand ecc.;
• attività compkssive di governo: definizione degli indirizzi strategici e deci-
sioni operative di valenza generale; controllo di gestione; amministrazio-
ne; organizzazione dei flussi informativi; comunicazione; rapporti con le
autorità e affari legali.

La classificazione delle attività sulla base del loro contributo all'output può trovarsi talora in
rotta di collisione con la natura intrinseca delle attività stesse: come può essere evidenziato at-
traverso due esempi.
L'attività di vendita, classificabile come tale sulla base della sua natura intrinseca, rientra
ad esempio fra le attività di gestione del mercato per un'impresa che abbia come output un
oggetto materiale, quale l'automobile o il PC, o immateriale, quale un viaggio o una con-
sulenza.
Entra invece nella categoria delle attività di produzione se l'output dell'impresa è costituito
da servizi di vendita per imprese (industriali e di servizi) che non dispongano di una rete pro-
pria in un determinato territorio: l'attività di vendita riferita all'output, in questo secondo ca-
so, essendo quella di trovare clienti che acquistino i prodotti dell'impresa, ovvero i servizi di
vendita. 1
L'attività di manutenzione degli impianti, classificabile come tale sulla base della sua natura
intrinseca, rientra fra le attività di supporto per un'impresa meccanica o chimica che la ten-
ga al suo interno; entra invece nella categoria delle attività di produzione per un'impresa che
fornisca in outsourcingil servizio stesso a chi ha gli impianti.
256 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

Vi è un confine talora sottile, come detto, fra le due macrocategorie di attività,


soprattutto per quanto concerne il rapporto fra progettazione,qualificata come
attività primaria propedeutica alla produzione, e autotrasformazione,qualificata
come attività di supportovolta al cambiamento e all'innovazione. Se si attribui-
sce un carattere di straordinarietàa tutto ciò che rappresenta un cambiamento
rispetto alla situazione corrente, la definizione da noi data in precedenza è as-
solutamente corretta; se si attribuisce invece il carattere di straordinarietà sol-
tanto a ciò che va a mutare in modo sostanziale l'impresa e/ o il contesto com-
petitivo in cui essa opera, la messa a punto di nuovi modelli e il miglioramen-
to continuo vengono ad assumere - in una larga parte dell'economia- carat-
tere di attività primarie, perché indispensabili per rimanere in competizione:
anche se esse rappresentano spesso, d'altra parte, l'occasione per introdurre
. . .
1nnovaz1on1.

L'esempio più estremo si ha nella moda, ove è strutturale introdurre almeno due nuove col-
lezioni all'anno. Ma anche nell' automobde (cfr. paragrafo 5.1), ove la vita dei modelli è più lun-
ga, è connaturato con la competizione - e quindi in un certo senso primario- procedere pe-
riodicamente al loro rinnovo. La bravura nel progettare le nuove collezioni o i nuovi model-
li di auto può rappresentare peraltro (seppur con uno sfa~amento temporale degli effetti so-
prattutto nel secondo caso) una delle principali sorgenti di differenziali COJ?petitivi, di at-
trattività ma anche di costo.

Le attività di supporto riguardano in parte l'impresa, o l'unità di business, nella


sua integralità; in parte sono invece correlate alle specifiche attività primarie.
Riguardano sicuramente l'impresa nella sua integralità: le attività di gover-
no dell'impresa stessa, per definizione; le attività concernenti le risorse finan-
ziarie; le attività generali di gestione delle risorse umane; le attività di autotra-
sformazione volte a introdurre innovazioni radicali.
Sono viceversa correlabili (tra le altre) alle attività primarie - in una situa-
zione definibile cioè di matricialità o di doppia attribuibilità - le componenti
della gestione delle risorse umane specificamente volte a chi si occupa della
produzione o del mercato o le componenti dell'autotrasformazione che pun-
tano direttamente al miglioramento dei processi produttivi o distributivi esi-
stenti o all'automazione e informatizzazione delle tecniche progettuali.
Si è ipotizzato, nella definizione della griglia di attività, di fare riferimento a
un'impresa con un output molto focalizzato o a una specifica unità di business.
Se si abbandona tale ipotesi, il caso paradossalmente più semplice da af-
frontare (sia a livello di analisi sia a livello di scelte organizzative) è quello -
apparentemente più lontano - dell'impresa con un portafoglio prodotti con-
glomeral,e,caratterizzato per definizione dall'assenza di qualsiasi comunanza
non solo a livello di mercato ma anche a livello di ciò che sta alle spalle del
mercato; e lo è ancor più se ciascuno dei clusterin cui si articola il portafoglio
pr~dotti risulta essere forte1nen te focalizzato.
E infatti come se l'impresa fosse con1posta da una serie di unità di business
focalizzate, completa1nente separate le une dalle altre e assimilabili a vere e
5. La competizione I 257

proprie imprese (ancorché limitate nella sovranità), con un insieme ridotto


di attività comuni al livello corporalesuperiore.
Al livello corporatedevono necessariainente collocarsi le attività - di natura
strategica- che presiedono al governo dell'impresa nel suo complesso (sia che
questa abbia una struttura giuridica monolitica sia che si configuri come grup-
po), e in particolare quelle concernenti la composizione del portafoglio pro-
dotti: quali unità di business privilegiare nello sviluppo, quali introdurre ex no-
vo (come start-up o con acquisizioni), quali alienare o liquidare. Mentre il go-
verno delle unità di business - con deleghe di potere più o meno ainpie a se-
conda dei casi e dei momenti storici-rimane usualmente a livello delle stesse.
Al livello corporatesi collocano anche, totalmente o in chiave di inquadra-
mento e coordinamento, attività quali:
• l'amministrazione, l'organizzazione dei flussi informativi, la comunica-
zione, i rapporti con le autorità e gli affari legali: già incluse in preceden-
za fra quelle di governo;
• la gestione delle risorse finanziarie e la gestione delle risorse umane, per
la loro trasversalità e (in misura diversa) intercambiabilità.
Nei casi invece in cui sia significativa la presenza di comunanze - nell'output
(clienti, bisogni e/ o canali) e quindi nella gestione del mercato, piuttosto che
nell'ainbito produttivo-logistico o nell'autotrasformazione (ricerca e sviluppo
ecc.) - vi possono essere attività contemporaneamentefinalizzate a prodotti diffe-
renti: ad esempio re,ti commerciali o impianti o laboratori condivisi fra unità
di business diverse. E comunque una scelta dell'impresa decidere se sfruttare
o meno le comunanze esistenti sul/,a carta: che se da un lato possono compor-
tare un migliore uso delle risorse nello specifico ambito, dall'altro accrescono
le esigenze e i costi del coordinamento e irrigi,disconol'impresa, rendendola
meno flessibile al cainbiainento.

La condivisione di un impianto o di una rete commerciale fra due o più unità di business
permette nell'uno e nell'altro caso di operare su una scala più elevata e quindi di godere dei
vantaggi - in termini di costi ma anche di prestazioni - che essa solitamente assicura. Può
creare però anche problemi, di varia natura e a livelli diversi. Nel funzionamento corrente:
può nascere ad esempio uno squilibrio nella cura dedicata ai diversi prodotti (in funzione
della facilità di vendita, dei margini ecc.) dalla rete commerciale. A livello di unità di busi-
ness coinvolte: per cui può diventare proibitivo un cambiamento di tecnologia, perché por-
terebbe a una più difficile saturazione della capacità dell'impianto e quindi a un più lungo
ammortamento, o un cambiamento nelle modalità di vendita, perché potrebbe mettere in
crisi la rete commerciale (soprattutto se soggetta a vincoli di dimensione minima in connes-
sione con l'estensione e l'articolazione del territorio). Al livello corporate:che per le stesse ra-
gioni può essere vincolato nelle scelte di portafoglio, non potendo ad esempio alienare
un'unità senza scaricare maggiori costi sulle altre.

L'internazionalizzazione delle imprese, in termini di rrtercati serviti e/ o di lo-


calizzazione delle attività, introduce un ulteriore elemento di complessità:
nell'analisi e nella scelta dell'assetto organizzativo.
La disomogeneitàgeopolitica è infatti usualmente fattore o amplificatoredi disomo-
258 j L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

geneità sia a livello di clienti, bisogni e canali che fra attività omologhe a diversa
localizzazione: a causa da un lato delle peculiarità nei modi di vita e nei gusti e
delle differenze nelle capacità di spesa; a causa dall'altro dei divari anche
profondi nelle competenze e costi delle risorse umane e nelle infrastruttura-
zioni dei territori, nonché nelle leggi e norme e nel loro concreto rispetto.

La stessa attività - ad esempio la produzione di automobili - viene effettuata in modo com-


pletamente diverso in un paese come l'Italia, contraddistinto da un costo del lavoro elevato e
dalla disponibilità viceversa di competenze tecniche diffuse, o in uno come l'India, ove la di-
sponibilità di forza lavoro a basso costo è estremamente alta: puntando nel primo su un'au-
tomatizzazione e robotizzazione dei processi produttivi molto spinta, con forti fabbisogni di
capitale e con l'utilizzo di manodopera molto specializzata; sfruttando nel secondo il basso
costo del lavoro, con impianti molto meno costosi.
L'attività, conseguentemente, deve essere targata: ponendola in relazione al paese, o alla
parte del paese, in cui viene svolta.

5.6 I differenziali
competitivi

Comprendere i meccanismi che regolano la competizione - sull'output e sui


margini - e specularmente la capacità delle imprese di creare valore significa
innanzitutto comprendere:
• dove e perché si formino i differenziali di costo e/o di attrattività dei prodotti
messi sul mercato dai diversi con1petitori;
• perché questi differenziali risultino in molti casi resistenti nel tempo (in
gergo sostenimli) ;
• perché le stesse forze che stanno alla base dei differenziali e quindi della
competizione sull'output possano giocare un ruolo altrettanto importan-
te nella competizione sui margini: in cui il gioco si allarga a molti altri at-
tori del sistema economico-finanziario;
tenendo conto del fatto che un'impresa crea tanto più valore quanto più ri-
sulta brava rispetto ai competitori diretti - ha cioè differenziali sostenimli che
giocano a suo favore - e quanto più è in grado (strutturalmente e concreta-
mente) di proteggere i margini fra ricavi e costi dagli assalti dei suoi interlocu-
tori (fornitori, clienti ecc.).
In termini estremamente generali, l'esistenza di differenziali di costo e/o di at-
trattività è strettamente interconnessa ali' esistenza di differenze.
• nei business model adottati;
• nella possibilità e/ o nella capacità di sfruttare le nonlinearità (in senso la-
to) e la natura dinamica dei sistemi economici: nell'ambito dei business
model adottati, nell'adozione di essi e nel loro funzionamento.

Si è parlato di stretta interconnessione e non di rapporti tausa~ffetto perché lo stato della


mmpetizionea un determinato istante è di solito il frutto di un processo dinamico e interattivo
esa:em~mente complesso e denso di casualità: in cui le decisioni più rilevanti expostdei com-
petlton non sempre sono viste come tali anche ex ante e vengono comnnque assunte in con-
5. La competizione I 259

dizioni di razionalità limitata (ridotta conoscenza, scarsa prevedibilità ecc.); in cui la bravura
dei competitori si rivela spesso più quella di saper cogliere le opportunità generatesi quasi
per caso che non quella di saperle generare.

Le differenzenei businessmodelpossono riguardare a priori tutte le componenti


degli stessi (cfr. paragrafo 5. 2) e collocarsi a livelli diversi. Noi, in forma molto
schematica e semplificata, ne evidenzieremo quattro.
Al livello superiorele differenze riguardano l'assetto giuridico-finanziario
e/ o la composizione del portafoglio di output. Possono differire la natura del-
la proprietà, e in connessione la scelta del tap management, la priorità negli
obiettivi che esso persegue (orientamento più o meno elevato alla profittabi-
lità di breve periodo ecc.) e le modalità di reperimento dei capitali (cfr. sche-
ma 5.8). In particolare l'impresa (cfr. schema3.2):
• può avere un azionista unico, che è anche colui che la gestisce e solita-
mente ne è stato il fondatore;
• può essere a proprietà familiare (nella maggior parte dei casi con le azio-
ni ripartite fra i discendenti del fondatore), con la gestione affidata a
uno o più membri della famiglia o a un manager professionale esterno;
• può essere quotata, con un peso prevalente di uno specifico azionista o
gruppo di azionisti oppure con un azionariato estremamente diffuso (e
quindi più esposta a eventuali takeoverostili in presenza di andamenti ri-
tenuti poco soddisfacenti);
• può avere come azionista un fondo di private equity,come frequentemen-
te accade (cfr. schema 4.3), con le implicazioni che una gestione a termine
può comportare.
Possono differire - in funzione anche della tipologia del suo azionariato - le
disponibilità finanziarie: e con esse gli ambiti di manovra (possibilità di crescita
esterna attraverso acquisizioni, possibilità di effettuare investimenti con un
tempo di pay-back elevato ecc.). Può differire l'ampiezza del portafoglio di
output, e con essa le logiche di allocazione delle risorse finanziarie negli speci-
fici business.
Al livello alto le differenze riguardano le scelte di mercato-prodotto: posso-
no differire la collocazione di mercato (clienti, bisogni, canali e aree) e - al-
l'interno di questa - le peculiarità dei prodotti, in un contesto monobusinesso
di portafoglio articolato di output.
Al livello medio, le differenze - a parità di scelte di mercato-prodotto - ri-
guardano gli assetti tecnologico-organizzativi, e in particolare:
• il grado di integrazione verticale, e/ o
• i meccanismi di coordinamento verticale dei processi e più in generale
di governo delle unità di business.
Al livello basso,infine, le differenze - a parità di tuttq il resto - riguardano la
concezione delle singole attività, nonché il loro funzionamento.
L'approccio di analisi "alla Porter", che tende nei limiti del possibile a ri-
condurre alle attività la comparazione fra i diversi competitori, è ovviamente
260 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

di applicabilità immediata e di significatività massima quando le differenze


nei businessmodelsi manifestano soltanto al livello basso.In tale caso infatti og-
getto del confronto sono:
• concezionidifferentidi attività collocate in contesti analoghi, e quindi con
le medesime finalizzazioni, e/ o
• funzionamenti differenti:anche a parità di concezione.
Più elevato invece è il livello a cui si manifestano le differenze nei businessmo-
dele più conseguentemente differiscono i contesti in cui le attività sono collo-
cate e le loro finalizzazioni, più le differenze nella concezionee nel funzionamen-
to delle attività stesse possono derivare da tali collocazioni e finalizzazioni,
piuttosto che da scelte discrezionali.

A fronte ad esempio di una diversa collocazione di mercato (in termini di clienti e bisogni da
privilegiare) e di prodotti con peculiarità che riflettono tale collocazione, le differenzeche si
riscontrano nell'infrastrutturazione e organizzazione della medesima attività (produzione,
yendita ecc.) in imprese diverse possono essere altrettanto (se non più) .figliedella differente
finalizzazione - delle peculiarità che devono contribuire a conferire ai prodotti e delle carat-
teristiche dei mercati in cui tali prodotti devono essere collocati - che frutto di scelte discre-
zionali differenti da parte delle imprese stesse.
Analogamente, a fronte di una diversa composizione di portafoglio, fa medesima attività
(produzione, vendita ecc.) può essere concepita in maniera differente: per forza di cose a sé
stante nell'impresa monobusiness,orientata (in misura più o meno elevata) allo sfruttamento
delle possibili sinergi,enell'impresa multibusiness.

ScH EMA 5.8 - Lagestionefinanziariae le modalitàdi finanziamentodell'impresa

L'assetto giuridico dell'impresa e la tipologia dei soci (privati, banche, gruppi finanzia-
ri, fondi di investimento o pensionistici, fondi di privateequityecc.), il fatto che essa
sia o meno quotata sul mercato borsistico e abbia quindi accesso o meno a tale mer-
cato per le sue esigenze finanziarie, le modalità di finanziamento che essa utilizza e il
costo medio del capitale conseguente, il ricorso più o meno ampio alla cosiddetta le-
vafinanziaria(al possibile sfruttamento cioè della capacità di far rendere il capitale
preso a prestito più del suo costo), impattano sulla profittabilità e sulle potenzialità di
crescita dell'impresa stessa e possono essere all'origine di d!fferenziali competitivian-
che rilevanti.
L'appendice /.1, scritta da Marco Giorgino, affronta sinteticamente due grandi tematiche:
• le scelte di fondo di capitairaisingda parte dell'impresa: le scelte cioè che l'impre-
sa stessa fa, in connessione con il suo progetto strategico e/o come precondizio-
ne alla sua attuazione, per conseguire la composizione ottimale delle fonti di fi-
nanziamento, la composizione cioè in grado di minimizzareil costomedioponde-
ratodel capitale investito;
• i principali strumentidifinanziamentoa disposizione dell'impresa: creditizi(aper-
ture di credito in conto corrente, mutui, prestiti sindacati, leasing e factoring} e
mobiliari(aumenti di capitale e prestiti obbligazionari).
5. La competizione I 261

Le differenze - ai diversi livelli - nei business·modeladottati possono essere me-


ramente il frutto di discrezionalità:riconducibili ad esempio a diversità nella
personalità e qualità imprenditoriale e gestionale del top management.
Esse però spesso risentono dello stato- ossia della situazione che si è venuta
a creare nel contesto esterno e all'interno dell'impresa - e dei limiti che esso
pone agli ambiti di discrezionalità nelle scelte: in un processo dinamico circo-
lare,in cui le scelte relative ai business modele il concreto funzionamento delle
imprese in competizione concorrono a loro volta alla modifica dello stato.
Tra i fattori condizionanti della discrezionalità vi possono ad esempio esse-
re: i vincoli esterniall'accesso a determinati canali commerciali o a determina-
te risorse; le barriere interne all'adozione di determinati assetti tecnologico-or-
ganizzativi, conseguenti all'insufficienza della scala, alla ridotta qualità delle
risorse umane e del loro patrimonio di competenze, all'insufficiente immagi-
ne presso i clienti e gli interlocutori, all'indisponibilità di risorse finanziarie in
misura adeguata (dipendente talora a sua volta da un assetto giuridico-finan-
ziario che non ne facilita il reperimento).
Alla base dei differenziali di costo e/ o di attrattività stanno parallelamente
- a parità di business moMl o in presenza di differenze ai diversi livelli - la di-
versa capacità e possibilità da parte dei competitori di sfruttare alcune rilevan-
ti peculiarità di funzionamento dei sistemi economici, e in particolare:
• le nonlinearità (in senso stretto) nei legami fra grandezze;
• l'inerzia e l'irreversibilitànella dinamica delle stesse o di altre grandezze;
• le asimmetrienell'accesso:sia rispetto agli sbocchi di mercato, sia rispetto a
specifiche risorse o conoscenze (tecnologiche, organizzative ecc.) e
informazioni;
• lo stretch:la grande variabilità nell'impegno, nella produttività e nella
creatività delle persone e degli aggregati di persone (unità organizzati-
ve) in funzione del loro grado di motivazione.
È sull'esaltazione di tali fenomeni - che possono essere riferiti all'impresa (o
all'unità di business) nel suo complesso o riguardare soltanto una o più cate-
gorie di attività o una o più attività specifiche all'interno della o delle catego-
rie stesse - che spesso puntano i competitori per conquistare posizioni di for-
za e mantenerle. È con essi che si scontrano coloro che vogliono risalire da
posizioni di svantaggio e rovesciare gli equilibri esistenti per crearne di nuovi
più favorevoli. È spesso in prevalente relazione a essi che si creano differenze,
anche molto rilevanti, tra le performancemedie delle imprese che operano in
business diversi.
Alcuni esempi possono aiutare a capire la rilevanza di questi fenomeni ai fi-
ni della competizione.

Tra le nonlinearità vanno citate le ben note economiedi scala, che comportano costi unitari de-
crescenti al crescere delle dimensioni e che conferiscono coettmsparibus un vantaggio struttu-
rale potenzialmente permanente a chi è riuscito a diventare grande rispetto a chi è rimasto
262 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

piccolo o a chi vorrebbe entrare nel comparto: superabile solo in presenza di innovazioni o
di cambiamenti significativi nel contesto (nelle caratteristiche della domanda, nei prezzi re-
lativi ecc.).
Il fatto d'altra parte che il forte rimanga forte (o addirittura lo diventi ancor più) e che lo
stesso awenga per il debole è una prova della natura dinamica dei fenomeni che caratterizza-
no l'economia, e in particolare dell'importanza dell'inerzia e dell'irreversibilità:inerzia signifi-
ca che il sistema tende a mantenere il suo stato in assenza di forze nuove che entrino in gio-
co; irreversibilità significa che spesso non si può tornare indietro senza pagare pegno, e nella
fattispecie che chi non si è mosso in tempo per diventare grande deve affrontare poi costi
molto maggiori per cercare di recuperare il distacco.
La generazione di asimmetrie nell'accesso- al mercato o a risorse e competenze critiche - è
un'altra delle vie che le imprese (soprattutto se grandi) usualmente seguono per ridurre il
grado di concorrenza:
• attraverso il wbbying,facendo approvare leggi o normative a loro favore (ad esempio bar-
riere tariffarie o standard ambientali particolarmente stringenti per difendersi dalle im-
portazioni a basso costo);
• attraverso I' R&.D ( research& devewpment), mettendo a punto know-how esclusivi di prodot-
to e/ o di processo che possono (se adeguatamente protetti, ove possibile con il ricorso
allo strumento brevettuale) rappresentare una barriera insuperabile per i competitori e
per i potenziali entranti;
• attraverso la pubblicità e la comunicazione,creando brand che sfruttino l'inerzia tipica dei
comportamenti di acquisto dei consumatori.
Lo stretchspiega infine come la grande variabilità nel rendimento (in senso lato) delle risorse
umane possa essere usata, da un management capace di indicare obiettivi e di motivare le
persone al loro raggiungimento, a rovesciamenti talora inattesi nei rapporti di forza: Praha-
lad e Hamel hanno dimostrato nei loro lavori 6 come lo stretchsia alla base del decollo di mol-
te imprese - di nascita relativamente recente - che raggiumgono posizioni di vertice nella
classifica mondiale.

Parafrasando l'approccio di Porter, si può costruire una lista di fattori ( drivers)


che stanno alla base - in un rapporto dina1nico e interattivo di causa~ffetto -
dei differenziali di costo e/ o attrattività, a livello di specifiche attività (in pri-
mo luogo) o a livelli via via più elevati: con costante riferimento allo schema
di articolazione dei business model evidenziato in precedenza, ma tenendo an-
che conto del concreto funzionamento. ·
I fattori posti in evidenza - che vedono il gioco combinato di nonlinearità,
inerzia e irreversibilità, asimmetrie nell'accesso e stretche delle differenze (ai
diversi livelli) nei business model- sono:
I. la scala o dimensione;
2. il grado di utilizzo delle risorse o grado di saturazione;
3. l'esperienza accumulata o apprendimento;
4. le risorse "critiche" materiali e immateriali;
5. le risorse umane;
6. la localizzazione;
7. i fattori istituzionali;
8. l'integrazione verticale;

6. C.K. Prahalad e G. Hamel, 'The core competence of the corporation ", HaruardBusinessReuiew,n.
3, 1990; G. Hamel e C.K. Prahalad, Compningforthefutu re,Har\"ard Business Press, Boston 1994.
5. La competizione I 263

9. il coordinamento verticale dei processi;


10. le sinergie di portafoglio;
cui si aggiungono i /attori discrezionali( altri) ai diversi livelli.

La lista si differenzia da quella di Porter per l'introduzione esplicitadel quarto e del quinto
fattore - relativi alle risorse "critiche" materiali e immateriali a disposizione (know-how, im-
magine ecc.), con le loro penùiarità legate anche al momento in cui sono state formate o ac-
quisite (timing), e le risorse umane, con la loro qualità e impegno individuale e collettivo - e
l'esclusione del timing (che traduce la rilevanza in generale che può avere il momento in cui
una certa decisione è stata presa o una certa azione è stata compiuta), incorporato negli altri
fattori (in particolare nel quarto).

Se i businessmodeldifferiscono solo a livello basso,di concezione delle attività, i


fattori in gioco sono i primi sette - scala, saturazione, esperienza accumulata,
risorse "critiche" materiali e immateriali, risorse u1nane, localizzazione, fattori
istituzionali - cui si aggiungono nella fattispecie le altre possibili discreziona-
lità nell'infrastrutturazione e organizzazione delle attività stesse.
Se i businessmodeldifferiscono anche a livello medio- nel grado di integrazi~
ne vertical.e,nei meccanismi di coordinamentovertical.edei processio in altre carat-
teristiche discrezionali degli assetti tecnologico-organizzativi - pure questi
aspetti entrano in gioco, accanto ai sette visti in precedenza, nella concezione
e nel funzionamento delle specifiche attività.
I primi sette fattori possono peraltro giocare anche un ruolo diretto nelle
scelte degli assetti tecnologico-organizzativi.

I differenziali di costo relativi a una specifica attività (la produzione, la vendita ecc.), ad
esempio, risultano in diversi casi riconducibili più a scelte di sistema (ad esempio quella di
che cosa fare in casa e che cosa fuon), con le loro ricadute sull'infrastrutturazione e organiz-
zazione dell'attività in oggetto, che non a scelte e peculiarità specifiche.
D'altro canto una specifica scelta - quella ad esempio di ricorrere all' outsourcingper un com-
ponente (il navigatore o l'iniezione elettronica per l'automobile) - può essere il frutto del
gioco delle economie di scala, che ne sconsigliano la produzione in casa in presenza di un bi-
sogno quantitativamente ridotto.

Se i businessmodeldifferiscono anche a livello alto, di collocazione di mercato e


di peculiarità dei prodotti, le scelte di mercato-prodotto - con le loro discre-
zionalità - possono avere ovviamente ·un impatto assai rilevante o addirittura
determinante sull'infrastrutturazione e organizzazione delle attività.
E a loro volta i diversi fattori evidenziati (scala ecc.), visti in relazione alle
specifiche attività o all'impresa nel suo complesso, possono avere un impatto
sostanziale sulle scelte di mercato-prodotto.

Un'impresa ad esempio che scelga di dare un forte rilievo alla marca e/o all'immagine, per
connotare i prodotti presso i clienti e/ o per connotare se stessa presso gli stakehol,der,deve
strutturare coerentemente (anche con il ricorso all' outsourcing)1l'attività che presiede alla
politica stessa di marca e/ o di immagine: attraverso la pubblicità sui diversi media o con l 'or-
ganizzazione di eventi: quali furono ad esempio il restauro della facciata di San Pietro in Va-
ticano per Eni o il restauro de L'ultima cena di Leonardo a Milano per Olivetti e quale è an-
264 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

nualmente la predisposizione del Calendario Arelli. Il disporre o meno di una marca e/o di
un'immagineforte rappresenta d'altra parte in molti casi la discriminante per le scelte di mer-
cato-prodotto: per il produttore di beni di largo consumo ad esempio, come evidenziato in
precedenza, che deve decidere se rivolgersi direttamente al consumatore finale o se operare
come subfornitore delle marche proprie della grande distribuzione.

Se i lntsinessrrwdeldifferiscono al livello superiore,in particolare nell'assetto di


portafoglio, entra in gioco anche il decimo fattore: una o più attività possono
essere concepite in comune per servire business diversi, così come un nuovo
business può essere aggiunto al portafoglio per sfruttare le potenziali sinergie.

L'uso della medesima rete di vendita e della medesima marca per prodotti diversi permette
ad esempio di strutturare la rete su una scala più elevata e di disporre di una base più ampia
di prodotti su cui spalmare gli investimenti pubblicitari: è il caso di Barilla, che sotto l'om-
brello del Mulino Bianco vende nel contempo biscotti e sostituti del pane (grissini, fette bi-
scottate ecc.). Ma Barilla decise all'epoca - con successo -- di entrare nei business dei sostitu-
ti del pane, ciascuno dei quali già ampiamente presidiato, proprio in virtù delle sinergie che
poteva sfruttare per rovesciare gli equilibri esistenti.

Ma pure le differenze nell'assetto giuridico-finanziario possono avere un im-


patto rilevante, anche a parità di portafoglio: nell'improntare ad esempio i
comportamenti e le scelte strategiche del top management in funzione dell'atte-
sa più o meno pressante di risultati a breve; nell'attirare o meno le risorse uma-
ne più valide; nel rendere disponibili con più o meno facilità risorse finanzia-
rie addizionali per le esigenze più varie (accrescin1ento della scala attraverso
acquisizioni, ampliamento delle risorse "critiche" materiali e im1nateriali attra-
verso acquisto da terzi o investimento per la formazione all'interno ecc.).

5.7I margini

Nel suo sforzo orientato (aln1eno in linea di principio) alla creazione di valo-
re, l'impresa non trova sulla sua strada solo i competitori diretti sull'output-
quelli che vendono prodotti analoghi o simili ai suoi - e non ha come unico
obiettivo la creazione di differenziali di costo e/ o di attrattività rispetto a essi.
L'impresa spesso deve battersianche con i competitori indiretti: quelli (se vi so-
no) che vendono prodotti sostitutivivolti a soddisfare bisogni analoghi o simili.
Essa inoltre deve comunque battersiper:
• tenere elevati in termini assoluti,al di là delle differenze con i competito-
ridiretti, i margi,niunitari (ossia le differenze fra prezzi e costi unitari), e
• favorire, al di là dei proble1ni di spartizione delle quote con i competitori
diretti, lo sviluppo della domanda e quindi i volumi complessivi di vendita.
In questa "guerra" si ha una sorta di rovesciamento di fronte fra nemici e amici.
Nel senso che l'impresa si trova ad avere interessi allineati da molti punti di
vista a quelli dei suoi competitori diretti, compreso quello di sbarrare l'acces-
so a nuovi entranti, e solitamente ottiene risultati tanto migliori quanto meno
aspra è la modalità con cui si svolge la competizione.
5. La competizione I 265

Nel senso che l'impresa si trova viceversa ad avere interessi almeno in parte
contrapposti,dal punto di vista dei margi,ni,a quelli degli attori economici per
cui realizza l'output o con cui coopera nella realizzazione dell'output, e specifi-
camente:
• i clienti (famiglie, altre imprese, pubblica amministrazione): in relazione
ai prezzi di vendita, alla qualità in senso lato dei prodotti e al livello di
serV1z10;
• i fornitori di beni e servizi: in relazione ai prezzi e alle condizioni contrat-
tuali (qualità di conformità dei prodotti, tempi di fornitura ecc.);
• le risarseumane che operano nell'impresa, ai diversi livelli e con le diverse
responsabilità: in relazione alle remunerazioni e alle modalità di impegno;
• il sistema bancari~finanziario: in relazione ai livelli dei tassi di interesse e
alle condizioni di erogazione di capitale di debito.
Così come può avere interessi almeno in parte contrappostia quelli delle collet-
tività e dei territori in cui opera: in relazione al trattamento fiscale, ai vincoli
legislativi in tema di ambiente e sicurezza, e così via.
L'osservazione della realtà mostra (e se ne è già fatto cenno in precedenza)
che esistono comparti ove tutti i competitori vanno bene- ovviamente chi più e
chi meno, in funzione del gioco dei differenziali - con combinazioni positive
di profittabilità e crescita e quindi buona capacità di creare valore. E che esi-
stono altresì comparti ove anche il competitore in assoluto più bravopresenta
combinazioni di profittabilità e crescita modesterispetto alla media dell'econo-
mia e ove tale situazione non ha carattere contingente, ma tende a perdurare
nel tempo.
Un'area di businessrisulta cioè mediamente più o meno attraenteper chi ha
investito capitali, rispetto alla media dell'economia,in funzione della capacità di
creare valore delle imprese che operano al suo interno. Si può fornire una
misura di questo fenomeno introducendo il concetto di differenziai.edi attratti-
vità dell'area di business rispetto alla media dell'economia: concetto tanto più
significativo quanto più l'area stessa risulta omogenea al suo interno e con
competitori monobusiness.

L'attrattività di un'area di businessè soggetta anch'essa a fluttuazioni o a derive nel tempo.


Un caso interessante di fluttuazioni è quello del comparto petrolifero, sensibile all'anda-
mento corrente e a quello futuro atteso del prezzo del petrolio: un aumento del prezzo cor-
rente provoca usualmente- coeterisparibus- una crescita generalizzata della profittabilità del-
le imprese petrolifere e viceversa; un aumento o una diminuzione dei prezzi attesi per il fu-
turo impatta direttamente sul valore delle imprese stesse, quale misurato dalla capitalizzazio-
ne di borsa.
Un caso di probabile deriva negativa è quello del comparto farmaceutico (cfr. paragrafo1.5 e
schema2.24), che si trova a fronteggiare come visto almeno due fenomeni potenzialmente peri-
cowsi:la scadenza a tempi ravvicinati dei brevetti di molti medicinali spesso determinanti per la
profittabilità delle imprese maggiori e la difficoltà di sostituirli(a causa della crescente difficoltà
di trovare molecole nuove e della crescente complessità dei procbsi di approvazione); la gran-
de voglia degli Stati di contenere le spese dei loro servizi pubblici di assistenza sanitaria, in una
fase particolarmente critica dei cosiddetti debiti sovrani. Un caso di deriva negativa già verifica-
tasi, discusso in precedenza (cfr. paragrafo5.1), è quello del comparto siderurgico.
266 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

La posizionedi un'impresa (unità di business) rispetto alla media dell'econo-


mia può essere a questo punto valutata come somma algebricade:
• la posizione relativa dell'impresa (unità di business) stessa rispetto ai
competitori diretti operanti nell'area di business:quale tradotta dai diffe-
renziali di costo e/ o attrattività;
• la posizione relativa dell'area di businessrispetto alla media dell'econo-
mia: quale tradotta dal differenziale di attrattività dell'area stessa.
La combinazione ideale si ha ovviamente quando l'impresa è la prima del/,a
c/,assenell'ambito di un'area di business molto attraente. La combinazione peg-
giore si ha di converso quando l'impresa è l'ultima del/,ac/,assein un'area di bu-
sinessfortemente depressa.Le combinazioni-limite intermedie più interessanti
sono quelle dell'impresa ultima della classe in un'area molto attraente e di
quella prima della classe in un'area fortemente depressa: ove paradossalmen-
te la prima delle due potrebbe trovarsi collocata in una posizione migliore -
rispetto alla media dell'economia - della seconda.
L'analisi dell' attrattività di un'area di business,in contesti ove non siano pre-
senti o attese discontinuità sostanziali (quali appunto quelli ipotizzati nell'am-
bito della chiave di lettura da noi adottata), può essere effettuata attraverso il
modelwdel/,ecinqueforze co,mpetitive di Porter.
La tesi di fondo del modello (qui presentato con qualche variante) è che
l' attrattività è tanto più elevata quanto minore è il grado di competizionein senso
latonell'ambito dell'area stessa, e viceversa.

Un livello di competizione ridottoviene visto in quest'ottica come un fatto positivo per le im-
prese, che cercano infatti usualmente - soprattutto se grandi e consolidate - di spingere nei
limiti del possibile in tale direzione. Esso presenta però importanti controindicazioni, dal
punto di vista della società e talora della stessa capacità di sopranivenza delle imprese nel
lungo termine.
La società vede nella competizione uno stimolo estremamente importante all'innovazione e
la garanzia migliore contro la formazione di posizioni di pura rendita: da cui la spinta nei
paesi evoluti a cercare di rimuovere, anche attraverso strumenti legislativi antitrust (peraltro
in perpetua ridefinizione), ogni elemento che possa ridurla eccessi\ clIIlen te.
Ma anche per le imprese un grado di competizione molto ridotto, ovviamente vantaggioso a
breve, può essere strutturalmente negativo. Può avere in particolare su di esse un effetto s<>-
poriferoe ridurne progressivamente la capacitàdi reauone,sino a esporle al rischio di morte a
fronte di capovolgimenti improvvisi: quali quelli legati a innovazioni maturate in altri com-
parti o a riassestamenti dei confini dei mercati su scala geo-politica. Anche se è vero, ed è la
linea di difesa delle imprese, che un grado di competizione esasperatopuò far mancare le ri-
sorse necessarie per la crescita quantitativa e qualitativa e per la stessa innovazione.

Le cinqueforze (cfr. figura 5.5) che definiscono il grado di competizionein senso/,a-


to sono:
• la presenza di competitoriindiretti:per l'effetto depressivo sulla domanda,
in termini di volumi e prezzi, che essi possono provocare con i prodotti s~
stitutivi;
• l'esistenza di competitoripotenzialicredibili: per l'effetto di sbilanciamento
tra offerta e domanda, e di conseguente depressione dei prezzi, che la
5. La competizione I 267

FIGURA 5.5 - Il modellodelle cinqueforze competitive

Fornitori

Potere contrattuale__-.

Minaccia di
prodotti
sostitutivi
Concorrenti
diretti

Competitori
C~mpetit?ri
potenziali indiretti

!
Minaccia di
nuove entrate
Asprezza del confronto
interno

Potere contrattuale

Clienti

loro entrata potrebbe provocare; ma anche per i costi e per i vincoli che
l'erezione di barriere di difesa può comportare;
• l'asprezza del confronto interno: per l'effetto di depressione dei prezzi e/ o
di incremento dei costi (a fronte di prestazioni più elevate dei prodotti
offerti) che essa può provocare;
• il potere contrattual,e nei riguardi dei clienti e deifornitori (in senso lato): che
definisce i termini degli scambi, dal punto di vista dei prezzi e delle ca-
ratteristiche delle transazioni, e quindi la ripartizione dei margini fra i
diversi attori della filiera (ivi compresi i clienti finali della filiera stessa).
L'effetto della presenza di competitori indiretti (già oggetto della nostra analisi),
con i loro prodotti sostitutivi, non merita ulteriori commenti. È ovvio che i pe-
ricoli maggiori, per l'area di business, si hanno in presenza di prodotti sostituti-
vi innovativi, passibili di ulteriori miglioramenti nelle prestazioni e di ulteriori
cali nei prezzi (a fronte ad esempio degli incrementi nella scala di produzio-
ne): sino alla morte dell'area di business stessa o a un suo ridimensionamento
profondo. È ovvio, di converso, che se è l'area di busihess in oggetto a essere
sorta per proporre prodotti nuovi in sostituzione di quelli tradizionali e con-
268 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

solidati, sono gli acquirenti dei prodotti sostitutivi che diventano riserva di cac-
cia per le imprese dell'area.
L'esistenza di competitoripotenziali credibili può essere ricondotta alla pre-
senza o meno di barriereche proteggano l'area di business,inibendo o renden-
do costosa e incerta nel risultato l'entrata. E le barriere a loro volta hanno in
larga misura origine dagli stessi fattori - se rilevanti - che sono alla base dei
differenziali di costo e/ o attrattività fra i competitori diretti: scala, esperienza
accumulata, risorse "critiche" materiali e immateriali, localizzazione, fattori
istituzionali, sinergie di portafoglio.
La rilevanza delle economie di scala e delle economie di apprendimento,
come si vedrà nel seguito, rende difficile la vita a chi vuole entrare con una di-
mensione ridotta e in ritardo. La rilevanza del know-how o dell'immagine nel-
l'ambito della competizione interna si traduce anch'essa in un ostacolo talora
insormontabile per chi debba costruirsi da zero un suo know-how o una sua
immagine solo per poter iniziare a competere. Così come l'esistenza di stan-
dard proprietari o di accessi riservati a determinate risorse o di localizzazioni
riservate crea differenze all'interno, ma anche protezione ri•spetto all'esterno.
L'area di businessrisulta ancora più protetta se i potenziali entranti sono sco-
raggiati a tentare l'avventura dalla tradizione di rispostedure da parte delle im-
prese dell'area: risposte che usualmente si concretizzano in incren1enti consi-
stenti dell'offerta, con l'utilizzo di capacità lasciate volutamente insature, e pa-
rallele riduzioni temporanee dei prezzi, per togliere spazi di mercato ai nuovi
entranti proprio nel momento della loro maggiore esposizione finanziaria (a
causa degli investimenti fatti per entrare nell'area) e quindi della loro mag-
giore necessità di fare fatturato.
L'asprezza del confrontointerno risente anch'essa dell'importanza della scala,
piuttosto che del know-how e dell'immagine o dell'esistenza di standard pro-
prietari o accessi e localizzazioni riservate: nel senso che, coeterisparibus, essa è
tanto più elevata quanto maggiore è la numerosità dei competitori di scala si-
mile e minore la differenziazione nella loro offerta. Se viceversa i competitori
sono pochi e la loro offerta ben identificabile,il confronto solitamente si svolge
più su altre caratteristiche dell'offerta che non sui prezzi: data la non conve-
nienza dei competitori stessi a combattersi su un fronte - quello dei prezzi -
che potrebbe comportare una riduzione generalizzata dei margini.
A favore di una maggiore asprezza possono giocare però altri fattori, fra cui:
• la bassa crescitadel/,adomanda, soprattutto se a fronte di aspettative diver-
se, o addirittura la sua stagnazione o declino;
• il liveUoelevatodei costifissi o dei costidi stoccaggi,o
dei prodotti o l'elevata de-
peribilitàdegli stessi, che spingono strutturalmente verso un abbassamen-
to medio dei prezzi di vendita; piuttosto che il grado mediamente basso di
saturazione di talune risorse (tipicamente gli impianti di produzione)
quando non siano possibili incrementi graduali delle capacità, che ha un
effetto del tutto analogo;
5. La competizione I 269

• l'esistenza di barriereall'usata dei competitori più deboli, con il conse-


guente mantenimento dello squilibrio tra offerta e domanda: che può
avere origineeconomica,laddove vi sia una maggiore convenienza a prose-
guire l'attività che à liquidarla, in presenza di asset specializzati privi di
mercato o di sinergie in atto con altri business in portafoglio; o di origi-
ne sodo-politica,per l'impossibilità o il costo estremamente elevato dei li-
cenziamenti in condizioni non fallimentari o per la necessità di manteni-
mento di buone relazioni con le collettività locali; o di origine emotiva,
per l'importanza simbolica che il business riveste per l'impresa;
• la differenza nella natura e negli obiettivi dei competitori:tra un'impresa ad
esempio monobusiness,che abbia il business stesso come unica sorgente
di valore, e una multibusiness, che sia viceversa presente per ragioni di
completezza di offerta o di immagine e abbia quindi altrove le sue sor-
genti principali di valore; tra un'impresa quotata in borsa, che debba esi-
bire risultati a breve se non vuole veder calare la sua capitalizzazione, e
una cooperativa, con soci usualmente meno esigenti e comunque con
un trattamento fiscale più favorevole.
Il poterecontrattua/,enell'ambitodellafiliera, verso monte e verso valle, ha la carat-
teristica - a differenza delle forze analizzate in precedenza - di essere solo in
parte un fattore accomunante i diversi competitori, e di costituire invece per la
restante parte un ulteriore fattore differenziante (in funzione della scala degli
stessi ecc.). Esso si presenta inoltre come disomogeneo anche rispetto ai com-
ponenti di ciascuna categoria di interlocutori:
• rispetto alle diverse tipologie di clienti o addirittura rispetto ai singoli
clienti;
• rispetto ai diversi gruppi di fornitori di beni e servizi, che si differenziano
non solo per la natura dei beni e servizi stessi, ma anche per le modalità
che regolano le transazioni (mercati strutturati, aste, contratti bilaterali
per singole forniture, accordi di cooperazione a medio termine ecc.);
• rispetto alle diverse tipologie di risorse umane che operano nelle impre-
se, dal personale operaio e impiegatizio con rapporti di dipendenza a
tempo indeterminato o determinato, ai collaboratori su base coordinata
e continuativa, ai dirigenti di diverso livello e professionalità;
• rispetto alle diverse tipologie di istituzioni bancario-finanziarie e alle dif-
ferenti forme con cui esse possono fornire danaro alle imprese.
In termini estremamente generali, e senza pretese di completezza, la bilancia
delpoterecontrattua/,e- ad esempio fra le imprese di due areedi businesscolloca-
te nella filiera una a val/,edell'altra - risulta sensibile fra l'altro a:
• il grado di concentrazionenell'ambito delle areedi businessstesse, riconduci-
bile a fattori quali la scala ecc.: un comparto con poche imprese grandi,
ad esempio, ha coeterisparibus un potere contratt11ale molto più elevato
di uno con molte imprese piccole, sia se collocato a valle che a monte;
• il grado di differenziazionedei prodotti oggetto dello scambio: che conferi-
270 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE Et SISTEMI DI GOVERNANCE

sce coeterisparibus un potere contrattuale maggiore a chi vende, perché le


imprese possono essere meno facilmente messe in concorrenza sul prez-
zo fra loro;
• la presenza di standard proprietari:che conferisce un potere contrattuale
tanto maggiore a chi vende quanto più elevati sono i costi di conversione
(switching cost) per chi compra;
• il grado di sostituibi1itàdei prodotti stessi: che viceversa favorisce chi com-
pra, per le alternative di cui può disporre;
• il grado di informazione di chi compra sui costi effettivi di chi vende: che
conferisce potere perché permette di contrattare direttamente il margi-
ne di profitto;
• la minaccia credibile di integrazionea monte di chi compra: che può eser-
citare un effetto di calmieramento dei prezzi;
• la ril,evanzapercentua/,edertetransazioni sul lota/,edel/,evendite o degli acquisti,
che conferisce potere a chi compra in ambedue i casi ma per ragioni di-
verse: nel primo caso per l'importanza che le transazioni hanno per la
soprawivenza stessa di chi vende; nel secondo caso per l'elevata inciden-
za che le transazioni hanno sul conto economico di chi compra, e quindi
per la molto maggiore attenzione (rispetto a transazioni meno rilevanti)
ai prezzi e alla qualità;
• la capacitàdi influenzare k sceltedei clienti,attraverso un'elevata risponden-
za ai bisogni e/o un'elevata imn1agine: che conferisce ovviamente pote-
re a chi vende, restringendo le possibilità di scelta di chi acquista (come
accade nel rapporto fra imprese produttrici di beni di largo consumo
operanti con una politica di marca e grande distribuzione).

5.8 I principalifattoriallabasedeidifferenziali
competitivie dei margini

Nella competizione sull'output e sui margi,ni,e di 1iflesso nella formazione del


valnredelle imprese e nelle loro decisioni di fondo, giocano un ruolo di gran-
de rilievo - singolarmente o in interazione fra loro - i diecifattori evidenziati in
precedenza. L'obiettivo di questo paragrafo è di guardare con più attenzione
a tali fattori, in relazione ai loro effetti 1na anche alla loro origine.
Più specificamente saranno oggetto di discussione - anche se con un grado
di dettaglio diverso - i primi sette (scala, saturazione, esperienza, risorse "criti-
che" materiali e immateriali, risorse umane, localizzazione e fattori istituzio-
nali), mentre si rinvia per gli altri tre (integrazione verticale, coordinamento
verticale dei processi, sinergie di portafoglio) alle considerazioni svolte nei pa-
ragrafi5.3 e 5. 4.
5. La competizione I 271

5.8.1La scalao dimensione

La scala rappresenta uno degli elementi di maggiore importanza nella strate-


gia di impresa ed è stata storicamente uno dei principali motoridel passaggio
dall'artigianato all'organizzazione su scala industriale della produzione e in
generale del sistema economico.
Il concetto che sta alla base della sua importanza è semplice.
Quando la scala o dimensionedi un'attività o dell'impresa nel suo complesso
cresce e le omogeneità- nell'output e I o in ciò che si fa per la sua realizzazione -
sono tali da permettere un adeguato livello di standardizzazione, si possono
concepire modalità di infrastrutturazione e organizzazione dell'attività (im-
presa) stessa che vadano nella direzione della riduzione dei costi unitari e ta-
lora anche in quella del miglioramento delle prestazioni.
La standardizzazione, in forma rigida o flessibile, gioca un ruolo determi-
nante nel rendere possibile lo sfruttamento della scala:senza di essa, ed è im-
portante rimarcarlo, la scala può diventare addirittura irrilevante.

Il costo di produzione di un componente per l'industria automobilistica - antesignana nel


comprendere l'importanza della scala e della standardizzazione - o di una stessa auto è tanto
minore, usualmente, quanto maggiori sono i volumi in gioco:
• con un limite tecnico-organizzativo, rappresentato dal fatto che al di sopra di una certa
scala (dimensione ottima minima) i potenziali decrementi marginali di costo diventano
sempre minori e possono crescere invece le complessità organizzative;
• con un limite di mercato, rappresentato dal fatto che, soprattutto per i prodotti finali, i
clienti amano la varietà e la possibilità di personalizzazione.
Il passaggio che si è avuto dagli impianti ad automatizzazione classica (tipici in Italia degli an-
ni '50 e '60) a quelli ad automatizzazione sempre più flessibi1e,attraverso il ricorso alla roboti-
ca e al controllo e programmazione delle operazioni per via informatica, e la parallela esalta-
zione del principio del kgo (il riferimento è al classico gioco per bambini) - che prevede la
massima diversificazione dei modelli da offrire al mercato con la minima diversificazione dei
componenti (telai ecc.) necessari a tale fine - sono stati la risposta all'esigenza di conciliare
la scala e la varietà con una lettura più sofisticata del significato di standardizzazione.
L'adozione dell'automazione flessiml,ee del principio del kgo può essere guardata anche per
un'altra caratteristica significativa, che si ritrova in molte altre situazioni: comporta costifissi
talmente alti - e talmente superiori rispetto all'impostazione tradizionale - che al di sotto di
una soglia di scala minima notevolmente elevata essa non può nemmeno essere presa in con-
siderazione.
Si viene a stabilire di conseguenza un volume annuo di vendite al di sotto del quale nessun
competitore può sopravvivere, se non in nicchie specifiche (caratterizzate da prezzi di mer-
cato particolarmente elevati) o in paesi che proteggano doganalmente (con effetto analo-
go) le loro imprese, e quindi un limite al numero stesso dei competitori. Si viene a stabilire
una barriera formidabile contro i potenziali nuovi entranti, che si troverebbero di fronte al-
1'obbligo -per entrare in gara-di portarsi immediatamente, come capacità produttiva eco-
me livello delle vendite, alla soglia minima di cui sopra: con investimenti e rischi di propor-
zioni assai elevate.
L'importanza della scala e della standardizzazione non riguarda solo la produzione e i setto-
ri industriali, ma anche le vendite e i settori dei servizi. È abbastanza tipico, ad esempio, che
le imprese che offrono servizi standardizzati ai loro clienti - in una gamma più o meno am-
pia ma predefinita e a costi relativamente contenuti - siano strutturalmente aliene dall'usci-
re al di fuori di quelli che sono gli standard, per non incorrere in costi addizionali e vanifica-
re i vantaggi della scala e della standardizzazione; e che lascino di conseguenza spazi di mer-
272 j L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E t SISTEM t DI GOVERNANCE

cato a imprese di dimensioni minori, che riescano a farsi pagare di più le prestazioni ad hoc o
che abbiano pretese minori (anche per i costi di struttura più bassi).

Entrando in un dettaglio maggiore, qualsiasi attività (o insieme di attività) che


l'impresa voglia fare utilizzando un determinato modellotecnologi,co-organizzativo
deve godere di tre caratteristiche ovvie, ma fondamentali in un'ottica di valore:
• essere f attibi/,e;
• essere efficacerispetto agli obiettivi che l'impresa si prefigge, in funzione
dell' (JUtpute della collocazione scelta, e quindi potenziale generatrice di
attrattività;
• essere strutturalmente conducibile e concretamente condotta in manie-
ra efficiente,per i possibili riflessi sui costi.
Lo stesso si può dire per le singole decisioniche l'impresa voglia assumere: sia-
no esse relative a una specifica attività o riguardanti (come ad esempio le ac-
quisizioni) l'impresa nel suo complesso.
La sca/,acondiziona la contemporanea presenza delle tre caratteristiche, in
quanto - per una qualsiasi attività e in corrispondenza a un determinato mo-
dello tecnologi,ca-organizzativo-in generale: -
• esiste una soglia di sca/,aminima o soglia di esclusione,che può essere prossi-
ma allo zero ma anche molto elevata, al di sotto della quale l'attività stes-
sa risulta infattibile e/ o inefficace e/ o inefficiente se svolta con il model-
lo tecnologico-organizzativo in oggetto;
• esiste una soglia di sca/,amassima o DOM - dimensione ottima minima, che
può essere anch'essa relativamente ridotta o molto elevata, al di sopra
della quale non si ottengono significativi miglioramenti marginali - nel-
1'efficienza e/o nell'efficacia-da incrementi ulteriori dei volumi o si in-
corre addirittura in problemi di eccessiva complessità;
• nell'intervallo fra le due soglie la scala può giocare un ruolo differenziante,
nel senso che a fronte di volumi maggiori si possono avere un'efficienza
e/o un'efficacia maggiori.

Nel caso discusso relativo al comparto automobilistico, in cui l'atti,ità in oggetto è quella
produttivo-logistica e il modello tecnologico-organizzativo è quello basato sull'automazione
flessibile e sul principio del !,ego,
le soglie e gli effetti differenzianti possono essere meglio stu-
diati guardando separatamente alle sub-attivitàin cui può essere dRcompostal'attività produtti-
vo-logistica, e specificamente a:
• l'attività finale di assemblaggio mediante sistemi di automazione flessibile, per cui risulta
soprattutto rilevante la scala dei singoli stabilimenti;
• l'attività di produzione dei componenti (all'interno dell'impresa o in outsourcing), solita-
mente mediante sistemi di automazione rigida, per cui sono rilevanti le scale relative a
ciascun componente: sensibili, a parità di scala complessiva dell'impresa, all'applicazio-
ne più o meno spinta del principio del 'legoin sede di progettazione;
• la logistica (in entrata dalle aree di provenienza degli input~tra i diversi stabilimenti e ver-
so i mercati di sbocco), spesso determinante con i suoi costi nel limitare la concentrazio-
ne de~li stabilimenti e nel definire i confini dell'area territoriale rispetto a cui è oppor-
tuno impostare unitariamente l'attività produttivo-logistica: nel caso dell'auto quella
continentale.
5. La competizione I 273
La soglia di esclusione è determinata come detto sia dalla necessità che i singoli stabilimenti
operino su scala elevata, per non incorrere in costi unitari eccessivi nell'adottare l'automa-
zione flessibile, sia da quella che anche gli specifici componenti (seppur con criticità diverse
tra loro) siano realizzati su scala-elevata; mentre la logistica, in questo aiutata dalle differenze
esistenti a livello di domanda (che impattano negativamente sull'omogeneità e riducono le
possibilità di standardizzazione), definisce l'area continentale come la più opportuna cui ri-
ferirsi nel dimensionare l'attività produttivo-logistica e progettare la gamma di modelli. Il li-
vello elevato della soglia di esclusione, se parametrato alle dimensioni complessive del mer-
cato (continentale), fa sì che essa abbia un rilevante impatto ai fini della competizione.
La DOM viene raggiunta quando non si hanno possibilità di ulteriori miglioramenti, nell'ef-
ficienza e/o nell'efficacia dell'attività produttivo-logistica, né elevando le dimensioni dei sin-
goli stabilimenti né elevando le quantità omogeneedei componenti: anche se questo non si-
gnifica che non si possano ottenere vantaggi ulteriori di scala in altre attività, quali ad esem-
pio quelle di marketing, vendita e assistenza post-vendita (sensibili anche alla scala locale e
quindi alla distribuzione territoriale della domanda) o di ricerca e sviluppo (spesso viceversa
sensibili alla scala globale).
Nell'intervallo fra soglia di esclusione e DOM - in taluni casi esteso e in altri estremamente
limitato - la scala può giocare l'effetto differenziante illustrato in precedenza: conferendo
coeterisparibus vantaggi, nel costo o nell'attrattività, alle imprese di dimensioni maggiori (ov-
vero con quote più elevate) rispetto a quelle di dimensioni minori.
Se si rimane nel comparto automobilistico e si guarda all'attività di vendita e di assistenza
post-vendita- di solito portata avanti in Europa attraverso concessionari in esclusiva (a diffe-
renza degli Stati Uniti, ove sono prevalenti le strutture multi-marca) - anche per essa la scala
gioca un ruolo rilevante, sia dal punto di vista del costo che della bontà del servizio (e conse-
guentemente dell'attrattività), ma in una forma un po' diversa.
Vi è una soglia di scala minima, legata in questo caso a un'adeguata copertura del territorio,
che richiede (limitando la nostra attenzione al continente europeo) che in ogni paese e re-
gione vi sia una rete minima di concessionari e di officine specializzate che assicurino quella
vùinanz.a al clienteindispensabile alle vendite. Gli investimenti in gioco sono largamente infe-
riori a quelli relativi alla produzione, ma vi sono costi correnti di mantenimento della strut-
tura tali che più si scende al di sotto di una certa scala di vendite in un determinato paese o
regione più severi diventano i problemi di efficienza ma anche di efficacia: perché la rete
stessa tende a essere più rada, per non penalizzare troppo i ritorni dei singoli concessionari,
e perché a causa dei bassi ritorni è più difficile attrarre o mantenere i concessionari bravi.
Al crescere delle quantità e nell'ipotesi che gli squilibri territoriali non siano eccessivi, si ha
innanzitutto una saturazione della reteminima e poi una crescita delle risorse da mettere in
gioco - attraverso l'ampliamento delle infrastrutture dei concessionari e delle officine spe-
cializzate autorizzate o l'incremento del loro numero-cui corrispondono in generale un in-
cremento meno che proporzionale dei costi complessivi (e quindi una diminuzione dei costi
unitari) e un miglioramento della qualità del servizio: sino a una DOM oltre la quale i mi-
glioramenti tendono a essere sempre più modesti.
Se si passa a un comparto di servizi quale quello assicurativo e si guarda all'attività di vendi-
ta mediante agenti monomandatari, si ritrova una situazione simile a quella vista per l'auto-
mobile.
La scala societaria, se elevata in assoluto e nei singoli territori, permette di avere un numero
relativamente elevato di agenzie grandi: il numero elevato permette (con la bontà del servi-
zio) di mantenere elevata la scala delle vendite, fronteggiando i tentativi di erosione delle
stesse da parte dei competitori e le eventuali vogliedi entrata di nuovi competitori; la scala ele-
vata delle singole agenzie permette all'impresa (Generali piuttosto che Allianz) di contenere
la percentuale sulle vendite loro assegnata, garantendo comunque ritorni soddisfacenti e in
grado di attrarre o mantenere gli agenti bravi.
La scala può essere decisiva anche nel rendere o meno fattibili specifiche decisioni di rile-
vanza per l'impresa nel suo complesso. Acquisire ad esempio un'impresa 1competitrice, mes-
sa sul mercato per problemi di successione dell'imprenditore, può risultare infattibi,l,eper
un'impresa di scala minore e viceversa fattibil.eper quella di scala maggiore: con riflessi pe-
santi poi sugli assetti di mercato.
274 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

FIGURA 5.6 - Lacurvadelleeconomiedi scala

Q, DOM

In generale non esiste un solo modellotecnologi,cfHffganizzativo con cui realizzare


la specifica attività, ma sono disponibili - almeno a priori in linea teorica e
prescindendo da possibili vincoli all'accesso - modellidiversi, caratterizzati da
soglie ed effetti differenzianti (sul costo e/ o sull 'attrattività) anch'essi diversi.
Si possono costruire quindi mappe che evidenzino per ciascun livello di scala il
modello più conveniente dal punto di vista dell'efficienza e/o dell'efficacia.
La più nota di queste mappe è la cosiddetta curva delle economiedi scala (fi-
gura 5. 6) - spesso riferita all'impresa invece che alla specifica attività - che ri-
porta in funzione di ciascun livello di scala il costo unitario minimo: ossia il co-
sto ottenibile selezionando il modello più efficientein corrispondenza al livello
stesso (nel rispetto ovviamente delle condizioni di fattibilità e di efficacia).

La curva delle economie di scala descritta, che è quella che si trova più di frequente nei testi
di microeconomia, è finalizzata a evidenziare le alternative teoriche che si presentano a
un'impresa che debba decidere come strutturarsi. Essa ipotizza implicitamente che l'impre-
sa operi in effetti nel seguito in corrispondenza al livello di scala per cui è progettata o in
prossimità di esso, e che quindi non vi siano extracosti legati alla ridotta saturazione delle ri-
sorse messe in gioco. Essa ipotizza implicitamente che l'impresa abbia un funzionamento ef-
fettivo che non si discosti da quello previsto teoricamente in corrispondenza al modello
adottato e che lo abbia da subito, senza passare lungo la fase dell'apprendimento (con le re-
lative variazioni di costo).
Essa non tiene conto in generale - ma ve ne è la possibilità quando l'area di business in cui
l'impresa vuole entrare è già esistente e consolidata- del fatto che le imprese presenti nell'a-
rea stessa possono operare con modellidivenuti in talw1i casi almeno parzialmente obsoleti e
in altri non ripetibili: obsoleti, ad esempio, perché nel frattempo si sono rese disponibili tec-
nologie e/ o modalità di organizzazione più avanzate; non ripetibili perché i primi entranti
sono riusciti a far conoscere i loro prodotti e a consolidare le relative marche senza gli inve-
stimenti pubblicitari necessari a un nuovo entrante o perché hanno goduto di condizioni
particolarmente favorevoli (bassi prezzi degli impianti ecc.) per la loro infras.trutturazione o
perché hanno già concluso la fase di ammortamento contabile.
5. La competizione I 275
'
E sempre rilevante la scala ai.fini della competizione? Ha più impatto dal pun-
to di vista della competizione sull'output o di quella sui margi,nz?Come gioca-
no le nonlinearità, l'inerzia e l'irreversibilità, la limitazione agli accessi?
In termini estremamente sintetici si può affermare che l'effetto della scala,
in relazione a una (o a più) attività, è tanto più rilevante quanto più:
• l'attività stessa entra fra quelle di maggiore rilevanza strategica (in gergo
core),non delegabili ali' esterno;
• la soglia di esclusione e la DOM risultano elevate rispetto alla dimensio-
ne complessiva dell'area di business,con il triplice effetto di limitare il nu-
mero di competitori (in quanto possono restare in gara coeterisparibus so-
lo quelli che sono al di sopra della soglia di esclusione), creare differen-
ziali sostenibilidi costo e/ o di attrattività fra i competitori stessi e rendere
costosol'accesso ai potenziali nuovi entranti.
La nonlinearità sta alla base (come visto) della stessa esistenza delle soglie e dei
differenziali.L'asimmetria negli accessi,e specificamente la barriera ai nuovi en-
tranti, ne è una conseguenza. Così come lo è l'inerzia, owero la tendenza al
mantenimento dello status quo e quindi ali' irreversibilitàrispetto a quanto awe-
nuto nel passato, che nasce dal fatto che - in assenza di discontinuità sostan-
ziali e in assenza di operazioni finanziate al di fuori del business (vendite a
prezzi non remunerativi o investimenti pubblicitari straordinari per accresce-
re le quote di mercato ecc.) - chi si viene a trovare in condizioni di vantaggio
non è attaccabile da chi ha costi unitari più elevati e/ o attrattività minore e
può addirittura, se il divario è elevato, puntare a espellere dal mercato i com-
petitori più deboli.
La scala incide peraltro non solo sulla competizione sull'output, ma anche coe-
terisparibus su quella sui margi,ni,dal momento che: riduce la conflittualità inter-
na e la connessa spinta verso prezzi più bassi e/ o prestazioni dei prodotti più
elevate; crea barriere all'entrata di nuovi competitori; può rafforzare coeterispa-
ribus,favorendo la concentrazione e quindi le dimensioni dei competitori, il lo-
ro potere contrattuale nei riguardi dei fornitori (in senso lato) e dei clienti.
L'effetto della scala è viceversa poco rilevante quando si ha a che fare con
attività non core,per cui sia possibile ricorrere all' outsourcing senza riflessi par-
ticolarmente negativi, e/ o quando la soglia di esclusione e la DOM risultino
basse rispetto alla dimensione complessiva dell'area di business:lasciando spa-
zio alla presenza di un numero elevato di competitori e all'entrata di nuovi
(in assenza di limiti di altra natura) e non creando differenziali significativi
fra i competitori stessi. La valenza competitiva della scala, in termini sia di
creazione di differenziali fra competitori sia di barriera all'ingresso di nuovi
competitori, perde infine parzialmente o totalmente la sua rilevanza in pre-
senza di disomogeneitàsovrastanti di altra natura.

Vi possono essere in primo luogo disomogeneità rilevanti fra aree geo-politiche: non sono
più nate ad esempio imprese automobilistiche nuove nei paesi avanzati, mentre ne sono na-
te - e si stanno progressivamente rafforzando (a fianco delle subsidiary o delle joint ventures
276 j L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

locali delle imprese occidentali) - in paesi come la Cina e l'India, caratterizzati da un mix di
protezionismo e di costi del lavoro bassi. Vi posso~o essere disomogeneità ~nche n~ll'am~ito
dello stesso territorio, quando sono le imprese a ncevere un trattamento differenziato de1ure
o de/arto dalle pubbliche autorità: in diversi comparti, in primo luogo nell'edilizia, le impre-
se minori riescono ad esempio frequentemente a trarre vantaggio, in assenza di controlli
adeguati e quindi di sanzioni, dal minor rispetto delle regole; owero, utilizzando il lavoro ne-
ro, evadendo le tasse e/ o violando le norme ambientali riescono a bilanciare i vantaggi "teori-
ci,di scala delle imprese di dimensione maggiore.

E può essere per altri versi il desiderio di raggiungere un livello di scala ade-
guato - per una o più attività critiche - che spinge l'impresa ad ampliare il
portafoglio di output, anche accentuandone significativamente l'eterogeneità.

Raggiungere un livello di scala adeguato - allargando le destinazioni attraverso la variegazione


del portafoglio e lo sfruttamento delle sinergie fra business diversi - può rappresentare addirit-
tura la condiciosine qua non per avviare una determinata attività o per assumere una determina-
ta decisione: per lanciare ad esempio un progetto ambizioso di ricerca, per acquistare un siste-
ma di produzione particolarmente costoso, per costruire una rete di vendita in esclusiva.
Alternativamente, ma in realtà anche questa è una forma di variegazione del portafoglio, l'im-
presa può cercare di incrementare il livello di scala fungendo anche da fornitore in outsour-
cingdi altre imprese di servizi (quali quelli di ricerca, di produzione o di vendita) realizzabili
al suo interno: è il caso ad esempio del produttore di beni di largo consumo che SO\Tadimen-
siona la sua capacità produttiva - rispetto a quanto è in grado di vendere con la fona della sua
marca-e usa la capacità eccedente per produrre con la marra propriadel distributore.

5.8.2 li gradodi utilizzodellerisorseo gradodi saturazione

Sfruttare appieno le risorse messe in gioco - in relazione a una (o più) attività


o complessivamente - significa per l'impresa, com'è facilmente intuibile, po-
ter disporre coeterisparibus di margini più elevati. Sfruttarle d'altro canto in
misura superiore (inferiore) rispetto ai competitori significa creare un diffe-
renziale di costo a proprio vantaggio (svantaggio). Questo a causa di un 'im-
portante nonlinearità, differente da quella alla base della scala ma comple-
mentare ad essa negli effetti: la crescentespraporzionefra risorsee output che si vie-
ne a generare, nell'ambito di un'attività (impresa) funzionante, al decrescere
dell'output stesso e al suo allontanarsi dal livello di trirgaper cui l'attività (im-
presa) è stata dimensionata.
Vi sono infatti risorsenon eliminabili, se non in un contesto di ridimensiona-
mento dell'attività (impresa): quali le infrastrutture da manutenere e ammor-
tizzare e il personale atto a garantire la continuità di funzionamento. Vi sono
in corrispondenza costinon evitabilio fissi, che devono essere sostenuti cioè in-
dipendentemente dal grado di utilizzo, che impattano sui costi unitari in mi-
sura tanto maggiore quanto minori sono i volumi su cui spalmarli.
L'effetto saturazione testé descritto presenta importanti analogie con l'effetto
scala:quali il legame nonlinearefra costi unitari e volumi e il ruolo dei costifissi.
Ma sono analogie come detto solo apparenti, perché completamente diversi
sono i presupposti che ne stanno alla base. L'effetto saturazione riguarda infatti
5. La competizione I 277

realtàfunzionanti, considerate singolarmente, in cui gli investimenti infrastrut-


turali sono già stati effettuati e l'organizzazione già messa a punto, mentre l' ef
fetto sca/,ariguarda realtà diverse ( virtuali o anche funzionanti) , in corrispon-
denza a livelli dimensionali diversi, caratterizzate da modalità di infrastruttu-
razione e organizzazione anch'esse diverse, poste a raffronto tra loro.
I due effetti poi si combinano. I costi unitari relativi a un'attività (impresa)
dipendono infatti sia dal dimensionamento della stessa, sulla base della scala
per cui è stata concepita immaginandone un funzionamento a pieno regi,me,sia
dall'effettivo grado di saturazione.

Se si considerano ad esempio gli impianti saccariferi, per cui la DOM risulta molto elevata,
l'effetto scala mostra come il costo di produzione di 1 kg di zucchero in un impianto da 50 mi-
la t annue sia sensibilmente superiore a quello in un impianto da 100 mila t annue. E come
ulteriori vantaggi, anche se marginalmente decrescenti, si possano ottenere in corrispon-
denza a dimensionamenti più elevati: sempre nell'ipotesi, owiamente, che gli impianti fun-
zionino poi a pieno regi,me.
L'effetto saturazione mostra invece come vari il costo di produzione di 1 kg di zucchero al va-
riare del grado di utilizzo di un impianto già esistente, ad esempio da 100 mila t annue. Esso
coincide (almeno in linea di principio) con quello visto in precedenza in corrispondenza al
funzionamento a pieno regime, mentre cresce vertigi,nosamenteal ridursi del livello effettivo
di produzione: con il risultato che il costo che si ha in corrispondenza a un grado di satura-
zione del 50 per cento - ossia a una produzione effettiva di 50 mila t di zucchero - risulta lar-
gamente superiore a quello che si avrebbe realizzando lo stesso volume in un impianto da 50
mila t annue funzionante a pieno regime.

L'effetto saturazione presenta un'altra peculiarità. Nel caso in cui i volumi in


gioco crescano invece che scendere e si portino al di sopra del livello di targa
rispetto a cui l'attività (impresa) è stata dimensionata, il funzionamento in
condizioni di ipersaturazione- se possibile - comporta in generale un incre-
mento dei costi unitari (a causa degli straordinari da corrispondere a chi lavo-
ra, delle maggiori manutenzioni che si rendono necessarie ecc.) invece che
un decremento: a differenza di quanto accade con la sca/,a,ove i costi unitari
continuano a decrescere, almeno sino al raggiungimento della DOM.

Questo significa, nel caso visto in precedenza, che il costo di produzione di 1 kg di zucche-
ro in un impianto da 100 mila t annue sfruttato al 110 per cento risulta superiore a quello
che si avrebbe in corrispondenza al volume di targa e a maggior ragione a quello che si
avrebbe facendo funzionare a pieno regime un impianto dimensionato per la produzione
di 110 mila t annue.

La rappresentazione grafica più nota dell'effetto saturazione,in relazione all'im-


presa nel suo complesso, è quella che in microeconomia pren,de il nome (per
la sua forma) di curva a U. Essa mostra come i costi unitari abbiano il loro mi-
nimo in corrispondenza al livello di targa e crescano invece sia al decrescere
dei volumi al di sotto di tale livello che al loro crescere. Nei testi di microeco-
nomia si trova spesso anche una rappresentazione grafica congiunta dell'ef-
fetto scala e dell'effetto saturazione: con una curva deUeeconomiedi scalaconti-
278 j L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

nua o discreta, ove in corrispondenza a ciascun punto viene riportata la relati-


va curoa a V (cfr. figura 5. 6). ,
Perché il grado di saturazione può essere basso? E sempre un fatto negativo
per l'impresa, o comunque non voluto da essa? La risposta è articolata.
Un grado di saturazione ridotto può essere la conseguenza di un errore di
previsione: di un sovradimensionamento cioè, della specifica attività o del-
l'impresa nel suo complesso, rispetto all'output effettivo che l'impresa stessa è
in grado poi di mettere sul mercato.
Un grado di saturazione ridotto, in termini non necessariamente puntuali
ma medi nel tempo, può essere la conseguenza delle fluttuazioni di diversa
natura (discusse in precedenza) che l'impresa si trova a fronteggiare: in fun-
zione anche della logica di dimensionamento scelta, più attenta a soddisfare
le punte di massima della domanda o viceversa più incline ad attestarsi sui va-
lori medi. Fermo restando il fatto che l'impresa può cercare di attenuare gli
effetti delle fluttuazioni: giocando ad esempio sui prezzi o selezionando i
clienti sulla base della loro stabilità, oppure- alternativamente o complemen-
tariamente - concependo un 'infrastrutturazione e un'organizzazione più
flessibili rispetto alle variazioni dei volumi.
Un grado di saturazione ridotto, almeno temporaneamente, può essere
però anche il frutto di una scelta strategica deliberata dell'impresa: che può
decidere di sovradimensionare una sua attività o tutta se stessa, anticipando
l'auspicabile futuro, per prevenire mosse simili da parte dei competitori o
nuove entrate.

Nel caso in cui però siano diverse le imprese che seguono contemporaneamente questa stra-
tegia - di preriempimento o preemptive-l'esito può essere quello di una sovracapacità com-
plessiva e di una conseguente contrazione generalizzata dei margini.

5.8.3L'esperienza
accumulatao apprendimento

Analogamente a quanto accade per le persone, anche per le imprese l' espe-
rienza accumulata- nel portare avanti una (o più) attività o nella gestione com-
plessiva - e il conseguente apprendimentopossono avere grande rilievo: nella
direzione di una maggiore efficienza, e quindi di una riduzione dei costi; nel-
la direzione di una maggiore efficacia, e quindi di una più elevata attrattività.
Può, se superiore (inferiore) a quella dei competitori, generare differenziali
di costo e/ o di attrattività sostenim,linel tempo, simili a quelli generati dalla
scala e solitamente operanti in sinergia con essi.
L'effettoe5perienzanon è legato (come quello scala) alla presenza di nanunea-
rità, ma ha un'origine tipicamente dinamica e tende a creare condizioni di irre-
versimlità.Migliorare l'efficienza e l'efficacia non è in altre parole un qualcosa
che si possa realizzare istantaneamente, ma richiede tempo e soprattutto ripe-
titività (oltre che ovviamente capacità di razionalizzazione). Chi ha più appre-
5. La competizione I 279

so si viene a trovare in generale coeterisparibus in condizioni di vantaggio rispet-


to a chi ha meno appreso, e la posizione relativa può mantenersi nel tempo.
L'effetto è tanto più difendibile e duraturo nel tempo quanto meno l'impre-
sa che intende sfruttarlo si awale di fornitori e consulenti esterni per farmaliz-
zare l'esperienza stessa e cristallizzarlain prodotti e procedure: per il rischio
che prodotti e procedure vengano messi a disposizione dei competitori. È
tanto più difendibile quanto più l'esperienza rimane viceversa tacita e il pro-
cesso di apprendimento ha una natura coUettivae non solo individuale (ri-
guarda cioè l'operare in squadra più che da soli): per il rischio che il know-how
venga acquisito facilmente dai competitori rubando risorse umane all'impresa.
L'esperienzaperde invece ogni valore a fronte di mutazioni rilevanti di con-
testo (nei prezzi relativi, nelle normative ecc.) e/ o di innovazioni sostanziali
introdotte da competitori o da nuovi entranti. Essa anzi può trasformarsi spes-
so, in questi casi, in un ostacolo rilevante, se non insormontabile, a un pronto
adattamento dell'impresa alla nuova situazione (cfr. schema 2.20): per le resi-
stenze al cambiamento che emergono, soprattutto da parte di chi sull'espe-
rienza aveva costruito il proprio potere interno.
L'esperienza va gestita organizzativamente, se si vuole che divenga o riman-
ga un fattore di vantaggio o che non si trasformi in un handicap. Il to-pmanage-
ment deve cioè stimolare chi opera nell'impresa a razionalizzare l'esperienza
stessa e a trasforn1arla in un fattore di miglioramentocontinuo o addirittura di
innovazione, e spesso lo fa ricorrendo allo strumento del budget (che sarà og-
getto di trattazione nel seguito).
L'esperienza è spesso all'origine dell'ideazione di nuovi modelli,per la spe-
cifica attività e/ o per l'impresa nel suo complesso, in grado di valorizzare l' ef
fetto scala. Questo è il motivo per cui la ben nota l.earningcurve o curva dell.eec<>-

F1cuRA5.7 - La curvadelleeconomiedi esperienza

Cu

Q 10Q 100Q 1.oooQ Q


cumulata
280 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

nomie di esperienza(apprendimento) (cfr. figura 5. 7) - caposaldo della matrice


BCG (cfr. schema 5. 9) - congloba i due effetti: vedendo i costi unitari come
una funzione non dei volumi correnti (come fa invece la curva delle econo-
mie di scala), ma dei volumi cumulati a partire dall'inizio dell'attività stessa.

La /,earningcurve, nella versione storica che spesso si trova nei testi di strategia e che fu messa
a punto nel dopoguerra in relazione alla produzione di velivoli, accredita addirittura l'esi-
stenza di un legame lineare fra i costi unitari e i volumi cumulati espressi in scala logaritmica.
Si ha il medesimo calo dei costi unitari, sotto questa ipotesi, a ogni aumento di un ordine di
grandezza dei volumi cumulati: a partire ad esempio da un costo unitario di un componente
meccanico per l'industria automobilistica di 8 € in corrispondenza a un volume cumulato di
I 00 mila pezzi, si scende a 7 € per un volume di I milione di pezzi e a 6 per un volume di I O
milioni di pezzi. Il calo non nasce solo dalla mera esperienza, che permette di lavorare più
velocemente e commettere meno errori, ma anche da un'infrastrutturazione e organizzazio-
ne complessiva in evoluzione per sfruttare al ma-,simo la scala.
L'impresa leader di mercato in una determinata area di lmsiness può, sotto queste ipotesi,
diminuire progressivamente i suoi costi unitari - in misura tanto maggiore quanto più ele-
vato è il tasso di crescita della domanda - e allo stesso tempo mantenere il vantaggio sui
competitori.

ScH EMA 5.9 - La matriceBCG

La matrice BCG, proposta dal The BostonConsultingGroupnegli anni '60, affronta con
un'ottica estremamente semplificata - che fu probabilmente alla base del suo grande
successo ma che ne rappresenta anche il limite maggiore nelle applicazioni - la te-
matica della composizione idealedel portafoglio di business di un'impresa:
• ignorando qualunque possibile sinergia al di fuori di quella finanziaria, cui è data
viceversa grande rilevanza;
• enfatizzando l'importanza della quota di mercato dell'impresa in ciascun· business
- vista come proxydella sua posizione relativa di scala e di esperienza e conse-
guentemente come sorgente degli unici differenziali competitivi considerati rile-
vanti - e ponendo come obiettivo dell'impresa stessa il conseguimento della lea-
dershipo co-leadership e, in caso di insuccesso, l'uscita dal business;
• enfatizzando l'importanza del tasso di crescita della domanda complessiva in
ciascun business (dipendente dalla posizione nel ciclo di vita), vista come proxy
dell'attrattività dell'area di businessstessa: nell'ipotesi che il grado di competizio-
ne in senso lato sia minore e i margini mediamente più elevati nelle fasi espansi-
ve del ciclo, e viceversa;
• attribuendo grande importanza al fenomeno del ciclodi vita e alla conseguente
necessità, a garanzia del mantenimento nel tempo della vitalitàe dell'equilibrio fi-
nanziariodell'impresa, della contemporanea presenza - nel suo portafoglio - di
business in fasi diverse del ciclo di vita stesso.
Il rilievo dato alla necessità per l'impresa di rinnovarsi continuamente - facendo en-
trare e crescere business nuovi- e l'introduzione di una terminologia (per denotare i
business) diventata di uso corrente nel mondo delle imprese rappresentano forse gli
elementi di maggiore interesse, a fronte dell'eccesso di semplificazione.
5. La competizione I 281

La matrice BCG divide i business che fanno parte del portafoglio di un'impresa in
quattro categorie:
• star: l'impresa è leadero co-leaderdi mercato - ha cioè la quota più elevata o co-
munque prossima a quella del leader- in un'areadi businessnella fase di crescita
del ciclo di vita (con un tasso annuo di crescita della domanda complessiva su-
periore al 10 per cento);
• cashcow: l'impresa è leadero co-leaderdimercato in un'area in fase di decelerazio-
ne, maturità,saturazioneo declino(con un tasso annuo di crescita della domanda
comunque inferiore al 10 per cento e al limite negativo);
• questionmark o problemchildren:l'impresa ha una quota di mercato significativa-
mente inferiore a quella del leader in un'area di businessnella fase di decollo o
ascendente del ciclo (con un tasso annuo di crescita della domanda complessiva
superiore al 10 per cento);
• dogo cash trap:l'impresa ha una quota di mercato significativamente inferiore a
quella del leaderin un'area di businessnella fase di decelerazione, stagnazione o
declino (con un tasso annuo di crescita della domanda comunque inferiore al 10
per cento e al limite negativo).
Nelle ipotesi estremamente semplificative fatte che:
• il tasso di crescita della domanda rappresenti una buona proxydell'attrattività di
un'areadi business;
• la quota relativa dell'impresa nella singola area rispetto a quella del competitore
più forte - superiore o prossima a 1 se l'impresa è leadero co-leadere sensibil-
mente inferiore negli altri casi - rappresenti una buona proxydel differenziale
competitivo esistente (non essendo attribuita una specifica rilevanza alla diffe-
renziazione),
le quattro categorie si vengono a trovare nelle seguenti situazioni:
• star:extraprofittabilità corrente molto elevata, per il gioco congiunto del differen-
ziale competitivo a favore e del livello mediamente elevato dei margini nell'area
di business;crescita elevata, almeno in linea con quella dell'areadi businessstessa,
se l'impresa non vuole ridurre la sua quota di mercato e con essa il differenziale
competitivo futuro; NCF (net cashflow) vicino allo zero, per l'elevato fabbisogno
di cassa conseguente alle esigenze di crescita (per gli investimenti in capitale fis-
so e in incremento del capitale circolante netto);
• cashcow:extraprofittabilità corrente elevata, anche se un po' inferiore per la mag-
giore pressione competitiva in presenza di una crescita inferiore della domanda
complessiva; crescita in linea con quella dell'areadi business,per mantenere la quo-
ta, e quindi inferiore rispetto al caso precedente; NCF molto elevato, per l'alto livello
del profitto e dell'ammortamento e il minore fabbisogno di cassa per la crescita;
• questionmark o problemchildren:extraprofittabilità ridotta o negativa, in funzione
della lontananza della quota da quella del leader;crescita elevata, se l'impresa
vuole almeno mantenere la quota; NCF conseguentemente negativo o molto ne-
gativo, per il contrasto fra la generazione e il fabbisogno di cassa (accentuato dal
fatto che in presenza di una crescita elevata, qui come per le star e a differenza
delle cashcow, l'ammortamento non è strutturalmente in,grado di ricoprire le ne-
cessità di investimento);
• dogo cashtrap:extraprofittabilità ridotta o negativa, in funzione della lontananza
della quota da quella del leader;crescita in linea con quella dell'areadi business,
282 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

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Cash cow Dog

Quota di mercato relativa

per mantenere la quota; NCF ridotto o nullo, in funzione del profitto e del fabbi-
sogno per la crescita.
La composizione di portafoglio considerata come ideale, dai fautori della matrice
BCG, è caratterizzata dalla presenza equilibrata di cashcow, star e questionmark e dal-
la totale assenza di dog.
Le cashcow assicurano la cassa per distribuire dividendi agli azionisti e per finanziare
lo sviluppo di quelli - fra i questionmark- che si ritengono più promettenti, puntando
alla leadershipo alla co-leadership.
Le star, destinate a trasformarsi in cash cow allo scorrere del ciclo di vita, purché la
quota di mercato non si riduca, rappresentano la garanzia di disporre di cassa anche
nel futuro meno immediato; d'altra parte contribuiscono anche, con il loro livello mol-
to elevato di extraprofittabilità, alla brillantezza dei bilanci.
I questionmark, se non promettenti o se caratterizzati da una situazione competitiva
che renda difficile il conseguimento della leadership,devono essere abbandonati: per-
ché destinati a trasformarsi, allo scorrere del ciclo di vita, in dog.
I dog, infine, sono visti come totalmente negativi. E il nome alternativo cashtrap a essi
attribuito sta a indicare l'effetto-trappola che essi possono esercitare sulle risorse fi-
nanziarie dell'impresa, tenendole impegnate anche su tempi lunghi a rendimenti bas-
si o negativi.
I diversi business vanno considerati ovviamente anche per il loro peso: in relazione al-
la quota parte di risorse dell'impresa che assorbono e al contributo quantitativo che
essi danno alla formazione del profitto e dell'extraprofitto e della generazione lorda e
netta di cassa.
5. La competizione I 283

Un ultimo commento riguarda la capacità o meno di una composizione di portafoglio


di questa fatta di soddisfare l'obiettivo di massimizzazione del valore per gli azionisti. È
molto difficile dare una risposta univoca, se non si entra nella specificità delle diverse si-
tuazioni. Ma si può riportare una delle principali critiche che fu fatta alla matrice all'epo-
ca, al di là di quelle legate alla ipersemplificazione, relativa all'importanza da essa attri-
buita all'equilibrio finanziarioe alle connesse possibilità di autofinanziare lo sviluppo
(senza ricorsi ad aumenti di capitale) e di distribuire regolarmente i dividendi: vista più
in linea con gli interessi di un top management professionale desideroso di non scon-
tentare gli azionisti, che non con l'obiettivo di massimizzareil valoreper gli stessi.

5.8.4 Le risorse"critiche"materialie immateriali

Accanto ai fattori differenziantivisti finora - caratterizzati da una connotazione


quantitativa forte (ancorché non esclusiva) ma con rilevanti riflessi anche
qualitativi -vi sono altri fattori a priori non meno importanti, caratterizzati in-
vece da una connotazioneprevalentementequalitativa: con rilevanti impatti però,
a loro volta, anche quantitativi e spesso interagenti dinamicamente con i pri-
mi in un complesso gioco di cause ed effetti.
La categorizzazione scelta di questi fattori- risorse "critiche" materiali e im-
materiali, risorse umane, localizzazione, fattori istituzionali - può essere giudi-
cata allo stesso tempo arbitrarianelle aggregazioni e sfumata nei confini. Ma
sono proprio l'articolazione dei fattori elementari in gioco e la loro mutua in-
terazione dinamica (che si somma a quella con gli altri fattori già visti) che
rendono altrettanto arbitrarie e non esenti da sovrapposizioni categorizzazio-
ni alternative.
Le risorse "critiche"materiali e immateriali da noi prese in considerazione, in
relazione a una (o più) attività o all'impresa nel suo complesso, sono in parti-
colare le seguenti:
• il know-how esclusivo, che può assumere forme legalmente riconosciute
attraverso la brevettazione di specifici prodotti (quali i farmaceutici o il
software) e/ o di specifiche tecnologie di processo;
• l' immagi,ne,legata alla marca e/ o alla reputazione, e la conseguente fe-
deltà e/ o stima acquisita presso i diversi interlocutori (i clienti finali e in-
termedi, i fornitori di beni e servizi strategicamente rilevanti, le risorse
umane, il sistema bancario-finanziario, la pubblica amministrazione, le
collettività locali, i media ecc.);
• gli standard proprietari,particolarmente rilevanti per gli asseta uso prolun-
gato e passibili di integrazioni nel tempo (i grandi impianti, i grandi si-
stemi inf armatici, i sistemi operativi dei PC o degli s_martphone,le attrez-
zature fotografiche reflex ecc.), che generano costi di conversione (sllfit-
ching cost) talora molto alti per gli utilizzatori che vogliano abbandonarli
a favore di altri;
284 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• la disponibilità di accessiriservati a monte e a vali.e,sulla base di acquisti pre-


cedenti o di contratti a lungo termine, ad esempio per le materie prime,
o sulla base di una tradizione consolidata di presenza e di elevati livelli di
vendita, ad esempio nei rapporti con la grande distribuzione e la distri-
buzione organizzata (ove la limitatezza degli scaffali permette la presenza
di un numero ridotto di marche per ciascun tipo di prodotto);
• la disponibilità in generale di asset materiali e immateriali (impianti, edifici
ecc.) a costi e condizioni che riflettono il timingdella loro acquisizione in
proprietà o in uso o che riflettono particolari posizioni degli acquirenti:
diversi quindi, in positivo o in negativo, dai costi e dalle condizioni cor-
renti di mercato.
Le risorse citate sono definite "critiche" proprio per la loro forza differenziante.
Esse sono nella quasi totalità frutto di ciò che è accaduto nel passato: sono
cioè nel linguaggio della teoria dei sistemi grandezzedi stato.
Alcune di esse sono principalmente figlie dell'inerzia-tipicamente l'imma-
gine di marca che condiziona profondamente le decisioni di acquisto dei con-
sumatori - mentre altre riflettono la propensione delle imprese, ad esempio
attraverso gli standard proprietari, a creare condizioni di asimmetria negli acces-
si: con la formazione nell'uno e nell'altro caso di situazioni di irreversimlità,di
situazioni cioè in cui il recupero dello stato di parità comporta (per chi lo vo-
glia perseguire) tempi più o meno lunghi e/ o costi più o meno elevati, senza
comunque garanzia di successo.
Alcune di esse sono figlie del timing;.chi lancia ad esempio per primo un
prodotto si costruisce talora una marca di grande valore senza quasi investire
in pubblicità, ma si può trovare talaltra in condizioni di svantaggio rispetto a
un followerche riesca a mettere sul mercato un prodotto simile senza incorre-
re nei costi di ricerca da esso sostenuti.
Alcune di esse si formano naturalmente, come la reputazione di un'impre-
sa di consulenza o un know-howmaturato con il fare, mentre altre richiedono
investimenti massicci in comunicazione o in ricerca sviluppo. e
La disponibilità di risorse "critiche" a favore è spesso alla base di effetti mol-
tiplicativi. Nel senso che, generando attrattività, essa crea domanda addizio-
nale e volumi crescenti di vendita, che possono tradursi in vantaggi di scala in
una o più attività diverse e quindi in differenziali di costo: che a loro volta pos-
sono essere sfruttati per ridurre i prezzi e/ o per rafforzare l'immagine e/ o
per finanziare progetti di ricerca e sviluppo. E viceversa se le risorse "critiche"
giocano a sfavore.
La presenza di risorse "critiche" può giocare un ruolo importante dal pun-
to di vista della concentrazione, lasciando in vita solo le imprese più forti: con
le ovvie ricadute in termini di barriere ali' entrata, di riduzione della conflit-
tualità interna e di crescita del potere contrattuale nell'ambito della filiera.
5. La competizione I 285

5.8.5Le risorseumane

In alcuni business a più elevata intensità di materiagrigi,a( !Yrainintensive), quali


ad esempio la consulenza finanziaria o strategica o la ricerca biotecnologica
di frontiera, le risorse umane rappresentano le vere e proprie risorse"critiche".
Sono le persone che operano nell'impresa, infatti, che detengono e svilup-
pano il kno11rhowessenziale per la vita dell'impresa stessa e che danno un con-
tributo fondamentale alla formazione della sua reputazionee della sua immagi,-
ne: con un effetto di trascinamento sull'acquisizione dei clienti (per la consu-
lenza) o sul reperimento dei capitali di rischio (per la ricerca biotecnologica).
E non a caso è in questi ambiti che si è introdotto il termine talenti per qualifi-
care le persone con maggiori potenzialità di creazione di valore per l'impresa.
-Ma, anche al di fuori dei business brain intensive, vi è una crescente consa-
pevolezza del ruolo differenzianteche può essere giocato dalla qualità delle ri-
sorse umane e (forse ancor più) dal loro impegno (co1nmitment)nel perseguire
gli obiettivi che l'impresa si pone e nell'indicare nuove strade: in un contesto
in particolare, quale quello dei paesi più sviluppati, in cui la delocalizzazione
dei business più poveri e delle attività più labourintensivee l'automatizzazione e
informatizzazione dei processi che più assorbivano nel passato personale ope-
raio e impiegatizio hanno reso percentualmente sempre più consistente la
quota parte di risorse umane a professionalità elevata e/ o con compiti mana-
geriali e imprenditoriali 7.
L'importanza delle risorse umane come fattore di differenziazione va ricer-
cata anche in una peculiarità che esse presentano rispetto alle altre risorse
materiali e immateriali a disposizione dell'impresa (impianti ecc.): la molto
più elevata estendibilità(stretch) del loro rendimento.
L'effetto "stretch", peraltro, ha raramente un'origine spontanea. Esso richie-
de, per svilupparsi appieno:
• una forte capacità di motivazioneda parte del top management per canaliz-
zare le energie nelle direzioni desiderate, invece che farle consumare in
eccessivi conflitti di potere nell'ambito dell'impresa o impastoiarle in ec-
cessi di burocrazia;
• la presenza di sistemi premianti, di natura monetaria ( stock option, stock
grant ecc.) e/o non monetaria (meccanismi di carriera o comunque di
attribuzione delle responsabilità ecc.) che operino in coerenza.
E l'importanza che il top managementpuò avere nella creazione di valore - deli-
neando le linee di sviluppo, generando spiritodi squadrae riuscendo ad attrarre
talentiche rafforzino la squadra- è palesemente dimostrata dalle reazioni (in ter-
mini di innalzamento o abbassamento delle quotazioni) con cui spesso il merca-
to finanziario accoglie le notizie di cambiamento dei vertici in un'impresa.
I

7. Il discorso non vale per i servizi radicati sul territorio (trasporti, bar e ristoranti, ospedali, assi-
stenza agli anziani ecc.), ove la delocalizzazione non può esistere e ove viceversa si ha una for-
te crescita della presenza di immigrati.
286 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

5.8.6 La localizzazione

La localizzazione-di un impianto di raffinazione nelle prossimità di un porto


dove possano attraccare le petroliere o di una fabbrica di mattoni in prossi-
mità delle aree di utilizzo (data l'elevata incidenza del costo di trasporto sul
totale) o di un esercizio di fast food all'interno di un'area commerciale a eleva-
ta frequentazione o di un team di progettazione di un'impresa microelettroni-
ca nella Silicon Vall,ey(ricca di risorse umane con competenze di frontiera e di
fornitori all'avanguardia in grado di fungere da partner nella progettazione
stessa) - rappresenta in diversi casi una scelta obbligata per l'impresa: per
l'impatto determinante che essa può avere sul costo (come nel caso della fab-
brica di mattoni) o sull'attrattività (come nel caso del fast food o del team di
progettazione) o sulla stessa realizzabilità dell'attività (come nel caso dell'im-
pianto di raffinazione).
Laddove la localizzazione sia strategicamente rilevante ma esista un limite-
naturale o di altra origine (amministrativa ecc.) - al numero massimo di com-
petitori che possono insediare la loro attività nei luoghi più favorevoli, la loca-
lizzazione stessa si può trasformare in un fattore differenziante e allo stesso
tempo in una barriera rispetto a potenziali nuovi entranti.
Un qualcosa di simile accade quando il costo della localizzazione risente in
maniera significativa del timing (ad esempio per l'aumento sensibile dei prezzi
delle aree) - awantaggiando le imprese insediatesi nel passato più lontano ri-
spetto a quelle insediate di recente o che intendano farlo - o quando il tempo
necessario per accedere a una localizzazione "critica" (che necessiti ad esem-
pio di una licenza pubblica) è particolarmente lungo o indefinito a priori.

Le difficoltà da superare e i tempi necessari per costruire una rete di esercizi di fast food con
localizzazioni adeguate - nelle aree ad alta densità di uffici, nei centri commerciali, nei pun-
ti di servizio autostradali ecc. - sono state alla base della scelta del leader mondiale MdJ~
nald's di entrare nei paesi ove non era presente acquisendo ad alto prezzo una rete già esi-
stente (in Italia i Burghy's del gruppo Cremonini), invece che costruendone da zero una
nuova.

La localizzazione gioca d'altra parte un ruolo di estrema rilevanza in tutte


quelle areedi businessove la competizione è aperta - a seguito della riduzione
delle barriere doganali o della formazione di zone di libero scambio - a im-
prese che hanno la loro base,e talora (almeno all'inizio) tutte le loro attività,
in paesi diversi: caratterizzati da differenze talora prof onde nel costo e nella
produttività del lavoro, nei sistemi fiscali e previdenziali, nelle infrastrutture,
nelle reti locali di imprese e quindi nella disponibilità di reperire in locoforni-
tori di beni e servizi.
Non esiste in questo caso un problema di vincoli esternialla localizzazione,
ma piuttosto un problema di storia delle imprese e di difficoltà umana e psicolo-
gi,ca- oltre che di costi - a trasferire le loro attività (almeno in parte) nelle
5. La com petizione I 28 7

aree geo-politiche ove le condizioni sono più convenienti o nel ricorrere al-
1'outsourcingda tali aree, pena l'eliminazione dal mercato.
In alcuni casi le convenienze sono così differenziate per paese - in relazio-
ne a determinate attività - che tutte le imprese che competono in un'area di
businessscelgono, per tali attività, le n1edesime localizzazioni.

Un paese ad esempio ove convergono le imprese di tutto il mondo produttrici di software è


l'India, caratterizzata dalla presenza di programmatori di ottimo livello a basso costo (in fase
però di crescita): l'accesso in questo caso è particolarmente facile, perché le interconnessio-
ni possono essere effettuate \ia rete.E un qualcosa di simile avviene anche per il comparto
delle società di ingegneria, per tutte quelle attività di progettazione che possano essere stan-
dardizzate.
Un caso curioso e ormai datato è quello del comparto delle racchette da tennis, ove i pro-
duttori storici europei e statunitensi continuano a controllare il mercato internazionale con
i loro brand, ma ove la produzione è stata delocalizzata ormai da lungo tempo da tutti - soli-
~mente con il ricorso ali' outso-urcingda produttori puri locali- a Taiwan.
E ovvio che se le differenze in negativo con altri paesi - a livello ad esempio di pressione fi-
scale o di regolamentazione ambientale - penalizzano in maniera visibile uno specifico pae-
se, spingendo alla delocalizzazione le sue imprese e scoraggiando gli insediamenti di impre-
se estere, nasce una pressione rilevante verso il riallineamento.

5.8.7I fattori istituzionali

Per business anche di grande rilievo - come quelli della telefonia mobile o
della televisione via etere - la definizione degli attori che possono competere
è in generale nelle mani della pubblica amministrazione, che nel fare le sue
scelte deve tenere conto di vincoli ed esigenze di natura diversa, quali ad
esempio: la scarsità delle bande disponibili piuttosto che la difficoltà di loca-
lizzazione delle antenne; la necessità (in particolare nella telefonia mobile) di
favorire la concorrenza ma anche di rendere possibile ai nuovi entranti il re-
cupero degli elevatissimi investimenti che essi devono sostenere; la necessità
(in particolare nelle televisioni) di contemperare gli aspetti di mercato con il
pluralismo dell'informazione.
Per gli stessi business, e per altri, la pubblica amministrazione o le authority
di settore definiscono in una certa misura (anche o solamente) le armi a di-
sposizione dei competitori per competere: il numero delle reti in campo tele-
visivo, il diritto a operare su determinate rotte e gli slot per le compagnie ae-
ree, le traccein campo ferroviario.
Per business ove la probkmatica ambiental,egiochi un ruolo di rilievo (ad
esempio per la chimica o l'industria petrolifera) le normative ambientali pos-
sono comportare, al di là degli incrementi di costo più o meno scaricabili sui
prezzi, impatti competitivi differenzianti di grande rileva:pza.
E le imprese in generale non subiscono passivamente l'evolvere della norma-
zione, ma si awalgono della loro capacità di lobbying- il termine è utilizzato,
senza connotazioni a priori negative, come sinonimo di legittima rappresentazio-
288 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ne degliinteressiagli occhi di chi deve assumere decisioni - collettivamente o sin-


golarmente: collettivamente, per evitare quegli aspetti delle normative che
hanno un impatto negativo comunea tutti i competitori di un'area di business,
singolarmente, per tiraredalla propriaparte le normative e trasformarle in una
sorgente di vantaggio, ad esempio rendendo obbligatoria anche per i competi-
tori (con i costi di conversione che questo comporta) l'adozione di tecnologie
a minore impatto ambientale che l'impresa ha sviluppato in casae/ o ha già in-
trodotto in occasione della sostituzione per obsolescenza di un impianto.
Per business ove le commessepubblicherappresentino una percentuale molto
elevata dei fatturati complessivi (nella fornitura di armi, nell'industria spazia-
le, nella costruzione di grandi infrastrutture ecc.) o ove gli aiuti pubblici (quali
quelli erogati dall'UE a supporto della ricerca e dell'innovazione) rappresen-
tino talora la precondizione per l'effettuazione di determinati investimenti, la
capacità delle imprese di ottenere commesse e/o aiuti può rappresentare un
differenziale o una barriera all'entrata determinante: soprattutto in quei pae-
si e in quei momenti storici in cui tale capacità è più connessa alla politica che
non all'abilità e all'esperienza.

La situazione attuale nel nostro paese, e in generale nei paesi dell'UE, differisce profonda-
mente da quella del passato: per l'obbligo in vigore dal 1991 di gare comunitarie per tutte le
commesse e appalti pubblici al di sopra di un determinato valore (in assoluto basso) e per il
divieto in vigore ai paesi membri di attuare politiche di sostegno alle imprese, senza esplicita
autorizzazione da parte dell'UE, al di fuori di quelle - come gli aiuti alla ricerca e all'innova-
zione - gestite direttamente a livello UE. Fra le politiche di sostegno nazionali autorizzate, a
complemento di quelle comunitarie, vi possono essere quelle a favore di aree tèrritoriali par-
ticolarmente depresse.

Le commesse pubbliche e gli aiuti pubblici continuano peraltro a rappresenta-


re un discrimine potenzialmente molto rilevante su scala mondiale, in presen-
za della tendenza ad aprire sempre più gli scambi fra i diversi paesi e della dif-
ficoltà peraltro da parte degli organi sovranazionali preposti (quali la WTO-
WorldTradeOrganization)di sanzionare le eventuali violazioni agli accordi.
Nella stessa direzione gioca la diversa permissività delle normative - a livel-
lo formale o di controllo del rispetto - in relazione ad esempio ad aspetti co-
me quelli dell'ambiente e della sicurezza o alla regolamentazione del lavoro
minorile: creando differenziali a favore di chi opera nei paesi più permissivi o
ivi si approvvigiona in outsourcinge mettendo spesso fuo1i mercato chi non si
adegua.

5.9 La competizionee la creazionedi valore

11sistema competitivoin cui l'impresa si trova a operare, in relazione ali' output


e/ o in relazione ai margini, può essere - come già affermato - quanto mai va-
riegato oltre che cangiante nel tempo.
5. La competizione I 289

Dopo avere analizzato nei punti precedenti i meccanismielementariche pre-


siedono alla competizione e che condizionano l'impresa nel perseguimento
del suo fine (almeno in linea di principio) di creare valore, l'obiettivo di que-
sto paragrafo è di mettereinsiemei pezzi, nell'ambito di scenari-tipostilizzatia com-
plessità e articolazione crescente: partendo cioè da ipotesi estremamente re-
strittive e rilassandole o rimuovendole progressivamente.

5.9.1 Loscenario"1":la competizionecon prodottiindifferenziati

Il caso più elementare (scenario-tipo"1 ") è quello in cui l'impresa ha un por-


tafoglio prodotti molto focalizzato - al limite, riprendendo quanto visto in
precedenza, costituito da un sow prodottodestinato a soddisfare un bisognoben
definito e standardizzato di clienti omogenei concentrati in un'area geo-politica
omogenea, passando eventualmente attraverso canali anch'essi omogenei- e
inoltre:
• ha come competitori diretti imprese con la stessa configurazione di out-
put,ma non necessariamente simili per assetto e per dimensione: con un
prodotto percepito come indifferenziatodagli stessiclienti, perché destina-
to a soddisfare lo stessobisogno ben definito e standardizzato, attraverso
gli stessicanali;
• non ha competitori indiretti significativi, per la specificità del bisogno;
• opera in un contesto caratterizzato da: totale trasparenza dei prezzi, defi-
niti ovviamente a parità delle condizioni di vendita (quantità, tempi di
consegna ecc.); totale assenza di discriminazioni e di condizioni privile-
giate di accesso o di trattamento, sia dal punto di vista reale sia da quello
finanziario; assoluta razionalità dei comportamenti, sulla base delle con-
venienze economiche.

L'ipotesi che il prodotto sia percepito come indifferenziato,che sia visto cioè dai clienti (ultimi
e intermedi) come ugualmente idoneo a soddisfare i loro bisogni, è ovviamente un'ipotesi li-
mite, che può avvicinarsi alla realtà in presenza di prodotti i cui standard siano definiti dalla
legge o dalla normativa: anche se pure in questi casi i competitori cercano di sfuggire - at-
traverso l'offerta di servizi complementari - a una logica competitiva che verrebbe a basarsi
solo sul prezzo e che impedirebbe qualsiasi forma di fidelizzazione dei clienti.
La condizione di trasparenza dei prezzi è importante per garantire che non si formino diffe-
renze nei prezzi (a parità di condizioni di vendita), e conseguenti posizioni di rendita a favo-
re di alcuni competitori rispetto agli altri, per la sola presenza di asimmetrieinformative.
La condizione di assenza di discriminazioni e di condizioni privilegiate di accesso o di tratta-
mento è importante per garantire, dal punto di vista reale, che:
• non si formino assi privilegiati di fornitura per ragioni esterne: ad esempio per ragioni
di natura politica, nel caso in cui il cliente sia la pubblica amministrazione, o per ragioni
di interesse di gruppo, nel caso (qui però escluso per le ipotesi fatte) in cui sia il cliente
sia il fornitore facciano capo allo stesso gruppo;
• non esistano restrizioni alla concorrenza legate alla presenza di condizioni di particolare
favore per alcuni dei competitori (concessione in esclusiva di localizzazioni strategica-
mente rilevanti ecc.).
290 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

È importante per garantire, dal punto di vista finanziario, che tutti i competitori siano sogget-
ti alle stesse regole del gioco nell'accesso al capitale di rischio e al capitale di debito: che non
vi siano cioè, ad esempio, competitori che, per possibilità finanziarie degli azionisti e/ o per
relazioni privilegiate con le banche, possano usare la loro maggior disponibilità di danaro - e
quindi il loro minore rischio di fallire - per conquistarsi il mercato con politiche aggressive di
prezzo (non correlate ai costi), espellendo dal mercato stesso anche chi è più efficiente.

In presenza di queste ipotesi limite - che delineano un'arena competitiva, ov-


vero un'area di business,omogenea al suo interno e ben protetta rispetto a mo-
dalità alternative di soddisfazione del bisogno - la tendenza è a un allinea-
mento dei prezzi di vendita: su livelli ovviamente soggetti a variazioni nel tem-
po e comunque sensibili (come visto in precedenza) all'asprezza della compe-
tizione interna, ai rapporti di forza nell'ambito della filiera e alla consistenza
delle barriere all'entrata.
A parità dei prezzi, risultano determinanti - ai fini del valore e della dina-
mica competitiva- i differenzialinei costioperativiunitari (legati agli esborsi cor-
renti e agli ammortamenti) e nelle quantità di capita/,eda remunerare (che
comportano costi effettivi addizionali sotto forma di oneri finanziari, per la
componente di debito, e costi figurativi al tasso k richiesto dal mercato, per la
componente di pertinenza degli azionisti): differenziali che, come visto in
precedenza, possono dipendere a loro volta ad esempio dalla diversa scala
piuttosto che dal divario di esperienzao dal differente ricorsoall'outsourang ri-
spetto ai competitori.
Chi ha i costi unitari complessivi (inclusivi della remunerazione figurativa
del capitale di rischio) più bassi - il cosiddetto /,eaderdi costo- può scegliere se:
• mantenere i prezzi su livelli il più possibile elevati, compatibilmente con
le forze che impattano sulla formazione dei margini: privilegiando il li-
vello dei margini unita-ri (coincidenti nell'ipotesi di prodotto unico con
gli extraprofittiunitari), differenza fra i prezzi stessi e i costi unitari com-
plessivi; oppure
• abbassare i prezzi a livelli tali da espellere dal mercato i competitori che
hanno invece i costi più alti: privilegiando l'incremento di quota, oltre che
l'eventuale incremento nel livello complessivo della domanda (in condi-
zioni di elasticità al prezzo della stessa), e le possibili ricadute positive
che esso può avere - principalmente per il gioco della scala e dell'espe-
rienza - sui costi, mentre chi ha costi superiori a quelli del leader, e allo
stesso tempo non dispone (per ipotesi) di accessi privilegiati al capitale,
ha spazi di movimento ovviamente inferiori.

Il ricorso a una guerra dei prezzi, con il conseguente abbassan1ento degli extraprofitti unitari di
tutti i competitori e il passaggi,oal rossodei più inefficienti di essi, è più frequente nella fase del ci-
clo di vita caratterizzata da una crescita elevata della domanda e in quei comparti ove la scala e
1'esjJerienzagiocano un ruolo rilevante: per l'effetto combinato sulla scala e sull'esperienza stesse
della maggiore quota e dei maggiori volumi complessivi. Lo è molto meno nei mercati saturi,
ove il sacrificio richiesto in termini di mancati profitti può risultare eccessivo rispetto ai vantag-
gi conseguibili.
5. La competizione I 291

Dal punto di vista del valore - se si esclude la prospettiva di discontinuità so-


stanziali (legate a cambiamenti di scenario e/ o a innovazioni rilevanti di pro-
dotto o processo introdotte da uno o più competitori) - le questioni da porsi
in sede di analisi sono numerose e di diversa natura. Tra esse: i differenziali di
costo sono sostenibili nel tempo o hanno carattere transitorio o comunque
possono essere annullati e al limite ribaltati? Le forze che determinano l'attrat-
tività dell'area di business giocano a favore di margini medi elevati oppure ri-
dotti e, in ciascuno dei casi, sono destinate o meno a mantenersi tali nel tem-
po? La concentrazione è elevata oppure è elevato il numero dei competitori
in grado di restare in gara e la loro dimensione allineata verso il basso? La do-
manda complessiva è naturalmente in fase di crescita o di rallentamento o di sa-
turazione o addirittura di declino e vi è meno possibilità di stimolarla - se ela-
stica - riducendo i prezzi?
Sono questioni, queste e altre, che richiedono una valutazione attenta caso
per caso e che spesso vedono l'incidenza dominante di un numero ristretto di
fattori.

Se sono ad esempio la scala e l'esperienza, oppure la presenza di tecnologie di produzione


proprietarie, a fare In differenza, è probabile che:
• i differenziali di costo risultino sostenibili nel tempo: se non insidiati da differenziali in
senso opposto legati alle risorse umane (in particolare allo sfruttamento dello stretch) o
dalla possibilità di spillover,
• la concentrazione sia relativamente elevata, le barriere all'entrata pure e l'asprezza del
confronto interno invece bassa, con riflessi favorevoli positivi sui margini medi: margini
che possono soffrire viceversa della natura (per ipotesi) indifferenziata dei prodotti, ol-
tre che-fra le altre cause-dell'eventuale sproporzione di dimensione a favore dei clien-
ti e/ o dei fornitori.
Se sono la diversa integrazione verticale o la diversa capacità di coordinamento verticale dei
processi a/are la differenza, e questi vantaggi non si trasformano e consolidano in altri (quali
la scala e l'esperienza), è possibile invece che la comprensione da parte dei competitori deb~
li dei loro punti di debolezza porti a un annullamento delle distanze. Similmente, se il van-
taggio- ad esempio di scala-risulta concentrato in un'unica attività, i competitori debolipos-
sono cercare di annullarlo esternalizzando l'attività stessa a un fornitore terzo: un'impresa
autonoma o una joint venture da essi stessi creata.

Se:
• i differenziali risultano sostenibili;
• l'area di business è relativamente concentrata;
• il leader di costo è anche, come spesso accade, leader di quota;
la posizione relativa migliore in termini di valore- nell'ambito dell'area di busi-
ness - è di pertinenza del leader di costo stesso, con gli altri competitori che lo
seguono in fila in ragione del minore o maggiore divario nei costi.
La posizione assoluta di valare - riferita cioè non alla specifica area di busi-
ness ma all'intero mercato finanziario (in cui gli investitori pongono a con-
fronto tutte le imprese indipendentemente dai loro business) - del leader di
costo e dei competitori dipende invece anche (come visto~ dall'intensità della
competizione in senso lato nell'ambito dell'area di business: che sposta verso l'alto
292 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

o verso il basso i margini medi. Ed è molto sensibile nel contempo alla crescita
attesa della domanda, complessiva (riferita cioè all'intera area di business) o, se
esistono differenze, individuale: nei modi evidenziati ad esempio con estrema
chiarezza dalla linea del valore.

5.9.2 Loscenario"2":la differenziazionedei prodottie le sottoareedi business

Per affrontare il caso successivo (scenario-tipo"2"), che fa entrare in gioco l'i-


dea di differenziazionedei prodotti, è opportuno procedere per passi: in modo
da far emergere le implicazioni sulla competizione della rimozione o del rilas-
samento delle singole ipotesi.
Il primo passo - a partire dal caso elementare ("I") analizzato in preceden-
za - è quello di immaginare uno scenario ( "2a ") in cui, man tenendo inaltera-
te le altre ipotesi:
• non risulta più definito a priori un livello standard per tutte le prestazioni
del prodotto percepite come rilevanti dai clienti ai fini della soddisfazio-
ne del bisogno in oggetto (ovviamente se più di una), ma risulta definita
soltanto - almeno per alcune di esse - una soglia minima di accettamlità;
• risulta definito di converso un criterioesplicitoomogeneocon il quale i clienti
I

possono raffrontare, in termini di grado complessivodi soddisfazione,prodot-


ti che differiscono fra loro nelle prestazioni: criterio legato all'importanza
relativa - owero ai pesi- che i clienti attribuiscono alle diverse prestazioni
e ai livelli (comunque non al di sotto della soglia minima) delle stesse;
• risulta altresì definito un criterioesplicitoomogeneoche permette ai clienti,
se il prezzo richiesto dai competitori è diverso, di dare un peso al prezzo
stesso in contrapposizione al grado complessivo di soddisfazione e di ar-
rivare così a esprimere una scala assoluta di preferenze;
• i prodotti offerti dai diversi competitori sono effettivamente differenziati
dal punto di vista delle prestazioni offerte, o comunque percepiti come
differenziati dai clienti, e non sono più (a differenza del caso preceden-
te) indistinguibili.
La competizione si presenta come significativamente diversa rispetto allo sce-
nario-tipo "I". Si possono in particolare venire a trovare allineati, in termini di
scala delle preferenze dei clienti:
• prodotti che differiscono sia nel prezzo sia nel grado complessivo di sod-
disfazione;
• prodotti uguali nel prezzo e nel grado complessivo di soddisfazione, che
privilegiano però prestazioni diverse: nel rispetto comunque delle soglie
minime di accettabilità.
Non si ha conseguentemente un allineamento dei prezzi di vendita, ma piut-
tosto un allineamentodel rapportofra prezzi e prestazioni complRssive,in un contesto
che per ipotesi deve essere caratterizzato da:
5. La competizione I 293

• trasparenza:owero totale visibilità per i clienti dei prezzi e delle prestazio-


ni dei prodotti offerti da ciascun competitore;
• razionalità nellescelte:o,vero capacità da parte dei clienti di valutare i livel-
li delle singole prestazioni e rigido rispetto dei criteri di peso nello stabi-
lire la scala delle preferenze.
Non risultano più solamente co1ne rilevanti, ai fini del valore e della dinamica
competitiva, i costi unitari complessivi: che vengono a dipendere anche dalle
peculiarità dei prodotti offerti dai diversi competitori.
Ma, dal momento che i competitori possono farsi pagare prezzi diversi in re-
lazione a prestazioni diverse - possono cioè ottenere premi di prezzoal crescere
dei livelli delle prestazioni stesse al di sopra delle soglie minime di accettabilità
-1' enfasi viene a essere posta direttamente sui margi,niunitari (coincidenti, nel-
l'ipotesi che ciascun competitore abbia un solo prodotto, con gli extraprofitti
unitan), owero sulle differenze fra i prezzi e i costi complessivi unitari.
Non è più il leader di costo ad avere gli ambiti di movimento più ampi, ma
chi (uno o più) dispone del margine unitario più elevato: che può privilegia-
re il mantenimento a un livello alto del margine stesso; che può puntare vice-
versa a un accrescimento della quota- attraverso l'espulsione dal mercato dei
competitori meno efficienti e/ o attraenti - utilizzando la leva del prezzo e/ o
incrementando l'attrattività (con un connesso incremento, coeterisparibus, del
costo complessivo unitario).
L'analisi dei differenziali, delle loro origini e della loro sostenibilità diventa
più articolata e complessa, perché:
• entra in gioco l'attrattività a fianco del costo, e i diversi fattori che stanno
alla base dei differenziali (scala, esperienza ecc.) devono essere conse-
guentemente guardati nei loro duplici effetti;
• le differenti prestazioni che i competitori vogliono conferire all'output
comportano differenziazioni più o meno rilevanti, a prescindere da qua-
lunque altra causa, negli assetti tecnologico-organizzativi e - in cascata -
nell'infrastrutturazione e organizzazione di almeno parte delle attività,
nonché eventualmente nelle scelte di integrazione verticale e di coordi-
namento verticale dei processi;
• le comparazioni dirette fra attività perdono in larga misura quella signifi-
catività immediata che avevano nello scenario-tipo "I": divari ad esem-
pio nei costi, considerati in quel caso come indicatori di inefficienza,
possono semplicemente riflettere l'esigenza di prestazioni più elevate.
L'area di businessviene a perdere la sua omogeneità.
I competitori tendono infatti ad articolarsi in un numero più o meno eleva-
to di cluster,con confini non sempre netti fra loro: distinti per combinazioni
prezzi-prestazioni complessive e/ o - a parità di prezzi - per tipologia delle
prestazioni rilevanti.
Sono moltissimi i prodotti per cui non esistono livelli standard predefiniti
I
delle prestazioni da rispettare, ma soglie minime di accettabilità:soprattutto
294 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

quando i clienti sono le famiglie, ma anche quando sono le imprese o la pulr


blica amministrazione.

Nell'acquisto ad esempio di un televisore - a parità di numero di po_llici e di potere d'ac-


quisto - possono giocare un ruolo significativo e differenziantenella scelta, accanto al prezzo,
prestazioni quali: la qualità dell'immagine, la qualità dell'audio, l'affidabilità e la durata
dell'apparecchio, l'estetica dell'apparecchio (in funzione del suo inserimento nell'arredo
domestico).
L'ipotesi fatta di esistenza di un criterio omogeneo di peso delle diverse prestazioni-per p~
ter metterein fila sulla base della soddisfazionecomp'-essiva
i modelli di televisore offerti dalle di-
verse case (Sony, Samsung, LG, Philips ecc.) e per poter poi, tenendo conto anche di quanto
si è disposti a pagare in più per una qualità complessiva più elevata, stilare un ordine di prefe-
renza assoluto - rappresenta ovviamente un'ipotesi limite: perché presume che tutti i clienti
abbiano la stessa idea di qualità e siano disposti a pagarla nella stessa misura, ma pure che es-
si siano in grado di valutare nel dettaglio anche le prestazioni meno palesi (quale ad esem-
pio l'affidabilità, per cui spesso vale di più l'immagine di cui gode la casa che non la con~
scenza specifica del prodotto). Ma è sicuramente vero che i clienti- anche se con differenze
al loro interno e nel tempo, con criteri di peso raramente esplicitati e per questo talora irra-
zionali, con un'attenzione alle singole prestazioni che può essere influenzata dalla moda e
dalla pubblicità - si comportano nelle decisioni di acquisto in linea con quanto detto: essen-
do disponibili a pagare un prezzo basso a fronte di prestazioni allineate alle soglie minime;
un prezzo anche sensibilmente più alto per prestazioni uniformemente superiori e prezzi in-
termedi a fronte di profili che privilegino una sola delle prestazioni (l'estetica piuttosto che
la qualità dell'immagine) e mantengano su livelli di soglia le altre .

...
E essenziale, affinché la differenziazione venga presa in considerazione dai
clienti e ripagata (se positiva) con un premiodi prezzo,che i prodotti che la in-
corporano siano distinguibili- visti cioè (come si dice talora) come unici,- e
che i fattori differenzianti vengano percepiti come tali e valutati favorevol-
mente dai clienti.

Differenziali anche molto consistenti, ad esempio nelle prestazioni tecniche, possono essere
- se non adeguatamente comunicati- irrilevanti ai fini di quanto accade sul mercato. Diffe-
renziali nelle prestazioni tecniche, d'altra parte, che comportino un allargamento non ap-
prezzato delle opzioni e una maggiore complessità nell'uso, possono diventare addirittura
controproducenti: come accaduto per i telecomandi dei televisori, ma anche per i videoregi-
stratori o le macchine fotografiche, ove l'irritazione crescente dei clienti ha comportato un
ritornoaUasemplicitàe una connessa limitazione delle opzioni.
I fattori che sono differenzianti in un certo momento storico possono peraltro, come detto,
non esserlo più in periodi successivi e viceversa.
Nei componenti per l'industria meccanica o per l'elettronica di consumo, che devono ri-
spettare le caratteristiche di targa determinate in sede di progetto, fati.aridifferenziantistorica-
mente rilevanti sono stati ad esempio:
• la qualità di conformità (esprimibile con il numero di pezzi per milione che non rispet-
tano l'intervallo di tolleranza predefinito): perl'impatto che essa ha sul numero di scar-
ti di prodotto finito o sulle necessità di rilavorazione, e
• il tempo di risposta all'ordine: per l'impatto sulle scorte minime da tenere in casae quin-
di sull'entità del capitale circolante.
Ma quelli che erano fattori differenzianti negli anni '80 si sono trasformati nel tempo, in
molti casi, in standard da rispettare per rimanere sul mercato, e hanno lasciato spazio a nu~
vi fattori di differenziazione. Le imprese infatti che hanno saputo giocare bene la carta della
qualità e della velocità di fornitura, portando a livelli molto elevati l'una e l'altra,-si sono così
awantaggiate sulle altre da espellerle dal mercato, e i livelli raggiunti sono divenuti sogliemi-
5. La competizione I 295

nime difficilmente migliorabili, nella sostanza standard: rilevanti non più come sorgenti di
differenziali competitivi, ma piuttosto come barriereali' entrata di nuovi competitori.
Sino a pochi anni fa sembrava che questa fosse la situazione anche nei telefoni cellulari (i co-
siddetti te'-efonini):"Sembra essersi ridotta progressivamente la differenziazione basata sulla tec-
nologia, dal momento che tutti i produttori sono in grado di incorporare a prezzi competitivi
avanzate funzioni multimediali come fotocamere e lettori mp3" (da un'intervista al chief desi-
gner di Motorola, riportata in @ljaR Sok 24 Oredel 7.7.2005). Diventano viceversa differenzian-
ti "lo stile del design dei telefonini e il loro aspetto esteriore [che] giocano un ruolo determi-
nante nel processo di decisione dell'acquisto". Con l'introduzione (cfr. paragrafo1.4) dell'iPho-
ne di Appie, parte invece la sostituzione dei cellulari classici con gli srnartphonea prestazioni
sempre più elevate, e la tecnologia - insieme, come visto, a una serie di altri fattori - torna a es-
sere un fattore differenziante (come anche Motorola ha dovuto constatare).

Il passaggio dallo scenario-tipo "2a" a quello "2b", più vicino alla realtà, richie-
de di far cadere:
• l'ipotesi di omogeneitàdei clienti:poco realistica soprattutto quando i clien-
ti sono le famiglie (diverse per potere d'acquisto, composizione ed età
media, status socio-culturale, stili di vita, abitudini ecc.) e le prestazioni
potenzialmente differenzianti sono numerose, e con essa
• l'ipotesi di omogeneitàdelle soglieminime di accettabilità (per le diverse
prestazioni) e dei criteri di pesoutilizzati nella misura del grado complessi-
vo di soddisfazione e nella definizione della scala assoluta di preferenze.
I clusterin cui l'area di businesssi articola tendono, al ridursi dell'omogeneità, a
diventare sempre più le vere arenedella competizione diretta, mentre si ridu-
ce la virulenza della competizione fra imprese facenti capo a clusterdiversi.
Sino ad arrivare alla situazione limite in cui - pur in presenza di prodotti
1nerceologicamente appartenenti alla stessa categoria e lessicalmente qualifi-
cati con la stessa denominazione - la disomogeneità è tale da trasformare i
clusterin areedi businesscompletamente distinte fra loro.

In un comparto merceologico, ad esempio, come quello delle scarpe la competizione si pre-


senta come molto frazionata e la distanza fra cluster è talora tale da portare alla definizione di
areedi businessassolutamente non interagenti fra loro. Le prestazioni distintive possono esse-
re di diversa natura: legate fra l'altro al tipo di uso (passeggio, tempo libero, sport ecc.), al-
l'orientamento alla funzionalità piuttosto che al lusso, alla qualità dei materiali e del design,
all'immagine.
Le soglie minime di accettabilità e i prezzi, se si considerano ad esempio le scarpe da passeg-
gio, sono talmente lontani fra loro - ed è un fenomeno che si presenta in forma analoga in
tutto il comparto dell'abbigliamento - da cancellare sostanzialmente ogni tipo di competi-
zione fra chi ad esempio serve la fascia di lusso e chi opera nella fascia bassa del mercato: an-
che se lo stesso cliente può, in funzione di esigenze diverse, fare acquisti talora anche in una
fascia che non gli è usuale; anche se i differenziali così elevati fra' i prezzi nella fascia alta e in
quella bassa- si può arrivare a multipli dell'ordine di dieci o anche venti volte - potrebbero
diventare non più tollerabili a fronte di cambiamenti negli schemi di valore della società o
nella stessa moda. Si può anche notare che, dal punto di vista dell'allocazione della spesa da
parte di un consumatore con disponibilità elevate che non debba soddisfare bisogni strin-
genti, la scarpa di lusso può trovarsi in maggiore competizione con altri generi di lusso che
non con la scarpa funzionale a basso costo.
Ma anche nell'ambito industriale occorre essere molto attenti, nell'individuazione delle aree
di lntsiness,a non cadere nella trappoladell'affinità merceologica. Un acciaio speciale può tro-
296 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

varsi ad esempio in maggiore competizione con altri materiali a elevate prestazioni che non
con un acciaio generico.

Parallelamente e coerentemente, sempre rimanendo nello scenari~tipo "2b",


va fatta cadere l'ipotesi che i competitori competano con un solo prodotto.
Anche se si rimane in un contesto di relativa omogeneità (merceologica) e
focalizzazione, il portafoglio prodotti di un'impresa comprende infatti usual-
mente - nella realtà - una gamma di prodotti in grado di soddisfare clienti e/ o
bisogni non del tutto allineati ed eventualmente di adattarsi a canali diversi.
Non si può più conseguentemente parlare - anche se si continuerà a farlo
in chiave didascalica - di costi e quindi di margini unitari: perché i prodotti
sono (seppur nell'ambito di una gamma) diversi e perché, essendo una parte
significativa dei costi riferita all'intera gamma o a una parte di essa, è struttu-
ralmente arbitraria (come si vedrà nel seguito) la loro imputazione ai singoli
prodotti.
Il concetto di gamma di prodotti può risultare diverso a seconda che l'impre-
sa e i suoi competitori operino:
• sulla base di un catalogo:producendo per il magazzino e/ ò in risposta al-
i' ordine del cliente nell'ambito di quanto previsto dal catalogo stesso
(ossia su commessa in senso lato); oppure
• su commessain senso proprio: sulla base di esigenze specifiche espresse
dal cliente che richiedano una previa progettazione.
Nel caso infatti in cui l'impresa produca (o faccia produrre) esclusivamente
prodotti a catalogo, la gamma risulta completamente predefinita.
Nel caso invece in cui l'impresa operi (esclusivamente o parzialmente) su
commessa in senso proprio, la gamma assume un carattere potenziale:nel sen-
so che essa viene a comprendere tutti i prodotti realizzabili nell'ambito delle
capacità di progettazione e di produzione a disposizione dell'impresa stessa.
Nei casi intermedi (di importanza sempre maggiore) qualificabili come se-
mistandard o semicustom,che prevedono - per garantire una maggiore poten-
zialità di personalizzazionerispetto ai bisogni senza incorrere nei costi che una
personalizzazione completa comporterebbe - la produzione su commessa a
fronte dell'ordine del cliente e la possibilità di scelta da parte dello stesso nel-
l'ambito di opzioni a catalogo, la gamma è spesso esprimibile come un insie-
me predefinito di modellie di varietà di opzioniofferte per ciascun modello.

Cavanna (46 milioni di ricavi e 300 dipendenti circa nel 2010), tra le imprese leader su scala
mondiale nell'area di business delle macchine e degli impianti di confezionamento per pro-
dotti alimentari, è un tipico esempio di caso intermedio (semicustom). Dispone di un certo
numero di modelli virtuali, caratterizzati in base all'architettura delle macchine e ai livelli stan-
dard di performance, che rappresentano soluzioni progettuali di mas.sima di base (quindi
non prodotti fisici per il magazzino). A partire dai modelli realizza su commessa - con un ele-
vato grado di personalizzazione in funzione delle specifiche esigenze dei clienti - gli impian-
ti di confezionamento, differenziati per tipologie di impiego e per formati dei prodotti da
confezionare. ·
5. La competizione J 297

Per Fiat, come in generale per tutte le case automobilistiche, i modellisono invece completa-
mente predefiniti. O meglio, è predefinita la loro gamma (cresciuta in ampiezza nel tempo)
- orientata a coprire i bisogni diversi espressi da clienti diversi (per potere d'acquisto, stile di
vita ecc.) o dagli stessi clienti in funzione di esigenze diverse (per viaggi lunghi, per sposta-
menti prevalentemente urbani, per membri differenti della famiglia ecc.) - e sono predefi-
nite le (sempre più elevate) opzioni di personalizzazione: quali il colore della carrozzeria,
l'arredamento interno, la presenza o meno dei deflettori o del tettuccio apribile, gli optional
della natura più varia (quali il navigatore, che tende però a diventare sempre più di serie, co-
me accaduto ad esempio in passato per l'aria condizionata), ma prima ancora il tipo di mo-
torizzazione e di alimentazione.
È interessante far notare che proprio l'allargan1ento delle opzioni offerto dalle grandi case,
pur nell'ambito di modelli di produzione su larga scala e quindi con incrementi contenuti
nei prezzi, ha messo praticamente fuori mercato le produzioni cosiddette fuori,seriedei gran-
di carrozzieri che ancora negli anni '70 coprivano nicchie ricche del mercato. È anche inte-
ressante rilevare come la fascia più elevata per caratteristiche di sportività o di comfort, stori-
camente quasi isolata rispetto al resto del mercato automobilistico, abbia visto nel tempo le
imprese esclusivamente operanti in essa (come Ferrari e Rolls-Royce) perdere la loro indi-
pendenza ed entrare nell'ambito di gruppi più grandi presenti nell'intero mercato: in con-
nessione probabilmente con il passaggio da una tecnologia in prevalenza basata sulla mecca-
nica a una in cui l'elettronica ha un ruolo fondamentale, e con sempre maggiore enfasi -
con i relativi costi di ricerca (incompatibili con volumi di vendita limitati) - sulla riduzione
dei consumi e dell'impatto ambientale e sull'aumento della sicurezza.

Parallelamente e coerentemente, sempre rimanendo nello scenario-tipo"2b",


va fatta cadere anche l'ipotesi di omogeneità dei canali.
La stessa impresa può cioè utilizzare canali diversi per:
• raggiungere complementariamente i medesimi clienti finali: nel caso di
uso indifferente dei canali, a seconda del momento e della comodità di
accesso; o
• raggiungere clienti finali in larga misura differenti: nel caso in cui vi sia
un uso preferenziale differenziato dei canali.
Specularmente, l'impresa può scegliere di focalizzarsi - a parità di prodotti e
di bisogni serviti- su uno specifico canale: puntando, attraverso la specializza-
zione, a ridurre i costi e/ o ad aumentare la qualità del servizio nei rispetti dei
competitori che operano in molteplici canali.

Sono significativi i casi delle imprese operanti nei beni di largo consumo - già esistenti o di
nuova costituzione - che, a fronte della crescita di importanza del canale della grande distri-
buzione anche nel nostro paese, hanno fatto la scelta di focalizzarsi su questo canale per con-
quistarsi spazi di mercato: con le implicazioni che tale scelta ha in termini di organizzazione,
investimenti pubblicitari e margini.

Il rilassamento,da un lato, delle ipotesi di omogeneità dei clienti, dei bisogni e


dei canali e la composizionedi output diversa, dall'altro, che le imprese possono
scegliere comportano - in sintesi - un frazionamento della competizione e un
indebolimentodel concetto di area di business.
Specificamente, in presenza di:
• un'articolazione significativa della domanda in segmenti o nicchie, pola-
rizzati per tipologie di clienti e/ o bisogni e/ o canali e/ o scale di prefe-
renza;
298 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• una parallela corrispondentearticolazione in gruppi, in parte distinti, delle


imprese facenti capo in senso lato all'area di lrusiness;
• una o più imprese che operanoa tutto campo, che sono significativamente
presenti cioè in tutte le sottoareeo almeno nelle principali di esse;
è opportuno evidenziare un doppio livello di competizione e distinguere, nel-
l'ambito dell'area di lrusiness,un certo numero di sottoareedi lrusiness.
Le ragioni sono evidenti:
• la competizione diretta tende a svolgersi essenzialmente fra le imprese
che fanno capo alla stessa sottoarea (che appartengono cioè al gruppo
che serve un determinato segmento o nicchia), mentre può tendere a
diventare sempre più indiretta quella con le imprese che fanno capo ad
altre sottoaree;
• il grado di competizione in senso lato delle singole sottoareee di riflesso la
loro attrattività possono essere significativamente diversi: per la diversa
apertura alla concorrenza di prodotti sostitutivi provenienti da altre aree
(in connessione soprattutto con le differenze nei bisogni), per la diversa
consistenza e natura delle barriere all'entrata (che possono per questo
diventare anche barrierealla mobilità delle imprese fra sottoareediverse),
per la diversa asprezza che può contraddistinguere il confronto interno
a ciascuna sottoarea (in funzione della concentrazione ecc.) e il diverso
potere contrattuale nell'ambito della filiera;
• il peso relativo delle singole sottoaree,in competizione indiretta fra loro,
può variare nel tempo: con la possibile morte di alcune di esse e la nasci-
ta di altre nuove, in funzione di eventi esterni ma anche di azioni proat-
tive delle imprese.
Le imprese operanti a tutto campo,in questo contesto:
• offrono una gamma di prodotti molto articolata o comunque una va-
rietà di opzioni tale da tenere conto delle diversità;
• si fronteggiano tra loro in una competizione definita talora multipoint,
con esiti non necessariamente coincidenti, in tutte le sotf(Jaree in cui sono
presenti;
• cercano di battere i competitori focalizzati giocando soprattutto sui van-
taggi di scala.
La numerosità delle sottoareedi lntsinesspuò risultare diversa, in funzione an-
che della consistenza dell'area e della fase del ciclodi vita, e così la loro stabi-
lità nel tempo.
La numerosità è di solito maggiore e le sottoareepiù stabili nella fase di ma-
turità: anche se in taluni casi sono le imprese operanti a tutto campo che dif-
ferenziano il loro portafoglio prodotti per servire i diversi segmenti in cui la
domanda si articola.
Nelle fasi invece di crescita sostenuta della domanda, le sottoaree-se si forma-
no - hanno un carattere in generale più precario: perché la diversa dinamica
delle imprese facenti capo alle stesse e la diversa capacità di sfruttare le possibi-
5. La competizione I 299

lità connesse ad esempio con la scala e l'esperienza possono comportare divari-


caz~O'ni nei c-0stie avvùinamenti nelleprestazianitali da far morire le più deboli.
E interessante notare come, soprattutto nella fase di maturità, anche le aree
di businessa maggiore concentrazione - caratterizzate cioè dalla presenza di
un numero ristretto di imprese con una quota complessiva relativamente alta
-vedano la presenza di sottoaree-nicchia occupate da imprese minori (ma ta-
lora in numero elevato): per la sen1plice ragione che non è nelle convenienze
delle imprese maggiori andare a soddisfare tutti i piccoli rivoli in cui può fra-
zionarsi la domanda, se questo comporta una complessità organizzativa non
in grado di autoripagarsi.
E importante altresì evidenziare che la segmentazione della domanda, e la
conseguente formazione di imprese a portafoglio composito e/o di sottoaree,
non rappresenta un qualcosa di definito e definibile a priori. Ma che essa ri-
sulta essere, in larghissima misura, il risultato di atti proattivi da parte di com-
petitori che scommettono sull'esistenza di bisogni /,atentie che cercano di far-
li emergere - con alterni successi - proponendo al mercato prodotti volti a
soddisfarli (ovviamente con l'obiettivo di ritagliarsi posizioni migliori).
La presenza di più livelli di competizione fa emergere due tipologie di pro-
blemi importanti, che si ripresenteranno nell'analisi delle situazioni a mag-
giore complessità, legate a:
• la disom-0geneità di portafogliofra competitori:nella fattispecie fra chi opera a
tutto campo e chi è focalizzato;
• l' indefinizione a primi di che cosa si debba considerare come area di busi-
ness, ossia come arena della competizione più diretta: con la conseguen-
te soggettivitàche viene a imporsi nella scelta.
La disomogeneità di portafoglio fra i competitori fa entrare in gioco la temati-
ca delle sinergie (o delle disergie) di portafoglio: evidenziate in precedenza co-
me uno dei fattori alla base dei possibili differenziali di costo e/ o di attrattività.
L'impresa in particolare con il portafoglio prodotti più ampio:
• può sfruttare le sinergie di portafoglio per essere più competitiva in cia-
scuna delle sottoaree:sempre che le disergie connesse con la complessità
organizzativa non risultino prevalenti;
• ha maggiori gradi di libertà nella politica di prezzi e/ o nelle scelte dei li-
velli delle prestazioni dei prodotti (con le relative differenze nei costi)
nelle diverse sottoaree.in particolare perché essa, dal momento che il con-
to economico è unico, può cross-finanziarepolitiche aggressive in alcune
sottoaree(volte a conquistare quote di mercato) con i flussi di cassa prove-
nienti dalle sottoareeove il contesto competitivo le è più favorevole;
• può però talora anche soffrire della composizione del suo portafoglio: se
è costretta a essere meno incisiva in una sottoareain cui è forte (a ridurre
ad esempio gli investimenti pubblicitari), dovendo dirottare parte del
flusso di cassa alla copertura di perdite o a interventi comunque di natu-
ra e consistenza straordinaria in altre sottoaree.
300 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

L'indefinizione a prioridelle aree di business mette in luce una situazione che


nella realtà costituisce la norma e non l'eccezione: che trae origine dal fatto
che le areedi businessstesse non sono definibili sulla base di categorizzazioni a
priori standard (quali ad esempio quelle statistiche di Eurostat per i paesi del-
l'UE), ma possono essere viceversa definite e delimitate nei loro contorni solo
guardando alla realtà concreta.
L'indefinizione può essere considerata, e lo si è visto in precedenza, come
un'opportunità importante per le imprese: che - con le loro scelte in termini
di clienti, bisogni, canali e prestazioni dei prodotti - possono in una qualche
misura scegliere il terreno in cui battersi più direttamente (owero la loro o le
loro effettive aree di business) e cercare di modificare il contesto competitivo
più generale.
L'indefinizione rappresenta d'altra parte, owiamente, una difficoltà per
chi voglia analizzare la competizione in chiave di valore. In particolare, dal
momento che:
• le imprese operanti in più sottoareevedono come loro arena competitiva,
ancorché frazionata, l'intera area di business;
• le imprese operanti in una sola sottoareavedono viceversa come loro are-
na competitiva diretta, ancorché soggetta a una concorrenza indiretta
con le al tre, la sottoareastessa;
può risultare opportuno scegliere logiche diverse in funzione delle imprese
oggetto dell'analisi: utilizzando, per le imprese operanti a tutto campo, la defini-
zione di area e di sottoareedi businesstesté data; promuovendo invece ad areedi
business (viste come teatri degli scontri più diretti), per le imprese focalizzate, le
specifiche sottoareecui esse fanno capo e introducendo la nozione di supera1-ea
di business per denotare il contesto di competizione più ampio costituito dal-
l'insieme delle sottoareestesse.
Un'ulteriore difficoltà nella definizione dei confini dell'area di business o
delle sue sottoaree- cui si farà solo un breve cenno - può nascere dal fatto che,
se è vero che lo stesso bisogno può essere soddisfatto da prodotti diversi (e
proprio per tenere conto di questo si è introdotto il concetto di prodotti sosti-
tutivi) , è anche vero che lo stesso prodotto può essere finalizzato alla soddisfa-
zione di bisogni diversi e che sono in generale le imprese che cercano di ac-
crescere le vendite dei loro prodotti attraverso una ridefinizione più ampia (e
una corrispondente comunicazione al mercato) dei possibili utilizzi.
Al crescere dell'apertura dell'area di businesso di sue sottoareeverso areedi bu-
sinessdiverse, per attacchiprovenienti da queste o per offensivecondotte proat-
tivamente dall'interno, il quadro competitivo complessivo owiamente si com-
plica e si possono progressivamente sfumare i suoi confini.

Un libro o un disco, ad esempio, possono risultare in una qualche misura intercambiabili,


per lo stesso acquirente, sia ai fini dell'occupazione del suo tempo liberoche per fare un regalo:
trovandosi in potenziale conflitto, per quest'ultimo bisogno, anche con un mazzo di fiori o
con una torta. Gli editori di libri (ma lo stesso si potrebbe dire per le case discografiche) pos-
5. La competizione J 301

sono vedere l'intercambiabilità come una minaccia, almeno in relazione ai bisogni tempolibe-
ro e regalo,o come un'opportunità (se ne esistono ovviamente le condizioni, a iniziare dai
prezzi) - da perseguire con una scelta opportuna dei testi, con un editing adeguato e con una
pubblicità e una comunicazione coerenti - per appropriarsi di fette di mercato in preceden-
za appannaggio di altri comparti. Se un gruppo di tali editori si specializza sui libri-regalo,
possono nascere ad esempio dubbi quali:
• se la competizione più rile\-~te sia quella interna, fra editori di libri-regalo, o se la diver-
sità dei targetdi clientela scelti dagli editori stessi non rendano poco significativa l'indivi-
duazione di questa come area di business;
• se vi sia una competizione e quanto sia diretta con altre categorie di editori;
• se la competizione più rilevante avvenga invece nell'ambito dell'industria del regalo.

5.9.3Loscenario"3":la vicinanzadei bisognie le superareedi business

L'idea appena discussa che prodotti (o tipologie omogenee di prodotti) an-


che radicalmente diversi possano competere fra loro per soddisfare lo stesso
tipo di bisogni degli stessi clienti, utilizzando gli stessi canali, e che:
• da un lato esistano imprese focalizzate su uno solo di questi prodotti o ti-
pologie di prodotti;
• dall'altro esistano imprese in grado di dare un'offerta completa dei di-
versi prodotti (categorie) mutuamente sostitutivi;
fa in travedere che vi possa essere ( scenari~tipo "Ja '') un livello di com petizio-
ne - al di sopra delle areedi business- fra le imprese a portafoglio composito,
che si somma a quello fra queste ultime e le imprese focalizzate in ciascuna
area di busine.ss.
Può risultare utile per tenere conto di tale livello riprendere la nozione (ac-
cennata in precedenza) di superareadi business:senza dimenticare però che le
singole areedi businesspotrebbero a loro volta essere articolate in sottoareee che
ci si potrebbe quindi trovare di fronte a un triplice livello di competizione.
I vantaggi per le imprese di operare con un portafoglio integrato invece
che focalizzato- cui si contrappongono i problemi di gestire una complessità
più elevata - possono essere di diversa natura. Tra questi:
• l' attrattività più elevata, per la completezza delle alternative di scelta of-
ferte ai clienti;
• la riduzione del livello di rischio,per la minore esposizione ai cambiamen-
ti di preferenze fra i prodotti mutuamente sostitutivi e quindi per l'anda-
mento più stabile nel tempo delle vendite e dei profitti;
• le sinergi,enelle attività di vendita e distribuzione, nella gestione dell'im-
magine e nel marketing in generale: rese possibili dalle comunanzedi ca-
nale e di cliente.
Una situazione simile per certi versi nelle conseguenze a quella testé esamina-
ta - prodotti diversi che soddisfano lo stessobisogno - si ha (scenari~tipo "Jb")
quando invece prodotti con comunanzefra loro vogliono soddisfare bisogni vi-
cini e/ o complementaridegli stessi clienti, utilizzando gli stessi canali.
302 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

L'esistenza di comunanze fra i prodotti rende possibili sinergie anche in at-


tività più a monte (quali la ricerca e sviluppo o la produzione di alcuni com-
ponenti), oltre che in quelle vicine al mercato. Può esservi un differenziale di
attrattività, legato in questo caso all'ampiezza e alla possibile complementarità
della gamma di prodotti offerta invece che alla completezza delle alternative.
E in assenza di tale completezza perde significatività l'effetto di riduzione
del rischio.

Il caso dell'assalto giapponese al mercato USA nell'ambito dei televisori tra la fine degli anni
'70 e i primi anni '80, riportato da Prahalad e Doz nel loro noto lavoro The Multinational Mis-
sion (The Free Press, 1987), è esemplare. Le imprese giapponesi (Matsushita, Sony ecc.) riu-
scirono a rubare una fetta significativa del mercato più rilevante del mondo alle imprese sta-
tunitensi (RCA, Zenith, GE ecc.) - che erano per giunta detentrici dei principali brevetti -
muovendosi non solo in una logica globale invece che locale, ma anche in una logica di fa-
miglia di prodotti elettronici di consumo (videoregistratori in primo luogo, al momento in
fase di introduzione sul mercato) invece che di soli televisori. Ali' area di business relativa ai te-
levisori a colori si venne ad affiancare cioè - come conseguenza delle scelte strategiche delle
imprese giapponesi- la superarea di business relativa ai prodotti elettronici di consumo.
Non sempre muoversi in una logica di superarea risulta però premiante; owero, ciò che è pre-
miante in una particolare contingenza può non esserlo più in una successiva e viceversa. Un
caso interessante è quello della rivoluzione awenuta nel mercato italiano degli impianti per
collettività (cucine, lavanderie ecc., di scuole, ospedali, prigioni, alberghi, ristoranti ecc.) nei
primi anni '80: al tempo dominato da Zanussi Grandi Impianti (società italiana facente capo
al gruppo multinazionale Electrolux), che si era storicamente mossa in una logica di supera-
rea, privilegiando la vendita ai clienti di sistemi integrati - previa consulenza per la progetta-
zione (dimensionamento e lay-out) - in luogo di singoli componenti. La logica di buruilingsi-
no allora vincente, in un mercato in larghissima misura di prima introduzione e caratterizza-
to da una scarsa competenza dei clienti e da una scarsa presenza di consulenti professionali,
perdette progressivamente il suo stesso senso al prevalere nel mercato del bisogno di sostitu-
zione dei singoli componenti (se non più funzionanti o tecnicamente obsoleti): aprendo la
strada a una competizione in prevalenza assata sulle aree di business relative ai singoli compo-
nenti (frigoriferi, forni, lavatrici, asciugatrici ecc.) o a gruppi di essi.

5.9.4 Loscenario"4": le disomogeneità


di portafoglio

Lo scenario-tipo "4" - estremamente diffuso (anche se in forma più o meno


pronunciata) e interpretabile allo stesso tempo come un ampliamento del "2"
o del "3" - centra la sua attenzione sulla competizione che si viene a creare, in
una specifica area di business, fra imprese che hanno portafogli di prodotti dif-
ferenti fra loro:
• alcuni focalizzati sulla sola area in esame;
• altri comprendenti anche prodotti diversi, con comunanze o meno.
Esso guarda come il "2" a ciò che accade in una specifica area di business fra im-
prese che competono con prodotti vicini- più o meno differenziati e in gam-
ma più o meno completa - ipotizzando però che le imprese stesse possano
avere nel loro portafoglio anche altri prodotti.
Esso si distingue dal "3" - che già ipotizza la competizione fra imprese con
prodotti diversi (completamente nel "3a" e con comunanze nel "3b") nel loro
5. La competizione I 303

portafoglio - perché fa cadere l'ipotesi che i prodotti diversi vadano a soddi-


sfare lo stesso bisogno o bisogni simili e/ o complementari.
La competizione fra imprese a composizione differente del portafoglio
comporta, rispetto allo scenario-tipo "2" (che comprende l"'l" come partico-
lare), una serie di possibili distarsioni,alcune delle quali già accennate (ancor-
ché in altri contesti) in precedenza:
• le imprese che hanno nel loro portafoglio prodotti (categorie) con co-
munanze con quelli dell'area di businessin esame possono (come nello
scenario-tipo "3b") sfruttare sinergie in attività a monte rispetto al mer-
cato (nella ricerca e sviluppo, nella produzione, nella logistica ecc.), con
possibili vantaggi rispetto alle imprese focalizzate;
• lo possono fare in particolare quando sono presenti nelle areedi business
a valle e/ o a monte dell'area in oggetto, sono cioè (parzialmente o total-
mente) clienti e/ o fornitrici di se stesse: con i vantaggi, nella gestione e
integrazione dei processi, e i limiti evidenziati in precedenza;
• anche in assenza di comunanze, le imprese a portafoglio composito pos-
sono sfruttare sinergie nell'uso delle risorsegenerali:del danaro in primo
luogo e, con flessibilità minore, delle risorse umane;
• esse possono in particolare (come nello scenario-tipo "2b") effettuare
operazioni di cross-finanziamento,dirottando flussi di cassa da altri busi-
ness a quello considerato; anche se talora (come visto) perdite o neces-
sità finanziarie negli altri business possono provocare drenaggi in senso
opposto;
• esse possono talora considerare la presenza nell'area di business come
funzionale a loro obiettivi di natura differente - ad esempio di immagi,ne
o di compktez:uze compl.ementaritàdellagamma - e di conseguenza non fina-
lizzata a una creazione diretta di valore: con comportamenti conseguen-
ti, nei prezzi e/ o nelle prestazioni offerte, potenzialmente distorsivi della
concorrenza e pericowsiper chi per sopravvivere deve creare valore nel-
1'area stessa.

La presenza in areedi businessdiverse, ad esempio, permette all'impresa di fare da banca a se


stessa: di bilanciare cioè le eccedenze e le carenze -contingenti o legate alla posizione nel ci-
clo di vita - delle diverse unità di business e di lucrare le differenze fra tassi attivi e passivi che
usualmente sono riservate alle banche o ad altre istituzioni finanziarie. Permette all'impresa
una gestione finanziaria su scala più ampia, con un rischio che di solito si riduce in misura
tanto maggiore quanto minore è la correlazione fra i diversi business, e conseguentemente
un accesso più ampio e/ o a condizioni più vantaggiose al capitale di debito.

5.9.5Loscenario"5":le disomogeneitàgeo-politiche

Lo scenario-tipo "5" prende invece in considerazione la dimensione spazial,ee


guarda cosa accade alla competizione, in relazione a uno specifico business,
quando:
304 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

• esiste una significativa disomogeneitàdella domanda per areageo-politica(sta-


to, aggregazione di stati, regione, area urbana ecc.), riconducibile a dif-
ferenze nella tipologia e nelle caratteristiche dei clienti e/ o bisogni e/ o
canali, nelle abitudini di vita e nelle tradizioni, nell'organizzazione del-
1'economia, nelle normative ecc.;
• esistono impresein numero più o meno grande che servonocontemporanea-
mente le diversearee.attraverso intermediari che gestiscono i flussi di im-
port-export o con una presenza diretta in wco, limitata alle attività di ge-
stione del mercato o estesa ad altre attività più a monte; immaginando
per semplicità (ma l'ipotesi è rimovibile) che tutte le imprese- sia quelle
presenti in più aree che quelle geo-politicamente focalizzate - presenti-
no un portafoglio prodotti relativamente omogeneo (non si trovino cioè
nelle condizioni tipiche dello scenario-tipo "4").
Lo scenario-tipo "5" si articola in tre sottocasi:
• "Sa": la competizione si svolge prevalentemente nell'ambito delle singo-
le aree geo-politiche, ma alcuni competitori (in numero limitato) sono
contemporaneamente presenti in più aree;
• "5b": la competizione ha un carattere sostanzialmente globale, con tutti i
competitori globali operantia tutto camponell'ambito del business;
• "Se": la competizione ha un carattere sostanzialmente globale, con alcu-
ni dei competitori globali che si focalizzano su specifici segmenti o nic-
chie globali.
Esso non comprende invece, owiamente, il sottocaso in cui, a fronte di una
disomogeneità fra le aree geo-politiche, risultino completamente distinti (in
violazione della seconda ipotesi) gli insiemi di imprese che servono - diretta-
mente o attraverso intermediari - le diverse aree geo-politiche e siano quindi
completamente isolatil'uno dall'altro i corrispondenti mercati.

Un caso interessante di isola·mentodei mercati, per ragioni di ordine prettamente politico, è


quello relativo ai socia[networke ai motori di ricerca(cfr. paragrafo 1.4): ove imprese come Face-
book, Twitter o Google non possono operare ad esempio in Cina - se non al prezzo di con-
cessioni ritenute inaccettabili relativamente alla privacy- e dove viceversa il loro ruolo è ricer
perto da imprese wcali (valga per tutti il caso Baidu). Può accadere anche che un paese occi-
dentale cerchi di contenere la penetrazione sul proprio mercato, in settori strategicamente
delicati, di imprese ritenute pericolose:è il caso di Huawei, numero due mondiale (alle spalle
della svedese Ericsson) negli apparati per telecomunicazioni con rica,i di circa 28 miliardi di
$ nel 2010 e 110 mila addetti-considerata troppo vicina al governo e al Partito comunista ci-
nese e troppo poco rispettosa della proprietà intellettuale - cui il governo statunitense ha
bloccato fra il 2010 e il 2011 sia un grosso contratto multimilionario con Sprint Nextel (terzo
operatore telecom del paese) sia l'acquisizione di una serie di brevetti da una piccola società
della Silicon Valley.

Lo scenari~tipo "5a" si verifica quando le imprese che servono contempora-


neamente le diverse aree geo-politiche hanno un peso complessivo - nelle
singole aree - significativo ma inferiore a quello delle imprese wcali. Si parla
in questo caso (con un evidente anglicismo) di competizione multidomestica,
5. La competizione I 305

di una competizione cioè in cui gli scontri principali sono quelli che si verifi-
cano a livello delle singole aree geo-politiche - che sono anche areedi business
- e in cui però una o più itnprese si 1nuovono in un'ottica di superarea(come
nello scenario-tipo "3"): cercando di sfruttare alcune sinergie, tipicamente
nelle attività a monte del mercato.

La competizione multidomestirn (cfr. paragrafo 2.3.2) ha caratterizzato diversi comparti dell'e-


conomia, soprattutto a seguito dell'entrata delle imprese statunitensi maggiori - tecnologi-
camente e organizzativamente più avanzate e favorite nel superare le barriere protezionisti-
che allora esistenti dal potere politico acquisito dagli USA con la Seconda guerra mondiale -
sui mercati dei paesi europei (solo successivamente integratisi nel contesto UE) e del Giap-
pone. Uno dei vantaggi maggiori di tali imprese multinazionali, che peraltro si insediavano in
ciascun paese con tutte le attività sia di gestione del mercato che di produzione, era quello di
trasferire i nuovi prodotti dagli USA all'Europa e al Giappone - spesso a conclusione del lo-
ro ciclo di vita- sfruttando (seppur con qualche adattamento) l'attività di ricerca e sviluppo
già svolta e il successivo apprendimento. Essa ha poi ceduto progressivamente il passo a una
competizione più integrata, al cadere delle barriere doganali su scala europea e su scala
mondiale, pur rimanendo in \ita strutturalmente in taluni settori.
Il peso però sempre più forte che stanno assumendo le economie dei paesi emergenti - spes-
so caratterizzate da distanze culturali molto rilevanti e da forme di protezionismo altrettanto
rilevanti - costringe, come visto, le imprese che vogliano essere presenti anche in tali paesi ad
a~umere caratteri e strutturazioni interne che ricordano quelli delle multidornestichedi mezzo
secolo fa. Con una grande differenza però, anch'essa già messa in luce: che la maggiore diver-
sità (culturale, religiosa e politica) pone il dilemma alle imprese maggiori se diventare cosmo-
polite- nella composizione del tojJm.rznagnnent(cfr. schema 2.15) e nella copertura dei nuovi bi-
sogni dei gruppi emergenti nei paesi emergenti (cfr. schema 2. 16) - o se privilegiare l' omoge-
neità, optando per una maggiore focalizzazione del portafoglio prodotti-aree.

Lo scenarù:~tipo"5b" si ha invece quando la natura della competizione si rove-


scia e lo scontro fondamentale diventa quello multipoint a livello global,efra
competitori globali.
I competitori globali possono non trovarsi nelle stesse posizioni relative e
assolute nelle diverse aree geo-politiche: perché non sono necessariamente
presenti ovunque, perché vi può essere una storia differente alle loro spalle
che ne giustifica il peso differente (tipicamente chi ha i suoi headquartersin
una determinata area o vi è insediato da più tempo tende a essere awantag-
giato coeterisparibus rispetto a chi vi è entrato di recente), perché si possono
trovare a fronteggiare competitori localipiù o meno focalizzati rispetto ai biso-
gni del territorio.
Vi è però una forte interdipendenza,connessa con la stessa idea di competizio-
ne globale, fra ciò che avviene in una specifica area geo-politica e ciò che av-
viene nelle altre. Perché i conti economicirilevanti dei competitori globali sono
ovviamente quelli globali, e non quelli relativi alle specifiche aree. Perché i
flussi di cassavengono usualmente - e devono essere - gestiti dai competitori
globali in un'ottica globale.
L'area di businesssi estende in questo sottocaso all'insieme di tutte le aree
geo-politiche su scala mondiale o continentale o subcontinentale (a seconda
dei prodotti e dei momenti storici), con sottoareedi businesscorrispondenti alle
306 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

singole aree geo-politiche: con un rapporto fra imprese globali e imprese lo-
cali simile a quello -visto nello scenario-tipo "2" - fra imprese operanti a tutto
campo e imprese focalizzate.

La tendenza a una competizione globale,fra imprese che tendano anch'esse a essere globali,
ha come presupposto che esista una reale convenienza per le imprese stesse a essere grandi:
che i vantaggi cioè connessi a fattori come la scala o l'esperienza siano superiori ai costi della
complessità. È solitamente, coeterisparibus, particolarmente forte nei comparti più nuovi del-
1'economia, ove non esiste un passato con cui fare i conti dal punto di vista del potere di mer-
cato locale delle imprese esistenti e ove non esistono tradizioni e usi che spingano nel~a dire-
zione della separazione dei mercati (come nei PC, nel software o negli smartphone). E forte
anche nei comparti, se di più vecchia nascita, che abbiano subito trasformazioni tecnologi-
co-funzionali profonde: come nell'industria aeronautica civile, ove solo la statunitense
Boeing e l'europea Airbus erano sopravvissute come competitori globali al crescere dell'im-
portanza - in termini assoluti e in relazione alla domanda mondiale - delle economie di sca-
la e di apprendimento.
È viceversa più debole, o comunque si attenua almeno temporaneamente, in presenza di
una crescita sostenuta (quale quella attuale) dei paesi emergenti: che tendono naturalmente
a favorire lo sviluppo nei loro mercati (anche acquisendo kn011rhowattrav<:_rsojoint ventures)
di campioni locali, con l'idea di farne in futuro possibili campioni globali.~ quanto sta acca-
dendo nell'appena citata industria aeronautica civile, dove l'esplosione della domanda nei
paesi emergenti favorisce l'entrata in gioco di n,uovi attori protetti dai propri governi (come
lo fu peraltro a suo tempo l'Airbus europeo). E quanto probabilmente accadrà nell'indu-
stria automobilistica, se verrà confermata la volontà preannunciata dal governo cinese di ri-
servare alle proprie imprese (eventualmente in partnership con chi porti tecnologie) il futu-
ro mercato delle auto elettriche.
La tendenza a una competizione globalefra imprese globali fatica a decollare anche in pre-
senza di politiche di sostegno più o meno mascherate,da parte dei paesi sviluppati, a industrie
tradizionalmente considerate strategiche - per il loro contributo al PIL e ali' occupazione -
come (ancora) quella automobilistica: politiche che, come visto nella crisi del 2008, permet-
tono di mantenere in vita imprese "morenti" e di resuscitare imprese "morte", frenando così
i processi di concentrazione.
La competizione globalepresenta caratteristiche molto simili a quelle che si leggono sui libri
di storia relativamente alle guerre mondiali. Un'impresa globale, ad esempio, attaccata con
una politica di prezzi particolarmente aggressiva in un'area geo-politica ove ha una posizio-
ne di mercato forte (e ove più elevati sono conseguentemente i danni che le possono deriva-
re da una guerra dei prezzi), può scegliere di portare il contrattacco laddove è in grado di in-
fliggere il danno più pesante all'aggressore, ossia in uno di quelli che vengono talora defini-
ti suoi santuari delprofitto:tentando per questa via di farlo recedere dall'aggressione.
Specularmente, un'impresa che non sia presente nei santuari del profitto dei competitori
globali risulta vulnerabilead attacchi cross-finanziaticon i flussi di cassa provenienti dalle loro
aree-santuario.

Lo scenario-tipo"5c"si ha infine quando, in un contesto di competizione globa-


le, i diversi competitori si differenziano fra loro - analogamente a quanto visto
nel "2b" in un contesto però di omogeneità geo-politica- per il grado di foca-
lizzazione del portafoglio prodotti: quando cioè l'articolazione prevalente in
sottoareedi businessrisulta essere per prodotti e non per aree geo-politiche.

Un caso storicamente significativo è quello, già visto in precedenza, del comparto dell'auto-
mobile, ove - a fronte di una globalizzazione complessiva piuttosto ridotta - esisteva sino a
tempi relativamente recenti una globalizzazione molto più elevata nella fascia alta del mer-
5. La competizione I 307

cato: con imprese come Ferrari, Rolls-Royce, Porsche, Mercedes-Benz e BMWfocalizzate in


tali segmenti su scala mondiale. Il peso a,;;sunto poi dalle nuove tecnologie ha costretto alcu-
ne di tali case - quelle nella fascia altissima - a farsi assorbire in gruppi più grandi e ha co-
stretto le altre, per conseguire livelli di scala che permettessero la sopravvivenza, a estendere
progressivamente verso il basso la loro gamma di prodotti: a entrare cioè nel novero dei pro-
du_ttori a _tutto campo, ancorché mantenendo differenziazioni nelle tipologie di prodotto e
nei prezzi.
Ma sono molto numerosi i casi in cui la focalizzazione di prodotto su scala globale sopravvive
o addirittura si forma ex novo.

La disomogeneità geo-politica tipica dello scenario "5" si somma molto fre-


quentemente alla disomogeneità nella composizione del portafoglio prodotti
tipica del caso "4", dando luogo a un livello di complessità della competizione
ancora più elevato: che è importante segnalare, ma che non può essere qui
trattato per ragioni di brevità.

5.9.6 Laregolamentazione
dellacompetizionee le authority

In nessuno dei casi trattati si è fatto riferimento esplicito alla possibilità di esi-
stenza di regol,edel gi,ocodella co·mpetizioneimposte dal legislatore (cfr. schema
2.11): regole che possono assumere in taluni casi una rilevanza determinante
nel sagomare il contesto competitivo e nel condizionare i comportamenti dei
competitori, e che sono in generale diverse non solo a seconda dei comparti,
ma anche delle aree geo-politiche e dei momenti storici.

Un esempio della rilevanza delle rego/,edel gi,ocoè quello che ha visto l'antitrust dell'Unione
Europea bocciare il 3 luglio 2001- nonostante le forti contestazioni da parte del governo sta-
tunitense-l'acquisizione per circa 43 miliardi di dollari della sta'tunitense Honeywell da par-
te della statunitense General Electric (cfr. sottoparagrafi 1.5.1 e 2.2.3), già approvata dall' anti-
trust statunitense: per la supposta limitazione alla concorrenza sul territorio comunitario che
la fusione delle attività delle due società avrebbe comportato in alcuni comparti in assenza di
"rimedi" (ossia di cessione di pezzi di almeno una delle due nei comparti incriminati).

Un altro scontro di grande rilievo durato molti anni fu quello fra l'antitrust UE e Microsoft,
susseguente a quello fra Microsoft stessa e l'antitrust statunitense: avente come oggetto la
natura discriminante o meno, nei riguardi dei produttori di software specifici, dei sistemi ope-
rativi della "famiglia Windows". "European antitrust regulators (dal }ìnancial Times del
2.10.2006, "Brussels expands Vista inquiry", di Tobias Buck) have expanded their probe into
Microsoft's Vista operating system. [... ] The new concerns are based on complaints from
small European software developers who fear the bundling of these new functions into Vista
will undermine their own products in this area. [ ...] In particular, the regulator is concerned
about the 'bundling' of new features and programs into the operating system. Brussels fears
the addition of an internet search engine and a range of software security features will un-
dermine competition from companies which sell similar products on a stand-alone basis.
[ ...] In March, Ms Kroes [la commissaria UE alla concorrenza] warned Microsoft over its
plans to bundle an internet search engine, a fixed-document reader and security software in-
to Vista. The warning carne only weeks after the Commission received a formai antitrust
complaint against Vista from an alliance of technology groups including IBM, Nokia, Oracle
and Sun". Nel giugno 2007 Microsoft, citata da Google davanti all'antitrust statunitense,
308 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

dovette eliminare il blocco - inserito in Vista - all'utilizzo di sistemi di desktopsearchofferti da


esterni (da Google stessa in primo luogo).

La posizione di potere acquisita da Google nei motori di ricercal'ha fatta successivamente pas-
sare dal ruolo di accusatrice a quello di accusata. "A fresh complaint accusing Google of
abusing its dominant position in the online search market and blocking the development of
rivai search businesses has been filed with the European Union's antitrust watchdog (dal Fi-
nanrial Times del 22.2.2011 ("Google faces fresh search complaint", di Nikki Tait e Richard
Waters). It comes from a French company [ ...], one of three companies that originally filed
complaints against Google with the European Commission last year, that prompted Brussels
to open an in-depth probe against Google, looking at whether the search company gave
preferential treatment to its own services when ranking results and whether its contractual
relationships with advertisers may also bave breached competition rules. [ ...] It comes at a
sensitive time. In another sign of the growing pressure on regulators to subject Google to
greater antitrust scrutiny, a prominent US lawmaker has called on the Department ofjustice
to take a dose look at the company's proposed acquisition of travel search company ITA [ ...],
urging that the proposed deal be reviewed carefully to ensure competition and transparency
will be protected in the online travel industry. [ ...] Google has consistently denied dominat-
ing the online search market, and contested individuai allegations made against it. It said its
behaviour was driven by the desire to give users of its search facilities the best results [ ...] ".

Il controllo pubblico può assumere forme diverse, ed essere esercitato diretta-


mente dalla pubblica amministrazione o affidato - sull'esempio della tradizio-
ne anglosassone - ad authority specifiche (cfr. schema 2.11): che possono come
visto preoccuparsi semplicemente del rispetto da parte dei competitori di re-
gole generali (come l'Isvap, che si preoccupa della solidità patrimoniale delle
imprese assicurative, o la Consob, che si preoccupa della correttezza dei com-
portamenti delle imprese che offrono prodotti finanziari oltre che di quelle
quotate); che possono occuparsi trasversalmentedella salvaguardia della con-
correnza nei diversi comparti dell'economia (come l'antitrust nazionale o co-
munitario) e porre limiti in tal senso ai comportamenti delle imprese; che
possono andare a toccare più profondamente la vita di tutti i giorni in quei
comparti- solitamente figli della rottura dei grandi monopoli statali prima esi-
stenti e dei connessi processi di privatizzazione e libe~izzazione - in cui si ri-
tiene che il mercato non sia strutturalmente in grado di funzionare da solo
(come l' authority per l'energia elettrica e il gas, che arriva addirittura a fissare
i prezzi, o l' authority per le telecomunicazioni).

5.9.7 li cambiamentoe l'innovazione

Nell'analizzare i diversi casi-tipo si è guardato più a come la competizione può


svolgersi una volta che si sia formato il contesto competitivo - si siano definite
cioè le areedi businesse le eventuali sottoareee superaree- che non ai processi di-
namici a forte carattere di discontinuità che portano alla formazione del con-
testo competitivo o alla sua distruzione e trasformazione: e lo si è fatto delibe-
ratamente, privilegiando la prima chiave di lettura rispetto alla seconda.
5. La competizione I 309

È opportuno però ribadire, senza avere lo spazio per approfondire il tema,


la grande importanza delle discontinuitàe del ruolo che le imprese giocano nel
generare tali discontinuità - spesso approfittando di 1nodifiche nel contesto
(nelle abitudini e nei valori, nelle normative, negli accordi commerciali, nelle
tecnologie ecc.) - attraverso strategie volte proattivamente al cambiamento.

La possibilità per le imprese di uscire dalla stagnazione in cui spesso si trovano a operare, in-
dividuando creativamente aree inesplorate di crescita, è al centro del libro di successo Blue
Ocean Strategydi W.C. Kim, R. Mauborgne (Harvard Business School Press, 2005): un libro a
nostro avviso eccessivamente ottimistico, per il risalto che dà ai (limitati) casi di successo - tra
cui quelli di Southwest Airlines, la madre di tutte le ww cost,e di Ikea - rispetto a quelli (molto
più numerosi) di insuccesso; un libro tuttavia che ha il pregio di stimolare le imprese a non vi-
vere in modo rassegnato nella mediocrità (in quelli che vengono denominati red oceans), ma a
pensare in grande e a cercare numi spazi (i cosiddetti blue oceans). "Red oc,eansrepresent ali the
industries in existence today. This is the known market space. Blue oaans denote ali the indu-
stries not in existence today. This is the unknown market space. In the red oaans, industry
boundaries are defined and accepted, and the competitive rules of the game are known.
Here, companies try to outperform their rivals to grab a greater share of existing demand.
As the market space gets crowded, prospects for profits and growth are reduced. Products be-
come commodities, and cutthroat competition turns the red ocean bloody. Blue oaans, in
contrast, are defined by untapped market space, demand creation, and the opportunity for
highly profitable growth. Although some blue oceansare created well beyond existing industry
boundaries, most are created from within red oceans by expanding existing industry bound-
aries. [ ...] Although the term blue oceans is new, their existence is not. They are a feature of
business life, past and present. Look back one hundred years and ask yourself, How many of
today's industries were then unknown? The an~wer: Many industries as ba.sic as automobiles,
music recording, aviation, petrochemicals, health care, and management consulting were un-
heard of or had just begun to emerge at that time. Now turn the dock back only thirty years.
Again, a plethora of multibillion-dollar industri.es jumps out - mutuai funds, celi phones, gas-
fired electricity plants, biotechnology, discount retail, express package delivery, minivans,
snowboards, coffee bars, and home videos, to name a few. Just three decades ago, none of
these industries existed in a meaningful way. Now put the dock forward twenty years - or per-
haps fifty years - and ask yourself how many now unknown industri.es will likely exist then. If
history is any predictor of the future, again the answer is many of them ".

L'innovazione- tecnologica e/ o organizzativa, di prodotto e/ o di processo, al-


l'interno dell'impresa e/ o relativa all'intera filiera - costituisce spesso il "gri-
maldello" con cui si possono rompere gli equilibri costituiti. E talora sono le
imprese nuove, appositamente nate (start-up) o frutto di scorpori (spin-ofj) da
imprese di dimensioni maggiori o da istituzioni accademiche o di ricerca, che
portano avanti le awenture più innovative.
La cresci,taesterna,attraverso acquisizioni di altre imprese e fusioni nell'am-
bito dello stesso business, può essere - soprattutto nei comparti maturi e in as-
senza di innovazioni sostanziali-la modalità alternativa che permette alle im-
prese di aumentare più velocemente le dimensioni e modificare per questa
via il contesto competitivo: crescita che deve essere sorretta da un'elevata ge-
nerazione di cashflowe/o da un'elevata capacità di reperire risorse sul merca-
to finanziario.
L'entrata infine attraverso acquisizioni o per crescita interna in business di-
versi ma compl,ementari(o potenzialmente destinati a diventare tali) - che ri-
310 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

chiede anch'essa una forte capacità finanziaria - può rappresentare un'ulte-


riore modalità per modificare il contesto competitivo: attraverso il passaggio a
una logica di superarea.Un'operazione di segno completamente opposto ri-
spetto a quella più classica, ma tuttora molto utilizzata, di segmentazione e
creazione di sottoareedi business.
Uno sguardo ai casi presentati nel capitolo 1 può aiutare a comprendere
l'importanza delle discontinuità - autogenerate e/ o imposte dal contesto -
nella vita delle imprese e nell'evoluzione della competizione.
Una discontinuità importante nella vita di Procter & Gamble (cfr. paragrafo
1.1) è stata l'acquisizione nel 2005 di Gillette, per 57 miliardi di dollari circa:
importante per il valore relativo della preda rispetto a quello del predatore(pari
a poco più di 130 miliardi di dollari); importante per le dimensioni della pre-
da (10,5 miliardi di dollari di ricavi) e per la sua elevata profittabilità; impor-
tante per il numero di billiondollar &randche si venivano ad aggiungere a quel-
li di P &G, portandola a una posizione di leadership su scala mondiale nei be-
ni di largo consumo che le sarebbe stato difficile conquistare - dato il grado
di maturità del comparto - con una strategia di crescita organica. Molto me-
no appariscente, ma con effetti cumulati negli anni rilevanti, la decisione di
qualche anno prima di giocare la carta della open innovation, con obiettivi an-
nui ben precisi in termini di risultati da conseguire, per evitare la trappola
della stagnazione e del lento degrado.
Almeno due grandi discontinuità - anche queste generate dall'interno -
hanno permesso a De' Longhi (cfr. paragrafo 1.2) di raggiungere la posizione
di leadership su scala internazionale nei piccoli elettrodomestici che ora oc-
cupa: l'entrata di forza nel mercato consumernegli anni '80, con il lancio di un
nuovo prodotto divenuto presto di grande successo - il condizionatore porta-
tile Pinguino- e con il passaggio a una politica di brand attraverso la sponsoriz-
zazione di un team in Formula 1; la grande svolta dei primi anni 2000, con
l'acquisizione di Kenwood, la quotazione in borsa e la delocalizzazione in Ci-
na di larga parte degli impianti produttivi per mantenersi competitiva su scala
internazionale. E lo spin-off annunciato della componente Professionalrappre-
senta la terza grande discontinuità.
La discontinuità nel contesto - con la nascita dell' e-com-merce-è alla base del-
la stessa nascita di Yoox (cfr. paragrafo 1.3), che è cresciuta poi sino alle di-
mensioni attuali con una discontinuità generata dall'interno: l'affiancamento
alla propria attività diretta di boutique virtualRnella moda (fine stagione dei
grandi brand e collezioni ad hoc) di quella indiretta di gestione - attraverso la
propria infrastruttura informatica e logistica - dei siti online dei grandi della
moda (Emporio Armani, Diesel, Dolce & Gabbana ecc.) che si stavano pro-
gressivamente aprendo.
La discontinuità comenormalità appare essere la regola di vita nell'ICT (cfr.
paragrafo 1.4): con l'apparizione di nuove tecnologie che aprono la strada al
cambiamento, ma parallelan1ente con la fantasia creativa delle imprese (esi-
5. La competizione I 311

stenti o nuove) che trasformano le potenzialità in prodotti e che inducono


modifiche negli stessi stili di vita delle persone; con il rirnesco/,arsi
dellecartenel-
1'ambito della competizione, per la frequente caduta dei confini fra settori di-
versi e la conseguente lotta - talora mortale - fra le imprese che ne avevano la
leadership. Abbiamo scelto come paradigmatico il caso Appie (cfr. schema
5.11), per il ritmo impressionante con cui Appie ha generato discontinuità
(più volte richiamate nel testo) - a forte impatto sulla competizione - a parti-
re dai primi anni 2000: un ritmo che ne ha letteralmente moltiplicato il valore
di mercato, ma sulla cui possibile durata spesso lo stesso mercato finanziario si
interroga.
Abbiamo fatto precedere alla discussione sul (mini)casoApple quella su un
caso (cfr. schema 5.1 O) di grande risonanza ali' epoca: la nascita negli anni '80
di Swatch, una famiglia di prodotti e un &randtuttora molto famosi, da quelle
che avrebbero potuto essere le ceneri di un'industria storica famosa come
quella svizzera degli orologi a seguito della discontinuità tecnologica legata al-
l'ingresso dell'elettronica nella misurazione del tempo.

SCHEMA 5.10- Ladiscontinuità:il casoSwatch

"Le imprese miopi spesso perdono di vista l'interazione fra le tecnologie e i significati
commettendo un [...] errore: limitano la loro strategia di innovazione alle sostituzioni
tecnologiche.[...] Sostituiscono una vecchia tecnologia con una nuova, al fine di mi-
gliorare radicalmente la performance o di aggiungere funzionalità ai suoi prodotti, la-
sciando però invariati i significati esistenti.[ ...] Investendo nella tecnologia al quarzo, i
produttori asiatici trasformarono quasi inconsapevolmente il significato degli orologi
in strumenti, nonostante un altro significato quiescente - quello di accessorimoda -
avesse un potenziale maggiore. Nelle sostituzioni tecnologiche le imprese danno per
scontato che la ragione fondamentale per cui le persone comprano e usano un pro-
dotto rimarrà sempre la stessa.[ ...]". È il pensiero di Roberto Verganti8, nella sua inte-
ressante interpretazione di un caso ormai storico: il caso Swatch (5'44 miliardi di€ di
ricavi e quasi 1 di utile netto nel 2010, con una capitalizzazione di borsa a metà 2011di
quasi 19 miliardi di€). Swatch nasce dal fallimento di due dei principali produttori di
orologi svizzeri - ASUAG e SSIH - in un momento particolarmente critico per l'indu-
stria degli orologi svizzera, leader mondiale del comparto.
"[ ...] Following repeated crises in the Swiss watch industry, by the 1970s both ASUAG
and SSIH were once again in trouble. Foreign competition, in particular the Japanese
watch industry, with its mass production of cheap new electronic products and new
technology, was rapidly establishing a strong foothold in the market. Eventually, both

8. Roberto Verganti, Design-DrivenInnovation: Changi,ngthe Ruks of CompetitionbyRadicallylnnova-


ting what Things Mean, Harvard Business Press, 2009; Design-DrivenInnovation: cambiarek regok
della competizioneinnovando radicalmenteil significatodei,prodotti e dei, servizi, Etas, 2009.
312 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

ASUAG and SSIH faced liquidation, and foreign competitors were offering to buy
prestigious brands such as Omega, Longines, Tissot, and others", riporta il sito del
gruppo www.swatchgroup.com. "Nicolas G. Hayek, at the time CEO of Hayek Engi-
neering, [...] recommended a number of measures designed to enable the survival
and ultimate recovery of the companies. Criticai steps included the merger of ASUAG
and SSIH into SMH and the launching of a low-cost, high-tech, artistic and emotional
'second watch' - the Swatch - a slim plastic watch with only 51 components (instead
of the usual 91 parts or more) that combined top quality with a highly affordable price.
lt first went on sale in 1983. Since this time, it has gane on to become the most suc-
cessful wristwatch of all time, and The Swatch Group, the parent company, is the
largest and most dynamic watch company in the world [...]".
L'.ideavincente, assolutamente innovativa e tale da far nascere nel seguito (con il fiori-
re degli imitatori) una vera e propria sottoareadi business,fu quella di affiancare all'i-
dea dell'orologio-gioiello (in cui la Svizzera aveva mantenuto e mantiene tuttora la lea-
dership)e dell'orologio-strumento (che aveva fatto la fortuna delle imprese giapponesi
ma che fu poi surclassato) quella dell'orologio-accessorio moda: un accessorio di cui
possedere più esemplari, da accompagnare - come un paio di se-arpeo una cintura -
a uno specifico abbigliamento; un accessorio soggetto alla moda, con più collezioni
nuove presentate ogni anno. Un accessorio però low cost, in grado di generare grossi
volumi di vendite.
Un accessorio low cost perché, spiega Roberto Verganti, "lo Swatch rappresenta non
solo un'innovazione radicale dei significati, ma anche delle tecnologie. Non solo ha
utilizzato i movimenti al quarzo più nuovi di quel periodo (con un display analogico
[al posto di quello digitale dell'orologio-strumento]), ma ha anche richiesto un cam-
biamento nell'architettura di prodotto. [...] Ciò ha permesso all'azienda di ridurre lo
spessore dell'orologio da più di quattro millimetri a meno di uno, e diminuire il nu-
mero dei componenti da circa 150 (per un orologio analogico convenzionale) a 51.
Questo a sua volta ha reso possibile assemblare ciascuno Swatch in un impianto
completamente automatizzato in soli 67 secondi con un costo di manodopera infe-
riore al 10% del costo totale. Anche la sua struttura era modulare, consentendo ai de-
signer di creare facilmente e velocemente nuove collezioni[ ...)".
"Lo Swatch è sicuramente il trionfo dell'ingegneria. Ma è anche il trionfo dell'im-
maginazione. Se si combina la potenza tecnologica alla fantasia, si crea qualcosa di
veramente unico", è la sintesi di Nicolas G. Hayek, fondatore e sino al 2010 a capo
del gruppo.
È interessante infine osservare come il gruppo abbia mantenuto - e anzi incremen-
tato nel tempo anche attraverso acquisizioni - la sua presenza originaria nell'orolo-
gio-gioiello.Più precisamente, esso si presenta con una gamma di orologi che spa-
ziano dal lusso ai prodotti basic,con i marchi: Breguet, Blancpain, Glashutte Origi-
nai, Jaquet Droz, Omega, Tiffany & Co. e Léon Hatot, nel "prestige and luxury ran-
ge"; Longines, Rado e Union Glashutte, nell'"high range"; Tissot, ck watch & jewelry,
Balmain, Certina, Mido e Hamilton, nel "middle range"; Swatch e Flik Flak, nel "ba-
sic range"; Endura, nel "private label" (produzione di orologi personalizzati per con-
to di società e brand).
5.Lacompetizione I 313

ScH EMA 5.11 - La discontinuitàcome normalità:il casoAppie

"Vi è una discontinuitàche trae la sua origine dal mondo esterno e che può essere ca-
valcatadalle imprese, come quella relativa allo Web2.0 e al socia/networking,e una di-
scontinuitàche viene generata dalle imprese (start-upo già esistenti), cogliendo biso-
gni latenti e/o potenzialità esterne non ancora sfruttate". È l'incipit9 dello schema su
Appie riportato nella scorsa edizione (2007), confermato da quanto avvenuto nei
quattro anni successivi.
"Nata nel 1976 con il persona/computer,Appie ha rappresentato per molti anni - in-
sieme a Sony con il suo videoregistratore Betamax- il tipico caso utilizzato nelle busi-
nessschoolper spiegare come non sempre siano i prodotti più brillantia vincere, ma
come altri fattori (quali la potenza di fuoco della rete commerciale-distributiva, il
brand,la capacità di sfruttare appieno le potenzialità connesse con la scala ecc.) pos-
sano essere determinanti per l'esitodellagara.Appie fu battuta all'epoca nel settore
nascente dei PC dalla 'grande' I BM e in quello del software(nonostante fosse stata
sua l'idea delle finestrelle)dalla 'più astuta' Microsoft, che riuscì a fare del suo Win-
dows - il sistema operativo sviluppato per I BM - una sorta di standard universale. Es-
sa riuscì a restare in vita, rifiutandosi orgogliosamente (sino agli anni più recenti) di
rendere compatibili con Windows i suoi Macintosh, o Mac con il diminutivo di uso
comune, essenzialmente per due ragioni: per la superiorità da tutti riconosciuta dei
Mac nella grafica, che le assicurò il quasi monopolio nella relativa nicchiadi mercato,e
per il mantenimento di un gruppo di fedelissimi,che continuavano a riconoscerle una
qualità delle prestazioni superiori.
All'inizio del nuovo secolo Appie, che ha recuperato come CEO Steve Jobs - uno dei
cc-fondatori in precedenza scacciato - è quindi un'impresa che gode di buona repu-
tazione, ma che non sembra avere davanti a sé un futuro particolarmente brillante. E
qui si colloca il colpo d'ala, la discontinuitàche fa sì che Appie valga attualmente [a
metà 2007] quasi 80 miliardi di €, con meno di 15 di fatturato e 1,5 circa di utile nel
2006, con un multiplo P/E che appare incorporare una elevata aspettativa di crescita.
Nel 2001 Appie lancia l'iPod(mettendone poi sul mercato versioni continuamente di-
verse per dimensioni e prestazioni negli anni successivi) e nel 2003 l'iTunesMusic
Store. ~iPodè come noto un lettore mp3 di brani musicali, con un designaccattivante,
una memoria potente e un softwarecapace di ordinare i brani stessi e di renderne faci-
le l'accesso. È una reinterpretazione del Walkman della Sony, che ne·rinnova il succes-
so a trent'anni di distanza (il numero complessivo di esemplari venduti ha superato
nel 2007 i 100 milioni), che mette insieme con intelligenza e originalità tecnologie tut-
te note. ~iTunesMusic Store è un servizio, quasi subito reso accessibile anche agli
utenti Windows, che - sulla base di un accordo stretto da Appie con le 5 majordisco-
grafiche - rende disponibile su Internet qualsiasi brano musicale al prezzo (negli
USA) di 99 centesimi di $ e qualsiasi album musicale al prezzo di 9,99 $. Il grande
successo, che ha portato nel 2006 a superare il miliardo il numero di brani comples-
sivamenti venduti, premia l'intuizione dell'esistenza di consumatori disposti a pagare
i brani musicali, invece che piratarli,se offerti a un prezzo ragionevole.

9. "La discontinuità: con iPod, iTunes e iPhone Appie cambiapel/,e".


314 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE

~ultimo nato in casa Appie è l'iPhone,che verrà lanciato nella seconda metà del 2007:
un apparecchio, presentato come rivoluzionario, che mette assieme differenti funzio-
nalità (quelle di un cellulare, di una macchina fotografica, di un iPod e di un computer
palmare) e modalità d'uso (quali il touch screen)e che si presenta molto curato nel
design. Anche se solo il futuro potrà dire se il prodotto verrà percepito come sufficien-
temente differenziato in un mercato - quello dei cellulari -tendente alla saturazione e
dominato da un numero ristretto di grandi player(Nokia, Motorola ecc.), iPhonetesti-
monia il nuovo spirito di Appie, orientato all'uso dell'innovazione (nel conceptpiutto-
sto che nella tecnologia) come strumento per allargare continuamente il proprio rag-
gio di azione. Uno spirito che, come visto, ha fatto classificare Appie nel 2007 al pri-
mo· posto assoluto per innovatività nel mondo; uno spirito che ha portato in pochi an-
ni al di sotto del 40% il contributo dei tradizionali Mac, peraltro anch'essi rinnovati e
resi più compatibili con il mondo Windows, al fatturato Appie".

A quattro anni di distanza, a metà 2011,Appie è il secondo gruppo al mondo (cfr. ta-
bella1.2) per valore di mercato, alle spalle di Exxon Mobil: 231,9 miliardi di€ a fronte
di circa 80, con un tasso di crescita che apparirebbe ancora più elevato se si ragionas-
se in dollari. I ricavi sono saliti da meno di 15 a oltre 70 miliardi e l'utile netto si è più
che decuplicato. ~iPhone,con il suo storee le sue apps,si è rivelato la seconda grande
discontinuità:a livello interno, come principale (almeno sino al 2010) motore della
crescita; a livello esterno, rivitalizzando (come visto) un comparto che appariva in sa-
turazione come quello dei cellulari e cambiandone i protagonisti.
"Appie overtakes Nokia in smartphone volumes" era il titolo di un articolo del Finan-
cial Times del 21.7.2011,che spiegava: "Appie was already the biggest smartphone
maker by revenue and profits, but the April-June (2011]period marked the first time it
had surpassed Nokia in volume".
"iPad 2 lifts Appie above forecasts" era il titolo di un articolo del giorno precedente
dello stesso quotidiano, che spiegava; "Appie sold 9.25m iPads during the June quar-
ter, up from 3.3m a year earlier - an increase of 183 per cent. The increase came in spi-
te of acute shortages of the iPad 2, launched in March, due to overwhelming demand
for the tabi et".
~iPad,ad appena tre anni di distanza, ha rappresentato la terza grande discontinuità:
con esso Appie ha creato quasi dal nulla il mercato dei tablet (già apparsi ma senza
successo) e ne è diventato almeno temporaneamente l'assoluto dominatore.
Con una filosofia di fondo (cfr. schema5.3), confermata dal lancio nel 2011 di iC/oudin
sostituzione di un precedente servizio di cloudcomputingnon coronato da successo:
creare un sistema fortemente integrato e sincronizzato dei propri device,apertoai for-
nitori di contenuti e ai realizzatori di apps ma chiusoverso i competitori, capace di in-
vogliare i clienti ad acquistare esclusivamente devicedella casa.
In questa logica è stata ripensata da anni anche la famiglia dei Mac, che ha visto au-
mentare progressivamente la propria quota nel mercato dei PC. In questa logica, al
momento dell'uscita di questo libro, Appie ha proposto una nuova versione del suo
sistema operativo 05 X Lion,che incorpora alcune caratteristiche del software iOS
utilizzato negli iPhonee negli iPad.
Potrà Appie nei prossimi anni continuare a introdurre nuove discontinuitàdella porta-
ta di quelle descritte? È la domanda che si pone il mercato finanziario, che da un lato
5. La competizione I 315

FIGURA 5.8 -Andamento del titolo Appie nel quinquennio2006-2011

350
300

250
200

150
100

_,
__~,~~~~i~~1jtfil,fal~
+112,22% ·-49,60% +132,21% +53,07%
2006 2007 2008 2009 2010 2011

Fonte:FinancialTimes.

ha ridotto notevolmente il multiplo P/E (probabilmente ritenendo che molte delle


aspettative di crescita incorporate nel multiplo del 2007 si siano già verificate) e dal-
l'altro vede aumentare a dismisura le riserve liquide della società.
"Appie has built up a $76.2 billion cash hoard. That's more than the gross domestic
product of 126 countries, including nations such as Ecuador, Bulgaria, Sri Lanka and
Costa Rica, according to data from the World Bank (da The Wa/1StreetJournal del
21.7.2011,"For Appie, a $76 billion dilemma"). Now the question is what the company
intends to do with the money pile. [...] The gigantic sum prompted some investors to
call for it to use some of the cash for dividend payouts. [...] But an Appie spokesman
referred to a long-standing policy as outlined by CEO Steve Jobs: 'We strongly believe
that one or more very strategie opportunities may come along that we can take that
we're in a unique position to take advantage of because of our strong cash position'.
The cash puts Appie at the head of a pack of large technology companies that have
been stockpiling cash in recent years. Microsoft, for example, has built up its cash lev-
els to $60.9 billion [con un debito a lungo termine di 11,9]. Google has $39.1 billion
[con un debito di 3] and Cisco $43.4 billion [con un debito di 16,2]. [...] Appie tends to
be conservative about its cash because of its history, in which the company almost
failed for lack of cash in the 1990s before Mr. Jobs returned to the company that
decade and put it on a growth track [...]".
PARTE SECONDA

L'organizzazione di impresa
La seconda parte del testo affronta il tema della progettazione dell'organizzazione
aziendale, ovvero dei sistemi e delle strutture destinati a rendere coerenti i comporta-
menti individuali con gli obiettivi dell'impresa.
I diversi capitoli di questa parte del testo sono stati concepiti come indipendenti, in
modo da servire come strumento di supporto per chi debba affrontare uno specifico
problema organizzativo (ad esempio: quali attività svolgere internamente all'impresa;
come suddividere i compiti tra individui; come coordinare diversi individui; come va-
lutare l'efficienza di un processo aziendale, come articolare una struttura organizzati-
va). La sequenza tra le diverse parti vuole invece costruire un "flusso logico" attraver-
so il quale procedere per valutare le coerenza complessiv.a di un'organizzazione; in
questo senso, si parte dall'analisi delle attività (capitolo7), da cui si derivano:
• i compiti specificiche devono essere attribuiti agli individui e le relative modalità
di coordinamento (capitolo8 e capitolo9);
• i processi,ovvero la sequenza di attività attraverso i quali l'impresa realizza i pro-
pri obiettivi (capitolo10);
• le strutture, ovvero le modalità con cui raggruppare gli individui che svolgono
una specifica attività in unità organizzative (capitolo11).
6 Dalle decisioni ai risultati: il ruolo dell'organizzazione
di impresa

6.1 Introduzione

Nella prima parte del testo, l'attenzione è stata rivolta all'impresa nel suo
complesso e alle sue decisioni, evidenziando i soggetti che le determinano,
i relativi obiettivi, le diverse alternative disponibili per articolare il business
model, i vincoli e le opportunità del contesto esterno.
Tuttavia, i risultati delle decisioni dell'impresa dipendono dalle azioni
degli individui che vi operano; la capacità di un 'impresa di creare valore
economico non dipende quindi solo dalle sue scelte strategiche, ma anche
dalle 1nodalità di implementazione del suo assetto organizzativo, dalla ca-
pacità cioè di adottare sistemi e strutture che assicurino la massima coeren-
za tra i comportamenti individuali e gli obiettivi dell'impresa. La progetta-
zione dell'assetto organizzativo è un problema complesso, poiché fa riferi-
mento a comportamenti individuali, difficilmente modellizzabili in termi-
ni matematici, e molto articolato; un elenco non esaustivo delle domande
cui bisogna rispondere è il seguente.
• Quali sono le attività necessarie per progettare, realizzare e vendere i
prodotti/ servizi dell'impresa?
• Quali di queste attività devono essere realizzate internamente e quali
affidate all'esterno?
• Come si deve suddividere e coordinare il lavoro dei diversi individui
impegnati nella realizzazione di ciascuna di queste attività?
• Quali competenze sono necessarie?
• Come è possibile assicurare una elevata motivazione degli individui,
in modo da fare "leva" sulle loro capacità?
320 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

• Come assicurare il coordinamento tra le diverse attività?


• Quali relazioni devono esistere tra le unità organizzative responsabili
delle diverse attività?
Come si vede, molte di queste domande sono già state introdotte nella pri-
ma parte del testo; in questa sede, ci si propone di approfondire maggior-
mente le diverse soluzioni operative che consentono a ciascuna impresa,
sulla base del contesto in cui essa opera e del suo posizionamento competi-
tivo, di assicurare la coerenza tra comportamenti individuali e obiettivi
complessivi. Prima di procedere, tuttavia, è opportuno comprendere in
termini generali quali sono le "dimensioni" della progettazione organizza-
tiva e come le scelte a esse relative hanno effetto sulle prestazioni di un 'im-
presa.

6.2 Le dimensionidella progettazioneorganizzativa


"
Le scelte organizzative possono essere raggruppate in cinque "aree", cia-
scuna delle quali corrisponde a una diversa "unità di analisi", cioè a un dif-
ferente modo di "segmentare" l'impresa nel suo complesso. In particolare,
esse comprendono:
• l'individuazione delle attività necessarie per realizzare i prodotti/ser-
vizi ( attività) e delle leve su cui agire per migliorare le prestazioni di
tali attività; si tratta, in altri termini, di comprendere "che cosa" l'im-
presa deve fare e se deve farlo al proprio interno o esternalizzarlo;
• la ripartizione dei compiti che compongono ciascuna attività tra gli in-
dividui che operano nell'impresa; occorre, cioè, suddividere il lavoro
tra le persone e identificare che cosa occorre perché ciascuno possa
operare nel modo migliore;
• il coordinamento tra i diversi individui che. eseguono tali compiti
(gruppo);
• l'integrazione tra le diverse attività per "comporre" i processi azienda-
li, definibili come un insieme di attività finalizzate ad assicurare un
output al cliente (processo);
• l'aggregazione delle attività e degli individui che le realizzano in
"unità organizzative", che è possibile "responsabilizzare" rispetto agli
obiettivi dell'impresa nel suo complesso (strutture organizzative).
Spesso, chi analizza un'organizzazione affronta solo una di queste dimen-
sioni. Un'impresa può ripensare, in un certo periodo, la struttura dei pro-
pri processi, o può dover ridefinire la mansione di un singolo individuo.
Tuttavia, è bene sottolineare che esistono dei legami importanti tra le di-
verse variabili organizzative, che non possono essere ignorati quando si
analizza una di esse. Tali legami sono schematizzati in figura 6.1, dove viene
sottolineato il ruolo baricentrico dell'analisi delle attività, ovvero delle ope-
6. Dalle decisioni ai risultati I 321

F I e u RA 6.1 - Le dimensionidell'analisiorganizzativa

Strutture
Attività Processi
organizzative

D
Individuo/
Gruppo

razioni che si svolgono nell'impresa e delle risorse necessarie alla loro ese-
cuzione. L'attività costituisce la dimensione organizzativa più facilmente
"integrabile" con il posizionamento competitivo dell'impresa e, nel con-
tempo, il '"mattone elementare" dell'analisi organizzativa, a partire dal qua-
le si possono analizzare le altre dimensioni. Infatti:
• innanzi tutto, l'attività identifica le operazioni che devono essere svol-
te in un'organizzazione, in coerenza con il suo posizionamento com-
petitivo. Tali operazioni costituiscono la base per definire gli specifici
compiti da assegnare ai singoli individui o ai gruppi di indivi~ui. Inol-
tre, visto che a ogni attività sono associate le risorse necessarie per la
sua realizzazione e il relativo driver di consumo, l'analisi per attività
consente di "stimare" la quantità di risorse necessarie in un dato pe-
riodo di tempo 1. Infine, dalla descrizione delle attività è possibile
identificare le principali competenze necessarie per la sua esecuzione.
Complessivamente, quindi, una volta note le attività di un 'impresa si
conoscono alcuni dei principali elementi ( quali risorse, con quali
competenze, in quali quantità) richiesti per la progettazione delle po-
sizioni individuali;
• inoltre, dalla conoscenza dei clienti e dei fornitori di ogni attività è pos-
sibile identificare le "catene" di attività legate da relazioni di causa/ ef-
fetto, owero i processi aziendali. La mappatura delle attività consente
quindi di descrivere immediatamente anche i processi dell'impresa;

1. Se ad esempio vengono impiegate 2 persone nell'attività di gestione dei fornitori in un pe-


riodo in cui l'impresa ha 20 fornitori e il numero di fornitori è il driverdi consumo dell'at-
tività, nel caso l'impresa stimi che il numero di fornitori diventi 35 saranno necessarie 3,5
persone per la gestione dell'attività.
322 j L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

• infine, la conoscenza delle risorse, delle competenze e dei flussi di


processo delle attività consente di costruire gruppi di attività tra loro
omogenei (perché condividono le stesse risorse e/ o le stesse compe-
tenze e/ o appartengono agli stessi processi); le persone che operano
in queste attività possono quindi essere razionalmente "raggruppate"
per andare a costituire unità organizzative omogenee al proprio inter-
no. L'analisi delle attività costituisce perciò un importante prerequisi-
to anche per la progettazione della struttura organizzativa di un 'im-
presa.

6.3 Scelte strategichee assetto organizzativo

Nella prima parte del testo si è evidenziato come il "successo" di un'impre-


sa dipenda:
• dalla coerenza tra il contesto in cui essa opera e il suo ~business model
( coerenza esterna);
• dalla coerenza tra le diverse componenti del business model (coerenza in-
terna).
In questa seconda parte, si "enucleano" dal business model le variabili che
descrivono l'assetto organizzativo dell'impresa; queste devono quindi assi-
curare la coerenza interna con le altre componenti del business model, sia in
un dato istante sia in momenti di cambiamento. Specificamente, il vincolo
della coerenza interna implica che:
• in termini statici, un assetto organizzativo non coerente con il posizio-
namento competitivo complessivo si traduca in una riduzione dell'effi-
cacia e dell'efficienza complessiva dell'impresa. Ad esempio, se le com-
petenze degli individui incaricati di un'attività core non sono adeguate,
l'impresa non potrà ottenere da quella attività un vantaggio competiti-
vo; se le modalità di coordinamento adottate privilegiano la ricerca di
efficienza, sarà penalizzata la capacità di risposta dell'impresa;
• in termini dinamici, un'innovazione nel posizionamento competitivo
complessivo richiede in generale, per produrre risultati, un corri-
spondente cambiamento negli assetti organizzativi; così, un'impresa
che decide di passare da una strategia basata sul basso costo di produ-
zione a una strategia basata sull'innovazione dovrà intervenire sulle
competenze del personale, sulle logiche di coordinamento (enfatiz-
zando l'autonomia rispetto alla ricerca di efficienza), sulla struttura
organizzativa. Analogamente, vi sono casi in cui l'assetto organizzativo
di un'impresa crea dei vincoli al cambiamento della posizione compe-
titiva, che non può quindi avvenire in assenza di un preventivo inter-
vento di riorganizzazione.
La relazione tra scelte competitive e assetto organizzativo può essere meglio
6. Dalle decisioni ai risultati I 323

articolata facendo riferimento alle singole dimensioni della progettazione


organizzativa. Se è vero infatti che ciascuna di esse presenta qualche impat-
to su tutte le fonti di differenziale competitivo di un'impresa, è altrettanto
vero che esistono alcune relazioni particolarmente rilevanti.
Le principali prestazioni di un'impresa influenzate dall'assetto organiz-
zativo sono le seguenti:
• efficienza, intesa come capacità di realizzare un mix predefinito di
prodotti/ servizi utilizzando una quantità contenuta di risorse;
• efficacia, ovvero capacità di realizzare prodotti/ servizi coerenti con le
aspettative del mercato;
• capacità di risposta a piccoli cambiamenti (flessibilità operativa), inte-
sa come capacità di rispondere con costi contenuti e tempi limitati a
mutamenti del contesto che non richiedono una modifica del mix di
prodotti/ servizi dell'impresa;
• capacità di risposta a grandi cambiamenti (flessibilità strategica). Si fa
riferimento qui alla capacità di introdurre una nuova linea di prodotti
o di ampliare il portafoglio di prodotti/mercati dell'impresa;
• capacità di innovazione;
• responsabilizzazione, definita come capacità di associare a ciascun in-
dividuo un insieme di prestazioni che dipendono dal suo comporta-
mento, in modo da poter monitorare correttamente i risultati delle
singole articolazioni aziendali;
• sviluppo di competenze, in modo da assicurare un processo di ap-
prendimento nell'impresa.
Nella tabella 6.1 vengono indicate le principali relazioni che esistono tra
ciascuna di esse e le singole dimensioni organizzative (attività, individuo/
gruppo, processo, struttura organizzativa).
Nei capitoli successivi ci si propone di approfondire queste relazioni, ana-
lizzando quali alternative esistano per le diverse scelte organizzative di una

TABELLA 6.1 - Principaliprestazioniinfluenzatedalle singoledimensioni


della progettazioneorganizzativa

Prestazione Attività Individuo/gruppo Processo Strutture

Efficienza X X X X
Efficacia X X X X
Capacità di risposta
a piccoli cambiamenti X X
Capacità di risposta
a grandi cambiamenti X X
Capacità di innovazione X X X
Responsabilizzazione X X X
Sviluppo di competenze X X X
324 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

impresa, quali siano gli effetti di tali alternative e, infine, quali di queste sia-
no maggiormente coerenti con differenti posizionamenti competitivi.

6.4 Organizzazionedei capitoli successivi

I diversi capitoli di questa parte del testo sono stati concepiti come indipen-
denti, in modo da servire come strumento di supporto per chi debba affron-
tare uno specifico problema organizzativo (ad esempio: quali attività svolge-
re internamente all'impresa; come suddividere i compiti tra individui; come
coordinare diversi individui; come valutare l'efficienza di un processo azien-
dale, come articolare una struttura organizzativa); la sequenza tra le diverse
parti vuole invece costruire un "flusso logico" attraverso il quale procedere
per valutare le coerenza complessiva di un'organizzazione; in questo senso,
si parte dall'analisi delle attività ( capitow 7), da cui si derivano:
• i compiti specificiche devono essere attribuiti agli individui e le relative
modalità di coordinamento ( capitow 8 e capitolo 9);
• i processi,ovvero la sequenza di attività attraverso le quali l'impresa rea-
lizza i propri obiettivi ( capitolo 1O);
• le strutture, ovvero le modalità con cui raggruppare gli individui che
... svolgono una specifica attività in unità organizzative ( capitow 11).
E bene sottolineare che, per descrivere questi aspetti, si possono in genera-
le seguire due diverse prospettive:
• quella del progettista organizzativo, che, a partire dalla conoscenza
del business model dell'impresa, identifica l'assetto organizzativo "teori-
camen te ottimale";
• quella dell'analista organizzativo, che parte da un'analisi dell'organiz-
zazione esistente, ne verifica la coerenza con il business model e, infine,
suggerisce interventi migliorativi.
All'interno di questo testo si è deciso di adottare l'una o l'altra di queste
prospettive cercando di porsi dal punto di vista del lettore, il cui obiettivo è
di disporre di una conoscenza di base, non specialistica, del management
aziendale. Nei capitoli relativi alle attività, ai processi aziendali e alle strut-
ture organizzative, quindi, si è adottata la prospettiva dell'analista, in quan-
to il generico "manager" deve essere in grado di comprendere le eventuali
criticità dei processi e delle strutture organizzative in cui è coinvolto; per
chi voglia diventare "progettista" di strutture e processi aziendali, è preferi-
bile fare riferimento a testi specialistici. Al contrario, nei capitoli relativi al-
la posizione individuale e al coordinamento tra gli individui si è adottata la
prospettiva del "progettista", poiché spetta al singolo manager definire i
compiti da affidare agli individui che operano nella propria unità organiz-
zativa e assicurarne il coordinamento.
7 L'attività

7.1 L'attività come unità di analisi organizzativa

In ambito organizzativo, si definisce come "attività" un insieme omogeneo di


operazioni che vengono svolte in un'organizzazione. Un'attività può essere
rappresentata come una sorta di "microimpresa" (figura 7.1), cui possono es-
sere associati:

F I G u RA 7 .1 - L'attivitàcome microimpresa

Risorse Competenze

Fornitori q Attività q Clienti

Risultati Driver
326 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

• input, in termini di:


risorse, intese come tutte le persone, i servizi, le tecnologie, i ma-
teriali utilizzati per realizzare l'attività; nel caso di un'impresa è
importante anche specificare dove le risorse sono localizzate;
competenze, necessarie per svolgere le operazioni che compongo-
no l'attività;
• output, espressi da:
risultati, sia in termini quantitativi (numero di operazioni effettua-
te) sia qualitativi (caratteristiche dell'output ottenuto);
driver di consumo, inteso come l'elemento che spiega l'utilizzo
delle risorse per realizzare l'attività 1;
• localizzazione.
Inoltre, le diverse attività possono essere messe in relazione tra loro, asso-
ciando a ciascuna di esse:
• attività "clienti", interne all'azienda o esterne a essa;
• attività "fornitori", interne all'azienda o esterne a essa.

Gli schemi 7.1 e 7.2 esemplificano due attività, l'una di tipo prettamente
operativo in un'impresa tessile, l'altra di carattere programmatorio, in
un'amministrazione pubblica. Per quest'ultima non vengono identificati
fornitori e clienti visto che costituisce un atto "isolato" all'interno dell'am-
ministrazione.

Se H E MA 7. l - Definizione dell'attività di stampa dei tessuti in un'impresa tessile

Denominazionedell'attività Stampa dei tessuti


Risorse 1 linea di stampa, 5 dipendenti
Competenzecritiche Conoscenza delle tecniche di stampa, conoscenze
chimiche sui processi di colorazione
Fornitori Gestione del magazzino materiali
Clienti Controllo di qualità
Risultato Volume di produzione, difetti/metro
Driver Volume di produzione

1. In alcuni casi, il driver di consumo coincide con la misura quantitativa dei risultati dell 'at-
tività. Ad esempio, nell'attività di setup, il driver di consumo può essere espresso dal nume-
ro di setup effettuati. Esistono tuttavia casi in cui le due grandezze divergono. Ad esempio,
sempre per il sl'lup, si potrebbe utilizzare come dri11erdi consumo il tempo totale di setup.
7. L'attività I 327

Se H E MA 7.2 - Definizione dell'attività di predisposizionedella direttiva (piano


strategico)ministerialeal Ministero dell'interno

Denominazionedell'attività Predisposizione della direttiva


Risorse 3 componenti del collegio di direzione,
4 dipendenti
Competenze critiche Conoscenza dei sistemi di pianifìcazione
e controllo, capacità di negoziazione
Driver Numero di obiettivi assegnati

Come visto nel capitolo 6, l'attività costituisce un "punto di incontro" impor-


tante tra scelte strategiche e progettazione/analisi dell'assetto organizzativo
dell'impresa. "Leggere" l'organizzazione per attività consente quindi di com-
prendere su quali delle sue parti è necessario intervenire in presenza di una
modifica del posizionamento competitivo e di anticipare eventuali problemi
strategici che possono essere indotti da una disfunzione organizzativa 2.

Rispetto ad altre unità di analisi (l'individuo, il prodotto, l'unità organiz-


zativa) l'attività presenta inoltre il vantaggio di essere molto più stabile nel
tempo: in un 'impresa, infatti, gli individui, i modi in cui i compiti vengo-
no ripartiti tra loro, i processi interni, le funzioni e la struttura dell' orga-
nigramma variano molto frequentemente. Tuttavia, questi cambiamenti
solo raramente hanno impatto sul set di attività che quell'impresa svolge:
l'attività di "pagamento degli stipendi", per limitarsi a un esempio, non è
modificata da un cambiamento della strategia dell'impresa o da una ride-
finizione delle responsabilità interne tra diverse unità organizzative; al
contrario, quando un cambiamento "muta" le attività di interesse di
un'impresa, anche le altre variabili organizzative devono normalmente es-
sere "ripensate".
Questo capitolo si propone appunto di presentare le soluzioni operative
per analizzare, in termini organizzativi, le attività di un'impresa. A tal fine:
• dapprima, si discutono le logiche e i metodi attraverso i quali identifi-
care le attività fondamentali che si svolgono in un 'impresa;

2. Così, ad esempio, un 'impresa che voglia sviluppare una strategia di differenziazione basa-
ta su una più aggressiva azione di vendita potrà anticipare gli impatti organizzativi di que-
sta scelta analizzandone le implicazioni su tutte e sole le risorse coinvolte in questa attività;
in modo speculare, una disfunzione negli assetti logistici (un turnover inatteso, una "crisi"
nel sistema informativo, un cambio di fornitore di servizi logistici) avrà un effetto imme-
diatamente percepibile nei differenziali competitivi associati all'attività "logistica" nella
catena del valore.
328 i L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

• successivamente, si presentano le principali analisi che possono essere


condotte sulle attività, al fine di migliorare le performance complessi-
ve di un'impresa, dapprima in .termini generali, quindi con riferimen-
to a specifiche tipologie di attività.

7.2 L'individuazionedelle attività di un'impresa

La definizione di attività come "insieme omogeneo di operazioni" è accet-


tata comunemente; tuttavia, da questa definizione possono derivare rap-
presentazioni molto diverse di ciò che accade in un 'impresa, in funzione
del grado di disaggregazione adottato, ovvero del livello di omogeneità che
deve caratterizzare diverse operazioni per poterle considerare un 'unica at-
tività.
Un esempio emblematico è il modello della catena del valore citato nel
capitolo 5, che individua nell'intera impresa un numero molto ridotto di at-
tività; si tratta di un livello di aggregazione molto "alto", funzionale all'ana-
lisi competitiva, ma eccessivo rispetto alle esigenze dell'analisi organizzati-
va, che deve identificare specifiche attribuzioni di compiti.
In generale, nell'analisi organizzativa si utilizza una definizione molto
più disaggregata di attività: anche qui, tuttavia, esistono soluzioni molto
differenti in funzione degli obiettivi. Si consideri ad esempio un 'isola di
produzione che esegue una lavorazione di taglio; a essa è possibile associa-
re un numero elevato di attività elementari:
• piazzamento del pezzo;
• scelta dell'utensile;
• posizionamento dell'utensile;
• regolazione della macchina;
• lavorazione;

• scarico del pezzo.


O, al contrario, è possibile raggruppare alcune di queste operazioni (piaz-
zamento del pezzo, scelta dell'utensile, posizionamento dell'utensile, rego-
lazione della macchina) in un'unica attività: il setup della macchina.
Ancora, se si sta analizzando la funzione acquisti, si potrà considerare co-
me attività l'intera "gestione dei fornitori", oppure la semplice "telefonata
a un fornitore", con implicazioni molto differenti sul costo dell'analisi e
sulla profondità della stessa.
Non esistono regole di carattere generale per definire "quante" e "quali"
attività individuare in ciascuna organizzazione; si deve, normalmente, te-
ner conto dei seguenti elementi, la cui importanza relativa varia in funzio-
ne della specifica analisi da effettuare:
7. L'attività I 329

• omogeneità interna delle attività individuate;


• entità delle risorse associate a ciascuna attività: le singole attività do-
vrebbero impiegare una quota rilevante delle risorse dell'impresa, per
evitare una eccessiva frammentazione dell'analisi;
• impatto competitivo: attività che sono particolarmente importanti ai
fini della strategia competitiva dell'impresa meritano una maggiore
attenzione. Così, in un'impresa che punta sull'innovazione di prodot-
to le attività di ricerca e progettazione saranno in generale affrontate
a un grado di dettaglio molto superiore rispetto a quelle commerciali;
in un'impresa di largo consumo avverrà normalmente l'opposto.
A titolo esemplificativo, nella figura 7.2 viene presentato un possibile sche-
ma logico per l'individuazione delle attività.
La prima fase consiste in una mappatura "dal basso" delle attività, nor-

F I e u RA 7 .2 - Lo schemadi progettazionedi un sistemadi analisidelle attività

Mappatura delle
attività

i
Costruzione della
curva ABC

i
Analisi delle
competenze
e dei driver per
le attività principali

i
Accorpamento delle
attività principali

i
Attribuzione delle
attività secondarie
330 I L1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

TA s EL LA 7. l - La rilevazionedei costi delle attività

Numerod'ordine Attività1 Attività2 Attività3 Attività4


Dipendente (% applicaz.) (% applicaz.) (% applicaz.) (% applicaz.)

1 20 70 o 20
2 o 40 o 70
3 o 20 o 70
4 10 70 o 30
5 o 50 o 50
7 10 70 o 30
7 o 10 o 90
7 o 40 o 70
9 40 50 o 10
10 o 50 20 30

malmente basata su colloqui con i responsabili aziendali, cui viene richie-


sto di elencare 3 :
• le attività svolte da ciascuna unità organizzativa;
• le risorse attualmente dedicate a tali attività.
Per correlare le risorse alle attività, si può utilizzare una tabella simile alla
tabella 7.1, in cui, per ciascun dipendente, viene evidenziata la percentuale
di tempo dedicata a ciascuna attività; tabelle simili possono essere impiega-
te per gli impianti (normalmente, i costi relativi agli impianti comprendo-
no, oltre agli ammortamenti, anche i materiali di supporto).
Le informazioni così ottenute vengono sintetizzate nella curva ABC (fi-
gura 7.3) dove:
• sull'asse delle ascisse, si riportano le attività, ordinate per valori decre-
scenti di costo;
• sull'asse delle ordinate, si indica la percentuale cumulata dei costi del-
le attività 4 .
Si suddividono quindi le attività aziendali in due gruppi:
• attività principali: sono quelle che, in ciascuna area, spiegano 1'80%
dei costi complessivi. Nel caso il numero risultante sia molto alto, è in
generale opportuno limitarsi alle 10-15 attività più rappresentative,
per evitare una eccessiva frammentazione dell'analisi; il numero delle

3. La mappatura bottom up può essere anticipata da una fase di tipo topdown, nella quale, pre-
valentemente sulla base di materiale documentale e della strategia competitiva dell'im-
presa, ne vengono individuate le principali attività. Questa fase consente di individuare le
attività cui dedicare maggiore attenzione nella successiva fase di tipo bottom. up; inoltre, es-
sa può consentire una validazione dei risultati della mappatura bottom up.
4. L'ascissa corrispondente all'attività n-esima rappresenta quindi l'incidenza percentuale
del costo delle prime n-attività sui costi totali dell'unità.
F I G u RA 7. 3 - La curva ABCdelle attività

120%

100%

80%

60%
Percentuale sui costi
complessivi 40%

20%

0%
1 2 3 4 s 6 7 8

Attività

attività prese in considerazione potrà essere più alto nelle aree che
hanno la maggiore rilevanza competitiva per l'impresa;
• attività secondarie: sono tutte le altre attività.
L'attenzione viene a questo punto rivolta alle sole attività principali, verifi-
cando la possibilità di accorpare gruppi di esse, sulla base del loro grado di
omogeneità 5 . Infine, si riprendono in esame le attività secondarie, ciascu-
na delle quali viene accorpata alla attività principale più simile relativa-
mente agli obiettivi dell'analisi.

7.3 L'analisidelle attività

7.3.1 L'utilitàdell'analisiper attività

La maniera in cui sono organizzate le singole attività di una azienda in-


fluenza in modo specifico, come si è sottolineato nel capitolo 6, l'efficacia,
l'efficienza e la capacità di risposta dell'impresa. Una volta identificate le
attività "importanti" di un'impresa, è quindi possibile cercare di individua-
re le opportunità di miglioramento associate a ciascuna di esse. Tali oppor-
tunità si possono suddividere in:
• opportunità connesse con il "mix di attività" svolte da un 'impresa. È possibi-
le, cioè, talvolta, migliorare le prestazioni di un'impresa "eliminando"

5. A seconda degli obiettivi dell'analisi, ci si potrà basare in questa fase sull'omogeneità nelle
competenze e/o nelle risorse necessarie e/o nei driverdi consumo.
332 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

alcune attività, esternalizzandole o, al contrario, internalizzandole. Si


tratta di azioni che prescindono in generale dalla natura delle attività
analizzate;
• apportunità legate al modo in cui è svolta ciascuna attività. In questo caso,
si tratta di interventi di miglioramento specifici, che potranno richie-
dere un'azione sulle risorse utilizzate per realizzare l'attività (si pensi
a un intervento di informatizzazione, alla ridefinizione delle compe-
tenze delle risorse umane impiegate o alla riprogettazione delle posi-
zioni individuali). In questi casi, in generale, l'analisi delle attività
consente di individuare le "leve" su cui agire, mentre le specifiche
azioni richiedono un intervento sulle altre dimensioni organizzative
(le posizioni individuali, i processi, le unità organizzative).

7.3.2 Il portafogliodi attività

La scelta del mix di attività da realizzare si basa sulla valutaziope della capa-
cità di un'attività di creare valore per il cliente. A tal fine, le attività si divi-
dono in:
• attività a valore aggi,unto;
• attività non a valore aggiunto ( non value added activities).
La definizione del valore aggiunto dall'attività dipende naturalmente dal-
l'opinione del cliente, interno o esterno. In particolare, devono essere
considerate come attività non a valore aggiunto tutte quelle che:
• non hanno un cliente (sono quindi rivolte esclusivamente all'autofun-
zionamento dell'unità);
• o i cui clienti non attribuiscono all'attività alcun beneficio.
L'eliminazione delle attività non a valore aggiunto do\Tebbe perciò consenti-
re una riduzione dei costi dell'azienda, quindi un aumento della sua effi-
cienza, senza avere ripercussioni sul valore percepito dal cliente, quindi sul-
1'efficacia.
Più in generale, è opportuno confrontare il costo di un'attività con il suo
potenziale di creazione di valore economico. Infatti, anche alcune delle at-
tività a valore aggiunto possono assorbire una parte eccessiva delle risorse
dell'impresa. In questi casi, è utile verificare se:
• sia possibile introdurre interventi migliorativi "interni", che consenta-
no di migliorare il rapporto tra i costi e i benefici dell'attività;
• esistano opportunità di "esternalizzare" l'attività, affidandola a imprese
che hanno competenze e risorse che consentono loro di realizzare con
costi inferiori e/ o livello qualitativo superiore l'attività. Negli ultimi an-
ni, questo processo di esternalizzazione è stato particolarmente esteso e
si è tradotto in una complessiva deverticalizzazione delle imprese, che ha
portato a introdurre il concetto di "rete di imprese", per sottolineare co-
7. L'attività I 333
• I

me esistano sempre maggiori connessioni tra le attività svolte da imprese


differenti e come sia sempre più difficile analizzare una singola impresa
in modo indipendente dalle altre con cui essa si trova a interagire 6 .
Si osservi che anche se oggi prevalgono fenomeni di esternalizzazione del-
le attività, in alcuni casi potrebbe essere utile decidere di "internalizzare"
alcune attività attualmente svolte all'esterno.

7.3.3 Le prestazionicritichedelle attività

L'individuazione delle prestazioni critiche di ciascuna attività, al cui mi-


glioramento finalizzare gli interventi organizzativi, si articola in modo dif-
ferente a seconda della tipologia di attività e del modo in cui questa ha ef-
fetto sulla creazione di valore economico dell'impresa.
In questo senso, una prima distinzione è quella tra:
• attività che si focalizzano su uno o pochi "progetti" (ad esempio, la
predisposizione di un nuovo sistema informativo, la definizione di un
accordo di programma) ( attività di tipo progettuale);
• attività prevalentemente ripetitive e comunque ripetute più volte nel
corso dell'anno (la fatturazione, l'help desk di un sistema informativo)
( attività di tipo continuativo).
Le attività di tipo continuativo possono essere ulteriormente distinte tra:
• attività dove prevale la dimensione "qualitativa". Si tratta di attività (ad
esempio l'help desk informatico o le attività di approvvigionamento)
dove non è tanto critico il "numero di operazioni" prodotte, ma il
"modo" con cui vengono realizzate. Il "miglioramento" di questa atti-
vità richiede quindi che si comprendano le prestazioni più importanti
e il modo in cui intervenire su di esse ( attività orientate all'efficacia);
• attività per le quali è prevalente la dimensione "quantitativa". Sono atti-
vità (ad esempio il pagamento degli stipendi) il cui "prodotto" è defi-
nibile in modo chiaro e standardizzato; il "miglioramento" di tali atti-
vità richiede che si intervenga sul livello di efficienza, misurabile attra-
verso il rapporto tra costo delle risorse utilizzate e il volume di attività
svolto ( attività orientate all'efficienza);
• attività caratterizzate sia da una dimensione quantitativa sia da una di-
mensione qualitativa, per le quali si possono combinare le analisi dei
due casi precedenti.
Trascurando l'ultimo caso, che può essere ricondotto ai precedenti, si pos-
sono quindi verificare tre situazioni "elementari":
• attività progettuali;

6. Uno dei testi di base per approfondire il concetto di rete organizzativa è quello di Butera
(1990).
334 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

• attività ripetitive orientate all'efficacia;


• attività ripetitive orientate all'efficienza.
L'assetto organizzativo delle attività di tipo progettual,e incide su tre prestazio-
ni fondamentali:
• il tempo di completamento del progetto;
• il costo del progetto;
• la qualità dell'output del progetto.
È importante sottolineare come tra queste prestazioni esistano normal-
mente dei trade-off ad esempio, per rendere un nuovo sistema informativo
particolarmente funzionale alle esigenze degli utenti (intervenendo quin-
di sulla qualità dell'output), occorre in generale dedicare al progetto più
tempo e una maggiore quantità di risorse.
Sarà quindi necessario identificare anche l'importanza relativa delle di-
verse prestazioni, in modo da individuare quella/ quelle su cui è opportu-
no focalizzare gli sforzi di riprogettazione.
Un secondo elemento importante nasce dalla temporaneità del progetto;
occorrerà tenerne conto in fase di acquisizione delle risorse e delle compe-
tenze necessarie, per evitare che, una volta terminato il progetto, i costi rela-
tivi vengano "caricati" sulle attività ripetitive, riducendone l'effi-cienza.

L'impatto competitivo delle attività orientate all'efficacia è normalmente


espresso dai tempi di risposta, dalla qualità dell'output o dal livello di servi-
zio erogato; ad esempio, l'impatto di un servizio di help desk sui risultati
aziendali sarà misurato dalla capacità di intervenire rapidamente in caso di
chiamate, molto più che dal costo del singolo intervento. Si noti tuttavia
che un aumento dell'efficacia dell'attività può avere ripercussioni sull'effi-
cienza delle attività "clienti", quindi dell'impresa nel suo complesso. Ad
esempio, in presenza di un malfunzionamento della rete informatica, l' ef-
ficacia dell'attività "help desk informatico" ridurrà il tempo in cui le opera-
zioni aziendali restano bloccate, generando una riduzione dei costi di ge-
stione.
In questi casi, l'analisi per attività ha come obiettivo principale l'identifi-
cazione, attraverso l'interazione con i clienti, interni o esterni, dell'attività,
delle dimensioni rilevanti dell'output, owero delle prestazioni critiche al
cui miglioramento finalizzare eventuali interventi di cambiamento orga-
nizzativo. Ad esempio, nel caso di una attività di gestione ordini di acqui-
sto, è il cliente interno a definire l'importanza relativa di prestazioni come
il rispetto dei tempi di consegna, il livello qualitativo della fornitura, il
prezzo di acquisto.

Nelle attività orientate all'efficienza, infine, l'analisi si focalizza sull'individua-


zione delle determinanti dei costi; esse sono in generale riconducibili a:
• il volume di attività;
7. L'attività I 335

TABELLA 7 .2 - Attività e driver

Attività Driver Costo Complessivo Numero di driver Costo per driver

Gestione fornitori Numero di fornitori 960.000 320 3.000


Emissione ordini Ordini 500.000 l 0.000 50

• il costo per driver, ottenuto dividendo il costo delle risorse impiegate


nell'attività per il volume di attività.
Nella tabella 7.2, ad esempio, queste determinanti vengono esplicitate nel
caso di un ufficio acquisti, per il quale sono state individuate due attività: la
"gestione dei fornitori" e !'"emissione degli ordini". Il costo dell'ufficio ac-
quisti può in questo caso diminuire attraverso:
• una riduzione del numero di fornitori;
• una riduzione del numero di ordini;
• una riduzione del costo per gestire un fornitore;
• una riduzione del costo per gestire un ordine.
Se l'analisi organizzativa avviene in un'impresa che adotta un sistema con-
tabile focalizzato sulle attività, è anche possibile stimare in termini quanti-
tativi l'effetto potenziale di un intervento di miglioramento:
• nel caso di una riduzione dei volumi di attività, l'impatto potenziale
sui costi è infatti pari a:

variazione del numero di driver · costo per driver

• nel caso invece di interventi rivolti a diminuire il costo per driver, a:

variazione del costo per driver · numero di driver

Ad esempio, sempre con riferimento al caso della tabella 7.1, una politica
destinata a ridurre del 10% il numero dei fornitori dovrebbe consentire
una contrazione dei costi pari a:

32 · 3.000 = 96.000 €

Al contrario, l'introduzione di un sistema informatizzato di emissione


ordini destinato a ridurre a 40 € il costo di ciascun ordine, dovrebbe tra-
dursi in un risparmio pari a:

10.000 · (50 - 40) = 100.000 €

Al variare delle caratteristiche dell'attività muta quindi il set delle presta-


zioni importanti e il metodo da seguire per identificarle. È bene sottolineare
336 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

i rischi che si corrono nel caso la tipologia di un'attività non venga compresa
correttamente; ad esempio, se si opera, erroneamente, come se l'attività di
"gestione dei fornitori", descritta nell'esempio precedente, presentasse solo
una dimensione "quantitativa", si potrebbe incentivare una diminuzione del
suo costo attraverso una minore attenzione al singolo fornitore, con il risul-
tato di ridurre la qualità della fornitura o di peggiorare i tempi di consegna.
Un esempio è costituito dalla misura delle prestazioni delle ASL; in pas-
sato, esse erano valutate dal Servizio Sanitario Nazionale solo attraverso lo
"sforzo" impiegato, attribuendo un rimborso proporzionale all'occupazio-
ne delle risorse (ad esempio, numero di posti letto occupati) invece che ai
risultati ottenuti. Questa soluzione presentava alcuni problemi:
• nessun "premio" sulla qualità erogata;
• nessun incentivo al miglioramento dell'efficienza; anzi, maggiore era
l'impiego di risorse maggiore era la remunerazione riconosciuta alla
struttura.
Il sistema attualmente utilizzato, quello dei DRG 7, costituisce da questo
punto di vista una forte evoluzione. Di fatto, viene identificato un costo
standard per ciascuna prestazione terapeutica e il relativo rimborso si basa
su tale costo. Di conseguenza, una struttura può migliorare le proprie pre-
stazioni se:
• riduce i costi unitari rispetto allo standard;
• aumenta i propri volumi di attività.
Ambedue questi comportamenti sono correlati a un miglioramento delle
prestazioni "quantitative" dell'attività; il problema nasce immediatamente
dal riconoscimento che le attività mediche non possono essere classificate
come attività per le quali è significativa solo la dimensione quantitativa; <li
fatto, il sistema dei DRG "dimentica" la componente qualitativa dell'azione
sanitaria, con rischi facilmente immaginabili. Proprio per questo si sta cer-
cando oggi di introdurre misure dell'esito dell'intervento, che potrebbero
completare le valutazioni di efficienza.

7.3.4 Le prestazionidelle attività come input all'analisi organizzativa

La conoscenza delle prestazioni critiche delle diverse attività costituisce un


input informativo essenziale per pianificare interventi di miglioramento
che possono riguardare:
• i compiti, le competenze e le risorse di chi opera nell'attività (posizio-
ne individuale), ad esempio: ridefinendo la ripartizione dei compiti

7. Di fatto, la produzione delle ASL viene valorizzata sulla base di tariffe standard in corri-
spondenza a specifiche patologie. Tali "patologie tipo" sono definite Diagnosis Related
Groups (DRG). Per un approfondimento su questo tema, cfr. Longo e Masella (1999).
7. L'attività I 33 7

tra gli individui; innestando nuove competenze o "formando" quelle


già disponibili; aumentando 'il livello di informatizzazione;
• l'organizzazione dei processi, ad esempio nei casi in cui il migliora-
mento dei risultati di un'attività richieda interventi in quelle a monte;
• l'articolazione dell'impresa in unità organizzative, per poter sfruttare
effetti di apprendimento legati alla diffusione delle conoscenze tra
chi opera in attività differente o effetti di scala nell'uso delle risorse.
L'individuazione specifica di questi interventi e il loro legame con la cono-
scenza delle attività dell'impresa e delle loro caratteristiche costituiscono
l'oggetto dei prossimi capitoli.
8 L'individuoe i suoi comportamenti

8.1 Prestazionidell'individuoe prestazionidell'impresa:


uno schemadi riferimento

Alla base delle prestazioni di qualsiasi impresa vi sono i comportamenti degli


individui che vi operano. Tra tutte le risorse a disposizione di un'impresa, in-
fatti, le persone sono quella il cui rendimento può essere maggiormente "dif-
ferenziale", a seconda della capacità del management di motivarle e di met-
ter~e nelle condizioni di operare al meglio 1•
E importante quindi comprendere quali siano i fattori che spiegano il con-
tributo di un individuo alle prestazioni di un'impresa (figura 8.1) e come sia
possibile influire su di essi.
Il risultato del singolo individuo dipende dal suo sforzo,dalla coerenzatra le
sue capacità e le mansioni che gli vengono assegnate e dalla fortuna, intesa co-
me impatto dei fenomeni non direttamente controllabili. La rispondenza del
risultato del singolo individuo agli obiettivi dell'impresa definisce la sua pre-
stazione.
Prescindendo dall'effetto, per sua natura casuale, della fortuna, questo
schema consente di suddividere l'analisi delle leve organizzative individuali in
due diversi gruppi:
• da un lato, i fattori che spiegano lo sforzo dell'individuo nell'attività pro-
fessionale, in termini generali, e la sua disponibilità a orientare tale sfor-
zo in modo coerente con gli obiettivi dell'impresa ( sistemamotivazionale);

1. Sul ruolo competitivo delle risorse umane e sull'estendibilità (stretch) del loro rendimento,
cfr. il paragrafo5.8.5.
340 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

FI e u RA 8.1 - Relazionitra comportamentoe prestazione

Sforzo

Coerenza tra
le capacità Risultati
e le mansioni dell'individuo
assegnate

Fortuna
Prestazione

Obiettivi
dell'impresa

Fonte: Azzone SCG.

• dall'altro, gli elementi che determinano l'allin~amento tra il compito as-


segnato a un individuo e le sue capacità (progettazionedellaposizioneindivi-
dual,e).In altri termini, si vuole analizzare come garantire che, una volta
che l'individuo sia motivato a operare in modo coerente con gli obiettivi
dell'impresa, egli sia messo nelle condizioni di ottenere i risultati attesi.
Questi due elementi non sono ovviamente indipendenti. Se ad esempio a un
individuo vengono assegnati compiti non coerenti con le sue capacità,
egli/ ella sarà naturalmente demotivato:
• nei casi in cui le capacità individuali siano insufp.cienti per i compiti asse-
gnati, per la nascita di un senso di frustrazione;
• nei casi in cui i compiti appaiano troppo banali per le capacità individua-
li, per la sensazione che si stiano sprecando le proprie competenze.

8.2 La motivazione

Lo schema della figura 8.1 permette di articolare il problema motivazionale in


due sottoproblemi. Il primo, che costituisce l'oggetto della teariadell'azione,è
relativo ai modi attraverso i quali incentivare l'impegno dell'individuo nell'at-
tività professionale. Il secondo, affrontato dalla teariadella scelta,analizza i mo-
tivi che spingono l'individuo, una volta che egli abbia deciso di agire, a sce-
8. L'individuo e i suoi comportamenti I 341

gliere tra i diversi comportamenti possibili quello maggiormente coerente


con gli obiettivi dell'impresa.

8.2.1 Leteoriedell'azione

La più nota delle teoriedell'azioneè la teoriadel bisognodi Maslow2, che introdu-


ce una gerarchia tra bisogni primari, legati ali' esistenza e alla sicurezza, e biso-
gni secondari, quali ad esempio stima, autonomia e autorealizzazione. I biso-
gni secondari cominciano a spiegare il comportamento degli individui una
volta che quelli primari siano stati soddisfatti.
Questa evoluzione viene associata a tre diverse teorie comportamentali, la
Teoria X, la Teoria Y e la Teoria Z. La Teoria X considera l'uomo come un in-
dividuo tendenzialmente pigro, con obiettivi propri; il suo comportamento
può essere guidato verso il raggiungimento degli obiettivi dell'impresa solo in
presenza di incentivi di carattere economico, che contribuiscono a soddisfare
i suoi bisogni primari.
La Teoria Y3condivide l'esistenza di obiettivi tendenzialmente distinti tra
individuo e organizzazione, ma ritiene che sia possibile aumentare l'impegno
nei confronti degli obiettivi dell'organizzazione anche attraverso una crescita
dell'autonomia e della fiducia concessa, agendo cioè sui bisogni secondari.
La Teoria z4,infine, sottolinea come sia possibile, anche in assenza di in-
centivi, conciliare gli obiettivi dell'individuo e quelli dell'organizzazione, tra-
mite la creazione di un senso di appartenenza. L'individuo, in questo caso, in-
teriorizza gli obiettivi dell'organizzazione, facendoli propri 5 .

La teoria dei bisogni ha due implicazioni importanti:


• è necessario prestare un'attenzione specifica a ogni individuo, cercando
di comprendere quali specifici "bisogni" siano per lui dominanti e, quin-
di, su quali leve (denaro, benefit, autonomia, senso di appartenenza)
agire per assicurarne la motivazione; se si agisce sulla leva sbagliata, infat-
ti, si rischia di avere un effetto nullo o addirittura controproducente;
• una volta soddisfatti i bisogni primari, l'autonomia e la fiducia costitui-
scono importanti fattori di motivazione. Come vedremo nei paragrafi
successivi, almeno all'interno delle economie evolute, questo ha stimola-
to negli ultimi anni una tendenza a progettare le posizioni individuali ac-
centuando il grado di autonomia e la complessità dei compiti assegnati.

2. Cfr. Maslow (1954).


3. Per una descrizione della Teoria X e della Teoria Y, si veda McGregor ( 1960).
4. Cfr. Ouchi (1981).
5. È opportuno sottolineare come la Teoria Z rischi di generare una elevata omogeneità di
comportamento tra i diversi membri dell'organizzazione, quindi una bassa capacità di
adattamento a cambiamenti di tipo radicale.
342 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

È bene ricordare che la teoria dei bisogni è in grado di spiegare solo parzial-
mente i comportamenti individuali; l'azione dell'individuo dipende infatti
anche in misura rilevante dai suoi contatti sociali all'interno di un'organizza-
zione, sia di tipo orizzontale (coni colleghi di lavoro) sia di tipo verticale (con
i superiori).
Le persone, in particolare, sono stimolate ad agire correttamente quando
sono inserite in gruppi che lavorano intensamente (facilitazione sociale) e
quando si rendono conto dell'esistenza di un feed-back specifico sul loro com-
portamento da parte dei superiori ( apprensione dell,avalutazione). Questi ele-
menti non hanno una implicazione diretta sulla progettazione della posizio-
ne individuale; essi dovranno però essere tenuti presenti nei prossimi capitoli,
quando si analizzeranno le logiche utilizzabili in fase di formazione dei grup-
pi e delle unità organizzative.

8.2.2 Leteoriedella scelta

Una volta che l'individuo abbia deciso di dedicare una parte maggiore delle
proprie energie all'attività lavorativa, occorre cercare di guidarne le scelte in
modo coerente con gli obiettivi dell'impresa. Le principali teorie rivolte ad
analizzare i fattori motivazionali che spiegano le scelte individuali sono: la teo-
ria dell'aspettativa,la teoriadell'equità e la teoriadell,afissazione degli obiettivi.

La teoriadell'aspettativa
La teoriadell'aspettativcPsi basa sull'ipotesi che gli individui siano esseri perfet-
tamente razionali e come tali portati a scegliere, tra i diversi comportamenti
possibili, quello che massimizza i risultati (in termini di riconoscimenti espli-
citi) a parità di sforzo.
Il legame tra riconoscimento/ricompensa e sforzo può essere espresso come:

Ricompensa Ricompensa Prestazione


(8.1)
Sforzo Prestazione Sforzo

La (8.1) evidenzia come le scelte dell'individuo possano derivare dal deside-


rio di incrementare il rapporto:
• tra il riconoscimento esplicito che viene dato alla sua prestazione e la
prestazione stessa (strumentalità); e/ o
• tra l'entità dello sforzo e la prestazione attesa (aspettativa).

6. Cfr. McClellan et al. (1953), Vroom (1964), House (1971), Collins (1982).
8. L'individuo e i suoi comportamenti j 343

La teariadell'equità
Secondo la tearia dell'equità7 , un individuo fornisce all'impresa alcuni input
(sforzo, formazione, esperienze precedenti) a fronte dei quali ottiene dei ri-
sultati, misurati sia da benefici esterni/tangibili (stipendio, promozione, frin-
ge bene.fil)sia da benefici interni/intangibili (autonomia, livello di responsabi-
lità). Esiste una situazione di equilibrio quando l'individuo ritiene che il rap-
porto tra risultati e input assuma un valore sostanzialmente analogo per lui e
per le altre persone che svolgono lo stesso tipo di attività. In caso di situazioni
di squilibrio, l'individuo sceglie comportamenti che tendono a riequilibrare
la situazione.
Nella pratica, normalmente gli individui che ritengono di essere sottovalu-
tati riducono il proprio sforzo; gli individui che invece pensano di essere so-
pravvalutati tendono a riequilibrare la situazione modificando le proprie per-
cezioni: di fatto, ci si autoconvince di avere erroneamente sottovalutato i be-
nefici che il proprio lavoro garantisce ali' organizzazione nel suo complesso.
La teariadell'equitàimplica la necessità di un approccio sistemico alla proget-
tazione del sistema di incentivi. Inoltre, vengono evidenziati i limiti di una so-
pravvalutazione delle prestazioni, talvolta ritenuta, a torto, innocua. Da un la-
to, essa è almeno parzialmente irreversibile, poiché l'individuo che è stato so-
prawalutato tende ad adeguarsi al nuovo rapporto tra prestazioni e sforzi,
quindi percepirebbe un eventuale riallineamento futuro di tale rapporto co-
me una sottovalutazione. Dall'altro lato, si disincentivano indirettamente gli al-
tri componenti dell'organizzazione, che si ritengono trattati in modo iniquo e
quindi tenderanno a riequilibrare la propria percezione riducendo gli sforzi.

La teariadellafissazione degliobiettivi
La teoria della fissazione degliobiettivisostiene che la scelta di come indirizzare i
propri sforzi nei confronti di ogni specifico obiettivo nasce dall'interesse che
quest'ultimo riveste per l'individuo.
La teoria afferma in particolare che l'individuo aumenta la propria motiva-
zione quanto più:

• vengono definiti obiettivi ben precisi;


• gli obiettivi sono stimolanti e difficilmente raggiungibili 8.

7. Cfr. Adams ( 1965).


8. Il tema dell'effetto motivazionale di obiettivi stimolanti ha riscosso negli ultimi anni molta
attenzione in ambito strategico; in particolare, si è evidenziato come obiettivi stimolanti
possano generare un effetto di leveragesulle risorse umane, in grado di _spi~gare il successo
di alcune imprese "apparentemente" più deboli dei propri competlton. Cfr. Hamel e
Prahalad (1993).
344 J L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

Considerazionidi sintesi
Se le teorie dell'azione analizzano i possibili incentivi che possono motivare
gli individui, le teorie della scelta evidenziano come gli incentivi, per avere ef-
fetto, devono essere correlati a obiettivi:
• influenzabili dall'individuo ( teoriadell'aspettativa);
• equi rispetto a quelli attribuiti ad altri individui ( teoriadell'equità);
• misurabili e difficilmente raggiungibili ( teoriadellafissazionedegliolJiettim).

8.3 La posizioneindividuale

I risultati di un individuo, la sua capacità cioè di contribuire agli obiettivi di


un'impresa, dipendono dall'allineamento che esiste tra i compiti che gli ven-
gono assegnati e le sue competenze, non solo al momento dell'ingresso nel-
l'organizzazione, ma in tutta la vita professionale.
Questo allineamento è il risultato di diverse "azioni organizzative": la suddi-
visione dei compiti nell'organizzazione; la fase di reclutamento e selezione
iniziale; l'identificazione del percorso di carriera; il processo di formazione e
sviluppo del potenziale individuale.
In questo paragrafo, ci si propone di presentare il quadro entro il quale
queste azioni organizzative devono essere collocate; in altri termini:
• quali ''variabili" descrivano ciò che l'organizzazione "chiede" a ciascun
individuo, owero la sua posizioneindividuale,
• quali "scelte" possano essere effettuate per ciascuna di tali variabili, coe-
rentemente con le caratteristiche dell'impresa, del suo posizionamento
competitivo e del contesto in cui opera;
• quali implicazioni nascano dalle diverse scelte e quali siano le linee di
tendenza attuali.
In particolare, la descrizione della posizione individuale può essere articolata
in tre aree:
• i compiti che vengono attribuiti;
• il grado di autonomia nello svolgimento di tali compiti;
• la natura e il livello delle competenze necessarie.
Come si vede, alcuni di questi punti sono già stati toccati analizzando il siste-
ma motivazionale; nella tabella 8.1 sono riportate le implicazioni più impor-
tanti che le teorie della motivazione hanno su ciascuna area di progettazione
della posizione individuale.

8.3.1I compiti

Tra le variabili organizzative, quelle relative alla ripartizione dei compiti tra gli
individui sono state probabilmente le prime a trovare una sistematizzazione
8. L'individuo e i suoi comportamenti \ 345

TABELLA 8. l - . Le principali implicazionitra il sistema motivazionale


e la progettazionedella posizioneindividuale

Componente Componente Relazione


della posizione individuale del sistema motivazionale

Compiti attribuiti Teoria dell'aspettativa La motivazione dell'individuo


richiede che ai compiti che gli
vengono attribuiti possano essere
associati obiettivi specifici,
influenzabili direttamente
dal comportamento individuale
Autonomia Teoria dell'azione Una volta soddisfatti i bisogni
primari, gli individui sono
maggiormente motivati quando
hanno un maggior livello
di autonomia
Competenze Teoria della fissazione Gli obiettivi attribuiti all'individuo
degli obiettivi devono essere difficilmente
raggiungibili, ma raggiungibili.
L'individuo è motivato se le sue
competenze sono coerenti con
quelle richieste dalla mansione
che gli viene assegnata

teorica. Dal XVIII secolo, infatti, ne La ricchezzadellenazioni di Smith, sono sta-


ti individuati i benefici della suddivisione del lavoro e della specializzazionedei
compiti.
Con specializzazione, in particolare, si definisce il numero di compiti diver-
si che compongono la mansione di un individuo 9 . Si parlerà di alta specializza-
zione quando un individuo svolge pochi compiti differenti; di bassaspecializza-
zione nel caso contrario. Nello schema8.1 viene riportato un esempio di descri-
zione di una mansione.

Almeno teoricamente, un'alta specializzazione si traduce in un aumento del-


1'efficienza. Diversi sono i fattori alla base di questo fenomeno:
• la ripetitivitàdei compiticonsentedi crearepiù rapidamenteeffettidi apprendimen-
to10;in questo modo, è possibile ridurre, dinamicamente, il tempo neces-
sario per realizzare una singola operazione. Si ha così una riduzione nel
costo del lavoro e un aumento della produttività nell'uso delle risorse;
• la possibilitàdi evitaretempi morti tra attività differenti;ogni volta che si passa

9. Mintzberg (1983) definisce questa caratteristica "specializzazione orizzontale", per distin-


guerla dalla "specializzazione verticale", che qui invece viene integrata nella discreziona-
lità del compito.
10. Per una definizione puntuale degli effetti di ap,prendimento,cfr. il paragrafo 5.8.3.
346 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

da un compito a uno differente si hanno infatti inevitabilmente dei setup,


owero si impiega del tempo per predisporsi al nuovo compito; meno so-
no i compiti diversi da affrontare, quindi, meno tempo si "spreca";
• la maggi,oref adlità di individuare soluzioni innovative nella realizzazionedel
compito;se ci si focalizza su uno specifico compito, è di solito più agevole
trovare qualche accorgimento per migliorarne l'esecuzione;
• la possimlità di individuare più f adlmente una persona che disponga di tutte l,e
competenzenecessarieper assolvere correttamente il compito.
Sempre più spesso, tuttavia, diviene difficile concretizzare i benefici di una
elevata specializzazione. Gli elementi che, particolarmente nelle economie
evolute, tendono a sconsigliare un eccessivo grado di specializzazione si pos-
sono suddividere in tre gruppi:
• probl,emiderivanti dall'evoluzione/dinamicadel contestoesterno.In presenza di
un'evoluzione del contesto esterno, l'impresa si ritrova al punto di par-
tenza e "perde" l'effetto di apprendimento assicurato dalla specializza-
zione. Inoltre, vi è il rischio che le persone "specializzate" non siano adat-
te ai compiti divenuti necessari nel nuovo contesto; infatti, l'elevata spe-
cializzazione induce di solito una bassa capacità di adattamento nel per-
sonale, tanto da far ritenere necessario che lo sviluppo di nuove compe-
tenze sia anticipato da interventi finalizzati a far "disimparare" ciò che si
faceva prima (processo di unl,earning). Quest'ultimo problema è partico-
larmente critico per chi è coinvolto in un processo di ristrutturazione
aziendale;
• probl,emiderivanti dall'alienazione.Un secondo gruppo di problemi nasce
dalla difficoltà di mantenere motivate le persone in presenza di compiti
molto ripetitivi. Come si è sottolineato in precedenza, la motivazione
delle persone, in particolare di quelle con maggiori competenze, au-
menta in presenza di un certo livello di autonomia e di responsabilizza-
zione. Una eccessiva specializzazione rischia di demotivare le persone, ri-
ducendone l'efficienza, e di aumentare il tasso di turnover, facendo
quindi perdere all'organizzazione le competenze maturate e i relativi ef-
fetti di apprendimento;
• probl,emidi coordinamento.Quanto più un compito viene parcellizzato, tan-
to più aumentano i problemi di coordinamento. Come vedremo meglio
nei prossimi capitoli, il coordinamento può essere realizzato secondo di-
verse modalità (sistemi di pianificazione e controllo, creazione di linee
direzionali, strutture trasversali), tutte "costose"; i costi di coordinamen-
to riducono quindi i benefici attesi della specializzazione dei compiti.
La tendenza generalizzata all'aumento dell'incertezza ambientale e, almeno
nelle economie sviluppate, l'importanza della responsabilizzazione e dell'au-
tonomia come fattori di motivazione aumentano la percentuale dei ruoli or-
ganizzativi cui vengono assegnate mansioni poco specializzate. Anche nelle
funzioni operative, dove la specializzazione era tradizionalmente più diffusa,
8. L'individuo e i suoi comportamenti I 347

e nelle organizzazioni burocratiche (valga per tutte l'esempio della pubblica


amministrazione) tendono oggi a prevalere forme di job enlargement, nelle
quali si allarga la varietà delle mansioni attribuite a ciascun individuo, o perlo-
meno di rotazione dei compiti.

SCHEMA 8.1 - Le mansioni- un esempiorelativoalla direzionelogistica


di un'aziendaindustriale

Scopo della posizione è di contribuire all'ottimizzazione e allo sviluppo dei processi


logistici dal momento dell'approwigionamento a quello della distribuzione. Le princi-
pali responsabilità connesse sono:
• contribuire allo sviluppo e all'individuazione di sistemi e strumenti di ottimizza-
zione della distribuzione;
• mantenere i collegamenti con i fornitori e con la distribuzione esterna;
• individuare e attivare interventi di ottimizzazione durante tutte le fasi del pro-
cesso logistico, nel rispetto delle policydi gruppo;
• mantenere un up-gradingdelle conoscenze tecnologiche in questo settore an-
che con particolare riguardo alle applicazioni Internet.
Alla posizione riportano i responsabili dei servizi magazzini e logistica.
La posizione riporta al Direttore Generale.

Quando si definiscono le mansioni da attribuire a un individuo, infine, è ne-


cessario ricordare che, al di là degli aspetti teorici, vi sono vincoli contrattuali
che devono essere rispettati. I con tratti di categoria definiscono infatti gli in-
quadramenti corrispondenti a diversi tipi di mansioni (schema 8.2). L'assegna-
zione di mansioni più ampie, pur se finalizzata a far crescere le competenze
dell'individuo e a renderlo più "flessibile" rispetto all'evoluzione del contesto,
potrebbe quindi innescare un contenzioso rivolto a modificare l'inquadra-
mento contrattuale e il relativo trattamento stipendiale. Anche per questo, la
definizione delle mansioni in un'impresa deve essere affrontata con molta at-
tenzione e competenza.

ScH EMA 8.2 - Le mansioninei contrattinazionalicollettividi lavoro-


un esempio

li contratto collettivo nazionale di lavoro "commercio aziende del terziario" definisce


le mansioni del "commesso specializzato provetto" come: "personale con mansioni
di concetto, di comprovata professionalità derivante da esperienza acquisita in azien-
348 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

da, al quale è riconosciuta autonomia operativa e adeguata determinante iniziativa,


con l'incarico di svolgere congiuntamente i seguenti compiti: fornire attive azioni di
consulenza per il buon andamento delle attività commerciali, assicurare nell'ambito
delle proprie mansioni l'ottimale gestione delle merceologie affidategli, intervenendo
sulla composizione degli stock e sulla determinazione dei prezzi, intrattenere rappor-
ti commerciali e di vendita al pubblico anche attraverso opportune azioni promozio-
nali, espletare operazioni di incasso, porre la sua esperienza al fìne dell'addestramen-
to e della formazione professionale degli altri lavoratori". Queste mansioni vengono
inquadrate al 111livello contrattuale.

8.3.2 L'autonomiae la formalizzazione

La definizione dei compiti che un individuo deve svolgere non esaurisce la


descrizione delle sue mansioni; altrettanto importante è identificare il grado
di autonomia di cui egli/ ella dispone nella propria attività. In generale, il gra-
do di autonomia nell'esecuzione dei compiti può essere limitato secondo due
diverse modalità:
• formalizzando i compiti;in altri termini, viene predefinito univocamente il
modo in cui il compito dovrà essere eseguito. La formalizzazione o proce-
duralizzazionedell'attività è alla base di soluzioni gestionali anche molto
diffuse: si considerino, a titolo di esempio, i regolamenti di un'ammini-
strazione pubblica, finalizzati ad assicurare che tutti i dipendenti inter-
pretino la normativa nello stesso modo e non trattino "discrezionalmen-
te" i cittadini, o i sistemi di gestione della qualità adottati da molte orga-
nizzazioni, che definiscono le procedure cui tutti devono attenersi, così
da assicurare che il risultato ultimo di un processo complesso sia coeren-
te con le intenzioni di chi lo ha progettato;
• separando rigi,damenteesecuzionee controllodel compito,in modo che ogni
scostamento tra ciò che l'esecutore (operatore) fa e quanto il controllo-
re (supervisore) ritiene corretto porti alla ripetizione del compito.
La riduzione della discrezionalità dei singoli operatori consente, almeno teo-
ricamente, un aumento dell'efficienza:
• se è possibile definire "il" modo migliore per svolgere un certo compito,
si evita infatti all'operatore di perdere tempo nella ricerca di tale soluzio-
ne e, a maggior ragione, si elimina il rischio che venga scelta una solu-
zione inefficiente; inoltre, si riducono i costi di coordinamento tra i di-
versi operatori, poiché tutti sanno cosa aspettarsi dal lavoro degli altri;
• separando l'esecuzione dal controllo si riduce il rischio di comporta-
menti opportunistici.
Anche in questo caso, tuttavia, vi sono dei problemi, che suggeriscono di assi-
curare un elevato livello di delega, in particolare quando si opera in contesti
dinamici e all'interno di economie evolute:
8. L'individuo e i suoi comportamenti I 349

• la maggiore efficienza viene infatti bilanciata da una minore flessibilità


dell'organizzazione; le procedure "itnpongono" i comportamenti da se-
guire, anche quando questi diventano inadeguati in presenza di un cam-
biamento del contesto esterno;
• la separazione dell'esecuzione dei compiti dalla definizione delle moda-
lità per eseguirli ostacola l'individuazione di quelle soluzioni innovative
che spesso solo chi è a contatto diretto con l'esecuzione del compito rie-
sce a individuare. In fondo, la nascita di tante PMI nel nostro paese nel-
l'ultimo dopoguerra nei settori delle macchine operatrici è partita pro-
prio da operai e tecnici che avevano sviluppato un'elevata competenza
in una nicchia di mercato;
• infine, come più volte·sottolineato, nelle economie evolute l'autonomia
costituisce un fattore incentivante le prestazioni individuali.
Tuttavia, persino nelle economie evolute il problema del "controllo" non può
essere trattato come il residuo di una mentalità vetero-industriale. È essenzia-
le, cioè, che anche in presenza di una forte autonomia di gestione ai diversi li-
velli vengano messi a punto strumenti di controllo interno che assicurino un
utilizzo non "stru1nentale e opportunistico" dell'autonomia. È un tema che i
recenti scandali finanziari (da Enron a Parmalat) hanno portato all'attenzio-
ne dell'opinione pubblica; sarà quindi particolarmente importante riuscire a
trovare un corretto bilanciamento tra autonomia decisionale del manage-
ment e sistemi di controllo interno 11.

8.3.3I profilidi competenze

L)evoluzione, delineata nelle pagine precedenti, delle posizioni individuali


verso compiti meno specializzati e verso una crescente autonomia, tende ad
aumentare l'attenzione che viene dedicata ai profili di competenze. Infatti,
sempre più raramente si riesce a precisare in modo puntuale le operazioni
che devono essere stabilmente assegnate a una determinata posizione orga-
nizzativa; al più, si è in grado di identificare un insieme di competenze che
possano essere coerenti con un insieme di operazioni, variabili nel tempo, as-
sociate alla posizione organizzativa.

Nella progettazione della posizione individuale, con competenzasi fa normal-


mente riferimento alle caratteristiche che un individuo dovrebbe avere per
assicurare risultati buoni, rispetto agli obiettivi di un'impresa, in un ruolo o in
una situazione. Le competenze riguardano in generale:
• le conoscenze, owero la base di sapere che nasce dagli studi e dall' espe-
nenza;

11. Su questo tema, cfr. Arena e Azzone (2005).


350 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

• le capacità, intese come il saper fare, l'abilità quindi di mettere in pratica


le proprie conoscenze in un dato contesto organizzativo;
• i comportamenti organizzativi dell'individuo (tratti, immagine di sé,
ruolo sociale e motivazione).

Owiamente, l'importanza relativa delle diverse competenze varia in funzione


della singola impresa e della specifica mansione. La progettazione della posi-
zione individuale richiede quindi che siano identificate le competenze criti-
che per ciascuna mansione; a tal fine, si possono utilizzare due diversi stru-
menti:
• modelli di uso generale, spesso associati a ruoli di tipo manageriale. In
questo caso, vi è un elenco predefinito di competenze, e la singola orga-
nizzazione può al più individuare il livello relativo a una data posizione.
Nello schema8.3, ad esempio, viene riportato il quadro delle competenze
manageriali secondo Spencer;
• modelli mirati a specifiche organizzazioni. In questo caso, è in generale
più onerosa la fase di individuazione delle competenze critiche, che ri-
chiede una serie di interviste tese a comprendere che cosa sia effettiva-
mente necessario per ricoprire un certo ruolo organizzativo. Natural-
mente, però, il profilo di competenze che si ottiene risponde meglio alle
reali esigenze dell'organizzazione. Ad esempio, nella tabella 8.2 viene
presentato il profilo di competenze adottato alla Camera dei Deputati.

ScHEMA 8.3 - Il modellogeneraledi competenzemanagerialidi Spencer(trattoda


Provenzano,1999)

• Pervasività e influenza
• Tensione al risultato
• Lavoro di gruppo e cooperazione
• Pensiero analitico
• Spirito di iniziativa
• Sviluppo degli altri
• Fiducia in sé
• Ricerca di informazioni
• Leadership del gruppo
• Pensiero concettuale

flrafforzamentodellecompetenzee l 'empowerment
Se si combinano i tre assi di analisi descritti in precedenza, si possono rappre-
sentare le diverse posizioni individuali all'interno di uno schema tridimensio-
nale (figura 8.2), a seconda che:
8. L'individuo e i suoi comportamenti I 351

TABELLA 8.2 -· Il modello delle competenze manageriali alla Camera dei Deputati
(tratto da Provenzano, 1999)

Aree Competenze

Competenze professionali e capacità tecnica • Conoscenze generali del contesto giuridico,


politico-istituzionale ed economico
• Conoscenze professionali specifiche
e aggiornamento
• Capacità di diversificare le conoscenze
e affrontare situazioni nuove
Integrazione personale nell'organizzazione • Collaborazione e integrazione organizzativa
e nei processi di servizio
• Qualità delle relazioni interpersonali
con colleghi e collaboratori
• Qualità delle relazioni con utenti dei servizi
e altri interlocutori abituali
Capacità e contributo organizzativo • Programmazione, coordinamento e controllo
e di gestione delle risorse • Capacità organizzativa e di leadership
• Capacità di valutare i collaboratori

FI G u RA 8.2 - Le configurazioni della posizione individuale

Delega

Alta

Bassa Poche e semplici Tante e complesse

Alta
Competenze richieste

Bassa

Specializzazione
352 j L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

• i compiti assegnati siano pochi o tanti;


• la delega di potere e di autorità sia bassa o alta;
• le competenze necessarie siano poche e semplici o molte e complesse.
A un estremo di questo schema, vicino all'origine degli assi, vi sono situazioni
che ricordano il famoso film Tempi modernidi Charlie Chaplin, ma che di fatto
non sono più realistiche oggi. È la soluzione teoricamente più efficiente: com-
piti molto specializzati e formalizzati, competenze "minime" necessarie per
poter svolgere il compito assegnato; è una situazione tuttavia che appare del
tutto incoerente con la frequenza di cambiamento e la necessità di innovazio-
ne continua del contesto attuale.
Oggi, al contrario, si verifica, pur in misura diversa nelle singole imprese e
per ciascun profilo di ruolo, un processo di allargamento dei compiti, di au-
mento della delega e di parallela crescita del livello qualitativo delle competen-
ze necessarie per realizzarli. Questo processo deve naturalmente essere accom-
pagnato da un aumento delle competenze disponibili nel personale e del pote-
re attribuito a ciascun dipendente, che dovrebbe essere incoraggiato a parteci-
pare appieno alle attività dell'organizzazione. Si parla, per indicare questo fe-
nomeno, di empowerment.L' empowerment12 richiede che si attribuiscano ai di-
pendenti tutti gli elementi necessari per svolgere meglio il proprio lavoro:
• informazioni, sui risultati dell'impresa e sulle prestazioni che si devono
migliorare;
• conoscenze,a partire dalla fase di selezione e reclutamento (dove, mentre
in passato era fondamentale assumere una persona in grado di compie-
re una specifica mansione, sufficientemente stabile nel tempo, oggi di-
venta sempre più importante assumere una persona che abbia la capa-
cità di adattarsi a mansioni che evolvono nel tempo in modo assai rapi-
do), per continuare poi con la formazione e lo sviluppo delle risorse
umane, che deve presidiare l'evoluzione delle competenze individuali,
in modo coerente con l'evoluzione del contesto esterno e con i percorsi
di carriera previsti;
• poteredi assumere in autonon1ia decisioni importanti;
• incentivi basati sui risultati dell'impresa.

12. Per approfondire questo tema, cfr. ad esempio, Daft (1992).


9 11gruppo

Un individuo non è quasi mai completamente autonomo nel proprio lavo-


ro. Qualsiasi organizzazione (una squadra di calcio che vuole segnare una
rete, una ONG che vuole portare assistenza dopo un disastro naturale,
un'impresa industriale o di servizi che vuole commercializzare un prodot-
to) realizza infatti i propri obiettivi attraverso l'azione coordinata di un
gruppo di persone.
Il risultato dell'organizzazione non dipende quindi solo dall'abilità di as-
segnare a ciascuno un compito coerente con le proprie capacità e in grado
di motivarlo, come si è visto nel capitolo precedente, ma anche dal coordi-
namento che si riesce ad assicurare tra i diversi compiti.
In questo capitolo, in particolare, si passeranno dapprima sinteticamen-
te in rassegna le diverse modalità per coordinare l'azione di più individui.
Successivamente, si vedrà come queste influenzino i comportamenti indivi-
duali, evidenziando le relazioni che esistono tra modalità di coordinamen-
to, sistema motivazionale e progettazione della posizione individuale.

9.1 I meccanismi di coordinamento·

Mintzberg 1 identifica cinque diverse forme di coordinamento:


• adattamento reciproco;
• supervisione diretta;
• standardizzazione dei processi;

1. Cfr. Mintzberg (1983).


354 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

• standardizzazione degli obiettivi;


• standardizzazione delle competenze.
Nell'adattamento reciprocoil coordinamento avviene autonomamente tra le
persone. Gli esempi sono molteplici e ci accompagnano in tutta la nostra
vita: }"'adattamento reciproco" caratterizza i primi giochi a squadre, così
come il matrimonio tra due persone; un doppio a tennis come un lavoro di
gruppo all'università. Questo tipo di coordinamento, tuttavia, si manifesta
anche in alcune situazioni lavorative, da un'impresa "embrionale" a un
gruppo di ricercatori che inseguono una scoperta scientifica.
In tutti questi casi, i diversi componenti dell'organizzazione condividono
alcuni obiettivi (la "vittoria" nel gioco piuttosto che il "voto" nel lavoro di
gruppo universitario, la sopravvivenza e il successo dell'impresa embrionale
piuttosto che la scoperta scientifica) e, attraverso una comunicazione infor-
male, cercano di ottenerli. Normalmente, l'adattamento reciproco è il mec-
canismo di coordinamento naturale in due diverse situazioni, "estreme":
• situazioni molto semplici, come quella rappresentata dal doppio a ten-
nis. È il caso, ad esempio, di imprese di tipo artigianale, in cui "tutti san-
no fare tutto" o in piccoli team di consulenza, dove, una volta identifica-
te le esigenze del cliente, i diversi consulenti definiscono insieme le mo-
dalità di intervento e si confrontano sui problemi mano a mano che
emergono;
• situazioni molto complesse e poco programmabili, dove -siconosce so-
lo l'obiettivo che si vuole raggiungere ma non le modalità più oppor-
tune per ottenerlo. Un esempio è costituito dalle attività di ricerca,
nelle quali è difficile che ciascun ricercatore sappia chiaramente e in
anticipo quali risultati potrà ottenere. Di solito quindi vengono inizial-
mente definiti i compiti dei singoli che sono poi modificati sulla base
di quanto viene via via ottenuto.
L'adattamento reciproco va rapidamente in crisi, tuttavia, quando la "'di-
mensione" del gruppo aumenta: senza arrivare agli estremismi di Arrigo
Sacchi sull'irrilevanza dei singoli giocatori, è indubbio che una squadra di
calcio con molti campioni ma priva di schemi di gioco può essere superata
da una squadra costituita da minori individualità ma con una buona orga-
nizzazione di gioco. Riunioni di 9-1O persone senza "ruoli" predefiniti si ri-
solvono normalmente in una discussione caotica e senza risultato.
Al crescere della dimensione del gruppo, viene comunemente adottato
un secondo meccanismo di coordinamento, la supervisione diretta, che pre-
vede che il coordinamento venga realizzato da una persona "esterna", un
responsabile, che suddivide il lavoro tra i componenti del gruppo, indican-
do loro "che cosa fare" e assicurando il controllo dei risultati ottenuti.
In questo caso, come si vedrà meglio nel seguito, il supervisore è l'unica
persona che può essere responsabilizzata sui risultati ottenuti dal gruppo; i
singoli componenti, invece, possono essere valutati solo sul modo in cui
9. Il gruppo I 355

hanno eseguito gli ordini, sul fatto cioè di aver assolto o meno i compiti lo-
ro affidati. La supervisione diretta, separando il ruolo direzionale da quel-
lo esecutivo, riduce quindi il livello di delega rispetto all'adattamento reci-
proco.
La supervisione diretta è il meccanismo di coordinamento più usato in
unità di medie dimensioni, poiché assicura una ripartizione dei compiti
più razionale e bilanciata rispetto all'adattamento reciproco. I suoi risultati
dipendono tuttavia in modo essenziale dalla qualità òel supervisore, poi-
ché i singoli operatori non hanno margini di autonomia: devono ricevere
dal supervisore indicazioni sui compiti loro assegnati e devono chiedere
istruzioni ogni volta che questi presentino dei margini di ambiguità o si ve-
rifichino situazioni inattese. Ciascun supervisore deve quindi dedicare
molta attenzione a ogni co1nponente del gruppo; proprio per questo, nor-
malmente si ritiene che un supervisore non possa coordinare più di 5-1O
persone. In presenza di un uso generalizzato della supervisione diretta, la
dimensione delle unità organizzative sarà quindi limitata e, parallelamen-
te, aumenterà il numero delle risorse dedicate al coordinamento e il relati-
vo costo. Si avranno inoltre delle strutture organizzative caratterizzate da
molti livelli gerarchici; come si preciserà meglio nel capitolo 1 O, tuttavia, il
numero dei livelli gerarchici incide negativamente sulla velocità di risposta
di un 'impresa al cambiamento, poiché le informazioni necessarie per ren-
dersi conto che si è manifestato un problema e per decidere la soluzione
da adottare devono fare un numero superiore di "passaggi" nell'organizza-
zione, con inevitabili rallentamenti.
Per aumentare la dimensione delle unità organizzative e ridurre il nume-
ro di livelli gerarchici, ottenendo strutture organizzative più "piatte", occorre
privilegiare meccanismi di coordinamento basati sulla standardizzazione.
In generale, la standardizzazione consiste nell'individuare delle "situazio-
ni standard", in cui ciascuna persona è in grado di sapere cosa fare indi-
pendentemente dalla presenza di un coordinamento o di una supervisione
esplicita. Di conseguenza, il management non deve intervenire nell'attività
degli operatori, se non per decidere come affrontare le eccezioni; il tempo
che il management deve dedicare a ciascun operatore diminuisce e, di con-
seguenza, aumenta la dimensione delle unità organizzative e si riduce il
numero dei livelli gerarchici (cfr. schema 9.1).

Se H E MA 9. l - Meccanismi di coordinamento e livelli organizzativi

Si consideri un'impresa nella quale l'attività operativa richiede il coinvolgimento


di 500 persone.
Se si adotta un meccanismo di supervisione diretta, nel quale non più di 10 perso-
ne possono costituire un'unità organizzativa, si avranno 50 unità organizzative di
356 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

primo livello. I 50 supervisori avranno bisogno a loro volta del coordinamento di 5


supervisori di secondo livello, i quali dipenderanno, finalmente, da un unico super-
visore. Complessivamente, quindi, si avranno 56 supervisori e 4 livelli gerarchici.
Se invece l'impresa è organizzata in unità di 50 persone, si avranno 10 unità di primo
livello, i cui supervisori potranno essere coordinati direttamente da un unico super-
visore di secondo livello. Complessivamente, quindi, ci saranno 11 supervisori (45 in
meno del caso precedente) e 3 livelli gerarchici, con una sensibile riduzione dei costi
di coordinamento e una migliore capacità di risposta dell'organizzazione.

La standardizzazione può essere ottenuta innanzi tutto a partire dal flusso


di lavoro, attraverso la formalizzazione dei compiti. In pratica, viene defini-
ta una tabella a doppia entrata, in cui, in funzione delle diverse situazioni
che si possono verificare, si identifica univocamente l'azione richiesta all'o-
peratore. La discrezionalità dell'operatore è quindi limitata all'individua-
zione della situazione che si è verificata.
Ad esempio, nella tabella 9.1 viene presentata la tabella situazione/azio-
ne per un operatore addetto al controllo di qualità in un'impresa tessile.
Sulla base della classificazione del difetto riscontrato, vengono previsti cor-
si di azione alternativi.
La standardizzazione dei processi è funzionale a con testi sr,nplici ( dove è
possibile individuare un numero limitato di situazioni) e stabili (in modo
tale che la "tabella" non cambi frequentemente nel tempo). Non è un caso
che queste forme di coordinamento fossero tradizionalmente diffuse al-
l'interno dell'amministrazione pubblica, nella quale le tabelle situazio-
ne/azione discendevano direttamente da disposizioni normative 2 .
Da un lato, infatti, se il contesto è complesso, diviene difficile individua-

TABELLA 9.1 Un esempio di tabella situazione/azione

Difetto Azione

Macchia di dimensione inferiore a 2 mm Inviare al reparto lavaggio per rilavorazione


Macchia di dimensione superiore a 2 mm Inviare al punto outlet, per vendita sottoprezzo
Rottura di dimensione inferiore a 1 mm Inviare al punto outlet, per vendita sottoprezzo
Rottura di dimensione superiore a 1 mm Inviare al macero
Altri casi Rivolgersi al superiore

2. Un'organizzazione nella quale il coordinamento avviene attraverso una formalizzazione


delle procedure viene definita burocrazia. Da qui l'uso del termine, spesso, come sinoni-
mo di amministrazione pubblica.
9. Il gruppo I 357

FI e u RA 9. 1 - La discrezionalitàdelle scelte:un esempio

re in modo univoco tutte le situazioni che si possono verificare; di conse-


guenza, aumenta la probabilità di situazioni ambigue, aumentando così la
discrezionalità dell'operatore e, nel caso questi non voglia assumersi la re-
sponsabilità di interpretare la situazione, il ricorso al supervisore. In que-
sto modo, tuttavia, cresce l'impegno che ogni operatore richiede al super-
visore, riducendo quindi i benefici della standardizzazione rispetto alla su-
pervisione.
Un errore che a volte si commette, in questi casi, è quello di dettagliare
maggiormente le situazioni, in modo da ridurre la discrezionalità dell'ope-
ratore e di conseguenza la frequenza di ricorso al supervisore. In generale,
accade esattamente l'opposto; si consideri, a solo titolo d'esempio, una si-
tuazione in cui le diverse azioni dipendono dal "colore" di una macchia
quale quella nella figura 9.1. Se le alternative sono poche, ad esempio
"bianco", "grigio" e "nero", è molto probabile che tutti classifichino il colo-
re nello stesso modo, come "grigio". Se invece le alternative sono molto più
disaggregate, comprendendo ad esempio "grigio chiaro", "grigio scuro" e
"grigio perla", aumenta la probabilità che persone differenti abbiano dei
dubbi interpretativi e che richiedano l'intervento del supervisore.
Un secondo problema nasce dal fatto che la definizione delle "procedu-
re", delle tabelle situazione/azione, è in generale costosa. Perché questo
costo addizionale sia compensato da una riduzione dei costi di coordina-
mento, è necessario che la procedura possa essere utilizzata per un certo
periodo di tempo; quanto più frequentemente il contesto cambia, tanto
meno questo si verifica.
Nel caso della standardizzazione degli obiettivi si lascia· invece all'operatore
la possibilità di scegliere il modo in cui realizzare il proprio output, purché
egli/ ella garantisca il raggiungimento del livello e della tipologia di output
358 i L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

definiti preventivamente. In generale, quindi, il compito del supervisore è


di "negoziare" con ciascun operatore l'output della sua attività.
Gli esempi di standardizzazione degli obiettivi possono essere molteplici:
• ad esempio, un lavoro di gruppo di "analisi di bilancio" può essere
scomposto in due parti, la riclassificazione dei bilanci e il calcolo degli
indici. Il coordinamento tra le due parti non richiede che si conosca
la sequenza con cui il primo operatore eseguirà la riclassificazione del
bilancio, ma semplicemente la definizione dell'output, in termini di
"struttura" che dovrà avere il bilancio riclassificato e di "tempo" in cui
questo sarà disponibile;
• il coordinamento tra un'unità che si occupa di produrre un prodotto
e quella che si occupa di venderlo non rende necessario che la secon-
da intervenga nel metodo di produzione, ma semplicemente che sia-
no noti a entrambe le unità: la quantità di prodotto che dovrà essere
resa disponibile per la vendita, le caratteristiche qualitative di tale pro-
dotto e il momento in cui dovrà essere reso disponibile.
Nella standardizzazione dell'output, ogni operatore viene visto come una
piccola parte dell'impresa che è in grado, utilizzando in modo discreziona-
le le risorse a propria disposizione, di ottenere i risultati che gli vengono ri-
chiesti. La necessità di coordinamento nasce dal fatto che il risultato di una
parte costituisce un input per un'altra parte dell'impresa.
Un sistema di questo tipo viene spesso indicato come gesti_one per obiet-
tivi ( management lyYobjectives,MBO). Rispetto alla supervisione diretta e alla
standardizzazione dei processi cambiano le responsabilità degli operatori e
del supervisore; sono infatti responsabili dei risultati sia il livello superiore,
che attribuisce gli obiettivi, sia quelli inferiori, che decidono il modo per
ottenere i risultati.
La standardizzazione dell'output è coerente con compiti complessi, nei
quali non sia possibile standardizzare il processo e sia opportuno lasciare
autonomia al singolo operatore. Essa inoltre consente di rispondere bene a
piccoli cambiamenti, che riescono a essere gestiti dal singolo operatore
nell'ambito della propria autonomia. Va invece in crisi in presenza di cam-
biamenti "in grande", quando l'operatore non è in grado di mantenere il
proprio output. In questo caso, è necessario un intervento del supervisore,
che deve individuare un nuovo sistema di obiettivi, negoziandolo con tutti
gli operatori; si allungano così inevitabilmente i tempi di risposta al cam-
biamento.
Nel caso del lavoro di gruppo, ad esempio, non ci sono problemi se uno
dei due "operatori" si ammala, purché possa poi aumentare il tempo dedi-
cato alla sua parte in modo da co1npensare il ritardo; se invece la malattia si
prolunga eccessivamente, è necessario ridefinire gli obiettivi di tutti i com-
ponenti del gruppo per evitare che non si rispetti la data di consegna o
non si completi il lavoro.
9. Il gruppo I 359

In modo analogo, un cambian1ento del mix produttivo che non richiede


un intervento sulla capacità produttiva complessiva o che, comunque, può
essere gestito "localmente" (attraverso il ricorso a straordinari o a fornitori
esterni) non crea problen1i particolari; se invece il nuovo mix non può es-
sere realizzato nei tempi previsti, occorrerà ridefinire congiuntamente gli
_obiettivi della produzione e quelli delle vendite, per identificare il miglior
mix fattibile con le risorse disponibili.

Un ultimo tipo di standardizzazione è quello sulle competenze delle singole


persone, al fine di assicurare, ad esempio attraverso un'adeguata attività di
formazione, che le diverse persone reagiscano a problemi analoghi nello
stesso modo.
Un esempio tipico è quello di un'equipe medica in sala operatoria; tut-
tavia, spesso un meccanismo simile si trova all'interno di una società di
consulenza, nella quale esistono alcuni "approcci tipo" che i diversi consu-
lenti imparano a usare nelle diverse situazioni. Di conseguenza, anche se il
gruppo di consulenti che esegue un progetto cambia nel tempo, di fatto
ognuno sa che cosa aspettarsi dagli altri componenti del gruppo. Evidente-
mente, questa è la forma di coordinamento più lasco in assoluto.

Tra le diverse variabili che spiegano il ricorso a ciascun meccanismo di


coordinan1ento, delineate nelle pagine precedenti, sicuramente la più rile-
vante è la complessità del cotnpito attribuito al gruppo. In fase di sintesi
può essere utile richiamare l'evoluzione del meccanismo più adeguato al
crescere della complessità (figura 9.2).
In particolare, in contesti semplici predomina l'adattamento reciproco.
Al crescere della complessità, si passa a un meccanismo di supervisione di-
retta, attraverso cui un singolo individuo esercita il controllo sugli altri
componenti del gruppo. Successivamente, conviene ricorrere a forme di
standardizzazione, che, man mano che la complessità aumenta, passano
dalla standardizzazione dei processi di lavoro, alla standardizzazione del-
1'output (quando non si è in grado di standardizzare i processi), infine alla
standardizzazione delle competenze (quando non è possibile neppure
standardizzare l'output). Se la complessità aumenta ulteriormente e non è
neppure possibile individuare in modo univoco le competenze necessarie
per svolgere il compito (si pensi a un grande progetto di ricerca), è inevita-
bile ricorrere, di nuovo, all'adattamento reciproco.
Infine, è opportuno considerare che anche se un'impresa privilegia al-
cune forme di coordinamento rispetto ad altre, è probabile che si utilizzi-
no forme diverse in modo complementare; anche nella pubblica ammini-
strazione più "burocratica", accanto alla standardizzazione dei processi esi-
stono alcune attività gestite tramite supervisione diretta o lasciando una
forte discrezionalità ai singoli operatori.
360 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

F, e u RA 9. 2 - Meccanismidi coordinamentoe c

Bassa complessità

Adattamento reciproco

---
Supervisione diretta

----
Standardizzazione dei processi

---
Standardizzazione dell'output

---
Standardizzazione delle competenze

---
Adattamento reciproco

Alta complessità

9.2 Responsabilitàindividualee responsabilitàcollettiva

I meccanismi di coordinamento hanno, come anticipato, alcune implica-


zioni sulla progettazione della posizione individuale e sul sistema motiva-
zionale. Queste implicazioni devono essere esplicitate e implicano che, an-
che se a fini espositivi le decisioni organizzative relative all'individuo sono
state trattate separatamente da quelle relative al gruppo, nella realtà occor-
rerà affrontarle congiuntamente. Due punti in particolare meritano di es-
sere sottolineati:
• il legame tra meccanismi di coordinamento e delega;
• il legame tra meccanismi di coordinamento e motivazione.
Rispetto al primo punto, i meccanismi di coordinamento impattano sul li-
vello di delega che può essere attribuito al singolo operatore. In particola-
re, nel caso si adotti la supervisione diretta o la standardizzazione dei pro-
cessi, le posizioni individuali devono essere necessariamente caratterizzate
da un basso livello di delega. Infatti:
• nel caso della supervisione diretta, vi è una netta separazione tra gli
operatori, che sono dei meri esecutori, non dotati di autonomia so-
stanziale, e il supervisore, che è l'unico cui vengono attribuiti compiti
progettuali e di controllo;
9. Il gruppo I 361

• nella standardizzazione dei processi, la discrezionalità dell'individuo è


limitata, come visto, all'interpretazione delle singole situazioni, mentre
non vi è autonomia sulle modalità di svolgimento del proprio compito.
Si attribuisce invece una maggiore autonomia ai singoli operatori se si
adottano meccanismi di adattamento reciproco e di standardizzazione del-
1'output e delle competenze. Nella figura 9.3 vengono riassunte queste con-
siderazioni, distinguendo i diversi meccanismi di coordinamento a secon-
da che il singolo operatore abbia autonomia nell'esecuzione dei propri
compiti, quindi sia responsabile del risultato ottenuto, oppure no.

Il legame tra meccanismi_ di coordinamento e motivazione è duplice. Da


un lato, vanno riaffermate le considerazioni appena fatte rispetto al pro-
blema della delega, visto che l'autonomia costituisce un fattore incentivan-
te l'azione. Dall'altro, il meccanismo di coordinamento adottato influenza
la possibilità di isolare le responsabilità dell'individuo da quelle del grup-
po; come visto nel capitolo precedente, l'individuo tende ad attribuire
maggiore importanza a un obiettivo quando il suo raggiungimento dipen-
de esclusivamente dal proprio comportamento.
Ancora nella figura 9.3, i diversi meccanismi di coordinamento vengono
classificati in base alla facilità di isolare la responsabilità individuale rispet-
to a quella collettiva. In particolare:

FI e u RA 9.3 - Relazione tra meccanismo di coordinamento e dimensioni organiz-


zative "inditJiduali"

Responsabilità

Individuale Collettiva

Standardizzazione Adattamento
dell'output reciproco
Sui
risultati

Standardizzazione
delle competenze

Delega
Standardizzazione
dei processi

Supervisione
Solo sulla diretta
esecuzione
362 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

• nel caso dell'adattamento reciproco, i compiti individuali non sono


univocamente predefiniti, quindi è estremamente difficile isolare le
responsabilità individuali sul risultato complessivo;
• in modo simile, è abbastanza complesso distinguere le responsabilità
individuali nel caso il coordinamento di un gruppo avvenga in base al-
la semplice presenza di conoscenze condivise ( standardizzazione delle
competenze);
• supervisione diretta, standardizzazione dei processi e standardizzazio-
ne dei risultati consentono invece di isolare le responsabilità indivi-
duali da quelle del gruppo nel suo complesso.
10 I processi

10.1 Dalleattivitàai processi

Un processo aziendale può essere definito come un insieme di attività fina-


lizzato alla creazione di un output rilevante per un cliente, esterno all'im-
presa o interno a essa (figura 10.1) 1• Ad esempio, la vendita di un prodotto
su commessa è il risultato di un processo che può comprendere le seguenti
attività: acquisizione dell:ordine, pianificazione della produzione, approv-
vigionamento dei materiali, realizzazione fisica e distribuzione. Analoga-

F I G u RA 10.1 - Un esempio di processodi approvvigionamento

Scelta Gestione
Cliente
Pianificazione
fabbisogni -- del - Emissione
- ordine -- della -
~

interno
fornitore fornitura

1. Cfr. Bartezzaghi, Spina e Verganti ( 1999).


364 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

mente, il lancio di un nuovo prodotto è il risultato di un processo che può


articolarsi in: sviluppo dell'idea, definizione del concept, progettazione del
prodotto, progettazione del processo, lancio commerciale.
La definizione appena introdotta chiarisce, almeno teoricamente, le re-
lazioni che esistono tra processo e attività; l'attività è la componente ele-
mentare del processo, che è formato da una "catena di attività". Nella pra-
tica, tuttavia, qµesta distinzione è spesso molto più sfumata. Si consideri ad
esempio il processo di approvvigionamento di un'impresa, esemplificato
nella figura 10.1. AI suo interno, vi è l'attività "scelta del fornitore". In
realtà, anche questa può essere scomposta in una serie di "sottoattività" (il
contatto con i potenziali fornitori, la richiesta di preventivazione, la vera e
propria selezione), tra loro coordinate, e finalizzate alla creazione di un
output (il fornitore selezionato) rilevante per un cliente interno (ovvero,
chi deve emettere l'ordine). La "scelta del fornitore" potrebbe quindi esse-
re considerata non un'attività ma un processo. Alcuni autori hanno cercato
di individuare delle gerarchie "rigide", definendo in modo puntuale diver-
si livelli di attività (microattività, attività, macroattività) e di processi (pro-
cessi, macroprocessi). A nostro avviso, queste classificazioni sono in realtà
molto difficili da utilizzare operativamente; è invece preferibile definire il
rapporto tra attività e processo in termini en1pirici e in funzione dello spe-
cifico problema organizzativo che si deve affrontare:
• conviene considerare un insieme di operazioni co1ne un'attività, uti-
lizzando quindi gli strumenti di analisi descritti nel c__apitolo 7, quarido
il loro risultato dipende in misura marginale dal modo in cui sono ge-
stite le interdipendenze tra le singole operazioni;
• conviene, invece, operare in termini di processo quando i risultati
complessivi dell'insieme di operazioni dipendono in modo sostanzia-
le dal modo in cui sono organizzati e gestiti i legami tra le singole ope-
razioni o gruppi di esse.
Ad esempio, se nella "scelta del fornitore" citata in precedenza i rapporti
tra "contatto con i fornitori", "preventivazione" e "selezione" sono ovvi e
non richiedono particolari analisi organizzative, è opportuno trattare tali
operazioni come una sola attività; se al contrario si è impegnati in una ri-
progettazione di dettaglio dei flussi operativi relativi alla "scelta del fornito-
re", ad esempio in vista di una loro automazione, può essere preferibile
operare in logica di processo, trattando "contatto con i fornitori", "preven-
tivazione" e "selezione" come attività distinte.
Negli ultimi anni, si è manifestata una crescente attenzione ai "processi",
proprio perché ci si è resi conto che i legami tra le attività influenzano in
modo significativo i risultati complessivi di un'in1presa.
Per quanto riguarda i costi, ad esempio, il problema delle interdipen-
denze può essere chiarito dalla curva dei "costi del ciclo di vita" (Life cycle
cost curve,figura 10.2), dove viene riportato l'andamento cumulato dei costi
ro. I processi J 365

La /ife cyc/e cost curve


F, G u RA 10.2 .:....

Costi
cumulati

Costi sostenuti

o QJ QJ QJ Q)
Fasi
n!
t::~ e: e: e: u
Q)
bl)
::I
...
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u o... Q)
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a..
a.. bl)
Q)
bl)
e:

sostenuti dall'impresa nèlle diverse attività che ne caratterizzano il funzio-


namento ( accrued cost) e dei costi da essa impegnati ( committed cost), alla fi-
ne di ciascuna attività del ciclo di vita di un prodotto 2 .
Le due curve hanno un andamento molto diverso. La quota principale
dei costi è infatti sostenuta nelle fasi a valle del ciclo, produzione e distri-
buzione fisica; tuttavia, tali costi sono in gran parte determinati ( committed)
dalle decisioni prese nelle fasi a monte del processo 3 . Di conseguenza, se si
focalizza l'attenzione sulle singole attività in modo indipendente l'una dal-
l'altra, cercando di ridurre il costo sostenuto in ciascuna di esse, si rischia
di perdere numerose opportunità di miglioramento; al contrario, se si ana-
lizza il processo nel suo complesso si può accettare, ad esempio, un aumen-

2. Cfr. Berliner e Brimson (1988) e Shields e Young (1991).


3. In altri termini, una volta che il prodotto è stato progettato, il suo costo complessivo è in
buona parte determinato, poiché sono stati definiti il tipo e la quantità di materiali da im-
piegare; al termine della successiva fase di ingegnerizzazione, sono stati ormai definiti an-
che i valori standard dei tempi di lavorazione e le tecnologie che è necessario adottare. Di
conseguenza, quando si arriva alla vera e propria produzione, è possibile influenzare solo
una quota marginale dei costi complessivi dell'impresa.
366 / L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

to dei costi di progettazione, quando questo consenta di ottenere una ridu-


zione dei costi della successiva fase di produzione, grazie alla messa a pun-
to di un prodotto meglio producibile.
Considerazioni analoghe a quelle viste per i costi possono essere replica-
te per un'altra prestazione critica, la qualità. Un livello qualitativo insuffi-
ciente nelle fasi iniziali del processo, a partire dall'accettazione dei mate-
riali in entrata, si ripercuote infatti in modo amplificato sui risultati delle
fasi a valle 4 . La qualità dell'output di una certa fase, quindi, non è slegata
dalle scelte e dai comportamenti relativi alle fasi a monte.
Infine, per tutte le prestazioni in cui il parametro di misura è una varia-
bile temporale, la capacità di integrare le diverse fasi di un processo rap-
presenta un elemento estremamente critico. Nello sviluppo di un nuovo
prodotto, in particolare, questa esigenza ha spinto ad adottare tecniche di
progettazione di tipo simultaneo, in cui le diverse unità coinvolte nel pro-
cesso non operano in sequenza ma in parallelo: il tempo complessivo di svi-
luppo non coincide più con la somma dei tempi relativi alle singole fasi del
processo, ma è il risultato di un'azione integrata che coinvolge simultanea-
mente le diverse unità organizzative, le cui prestazioni devono quindi esse-
re misurate congiuntamente. Analogamente, nel processo logistico, relati-
vo alla realizzazione e alla distribuzione di prodotti esistenti, il tempo tota-
le del processo - la prestazione cioè che più interessa al cliente finale - di-
pende solo in minima parte dal tempo di esecuzione delle singole fasi,
mentre critica è la capacità di abolire i tempi morti tra di esse 5 .
Questo capitolo si propone in particolare di:
• agevolare l'identificazione dei principali processi di un' organizzazio-
ne e delle relative tipologie;
• esplicitare le leve su cui agire in fase di progettazione (o, più frequen-
temente, di riprogettazione) dei processi di un'impresa, per renderli
maggiormente funzionali alla strategia competitiva.

10.2 Letipologiedi processiaziendali

I processi aziendali possono essere classificati secondo due diversi assi di


analisi:
• sulla base della "natura" del cliente, si disting,ue tra processi primari e
processi di supporto;

4. Sulla interazione tra i risultati delle diverse fasi del processo in termini di livello qualitativo e
sull'impatto di tali relazioni in termini di creazione di valore economico, cfr. Noci (1993).
5. Su q~esto tema, cfr., ad esempio, Berliner e Brimson ( 1988) e Bartezzaghi, Spina e Ver-
ganti (1999). Proprio la ricerca di un coordinamento temporale tra le diverse unità che
appartengono allo stesso processo logistico è, ad esempio, uno degli obiettivi principali
dell'adozione di tecniche Just in Time.
10. I processi [ 367

• sulla base delle "ripetitività" del processo, si dividono i processi ripeti-


tivi da quelli a impulso.

10.2.1 Processiprimari e processidi supporto

La distinzione tra processi primari e processi di supporto ricalca quella


classica tra attività primarie e attività di supporto 6 . Si definiscono:
• processiprimari quelli che hanno l'obiettivo di creare un valore chiara-
mente percepito e riconosciuto dai clienti esterni. Gli esempi più gene-
rali sono: il processo di sviluppo, attraverso il quale viene messo a punto
un prodotto/servizio da offrire al mercato; il processo di vendita, trami-
te il quale il cliente acquista il prodotto/servizio dell'impres~; il proces-
so logistico, attraverso il quale si assicura la realizzazione e la consegna
al cliente di un prodotto/ servizio con le caratteristiche richieste;
• processidi supportoquelli che sono necessari per la realizzazione dei pro-
cessi primari ma non sono riconosciuti in sé come "creatori di valore"
per il cliente. Esempi possono essere: il processo di gestione delle risor-
se u1nane, i processi amministrativi (ciclo attivo e ciclo passivo), i pro-
cessi relativi alle attività infrastrutturali, come la gestione dei sistemi
informativi; in tutti questi casi, il "cliente" del processo è interno all'im-
presa. Concettualmente, potrebbero essere eliminati senza alcun im-
patto sul valore percepito dai clienti, consentendo così di ottenere ri-
duzioni di costo senza penalizzare i "ricavi". In realtà, è difficile pensare
che un 'impresa priva di sistemi di gestione delle risorse umane, sistemi
informativi e servizi logistici possa realmente funzionare; l'eccessivo
"taglio" delle risorse dedicate ai processi di supporto rischierebbe quin-
di di avere ripercussioni anche sui processi primari; più che procedere
a razionalizzazioni indiscriminate dei processi di supporto, dunque, è
essenziale verificare, attraverso un confronto con i clienti interni, l'esi-
stenza di possibili margini per il recupero di efficienza 7.

10.2.2 Processiripetitivi e processia impulso

Una seconda distinzione è quella tra processi ripetitivi, che awengono in


modo continuativo nell'impresa (il processo di approvvigionamento, pro-
duzione e distribuzione, il ciclo attivo e il ciclo passivo dell'ordine, il pro-
cesso di vendita) e processi di tipo discontinuo, finalizzati a introdurre una

6. Cfr. capitolo5.
7. Si noti la relazione che esiste tra processi e attività anche su questo punto. Un processo
"primario" potrà essere costituito sia da attività primarie sia da attività di supporto (ad
esempio, nel processo di vendita, che è un processo primario, potranno esistere attività di
amministrazione delle vendite, che sono "di supporto").
368 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

innovazione più o meno radicale e, come tali, con un orizzonte di riferi-


n1ento ben definito (lo sviluppo di un nuovo prodotto o di un nuovo pro-
cesso, la realizzazione di un nuovo sistema informativo, l'acquisizione di
un 'impresa, l'entrata in un nuovo mercato).
De Maio et al. ( 1995) caratterizzano i due tipi di processi sulla base di 4
elementi: unicità dell'output e del processo, natura degli obiettivi, durata,
tipo di interdipendenze ( tabella 10.1).
In particolare:
• con unicità dell'output si definisce il fatto che i progetti discontinui so-
no finalizzati a innovazioni ciascuna delle quali ha una rilevanza in sé;
al contrario, nel caso dei processi ripetitivi, l'impresa è interessata a
valutare i risultati complessivi delle N volte in cui il processo viene ri-
petuto. Ad esempio, nel caso di un processo tipicamente a impulso
quale lo sviluppo di nuovi prodotti, l'impresa dedica una specifica at-
tenzione alla progettazione del processo di sviluppo di ogni nuovo
prodotto. Al contrario, un processo ripetitivo quale quello logistico
viene progettato in modo univoco per i diversi ordini che dovranno
essere processati in un dato periodo di tempo, e i suoi risultati saran-
no valutati in termini complessivi;
• l'unicità dell'output ha implicazione sugli obiettivi. In generale i processi
di innovazione hanno obiettivi espliciti e formalizzati al momento del-
l'attivazione del processo (far arrivare sul mercato un nuovo prodotto,
coerentemente con le specifiche assegnate, entro un certo periodo di
tempo e nei limiti di un dato costo massimo ammissibile;- assicurare l'in-
tegrazione di un'impresa acquisita entro un certo periodo di tempo
con un dato obiettivo in termini di riduzione del costo del personale;
assicurare la funzionalità di un nuovo sistema informativo rispettando il
budget di investimento previsto); al contrario, gli obiettivi dei processi
ripetitivi sono spesso impliciti (non c'è bisogno di formalizzare ogni vol-
ta al responsabile di un processo produttivo gli obiettivi puntuali di co-
sto, tempo e qualità per ogni nuova produzione);
• un terzo elemento è la durata nel tempo. I processi ripetitivi sono in ge-
nerale permanenti, nel senso che non vengono disattivati o modificati

TABELLA l 0.1 - Processiripetitivi e discontinui

Processia impulso o discontinui Processiripetitivi o a flusso

Unicità dell'output e del processo Processo ripetitivo e standardizzato


Finalizzazione (obiettivi espliciti) Obiettivi impliciti
Temporaneità pianificata Permanenza
Interdipendenze reciproche (rete multidisciplinare) Interdipendenze sequenziali (catene fornitore-cliente)

Fonte:De Mai o et al. (1994).


10. I processi I 369

se non quando un mutamento del contesto (l'evoluzione del mercato,


la presenza di nuove soluzioni tecnologiche) o della strategia di im-
presa richiedano/rendano possibile un intervento migliorativo. Al
contrario, un processo discontinuo è per sua natura temporaneo; non
a caso, uno degli obiettivi associato a qualsiasi progetto discontinuo è
il tempo di completamento;
• infine, un processo ripetitivo è maggiormente standardizzabile e, co-
me tale, può essere usualn1ente associato a flussi sequenziali di attività;
nel caso di un processo ripetitivo, come si vedrà meglio nel paragrafo
successivo, la presenza di interdipendenze reciproche è normalmente
un segno di inefficienza, che dovrebbe essere eliminata. Il grado di in-
novazione che caratterizza invece i processi discontinui richiede una
forte integrazione tra le diverse aree di competenza dell'impresa e tra
le diverse attività; di conseguenza, le interdipendenze reciproche sono
spesso ineliminabili,e occorre riuscire a gestirle.

10.3 L'analisidei processi:considerazionigenerali

Anche nel caso dei processi, come per le attività, esistono alcuni elementi
di progettazione organizzativa che appaiono assolutamente generali e indi-
pendenti dalle caratteristiche del singolo processo, altri invece completa-
mente specifici. In questo paragrafo, in particolare, si farà riferimento al
primo gruppo di elementi, riferendosi normalmente a un processo di tipo
ripetitivo. Nel capitolo successivo verranno indicate le caratteristiche diffe-
renziali di un processo disc on tin uo.
Analizzare un processo significa esaminare:
• il flusso delle attività che lo compongono e le relative interdipendenze;
• i confini del processo;
• le responsabilità organizzative;
• i sistemi informativi di supporto.

10.3.1 Attività e interdipendenze

La rappresentazione di un processo può essere effettuata partendo dalle


attività che lo costituiscono; come si è evidenziato nel paragrafo 7.1, infatti,
la mappatura delle attività come microimprese consente di associare a cia-
scuna di esse "risorse", "fornitori" e "clienti". Le catene di relazioni "forni-
tore/ cliente" consentono in particolare di identificare un processo 8 . Natu-

8. Nel testo si fa riferimento alla mappatura di un processo in termini molto generali e fun-
zionali all'analisi organizzativa; in realtà, è possibile utilizzare diverse forme di mappatu-
370 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

ralmente, poiché le attività sono specifiche della singola organizzazione, a


maggior ragione lo saranno i processi.
L'uso dell'analisi dell'attività come base per costruire i processi garan-
tisce:
• completezza, visto che ogni attività rilevante deve costituire la compo-
nente di qualche processo e che non possono esistere processi privi di
attività;
• comprensibilità, visto che il processo è descritto sulla base delle opera-
zioni reali che lo costituiscono;
• misura delle risorse utilizzate, pari all'integrale delle risorse delle atti-
vità che lo compongono.
Come si è sottolineato in precedenza, l'elemento distintivo del processo è
costituito dalle interdipendenze tra le attività che lo compongono; l'analisi
del processo deve quindi unire all'analisi delle singole attività, che può se-
guire lo schema indicato nel capitolo 7, una analisi puntuale delle interdi-
pendenze. Tali interdipendenze possono essere:
• sequenziali, quando l'output di una attività è input per un'altra ma non
viceversa;
• reciproche, quando l'output di una attività è input per un'altra e vice-
versa.
Ogni interdipendenza merita uno specifico intervento di progettazione or-
ganizzativa. In particolare:
• le interdipendenze reciproche inducono i maggiori problen1i di coordi-
namento. Infatti, in presenza di un'interdipendenza sequenziale è possi-
bile analizzare e gestire separatamente le due attività, purché siano chia-
re le implicazioni dell'unità a monte su quella a valle. Al contrario, in
presenza di interdipendenze reciproche è di fatto necessario gestire "si-
multaneamente" le due attività. In generale, quindi, potrà essere oppor-
tuno cercare di reingegnerizzareil processo,trasformando, per quanto possi-
bile, le interdipendenze reciproche in interdipendenze sequenziali;
• le interdipendenze sequenziali evidenziano punti di attenzione. In
particolare, tutte le volte che vi è una interdipendenza sequenziale è
necessario verificare se le prestazioni dell'attività a monte sono coe-
renti con le esigenze dell'attività a valle, che ne costituisce il cliente in-
terno. Ad esempio, nel processo raffigurato nella figura 10.3 è fonda-

ra, in funzione degli obiettivi specifici che si vogliono affrontare. Ad esempio, se l'obietti-
vo della mappatura è la costruzione del sistema informativo di supporto, essa dovrà enfa-
tizzare i flussi informativi tra le diverse unità; se invece vuole stimare il bilanciamento del-
le diverse risorse coinvolte, sarà necessario associare a ciascuna attività il tipo di risorse im-
piegate, il relativo driverdi consumo e la relazione esistente tra drivere utilizzo delle risor-
se. Esistono metodologie (la più nota è Idef, integrated computer-aided definition) e strumen-
ti di supporto specifici (quale ad esempio Aris, architecture of integrated inforrnation systerns).
Per un approfondimento su questi temi, cfr. Bartezzaghi, Spina e Verganti (1999).
10. I processi I 371

FIGURA 10.3 - Interdipendenze sequenziali

Acquisti - Produzione -- Vendita Cliente


1--+
esterno

mentale che sia l'attività di vendita a chiarire l'importanza relativa del-


le diverse prestazioni della produzione (servizio, qualità, tempestività
delle consegne), poiché è maggiorn1ente in grado di comprendere le
priorità del cliente finale; analogamente, è la produzione a dover defi-
nire gli obiettivi degli acquisti, in termini di puntualità delle conse-
gne, costi, garanzie sul rispetto delle specifiche nella fornitura.

10.3.2 I confini dei processi

I fenon1eni di deverticalizzazione delle imprese, che hanno portato a ester-


nalizzare le attività non rare, ovvero quelle che l'impresa non ritiene di po-
ter realizzare meglio di· soggetti esterni, hanno delle implicazioni anche
sulla progettazione dei processi.
In pratica, è come se una parte dei processi aziendali venisse realizzata
da unità organizzative esterne all'impresa; si enfatizza quindi l'impatto che
altre aziende (specificamente, fornitori e clienti) hanno sulle prestazioni
col? plessive di un'impresa.
E un fenomeno non nuovo, ma che si è molto accentuato negli ultimi
anni e che rende di fatto necessario estendere oltre i confini "societari" di
un'impresa la progettazione organizzativa 9 . Normalmente si utilizza il ter-
mine supply chain management (SCM) per indicare che l'ottica con cui devo-
no essere analizzati i processi operativi deve essere estesa, a monte, fino a
comprendere i fornitori critici e, a valle, i principali clienti; gestire la SCM
vuol dire che l'impresa deve integrare i propri processi con quelli dei for-
nitori, poiché questi impattano in modo crescente sui suoi risultati, e con
quelli dei suoi clienti, perché in questo modo il valore di ciò che l'impresa
fa per il cliente aumenta.

9. Per un approfondimento su questi concetti, cfr. Butera ( 1990).


372 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

Le implicazioni organizzative di tutto questo sono facilmente intuibili:


• i problemi di coordinamento, già rilevati all'interno di una stessa im-
presa, vengono amplificati quando coinvolgono imprese diverse, cia-
scuna con un proprio sistema di obiettivi e di stakeholder,
• per attenuare i problemi di coordinamento, è necessario sviluppare
una maggiore integrazione tra l'impresa, i suoi fornitori e i suoi clien-
ti, sia attraverso flussi informativi che con la creazione di vere e pro-
prie relazioni di partnership.

10.3.3 Le responsabilitàorganizzative

La capacità di gestire le interdipendenze tra attività costituisce un elemen-


to fondamentale per assicurare efficacia ed efficienza all'azione di un'im-
presa. Diviene quindi essenziale dedicare risorse manageriali specifiche al-
la gestione coordinata di un processo.
Il manager responsabile di un processo viene normalmente indicato co-
me processowner. Il processowner può svolgere questo ruolo in forma esclusi-
va o a fianco di una responsabilità organizzativa in una specifica attività; le
sue funzioni comprendono 10:
• il presidio delle prestazioni complessive del processo-e della conti-
nuità operativa;
• la responsabilità e le relazioni con il cliente (esterno o interno) del
processo;
, • il supporto al miglioramento continuo del processo.
E un compito complesso e che richiede forti capacità negoziali, visto che
normalmente il process owner non ha autorità gerarchica sulle risorse uma-
ne coinvolte nel processo, o per lo meno ha una autorità parziale 11.
I compiti specifici del process owner variano in funzione dello specifico
processo; si parlerà così, ad esempio, di project manager quando sia coinvol-
to nei processi di innovazione, di gestoredi commessanei processi produttivi
e logistici, di case manager nei processi di servizio al cliente.

10.3.4 li sistema informativo

Infine, la progettazione del processo richiede che si metta a punto il siste-


ma informativo di supporto; infatti un processo è in generale troppo com-
plesso per essere gestito senza strumenti informativi dedicati. Non è questa

1O. Cfr. Bartezzaghi, Spina e Verganti ( 1999).


11. Per una analisi più puntuale di questi aspetti, cfr. il paragrafo 11.3.3.
10. I processi I 373

la sede per discutere tutte le opportunità che le tecnologie dell'informa-


zione e d~lla comunicazione possono fornire a supporto della gestione dei
processi. E opportuno, tuttavia, citare perlomeno tre tipi di tecnologie che
hanno una particolare valenza:
• i sistemi di workflour,
• gli ERP;
• i sistemi web based.
I sistemi di workflow, lo strumento informatico "di base" a supporto dei pro-
cessi, sono applicazioni informatiche che utilizzano sistemi elettronici per
gestire e monitorare i processi di business. Esse consentono di definire e
"tracciare" il flusso di lavoro tra individui e/ o tra unità organizzative. In
questo modo, agevolano l'automazione di molti compiti e dirigono elettro-
nicamente le informazioni alle persone che ne hanno bisogno al momento
giusto. Gli utilizzatori di un sistema di workflow vengono informati dei lavo-
ri in attesa e i manager possono osservare lo stato delle attività e autorizza-
re le singole operazioni rapidamente.

I sistemi ERP ( enterprise resource planning) sono soluzioni maggiormente


strutturate e "potenti" rispetto ai workflow, composte da vari moduli corri-
spondenti alle diverse componenti di un sistema informativo aziendale, ba-
sate su architetture client server. In modo molto sintetico, in un ERP:
• ciascun dato viene inserito nel sistema informatico da un singolo
utente;
• il sistema aggiorna automaticamente tutti i moduli che sono influen-
zati da quel dato; .
• le informazioni aggiornate possono essere "lette" simultaneamente da
tutti gli utenti 12.
I punti di forza, e i limiti, dei sistemi ERP nascono direttamente dalle lo-
ro caratteristiche tecnologiche. In particolare, un sistema ERP è organiz-
zato in:
• una struttura "di base", che costituisce una sorta di scheletro dell'ERP,
e contiene una "rappresentazione" dei processi aziendali, specifica di
ogni sistema, che viene mantenuta "fissa" in tutte le implementazioni;
• una "customizzazione" ( o verticalizzazione), che consiste nell'adatta-
mento della rappresentazione generale dei processi aziendali alle spe-
cificità di un singolo settore;
• una "parametrizzazione". Il modello customizzato è un modello di tipo
parametrico; i valori dei parametri vengono definiti in modo specifico
per ciascuna applicazione.

12. Owiamente, sono possibili limiti agli accessi alle singole informazioni.
374 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

Di conseguenza:
• il tempo/ costo dello sviluppo è ridotto, poiché non è necessario met-
tere a punto il codice software in ogni nuova applicazione, ma è suffi-
ciente "parametrizzare" il codice customizzato;
• l'impresa deve però avere un modello di funzionamento coerente con
la rappresentazione presente nell'ERP; in caso contrario, è necessario
adattare l'ERP (procedura, normalmente, troppo costosa) o modifica-
re le logiche di funzionamento dell'azienda.
Di fatto, l'ERP è un sistema "efficiente", che aumenta la capacità di integra-
zione del sistema informativo; come sempre, però, l'aumento dell'integra-
zione va a scapito della flessibilità, in termini di:
• possibilità di adattare il sisten1a alle specificità dell'azienda;
• possibilità di modificare il sistema in presenza di una reingegnerizza-
zione dei processi aziendali.
Il primo punto può essere o meno critico a seconda del modo in cui un 'im-
presa è organizzata attualmente. Il secondo punto appare invece molto
problematico in contesti innovativi e richiede una certa cautela nell'ado-
zione di questa soluzione tecnologica.

Anche Internet consente numerose opportunità a supporto della gestione


dei processi, in particolare per quanto riguarda l'integrazione con fornito-
ri e clienti. Si pensi, solo a titolo di esempio, alla possibilità di:
• conoscere in tempo reale l'opinione dei clienti sull'azienda e sui suoi
prodotti, attraverso questionari compilati on-line sul sito aziendale (è
stato forse il primo utilizzo del web per ottenere informazioni utili per
la gestione ed è ormai molto diffuso);
• diffondere tra1nite Intranet informazioni sui risultati delle diverse
unità organizzative e sugli obiettivi dell'azienda (Siemens utilizza la
propria Intranet per diffondere a tutti i dipendenti le linee guida del-
l'azienda);
• rilevare in tempo reale il comportamento dei propri fornitori, acce-
dendo ai loro sistemi informativi attraverso l'uso di una Extranet. Fiat,
ad esempio, è in grado di trasmettere ad alcuni fornitori la fattura che
il fornitore dovrà poi inviare all'azienda; in questo caso, il monitorag-
gio del processo di fatturazione passiva è quindi immediato 13.

13. Questo utilizzo di Internet viene definito business to business (B2B) se mette in connessio-
ne un'impresa con un'altra, business to ronsumer (B2C) se la connette con i consumatori in-
dividuali.
10. I processi I 375

10.4 La progettazionedei processi:le specificitàdei processidiscontinui

I processi discontinui (che nel seguito definiremo, coerentemente con


una terminologia più diffusa, progetti) sono in generale caratterizzati dalle
seguenti attività:

• concezione, ovvero ideazione del progetto e dei suoi obiettivi;


• . definizione, in cui il progetto viene pianificato puntualmente;
• realizzazione;
• chiusura, nella quale avviene il passaggio di consegne tra chi ha gestito
il progetto e chi do\Tà gestire l'output a regime e si valutano i risultati
ottenuti.
Le maggiori specificità dei progetti rispetto ai processi ripetitivi riguardano
le prime due fasi; è infatti durante la concezione e la definizione del pro-
getto che si mettono le basi per gestire le "interdipendenze reciproche"
che, come visto, caratterizzano i processi discontinui.
In particolare, è opportuno anticipare i vincoli e le opportunità, per evi-
tare che una loro scoperta "tardiva":
• generi ricicli e quindi ritardi nel completamento del progetto;
• porti a scaricare i problemi sulle fasi successive del progetto, aumen-
tando costi e tempi;
• degradi la qualità dell'output.
Anticipare i vincoli non è naturalmente semplice; gli interventi organizza-
tivi più importanti per riuscirci sono:
• il lavoro in team, coinyolgendo sin dall'inizio tutte le unità organizza-
tive che hanno un ruolo nel progetto;
• il ricorso alle competenze maturate nell'impresa, in passato, in pro-
getti con punti di contatto con quello attuale;
• l'uso delle tecniche di pianificazione e controllo di un progetto. Esse
consentono di identificare le principali fasi che costituiscono il pro-
getto, associando a ciascuna di esse una data di completamento, un
costo atteso delle risorse necessarie e un obiettivo specifico da rag-
giungere. Questi elementi (tabella 10.2) definiscono complessivamen-
te il budget del progetto, il cui confronto con quanto avviene a con-
suntivo costituisce poi il principale strumento a supporto della vera e
propria fase realizzativa e della chiusura del progetto stesso.

TABELLA l 0.2 - Pianificazionee controllodel progetto

Fase Budget Consuntivo

Data prevista Costo Obiettivo Data effettiva Costo Risultato


di completamento previsto di completamento effettivo
376 J L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

F I e u RA 10.4 - Un esempio di descrizione di un progetto

2001
B Employ Project 05 06 07 08 09 l O
1.1 Analisi richieste utenti 16.S p/m

2.1 Architettura Sistema Globale 6 p/m


2.2 Processo di Reingegnerizzazione 7 p/m

Ml Primo punto di arrivo 31/12

3.1 Specifiche Strumenti Data Warehousing 11.2 p/m


3.2 Specifiche Strumenti Collaboration

3.3 Specifiche Strumenti Security

4.1 Implementazione Strumenti Data Warehousing

4.2 Implementazione Strumenti Collaboration

4.3 Implementazione Strumenti Security

M2 Secondo punto di arrivo

// Totale risorse impiegate 109.7 p/m

Prescinde naturalmente dagli obiettivi di questo testo la descrizione degli


specifici strumenti di supporto alla gestione di un progetto, per la quale si
rimanda ai testi specifici di project management 14.
A titolo di esempio, ci si limita a riportare, nella figura 1O.4, un sistema
adottato per la gestione dei progetti al Ministero dell'economia e delle fi-
nanze, basato su una rappresentazione di tipo grafico; per ciascuna attività,
vengono indicati il tempo di completamento previsto (barre più larghe),
quello effettivo (barre più strette), e le risorse umane dedicate (misurate
in persone/mese (p/m)).

14. Cfr., ad esempio, De Maio et al. (1995), Tonchia (2001).


11 Le strutture organizzative

In questa sintetica analisi degli assetti organizzativi delle imprese, si è la-


sciata per ultima la dimensione normalmente più visibile dall'esterno,
quella relativa alla struttura.
Nella figura 11.1 viene presentato un esempio di struttura organizzativa,
che consente di evidenziare le chiavi di lettura più importanti:
• i "rettangoli" rappresentano "unità organizzative", cioè gruppi di per-
sone che svolgono un insieme di attività; a ogni unità organizzativa
viene associato il nom·e di un responsabile;
• le righe orizzontali di rettangoli rappresentano i livelli gerarchici del-
l'impresa. In particolare, la riga superiore costituisce il verticestrategjco,
ovvero chi ha il compito di "governare" l'impresa e di rappresentarla
nelle relazioni con l'esterno; la riga inferiore è composta dal nucleo
operativo,ovvero da chi svolge le attività primarie dell'impresa (proget-

F, G u RA 11.1 - La struttura organizzativa:le relazionidi line

· CortsigliOdi
;·, .amministrazione

. / ,. . . .

Pr6gettazh:>né
-

Grandi.•. -.'Piceolf Mercati


dientr clienti• esteri•
378 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

tare, produrre, vendere, assistere il cliente); i livelli gerarchici inter-


medi sono invece costituiti dal management intermedio, ovvero da chi ha
il compito di garantire il coordinamento delle singole parti dell'im-
presa, organizzare il lavoro delle diverse unità in modo coerente con
gli obiettivi dell'impresa, assicurare i flussi informativi tra il vertice
strategico e il nucleo operativo;
• le linee verticali indicano i legami "gerarchici" tra le unità; ad esem-
pio, le linee che legano la "produzione" ai reparti "tornitura" e "fresa-
tura" indicano che la produzione "accorpa" le attività di tornitura e di
fresatura e che i responsabili di queste ultime dipendono gerarchica-
mente dal responsabile della produzione. I legami gerarchici vengono
normalmente indicati come relazioni di line.
Nella figura 11.2 vengono aggiunte alcune unità organizzative al di fuori
dei legami di line; si tratta delle unità di staff, incaricate di svolgere attività
di supporto ai processi primari (pianificazione e controllo, gestione delle
risorse umane, amministrazione e finanza, legale ecc.); all'interno di que-
sto staff di supporto si può evidenziare il ruolo delle tecnostrutture, ovvero
delle unità che definiscono gli standard di funzionamento del resto del-
l'impresa (progettisti di processo, incaricati di definire gli standard di pro-
cesso; unità di pianificazione e controllo, responsabili della standardizza-
zione degli obiettivi; risorse umane, che hanno il compito di definire i pia-
ni di formazione funzionali a standardizzare le competenze). Le strutture

F I e u RA 11 .2 - La struttura organizzativa: le relazioni di linee di staff

Consigliodi
amministrazione

Pianificazione ,.._-
· e controtlo Risorseumane

Amministrazione
e finanza -

I I

Produzione Vendite Progettazione

I
Ingegneria
I I I
di processo - Grandi Piccoli Mercati
clienti clienti esteri
I I
Tornitura Fresatura
11. Le strutture organizzative I 379

di staff supportano il management di fine e non hanno autorità gerarchica


sui livelli inferiori della struttura.

La progettazione della struttura organizzativa consiste quindi nel definire:


• come raggruppare le attività in unità organizzative;
• come raggruppare le unità organizzative elementari, quelle cioè nel
livello inferiore dell' organigran1ma, in attività di livello superiore.
Si noti che organizzazioni che svolgono le stesse attività possono scegliere
strutture organizzative anche molto diverse. A titolo di esempio, nelle figu-
re 11.3 e 11. 4 vengono riportati gli organigramma di due istituti nazionali
di statistica europei, quello spagnolo e quello olandese. Si tratta di due or-
ganizzazioni che svolgono le stesse attività 1, ma con modalità di raggruppa-
mento differenti. Nella soluzione spagnola, a un primo livello vengono rag-
gruppate le persone che svolgono attività "simili": da un lato, ad esempio,
chi si occupa di raccogliere i dati per predisporre gli archivi statistici, dal-
1'altro chi li utilizza per "produrre" informazioni statistiche.
Nell'istituto olandese, invece, sono state raggruppate dapprima le atti-
vità che hanno una stessa finalizzazione; così, si distingue tra tutti coloro
che rilevano dati per gli archivi statistici e producono informazione statisti-
ca per le imprese, chi lo fa per statistiche spaziali e sociali, chi infine lo fa
per statistiche macroeconomiche.

FI e u RA 11 . 3 - L'organigrammadell'istituto nazionaledi statisticaspagnolo

Presidente

. . Coordinamentoe pianificazionestatistica Risorseumane.


Bilancio

:,t'>irezione t_.re_z
generaleprocessie infrastruttura statistica L..,-_D__ ......
io_n_e_.;;.g_en
......
e__
ra
___
l_e.
_p_roct
.....
· _ottì......
...... tl....
s_ta_t_is,
.....
ci_._......
......

Diffusione Contabilità nazionale

Informatica Statisticadei.servizi
~nsimento e anagrafe .Statistichesociali
Raccoftadati Prezzie bilancidellefamiglie ·
Metodologiae tecnic~ statistica Statisticheindustrialie agrarie

1. Contrariamente alle imprese industriali e di servizi, dove non è mai possibile tro~are ~n~
totale sovrapposizione di attività e di prodotti tra due diverse imprese, nel caso d1 un isti-
tuto nazionale di statistica le funzioni sono definite in modo univoco, anche per la neces-
sità di rispondere alle richieste di statistiche da parte dell'UE.
380 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

FI e u RA 11 .4 - L'organigrammadell'istitutonazionaledi statisticaolandese

Staff centrali {Strategia, Finanza, ·•. _


Pianificazione e controno. Personale,yr,

Statistiche delle imprese

Archivi delle imprese


Indagini sulle imprese ·tndagini sulle famiglie·
Analisi statistiche Analisi ·statistièhe
Sviluppo e supporto Sviluppo e supp<>rto · ·
______________
..__ Tecnologie e infrastrutture ....__.._..
t-'--------1 ·stati$tiche macroeconomiche.e
; ,' . .
diffusione
. .. .
·

Metodi e informatica Prezzi e indicatori congiunturali


ICT Istituzioni fìnanziariè e PA
Servizi generali Contabilità nazionale

Sviluppo e supporto Diffusione

Sviluppoe supporto

Così, in Spagna chi rileva informazioni statistiche per le imprese si trova


nella stessa unità organizzativa di chi rileva informazioni statistiche di tipo
sociale; al contrario, in Olanda chi rileva informazioni statistiche per le im-
prese si trova nella stessa unità organizzativa di chi utilizza tali informazioni
per produrre statistiche per le imprese.
Da dove nasce questa differenza? In questo capitolo si forniranno gli ele-
menti per rispondere alla domanda, analizzando le logiche secondo cui le
persone che operano nelle diverse attività di una impresa vengono "rag-
gruppate" per andare a comporre l'organigramma.
A tal fine:
• dapprima si analizzeranno le logiche elementari in base alle quali è
possibile raggruppare le attività;
• quindi, si presenteranno le principali strutture organizzative realizza-
bili sulla base di queste modalità di raggruppamento;
• infine, si evidenzieranno le soluzioni organizzative che possono ovvia-
re ai punti di debolezza delle diverse scelte di raggruppamento.
11. Le strutture organizzative I 381

11. 1 Le logiche elementari di raggruppamento delle attività

In generale, un 'attività può essere descritta secondo tre diverse dimensio-


ni: input, output e localizzazione. Per assicurare la massima omogeneità al-
l'interno di un 'unità organizzativa, quindi, essa potrà essere formata rag-
gruppando le attività caratterizzate da:
• uguale input. Si potrà in questo ambito fare riferimento alle risorse
utilizzate (tutti coloro che lavorano in fonderia) o alle competenze di-
sponibili ( tutti gli ingegneri di processo);
• uguale output. L'output può assumere connotazioni differenti in base
al livello di aggregazione prescelto. Così, si potranno definire come
caratterizzate dallo stesso output tutte le attività funzionali a un certo
cliente/mercato (tutte le attività che servono per i clienti consumer), a
un certo prodotto/linea di prodotto (tutte le attività funzionali a pro-
gettare, produrre e vendere pneumatici per autovetture) o, ancora, a
un certo processo ( tutte le attività funzionali ad assicurare la realizza-
zione del ciclo di fatturazione);
• uguale localizzazione geografica. Secondo questa logica, importante in
particolare per le imprese che operano su scala globale, vanno a far par-
te della stessa unità organizzativa tutti coloro che sono insediati nel me-
desimo luogo (così, chi opera nell'attività commerciale in Germania
viene "raggruppato" con chi opera negli impianti produttivi tedeschi).
Quest'ultimo caso merita di essere approfondito. Talvolta, infatti, si tende
a considerare il raggruppamento "geografico" come un caso particolare di
quello per "output" 2 . •
In realtà questo è vero solo per alcune tipologie di imprese. Prescinden-
do da diversità terminologiche, è possibile in questo senso fare riferimento
a tre differenti "tipi" di imprese multinazionali 3 , secondo quanto eviden-
ziato nella figura 11.5. Le singole configurazioni sono identificate sulla base
dell'esistenza di una spinta all'integrazione tra le diverse attività e/o di una
spinta a privilegiare la risposta locale4, cioè l'adattamento alle specifiche
esigenze, di mercato e istituzionali, di ciascun paese. Escludendo il caso di
imprese dove esistono spinte modeste sia a livello globale sia in termini di
risposta locale, per le quali il raggruppamento "geografico" è poco signifi-
cativo, le tre configurazioni possono essere così caratterizzate:
• le impreseglobali, in cui le unità localizzate nei differenti paesi operano
in modo integrato, al fine di sfruttare i vantaggi di costo nella gestione
delle risorse; ogni tipologia di attività tende quindi a essere localizzata

2. Cfr., ad esempio, Simons (2004).


3. Su questo tema, cfr. paragrafo5. 9.5.
4. Sull'individuazione di specifici fattori che possono costituire spinte all'integrazione o, vi-
ceversa, alla risposta locale, cfr. Prahalad e Doz ( 1987).
382 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

FIGURA 11.5 - Letipologiedi multinazionali

Spinta all'integrazione

bassa alta

alta
Imprese
globali

Spinta alla
risposta locale

Imprese Imprese
multidomestiche transnazionali

bassa

in un solo paese. Per le imprese globali, il raggruppamento in base alla


localizzazione tende quindi a sovrapporsi con il raggruppamento in ba-
se all'input,
• le imprese multidomestiche, in cui le diverse unità regionali operano in
modo sostanzialmente autonomo, al fine di e~fatizzare la possibilità
di rapporto con i mercati e le istituzioni locali. E questo il solo caso in
cui il raggruppamento geografico tende a coincidere con quello in
base all'output, poiché tutte le unità insediate in un paese operano in
funzione del mercato locale;
• le imprese transnazionali, od orizzontali o eterarchiche,rappresentative di si-
tuazioni caratterizzate da vantaggi potenziali elevati sia di tipo globale
sia di tipo locale; in questo caso, sembrano prevalere strutture a rete, in
cui tra le diverse unità esistono forti flussi, sia fisici che informativi. I
flussi fisici sono finalizzati a gestire in modo efficiente i vantaggi di scala
e le potenzialità derivanti dalla possibilità di operare in paesi caratteriz-
zati da costi differenti dei fattori produttivi; i flussi informativi hanno
lo scopo di trasferire le conoscenze maturate in un paese alle altre
unità organizzative, così da agevolare l'apprendimento e da favorire
una più rapida risposta al cambiamento, ogni volta che le esigenze che
caratterizzano da tempo un paese comincino a interessarne altri 5 . In

5. E il caso ad esempio delle esigenze di compatibilità ambientale, che si trasferiscono nor-


malmente dai paesi più sensibili, primo tra tutti gli Stati Uniti, a quelli meno sensibili.
11. Le strutture organizzative I 383

quest'ultimo caso, il raggruppamento geografico è completamente or-


togonale rispetto a quelli basati sull'input o sull'output.
La scelta tra il raggruppamento in base ali' input, ali' output o alla localizzazio-
ne dipende dai legami che esistono tra le diverse attività (interdipendenze). Le
interdipendenze possono riguardare:
• 1. processi;.
• le competenze;
• la scala nell'utilizzo delle risorse;
• gli assetti socio-culturali .
Le interdipendenze di processo, sequenziali e reciproche, sono state descritte
nel capitolo precedente. Come si è già sottolineato in quella sede, è prefe-
ribile che tutte le attività che fanno parte di uno stesso processo abbiano
un solo responsabile, in modo da assicurare il massimo coordinamento. Sa-
rebbe quindi opportuno_ raggruppare all'interno di una stessa unità orga-
nizzativa tutte le attività tra cui esistono interdipendenze di processo; nel
caso questo non fosse possibile, è comunque preferibile suddividere il pro-
cesso in modo che i legami tra le unità organizzative siano monodireziona-
li (figura 11. 6), ovvero che l'output di una unità organizzativa sia input per
un'altra ma non viceversa, e non bidirezionali (figura 11. 7)6 , così da:

FI e u RA 11. 6 - Interdipendenzemonodirezionali

.
Unità Unità organizzativa 2
Organizzativa 1

,. ,

Attività 1 ~
,·,;

Attivit'à
2
,,,- , ,,;
.. Attività 3
/, .,_,~;:;; .
'," ' ,

6. Si noti che nel capitolo 1Osono state analizzate le interdipendenze tra le diverse attività che
·compongono il processo indipendentemente dall'unità organizzativa che le realizza; così,
un'interdipendenza sequenziale tra due attività indicava che una era input per l'altra. Nel
caso della progettazione delle strutture organizzative, invece, l'attenzione è rivolta ai lega-
mi tra le unità organizzative che svolgono le singole attività.
384 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

F, e u RA 11. 7 - Interdipendenzebidirezionali

Unità Unità
organizzativa 1 organizzativa 2

• ridurre i costi di coordinamento;


• aumentare la velocità 1i risposta nel caso si manifestassero dei proble-
mi. Quando i problemi toccano due diverse unità organizzative, infat-
ti, la loro soluzione richiede un intervento congiunto dei relativi re-
sponsabili e, se questi non sono in grado di individuare e implementa-
re autonomamente la soluzione, un intervento a livello superiore, con
inevitabili perdite di tempo.
Per ridurre le interdipendenze di processo, è in generale preferibile ricor-
rere a un raggruppamento basato sull'output, che assicura una "unicità di
controllo" su tutte le attività che hanno un'identica finalizzazione e, come
tali, appartengono a uno stesso processo.

Si ha un'interdipendenza di competenze/risorsequando due attività richiedono


lo stesso tipo di competenze o utilizzano lo stesso tipo di tecnologie di sup-
porto. In questo caso, se le attività vengono inserite in due unità organizza-
tive distinte si creano i seguenti problemi:
• vi è una minore possibilità di apprendimento e di diffusione delle co-
noscenze, in particolare di quelle tacite e poco formalizzabili, tra chi
svolge l'attività nelle due unità organizzative;
• vi è una limitata possibilità di bilanciamento dei carichi di lavoro. Si
consideri ad esempio la presenza di due gruppi di progettisti in
un'impresa motociclistica, l'uno solo per le moto di cilindrata supe-
11. Le strutture organizzative I 385

riore a 500 cc e l'altro per quelle di cilindrata inferiore. A un eventua-


le aumento di carichi di lavoro nelle moto di alta cilindrata si potreb-
be fare_ fronte solo con il trasferimento di personale; si rischierebbe
però in questo modo di generare conflitti tra i responsabili delle due
unità organizzative (ad esempio, chi sceglie quali progettisti trasferi-
re? Chi valuta se il trasferimento non crea problemi all'attività corren-
te della progettazione di moto di piccola cilindrata?) che, come mini-
mo, rallenterebbero l'operazione.
Nel caso di interdipendenza di competenze/risorse è preferibile ricorrere
a un raggruppamento basato sull'input, che minimizza il rischio di disper-
dere competenze simili tra unità organizzative differenti.

Si ha un'interdipendenza di scala nell'uso delle risorse quando due attività


utilizzano una stessa risorsa, per la quale esistono delle significative econo-
mie di scala. In questo caso, se le attività vengono inserite in unità organiz-
zative differenti, ciascuna delle quali con una propria dotazione di risorse,
si rischia un aumento dei costi complessivi. Nella figura 11.8 viene rappre-
sentata la situazione, nell'ipotesi che le due attività, A e B, utilizzino rispet-
tivamente una quantità Qa e Qb delle risorse. Nel caso le due attività venis-
sero separate, il costo complessivo per l'impresa risulterebbe pari a:

Qa · Ca + Qb · Cb

che è decisamente superiore al costo (Qa + Qb) · Ca+ b' che si sarebbe otte-
nuto nell'ipotesi le due attività utilizzassero congiuntamente la risorsa. An-

F, G u RA 11.8 - Interdipendenzadi scala

Costo unitario

Ca I
I
I
Cb ---------------------~-------
I
I
I
I I

Ca+b ---------------------~--------~-------------------=----
'
1
I
I
!' -------- I
I
I I I
1 I I
1 I I
I I I
I I I
I I I

Qa Qb Qa+Qb
Q

Cb*Qb + Ca*Qa>Ca + b*(Qa + Qb)


386 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

che in questo caso, è preferibile un raggruppamento basato sull'input, che


tende ad accorpare le unità organizzative che utilizzano le stesse risorse.

Infine, l'accorpamento di attività in unità organizzative può avere effetti di


tipo socio-politico-culturale che non possono essere trascurati. Al di là del-
1'ovvia necessità di privilegiare l'inserimento nella stessa unità organizzati-
va di persone tra loro affiatate, si possono esemplificare alcune situazioni
specifiche:
• l'integrazione tra il personale di due imprese, con culture molto di-
verse, dopo un processo di fusione o acquisizione; si creano inevitabil-
mente resistenze culturali se si decide di raggruppare il personale del-
le due imprese in un'unica unità organizzativa;
• l'integrazione tra unità localizzate in paesi differenti può essere diffi-
cile, per la presenza di una cultura, ma anche di regimi contrattuali
molto diversi. In particolare in quest'ultimo caso può essere utile ri-
correre a un raggruppamento per localizzazione geografica, che ha
anche il vantaggio di assicurare una migliore cooperazione con i go-
verni dei singoli paesi in cui un'impresa è insediata.
Sarà in generale necessario che la singola impresa analizzi la rilevanza del-
le singole forme di interdipendenza nella propria situazione specifica, per
decidere il criterio di raggruppamento più adeguato. In questa analisi, va
inoltre tenuta presente la possibilità di adottare logiche differenti nelle sin-
gole aree dell'impresa; ad esempio, privilegiando un raggruppamento ba-
sato sull'input in aree come la ricerca e la progettazione, dove è particolar-
mente accentuata la presenza di effetti di scala e di trasferimento delle co-
noscenze, un raggruppamento basato sui processi nel resto dell'impresa.

11.2 Le modalitàdi raggruppamentobase:strutture funzionali e divisionali

Le strutture organizzative vengono classificate, a seconda della logica di


raggruppamento adottata nel livello organizzativo superiore, in:
• strutture funzionali, quando al primo livello si segue una logica di rag-
gruppamento basata sull'input,
• strutture divisionali, quando al primo livello si segue una logica basata
sull'output o sulla localizzazione; possono a loro volta essere distinte, a
seconda del criterio di raggruppamento utilizzato, in divisionali per
prodotto, divisionali per mercato, divisionali per area geografica.
Le prestazioni dei due tipi di struttura organizzativa, cioè la capacità di
contribuire a diverse dimensioni della strategia competitiva dell'impresa,
sono riassunte nella tabella 11.1 7:

7. Per una definizione delle singole prestazioni, cfr. capitolo 6.


II. Le strutture organizzative I 387

TABELLA 11 . l - Le performancedelle strutturefunzionalie divisionali

Prestazione Strutturafunzionale Strutturadivisionale


della struttura organizzativa

Efficienza interna Elevata, poiché accorpa attività Ridotta, a meno che esistano
che utilizzano risorse diseconomie di scala
e competenze,.simili
Efficacia Ridotta, per la presenza Elevata
di barriere tra funzioni
Capacità di risposta Elevata, per la possibilità Limitata all'interno della singola
a piccoli cambiamenti di gestire in modo accentrato divisione
ogni risorsa
Capacità di risposta Bassa, richiede interventi estesi Elevata
a grandi cambiamenti a tutte le funzioni aziendali
e coordinati
Capacità di innovazione Agevolate le innovazioni Agevolate le innovazioni
researchdriven market driven
Responsabilizzazione Difficile isolare correttamente Evidenzia meglio le responsabilità
le responsabilità delle singole sui risultati di business
unità organizzative
Sviluppo manageriale Basso Alto

• efficienza. In generale, l'efficienza dipende da effetti di scala e di ap-


prendimento nell'utilizzo delle risorse. Da questo punto di vista, le
strutture di tipo funzionale, che accorpano le attività che utilizzano le
stesse risorse e le stesse competenze, appaiono preferibili rispetto alle
strutture divisionali. Al crescere della dimensione dell'impresa, tutta-
via, può accadere che il volume di attività sia superiore al minimo ne-
cessario per generare vantaggi di scala; in questo caso, la soluzione di-
visionale può non presentare particolari inefficienze o, addirittura, es-
sere preferibile quando la dimensione eccessiva comporti disecono-
mie di scala 8 ;
• efficaaa. Per realizzare prodotti/servizi coerenti con le aspettative del
mercato, è necessaria una elevata interazione tra le attività che hanno
rapporti con i clienti e quelle che contribuiscono più direttamente alla
progettazione e alla realizzazione dei prodotti/ servizi. In questo caso,
quindi, la soluzione divisionale risulta preferibile, poiché assicura un
miglior coordinamento tra le diverse attività finalizzate allo stesso out-
put.Così, ad esempio, le unità commerciali saranno in grado di trasmet-
tere più rapidamente alla progettazione e alle strutture operative i re-
quisiti richiesti dai clienti. Al contrario, nelle strutture funzionali si crea-

8. Cfr. paragrafi5.8.1-5.8.3.
388 i L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

no naturalmente delle barriere organizzative che ostacolano i flussi


inf armativi interni;
• capacità di risposta a piccoli cambiamenti (flessibilità operativa). In presenza
di piccoli cambiamenti, è estremamente importante essere in grado di
riallocare le risorse dell'impresa secondo le nuove esigenze. Ad esem-
pio, se in un'impresa globale si crea un problema in un impianto in
Cina, è necessario verificare se è possibile aumentare la produzione di
un altro impianto per mantenere la produzione complessiva. A questo
fine, è preferibile disporre di una struttura di tipo funzionale, che as-
sicura la gestione integrata delle risorse e agevola il bilanciamento dei
carichi di lavoro. Nella struttura divisionale, questo è facilmente otte-
nibile solo all'interno di una stessa divisione;
• capacità di risposta a grandi cambiamenti (flessibilità strategi,ca). Nel caso
dell'introduzione di una nuova linea di prodotti o di un ampliamento
del portafoglio di prodotti/mercati dell'impresa, la struttura divisio-
nale è decisamente più flessibile. L'entrata in una nuova area di busi-
ness, ad esempio, richiede semplicemente la creazione di una nuova
divisione, con impatti modesti su quelle esistenti. In una struttura fun-
zionale, invece, questo tipo di cambiamenti richiede una serie di in-
terventi significativi e coordinati in tutte le funzioni aziendali; se poi
la diversificazione avviene attraverso l'acquisizione di un 'impresa, si
creano problemi di interdipendenze socio-culturali tra-il personale ac-
quisito e quello dell'impresa acquirente;
"
• capacità di innovazione. E più difficile esprimere una valutazione univo-
ca sulla capacità delle diverse strutture di generare innovazione. Le
strutture funzionali, infatti, agevolano lo sviluppo di innovazione re-
search/technology driven, grazie alla presenza di sinergie nelle attività di
ricerca e progettazione. Le strutture divisionali stimolano invece più
facilmente innovazioni market driven, per i maggiori contatti tra le
unità che presidiano il mercato e quelle che dominano la tecnologia;
• responsabilizzazione. Nei capitoli 7 e 8 si è sottolineato che il comporta-
mento degli individui e dei gruppi deriva anche dalla capacità di co-
glierne correttamente le responsabilità. La struttura divisionale appa-
re in questo senso preferibile, in quanto il vertice di ogni divisione ge-
stisce tutte le leve strategiche del business e può quindi essere valutato
sui risultati complessivi. Nella struttura funzionale, invece, le respon-
sabilità sono maggiormente frammentate; si rischia così di stimolare
una tendenza a "ottimizzare" i risultati delle singole funzioni piuttosto
che quelli dell'impresa nel suo complesso;
• sviluppo manageriale. Nelle imprese con una organizzazione funzionale
solo il vertice strategico ha sotto controllo tutte le leve del business. In
una struttura divisionale ogni responsabile di divisione gestisce di fatto
un'impresa e può quindi assicurare più facilmente un ricambio al ver-
tice, avendo già maturato tutte le competenze necessarie.
11. Le strutture organizzative I 389

TABELLA 11 . 2 - Fattoridi contestoe strutture organizzative

Fattore di conte~o Struttura funzionale Struttura divisionale

Dimensione Piccola Grande


Complessità del mix Bassa Alta
Dinamica dell'ambiente Bassa Alta
Innovazione Technologydriven Market driven

FI e u RA 11. 9 - Un esempio di organigrammafunzionale: Fineco

Presidente

AD

Revisione
interna

Risk Investor relations


management
e comunicazioni

D.G.

Cond G.

Pianificazione
e controllo

I I I I

Contabilità Organizzazione Risorse Affari generali


Finanza
e bilancio e sistemi umane - partecipazioni

Organizzazione ,-
Affari sociali

- Sistemi
Legale
informativi

... Partecipazioni

Fonte: www.fìnecogroup.it, gennaio 2005.


390 j L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

FI e u RA 11 .1 O - Un esempiodi struttura divisionaleper prodotto:McGraw-Hill

The McGraw-Hill
companies

I
Financial lnformation and
Education services Media Services

The McGraw-Hill Standard


- - --- Business week
Education &Poor's

.__
Constructions

.__
Platts

Aviation
- week

Broadcasting
group

Health
care

Fonte: www.McGraw-Hill.com, gennaio 2005.

In generale ( tabella 11. 2), si può ritenere che le strutture di tipo funzionale
siano particolarmente coerenti con:
• contesti competitivi stabili o comunque le cui evoluzioni sono limitate
e prevalentemente di natura quantitativa; in questi casi, infatti, l' effi-
cienza e la flessibilità operativa appaiono particolarmente importanti;
• contesti semplici, con una gamma produttiva limitata e una competi-
zione basata su pochi fattori competitivi; in queste situazioni, infatti, i
flussi informativi tra le diverse aree aziendali sono meno frequenti e
importanti;
• imprese di medie dimensioni, in cui non si verificano diseconomie di
scala.
Nella figura 11. 9, ad esempio, viene riportato l'organigramma di Fineco, nel
11. Le strutture organizzative I 391

FI G u RA 11 .11 - Un esempio di struttura divisionaleper mercato:Electrolux

President and CEO

Group strategy
and key processes

Communication
Legai Affairs
and Branding

I I
Treasury, Controlling, Human Resources and
Accounting, Taxes, Auditing Organizational development

Consumer Durables ProfessionalProducts

White Goods White Goods Floor Care Outdoor Outdoor Indoor


North America Europe, Asia, Products and Products Products Products
and Latin Africa Small
America & Oceania Appliances

Fonte:www.electrolux.com, gennaio 2005.

quale il primo livello di management, alle dirette dipendenze del direttore ge-
nerale, identifica le principali attività "operative" di una struttura finanziaria
(finanza, contabilità e bilancio, risorse umane, organizzazione e sistemi, par-
ticolarmente enfatizzata dalla strategia di Fineco, che privilegia le interazioni
on-line con i propri clienti). La struttura è coerente con un "mix produttivo"
relativamente sernplice e "stabile" e con dimensioni organizzative contenute.
Le strutture divisionali saranno invece in generale preferibili in:
• contesti dinamici e complessi, dove è essenziale avere una elevata ca-
pacità di risposta al mercato;
• imprese più grandi, le cui dimensioni consentono di suddividere le
singole funzioni senza conseguenze negative in termini di economie
di scala e dove è particolarmente importante disporre di una corretta
responsabilizzazione delle singole unità.
All'interno di questo quadro generale, le strutture divisionali assumeranno
alcune specificità in funzione della dimensione utilizzata per articolare le
divisioni. In particolare, nelle figure 11.10-11.12 vengono rappresentati i ca-
si più frequenti, nei quali il primo livello dell'organigramma raggruppa
tutte le attività funzionali alla realizzazione di una linea di prodotti (divisio-
nale per prodotto), a servire uno specifico mercato (divisionale per merca-
392 J L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

to) o a realizzare tutto ciò che serve a una specifica area geografica (divi-
sionale per area geografica).
Ciascuna divisione potrà poi essere articolata al proprio interno secondo
diverse modalità: ancora per prodotto/mercato/area geografica, per fun-
zione, per processo o secondo una struttura di tipo matriciale.
McGraw Hill, multinazionale che opera in campo editoriale (figura
11.10), in particolare, ha voluto evidenziare la presenza al proprio interno
di linee di prodotto molto diverse: l'editoria più classica, rivolta prevalente-
mente alla produzione di testi scientifici ( education), la produzione di servi-
zi finanziari, con il ben noto Standard&Poor's, le altre attività.
Al contrario, nel caso di Electrolux (figura 11.11) prevale l'interesse a in-
tegrare le attività rivolte a uno stesso cliente; così, ad esempio, una stessa li-
nea di prodotto (gli outdoor products) viene inserita sia nell'unità che si occu-
pa del mercato consumer sia in quella che si rivolge agli operatori professio-
nali. Si noti che i livelli successivi di raggrupparnento sono ancora orientati
al mercato: dal responsabile dei consumer goods dipendono le diverse linee di

F, e u RA 11 .12 - Un esempiodi struttura divisionaleper area geografica:Appie

CEO

I I I ·-
Appie Appie Appie Appie
Products USA Europe Pacifìc
I

- Europe
West
- Canada

Europe
Australia
North

France - Japan

- Europe
South
- Latin
America

- Far East

Fonte: Daft.
11. Le strutture organizzative I 393

prodotto, la più importante delle quali ( white goods, gli elettrodomestici


"bianchi", quali lavatrici e lavastoviglie), viene suddivisa per area geografica.
Infine, in Appie (figura 11.12) vi è una forte enfasi sul raggruppamento
per area geografica, dapprima con la suddivisione tra le tre macroregioni
(USA, Europa, Pacifico), quindi con una ulteriore articolazione per paese
o per area.
Per le sue caratteristiche, si può considerare come un caso "limite" di
struttura divisionale un'organizzazione per processi. Normalmente, la
struttura per processi si trova in situazioni semplici, con poche linee di pro-
dotto, ma nelle quali la capacità di risposta al mercato è critica. In questi
casi, la separazione delle unità organizzative in base al prodotto o al merca-
to non è giustificata da fattori di scala; tuttavia, non è possibile ricorrere a
una struttura funzionale. Nella struttura per processo, ciascuna unità orga-
nizzativa di primo livello raggruppa tutte le attività di un processo, in modo
da gestire adeguatamente le interdipendenze di processo e assicurare ca-
pacità di risposta alle richieste del mercato ed efficacia dell'azione.
Nella figura 11.13 viene riportato, a titolo di esempio, l'organigramma di
Galbani, in cui la componente per processo trova una forte enfasi, per la pre-

F I e u RA 11 .1 3 - Un esempio di attenzioneai processi:Galbani

Amministratore
delegato

Generai counsel ,....


- - - - - QS&E
----1 I

I I I I
Brand Human
Finance and IT Manufacturing Supply chain
development resources

- BU
Cheese
Sales ltaly e---

- BU
Meet
Internal
development
,---

Subsidiaries
.....

Fonte:www.galbani.com,gennaio 2005.
394 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

senza al primo livello manageriale di due responsabilità di processo (supply


chain management e &rand development) particolarmente rilevanti nel settore.

11.3 La gestionedei trade-off

L'analisi dei punti di forza e di debolezza delle diverse strutture ha evidenziato


come qualsiasi scelta sia funzionale ad alcune prestazioni ma porti a sacrificar-
ne altre. Finora, si sono analizzati gli elementi su cui un'impresa deve basarsi
per trovare la soluzione maggiormente coerente con il proprio posizionamen-
to competitivo; ugualmente importante, tuttavia, è l'adozione di interventi de-
stinati a limitare l'impatto "negativo" della scelta fatta, quali ad esempio:
• l'adozione di soluzioni ibride;
• la modifica dell'assetto organizzativo nel tempo;
• l'introduzione di meccanismi di collegamento laterale.

11.3.1Adottare soluzioni ibride

Una prima possibilità consiste nell'adottare, come già accennato in prece-


denza, soluzioni ibride, che bilanciano i punti di forza e di debolezza delle
diverse soluzioni organizzative in modo diverso in ciascuna area della strut-
tura. Ad esempio, si possono privilegiare soluzioni di tipo funzionale nelle
attività operative e raggruppamenti basati sull'output nelle attività a contat-
to con il mercato.
Nella figura 11.14 viene presentata la struttura organizzativa di Enel, nel-
la quale si evidenzia la presenza di scelte differenti per i business più tradi-
zionali connessi al comparto energetico, nei quali la necessità di sfruttare
sinergie ed economia di scala fa prevalere un raggruppamento funzionale
(articolato in "Generazione ed energy management", "Infrastrutture e reti" e
"Mercato"), mentre la parte relativa alle telecomunicazioni, che presenta
maggiori esigenze di flessibilità e di capacità di risposta, viene organizzata
come una divisione autonoma.

11.3.2Modificare l'assetto organizzativo nel tempo

Normalmente, col passare del tempo i benefici di uno specifico assetto or-
ganizzativo tendono a saturarsi, mentre i problemi che esso comporta di-
ventano più evidenti.
I motivi di questo fenomeno sono prevalentemente culturali.
Se ad esempio si opera da tempo in una struttura funzionale, lo scambio di
competenze tra le diverse persone è diffuso e interiorizzato. Così, anche
nell'ipotesi che si passi a una struttura divisionale, suddividendo le unità
organizzative per prodotto, le connessioni precedenti verrebbero in larga
II. Le strutture organizzative I 395

F I e u RA 11.14 - Una soluzione ibrida: Enel

Amministratore
Presidente
delegato
I I

Terna Funzioni corporate

I I I I
Generazione ed Servizi alle aziende
Infrastrutture e reti Mercato Telecomunicazioni
Energy Management e attività diversifìcate

Enel Produzione Enel Distribuzione Enel Distribuzione Wind Ape Gruppo Enel
Enel G reen Power (Network Area) (Market Area) Enelpower
Enel Trade Enel Distribuzione Enel Energia Enel.it
Enel Logistica Gas Enel Gas Enel Facility
Combustibili Electra de Viesgo Enel Sole Management
Conphoebus Distributi6n Enel.si Enel.Hydro
Viesgo Generati6n Viesgo Energia Enel.NewHydro
Enel Union Fenosa Sfera
Renovables Cise srl
Maritza Dalmazia Trieste srl
Enel North
America
Enel Latin America

Fonte: www.enel.it, gennaio 2005.

parte mantenute attraverso processi informali; in questo modo, quindi, sa-


rebbe possibile acquisire i benefici di una struttura divisionale senza perde-
re, almeno per un certo periodo di tempo, i vantaggi della soluzione fun-
zionale preesistente.
Per questo motivo, non è infrequente assistere a una revisione degli as-
setti organizzativi delle imprese, quando non a dei veri e propri cicli e rici-
cli, anche in assenza di una modifica degli assetti competitivi 9 .

11.3.3I meccanismi di integrazione

L'ultima possibilità consiste nell'affiancare all'organigramma una vera e


propria struttura di management responsabile dell'integrazione tra attività
localizzate in diverse unità organizzative. Si parla in questo caso di collega-
menti laterali 10, per sottolineare come "attraversino" le relazioni gerarchi-

9. Sui cicli come strumento per eliminare le inerzie organizzative, cfr. Azzone (2000).
10. Cfr. Mintzberg (1983).
396 i L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA

che verticali. I collegamenti laterali hanno l'obiettivo di mettere diretta-


mente in relazione le diverse attività, senza che sia necessario ripercorrere
l'intera catena gerarchica.
Si consideri ad esempio una struttura funzionale quale quella della figura
11.1; se un "grande cliente" segnala la necessità di una modifica nel prodotto
dell'impresa, sarebbe necessario attivare i seguenti flussi informativi:
• il commerciale che interagisce con il cliente segnala il problema al re-
sponsabile dell'area "grandi clienti";
• questi trasferisce l'informazione al vertice strategico;
• il vertice strategico segnala il problema al responsabile della progettazione;
• questi trasferisce l'informazione a chi si occupa di progettare lo specifico
prodotto.
Se invece è possibile "connettere" direttamente chi commercializza il prodot-
to con chi lo progetta, la velocità di risposta sarà decisamente superiore.
In modo analogo, se in una struttura divisionale si verifica un guasto a un
impianto in una delle divisioni, per rimediare 3J quale è necessario utilizzare
la capacità produttiva di un impianto di un'altra divisione, occorre ripercor-
rere l'intera catena gerarchica. Se invece si mettono in relazione, con un col-
legamento laterale, i responsabili degli impianti delle divers~ divisioni, sarà
più facile intervenire rapidamente.
Le soluzioni che si possono adottare sono caratterizzate da un progressivo
aumento della rilevanza del coordinamento "laterale" tra le unità organizzati-
ve rispetto a quello verticale 11:
• sistemi di knowledge management,
• task farce e comitati;
• manager integratori;
• strutture a matrice.
I sistemi di knowledge management hanno la funzione di:
• formalizzare le conoscenze, spesso implicite, che i diversi membri di
un'organizzazione possiedono. Ad esempio, chi opera in campo com-
merciale "sa" che cosa interessa a uno specifico gruppo di clienti, molto
più di quanto i clienti stessi esplicitino nei propri ordini di acquisto; ana-
logamente, spesso un progettista conosce una serie di soluzioni che non
trovano spazio nei documenti di progetto;
• assicurare la condivisione delle conoscenze in tutta l'organizzazione. La
formalizzazione delle conoscenze costituisce il prerequisito per renderle
poi accessibili; la disponibilità di informazioni condivise assicura quindi
che le diverse aree dell'impresa possano operare "tenendo conto" dell'e-
sperienza e delle indicazioni di tutta l'impresa.

11. Si fa qui riferimento ai soli meccanismi organizzativi di collegamento laterale; in realtà, il


collegamento laterale può anche essere ottenuto attraverso i sistemi di pianificazione e
con troll o, cfr. capitolo 21.
11. Le strutture organizzative I 397

I sistemi di knowkdge management costituiscono una forma debole di collega-


mento laterale, poiché "consentono" a chi lo vuole di operare in modo inte-
grato, ma non vincolano in alcun modo le singole scelte 12 .
Si parla di taskfora e co-mitatiquando, per affrontare uno specifico proble-
ma "trasversale", viene attivato un gruppo di persone che operano nelle diver-
se unità organizzative interessate. Tale gruppo viene definito taskfora quando
il problema è temporaneo (ad esempio, può essere costituita una taskfora per
lo sviluppo di un nuovo prodotto o per gestire l'introduzione di un nuovo si-
stema informativo con notevoli impatti su tutta l'impresa), comitato se invece
ha natura permanente (in molte imprese esiste un Comitato ambiente, di cui
fanno parte tutti i responsabili di unità organizzative le cui attività impattano
sulle prestazioni ambientali dell'impresa; analogamente, in un'impresa orga-
nizzata per divisioni può esistere un comitato "sistemi informativi", di cui fan-
no parte i responsabili dei sistemi informativi di tutte le divisioni, per assicura-
re il trasferimento di competenze nel campo). .
Taskfora e comitati assicurano l'interazione tra le diverse unità organizzati-
ve ma sono in generale privi di autorità gerarchica su di esse.
Una soluzione più "potente" è costituita dai manager integratori, owero
manager che, a volte in aggiunta rispetto alla responsabilità "gerarchica", han-
no il compito di assicurare la corretta gestione di un legame "orizzontale". A
seconda del tipo di legame, si potranno individuare:
• processoumere projectmanager, con la responsabilità di un processo, rispet-
tivamente di tipo continuativo o di cambiamento;
• produci manager, con la responsabilità di coordinare le attività relative a
una linea di prodotto;
• ro-untrymanager, con la responsabilità di coordinare le attività localizzate
in una data area geografica.
I manager integratori non hanno una responsabilità formale ma dispongono
normalmente di un budget, utilizzando il quale possono influenzare i com-
portamenti delle singole unità organizzative 13•
Infine, si può arrivare a una vera e propria struttura a matrice, caratterizza-
ta da una doppia dipendenza gerarchica delle persone. Un esempio viene ri-
portato nella figura 11.15; in quel caso, un livello di raggruppamento è quello
per area geografica, che individua le due unità, con base a Milano e a Parigi.
Queste unità sono tuttavia attraversate "a matrice" dai "servizi trasversali"; c~
sì, ad esempio, chi opera nei servizi tecnici a Parigi dipende dal responsabile

12. I sistemi di know/,edge management hanno naturalmente altre funzioni, ugualmente impor-
tanti. In particolare, essi rendono l'organizzazione meno sensibile alla perdita di persona-
le qualificato.
13. In alcuni casi si ottiene il coinvolgimento delle persone associando una parte della loro re-
tribuzione ai risultati dell'attività "orizzontale", e attribuendo al manager integratore il
compito di valutare i risultati relativi a tali attività.
398 j L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA

di Saipem S.A. di Parigi, ma anche dal responsabile dei servizi tecnici, basato
a Milano. L'obiettivo della struttura a matrice è di "attivare" le diverse forme
di raggruppamento sulla base dei problemi che si verificano; così, un proble-
ma relativo ai servizi tecnici di gruppo nella sede di Parigi verrà affrontato di-
rettamente dal responsabile dei Servizi tecnici di gruppo, senza che sia neces-
sario un passaggio gerarchico al livello carporate.
È molto difficile, nella realtà, che i due tipi di legame abbiano esattamente
la stessa importanza; normalmente, uno dei due risulta dominante rispetto al-
l'altro, ad esempio perché determina in modo prioritario i percorsi di carrie-
ra degli individui; la struttura a matrice, perciò, riduce i problemi di collega-
mento laterale ma usualmente non li elimina completamente.
Inoltre, anch'essa presenta alcuni punti deboli. I più importanti sono:
• la doppia linea gerarchica può causare alienazione agli individui, in par-
ticolare in presenza di obiettivi contrastanti e di conflitti tra i due supe-
riori; questi conflitti possono inoltre ripercuotersi sulla valutazione degli
individui e sulla definizione dei relativi percorsi di carriera;
• vi sono inevitabilmente aumenti nei costi di struttura (costi per riunioni,
per la gestione dei sistemi informativi, per la pianificazione).

Ft G u RA 11.15 - Esempio di struttura a matrice: Saipem

CORPORATE MILAN

I
Paris Based Operations Milan Based Operations
Saipem s.a. Saipem S.p.A.

-~
e
:::, I I 1
Cl)
Cl) Leased
Cl.I M.M.O LNG Onshore Offshore Drilling
e FPSO
Cl)
::s I I
m I ~---------------,

Paris Offshore Competence Milan Ons_hore Competence

Group Technical Services


Cl)
(Assets, Strategie Business Development, R&D coordination)
-
Cl.I

-~
V

Cl.I L-
V, Group Project Services (EPC Competencies)
~ca
.e L-
V,
M ajor / Integrated Project Task Force

Group Area Managers

Fonte: www.saipem.it, gennaio 2005.


PARTE TERZA

Le informazioni di natura
economico-finanziaria
La terza parte del testo è dedicata all'analisi delle principali fonti di informazioni dina-
tura economico-finanziaria in un'impresa, la contabilità generale e la contabilità anali-
tica.
La contabilità generale ha una rilevanza prevalentemente esterna; essa è finalizzata
a produrre il bilanciodi esercizio(oggetto di questa parte del testo) che ogni azienda
deve predisporre, almeno annualmente, in base alle norme definite dalle leggi nazio-
nali. Qualora poi l'azienda sia a capo di un gruppo, ovvero di un insieme di società tra
le quali esistano partecipazioni azionarie, essa è tenuta a redigere anche il bilancio
consolidato 1 , ovvero a fornire una rappresentazione del gruppo stesso come se fosse
un'unica entità. In Italia i vincoli legislativi di redazione del bilancio, sia di esercizio sia
consolidato, hanno subito recentemente profondi cambiamenti, a seguito del proces-
so di armonizzazione contabile promosso dall'Unione Europea (UE).
Il processo di cambiamento è stato avviato nel 1995 e ha portato la UE ad adottare i
principi già internazionalmente riconosciuti emanati dallo IASB (lnternational Ac-
counting Standards Board)2, i cosiddetti IAS (lnternational Accounting Standard)3. Il

1. Sull'ambito e le modalità del consolidamento si veda l'appendice1/.2.


2. Lo IASB è un ente privato, avente sede a Londra.
3. Dal punto di vista legislativo europeo i passi principali sono stati la Direttiva Ce n. 65/2001, il Re-
golamento Ce n. 1606/2002, la Direttiva Ce n. 51/2003, il Regolamento Comunitario n.
1725/2003, il Regolamento Ce n. 707/2004. Il prowedimento più importante è tuttavia il Regola-
mento Comunitario n. 1606/2002 del 19 luglio 2002 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficialedell'Unio-
ne European. 243 dell'n settembre 2002 ed entrato in vigore il successivo 14 settembre), il cosid-
detto "Regolamento IAS". La proposta di regolamento prevede l'applicazione dei principi conta-
bili internazionali e obbliga tutte le società della Ue, quotate in un mercato regolamentato, a redi-
gere, al più tardi a partire dal 2005, il bilancio consolidato conformemente agli IAS.
Il regolamento prevede quanto segue:
Introduzione parte I II I 401

recepimento in Italia è avvenuto attraverso successivi provvedimenti legislativi4 che


prevedono l'obbligo di adozione degli IAS per:
• le società quotate per la redazione del bilancio d'esercizio e consolidato·
'
11 le società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico per la redazione
del bilancio d'esercizio e consolidato;
• le banche e gli intermediari finanziari, sottoposti a vigilanza da parte della Banca
d'Italia, per la redazione del bilancio d'esercizio e consolidato;
• le imprese assicurative nella redazione del bilancio consolidato e nella redazio-
ne del bilancio d'esercizio ma, in tale caso, solo se sono quotate e non redigono
il bilancio consolidato.
La tabella allapaginaseguente riassume gli obblighi e le facoltà di adozione a livello ita-
liano di questa nuova contabilità. Le imprese che non seguiranno i principi IAS/IFRS
redigeranno invece il bilancio secondo i principitradizionalipreesistenti5,riferendosi al-
le norme contenute nel codice civile italiano (Libro V, Titolo V, Capo V, VIII, IX e X) 6 .

• gli Stati membri devono obbligare: le società i cui titoli sono negoziati in un mercato
pubblico e quelle che si preparano a chiedere l'ammissione alla negoziazione dei loro ti-
toli a redigere i conti consolidati conformemente ai principi contabili internazionali;
• gli Stati membri possono consentire o prescrivere:
- alle società con titoli negoziati, di cui al punto precedente, di redigere i conti annuali (bi-
lanci di esercizio non consolidati) conformemente ai principi contabili internazionali;
- alle società i cui titoli non sono quotati di redigere i conti consolidati e/o i conti annuali
conformemente ai principi contabili internazionali; medesimo discorso per banche e
assicurazioni quotate e non quotate (sono escluse le società che redigono il bilancio in
forma abbreviata).
È prevista la proroga al 2007 nelle seguenti due ipotesi:
• imprese che attualmente redigono i bilanci in base a principi contabili riconosciuti in ambito
internazionale (il riferimento è, in particolare, ai principi statunitensi, gli US GAAP);
• imprese i cui titoli di debito (non azionari) sono quotati unicamente in un mercato rego-
lamentato di un qualsiasi Stato membro.
4. Il recepimento della normativa IAS da parte del legislatore italiano si ritrova in tre prowedimenti: la
Legge Comunitaria 2003 (Legge 31 ottobre 2003, n. 306), il Decreto Legislativo n. 394/2003, il De-
creto Legislativo n. 38/2005 (approvazione definitiva dello schema attuativo previsto dall'art. 25
della Legge n. 306/2003 che consente di redigere il bilancio di esercizio in base agli IAS). La legge
Comunitaria 2003 (pubblicata sulla G.U. n. 266 del 15novembre 2003, entrata in vigore il successi-
vo 30 novembre) si occupa delle opzioni previste dall'art. 5 del Regolamento Comunitario n.
1606/2002, relativo all'applicazione dei principi contabili internazionali. Il Decreto Legislativo n.
394 del 30 dicembre 2003 recepisce in Italia la Direttiva n. 2001/65/Ce, introducendo le prime va-
riazioni nella presentazione dei bilanci. Il recepimento ha tuttavia modificato in modo limitato la
presentazione dei bilanci, focalizzandosi sulle informazioni in nota integrativa. Il Decreto Legislati-
vo n. 38/2005 approva lo schema attuativo previsto dall'articolo 25 della Legge n. 306/2003, che
consente di redigere il bilancio di esercizio in base agli IAS. In particolare, le imprese obbligate, dal
Regolamento Comunitario n. 1606/2002, alla redazione del bilancio consolidato in base agli IAS,
potranno redigere, a partire dal 2005, anche i bilanci di esercizio in base a tali principi. La possibi-
lità di utilizzare gli IAS è concessa anche alle società controllate (collegate) da quelle che sono ob-
bligate a redigere il bilancio consolidato in base a tali principi, incluse nel consolidato stesso. Tutte
le società potranno scegliere di utilizzare gli IAS,escluse le società che possono redigere il bilancio
in forma abbreviata (art. 2435 e.e.).
5. Cfr.schema 3.8.
6. Gli articoli del codice civile che regolano i principi tradizionalidi redazione del bilancio hanno
subito significative modificazioni a seguito della riforma del diritto societario con il D.Lgs. del
17 gennaio 2003, n. 6, e sue successive modificazioni.
402 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

TABELLA - Sintesidell'ambitodi applicazionedegli IAS/1FRSa livello italiano

Soggetti Bilancio consolidato Bilancio d'esercizio

Società quotate IAS/IFRS obbligatori dal 2005 IAS/IFRS facoltativi nel 2005
So'cietàcon strumenti IAS/I FRSobbligatori dal 2006
finanziari diffusi
Banche
Enti finanziari vigilati
Assicurazioni IAS/IFRS obbligatori dal 2005 IAS/IFRS obbligatori dal 2006
solo per le società quotate
che non redigono il bilancio
consolidato. Escluse dagli
IAS/IFRS negli altri casi.

Società oggetto di consolidamento(1) IAS/IFRS facoltativi dal 2005 IAS/IFRS facoltativi dal 2005
e altre società che redigono
il consolidato (escluse le società
minori) (2)

Società diverse dalle precedenti (3) IAS/I FRSfacoltativi


(escluse le società minori) dal momento di adozione di un
decreto attuativo del Ministro
dell'Economia e delle Finanze e
del Ministro della Giustizia

Società minori (ex art. 2435-bise.e.) Escluse dagli IAS/IFRS Escluse dagli IAS/IFRS

Note. (1) Si intendono società che vengono consolidate nel bilancio di un gruppo (Cfr. appendice1/.2). (2)
Il termine "Società minori" indica le società che in base all'art. 2435-bisdel codice civile possono redigere
il bilancio in forma abbreviata. Si fa riferimento a società che "nel primo esercizio o, successivamente,
per due esercizi consecutivi non abbiano superato due dei seguenti limiti: (a) totale dell'attivo dello sta-
to patrimoniale 3-125.000 euro; (b) ricavi delle vendite e delle prestazioni (fatturato): 6.250.000 euro; (c)
dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità" (art. 2435-biscodice civile, fonte: www.gover-
no.it, 31 luglio 2005). (3) Ossia società che non redigono il consolidato e non sono oggetto di consolida-
mento.

La rilevanza del processo di armonizzazione a livello europeo e la volontà di fornire un


testo di riferimento aggiornato e orientato al futuro, hanno suggerito di porre al centro
della trattazione, nel seguito del testo, la nuova contabilità,ossia il bilancio redatto se-
condo gli IAS/1FRS, portando in secondo piano la contabilitàtradizionale.
Gli IAS/1FRS7prevedono cinque documenti di bilancio:
• Lo stato patrimoniale (SP), che descrive la situazione 'patrimoniale dell'impresa
in un determinato istante (normalmente, la mezzanotte del 31.12).
• Il conto economico (CE), che riassume i flussi di ricavi e costi avvenuti in un eser-
c1z10.

• 11rendicontofinanziario (o schema di cashflow), che presenta i flussi di cassa che


hanno interessato l'impresa nell'esercizio.

7. A partire dal 1 aprile 2001 i principi di nuova elaborazione dello IASBsono identificati con la si-
gla IFRS (lnternational Financial Reporting Standards).
Introduzione parte I II I 403

• La nota integrativa,contenente le regole, le ipotesi e le convenzioni utilizzate dal-


l'impresa per redigere Stato Patrimoniale e Conto Economico.
• Il prospettodelle variazionidelle vocidi patrimonionetto8 , spesso contenuto in no-
ta integrativa, il quale specifica ulteriormente le operazioni che hanno interessa-
to questa voce di bilancio.
Il bilancio di esercizio costituisce una fonte informativa accessibile anche a chi, dall'e-
sterno, voglia avere informazioni sull'andamento gestionale di un'impresa. Tuttavia,
proprio per la valenza esterna, le informazioni in essi riportate sono in generale molto
aggregate e non costituiscono un supporto adeguato per singole decisioni aziendali,
per le quali è necessario disporre di indicazioni molto più puntuali.
Per rispondere a questa esigenza, molte aziende hanno introdotto un sistema di
"contabilità analitica", in cui le diverse voci di costo e ricavo vengono associate "anali-
ticamente" alle unità organizzative e ai prodotti/servizi che ne sono responsabili. Il si-
stema di contabilità analitica ha una valenza esclusivamente interna (le informazioni
da esso prodotte non devono cioè obbligatoriamente essere rivelate all'esterno) evo-
lontaria (non è obbligatorio disporne).

L'attenzione che viene rivolta nel testo alle informazioni di natura economico-finanzia-
ria è legata a diversi fattori; rispetto ad altri tipi di informazioni, in particolare, le gran-
dezze economico-finanziarie:
• sono misurate in "valori monetari", in modo del tutto omogeneo alla creazione
di valore economico;
• consentono di rendere omogenee grandezze per loro natura disomogenee; ad
esempio, è possibile confrontare l'output prodotto con gli input (lavoro, materia-
li, impianti) necessari per realizzarlo esprimendo sia l'uno sia gli altri in termini
di valore equivalente; al contrario, non sarebbe possibile confrontare direttamen-
te le quantità di prodotto finito ottenute in un periodo con le ore lavorate e le
tonnellate di materie prime utilizzate;
• sono in larga parte "standardizzate" (termini come "fatturato" o "patrimonio
netto" assumono lo stesso significato in tutte le aziende), esse consentono quin-
di un più agevole confronto tra aziende diverse o tra diverse unità di una stessa
azienda;
• devono, almeno in parte, essere prodotte per legge da tutte le imprese e sono
quindi "automaticamente" disponibili senza la necessità di realizzare un sistema
di rilevazione ad hoc.
Non bisogna tuttavia cadere nell'errore di ritenere che siano le uniche informazioni ri-
levanti in un'impresa; semplicemente, altri tipi di indicatori, non finanziari, come la
quota di mercato, la qualità del prodotto o la produttività degli impianti sono "specifi-
ci" e "non standardizzati"; essi verranno quindi introdotti successivamente nel testo,
ogni volta che si renderà necessario.
La terza parte del testo si articola in 5 capitoli.
I primi tre sono dedicati alle informazioni ricavabili dalla contabilità generale, e in
particolare:

8. Il patrimonio netto è una delle voci contenute nello Stato Patrimoniale; si rimanda al capitolo12
per il dettaglio.
404 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

• il capitolo12 analizza lo stato patrimoniale;


• il capitolo13il conto economico;
• il capitolo14il rendiconto fìnanziario, il prospetto delle variazioni delle voci di pa-
trimonio netto e la nota integrativa.
Gli ultimi due capitoli sono invece dedicati alla contabilità economica; in particolare, il
capitolo15 ne analizza gli elementi di base e il capitolo16 discute i principali sistemi di
contabilità analitica che possono essere utilizzati in un'impresa.
Questa parte del testo è completata da 2 brevi appendici, che analizzano rispettiva-
mente, in modo estremamente sintetico:
• le modalità operative alla base della contabilità generale;
• una particolare categoria di strumenti finanziari: i contratti derivati.
12 Lo stato patrimoniale

12.1 Introduzione

Lo Stato Patrimoniale, la cui struttura è sintetizzata nella tabella 12.1, de-


scrive la situazione de Il'impresa (come entità giuridica, distinta quindi dai
singoli soggetti che la possiedono o vi operano) in un dato istante di tem-
po, normalmente il 31.12 di ciascun anno 1.
Lo SP è composto da due grandi sezioni, attivo e passivo.

12.1.1 L'attivo

I/attivo elencé:l le risorse che potenzialmente possono contribuire, in modo


diretto o indiretto, ai flussi finanziari e mezzi equivalenti che affluiranno
ajlJ_Ql_pi:~_SGl.
Nel determinare l'esistenza di un'attività, il diritto di proprietà
non è essenziale 2 . Per esempio, g~i immobili posseduti tramite leasing_çosti-

1. In questo capitolo si fa riferimento alla redazione dello stato patrimoniale secondo i prin-
cipi del codice civile ( mlancio civilistico). È bene però ricordare che il bilancio porta alla
determinazione dell'utile, '1:partire da_lquale vengono determinate le imposte che l'im-
presa d.eY.eversare ( util,eimponilnl,e).1,e regole per la determinazione dell'utile imponibile
sono.almeno in parte differenti dai principi de] codice civile. La normativa italiana preve-
de che il bilancio venga redatto secondo i principi del codice civile, evidenziando in appo-
site voci le "correzioni" che devono poi essere introdotte a fini fiscali; tuttavia, in alcuni ca-
si le imprese adottano, per maggiore semplicità gestionale, "politiche fiscali" già nel bilan-
cio civilistico. La legge delega sulla corporale governance, citata nel capitolo 4, dovrebbe ac-
centuare la separazione tra bilancio civilistico e politiche fiscali.
2. I principi contabili italiani preesistenti ponevano invece il diritto di proprietà come ele-
mento necessario per la contabilizzazione delle risorse nell'attivo di stato patrimoniale.
406 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

w.iscono un'attività se l'impresa controlla i benefici che si prevede_ afflui-


_ranno dall'impiego d_ell'immobile ..stesso. Le attività vengono registrate a
moneta corrente, in altri termini, le voci relative a periodi di tempo diffe-
renti vengono sommate senza fare alcun aggiustamento per la variazione
del potere d'acquisto.
L'iscrizione iniziale delle attività, secondo gli IAS/IFRS, ~yvie_neal costo
di.acquisto, mentre le._successive rilevazioni sulle voci possono seguire due
modelli alternativi:
• _iLmodello del costo;
• il modeU.o _çlella_rival11t€l.?:_ion_e. Jjl -J,Jl. d, ic y_~ç,-~

_Que_stosecondo modello si pasa _sµJ _çQgç~t_tQ__ di.Jair.value__ (o valore equo)


introdotto nella legislazione italiana con la recente riforma. Il Jair valuevie-
ne definito come "il corrispettivo al quale un'attività può essere scambiata,
o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e di-
sponibili". Entrambi i modelli seguono ulteriori specifiche in relazione alla
tipologia di voce a cui sono applicate 3 .

12.1.2 11passivo

Il passivo riporta invece i diritti vantati da azionisti o terzi sulle risorse del-
l'impresa. I "diritti" possono avere un'origine different~. Possono vantare
diritti:
• gli azionisti, ovvero le persone che hanno investito il proprio capitale
nell'azienda;
• çhj hA.fQID:itoall'impresa risorse finanziarie necessarie per il suo fun-
zionamento;_ è il caso ad esempio degli .istituti di credito, che erogano
denaro e ve:r:_~.9j__
qtJaJLI~ilJlPresa_ç9pJn1.e_J1p __
d~biJQ_finanziari9. A que-
ste passività corrisponde il pagaro~nto di.un interesse esplicito4;
• _i finanziatori "iqipliciti,"_d~ll'i~p_r~~a, ovvero chi, vantando un credito
nei confronti __d~ll'azienda,
..
. ---
contribuisce
, '
di
_....__·----· fatto... ---
__ _____
. ___,,
a..--·-
,_
finanziarne le atti-
. ,

vità; è il caso ad esempio dei dipendenti, attraverso il Trattamento di


fine rapporto, e dei fornitori, attraverso i debiti commerciali. Queste
passività vengono definite anche spontanee, poiché nascono sponta-
neamente dall'attività operativa dell'azienda. Ad esse non corrispon-
de una remunerazione esplicita nel CE 5 .

3. Cfr. paragrafo 12. 2.


4. I .'interesse pagato .suLde.bito.finanziario comp~re, come si vedrà meglio nel seguito, nel
CE alla voce "oneri finanziari".
5. Vi è però spesso una remi;~erazione implicita. Si consideri ad esempio il rapporto tra
un'impresa e un fornitore. L'impresa può acquistare a credito, creando così una passività
spontanea, o contrarre un debito con un istituto di credito per ottenere la liquidità neces-
saria per pagare a pronta cassa. Nel secondo caso si avrà un onere finanziario esplicito; tut-
12. Lo stato patrimoniale I 407

I diritti degli azionisti veng_on_q_c!~fi}l_!~(-~i pro.Jni, le altre passività costi-


tuiscono invece i mezzi di terzi. Tra le due categorie di passività esiste una
differenza sostanziale:
• i1valore dei diritti van@!Q._g~j_Jç,r_~L~.-~p_r~_çl_~fì_Ilit<?."; se un istituto di
credito presta denaro a una banca, avrà diritto alla restituzione del
prestito, aumentata degli interessi; se un fornitore vende merce acre-
dito a un 'azienda, avrà diritto al pagamento del proprio credito;
• iJyajqre clei diritti_ \~a.Ilt:aticl~gli azionisti è "residuale", ed è "c_iò_cb_~_r.e-
sta. dqpo aver remunerat9_g~i-~ltri fatrori proc:l~uivi". In altri termini, i
diritti vantati dagli azionisti sono determinati come differenza tra il
valore di tutte le risorse dell'azienda e i diritti, predefiniti, vantati dai
terzi. Proprio per questo, i m~z.;;Zi propri _vengono. anche definiti capita-
li! di rischio.
La caratteristica essenziale per identificare le passività, secondo gli
IAS/IFRS, è costituita dalla presenza di una obbligazione attuale, legale o
implicita, risultante da un evento passato e non un semplice impegno futu-
ro. Ad esempio potranno essere contabilizzati come passività le quote che
l'impresa prevede di dover versare in futuro per benefici ai dipendenti -
obbligo attuale determinato dal rapporto di lavoro; non potrà essere inve-
ce iscritta come passività un'eventuale quota per effettuare in futuro manu-
tenzione ciclica agli in1pianti (semplice impegno futuro non determinato
da un evento passato) 6 .

12.1.3 Le relazionitra attivo e passivo

Poiché ogni "risorsa" presente nell'impresa deve "spettare" a qualcuno, si


ha che in ogni istante vale l'equazione patrimoniale 7 :

(12.1)

Non esiste invece alcuna relazione di tipo particolare tra singole voci
dell'attivo e del passivo. Dalla (12.1) consegue che ogni operazione di ge-

tavia, questo sarà probabilmente bilanciato, nel caso di acquisto a credito, da un prezzo
più alto da pagare al fornitore rispetto a quanto ottenibile tramite un pagamento a pronta
cassa.
6. Questa rappresenta una differenza rispetto ai principi nazionali preesistenti agli
IAS/IFRS; i principi italiani precedenti infatti erano maggiormente improntati a criteri di
prudenza e permettevano di contabilizzare ad esempio queste passività potenziali (princi-
pio contabile n.19).
7. ,L'equazione patrimoniale può essere ben compresa anche se si considera che l'attivo co-
stituisce l'insieme delle risorse dell'impresa e il passivo l'insieme dei mezzi finanziari ne-
cessari per disporre di tali risorse. In ogni istante, quindi, occorre che le risorse/investi-
menti equivalgano ai finanziamenti ad esse relativi.
408 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

TABELLA 12. 1 - Lo stato patrimoniale

Attività non correnti Patrimonionetto

Immobili, impianti e macchinari Capitale sociale, con indicazione della parte non versata
Investimenti immobiliari Riserva da sovrapprezzo
Avviamento e attività immateriali Riserva da rivalutazione
a vita non definita
Altre attività immateriali Altre riserve
Partecipazioni Utili / perdite di esercizi precedenti
Altre attività finanziarie Utili / perdite dell'esercizio
Imposte differite attive

Attività correnti Passivitànon correnti

Crediti commerciali e altri Obbligazioni in circolazione


Rimanenze Debiti verso banche
Lavori in corso su ordinazione Altre passività finanziarie
Disponibilità liquide Fondi per rischi e oneri
Fondi relativi al personale
Imposte differite passive

Attività non correnticlassificate Passivitàcorrenti


come posseduteper la vendita

Obbligazioni in circolazione
Debiti verso banche
Debiti verso fornitori
Anticipi su lavori in corso su ordinazione
Altre passività finanziarie
Debiti tributari
Altre passività correnti
Totaleattività Totale passivitàe patrimonio netto

stione toccherà almeno due voci dello SP8 . A seconda dell'effetto sullo SP,
le operazioni si possono in generale suddividere in 9 :
• operazioni di "scambio". Consistono nel trasferimento tra diverse voci
di attivo e/ o passivo, che non alterano però la differenza tra i due to-
tali. Ad esempio, l'incasso di crediti commerciali consiste nel trasferi-
mento da una attività (crediti) a un'altra (cassa);
• operazioni di "variazione dei diritti di terzi". Sono operazioni caratteriz-

8. Se ne venisse toccata una sola, non sarebbe possibile mantenere l'uguaglianza tra attivo e
passivo.
9. Naturalmente, un'operazione di gestione potrebbe anche essere la combinazione di ope-
razioni elementari.
12. Lo stato patrimoniale I 409

zate dall'utilizzo di risorse aziendali per "ripagare" diritti di terzi o, al-


i' opposto, dalla disponibilità di nuove risorse di terzi, che acquisiscono
però anche un diritto corrispondente al valore di queste risorse. Un
esempio del primo caso è il ripagamento di un debito commerciale, che
consiste nell'uso di una risorsa (il denaro) per estinguere un diritto van-
tato nei confronti dell'azienda da un fornitore; un esempio del secondo
tipo è la concessione di un mutuo da parte di un istituto di credito: l'in-
cremento del denaro disponibile dall'impresa è compensato da un pa-
rallelo incremento del debito. Anche dopo queste operazioni, il totale
dell'attivo rimane coincidente con il totale del passivo;
• operazioni che ''sbilanciano" lo SP. Sono operazioni che modificano il
valore delle risorse disponibili in misura superiore (o inferiore) rispetto
al valore dei diritti vantati sulle risorse; ad esempio, se un'impresa vende
a I 00 un prodotto che era registrato nello SP a un valore di 80, si ha un
incremento delle risorse disponibili, non immediatamente bilanciato da
un pari incremento di diritti. Come si è sottolineato in precedenza, que-
ste "risorse" addizionali si traducono in un aumento dei diritti degli azio-
nisti che, come si vedrà meglio nel seguito, viene definito utile.

12.2 l'attivo

La struttura dell'attivo rispecchia un criterio "tGIJlporale" o "di liquiditcì_"


(alcune voci, ad esempio gli impianti o i terreni, sono utilizzate dall'impre-
sa per più di un esercizio, mentre altre, quali crediti e scorte sono normal-
mente destinate a "trasformarsi in denaro" entro l'esercizio) 10.
Rispetto a questo criterio l'attivo di stato patrimoniale nello specifico
com prende tre aggregati di voci:
• attività non correnti;
• artività correnti;
• ;ittività non correnti classificate come possedute per la v~ndita.
Gli IAS/IFRS riferisconoJa distiµziq11~ tra voci correntL~_!lQ_I1_é:ll__(iclo opera-
tivo dell'impresa, definito come il tempo_ çh_e intercorre tr~ J'~cquisi~ione
dibenLpe_r_il proce~so produttivo e _lalQro__re~li~_za_~io_ne in çlisponibilità li-
<]!!iq._e(flussi di denaro) o mezzi equivalenti. Se il normale ciclo operativo
di un'impresa pon è chiaramente identificabile, si suppone che la durata
sia di 12 mesi.
L_e_a,_ttivitàcorrenti sono composte d~ bep.i dell'i_mpresa che normalmente
_yengono impiegati entro il normale ciclo operativo dell'impresa; le attività

10. In realtà il criterio temporale vale solo parzialmente; nell'attivo corrente sono infatti ri-
portati anche crediti con scadenza superiore all'esercizio. Proprio per ovviare a questo li-
mite è prevista anche la necessità di distinguere tra crediti in scadenza entro l'esercizio e
oltre l'esercizio.
410 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

non correnti compre~dono }nv~c-~_!_iso!"se


utili~z_ate anche oltre il norm_~~e
ciclo operativo.

12.2.1 Attività non correnti

Le attività non correnti si dividono in:


• immobili, impianti e macchinari;
• investimenti immobiliari;
• avviamento e attività immateriali a vita non definita;
• altre attività immateriali;
• partecipazioni;
• altre attività finanziarie;
• imposte differite attive.
~a voce irrJ__rnobili~ includ.e b~I].Ld~te_11.u_tLgaU'impres~,
impianti e 1!!:__~_<;__c_f!:j'f!a~
_çl_i
uso c;lll.r~vQ!~,
_str1J.mepJ~_li p_rqq1Jzione del redditç>. Gli IAS/IFRS 11
p~r .l~__
non prevedono delle rigide categorie, ma si limitano a fornire degli esempi
indicando: terreni, fabbricati, macchinari, navi, aerei, autoveicoli, mobili e
attrezzature e macchine d'ufficio. Le voci_veng9no inizialmente iscritte al
_e
ç.Q~tQ_dL~ç_q_u.i§.tQ __ pos~ono essere valutate o aJ costo _oal_
§JJçç~$-~i.Y~ill~nJe
j(Jir valy,e.
Il __
rno(!:f?]lQ ~-i_ndic~Jo c_ome criterio di riferimento (_~~'Y}_c_~mark
c/,fl ço_~to trea~-
m.,ent)e prevede che la voce sia espressa al netto degli ammortamenti c~-
mulati e di eventuali svalutazioni per riduzioni di valore. In pratica, si ope-
ra come se l'immobilizzo venisse parzialmente "consumato" ogni anno, de-
finendo ammortamento annuo una cifra pari al prodotto tra il valore ini-
ziale del bene e la "percentuale di consumo" dell'anno. Il fondo ammorta-
menti contiene il valore cumulato degli ammortamenti del bene dal m0:-
mento in cui è stato acquistato a quello in cui viene redatto lo SP. La voce
ripQrtata nell'attivo, pari appunto alla differenza tra il valore inizial~_~_il_r~-
lativo fondo ammortamen_ti, corrisponde qui11dj, concettualmente, al valQ-
re della parte deU'immobilizz() non a:r1_cor~"cqn~'l.l~~ta" 12.
}l m_q~ep9 -~~lJ~j~ va/y,(_Q_r.J_f!}Qr_(!_f!i!_g_{~Jg,Jo prevede i11:-
( allowed tre__qtment)
ve._<;e
la ride_te_r~inazi()n~_q_~l_y~JQI~_c;!~!J~~p_e)n base al suo valore "eq_y.o"
(Jair value), g_eneralmente il valore di mercato.

11. IAS 16.


12. Per la definizione di ammortamento, si faccia riferimento all'analisi del conto economico,
nel capitolo 13.
12. Lo stato patrimoniale I 411

ScH EMA 12.1 - La rivalutazionedi immobili, impianti e macchinari

La Equis S.p.A. ha acquistato a dicembre 2004 un impianto a un valore pari a


8.000 € che si prevede verrà utilizzato per 10 anni e poi dimesso perché inutilizza-
bile. La contabilizzazione del suo valore nell'esercizio 2005 dipende dal metodo di
valutazione successiva adottato dall'impresa.

Modello del costo -benchmark treatment


Il valore del bene rimane invariato e dovrà essere decrementato di una quota che
tiene conto del suo utilizzo nell'anno (ammortamento); si supponga 8.000 € divi-
so 10 anni, ossia 800 €. Il valore finale del bene al 31/12/2005 è 7.200 €.

Estrattodi CE e SP relativi alle operazioni sopra riportate

CE ~-tratto dall'attivo SP Estratto dal passivo SP


2005 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2004 31/12/2005
Ricavi €O Immobili, impianti € 8.000 € 7.200 Riserva di rivalutazione €O €O
e macchinari

Ammortamento - € 800

Modello del valore rivalutato(fair value) - allowed treatment


Il valore viene confrontato con il valore di mercato, si supponga incrementato e
pari a 8.500 €. Il bene dovrà essere rivalutato compensando l'incremento di 500 €
in passivo (riserva di rivalutazione). Anche in questo caso si dovrà ammortizzare
il bene tenendo conto dell'incremento di valore, 8.500 € diviso 10 anni (850 €). Il
valore finale del bene al 31/12/2005 è 7.650 €.

Estrattodi CE e SP relativi alle operazioni sopra riportate

CE Estratto dall'attivo SP Estratto dal passivo SP


2005 31/12/2004 31/12/2005 31/12/2004 31/12/2005

Ricavi € O Immobili, impianti € 8.000 € 7.650 Riserva di rivalutazione €O € 500


e macchinari

Ammortamento - € 850

Gli investimenti immomliari 13 sono definiti dagli IAS/IFRS come proprietà im-
mobiliari (terreno o edificio - o parte di edificio - o entrambi) possedute
(dal proprietario o dal locatario tramite un contratto di 'leasingfinanziario)_al

13. Gli investimenti immobiliari nello schema di bilancio precedente all'introduzione degli
IAS erano inclusi nella voce immobilizzazioni materiali.
412 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

fine di percepire canoni _dilocazione _o_peri' apprezzamento_ del __ ca__pi~!eJn-


vestito o per ent!"ambe_le motivazioni. Dopo la prima rilevazione effettuata al
costo di acquisizione, gli IAS/IFRS incoraggiano, ma non obbligano, l'im-
presa a determinare il fair value degli investimenti immobiliari tramite la sti-
ma di un perito esterno (benchmark treatment); resta tuttavia consentito utiliz-
zare il modello del costo per le valutazioni successive ( allowed treatment). Di-
versamente da IBJ~to avviene per la_yoce im/!JlQéil,i, j_mpianti.e rnacchinari..nel
-~~aso_di uti_lt~?Od~l Jair 11a(~e___2er
gli investj~~ntiJm.~9p~lj~r._i_i beni no11_yen-
g9I!_o_am_mortizzati. e_l'eventuale incremento_ o g_~c_r_~~~n !9.qLyalore transita
direttamente in conto economico.

Se H E MA l 2. 2 - La rivalutazionedegli investimentiimmobiliari

La Orkney S.p.A. ha acquistato a dicembre 2004 un edificio in zona universitaria a


Milano con lo scopo di affittare i 5 appartamenti del palazzo a studenti. Il costo
d'acquisto dell'edificio è di 800.000 € (si supponga una vita utile di 40 anni, am-
mortamento a parti re dal 2005).
L'immobile essendo detenuto al fine di percepire canoni di locazione dovrà essere
contabilizzato alla voce investimenti immobiliari dell'attivò della Orkney, a un va-
lore pari a 800.000 €.
La contabilizzazione del suo valore nell'esercizio successivo (2005) dipende dal
metodo di valutazione adottato dall'impresa.

Modello del valore rivalutato (fair value) - benchmark treatment


L'Orkney a dicembre 2005, verificando il valore di mercato dell'immobile, riscon-
tra un incremento del suo valore pari a 10.000 €. La rivalutazione dell'edificio in
questo caso incide direttamente in conto economico e rappresenta un ricavo per
la Orkney (pari a 10.000 €) già nell'esercizio 2005.
L'edificio dovrà essere poi ammortizzato tenendo conto di questo incremento di
valore; essen99Ja vita util~_residua pari a 40 anni l'ammortamento per il 2005
sarà pari a-20.250 €:'. ·· · · 1 _ · ·· • , .,ii:.
11valore di bilancio dell'edificiÒ al 31/12/2005 sarà 789.750 €7- ~
Estratto di CE e SP relativi alle operazioni sopra riportate

Estrattodal CE Estratto dall'Attivo SP


2005

Ricavo (incremento valore edificio) € l 0.000 Investimenti immobiliari € 800.000 € 789.750


Ammortamento - € 20.250

Modello del costo - allowed treatment


Il valore del bene rimane invariato e dovrà essere decrementato di una quota che
tiene conto del suo utilizzo nell'anno (ammortamento); in questo caso l'ammor-
tamento è 20.000 € e il valore finale nel 2005 780.000 €.
12. Lo stato patrimoniale I 413

Estrattodi CE e SP relativialle operazionisoprariportate

Estrattodal CE Estrattodall'AttivoSP
2005 31/12/2004 31/12/2005
Ricavo (incremento valore edificio) O Investimenti immobiliari € 800.000 € 780.000
Ammortamento - € 20.000

Le voci avv0'!lf!l}_lq 1_4 _e_a~tività


immateriali a vita non definita, e altre attività im-
materiali jncludono beni non monetari, identificabili e privi di sostailza fisi-
ca (genericamente chiamate attività immateriali). Le caratteristiche necessa-
rie per soddisfare la definizione di attività immateriale sono: identificabi-

li_~, controllo della risorsa in oggetto, esi~tenza di benefici ec~nomici futu-
ri 15. Gli IAS/IFRS non prevedono un elenco esaustivo di attività ma forni-
scono alcuni esempi: J!!archi, brevetti, !_icenze, _spese di ~yill!PP-Q_, ~9f~~r_e,
avviamento.
_~t_e._
Le ~tt_iyità_i~!_l!a~~~~!i pg~s?!1C>p~r,v~_ni_~~_al!_'~~P!~-~-'-1-~.<?!1 !11()~'.1J_i_tà:
Mquisto dall ~ esterno, P.F~~uzion~ _g~f!_~r~tainternamente, C:1_cq~jsi_z_i9ri_ç
Jl.ell:ambito di un'_~ggre_g~ion~ az.i~~c:!~Je.La loro iscrizione iniziale deve
essere fatta al costo, rappresentato dal fair value del bene, nel caso di aggre-
gazione di imprese.
La rilevazione successiva può invece avvenire secondo il modellodel costoe
q_u~llo della riv0:lutazio·'!._~_(j_air
value).
Relativamente al primo modello gli IAS/IFRS prevedono che i beni siano
iscritti al costo con una distinzione tra:
• beni a vita utile definiti, i quali vengono ammortizzati con~id_erando il
costo del bene e la sua vita utile;
• beni con vitµ utile indefinita, che inv~ce p.o_ndevono essere assoggettati
ad ammortamento, f!}a almeno annualme)?te_a_ test_di impairment.
In alternativa, per i beni per C_l!L~_sj~te._ un_m~rçato ..attivo 16, p_\.lÒe.~~ere.!JJi-
lizzato il modello del valore rivalutato, de,~~1:.!.!1}!1-~Il_c:l~f!!Jr _v_~_f'f!,_~
_i_I, <1-~l~~ne
~_iscrivendo l'eventuale effetto della rivalutazione neBe_riserve dL}IBtrimo-

14. Cfr schema 12.3.


15. Rispetto a questa definizione la normativa preesistente diverge comprendendo nelle im-
mobilizzazioni immateriali non solo beni e servizi acquisiti, ma anche oneri pluriennali
che non esauriscono la loro utilità in un esercizio. In particolare a differenza degli
IAS/IFRS, i vecchi principi permettono di capitalizzare anche i costi di awiamento di
un'attività o di un'azienda (costi di awiamento); le spese di formazione del personale; le
spese di pubblicità e/ o di promozione; le spese di ricollocamento o di riorganizzazione di
parte o di tutta l'impresa.
16. Un mercato attivo è quello in cui: gli elementi negoziati sono omogenei, compratori e
venditori disponibili possono essere normalmente trovati in un qualsiasi momento e i
prezzi sono disponibili al pubblico.
414 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

_nionetto. Anche optando per questo sec:_ondo_metodo i beni a vita utile de-
{i!'}Jta.
-~~VI"~!}nO
e~sere sogge~ti_~~-~~-~?r.t~?l"J.e~to.

Infine è importante sottolineare che i principi internazionali sono partico-


larmente rigidi riguardo alla capitalizzazione dei beni generati interna-
mente, tra cui rientrano diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazio-
ne delle opere dell'ingegno, concessioni, licenze, marchi e diritti simili,
software. Mentre in caso di acquisizione esterna l'impresa può immediata-
mente iscrivere il bene tra le attività immateriali, nel caso di generazione
interna l'impresa dovrà provare che:
• il_~osto dell'attività_RuÒ essere misurato con _affidabilità;
• i benefici ecqnomj_çJ fµJ!!fi ~~~Q_çJ~tt ..~ll'~t.tiYi.~.fl_uir.a11_f!Q_
all'jm.pr~s.a;
• _lestime d~i ~_enefici sq11.9l;>~s<!t~_sµa_ssµ11zi9niragicn1evo.ILe._~1JP ....
l1Qfta-
bili da parte degli amminist.r~torLct~lfjDJ..p:cesa._stessa.
La concessione ad esempio di un brevetto da parte dell'Ufficio Italiano
Brevetti, oppure dell'Ufficio Europeo Brevetti, non costituisce quindi ra-
gione sufficiente per l'iscrizione all'attivo di un valore immateriale, ma do-
vranno essere necessariamente rispettate le condizioni di cui sopra 17.

SCHEMA 12.3 - L'avviamento

~a voc~ avviamen_to può_o_riginarsi a front~ d_i un'aggregazio_ne tji impr~~-a (busi-


nesscombination), quand<>_ilf9_st_q_c;U~c_g_~_i-~i?i9_r,~
~~P~!::~L~-q~_9!~-~i__p;i_r!~~i_p_azio-
ne dell'acquirente nei valo~i correriti delle attiv_ità, delle pass_ività e ~~l_l_e_pci_ssività
potenziali identificabili acquisite a_Ua_d_~~~-çfeJJaJ.rrJn~~:ziqoe.
Questa voce di attivo rappresenta il potenziale futuro contributo ai flussi finanziari
dell'impresa. l'.avviamenJç>_r:!ç>_Q
__
y_i_~_Q_~-~r:D_rl'!Q.rtizzato_
ma de_ye_ ~~sere ridotto per _p~r-
çfj_t~_rjLy~lore(impa~,m~rJt); ~!l_~r~iscritta in conto economico.
l'_~y~n_ty_cile_ddLJ_zj~~~
Per chiarire il significato dell'avviamento e le modalità di iscrizione a Bilanci~-si
considerino due imprese A e B; A acquisisce il controllo di Be il costo dell'acquisi-
zione è di 6.800 €.
I valori contabili delle attività e passività acquisite sono i seguenti:
Attivo
• Impianti e terreni: 7.500 €
• Attività immateriali: 3.500 €
• Crediti Commerciali: 850 €
• Rimanenze: 1.300 €
Passivo
• Debiti: 9.300 €

17. I principi italiani preesistenti consentono invece l'immediata capitalizzazione se il bene è


oggetto di tutela giuridica.
12. Lo stato patrimoniale I 415

Si sa inoltre che ilfair value degli impianti e terreni è maggiore rispetto al valore di
bilando e pari a 8.700 €.

Il patrimonio netto acquisito è pari alla differenza tra attività (14.350 €) e passività
(9.300 €) valorizzate alfair value, ossia 5.050 €.

Essendo il costo di acquisizione (6.800 €) maggiore del patrimonio netto iscrivi-


bile (5.050 €) dovrà essere contabilizzata la differenza pari a 1.750 € nella voce av-
viamento.

!-,a vo_cepa,_rj_eçip_q;i<J_]J_iif!s::l
ud~--LI!~e_still}~~Ji
_1;_1.eJ
__pa.trJrp.()~i,9_di-~~pr_e_s~___
con-
trollate ,_çollegate o joint venture. La contabilizzazione di queste attività è di-
versificata in base a due elementi:
• tiQQ_l9gi.~Qj_r~J~_i9_ne_C.Q!l l_'i~pr_~.s~pi,t.[Je_çjJllita(controllo, collega-
mento o joint venture);
• obbligo per l'impresa a rediger~.H bilanci9 col).~oJig~to18.
~ur non entrando fl~!~~- sp~~~~_codelle div~rse opzio1;_1.i1.9. pr~Y!§t~,-~ QPRQr-
tun9_ segnalar~_ che ai:içhe in qu_~s_to _ca~o.J<:1
_va~utazione prev~de l'iq:1pjego
dt;t~.!:1~_!.ll_<?Q~!li.q~!_
cqs_t_oe d~l valore rideterminaJQ_.{J~_ir:yalye).
La voce altre attività.finanziarie include due tipolqgie di_attività: strumen-
ti rappresentativi di...cap..itak (ad esempio azioni e quote di partecipazione
non rappresentate da azioni) di un'altré;!_~DJit~20 div~x~i.d4 Lpx~.ç~.denti, e
diritti contrattuali a ricevere. disponi bili tà _liquide o ..altre .aJtiyità. I principi
internazionali precisano che il termine '~diritto cont1~3:t_t~_~1e: _Q_~çontrat!.Q"
~ riferisce a un accordo tra due_o pjù_p.ar_ti.che.abbia.c .. on.segueoze...e.c.ono-::
_!!}i_c:he
ch~ar~ e quindi non evitabilj i_!]_futµsQ;questi contratti possono assu-
mere forme diverse e non necessitano della forma scritta. Ad esempio un
deposito di liquidità in banca è un diritto per il depositante a ottenere de-
naro dall'istituto e quindi rappresenta un'attività finanziaria. I crediti nei
confronti dei clienti sono un altro esempio di attività finanziaria in quanto
sono un diritto contrattuale a ricevere in futuro disponibilità liquide.
Le attività finanziarie così definite, e non classificabili come partecipa-
zioni, si ritrovano in realtà sia nell'attivo non correnteche nell'attivo corrente,
a seconda del loro legame con il ciclo operativo dell'impresa.
Gli IAS/IFRS prevedono una diversa contabilizzazione delle attività fi-

18. Gli IAS/IFRS distinguono infatti tra bilancio separato, ossia il bilancio di una capogruppo
che presenta il proprio bilancio oltre quello consolidato, e bilancio individua/,e, quello pre-
disposto da un'impresa non tenuta alla redazione del bilancio consolidato.
19. IAS 27, 28 e 31.
20. Con il termine "entità" si intendono le persone fisiche, le persone giuridiche, le società e
gli enti pubblici.
416 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

TABELLA l 2. 2 - La contabilizzazionedelle attività finanziarie

Categoria Iscrizioneini:!:iale Valutazione Iscrizionedelle variazioni


successiva successivedi fair value

Fairvalue Fairvalue (coincidente con costo Fairvalue Conto economico


throughprofit d'acquisto) a cui NON vanno
or loss aggiunti i costi di transazione
Detenutisino Fairvalue (coincidente con costo Costo ammortizzato
a scadenza d'acquisto) + i costi di transazione calcolato usando
direttamente attribuibili all'acquisto il metodo dell'interesse
di una attività finanziaria effettivo
Finanziamenti Fairvalue (coincidente con costo Costo ammortizzato
e Crediti d'acquisto) + i costi di transazione calcolato usando
direttamente attribuibili all'acquisto il metodo dell'interesse
di una attività finanziaria effettivo
Disponibili Fairvalue (coincidente con costo Fairvalue Riserva di patrimonio
per la vendita d'acquisto) + i costi di transazione netto e imputato
direttamente attribuibili all'acquisto al conto economico
di una attività finanziaria al momento del
successivo realizzo

nanziarie ( correnti e non) in base alla destinazione d'uso degli strumenti 21


distinguendo in:
• attività al Jair value con variazioni rilevate a conto economico (Fair value
through profit and loss - Fvtpl), che includono due tipologie di strumenti:
!~attjy_i_~_ROS_~e<J~-~e
p~:r.~~s~~e neg(?zia~e ( hel,dfor trading) o quelle che
)'impresa ha designato in quesGl c~tegoria al momento della rilevazi.Q-11_~
iniziale;
• ~nvestimenti_posseduti_sino __ alla scadenza (held to maturity), si tratta di
attività finanziarie, con pagamenti fissi o determinabili e a scadenza
fissa che un 'impresa ha l'effettiva intenzione e capacità di detenere fi-
no alla scadenza;
• f.ìnanziamen~i -~ cn;diti ( loans and receivables), si ·tratta di crediti, com-
merciali e finanziari, che sorgono a seguito dell'attività svolta dall'im-
presa; sono attività finanziarie con pagamenti fissi o determinabili,
che non sono quotate in un mercato attivo;
• attività disponibili per la vendita ( available for sa/,e), ossia quelle attività
finanziarie che sono state espressamente designate come disponibili

21. Dalle considerazioni successive è esclusa una particolare categoria di strumenti finanziari
che viene trattata a parte dagli IAS/IFRS: i contratti derivati (ad esempio futures e opzioni);
per un breve approfondimento su questo argomento si veda l'appendice //.1.
12. Lo stato patrimoniale I 417

per la vendita; questa ulti1na categoria include inoltre anche le attività


fin·anziarie che non sono state incluse in alcuna delle tre precedenti.
Le_~!tivi_tàJinanziari~~~I_!g9~_Q_t_uttei~tzial111~ntexilev~te al fair value, coin-
cidente con il costo d'acquisto. La successiva valutazion~-P~~yecl~ __ du~ mo-
dalità:
• il criterio del costo ammortizzato, definito come "l'ammontare a_cui l'at-
tività/passività è valutata alla rilevazione iniziale al netto dei rimborsi
di capitale, accresci_l!tQ__ dimip.uito dell'ammortamento
Q__ complessiyo,
attraverso il metodo dell'interesse effettivo, di qualsiasi differenza tra
il valore iniziale e quello a scadenza, al netto di qualsiasi svalutazione a
seguito di una riduzione durevole di valore o di insolvenza";
• il criterio del fair value.
La tabella 12.2 riporta i criteri di valutazione per le categorie e l'effetto del-
le eventuali variazioni di Jair value.

ScH EMA 12.4 - Il costo ammortizzato

Nel 2005 la Cow S.p.A. ha emesso un prestito a favore della Frog S.p.A pari a
2.000 € della durata di 5 anni; il capitale verrà restituito interamente alla scadenza
del prestito. Il tasso di interesse nominale è del 4 per cento tuttavia la Cow ha ap-
plicato una commissione pari a 50 €.
La contabilizzazione del credito nel bilancio della Cow predeve l'uso del metodo
del costo ammortizzato utilizzando il tasso di interesse effettivo.
Per calcolare il tasso di interesse effettivo è necessario uguagliare il valore attuale del-
l'attività (1.950 €, ossia il capitale prestato a meno della commissione ricevuta) al
flusso contrattuale dei pagamenti futuri. Il tasso così calcolato è pari a 4,6 per cento22 •
Questo tasso effettivo permette ora di calcolare gli interessi di competenza per il
2005 pari a 89,1 € (4,6 per cento di 1.950 €).
Il valore finale del credito (ossia il suo costo ammortizzato) nel 2005 sarà pari a
1.950 più la differenza tra i ricavi calcolati al tasso effettivo e gli interessi incassati
= 1.950 € + (89 € - 80 €).
La tabella di seguito riporta il prospetto per tutti gli anni di durata del credito (va-
lori in€).

Periodo o 1 2 3 4 5 6

Capitale -2000 2000


Ricavi generati 50 80 80 80 80 80
commissione 50
interessi 80 80 80 80 80
Flusso di cassa effettivo -1950 80 80 80 80 2080

22. Di fatto, viene calcolata l'internal rate of return del prestito. Cfr. sotto-paragrafo19.1.3.
418 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

Tassoeffettivodi rendimento 4,6%

Costoammortizzatoinizio periodo 1950 1959, l 1968,7 1978,7 1989,l 2000 o


Interessi di competenza (CE) 89,l 89,5 90,0 90,4 90,9
Interessi incassati 80,0 80,0 80,0 80,0 80,0
Differenza 9,1 9,5 10,0 10,4 10,9

_LaYQ(e, irrip9stt:diff eyite,presente sia in attivo che in passivo, raccoglie l~_dif-


f~rei:iz~ temporanee tra il valore di bilancio_di un'attività o di una pa~~-h:ità_e
il valore definito a_fini fisc_ali:nell'attivo sono iscritte le_impQ~t_e_anticipate.

12.2.2 Attività correnti

Le attività correnti comprendono le risorse che normalmente vengono im-


piegate entro il normale ciclo operativo dell'impresa; esse si dividono in:
• di~pQnibilità_li_q11i_d_ç_e, _we.~_zi
equiv_~J~J"!ti(cassa, denaro in conto cor-
rente e assegni, investimenti finanziari a breve termi:11e e ad alta liqui-
dità e rischio irrilevante di variazione del loro valore);
• .lavori in_ç_QI§Q §1.J_QJQ~Q~_?'.jQ1_1e
(contratti stipulati specificamente per
la costruzione di un bene o di una combinazione di beni);
• attivi.te),fì_n~nziarie çorrenti (ad esempio partecipazioni azionarie non
strategiche, titoli di stato e obbligazioni liberamente commerciabili);
• crediti verso clienti e altri (crediti commerciali o anticipi ai fornitori, in-
dicando se sono in scadenza nell'arco del successivo esercizio o meno);
• rimanenze (scorte di materie prime, semilavorati e prodotti finiti,
nonché commesse in corso di realizzazione).
Due di queste voci, crediti verso clienti e rimanenze, meritano qualche ap-
profondimento.

Crediti verso clienti


I _crediti 11~iç()nftQP.:_tLie:;!-~F~nti v~ngono evidenzia__!:j ~J?}La.p.ciosecondo il
.pr_e_s11mjbile yalore,_di x~aUizo e, quindi, al netto del çQrri~_opdenJ~_f9nç!o
rischi.
Concettualmente, a_c.iascun credito è associata una probabilità di "manc!1--
ta riscossione'~ de.J_çr.e,di.to_
ste~_~o.La relativa "perdi lii attesa'~ yi_ene~spJiçi_~~-
nella voce _"fondo rischio sval1:1~i9p._e __
cr~c;lJ,t:i";
in termini economici, è "co-
me se" i.U'al.o.re_ ç,r~g.i.tQ
e.ffe.t.tivo_.de,l _cgr.r~~PQD-des~e _alla. dlf.f.e~e~~-atra_}}~
suq_
valore __nominale_e _laperdita att~sa. Nella pratica non è di solito possibile de-
terminare analiticamente la probabilità di insolvenza di ciascun debitore; di
conseguenza, si considera il fenomeno in termini statistici, definendo un va-
12. Lo stato patrimoniale I 419

lore complessivo del fondo svalutazione crediti, pari alla percentuale media
di
.. insolvenza dell'azienda moltiplicata per il valore dei crediti commerciali .
E evidente che, una volta che i crediti siano stati riscossi e sia quindi possibile
determinare l'effettivo valore delle eventuali insolvenze, il valore contenuto
nel fondo svalutazione crediti verrà rettificato di conseguenza 23 .

llimanenze
A una stessa consistenza "fisica" dei beni a magazzino possono corrispon-
dere valori diversi della voce "rimanenze" dello SP, a seconda delle scelte di
un 'impresa relativamente a:
• le_ipotesi s_ulle__."seq!J.e_nzedi utilizzo" dei .beni;
• 1:ey.entuale.nec.e.ssità_di svalutazione;
• lé;l~composizione-" dei semilavorati.e dei prodotti.finiti.
Il primo punto può essere chiarito se si tiene conto che in generale, nel
corso di uno stesso esercizio, l'impresa può acquistare uno· stesso tipQdi
bene più volte e a prezzi differenti. Una parte delle unità acquistate sarà
poi utilizzata nel corso dell'esercizio, mentre un'altra si troverà normal-
mente a scorta alla fine dell'esercizio; a seconda delle ipotesi che l'azienda
fa su quali specifiche unità siano state utilizzate e quali si trovino a magazzi-
no, il valore delle scorte (e quello dei consumi di materiali) _ça~_b._i~_r_ann_ç>__
.
Nello schema 12.5 vengono esemplificati gli effetti dei due principali me-
todi di valutazione delle rimanenze previsti dagli IAS/IFRS 24 :
• p metodo Fifo (first in first out), ip. cui ~i iQ._otizz~
__
ç~~J_ç_p1jm~.µn,jtà_uti:-
lizzate siano le prime che sono _state acquistate;
• il n1etodo del costo medio, in cui si assume che tutte le unità siano state
... ------------ •--tt•······· __ , ----•-··

acquistate a uno stesso ..m-ezzo, p?_lrialla_media ~sata dei prezzi di_ac-


quis.to._effe.Ui.Yi.
Si osservi che, una volta che tutte le unità acquistate sono state utilizzate, il
costo complessivo per l'azienda è lo stesso qualunque metodo di valutazio-
ne venga utilizzato; tuttavia, in generale vi sarà uno sfasamento temporale
tra i risultati di diversi periodi. Facendo riferimento ancora allo schema
12.8, si nota che alla fine del secondo anno, il costo complessivo per il bien-
nio è uguale nei due casi (2400 €), ma a fronte di una diversa ripartizione
dei costi nei due esercizi.
Un'impresa può scegliere il metodo di valorizzazio~e da utilizzare; even-

23. In altri termini: se il_y~lore eff~ttivamente riscosso_sarà superiore rispetto al valore del crç-
dito, al netto del fondo rischi, s!_ilyrà_.!:!_11a
sopravvenienza "attiva"; _in__ c~s~ contrario una
""sopravvenienza passiva". Sul significato di sopravvenienza attiva e passiva, si faccia riferi-
mento all'analisi del conto economico, nel capitow 13. Si osservi inoltre che non tutte le
operazioni di rettifica sono fiscalmente rilevanti.
24. Le norme del codice civile precedenti all'introduzione degli IAS/IFRS prevedevano un
terzo metodo, ora non più consentito, il Lifo ( last in first out), in cui si ipotizza che le prime
unità utilizzate siano le ultime che sono state acquistate.
420 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

tuali cambiamenti di convenzioni da un esercizio al successivo devono esse-


re riportate nella nota integrativa, specificandone e giustificandone le mo-
tivazioni ed esplicitandone l'effetto sul reddito.

Se H E MA l 2. 5 - La valorizzazionedelle scorte

Si consideri un'impresa che ha acquistato olio combustibile, come indicato di se-


guito:
• 15marzo 2001: 1.000 litri, prezzo unitario 0,5 €
• 18 luglio 2001: 2.000 litri, prezzo unitario o,6 €
• 21 settembre 2001: 1.000 litri, prezzo unitario 0,7 €
Al 31.12.01 sono a magazzino 1.500 litri. Nel 2002 non vi sono acquisti e l'olio
combustibile viene interamente consumato. Determinare il valore dei beni utiliz-
zati e il valore delle rimanenze al 31.12.2001.
LogicaFifo
Secondo la logica Fifo,i 2.500 litri utilizzati nel 2001 sono i 1.000 acquistati il 15.3
e 1.500 acquistati il 18.7. Di conseguenza:
• valore dei beni utilizzati nel 2001: 0,5 · 1ooo + o,6 · 1500 = 1400 €
• valore delle rimanenze al 31.12.2001: o,6 · 500 + 0,7 · 1000 = 1000 €
• valore dei beni utilizzati nel 2002 (in questo esempio coincidono con le rimanen-
ze al 31.12.01) = 1000 €
Costomedio
11costo medio degli acquisti è pari a:
(0,7 • 1000 + 0,5 · 1000 + o,6 · 2000)/4000 = o,6 €
Di conseguenza:
• valore dei beni utilizzati nel 2001: o,6 · 2500 = 1500 €
• valore delle rimanenze al 31.12.2001: o,6 · 1500 = 900 €
• valore dei beni utilizzati nel 2002 (in questo esempio coincidono con le rimanen-
ze al 31.12.01) = 900 €

Un secon._dopr()_!:>.!~f!l~--~Lp~_<}
y_~_rif:ìcar~
_qll_andoil va~~re d~-~e~c;~~<?-~iuna
specifica rimanenza diventi inferiore rispetto al suo costo storico.
Infine, per determinare il valore dei semilavorati e dei prodotti finiti è
necessario identificare in modo puntuale quali specifiche risorse siano sta-
te utilizzate per ciascuno di essi; questo aspetto, per essere gestito con una
adeguata precisione, richiede la disponibilità di un sistema di contabilità
analitica, che consenta di comprendere:
• quali specifiche risorse debbano essere "attribuite" a un prodotto 25 ;
• come tali risorse debbano essere valorizzate 26 .

25. Cfr. capitolo 15.


26. Cfr. capitolo 16.
12. Lo stato patrimoniale I 421

12.2.3 Attività non correntidisponibiliper la vendita

Questa voce raccoglie _l~--~t~yi-~_


cq~_pç}:'_l).~tura sono utilizzate oltre il ciclo
o_perativo deH'inpresa (ad esempio immobili o anche attività immateriali
come brevetti) che tuttavia l'impresa ha previsto di vendere. Gli IAS/IFRS
prevedono che i beni, una volta inclusi in questa categoria, non siano am-
mortizzati.

12.3 Il passivo

Il passivo comprende tre aggregati di voci:


• _ilpatrimonio netto; ~ ..J-··,:_.-n,~ :/,' ~_,
• il passivo cor_:r~1:_1_te; --,.)i\< : 1 : -i_,
• il passivo non co~rente. \ '-· ·
La struttura del passivo è articolata sulla base della natura dei diritti vantati
sulle risorse del[azj.e__nda;
in particolare, si distingue tra il patrimonio net-
to, che comprende i giritti Y~!lt.~~i_d_agliazionisti e le altre yoci (incluse in
passivo corrente e non) che costituiscono invece mezzi di terzi 27 .

12.3.1 Patrimonio netto

Rappresenta l'insieme dei Qjritti vantati sull'impre_sa dagl_i~~iggi_sti.Tali di-


ritti derivano principalmente gildue tipologie di fenomeni:
• versamenti diretti di capitale d~arte de_g]Lazionisti;
• Y!1riazioni del valor_~d~J ç~pitale di per.tinenz_a_degli azionisti dovuti al-
la attività g_estionale dell'azienda.
I versamenti diretti degli azionisti vengono registrati nel capiJ~lesocig,le,de-
finito come l'insieme delle azioni (o delle quote societarie) sottoscritte ( os-
sia emesse dall'impresa) ciascuna valorizzata al.2!"oEio valore n2gij11-ale28
29. I versamenti possono
ridotto dei crediti verso soci ~<;!.~cimi c!~.Y-~f-~9.:1"ç_
avvenire al momento della costituzione di una azienda o in periodi succes-
sivi ( aumenti di capitale).
L'effetto dell'attività gestionale dell'azienda si manifesta in presenza del-

27. Anche nel passivo la distinzione tra corrente e non corrente vale solo parzialmente; nel
passivo non corrente possono essere infatti inclusi debiti di carattere "strategico" tuttavia
in scadenza nell'esercizio successivo. È prevista anche in passivo la distinzione tra voci in
scadenza entro l'esercizio e oltre l'esercizio.
28. Sul concetto di valore nominale di una azione cfr. capitolo 3.
29. I principi contabili italiani precedenti all'introduzione degli IAS/IFRS non prevedevano
la detrazione dei crediti verso soci dal capitale emesso, il quale era iscritto nella voce credi-
ti verso soci per versamenti ancora dovuti nello stato patrimoniale.
422 / LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

le operazioni che "sbilanciano lo SP", creando, come si è evidenziato nel


paragrafo 12.1, una variazione nei_di~Jt~!_deg_l_i_~t~nisti.Il valore compl~ss~-
vo _di_q!J~~te.__ yariazioni nel corso __ _Y!~:l!_~
Q~~l'e~e~ç}_?:!_<? r.egisy·~-~~~ella voc~
utile d'esercizio.
--· ------
Al termine dell'esercizio, gli azionisti possono decidere di utilizzare que-
sta disponibilità addizionale di risorse secondo due diverse modalità:
• _disti;-ipu~ndo_Jf_!Jsorseai sing9l_i_aziqµisti, soJJQ_f<?!~~-_g.t dividendo;
• mantenendo le risorse all'interno dell'azienda.
l11quest'ult_imo caso, i diritti degli azionisti vengono evidenziati sotto for-
Illa di riserve. La voce riserve rappresenta l'insieme di una serie di poste
specifiche, esse sono:
• _gliutili portati a nuovo, ci~~_g!i_ll~il_~_ Illatur~ti in e~ercizi precedenti che
l'impresa ha deciso di non distrib~ire. agli az_io!!_i~~i _sotto forma di divi-
d~ndo, _alfiD.~_cU ga;r~ntir_s_i
µp ;;isltg11-a!Qj!µ_t9_fi_p.anziamento;
• la ris~rva sovrapprezzo azioni, che si forma quando l'impresa emette
azioni a un prezzo superiore al valore nominale; in questo caso, le en-
I
_trate di cassa vengono bilanciate, per la parte relativa_al_valore nomi-
nale, dall'incremento del capitale soci 4 le, per la parte restaQte daU)_n-
cremento della riserva sovrapprezzo azioni;
• 1~ri,serva da rivalutazion/>0 , che raccoglie le rivalutazioni rilevate nel
caso di ado_zionedel modello della_ridetermi11azjone d_elvalore (fair
value) ,_perla ril_~Va?'.i9_ne
_cielvalore dei beni dopo la prima iscrizion~_;
• altre riserve distiri_t,q,!'}e'J},t(}_
indicate, voce rilevant~J~-~-~i_bil~.r:!Ci italiani che
andrà a includere i sald_!<JL~1:1~. yo~j__p_[i_l!laseparatamente evidenziat_e:
- Ja __riMIJLQ_legq,le,in cui la legge impone di accantonare ogni anno
una quota dell'utile non inferiore al 5 per cento, fino al raggiungi-
mento del 20 per cento del capitale sociale,
- la..riser.v..a...slah!Jar.i!l,
quando sia prescritta dallo statuto della singola
.
impresa.

12.3.2 Passivitànon correnti

Le passività non correnti sono composte da y9ciche normalmente si estin:--


Kµ9IJ.Q:9Jtr~_i1r:i.o_r~alectcl9 __
QRer.~tiy9dfll'impre_~~; esse inch1dono:
• passività finanziari~, a cui si riferiscono le prime tre voci della tabella
12.1: <ilibliga.ijon_ijn _circolazL9peLq.ebiti verso banche e aJtre passività
fjnanziarie; -
• fQn_gi._p~:r. r.i§çhJ~_9_neri;

30. I principi contabili preesistenti già prevedevano la riserva di rivalutazione il cui uso era
tuttavia limitato in quanto le rivalutazioni erano previste solo a seguito dell'applicazione
di leggi speciali.
12. Lo stato patrimoniale I 423

TABELLA 12.3 - La contabilizzazionedelle passivitàfinanziarie

Categoria Iscrizione iniziale Valutazione Iscrizionedelle variazioni


successiva successivedi fair value

Fairvalue Fairvalue (coincidente con costo Fairvalue Conto economico


throughprofit d'acquisto) a cui NON vanno
or loss aggiunti i costi di transazione
Detenuti sino Fairvalue (coincidente con costo Costo ammortizzato
a scadenza d'acquisto) + i costi di transazione calcolato usando
direttamente attribuibili all'acquisto il metodo dell'interesse
di una attività finanziaria effettivo

• fondi relativi al pe~sonale;


• imposte diff~ri te passive.
La voce pçissi"{!ità fina1J_1,:iarie
include le obbligazioni_ contrattuali _a conse:
gnare disponibilità liquide, o altre atti~i!à fìnanzi~ri~,_ a un'altra_i~~~-~':3-_()_
a scambiare a_t_ti\jtào passività ~n~!}z_iarie CQ!!_l!Q..'~ltr3:jll}_J;!r~~~.
Analoga-
mente a quanto visto per le attività finanziarie, le.Ba~~iyit~_finanzt~_r.iç_son9
presenti sia nella parte non corrente.sia correnJei..ei.scritte __nei __
du~_aggreg'1.ti
sulla base dell'intenzione dell'_inl_Q[_ç_sa a detenerle_per iLhingo o breve._p.e-
riodo.
Gli IAS/IFRS suddividono le passività finanziarie ( correnti e non) in due
categorie ( tabella 12.3):
• passività al [ai!_!'~J~i:' ~ _ç_oDJ9
rLl~y_°-"Jç ___
~ç9riqmiç9 __(fair value throughprofit
and wss - Fvtpl), c~e includono passività detentt,~~.per la .ne_goziazione;
• altre passività finanziarie, ossi~_p_a.§_~iyj~~--nO!J
g~s.tit_~_con_ottiç~ _ç!iD~g_o-
z1az1one.
La rilevazione iniziale awiene per entrambe le categorie al fair value, men-
tre per le rilevazioni successive si adotta:
• il cri~~rio del fair value _2~r_J~passività fvtpl (con compensazione in
conto economico);
• il criterio del costoammortizz~~o_perle altrepassività_finq,n!,iarie;
La voce Jon!],prischi e oneri raccQglie alcun~-p~s~iY.it~..dLammQnta.re ..o sca-
f!_e_!!]:~jn_çe.rti,
per cui tuttavia l'impresa ha un'obbligazione attuale. Lavo-
ce include ad esempio i fondi per buoni sconti e premi, e _il__fondop~r im-
poste legate a contenziosi in corso.
I f!Jndi relativi al persona½'J~_s_luq9no tutti glj_Q_12R!ighi
Q~IJ'JJ:Tipr~-~-a.
v_~r~9i_l
proprio personale, all'interno del quale in Italia assume particolare rile-
vanza il fondo di trattamento di fine rapporto. Questo fondo sintetizza l'inte-
grale delle somme maturate dai dipendenti e proiettate al futuro per sti-
mare l'ammontare da pagare al momento dell'interruzione del rapporto
di lavoro. Il calcolo è effettuato valutando il tempo di permanenza residuo
424 J LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

dei dipendenti (o di categorie omogenee) all'interno dell'impresa e gli au-


menti salariali previsti; tale valore deve essere infine attualizzato 31 .
L'ultima voce, impostedifferite,già incontrata_ nell_'attivo_non corrent~, fa
riferimento, __
in ~ssivo, a imposte_posticipate.

12.3.3Passivitàcorrenti

L'ultimo aggregato,_il_pllssi.~_q_co,:.~~!lte,
include_ categorie già anaHzzate nella
parte non corrente, çb_~ riw._pr~_~a_g_~y~ __
_Ls_crivere_in_q!!~S~_
se~!Q}}~_qua_ndo
rit.i~n~_çhe -~L~~!iD-Kl:!~!EP:n-.Q
__
~_ntro il__normale ciclo operativo dell'impresa.
Al suo interno assumono particolare rilevanza levoci di de!?_i_tg, distingµibili
in debiti di carattere fisico (debiti verso fornitori, anticipi su lavori in corso
su ordinazione) e i debiti di carattere finanziarL9 (obbligazioni in circolazio-
ne e debiti verso banche). Per i debiti~ necessario indicare separatamente
nel bilancio l~__
parte in _scadenza oltre la fine del_succe~~ivo ~-s~~ci:Z_i?.

31. Per i principi italiani preesistenti il TFR è dato dall'integrale delle somme maturate dai di-
pendenti e che dovranno essere liquidate al momento dell'interruzione del loro rapporto
di lavoro con l'impresa.
13 Il conto economico

13.1 Introduzione

Il conto economico costituisce la sintesi dei flussi di natura economica che


interessano l'impresa in un dato arco di tempo, normalmente un anno. Il
conto economico determina quindi l'utile di esercizio dell'impresa come
differenza tra i ricavi (valore dei beni alienati e/ o dei servizi erogati) e i co-
sti (valore delle risorse utilizzate per "produrre" i ricavi). L'equazione eco-
nomica (utile= ricavi - costi) può essere messa in relazione con l'equazio-
ne patrimoniale (attivo = passivo), descritta nel capitolo precedente, per
costruire l'equazione di bilancio 1:

ricavi - costi = attivo - mezzi di terzi - patrimonio iniziale ( 13.1)

L'equazione di bilancio evidenzia come l'incremento del patrimonio de-


gli azionisti sia "determinato" dalla capacità di avere ricavi superiori rispet-
to ai costi.

Operativamente, il conto economico si basa sul Principio di competenza


economica, secondo cui contribuiscono a formare l'util,edi eserciziosolo co-
sti e ricavi di competenza di un esercizio. In particolare:

' 1. La ( 13.1), in particolare, assume che non vi siano state immissioni di capitali o distribu-
zione di dividendi nel periodo. Essa si ricava confrontando l'equazione economica (utile
= ricavi - costi) e l'equazione patrimoniale (utile= attivo - mezzi di terzi - patrimonio
iniziale) ..
426 i LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

• un ricavo è di competenza di un esercizio se in quell'esercizio avviene


l'effettiva alienazione "documentata" del bene da parte dell'impresa
(la consegna di un prodotto o l'erogazione di un servizio);
• un costo è di competenza di un esercizio se fa riferimento a risorse uti-
lizzate per produrre i ricavi di competenza dell'esercizio; i costi di
competenza comprendono in generale:
i costi delle risorse utilizzate specificamente nella produzione dei
beni che hanno dato luogo a ricavi (ad esempio: costi per materie
prime, ammortamenti di macchinari, costi per il personale di pro-
duzione),
i costi non associabili direttamente alla produzione ma necessari
per assicurare il funzionamento dell'azienda nel periodo (ad
esempio: costi generali e amministrativi, costi delle attività di ri-
cerca e sviluppo, canoni di locazione, consulenze, servizi),
le perdite associate a risorse il cui valore si è "vanificato" nel cor-
so di un esercizio (ad esempio: perdite su crediti).
Si noti che la competenza economica non ha alcun legame "immediato" con
le entrate e le uscite di cassa associate alla produzione e vendita dei beni (sche-
ma 13.1).

ScH EMA 13. l - Il principiodi competenzaeconomica

Si consideri una azienda commerciale che esegue le seguenti operazioni:


• Nel 2001 acquista un bene a credito per 1.000 €
• Nel 2002 paga il fornitore
• Nel 2003 vende il bene a credito per 1.200 €
• Nel 2004 viene pagata dal cliente.
Determinare costi e ricavi di competenza.

11ricavo di 1.200 € è di competenza del momento in cui avviene la vendita, ovvero


del 2003. Poiché il costo di acquisto fa riferimento a questo ricavo, anch'esso è di
competenza del 2003. l'.utile di competenza, pari alla differenza tra ricavi e costi, è
quindi:
o nel 2001
o nel 2002
1.200 - 1 .ooo = 200 € nel 2003
o nel 2004

Si noti che i flussi finanziari hanno invece un profilo radicalmente differente:


o nel 2001
-1.000 € nel 2002
o nel 2003
+ 1 .200 € nel 2004
13. Il conto economico I 427

13.1.1 La struttura del conto economico

I principi internazionali 2 prevedono un contenuto minimo del prospetto


di conto economico, che comprende le seguenti voci:
• ncavi;
• proventi finanziari;
• oneri finanziari;
• quota dell'utile o della perdita di collegate e joint venture,
• utile o perdita prima delle imposte rilevato in occasione della cessione di
attività o estinzione di passività attribuibili ad attività destinate a cessare;
• imposte sul reddito;
• utile o perdita.
La presentazione delle voci può seguire due schemi alternativi:
• per natura, ossia i costi sono aggregati secondo la loro natura (per
esempio acquisti di materiali, costi del personale) e non sono ripartiti
in base alla loro destinazione all'interno dell'impresa (produzione,
trasporto ecc.);
• per destinazione o del "costo del venduto", il quale classifica i costi se-
condo la loro funzione all'interno dell'impresa, ossia come parte del
costo di realizzazione dei beni venduti o, ad esempio, come costi di di-
stribuzione e amministrativi.
Rispetto alla classificazione per natura la presentazione delle voci per desti-
nazione fornisce informazioni più significative, tuttavia questa ripartizione
può essere arbitraria e le imprese dovranno, in questo caso, riportare ulte-
riori informazioni sulla natura dei costi in nota integrativa.
Entrambe le classificazioni erano già previste dalla quarta direttiva co-
munitaria (riferimento a livello europeo pre-esistente agli IAS/IFRS), tut-
tavia a livello italiano era stato recepito soltanto lo schema che suddivide i
costi in base alla loro natura. Attualmente il legish;1tore italiano non ha an-
cora pubblicato lo schema definitivo di conto economico di riferimento
per le imprese italiane; nel seguito saranno presentati entrambi gli schemi.

13.2 Il conto economico per natura

La tabella 13.1 riporta lo schema di conto economico (in lingua originale e


tradotto) classificato secondo la natura delle voci.
La classificazione distingue ricavi e costi a seconda che derivino da attività
in funzionamento ( continuing operation) o da attività destinate a cessare 3 ( di-

2. Nello specifico lo lAS 1.


3. La distinzione tra gestione ordinaria e straordinaria prevista dai principi italiani preesi-
stenti non è contemplata dai principi lAS/IFRS.
428 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

TABELLA 13. l - Il conto economico per natura

CONTINUING OPERATIONS ATTIVITA IN FUNZIONAMENTO

Revenue Ricavi
Other operating income Altri ricavi operativi
Changes in inventories of finished goods Variazioni delle scorte di prodotto finito
and work in progress e semilavorati
Raw materials and consumables used Consumo di materie prime e materiali di consumo
Employee benefits expense Costi del personale
Depreciation and amortisation expense Ammortamenti e variazioni di valore
delle attività non correnti
Other operating expenses Altre spese operative

Operating profìt Utile operativo4

Share of profit of associates Utili da società controllate, collegate ejoint venture


lnvestment revenues Proventi finanziari da attività di investimento
Other gains and losses Altri proventi e perdite
Finance costs Oneri e perdite fìnanziarie

Profìt beforetax from continuingoperations Utile lordo da attività operative in funzionamento

lncome tax expense Imposte

Profìtfor the year from continuingoperations Utile netto da attività in funzionamento

DISCONTINUED OPERATION ATTIVITA DESTINATE A CESSARE

Profit and loss for the year Ricavi e perdite da attività destinate a cessare
from discontinued operation

Net profìt Utile netto dell'esercizio

Attributableto: Attribuibilea:
Equity holders of the parent Azionisti di maggioranza
Minority interest Azionisti di minoranza

Earningsper share Utile per azione

Fromcontinuingand discontinued Da attività infunzionamento e destinate


operations: a cessare:
Basic Base
Diluited Diluito
Fromcontinuingoperations: Da attività infunzionamento:
Basic Base
Diluited Diluito

4. Si noti che le attività a cui si riferisce l'utile operativo differiscono dalle attività riferite al
ciclo operativo dell'impresa; in particolare in questo caso non vengono incluse le opera-
zioni di tipo finanziario corrente evidenziate nell'aggregato successivo e che concorrono
alla formazione dell'utile da attività in funzionamento.
13. Il conto economico I 429

scontinued operation); ciò consente di individuare i flussi economici che presu-


mibilmente non incideranno in futuro sulla gestione dell'impresa.

13.2.1 Ricavie costi operativi

La prima parte del conto economico raccoglie i ricavi e i costi generati dal-
la gestione caratteristica dell'impresa, aggregandoli sulla base della loro
natura; al suo interno si trovano:
• ricavi, i quali includono 5 la vendita di beni, le prestazioni di servizi,
l'utilizzo da parte di terzi di beni dell'impresa (interessi, royalties e di-
videndi);
• variazione delle scorte (di prodotti finiti e semilavorati);
• variazione delle commesse in corso;
• variazione degli immobilizzi dovuti a lavori interni (cioè immobilizzi
realizzati in proprio dall 'in1presa).
• costo per materie prime, sussidiarie e di consumo, pari agli acquisti di mate-
riali e componenti dall'esterno relativi all'esercizio in corso, rettificate
poi dalla differenza tra scorte iniziali e scorte finali;
• costo dei servizi acquistati esternamente;
• costo per il personalR, per stipendi, oneri sociali e trattamento di fine rap-
porto;
• ammortamenti e variazioni di valore delle immobilizzazioni: l'ammortamen-
to corrisponde alla quota del valore di un 'immobilizzazione materiale
o immateriale considerata di competenza dell'esercizio in corso; con-
cettuahnente, corrisponde al valore della "frazione" del bene consu-
mata nell'esercizio. Sono inoltre qui comprese le variazioni dovute al-
la perdita duratura di valore delle immobilizzazioni materiali e imma-
teriali, rilevate dall'azienda attraverso l' impairment test.
Il tema degli ammortamenti merita di essere approfondito, poiché consen-
te alcuni gradi di libertà alle imprese, relativamente a:
• periodo di ammortamento, ovvero il numero di anni nel quale riparti-
re il costo del bene;
• quota annuale di ammortamento.
II periodo di ammortamento dipende dalla vita utile, che a sua volta è legata al
deterioramento e ali' obsolescenza del bene. Si noti che, dal punto di vista
fiscale, una riduzione della vita utile consentirebbe di detrarre più rapida-
mente i costi di acquisto di un bene dal reddito imponibile, permettendo il
differimento delle imposte e consentendo quindi un risparmio fiscale ac-

5. Riferimento al principio IAS 18.


430 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

celerato. Per evitare comportamenti opportunistici, la normativa impone


dei "periodi minimi" di vita utile dei beni 6 .
La quota annuale di ammortamento può essere determinata secondo diver-
se modalità, le più importanti delle quali sono (cfr. schema 13.2):
• ammortamento a quote costanti, nel quale il costo storico del bene, al net-
to dell'eventuale valore di recupero realizzabile alla fine della vita uti-
le, viene suddiviso in modo uniforme tra tutti gli esercizi per cui ne è
previsto l'utilizzo;
• ammortamento accelerato,in cui si adottano quote di ammortamento non
uniformi, bensì decrescenti, nei singoli anni di vita del bene. Ciò rispon-
de, a livello concettuale, all'esistenza di impianti che perdono più rapi-
damente valore nelle fasi iniziali della propria vita economica, e consen-
te, peraltro, di anticipare il risparmio fiscale associato agli ammortamen-
ti, creando così valore economico; l'adozione dell'ammortamento acce-
lerato è condizionata dalla possibilità da parte dell'azienda di documen-
tare l'effettivo maggiore degrado del bene nei primi esercizi;
• ammortamento anticipato, che consiste nel raddoppiare l' entità dell' am-
mortamento nei primi tre anni di vita del bene, rispetto a un ammor-
tamento di tipo ordinario; di conseguenza, il periodo di ammorta-
mento si riduce complessivamente di tre anni. L'adozione dell'am-
mortamento anticipato non è soggetta ad alcuna condizione.

ScH EMA 13.2 - Politiche di ammortamento

Si supponga che un'azienda abbia acquistato un bene a 19.000 €, con una vita uti-
le di 8 anni e un valore di recupero previsto di 3.000 € a fìne vita. Nel caso di am-
mortamento a quote costanti, l'ammortamento sarà pari a:

(19.000 - 3.000) /8 = 2.000 € per ciascuno degli 8 anni di vita del bene, per com-
plessivi 16.000 €

Nel caso di ammortamento accelerato, il valore dell'ammortamento ogni anno di-


penderà dall'obsolescenza dello specifico bene. Ad esempio, si potrà avere un
profìlo di questo tipo:
anno 1 - 3.300 €
anno 2 - 2.700 €

6. Questo tema è un esempio tipico della differenza tra principi civilistici e politiche fiscali.
In teoria, nel bilancio civilistico l'ammortamento dovrebbe essere "rappresentativo del-
l'effettivo consumo del bene"; eventuali politiche di ammortamento diverse, a soli fini fi-
scali, dovrebbero essere annotate separatamente nelle "ultime righe" del conto economi-
co. Spesso, tuttavia, per semplicità gestionale gli ammortamenti ''accelerati" o "anticipati"
vengono utilizzati anche a fini civilistici.
13. Il conto economico I 431

anno 3 - 2.400 €
anno 4- 2.100 €
anno 5 - 1.800 €
anno 6 -1.500 €
anno 7-1.200 €
anno 8 - 1.000 €
Totale - 16.000 €
Nel caso di ammortamento anticipato si ha:
anno 1 - 4.000 €
anno 2 -4.000 €
anno 3 - 4.000 €
anno 4 - 2.000 €
anno 5 - 2.000 €
anno 6 - o€
anno 7 - o€
anno 8- o€
Totale - 16.000 €
Naturalmente, il valore complessivo dell'ammortamento coincide nei tre casi.

Lo schema per natura consente di evidenziare e contrapporre due aggre-


gati:
• il valore della produzione 7 dell'azienda, somma dei ricavi operativi e
della variazione delle rimanenze dei prodotti finiti e semilavorati;
• il costo della produzione, inteso come insieme di tutte le risorse, dirette
e di supporto, necessarie I?.erla realizzazione di quanto prodotto.
Questa logica, presente nei bilanci redatti secondo i principi tradizionali
italiani, "rispetta" il principio di competenza economica. Si osservi, a que-
sto proposito, la figura 13.1. In essa si evidenzia come l'impresa utilizzi, in
un periodo, due diversi input, le scorte iniziali (ovvero le scorte finali del
periodo precedente) e la "produzione del periodo", per ottenere due di-
versi output, le scorte finali e le vendite. Nella logica a valore e costo della
produzione, l'output è espresso come:

vendite + scorte finali di semilavorati e prodotti finiti - scorte iniziali di se-


milavorati e prodotti finiti

e l'input come:

7. Il concetto di produzione utilizzato in questa classificazione deve essere inteso in "senso


lato"; i costi della produzione includono non soltanto le risorse utilizzate per la trasforma-
zione fisica dei prodotti ma anche i costi delle attività di supporto, quali ad esempio il per-
sonale amministrativo, gli ammortamenti dei mezzi di trasporto. Sostanzialmente vengo-
no qui inclusi tutti i costi non legati ad attività finanziarie o destinate a cessare.
432 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

F, e u RA 1 3 .1 - Relazionetra produzionee vendite

Scorte iniziali Scorte finali


► ►
Impresa

► ►
Produzione Vendite

produzione, in senso lato, rettificata dalla variazione delle scorte di materie


pnme

La differenza tra valore e costo della produzione (Margine operativo netto


- Mon) risulta quindi uguale a quella tra ricavi delle vendite (ricavi di com-
petenza) e costi necessari per realizzare i ricavi di competenza (produzio-
ne, in senso lato, rettificata dalla variazione delle scorte di materie prime +
scorte finali di semilavorati e materie prime - scorte iniziali di semilavorati
e materie prime) .

13.2.2 Proventie oneri finanziari

Il conto economico fino a questo punto fornisce il risultato dell'attività


principale (caratteristica) di un'impresa; nelle sue attività continuative so-
no tuttavia di grande importanza anche i flussi economici derivanti daìla
gestione delle attività finanziarie: oneri, proventi e perdite di valore.
Gli schemi attualmente disponibili suddividono tali voci in:
• utili da società controllate, collegate ejoint venture;
• proventi finanziari da attività di investimento;
• oneri e perditefinanziarie; questa voce (finance costs), sebbene presentata in
modo aggregato, assume notevole importanza con l'introduzione degli
IAS/IFRS in quanto include numerosi elementi: gli oneri relativi a inde-
bitamento, le variazioni di fair value delle attività classificate come Fvtpl e
le perdite durature di valore delle attività finanziarie ( impairment test).

Se H E MA 1 3. 3 - Variazionidi fair value e perdite sulle attività finanziarie

Alla fine del 2004 la Fraili S.p.A. ha registrato nell'attivo di stato patrimoniale le se-
guenti attività finanziarie:
13. Il conto economico I 433

• Fairvalue through profit or loss (Fvtp0:20.000 €;


• Crediti:12.000 €;
• Attività detenutefino a scadenza:35.000 €.
Si sa inoltre che le disponibilità liquide sono pari a 7.000 €.

Nel corso del 2005 le attività Fvtpl subiscono una variazione di valore a causa del-
la pessima congiuntura dei mercati finanziari e il loro valore equo (fair value) al
31/12/2005 è di 18.000 €.
Le altre due categorie di attività sono invece valutate con il metodo del costo am-
mortizzato e gli interessi attivi maturati nel 2005 sono complessivamente pari a
2.600 € (pagati pronta cassa).
Alla fine dell'anno la Fraili opera inoltre un test di impairment evidenziando una
perdita duratura di valore delle attività detenute fino a scadenza pari a 3.000 €.
Gli eventi sopra descritti saranno contabilizzati nel bilancio 2005 come segue:

Estrattodell'attivodella FrailiS.p.A. Valoreal 31/12/2004 Valoreal 31/12/2005


(€) (€)
Fair value through profìt or loss {Fvtpl) 20.000 18.000
Crediti 12.000 12.000
Attività detenute fìno a scadenza 35.000 32.000
Disponibilità liquide 7.000 9.600
Totale 74.000 71.600

Estrattodel conto economicodella FrailiS.p.A. Valore al 31/12/2004


(€)

Proventi da interessi sui crediti 2.600


Variazioni di fair value delle attività Fvptl - 2.000
Perdite di valore (impairment test) delle attività
detenute fino a scadenza - 3.000
Totaleproventie oneri finanziari -2.400

13.2.3Utile d'esercizio da attività in funzionamento

Una volta sottratti al valore della produzione i costi della produzione, e


sommata la differenza tra proventi e oneri finanziari, si ottiene il risultato
delle attività in funzionamento prima delle imposte. Tale valore viene poi
rettificato extracontabilmente per tener conto delle differenze tra i princi-
pi alla base del bilancio civilistico e gli obblighi fiscali, in modo da detenni-
434 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

nare il reddito imponibile. Una volta detratte le imposte, si determina l'uti-


le netto delle attività in funzionamento, che costituisce la sintesi del com-
portamento economico dell'impresa nell'arco dell'esercizio rispetto al suo
funzionamento continuativo.

13.2.4 Ricavie perditeda attività destinatea cessare

I nuovi principi contabili 8 prevedono l'iscrizione separata dei flussi econo-


n1ici derivanti da attività destinate a cessare. La voce comprende:
• ricavi e costi originatisi nel corso dell'esercizio da queste attività;
• plusvalenze o minusvalenze derivanti dalla cessione delle attività; ossia
la differenza tra il valore di vendita e il valore delle attività valutate al
Jair value al momento della cessione.

ScH EMA 13.4 - Attività destinatea cessare(discontinuedoperations)

L'.impresa DLT produce giocattoli e nel corso del 2005 ha deciso di dismettere una
parte della società dedicata alla produzione di bambole.
L'.operazione in base ai principi IAS/1FRS implica che l'impresa evidenzi i flussi
economici di questa attività separatamente nell'aggregato attività destinate a ces-
sare (discontinuedoperations).
Il conto economico del 2005 presenta questa situazione:

Attività in funzionamento €

Ricavi 1.200.000
Altri proventi 8.700
Variazioni delle scorte di prodotto finito e semilavorati 4.000

Valoredella Produzione 1.212.700

Consumo di materie prime -650.000


Costi del personale -210.000
Ammortamenti e variazioni di valore delle attività non correnti -35.000
Altre spese operative -28.000

Costidella Produzione -923.000

Differenzatra valoree costi della produzione 289.700

Utili da società controllate, collegate ejoint venture 15.000


Proventi finanziari da attività di investimento 3.500
Altri proventi e perdite -750

8. Nello specifico il principio IFRS 5.


13. Il conto economico I 435

Oneri e perdite finanziarie -34.000

Utile lordo da attività in funzionamento 273.450

Imposte -41.000

Utile netto da attività operativepermanenti 232.450

Attività destinate a cessare

Ricavi e perdite da attività destinate a cessare 12.000

Utile netto dell'esercizio 244.450

li CE mostra 12.000 € complessivi che sono determinati in parte dai flussi operati-
vi generatisi da queste attività durante il 2005 e in parte dalla plusvalenza dovuta
alla cessione; il dettaglio di tali informazioni è contenuto nella nota integrativa.

Nota integrativa
Discontinuedoperations
Il ricavo di 12.000 € derivante dal ramo bambole è suddiviso in:
• utile dell'attività operativa del ramo bambole: 3.100 €;
• plusvalenza derivante dalla dismissione del ramo: 8.900 €.
La plusvalenza è pari alla differenza tra il valore di vendita (35.000 €) e il valore
delle attività cedute valutate al fair value (26.1 oo €).

13.2.5Utile d'esercizio

Il valore finale del conto economico, l'utile di esercizio, si ottiene sottraen-


do all'utile netto da attività in funzionamento i ricavi o le perdite derivanti
da attività destinate a cessare; questo valore sintetizza tutte le componenti
di reddito negative e positive che l'impresa ha generato nell'esercizio. Il
CE presenta questo valore suddiviso nella parte di pertinenza degli azioni-
sti di maggioranza e di minoranza.
L'utile di esercizio determinato attraverso il CE coincide, come visto at-
traverso l'equazione di bilancio, con quello determinato dallo SP9 .

13.2.6 Utile per azione

Le imprese le cui azioni ordinarie sono negoziate sui mercati finanziari e le


imprese che hanno in corso l'emissione di azioni sono tenute a fornire
un'ulteriore informazione, da iscrivere nel CE a valle dell'utile d'esercizio:
l'utile per azione.

9. 'Cfr. appendice ///.1.


436 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

I principi internazionali definiscono due diversi utili per azione, entran1-


bi da presentare in bilancio:
• utile base per azione;
• utile diluito per azione.
L'utile base per azione si ottiene dividendo l'ammontare degli utili al netto
delle imposte, dei pagamenti d'interesse per i possessori di obbligazioni e
dei dividendi corrisposti ai possessori di titoli azionari di risparmio o privi-
legiati 10, per la media ponderata delle azioni della capogruppo in circola-
zione durante l'esercizio. Sostanzialmente esso rappresenta la frazione de-
gli utili societari che spetta al possessore di un'azione ordinaria.
L'utile diluito per azione, tiene invece conto nel determinare il rapporto
non soltanto dei titoli ordinari ma anche di quelli convertibili 11 in azioni
della società, ipotizzando che tutti i possessori abbiano esercitato il diritto
di conversione dei loro titoli in azioni della società.

13.3Il conto economico per destinazione

La seconda classificazione prevista dagli IAS/IFRS aggrega le voci in base


alla loro destinazione all'interno dell'impresa; anche in questo caso i flussi
economici sono distinti nei due macroaggregati: attività in funzionamento
e destinate a cessare.
Confrontando le due classificazioni per natura ( tabella 13.1) e per desti-
nazione (tabella 13.2) si evidenzia che le differenze riguardano la presenta-
zione delle voci operative.
Alla voce ricavi (non più valore della produzione) viene qui contrappo-
sto il costo del venduto, che rappresenta l'insieme delle risorse direttamente
utilizzate nella realizzazione dei prodotti venduti o nei servizi erogati.
Il costo del venduto, a differenza dei costi della produzione, non include le ri-
sorse dedicate alle attività di supporto (ad esempio spese amministrative o
spese di distribuzionel2) e contabilizza direttamente i costi sostenuti per i
beni venduti anziché prodotti.
L'esempio riportato nello schema 13.5 chiarisce la relazione tra i due va-
lori.

1O. Cfr. capitolo 3.


11. I titoli convertibili sono titoli emessi da una società, che possono essere convertiti in titoli
azionari della stessa società o di un 'altra. Un esempio sono le obbligazioni convertibili che
conferiscono al proprietario la facoltà di scegliere, prima della sua scadenza, se continua-
re a essere creditore della società o diventarne azionista.
12. Come sarà evidenziato nel rapitolo J 6 l'individuazione dei costi imputabili direttamente al-
la realizzazione del prodotto o servizio non è così netta e potrebbe dare origine a discre-
zionalità nella contabilizzazione delle voci.
13. Il conto economico I 43 7

T AB e L LA 1 3. 2 - Il conto economicoper destinazione

CONTINUING OPERATIONS ATTIVITÀ OPERATIVE PERMANENTI

Revenue Ricavi
Cost of sales Costo del venduto

Gross profit Margine lordo industriale

Other operating income Altri ricavi operativi


Distribution costs Costi di distribuzione
Administrative expenses Spese amministrative
Other operating expenses Altri costi operativi

Operating profit Utile operativo

Share of profìt of associates Utili da società controllate, collegate e joint venture


lnvestment revenues Proventi finanziari da attività di inve_stimento
Other gains and losses Altri proventi e perdite
Finance costs Oneri e perdite finanziarie

Profit beforetax from continuingoperation Utile lordoda attività in funzionamento

lncome tax expense Imposte

Profitfor the year from continuingoperations Utile netto da attività in funzionamento

DISCONTINUED OPERATION ATTIVITÀ DESTINATE A CESSARE

Profìt and loss for the year from discontinued Ricavi e perdite da attività destinate a cessare
operations

Net profit Utile netto

Attributable to: Attribuibilea:


Equity holders of the parent Azionisti di maggioranza
Minority interest Azionisti di minoranza

Earningsper share Utile per azione

Fromcontinuingand discontinuedoperations: Da attività infunzionamento e destinatea cessare:


Basic Base
Diluited Diluito
Fromcontinuingoperations: Da attività infunzionamento:
Basic Base
Diluited Diluito

Se H e MA 1 3. 5 - Costodel venduto e costodella produzione

La Soap S.p.A. ha venduto nel corso del 2005 prodotti per l'igiene personale per
un valore pari a 75.000 €.
I costi sostenuti nel 2005 sono stati:
438 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

• consumo materie prime: 15.000 €;


• costi personale addetto alla produzione: 7.500 €;
• costi personale amministrativo: 5.000 €;
• ammortamento impianti e macchinari: 6.000 €;
• ammortamento uffici vendita: 2.000 €.
Si sa inoltre che le scorte finali di prodotti finiti sono diminuite di 4.500 € nel cor-
so del 2005, mentre le scorte di semilavorati sono rimaste invariate.
Sulla base delle seguenti informazioni è possibile redigere il CE secondo le due
classificazioni:

Classificazioneper natura Classificazioneper destinazione

Valoredella produzione 79.500 Ricavi 75.000


Ricavi 75.000 Costo del venduto 24.000
Variazione scorte PF 4.500 Materie prime 15.000

Costi della produzione 35.500 Personaleproduzione 7.500


Materie prime 15.000 Ammortamento impianti
6.000
Costi del personale 12.500 Variazione scorte PF -4.500
Ammortamenti 9.000

Margine Lordo Industriale 51.000


Personale amministrativo 5.000
Ammortamento uffici 3.000

Margine Operativo Netto 44.000 Margine Operativo Netto 44.000

13.4Le diverse"gestioni"

La struttura scalare del CE consente di enucleare il contributo alla forma-


zione dell'utile di differenti "gestioni", e in particolare:
• la gestione caratteristica, ovvero la capacità "fisica" dell'impresa di
produrre prodotti e/ o servizi il cui valore sia superiore rispetto a quel-
lo degli input utilizzati per realizzarli 13 ;
• la gestione finanziaria, relativa alle modalità di finanziamento delle at-
tività e di impiego delle risorse finanziarie;

13. In realtà, nella attuale struttura del conto economico la gestione caratteristica comprende
anche alcune attività "extracaratteristiche"; ad esempio, nel valore della produzione ven-
gono contabilizzati gli "affitti attivi", che non dovrebbero fare parte, a rigore, della gestio-
ne caratteristica.
13. Il conto economico I 439

• la gestione fiscale;
• la gestione delle attività destinate a cessare.
Il risultato della gestione caratteristica in particolare è espresso dal Margi-
ne operativo netto (Mon) e rappresenta la capacità dell'impresa di creare
reddito attraverso le sole attività di tipo operativo, indipendentemente cioè
dalle modalità di finanziamento. Un altro indice significativo, il Valore ag-
giunto lordo (Val), si ottiene sottraendo dal valore della produzione i soli
costi relativi all'acquisto di beni e servizi dall'esterno e al godimento di be-
ni di terzi; il Val rappresenta una misura di quanto la gestione fisica del-
1'impresa sia stata in grado di aumentare il valore degli acquisti esterni;
normalmente, al crescere del livello di integrazione verticale di una azien-
da, ne aumenta il Val a parità di ricavi.
14 Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni
di patrimonio netto e documenti integrativi

14.1 Introduzione

I capitoli 12 e 13 hanno illustrato le informazioni contenute nei due docu-


menti principali di bilancio [stato patrimoniale (SP) e conto economico
(CE)], i quali consentono di delineare la situazione patrimoniale de1l'im-
presa e i flussi economici generati durante l'esercizio. Queste informazioni
vengono integrate con tre ulteriori documenti di bilancio:
• il rendiconto finanziario;
• il prospetto delle variazioni delle voci di patrimonio netto;
• la nota integrativa.
Il primo documento, il rendiconto finanziario, introduce una nuova pro-
spettiva di lettura dei dati spostando il focus dai flussi economici ai flussi di
denaro.
Il prospetto delle variazioni delle voci di patrimonio netto e la nota inte-
grativa hanno invece l'obiettivo di chiarire o dettagliare le voci e le opera-
zioni di SP e CE.

14.2 Il rendiconto finanziario

I nuovi standard internazionali IAS/IFRS, contrariamente ai principi pree-


sistenti, hanno reso obbligatoria l'inclusione del rendiconto finanziario
nei documenti di bilancio. Il rendiconto finanziario (o schema di cashflow)
ha l'obiettivo di evidenziare la capacità dell'impresa, in un determinato
orizzonte temporale, di generare flussi di denaro, utilizzabili per finanziare
la propria attività o per rimborsare i propri azionisti o finanziatori. Lo sche-
442 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

ma di cash flow fa quindi riferimento a una lettura "finanziaria" dei risultati


di una impresa; il cashflow rappresenta infatti la differenza tra i flussi di cas-
sa in entrata e in uscita in un certo esercizio, e può essere contrapposto al-
i' utile di esercizio,la grandezza che sintetizza invece i flussi "economici" awe-
nuti nell'esercizio.
Gli IAS/IFRS non hanno previsto uno schema di riferimento per la sua
redazione, tuttavia, ne hanno definito, anche in questo caso, il contenuto
minimale e indicato le opzioni consentite nella redazione.
Il rendiconto finanziario dovrà presentare i flussi finanziari dell'impresa
suddividendoli in base alla tipologia di attività dell'impresa:
• attività operative, che fanno riferimento al ciclo operativo dell'impresa.
Esempi di "flussi operativi" sono: gli incassi dalla vendita di prodotti e
dalla prestazione di servizi; gli incassi da royalties, compensi, commis-
sioni e altri ricavi; pagamenti a fornitori di merci e servizi; i pagamen-
ti a, e per conto di, lavoratori dipendenti; incassi e pagamenti; oneri e
proventi finanziari;
• attività di investimento, ossia l'acquisizione e dismissione di attività non
correnti; esempi di flussi di investimento sono: i pagamenti per acqui-
stare immobili, impianti e macchinari, beni immateriali e altri beni
immobilizzati; le entrate dalla vendita di in1mobili, impianti e macchi-
nari, attività immateriali e altre attività a lungo termine; i pagamenti
per l'acquisizione di strumenti rappresentativi di capitale o di debito
di altre imprese e partecipazioni in joint venture; gli incassi dalla vendi-
ta di strumenti rappresentativi di capitale o di debito di altre imprese
e partecipazioni in joint venture;
• attività di finanziamento, la quale riassume i flussi in entrata e uscita che
modificano la struttura patrimoniale e di debito dell'impresa. Esempi di
flussi di finanziamento sono: gli incassi derivanti dall'emissione di azioni
o altri strumenti rappresentativi di capitale; i pagamenti agli azionisti per
acquistare o liberare le azioni della società; gli incassi derivanti dall' emis-
sione di obbligazioni, prestiti, cambiali, titoli a reddito fisso, mutui e altri
finanziamenti a breve o a lungo termine; i rimborsi di prestiti.

Gli IAS/IFRS prevedono due metodi alternativi per presentare il rendicon-


to finanziario:
• il metodo diretto, che riporta direttamente entrate e uscite di cassa
dell'impresa;
• il metodo indiretto, dove i flussi di cassa sono ricostruiti partendo dal-
le grandezze economiche di bilancio (utile o risultato operativo).
Lo IASB, pur consentendo entrambe le presentazioni, incoraggia forte-
mente la presentazione secondo un metodo diretto, ritenuto più traspa-
rente e immediato per i lettori del bilancio.
14. Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni di patrimonio netto I 443

14.2.1 Il metodo indiretto

Il rendiconto finanziario redatto secondo il metodo indiretto è attualmente il


prospetto di gran lunga più diffuso tra le imprese; esso ricostruisce la situazio-
ne di cassa attraverso la rettifica dell'utile o della perdita di esercizio; in parti-
colare devono essere tenuti in considerazione gli effetti delle operazioni di
natura non monetaria, originati da differimenti o accantonamento di prece-
denti o futuri incassi o pagamenti operativi, e da elementi di ricavi o costi con-
nessi con i flussi finanziari derivanti dall'attività di investimento o finanziaria.
La tabella 14.1 riporta lo schema originale dello IAS/IFRS e la sua tradu-
zione italiana.

TABELLA 14.1 - Il Rendicontofinanziario secondoil metodo indiretto

Versione originale IAS Traduzione italiana


OPERATING
CASH FLOWS € FLUSSI
DI CASSA
OPERATIVI €
Profitbeforeinterestand income taxes 24.100 Margineoperativonetto 24.100
+Depreciation +2.500 +Ammortamenti immobilizzazioni materiali +2.500
+Amortisation of goodwill + 1.500 +Ammortamento dell'avviamento + 1.500
+Changes in receivables (initial - final) -1.300 +Variazione crediti (iniziali - finali) -1.300
+Changes in inventories (initial - finale) +700 +Variazione scorte (iniziali - finali) +700
+Changes in trade payables (final - initial) +2.000 +Variazione debiti (finali - iniziali) +2.000
-lnterest paid -2.600 -Interessi pagati -2.600
lnterest expense -3.200 Interessi -3.200
Lesslnterest accruedbut not yet paid +600 Meno interessidi competenza non pagati +600
-lncome taxes paid -7.800 -Tasse pagate -7.800

Net cash from operating activities 19.100 Flussodi cassa netto della gestione 19.100
operativa

INVESTING
ACTIVITIES ATTIVITÀ
DI INVESTIMENTO

-Acquisition of assets -15.000 -Acquisizioni di immobili -15.000


+Di sposai of assets +3.000 +Alienazione di immobili +3.000

Net cash used in investing activities -12.000 Flussodi cassa netto per attività -12.000
di investimento

f INANCING
ACTIVITIES ATTIVITÀ
DI FINANZIAMENTO

-Dividends paid -3.500 -Dividendi -3.500


+/-Repayments of borrowings -2.700 +/-Acquisizione/Restituzione debiti -2.700

Net cash from financing activities -6.200 Flussodi cassa netto per attività -6.200
di finanziamento

Net increase/(decrease)in cash and cash 900 Incremento (diminuzione) di cassa 900
equivalents o equivalenti

Cash and cash equivalents at beginning 2.300 Cassa o equivalenti all'inizio dell'anno 2.300
ofyear

Cash and cash equivalents at end ofyear 3.200 Cassa o equivalenti alla fine dell'anno 3.200
444 J LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

Il punto di partenza per il calcolo del cash flow in questo caso è costituito
dal risultato operativo dell'impresa, ovvero dalla differenza tra valore e costi
della produzione. Questa grandezza sintetizza, in termini economici, la capa-
cità dell'impresa di "aggiungere valore" con la propria attività caratteristi-
ca; per tradurre questa misura in termini finanziari è necessario però evi-
denziare come alcuni dei costi di produzione non comportino uscite di de-
naro. Il caso più immediato è quello degli ammortamenti; l'ammortamen-
to costituisce una convenzione contabile per ripartire il "consumo" di una
immobilizzazione su più esercizi, ma non ha alcun effetto sulla "cassa"
(l'impatto "finanziario" dell'immobilizzazione si ha infatti nel momento in
cui il bene è stato pagato al fornitore, non quando esso viene impiegato).
Considerazioni simili valgono per le svalutazioni o gli accantonamenti. Si
consideri ad esempio l'accantonamento dell'indennità di fine rapporto di
un dipendente; esso non comporta alcun flusso finanziario per l'azienda
quando avviene l'accantonamento, ma solo al momento in cui il dipenden-
te cesserà il proprio rapporto di lavoro.
Una seconda correzione connessa con la gestione caratteristica è quella
relativa alla variazione del Capitale circolante netto operativo (Ceno). Con
Ceno si definisce la differenza tra le attività e le passività legate alla gestio-
ne caratteristica. Le principali attività sono:
• crediti commerciali;
• rimanenze.
Le più importanti passività sono invece:
• debiti commerciali;
• trattamenti di fine rapporto.
In pratica il Ceno rappresenta la differenza tra le risorse utilizzate nella ge-
stione per assicurare il normale funzionamento dell'azienda e le fonti di fi-
nanziamento che emergono in modo spontaneo dalla stessa attività gestio-
nale. Al crescere del Ceno, quindi, ci si trova di fronte alla necessità di re-
perire nuovi finanziamenti, in quanto l'investimento in Ceno "assorbe" de-
naro; al contrario, al diminuire del Ceno ci si trova di fronte a una riduzio-
ne delle risorse, che comporta una disponibilità di cassa incrementale 1.
Le due correzioni apportate al Mon consentono di avere una fotografia
dei flussi di cassa generati dall'attività caratteristica dell'impresa a cui do-
vranno essere aggiunti altri due importanti flussi di tipo corrente: gli inte-
ressi e le imposte pagate. Queste voci consentono di ottenere il flusso di
cassa netto della gestione operativa.

1. Per comprendere questo effetto, può essere utile un semplice esempio. Si consideri il caso
di una azienda che "nasce" e che nel corso dell'anno vende per 1.000 € a credito. In que-
sto caso, nonostante i ricavi, non si ha alcun flusso di cassa (di fatto, il flusso potenziale di
1.000 € è stato bilanciato da un incremento corrispondente del Ceno). Analogamente, se
un'impresa che ha crediti per 1.000 € non vende nulla nell'anno ma incassa i propri cre-
diti, essa genera un flusso di cassa di 1.000 € (il flusso potenziale, nullo, è aumentato dalla
riduzione del Ceno).
14. Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni di patrimonio netto I 445

La seconda parte del rendiconto finanziario espone invece i flussi di cassa


delle attività non legate al ciclo operativo dell'impresa, ossia i contributi, po-
sitivi e negativi, derivanti dalle politiche di investimento e di finanziamento.
Per quanto riguarda gli investimenti, teoricamente, si devono considerare:
• i flussi di denaro necessari per il pagamento di investimenti in nuove
immobilizzazioni;
• i flussi di denaro derivanti dal disinvestimento di immobilizzazioni
precedentemente presente nello SP.
Tali valori sono ricavabili a partire dalla nota integrativa.
I finanziamenti comprendono invece:
• variazioni nell'entità del debito finanziario; gli incrementi di debito fi-
nanziario costituiscono un flusso di cassa positivo per l'azienda, men-
tre il ripagamento di un debito "assorbe" cassa; anche in questo caso,
come per gli investimenti, può essere sufficiente inserire nello schema
di cash flow la variazione complessiva dei debiti finanziari, ricavabile
direttamente dal confronto tra due successivi SP;
• aumenti di capitale a pagamento, che costituiscono un flusso finanzia-
rio positivo per l' in1presa;
• pagamento di dividendi, che contribuisce negativamente al flusso di
cassa aziendale.
La somma algebrica del flusso di cassa netto della gestione operativa, del
flusso di cassa degli investimenti e del flusso di cassa dei finanziamenti co-
stituisce l'incremento (diminuzione) di cassa dell'esercizio. Il rendiconto
finanziario contrappone questa variazione alla disponibilità iniziale ed evi-
denzia la cassa finale dell'esercizio considerato.

14.2.2 Il metodo diretto

Il metodo diretto mostra invece ciascuna categoria di incasso e pagamento, ri-


sultando di comprensione più immediata ai lettori di bilancio. La tabella
14.2 riporta lo schema di riferimento per il rendiconto finanziario redatto
con il metodo diretto (versione originale e traduzione italiana).
Il prospetto parte dall'elencazione diretta delle entrate e uscite di cassa
che si sono originate nel normale ciclo operativo dell'impresa durante l' eser-
cizio, ad esse sono aggiunte le attività di finanziamento e di investimento che
permettono di arrivare all'incremento (diminuzione) di cassa per il periodo.
Tale variazione viene poi accostata al valore della cassa all'inizio dell'anno
con fine ultimo di evidenziare la disponibilità di cassa di fine periodo 2.

2. Si noti che i .due prospetti di rendiconto finanziario si differenziano nella parte dedicata
alle attività operative, mentre coincidono per attività di finanziamento e investimento.
446 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

T A s EL LA 14. 2 - Il rendicontofinanziariosecondoil metodo diretto

Versioneoriginale IAS Traduzioneitaliana

OPERATING
CASHFLOWS € FLUSSI
DI CASSA
OPERATIVI €
+Cash receipts from customers +55.000 +Entrate da clienti +55.000
-Cash paid to suppliers -7.000 -Uscite per fornitori -7.000
-Cash paid to employees -8.500 -Uscite relative al personale -8.500
-Cash paid for other operating expenses -10.000 -Altre uscite per spese operative -10.000
-lnterest paid -2.600 -Interessi pagati -2.600
-lncome taxes paid -7.800 -Tasse pagate -7.800

Net cash from operatingactivities +19.100 Flussodi cassa netto della gestione +19.100
operativa

INVESTING
ACTIVITIES ATTIVITÀ
DI INVESTIMENTO

-Acquisition of assets -15.000 -Acquisizioni di immobili -15.000


+Di sposai of assets +3.000 +Alienazione di immobili +3.000

Net cash used in investingactivities -12.000 Flussodi cassa netto per attività -12.000
di investimento

FINANCING
ACTIVITIES ATTIVITÀ
DI FINANZIAMENTO

-Dividends paid -3.500 -Dividendi -3.500


+/-Repayments of borrowings -2.700 +/-Acquisizione/Restituzione debiti -2.700

Net cash from financing activities -6.200 Flussodi cassa netto per attività -6.200
di finanziamento

Net increase/(decrease)in cash and cash 900 Incremento (diminuzione) di cassa 900
equivalents o equivalenti

Cash and cash equivalents at beginning 2.300 Cassao equivalenti all'inizio dell'anno 2.300
ofyear

Cash and cash equivalentsat end ofyear 3.200 Cassao equivalenti alla fine dell'anno 3.200

14.311prospettodelle variazioni di patrimonio netto

Nei paragrafi precedenti si è visto come numerose operazioni vadano a in-


fluire direttamente sul patrimonio netto, come ad es.e1npio le variazioni do-
vute all' impairment delle attività non correnti, o ancora le variazioni di fair va-
lue non contabilizzate a conto economico. La semplice disaggregazione nelle
voci presentate in stato patrimoniale può non essere sufficiente a compren-
dere la natura e le cause delle variazioni awenute durante l'esercizio. Gli
IAS/IFRS hanno quindi previsto un documento aggiuntivo, il prospetto del-
le variazioni di patrimonio netto, che contiene informazioni su:
• l'utile o la perdita dell'esercizio;
14. Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni di patrimonio netto I 447

• le voci relative a oneri o proventi di cui altri principi contabili richie-


dono l' imputazione a patrimonio netto;
• l'effetto complessivo dei cambiamenti di principi contabili e la corre-
zione di eventuali errori.
Gli IAS/IFRS non forniscono uno schema di riferimento con un elenco
predefinito di voci, ma richiedono che vengano dettagliate tutte le voci che
hanno inciso sul patrimonio netto nell'esercizio in corso e nel precedente.
Nelle tabelle 14.3 e 14. 4 è riportato un esempio di prospetto delle varia-
zioni in versione originale e la sua traduzione in italiano.
Il prospetto parte dal valore del patrimonio netto riportato alla fine del-
1'esercizio precedente, suddiviso nelle componenti ritenute rilevanti a evi-
denziare le operazioni intervenute su di esso. La suddivisione minimale
prevede le voci contrassegnate in tabella 14.3 e 14. 4 con un asterisco: capi-
tale sociale, riserva di conversione, utili portati a nuovo e una voce residua-
le altre riserve. Le imprese tuttavia spesso dettagliano ulteriormente le voci
a seconda dell'esigenza (ad esempio in questo caso includendo la riserva
sovrapprezzo azioni e la riserva di rivalutazione). Il valore iniziale del patri-
monio netto è incrementato o diminuito delle variazioni che influiscono
direttamente su di esso: ad esempio la perdita per la rivalutazione di una
proprietà è un'operazione che non ha alcun riflesso in conto economico
(quindi non incide sull'utile d'esercizio), ma varia il patrimonio dell'im-
presa andando a diminuire la riserva di rivalutazione. La somma algebrica

TA e EL LA 14. 3 - Esempiodi prospettodelle variazionidi patrimonionetto


(versioneoriginale)

Share Share- Revaluation Translation Other Retained Total


capitai premium reserve reserves reserves earnings
(*) reserve (*) ('>'') (*) (*)

Balanceat 31 December2004 120.000 30.000 20.000 1.000 3.S00 9S.000 269.SOO


Changesin equityfor 2005
Loss on revaluation of property -4.000 -4.000
Gains on available-for-sale
investments 200 200
Exchange differences arising on
translation of foreign operations 1.500 700 2.200
Net income recogniseddirectly
in equity o o -3.800 1.S00 700 o -1.600

Profitfor the year 1S.000 1S.000

Total recognisedincomeand
expensefor the year o o -3.800 1.S00 700 15.000 13.400

Dividends -8.000 -8.000

lssue of share capitai 1.500 2.500 4.000

Balanceat 31 Oecember2005 121.S00 32.SOO 16.200 2.S00 4.200 102.000 278.900


448 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

TABELLA 14.4 - Esempiodi prospettodelle variazionidi patrimonio netto


(traduzioneitaliana)

Capitale Riserva Riserva di Riserva Altre Utili Totale


sociale sovrapprezzo rivalutazione conversione riserve portati (*)
(*) azioni (*) (*) a nuovo
(*)

Saldo al 31 dicembre 2004 120.000 30.000 20.000 1.000 3.500 95.000 269.500

Variazioni nel patrimonio netto


per il 2005
Perdita da rivalutazione
di proprietà -4.000 -4.000
Guadagno da investimenti
destinati alla vendita 200 200
Differenze di cambio da
conversione di operazioni
in valuta estera 1.500 700 2.200
Utile riconosciuto direttamente
a patrimonio netto o o -3.800 1.500 700 o -1.600

Utile dell'esercizio 15.000 15.000

Totale ricavi e costi riconosciuti


nell'esercizio o o -3.800 1.500 700 15.000 13.400

Dividendi -8.000 -8.000


Emissione nuove azioni 1.500 2.500 4.000
Saldo al 31 dicembre 2005 121.500 32.500 16.200 2.500 4.200 102.000 278.900

di queste variazioni permette di calcolare l'utile direttamente riconosciuto


a patrimonio netto, che sommato all'utile di esercizio evidenzia il totale dei
ricavi e costi riconosciuti nell'esercizio. Infine il prospetto include due im-
portanti operazioni che incidono sul patrimonio dell'impresa: i dividendi
e l'emissione di nuove azioni.
Gli IAS/IFRS richiedono che le imprese presentino in bilancio il prospet-
to degli ultimi due anni (esercizio di redazione del bilancio e precedente).

14.4 I documenti integrativi

I documenti finora presentati riportano in modo completo, ma schematico,


le informazioni di natura economica, finanziaria e patrimoniale della società.
Il bilancio annuale è composto di alcuni documenti integrativi che consento-
no al lettore di avere informazioni aggiuntive rispetto alla gestione e di com-
prendere i criteri utilizzati nella redazione del bilancio.
I documenti sono: la relazione sulla gestione, la nota integrativa, e la rela-
zione di revisione.
14. Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni di patrimonio netto I 449

144.1 La relazionesullagestione

La relazione sulla gestione è il primo documento che si incontra nel bilancio


e, nonostante non ne sia parte integrante, lo IAS I prevede che, qualora sia
presentata, essa possa includere un'analisi in merito a:
• i principali fattori e le influenze che hanno determinato il risultato, in-
clusi i cambiamenti nel contesto in cui l'impresa opera, la risposta del-
l'impresa a questi cambiamenti e i loro effetti;
• la politica di investimenti attuata dall'impresa per mantenere e raffor-
zare il risultato economico, inclusa la politica di distribuzione dei divi-
dendi;
• le fonti di finanziamento dell'impresa e il relativo rapporto tra le passi-
vità e il patrimonio netto;
• le risorse dell'impresa non rilevate nel bilancio redatto in conformità
con gli IFRS.
Le imprese italiane, sia che seguano i principi tradizionali italiani o gli
IAS/IFRS, sono obbligate ad includere la relazione sulla gestione nei propri
bilanci, in base al Codice Civile italiano 3 . L'obiettivo della relazione, in base
alla normativa nazionale, è in linea e si integra con quanto contemplato dallo
IAS 1, ossia presentare "un 'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situa-
zione della società e dell'andamento e del risultato della gestione; nel suo
complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese
controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti non-
ché una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta"
(art. 2428 Codice Civile e seguenti modifiche).

Nello specifico la relazione sulla gestione deve contenere 4 :


• le attività di ricerca e di sviluppo;
• i rapporti con imprese controllate, collegate, controllanti e imprese sot-
toposte al controllo di queste ultime;
• il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o
quote di società controllanti possedute dalla società, anche per tramite
di società fiduciaria o per interposta persona, con l'indicazione della
parte di capitale corrispondente;
• il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o
quote di società controllanti acquistate o alienate dalla società, nel corso

3. La relazione sulla gestione è stata modificata dal Decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 32, in
attuazione alla direttiva 2003/51/CE che modifica le direttive 78/660, 83/349, 86/635 e
91/674/CEE relative ai conti annuali e ai conti consolidati di taluni tipi di società, delle ban-
che e altri istituti finanziari e delle imprese di assicurazione.
4. La modifica del 2007 ha interessato anche la relazione sulla gestione delle società non ob-
bligate ad applicare gli IAS/IFRS escluse le società che redigono il bilancio in forma abbre-
viata.
450 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

dell'esercizio, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta


persona, con l'indicazione della corrispondente parte di capitale, dei
corrispettivi e dei motivi degli acquisti e delle alienazioni;
• i fatti di rilievo awenuti dopo la chiusura dell'esercizio;
• l'evoluzione prevedibile della gestione;
in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari e se
rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finai1zia-
ria e del risultato economico dell'esercizio:
gli obiettivi e le politiche di gestione del rischio finanziario e la politi-
ca di copertura per principali categorie di operazioni coperte e l'e-
sposizione dell'impresa ai rischi di prezzo, di credito, di liquidità e di
variazione dei flussi;
l'esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al
rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari.

Gli emittenti con titoli negoziati sui mercati regolamentati e gli emittenti con
strumenti finanziari diffusi, inclusi quelli bancari e assicurativi, devono inoltre
presentare nella relazione sulla gestione 5 :
• schemi riclassificati e prospetto di raccordo;
• operazioni atipiche e/ o inusuali;
• "indicatori alternativi di performance".

14.4.2La nota integrativa

La nota integrativa è un documento essenziale del bilancio che integra e


completa le informazioni contenute nei prospetti presentati. Gli obiettivi
di questo documento sono:
• presentare le informazioni alla base della preparazione dei prospetti
economico-finanziari e i principi contabili utilizzati nella redazione
del bilancio;
• inserire le informazioni richieste dai principi contabili internazionali
che non sono presentate altrove;
• fornire informazioni addizionali che non sono presentate nei prospetti
precedenti, tuttavia rilevanti per la loro completa comprensione.
Gli standard internazionali suggeriscono di presentare le note in questo or-
dine:
1. dichiarazione di aderenza agli standard internazionali;
2. i metodi di valutazione utilizzati nella preparazione dei prospetti eco-
nomico-finanziari (ad esempio l'adozione del modello del costo o del
f air value per le diverse categorie di voci);

5. Comunicazione Consob n. 6064293 del 28/07/2006.


14. Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni di patrimonio netto I 451

3. ogni specifico principio contabile necessario a una completa com-


prensione dei prospetti;
4. informazioni integrative per gli elementi riportati in stato patrimonia-
le, conto economico e rendiconto finanziario;
5. eventuali altri rilevazioni e operazioni che non hanno un riscontro fi-
nanziario nei prospetti di bilancio, quali ad esempio gli impegni dell'im-
presa.
6. i dividendi pagati (in totale o per azione) rispettivamente alle azioni or-
dinarie e alle altre azioni;
7. i ricavi e i risultati per settore di attività o per area geografica, qualunque
sia il criterio base di informativa settoriale dell'impresa 6 .
Inoltre le imprese italiane con titoli negoziati sui mercati regolamentati e gli
emittenti con strumenti finanziari diffusi sono tenuti ad includere in nota in-
tegrativa le seguenti informazioni:
• I.eoperazioniconparti correlate,in particolare le informazioni dell'inciden-
za che le operazioni o posizioni con parti correlate hanno sulla situazio-
ne patrimoniale e finanziaria, sul risultato economico e sui flussi finan-
ziari della società e/ o del gruppo;
• eventi ed operazionisignificativenon ricorrenti;
• posizioni o transizioniderivanti da operazioniatipichee/o inusuali;
• la posizionefinanziaria netta;la tabella14.5 riporta le voci da includere per
il calcolo di questo indicatore.

T A e EL LA 14. 5 - La posizionefinanziaria netta: schemadi presentazione

A. Cassa
B. Altre disponibilità liquide (dettagli)
C. Titoli detenuti per la negoziazione
D. Liquidità(A+B+C)
E. Crediti finanziari correnti
F. Debiti bancari correnti
G. Parte corrente dell'indebitamento non corrente
H. Altri debiti finanziari correnti
I. Indebitamentofinanziariocorrente(F+G+H)
J. Indebitamentofinanziariocorrentenetto (1-E-D)
K. Debiti bancari non correnti
L. Obbligazioni emesse
M. Altri debiti non correnti
N. Indebitamentofinanziarionon corrente(K+L+M)
O. Indebitamentofinanziarionetto U+N)

6. L'informativa di settore regolata ora dallo IAS 14 verrà dal primo gennaio 2009 regolata dal-
l'IFRS 8.
452 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

14-4.3La relazionedi revisione

Il bilancio delle imprese italiane con titoli negoziati sui mercati regolamentati
e gli emittenti con strumenti finanziari diffusi è sottoposto a controllo conta-
bile da parte di una società di revisione esterna certificata.
La società di revisione ha il compito di verificare la regolare tenuta della
contabilità sociale e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di
gestione ed esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio con-
solidato nella relazionedi revisione.
La relazione comprende 7:
• un paragrafo introduttivo che identifica il bilancio sottoposto a revisione
e il quadro delle regole di redazione applicate dalla società;
• una descrizione della portata della revisione svolta con l'indicazione dei
principi di revisione osservati;
• un giudizio sul bilancio che indica chiaramente se questo è conforme al-
le norme che ne disciplinano la redazione e se rappresenta in modo ve-
ritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato
economico dell'esercizio;
• eventuali richiami di informativa che il revisore sottopone all'attenzione
dei destinatari del bilancio, senza che essi costituiscano rilievi;
• un giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio.
Se viene espresso un giudizio negativo o dichiarata l'impossibilità di esprime-
re un giudizio, la relazione deve illustrare analiticamente i motivi della deci-
sione.

7. Cfr. Decreto Legislativo 2 febbraio 2007, n. 32.


15 La contabilitàanalitica:elementidi base

15.1 Introduzione

Come si è evidenziato nei capitoli precedenti, la contabilità generale ha per


oggett9J'ill)presa nel suo complesso; essa non co!lsente quindi çli compren-
c!_eI~-
q~ali pro9otti e _ql!~Uu_nitjl_organizzative siano responsabi!Lg_~i risull<!_ti
dell'impresa. Per questo, la contabilità generale, se è sufficiente per fornire
informazioni sintetiche sull'andamento dell'azienda ai sogge.tt.L.ad essa_ester-
ni, appar~_ trop_P-Q_~ggregatacome strumento di supporto decisionale.
La contabilità analitica o direzionale è stata introdotta proprio per supera-
re questo limite della contabilità generale, in particolare per quanto riguarda
costi e ricavi. In un sistema di contabilità
---- analitica,
- -- -- .~ non
-- - . --- ci si limita a classifica-
.-,-·

-~e,nel piano dei conti, le vo_çjdi costC>~-~Lricav() "per natura", !Ila se ne dà an-
che una lettu~er destinazione". In altri termini, ogni volta che una risorsa
viene consumata, il si~tema_di con_tabilità analitiç~_ne cl$So_çii!_jl_ ç.9§tor~1atiyo ~
un "oggetto_di costo", owero all'unità organizzativa e/ o al prodotto che ne è
~espon~~_!:>ile.

15.2 Gli obiettivi specifici della contabilità analitica

Grazie alla classificazione delle informazioni "per destinazione", la contabilità


analitica consente di rispondere a tre diversi obiettivi:
• deterJ?1,in,çire
C(Y[!_(}_ttarT!!{nl(}_ ~Jkscortedf semi/o,vqr:_q/i.
il val,qr:e e di prodottifiniti.
Come si è sottolineato in precedenza (cfr. capi,tow6), la valorizzazion~
deU~~çorte di semilavorati e di prodotti finiti rich!eci_~--~!:ie_un'impres~
~ja in_gr~do di determi_n~~ quali risorse siano state utilizzate p~r progJ1r-
454 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

re il semilavorato e quale ne sia i1valore; la contabilità anaHtjç_a, regi-


·strando quale prodotto consuma.~i~c1.11!a Iisor~a, consente di ottenere
questa informazione;
• misurarel,eprestazionidi una unità_(!!g~'!JJz.;atj_cja._I risultati di una unità or-
ganizzativa dipendono dalle risorse che l'unità utilizza (concettualmen-
"te, i costi) t; dai risultati _che ~s~a produce (concettualmente, i ricavi). La
ç9_11-tabilità anallticc!_ide~~~ç~J_~_!i~9~~~che sono utilizzat~ da çi_~s-~~p_a
unità organizza~iy~, ..q!Jjndi le inforrn_azioJJi eh~ .~s_§~ produce sono fun-
zionali _allamisµr_é\.ò~lleprf~_t_;.gJoni;
• rjkvare il livello di.profittabili~à_ q_ei_P!2d9tti.
La profittabilità dei prodotti.~
_!Q!por~nte per d~çid~I"e_c~r_:]:'~~~ipep.te il rp.P!.J)r9duttivo di una azi~p.~a
-~per supportare_.scelte di make or !!J!,y. La contabilità analitica, rilevando i
costi di ciascun prodotto, consente di confrontarne costi e ricavi e, quin-
di, di misurarne la profittabilità.

15.3 Le tipologie di costo

Si è sottolineato come la contabilità analitica çonsista di fattq in una disaggre-


gazione e riclassificazi9ne dei costi e dei riçavi "per destinaziof!e". L'analisi re-
lativa ai ricavi non richiede particolari commenti; di fatto il "ricavq" gen~i:-~~9
è id~p.Jificabile ip modo univoco_ a~tr~-Y~!'~2--~~
cla_lll:1pr()cl<?!.t.O. documento
"o.ggettiyq" (tipicamente,__la fattura).
Al contrario, ~~J -~e~ermin~re il costo di un prodotto __ o di_u11~-~11_it:à
orga-
nizzativa, esistono margini maggiori di discrezionali~. Si consideri, ad esem-
pio, lo stipendio dell'amministratore delegato di un'azienda: è giusto o meno
contabilizzarlo nei costi necessari per produrre un singolo prodotto? Da un
lato, senza un amministratore delegato l'azienda non potrebbe funzionare,
quindi neppure realizzare il prodotto; dall'altro, però, è estremamente diffici-
le stimare quanto tempo dell'amministratore delegato possa essere ragione-
volmente associato a quel singolo prodotto.
A uno stesso oggetto di costo, quindi, posSOJ?.O essere associate diverse "con-
figurazioni di costo" 1. Nelle ultime due parti del testo, che discutono l'utilizzo
delle informazioni economiche a fini di supporto decisionale e di misura del-
le prestazioni delle unità organizzative, si analizzerà quale configurazione di
costo risponda meglio a diverse possibili finalità; è bene, tuttavia, richiamare
fin d'ora alcune l9giç_!1_~_g_i ç_lassific~ione dei <:=Sl~~'
che sono ajla__ p~e delle
pµpçipalj co:nfìgur.azioui_di.costo:
• la distinzione tra çosti di _prodc>ttoe_di period_o;

1. Una configurazione di costo può essere definita come un "set di risorse" il cui valore determi-
na il costo di un prodotto o di una unità organizzativa; è evidente che al variare di tale "set",
cambia la configurazione di costo e, quindi, il valore del costo stesso.
15. La contabilità analitica: elementi di base 455

• la distinzione tra --
costi fissi e variabili·
·-- ---·------ ------ _'...)_

• la distinzione tra costi


- - -- evitabili- e--------·------
- -
non evitabili.
- - ·-·--

15.3.1Costi di prodotto e di periodo

Una prima classificazione rilevante fa riferimento alla natura del costo _eper-
~~tte di distinguere ~:
a. ç9sti di prodotto; e
b. costi di ~riod_o.
!.CO§tid!.P!o_<k>J~rappresentano
-
il valore delle risorse
------------·----•------------
- -----~--- associabili,
--.--.. in modo di-
retto.o indiretto, alla realizzaz_ione._c:ij_unprod9tt9/s~rm.i9 2 . Possono essere
ulteriormente suddivisi in:
costidi lavarodiretto,relativi agli açldetti alle_operazioni di trasf9rmazion~
fisica e di assemblaggio;
costidi materialidiretti,relativi agli acquisti esterni di inater_i~-12Iime,semi-
lavorati e componenti ~soçiab_ili _di_rettamer1t~ all~.I~.<!1.i~~-~lQ!!e ___
çli__!l_I).
_siQg__olo prodott~servizio;
çgsti indiretti di produzione o overheaddi JJ!oduz~ory,e, ç_ioèC()stia~s9_c~~l=>ili <;li-
r~ttamente all'attività produttiva nel suo complesso, m_a:r;ionali~ r~~~~?:Z!1-
zione di una singola unità di prodotto; vengono convenzionalmente sud-
divisi tra costi indiretti fissi, indipendenti dal volume produttivo (affitti,
ammortamenti dei macchinari, assicurazione), e costiindirettivariabili,di-
pendenti cioè dal volume produttivo (ad esempio costo del lavoro indi-
retto, relativo ad attività di supervisione, manutenzione, controllo di
qualità, e costi di energia).
I_ costi di periodo,c;lefiniti anche spese4.i~çreziQrJ!J{i, comprendono invece atti-
vità non diret~~n~e_ associabili alla realizzazione di un prodotto; rientrano
in particolare in questa categoria i costi di ricerca e ajl.yppo e le spese ammi-
nistrative, generali e di vendita.
La somma del co~to_ lf(lavaro direttoe dei costi_indiretti_dj_produzione attribuiti a
viene definita costoçl,i_ç_()_JJ,versione,
un _E._1=._0Q.Q!to ~ju!}g_~Pd9. a.LCQJ'{Q_di (Qn.JLersùJ-
__
ne il costodei materiali dir(!ltisi ottiene il costopi,enoindustrial,e,infine, se al costo
pi,eri_oindustriak_~_i_~QmII).aJ4-.q_\lota dei Cf)5tiÀiperi,Qdo associati al prodotto, si ha
il .Eo~topien,oazienda/,e.
La distinzione tra costi_di prodotto__e _di_p_e_riodo_ha effetti.significativi sul-
la valorizzazione delle scorte e sulla determinazione dei risultati economici

2. La distinzione tra costi di prodotto e costi di periodo non è in realtà univoca. Alcune imprese
considerano nei costi di prodotto i soli costi connessi con la trasformazione fisica del prodot-
to; altre includono anche i costi connessi con il sistema logistico interno; altre ancora, infine,
in modo a nostro avviso concettualmente più corretto, considerano i costi di tutte le attività
pnmane.
456 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

di esercizj.9. In particolare, la conta_bi.litd


__ a$SOrb.ime._riJQ
p_(ff._
__ ( absorption costing)
considera i costi di pr9dotto çome costi inventariabi_li e i costi di periodo
çome costi non inventariabi_li (schema 15.1). In altri termini, durante le di-
verse fasi della realizzazione di un prodotto, si assume che tutte le risorse
impiegate (lavoro, materiali, tecnologie) rimangano "immagazzinate" in
esso; si ha quindi un aumento del valore dei semilavorati coincidente con il
costo delle risorse impiegate per la loro realizzazione ( tabella 15.1). Con ri-
ferimento al bilancio d'esercizio, i costi di prodotto comportano perciò
una semplice sostituzione tra voci di stato patrimoniale ( tipicamente, cassa
e scorte), senza alcuna formazione di utile o perdita. L'eventuale creazione
di un utile si ha solo nel momento in cui il prodotto viene venduto; l'utile
sarà in particolare pari alla differenza tra il fatturato realizzato attraverso la
vendita del prodotto e il relativo costo.
I costi di periodo non contribuiscono invece alla valorizzazione delle scorte
di semilavorati e prodotti finiti; essi non "transitano" dallo stato patrimoniale,
ma vengono immediatamente contabilizzati a conto economico, dando luogo
a un'immediata diminuzione dell'utile.

TABELLA 15. l - La contabilità per assorbimento

Effettosullostato Effettosul conto


patrimoniale(attivo) economico

Lavoro diretto Incremento delle rimanenze Incremento delle scorte finali


Incremento del costo del lavoro
Nessun effetto sull'utile
Materiali diretti Incremento delle rimanenze Incremento delle scorte finali
Incremento del costo dei materiali
Nessun effetto sull'utile
Costi indiretti di produzione Incremento delle rimanenze Incremento delle scorte finali
variabili Incremento dei costi (lavoro o materiali)
Nessun effetto sull'utile
Costi indiretti di produzione Incremento delle rimanenze Incremento delle scorte finali
fissi Incremento degli ammortamenti
Nessun effetto sull'utile
Costi di periodo Nessun effetto Incremento dei costi (lavoro, materiali o
ammortamenti)
Riduzione dell'utile

La contamlità a costivariamli ( variabl,ecosting) si differenzia da quella per assor-


bimento per il diverso trattamento dei costi indiretti fissi, che vengono consi-
derati non inventariabili e portati direttamente in detrazione dell'utile, analo-
gamente a quanto awiene per i costi di periodo ( tabella 15.2).
15. La contabilità analitica: elementi di base I 457

TA s EL LA l 5 .2 - La contabilità a costi variabili

Effettosullostato Effettosul conto


patrimoniale(attivo) economico

Lavoro diretto Incremento delle rimanenze Incremento delle scorte fìnali


Incremento del costo del lavoro
Nessun effetto sull'utile
Materiali diretti Incremento delle rimanenze Incremento delle scorte fìnali
Incremento del costo dei materiali
Nessun effetto sull'utile
Costi indiretti di produzione Incremento delle rimanenze Incremento delle scorte fìnali
variabili Incremento dei costi (lavoro o materiali)
Nessun effetto sull'utile
Costi indiretti di produzione Nessun effetto Incremento degli ammortamenti
fìssi Riduzione dell'utile
Costi di periodo Nessun effetto Incremento dei costi (lavoro, materiali o
ammortamenti)
Riduzione dell'utile

15.3.2 Costi fissi e variabili

La distinzione dei costi in fissi e variabili ne considera il comportamento in


ft1n~!g_~e~i __t1:na_varj_':!Zionedel liy~llq ~i attiyità_q.~_ll'irnpresa.
Si definiscono come fis~ii co~tj_ç_h~,nell'ambito di un intervallo significati-
vo di variazione del live_llQ_di attività e neLbreve periodo, rimangono inaltera-
.ti, _varialnligl.ialtti_ç_o_~ti;
spesso si introduce anche una categoria intermedia di
costi, detti semivariabili,iJ cui and~mento è rappresentato da una curva spez-
_l;ata (figura 15.1).
Nella pratica si tende spesso a far ~oincidere la Il(?zione di costo variabile
con quella di rostoproparziona/,eal volumeproduttivo. Tuttavia, questa accezione
limitativa del termine rostovariabik, che deriva da motivazioni di carattere sto-
rico3, non rispecchia il reale comportamento dei costi in un numero crescen-
te di imprese.
Da un lato, il voll!_m_~ produttivo non se_mpre è l'indicatqre più r~ppresen-
tativo del livello di attività; spesso, infatti, la "variabilità" dei costi è legata a pa-
rametri differenti, come l'ampiezza della gamma, il tempo di consegna o la
qualità del prodotto, cui si fa in generale riferimento con il termine di costidel-
_lacompl,essità.

3. Storicamente, i costi variabili erano prevalentemente costituiti dal costo dei materiali diretti e
dal costo del lavoro diretto, sostanzialmente proporzionali al volume produttivo, almeno in as-
senza di adçguate garanzie salariali.
458 i LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

Se H E MA 15 .1 - La contabilità per assorbimento

Si consideri un'impresa che esegue le seguenti operazioni:


• utilizzo di materie prime per 200 €;
• utilizzo di lavoro per la trasformazione di un semilavorato per 500 € e paga-
mento dello stipendio relativo;
• vendita del prodotto a credito per 1.000 €;
• pagamento dello stipendio di un venditore per 500 €;
Determinare l'impatto delle operazioni sullo SP.

• Utilizzo di materie prime per 200 €


Consiste in una operazione di "scambio" tra due conti di attivo, il magazzino ma-
terie prime e il magazzino semilavorati. Infatti, poiché il costo delle materie prime
è inventariabile, il valore del magazzino semilavorati coincide con il valore delle ri-
sorse che vi sono contenute (200 €). Non si ha quindi alcun effetto sull'utile.

• Utilizzo di lavoro per la trasformazione di un semilavorato per 500 € e paga-


mento dello stipendio relativo
Consiste in una operazione di scambio tra due conti di attivo. Infatti, il pagamento
dello stipendio comporta una riduzione della cassa di 500 €. A fronte di questa di-
minuzione, si ha un incremento del valore delle rimanenze, il cui valore "ingloba"
il lavoro utilizzato per la trasformazione. Il valore delle rimanenze passa quindi da
200 € a 700 € e non si ha alcun effetto sull'utile.

• Vendita del prodotto per 1.000 €


L'.operazionesbilancia lo SP. Infatti, a fronte di un incremento dei crediti per 1.000 €,
si ha una riduzione delle rimanenze per 700 €. Si forma così un utile di 300 €.

• Pagamento dello stipendio di un venditore per 500 €


Il costo del venditore è un costo di periodo e, come tale, non è inventariabile. Di
conseguenza, a fronte di una riduzione di cassa di 500 € non si ha alcun effetto
sulle rimanenze. l'.operazione si traduce così in una perdita di 500 €.

Dall'altro lato, anche dove ci sia una relazione tra l'entità di un costo e il vo-
lume produttivo, questa può non essere di proporzionalità diretta; ad esem-
pio, il lavoro indiretto, considerato come un costo indiretto variabile, dipende
in qualche misura dal livello di attività dell'impresa, ma non necessariamente
è ad esso direttamente proporzionale.
15. La contabilità analitica: e]ementi di base I 459

F I e u RA l 5. l - Costi fissi e variabili

Costo Costi semivariabili


·············· Costi fissi
Costi variabili

,/'
/'
............................................. ,/'··························--··········--·
/'

Livello
di attività

L'esistenza di determinanti di costo differenti dal voltune produttivo obbliga


le imprese ad analizzare, caso per caso, quale sia il parametro meglio rappre-
sentativo del proprio livello di attività e quale sia l'effettiva relazione tra tale
parametro e l'andamento di ciascuna voce di costo. A tal fine si può operare:
• attraverso metodi di carattere statistico; in particolare, si rileva l'anda-
mento dei costi in corrispondenza a differenti livelli di attività e si indivi-
dua, attraverso una regressione lineare, ]a funzione che meglio interpola
i valori ottenuti sperimentalmente;
• attraverso una stima ingegneristica dei costi; in altri termini, in sede di
progettazione del processo di trasformazione, si valuta quale dovrebbe
essere l'andamento dei costi, in condizioni di normale funzionamento
del processo.

15.3.3Costi evitabili e costi non evitabili

1=,acl~_s_i_fic~i<;)J;ie
dei costi in evitabilie non evitabilidistingue i costi sulla base
del!a loro ri~_evanzadecisionale; essa quindi deve fare riferimento a una speci-
fica decisione (ad esempio un aumento del livello produttivo, una ridefinizio-
ne del mix o una scelta di make or l,uy). I costi evitabili sono quelli influenzati
dalla decisione, mentre i costinon evitabilisono quelli che non dipendono da
ess~~_che vèrranno comunque sostenuti qualunque ne sia l'esito. Nell'analiz-
zar~_u_na..d~cisione,quindi, si d~ye t~ner conto dei soli costi evitabil_i.
460 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

L'evitabilità o meno di un costo dipende, in particolare, dall'orizzonte tem-


porale di riferimento (al crescere dell'orizzonte temporale di riferimento, au-
mentano i costi evitabili 4 ) e dall'entità di variazione del livello di attività (al
crescere della variazione del livello di attività, aumentano i costi evitabili) 5 •
In tabella 15.3 viene analizzato il comportamento delle diverse tipologie di
costo nel breve periodo; si possono considerare in generale evitabili i costi dei
materiali diretti e in generale non evitabili i costi indiretti fissi, mentre più am-
bigua è la situazione dei costi del lavoro diretto e dei costi indiretti variabili. Il
costo del lavoro diretto viene infatti normalmente considerato come un costo
evitabile; tuttavia, in presenza di rigidità salariali e difficoltà di trovare impie-
ghi alternativi ai dipendenti, esso deve essere considerato come un costo non
evitabile. Analogamente, i costi indiretti variabili possono essere evitabili (co-
me nel caso dell'energia) o non evitabili (come nel caso dei costi di supervi-
sione, almeno in assenza di variazioni molto significative del livello di attività).

TABELLA 15.3 - Grado di evitabilità dei costi

Tipologiadi costo Caratteristiche

Materiali diretti Normalmente evitabile

Lavoro diretto Evitabile in assenza di rigidità salariale o in presenza di impieghi al-


ternativi, non evitabile in caso contrario

Costi indiretti variabili Alcune voci (come l'energia) sono normalmente evitabili; altre (co-
me il lavoro indiretto) hanno un comportamento analogo a quello
del lavoro diretto

Costi indiretti fissi Normalmente non sono evitabili

4. Ad esempio, in presenza di una forte rigidità del fattore lavoro, il costo del lavoro diretto può
non essere evitabile nel breve periodo; il costo diventa evitabile nel lungo periodo, al momen-
to del pensionamento dei dipendenti.
5. Ad esempio, il costo del lavoro sarà in generale meno evitabile nel caso di una decisione che
fa risparmiare mezzo addetto che nel caso di una decisione che fa risparmiare un addetto.
16 I sistemi per la rilevazione dei costi

16.1 Considerazioni introduttive

16.1.1 Le componenti di un sistema di rilevazione dei costi

Con "sistema per la rilevazione dei costi" si definisce l'insieme de_lleregol~ a_t-
traverso le quali la contabilità analitica ripartisce i costi c_o_mplessividell'im-
presa tra le singole unità organizzative e gli specifici prodotti/linee di prodot-
to. Concettualmente, la struttura di un sistema di rilevazione di costi viene
rappresentata in figura 16.1; essa è composta da alcuni "archivi" e da alcune
"rego 1e".

Gli archivi sono:


• il .piano .dei wn,ti,owero ~'elenco delle risorse il cui costo deve essere asso-
Il piano dei contidella contabilità
_ciato a unità organi?'.zative e/ o pi:_od.9!.!i-
analitica è concettualmente analogo a quello della contabilità generale
(cfr. appendice/1.1); normalmente, tuttavia, esso è maggiormente disag-
gregato, coerentemente con l'esigenza di maggiore disaggregazione nel-
le rilevazioni della contabilità analitica rispetto a quelle della contabilità
generale;
• il piano_<ki,.:._C!!J},tri,
di costo,oyy_~_rQ
l_'~lenco clelle_!!D..it:à_
organizzative qi cui si
vogliono rilevare autonomamente i costj;
• l'elenco dei.prodotti di cui si vogliono rilevare i costj.
Le regole sono invece relative alle modalità da seguire per:
• _attri1?uir.e_i ç.Qstidelle risorse aziendali alle specifich~_:qni@Qt:g~r1t~~~ti_yç_
che le utilizzano;
462 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

F I e u RA 16. l - La struttura logica di un sistema di rilevazione dei costi

- set delle risorse associate


al prodotto
- modalità di valorizzazione

(pianodei conti)

Risorse Q Unità
organizzative
(pianodei centri
di costo)

- logiche di ribaltamento
- modalità di attribuzione
D
Prodotti
(elenco
dei prodotti)

• suddividere i co~ti dt:;lle unità orgaI?-izzativetr._ai prodotti che da esse ven-


gono "pro_cess~tf"1.

16. 1 .2 La progettazione degli archivi contabili

La progettazione degli archivi contabili non merita particolari sottolineature;


evidentemente, la qualità delle informazioni contabili aumenta al crescere
della disaggregazione del piano dei conti, del piano dei centri di costo e del-
l'elenco dei prodotti. Parallelamente, tuttavia, aumenta il costodel sistema di
rilevazione.
Tradizionalmente, i sistemi di contabilità analitica rivolgevano alle diver-
se tipologie di risorse un'attenzione differente; in -particolare, essi dedica-
vano una forte attenzione ai costi delle risorse dirette, accettando che i co-
sti delle altre risorse fossero ripartiti tra prodotti e unità organizzative pro-

1. Owiamente, se un'azienda vuole utilizzare il prop1io sistema di contabilità analitica solo per
determinare i costi delle unità organizzative e non quelli dei prodotti, il sistema sarà compo-
sto da due soli archivi, piano dei conti e piano dei centri di costo, e dalle sole regole necessa-
rie per attribuire i costi delle risorse alle unità organizzative. Nel seguito del capitolo, per assi-
curare maggiore generalità alla trattazione, si farà sempre riferimento a un sistema "comple-
to", destinato cioè a determinare i costi dei prodotti.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 463

porzionalmente a una grandezza di riferimento, spesso il lavoro diretta-


mente impiegato per la realizzazione di ciascun prodotto.
L'approccio, che risale al principio del '900, è coerente con il trade-offtra
costi e benefici delle informazioni esistente all'inizio del secolo 2 , con riferi-
mento in particolare a:
• la struttura dei cos~ caratterizzata in generale da una forte prevalenza dei
costi diretti rispetto a quelli indiretti, che rendeva quindi relativamente
poco importante la corretta ripartizione dei costi indiretti;
• la tipologi,adei costi indiretti, in massima parte connessi con le tecnologie
utilizzate nel processo di trasformazione per aumentare la produttività
del lavoro; il contenuto di lavoro diretto di un prodotto era quindi in
grado di spiegare anche ·il suo impiego di risorse indirette. L'approssi-
mazione ottenuta ripartendo i costi indiretti proporzionalmente al costo
del lavoro diretto risultava perciò spesso del tutto ragionevole;
• il costodi rilevazionedelle infarmazioni, che rendeva improponibili analisi
eccessivamente sofisticate; il lavoro diretto e i materiali diretti costituiva-
no in pratica le sole voci che fossero economicamente possibile misurare
in modo puntuale.

Oggi, invece, è necessario prestare la stessa attenzione alla rilevazione di


tutti i tipi di risorse; il con testo in cui operano le imprese è infatti profonda-
men te diverso da quello che caratterizzava l'inizio del secolo scorso; in molte
imprese, infatti:
• la struttura dei costivede un maggiore equilibrio tra costi diretti e costi in-
diretti, quando non addirittura una decisa prevalenza dei costi indiretti,
come risultato di una serie di spinte concomitanti. Innanzi tutto, l'incre-
mento della complessità della produzione (prodotti customizzati,piccoli
lotti, ampliamento della gamma) si traduce necessariamente in un au-
mento delle attività di supporto rispetto a quelle di pura trasformazione.
Inoltre, l'innovazione tecnologica aumenta il peso, nelle stesse attività di
trasformazione, della tecnologia rispetto al lavoro. Infine, nuove moda-
lità di organizzazione della produzione - prima tra tutti il just-in-time-
rendono molto più labile la distinzione, nell'ambito delle mansioni svol-
te da una stessa persona, tra il lavoro direttamente associabile a un pro-
dotto e quello relativo ad attività di tipo indiretto, come la manutenzione
o il controllo 3; ·

2. L'evoluzione storica dei sistemi di costing,in coerenza con l'evoluzione del contesto competi-
tivo e della struttura dei costi, rappresenta l'oggetto del famoso testo di Johnson e Kaplan
(1987).
3. Tra le caratteristiche specifiche di un sistema just-in-tirne,vi è quella di far svolgere le attività di
manutenziorie e di controllo della produzione direttamente dagli addetti alle linee di produ-
zione e di assemblaggio. Sul just-in-tirne,cfr. Bartezzaghi e Turco ( 1989), Monden ( 1983) e
Schonberger ( 1982).
464 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

• i costi indiretti, in particolare per quel che riguarda le attività di suppor-


to, non dipendono tanto dal contenuto di lavoro diretto di un prodot-
to, quanto da altri parametri, quali la dimensione dei lotti di produzio-
ne, il numero di componenti che costituiscono il prodotto o la neces-
sità di impiegare componenti non standard 4. Non sono rari i casi di er-
rori anche del 100% nella determinazione del costo del prodotto do-
vuti all'attribuzione dei costi indiretti in modo proporzionale al costo
del lavoro diretto 5 ;
• il costodell.einformazioni è drasticamente diminuito, grazie all'introduzio-
ne su larga scala dell' Inf ormation Technowgy;diviene così economicamen-
te possibile misurare un insieme molto più ampio di grandezze rispetto
al passato.

Nell'ambito di questa evoluzione, del tutto generale, del contesto competiti-


vo, la rilevanza delle diverse voci di costo muta naturalmente al variare delle
caratteristiche della singola impresa, quali il settore di appartenenza, le mo-
dalità operative o il posizionamento competitivo; conseguentemente, ogni
impresa potrà adottare uno specifico sistema di rilevazione dei costi.

16.1.3 La progettazione delle "regole" di rilevazione

..Le "regole" del sistema di rilevazione dei costi di prodotto sono in generale
rappresentabili attraverso quattro differenti decisioni.
Le prime due sono relative alla definizione stessa di "costo", general-
mente inteso come il "valore delle risorse utilizzate"; è una definizione che
si presta infatti ad accezioni differenti; per renderla operativa è necessario
precisare:
• il set_delle risorse_ che __
si_vogliono associare al prodottQ. e/ o all'unità or-
ganizzativa (full costingvs. directcos#!lgJ;
__
• le modalità di valorizzél.Zionedi talirisorse ( costistoricivs. costistandard);
Le altre due decisioni analizzano invece le v~re_e_proprie_modalità di at-
tribuz_ione delle risorse, che sono contrQU~_t~dalle unità organizzative, ai
prodotti; in questo senso, i sistemi divergono a seconda che:
• i costi controllati da tutte le unità organizzat~ve vengano ripartiti diret-
tamente tra i prodotti o esistano meccanismi di ribaltamento interme-
dio tra diverse unità organizzative (sistemi a uno stadio vs. sistemi a due o
più stadi);
• l'attribuzione dei costi awenga secondo principi di causa/effetto o se-

4. Cfr. Banker et al. ( 1990) .


5. Cfr. Johnson e Kaplan ( 1987).
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 465

condo logiche di proporzionalità (job--costing,


processcJJsting~
operationcost-
ing, adivity basedcosting).

Le quattro decisioni sono sostanzialn1ente indipendenti; di conseguenza,


nel seguito, e§e verranno analizzate separatamente.

16.2 Full costing vs. direct costing

La distinzione tra si~Jemifi!l_Lç9sli11g_~s_istemLdirei1.


costingfa riferimento all'in-
sieme delle voci considerate riel calcolo del costo di.un prodoJto.
In particolare, neLdi!_~çtco~lj~yengQno ~~9ci~ti 31pr.odotto s_olo_ i costi di
cuLè direttamente responsabile (lavoro diretto e materiali diretti, principal-
mente); nel full costing.al contrario, viene attribuita ai prodotti anche una
quota dei costi indiretti. secondo modalità che variano in funzione dello spe-
cifico criterio di rileyazione deicostiadottatu. I sistemi full costingpossono poi
essere ulteriormente classificati tra sistemi che rilevano i costi pieni aziendali
o i soli costi pieni industriali (cfr. paragrafo 15.3).
Le differenze tra i due approcci possono essere così sintetizzate:
• i~dir!~f rosting1ninimizza gli errori nell'attribuzione dei costi ai prodotti e
a~-~unità organizzat!ve; infatti, i costi diretti possono essere associati di-
rettamente ai singoli prodotti, senza necessità_di_introtlurrestir.ne e con-
getture;
• il costo pieno, d'altro canto, re_nde esplicito,_ all'interno dell'impresa,
che le attività indirette non sono a costo zero! ma s~ripercuotono alla fi-
ne sulla profittabilità generata dai prodotti. E così possibile ridurre il ri-
schio di un ricorso indiscriminato alle risorse indirette. Si consideri ad
esempio il caso dell'ufficio legale; se, come nel directcosting,un aumento
delle spese legali non ha alcun effetto sulla profittabilità dei prodotti e,
quindi, sulle prestazioni dei responsabili di prodotto, vi sarà naturalmen-
te un ricorso all'ufficio legale tutte le volte che se ne rawisi una pur mi-
nima utilità. Se al contrario, attraverso il ricorso a un sistema full costing,
il costo dell'ufficio legale viene ribaltato sui prodotti, vi sarà una naturale
tendenza a richiedere pareri legali solo quando lo si ritiene assolutamen-
te necessario. L'uso di un sistema dired costing,quindi, ne incentiva impli-
citamente un maggiore utilizzo delle risorse indirette, destinato a riper-
cuotersi in un incremento dei costi nel medio-lungo termine. Una di-
scussione a parte merita invece il tema della rilevanza dei due sistemi in
fase decisionale; il tema verrà in particolare affrontato nel capitow14.

Una soluzione ibrida tra full costinge dired costingè rappresentata dai sistemi di
tipo dired costingevoluto;in essi, ai prodotti vengono attribuiti anche i costi del-
le risorse indirette "specifiche" (ad esempio, l'ammortamento di un impianto
dedicato esclusivamente alla realizzazione di una data tipologia di prodotto).
466 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

16.3 Costi storici vs. costi standard

La valorizzazione delle risorse può awenire a "costi storici" o a "costi standard".


Nei sistemi a costi storici, ci si limita a rilev~~' a cqnsuntivo, il valore delle
risorse utilizzate per la realizzazione di ciascun prodotto. Nei "metodi a cost_o
standard", i:µvece.,tj~ne defintt_o.,jp.__ s~qe pi;~v~nJiy_~_lJil valore obiettivo del
costo di un prodotto; il confronto tra il costo consuntivo e il valore di riferi-
mento misura quanto l'impresa sia riuscita a ottenere il prodotto in modo ef-
ficiente. Una soluzione ibrida tra costi storici e costi standard è costituita dai
costi normalizzati, do~e la~riJ~vMiQnedei costi diretti avviene a consuntivo e la
ripartizione dei costi indiretti si basa su valori standard.
Con riferimento alle due soluzioni estreme, è evidente che i sistemi a co-
sto standard contengono un insieme più ampio di informazioni rispetto ai
sistemi a costo storico. Ciò comporta:
• maggiori oneri, poiché è necessario determinare i costi obiettivo; in par-
ticolare, il costodi un sistema a costi standard è elevato in imprese che
hanno un mix produttivo ampio e variabile nel tempo e che introducono
frequentemente innovazioni di processo, che richiedono una ridefini-
zione degli standard;
• informazioni più complete. I metodi di tipo storico possono essere al più
impiegati per la valorizzazione delle scorte o per determinare la profitta-
bilità consuntiva dei prodotti, ma non per controllare l'efficienza del
processo di trasformazione; i metodi di tipo standard rispondono invece
, a tutte queste esigenze.
E evidente, peraltro, che le potenzialità di un sistema a costi standard possono
essere effettivamente ottenute solo se lo standard è stato definito corretta-
mente; in presenza di standard obsoleti o completamente sbagliati anche le
valutazioni che si traggono dal confronto tra costi standard e costi effettivi so-
no del tutto errate. È opportuno, quindi, analizzare più puntualmente le mo-
dalità con cui i costi standard vengono definiti.

n calcolodel costostandard
Si definisce costo standard il "costo teorico, ingegneristico ottenibile dall'im-
presa per la realizzazione di un determinato output in condizioni di normale
funzionamento". Come emerge dalla definizione, il costo standard è definito
in sede di pianificazione, prima della realizzazione del prodotto e sulla base di
un ciclo operativo ideale: non viene contemplata, quindi, la possibilità di
eventi straordinari che inficierebbero l'attendibilità del costo determinato in
fase preventiva.
Come anticipato, se il costo standard costituisce un valore obiettivo rispetto
al quale esprimere una valutazione di efficienza, il giudizio di merito risultan-
te dipende in modo sostanziale da come vengono definite le "condizioni di
normale funzionamento".
r6. l sistemi per la rilevazione dei costi I 467

A questo proposito, è bene sottolineare che:


• lo standard definito deve essere sensato e rappresentare un obiettivo rag-
giungibile, in modo da costituire un elemento incentivante per i vari re-
sponsabili di funzione;
• lo standard deve essere adeguato alle caratteristiche del processo tecno-
logico: ciò implica che si tenga conto del fenomeno delle curve di ap-
prendimento, modificando il livello degli standard nel tempo.
Sulla base di queste indicazioni di tipo generale, il costo standard di pro-
dotto viene calcolato come somma di tre componenti: il costo standard dei
materiali diretti, il costo standard del lavoro diretto e il costo standard relativo
agli overhead.

n costostandard dei materialidiretti


Si definisce costo standard dei materiali diretti la somma dei costi standard
dei materiali/ componenti necessari per realizzare il prodotto. Il costo stan-
dard dei materiali diretti è quindi esprimibile come:
:'li

Cstd = ~ti ~t<l (i) . Pst<l (i) (16.1)


I= I

dove qstd(i) rappresenta la quantità del componente i-esimo necessaria per la


produzione di una unità di autput in condizioni standard, Pstd(i) il suo prezzo
standard e N il numero di componenti diversi che fanno parte della distinta
base dell' autput. La quantità standard viene ricavata sulla base dei dati di pro-
getto, forniti dall'ingegneria di prodotto.Le informazioni relative al prezzo stan-
dard degli input vengono invece fornite dall'unità responsabile degli acquisti.

n C()s/ostandard del !avarodiretto


Il costo standard del lavoro diretto viene determinato come il prodotto tra il
tempo standard necessario per svolgere le operazioni del ciclo produttivo e il
costo standard orario del lavoro diretto.
Anche in questo caso, le due informazioni sono normalmente fornite da
fonti differenti; il tempo standard viene determinato dai responsabili dell'in-
gegneria di prodotto e di processo, attraverso il cronometraggio o scompo-
nendo il ciclo di lavorazione in operazioni elementari, il cui tempo di esecu-
zione è tabulato 6 , mentre il dato relativo al costo orario del lavoro viene forni-
to dall'ufficio personale 7.

6. Si fa riferimento all'approccio MTM (Motion Time Measurement).


7. In alcuni casi, il costo standard del lavoro diretto viene determinato suddividendo il ciclo di
lavorazione a seconda del tipo di competenze richieste per svolgere ciascuna operazione; la
valorizzazione del tempo standard viene di conseguenza effettuata utilizzando costi orari dif-
ferenti, crescenti all'aumentare delle competenze necessarie.
468 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

Il costostandard rel,ativoagli overhead


La quota di costi indiretti attribuita a un prodotto, in condizioni standard, vie-
ne determinata normalmente attraverso una relazione di proporzionalità. Si
definisce, in particolare, un coeffici,ente di aUocazionestandard, pari al rapporto
tra il totale dei costi indiretti standard e un termine indicativo del livello stan-
dard di attività ( basedi aUocazione).
La quota dei costi indiretti da attribuire a un'unità di un prodotto si ottiene
moltiplicando il coefficiente di allocazione standard per il valore assunto,
sempre in condizioni standard, dalla base di allocazione. Ad esempio, nel ca-
so la base di allocazione sia rappresentata dal costo del lavoro diretto, il costo
indiretto standard del prodotto verrebbe determinato come:

O Hstd totali
Cstd = ----- . LDstd(i) (16.2)
LDstd totale

dove LDstd totale rappresenta l'ammontare complessivo del costo di lavoro di-
retto relativo al periodo di riferimento, stimato a preventivo, e LDstd(i) il co-
sto standard di lavoro diretto relativo a una unità del prodotto i-esimo.

16.4 Le modalità di ripartizione dei costi delle attività di supporto


ai prodotti

Il ribaltamento dei costi dalle unità organizzative ai prodotti crea problemi


differenti a seconda delle attività svolte nell'unità organizzativa. Una distinzio-
ne importante, da questo punto di vista, è tra risorse impiegate in attività p1i-
marie e in attività di supporto 8 . Le risorse connesse con attività primarie pos-
sono infatti essere associate direttamente al processo di realizzazione dei pro-
dotti, mentre le risorse utilizzate per svolgere attività di supporto hanno come
momento intermedio l'impiego da parte delle attività primarie; in altri termi-
ni, le attività di supporto rendono possibili le attività primarie, quindi vengo-
no utilizzate solo in modo indiretto dai prodotti. La gestione del personale,
ad esempio, non contribuisce direttamente alla realizzazione di un prodotto
ma, in assenza di una corretta politica di gestione del personale, non sarebbe
possibile svolgere le attività di trasformazione fisica necessarie per realizzare il
prodotto.
Almeno concettualmente, quindi, è più facile legare le attività di sup-
porto alle attività produttive che non direttamente ai prodotti. Ad esem-
pio, il costo della gestione del personale è facilmente ripartibile tra i re-

8. Sulla classificazione delle attività, cfr. capi,tol,o


5.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 469

parti produttivi (proporzionalmente al numero di persone presenti in


ciascun reparto), mentre è molto più complesso trovare una relazione
"ragionevole" tra il costo della gestione del personale e un singolo pro-
dotto.
Nella pratica, si possono adottare tre diverse soluzioni 9 :
• i costi delle attività di supporto non vengono allocati ai prodotti; di fatto
è ciò che ac~de nei sistemi di tipo directcostingofull costinga costo pieno
industriale. E, naturalmente, la soluzione più semplice;
• i costi delle attività di supporto vengono allocati direttamente ai prodot-
ti, secondo modalità analoghe a quelle utilizzate per attribuire i costi del-
le attività produttive (16.6). È una soluzione che, come si è appena evi-
denziato, porta in generale a risultati poco precisi;
• i costi delle attività di supporto vengono dapprima ribaltati sulle unità
organizzative che svolgono attività produttive (centri produttivi), au-
mentando quindi l'entità dei costi indiretti che fanno capo a ciascun
centro produttivo; in questo modo, quando i costi indiretti delle attività
produttive vengono ripartiti tra i prodotti, essi sono comprensivi anche
dei costi relati,, alle attività di supporto.

Il ribaltamento dei costi delle attività di supporto sui centri produttivi è più
oneroso rispetto alla ripartizione diretta, ma consente una valutazione più
puntuale delle risorse complessivamente impiegate in ciascun centro produt-
tivo, nonché dell'efficienza nell'impiego di tali risorse 10. La precisione di tale
valutazione dipende ovviamente in misura sostanziale dal modo in cui i costi
delle attività di supporto vengono attribuiti ai centri produttivi.
Esistono quattro tecniche principali di ribaltamento, elencate nel seguito
in ordine di precisione e di complessità crescente:
i. il metododiretta,
ii. il metododirettoa duefasi;
iii. il metodosequenziale,
iv. il metodomatricia/,e.

Le tecniche si differenziano per il modo in cui si tiene conto degli scambi


esistenti tra differenti centri che svolgono attività di supporto (centri di servi-
zio). Per illustrarle, conviene fare riferimento al caso generale di N centri pro-
duttivi e M centri di servizio e ipotizzare che ciascun centro di servizio svolga
una sola attività; nel caso un centro svolga più attività di supporto, le relazioni

9. Talvolta in una stessa azienda si usano soluzioni differenti per diverse tipologie di costi.
1O. Ad esempio, risulta più agevole comparare l'efficienza con cui una specifica attività produtti-
va viene svolta internamente all'impresa ed esternamente ad essa, poiché si è in grado di evi-
denziare tutte le attività di supporto impiegate internamente all'impresa per realizzare l'atti-
vità produttiva e i relativi costi.
470 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

che verranno introdotte valgono ancora, pur di sostituire ai centri di servizio


le singole attività di supporto.
Si definiscono in particolare:
S. = costo del centro di servizio j-esimo;
CS.k= impiego delle risorse del centro di servizio j--esimo da parte del centro
J di servizio k--esimo;
CP.i = impiego delle risorse del centro di servizio j--esimo da parte del centro
J produttivo i-esimo.
Gli impieghi sono riferiti alla specifica grandezza utilizzata come base di ri-
partizione per il centro di servizio j--esimo.
Il metododirettoignora gli scambi interni tra centri di servizio; di conseguen-
za, ripartisce direttamente e separatamente il costo di ciascun centro di servi-
zio tra i centri produttivi che ne utilizzano le risorse, proporzionalmente alla
base di allocazione scelta. Al centro produttivo i-esimo viene quindi attribuito,
per il centro di servizio j--esimo, un costo pari a:

CPJl..
sJ.. (16.3)
N
kCP ..
i= I Jl

Il metododirettoa duefasi opera in due fasi successive. Nella prima fase, il co-
sto di ciascun centro di servizio viene ripartito tra i centri produttivi e gli altri
centri di servizio, sempre proporzionalmente alla base di ripartizione scelta.
Al centro produttivo i-esimo viene quindi attribuito direttamente un costo
pan a:

s.. ___CPJ_•
..
__ _
(16.4)
J

Al termine della prima fase, a ciascun centro di servizio è stato attribuito il


costo delle risorse degli altri centri di servizio da esso impiegate. Questa quota
residuale di costo viene quindi ripartita tra i centri produttivi, nella seconda
fase, attraverso il metododiretto.
Il metodosequenzial,eparte invece dalla selezione di uno specifico centro di
servizio, normalmente quello cui corrisponde il maggior valore di inter-
scambio netto percentuale con altri centri di servizio 11. Il costo del centro
selezionato viene quindi ripartito tra i centri produttivi e gli altri centri di

11. L'interscambio netto percentuale di un centro di servizio viene definito come differenza tra
la percentuale dei servizi resi e quella dei servizi assorbiti.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 471

servizio, proporzionalmente alla base di ripartizione scelta, coerentemente


con la (16.4).
Si sceglie quindi un secondo centro di servizio, operando in modo del tut-
to analogo e iterando il procedimento; è owio che, per assicurare la conver-
genza del metodo, occorre che in ogni fase:
• il processo di ripartizione interessi tutti i costi del centro di servizio in esa-
me, comprensivi quindi dei costi ad esso attribuiti nelle fasi precedenti;
• si escludano dal processo di ripartizione i centri di servizio oggetto delle
fasi precedenti.
II metodomatriciale,infine, tiene conto di tutti gli scambi interni.
Dapprima, si definisce un sistema di equazioni lineari per de.terminare il
costo globale di ciascun centro di servizio (S/), pari al suo costo effettivo au-
mentato di tutti i costi relativi alle risorse di altri centri di servizio da esso im-
piegate. Si ha:

~1
S. * = S. + ~ x.k · ' * j = l. .. M ( 16.5)
J J ~ J' ~
k =l

dove xjk rappresenta la frazione delle risorse del centro di servizio k-esimo uti-
lizzata dal centro di servizio j-esimo.
Risolvendo questo sistema di equazioni, si determinano i costi globali di
ciascun centro di servizio; tali costi vengono poi ripartiti tra tutti i centri pro-
duttivi e tutti i centri di servizio attraverso il metododiretto.

16.5 I metodi di rilevazione dei costi dei prodotti

I principali metodi di rilevazione dei costi dei prodotti applicati nella pratica
sono 12:
• job costingo contabilitàper commessa;
• processcosting,
• operationcosting,
• activity basedcosting (ABC) .
I quattro metodi si distinguono per l'insieme delle voci che vengono attri-
buite ai prodotti sulla base di relazioni di causa-effetto e di quelle invece per
le quali ci si limita a una ripartizione di tipo proporzionale, secondo quanto
riportato in tabella 16.1. La tabella consente di determinare immediatamente
la diversa precisionee il differente costodei quattro metodi crescenti, passando
,

12. Nella pratica talvolta si utilizzano sistemi "ibridi" tra le diverse configurazioni.
I
472 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

dal processcostingali' aperationcostinge da questo al job costinge ·all'activity based


costing,parallelamente all'aumento dell'insieme di voci per le quali l'alloca-
zione dei costi awiene in modo causale. Nel seguito, i diversi metodi di rileva-
zione vengono descritti con riferimento a una configurazione full costing,nel
caso li si voglia impiegare all'interno di un sistema direct costing,sarà sufficien-
te evitare l'allocazione dei costi indiretti.

TABELLA 16. l - Modalità di rilevazione dei costi

Materiali diretti Lavoro diretto Costi indiretti

Process costing Proporzionale Proporzionale Proporzionale


Operation costing Causale Proporzionale Proporzionale
Job order costing Causale Causale Proporzionale
Activity Based Costing Causale Causale Causale

16.5.1 Il job costing

jQQQT{/,çJ"çqstingutilizz3 çom_eelernen t9_di_base.per l'attribuzione


costi_11g_.9
Jl_JQ(J_
dei costi il job, composto da una singola unità o da un lotto o~ogeneo di pro-·
dotti.
--,,___-

ie modalità di rikvaz_io!l~ _tf,_ei__costi


r

A ciascun job viene associata una sched~, in forma cartacea o informatica, ~he
lo accompagna lungo tutto il ciclo di lavorazione. Sulla scheda, in ogni centro
di costo y~r1gono_r~gistrati i __ cq~_tis9stenuti _per la realizzaziqne del job.
Più specificamente:
• il costo dei materialidirettiviene determinato sulla base del valore a cui es-
sLer<1120 ~onJabili'.?zati a m<:1gazzino;
ç_lt
• ~i_rileviiJa__g!:l_~l}tj~_ lµ_voroç/,}r:_(!ttq_
impiegata per la realizzazione del job,
valorizzandola al costo orario del lavoro;
• i costi intjirtj_(ti
vengonq ripartiti tra i prodotti proporzionalmente all'uti-
lizzo di un fattore produttivo, usualmente_ il l~voro diretto, denomin~to
base di allocazione.L'allocazione awiene, concettualmente, in due fasi;
dapprima si determina il coefficientedi allocazione,cioè il rapporto, nel pe-
riodo di riferimento, tra i costi indiretti complessivamente sostenuti nel
centro di costo e l'impiego della base di allocazioneda parte di tutti i job
transitati per il centro; quindi, _siallocano allo specifico job j-esimo costi
indiretti pari a:

I coefficiente-di allocazione -:-oa._.. (16.6)


J
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 473

dove baj rappresenta l'utilizzo della base di allocazione da parte del jobj-esimo
(cfr. schema16.1) .
La semplice lettura della scheda associata a ciascun job consente quindi di
determinare il costo totale del jo/7,dividendo tale dato per il numero di unità
che compongono il job, inoltre, si ottiene il costo unitario di produzione. Infi-
ne, sommando i costi dei job in corso di lavorazione e di quelli contenuti nel
magazzino prodotti finiti si determinano, rispettivamente, il valore delle scor-
te di prodotti finiti e di quelle di semilavorati.

L'impiegodeljob costing
I! job costingè un metodo preciso,in particolare quando il lavoro diretto e i ma-
t~r;ali diretti rappresentano la con1ponente principale dei costi di prodotto;
rispetto a metodi n1eno precisi è però particolarmente oneroso, poiché ri-
chiede uno sforzo elevato di rilevazione dei dati.
In generale, esso non appare impiegabile in imprese che operano con pro-

Se H E MA 16. l - Il job order costing

Un'impresa realizza in un reparto due prodotti, A e B. Le schede relative ai due


prodotti hanno registrati i seguenti dati:

Lavorodiretto (€) Materiali diretti (€)

A 1.000 500
B 2.000 500

Sapendo che i costi indiretti di produzione sono stati pari a 6.000 €, e che sono
state prodotte 10 unità di A e 5 di B, determinare il costo pieno unitario dei due
prodotti, allocando i costi indiretti proporzionalmente al costo del lavoro diretto.

Il coefficiente di allocazione è pari a:


(6.ooo) / (1 .ooo + 2.000) =2

I c~sti indiretti allocati ai due prodotti sono quindi:


A: 1.000 ·2 = 2.000
B: 2.000 · 2 = 4.000

Il costo unitario dei due prodotti è:


A: (1.000 + 500 + 2.000)/10 = 450
B: (2.000 + 500 + 4.000) /5 = 1.300
474 I LE INFORMAZIONI 0.1 NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

cessi continui, per l'impossibilità di individuare il singolo lotto di prodotti cui


associare una scheda di rilevazione. Nel caso di processi discreti, è necessario
verificare la compatibilità tra i benefici derivanti da una informazione precisa
e i costi relativi alla registrazione accurata delle informazioni. L'elemento di-
scriminante è usualmente rappresentato dalla scala produttiva. Imprese che
operano per commessa singola o ripetuta, con lotti di produzione piccoli, al
limite unitari, possono in generale trovare conveniente l'utilizzo di un sistema
job costing.Nel caso invece di imprese che operano su larga scala, è preferibile
ricorrere ad altri metodi, in particolare al processcosting,soprattutto quando i
prodotti venduti siano a basso valore aggiunto: l'utilizzo del job costingpotreb-
be infatti portare al limite a costi di rilevazione delle informazioni superiori al-
lo stesso costo del prodotto.

16.5.2 Il process costing

II_processcostingcostituisce il sistema meno oneroso di misurazione dei costi_;in


esso ci si limita infatti a tjlevare il costo complessivo sostenuto in ciascun re-
parto/ centro di costo, e il volume prodotto. Il costo unitario viene quindi de-
terminato come rapporto tra i costi complessivi e il volume prodotto.
Il procedimento è elementare nel caso di imprese monqprodotto _edi_inva-
rianza del WIP 13; qui, il_yolume prodotto viene espresso semplicemente dalla ,
quantità di output realizzata nel periodo.
Sempre nel caso di impresa monoprodotto, in cui però esista una variazio-
ne dei semilavorati, l'applicazione del processcostingrichiede l'introduzione di
un elemento correttivo; non è infatti possibile sommare le unità di prodotto
finito con le unità in corso di lavorazione, poiché il costo dei semilavorati è in-
feriore rispetto a quello dei prodotti finiti.
Concettualmente, il problema viene risolto attraverso l'introduzione d~lla
nozione di unità equivalenti;le unità di semilavorati vengono cioè trasformate
in un numero corrispondente di unità di prodotto finito. Il coefficiente di
equivalenza viene definito grado di compl,etarnento ed esprime la frazione dei co-
sti complessivi che il semilavorato ha già accum11-lato, rispetto all'ammontare
complessivo, necessario per il completamento del ciclo tecnico. In generale,
assumendo che esistano, accanto ai prodotti finiti, semilavorati in N stadi di-
versi del ciclo produttivo 14, si ha:

13. Con WIP, WorkIn Processo WorkIn Progress,si definisce l'ammontare dei semilavorati di un'im-
presa.
14. In alcuni casi, per aumentare la precisione del metodo, la (16.7) viene applicata separata-
mente per i diversi input; si avrà così ad esempio un grado di completamento relativo ai mate-
riali diretti e uno relativo ai costi di conversione. I costi unitari verranno conseguentemente
dapprima calcolati separatamente per i singoli input e solo successivamente aggregati.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 475

N eq = ~ + li ~ . gei ( 16.7)
i= l

dove:
Neq = numero di unità equivalenti
~=unità di prodotto finito completate nel periodo
~:-=. numerp_ cii_unità allo stadio i-esimo
gei = grado di completamento dello stadio i-esimo.

Il numero di unità equivalenti rappresenta quindi l'output che l'impresa


avrebbe ottenuto se, con le risorse impiegate, avesse realizzato esclusivamente
prodotti finiti.
L'applicazione operativa del processcostingassume una struttura differente a
seconda che, per valorizzare i semilavorati e i prodotti finiti, si faccia ricorso al
metodo del costo medio o a quello FIFO ( tabella 16. 2).

TABELLA 16.2 - Il process costing

Fifo Costo medio

Output Qc + WI P finale - WI P iniziale Qc + WIP finale


Costi Costi aggiunti Costi aggiunti + costi incorporati

Nella logica a costo medio, per determinare il costo unitario relativo a un


generico periodo t, si considera come output la consistenza alla fine del perio-
do t, pari alla somma delle unità completate (~) 15 e del WIP finale 16, molti-
plicato ovviamente per il relativo grado di completamento. Coerentemente
con questa definizione dell'output, il costo totale viene determinato come
somma dei costi effettivamente sostenuti nel periodo t (costi aggiunti, CA) e
dei costi incorporati nel WIP iniziale (CI).
Si ha quindi 17:

Neq = ~ + WIPr · gcWIPr (16.8)

Costo.totale= CA+ CI ( 16.9)

15. Le unità completate comprendono sia unità di prodotto finito iniziate e completate nel pe-
riodo di riferimento che unità iniziate in periodi precedenti ma completate nel periodo di ri-
ferimento. ,
16. Si fa riferimento in questo caso alla dimensione "fisica" del WIP.
17. Se il WIP finale è costituito da unità in stadi differenti del processo, nella (16.8), come nelle
successive (16.10) e (16.12), l'espressione del WIP finale deve essere sostituita dalla somma-
toria delle unità presenti in ciascuno stadio, moltiplicate per i relativi gradi di completamen-
to, coerentemente con l'espressione (16.7).
476 I LE IN FORMAZION ,, DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

Il rapporto tra il costo totale e il numero di unità equivalenti rappresehta il


costo di una unità completata nel periodo.
Nella logica FIFO, invece, si considera esclusivamente l'output realizzato nel
periodo, calcolato detraendo dalla quantità disponibile a fine periodo il WIP
iniziale:

Neq = Cl:+ WIP f. gcWIPr- WIPi . gcWIPi (16.10)

Coerentemente con questa scelta, il costo di produzione fa riferimento ai


soli costi effettivamente sostenuti nel periodo, mentre vengono trascurati i co-
sti relativi al WIP iniziale:

Costo totale = CA (16.11)

Il rapporto tra costo totale e numero di unità equivalenti definisce il costo


di una unità equivalente interamenterealizzata nel periodo;esso può quindi esse-
re utilizzato direttamente per la valorizzazione del WIP finale 18. La quantità
completata, invece, è costituita in parte da unità equivalenti realizzate nel pe-
riodo e in parte dal WIP iniziale; il costo unitario della quantità completata
deve quindi essere misurato come "media pesata" tra il costo delle unità equi-
valenti presenti inizialmente a magazzino e il costo delle unità equivalenti rea-
lizzate nel periodo.
In termini operativi, tale valore può essere determinato per differenza. In
particolare, si valuta dapprima il valore del WIP finale, per ipotesi costituito
solo da unità realizzate nel periodo, come:

CA
-- · WIPf · gcWIPr (16.12)
Neq

Quindi, si calcola il costo complessivo della quantità completata come:

CA - valore WIP finale + CI (16.13)

Infine, dividendo tale valore per il numero di unità completate, si determi-


na il costo unitario di queste ultime.

La presenzadi by-product
Se in un reparto vengono realiz"zati più prodotti, nel calcolo delle unità equi-
valenti è necessario tener conto dei differenti consumi specifici delle risorse

18. Si ricordi che si opera secondo una logica FIFO, quindi le unità che fanno parte del WIP fi-
nale sono, almeno in termini contabili, le ultime a essere state realizzate.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 477

che caratterizzano ciascun prodotto. Il proble1na si pone in particolare per


imprese in cui, accanto al prodotto principale, si ottengano byproductantici-
pando l'interruzione del ciclo di produzione. In questo caso, il volume realiz-
zato nell'unità di tempo viene espresso in funzione di un prodotto di riferi-
mento, normalmente il prodotto che svolge per intero il ciclo di produzione.
Le unità dei singoli by-producivengono "trasformate" in unità equivalenti del
prodotto di riferimento, cioè nel numero di unità che si sarebbero ottenute,
con le stesse risorse, se, invece di realizzare il prodotto in oggetto, si fosse rea-
lizzato il prodotto di riferimento; la trasformazione viene effettuata sulla base
di coefficienti di equivalenza rappresentativi della frazione del ciclo operativo
del prodotto base che viene ..svolta da ciascun byproduct.
Il costo complessivo del reparto, diviso per il numero di unità equivalenti
prodotte, determina il costo unitario del prodotto di riferimento; il costo de-
gli altri prodotti si ottiene moltiplicando il costo del prodotto di riferimento
per i rispettivi coefficienti di equivalenza.

L'impiegodel processcosting
Il processa1stingrappresenta il metodo di calcolo del costo di un prodotto me-
no preciso e oneroso. Esso appare valido nel caso di produzione omogenea,
costituita da un unico prodotto realizzato su larga scala o da pochissimi pro-
dotti con cicli produtti,i molto simili; nel caso di produzione disomogenea, ri-
sulta infatti impossibile determinare i coefficienti di equivalenza tra i diversi
prodotti con un grado sufficiente di precisione. Queste caratteristiche fanno
sì che il proass costingvenga in1piegato normalmente dalle imprese che opera-
no con processi produttivi continui (chimico, petrolifero) o da imprese con
processi produttivi di tipo discreto ma a flusso e caratterizzati da lotti di pro-
duzione elevati (calcolatrici, elettronica di consumo).

16.5.3 L'operation costing

Le rrwdalitàdi rilevazionedei costi


~' operationcostingr«ippr~s~!:].~ una soluzione di compromesso tra il job costinge
il processcosting.
Nell' operationcosting,infatti, il costo dei ma_teriali diretti relativo a ciascun
lotto pro__dottoviene rilevato direttamente, al momento del prelievo dal ma-
gazzi~<?,i~ !_ll_Q~Q_anajo_g2 ~ quantq_<:1.vvi~neP-~[il job cQsting.
- Per i costi di conversione, invece, si opera in modo simile al processcosting.
Specificamente, si utilizza come unità elementare per la rilevazione dei costi
di conversione l'operq2ione, cioè una fase omogenea del ciclo di trasforma-
zione (distinguendo, ad esempio, in un'impresa tessile, tra un costo di tessitu-
ra, un costo di stampaggio tessuti e un costo di filatura). Per ciascuna opera-
zione, viene quindi determinato il costo complessivo di conversione, som-
478 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
I

mando i costi di lavoro diretto e i costi indiretti sostenuti nel periodo di riferi-
mento.
Il costo complessivo dell'operazione viene poi ripartito tra i singoli lotti rea-
lizzati nel periodo di riferimento, sulla base di un'allocazione di tipo propor-
zionale. In particolare, nel caso di prodotti caratterizzati da un utilizzo unifor-
me delle diverse operazioni, i costi di conversione vengono ripartiti propor-
zionalmente alla quantità prodotta (ad esempio, i metri di tessuto); in caso
contrario, si fa riferimento al tempo di utilizzo della singola operazione: si de-
termina cioè un costo orario relativo a ogni operazione, in base al quale è im-
mediato ricavare il costo di conversione da attribuire a ciascun lotto.

L'impiegodell'aperationcosting
L' aperationcostingconsente di rilevare in modo estremamente preciso i costi
dri m~teriali qir~tti _attribuiti ;=t
çJ~scun pr9d9Jto. Il sistema appare quindi par-
__
ticolarmente adeguato a realtà produttive dove:
• __iLços_to .d.½i. ~~ _~~Lco-
llJ~terialLdirç_ttLré!ppres~n t;i-~~a V()_C:~_pn;p{)_~_d.~r~
sti di prodotto;
• il processo di lavorazione preveda la presenza di un numero limitato di
. .
operaz1on1;
~ i lotti produttivi siano internamente omogenei.
E il caso, ad esempio, del settore tessile, dove infatti il metodo trova più fre-
quentemente applicazione.

16.5.4 L'activitybased costing

L' activity based costing (ABC) mira a determinare con maggior precisione ri-
spetto ai metodi di rilevazione tradizionali il costo di un prodotto, inteso co-
me valore delle risorse impiegate per realizzarlo; più specificamente, CbBC,
contrariamente ai metodi tradizionali di rilevazione, attribuisce tutti i costi ai
prodotti sulla base di relazioni causali.
~a principale innovazione dell'ABC riguarda l'attribuzione dei costi indi-
retti. Questi, come si è evidenziato in precedenza, vengono tradizionalmente
ripartiti tra i prodotti attraverso un coefficiente di proporzionalità; si assume
quindi implicitamente l'esistenza di una relazione di proporzionalità diretta,
del tipo:

costi indiretti attribuiti = K • base di allocazione (16.14)

qa il valore delle risorse indirette consumate da un singolo __ prodoJJ_Q_~_Yf!~


specifica base di allocazione; K, la costante di proporzionalità, rappresenta il
çoefficiente di allocazione.
Una relazione di questo tipo, tuttavia, spesso non si verifica nella pratica,
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 479

come può essere meglio chiarito attraverso un esempio, volutamente sem-


plice.
Si consideri il caso di un impianto produttivo destinato a realizzare biro di
diverso colore; si voglia ripartire, in particolare, un ammortamento pari a
12.000 € tra un lotto di 90.000 unità di biro nere (un prodotto di larga scala)
e un lotto di 10.000 unità di biro rosse (un prodotto di piccola scala). Il tempo
necessario per realizzare i due lotti di prodotto sia pari complessivamente a
120' e il tempo standard di lavorazione sia pari al' per ogni 1.000 unità. La
differenza tra il tempo di lavorazione (100') e il tempo richiesto per realizzare
i due lotti dipende dalla necessità di riattrezzare l'impianto ogni volta che si
inizia la lavorazione di un ~uovo lotto; il tempo di setup risulta complessiva-
mente pari, nel periodo considerato, a 20'.
Per applicare la ( 16~14) e determinare il costo dei due prodotti, la base di
allocazione più ragionevole è rappresentata dal tempo di lavorazione dei pro-
dotti. In questo caso, si ottiene 19:

biro nere: Cinere = 120 € /' · 90' = 10.800 €


= 120 € /' · 10' = 1.200 €
biro rosse: ClroSM:'

Il costo indiretto attribuito a una unità dei due prodotti coincide (è pari a
O,12 €), poiché essi richiedono lo stesso tempo di lavorazione. I valori così ot-
tenuti non rappresentano però una misura corretta del costo dei due prodot-
ti, inteso con1e "valore delle risorse impiegate per realizzarli". Infatti, la risorsa
"impianto produttivo" è in realtà impiegata per svolgere due differenti opera-
zioni: la lavorazione, per 100', e il setup,per i restanti 20'. Se è corretto ritene-
re che il costo connesso con l'operazione di lavorazione debba essere attribui-
to ai prodotti proporzionalmente al tempo di lavorazione, non altrettanto si
può dire del costo relativo ai setup,che non ha alcun legame con i tempi di la-
vorazione ma dipende invece dal numero di lotti di prodotti differenti che de-
vono essere realizzati. !n_pratica, per ripartire correttamente r~n:ior~~Il-
to dell'impianto_tra._i_prodo.tti,._è necessari<;>o.p~r~e. in _d4e f~i,___iipai;:~~:n90
_dapprima_il cus.to.indiretto.complessivo tra le singole operazioni.svolte .e solo
su~<;essivamente __ a.EP-licando__~eparatamen t~ _per ci~sc11pa operazione la
(16.14).
Nel caso in esame, i costi delle due operazioni sono determinabili tenendo
conto della frazione del tempo complessivo ad esse dedicato. Si ha:
• costo di lavorazione= 10.000 €
• èosto di setup= 2.000 €

19. Il costo indiretto totale è 12.000 €, mentre il tempo di lavorazione è determinato come som-
ma dei tempi di lavorazione delle 100.000 unità prodotte ed è quindi pari a 100'; il coeffi-
ciente di allocazione è perciò 120 €/'.
480 I LE INFORMAZIONI (:\I NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

Le basi di allocazione più adeguate saranno, rispettivamente, il tempo di la-


vorazione e il numero di lotti. Sulla base di tali indicazioni, si ha:

biro nere: CI nere = 100 · 90 + 1.000 · 1 = 10.000 €


biro rosse: CI rosse = 100 · 10 + 1.000 · 1 = 2.000 €

I costi indiretti unitari risultano rispettivamente pari a 0,11 € e 0,2 €, quindi


significativamente differenti rispetto a quelli calcolati con l'approccio tradi-
zionale.
L'esempio è emblematico del modo in cui_µp_~istema_tradizjonal~ che attri-
buisce tutti i costi indiretti proporzionalmente a grandezze legate al voiume
produttivo 20, .§9vrasJimi i costi dei _prodotti sl!_J_~g~ç-~a e t~:Qgaa_so_!:_tostimare
i c_o.~ti_d<:iprodottisu piccola sc~a_;vengono infatti ripartiti in base al volume
anche costi che con esso non hanno alcuna relazione, come i costi di setup.
Questa distorsione dei dati di costo può avere anche effetti significativi sul-
la competitività dell'impresa; essa tende infatti a far ritenere i prodotti su pic-
cola scala più profittevoli di quelli su larga scala 21 , anche in presenza di premi
di prezzo estremamente ridotti, incentivando a volte l'abbandono dei prodot-
ti standard a favore di quelli customizzati,salvo poi verificare, a posteriori, una
"inattesa" proliferazione dei costi indiretti 22.

L 'ABC comeapproccioconcettuale
Come si è evidenziato in precedenza, se i costi indiretti vengono ripartiti tra i
prodotti in modo proporzionale a una sola grandezza, i valori risultanti posso-
no presentare significative distorsioni. Per risolvere questo problema, l'ABC
introduce un elemento intermedio tra le risorse e i prodotti, le atfivit!Ì, forma-
lizzando in pratica la modalità di determinazione del "costo corretto" descrit-
ta nell'esempio precedente (figura 16.2) 23.

20. Sono proporzionali al volume produttivo il lavoro diretto, i materiali diretti e il tempo mac-
china, le tre basi più comunemente utilizzate per la ripartizione dei costi indiretti.
21. Ovviamente, si fa riferimento a comportamenti tendenziali. In realtà, da un punto di vista
teorico, le scelte relative al mix produttivo non dovrebbero tener conto della ripartizione dei
costi indiretti tra i prodotti. Cfr. capitolo15.
22. Questa è una delle presunte motivazioni della perdita di competitività delle imprese statuni-
tensi rispetto a quelle giapponesi. In particolare, sulla base delle indicazioni contabili, le im-
prese statunitensi avrebbero abbandonato i prodotti standardizzati alle imprese giapponesi,
lasciando a queste ultime forti profitti che, una volta reinvestiti, hanno consentito il successi-
vo aumento della competitività delle ~mprese giapponesi sui prodotti di piccola scala (John-
son e Kaplan, 1987).
23. Nella figura 16.2 si fa riferimento a una configurazione elementare di ABC. Nella pratica, in-
vece di allocare direttamente i costi delle singole attività ai prodotti si può adottare una solu-
zione a più fasi, in cui i costi delle attività di supporto vengono dapprima allocati alle attività
produttive e solo i costi ("pieni") di queste ultime vengono poi allocati ai prodotti (cfr. para-
grafo 16.5).
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 481

F I e u RA 16.2 - L'Activity Based Costing

Resourcedriver

Activity driver

Prodotti

In termini concettuali, l'ABC, prill)_t!_cjj_rjp~tji:~.ic_ostj_cl_~lledsors.~ tndireue


ai prodotti, si chiede quale sia l'utilità di tali risorse o, in altri termini, quali
siano le operazioni che ne richiedono l'impiego, e ripartisce il costo della ri-
so_rsatra Je diverse atti\,ità, secondo un parametro opportuno (resourc,e driver).
Solo dopo che siano state individuate le singole operazioni per cui VIerie-uti-
lizza~ un_a risorsa, quindi, è possjbile definire, in_co_rrispondel)z:~ta ciascuna
operazione, un actimtydriver,cioè una grandezza legata da una relazione cau-
sale al consumo della risorsa per quella specifica attività.
Nell'esempio descritto in precedenza, in particolare, è possibile individua-
re due attivitàdifferen.t.Lw.QJ1.ulalla_.ris.Qr~a-"wacç_hina", la lavorazi9~e e i! set-
up e il resqurce driver è...rapp_r~~entato_d~.lla_perçentuale_di tempo per cui la
macchina_è_utilizzata,nel periodo, in ciascuna delle .due. attività. Il consumo
della risorsa segue leggi differenti in ciascuna delle due attività; se, per la lavo-
razione, il consumo è sostanzialmente proporzionale al tempo di lavorazione,
I' adivity driverdel setupè invece rappresentato dal numero di lotti.
Operativamente, l'ABC richiede che una.risorsa venga analizzata sulla base
~elle seguenti fas~:
1. individuare le diverse attività/operazioni per__ruLuJiaJisorsa viene utiliz-
zata e.il peso relativo. di tali operazioni;
2. determinare la gnmcl~zza ch~2 pi~g~_U cons~!!}_Q_
g.~11~_ri_~or_:~a
per quçlla
specifica att~hi@;
3. ~taibuire la p~te _dic9s_tor~J~tjva ~ c:_i_a.scuQ._~
atti~tà ~i pr9dotti in modo
proporzionale_tÙ-1'utilizzo delf adivity _drivercornsponden_t_e.
Si consideri ad esempio il caso di un reparto che svolge sia le operazioni di as-
semblaggio che le attività di controllo di qualità ispettivo del processo. Com-
plessivamente, dieci delle persone che compongono il reparto svolgono l'as-
semblaggio di componenti, mentre le altre due si occupano del controllo di
482 i LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

qualità, realizzato camyionando un pezzo per lotto. Si ipotizzi inoltre che


l'ammortamento della linea di assemblaggio comporti un onere di 300.000 €,
mentre quello delle attrezzature di testingsia pari a 100.000 €. Il costo annuo
di un addetto sia pari, infine, a 40.000 €.
Nel periodo vengono realizzati un lotto di 50 unità del prodotto A e un lot-
to di 250 unità del prodotto B; i tempi unitari di assemblaggio dei due pro-
dotti sono coincidenti.
Il reparto presenta la seguente struttura di costo:
- lavoro diretto: 400.000 €
- lavoro indiretto: 80.000 €
- ammortamenti: 400.000 €
Il costo unitario dei due prodotti viene determinato sulla base delle tre fasi
evidenziate in precedenza.
In particolare, i costi indiretti sono relativi a due diverse operazioni, l'as-
semblaggio e il testing. L'assemblaggio è responsabile di costi indiretti per
300.000 € (ammortamento delle linee di assemblaggio), mentre il testingè re-
sponsabile di costi indiretti per 180.000 € (ammortamento delle macchine di
testinge costo del lavoro degli addetti al testing).
A questo punto, è possibile associare a ciascuna operazione un driver dico-
sto, il tempo di assemblaggio per l'attività di assemblaggio e il numero dei lot-
ti per l'attività di testing.
Infine, applicando la (16.14) separatamente per ciascuna attività si ottiene,
per l'assemblaggio:

CiaA = 1.000 · 50 = 50.000


CiaB = 1.000 · 250 = 250.000

e, per il testing.

CitA = 90.000 · 1 = 90.000


CitB = 90.000 · 1 = 90.000

I costi unitari di A e B divengono quindi 2.800 e 1.360 rispettivamente.


L'esempio permette di evidenziare un problema tipico dell'ABC. Si ipotizzi
che il controllo di qualità non venga realizzato analizzando un pezzo per lot-
to, ma attraverso il campionamento statistico di una percentuale fissa dei pro-
dotti contenuti in un lotto.
In questo caso, non ha più senso utilizzare come driverper l'attività di testil
numero di lotti, ma è necessario ricorrere al numero di unità realizzate. Ope-
rando come prima si ottiene un costo significativamente differente, pari a
1.600 €/unità per entrambi i prodotti.
Se poi il tempo di testvaria in funzione della complessità del prodotto che
viene testato, può essere necessario utilizzare come driveril tempo di test, con
ulteriori variazioni nei costi unitari risultanti.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 483

Diviene perciò impossibile i1nplen1entare un sisten1a ABC attraverso com-


petenze puramente contabili; al contratio, occorre conoscere, in termini in-
gegneristici, il funzionamento dei singoli processi presenti nell'impresa. In
caso contrario, i risultati dell 'ABC possono portare a livelli di distorsione del
tutto comparabili con quelli che si ottengono da un processo di tipo tradizio-
nale.

L'ABC per la rilevazionestrutturai.edei costi


L'utilizzo dell'ABC secondo la metodologia descritta in precedenza consente
di arrivare a una stima estremamente precisa del costo di un prodotto. La sti-
ma, in particolare, sarà tank> più corretta quanto più all'interno di una risor-
sa è possibile indi\iduare una serie di operazioni elementari, a ciascuna delle
quali associare uno specifico driver.
Il processo, tuttavia, portato agli estremi, può diventare eccessivamente
oneroso. Ad esempio, anche una risorsa elementare come una macchina
utensile compie un numero elevato di operazioni:
piazzamento del pezzo;
scelta dell'utensile;
posizionamento dell'utensile;
regolazione delle n1acchine;
lavorazione;

, scarico del pezzo.


E evidente che la scelta di un livello di analisi di estremo dettaglio può esse-
re giustificata solo in presenza di decisioni puntuali e con un significativo im-
patto potenziale sui risultati dell'impresa; nel caso invece si voglia impiegare
l'ABC in modo strutturale occorre procedere con un livello di aggregazione
supenore.
È necessario, cioè, limitare il num~_!Q_ç!_e_lle_ attiy_i_~_çb~ _y~pgono ap~li~zate
in modo a_utonomo e, parallelamente, _ilnumero di driverda rilevare per attri-
buire i costi indiretti ai prodotti.
La progettazione operativa di un sistema ABC richiede quindi:
• che le singole __ operazioni vengan9 aggre_ID!t~_i~ __
nzgcroattiv~t~.9 acti1!i:JY
jJO!Jls1.
__ i1_1
<;i9.~ gruppi p.i attività simili,._il_
cui consumo di.pende dagli s_tessi
_ fattori_;_~
• çhe per_çiascuna macro.attivitàvenga i11:djvjci_u,(!to il driverpiù oppor~uno.

La sceltadel numero di macroattività


½~_s_cel~del num~~o _gi}na~r9c:1.ttivitàda utilizzare si basa sul trade-offtra costq
e precisione delle informazioni. In particolare, se si opera in modo disaggre-
gato, con molte macroattività,si otterrà un sistema'di costingestremamente pre-
dso, in grado di discriminare correttamente i costi dei diversi codici realizzati
dall'impresa, ma a prezzo di un elevato costo di rilevazione; nel caso invece si
484 / LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

preferisca progettare un sistema caratterizzato da poche macroattività,i risulta-


ti sarebbero esattamente opposti.

La sceltadel driver
Una volta çhe sia stata d~Je~mina~ un~ macroattjyjtà, ~. necessario scegli~:re
Jl_!Jaj_e,µ:a.j_dr.iYtT._p_Q~~iJ?..ULQ~QQ~
___ ~§~~re__µti_lj~~~Jo.p~r ,JJlQ~~~_i_çostidi quella
1J1/Jf!fJCltftr:!ità 24 .
-~iprC>~(?t~i
La scelta deve bilanciare due diverse esigenze:
• la Jacilità di ottenirneri(Q ~clrlJa.m.i.§Yf~;
• il.gradodLcorrelaziane.. tra.il. driverscelto_e f_effettivo_con s11mo del[attiYi.tà.
La facilità _diottenimento_~e_l_la influ~n~(! il_cq_stg_g~l~istema q.i rilevazio-
_J:!}i_~~I.'1-
l}e. In generale, è preferibile ricorrere a grandezze che_già__, per qualche moti-
vo,yengono rilevate all'inter~g d~l_l'imp_!'~~~; se questo non è possibile, è nor-
malmente meno costoso ricorrere a misure basa.te sµl_nYrJJ,erQ_t/,i transç,zioni(ad
esempio il numero di setup) piuttosto che 4jp._çljçatQrj_g_~J!~4:u_rata deUetra~(}-
-zioni (come il tempo di setup). Oggi, peraltro, la crescente potenza dell' Inf~-
_mation Technowgyconsente spe~so di rilevare a.c<?_sti ll)_Odes~~~~~!e._i_n~orm_a-
zi9ni connesse conJa d'l!:_ra{a_r/,§!!§_ transaz_ioni:
ad esempio, un semplice codice a
barre permette di rilevare quasi istantaneamente e con costi trascurabili item-
pi di attraversamento delle varie fasi del ciclo produttivo di un qualsiasi pro-
dotto.
_Ilgrado di correlazionetra la misura P!~sc~lta e l'~ff~t_tiv~~OJ?-~ll-~_o delle atti-
vità inflµ~n~_~_iµy<:;ç~Ja_pecisio17:e_q~lla_rH~yaziqn_e. In questo caso, il giudizio si
ribalta: normalmente, le misure rela_tivealla durata_deUetransazioni sono mag-
giormente correla.te al consumo delle risorse rispetto a qµelle_ç_op.nesse con il
numero di transazioni.

L'impatto dell'innovazionetecnowgjca
La figura 16.3 evidenzia l'impatto delle scelte del numero di macroattività e
del driversulle prestazioni di un sistema ABC: al crescere della precisione del-
la misura, attraverso un aumento del numero di macroattività o della correla-
zione tra drivere consumo delle risorse, aumenta il costo del sistema di rileva-
zione, ma diminuisce parallelamente il costo degli errori di misura, cioè l'ef-
fetto sul valore economico dell'impresa di decisioni non ottimali dovute a
informazioni non corrette. La curva è ovviamente del tutto teorica, ma sotto-
linea come le scelte di un'azienda dovrebbero essere basate su un bilancia-
mento tra i costi e i benefici dell'informazione. Essa permette inoltre di evi-
denziare come la tipologia di driverda impiegare possa mutare dinamicamen-
te in funzione delle condizioni ambientali; in particolare, oggi:

24. Il problema è tanto più rilevante quanto meno omogenee sono le attività raggruppate all'in-
terno della macroattività.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 485

F I e u RA 16. 3 - L'impatto dell'innovazione tecnologica


Costo

Costo totale

Costo delle misure

Costo degli errori

Accuratezza/precisione

• i costi di rilevazione delle informazioni diminuiscono, grazie ai progressi


dell 'Information Terhnowgy; e
• i costi degli errori au111entano, poiché l'elevata turbolenza ambientale
incren1en ta la frequenza di decisioni relative alla composizione del mix e
la crescita della pressione competitiva accresce l'impatto sul valore eco-
nomico di una decisione non corretta.
L'effetto congiunto di questi fenomeni comporta, nel tempo, uno sposta-
mento del punto a costo minimo, che spinge ad aumentare il numero delle
macroattività e ad adottare driver caratterizzati da una precisione crescente
nel tempo.

16.6 Il costo delle unità organizzative

Nei paragrafi precedenti si è focalizzata l'attenzione sui sistemi di rilevazione


dei costi dei prodotti; di fatto, tuttavia, le dimensioni utilizzate per descrivere i
sistemi di rilevazione rispetto ai prodotti possono essere usate anche per chia-
rire come le informazioni contabili siano utilizzate per rilevare le prestazioni
delle unità organizzative.
È bene, tuttavia, premettere che__p_er_"çostodi_1-1:na unità .Q:r_ganizzatiya"
si
possono definire due diverse gr_~-d.~_zz~: __
• una_Qrima definizione è_q_u~Jlarelativa al_"costo delle~rj._§Ofs~ direttamen-
--te utilizzate da una unità organizzag~a";
486 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA

• una seconda, alternativa attribuisce invece all'unità or_ganizzativa tutti i


costi che ne c.onse_ntono il fun~ioriam.<:~J)._tQ.
Per cogliere la differenza ri-
spetto al caso precedente, si consideri ad esempio un reparto produttivo;
il funzionamento di questo reparto è possibile solo perché nell'azienda
vengono pagati gli stipendi; tuttavia, jl pagamento degli stipendi è realiz-
zato da un'altra unità organizzativa. E come se il reparto produttivo aves-
se un "fornitore interno", l'unità che si occupa di "paghe" e quest'ultima
avesse un "cliente interno". In questa seconda logica, all'unità organizza-
tiva "cliente" devono essere attribuiti i costi dei servizi ad essa erogati dai
fornitori interni.

Una volta precisata la definizione di costo dell'unità organizzativa adottata,


per descrivere il sistema di rilevazione è necessario definire:
• quali risorse vengono considerate nel determinare il costo sostenuto da
una unità organizzativa; come evidenziato in precedenza, si può decide-
re di valorizzare le sole risorse "dirette" o anche quelle relative ad attività
gestite da altri ma di supporto al funzionamento dell'unità organizzativa
(cfr. sottoparagrafo16.1.2) ;
• come si valorizzano tali risorse, se in termini standard o consuntivi;
• nel caso di sistemi che non si limitino a rilevare i soli costi delle risorse
gestite direttamente dall'unità organizzativa, come effettuare l'allocazio-
ne dei costi delle attività di supporto.

Le soluzioni disponibili per queste scelte sono state presentate nei paragra-
fi 16.2, 16.3 e 16.4, rispettivamente; le considerazioni che vi sono state svol-
te per quanto riguarda i costi dei prodotti sono di fatto generalizzabili an-
che all'uso delle informazioni contabili per misurare le prestazioni delle
unità organizzative.
PARTE QUARTA

I sistemi di decisione
Nelle prime tre parti del testo si è visto:
• come il valore economico rappresenti l'obiettivo di riferimento per l'impresa;
• attraverso quali leve decisionali un'impresa possa agire per creare valore econo-
mico;
• come le operazioni gestionali delle imprese possano essere espresse in termini
economico-finanziari.

Nella quarta parte si vogliono integrare queste analisi, evidenziando come sia possibi-
le misurare, attraverso grandezze economico-finanziarie, l'impatto sulla creazione di
valore economico di una specifica decisione aziendale. In generale, si utilizzerà il ter-
mine "investimento" per indicare le decisioni di una azienda, per sottolineare il fatto
che le scelte delle imprese devono oggi sempre essere viste come "investimenti", ov-
vero come interventi che hanno impatto sui risultati nel medio-lungo termine e che si
scontrano con uno scenario esterno che non è mai perfettamente definito.

Questa parte del testo si articola in 4 capitoli:


• nel capitolo17si esamina in generale come possa essere impostato un problema
decisionale, al fine di misurare il contributo della decisione al valore economico
dell'impresa;
• nel capitolo 18 si precisano le modalità da seguire nel calcolo del cashflow, la
grandezza che descrive l'impatto elementare di un investimento sulla creazione
di valore economico;
• nel capitolo19 si discutono i principali criteri di decisione;
• nel capitolo20, infine, si evidenzia come sia possibile semplificare il problema
nel caso la decisione abbia un impatto temporalmente delimitato.
17 L'analisidelle decisioniaziendali:un quadrodi riferimento

Concettualmente. il percorso logico per l'analisi di una decisione aziendale


dovrebbe essere il seguente:
• dapprima. è necessario con1prendere, attraverso una analisi competitiva,
se e come la decisione influenzi i differenziali competitivi dell'impresa,
modificandone quindi le prestazioni;
• successivamente, l'analisi competitiva dovrebbe essere "tradotta" in ter-
mini economico-finanziari, derivando da essi i bilanci prospettici che ca-
ratterizzeranno l'impresa in futuro;
• infine, a partire dalle informazioni contenute nei bilanci prospettici, do-
vrebbe essere definita la politica dei dividendi, a partire dalla quale cal-
colare il valore economico dell'impresa.

Rendere operativo questo flusso logico, tuttavia, è tutt'altro che semplice; il


calcolo del valore economico richiede infatti di analizzare le conseguenze di
una decisione nel lungo periodo, per sua natura poco prevedibile, e di com-
prenderne gli impatti su una realtà articolata come l'impresa, costituita dari-
sorse ma anche da persone, i cui comportamenti sono in generale difficili da
modellizzare.
In questo capitolo, in particolare, ci si propone di chiarire come possa esse-
re strutturato correttamente il problema decisionale:
• individuando una diversa misura, più operativa di quella diretta, del va-
lore economico di una azienda;
• precisando i princi2ali passi da seguire nell'analisi della decisione;
• chiarendo i principali errori che si possono verificare in ciascuno di tali
passi e le metodologie che possono consentire di evitarli.
490 i I SISTEMI DI DECISIONE

17.1 La misura indiretta della creazione di valore economico


I
Nella prima parte del testo, il valore economico di un'impresa è stato espresso
attraverso la generazione di cassa netta di denaro, NCG ( net cash generation),
pari alla differenza tra dividendi e nuove immissioni di capitale. Questa for-
mulazione viene normalmente indicata come misura diretta del vawre economi-
co;essa tuttavia non è adatta a valutare il contributo specifico di una decisione
di investimento al valore economico per l'azionista. Di fatto, la generazione
netta di cassa è il risultato di due diversi fenomeni:
• la generazione di cassa "potenziale", misurata come flusso potenzial-
mente disponibile per essere distribuito agli azionisti sotto forma di divi-
dendo, al netto degli eventuali aumenti di capitale; e
• la politica dei dividendi.
Le decisioni di investimento influenzano solo il primo di questi fenomeni.
La politica dei dividendi, invece, non dipende dal singolo investimento ma da
una serie di fenomeni complessi, quali:
• l'insieme delle opportunità effettivamente disponibili;
• i risultati di investimenti passati;
• le opportunità di finanziamento esterno;
• il fabbisogno finanziario degli azionisti,
che contribuiscono a determinare quale parte degli utili dell'impresa distri-
buire agli azionisti e quale invece reinvestire.
Si arriverebbe così a una valutazione complessa e :spuria", che non dipen-
de cioè dal solo investimento che si vuole analizzare. E allora preferibile intro-
durre una misura diversa, indiretta, del valore economico, attraverso la quale
sia possibile valutare, in modo più agevole, lo specifico contributo alla crea-
zione di valore economico del singolo progetto di investimento.
Per ricavare tale misura, si può fare riferimento alla rappresentazione sem-
plificata del funzionamento di un'impresa, riportata in figura 17.1. Si assume,
in particolare 1:
• mancanza di indebitamento; i fabbisogni finanziari vengono quindi inte-
ramente coperti con capitale degli azionisti;
• mancanza di un "serbatoio di cassa"; di conseguenza, ogni anno, il dena-
ro generato dagli investimenti in corso deve essere impegnato in nuovi
progetti di investimento o deve essere immediatamente restituito agli
azionisti.
Nell'impresa, si assiste, sotto queste ipotesi, a un ciclo finanziario composto
dalle seguenti fasi (ovviamente, con numerosi ricicli e parallelismi):
1. gli azionisti versano capitale nell'impresa (AC (t));
2. il capitale viene utilizzato per realizzare progetti di investimento, che

1. Per un approfondimento di questa analisi, cfr. Bertelè (1991).


17. L'analisi delle decisioni aziendali I 491

modificano l'insieme delle attività realizzate dall'impresa; I(t) rappre-


senta il capitale che viene investito nel periodo t;
3. l'attività dell'impresa genera cassa, misurata dal cashflow aperativo(o flus-
so di cassapotenziale della gestionecaratteristica)di conto economico (CF(t))
(cfr. capi,tow 6) ;
4. il cashflow può essere utilizzato per:
• autofinanziare nuovi progetti di investimento, senza chiedere ulterio-
ri immissioni di capitale agli azionisti;
• distribuire dividendi agli azionisti.

F I e u RA 1 7 .1 - Lo schema di funzionamento "semplificato" dell'impresa


AC(t} I (t}

Azionisti Impresa Progetti/ attività

D(t} CF(t}

In queste ipotesi, quindi, poiché la ca'isa non costituisce un punto di accu-


mulo di denaro, si può agevolmente dimostrare che il NCG di un generico
esercizio t coincide con il flusso di cassa netto dello stesso anno, net cashflow
(NCF(t) ) 2 , definito come:

NCF(t) = CF(t) - l(t) ( 17.1)

Sulla base della ( 11.2), il valore economico può quindi essere espresso co-
me:

V= i _N_C_F_(t)_
(17.2)
t=O (l+k)t

La ( 17.2) viene definita misura indiretta della creazione di valore econo-


mico; essa fa riferimento a elementi caratteristici di un investimento reale,
quale l'entità dell'investimento e il cashflowgenerato dal progetto e meglio
si presta quindi ad essere utilizzata come funzione obiettivo per questa ti-
pologia di decisioni; il contributo al valore economico di un singolo pro-

2 . Nella letteratura anglosassone, il NCF viene spesso indicato come free cashJlow.
492 I I SISTEMI DI DECISIONE

getto di investimento, in particolare, viene definito net present value (NPV)


dell'investimento 3 .'
Si noti che la (17.2) coincide con la misura diretta del valore economico, a
rigore, solo nelle ipotesi semplificative adottate. Nel caso più generale, lo
schema di funzionamento dell'impresa si modifica come in figura 17.2.

F I e u RA 1 7 .2 - Lo schema di funzionamento "reale" dell'impresa


Istituti di credito
Erogazione Ripaga mento
finanziamenti del debito

AC(t) I (t)

Azionisti Impresa Progetti/ attività

D(t) CF(t)

In particolare:
• vi è la possibilità di indebitamento; di conseguenza il capitale a disposi-
zione per investimenti potrà provenire, oltre che dagli azionisti e da au-
tofinanziamento, anche da istituti di credito o obbligazionisti. La presen-
za dei debiti finanziari si ripercuote anche sull'impiego del cashflow pro-
veniente dal progetto: accanto all'autofinanziamento e alla remunera-
zione degli azionisti, infatti, si deve tenere presente che parte del cash
flow sarà erogato ai finanziatori esterni, per il pagamento degli oneri fi-
nanziari sul debito e per la restituzione dei debiti finanziari contratti;
• esiste un "serbatoio cassa"; di conseguenza, il denaro generato dai pro-
getti di investimento in un dato esercizio non necessariamente verrà di-
stribuito agli azionisti nello stesso esercizio; potrà essere mantenuto al-
l'interno dell'impresa in vista di possibili esigenze future.
Questi due fenomeni hanno conseguenze differenti sulla validità della (17.2).
In particolare: in presenza di indebitamento, le modalità di calcolo dei NCF
devono essere differenti (cfr. paragrafo 18.3). La ( 17.2) rimane comunque va-
lida pur di:

3. Di conseguenza, un investimento crea valore se ha NPV superiore a O. Per approfondire il te-


ma, cfr. capitolo19.
17. L'analisi delle decisioni aziendali I 493

• inseri.re nell'investimento anche un termine pari alla variazione dell'in-


debitamento con l'esterno (ad aumenti dell'indebitamento corrispon-
dono diminuzioni di l(t));
• detrarre dal cashflaw operativol'ammontare degli oneri finanziari4;
• la presenza della cassa trasforma invece in modo sensibile il senso della
relazione tra NCF e NCG. In particolare, il ·NCF risulta di fatto equiva-
lente non alla generazione di cassa reale, ma a quella potenziale.
Quest'ultimo aspetto costinrisce solo apparentemente una limitazione. Co-
me si è sottolineato in precedenza, la generazione di cassa potenziale rappre-
senta l'effettivo contributo degli investimenti reali al valore dell'impresa; nel
seguito, quindi, si farà sempre riferimento al valore economico attraverso la
sua misura indiretta. ·
Può essere utile, infine, introdurre una diversa formulazione della (17.2).
L'investimento, pur essendo una decisione di lungo period0, ha in generale
effetti significativi sull'impresa su un arco di tempo non illimitato: un nuovo
brevetto può essere superato dai concorrenti e diventare obsoleto; un impian-
to produttivo può non essere più conforme alle normative ambientali; un si-
stema CAD può dover essere rimpiazzato da un software più recente. È quindi
spesso opportuno limitare la ( 17.2) a un periodo di tempo finito (T), sintetiz-
zando gli eventuali impatti successivi in un va/me residuo,V(T). Il valore resi-
duo coincide frequentemente con il valore di alienazione del bene, nel caso
sia ancora funzionante, o con il suo valore di rottamazione; in alcuni casi, pe-
raltro, il valore residuo può assumere una rilevanza molto superiore, rappre-
sentando l'insieme delle competenze che l'investimento ha creato nell'im-
presa, competenze che possono essere utilizzate per individuare e implemen-
tare nuove opportunità di investimento 5 .
Per tenere conto di questi fenomeni, è preferibile in generale misurare
l'impatto dell'investi1nento sul valore economico dell'impresa come:

T NCF(t) V(T)
!o (l+k)t + (l+k)T
( I 7.3)

17.2 Le fasi dell'analisidi una decisione

Per calcolare l'impatto sul valore economico di una decisione di investimento


si opera normalmente in 5 fasi6, tra cui esistono ovviamente numerosi ricicli,

14. In questo modo il NCF coincide di fatto con il flusso di cassa netto ricavabile dallo schema di
cashfa,w (cfr. capitol,o8). , _
5. Il tema è ad esempio importante per investimenti in ricerca e sviluppo; cfr. Azzone e Bertele
(1998).
6. Non viene evidenziata, nello schema, una sesta fase, relativa all'analisi delle modalità di finan-
494 I I SISTEMI DI DECISIONE

schematizzate in figura 17.3. L'analisi parte dall'individuazione delle alternati-


ve decisionalia disposizi'one dell'impresa. Occorre, in particolare, precisare se
si è di fronte a un investimento apzional,e,in cui deve essere esaminata anche
l'alternativa di "non investimento", o a un investimento obbligato,in cui ci si li-
mita a comparare tra loro le diverse possibilità di investimento.

FI e u RA l 7. 3 - Le fasi dell'analisi

Individuazione delle alternative


decisionali

,,

Verifica della consistenza


delle alternative

1,

Identificazione dei confini


dell'analisi

''
Analisi degli impatti
competitivi dell'investimento

,,
Valutazione dei NCF
e del NPV dell'investimento

Le fasi successive devono essere svolte, separatamente, per ciascuna delle


alternative identifica te.
Innanzi tutto, se ne analizza la consistenza,verificando che non siano state
"dimenticate" alcune parti dell'investimento, indispensabili per raggiungere i
risultati attesi, e che tutti gli interventi previsti siano effettivamente necessari,
così da evitare oneri inutili.

ziamento del progetto, su cui esiste, come si è già evidenziato in premessa, una letteratura
consolidata. Per approfondimenti sul tema del finanziamento dei progetti, si rimanda ai testi
di finanza aziendale (cfr., ad esempio, Brealey, Myers e Marcus, 1995); alcune considerazioni,
estremamente sintetiche, sono contenute nel capitow18.
17. L'analisi delle decisioni aziendali j 495

Successivamente, si precisano i confini dell'analisi, cioè le aree aziendali su


cui l'investimento può avere effetto. È qui che si identificano, di fatto, i sog-
getti che dovranno essere coinvolti nel resto del processo di analisi.
Le aree aziendali interessate dall'investimento, in particolare, devono
identificarne gli impatti competitivi, cioè i modi attraverso i quali esso ha effet-
to sul valore economico. Questa indicazione è essénziale per poter precisa-
re l'insieme delle informazioni da raccogliere e le relative modalità di ela-
borazione.
L'ultima fase consiste nella vera e propria raccolta delle informazioni, nel
calcolo dei NCF e della creazione di valore economico dell'investimento.
Nella pratica, si dedica molto ~pesso la maggior parte del tempo all'ultima
fase dell'analisi (il calcolo dei NCF e del valore economico); sottovalutando,
ingiustamente, la rilevanza delle fasi precedenti. Non ci si rende conto che, di
fatto, la "qualità" del risultato finale della valutazione dipende in larga misura
dal modo in cui sono state realizzate le prime fasi dell'analisi.
Proprio per questo, il seguito di capitolo affronta in modo puntuale le
quattro fasi ..preliminaii" al vero e proprio calcolo dei NCF, suggerendo, per
ciascuna di esse, una specifica modalità di intervento e chiarendo gli errori
più frequenti.

17.3 L'individuazione delle alternative

Ogni decisione di investimento si presenta come confronto tra alternative. Di


fatto, esistono due situazioni "tipo":
• investimenti non obbligati, cioè problemi decisionali in cui l'impresa può o
meno realizzare l'investimento;
• investimenti obbligati, dove l'impresa deve realizzare l'investimento e può
al più scegliere tra diverse alternative possibili.

17.3.1Gli investimenti non obbligati

Nel caso di investimenti non obbligati, tra· le alternative a disposizione dell'im-


presa vi è anche quella di non investire. Normalmente, questa viene indicata
come "caso base"; ciascuna delle altre alternative viene analizzata in termini
differenziali rispetto al caso base.
Un errore che si commette spesso, in questo ambito, è quello di ritenere
che, in assenza di investimento, l'impresa manterrà i propri risultati, in parti-
colare i NCF, inalterati nel tempo. In tal modo, di fatto, si opera come se il
contesto esterno e i compétitori dell'impresa rimanessero "fermi"; al contra-
rio, è probabile che in assenza di investimenti la posizione dell'impresa sia de-
stinata a peggiorare, con una conseguente riduzione del NCF.
496 I I SISTEMI DI DECISIONE

F, G u RA l 7 .4 - Il problema del caso base

NCF
I

NCF
con l'investimento..__ ____________ _

NCF differenziale
NCF caso base dell'investimento

La figura 17.4 evidenzia come il NCF differenziale dell'investimento possa


aumentare per effetto di un peggioramento del "caso base". Se, nell'investi-
mento riportato in figura si ipotizzasse, scorrettamente, che il NCF del caso
base rimanesse inalterato, si sottostimerebbe il NCF differenziale dell'investi-
mento.
Di fatto, anche il non investimento deve essere trattato a tutti gli effetti co-
me una delle alternative decisionali. Sarà quindi necessario identificarne le
conseguenze sui risultati dell'impresa, sulla base della possibile evoluzione
della tecnologia, delle scelte dei competitori e dei cambiamenti di fornitori
e clienti 7, in modo del tutto analogo a quanto accade per le decisioni di in-
vestimento.

17.3.2 Gli investimenti obbligati

In presenza di investimenti obbligati, invece, il caso base è costituito da una qual-


siasi delle alternative di investimento; i NCF delle altre vengono determinati
in modo
...
differenziale rispetto ad essa .
E bene precisare che al termine investimento obbligato deve essere attribuito
un significato economico piuttosto che giuridico. Si consideri ad esempio il
caso di una impresa i cui impianti produttivi non sono adeguati a una nuova
normativa ambientale; l'impresa, a rigore, non è obbligata a investire, poiché
ha la possibilità di interrompere la propria attività produttiva. Tuttavia, il "non
investimento" ha effetti così devastanti da apparire di fatto dominato; di con-

7. Al contrario, spesso nella pratica si commette l'errore di dedicare attenzione al caso base solo
nel primo anno di vita dell'investimento, il cui NCF viene calcolato con molta precisione, li-
mitandosi poi a proiettare tale valore inalterato per 3, 5 o I O anni.
17. L'analisi delle decisioni aziendali I 497

seguenza, in questo caso, ci si limiterà in generale a confrontare le diverse mo-


dalità di adeguamento degli impianti alle normative ambientali, assumendo
di fatto che l'investimento sia, economicamente, obbligato.

17.3.3 Investimenti obbligati o non obbligati?

La decisione se considerare o meno un investimento obbligato non è priva di


conseguenze. In particolare, si può assistere a due opposti errori:
• si consideracomeobbligatoun investimento che in realtà non l,o è. Questa situa-
zione non è rara per investimenti considerati "strategici", giustificati con
commenti del tipo "per moti\-i strategici l'impresa ha deciso di migliorare
la qualità dei propri prodotti". In questi casi, ci si limita di fatto a valutare
il modo migliore per ottenere gli obiettivi prefissati. Com~ si è sottolinea-
to in precedenza, questo modo di comportarsi è corretto solo nell'ipotesi
che la scelta di non investire sia effettivamente dominata dalla decisione
di investire. In caso contrario, il procedimento porterà a selezionare la
migliore tra le alternative disponibili, senza però garantire che l'alternati.:.
va scelta consenta effettivamente un incremento del valore dell'impresa;
• si consideracomenon obbligatoun investimento chedi /atto lo è. In questo caso,
apparentemente i rischi sono inferiori rispetto alla situazione preceden-
te; infatti, ci si limita ad analizzare le conseguenze della decisione di non
investimento, anche quando questa sia di fatto dominata 8 • Il risultato do-
vrebbe essere un semplice appesantimento del procedimento, destinato
però a far individuare, alla fine, la soluzione corretta 9 . In realtà, si tratta
di un errore pericoloso, che talvolta può far apparire, scorrettamente,
infattibile la stessa analisi dell'investimento. Si faccia riferimento, a que-
sto proposito, al caso citato in precedenza di investimenti necessari per
adeguare gli impianti produttivi di un'impresa a una normativa ambien-
tale più restrittiva. Si ipotizzi che siano disponibili due differenti soluzio-
ni tecnologiche, A e B, che consentono di arrivare a questo risultato.
Nella tabella 17.1 sono riportati i diversi elementi che potrebbero essere
presi in considerazione nell'analisi; ciascuno di tali elementi ha un im-
patto potenziale sui NCF dell'investimento. Come si vede, se l'investi-
mento è considerato non obbligato, le alternative differiscono rispetto al
caso base per alcuni elementi (immagine di impresa attenta all'ambien-
te, effetto sulla quota di mercato dei consumatori verdi) il cui impatto

8. Questo tipo di errore si verifica, ovviamente, solo nel caso di investimenti "obbligati" da un
(>Untodi vista economico, ma l}~n norma~vo. , .. . . .
9. E bene ricordare, peraltro, che 1appesantimento dell anahs1, oltre a mc1dere negauvamente
su costi e tempi della valutazione, aumenta di molto il rischio di errore che è presente nella
valutazione di investimento, in particolare nel caso di progetti complessi.
498 j I SISTEMI DI DECISIONE

sui NCF è estremamente difficile da determinare. Al contrario, se l'inve-


stimento viene,, correttamente, considerato "obbligato", ci si può limita-
re ad analizzare i soli elementi differenziali tra le alternative, un'opera-
zione sicuramente più agevole.

TABELLA 17.l - Implicazioni della decisione di considerare o meno


l'investimento come obbligato: un esempio

Elementidell'analisi Differenzialitra le due soluzioni Differenzialitra


e il caso basedi non investimento le due alternative

Immagine dell'impresa +
Quota di mercato dei prodotti verdi +
Fatturato dei prodotti attualmente in produzione +
Costi di produzione + +
Entità dell'investimento + +
Costi di smaltimento rifiuti + +
Energia + +
Oneri relativi alla chiusura degli impianti +

17.4 La "consistenza" del progetto

Una volta identificate le alternative a disposizione dell'impresa, è necessario


verificarne la "consistenza". Molto spesso, infatti, un investimento può in
realtà essere visto come un pacchetto (bundk) di progetti,.tra cui esistono for-
ti interdipendenze. Si consideri ad esempio la realizzazione di una nuova au-
tomobile: essa richiede innovazioni nei materiali, nella strumentazione elet-
tronica, nella componentistica, nei sistemi di produzione; ritardi o carenze in
uno o più di tali progetti avrebbero conseguenze sul risultato dell'investimen-
to complessivo. La presenza degli effetti di portafoglio rende problematica
l'individuazione dei "confini" dell'investimento che viene analizzato. In parti-
colare, ci si può trovare di fronte a due rischi contrapposti, che possono por-
tare a una valutazione scorretta del progetto e, nei casi più gravi, a non sce-
gliere le configurazioni di innovazione più idonee per l'impresa:
• si possono "dimenticare" progetti in realtà essenziali per rendere effica-
ce l'investimento nel suo complesso, o, comunque, per consentire una
valutazione corretta delle sue prestazioni. In questo caso, è essenziale in-
cludere anche questi progetti nella valutazione, analizzando l'intero por-
tafoglio in modo integrato ( bundlingdei progetti) 10;
• si possono considerare come "integrati" dei portafogli di investimen-

10. Su questo tema, cfr. anche Bartezzaghi, Spina e Verganti (1994); Hendricks, Bastian e Sexton
(1992). ,
17. L'analisi delle decisioni aziendali I 499

ti anche quando non sia necessario farlo. Può accadere, quindi, che il
portafoglio nel suo co1nplesso venga respinto, anche quando parti di
esso dovrebbero essere effettivamente implementate. In queste situa-
zioni, dove non esiste una reale interdipendenza tra i progetti, è op-
portuno analizzare, accanto al portafoglio complessivo, anche i sin-
goli progetti di investimento da esso scorporabili ( unbundling dei
progetti).

17.4.1Bundlingdei progetti sinergici

Spesso, quando viene proposta un 'innovazione, si dimentica che, per _sfruttar-


ne le potenzialità, è necessario introdurre alcuni interventi complementari.
Si consideri ad esempio il caso di un 'impresa che investe in un sistema di tele-
lavoro per gli operatori addetti al servizio clienti. Per poter concretizzare i be-
nefici potenziali del telelavoro. occorre:
• eliminare qualsiasi necessità di ricorso a supporti cartacei, introducen-
do, ad esempio, forme di firma elettronica;
• eliminare tutte le interdipendenze di tipo "sincrono" tra gli operatori; in
caso contrario, il telelavoratore sarebbe costretto ad attendere autorizza-
zioni e informazioni da parte degli altri operatori con cui interagisce,
senza la possibilità di svolgere i propri compiti.
Senza questo tipo di interventi, di carattere organizzativo, l'investimento nel
telelavoro è probabilmente da rifiutare; una volta che siano stati introdotti,
può spesso essere molto efficace.
L'individuazione degli interventi "complementari" a un progetto non ri-
chiede tecniche più o meno sofisticate, ma un'attenta analisi delle implicazio-
ni del progetto. I rischi di errore non devono però essere sottostimati, come
dimostra il caso, particolarmente eclatante, di una media impresa italiana,
che analizzò l'introduzione di un robot per il caricamento di una stazione di
lavoro. Il robot consentiva di sostituire un operatore; visto il limitato costo del
robot (equivalente al costo annuo dell'operatore), l'impresa decise di intro-
durre l'innovazione. Dopo aver acquistato il robot, ci si accorse che, mentre
l'operatore era in grado di caricare la stazione operatrice con pezzi contenuti
alla rinfusa in una cassa, il robot richiedeva che i pezzi fossero disposti in mo-
do ordinato. Fu quindi necessario realizzare un nastro trasportatore per ali-
mentare il robot, nastro trasportatore a sua volta alimentato da un operatore
che dedicava una parte del suo tempo a disporre le parti sul nastro in modo
ordinato. Il risultato fu che l'investimento, apparentemente molto profittevo-
le, si rivelò in realtà controproducente.
500 J I SISTEMI DI DECISIONE

17.4.2 Unbundlingdei progetti indipendenti

Il secondo errore, quello di considerare cioè legati in modo indissolubile pro-


getti che in realtà sono indipendenti l'uno dall'altro, si verifica quasi con la
stessa frequenza del primo e:
• rischia di far privilegiare, anche quando non necessario, progetti di tipo
faraonico; al crescere della dimensione del progetto, tuttavia, aumenta-
no anche il rischio di fallimento e le conseguenze, per l'impresa, di un
eventuale fallimento. Con questo non si vuole naturalmente dire che
l'innovazione debba sempre procedere per piccoli passi e senza una vi-
sione sistemica, ma semplicemente che, quando alcuni interventi non
siano importanti per l'impresa, è bene metterlo in evidenza;
• spinge a considerare l'investimento nel suo complesso come una deci-
sione on/off. Ciò limita la possibilità di procedere per passi incrementali
e di utilizzare i risultati dei primi passi per ritarare il resto del progetto.
Inoltre, si rischia di annegare i benefici di alcuni progetti specifici all'in-
terno del disegno complessivo; se questo viene respinto o dilazionato,
per mancanza di risorse finanziarie, perché giudicato non profittevole o
perché eccessivamente rischioso, l'impresa rinuncia anche ai benefici
dei progetti "compatibili" con la disponibilità di risorse e la propria pro-
pensione al rischio.

17.5I confini dell'analisi

Raramente gli investimenti hanno effetto solo sull'area aziendale in cui ven-
gono adottati. Intervenendo su una parte dell'azienda, infatti, si modificano
le modalità di funzionamento dei processi che l'attraversano, e le prestazioni
delle altre unità che operano in tali processi 11.
Se si analizzassero i costi e i benefici di un investimento focalizzandosi solo
sull'unità dove tale investimento è baricentrato, si rischierebbe quindi di otte-
nere un quadro estremamente parziale. D'altro canto, non è pensabile coin-
volgere, in qualsiasi analisi di investimento, tutta l'azienda, se non a prezzo di
un forte aumento dei costi e dei tempi dell'analisi. Diviene quindi essenziale
riuscire a identificare le aree aziendali maggiormente interessate da ciascun
investimento.
A tal fine, è in generale opportuno partire da una "mappa" dei processi
aziendali, rappresentati come catene di attività, legate da relazioni
input/output.

11. Sul concetto di "processo" e di "gestione per processi", cfr. capi,toloJO.


17. L'analisi delle decisioni aziendali I 501

Si consideri ora un progetto di investimento che agisce, direttamente, su


una data area di attività, che interessa uno o più processi. L'investimento potrà:
• modificare gli input necessari per la realizzazione dell'attività (ad esem-
pio, si passa da un supporto cartaceo a uno inf9rn1atico); in questo caso,
dovranno essere coinvolte nell'analisi le unità che si trovano "a monte"
di quella in cui avviene l'investimento;
• modificare l'output dell'attività (è il caso di un investimento che migliora
la qualità dei risultati); qui, dovranno essere coinvolte le unità che si tro-
vano "a valle" nei processi;
• modificare la struttura stessa del processo. È il caso ad esempio di un in-
vestimento in automazione delle attività amministrative che consente di
eliminare il controllo di qualità delle fatture: l'unità che si occupava del
controllo delle fatture "sparisce" dal processo. In questi casi, sicuramen-
te più complessi da gestire, è necessario coinvolgere nell'analisi tutte le
unità che operano nel processo. 12

17.6 Gli impatti competitivi

Una volta definiti i confini dell'analisi, è possibile identificare gli impatti com-
petitivi di un investimento. In questo senso, tutte le volte che una decisione
impatta su una delle fonti di differenziale competitivo descritte nella prima
parte del testo (differenziali di costo statici e dinamici, differenziali di attratti-
vità, differenziali di portafoglio) essa può potenzialmente creare o distrugge-
re valore economico. I diversi interventi possono da questo punto di vista es-
sere "riclassificati" sulla base del modo in cui "creano" valore economico in:
• n1iglioramenti o "ampliamenti" della configurazione esterna;
• riduzione delle uscite di cassa "a regime", grazie all'impiego efficiente
delle risorse;
• riduzione dei costi e degli investimenti necessari per adattarsi a un cam-
biamento della configurazione esterna o di quella interna;
• ampliamento dell'insieme dei cambiamenti "economicamente" possibili.

Migliaramentodella configurazioneesterna
Un investimento può generare prodotti innovativi, modificare le caratteri-
stiche dei prodotti esistenti (è il caso, ad esempio, della riprogettazione di

12. Il problema è complicato dalla presenza di unità che operano in più processi, utilizzando per
essi le stesse risorse; diviene quindi difficile ricorrere al processo cotne unità elementare di
analisi dell'investimento. D'altra parte, se si enfatizzano troppo le interdipendenze tra attività
e tra processi, alla fine l'unica unità di analisi utilizzabile diventa l'_intera impre~a, c_onli~elli_~i
complessità facilmente intuibili. Diviene quindi particolarmente importante riuscire a md1vt-
duare le interdipendenze effettivamente critiche.
502 I I SISTEMI DI DECISIONE

un prodotto in senso eco-compatibile o di una reingegnerizzazione dei


processi finalizzata a ridurre i tempi di consegna), in modo da rispondere
meglio alle esigenze del mercato o ampliare la capacità produttiva. L'inve-
stimento, in tal modo, modifica le prestazioni dell'impresa "percepite" dal
cliente; esso consente quindi un premio di prezzo e/o un aumento della
quota di mercato.

Ri,duzionedelleuscite di cassa "in condizioni stazionarie"


Gli investimenti possono ridurre le uscite di cassa "a regime", aumentando
l'efficienza nell'uso delle risorse. Gli esempi sono molteplici. Per citarne alcu-
ni: l'aumento della qualità di processo può consentire una riduzione nei costi
di scarti e rilavorazioni; la crescita della produttività del lavoro agisce sul costo
del lavoro .diretto e, in parte, su quello indiretto; la riduzione dei tempi di at-
traversamento riduce gli investimenti in capitale circolante e i costi di pianifi-
cazione e supervisione della produzione; il trasferimento della produzione in
altri paesi può consentire una riduzione del costo del lavoro.

Ri,duzionedelleuscite di cassa "inJasi di cambiamento"


Negli ultimi anni, una parte rilevante delle scelte aziendali, sia a carattere
marcatamente tecnologico che di tipo organizzativo e gestionale, ha cercato
di incrementare la flessibilità delle risorse, ossia la capacità di "adattamento"
al cambiamento con costi e tempi limitati. La flessibilità assume un ruolo rile-
vante nelle fasi di cambiamento, dove può avere due diversi effetti:
• può consentire di modificare l'insieme dei prodotti/servizi dell'impresa
senza alcun intervento (o con interventi limitati) sulle risorse interne (è
il caso, ad esempio, di sistemi operativi che sono in grado di processare
una varietà molto ampia di prodotti);
• può consentire di ridurre gli investimenti e i costi necessari per introdur-
.re eventuali innovazioni di processo (tecnologie modulari sono espandi-
bili molto più facilmente di tecnologie "rigide").
Ampliamento dell'insiemedei cambiamenti "economicamente"possibili
Lo spazio decisionale di un 'impresa non è in realtà illimitato. L'impresa, in-
fatti, non può produrre "qualsiasi cosa richieda il mercato" o utilizzare "qual-
siasi tecnologia disponibile", ma deve di fatto limitarsi a scegliere all'interno
di un mercato e di un set di tecnologie "potenziali", cioè coerenti con la sua si-
tuazione attuale. In questo senso, gli investimenti possono essere utilizzati an-
che per estendere, o per mantenere 13, l'insieme del mercato e delle tecnolo-
gie potenziali:
• si consideri il caso di un'impresa che realizza il ~'guscio" di un'applicazio-

13. In presenza di un aumento della competitività dei concorrenti, può essere necessario investire
anche solo per mantenere la propria posizione relativa.
17. L'analisi delle decisioni aziendali I 503

ne informatica. Attraverso questo investi1nento, l'impresa è in grado di


ridurre i tempi necessari per mettere a punto degli applicativi in grado
di rispondere a eventuali, future, esigenze dei clienti, ampliando così di
fatto il proprio mercato potenziale;
• si consideri un'impresa che sviluppa un~ versione sperimentale di una
nuova tecnologia, allo stadio embrionale e non conveniente dal punto
di vista economico, al solo fine di cominciare a sviluppare le proprie
competenze nel campo. Attraverso l'investimento, l'impresa aumenta le
proprie competenze; sarà così in grado di ridurre i tempi di implemen-
tazione di versioni successive della tecnologia, estendendo quindi l'insie-
me delle soluzioni tecnologiche tra cui scegliere nel futuro ..

Di fatto, questi casi, che Yengono oggi identificati con il termine di "opzioni
strategiche", sono ancora riconducibili al tema della "flessibilità". Grazie a in-
vestimenti effettuati oggi, l'impresa è in grado, in futuro, di realizzare nuovi
investimenti in prodotti e tecnologie. Rispetto alla dimensione "adattiva" del-
la flessibilità, però, cambia il modo in cui l'innovazione crea valore economi-
co. Nel caso della uflessibilità adattiva", infatti, si assume che l'investimento in
innovazione non "cambi" le scelte complessive dell'impresa; semplicemente,

TABELLA 17 .2 - Relazioni tra differenziali competitivi e modalità di creazione


di valore economico

Differenziali
di costo Differenziali Differenziali Differenziali
..statici" di costo di attrattività di portafoglio
..dinamici"

Aumento Nel caso il differenziale di - Sl Sl, nell'ipotesi che il


del fatturato costo sia accompagnato portafoglio consenta
da una riduzione dei effetti di completa-
prezzi rivolta ad aumen- mento di gamma
tare la quota di mercato

Riduzione dei costi Si - - Nell'ipotesi di eco-


in contesti stazionari nomie di scopo o ef-
fetti di massa critica

Riduzione dei costi - Sl - Possibilità di riduzio-


in contesti dinamici ne del rischio

Possibilità - Nell'ipotesi che il - Possibilità di riduzio-


di introdurre differenziale il diffe- ne nel del rischio
opzioni strategiche . renziale da rendere
convenienti opzioni
altrimenti non am-
missi bili
504 j I SISTEMI DI DECISIONE

è possibile ottenere uno stesso insieme di mutamenti con costi di adattamen-


to inferiori. In ques10 secondo caso, che definiremo per distinguerlo "flessibi-
lità proattiva", invece, la flessibilità consente di realizzare, in futuro, dei muta-
menti altrimenti impossibili; il valore della flessibilità proattiva sarà quindi mi-
surato dai NCF derivanti da questi ulteriori cambiamenti.
In tabella 17.2 le principali tipologie di differenziale competitivo vengono
messe in relazione con gli impatti sulla creazione di valore economico.
18 La metrica dei net cash flow

Il net cash flow (NCF) rappresen~, come si è sottolineato in precedenza, J_~


gnm__dezzapiù ~.!&!!!ficativa per misurare il contributo di un investimento reale
alla creazione di Vc!!Qr:"~Lgli azionisti. È opportuno, quindi, riassumere le
principali regole che si devono seguire per calcolare correttamente i NCF ge-
nerati da un investimento.
Il capitolo si articola, a tal fine, in cinque paragrafi principali. Nel primo, si
richiamano le componenti del net cash.flow prescindendo dall'effetto fiscale e
da quello finanziario; in pratica, si ipotizza di qperaç~ jn_assenza di tm.po~te e
su un progetto dj il}y~stimento interamente_finanziato con capitale proprio. Il
paragrafo successivo presenta un problema specifico di calcolo dei NCF: la
necessità di ignorare i costi affondati ( 18.2). Quindi, l'analisi viene estesa per
considerare le problematiche fiscali ( 18.3) e finanziarie ( 18.4). L'ultimo para-
grafo ( 18.5), infine, riassume e mette a confronto le diverse logiche che pos-
sono essere seguite nel calcolo dei NCF.

18.1 Le componenti del NCF operativo

Se si prescinde dagli effetti fiscali e da quelli finanziari, il flusso di cassa netto


(definito normalmente net cash flow operativo lordo, per sottolineare che si
opera trascurando le modalità di finanziamento e al lordo delle imposte) 1 è

1. In generale il~ cash {lowdefinisce l'impatto dell'i~stimeu1Q..WJ...flJJ.SsQdi.cassa.nctto_ckll:a-


zienda (cfr. tabella 14.1). Ovviamente, visto che in generale le decisioni non influenzano tutte
le componenti dello schema di cashflow, nelle considerazioni che seguono è possibile operare
in modo semplificato.
506 J I SISTEMI DI DECISIONE

calcolabile a partire dal più generale schema di cashflow ( tabella 8.1), e viene
definito come la so'mma algebrica di:
• flusso di cassa potenziale della gestione caratteristica;
• variazione del capitale circolante netto operativo;
• flusso di cassa degli investimenti.

Normalmente, la relazione che definisce il net cashflow operativolordo (NCF 01)


distingue tra il flusso di cassa potenziale della gestione caratteristica· (cash
flow 01) e gli altri due termini, che rappresentano investimenti e vengono sinte-
tizzati nell'investimento operativo (investimento 0 ):

NCF 01 = cashflow 01- investimento 0 (18.1)

Può essere utile richiamare il significato delle due componenti del NCF ope-
rativo lordo.

18.1.1 11cash flow operativo lordo

IJ.cashflow operativo .lorc;lo è misurato dal flusso di cassa potenziale della ge-
stione caratteristica generato dall'investim~nto. Esso è quindi ricavabile, dallo
schema di ca_shflow,sottraendo ai ricavi (la fonte delle entrate di cassa dell'im-
presa) i soli costioperatividi tipo monetario(cioè le voci che fan~o riferimento a
un impiego di risorse cui corrisponde un 'uscita di denaro). In particolare, si
considerano come costi di tipo monetario, a livello operativo, il costo del lavo-
ro per stipendi e salari (escludendo, quindi, la parte relativa ad accantona-
menti al fondo di trattamento di fine rapporto) e gli acquisti di materiali e di
servizi esterni; si considerano invece come costi non monetari gli ammorta-
menti e gli accantonamenti.
Il cashflow operativo lordo, nel generico anno t, può essere quindi espresso
attraverso una rappresentazione di tipo scalare del conto economico come:

( 18.2)

dove:

CF01( t) = cashflow operativo lordo dell'anno t;


F(t) = fatturato dell'anno t;
CL(t) = costo del lavoro dell'anno t, al netto degli accantonamenti;
ACQ(t) = acquisti di beni e servizi dell'anno t.

Talvolta, è più comodo fare riferimento a una definizione equivalente, ricava-


ta dalla lettura "dal basso" del conto economico.
18. La metrica dei net cash flow I 507

In particolare, prescindendo dall'effetto fiscale e da quello finanziario,


si ha:

U(t) = F(t) -CL(t) -ACQ(t) -ACC(t) -AMM(t) (18.3)

dove:

U(t) = utile d'esercizio dell'anno t;


ACC(t) = accantonamenti dell'anno t;
AMM(t) = ammortamenti dell'anno t.

Dal confronto tra la (18.2) e la (18.3) si ha immediatamente 2:

CF01(t) = LT(t) + ACC(t) + AMM(t) (18.4)

18.1.2 l'investi mento operativo

La seconda componente del net cashflow, l'investimento, comprende due ter-


mini principali:
• l'investimento in capitale fisso; ne fanno parte gli investimenti per l'ac-
quisizione delle tecnologie (immobilizzazioni materiali) e degli eventua-
li brevetti (immobilizzazioni immateriali);
• l'investimento in capitale circolante netto operativo 3 ; è dato dalla som-
ma di quattro termini principali:
I. incremento dei crediti commerciali;
2. incremento delle scorte di prodotti finiti, semilavorati, materie prime
e componenti;
3. diminuzione dei debiti commerciali;
4. diminuzione del fondo di trattamento di fine rapporto.

Gli investimenti vengono determinati a partire dallo stato patrimoniale del-


l'impresa, come variazionedell'attivodi.statopatrimonia/,e.Si osservi che variazio-
ni positive dell'attivo dello stato patrimoniale (investimenti) comportano ri-
duzioni del net cashflow; al contrario, variazioni negative dell'attivo (disinvesti-
menti; è il caso, ad esempio, di una riduzione del livello medio di scorte) si
traducono in incrementi del NCF.

Il problema degli investimenti in CCNO merita di essere approfondito.

2. La stessa relazione si può ricavare dallo schema di cashflow, escludendo gli effetti finanziari e
fiscali.
3. Per la definizione generale di CCNO, cfr. ancora il capito/.o14.
508 J I SISTEMI DI DECISIONE

Nella pratica, talvolta, viene introdotto un "costo opportunità del capitale cir-
colante", definito come:

CCNO(t) · k (18.5)

dove:

CCNO(t) = capitale circolante netto nell'anno t;


k = costo del capitale.

Questo procedimento è, a nostro avviso, da sconsigliare. Esso, infatti, si ba-


sa sull'ipotesi implicita che l'eventuale incremento di capitale circolante sia
interamente smobilizzato alla fine della vita dell'investimento; in caso contra-
rio, la (18.5) non misura correttamente l'impatto dell'investimento sul valore
(cfr. schema 18.1). Inoltre, anche dove tale ipotesi sia corretta, introduce dei
flussi finanziari "figurativi", andando di fatto contro il meccanismo dell'attua-
lizzazione, in cui il costo del capitale viene esplicitato attraverso lo "sconto"

ScH EMA 18. l - Il calcolo del capitale circolante

Si consideri un investimento in capitale circolante pari a C, con un tasso di sconto pa-


ri a k. La vita utile dell'investimento sia pari a N anni, al termine della ·quale il capitale
circolante torna al livello iniziale (O).
Si ha:

NCF(O)= - C; NCF(l) = ....= NCF(N - l) = O; NCF(N) = C

Il valore attuale dell'investimento è quindi:

e
-C+----
(1 + k)N

Se il capitale circolante viene valorizzato attraverso un flusso di cassa figurativo an-


nuale pari a k · C, l'effetto complessivo diviene:

_i kc = kc (1 + k)N- 1 =_e+ _e_


1=1 (1 + k)1 (1 + k)N. k (1 + k)N

Nelle ipotesi adottate (recupero integrale della variazione del capitale circolante alla
fine della vita dell'investimento) le due modalità di calcolo forniscono quindi lo stes-
so risultato.
r8. La metrica dei net cash flow I 509

dei flussi effettivi. Si induce quindi una inutile confusione nel processo di va-
lutazione
...
.
E dunque preferibile considerare le variazioni del capita/,ecircolante(e non il
suo valore assoluto), secondo le modalità indkate in precedenza.

18.1.3 Il valore residuo

Se l'investimento è analizzato su un orizzonte temporale finito (17.3), è ne-


cessario calcolarne, oltre ai ·NCF, il valore terminale o residuo. In particolare:
• per gli investimenti in capitale fisso, si considera normalmente come va-
lore residuo il valore di alienazione del bene, nel caso questo non abbia
più alcun effetto sull'attività dell'impresa. Se invece grazie all'investi-
mento sarà possibile ottenere ulteriori benefici economici, successivi al-
i' orizzonte temporale cui si è fatto riferimento nell'analisi, il valore ter-
minale dovrà esprimere in modo sintetico l'entità di tali benefici, ad
esempio attraverso la tecnica delle opzioni strategiche4;
• per gli investimenti in capitale circolante, si considera normalmente un
valore terminale coincidente con il valore di bilancio, al netto di even-
tuali perdite connesse con la possibile inesigibilità dei crediti o l'obsole-
scenza delle scorte.

18.2 Logica incrementale e costi affondati

Come si è evidenziato in precedenza (cfr. capitow 17), i NCF di un investimen-


to devono essere calcolati in termini incrementali rispetto a un caso base. Il ri-
corso alla logica incrementale ha come conseguenza immediata l'obbligo di
ignorare tutti i costi (e i benefici) affondati, cioè conseguenti a decisioni passa-
te dell'impresa, non modificabili dalla decisione che viene presa oggi in meri-
to all'investimento oggetto dell'analisi. In pratica, i costi affondati assumono
lo stesso valore qualsiasi sia l'alternativa decisionale selezionata, quindi il loro
impatto differenziale tra le diverse alternative è nullo.
Il tema dei costi affondati risulta particolarmente importante nel caso di
progetti complessi, caratterizzati cioè da numerosi punti di decisione successivi
(tipicamente, i progetti di ricerca e sviluppo). In questi progetti, di fatto, è be-
ne considerare che in ogni punto di decisione cambia l'insieme dei costi (e dei
benefici) affondati, quindi muta l'insieme di voci rilevanti per la decisione.
Nello schema18.2, ad esempio, viene riportato l'andamento dei costi relati-
vi alle diverse fasi di u~ progetto inerente la realizzazione di un nuovo im-

4. Cfr. Azzone e Bertelè (1998).


510 I I SISTEMI DI DECISIONE

'
pianto produttivo. Si osservi che il fatto che un costo sia o meno affondato
non fa riferimento all'uscita di cassa, ma all'"impegno" ad essa relativo. Così,
ad esempio, se nel caso riportato nello schema 18.2 l'impresa pagasse lo studio
di fattibilità, commissionato nel 2006, l'anno successivo, il costo relativo conti-
nuerebbe comunque ad essere "affondato" già a partire dal 2006.
Un errore che si commette spesso nel caso di progetti complessi consiste
nel ritenere tutti i costi del progetto affondati già al momento in cui viene
presa la decisione di iniziare il progetto. Di conseguenza, si dà per scontata la
continuazione del progetto, senza mai metterla in discussione; in alcuni casi,
questo si traduce nello spreco di ulteriori risorse, che avrebbero potuto essere
risparmiate.

Se H E MA 18.2 - I costi affondati: un esempio

Si consideri l'investimento caratterizzato dal seguente profilo di esborsi:

Attività Anno Uscitedi cassa

Studio di fattibilità 2006 -100.000


Acquisto del terreno 2007 -2.000.000
Acquisto delle licenze 2007 -300.000
Progetto definitivo 2008 -1.000.000
Realizzazione 2009 - l 0.000.000

Se la valutazione dell'investimento viene effettuata nel 2005, prima di iniziare lo stu-


dio di fattibilità, nessun costo è affondato; di conseguenza, dovranno essere prese in
considerazione tutte le voci riportate nello schema. Una volta realizzato lo studio di
fattibilità, i 100.000 relativi risultano un costo affondato, quindi non devono essere
più presi in considerazione. Si prescinda per un momento dal problema della attualiz-
zazione e si assuma che, alla fine dello studio di fattibilità, l'impresa stimi che com-
plessivamente, i prodotti realizzati dall'impianto daranno luogo a un NCF cumulato
pari a 13.050.000 €. Poiché questa cifra è superiore agli investimenti richiesti (trascu-
rando i 100.000 affondati), il progetto dovrebbe essere completato. È evidente che se
l'impresa avesse avuto a disposizione la stessa stima nel 2005, quando il costo dello
studio di fattibilità non era ancora "affondato", la scelta sarebbe stata differente. Nel
2007, però, l'impresa ha di fronte solo due possibilità: non effettuare il resto dell'inve-
stimento (perdendo 100.000 €) o effettuarlo (perdendone solo 50.000).
Col passare del tempo, l'insieme dei costi affondati cambia; se, ad esempio, nel
2009, le previsioni della domanda fossero corrette al ribasso, facendo prevedere un
NCF pari a soli 12.000.000, sarebbe comunque conveniente, a quel punto, continua-
re il progetto.
18. La metrica dei net cash flow I 511

18.3 L'effetto fiscale

Le considerazioni precedenti hanno definito le regole da seguire nel calcolo


dei NCF operativi, prescindendo dall'effetto fiscale. La contabilizzazione del-
1'effetto fiscale richiede qualche a\vertenza, in particolare nella determina-
zione di:
• ammortamenti;
• plusvalenze/minusvalenze.

18.3.1 Il ruolo degli ammortamenti e lo scudo fiscale

Si consideri dapprima il calcolo dei CF operativi dell'investimento. Se si opera


al netto delle imposte, la ( 18.2) diviene:

CF0 (t) = F(t) -CL(t) -ACQ(t) -IMP(t) (18..6)

dove IMP(t) esprime le imposte incrementali dovute all'investimento che, co-


stituendo a tutti gli effetti un 'uscita di cassa, contribuiscono negativamente al
cashflow. Le imposte possono essere calcolate come:

IMP(t) = U (t) · f

dove /rappresenta l'aliquota fiscale. Sostituendo all'utile la sua espressione


( 18.3), si ha, infine:

CF(t) = (F(t) - CL(t) -ACQ(t)) · ( I - f) + (AMM(t) + ACC(t)) · f ( 18.7)

La ( 18.7) esprime il cosiddetto "scudo fiscale" degli ammortamenti (e degli


accantonamenti). In particolare, se l'investimento viene valutato al lordo del-
le imposte, gli ammortamenti non devono essere presi in considerazione nel-
la valutazione, poiché ad essi non compete una manifestazione finanziaria 5 •
Se invece si ragiona al netto delle imposte, gli ammortamenti incidono sull'u-
tile, quindi, indirettamente, contribuiscono ad aumentare il NCF, riducendo
il carico fiscale che deve gravare sull'impresa.
È bene precisare che la (18.7) è formalmente corretta solo nel caso in cui
l'impresa, nell'ipotesi di non effettuare l'investimento, abbia comunque un
utile positivo. In caso contrario, le i1nposte incrementali dovute all'investi-
mento non possono essere determinate come prodotto dell'utile incrementa-

5. Si ricordi che gli ammortamenti costituiscono la manifestazione economica di una uscita di


cassa, l'investimento, normalmente ad essa precedente.
512 j I SISTEMI DI DECISIONE

le per l'aliquota fisoale, poiché vi sarà una compensazione, parziale o totale,


tra il risultato del solo investimento e le perdite del resto dell'impresa, che in-
ciderà sul carico fiscale ( schema 18.3).6

ScH EMA 18.3 - Effetto fiscale di un investimento

Si consideri un investimento caratterizzato da:


fatturato incrementa le: 1.000.000.000
costi monetari incrementali: 900.000.000
ammortamenti incrementali: 200.000.000
t: 50%

e se ne valuti il NCF nelle due ipotesi:

A: utile dell'impresa= 400.000.000


B: utile dell'impresa= -100.000.000

CasoA CasoB

fatturato i ncr. - 1.000.000.000 fatturato incr. - 1.000.000.000


costi mo net. incr. = 900.000.000 costi mo net. i ncr. = 900.000.000
imposte incr. - -50.000.000 imposte i ncr. - o

NCF 150.000.000 NCF 100.000.000

Il valore del NCF coincide con quello otte- La presenza di perdite (-100 milioni) non
nibile dalla (18.7), poiché l'impresa aveva consente di sfruttare lo scudo fìscale de-
un utile positivo che consente di sfruttare gli ammortamenti. Il valore ottenuto dif-
integralmente lo scudo fìscale degli am- ferisce quindi da quello che si sarebbe ri-
mortamenti. cavato applicando la (18.7).

' ,

6. E bene ricordare che nel caso l'effetto di scudo fiscale non possa essere interamente utilizzato
in un singolo esercizio, esso può comunque venire trasformato in credito di imposta. È possi-
bile utilizzare tale credito d'imposta per bilanciare utili relativi ai successivi cinque esercizi.
Come conseguenza, si potrà quindi avere la perdita di una parte dei vantaggi potenziali dello
scudo fiscale (nel caso di perdite eccessive e prolungate nel tempo) o comunque uno sfasa-
mento temporale di tali vantaggi.
18. La metrica dei net cash flow I 513
18.3.2 Plusvalenze e minusvalenze

Le plusvalenze (e le minusvalenze) si manifestano nel caso di operazioni di di-


sinvestimento (relative, in particolare, a im1nobilizzazioni materiali), in cui il
valore di realizzo del bene sia superiore (inferiore) rispetto al valore a cui
questo è iscritto nello stato patrimoniale.
Anche nel caso della plusvalenza (e della minusvalenza), l'effetto sui NCF è
diverso a seconda che si ragioni al netto o al lordo delle imposte. Specifica-
mente, se si opera al lordo delle imposte, il flusso finanziario generato dal di-
sinvestimento è determinato dal valore di realizzo del bene. È tale valore,
quindi, che deve essere incorporato nei NCF.
Se si opera al netto delle imposte, invece, il valore di realizzo deve essere
corretto per tenere conto delle imposte incrementali dovute alla plusva-
lenza 7.
Si ha 8 :

NCF = valore di realizzo - imposte incrementali=


= valore di realizzo - (valore di realizzo -valore di bilancio) • f =
= valore di realizzo• ( I - f) + valore di bilancio • f ( 18.8)

18.3.3 Il tasso di attualizzazione

La scelta di operare al lordo o al netto delle imposte dovrà trovare una corri-
spondenza nella definizione del tasso a cui vengono attualizzati i NCF. In par-
ticolare, se i NCF vengono calcolati al netto dell'effetto fiscale, anche il tasso
di attualizzazione dqvrà essere corretto 9 .

18.4 Le modalità di finanziamento

Nelle considerazioni precedenti si è sempre fatto riferimento ai NCF operati-


vi. In questo paragrafo si vuole affrontare, in termini molto sintetici, il proble-
ma del modo in cui l'investimento è finanziato. Ovviamente, prescinde dagli
obiettivi di questo testo un'analisi comparativa delle diverse forme di finanzia-

7. Nel caso di minusvalenza, si ha una riduzione di carico fiscale.


8. In modo del tutto analogo a quanto visto per lo scudo fiscale degli ammortamenti, anche la
(18.8) misura esattamente l'impatto del disinvestimento sul NCF solo ~n presenza di utili posi-
tivi.
9. La correzione del costo del capitale deve tenere conto dell'aliquota fiscale dell'impresa, del-
l'aliquota fiscale dell'azionista e degli eventuali crediti di imposta. Su questo tema, cfr. Brealey,
Myers e Marcus (1995).
514 J I SISTEMI DI DECISIONE
I

mento. Qui ci si propone semplicemente di comprendere, una volta decisa la


modalità di finanziamento, le implicazioni di tale scelta in fase di valutazione.
In questo ambito, è possibile fare riferimento a due differenti logiche, la /,0-
gi,cadel capitak praprio (figura 18.1) e la logi,cadel capitak investito (figura 18.2).
La logica del capitale proprio analizza l'investimento dal punto di vista del-
1'azionista.
In questo senso, tutti i flussi tra l'impresa e gli istituti di credito rappresen-
tano effettivi flussi finanziari per l'azionista.
Più specificamente:
• se viene contratto un debito finanziario, questo costituisce un flusso fi-
nanziario positivo per l'azionista;
• la restituzione di un debito finanziario rappresenta un flusso di cassa ne-
gativo per l'azionista;
• il pagamento di oneri finanziari dà luogo a un flusso di cassa negativo
per gli azionisti.

F, e u RA l 8. l - La logica del capitale proprio


Istituti di credito

Restituzione t
prestiti

Oneri ,
fìnanziari 1
CF(t)
, I
,, ..'sistema ......... I
, ,, analizzato ,' I
I '
I
I \

I
I I '

I
Investi mento Erogazione
I Impresa
\
\
prestiti
\

'' ,
'' ,;
;
' ' ... , ;

I (t)

----------

Complessivamente, quindi, indicando con CF0 (t) e I0 (t) i valori "operativi"


del cashflow e dell'investimento, cui si è fatto riferimento finora, i cor1ispon-
denti valori in presenza di indebitamento, secondo la logica dell'azionista, di-
ventano:

CF( t) = CFO ( t) - oneri finanziari (t);


I(t) = I0 (t) -variazione di indebitamento.
18. La metrica dei net cash flow I 515

I NCF così determinati rappresentano i flussi di cassa netti generati dall'in-


vestimento all'azionista. Tali flussi di cassa devono, per coerenza, essere scon-
tati a un tasso barriera pari al costo del capitale per l'azionista.
la wgi,cadel capitaieinvestitoconsidera invece tutti i finanziatori (azionisti e
terzi) come parte di uno stesso sistema (figura 18.2); essa si propone quindi di
determinare quanto valore il progetto di investimento crei per l'insieme dei
finanziatori. Di conseguenza, i flussi finanziari tra azionisti e istituti di credito
(debiti e oneri) non devono essere presi in considerazione, poiché i loro ef-
fetti sono "interni" al sistema dei finanziatori; ciò che conta sono solamente i
flussi tra questo e il mondo esterno.

F I e u RA 18.2 - La logica del capitale investito

......
.. ..
Istituti di credito ''
''
, ''
Restituzione ''
' Sistema A ''
prestiti
, ,' analizzato I ' \
I \
\
I

I
Oneri
''
I
' I
' CF(t) finanziari I
'
I'
I
I I
I I
I I
I
I '
'' I
I
I

' I
Erogazione I
I

I
\ Investimento prestiti ,I
I

,
, ,,
,,
,,
,,
,'

-------------- ---------

La logica del capitale investito utilizza quindi come NCF dell'investimento i


NCF operativi; questi serviranno per remunerare tutti i finanziatori, siano essi
azionisti o terzi.
I NCF dovranno perciò essere scontati a un costo del capitale calcolato co-
me media pesata tra il costo del capitale proprio e il costo del capitale di terzi;
i pesi rappresentano la frazione di investimento finanziata dalle due forme di
capitale:

(18.9)
516 I I SISTEMI DI DECISIONE

dove:
D = finanziamento di'terzi;
E= finanziamento tramite capitale proprio;
k 0 = costo del capitale di terzi;
kE= costo del capitale proprio.

Se H E MA 18.4 - Logica del capitale proprio e del capitale investito:


un esempio

Si consideri un investimento che richiede un capitale fisso pari a 1.000.000.000 e ha


cashjlowoperativi annui pari a 500.000.000 e vita utile di 5 anni. ~investimento è fi-
nanziato per il 60% tramite capitale proprio, per la parte restante tramite un mutuo
quinquennale, con un interesse annuo del 10% e restituzione del capitale dopo 5 an-
ni. Costo del capitale proprio: 20%.

Anno NCF secondola logica NCF secondola logica


del capitaleproprio del capitaleinvestito

o - 1.000.000.000 + -1.000.000.000
400.000.000 -
- 600.000.000

1 500.000.000 - 500.000.000
40.000.000 -
460.000.000

2 460.000.000 500.000.000

3 460.000.000 500.000.000

4 460.000.000 500.000.000

5 460.000.000 - 500.000.000
400.000.000 -
60.000.000

Costodel capitale k = o,6 · 0,2 + 0,4 · o, 1 = o, 16


I 8. La metrica dei net cash flow I 51 7

18.5 Considerazioni di sintesi

Le considerazioni precedenti hanno evidenziato alcune "regole" da adottare


nel calcolo dei NCF. Una di queste regole, quella relativa ai costi affondati, è
'Vincolante", deve cioè essere seguita obbligatoriamente per arrivare a una
misura corretta. Le scelte relative agli aspetti fiscali e a quelli finanziari, inve-
ce, definiscono modi alternativi di valutare l'investimento.
In particolare, combinando l'aspetto fiscale e quello finanziario, è possibi-
le individuare quattro differenti logiche che possono essere seguite in fase di
valutazione dell'investimento (tabella 18.1). Tutte queste logiche sono formal-
mente corrette; tuttavia, è possibile individuare alcuni problemi specifici in
cui l'applicazione di ciascuna di esse appare maggiormente significativa.
La valutazione rispetto all'azionista e al netto delle imposte rappresenta, in
questo senso, la scelta concettualmente più corretta; l'obi~ttivo economico
dell'impresa è infatti la creazione di valore economico per l'azionista, al netto
di quanto dovrà essere fornito ai finanziatori esterni e allo Sstato.
Tuttavia, questo tipo di valutazione risulta anche più complessa rispetto al-
le altre alternative. Infatti, richiede che siano determinati puntualmente gli
effetti dell'investimento sulle imposte e sugli oneri finanziari. In realtà:
• le imposte ..associate" all'investimento dipendono dall'utile complessivo
dell'impresa. Quindi, la possibilità di utilizzare o meno interamente lo
scudo fiscale è legata all'insierne delle scelte di investimento e delle atti-
vità operative dell'impresa ed è n1olto difficile isolare l'effetto fiscale di
un singolo progetto;
• gli oneri finanziari dipendono dalla politica di finanziamento dell'im-
presa nel suo complesso; è in generale difficile, almeno per investimenti
"in piccolo", determinare esattamente la composizione del capitale ne-
cessario per l'investimento e le relative condizioni del debito.

Questi problemi sono attenuati in presenza di investimenti "in grande". Al


limite, nell'acquisizione di un 'intera impresa, possono correttamente essere

TABELLA 18. l - Le logiche di analisi degli investimenti

Aspettofiscale

Al lordo delle imposte Al netto delle imposte

Capitale Investimenti "in grande"


proprio (acquisizione di nuove business unit)
Aspetto
finanziario Capitale Investimenti marginali
investito (sostituzione di impianti)
518 I I SISTEMI DI DECISIONE

definiti uno stato patrimoniale e un conto economico prospettic __ o, che con-


sentono di isolare gl\ aspetti fiscali e finanziari relativi al progetto. E per tali in-
vestimenti, quindi, che la logica del capitale proprio, al netto delle imposte,
trova il suo ambito di applicazione più adeguato.
Al contrario, per investimenti "marginali", di dimensioni contenute e che
hanno effetto su una parte limitata dell'impresa, chi analizza l'investimento
conosce al più il costo medio del capitale, derivante dalla politica complessiva
di finanziamento. Sarà del tutto naturale, in questi casi, operare al lordo delle
imposte e secondo la logica del capitale investito.
Una terza alternativa, che trova applicazione abbastanza frequentemente
nella pratica, si basa sul capitale investito ma al netto delle imposte. In pratica,
si ritiene di poter contabilizzare gli effetti fiscali legati all'investimento corret-
tamente, ~a di non disporre di informazioni adeguate dal punto di vista fi-
nanziario. E una soluzione spesso ragionevole, almeno quando si ritenga che
l'impresa abbia utili sufficienti per poter sfruttare lo scudo fiscale degli am-
mortamenti relativi a tutti i nuovi investimenti che saranno realizzati nel corso
dell'anno. In caso contratio, si rischia di introdurre qualche in1precisione nel-
la valutazione (cfr. paragrafo18.3).
Molto raro, infine, è il ricorso a una valutazione secondo la logica del capi-
tale proprio al lordo dell'effetto fiscale.
19 I criteri di decisione

Con "criteri di decisione" si indicano i diversi criteri che possono essere adot-
tati per decidere:
• se accettare o meno un investimento;
• quale scegliere tra investimenti tra loro mutuamente esclusivi.
Il capitolo affronterà separatamente i criteri di valutazione di tipo "determini-
stico" e quelli di carattere "stocastico".
Il termine "deterministico" merita di essere chiarito, poiché normalmente
si associa al concetto di determinismo quello di "evento certo", ed è di fatto
estremamente raro che si possano ritenere certe le conseguenze di un investi-
mento, destinato a influenzare i risultati di un'impresa per 3, 5 o 10 anni. Con
"'investimenti deterministici", si definiscono in realtà investimenti per i quali
valgano le seguenti ipotesi:
• gli investimenti analizzati sono caratterizzati tutti da un livello di rischio
comparabile; di conseguenza, è ragionevole confrontarli sulla base dei so-
li valori attesi dei NCF; non ha invece senso utilizzare i criteri di tipo de-
terministico per confrontare investimenti con un livello di rischio molto
diverso tra di loro (ad esempio: un investimento in ricerca e sviluppo di
base e un investimento nella sostituzione di una macchina utensile);
• gli investimenti analizzati non modificano la posizione di rischio dell'im-
presa nel suo complesso; si tratta, in altri termini, di investimenti "margi-
nali"1.

1. Il problema della marginalità dell'investimento è un problema di tipo relativo e fa riferi-


mento al rapporto tra l'investi~ento e l'impresa nel suo complesso. Il problema verrà me-
glio chiarito nel paragrafo 19.4.
520 I I SISTEMI DI DECISIONE

Ai criteri di tipo deterministico il primo para-


è dedicato, in particolare,
grafo del capitolo, in cui si presentano i principali criteri impiegati nella prati-
ca, discutendone 1ecaratteristiche distintive ( 19.1). La seconda parte del capi-
tolo affronta invece i criteri utilizzati per investimenti non deterministici, dap-
prima analizzando in generale il problema del rischio ( 19.2), quindi ap-
profondendo gli approcci pseudodeterministici ( 19.3) e quelli stocastici
(19.4).

, g., I criteri determini stie i

I criteri di valutazione degli investimenti di tipo deterministico assumono


che:
• i NCF annui degli investimenti coincidano con i relativi valori attesi;
• il tasso di attualizzazione sia quello che un investitore richiede in corri-
spondenza a un livello di rischio pari a quello dell'impresa nel suo com-
plesso (per ipotesi inalterato, che venga realizzato o meno l'investimento).

I criteri di valutazione degli investimenti deterministici si possono suddivi-


dere sostanzialmente in due categorie:
• i criteri discounted cashflow (DCF), in cui si tiene conto della distribuzione
temporale dei NCF, attraverso la loro attualizzazione al momento della
decisione (cfr. appendice III 1); rientrano in questa categoria il net present
value (NPV), l'internal rate of return (IRR), il profitability index (PI), il pay
back attualizzatif;
• i criteri non discounted cashflow ( non DCF), in cui non si tiene conto della
distribuzione temporale dei NCF; tra i più utilizzati vi sono il pay back e il
ROL

I criteri DCF appaiono in generale dominanti rispetto ai criteri non DCF; è


infatti scorretto non tenere conto della distribuzione temporale dei NCF in
decisioni di lungo periodo. Tuttavia, poiché sono ancora utilizzati frequente-
mente nella pratica, nel seguito si riassumeranno anche i punti di forza e di
debolezza specifici dei principali criteri non DCF.

2. Nella pratica, spesso questi criteri vengono definiti ir1 modo differente. L'analisi recente
più completa su questo tema è quella di Remer ( 1995), che censisce una trentina di criteri
di valutazione differenti. Le diverse soluzioni, tuttavia, sono in generale identificabili come
adattamenti, a volte solo terminologici, degli indici presentati in questo capitolo.
19. I criteri di decisione I 521

19.1.1 Il net present value

11 net present value (NPV) o val.oreattuale netto (VAN) consiste semplicemente


nella somma algebrica dei NCF associati all'investimento, attualizzati. La for-
mula compatta per esprimere il NPV di un investimento, la cui vita utile è pa-
ri a T anni, è:

NPV = i NCF(t)
( 19.1)
t=O (1 + k)l

La (19.1) può essere espressa in una forma più esplicita (ma equivalente)
nel caso l'investimento (I) sia interamente concentrato all'istante iniziale e
abbia un valore terminale (VT) diverso da zero:

NPV = f CF(t) +
\T
T -I (19.2)
t=I(l+k)l ( 1 + k) T

Il NPV è quindi un criterio di valutazione di tipo assoluto, che misura l'au-


mento di valore economico dell'impresa associato all'investimento; esso rap-
presenta il criterio di valutazione più naturale per un investimento reale. Nel
seguito, quindi, le caratteristiche degli altri criteri saranno analizzate in termi-
ni comparativi con il NPV.
Il significato economico del NPV si può derivare immediatamente dalla
sua definizione: di fatto, esso rappresenta il valore che ha, per l'impresa, la
possibilità di realizzare l'investimento. Quindi, fare un investimento con
un NPV pari a 100.000.000 è per l'impresa del tutto equivalente a ottenere
100.000.000 in contanti. Dalla definizione, si possono anche ricavare le
condizioni relative all'accettazione o meno di un investimento. In partico-
lare:

• un singolo investimento viene accettato se aumenta il valore economico


dell'impresa, owero se:

NPV>0 (19.3)

• tra più investimenti alternativi, verrà scelto quello che aumenta mag-
giormente il valore economico dell'impresa, quindi quello con NPV
supenore.

Si osservi che il calcolo dei NPV di un investimento richiede che sia defini-
to a priori il tasso di attualizzazione, senza il quale il criterio non è utilizzabile.
522 I I SISTEMI DI DECISIONE

19.1.2 Il profitabilityindex

Il profitabilityindex (PI) o indice di profittabilitàè un indicatore di carattere rela-


tivo, definito come rapporto tra il valore, attualizzato, dei cashflow generati
dall'investimento e' il valore attualizzato delle somme investite:

f CF(t)
t=o(l+k)t
Pl=---- (19.4)
f_I(_t)_
t=o(l+k)t

Di fatto, tra NPV e PI esiste una relazione molto stretta; infatti, il NPV rappre-
senta una differenza tra due termini il cui rapporto definisce il PI. Questa re-
lazione-consente immediatamente di esprimere la condizione di soglia per
l'accettazione di investimenti con il PI. Si ha:

l NCF(t) + l(t)
t=o ( 1 + k) t NPV
PI= - +1 (19.5)
T
T
I(t) l(t)
I I
t=O (1 + k) t t =o ( 1 + k) t

Di conseguenza, la condizione NPV > O è equivalente alla condizione


PI > 1, che rappresenta la condizione per accettare un investimento secondo
il criterio del PI. Nel caso di investimenti tra loro alternativi, il PI suggerisce di
selezionare l'alternativa cui corrisponde il PI superiore.

Relazioni e contrasti tra PI e NPV


La (19.5) chiarisce come tra NPV e PI non possano emergere contrasti in fase
di selezione di un singolo progetto di investimento. Infatti, se l'investimento
deve essere accettato secondo il NPV (NPV > O), si arriva alla medesima con-
clusione adottando il PI (PI > 1), e viceversa.
Possono sorgere invece differenze nell'ordinamento che i due criteri dan-
no di un insieme di investimenti tra loro alternativi. I problemi possono na-
scere, più specificamente, in presenza di investimenti caratterizzati da una dif-
ferente "dimensione" 3 ; in questo caso, il NPV, che è un criterio assoluto, ten-
de a privilegiare gli investimenti di maggiori dimensioni, contrariamente al
PI, che è un criterio di tipo relativo.

3. Con dimensione si intende, qui e nel seguito, l'entità'del capitale investito.


19. I criteri di decisione I 523

Per risolvere questo tipo di contrasto, è opportuno distinguere due diverse


sin1azioni:
• la mancanza di vincoli di budget;
• la presenza di vincoli di budget.

In mancanza di vincoli di budget, la scelta di uno qualsiasi degli investimenti


alternativi non influenza le possibilità future di investimento dell'impresa. Di
conseguenza, deve essere privilegiato l'investi1nento che ha un NPV superio-
re; infatti, tale investimento aumenta in misura maggiore il valore economico
dell'impresa, senza per questo avere alcun altro effetto incrementale rispetto
agli investimenti non selezionati (cfr. schema 19.1).

Se H E MA 19.1 - La risoluzione dei contrasti tra N PV e PI

Un'impresa deve confrontare due investimenti mutuamente esclusivi, A e B, nei


due casi di: assenza di vincoli di budget; limite di budget pari a 2 miliardi. L'inve-
stimento A è caratterizzato da: CF attualizzati = 1.450.000.000, I attualizzati =
1.000.000.000. L'investimento B è caratterizzato da: CF attualizzati =
1.200.000.000, I attualizzati = 800.000.000. Oltre ai due investimenti, l'impresa
può investire in un investimento C, caratterizzato da: CF attualizzati =
1.200.000.000, I attualizzati = 1.100.000.000

Assenzadi vincolidi budget Presenzadi vincolidi budget

Sono possibili 2 portafogli: Sono possibili 2 portafogli:

A+C A
B+C B+C

Il portafoglio A+ C ha un NPV pari a 11 portafoglio A ha un N PV pari a


550.000.000; il portafoglio B + C ha 450.000.000; il portafoglio B + C ha
un N PV pari a 500.000.000. un N PV pari a 500.000.000.

Si deve quindi selezionare il portafo- Si deve quindi selezionare il portafo-


glio A+ C; questo risultato coincide (e glio B + C; nel particolare caso in og-
ciò vale in generale) con quello che si getto, questo risultato coincide con
sarebbe ottenuto scegliendo diretta- quello che si sarebbe ottenuto sce-
mente, tra A e B, l'investimento con gliendo direttamente, tra A e B, l'inve-
N PV superiore. stimento con PI superiore.
524 I I SISTEMI DI DECISIONE

Al contrario, in presenza di vincoli di budget,la scelta di un investimento di


din1ensioni maggiori, impegnando una quantità superiore di capitale, può
vincolare le scelte future dell'impresa. In questo caso, se si ha una perfetta
informazione riguardo al futuro, è opportuno scegliere il portafoglio compl,es-
sivo di investimenti caratterizzato dal NPV superiore. L'ipotesi di una perfetta
visibilità del futuro appare tuttavia normalmente irragionevole nel caso de-
gli investimenti reali, che derivano da opportunità che possono manifestarsi
con continuità nel tempo. In condizioni di incertezza sulle ulteriori oppor-
tunità di investimento dell'impresa, può essere preferibile scegliere gli inve-
stimenti con PI superiore; in tal modo si tende a ottimizzare il "rendimento
per unità di capitale impiegato". Questo approccio non dà alcuna garanzia
di ottimalità; tuttavia, costituisce una soluzione euristica che porta in gene-
rale a risultati migliori rispetto a quella di privilegiare gli investimenti con
un NPV più elevato 4 .

19.1.3 L'internal rate of return

L'internal rate of return (IRR), o tassointerno di rendimento (TIR), viene definito


come il tasso di attualizzazione che rende uguale a zero il NPV di un investi-
mento.
Si ha, quindi:

f NCF(t) = O (19.6)
t=O (1 + IRR)l

La (19.4) è un'equazione polinomiale di ordine T; per il teorema fonda-


mentale dell'algebra, essa ammette quindi T soluzioni, distinte o coincidenti,
reali o complesse. In termini economici, l'IRR ha un significato solo quando
venga univocamente definito, quando cioè la (19.6) ammetta una sola solu-
zione reale positiva. Se, al contrario, il profilo del NPV in funzione del tasso di
attualizzazione assume un andamento quale quello di figura 19.1, l'IRR perde
significato; in tal caso diviene quindi preferibile ricorrere a criteri differenti.
Il teorema di Cartesio fornisce una condizione sufficiente per l'impiego
dell'IRR: se i coefficienti del polinomio ( 19.6) presentano un solo cambia-
mento di segno, vi è la garanzia che a tale polinomio corrisponda una sola ra-
dice reale positiva. In termini economici, poiché normalmente il NCF del-

4. Per approfondire il confronto tra NPV e PI in presenza di vincoli di budget, cfr. White e
Smith ( 1986). Il lavoro paragona, attraverso tecniche di simulazione, la "qualità" dei por-
tafogli selezionati in base a diversi criteri di valutazione· degli investimenti.
19. I criteri di decisione I 525

l'anno iniziale dell'investimento è negativo, questo equivale ad assumere che i


NCF negativi siano tutti concentrati nei primi anni di vita dell'investimento e
che dal momen~o in cui si manifesta un NCF positivo non se ne verifichi più
alcuno negativo=>.

FIGURA 19.l - Il profilo del NPV in presenza di più IRR reali positivi

NPV(k)

Se si adotta il criterio dell'IRR, il criterio di decisione diventa:


• nel caso di un singolo progetto di investimento, l'investimento verrà ac-
cettato se il suo rendimento interno è almeno pari al costo del capitale 6 :

IRR>k (19. 7)

• nel caso di investimenti alternativi, verrà selezionato l'investimento con


IRR superiore.
Si osservi che in presenza di investi_menti obbligati,il criterio dell'IRR può es-
sere applicato anche senza conoscere il tasso di attualizzazione dell'impresa.

5. Esistono anche altre condizioni sufficienti meno restrittive di quella derivata dal teorema
di Cartesio. Per una analisi del problema, cfr. Bernhard ( 1977), Bernhard e Norstrom
(1980). È opportuno sottolineare, comunque, che l'uso di spreadsheet,che consentono age-
volmente di rappresentare graficamente l'andamento della funzione NPV(k), ha reso que-
ste regole molto meno importanti che in passato: è sufficiente, ogni volta che si abbia il
dubbio della possibilità di più intersezioni, poiché viene violata la regola di Cartesio, dia-
grammare la funzione NPV(k) per verificare l'eventuale esistenza di più punti di interse-
zione.
6. Da qui, il costo del capitale viene spesso indicato come "tasso barriera".
526 I I SISTEMI DI DECISIONE

Il significato economico
L'IRRrappresenta, in termini economici, il rendimento percentuale del capi-
tale "ancora immagazzinato" nell'investimento. In altri termini (schema 19.2),
se si assume che, ogni,anno, l'eventuale rendimento eccedente IRR rappre-
senti una sorta di "rimborso", vada cioè a ridurre il capitale impegnato nel-
l'investimento, l'insieme dei NCF dell'investimento consentirà una remune-
razione pari a IRR sul capitale immagazzinato.
L'IRR si presenta quindi come un rendimento percentuale "intrinseco"
dell'investimento e come tale è facilmente comprensibile dai potenziali inve-
stitori, che sono in grado di comparare tale tasso con quello che caratterizza
investimenti alternativi (obbligazioni, titoli di stato).
Contrariamente al NPV, inoltre, è un criterio di tipo relativo, non tiene
cioè conto della dimensione assoluta dell'investimento.

ScH EMA 19.2 - Il significato economico dell'IRR

Si consideri un investimento, la cui vita utile è 4 anni, caratterizzato dai seguenti


NCF (in milioni di€): anno o, -1000; anno 1,300; anno 2, 280; anno 3, 260; anno
4,440. Applicando la (19.6) si ricava che l'IRR dell'investimento è pari al 10%. Ta-
le valore corrisponde alla remunerazione annua sul capitale ancora immagazzina-
to nell'investimento, come si evidenzia nella tabella seguente.

Anno Capitaleiniziale 10% sul capitaleiniziale NCF Capitalerestituito Capitalefinale

o o o -1000 o 1000
1 1000 100 300 200 800
2 800 80 280 200 600
3 600 60 260 200 400
4 400 40 440 400 o

Relazioni e contrasti tra NPV e IRR


Analisi di un investimento non obbligato
Se un'impresa sta analizzando un singolo progetto di investimento, non ob-
bligato, NPV e IRR danno valutazioni concordi del progetto, almeno quando
esiste un unico valore di IRR reale e positivo per l'investimento. In tal caso,
infatti, il profilo nel NPV dell'investimento, in funzione del tasso di attualizza-
zione k, assume un andamento quale quello di figura 19. 2.
Il criterio del NPV spingerà ad accettare l'investin1ento se e solo se questo
avrà un NPV positivo, cioè se il costo del capitale dell'impresa sarà a sinistra
19. I criteri di decisione I 527

del punto di intersezione della funzione NPV(k) con l'asse delle ascisse; que-
sta condizione può essere espressa con1e:
k<IRR
che coincide con la condizione che deve essere rispettata per accettare l'inve-
stimento secondo il criterio dell'IRR.

F1c u RA 19.2 - La funzione NPV(k) e le relazioniNPV/IRR per un singolo


investimento

NPV(k)

Il ronfronto tra investimenti mutuamente esclusivi


Tra NPV e IRR possono invece na~cere contrasti in fase di ordinamento di un
set di investimenti mutuamente esclusivi; graficamente, il contrasto viene evi-
denziato in figura 19.3: se il tasso di attualizzazione dell'impresa è inferiore al-
l'ascissa del punto di intersezione delle due funzioni NPV 1 (k) e NPV 2 (k)
(punto di Fischer),NPV porta a scegliere l'investimento 1, mentre IRR preferi-
sce l'investimento 2.
Per comprendere i motivi "economici" di questi contrasti, può essere utile
fare riferimento all'espressione analitica del NPV in funzione di IRR. A tal fi-
ne, è opportuno introdurre i seguenti te'rmini 7:
t

V'P(t) =-I NCF(T)


T=O

T-1 V (t)
VPG=I_'P_
t=O (1 + k)t

7. Nel seguito, si assume che l'investimento sia finanziato interamente attraverso capitale
proprio. Le considerazioni successive possono tuttavia essere estese semplicemente al caso
di investimento finanziato in parte con capitale di terzi.
528 j I SISTEMI DI DECISIONE

FIGURA 19.3 - I contrasti tra NPVe IRR

NPV(k)

IRR2

Punto k
di Fischer

V'P(t) (capital,eimpiegato all'anno t) indica il capitale ancora impegnato all'in-


terno dell'investimento. All'anno O, coincide con l'investimento iniziale, suc-
cessivamente, diminuisce grazie all'afflusso di NCF positivi.
VPG ( valoregwbal,edell,erisorse)definisce invece il valore, per l'azionista, del-
le risorse complessivamente utilizzate nel corso dell'investimento. Due investi-
menti, caratterizzati dalla stessa esigenza iniziale di capitale, possono differire
in modo sostanziale in termini di capitale impiegato, in funzione della diffe-
rente rapidità di ritorno.
La relazione tra NPV e IRR può essere a questo punto espressa come 8 :

T-1
I V'P(t) ( 1 + IRR) T - t
IRR t= o k
NPV=VPG• (19.8)
1 +IRR
T-1
l+k
I V'P(t)(l+k)T-t
t= o

La condizione "limite" perché esista contrasto è che due investimenti, con


uguale IRR, abbiano NPV differenti. La ( 19.8) evidenzia tre possibili motivi di
contrasto:
• una differente dimensionedell'investimento, che incide sul termine VPG;
al crescere dell'investimento iniziale, VPG aumenta; poiché VPG non di-
pende da IRR ed è direttamente proporzionale a NPV, si ricava imme-
diatamente che investimenti con ugual valore di IRR avranno un NPV
tanto superiore quanto maggiore è la dimensionedel capitale impiegato;

8. Per una dimostrazione analitica della (19.8), cfr. Bertelè (1991).


19. I criteri di decisione I 529

• una differente di.stribuzionetempora/,e dei ritorni. Il capitale impiegato nel-


l'investimento con ritorni più rapidi tenderà rapidamente a ridursi. Ciò
porta a deprimere, a parità di IRR e delle altre caratteristiche dell'inve-
stimento, il valore del NPV. Infatti:
• VPG diminuisce, con una ripercussione diretta sul NPV;
• i V'P(t) relativi ai primi anni diminuiscono."11 termine tra parentesi nella
( 19.8) subisce quindi una riduzione che si ripercuote sul valore comples-
sivo di NPv9.
Di conseguenza, NPV tenderà a privilegiare investimenti con ritorni dilazio-
nati nel tempo;
• una differente vita utile.Al crescere della vita utile dell'investimento, au-
menta il valore del termine T nella (19.8) e, di conseguenza, il NPV 10•

La soluzionedei contrasti
La soluzione dei contrasti tra NPV e IRR avviene secondo modalità diverse, in
funzione delle relative motivazioni "economiche". Nel seguito, si analizzano
separatamente, quindi, i casi di:
• diversa distribuzione temporale dei ritorni;
• diversa vita utile;
• diversa dimensione.
assumendo, in ciascuno di essi, che le altre due caratteristiche dell'investi-
mento non siano differenziali tra le soluzioni alternative.

Investimenti con differenli'di.stribuzionetemporaledei, ritorni


Nel caso di diversa distribuzione temporale dei ritorni, il contrasto tra NPV e
IRR nasce dalle diverse ipotesi adottate implicitamente nei due metodi sulla
possibilità di reinvestire i flussi di cassa generati dagli investimenti. Il NPV, in
particolare, assume che il reinvestimento awenga a un tasso pari al costo del
capitale, k. L'IRR,invece, ipotizza che i NCF generati dall'investimento possa-
no essere reinvestiti al tasso IRR; poiché in generale, per investimenti accetta-
bili, IRR è maggiore di k, il criterio dell'IRR tende a stimare maggiormente le
opportunità di reinvestimento, privilegiando quindi ritorni rapidi nel tempo.
La soluzione del conflitto avviene ~splicitando il motivo di contrasto, defi-
nendo cioè l'effettivo tasso di reinvestimento (j). Sulla base di tale tasso, è pos-

9. Il rapporto tra le due medie pesate dei capitali impiegati nei diversi anni, che caratterizza
il termine tra parentesi nella ( 19.8), è caratterizzato dagli stessi addendi, pesati però in
modo differente. Per investimenti che creano valore economico (IRR > k), i pesi dei ter-
mini a numeratori sono superiori; la differenza, in particolare cresce esponenzialmente
con la distanza che esiste tra il generico periodo te il termine dell'investimento; gli istanti
iniziali dell'investimento contribuiscono quindi in misura sensibilmente superiore a deter-
minare il valore complessivo del rapporto.
10. In termini analitici, questo effetto è del tutto equivalente a quello di una differente distri-
buzione temporale dei ritorni.
530 j I SISTEMI DI DECISIONE

sibile introdurre due,criteri alternativi, NPV e IRR*, tra cui non esiste possibi-
lità di contrasto. I due criteri vengono definiti a partire dal terminal value
(TV), che rappresenta la quantità di denaro che effettivamente i NCF genera-
ti dall'investimento renderanno disponibile all'impresa alla fine della vita uti-
le. Poiché i NCF possono essere reinvestiti al tasso j, tale somma sarà pari a 11:

T
TV = I N CF (t) . ( I +j) T - t (19.9)
t=1

Il NPV è definito come il valore presente del TV, al netto dell'investimento


iniziale:

TV
NPV=----10 (19.10)
(1 + k) T

IRR*, a sua volta, viene definito come il valore del costo del capitale k che an-
nulla NPV. Anche IRR* può essere immediatamente messo in relazione con
il terminal value.

IRR*= [ TV
Io
l
1/T -1 (19.11)

Poiché per ipotesi gli investimenti alternativi hanno la stessa vita utile (T) e la
stessa dimensione (10 ), entrambi i criteri privilegiano la soluzione caratterizza-
ta da un valore superiore di TV, fornendo così valutazioni concordi.

Investimenti con diversa vita uti/,e


Se due investimenti presentano una differente vita utile, si ha un problema so-
stanzialmente analogo al caso di diversa distribuzione temporale; l'investi-
mento con vita superiore avrà infatti ritorni maggiori dell'altro in momenti
"lontani" nel tempo. Tuttavia, la presenza di un diverso valore del parametro
T non garantisce la soluzione del contrasto attraverso NPV e IRR*.
Occorre, quindi, riportare gli investimenti alternativi alla stessa vita utile,
prima di applicare tali criteri. Operativamente, è possibile seguire due diverse
linee:

11. La (19.9) assume, di fatto, che nell'anno O abbia luogo solo l'investimento iniziale, e che
negli anni successivi i NCF siano positivi. Queste ipotesi, che consentono di semplificare la
struttura formale della (19.9) possono essere agevolmente rimosse. Cfr. Bertelè (1991).
19. I criteri di decisione I 531

• interrompere tutti gli investimenti in corrispondenza alla minima vita


utile (T min). A tal fine, agli in,·estimenti destinati a generare flussi di cas-
sa nei periodi successi\i dovrà essere associato un valore terminale pari al
valore, scontato a T nun. , dei relativi NCF·,
• prolungare tutti gli investimenti in corrispoQ.denza alla massima vita uti-
le (T max). A tal fine, do,Tanno essere individuate le opportunità di rein-
vestimento corrispondenti agli investimenti con ritorni più rapidi.

I due approcci sono formalmente corretti e, concettualmente, equivalenti;


tuttavia, è opportuno verificare se esistono dei fenomeni economici "nasco-
sti ", prima di applicare le relazioni matematiche che consentono la traslazio-
ne temporale dei NCF.
Si consideri ad esempio il caso di due iinpianti produttivi caratterizzati da
una diversa vita utile; in questo caso, la scelta dell'investimento più lungo vin-
cola l'impresa a non iinplementare una nuova tecnologia eventualmente in-
trodotta nel periodo compreso tra T min e Tmax' a meno di rinunciare a una
parte dei NCF attesi. In situazioni di questo tipo, le opportunità di reinvesti-
mento dovranno essere definite non in termini matematici (il tassodi reinvesti-
mento), ma in tennini economici (gli specifici progetti che potranno essere fi-
nanziati).

Investimenti con differente dimensioneinizialP


Nel caso di differente dimensione iniziale dell'investimento, valgono per il
contrasto tra IRR e NPV considerazioni analoghe a quelle viste per NPV e PI.
In assenza di vincoli di budget, in particolare, dovrà essere selezionato l'inve-
stimento cui corrisponde il valore più elevato di NPV, poiché tale investimen-
to rappresenta la soluzione che incrementa in misura maggiore il valore eco-
nomico dell'impresa, senza introdurre alcun vincolo supplementare rispetto
agli investimenti alternativi.
Al contrario, nel caso di vincoli di budget è corretto privilegiare il por-
tafoglio di investimenti compatibile con il vincolo e, nel contempo, caratte-
rizzato dal massimo valore di NPV. In assenza di informazioni precise sulle
opportunità di investimento alternative, infine, è preferibile scegliere gli
investimenti con IRR più alti, per motivi sostanzialmente analoghi a quan-
to visto per il PI 12.

12. Anche IRR, infatti, essendo un indice relativo, rappresenta una misura di profittabilità per
unità di capitale impiegato. In termini euristici, quindi, in presenza di vincoli di budget e in
mancanza di una conoscenia chiara delle altre opportunità di investimenti, l'ordinamento
delle diverse alternative in base a IRR porta in generale a selezionare un portafoglio di in-
vestimenti migliori di quello ottenibile in base a un ordinamento in funzione del NPV. Su
questo tema, cfr., oltre a White e Smith (1986), anche Asquith e Bethel (1995).
532 i I SISTEMI DI DECISIONE

Esistenza di più motivi di contrasto


Se gli investimenti alternativi presentano differenze significative sia nella vita
utile, che nella dimensione, che nella distribuzione dei ritorni, la soluzione
degli eventuali conflitti esistenti tra NPV e IRR avviene utilizzando, sequen-
zialmente, le diverse regole individuate in precedenza. In particolare:
• dapprima, occorre individuare i portafogli di investimenti alternativi
compatibili con gli eventuali vincoli di budget, in tal modo viene di fatto
eliminato il problema della diversa dimensione;
• successivamente, la vita utile degli investimenti viene riportata a T min o a
T max' in modo che i diversi portafogli di investimenti siano caratterizzati
dalla stessa vita utile;
• infine, ai portafogli risultanti, caratterizzati da uguale dimensione e
uguale vita utile, viene applicato il criterio del NPV, così da rimuovere
anche il problema della diversa distribuzione temporale dei ritorni.

In assenza di vincoli dì budget, la prima fase viene di fatto evitata; in questo


caso, infatti, il NPV, ottenuto dopo aver omogeneizzato la vita utile degli in-
vestimenti alternativi, evidenzia direttamente la soluzione che, tenendo conto
delle effettive opportunità di reinvestimento, incrementa in misura maggiore
il valore economico dell'impresa.

19.1.4 La funzione di ripagamento e il pay back attualizzato

La funzione di ripagamento è una funzione del tempo, che misura in ogni


istante il valore cumulato e attualizzato dei NCF generati dall'investimento,
dal momento iniziale fino all'istante considerato. Più precisamente:

FR(t) = ± NCF(-r)
T=O + k)T
(1
(19.12)

Normalmente, la funzione di ripagamento è caratterizzata da (figura 19. 4):


• un'ordinata all'origine negativa, corrispondente a un NCF inferiore a
zero nell'anno in cui viene effettuato l'investimento;
• un andamento monotono non decrescente, almeno a partire dall'i-
stante in cui il NCF diviene positivo (in assenza, di forti reinvestimenti
successivi) .
La funzione di ripagamento consente di visualizzare la liquidità dell'iniziativa
in ogni istante della vita dell'investimento; da essa~ inoltre, possono essere ri-
cavati due indicatori:
• il net present value, misurato dal valore che la funzione assume alla fine
della vita dell'investimento (T);
• il tempo di pay back attualizzato.
19. I criteri di decisione I 533
F I e u RA 19.4 - La funzione di ripagamento

FR(t)

NPV

Tempo T _ t
NCFo di pay-back

Il IR'mpodi pa)' back attualizzato


Il tempo di pa_)'back attualizzato \'iene definito come il tempo necessario per-
ché i flussi di cassa generati dall'investi111ento compensino il capitale versato,
garantendo anche all'in\'estitore la ren1unerazione richiesta. Graficamente, il
tempo di pay bark attualizzato può essere determinato come l'ascissa in cui la
funzione di ripagamento assume valore zero. Analiticamente, si ha:

PB NCF(T)
l--=o (19.13)
T=O (l+k)T

Il tempo di pay back attualizzato può essere utilizzato come criterio di valuta-
zione dell'investimento. In particolare, verranno accettati esclusivamente in-
vestimenti il cui tempo di pay back è inferiore a un valore soglia predefinito
dall'impresa. Analogamente, nel caso di investimenti mutuamente esclusivi, si
privilegerà quello caratterizzato da un tempo di pay backattualizzato inferiore.
Di fatto, è un criterio estremamente cautelativo; ci si pone il problema di rag-
giungere rapidamente un livello di risultati che sia considerato soddisfacente
dagli azionisti, trascurando tutto ciò che avviene dopo tale istante.
È abbastanza evidente che il tempo di pay back attualizzato può portare a
decisioni in contrasto con il criterio del NPV. In particolare, questo avviene
quando si confrontino investimenti "strategici", caratterizzati cioè da forti im-
missioni di capitale in fase iniziale e da tempi di attivazione piuttosto lunghi, e
investimenti di tipo marginale.
534 I I SISTEMI DI DECISIONE

Se l'investimento "strategico" è corretto, è probabile che sia destinato a ge-


nerare NCF elevati su un lungo arco di tempo (figura 19.5); tuttavia, tutto ciò
che accade dopo il momento di ripagamento non viene preso in considera-
zione dal criterio del tempo di pay back attualizzato, che tende quindi a privi-
legiare investimenti "in piccolo" 13.

FIGURA 19.5 - La funzione di ripagamento per investimenti strategici


e marginali

FR(t)

Investi mento
strategico

- - --- --- Investimento


.,.. marginale

.,.. ,,,
t

Il tempo di pay back attualizzato tende a fornire risultati maggiormente alli-


neati al NPV per investimenti a rischio "cataclismatico", ad esempio grandi
progetti in paesi a forte rischio di instabilità politica. In questo caso, poiché
esiste una bassa visibilità del futuro, è estremamente importante riuscire per
lo meno a ripagare l'investimento in tempi rapidi.
Peraltro, si fa qui riferimento a situazioni in cui il premio di rischio richie-
sto dagli investitori, quindi il costo del capitale, dovrebbe essere molto alto. Di
conseguenza, il valore attuale dei NCF lontani nel tempo, trascurati dal tem-
po di pay backattualizzato, risulta molto basso, e così il loro contributo al NPV.
Se si escludono questi casi, il criterio del tempo di pay backattualizzato con-
serva comunque una validità, come indicatore complementare rispetto al

13. Il ricorso al tempo di pay back è stato spesso considerato, agli inizi degli anni '80, uno dei
fattori che spiegano la scarsa competitività delle imprese occidentali rispetto alle imprese
giapponesi, queste ultime maggiormente attente alle implicazioni di lungo periodo delle
scelte di investimento (cfr. Hayes e Garvin, 1982).
19. I criteri di decisione I 535

NPV. Il NPV, infatti, misura la redditività dell'in1presa, il tempo di pay backat-


tualizzato la sua liquidità. Del resto, un investimento è normalmente un pro-
blema troppo complesso per essere caratterizzato integralmente da un singo-
lo indicatore; è quindi del tutto auspicabile il ricorso a più indicatori tra loro
complementari 14.

19. 1 .5 I principali criteri non DCF: tempo di pay back e ROI

I criteri non DCF si limitano a giustapporre i diversi effetti di un investimento,


senza considerarne la distribuzione temporale. Si è già detto in precedenza
che questo costituisce un .limite di tali criteri che ne sconsiglia l'utilizzo.
I due criteri più diffusi, in questa categoria, sono:
• il tempo di pay bac~
• il ROI.

Il tempodi pay ba{k


Il tempo di pay back di un investimento viene definito come il momento in cui
i ca5hflowgenerati dall'investimento coprono l'esborso iniziale:

TPB
I NCF(-r) = o (19.14)
T=O

Verranno accettati investimenti con un tempo di pay back inferiore rispet-


to a un livello di soglia predefinito dall'impresa. Il tempo di pay backpresen-
ta limiti del tutto analoghi a quelli visti per il tempo di pay back attualizzato;
ad essi si aggiunge· il fatto che, nel calcolare il punto di pareggio, non si tie-
ne in alcun modo conto della remunerazione richiesta sul capitale; di fatto,
in tal modo si sottostima il tempo necessario per il reale ripagamento del-
l'investimento.
Nonostante questi limiti, il tempo di pay backcostituisce ancora un criterio
abbastanza diffuso, anche per la sua semplicità; non richiede infatti, per esse-
re applicato, una stima del costo del capitale dell'impresa, contrariamente ai
criteri DCF (questa semplicità viene peraltro abbondantemente compensata
dal fatto che si trascura un elemento essenziale dell'investimento, il costo del
capitale appunto).
Un uso particolarmente distorto del criterio del tempo di pay backè quello
di imprese che, soprattutto in periodi difficili, accettano solo investimenti con

14. Per un'analisi molto accurata dei diversi impieghi del tempo di pay back,attualizzato o me-
no, si può fare riferimento al lavoro, completato anche da una ricca bibli9grafia, di Lefley
(1996).
536 I I SISTEMI DI DECISIONE

te1npi di pay backmolto bassi, anche inferiori all'anno. Si giustifica questo ap-
proccio assumendo che in tal modo si implementino investimenti sicuramen-
te profittevoli, per i quali gli eventuali ritorni successivi al momento del ripa-
gamento non faranno che incrementare ulteriormente la redditività dell'im-
presa. In realtà è in generale utopico pensare che esistano molti investimenti
realmente in grado di dar luogo a ritorni così rapidi; fanno eccezione al più i
casi di imprese con inefficienze così elevate da poter essere eliminate quasi
senza investire capitali.
L'adozione di tempi di pay backobiettivo molto bassi, quindi, ha effetti ine-
vitabilmente controproducenti, quali:
• il rigetto di investimenti, anche estremamente profittevoli, che non rie-
scono però a superare il vincolo imposto dall'impresa;
• la sovrastima dei benefici degli investimenti; in questo senso, chi vuole
fare approvare un investimento si limiterà a sovrastimarne i benefici,
contando, come spesso capita nelle imprese dove il pay backè il principa-
le criterio di valutazione, nell'assenza di un controllo dei risultati con-
suntivi dell'investimento.

flROI
Il ROI è un criterio, per meglio dire una classe di criteri di valutazione, che
trae origine dall'analisi di bilancio. Tra gli indici di bilancio, infatti, il ROI ( re-
turn on investment) rappresenta la misura del risultato della gestione operativa;
proprio per questo, si è adottato il ROI anche nella analisi degli investimenti
reali.
I criteri di tipo ROI si presentano come:

risultato operativo medio


(19.15)
investimento

Verranno selezionati investimenti in cui il ROI supera un valore soglia, fis-


sato normalmente dall'impresa a livello del costo del capitale; tra investimen-
ti mutuamente esclusivi si privilegerà quello con ROI maggiore.
Esistono numerose configurazioni del ROI adottate nella pratica; per limi-
tarsi alle configurazioni più frequenti:
• il risultato operativo può essere espresso attraverso:
1. il MON, margi,neoperativonetto, definito come differenza tra fatturato
e costi operativi (materiali, lavoro e ammortamenti) generati dall'in-
vestimento;
2. il MOL, margi,neoperativo lordo,ottenuto sommando al MON gli am-
mortamenti;
• l'investimento può essere misurato attraverso:
1. l'investimento iniziale;
19. I criteri di decisione I 537

2. l'investimento medio di bilancio, ottenuto come media, sulla vita uti-


le dell'investimento, della so1nma di immobilizzazioni nette e capita-
le circolante;
3. la metà dell'investin1ento iniziale, corrispondente all'investimento
medio di bilancio nell'ipotesi di an1mort:amento a rate costanti.

Combinando le soluzioni adottate per misurare il numeratore e il denomina-


tore del ROI, si arriva quindi a sei configurazioni alternative; non vi sono mo-
tivi per considerare una di tali configurazioni più corretta rispetto alle altre. È
importante però osservare come, per uno stesso investimento, i valori dei di-
versi "tipi" di ROI possano variare anche di un ordine di grandezza. È quindi
essenziale, se si vuole adottare questo tipo di criteri, definire con precisione e
in modo univoco la configurazione prescelta, così da garantir~ un confronto
coerente tra investimenti alternativi.

I limiti del ROI


I criteri di tipo ROI presentano alcuni limiti con1uni:
• si basano su valori medi di bilancio; prescindono, quindi, dalla colloca-
zione temporale dei diversi fenomeni. Si trascura così l'aspetto finanzia-
rio, essenziale, degli investimenti reali;
• sono indicatori di tipo relativo; di conseguenza, è possibile aumentare il
ROI attraverso:
1. un incremento del numeratore; occorre, in questo senso, riuscire ad
aumentare il fatturato o ridurre i costi operativi;
2. una riduzione del denominatore; è sufficiente, a tal fine, cercare di
contenere l'entità degli investimenti.
La gestionedel numeratoreè in generale coerente con l'obiettivo di creare valore
economico, ma è sicuramente più complessa della gestione del denominatore.
Normalmente, quindi, quando si adotta il ROI come criterio di analisi degli
investimenti, vengono privilegiate scelte "in piccolo", modifiche marginali
delle risorse dell'impresa, a scapito degli investimenti con carattere maggior-
mente strategico. Questo orientamento rischia di compromettere, se iterato
nel tempo, la capacità competitiva delrimpresa nel suo complesso 15.

19.2 Il problemadel rischio

Nei paragrafi precedenti sono stati analizzati i criteri di valutazione degli inve-
stimenti di tipo "deterministico", caratterizzati cioè da:

15. Sul ruolo del ROI come stimolo alle scelte "in piccolo" e orientate al breve periodo, cfr. an-
cora Hayes e Garvin ( 1982).
538 I I SISTEMI DI DECISIONE

• livelli di rischio simile;


• effetto trascurabile sulla posizione di rischio complessivo dell'impresa.

La ripartizione "tradizionale" tra investimenti di tipo "strategico" e investi-


menti di tipo "ope~ativo", cui si è fatto cenno già nella premessa, consentiva
spesso di far rientrare tra gli investimenti di tipo deterministico la maggior
parte delle decisioni di investimento reale di un'impresa. Infatti, l'analisi eco-
nomico-finanziaria dell'investimento veniva limitata agli investimenti operati-
vi, quali ad esempio la sostituzione di una tecnologia obsoleta; le alternative
di investimento avevano quindi un impatto simile, e contenuto, sul rischio
dell'impresa. Problemi quali l'innovazione di prodotto e processo o la ricerca
e sviluppo venivano invece considerati strategici e gestiti al di fuori dell'analisi
quantitativa degli investimenti.
In contesti innovativi, al contrario, le imprese si trovano frequentemente a
dover analizzare come allocare le proprie risorse finanziarie e umane tra pro-
getti con livelli di rischio estremamente differenti, quali piani di innovazione
della gamma produttiva, acquisizioni o sviluppi di nuove tecnologie, ristruttu-
razioni organizzative e informative, entrate in nuove aree di business.Di con-
seguenza, le ipotesi alla base dei criteri di valutazione di tipo deterministico
appaiono in molti casi inadeguate.

Il rischio connesso con un investimento è legato alla separazione temporale


tra il momento della decision~ (oggi) e il periodo, futuro, in cui se ne potran-
no misurare le conseguenze. E naturale che, se si analizza a consuntivo un in-
vestimento "rischioso", il relativo contributo alla creazione di valore economi-
co sarà, ancora una volta, misurato dal NPV dei NCF che l'investimento ha ge-
nerato.
In fase preventiva, però, i valori di questi NCF non sono noti con certezza;
di conseguenza, il NPV dell'investimento, che ne misura l'impatto sul valore
economico, rappresenterà una somma di variabili casuali:

NPV = f _N_C_F'_(
t_)
(19.16)
t=O (l+i)t

dove NCF' (t) è la variabile casuale che esprime il valore che il NCF assumerà
nell'anno te i è il tasso di attualizzazione riskfree.

La (19.16) consente di evidenziare tre aspetti essenziali della valutazione


degli investimenti in condizioni di rischio:
• il quadro delle informazionirichieste.La variabile casuale NPV è la somma
scontata delle variabili casuali NCF' (t'); per determinare la distribuzione
del NPV occorre quindi conoscere la distribuzione di probabilità di eia-
19. I criteri di decisione I 539

scun NCF' ( t) e la correlazione esistente tra i NCF' relativi ad anni diffe-


renti;
• il tasso di attualizzazione che viene impiegato è il tasso in assenza di ri-
schio; il rischio infatti viene incorporato in modo esplicito nei NCF', che
rappresentano delle variabili casuali; ·
• il NPV è una variabile casuale; di conseguenza, non ha più senso un cri-
terio di decisione del tipo:
NP\'> O
I diversi approcci all'analisi degli investi1nenti in condizioni di rischio si dif-
ferenziano proprio per la soluzione che viene data a quest'ultimo aspetto. Si
distingue in particolare tra: ·
• approcci pseudo deterministici,dove il NPV viene sostituito da una gran-
dezza "equivalente,. di tipo deterministico. Rientrano in questa categoria
l'equivalente certo e il ,i.skadjusted rat,e,
• approcci stocastici,dove il NPV viene trattato a tutti gli effetti come una
variabile casuale e si applicano ad esso i criteri di decisione utilizzati nor-
malmente per le va1;abili stocastiche .
..
E bene sottolineare fin d'ora che, con1e si chiarirà meglio nel seguito, gli
approcci pseudodetern1inistici sono in grado di rimuovere solo una delle ipo-
tesi adottate per gli in,·estimenti deterministici; essi consentono cioè di con-
frontare investimenti caratter-izzati da livelli di rischio differenti ma non con-
sentono di analizzare investi1nenti che modificano in modo significativo il ri-
schio cornplessivo dell'impresa. Gli approcci stocastici, più complessi, sono
applicabili anche a queste ultime situazioni.

19.3 Gli approcci pseudo-deterministici

19.3.1 L'equivalente certo (CE)

n quadrowgi,ro
Il criterio dell'equivalente certo (CE) sostituisce ai NCF' di un investimento
delle grandezze "equivalenti" (NCF"); queste ultime sono "indifferenti" per il
decisore rispetto ai NCF', ma sono "certe".
Graficamente, NCF' e NCF" possono essere rappresentati su un pianori-
schio/valore atteso (figura 19. 6), e appartengono alla stessa curva di indif-
ferenza ( cfr. appendice Il/.1). Il NCF" viene definito "equivalente certo" poi-
ché è un valore certo (ha-una deviazione standard nulla) ed è equivalente
all'effettivo NCF' per il decisore. Normalmente, l'equivalente certo viene
espresso come:
NCF' (t) =a· E(NCF' (t))
540 I I SISTEMI DI DECISIONE

dove E(NCF' (t)) indica il valore atteso del NCF' (t) e a (coefficiente di certez-
za) è un valore compreso tra O e 116. Il coefficiente di certezza viene definito
dal decisore in corrispondenza a ciascun NCF'(t), sulla base 17:
f

• delle caratteristiche dell'investimento; in particolare, per decisori awersi


al rischio, investimenti più rischiosi sono caratterizzati da valori più bassi
del coefficiente di certezza (corrispondenti a un rapporto inferiore tra
le ascisse di NCF"(t) e NCF'(t), in figura 19.6);
• della propensione al rischio del decisore; decisori maggiormente awersi
al rischio (cui corrispondono, in figura 19. 6, curve di indifferenza con
inclinazione superiore) assegnano a un investimento caratterizzato da
un dato livello di rischio un valore inferiore rispetto a decisori meno av-
versi al rischio, quindi coefficienti di certezza più bassi.

FIGURA 19.6- L'equivalente certo

Dev. std
(NCF)

NCF"
o
E (NCF)

Una volta definiti i coefficienti di certezza relativi ai singoli esercizi, e noti i va-
lori attesi dei NCF', il criterio dell'equivalente certo si esprime come:

CE = i a(t) · E(NCF(t))
(19.17)
t=O (l+i)t

16. Si fa riferimento a decisori avversi al rischio. Per un decisore-indifferente al rischio, il coef-


ficiente di certezza vale 1. Per un decisore propenso al rischio, è superiore a 1.
17. Anche le considerazioni che seguono sono riferite a decisori avversi al rischio.
19. I criteri di decisione j 541

L'equivalente certo rappresenta quindi, in termini economici, il NPV di un


investimento "deterministico" i cui NCF sono, per il decisore, equivalenti ai
NCF' dell'investimento di partenza. Il criterio di decisione diventerà perciò:

CE>O (19.18)

L 'applicazùmeoperativa
L'applicazione operativa del criterio dell'equivalente certo richiede che il de-
cisore determini, per ciascun anno di vita dell'investimento, il valore del coef-
ficiente di certezza. Ciò, oltre ad essere estremamente macchinoso, introduce
un forte elemento di soggettività nell'analisi; infatti, i diversi decisori, caratte-
rizzati da propensioni al· rischio differenti, peserebbero in modo diverso il ri-
schio connesso con uno stesso investimento. Si introdurrebbe quindi una for-
te disomogeneità che renderebbe impossibile il confronto tra investimenti
proposti da fonti differenti.
Per ovviare a questi problemi, nelle imprese che utilizzano l' equivalen_te
certo, vengono definiti, in modo centralizzato, i valori dei coefficienti di cer-
tezza da adottare per le diverse tipologie di investimento in ciascun esercizio
( tabella 19.1); per non limitare completamente il livello di discrezionalità del
decisore, che spesso è colui che meglio conosce le caratteristiche dell'investi-
mento, si forniscono talvolta delle fa5ce, all'interno delle quali determinare il
coefficiente di certezza.

TABELLA 19.l - I coefficienti di certezza: un esempio

Anno

Tipodi investimento 1-3 4-6 7-10

Ricerca e sviluppo 0,7 o,6 0,4


Nuovo prodotto o,8 0,7 o,6
Sostituzione impianto 0,9 o,8 o,8

19.3.2 Il risk adjusted rate (RAR)

Il RAR è definito come:

RAR=f E(NCFlt)) (19.19)


t=O (1 + k')l

dove k' è un tasso di attualizzazione specifico del singolo investimento. Il tasso


k' viene espresso come:
k' =i+ a+ d = k + d
542 I I SISTEMI DI DECISIONE

dove:
1 = tasso riskfree,
a = premio di rischio relativo al rischio medio dell'impresa;
d = premio di rischio specifico dell'investimento.

Il tasso a, in particolare, è sempre positivo (per un decisore awerso al ri-


schio), poiché l'impresa nel suo complesso rappresenta un investimento ri-
schioso, ed è definito in modo univoco per l'intera impresa. Al contrario, il
tasso d è specifico del singolo progetto di investimento e può essere sia positi-
vo che negativo; sarà positivo per i progetti più rischiosi della media azienda-
le, negativo per i progetti meno rischiosi della media.
In pratica, a differenza dell'equivalente certo, il RAR sintetizza interamente
il rischio al denominatore; i progetti più rischiosi vedranno penalizzato in
questo modo il valore atteso dei NCF'. In termini operativi, la definizione del
premio di rischio da associare a un investimento avviene con modalità simili a
quelle viste per il CE; vengono cioè individuate, a livello aziendale, alcune
"classi" di investimenti, a ciascuna delle quali corrisponde uno specifico pre-
mio di rischio.
La struttura del RAR risulta complessivamente equivalente a quella del
NPV "deterministico"; anch'esso analizza l'investimento in base ai valori attesi
dei NCF'. Tuttavia, esso si presta al confronto di investimenti caratterizzati da
diversi livelli di rischio, poiché il ricorso a tassi di attualizzazione differenti
consente di tener conto, nella decisione, anche del rischio associato a ciascun
investimento. La simmetria tra la struttura del NPV e quella del RAR permet-
te immediatamente di esprimere la condizione di soglia per l'accettazione di
un investimento:

RAR>O

19.3.3 RAR e CE

Può essere utile un confronto tra le caratteristiche dei due criteri di tipo pseu-
do-deterministico, RAR e CE.
L'applicazione del RAR all'analisi di un investimento reale richiede la sti-
ma di un numero inferiore di parametri. Per ogni investimento, infatti, è suf-
ficiente determinare il livello complessivo di rischio, in base al quale definire
il tasso di attualizzazione.
La minore onerosità del metodo è compensata tuttavia da una maggiore ri-
gidità. Il premio di rischio si applica infatti in modo indifferenziato in tutti gli
esercizi; poiché esso agisce sul tasso di attualizzazione, che "pesa" il valore at-
teso dei NCF in modo esponenziale nel tempo, il RAR penalizza in modo
n1olto pesante i NCF più lontani nel tempo.
19. I criteri di decisione I 543

In parte, questo appare ragionevole, poiché i NCF più lontani nel tempo
sono maggiormente incerti, quindi caratterizzati da una superiore variabilità.
Tuttavia, esistono investimenti per i quali il livello di vaiiabilità è già molto al-
to nei primi anni di vita, e tende a crescere in m?do contenuto negli esercizi
successivi. Un esempio tipico è quello di investimenti in nuovi prodotti. Tali
investimenti scontano, al momento dell'entrata del prodotto in produzione,
un forte rischio di mercato; una volta che si sia verificata l'effettiva accettazio-
ne da parte dei clienti, i NCF' tenderanno a stabilizzarsi. Per questo tipo di in-
vestimenti, è quindi preferibile adottare un criterio di valutazione del rischio
specifico per ciascun esercizio ..
In investimenti in cui il rischio non subisce una costante amplificazione nel
tempo, quindi, è opportuno ricorrere ali' equivalente certo; negli altri casi, il
RAR viene normalmente pri,ilegiato.

19.4 L'approcciostocastico

L'approccio stocastico consiste nel trattare il NPV come una variabile stocasti-
ca, alla quale devono essere a~ciati indicatori di valore atteso e indicatori di
rischio.

19.4.1 Il net present value atteso

Poiché il NPV è una variabile casuale, somma di variabili casuali, il suo valore
atteso, E (NPV), è pari alla som1na dei valori attesi delle singole variabili com-
ponenti:

- ~ E(NCFtt))
E(NPV) - ~ (19.20)
c=o (l+i)t

Per determinare il valore atteso del NPV è quindi sufficiente conoscere i va-
lori attesi dei singoli NCF'.

19.4.2 Gli indicatori di rischio

Più complessa risulta la d#eterminazione degli indicatori di rischio. ..


È opportuno, innanzi tutto, chiarire che il "rischio" di un investimento puo
assumere tre diversi significati, cui corrispondono indicatori specifici diffe-
renti:
• rischio inteso come variabilità dei risultati futuri dell'investimento;
544 j I SISTEMI DI DECISIONE

• rischio inteso come possibilità di scegliere un investimento che, a con-


suntivo, "distruggerà" valore economico;
• rischio inteso come possibilità di mettere in discussione la sopravvivenza
dell'impresa o di una sua parte.

La variabilità dei risultati dell'investimento rappresenta sostanzialmente l'ac-


cezione più tradizionale del rischio in ambito finanziario; essa fa riferimento
alla possibilità di avere risultati molto superiori o molto inferiori rispetto al va-
lore atteso. Gli indicatori associati alla variabilità dei risultati sono la deviazio-
ne standard, la varianza e il coefficiente di dispersione del NPV.
La possibilitàdi erroremisura la probabilità che l'impresa, selezionando l'in-
vestimento, si trovi a consuntivo ad avere ridotto il proprio valore economico.
La possibilità di errore è misurata dalla probabilità che il NPV dell'investi-
n1ento assuma valori inferiori a zero.
Infine, la terza accezione del rischio, forse la più significativa nell'analisi
degli investimenti reali, fa riferimento alle possibili conseguenze, per l'impre-
sa nel suo complesso, di un esito negativo dell'investimento ( worstevent). L'in-
dicatore corrispondente è il minimo valore che può essere assunto dal NPV. Il
worst event, in alcuni casi, viene approssimato dall'entità dell'investimento; in
pratica, si ipotizza che, nel caso peggiore, l'investimento non darà alcun van-
taggio all'impresa e avrà come unico effetto netto l'esborso iniziale 18. Proprio
questa logica, e l'importanza assunta dal worstevent, spiega perché spesso, nel-
le imprese di grandi dimensioni, il livello di delega sugli investimenti venga
definito attraverso l'ammontare massimo autorizzabile direttamente da cia-
scun livello organizzativo: si evita, così, che un decisore possa impegnare una
quantità tale di risorse da danneggiare in modo sensibile, in caso di esito ne-
gativo, altre unità dell'impresa.

19.4.3 La stima degli indicatoridi rischio

Per stimare gli indicatori di rischio connessi con il NPV di un investimento in


condizioni stocastiche, è necessario disporre di alcune informazioni addizio-
nali rispetto al valore atteso dei N CF'.
Nel seguito, in particolare, verranno dapprima analizzate le diverse moda-
lità che possono essere seguite per il calcolo degli indici di dispersione; suc-
cessivamente, si deriveranno alcune indicazioni relative alla probabilità di ave-
re un NPV inferiore a O e al worstevent.

18. Questo modo di procedere può essere rischioso nel caso vi sia la possibilità di successivi
reinvestimenti nel progetto, anche in assenza di ulteriori autorizzazioni; in tal caso, si po-
trebbero generare perdite anche molto superiori all'investimento iniziale.
19. I criteri di decisione I 545

fl calcolodegliindici di dispersione
I tre indicatori principali della dispersione dei risultati di un investimento so-
no la varianza, la deviazione standard e il coefficiente di dispersione del NPV.
La varianza del NPV è definita come:

a 2NPv = E [ (NPV - E(NPV) ) 2 ]

Dalla varianza si ricavano la deviazione standard:

<TNPV -- 'J'( a 2NPV )

e il coefficiente di dispersione:

<T~'PY
Cd=---
E(NPV)

Ai fini dell'analisi degli investimenti reali, l'uso di uno qualsiasi di questi indi-
catori è sostanzialmente equivalente. Le considerazioni seguenti faranno
quindi riferimento al calcolo della varianza; da essa sarà immediato ricavare,
per chi lo voglia, le altre grandezze.

La misura analitica d11gliindici di dùpmirme


In termini analitici, la varianza del NPV può essere ricavata come varianza di
una somma di variabili ca~uali, ciascuna delle quali è pari, a meno di una co-
stante (il termine relativo all'attualizzazione), al NCF' di un esercizio 19. Si ha,
quindi:

T a2 T r
<Tja k Pjk
<T2NPV = 2 t +22 2 ( 1 + i)j+k
(19.21)
t =o ( } + i) 2t J =o k =j + I

dove:
a NPV = deviazione standard del NPV;
at = deviazione standard del NCF' relativo all'anno t;
Pjk = coefficiente di correlazione lineare tra i NCF relativi agli annij e k.

Il calcolo della varianza del NPV, quindi, richiede che siano noti, accanto
alle deviazioni standard dei NCF' relativi ai singoli esercizi, anche i coefficien-
ti di correlazione lineare tra i diversi flussi di cassa. I coefficienti di correlazio-

19. Per la giustificazione delle relazioni utilizzate, si faccia riferimento a qualsiasi testo di cal-
colo delle probabilità; ad esempio, Daboni ( 1980).
546 I I SISTEMI DI DECISIONE

ne possono assumere, teoricamente, valori compresi tra -1 e 1 e indicano la


relazione "statistica" esistente tra flussi relativi a due diversi esercizi. Nel caso
di investimenti industriali, i coefficienti di correlazione lineare assumono
normalmente valori compresi tra Oe 1, a indicare che se il NCF' di un singolo
esercizio assume valori superiori alla media, aumenta la probabilità che anche
i NCF' relativi agli altri esercizi si comportino nello stesso modo 20 .
In particolare, valori tendenti a zero del coefficiente di correlazione linea-
re indicano una sostanziale indipendenza tra i NCF' relativi a due diversi eser-
cizi; al contrario, valori tendenti a 1 del coefficiente di correlazione lineare in-
dicano dipendenza quasi completa tra i due NCF'.
Nel caso i coefficienti di correlazione siano tutti noti, la ( 19.21) consente di
determinare in modo analitico la varianza del NPV; purtroppo, questa even-
tualità è normalmente abbastanza infrequente. Di conseguenza, è spesso ne-
cessario ricorrere ad approcci alternativi.

La definizionedel range di variazionedell.avarianza


In assenza di informazioni sui coefficienti di correlazione lineare, è possibile
per lo meno individuare un intervallo entro cui è compresa la varianza del
NPV, sfruttando una proprietà caratteristica delle variabili stocastiche.
In particolare, si considerino i due estremi dell'intervallo di variabilità dei
coefficienti di correlazione lineare, O e 1. Nel caso i coefficienti di correlazio-
ne siano pari a O (indipendenza tra i diversiflussi di cassa), la (19.21) diventa:

2
(J" t
(19.22)

Se, al contrario, tutti i coefficienti di correlazione vengono assunti pari a 1,


( correi.azione
positiva completa),la varianza del NPV diviene 21 :

(19.23)

I due valori così ottenuti rappresentano rispettivamente il minimo e il massi-


mo valore che possono essere assunti dalla varianza del NPV22 .

20. Coefficienti di correlazione lineare negativi indicherebbero situazioni, poco realistiche, in


cui quando l'investimento ha "successo" in un anno, aumentano le probabilità di insucces-
so negli esercizi successivi.
21. La ( 19.21) diviene infatti in questo caso l'espressione del quadrato del polinomio al secon-
do membro della (19.23).
22. Poiché i coefficienti del polinomio (19.21) sono tutti positivi, il suo valore aumenta facen-
do variare i coefficienti di correlazione lineare tra O e 1.
19. I criteri di decisione I 547

ll ricorsoall'analisi del rischio


L'analisi del rischio può essere utilizzata con successo nel caso:
• il rischio dell'investimento sia associabile a poche, ben identificate, varia-
bili (ad esempio, il fatturato di un prodotto e il costo di uno specifico fat-
tore produttivo), la cui distribuzione è discreta;
• tali variabili siano tra loro stocasticamente indipendenti 23 ;
• i NCF relativi a due anni differenti siano tra loro completamente corre-
lati (coefficienti di correlazione lineare pari a I).

In queste ipotesi, se ~I è il n'umero delle variabili casuali che caratterizzano


l'investimento e la generica variabile j-esima può assumere N. valori, per l'in-
vestimento possono verificarsi G scenari differenti: J

~f
G= IN.
jI J
=

Ciascuno di questi scenari è identificato da una diversa combinazione dei


valori assunti dalle M variabili; di conseguenza, in corrispondenza a ogni sce-
nario è possibile determinare un valore "detenninistico" del NPV. La probabi-
lità che si verifichi lo scenario i-esimo, a sua volta, è facilmente calcolabile co-
me prodotto delle probabilità che le variabili casuali assumano i valori identi-
ficativi dello scenario.
Di conseguenza, attraverso l'analisi del rischio, vengono determinati G va-
lori di NPV, a ciascuno dei quali è a~sociata una specifica probabilità di acca-
dimento; in tal n1odo, si dispone della distribuzione di probabilità del NPV,
da cui è immediato ricavare gli indici di dispersione.
Si osservi che l'analisi del rischio, di fatto, non aggiunge nulla rispetto alla
determinazione analitica della deviazione standard; infatti, poiché ci si basa
sull'ipotesi di correlazione lineare completa tra i NCF relativi ai diversi eserci-
zi, sarebbe stato possibile determinare la deviazione standard del NCF relativo
a un singolo esercizio e applicare poi la (19.21). Essa consente però dico-
struire l'intera distribuzione di probabilità del NPV, da cui è possibile ricavare
tutti gli indicatori di rischio di interesse dell'impresa.
È bene anche sottolineare come l'ipotesi di un numero contenuto di varia-
bili casuali possa essere, da un punto di vista analitico, agevolmente rimossa,
anche attraverso l'impiego di un semplice foglio elettronico. Tuttavia, al cre-
scere del numero di variabili aumenta la difficoltà di comprendere, tramite la
valutazione dell'investimento, l'impatto di ciascuna di esse sui risultati com-

23. L'indipendenza stocastica tra due grandezze si ha quando la conoscenza del valore che
una di esse assume non influenza la distribuzione di probabilità dell'altro.
548 I I SISTEMI DI DECISIONE

plessivi. Il metodo, in queste situazioni, si limita quindi a fornire un supporto


decisionale, mentre diviene difficile impiegarlo per comprendere meglio le
caratteristiche del progetto e i fattori critici per il suo successo.

Il ricorsoaUasimulazione
Se alcune delle ipotesi alla base dell'analisi di rischio non sono completamen-
te rispettate, si può ricorrere a tecniche di simulazione 24.
In questo caso, si considera l'investimento come un sistema caratterizzato
da un numero qualsiasi di variabili casuali, con distribuzione generica eco-
munque correlate. La simulazione consiste, di fatto, nelle seguenti fasi logi-
che:
1. si estrae un set di valori delle variabili casuali;
2. si calcola il NPV dell'investimento in corrispondenza a tali valori;
3. si itera il procedimento N volte.

Al termine della simulazione, sono quindi disponibili N valori di NPV, in


parte coincidenti, ciascuno con una probabilità di accadimento pari a 1/N.
La distribuzione di probabilità così ottenuta rappresenta una stima della di-
stribuzione di probabilità del NPV dell'investimento. Ovviamente, perché il
metodo abbia successo occorre che l'investimento sia simulato per un nume-
ro di volte sufficientemente grande da garantire significatività statistica ai ri-
sultati25.
Rispetto agli altri approcci, sicuramente la simulazione costituisce la solu-
zione più onerosa. Tuttavia, nel caso di investimenti complessi e con un forte
impatto sull'iinpresa, è spesso pienamente giustificato ricorrere ad essa.

fl calcolodegli altri indicatori di rischio


Il calcolo degli altri indicatori di rischio richiede che sia nota la distribuzione
di probabilità del NPV; in questa ipotesi, infatti:
• la probabilità di NPV negativo coinciderà con il valore assunto dalla fun-
zione di distribuzione F (NPV) in corrispondenza a NPV uguale a O;
• il valore minimo del NPV sarà semplicemente il punto di minimo della
distribuzione del NPV.
Se per il calcolo della varianza si è ricorsi all'analisi del rischio o alla simula-
zione, il calcolo della probabilità di NPV negativo e del minimo valore di NPV
è quindi immediato. Se invece la deviazione standard è stata determinata in

24. Owiamente, una analisi puntuale delle tecniche di simulazione esula completamente da-
gli scopi di questo testo. Sono peraltro moltissimi i testi dedicati alla simulazione, cui ci si
può rivolgere nel caso la si voglia applicare all'analisi di un investimento; tra i tanti, un
classico è quello di Shannon ( 1975).
25. È opportuno ricorrere a test statistici adatti a confrontare una distribuzione campionaria
con una distribuzione teorica, quale ad esempio il test di Kolmogorov Smirnov.
19. I criteri di decisione I 549

modo analitico, occorre conoscere il tipo di distribuzione di probabilità che


caratterizza il NPV26.

19.4.4 li criterio di decisione

Contrariamente ai metodi pseudo-deterministici, l'approccio stocastico asso-


cia a un investin1ento più indicatori di prestazione. Non è quindi in generale
possibile determinare, attraverso di esso, se un investimento debba o meno
essere realizzato, o ordinare pi~ investimenti alternativi. L'approccio stocasti-
co si scontra infatti con le difficoltà che caratterizzano i criteri di decisione
adottabili per problemi multi-obiettivo.
Le soluzioni cui ricorrere per utilizzare l'approccio stocastjco in fase di de-
cisione possono essere ricondotte a:
• dominanza stocastica;
• teoria dell'utilità;
• soggettività del decisore.

Dominanza stocastica
Tra due investimenti 1 e 2, il primo è statistican1ente dominante rispetto al se-
condo se tra i relativi NP\' (NPV 1 e NPV 2 ) esiste una delle seguenti relazioni:
• la distribuzione del NPV 1 ha valore atteso superiore e rischio inferiore (si
fa qui riferimento a tutte le misure di rischio giudicate significative dal-
l'impresa) rispetto a quella del NPV 2 ; o
• esiste tra le funzioni di distribuzione del NPV dei due investimenti la se-
guente relazione:

Vx (19.24)

La ( 19.24) equivale in pratica a sostenere che, fissato un valore x qualsiasi,


la probabilità che NPV I sia superiore a x è maggiore o uguale della probabi-
lità che NPV 2 sia superiore a x.
In presenza di dominanza stocastica, si è di fatto di fronte a un investimen-
to "nettamente preferibile" rispetto agli altri, che dovrebbe quindi essere sele-
zionato da "qualsiasi decisore". In altri termini, la scelta prescinde in questi ca-
si dal decisore, con l'unica cautela che egli sia awerso al rischio.

26. In alcuni casi, è sufficiente conoscere il valore atteso e la deviazione standard per conosce-
re anche la distribuzione sfatistica del NPV; ad esempio, se i NCF' sono distribuiti secondo
una normale, anche il NPV risulterà distribuito secondo una normale. Per investimenti
con vita sufficientemente lunga, può talvolta essere d'aiuto il teorema del limite centrale,
secondo cui la distribuzione di una somma di variabili casuali con la stessa distribuzione
tende, al limite, a una distribuzione normale.
550 j I SISTEMI DI DECISIONE

Talvolta, si utilizza nella valutazione degli investimenti il concetto di domi-


nanza stocastica di secondo gradJ. 7, in questo senso, l'investimento 1 presenta
una dominanza stocastica rispetto all'investimento 2 quando le distribuzioni
di probabilità dei relativi NPV sono legate dalla seguente relazione:
I

+cx: + cx:
f
- oc
F1 (x) dx< f
- oc
F2 (x) dx (19.25)

La ( 19.25) indica, sostanzialmente, che il "peso" dei punti in cui l'investimen-


to 2 è superiore all'investimento 1 è complessivamente inferiore al "peso" dei
punti in cui si verifica la situazione opposta. A nostro avviso, tuttavia, l'uso del-
la dominanza stocastica di secondo grado, pur analiticamente corretto, non è
particolarmente interessante nell'analisi degli investimenti reali; essa infatti
appare difficile da valutare e ancora più difficile da far interiorizzare ai deci-
.
son.

Teoria dell'utilità
La teoria dell'utilità associa a ogni specifico decisore una "funzione di utilità",
che identifica combinazioni di valore atteso e di rischio dell'investimento per
lui equivalenti.

U = U(E(NPV), rischio) (19.26)

La (19.26) di fatto porta a sintetizzare i diversi indicatori di prestazione in


un'unica funzione obiettivo, trasformando il problema da multi a mono-
obiettivo; se si riesce a esprimere in forma analitica la ( 19.26), si ottiene im-
mediatamente che:
• un singolo investimento verrà realizzato se ha un'utilità incrementale
positiva;
• tra più investimenti alternativi, verrà selezionato quello cui corrisponde
un'utilità superiore.
La teoria dell'utilità non può prescindere quindi dall'intervento diretto del
singolo decisore, che è chiamato a fornire i parametri della propria funzione
di "indifferenza"; decisori diversi potranno in generale selezionare investi-
menti differenti.

Normalmente, la funzione di utilità viene espressa facendo riferimento, co-

27. Il termine viene utilizzato per indicare un livello di dominanza inferiore a quello indivi-
duato dalla condizione precedente, proprio per questo.indicata come dominanza stocasti-
ca di primo grado.
19. I criteri di decisione I 551

me indicatore di rischio, alla deviazione standard o alla varianza. La forma più


diffusa è la quadratica 28 :

U = E(NPV) -A· cr2~pv (19.27)

dove A, che per un decisore a,verso al rischio assume valori maggiori di zero,
rappresenta il coefficientedi auuers-ioneal rischio.
La presenza dei soli indicatori di dispersione, accanto al valore atteso, nella
funzione di utilità costituisce, a nostro avviso, un limite significativo. Concet-
tualmente, è immediato risolvere questo problema, costruendo funzioni di
utilità con più variabili, indicative di tutte le prestazioni importanti dell'inve-
stimento; operativamente, però, questo modo di procedere porta ad aumen-
tare la complessità della stima dei parametri della ( 19.26), rendendo di fatto
quasi impraticabile l'impiego di un metodo già difficilmente utilizzabile nella
forma più semplice 29 .
Un compromesso interessante viene proposto da Ouderni e Sullivan
(1991), che sostituiscono alla varianza del NPV la semivarianza, "s":

U = E(NPV) -A· s 2 ~py (19.28)

La semivarianza è definita con1e:

s2NPV = E [ (min (NPV - h, O) )2] (19.29)

dove h rappresenta il rninimo livello di NPV giudicato accettabile dall'impresa.


Ad esempio, se si pone h = O, la semivarianza rappresenta l'integrale dei
soli risultati negativi dell'investimento; se h rappresenta la massima perdita
tollerabile, senza compromettere il buon andamento dell'impresa nel suo
complesso, la semivarianza misura il "peso" dei risultati considerati inaccetta-
bili. Attraverso la semivarianza, quindi, si evita di penalizzare i risultati molto
positivi e si dà un peso solo alle code negative della distribuzione; l'indicato-
re utilizzato rappresenta quindi ancora un indice di dispersione, che tiene
però conto anche della probabilità di prendere una decisione sbagliata e del
rischio di un livello eccessivo di esposizione, attraverso la scelta del parame-
tro h.

28. Un polinomio quadratico approssima in realtà molto bene un insieme più ampio di fun-
zioni convesse, rappresentative di un grado di utilità marginale decrescente al crescere del
NPV (cfr. Ouderni e Sullivan, 1991).
29. Si noti che la funzione di utilità non è altro che una media pesata dei parametri che ven-
gono utilizzati per caratterizzare l'investimento. In tal senso, il problema principale del
suo utilizzo è costituito dalla corretta stima dei parametri; tale problema si amplifica ogni
volta che si prendano in considerazione più parametri.
552 j I SISTEMI DI DECISIONE

Soggettivitàdel decisore
La teoria dell'utilità costituisce di fatto un modo per costringere il decisore a
tradurre la propria propensione al rischio in un parametro, il coefficiente di
awersione al rischio. A nostro awiso, ciò non garantisce una migliore com-
prensione delle caratteristiche dell'investimento, ma tende semplicemente
ad ammantare di µna parvenza di oggettività la scelta finale del decisore.
È a questo punto spesso preferibile limitarsi a fornire al decisore l'insieme
dei parametri caratteristici dell'investimento, in termini di valore atteso e di
rischio, lasciando poi che sia lui, soggettivamente, a pesare tali prestazioni.
Questa scelta appare in particolar modo corretta per investimenti complessi,
in cui è molto più importante comprendere compiutamente le possibili con-
seguenze dell'investimento, piuttosto che pretendere di arrivare, in modo vel-
leitario, a una valutazione "oggettiva".
20 Le decisionidi breveperiodo

20.1 Introduzione

Come si è sottolineato in precedenza, in generale le decisioni all'interno di


una impresa devono essere trattate con1e investimenti, analizzandone l'impat-
to sulle prestazioni, in particolare sulla creazione di valore economico, nel
lungo periodo. Esistono tuttavia alcune decisioni che presentano effetti limi-
tati nel tempo e nello spazio e che non modificano in modo sostanziale le ri-
sorse dell'impresa. Esempi di queste decisioni, definite normalmente di breve
periodo,sono:
• la variazio~e "contenuta" del volume di produzione, quando non richie-
da un incremento della capacità delle risorse aziendali;
• la scelta se accettare o meno un ordine relativo a un cliente non strategi-
co, quando non sia destinata a modificare la posizione competitiva del-
l'impresa;
• una decisione di make ar buy per operazioni non critiche, che non impe-
gni quindi l'impresa per un lungo arco di tempo.
In questi casi, è possibile introdurre dei criteri di decisione semplificati, che
rimangono comunque coerenti con l'obiettivo di creazione di valore econo-
m1co.
Si noti, prima di presentare puntualmente questi criteri, che per poterli appli-
care è necessario verificare se le ipotesi ad essi sottese siano effettivamente ri-
spettate. Ad esempio, con riferimento ai casi precedenti, la scelta di accettare
o meno un ordine diviene una decisione di lungo periodo quando la non ac-
cettazione dell'ordiné possa portare alla perdita di un cliente che assorbe una
frazione rilevante del fatturato dell'impresa, quindi a una riduzione consi-
stente del fatturato nel medio termine; analogamente, l'esternalizzazione di
554 I I SISTEMI DI DECISIONE

un'operazione si deve analizzare in un'ottica di lungo periodo se può indurre


la perdita di competenze chiave nell'impresa, difficilmente reintegrabili.
Si osservi inoltre che le specificità delle decisioni di breve periodo si limita-
no al criterio di decisione utilizzato; anche per le decisioni di breve periodo,
quindi, è necessario, prima di applicare i criteri di valutazione, seguire tutti i
passi previsti in fase di valutazione degli investimenti (individuazione delle al-
ternative, analisi della "consistenza" della decisione, definizione di confini
dell'analisi, analisi degli impatti sul valore).

20.2 I criteri per le decisioni di breve periodo

La valutazione di una decisione di breve periodo deve essere basata sul suo
impatto sulla creazione di valore economico. Tuttavia, l'attenzione al breve
periodo consente alcune semplificazioni; in particolare:
• visto che si opera nel breve periodo, si può considerare trascurabile la di-
stribuzione temporale degli impatti economico-finanziari della decisio-
ne; di fatto, è come se tutti gli eventi economico-finanziari fossero terr1-
poralmente coincidenti e non è necessario attualizzarli;
• le decisioni di breve periodo sono "a risorse fissate", non comportano
quindi in generale investimenti in capitale "fisso";
• operando nel breve periodo e trascurando l'attualizzazione, si ipotizza
normalmente che le vendite coincidano con gli incassi e gli acquisti con
i relativi esborsi di denaro. Di conseguenza, non vi è una variazione nel
capitale circolante operativo netto (CCNO).

Di conseguenza:
• l'impatto della decisione sul valore economico coincide di fatto con l'im-
patto sul NCF del primo esercizio, non attualizzato;
• visto che non vi sono investimenti in capitale fisso e in capitale circolan-
te, il NCF coincide con il CF;
• grazie alla coincidenza tra ricavi e incassi e tra acquisti e costi, infine, il
CF coincide con la differenza:

ricavi - costi evitabili (20.1)

Di fatto, quindi, per ciascuna alternativa decisionale è sufficiente calcolare ri-


cavi e costi evitabili; l'alternativa da scegliere è ovviamente quella per la quale
questa differenza assume il valore maggiore. È bene sottolineare che nella
(20.1) devono essere presi in considerazione i soli costi evitabili1, cioè i costi

1. Per una definizione puntuale di costo evitabile, cfr. capitolo 7.


20. Le decisioni di breve periodo I 555

che sono in qualche modo influenzati dalla decisione, coerentemente con la


logica incrementale che deve essere utilizzata in tutte le decisioni aziendali
(cfr. schema 20.])2.

ScH EMA 20. l - Le decisioni di breve periodo

L'impresa XY è di fronte a una scelta di make or buy per la realizzazione di 100


unità di un componente A. Nel caso di produzione interna, l'impresa dovrebbe ac-
qu1s1re:
• materie prime, a un prezzo di 50 € per unità di prodotto finito;
• una consulenza esterna, pari complessivamente a 2.000 €;
• l'impresa può utilizzare due dipendenti, che sono insatu~i e per i quali non
esistono impieghi alternativi, il cui stipendio nel periodo è pari a 500 € com-
plessivamente;
• l'impresa può utilizzare un sistema produttivo, attualmente insaturo, il cui
ammortamento nel periodo è pari a 1.000 €.
In alternativa, l'impresa può rivolgersi a un fornitore esterno, che offre il compo-
nente a un prezzo unitario di 80 €. Qual è la soluzione preferibile per l'impresa,
nell'ipotesi che la scelta non abbia implicazioni di lungo periodo?

La decisione deve come sempre essere analizzata in termini differenziali, sceglien-


do come caso base una delle due alternative (ad esempio il buy) e valutando l'altra
in termini differenziali. In questo caso, entrambe le alternative consentono all'im-
presa di disporre del componente nella quantità richiesta, non vi sono quindi ef-
fetti differenziali sui ricavi. Per quanto riguarda i costi, l'alternativa make prevede:
• un costo incrementale, evitabile, per materie prime, pari a 50 • 100 = 5.000 €
• un costo Incrementale, evitabile, per consulenza, pari a 2.000 €
• un minor costo di acquisto dei componenti, evitabile, pari a 80 • 100 = 8.000 €
Non devono essere invece presi in considerazione, poiché non sono evitabili
(l'impresa li deve cioè sostenere qualunque sia l'alternativa scelta) il costo dei due
dipendenti e l'ammortamento del sistema produttivo.
Complessivamente, quindi, l'alternativa make ha un effetto sul valore economico
pan a:

- 5.000 - 2.000 + 8.000 = + 1.000 €

L'azienda dovrebbe perciò produrre i componenti internamente.

2. L'argomento è stato trattato nel cafritol.o


18.
556 j I SISTEMI DI DECISIONE

La (20.1) può essere ulteriormente semplificata nell'ipotesi che i costi evi-


tabili coincidano con i costi variabili di un 'impresa; ricordando infatti che:
• i ricavi sono esprimibili come prodotto del prezzo unitario di vendita (p)
f
per la quantità venduta (Q);
• i costi variabili totali sono esprimibili come prodotto del costo variabile
unitario (c) per la quantità venduta;
si ricava infatti che il contributo alla creazione di valore economico di una de-
cisione è esprimibile attraverso il margi,nedi contribuzionetotale (M), definito co-
me:

M = (p-c) ·Q (20.2)

Nel caso, infine, che le alternative in esame siano caratterizzate da una stessa
quantità venduta, la massimizzazione del margi,nedi contribuzionetotalecoincide
con la massimizzazione del margi,nedi contribuzioneunitario (m), pari alla diffe-
renza tra prezzo e costo variabile unitario.

20.3 L'analisidi break even

L'analisi di !Jreakeven ha l'obiettivo di identificare, in fase di pianificazione, il


minimo volume operativo necessario perché un'impresa riesca a raggiungere
un dato obiettivo. Normalmente, l'analisi di !Jreakeven può essere finalizzata a:
• determinare il volume operativo (tipicamente, il volume di produzione,
assunto per ipotesi coincidente con il volume di vendita) che consente
all'azienda il pareggio tra costi e ricavi;
• determinare il volume operativo che consente all'azienda di coprire i co-
stie di ottenere un margine giudicato soddisfacente.

La determinazione analitica del punto di !Jreakeven richiede a priori che siano


soddisfatte alcune ipotesi semplificative; in particolare:
• l'impresa realizza un unico prodotto 3 ;
• i ricavi totali sono esprimibili come prodotto tra il prezzo unitario e la
quantità venduta; ciò equivale ad assumere che non vi sia una relazione
tra prezzo di vendita e quantità venduta. È un'ipotesi in generale realisti-
ca solo in corrispondenza con oscillazioni limitate della quantità vendu-
ta; in caso contrario, nonnalmente un incremento della quantità vendu-
ta può richiedere una riduzione dei prezzi di vendita;
• i costi totali dell'impresa sono esprimibili come somma di un costo fisso,

3. Nel caso di impresa multiprodotto, è possibile ricavare ancora analiticamente il volume di


break even solo nell'ipotesi, normalmente poco realistica, che il mix produttivo sia caratterizza-
to da frazioni prefissate dei diversi prodotti.
20. Le decisioni di breve periodo j 557

indipendente cioè dalle variazioni del volume produttivo, e dei costi va-
riabili, direttamente proporzionali al volume produttivo. Anche questa
ipotesi può essere realistica solo in corrispondenza a oscillazioni conte-
nute del volume produttivo.

Sulla base di queste ipotesi, il margine operativo netto dell'azienda può essere
espresso come:

MON = ricavi - costi = p · Q - c'"• Q - CF (20.3)

Imponendo che il risultato operativo sia pari almeno a un valore X, conside-


rato soddisfacente dall'azienda, si ottiene la quantità di /Jreakeven (~e) (cfr.
schema 20.2):
(X+ CF)
'4e=-- m
(20.4)
...
E bene sottolineare, infine, che l'utilità decisionale dell'analisi di /Jreakeven
viene pesantemente condizionata dallo scarso realismo delle ipotesi che ne
sono alla base; essa può quindi al più essere utilizzata per una prima valutazio-

Se H E MA 20.2 - L'analisi di break even

Un'impresa realizza un prodotto A, caratterizzato dalla seguente struttura di co-


sto:
• materialr diretti: 50 €/pezzo
• lavoro diretto: 100 €/pezzo
• costi indiretti: 20.000 €
e da un prezzo unitario di 200 €.
Determinare il volume di break even, nell'ipotesi che l'impresa giudichi soddisfa-
cente un risultato operativo pari a 30.000 € e assumendo che:
• il costo del lavoro sia variabile proporzionalmente al volume prodotto;
• i costi indiretti siano fissi.

In questo caso sono rispettate tutte le ipotesi alla base dell'analisi di breakeven. È
quindi possibile utilizzare la formula semplificata:
(X+ CF)
m
Il volume di break even risulta quindi pari a:

(30.000 + 20.000) = l .ooo unità


50
558 j I SISTEMI DI DECISIONE

ne di larghissima massima, utile nei casi in cui la domanda prevista sia molto
superiore (o molto inferiore) rispetto al punto di breakeven. Quando invece il
volume di breakeven è vicino al livello di domanda previsto dall'azienda, l'ana-
lisi di breakeven deve essere sostituita da una valutazione maggiormente detta-
gliata degli specifici costi e ricavi aziendali e dei loro legami con il volume di
produzione.

20.4 Il ruolo decisionale del costo pieno

Nelle considerazioni precedenti si è evidenziato come le informazioni dico-


sto rilevanti nel breve periodo siano in generale costituite dai soli costi evitabi-
li; può essere utile, in questa sede, puntualizzare il ruolo delle diverse confi-
gurazioni del costo di un prodotto in fase decisionale.
In questo senso, il confronto tra i sistemi full costing, che permettono di
determinare il costo pieno di un prodotto, e i sistemi direct costing, che si li-
mitano a rilevare il solo costo diretto, può essere sviluppato con riferimento
a due casi:
• supporto a decisioni di breve periodo;
• supporto a decisioni di medio-lungo termine.
Le decisionidi breveperiododovrebbero come appena visto essere basate sulla
capacità delle diverse alternative di creare valore economico, assumendo che
le risorse dell'impresa siano fissate; il criterio di decisione corrispondente è
definito da:

ricavi - costi evitabili (20.5)

Poiché i costi indiretti normalmente non sono completamente evitabili, il


full costingnon presenta alcun vantaggio, almeno a livello teorico, rispetto al
directcosting.
L'applicazione a fini decisionali dei sistemi full costing può talvolta essere
giustificata nel caso di contesti particolarmente complessi. Si consideri ad
esempio il problema della scelta del mix produttivo. Esso può essere formula-
to, nell'ipotesi che l'impresa debba scegliere tra N prodotti differenti e che
utilizzi M distinte risorse, come:

N
max I
i= I
xi · (pi - ce) (20.6)

con i vincoli:
< * i= I ... N
X--X.
I I (20.6')
20. Le decisioni di breve periodo I 559
N
lx .. t9.. -<T.J
. I
j =I ... M (20.6")
I= l

dove xi, Pi e cei rappresentano rispettivamente la quantità prodotta, il prezzo


unitario e il costo e"itabile unitaiio del prodotto i-esimo e i due vincoli impon-
gono che la quantità prodotta non superi la domanda (x*i) e che, per ciascuna
risorsa j-esima, la quantità complessivainente richiesta (ricavata a partire dal
consumo unitario della risorsa, tij) non superi la capacità disponibile (T.) 4 .
Anche in questo caso, la formtùazione teorica non fa riferimento ai iosti in-
diretti, ma ai soli costi e,itabili. Si consideri tuttavia, come detto, il caso di
un'impresa caratterizzata da un numero molto elevato di prodotti e risorse e
da una capacità produttiva insufficiente a realizzarli tutti; la soluzione del pro-
blema (20.6) rischia di diventare eccessivamente onerosa o di richiedere co-
munque un tempo superiore a quello disponibile per decidere.
In questo caso, l'impresa può ricorrere a un n1odello deéisionale semplifi-
cato, di tipo empirico, lin1itandosi a selezionare i prodotti sulla base della loro
profittabilità, calcolata in tern1ini assoluti o in tern1ini percentuali sul costo
del prodotto.
In particolare, a seconda che la profittabilità sia calcolata sulla base del solo
costo evitabile o del costo pieno, i prodotti saranno ordinati in 1nodo diverso;
siano Ode l'ordinainento ottenuto attraverso la differenza tra prezzo e costo
evitabile e Ore quello relativo alla differenza tra prezzo e costo pieno. Selezio-
nando i prodotti secondo i due ordinamenti, fino a quando il mix scelto non
eccede la capacità produttiva dell'impresa, si otterranno, infine, due differen-
ti mix, Mdc e ~lfr. In questo caso, non vi è alcuna garanzia che il margine di
contribuzione totale di Mdc sia superiore rispetto a quello del mix selezionato
sulla base della .differenza tra prezzo e costo pieno. Anzi, alcune analisi basate
sull'utilizzo delle tecniche di simulazione evidenziano, con buona significati-
vità statistica, che se il mix Mfcviene scelto sulla ba~e di un costo pieno calcola-
to correttamente, attraverso ad esempio l'ABC, il suo margine di contribuzio-
ne totale è superiore rispetto a quello del mix Mdc (il direct costingconsente in-
vece ristùtati migliori rispetto al costo pieno calcolato tramite processi di allo-
cazione tradizionale); questo vantaggio tende a crescere all'aumentare del
numero di prodotti in gioco 5 .
Secondo Cooper e Kaplan, l'uso dei sistemi full costingnelle decisioni di lun-

4. Nel caso esista una sola risorsa critica, le (20.6) equivalgono a scegliere i prodotti sulla base
del margine di contribuzione per unità di impiego della risorsa critica, che è pari a: (P; -
cez)/ t1., dove t; è il consumo della risorsa critica da parte di una unità del prodotto i-esimo.
5. Cfr. Azzone e Masella (1991). La giustificazione di questi risultati è legata al fatto che il full crr
sting "incorpora" alcune informazioni sull'impiego delle risorse. Di conseguenza, nell'ordina-
re i prodotti non tiene conto solo del margine di contribuzione unitario, ma anche della rela-
tiva occupazione delle risorse; infatti, normalmente, il mix selezionato attraverso un sistema
full costingcorretto consente un maggior livello di saturazione delle risorse ed è compo~to da
un numero superiore di prodotti rispetto a quello selezionato sulla base del solo costo diretto.
560 j I SISTEMI DI DECISIONE

goperiodoè giustificato dal fatto che, nel lungo periodo, tutti i costi sono varia-
bili, poiché non esisttono risorse fisse. Tuttavia, ciò non implica necessaria-
mente che le decisioni debbano essere prese, nel lungo periodo, sulla base
del confronto tra prezzo e costo pieno 6.
Si consideri ad esempio il caso di una de~isione concernente l'acquisizione
di un ordine da parte di un cliente strategico: la creazione di valore economi-
co connessa con la decisione richiede l'analisi delle implicazioni delle due de-
cisioni alternative, relative rispettivamente all'acquisizione e alla non acquisi-
zione dell'ordine. La differenza tra le due alternative nasce dal margine degli
ordini futuri che il cliente potrebbe annullare in seguito al rifiuto di accettare
l'ordine odierno. La sua valorizzazione impone quindi che si analizzino, attra-
verso una vera e propria valutazione di investimento, i possibili ordini futuri
del cliente, la relativa profittabilità, la possibilità di saturare la capacità pro-
duttiva dell'impresa, tutti elementi che non vengono in alcun modo eviden-
ziati nel costo pieno. Nelle decisioni di lungo periodo è quindi necessario uti-
lizzare sempre i criteri di valutazione degli investimenti, misurando l'impatto
della decisione sui NCF dell'impresa nel lungo periodo; il costo pieno, quin-
di, non ha alcuna rilevanza diretta nelle decisioni di lungo periodo.
PARTE QUINTA

I sistemi di controllo
Nelle parti precedenti si è visto come il valore economico costituisca l'obiettivo dell'a-
zienda e come sia possibile analizzare le singole decisioni al fìne di comprenderne
l'impatto sul valore economico. Tuttavia, conoscere come si crea valore economico
non è sufficiente ad assicurare che un'impresa si comporti effettivamente in modo da
creare valore economico; infatti:
• chi decide non ha una piena visibilità sulle conseguenze delle proprie scelte, che
dipendono dall'evoluzione, almeno in parte imprevedibile, del contesto in cui
l'impresa opera;
• le decisioni vengono prese da più soggetti all'interno dell'impresa, con interessi
propri e non completamente coincidenti con quelli dell'impresa nel suo com-
plesso.

Questi aspetti, che oggi sono accentuati dalla crescente complessità e variabilità del
contesto competitivo, fanno sì che per gestire una impresa in modo da incrementarne
il valore sia necessario disporre di "sistemi di governo", o di "controllo", ovvero di si-
stemi che:
• consentano di monitorare eventuali variazioni del contesto competitivo che ri-
chiedano un mutamento delle scelte dell'impresa;
• consentano di assicurare la coerenza tra le scelte dei singoli decisori e gli obietti-
vi dell'impresa nel suo complesso.

L'ultima parte del testo è appunto rivolta a presentare gli elementi di base dei sistemi di
governo di un'impresa. In particolare, dapprima ci si focalizza sulla logica che sta alla ba-
se del "controllo" di un'impresa (capitolo21). Successivamente, si analizza come sia pos-
sibile costruire operativamente un sistema di controllo funzionale all'impresa nel suo
complesso (capitolo22). Infine, l'attenzione si sposta su singole unità organizzative, evi-
denziandone le specificità e discutendo le modalità per costruire un sistema di controllo
che ne assicuri il funzionamento coerente con gli obiettivi dell'impresa (capitolo23).
21 I sistemi di controllo

Nelle parti precedenti del testo è stato delineato un sistema decisionale coe-
rente con l'obiettivo di creare valore economico per gli azionisti. Non bisogna
tuttavia commettere l'errore di ritenere che l'applicazione "meccanica" dita-
le sistema sia sufficiente per assicurare che l'impresa sia gestita correttamen-
te; infatti, le decisioni che vengono prese in un 'impresa:
• si basano su previsioni del futuro, che, come tali, non necessariamente si
verificheranno; l'evoluzione del mercato, lo sviluppo tecnologico, le
"mosse" dei competitori non possono essere previste perfettamente,
neppure dal più "preciso" sistema previsionale aziendale;
• ipotizzano alcune "leggi" di funzionamento dell'azienda, non necessa-
riamente corrette. Si assuma ad esempio che un'impresa ne acquisisca
un 'altra; le prestazioni della società acquisita sono strettamente dipen-
denti dalle modalità con cui awerrà la sua integrazione organizzativa
con l'impresa acquirente 1; è difficile, quindi, al momento in cui viene
decisa l'acquisizione, prevedere quale sarà l'effettivo "funzionamento"
dell'impresa acquisita.

Occorre quindi disporre di sistemi che siano in grado di verificare con conti-
nuità se il comportamento dell'impresa, e delle singole unità organizzative al
suo interno, sia in grado di raggiungere gli obiettivi che erano stati identifica-
ti in fase decisionale e di introdurre gli interventi correttivi eventualmente ne-

1. Si pensi a una grande jmpresa che ne acquisisce una più piccola; il funzionamento di que-
st'ultima cambia radicalmente per effetto dell'acquisizione, a causa della inevitabile perdita di
capacità imprenditoriali compensata da una parallela crescita delle risorse manageriali.
564 I I SISTEMI DI CONTROLLO

cessari. Questi sistemi vengono definiti "sistemi di governo", "sistemi di rego-


lazione" o, più frequentemente, "sistemi di controllo" 2 .

21. 1 Il flusso logico del controllo

Il concetto di controllo fa riferimento, da un punto di vista logico, a un siste-


ma cibernetico 3 quale quello descritto in figura 21.1. In esso, è possibile de-
scrivere quattro fasi fondamentali, e precisamente:
• la programmazione dei risultati di una serie di azioni;
• la misura dei risultati di queste azioni;
• la verifica degli scostamenti tra risultati pianificati e risultati effettivi;
• l'introduzione di azioni correttive.

21.1.1 La programmazione dei risultati

La programmazione dei risultati consiste nel definire un insieme di indicatori


di prestazioni, di valori-obiettivo per tali indicatori e di azioni specifiche che
dovrebbero consentirne il conseguimento.

F I e u RA 21 .1 - Il ciclo di controllo

..
__ Risorse/
Oggetto
del controllo --- - Misura
- dei risultati

azioni

Introduzione Analisi
delle azioni correttive degli scostamenti

2. Il termine "controllo" viene qui inteso, coerentemente con l'inglese "control'', come "regola-
zione" e non come "vigilanza". ·
3. Per una analisi più puntuale delle caratteristiche di un sistema cibernetico e del suo impiego
per descrivere il sistema di controllo, cfr. Otley e Berry (1980), Toecher (1976) e Vickers
(1967).
21. I sistemi di controllo I 565

L'indicatore di prestazione utilizzato per la programmazione può essere di-


rettamente il valore economico dell'impresa o una delle sue determinanti
(come ad esempio il fatturato o il margine operativo netto). In entrambi i ca-
si, la difficoltà maggiore della progran1n1azione consiste nel decidere quale
sia il valore-obiettivo più corretto da raggiungere e se le azioni pianificate dal-
1'impresa siano adeguate per raggiungerlo. È evidente infatti che:
• se si fissa un obiettivo troppo poco ambizioso, l'impresa non sfrutterà
tutte le proprie potenzialità di creazione di valore economico;
• se si fissa un obiettivo irraggiungibile, tutte le fasi della program1nazione
ne saranno di fatto inficiate.
In questa fase è quindi essenziale che l'impresa riesca a comprendere, a
priori, che relazioni esistono tra le "azioni" e i "risultati" o, in altri termini, che
si disponga di un "modello~ del funzionamento dell'impresa 4 .
Si consideri ad esempio il caso in cui l'obiettivo sia costituito da un certo
livello di fatturato. Per individuare il valore obiettivo coerente con una certa
politica aziendale (una modifica del prodotto, una nuova-strategia di comuni-
cazione, una politica di sconti) occorrerà definire:
• le reazioni attese del consumatore agli interventi previsti, in termini di
quantità del prodotto che saranno presumibilmente acquistate;
• l'impatto di tale quantità sul fatturato.
Per la prima fase si potrà ricorrere a modelli statistici o a metodi basati su va-
lutazioni qualitative; per la seconda si potrà usare un semplice modello anali-
tico del tipo:

fatturato= prezzo· quantità

Evidentemente, la capacità del modello utilizzato di descrivere correttamente


il funzionamento dell'impresa determinerà la qualità della programmazione.

21.1.2 La misura dei risultati

Se fosse possibile disporre di un modello completo e preciso del funziona-


mento dell'impresa e se i valori di tutte le variabili fossero noti, la fase di misu-
ra dei risultati sarebbe superflua, in quanto essi non potrebbero che coincide-
re con la previsione del modello.
In realtà, i dati consuntivi tendono naturalmente a scostarsi dalle previsioni
perché:

4. Per modello dell'azienda si intende qui qualsiasi rappresentazione "semplificata" del funzio-
namento dell'azienda. Un modello può quindi essere descritto da una relazione analitica (fat-
turato= prezzo. quantità) o da una relazione qualitativa (se si riducono i prezzi aumenta la
quantità venduta).
566 I I SISTEMI DI CONTROLLO

• alcune variabili sono esogene, quindi non possono essere controllate di-
' ad esempio, del livello della domanda quando si vo-
rettamente; è il caso,
glia controllare la profittabilità di un prodotto, o dell'andamento dei
prezzi delle materie prime;
• altre variabili (endogene), pur controllabili direttamente, possono com-
portarsi in modo non coincidente con le previsioni del modello, che co-
stituisce pur sempre una rappresentazione semplificata della realtà; ad
esempio, in presenza di inefficienze nel comportamento della forza la-
voro, la quantità di input impiegata per realizzare un dato output può dif-
ferire dai valori programmati.

21. 1 .3 L'analisi degli scostamenti

Nel caso i risultati effettivi divergano dalle previsioni, è necessario, per identi-
ficare gli interventi correttivi più opportuni, comprendere le ragioni degli
scostamenti. In particolare, è essenziale distinguere tra:
• scostamenti dovuti a variabili esogene, quindi a mutamenti esterni al si-
stema, non controllabili; e
• scostamenti dovuti a variabili endogene, legati perciò a una mancata cor-
rispondenza tra il modello di controllo e l'effettivo funzionamento del
sistema.

21.1.4 L'introduzione delle azioni correttive

Il ciclo di controllo si chiude con l'introduzione delle azioni correttive, sulla


base dei risultati dell'analisi degli scostamenti.
Nel caso lo scostamento sia dovuto a variabili esogene, in particolare, sarà
necessano:
• ritarare gli obiettivi coerentemente con il nuovo scenario e individuare linee
d'azione ad esso funzionali. Se ad esempio è aumentato il prezzo del
petrolio, un 'impresa dovrà necessariamente ritarare i propri obiettivi
di costo; parallelamente, tuttavia, dovrà analizzare se l'aumento del
prezzo del petrolio possa rendere conveniente il ricorso a fonti di
energia alternative;
• cercare di migliorare, attraverso l'apprendimento, le conoscenze sull'ambiente
esterno e sulla sua possibile evoluzione, in modo da disporre di una sti-
ma più puntuale delle variabili esogene nel successivo ciclo di pro-
grammazione.

Se invece lo scostamento è dovuto a variabili controllabili, le azioni correttive


devono essere prevalentemente rivolte a modificare /,emodalità di funzionamento
21. I sistemi di controllo I 567

del sistema,ad esempio, nel caso di una scarsa produttività della forza lavoro
~arà necessario rivedere le soluzioni organizzative adottate in produzione e/ o
introdurre adeguati sistemi di incentivi.

21.2 Il processo di controllo

Una volta definite le singole fasi logiche del processo di controllo, è opportu-
no analizzare l'articolazione del processo, cioè le modalità con cui le diverse
fasi vengono implementate operativamente.

21.2.1 L'approcciofeed-back

L'approccio più tradizionale al ciclo di controllo, definito feed-back, è quello


dove le quattro fasi del ciclo presentano una specificazione più netta.
In particolare, entro la fine di ciascun esercizio viene ultimata la prima fas~,
quella della definizione del piano relativo all'esercizio successivo.
Alla fine di ogni 1nese vengono quindi rilevati i risultati consuntivi, elabora-
ti poi in termini di analisi degli scostamenti. Il tempo necessario per la rileva-
zione e la elaborazione delle informazioni rende disponibili i dati consuntivi
dopo un periodo variabile tra 2/3 giorni (è il caso, per la verità abbastanza ra-
ro, di imprese con un forte orientamento al controllo di gestione) e 15 giorni.
Sulla base dell'analisi degli scostamenti, vengono infine introdotte le even-
tuali azioni correttive necessarie.
Le quattro fasi risultano quindi sostanzialmente sequenziali.
Il controllo di tipo fe,ed-backcostituisce, come osservato, lo strumento più
diffuso tra le imprese, tanto che spesso si tende addirittura a farlo coincidere
con la nozione stessa di controllo. In realtà, però, esso appare efficace solo in
ambienti relativamente stabili o, per essere più precisi, in imprese e situazioni
dove il tempo necessario per adattarsi alle variazioni rispetto al piano origina-
rio risulta inferiore rispetto al tempo disponibile.
In modo più articolato, è possibile schematizzare il tempo necessario per
l'adozione di interventi correttivi come il risultato di tre effetti:
• la "distanza" tra risultato previsto e risultato effettivo;
• il tempo necessario per elaborare nuove alternative;
• il tempo necessario per implementare tali alternative.

La distanza tra risultato effettivo e previsto dipende, in modo essenziale,


dal livello di prevedibilità dell'ambiente. È evidente che, a parità di altre con-
dizioni, più il risultato atteso si scosta da quello effettivo, più sarà necessario
intervenire "in grande" sul comportamento dell'impresa, aumentando per-
568 I I SISTEMI DI CONTROLLO

ciò sia il tempo nece;sario per individuare l'alternativa più opportuna che
quello per la sua effettiva implementazione.
Si consideri ad esempio il caso di una variazione nel livello della domanda
effettiva rispetto al dato previsionale. Se tale variazione è modesta, sarà sem-
plice introdurre interventi correttivi adeguati a riportare l'impresa in condi-
zioni di regime; nel caso, ad esempio, di un aumento della domanda dell'l %,
sarà possibile intervenire attraverso una semplice riduzione delle scorte o il
coinvolgimento di un subfornitore.
Se invece i risultati effettivi si discostano in modo significativo rispetto alle
previsioni, diviene impossibile introdurre gli interventi correttivi attraverso
una modifica "in piccolo" dei piani operativi: una domanda doppia rispetto
alle previsioni comporta la necessità di riconfigurare l'attività di tutte le diver-
se funzioni dell'impresa, ricominciando, in pratica, il ciclo sulla base delle
nuove informazioni disponibili.
Gli altri due termini dipendono invece in modo sostanziale dalle caratteri-
stiche interne dell'impresa, cioè dalla sua capacità di risposta: imprese dove
più forte è il decentramento riescono a definire più rapidamente i possibili
interventi correttivi; imprese flessibili possono implementare più rapidamen-
te gli interventi necessari.

21.2.2 Il controllo feed-forward

Nel caso l'ambiente sia poco prevedibile e/ o l'impresa relativamente poco


flessibile, il sistema di tipo Jeed-backpuò essere sostituito da un controllo di ti-
po Jeedf orward.
In quest'ultima soluzione, si tende ad anticipare l'intervento correttivo,
modificando in corso d'anno le stime relative ai periodi futuri, a mano a ma-
no che si dispone di nuove informazioni. In questo senso, il controllo Jeed-
Jorward richiede normalmente che venga elaborato periodicamente un budget
preconsuntivo, contenente, oltre ai dati consuntivi disponibili, la previsione
dei dati relativi al resto del periodo, normalmente determinati ipotizzando
l'assenza di interventi correttivi. I budgetpreconsuntivi costituiscono uno stru-
mento che le imprese industriali hanno mutuato dalle imprese operanti per
progetto 5 .
In alcuni casi, il controllo Jeedforward viene accompagnato dall' elaborazio-
ne di contingencyplan, cioè da piani alternativi di intervento, ovviamente me-
no formalizzati e precisi rispetto al piano operativo_ sviluppato per lo scenario

5. Nelle imprese operanti per progetto vengono determinati periodicamente, per ciascun pro-
getto, accanto ai costi consuntivi, i costi a comp!Rtare(costi necessari per la conclusione del pro-
getto) e i costial completamento(somma dei costi consuntivi e dei costi a completare).
21. I sistemi di controllo I 569

considerato maggiormente probabile. Non appena vengono individuati ele-


menti in grado di meglio precisare l'evoluzione del contesto in cui l'impresa
compete, si sostituisce il vecchio piano di riferimento con quello relativo allo
scenario ambientale che si è verificato.
Ovviamente, rispetto a un controllo di tipo feed-back,il controllo basato su
contingencyp!,an è meno attento alla possibilità di ottimizzare i risultati com-
plessivi dell'impresa, poiché non è possibile predisporre un piano di inter-
vento dettagliato in corrispondenza a ogni specifico valore delle variabili eso-
gene6.

6. Nel caso in cui, ad esempio, la variabile critica sia costituita dal livello della do~anda,.~ar~no
predisposti amtingency pian in corrisponden~a ?i un _a1;1ment~ sign!fi_cativoe d1 ~na n uz10ne
vistosa della domanda, ma non piani dettaghatI relatIVIa ogni possibile valore d1 domanda.
22 Il sistema di controlloa livello di impresa

Concettualmente, il sistema di controllo di un 'impresa dovrebbe, a preventivp,


stimare la creazione di valore economico atteso delle scelte e dei piani di azio-
ne adottati dall'impresa e, a consuntivo, verificarne l'effettivo conseguimento.
Poiché il valore economico è espiirnibile come l'integrale dei NCF futuri
dell'impresa, attualizzati, ciò richiede che, sulla base delle scelte strategiche
dell'impresa, si costruiscano dei bilanci prospettici ( master budget), a partire
dai quali calcolare i NCF e il valore economico.
Questa soluzione, tuttavia, consente di rispondere solo parzialmente ai fab-
bisogni di controllo di un 'impresa, poiché il valore economico non è un dato
"oggettivo", ma si basa su una stima "'soggettiva" del futuro. Di conseguenza,
soggetti diversi potrebbero calcolare il valore economico in modo differente,
con ovvie implicazioni sulle azioni correttive da implementare nell'azienda.
Proprio per questo motivo, la misura del valore economico è normalmente
accompagnata da altri indicatori, ognuno dei quali presenta alcuni punti di
forza, ma anche alcuni limiti.
In questo capitolo, quindi, dopo avere evidenziato il flusso che è necessario
seguire per predisporre i bilanci prospettici di una impresa, a partire dalla va-
lutazione delle sue priorità competitive, si analizzano i principali indicatori di
prestazione utilizzati nella pratica, discutendone i relativi punti di forza e di
debolezza.

22.1 La costruzionedei bilanci prospetticie il budgeting

La costruzione dei bilanci prospettici costituisce, come detto, la traduzione in


termini economica:-fìnanziari delle scelte competitive dell'impresa; Chakra-
572 I I SISTEMI DI CONTROLLO
I
varthy e Lorange, in particolare, suddividono logicamente la fase di program-
mazione in tre sottofasi 1:
• identificazionedegli obiettivi,in cui si individuano le linee guida generali
del comportamento dell'impresa, in termini di segmenti prodotto/mer-
cati serviti, criteri di prestazione e relativi valori obiettivo e ipotesi di fon-
do sull'evoluzione dello scenario in cui l'impresa compete;
• programmazionestrategfra,in cui si definiscono i programmi pluriennali
che sono necessari per il raggiungimento degli obiettivi (introduzione di
nuovi prodotti, modifica del posizionamento dei prodotti esistenti, in-
cremento di efficienza o flessibilità delle risorse, interventi sulle attività
di supporto);
• budgeting,in cui si determina quali azioni devono essere svolte nel breve
periodo per l'implementazione dei programmi pluriennali selezionati e
si stabilisce l'effettiva allocazione delle risorse.

L'inizio del processo di budgeting presuppone quindi che siano stati definiti
gli obiettivi e i programmi strategici alla cui realizzazione è finalizzata la stessa
attività di budgeting.Il vero e proprio budgeting, come detto, ha come obiettivo
finale la predisposizione del master budget (figura 22.1), il documento che sin-
tetizza il sistema di piani compilati dall'impresa nell'ambito della programma-
zione e che consente di predisporre stato patrirnoniale e conto economico
previsionali e, quindi, di calcolare il NCF. In particolare il master budgetcosti-
tuisce l'insieme coordinato e coerente di tre tipologie di budget:
• i budgetoperativi, riguardanti la pianificazione della gestione caratteristi-
ca dell'impresa, in termini di flussi fisici ed economici di materiali, com-
ponenti, prodotti finiti e servizi, in entrata e in uscita dall'impresa;
• il budgetdegli investimenti, che definisce i nuovi impegni di risorse finan-
ziarie e umane necessari per il raggiungimento degli obiettivi;
• i budgetfinanziari, che determinano la gestione della liquidità a disposi-
zione dell'impresa ed evidenziano come far fronte a eventuali problemi
di insolvenza.
L'elaborazione di questi programmi consente di ottenere una proiezione del-
l'andamento futuro delle prestazioni "economiche" dell'impresa; il confron-
to tra tali valori e gli obiettivi determina l'approvazione del master budget, la
sua revisione - nell'ipotesi che le linee di azioni scelte non consentano di ot-
tenere risultati soddisfacenti - o addirittura una ridefinizione degli obiettivi -
quando non venga individuato alcun pi<1.noin grado di assicurarne il conse-
guimento.

1. Cfr. Chakravarthy e Lorange (1991). Le tre sottofasi sono solo logicamente sequenziali; in
realtà prevedono naturalmente numerosi ricicli.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I S73

F I G u RA 22.1 - La logica del budgeting

Master budget

------------,----------------------r-------------
1
I
I Budget
finanziari

NO

si

Vale la pena di sottolineare come. anche quando siano stati correttamente


individuati gli obietti\'i di lungo periodo dell'impresa e i relativi programmi
strategici, la detenninazione degli obiettivi specifici del master budgetrappre-
senti un processo particolarmente complesso. Le diverse prestazioni, infatti,
risultano spesso in contraddizione, come appare evidente quando si consideri
nel dettaglio l'insieme degli obiettivi che devono essere determinati per l'im-
plementazio~e del ciclo di budgeting;questi infatti riguardano:
• la quota di mercato, il prezzo dei prodotti realizzati dall'impresa, la poli-
tica da adottare per la individuazione delle spese discrezionali, per quan-
to riguarda i budgetoperativi;
• le politiche relative agli investimenti in tecnologia di processo e di pro-
dotto o in formazione delle risorse umane, per quanto riguarda il budget
degli investimenti;
• il livello di indebitamento, la redditività minima dell'impresa e la scelta
delle politiche di distribuzione dei dividendi, per quanto riguarda i bud-
get finanziari.
È evidente, ad esempio, che una politica di incremento della quota di merca-
to basata sulla riduzione dei prezzi di vendita può risultare in contraddizione
con l'obiettivo di aumentare la redditività di breve periodo di impresa, così
come l'adozione di un programma di investimenti in formazione del perso-
574 I I SISTEMI DI CQNTROLLO

nale e in ricerca e sviluppo contrasta con la possibilità di incrementare la di-


stribuzione dei dividendi nel breve periodo. Normalmente nella fase di defi-
nizione degli obiettivi si fa ricorso a tecniche di analisi delle variazioni, per
comprendere le implicazioni di scelte differenti sui diversi obiettivi; l'indivi-
duazione poi del set di obiettivi più opportuno costituisce il risultato di un
processo di negoziazione tra le diverse unità, ognuna delle quali è interessata
a un sottoinsieme degli obiettivi complessivi dell'impresa, processo che deve
essere attivamente guidato dal top management.

22.1.1 I budget operativi

Con riferimento a un'impresa industriale, si considerano nell'ambito dei bud-


get operativi:
• il budgetdelle vendite;
• il budgetdi produzione e delle scorte finali;
• il budget del costo del venduto (acquisti, costi variabili e fissi di conver-
sione);
• il budget dei costi di periodo (costi commerciali, costi di struttura, costi
discrezionali).

n budgetdellevendite
Il budgetdelle vendite ( tabella 22.1) rappresenta un momento centrale del ci-
clo di budgeting: è sulla base del fatturato programmato che vengono infatti
individuati tutti gli altri budget operativi e lo stesso budget di cassa, che è in-
fluenzato dalla distribuzione temporale delle vendite e dalle politiche com-
merciali adottate. Il budgetdelle vendite prevede l'intervento diretto delle fun-
zioni marketing e vendite, che più direttamente dispongono di informazioni
sul mercato di riferimento 2 , e degli staff di pianificazione e controllo, che
hanno il compito di connettere queste informazioni con l'esame delle strate-
gie aziendali di medio-lungo periodo; sulla base di queste indicazioni, si sti-
mano, normalmente con cadenza mensile, i volumi e i prezzi di vendita pro-
grammati. Ai valori aggregati si possono accompagnare dati disaggregati per
cliente, area geografica e linea di prodotto.

2. Per un'analisi delle diverse metodologie di previsione della domanda (quali ad esempio serie
storiche, medie mobili, smorzamento esponenziale e metodo Delphi), si può fare riferimento
a qualsiasi testo di marketing, ad esempio Dalrymple e Parsons ( 1990).
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I S75

TABELLA 22.1 - Il budget delle vendite

Gennaio Dicembre

Volume Prezzo Fatturato .............. Volume Prezzo Fatturato Fatturato


annuo

Prod. A
i
Prod. B
............
Totale I!

Il budget dellaproduzione e dellescortefinal.i


Una volta identificato il fatturato di budget, diviene possibile determinare la
quantità di out,put(P) che l'impresa deve produrre per poter far fronte al pia-
no delle vendite (V). A partire dalle scorte iniziali (S1) 3 e una volta identifica-
ta la quantità delle scorte finali (~) programmate (budg~tdelle scorte finali,
cfr. schema 22.1) 4 , si ottiene infatti la quantità di produzione programmata di
ciascun prodotto in ciascun periodo di tempo:

[V.+
I
(SF.
I
-S 1I.)] = P.I
..
E immediato quindi ricavare, mediante una somn1a algebrica, la quantità che
deve essere realizzata, nell'orizzonte temporale di riferimento, di ogni pro-
dotto che fa parte del mix produttivo dell'impresa.
La "costruzione., del piano di produzione richiede la verifica della con-
gruenza tra le risorse richiestt' dal budgete le risorse effettivamente disponibili
all'interno dell'in1presa; deve cioè risultare, per ogni risorsaj-esima:

N
I
i=l
P.. ~-<T.'
I ~- J

dove ti' rappresenta la quantità unitaria della risorsa j-esima richiesta dal pro-
dotto [-esimo e T. la disponibilità complessiva della risorsa j-esima.
J

3. Si osservi che, in teoria, le scorte iniziali sono ricavabili a partire dallo stato patrimoniale ini-
ziale dell'azienda. Così, ad esempio, le scorte iniziali relative al budgetper l'anno 2003 sonori-
cavabili dallo stato patrimoniale del 31.12.2002. Tuttavia, poiché il processo di budgetingper
l'anno 2003 viene in generale attivato prima della fine del 2002, sarà necessario determinare il
valore previsto delle scorte iniziali sulla base di un "preconsuntivo" del 2002.
4. Il budgetdelle scorte finali è particolarmente importante in imprese la cui domanda è caratte-
rizzata da una elevata stagionalità; attraverso una variazione delle scorte alla fine di ciascun pe-
riodo, infatti, si riesce ad assicurare una relativa stabilità del livello produttivo nonostante l'o-
scillazione delle vendite.
576 j I SISTEMI DI CONTROLLO
I

ScH EMA 22. l - Il budget delle scorte finali

Un'impresa, nell'anno 2005, ha avuto un livello di scorte finali pari a 12 milioni di€,
a fronte di un fatturato di 120 milioni di€. Determinare il livello delle scorte finali di
budget per il 2006, nell'ipotesi che l'impresa mantenga inalterata la propria politica
delle scorte e che il fatturato di budget sia pari a 150 milioni di€.

In generale, la politica delle scorte è sintetizzata dall'indice di rotazione delle scor-


te, definito come rapporto tra il fatturato e il valore delle scorte. Nel 2000, l'indice
di rotazione delle scorte è risultato pari a:
120
=10
12

Poiché l'impresa ipotizza di mantenere la stessa politica delle scorte, l'indice ri-
marrà inalterato nel 2001. In corrispondenza a un fatturato di budget pari a 150
milioni di€, quindi, le scorte finali saranno pari a:
150
= 15 milioni di€
10

Da qui si può stimare, in prima approssimazione, la consistenza "fisica" delle


scorte finali.

F I G u RA 22.2 - Dal budget delle vendite al budget di produzione

Budget
delle vendite
Scorte
iniziali
(preconsuntivo)

Budget Budget
delle scorte fìnali di produzione

Se l'ammontare delle vendite programmate comporta un superamento del


limite di saturazione della capacità produttiva, si rende necessaria una revisio-
ne del piano delle vendite e di produzione. In particolare, esistono quattro
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 5 77

principali tipologie di azioni, non necessariamente fra loro alternative, che


consentono di rendere nuovamente fattibile il progran1ma di budget:
• il mutamento della politica di vendita (ad esempio mediante un aumen-
to dei prezzi di commercializzazione dei prodotti, che riduce la quantità
che è necessario produrre, almeno in presenza di una domanda elastica
rispetto al prezzo) ;
• la revisione della politica delle scorte (ad esempio, attraverso una ridu-
zione delle scorte finali di prodotti finiti e semilavorati);
• la modifica della capacità produttiva, grazie all'attuazione di nuovi inve-
stimenti di processo ( budgetdegli investimenti); occorre ricordare, tutta-
via, che questa soluzione richiede dei tempi di attuazione superiori ri-
spetto alle precedenti e si presta quindi a rispondere a mutamenti quan-
titativi della domanda di carattere strutturale piuttosto che a variazioni
di tipo congiunturale 5 ;
• l'acquisto all'esterno di una parte dei prodotti o l'esternalizzazione di
una parte delle operazioni, in modo da ridurre la capacità produttiva ri-
chiesta internamente per uno stesso livello di output 6 :

fl budgetdel rostodel venduto


Una volta determinato un programma di produzione compatibile con i vinco-
li di carattere tecnologico e con quelli legati alla disponibilità di risorse uma-
ne, è possibile ,·erificarne le in1plicazioni di carattere economico.
In particolare. l'ingegneria di processo, definite le quantità standard di
componenti e di lavoro diretto necessari per il raggiungimento del livello pre-
visto di output, determina:
• la quantità comples..~ivadi materie prime e semilavorati di cui l'impresa
deve approvvigionarsi per poter fare fronte alla produzione programma-
ta; sulla base di tale informazione e dei prezzi previsti degli input, stimati
dalla funzione Acquisti, viene stilato il budget degli acquisti ( tabel/,a22. 2);
• l'entità delle lavorazioni esterne ( budget del conto wvorazionz);
• i costi di conversione relativi alla trasformazione degli input in prodotti
finiti destinati alla vendita ( budget dei costi di conversione, tabel/,a22.3).

5. Peraltro, le decisioni che comportano una modifica della capacità produttiva hanno effetto
sulle prestazioni dell'impresa nel medierlungo termine, quindi devono essere analizzate attra-
verso tecniche di capi,tall,udgeting.
6. Le singole soluzioni agiscono su termini differenti della (22.1) e della (22.2). L'intervento
sulle politiche di marketingcomporta infatti una riduzione del termine Vi; la riduzione_ delle
scorte finali una riduzione del termine SFi; l'investimento in beni capitali consente un mere-
mento di T e l' esternalizzazione di alcune attività riduce il consumo necessario di alcune ri-
J
sorse (tij).
578 J I SISTEMI DI CONTROLLO

TABELLA 22.2-11 budget degli acquisti

Componente Quantità acquistata Prezzocomponente Costototale

1 (prod. A)
...
n. (prod. A) Tot. acquisti prod. A

1 (prod. B)
...
n. (prod. B) Tot. acquisti prod. B

TABELLA 22.3 - Il budget dei costi di conversione

Costoconversione

Costo lavorodiretto ... Costoenergia Costototale

Prodotto A
...
Prodotto N
Costo conv. totale

A questo punto è possibile determinare in modo puntuale, sulla base del co-
sto pieno industriale o del costo variabile, il valore delle scorte finali di bud-
get7. Da qui, infine, si ricava il costo del venduto come:

acquisti + costi di conversione - variazione delle scorte

Il budgetdei costidi periodo/spesediscrezionali


La definizione del valore previsto delle spese discrezionali (spese amministra-
tive, generali e di vendita) costituisce un momento particolarmente proble-
matico nell'ambito del ciclo di budgeting,infatti, è oggettivamente difficile in-
dividuare una relazione standard fra il livello dell'output e l'ammontare delle
spese discrezionali 8 . Tra le diverse modalità proposte in letteratura e adottate
nella pratica per determinare il livello programmato delle spese discrezionali,
si possono ricordare 9 :
• l'approccio incrementale;

7. Nelle fasi precedenti, infatti, era stata determinata la sola quantità delle scorte finali.
8. Sui problemi connessi con la misura delle prestazioni di centri di spesa e sulle proposte per su-
perarli, almeno parzialmente, cfr. rafntow23.
9. Su questo tema, si veda anche Brusa e Zamprogna (1991).
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 5 79
• lo zerobasedbudget,
• l' overheadvalue a na~-ysis.
L'approccio incrementale, sicuramente il più diffuso nella pratica, consiste
nel determinare il valore programmato dei costi di struttura e delle spese di-
screzionali sulla base dei valori relativi all'ultimo esercizio; più precisamente, i
nuovi dati programmati sono ricavati moltiplicando i valori passati per un
coefficiente che tiene conto del ~o di inflazione e dell'eventuale espansio-
ne dell'attività dell'impresa. 10.
La relativa semplicità del metodo consente di implementarlo in modo rapi-
do e con costi limitati; tutta,ia, l'approccio incrementale comporta alcuni
problemi di carattere concettuale, e in particolare:
• ipotizza, implicitamente, una relazione di tipo lineare tra il livello di atti-
vità e l'ammontare delle spese discrezionali; il ricorso a una relazione di
proporzionalità può essere ragionevole, almeno in primissima approssi-
mazione, per le spese di tipo strutturale, ma appare del tutto inadeguato
per le spese discrezionali di carattere episodico, owero costi sostenuti,
per particolari ragioni, in un particolare periodo ma éhe non sono desti-
nati ad essere ripetuti in esercizi futuri 11;
• ricava i valori programmati a partire da dati storici; si ha così inevitabil-
mente una amplificazione delle eventuali inefficienze nel tempo.

Lo zero base,dbudgrl (ZBB) consiste invece nel ridefinire completamente ogni


anno l'ammontare delle risorse destinate alle spese discrezionali. Più precisa-
mente, a ogni responsabile di unità organi1zativa viene richiesto di identificare:
• l'insieme minimo di risorse necessarie per garantire il funzionamento
della propria unità ( incrementominimo dallo zero);
• una serie di ..pacchetti" alternativi di attività e i relativi costi incremen-
tali.
Il vertice dovrà decidere poi quali "pacchetti" implementare, sulla base delle
risorse disponibili e delle priorità aziendali.
Attraverso lo ZBB, dunque, l'impresa non si lascia condizionare da scelte
passate e obbliga i singoli responsabili a esplicitare l'impiego delle risorse ri-
chieste, eliminando di fatto i problemi connessi con l'approccio incrementa-
le; a fronte di questi indubbi vantaggi, lo ZBB appare particolarmente onero-
so, poiché richiede un forte coinvolgimento sia dei responsabili delle singole

10. Operativamente, il valore delle spese discrezionali viene espresso come percentuale del fattu-
rato, grandezza indicativa sia del livello di attività che dell'andamento dei prezzi; per~ltro, in
questo modo è possibile determinare il lnuigetdelle spese discrezionali non appena sia stato
definito il budgetdelle vendite.
11. Ad esempio, se si considerano i costi della funzione amministrazione e controllo, accanto a
spese strutturali, come quelle connesse con le attività di fatturazione, possono esistere spese
episodiche per la riprogettazione di parti del sistema di controllo di gestione.
580 I I SISTEMI DI CONTROLLO

unità organizzative che degli staff di pianificazione e controllo, che devono


supportare il vertice q.2iendale nella scelta di come allocare le risorse.
In alcuni casi, per cercare una soluzione più equilibrata tra costi e benefici
dell'informazione si preferisce adottare congiuntamente i due approcci, ri-
correndo annualmente a una logica incrementale e limitandosi ad adottare
lo ZBB ogni tre-quattro anni.
Nell' overheads value analysis (OVA), infine, le risorse non vengono allocate
direttamente alle singole unità organizzative, ma vengono ripartite tra attività
(ad esempio, lo sviluppo prodotto o il miglioramento dei tempi di attraversa-
mento) che possono coinvolgere anche unità organizzative differenti.
In corrispondenza a ciascuna attività, si individuano possibili soluzioni al-
ternative, definite in termini di costi - l'ammontare delle risorse dedicate a
quella attività - e di benefici. Questi ultimi non sono valutati dai responsabili
delle unità organizzative interessate dal processo di allocazione delle risorse,
ma dagli utenti delle attività di servizio, normalmente attraverso un metodo a
punteggio. Il livello di risorse da allocare a ciascuna attività e, indirettamente,
a ciascuna unità organizzativa viene definito in modo da cercare di massimiz-
zare il rapporto tra benefici e costi. Al di là del criterio di scelta, tuttavia, l' ele-
mento più significativo dell'OVA è costituito proprio dal maggiore coinvolgi-
mento dei clienti interni delle attività discrezionali nel processo di budgeting,
diviene così possibile aumentare la conoscenza sulla reale finalizzazione delle
attività discrezionali, con benefici importanti sul piano dell'apprendimento
organizzativo 12.
D'altro canto, l'elevata complessità organizzativa del processo fa sì che, a
oggi, l'OVA sia il metodo meno diffuso di programmazione delle spese discre-
zionali.

22. 1 .2 Il budget degli investimenti

Il piano degli investimenti evidenzia la quota di investimenti che l'impresa in-


tende effettuare nel corso dell'anno:
• per far fronte agli obiettivi di medio/lungo periodo prestabiliti in sede
di pianificazione strategica;
• per rendere fattibili piani di produzione altrimenti non attuabili.
A livello operativo, si è soliti adottare una distinzione tra investimenti in im-
mobilizzazioni e in risorse umane, sia per le diverse caratteristiche delle risor-
se in oggetto che per le differenti unità organizzative che ne curano la pianifi-

12. Si osservi che nell'OVA, l'impegno del 'Vertice" e degli staff di pianificazione nel processo di
allocazione delle risorse è più contenuto rispetto a quanto accade nello ZBB; infatti, l'analisi
dei benefici delle diverse alternative viene di fatto condotta dai "clienti interni".
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 581

cazione ..In p~tic~l:ire, il budgetdegli investimenti in immobilizzazioni ( tabella


22. 4) ~videnzia ?h mvestimenti che sono stati approvati e quelli che sono in
fase di ~pprovaz1?ne, ~et~liando gli esborsi finanziari necessari per l'imple-
mentazione degh spec1fic1progetti.

TABELLA 22.4 - 11budget degli investimenti

Progettidi investimento 2000 2001 2002 2003

Approvatineglieserciziprecedenti
Investimento A

...
Investimento F

Totaleinvestimentiapprovatineglieserciziprecedenti
Approvati
..
Investi mento G

...
Investimento L

Totaleinvestimentiapprovatinell'esercizio
Infase di approvazione

Investimento M

...
Investimento Z

Totaleinvestimentiinfase di approvazione

Il budgetdegli investimenti in risorse umane comprende invece la proiezio-


ne dei costi connessi con la ricerca, selezione, assunzione e inserimento del
personale in azienda.

22.1.3 I budget finanziari

I budgetfinanziari hanno lo scopo di verificare la fattibilità finanziaria del bud-


get di esercizio; in particolare, la costruzione dei piani finanziari analizza, da
un lato, la capacità di autofinanziamento, di credito e di attrarre capitale di ri-
schio da parte dell'impresa, dall'altro la dinamica della cassa (risorse moneta-
rie a disposizione), conseguente all'ipotesi di funzionamento operativo pro-
grammato.
582 I I SISTEM t DI CONTROLLO

Comprendono:
• il budgetfonti/impi~hi (o l'equivalente schema di cashflow), per l'analisi di
compatibilità finanziaria dei budgetoperativi formulati; e
• il budgetdi cassa,per anticipare eventuali rischi di insolvenza dell'impresa.
Il budget del reddito imponiml,eevidenzia infine l'effetto derivante dalla gestione
straordinaria sul risultato d'esercizio.

flbudgetfonti/impieghi 13
La struttura del budgetfonti/impieghi ( tabella22.5) è già stata discussa nel capite>-
lo 14. Qui è sufficiente analizzare le modalità per ottenere le informazioni ne-
cessarie alla sua compilazione prospettica.
In particolare:
• il valore della produzione di budget e il costo della produzione di lrudget
sono ricavabili dai budget operativi; l'unica notazione su questo puntori-
guarda le scorte iniziali, che coincidono con le scorte finali dell'esercizio
precedente a quello per il quale è predisposto il budget. Poiché il l,udget
viene in generale predisposto prima della fine dell'esercizio precedente
(il processo inizia normalmente a ottobre o novembre), il valore delle
scorte iniziali non sarà in realtà noto ma dovrà essere stimato attraverso
un "preconsuntivo";
• il calcolo della variazione del capitale circolante richiede che l'impresa
definisca la propria politica rispetto a debiti e crediti commerciali (cfr.
schema 22.2), mentre il livello delle scorte finali è già noto dal budget del-
le scorte finali;
• il calcolo degli oneri finanziari e dei proventi finanziari fa riferimento ai
soli flussi finanziari; il dato relativo non coincide quindi con quello ri-
portato nel conto economico, basato sulla competenza economica delle
diverse voci. Gli oneri finanziari vengono determinati con un processo
di tipo iterativo. Dapprima, si calcola un valore relativo ai debiti contratti
negli anni scorsi e ancora attivi e a quelli previsti per finanziare nuovi in-
vestimenti. Una volta terminata la prima stesura del budgetfonti/impieghi,
si verifica se l'impresa ha necessità di contrarre ulteriori debiti o se ha di-
sponibilità di cassa per ridurre il proprio indebitamento; nel caso di va-
riazioni del debito si ricalcolano gli oneri finanziari e, conseguentemen-
te, si ricalcola il surplus o fabbisogno finanziario dell'impresa;
• le imposte rispondono anch'esse al criterio di cassa. Di conseguenza,
vengono considerate le imposte versate a saldo dell'anno precedente e i
due anticipi di imposte. Poiché questi ultimi sono calcolati a partire dal-
l'anno precedente, per il calcolo delle imposte è sufficiente stimare, at-
traverso un preconsuntivo, l'utile di esercizio dell'anno precedente.

13. In alcune aziende si parla invece che di fonti/impieghi di schemadi cashflow, cfr. capitow14.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 583

TABELLA 22.5 - Il budget fonti/impieghi


Valore della produzione
Costi della produzione
=
Differenzatra valorie costidella produzione +
Voci non monetarie (ammortamenti, accantonamenti a fondi ecc.)

Flussodi cassapotenzialedella gestionecaratteristica +


Variazione capitale circolante
Crediti commerciali (iniziali - finali)
Rimanenze (iniziali - finali)
Debiti commerciali (finali - iniziali)
(eventuali altre voci minori)

Flussodi cassanetto dellagestionecaratteristica


Oneri finanziari (al netto dei proven-ti)
Imposte

Flussodi cassanetto della gestionecorrente +


Altrefonti
Accensione debiti
Aumento di capitale sociale
Disinvesti menti

Altri impieghi
Investimenti
Utilizzo fondi
Dividendi
Rimborso debiti finanziari

Surplus/fabbisognofinanziario

È evidente che in presenza di un surplus l'impresa non è obbligata ad alcun


intervento correttivo 14; al contrario l'identificazione di un fabbisogno finan-
ziario negativo comporta necessariamente:
• il reperimento di fonti di finanziamento ulteriore, mediante ad esempio
il ricorso a istituti di credito ordinario, l'emissione di obbligazioni o l'au-
mento del capitale di rischio; o, più semplicemente;
• la riduzione degli investimenti, eliminando alcuni dei progetti o dilazio-
nandoli nel tempo.

14. È comunque possibile utilizzare la disponibilità finanziaria per nuovi investimenti o per ridur-
re l'indebitamento.
584 I I SISTEMI DI CONTROLLO

I •
TABELLA 22.6 - Il budget d1 cassa: le entrate

Mese

Gennaio Febbraio Marzo Dicembre

Incassi da vendite 1.500


Incasso crediti 250
Altre entrate correnti 100
Totaleentrate correnti 1.850
Accensione mutui 250
Altri fìnanziamenti o
Emissione obbligazioni o
Aumenti di capitale a pagamento o
Disinvesti menti 100
Totaleentrate non correnti 350

Totale entrate 2.200

Il budgetdi cassa
Il budget di cassa stima le entrate e le uscite di cassa dell'impresa nell'ambito
dell'orizzonte di pianificazione (solitamente l'anno); i prospetti presentano
tuttavia una frequenza più ravvicinata (normalmente mensile) per fornire un
continuo monitoraggio del livello di liquidità.
In particolare, nel budgetdi cassa si evidenziano, a partire dalle liquidità ini-
ziali, il totale delle entrate ( tabella22. 6), derivanti da vendite, riscossione cre-
diti e disinvestimenti, e il totale delle uscite ( tabella 22. 7), dovute ad esempio
ad acquisti, stipendi del personale, pagamento dei dividendi e oneri finanzia-
ri. Il saldo di cassa ( tabella22. 8) così identificato deve essere comparato con il
valore obiettivo minimo desiderato, per verificare la possibilità di effettuare
ulteriori investimenti o, al contrario, la necessità di contrarre nuovi debiti nei
confronti di istituti di credito.
La compilazione del budget di cassa costituisce l'ultimo passo del ciclo di
budgeting prima della redazione del bilancio di esercizio di budget. La costru-
zione del budgetdi cassa richiede infatti in input dati relativi alla politica delle
scorte, alle vendite programmate, agli acquisti previsti, che sono disponibili
solo in seguito alla costruzione dei budget operativi, del budget degli investi-
men ti e del budgetfonti/impieghi.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 585

TABELLA 22.7 - Il budget di cassa: le uscite

Mese

Gennaio Febbraio Marzo Dicembre

Acquisto M.P. pronta cassa 1.000


Pagamento debiti commerciali 200

Stipendi/salari 500
Costo dei servizi 100

o
Spese di vendita 200
Totaleuscitecorrenti 2000
Pagamenti imposte o
Pagamento interessi 150
Rimborso mutui o
Rimborso altri debiti o
Pagamento immobilizzazioni o
Totalealtreuscite 150

Totaleuscite 2.150

TABELLA 22.8 - Il budget di cassa: lo schema di sintesi

Mese

Gennaio Febbraio Marzo Dicembre

livello di cassa inizio periodo 25

Totaleentrate 2.200

Totale disponibilità monetarie


nel periodo 2.225

Totaleuscite 2.150

Primo saldo di cassa del periodo 75


livello minimo di cassa desiderato (20)

Saldodi cassa 55
Posizione vs. banche inizio periodo (4.860)
Oneri finanziari (bancari)

Posizionevs. banchefine perioao


586 I I SISTEMI DI CONTROLLO

ScH EMA 22.2 - Il cal~olo del capitale circolante

Un'impresa ha un fatturato di budget di 100 milioni di€ e concede ai propri clienti


un tempo medio di pagamento di 3 mesi. Determinare il livello atteso di crediti
commerciali.
Il tempo medio di incasso dei crediti, in mesi, è esprimibile come:
fatturato
12 · crediti commerciali

Di conseguenza, si ha che:
100
3 = 12 · crediti commerciali

e quindi:
100
crediti commerciali= 12 • -- = 25 milioni di€
3
Analogamente, si può ricavare il valore dei debiti commerciali a partire dal totale
degli acquisti (reperibile nel budget del costo del venduto) e dal tempo medio di
pagamento dei fornitori. Questo è esprimibile, in mesi, come:
acquisti
12·--------
debiti commerciali

fl lmdget del reddito imponibile


Il lmdgetdel reddito imponibile ha l'obiettivo di identificare il risultato reddi-
tuale complessivo dell'impresa, sintesi della gestione ordinaria, finanziaria e
straordinaria.
Più precisamente, nell'ambito del lmdget del reddito imponibile, si eviden-
zia l'effetto sul reddito di competenza, risultante dai lmdget operativi e finan-
ziari, della gestione straordinaria programmata, in termini di eventuali accan-
tonamenti a fondi non deducibili e di plusvalenze/minusvalenze derivanti
dall'alienazione di beni.

22.1.4 Conto economico e stato patrimoniale di budget

Una volta definiti i lmdgetoperativi, il lmdgetdegli investimenti e i lmdgetfinan-


ziari, si dispone di tutte le informazioni per la costruzione del conto economi-
co e dello stato patrimoniale di lmdget, che costituisce il momento di sintesi
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 587

dei ~ piani del master budget, quindi lo stadio finale del processo di bud-
geting1~.

22.2 Gli indicatoritradizionali


a livellodi impresa

I bilanci, sia a consuntivo sia a preventivo, forniscono un'ampia base di infor-


mazioni che consente di analizzare le risorse e i diritti sulle risorse, i flussi eco-
nomici (ricavi, costi, utile) e i flussi di cassa.
L'analisi di queste grandeue può essere effettuata utilizzando due tipolo-
gie di indicatori:
• indicatorirelativi,i quali mettono a rapporto due grandezze monetarie ri-
cavate dai documenti di bilancio. Queste grandezze possono riportare
valori di '4stock,.,(stato patrimoniale e prospetto delle variazioni patrimo-
nio netto) oppure grandeue di flusso, economico (conto economico) o
finanziario (rendiconto finanziaiio);
• indicatoriassoluti. i quali restin1iscono un valore in termini monetari e so-
no ottenute direttamente dai documenti di bilancio o attraverso una lo-
ro ricla~ificazione.
L'uso di questi indicatoti a..~urne Iilevanza in termini comparativi, conse~ten-
do di evidenziare ca111bia111enti nel ternpo, fra dati a consuntivo e preventivo,
e con altre i111prese. La facilità di reperirnento dei bilanci consuntivi rende
agevole la co1nparazione. tutta,ia pone il problema delle differenze nei prin-
cipi contabili adottati.
L'obiettivo di questo parctgrafo è presentare una gtiglia di indicatori utiliz-
zabili per analizzare il bilancio, illustrando dapprima alcune considerazioni
per gli eventuali problemi di comparabilità dei dati.
Il processo di annonizzazione e l'introduzione degli IFRS hanno enfatizza-
to l'omogeneizzazione dell'infonnativa contabile europea, imponendo l'ado-
zione di uno standard comune alle società quotate dei paesi membri.
Questa transizione ha dato origine tuttavia alla coesistenza di diverse tipo-
logie di bilanci generati essenzialmente da:
• disallineamento tra bilanci redatti in ba~e ai principi IAS/IFRS e bilanci
redatti in base ai principi nazionali;
• esistenza di opzioni nell'implementazione dei principi IAS/IFRS.
Questa situazione, apparentemente in contraddizione con la volontà di armo-
nizzare l'informativa contabile, ha consentito di mettere in luce la diversità
tra le normative dei paesi membri e la reale difficoltà di comparare i bilanci
prima dell'introduzione degli IAS/IFRS. Tali difficoltà in parte permangono,
ma hanno spinto gli organismi nazionali e sovranazionali a richiedere in nota

15. La costruzione del conto economico e dello stato patrimoniale di budgetconsiste semplice-
mente nell'aggregazione delle informazioni contenute nei singoli piani e nella loro rielabora-
zione coerentemente con la struttura del conto economico e dello stato patrimoniale.
588 I I SISTEMI DI CONTROLLO

integrativa informazioq.i aggiuntive che consentono ai lettori di definire chia-


ramente le aree di divergenza.
Il calcolo degli indicatori dovrebbe quindi essere preceduto da una verifica
dei principi adottati e da un'analisi preliminare delle principali differenze in
termini di struttura dei documenti, riconoscimento delle voci e modalità di
valorizzazione.
La tabella 22. 9 riassume le voci da considerare e le opzioni consentite nei
bilanci IAS/IFRS e italiani.

TABELLA 22.9 - Le principaliareedi armonizzazione

IAS/IFRS Principitradizionaliitaliani

16
Statopatrimoniale
Presentazione di attività Corrente-Non corrente (in base Immobilizzazioni-circolante
e passività alla natura delle voci).
In alternativaCorrente-Non corrente
(in base alla liquidità delle risorse)

Riconoscimento attività Esistenza di un potenziale contributo, Diritto di proprietà


diretto o indiretto, ai flussi fìnanziari
e mezzi equivalenti che affluiranno
all'impresa. Nel determinare
l'esistenza di un'attività,
il diritto di proprietà non è essenziale

Riconoscimento passività Obbligazioni attuali e non semplici Obbligazioni attuali e


impegni futuri alcuni impegni futuri

Valorizzazione delle voci Modello del costo e modello Modello del costo con
del fair value indicazioni del FairValuein nota
integrativa per alcune voci.

Contoeconomico
17

Struttura del Conto Attività in funzionamento Attività ordinarie -


economico (Continuingoperations)-
Attività destinate a cessare Attività straordinarie
(Discontinuingoperations)
Riconoscimento dei ricavi Passaggio di proprietà e rischi Passaggio di proprietà
da prodotti
Riconoscimento dei ricavi Stadio di completamento Passaggio di proprietà
da servizi
Presentazione costi operativi Classifìcazione per natura Classifìcazione per natura
in Conto economico o in alternativa
Classifìcazione per destinazione

Rendicontofinanziario18
Struttura del Metodo diretto o Nessuna indicazione specifìca
Rendiconto Finanziario metodo indiretto

16. Cfr. capitow 12.


17. Cfr. capitow13.
18. Cfr. capitow14.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 589

Considerate le possibili disomogeneità, l'analisi è effettuata attraverso indica-


tori assoluti e relativi con riferimento a tre aree di prestazione:
• la redditività, focalizzata sulla capacità dell'in1presa di generare reddito e
quindi di remunerare tutti i fattori produttivi;
• la liquidità, che studia la capacità dell'impresa di far fronte ai propri im-
pegni attraverso le risorse a sua disposizione;
• la cresci.ta,ossia la capacità dell'impresa di crescita dimensionale e ope-
rativa.
Generalmente i dati di bilancio consentono il calcolo degli indicatori a livello
aggregato di impresa, tuttavia per alcune grandezze è possibile far riferimen-
to alle informazioni dettagliate per segmenti di attività incluse in nota integra-
tiva (IAS 14- IFRS 8).
Nella tabella22.1 O è riportato il quadro degli indicatori.

TABELLA 22.1O- Il quadrodegliindicatori


di bilancio
Tipologiaindicatore
Relativi Assoluti
Prestazione
Redditi11itò
Complessiva ROE Utile (netprojìt)
Operativa ROI EBIT
ROS EBITDA
RA
Finanziaria Costo medio capitale di terzi
Fiscale t .. Utile netto da continuingoperations/
Utile lordo da continuingoperations
Discontinuec.i d - Utile netto/Utile netto da
continuingoperations
Liquiditò
Liquiditàbreve Rapporto corrente Margine tesoreria
Test acido Capitale circolante netto
Sufficienzacoshjlow CoshJlow
adequacy Freecashflow
Cracita
Complessivi Tasso di crescita dell'attivo
Tasso di crescita del Patrimonio netto
Tasso autofinanziamento
Investimenti Tasso reinvestimento Capex

22.2.1 Gli indicatori


di redditività

Il primo gruppo di indicatori anal~za la_ca?ac~tà ?i u_°:'im_presa_


di ge~~ra~e
reddito (utile). Si presenteranno d1 seguito 1 pnnc1pah 1nd1caton relatIVIe 1n
seguito gli indicatori ·assoluti più comuni.
590 j I SISTEMI DI CONTROLLO

TABELLA 22.11 - Gli indicatoridi redditività

Tipologiaindicatore
Relativi Assoluti
Prestazione
Redditività
Complessiva ROE Utile (net profit}
Operativa ROI EBIT
ROS EBITDA
RA
Finanziaria Costo medio capitale di terzi
Fiscale t= Utile netto da continuingoperations/
Utile lordo da continuingoperations
Discontinued d = Utile netto/Utile netto da
continuingoperations

L'indicatore di sintesi della redditività di un'impresa è il ROE definito


come 19:
utile netto dell'esercizio
ROE= (22.1)
patrimonio netto

Il ROE rappresenta la remunerazione percentuale del capitale di pertinenza


degli azionisti ( capitak proprio). Esso è un indicatore della profittabilità com-
plessiva dell'iinpresa, risultante dall'insieme della gestione operativa (capa-
cità di trasformare input fisici in output), della gestione finanziaria (impiego
del capitale in attività finanziarie e gestione delle fonti di finanziamento) e
della gestione straordinaria (relativa ad attività destinate a cessare) e fiscale.
Attraverso la ben nota formula della leva finanziaria, è possibile identificare
il contributo specifico delle tre gestioni alla creazione del ROE. Si ha 20:

19. Nella (22.1) può essere inserita la consistenza del patrimonio netto all'inizio o alla fine dell'e-
sercizio. La prima soluzione tende a sottostimare il valore del patrimonio netto disponibile
mediamente nell'esercizio, quindi a sovrastimare il ROE, mentre la seconda ha gli effetti op-
posti. In alcuni casi, per mitigare questo effetto, si considera la semisomma tra la consistenza
iniziale e quella finale.
20. La leva finanziaria è ricavabile rielaborando le seguenti relazioni:
ROE = utile utile netto dell'esercizio/ E;
ROI = MON/ (D + AJ;
s= utile utile netto dell'esercizio/utile lordo delle attività in funzionamento;
r= oneri e perdite finanziarie/ D;
MON = utile operativo;
MON - oneri e perdite finanziarie= utile lordo delle attività in funzionamento.
La relazione assume la forma della (22.2) solo se è nulla la somma di "Utili da società control-
late, collegate e joint venture", "Proventi finanziari da attività di investimento", "Altri proventi
e perdite". Nel caso la somma di queste voci sia diversa da zero, ma comunque limitata rispet-
to agli oneri e perdite finanziarie, si può ancora utilizzare la stessa relazione formale, pur di
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 591

FIGURA 22.3 - L'albero


degliindicatori

ROE

+
ROI O/E r s

~
=
I
Rotazione Costo medio
ROS
dell'attivo del capitale
t d
di terzi
Consumo materiale Rotazione = =
Fatturato delle scorte Incidenza Risultato

Costo del lavoro imposte delle


Tempo di
Fatturato attività
incasso crediti
destinate
Ammortamenti Rotazione a cessare
Fatturato delle attività
operative
Riduzione di valore
di attività non correnti non correnti

Fatturato

Alti costi operativi


Fatturato

ROE = [ROI +:.~ · (ROI- r) l · , (22.2)

dove:

D= mezzi di terzi (debt), cioè la parte delle passività dell'impresa non di perti-
nenza degli azionisti, pari alla somma di passività correnti e passività non cor-
renti;
E= patrimonio netto ( equity);
ROI = return on investment;

considerare oneri e perdite finanziare al netto della somma di "Utili da società controllate,
collegate e joint venture", "Proventi finanziari da attività di investimento" e "Altri proventi e
perdite". Infine, nel caso in cui la dimensione dei proventi finanziari non sia trascurabile, per
mantenere, almeno formalmente, la stessa relazione, occorre sostituire al MON il MON*, ri-
cavabile aggiungendo la somma di "Utili da società conti:ollate, collegate e joint venture",
"Proventi finanziari da attività di investimento" e "Altri proventi e perdite". In quest'ultimo ca-
so, il significato del RQI muta, poiché non rappresenta solo il risultato della gestione operati-
va, ma comprende anche la gestione finanziaria "attiva".
592 I I SISTEMI DI CONTROLLO

r= costo medio dei mezzi di terzi;


s = rapporto tra l'utile netto dell'esercizio e l'utile lordo da attività in funzio-
namento.

La (22.2) evidenzia l'effetto sul ROE di quattro grandezze, il cui significato


viene descritto nel seguito.
L'indice s21, definito come:

utile netto dell'esercizio


(22.3)
utile lordo da attività in funzionamento

misura l'effetto sulla redditività dell'impresa di operazioni di carattere straordi-


nario e l'impatto delle imposte. È possibile evidenziare separatamente i due ef-
fetti moltiplicando e dividendo s per l'utile netto da attività in funzionamento:

utile netto dell'esercizio utile netto da attività in funzionamento


s= -------------- --------------- =d · t
utile netto da attività in funzionamento utile lordo da attività in funzionamento

dove t misura l'effetto delle imposte sull'utile da attività in funzionamento,


mentre d mostra l'incidenza delle attività cessate o destinate a cessare. In en-
trambi i casi più il valore si allontana dall'unità più tasse e attività destinate a
cessare hanno incidenza negativa sull'utile netto.
Il ROI ( return on investment), definito come:

MON
ROI= (22.4)
D+E

rappresenta l'indicatore della redditività della gestione operativa 22 ; misura


quindi la capacità dell'azienda di generare profitti nell'attività di trasforma-
zione degli input in output, l'individuazione delle determinanti del ROI viene
affrontata nella sezione successiva.
Il rapporto fra mezzi di terzi e patrimonio netto, D/E, definito normalmen-
te rapporto di indebitamento, indica la struttura delle fonti di finanziamento del-
l'impresa.
L'indice r, definito come:

21. Nel caso del Bilancio IV Direttiva, le relazioni riportate in questo paragrafo rimangono for-
malmente valide. Si modifica però la modalità di calcolo dei diversi indicatori. In particolare:
s= utile dell'esercizio/reddito al lordo della gestione straordinaria e fiscale; r= interessi e altri
oneri finanziari/ D.
22. La somma di patrimonio netto e mezzi di terzi viene definita capitale investito.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 593
Oneri e perdite finanziarie
r=
D (22.5)

rappresen~ il "co~~omedio dei n1ezzi di terzi" e indica quindi l'onere percen-


tuale medio che l impresa paga per reperire capitali presso fonti di finanzia-
mento esterne 23 .
L'indicatore ...
r, misura l'onere finanziario percentuale rispetto al totale dei
mezzi di terzi. E necessario precisare che nel caso in cui i proventi finanziari
non siano trascurabili la (22.2) si modifica come segue:

D
ROE* = [ROI + - · (ROI- r')]. s (22.2)
E

dover'= costo medio netto dei mezzi di terzi= (oneri e perdite finanziarie -
proventi finanziari)/ D.

La formula della leva finanziaria evidenzia come gestione operativa, finanzia-


ria e straordinaria interagiscono nel determinare la remunerazione degli
azionisti; in particolare, è interessante osservare con1e il rapporto tra il risulta-
to operativo (ROI) e la redditi\ità dell'impresa per gli azionisti (ROE) dipen-
da, a meno del fattore n1oltiplicativo s, da una corretta gestione finanziaria.
Se infatti l'impresa è in grado di far rendere il capitale investito in misura
maggiore rispetto al costo medio dei n1ezzi di terzi (ROI > r), il ROE diviene
superiore al rendimento operativo; il differenziale tra ROE e ROI, inoltre, è
tanto maggiore quanto rnaggiorc è il rapporto di indebitamento. Emerge
quindi un effetto di leva derivante dalla possibilità di investire capitali in
quantità superiore rispetto al conferimento effettuato dagli azionisti, median-
te il finanziamento ottenuto da enti terzi.
Il fenomeno.della leva finanziaria agisce anche in senso negativo. In impre-
se dove il costo medio dei mezzi di terzi è superiore rispetto alla redditività del
capitale investito, infatti, il ROE risulta inferiore rispetto al ROI; la differenza
è tanto più elevata quanto maggiore è il rapporto di indebitamento.

Gli indici,di redditivitàdella gestioneoperativa


Per individuare in modo più puntuale le determinanti dell'andamento della
gestione operativa dell'impresa, è possibile scomporre il ROI in alcuni indica-
tori elementari:

23. la leva finanziaria può es.5ere espressa anche facendo riferimento ai soli mezzi di terzi esplici-
tamente onerosi, sostituendo nelle (22.1-22.5)ai mezzi di terzi i debiti finanziari. In questo ca-
so, owiamente, occorre ridefinire tutti gli indicatori in modo coerente; così, ad esempio, il
ROI deve es.5ere espresw come rapporto tra MON e la somma di patrimonio netto e debiti fi-
nanz1an.
594 j I SISTEMI DI CONTROLLO

MON MON RIC


ROl=----- = ROS • rotazione attivo (22.6)
(D+E) RIC A

con:
RI C = ricavi operativi;
A= totale attivo= D + E.

La (22.6) evidenzia come la redditività operativa dipenda da:


• margine percentuale sul fatturato (return on saks, ROS);
• rotazione dell'attivo.
Il ROS e la rotazione dell'attivo non sono tra loro indipendenti; ad esempio,
nel caso l'impresa riduca il prezzo di vendita dei propri prodotti, in modo da
mantenere inalterato il fatturato a fronte di un inasprimento dei termini di
pagamento concessi ai clienti, essa vedrà migliorare la rotazione dell'attivo
(grazie alla riduzione nei crediti commerciali derivanti dai ridotti termini di
pagamento) ma riscontrerà un contemporaneo peggioramento del ROS (ri-
duzione del margine a parità di fatturato, conseguente alla riduzione del
prezzo di vendita).
L'analisi può essere ulteriormente dettagliata, scomponendo il ROS e l'in-
dice di rotazione dell'attivo.
Per quanto riguarda il ROS, dalla definizione di margine operativo netto:

MON = RIC-ACQ-~SC(PF+ WIP) -LAV-AMM-ACP=


=VAL-LAV-AMM-ACP (22.7)

con:
RI C = ricavi operativi;
VAL= valore aggiunto lordo;
~SC (PF + WIP) = variazione delle scorte di prodotti finite e work in progress
(iniziali - finali) ;
ACQ = consumo di materie prime e altri materiali di consumo;
LAV = costo del personale;
AMM = ammortamenti e variazione del valore delle attività non correnti;
ACP = altri costi operativi,

si ottiene immediatamente la possibilità di esprimere il ROS come la somma


di quattro termini, che rappresentano l'incidenza percentuale sul valore della
produzione di quattro fattori produttivi (materiali, personale, ammortamen-
ti, altri costi).
L'indice di rotazione dell'attivo può variare in seguito a un mutamento nel-
la politica di gestione delle scorte, dei crediti commerciali o degli investimen-
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 595

ti in immobilizzi. Per evidenziare i primi due aspetti, in particolare, si introdu-


cono la rotazionedellese.orte,definita come:

RIC
nmanenze (22.8)

e il tempo medio di incasso dei crediti'.

365 · crediti commerciali e altri


RIC (22.9)

La profittabilità della gestione operativa cresce all'aumentare dell'indice di


rotazione delle scorte - ottenibile, ad esempio, attraverso politiche differenti
di gestione della produzione - e al dimintùre del tempo medio di incasso dei
crediti, tramite una restrizione dei termini di pagamento concessi ai fornitori.
Nelle tabelle22.12 e 22.13 è riportato un esempio di calcolo per quattro
aziende appartenenti a settori diversi: Campari, Enel, Fiat ·e Telecom Italia 24 .

TABELLA 22.12 - I principaliindicatori


di redditività

I livello li livello

ROE ROI r t d ROS RA

Campari 14,7% 11,0% 1,6% 0,67 1,00 20,4% 0,54


Enel 16,3% 10,7% 1,8% 0,60 1,00 15,1% 0,71
Fiat 11,5% 3,5% 0,9% 0,70 1,00 4,0% 0,89
Telecom Italia
I 11,1% 8,3% 3,1% 0,54 1,00 23,3% 0,36
I

.
TABELLA 22.13 - I principaliindicatoridi redditività:
le grandezzedi partenza

Stato patrimoniale Conto economico

Utile E A o Ricavi MON OF-PF Utilelordo Utilenetto


(milioni (milioni (milioni (milioni (milioni (milioni (milioni da attività da attività
€) €) €) €) €) €) €) in in
funziona- funziona-
mento mento
(milioni€) (milioni€)

Campari 117 798 1.726 928 932 191 15 176 117


Enel 3.101 19.025 54.500 35.475 38.513 5.819 651 5.168 3.101
Fiat 1.151 10.036 58.303 48.267 51.832 2.061 420 1.641 1.151
Telecom Italia 3.003 27.098 89.457 62.359 31.881 7.437 1.922 5.515 2.996

24. Per tutte e quattro Ie·società i dati si riferiscono ai bilanci consolidati dell'esercizio contabile
2006.
596 I I SISTEMI DI CONTROLLO

L'analisi di redditività, pur essendo maggiormente focalizzata sugli indica-


tori relativi, può includere tre indicatori assoluti di uso comune fra le impre-
se. Oltre all'utile netto ,(spesso indicato con termine inglese net profit), si se-
gnalano due indicatori di conto economico, anch'essi spesso citati con riferi-
mento alla terminologia inglese:
• l'EBIT = earning befareinterestsand taxes;
• l'EBITDA = earning befareinterests,taxes, depredationand amartisation.
L'EBIT è l'utile operativo (da noi indicato anche come margine operativo
netto: MON) mentre l'EBITDA è l'utile operativo al lordo degli ammorta-
menti delle attività operative non correnti. Nella tabella22.14 è riportato un
prospetto riassuntivo.

TABELLA 22.14 - Gli indicatoriassolutidi redditività

Ricavi
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
- ___
Costi_Operativi _______________________________________________________________________________________
_
+ Ammortamenti e perdite di valore
Utile operativolordo= margineoperativolordo= EBITDA

-Ammortamenti e perdite di valore


Utile operativo= margineoperativonetto= EBIT

+ Proventi fìnanziari
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
- Oneri e perdite fìnanziarie
Utile lordoda attività in funzionamento

- Imposte
Utile nettoda attivitàin funzionamento

- Risultato da attività destinate a cessare (discontinued)


Utile netto = net projit

22.2.2 Laliquidità

La seconda area di analisi sposta l'attenzione dalla creazione di utili (flussi


economici) a una prospettiva finanziaria, analizzando la capacità di creare
cassa e di far fronte con le proprie risorse alle esigenze dell'impresa.
Gli indicatori sono suddivisi in due sottoaree: la liquidità di breve e la suffi-
cienza dei flussi di cassa.

La liquidità di breve
Gli indicatori di liquidità di breve periodo analizzano i dati di stato patrimo-
niale attivo e passivo evidenziando la capacità di far fronte alle future esigibi-
lità, attraverso le risorse che si renderanno liquide nel breve periodo.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 597

TABELLA 22.15 - Gli indicatoridi liquidità

Tipologia Relativi Assoluti


indicatore
Prestazione
Liquidità
Liquiditàbreve Rapporto corrente Margine tesoreria
Test acido Capitale circolante netto
Sufficienzacashflow Cashflow adequacy Freecashflow
DividendPayout
Reinvestment
Longterm repayment

In linea con questa esigenza le voci di attivo di stato patrimoniale sono rag-
gruppate in:
• attività correnti, ulteriormente suddivise in:
liquidità immediate. os.sia le risorse itnmediatamei1te disponibili (cas-
sa o mezzi equivalenti),
liquidità differite, os.sia le atthità che si prevede si renderanno liquide
. . . .
nei pros.s1m1mesi.
disponibilit:-ì, coincidente con la voce rin1anenze;
• attività non correnti.
Le voci di stato pau;moniale passivo sono invece raggruppate in:
• passività correnti:
• passività consolidate;
• mezzi propri.
È necessario precisare che gli IAS/IFR...5prevedono una cla'isificazione delle
voci di stato patrin1oniale sia per natura che per liquidità. La riclassificazione
dovrà essere preceduta dalla verifica del criterio adottato.
Questa ridassificazione 25 consente di costruire gli indicatori di liquidità di
breve.
Gli indicatori relativi sono:
• il rapporto corrente (RC), il quale indica il rapporto tra le risorse che si
renderanno liquide e le passività che si renderanno esigibili nel breve
periodo; l'indicatore ha un valore di riferimento soglia pari all'unità:

attività correnti (22.10)


RC = . . .. .
pass1vita correntI
• il test acido (TA) ha una formulazione simile al rapporto corrente, ma
esclude dal numeratore le rimanenze. È un indicatore maggiormente

25. Nel caso di classificazione del bilancio IAS/IFRS per liquidità, l'unica classificazione necessa-
ria è la suddivisione dell'attivo corrente in liquidità immediate, differite e disponibilità.
598 j I SISTEMI DI CONTROLLO

prudenziale calcolato per tener conto della frequente difficoltà a liqui-


dare interamente le rimanenze:
liquidità immediate + differite
TA= (22.11)
passività correnti
Gli indicatori assoluti sono costruiti aggregando le stesse grandezze utilizzate
per RC e TA, essi sono:
• il margine corrente=
= liquidità immediate+ differite - passività correnti (22.12)
• il capitale circolante netto
= attività correnti-passività correnti (22.13)
I due indicatori mostrano il valore assoluto di avanzo o disavanzo potenziale
di liquidità nel breve periodo.
Nelle tabelle22.16 e 22.17 è riportato un esempio tratto dai bilanci 2006
delle quattro aziende analizzate.

TABELLA 22.16- Gli indicatoridi liquiditàdi breve

RC Testacido Marginecorrente Capitalecircolantenetto


(milioni€) (milioni€)

Campari 1,56 l, 18 84 254


Enel 1,01 0,92 -1.042 167
Fiat 2,02 1,56 10.056 18.503
Telecom Italia 1,02 1,00 31 322

TABELLA 22.17 - Gli indicatoridi liquiditàdi breve:le grandezzedi input

Attività Liquidità Disponibilità Liquidità Passività


correnti immediate (milioni€) differite correnti
(milioni€) (milioni€) (milioni€) (milioni€)
Campari 710 240 170 299 456
Enel 13.000 547 1.209 11.244 12.833
Fiat 36.593 7.736 8.447 20.410 18.090
Telecom Italia 17.790 7.219 291 10.280 17.468

Gli indicatoridi sufficienza del cashflow


L'obbligo imposto dagli IFRS di presentare il rendiconto finanziario ha offerto
l'opportunità di comparare la capacità di generare cassa delle imprese. Nello
specifico, si fa riferimento qui agli indicatori di sufficienza del cashfloul-6 ( cash

26. Cfr.Jooste 2006.


22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 599

flow sufficiency),i quali valutano la capacità dell'in1presa di far fronte alle proprie
esigenze primarie con i flussi di cassa generati.
L'indicatore principale di cashflow sufficienryè la cashflow adequacy,che va-
luta la disponibilità di flussi operati,i per far fronte alle necessità primarie: il
ripagamento di debiti di lungo periodo, l'acquisizione di attività non correnti
e il pagamento dei dividendi

CF adequacy = flllS.50di cassa da attnità operatiYe(CFFO) / (ripagamento di


debiti di lungo periodo+ acqtùsizione di attnità non correnti + dividendi) (22.14)

Gli altri tre indicatori misurano in modo più specifico il contributo delle
componenti della CFadequat;;:

• tempo di ripagan1ento dei debiti di lungo, il quale indica il numero di


anni necessari per ripagare i debiti di lungo pe1;odo

debiti di lungo periodo


tempo ripagamento debiti= ---------- (22.15)
CFFO

• pagamento dhidendi, che indica la disponibilità di cassa rispetto ai divi-


dendi erogati:

pagamento di\idendi = (22.16)


CFFO

• reinvestimenti, il quale valuta la disponibilità di cassa per investimenti in


attività non correnti:

acquisto atti,ità non correnti


reinvesti1nen ti = CFFO (22.17)

TABELLA 22.18- di cash.flowsufficiency


Gli indicatori

CFadequacy Dividendpayout Reinvestment Longterm


repayment
Campari 45,54% 25,08% 188,38% 3,5
Enel 81,13% 58,60% 59,87% 1,8
Fiat 46,49% 0,50% 117,06% 4,4
Telecom Italia 50,23% 32,60% 57,76% 4,4
600 I I SISTEMI DI CONTROLLO

TABELLA 22.19 - Gli indicatoridi cashjlow sufficiency:


le grandezzedi input

CFFO Dividendi Ripagamento Investimenti Debiti


I
(milioni€) (milioni€) debiti (milioni€) finanziaridi lungo
(milioni€) (milioni€)

Campari 112 28 7 211 393


Enel 6.756 3.959 323 4.045 12.31O
Fiat 4.618 23 4.505 5.406 20.293
Telecom Italia 9.194 2.997 9.995 5.310 40.803

A questi indicatori relativi può essere affiancato un indice spesso utilizzato


dalle imprese: il free cashflow. Esso è definito 27 come:

(22.18)

dove FCFt è il free cashflow dell'impresa all'anno t, UOt (o MON) è l'utile ope-
rativo nell'anno t, AMMt sono gli ammortamenti e gli altri costi non monetari
all'anno t, à WCt ( working capita[) rappresenta gli investimenti in attività cor-
renti (scorte, crediti commerciali e crediti) ed infine F~ (fixèd assets)sono gli
investimenti in attività non correnti.

22.2.3 Gli indicatoridi crescita

Gli ultimi indicatori analizzano la crescita dell'impresa complessivamente e in


termini di investimenti ( tabella22. 20).

TABELLA 22.20- Gli indicatoridi crescita

~
Relativi Assoluti

Sviluppo
Complessivi Tasso di crescita dell'attivo
Tasso di crescita del patrimonio netto
Tasso autofìnanziamento
Investimenti Tasso reinvestimento Capex

Gli indicatori di crescita complessiva sono:

27. Si veda Kousenidis (2006).


22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 601

variazione attivo
Il tasso di crescita dell'attivo=------- (22.19)
attivo iniziale

Il tas5o di crescita del panimonio netto= variazione patrimonio netto (22.20)


patrimonio iniziale

(utile netto - dividendi)


Il tasso di autofinanziamento= (22.21)
panimonio netto iniziale

I primi due indicatori misurano la crescita percentuale del totale delle ri-
sorse dell'impresa (attivo) e dei diritti degli azionisti (patrimonio netto).
Il tasso di autofinanziamento valuta la quota percentuale di utili reinvestiti
nell'impresa rispetto al totale del patrin1onio netto.

TABELLA 22.21 - Gli indicatoridi aescita complessiva

Tassodi crescita Tassodi crescita Tassodi


dell'attivo delpatrimonionetto autofinanziamento

Campari 7,88% 14,79% 12,79%


Enel 7,92% -2,01% -4,42%
Fiat -6,65% 6,62% 11,98%
Telecom Italia -5,84% 0,42% 0,02%

TABELLA 22.22 -Gli indicatoridi crescitacomplessiva:le grandezze di input

Totaleattivo Totaleattivo Patrimonio


netto Patrimonio netto Utile Dividendi
2oo6 2005 2006 2005 (milioni (milioni
(milioni€) (milioni€) (milioni€) (milioni€) €) €)

Campari 1.726 1.600 798 695 117 28


Enel 54.500 50.502 19.025 19.416 3.101 3.959
Fiat 58.303 62.454 10.036 9.413 1.151 23
Telecom Italia 89.457 95.010 27.098 26.985 3.003 2.997

Gli ultimi indicatori invece si focalizzano sugli investimenti. Il primo, il tas-


so di reinvestimento, è un indicatore relativo che misura la percentuale di cre-
scita delle attività operative non correnti (materiali ed immateriali); esso è
espresso come segue:

investimenti in immobilizzazioni materiali e immateriali


tasso di reinvestimento ; · (22.22)
valore iniziale delle attività non correnti materiali e immateriali
602 I I SISTEMI DI CONTROLLO

Il secondo indicatore legato agli investimenti è di tipo assoluto: il Capex


( capita[expenditure).Il Capex è ormai entrato nel linguaggio comune delle im-
prese e raccoglie gli esborsi per ampliare o ricostituire il parco immobilizza-
zioni (investimenti in immobilizzazioni materiali e immateriali).
e
Nelle tabeUe22.23 22.24 è riportato il calcolo per le quattro imprese ana-
lizzate.

TABELLA 22.23 - Gli indicatoridi crescitadegliinvestimenti

Tassodi reinvestimento CAPEX


(milioni€) (milioni€)

Campari 2,04% 19
Enel 8,61% 3.257
Fiat 22,32% 3.789
Telecom Italia 7,42% 5.104

TABELLA 22.24 - Gli indicatoridi crescitadegliinvestimenti:


le grandezzedi input

Investimentiin Attività Immobiliimpianti Investimenti


attivitàoperative immateriali e macchinari immobiliari
(milioni€) (milioni€) (milioni€) (milioni€)

Campari 19 754 166 5


Enel 3.257 2.982 34.846
Fiat 3.789 5.943 11.006 26
Telecom Italia 5.104 50.790 18.041

22.3 Le caratteristiche degli indicatori delle prestazioni "tradizionali"

Le caratteristiche degli indicatori derivati dalla contabilità generale possono


essere analizzate con riferimento alle due grandezze maggiormente orientate
a misurare la profittabilità dell'impresa, il ROE, che esprime la redditività
complessiva di un'impresa per gli azionisti, e il ROI, che fa riferimento alla
redditività della sola gestione operativa. Normalmente, il ROE viene utilizzato
come indicatore di prestazione per l'impresa nel suo complesso, il ROI per
una singola area di business28 .
Gli indicatori derivati dalla contabilità generale sono caratterizzati da una
bassa tempestività.L'elaborazione di indicatori quali ROE e ROI richiede infatti:
• la rilevazione delle transazioni fisiche (ad esempio la realizzazione di
una lavorazione su un prodotto);

28. Normalmente, infatti, il responsabile di un'area di busines~non controlla le decisioni relative


ai finanziamenti, che sono gestite a livello di impresa nel suo complesso.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 603

• la ~orizzazione economica delle transazioni fìsirhR (nel caso preceden-


te, VIene definito il costo della lavorazione);
• l'aggregazione delle diverse informazioni per costruire il bilancio;
• il calcolo degli indici sulla base dei dati di bilancio.
Due di queste fasi, la valorizzazione economica delle transazioni fisiche e l'ag-
gregazione delle informazioni relative alle singole transazioni, possono richie-
dere molto tempo, in particolare in imprese caratterizzate da un 'ampia gam-
ma produttiva e da numerosi livelli organizzativi. La lunghezza del procedi-
mento limita la tempestivitàdel sisten1a, sia direttamente che attraverso l'incre-
mento dei costi del processo di controllo, che non rende economicamente
giustificata una ripetizione frequente del ciclo di controllo (normalmente, si
opera su base mensile o trimestrale).
Un secondo limite è tostin1ito dal riferin1ento a informazioni esclusiva-
mente consuntive, ch_erende gli indicatori di contabilità generale poco orien-
tati al lungo periodo:essi, infatti, rappresentano più il risultato delle azioni pas-
sate dell'impresa che una stima delle sue possibilità future.
Si consideri, ad esempio, il caso di un'impresa in cui si vogliono confronta-
re due soluzioni alternative. '
La soluzione A consiste nell'eliminare qualsiasi forma di controllo di qua-
lità, vendendo all'esterno una quantità elevata di prodotti difettosi; la· solu-
zione B consiste in\·ece nel controllo di tutti i prodotti e nella successiva rila-
vorazione di quelli che dovessero risultare difettosi. Nel 1nedio termine, la
soluzione B risulterà probabiln1ente n1igliore, poiché la cessione di prodotti
difettosi si tradurrà, presumibilmente, in una sostanziale riduzione dei rica-
vi. Tuttavia, nel breve periodo, la soluzione A consente di avere costi di con-
trollo qualità e di rilavorazione inferiori, riducendo quindi i costi dell'im-
presa e aumentando il ROI. L'utilizzo del ROI, perciò, porterebbe a privile-
giare la politica B rispetto alla politica A, in contrasto con l'obiettivo di crea-
re valore economico.
Un altro esempio classico è costituito dagli investimenti in formazione; la
loro riduzione si traduce automaticamente in un aumento del MON, quindi
del ROI, senza effetti significativi, nel breve periodo, sui risultati dell'impresa.
La riduzione degli investimenti si ripercuoterà però negativamente 29 sui risul-
tati di medio-lungo periodo, dunque sulla creazione di valore economico 30 .
In sintesi, il ROI, e in modo del tutto analogo il ROE, stimolano la massi-
mizzazione dei risultati di breve periodo, non salvaguardando quelli di lungo
periodo.

29. La considerazione vale owiamente solo nel caso di investimenti economicamente giustificati.
30. Considerazioni analoghe a quelle per gli investimenti in formazione valgono per altre cate-
gorie di investimehti orientati al lungo periodo, quali gli investimenti in ricerca o in promo-
zione.
604 I I SISTEMI DI CONTROLLO

Un altro problema comune a ROI e ROE è il fatto che essi sono indicatori
di tipo relativo, mentre la creazione di valore economico costituisce una misu-
ra di tipo assoluto. Di conseguenza, il ROI e il ROE penalizzano implicita-
mente gli interventi di maggiori dimensioni, contrariamente a quanto accade
per la creazione di valore economico. Il tema può essere chiarito con riferi-
mento alla relazione che lega il valore economico di un'impresa alla sua pro-
fittabilità di bilancio, nell'ipotesi di una sostanziale stabilità di quest'ultima e
della crescita del capitale proprio. Si ha 31:
ROE _ g
V k k (22.23)
E g
1
k

dove Vè il valore economico dell'impresa, E l'entità del patrimonio netto del-


l'impresa, gil relativo tasso di crescita e k il costo del capitale proprio.
La creazione di valore economico dipende quindi non solo dalla profittabi-
lità nell'uso delle risorse (ROE), ma anche dalla dimensione dell'impresa, sia
in termini attuali (E) che di crescita nel tempo (g). Il ROE, trascurando questi
ultimi due effetti, privilegia implicitamente i programmi di minori dimensioni.
Anche per questo motivo, si sostiene che l'utilizzo degli indicatori di bilan-
cio per la misura delle prestazioni ostacoli l'adozione di programmi strategici,
che in generale richiedono forti investimenti 32.
Gli indicatori di contabilità esterna evidenziano puntualmente le responsabi-
lità specifichea livello di vertice strategico. In particolare, il ROI è un indicatore
adeguato a misurare le prestazioni di unità, come le divisioni, che possono in-
fluenzare costi, ricavi operativi e capitale investito; il ROE di unità in grado di
gestire anche le fonti di finanziamento. Al contrario, ROE e ROI rappresenta-
no normalmente misure troppo aggregate per definire le specifiche respon-
sabilità di unità operanti a livello operativo, non in grado di determinare si-
multaneamente in modo autonomo costi, ricavi e investimenti.
Gli indici economici sono, infine, caratterizzati in generale da una buona
misurabilità, poiché la loro rilevazione è retta da regole precise. Anche i mar-
gini di arbitrarietà esistenti (ad esempio nella determinazione degli ammorta-
menti e nella valorizzazione dei magazzini) non appaiono particolarmente
critici ai nostri fini purché:
• si adottino convenzioni uniformi per le diverse unità in cui un'impresa è
articolata; e

31. Cfr. Hax e Majluf (1991).


32. Si parla in questo caso di "gestione del denominatore", per indicare come il ROE e il ROI im-
plicitamente spingano a ridurre l'entità degli investimenti, un modo per migliorare questi in-
dicatori molto più agevole rispetto alla "gestione del numeratore" che richiede un incremen-
to della competitività dell'impresa.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 605

• in presenza di mutamenti delle politiche di bilancio dell'impresa, si ren-


dano omogenei i dati relativi a esercizi differenti.

22.4 Gli indicatori di redditività non convenzionali: residuai income


ed economie value added

I limiti che caratterizzano il ROE e il ROI hanno portato, negli anni recenti,
all'introduzione di altri indicatori di prestazione, ricavabili sempre dalle
informazioni contenute nel bilancio di esercizio. Tra questi indicatori, il più
noto è probabilmente l' economievalue added (EVA); tuttavia, se non altro per
motivi "storici"', è preferibile introdurre per primo il residuai income.

22.4.1 Il residuai income

Il residuai incarne(RI) misura il risultato economico dell'impresa al netto del


costo del capitale investito, ed è definito come:

RI = MON- k · I

dove:
MON è il margine operativo netto;
k è il costo medio del capitale;
I è il capitale investito, considerato con1e sornma del capitale circolante netto
e delle immobilizzazioni nette.

Concettualmente, presenta molti punti di contatto con il ROI; di fatto, una


decisione aumenta il residuai incomedi un 'impresa se il suo ROI è superiore al
costo del capitale dell'impresa. Contrariamente al ROI, però, il RI è un indi-
catore di tipo assoluto; di conseguenza, è una misura più precisa ed evita di
stimolare gli interventi che abbiamo classificato come "gestione del denomi-
natore".
Un esempio può chiarire questo aspetto; si consideri una business unity
(BU) caratterizzata dai seguenti dati:

MON = 100 milioni di €;


capitale investito = 400 milioni di €;
k=10%

che deve decidere·se effettuare un investimento di 100 milioni di€, il cui im-
patto sul MON è stimato in 20 milioni di €/anno. L'investimento dovrebbe
606 I I SISTEMI DI CONTROLLO

essere effettuato, poiché ripaga il costo del capitale; tuttavia, come si osserva
dalla tabella, se la BU fosse valutata in base al ROI, tenderebbe a rifiutare l'in-
vestimento; al contrario, il RI spinge alla decisione corretta (tabel/,a 22.25).

TABELLA 22.25 - ROI e RI a confronto: un esempio

BU con investimento BU senza investimento

MON 120 100


500 400
ROI 24% 25%
RI 70 60

Poiché il RI utilizza come dati elementari MON e capitale investito, tutte le al-
tre sue caratteristiche sono sostanzialmente coincidenti con quelle del ROI;
in particolare, esso non contribuisce a risolvere due dei problemi principali
degli indicatori di bilancio: orientamento al breve periodo e scarsa tempesti-
vità delle informazioni.

22.4.2 L'EVA

L' economie value added (EVA) è un criterio di prestazione che ha ricevuto negli
anni recenti una notevole attenzione. Il criterio è stato introdotto dalla so-
cietà di consulenza Stern Stewart nella forma seguente:

EVA=CF-k-1

dove:
CF è il cashflow operativo dopo le imposte e prima degli interessi;
k è il costo medio del capitale;
I è il capitale investito, considerato come somma del capitale circolante netto
e delle immobilizzazioni nette.

L'EVA costituisce quindi la versione finanziaria del residual income. I due cri-
teri presentano perciò punti di forza e debolezza simili. In questo senso, l'u-
nico vantaggio dell'EVA è che consente di tenere conto degli sfasamenti tem-
porali tra entrate e uscite di cassa, da un lato, e ricavi e costi, dall'altro, elimi-
nando quindi uno dei limiti dei tradizionali indicatori di bilancio. Non si re-
gistrano invece miglioramenti rispetto ali' orientamento al lungo periodo o
alla tempestività.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 607

Accanto a questa considerazione di carattere generale, è bene ricordare


che Stern Stewart sostiene che, prima di p~e al vero e proprio calcolo del-
l'~VA, sia nece~o "correggere" i dati di bilancio, in n1odo da renderli mag-
gtormente rappresentativi dell'effettiva capacità di produrre reddito dell'a-
zienda. Si prevedono in particolare diverse decine di correzioni contabili; a ti-
tolo di esempio, alcuni "aggiustamenti" riguardano:

• la capitalizzazione dei costi di ricerca e sviluppo, che influenza sia il valo-


re del CF che quello del capitale investito;
• l'aggiunta del valore presente dei mutui non capitalizzati;
• l'aggiunta di accantonamenti per insoluti, obsolescenza delle scorte e ga-
• I
ranz1e;
• l'aggiunta di una riserva UFO;
• l'aggiunta di a,'\iamenti non registrati;
• l'aggiunta di perdite straordinarie al netto delle imp~~te.

Stern Stewart afferma che una volta adottate queste correzioni, i'EVA costitui-
sce la migliore proxy della creazione di valore economico di un'impresa. Que-
sta affermazione, tutta,ia. è stata messa in discussione, sia dal punto di vista
teorico che da quello empirico.
In termini teorici, si è già sottolineato corne i'EVA non presenti forte diffe-
renze rispetto al RI. Le stesse correzioni dei dati di bilancio suggerite per il
calcolo dell 'EVA non modificano questo quadro, poiché potrebbero essere
impiegate, con risultati del tutto analoghi, anche per il calcolo degli altri indi-
catori di reddithità.
Questa considerazione viene poi confermata dalle analisi empiriche 33 , se-
condo cui la çorrelazione tra EVA e valore economico non è più significativa
di quella tra RI e valore economico.
Infine, può essere utile ricordare che alcune imprese utilizzano il termine
EVA con un'accezione diversa rispetto a quella utilizzata in precedenza; ad
esempio, Coca Cola e Kodak definiscono:

• economieprofit= MON (al netto delle imposte) - k · I


• EVA = economieprofit (t) - economiepro.fil(t - I)

In questo caso, quindi, i'EVA rappresenta l'incremento di residuaiincometra


due anni successivi. Più che una misura della creazione di valore economico,
essa costituisce quindi il tasso di crescita della creazione di valore nel tempo.

33. Cfr., ad esempio, Biddle, Bowen e Wallace ( 1997).


608 I I SISTEMI DI CONTROLLO

22.5 La necessità di informazioni tempestive e orientate al lungo periodo:


l'uso degli indicatori non finanziari

L'EVA e il residua[ incarnenon sono in grado di superare due dei limiti princi-
pali del ROE e del Rç)I, la scarsa tempestività e l'orientamento al passato inve-
ce che al futuro. Questi problemi hanno spinto un numero crescente di im-
prese a integrare gli indicatori di prestazione economico-finanziari con indi-
catori differenti, di tipo non finanziario.
Questi indicatori misurano:
• le prestazioni attuali delle imprese rispetto ai principali fattori critici di
successo (FCS), owero alle fonti di differenziale competitivo rilevanti in
un'area di business: qualità dei prodotti e dei processi, tempi di risposta al
mercato, produttività e flessibilità;
• lo "stato" delle risorse dell'impresa, in termini ad esempio di turnoverdei
dipendenti, riconoscibilità del marchio, livello della ricerca e sviluppo 34.

Gli indicatori non finanziari non presentano un livello di standardizzazione


paragonabile a quello delle grandezze economico-finanziarie (di fatto, a uno
stesso FCS vengono associati indicatori diversi in imprese differenti) e sono
estremamente "specifici"; ogni impresa, quindi, deve sviluppare autonoma-
mente un proprio sistema di indicatori. I principali vantaggi degli indicatori
non finanziari sono:
• la maggiore tempestività. Mentre nel caso degli indicatori economici, in-
fatti, è necessario tradurre le transazioni fisiche in termini economici,
nel caso degli indicatori non finanziari è possibile trarre informazioni
dalle sole transazioni fisiche. Così, ad esempio, è possibile controllare
con cadenza giornaliera la percentuale di scarti di un reparto, mentre
la valorizzazione in termini economici degli scarti richiede che siano
disponibili i dati consuntivi di costo, rilevati normalmente con cadenza
mensile;
• un maggiore orientamento al lungo periodo. Gli indicatori non finanziari
possono infatti costituire misure sintetiche dei vantaggi competitivi
dell'impresa, a patto che vengano scelti in modo coerente con i suoi
fattori critici di successo (FCS). Ad esempio, se il principale FCS del-
l'impresa è il basso costo, è possibile verificare il mantenimento del
vantaggio competitivo tenendo sotto controllo la quota di mercato
(quindi i differenziali di scala) e la produttività; analogamente, se il
FCS è il tempo di sviluppo di nuovi prodotti, sarà possibile verificare la
competitività dell'impresa attraverso la rilevazione del time to market
(cfr. schema 22.3).

34. Cfr. Azzone (2000).


22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 609

ScH EMA 22.3 - Indicatori non finanziari e orientamento al lungo periodo

Si consideri un'impresa che opera in un settore il cui FCS è il tempo di risposta al


mercato e che, nel biennio, ha mantenuto inalterato il livello di domanda com-
plessiva. Si ipotizzi di conoscere i seguenti dati:

2000 2001

Fatturato 100 105

Tempo di risposta 10 giorni 8 giorni

L'analisi del trend dell'indicatore economico (il fatturato) non consente di antici-
pare i risultati economici del 2002; infatti, l'aumento di fatturato potrebbe essere
stato causato sia da un miglioramento della posizione competitiva dell'impresa,
destinato probabilmente a migliorarne l'immagine e a generare effetti positivi an-
che nel futuro, sia da una strategia molto aggressiva di acquisizione degli ordini,
che potrebbe avere indotto una perdita di immagine, destinata a peggiorare i ris•ul-
tati del 2002. L'analisi dell'indicatore non finanziario utempo di risposta", invece,
consente di comprendere che il primo tra i due scenari ipotizzati è quello corretto,
poiché l'impresa ha migliorato nel 2001, oltre al fatturato, anche le proprie presta-
zioni rispetto al FCS. Di conseguenza, esso fornisce indicazioni utili ad anticipare
l'evoluzione futura dei risultati economici dell'azienda.
23 Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità

Nel capitolo precedente sono stati introdotti gli indicatori che possono es-
sere utilizzati per misurare le prestazioni di un 'impresa nel suo complesso
o di una unità responsabile di un 'areadi lmsiness, cioè di una unità organiz-
zativa sufficientemente ..completa .. da influenzare costi, ricavi e investi-
menti.
Gli indicatori definiti in quella sede sono tuttavia troppo aggregati per riu-
scire a misurare le prestazioni dei responsabili di unità organizzative "elemen-
tari", quali un reparto produttivo o una unità commerciale. Per queste unità,
nel seguito definite "centri di responsabilità", è necessario definire indicatori
di prestazioni specifici, che siano coerenti con le leve decisionali che le unità
sono effettiv3mente in grado di gestire.
Le specifiche prestazioni da a~sodare a cia~una unità di livello operativo
dipendono dal tipo di atti\ità da essa ~volta. Nel seguito, si fa riferimento alla
tradizionale classificazione delle unità organizzative in base alla responsabi-
lità economica, che individua:
• centridi spes«-,
• centridi ricavu,
• centridi costu,
• centridi profitto.

Per ciascuna tipologia di unità organizzativa, dopo aver presentato gli indi-
catori economici utilizzabili per misurarne le prestazioni, se ne discutono
alcuni problemi operativi e si suggeriscono possibili modalità per la loro
soluzione.
612 I I SISTEMI DI CONTROLLO

23.1 I centri di spesa

Sono centri di spesa le unità organizzative caratterizzate da:


• un output difficilrp.ente valorizzabile in termini monetari;
• una relazione tra output e input difficilmente esprimibile attraverso coef-
ficienti di impiego standard; in altri termini, non è facile definire quante
risorse sono "teoricamente" necessarie per ottenere un livello prefissato
di output.
È il caso, in particolare, di tutte le attività di supporto alla catena del valore
di un'impresa, quali ad esempio le attività amministrative, le attività di ricerca
e sviluppo delle tecnologie e le attività di gestione del personale.
Si parla di centri di spesa per evidenziare come la definizione di un tetto
massimo di spesa per l'esercizio sia l'unico tipo di controllo, basato su indica-
tori economici, agevolmente implementabile in queste unità. Peraltro, il con-
fronto tra le spese previste e quelle effettive non può in alcun modo essere uti-
lizzato per misurare le prestazioni del centro di responsabilità; ad esempio, la
semplice verifica che le spese di ricerca e sviluppo sono state inferiori rispetto
alle attese non consente di fare alcuna valutazione sull'andamento gestionale
dell'unità, per il quale sarebbe invece necessario conoscere quali progetti sia-
no stati completati e quanto siano stati efficaci.
Il controllo "economico" dei centri di spesa può al più essere inteso in
un'accezione diversa, cioè come modo per garantire la coerenza tra le risorse
destinate al centro e la sua importanza rispetto al raggiungimento degli obiet-
tivi complessivi dell'impresa. In questo senso, fissando in fase di pianificazio-
ne un tetto massimo alle spese autonomamente gestibili dal responsabile di
ciascun centro, si evita che queste possano crescere in modo "incontrollato";
il responsabile del centro dovrà infatti richiedere una nuova autorizzazione
per superare i limiti di spesa definiti durante il processo di budgeting, che sarà
concessa solo se il vertice riterrà l'ulteriore finanziamento coerente con la po-
litica complessiva dell'impresa.
Questa soluzione, peraltro, può evitare un'esplosione incontrollata delle
spese, ma non certo rispondere agli obiettivi del sistema di controllo, poiché
non fornisce alcuna indicazione sulla coerenza tra le attività svolte nel centro
di spesa e gli obiettivi complessivi dell'impresa.
La limitata attenzione al controllo dei centri di spesa deriva, storicamente,
dal peso relativamente modesto delle attività di supporto rispetto a quelle più
direttamente manifatturiere. Oggi, però, in molte imprese la situazione è
cambiata; è il caso, in particolare:
• della maggior parte delle grandi imprese. Ad esempio, nelle grandi im-
prese giapponesi, circa un terzo dei dipendenti opera in attività di sup-
porto; l'aumento della produttività di tali dipendenti viene considerato
essenziale per garantire la competitività delle imprese nipponiche su sca-
la globale;
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 613

• delle piccole e medie imprese più innovative, dove le attività non ripetiti-
ve, connesse all'innovazione tecnologica e allo sviluppo prodotto, assu-
mono un carattere quasi strutturale.

In questi casi, può essere utile cercare di superare le difficoltà evidenziate


in precedenza, in modo da arrivare a misure, anche approssimate, dell'effica-
cia e dell'efficienza con cui vengono svolte le attività di supporto.

23.1.1 La misura delle prestazioni dei centri di spesa

A tal fine 1, è necessario che dapprima vengano puntualizzati gli obiettivi del-
l'unità, a partire dalle effettive esigenze dei suoi "clienti interni" 2, e le specifi-
che attività svolte all'interno del centro di spesa coerentemente agli obiettivi 3 .

FI G u RA 23 .1 - Le tipologie di attività nei centri di spesa


Orientamento
ai progetti

po si
ormati
inistr
Orientamento
all'efficienza

Orientamento
all'efficacia

Orientamento
ai prodotti

1. Cfr. ad esempio Drucker (1991).


2. Quando il cliente interno non è facilmente individuabile, è possibile procedere, in modo pro-
vocatorio, eliminando un'attività e verificando chi se ne accorge. Ad esempio, in molte impre-
se, il controllo di gestione continua a fornire reportsu argomenti specifici anche quando non
ve n'è più bisogno, semplicemente perché i suoi "clienti interni" (le unità organizzative desti-
natarie dei report)non hanno mai comunicato l'inutilità delle informazioni ricevute.
3. Già in questa fase è possibile ottenere dei recuperi significativi di efficienza; spesso infatti la
presenza di attività non coerenti con gli obiettivi costituisce un segnale dell'impiego non cor-
retto delle risorse: ad esempio, l'utilizzo di personale specializzato per compiere attività che
possono essere svol-te da personale generico porta a costi superiori a quelli che l'impresa
avrebbe ottenuto attraverso un impiego più corretto del personale.
614 j I SISTEMI DI CONTROLLO

A seconda delle caratteristiche di tali attività, è possibile individuare differenti


tipologie di misure.
Una prima distinzione ,è quella tra:
• attività prevalentemente ripetitive e comunque ripetute più volte nel
corso dell'anno (ad esempio, la fatturazione) ( orientamentoai prodotti);in
questo caso, non è essenziale disporre di informazioni sul singolo "pro-
dotto", ma di valori medi, o di sintesi, che indichino i costi e i risultati
"complessivi" dell'attività;
• attività che si focalizzano su pochi "progetti" (ad esempio, la ricerca e svi-
luppo) ( orientamentoai progetti).Qui, deve essere tenuto sotto controllo il
singolo "progetto".

Per le attività orientate ai prodotti, è importante distinguere ulteriormente


tra:
• attività per le quali è prevalente la dimensione"quantitativa" (orientamento
all'efficienza).Si tratta di attività (ad esempio, il pagamento degli stipen-
di) il cui "prodotto" è definibile in modo chiaro e standardizzato; gli
obiettivi di tali attività possono essere espressi in ter1nini di livello di effi-
cienza, misurabile attraverso:
- rapporto tra costo delle risorse utilizzate e volume di attività svolto;
- volume di attività svolto;
• attività dove prevale la dimensione "qualitativa" ( orientamentoall'efficacia);si
tratta di attività (ad esempio, l'azione di marketing) dove non è tanto cri-
tico il "numero di atti" prodotti, ma il "modo" con cui vengono realizzati.
A queste attività è quindi più importante associare obiettivi di efficacia,
misurabile attraverso:
tempi di risposta;
- livello di servizio erogato 4 .

Le attività di tipo progettuale, invece, sono in generale caratterizzate dal-


l'impegno di una quantità significativa di risorse e dalla presenza di tempi di
completamento "lunghi". Di conseguenza, ogni progetto dovrebbe essere ca-
ratterizzato, in fase preventiva:
• da un insieme di obiettivi da raggiungere (espressi in termini quantitati-
vi o qualitativi, a seconda che l'attività sia orientata all'efficienza o all'ef-
ficacia);
• da una tempificazione di tali obiettivi;
• dall'impegno delle risorse necessarie per ciascuna fase del progetto.

4. Nel caso delle attività di marketing, un indicatore di efficacia può essere la riconoscibilità del
marchio dell'impresa.
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 615
23.1.2 I problemiapplicativi

L~applic~ione del modello di controllo appena delineato richiede che si pre-


sa attenzione a tre problematiche specifiche:
• la corretta classificazione delle attività;
• il calcolo degli standard di riferimento per misurare l'efficienza delle at-
tività orientate ai prodotti;
• le modalità per costruire indicatori di sintesi dei ristùtati di una unità or-
ganizzativa che realizza diverse atti,ità.

Se le attività non sono classificatecorrettamente.,l'intero sistema di misura delle


prestazioni può risultare inutile o addirittura controproducente;
Un esempio è costituito dalla misura delle prestazioni delle ASL; in passato,
le prestazioni erano valutate dal senizio sanitario nazionale solo attraverso lo
"sforzo" impiegato, attribuendo un rimborso proporzionale ali' occupazione
delle risorse (ad esempio, numero di posti letto occupati-) invece che ai risul-
tati ottenuti. Questa soluzione presentava i problemi tipici dell'approccio tra-
dizionale al controllo dei centri di spesa:
• nessun "pren1io" sulla qualità erogata;
• nessun incentivo al miglioramento dell'efficienza; anzi, maggiore era
l'impiego di risorse maggiore era la remunerazione riconosciuta alla
struttura.
Il sistema attualn1ente utilizzato, quello dei DRG5, costituisce da questo punto
di vista una forte evoluzione. Di fatto, viene identificato un costo standard per
ciascuna prestazione terapeutica e il relativo rimborso si basa su tale costo. Di
conseguenza, una struttura può migliorare le proprie prestazioni se:
• riduce i costi necessari rispetto allo standard;
• aumenta i propri volumi di attività.
Ambedue questi comportamenti sono correlati a un miglioramento delle
prestazioni "quantitative" dell'attività; il problema nasce immediatamente dal
riconoscimento che le atti\ità mediche non possono essere classificate come
attività per le quali è significativa solo la dimensione quantitativa; di fatto, il si-
stema dei DRG "dimentica" la componente qualitativa dell'azione sanitaria,
con rischi facilmente immaginabili. Proprio per questo si sta cercando oggi di
introdurre sempre più misure dell' outwme, owero dell'impatto del trattamen-
to sulla salute del paziente, che potrebbero completare le valutazioni di effi-
.
c1enza.
Un problema opposto avviene nel caso delle attività amministrative. Si con-
siderino, ad esempio, le amministrazioni centrali dello Stato; spesso si tende a

5. Di fatto, l'attività delle ASL viene valorizzata sulla base di tariffe standard, in corrispondenza a
specifiche patologie, definite DiagnosisRelated Groups(cfr. Longo e Masella, 1999).
616 I I SISTEMI DI CONTROLLO

presentarne l'attività come di tipo puramente qualitativo; il rischio è di non


porre alcuna attenzion<e all'efficienza, dimenticando l'esistenza di vincoli di
budget. Anche in molte attività amministrative, invece, è possibile individuare
dei "prodotti" dell'attività e delle misure di efficienza. In tabel/,a23.1, ad esem-
pio, è presentato lo schema di analisi utilizzato dalla presidenza del Consiglio
dei ministri per identificare il costo delle attività svolte al proprio interno e il
costo unitario di produzione 6 .

T A s EL LA 2 3. l - Lo schema di analisi dei costi dei prodotti delle attività


amministrative della presidenza del Consiglio dei ministri

Voce Importo

- Fitti
- Manutenzione
- Forza motrice
- Pulizie locali
- Rifìuti solidi
- Riscaldamento
- Arredi
- Spese d'ufficio
- Automezzi
- Beni informatici
- Telefoni

Totale spese di funzionamento

Spese di personale

Totale generale

Quantità dei prodotti


Costo unitario dei prodotti

La definizione di standard di riferimento per i centri di spesa richiede maggiori


cautele rispetto a quanto accade per le attività di tipo manifatturiero. È op-
portuno, quindi, richiamare alcune awertenze, essenziali per poter arrivare a
valutazioni realistiche:
• è necessaria una forte collaborazione tra gli analisti di gestione e le unità
organizzative per le quali gli standard vengono definiti, depositarie delle
. .
conoscenze sui processi;
• gli standard devono essere definiti in modo dinamico; in particolare,
mutano nel tempo sia l'efficienza nella realizzazione delle singole atti-

6. Per approfondire il tema del controllo delle attività amministrative nella Pubblica .Ammini-
strazione, cfr. Azzone e Dente ( 1999).
2 3. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 617

vità, per effetto dell'apprendimento, che, soprattutto, la tipologia stessa


dell'output. Nel caso delle attività produttive, gli eventuali cambiamenti
dell'output sono sempre espliciti, poiché ,iene richiesta la realizzazione
di un prodotto diverso; per le attività di supporto, invece, l'inutilità di
continuare a produrre un dato output spesso non appare altrettanto
chiaramente;
• occorre rinunciare alla precisione nell'elaborazione degli standard, pri-
vilegiando la possibilità di una valutazione più completa.

Infine, nel caso che a una unità organizzativa siano associate più attività,
quindi più indicatori di prestazione, può essere complesso costn,1ire un unico
indicatoresinteticodelle prestazioni dell'unità. La soluzione più frequente con-
siste nel "pesare" i diversi indicatori. In qualche caso particolare è anche pos-
sibile costruire un unico indicatore che tenga conto di prestazioni differenti.
Un esempio di questo tipo è rappresentato dal metoçlo dei function point
per la misura della produtti,ità dell'attività di progettazione del software.Il me-
todo ha costituito la prima risposta a sistemi troppo semplicistici come il
Co.Co.Mo. ( Cost Costnutive Alodel), in cui la produttività veniva misurata sem-
plicemente come costo per linea di codice 7. Il fundion point definisce urra mi-
sura della complessità del programma realizzato; tale misura viene determina-
ta sulla base dei seguenti passi 8:
• vengono individuati i valori di cinque tipi di funzioni elementari (func-
tion type)di un progran1ma S\V: input esterni, output esterni, file logici in-
terni, file esterni di interfaccia, interrogazioni esterne;
• questi valori vengono "pesati" sulla base del livello di complessità di
un'applicazione (si considerano tre livelli: bassa, media e alta comples-
sità); la somma "pesata" dei valori dei cinque tipi di funzioni elementari
viene definita non-adjuJll'dfunction point dell'applicazione;
• infine, il valore così ottenuto \iiene aggiustato per tener conto del grado
di influenza di 14 fattori di complessità, viene stabilito il fattore di aggiu-
stamento complessivo, compreso tra il +35% e il -35% del punteggio
precedente. I fattori di complessità comprendono, ad esempio, il grado
di distribuzione dell'applicazione, le prestazioni richieste e la comples-
sità degli algorinni usati.
Il metodo, inizialmente proposto da Albrecth e Gaffney ( 1983), ha subito poi
delle proposte di modifica 9 che però non ne hanno alterato la struttura com-
plessiva. Di fatto~ esso ottiene una misura dell'output dell'attività di program-
mazione SW, che può essere confrontato con le risorse impiegate (ore di pro-

7. È evidente che indicatori come questo incentivano comportamenti opportunistici rivolti alla
produzione di lineè' di codice inutili. .
8. Per un'analisi critica del sistema difundion pmnt, cfr. Cattaneo, Fuggetta e Ghezzi (1996).
9. Cfr. ad esempio Jones ( 1995).
618 j I SISTEMI DI CONTROLLO

grammazione o costo dj programmazione) per ottenere una misura di pro-


duttività. Si noti, tuttavia, che la produttività in questo caso non rappresenta
un indicatore solo quantitativo, ma anche di tipo qualitativo, poiché l'indica-
tore dell'output misura anche la qualità (in termini di complessità) di ciò che
è stato prodotto.
Questo tipo di tentativi è sicuramente interessante, poiché cerca di sintetiz-
zare misure differenti; tuttavia, esso introduce una serie di approssimazioni
nella valutazione qualitativa dell'output, che rischiano di minare sostanzial-
mente l'affidabilità delle indicazioni risultanti. Per limitarsi alle principali:
1. l'approccio utilizzato per "misurare" la complessità dell'applicazione si
basa sostanzialmente su:
• un modello teorico, che identifica i 5 elementi alla base della misura
di complessità;
• un'analisi empirica su 24 applicazioni, per comprendere il peso relati-
vo dei diversi elementi attraverso un modello di regressione.
Purtroppo, l'entità degli errori del modello di stima è molto alta; in alcuni
progetti (in particolare in quelli molto grandi), si può ritenere che lo sforzo
necessario sarà inferiore del 200% al livello standard calcolato attraverso i
function point con una probabilità dell'80%;
2. La complessità dell'applicazione non viene in alcun modo correlata con
la tipologia di linguaggio di programmazione.
3. Il modello ignora alcuni elementi importanti per definire il livello quali-
tativo di un progetto software.
Di fatto, quindi, l'indicazione del costo per unità di function point da un la-
to non è precisa, dall'altro non è completa; la scientificità del metodo è dun-
que più apparente che reale.

23.2 I centri di costo

Si definiscono centridi costole unità organizzative che, pur non determinando


in modo autonomo il livello del proprio output, sono responsabili delle risorse
impiegate per ottenerlo. Sono di norma considerate centri di costo le unità
operanti nell'attività di trasformazione fisica.

23.2.1 L'analisi degli scostamenti nei centri di costo

La misura delle prestazioni dei centri di costo si basa .sul confronto tra i costi
effettivamente sostenuti e quelli che il centro avrebbe dovuto sostenere in
condizioni standard; questa analisi viene effettuata suddividendo la differen-
za tra il costo effettivo e quello previsto in componenti elementari, attraverso
il budgetflessibi1e.
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 619

Il primo livellodi analisi


Il budgetflessibilt?consente, a un primo livello di analisi, di suddividere lo scc:r
stamento tra costi effettivi e costi prograin1nati in due con1ponenti; l'una, esc:r
gena, dovuta a variazioni nel livello dell' output10 , l'altra, controllabile, deri-
vante da una variazione dell'efficienza del processo di trasforn1azione.
Operativamente, il uudgetjlessibilt?dei centri di costo è un piano costruito in
corrispondenza a un volume pari a quello effettivo e ali' efficienza standard;
in altri termini, si assume che i costi variabili unitari e i costi fissi mantengano
il valore previsto a uudget ( tabella23. 2).

TABELLA 23.2 - Gli scostamenti di costo

Costi variabiliunitari Costifissi totali Volume

Budget Valori standard Valori standard Valori standard


Budget flessibile Valori standard Valori standard Valori effettivi
Conto consuntivo Valori effettivi Valori effettivi Valori effettivi

La differenza tra i costi totali effettivi e quelli di uudget flessibile, quindi, di-
pende esclusivamente dall'efficienza dell'impresa, poiché entrambi sono cal-
colati in corrispondenza al volume di produzione effettivo. Tale differenza
viene definita srost.amrntodi effìrirrzza11.
La differenza tra costi totali di lmdgptflessibile e costi totali di budget,invece,
dipende esclusivamente dalla variazione nel livello di produzione, poiché en-
trambi sono calcolati in corrispondenza agli stessi valori di costo variabile uni-
tario e di e.osti fissi (cfr. srhnna 23. /).

Il secondolivellodi analisi
L'analisi di secondo livello esamina in modo più specifico lo scostamento di
efficienza, almeno in parte controllabile dalle unità organizzative interessate.
Lo scostamento di efficienza costituisce in realtà il risultato della variazione di
due parametri- i prezzi degli input e l'impiego degli stessi - che presentano
un grado di controllabilità differente e, comunque, coinvolgono enti diffe-
renti all'interno dell'impresa. Il prezzo degli input, infatti, è solo parzialmente
influenzabile dall'impresa e dipende comunque prevalentemente dalle scelte

1O. In realtà, la variazione del livello dell' autput potrebbe essere dovuta anche all'incapacità della
produzione di realizzare il volume previsto. In questo caso, tuttavia, alla produzione no~ do-
vrebbe essere attribuito lo scostamento di costo (peraltro favorevole) derivante dalla mmore
produzione, ma la ~duzione di margine di contribuzione conseguente al calo nelle ve~d~te.
11. Si noti che nel caso dei centri di costo multiprodotto, lo scostamento dovuto a una vanaz1one
del mix produttivo rispetto alle attese è considerato implicitamente all'interno dello scosta-
mento di volume.
620 j I SISTEMI DI CONTROLLO

Se H E MA 23 .1 - Il primo livello di analisi del budgetflessibile

In un reparto produttivo si dispone dei seguenti dati di budget:


• quantità da produrre: 100 unità;
• costo unitario dei materiali diretti: 10 €
• costo unitario del lavoro diretto (variabile): 20 €
• costi indiretti (nssi): 1.500 €.
€. Determinare gli scostamenti di efficienza e di volume.

I costi di budget sono pari a:

100. (10 + 20) + 1.500 = 4.500 €

I costi consuntivi sono quindi stati superiori rispetto al budget di 500 Per com-
prendere il motivo di questo scostamento, si introduce il budget flessibile, deter-
minato in corrispondenza alla produzione effettiva (120 unità) e ai valori di costo
variabile unitario e costi fissi previsti a budget. Il costo di budget flessibile risulta
quindi:

120 · (10 + 20) + 1.500 = 5.100 €

Lo scostamento di volume, pari alla differenza tra costo di budget e costo di budget
flessibile risulta quindi:

4.500 - 5.100 = -600 € (sfavorevole) 12

Lo scostamento di efficienza, pari alla differenza tra costo di budget flessibile eco-
sto effettivo risulta invece:

5.100 - 5.000 = 100 € (favorevole)

dell'ente che si occupa degli approwigionamenti; l'impiego delle risorse di-


pende invece prevalentemente da scelte interne, in particolare della funzione
produzione.
Nel seguito, l'analisi viene condotta separatamente per il costo dei materia-
li diretti e per quello del lavoro diretto 13; per non appesantire la trattazione, si

12. Una varianza di costo viene definita sfavorevole quando corrisponde a un aumento dei costi,
favorevole in caso contrario.
13. Per i costi indiretti di produzione, l'analisi delle varianze si focalizza sulla quota di costi indi-
retti che è stata effettivamente allocata ai prodotti; essa ha quindi l'obiettivo di giungere a una
corretta contabilizzazione del valore delle scorte ma riveste un limitato interesse per la misura
delle prestazioni. Su questo tema, cfr. Horngren e Foster (1993).
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 621

farà riferimento al caso di un'impresa monoprodotto: tale ipotesi può essere


facilm_ente attenuata mediante l'introduzione di un ulteriore indice rappre-
sentativo del numero di beni prodotti.

La varianza del costodei materiali diretti


Come evidenziato, lo scostamento di efficienza relativo ai materiali diretti, de-
finito come differenza tra il costo consuntivo dei 1nateriali diretti e il costo dei
materiali diretti di budget flessibile. è calcolabile come somma di due termini:
• lo scostamento di prezzo; e
• lo scostamento di impiego.
Lo scostamento di prezzo identifica l'effetto sui costi complessivi dell'im-
presa di una variazione del prezzo dei componenti/materiali acquistati rispet-
to alle condizioni contrattuali preventivate; il calcolo di tale varianza è quindi
finalizzato a valutare il comportamento dell'impresa nell'acquisizione delle
risorse. Operativamente, lo scostamento di prezzo viene determinato come:

vp=Iq'err(i). [Perr(i) -Pscd(i)] (23.1)


i=I

ove N è il numero di con1ponenti/n1ateriali; P("rrindica il costo unitario effetti-


vo dei materiali acquistati; q'rll(i) può indicare la quantità di input i-esimo ef-
fettivamente utilizzata o que11a complessivamente acquistata, a seconda che la
varianza venga contabilizzata al momento in cui i materiali diretti sono effetti-
vamente utilizzati o già al mornento dell'acquisto 14.

Lo scostamentodi impiegodefinisce invece l'effetto sui costi complessivi del-


l'impresa dalla variazione nelle quantità di input utilizzate per realizzare uno
stesso livello di outpuL Il calcolo dello scostamento di impiego ha quindi lo
scopo di valutare l'efficienza dell'impresa, e più specificamente delle unità
addette alla trasformazione fisica, nell'utilizzo degli input. Operativamente, lo
scostamento di impiego si calcola come:

N
vi= I Pstd(i) . [ (qeff(i) - <lstd(i))] (23.2)
i= I

dove <lscd(i)rappresenta la quantità standard dell'input i-esimo necessaria per


realizzare la produzione effettiva e ~rr(i) la quantità effettivamente impiegata.

14. Nel caso si scelga di contabilizzare la varianza di prezzo al momento dell'acquisto dei materia-
li diretti, la somma della varianza di prezzo e di quella di impiego può differire dallo scosta-
mento di efficienza.
t
622 I I SISTEMI DI CONTROLLO

Una varianza di impiego negativa è favorevole in quanto evidenzia, a con-


suntivo, un utilizzo delle risorse inferiore rispetto ai dati di previsione, cioè
agli standard 15.

La varianza di costodel wvoro diretto


Anche la varianza complessiva del costo del lavoro diretto può essere scompo-
sta in uno scostamento di prezzo e uno di impiego. Normalmente, lo scosta-
mento di prezzo assume un rilievo molto minore di quanto accade per i mate-
riali diretti, per la maggiore rigidità nel prezzo del fattore lavoro; per questo
motivo, nell'analisi degli scostamenti spesso si calcola solo la varianza com-
plessiva quale proxy dello scostamento di impiego.
Con riferimento al caso più generale, lo scostamento di prezzo del lavoro
diretto indica l'effetto sui costi complessivi dell'impresa di un mutamento del-
le condizioni contrattuali relative alla retribuzione dei dipendenti. Esso viene
misurato come:

ove con ceff e cstd si sono indicati rispettivamente il costo orario effettivo e
standard del lavoro diretto, mentre tstd rappresenta la quantità di lavoro diret-
to utilizzata in condizioni standard.
Lo scostamento di impiego, che esprime l'effetto di una efficienza nell'uti-
lizzo del lavoro diretto diversa rispetto a quanto programmato, viene invece
misurato come 16:

23.2.2 I limiti dell'analisidegli scostamenti

Una volta calcolati i diversi scostamenti, le prestazioni del centro di costo pos-
sono essere rilevate attraverso:
• lo scostamentodi efficienza,se il centro di costo viene considerato responsa-
bile del prezzoe dell'impiego dei fattori produttivi;
• lo scostamentodi impiego,se, come avviene in generale, il prezzo degli in-
put non è controllabile direttamente dai centri produttivi (il prezzo dei
materiali è normalmente legato a decisioni dell'ufficio acquisti e il costo
orario del lavoro dipende da trattative salariali a livello come minimo
aziendale).

15. Un procedimento analogo si può utilizzare per i materiali indiretti, come l'energia.
16. Considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle relative al lavoro diretto valgono anche per
il lavoro indiretto.
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 623

Ambedue queste soluzioni, tutta\Ìa, non consentono di rnisurare le pre-


stazioni che i centri produtti\i sono effettiva1nente in grado di controllare.
Da un lato, infatti, si attribuiscono alla produzione gli effetti delle scel-
te di altre unità. Si è già sottolineato come l'eventuale variazione del prez-
zo dei fattori produui\; in generale non dipenda dalla produzione; anche
lo scostamento di impiego,tuttavia, è solo parzialmente controllabile, poiché
è influenzato:
• dalla qualità della componentistica, a sua volta dipendente dai fornitori
selezionati dagli acquisti; e
• dalla producibilità dei prodotti, legata alla qualità dell'attività di proget-
tazione17.

Dall'altro lato, si trascurano prestazioni che la produzione contribuisce, al-


meno in parte, a determinare. In particolare, si assume, in modo irrealistico,
che i centri di costo non siano in grado di influenzare le caratteristiche del-
1'output. Le scelte e i comportamenti della produzione, in realtà, hanno effet-
to sulla qualità del prodotto, sulla tempesti\ità delle consegne e sulla necessità
di assistenza post-vendita; essa è perciò, almeno indirettamente, responsabile
dei ricavi dell'impresa.
La mancata corrispondenza tra leve controllabili dalla produzione e re-
sponsabilità ad essa attribuite può dare adito a comportamenti opportunistici.
Così, ad esempio, se gli scostamenti dovuti all'impiego degli input vengono at-
tribuiti alla produzione e quelli connessi alla variazione dei prezzi agli acqui-
sti, è estremamente semplice per gli acquisti far emergere una varianza favo-
revole, ricorrendo a n1ateriali di qualità inferiore e con un prezzo più basso 18.
Analogamente, se alla produzione non vengono attribuite le conseguenze di
una variazione nelle caratteristiche dell'output, essa può far emergere una va-
rianza favorevole riducendo il controllo di qualità in uscita. Si ridurranno così
i costi per scarti e rilavorazioni; il sistema di controllo evidenzia un migliora-
mento delle prestazioni della produzione, trascurando la riduzione di ricavi
che presumibilmente, a breve o a medio termine, sarà provocata dalla minore
qualità dei prodotti forniti ai clienti.
Esistono diverse modalità per cercare di rendere le prestazioni rilevate
maggiormente coerenti con le leve che i centri di costo sono in grado di con-
trollare.
Una prima alternativa, forse la più diffusa, consiste nell'aumentare il nu-
mero delle prestazioni dei centri produttivi rilevate dal sistema di controllo,
aggiungendo indicazioni di costo, normalmente di. tipo non finanziario, rela-
tive ai tempi di consegna o alla qualità dei prodotti realizzati. L'approccio è

17. Si fa riferimento all'adozione di tecniche di tipo <ksignfar manufacturingo <ksignfar assembly.


18. Evidentemente, alla produzione verrebbe attribuita una varianza di impiego, sfavorevole, do-
vuta in realtà esclusivamente alle decisioni degli acquisti.
624 j I SISTEMI DI CONTROLLO

caratterizzato da una buona efficacia e da costi limitati e presenta molti punti


di contatto con le evoluzioni che stanno awenendo nella misura delle presta-
zioni dell'impresa nel suo complesso, evidenziate nel capitolo precedente.
Una soluzione più debole è la ricerca di meccanismi di collegamento late-
rale di carattere organizzativo, come ad esempio taskforce o comitati, cui do-
vrebbero partecipare le diverse unità organizzative tra cui esistono interdi-
pendenze nel flusso di lavoro. Questi team interfunzionali hanno lo scopo di
concordare le caratteristiche dell'output scambiato tra le singole unità: ad
esempio, nel rapporto acquisti-produzione, è compito del team definire quali
fornitori presentino un prodotto con caratteristiche adeguate alle esigenze
produttive; si evitano così comportamenti opportunistici dovuti alla scarsa ca-
pacità del sistema di controllo di comprendere le responsabilità specifiche
delle singole unità nel determinare i risultati complessivi. La soluzione, poco
dispendiosa, si basa tuttavia su un atteggiamento completamente volontaristi-
co e richiede una forte coesione tra le diverse unità organizzative per non tra-
dursi in un puro momento di scontro.
Teoricamente, appare anche possibile aggregare le unità che presentano
interdipendenze, valutando attraverso uno stesso set di indicatori le loro pre-
stazioni e riducendo così il numero di centri di responsabilità di cui valutare
separatamente le prestazioni. Anche questo approccio non consente però di
individuare il contributo specifico delle diverse unità alle prestazioni com-
plessive e rischia, di conseguenza, di innescare una profonda conflittualità tra
le singole unità.

23.3 I centri di ricavo

Si definiscono centridi ricavole unità organizzative la cui responsabilità è limi-


tata alla vendita sul mercato; si fa riferimento, normalmente, alle filiali com-
merciali e alle unità responsabili della vendita.
Tradizionalmente, le prestazioni di queste unità sono misurate dal fattura-
to. Nel caso in cui i prodotti dell'impresa abbiano livelli di profittabilità sensi-
bilmente differenti, è opportuno sostituire al fatturato il margi,nedi contribuzio-
ne total,e,per massimizzare il fatturato, infatti, si potrebbe essere indotti a dedi-
care maggiore attenzione ai prodotti poco profittevoli, per i quali è spesso più
a
agevole ottenere volumi di vendita elevati rispetto quanto accade per i pro-
dotti che garantiscono un margine di contribuzione superiore.

23.3.1 L'analisi degli scostamenti nei centri di ricavo

Anche la misura delle prestazioni dei centri di ricavo utilizza il budgetflessibilR,


al fine di determinare le componenti elementari della differenza tra fatturato
2 3- Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 625

(o margine di contribuzione) previsto ed effettivo. Ricordando che il fattura-


to può e~re espres.50 come:

!'I:
Fatturato = l p-1 · V · q,1. (23.3)
i= l

ove Pi indica il prezzo di vendita del prodotto i-esimo, V è il volume totale


di beni venduti e q"; rappresenta la percentuale dell'output relativa al pro-
dotto i-esimo, le prestazioni di un centro di ricavo dipendono da:
• prezzi di vendita;
• quantità di output destinate alla vendita; e
• mix di vendita (composizione del fatnrrato).
Tali variabili costituiscono quindi le possibili determinanti di una variazio-
ne dei ricavi rispetto alle pre\isioni.

Il primo livellodi analisi


Per misurare l'effetto specifico sul fatturato della variazione di prezzi, quan-
tità e mix, è necessario analizzare in modo comparato quattro differenti pro-
spetti:
• il budget in amdi.zioni standard, che utilizza come dati di input i valori pro-
grammati del volume di vendita complessivo, del fattore di mix (owero
l'insieme dei q\;) e del prezzo di vendita dei singoli prodotti; tutti questi
dati sono facilmente reperibili dai budgetoperativi;
• il lmdgetflessibile a mix standard, indicativo del fatturato che l'impresa può
realizzare nel caso in cui il volume di vendita sia pari a quello rilevato a
consuntivo, i prezzi di vendita effettivi siano uguali a quelli programmati
e la composizione del fatturato a consuntivo coincida con quella prevista;
• il budgetflessibik a mix effettivo,che differisce dal precedente solo perché si
fa riferimento alla composizione del mix che è stata rilevata a consuntivo
e non a quella definita in sede previsionale;
• il conto consuntivo, ove vengono utilizzati i valori consuntivi di tutte e tre le
variabili in gioco.

Il confronto tra il fatturato relativo a ciascuno nei quattro piani consente di


spiegare lo scostamento esistente tra il fatturato previsto e quello effettivo, ve-
rificando l'effetto specifico delle tre determinanti dei ricavi. In particolare:
• il confronto tra il budget in condizioni standard e il budgetjlessibi,/,ea mix stan-
dard evidenzia l'impatto sui ricavi dell'impresa di una variazione delle
vendite effettivamente realizzate rispetto alle previsioni (i due piani dif-
feriscono inf~tti per il solo volume di output totale venduto); la differen-
za tra ricavi di lmdget in condizioni standard e ricavi di budgetflessibiJ,ea mix
standard viene definita scostamentodi volume;
626 J I SISTEMI DI CONTROLLO

• il confronto tra il budgetflessibil,ea mix standard e il budgetflessibil,ea mix ef


fettivo misura l'effetto sui ricavi dell'impresa di una differente composi-
zione delle vendite rispetto alle previsioni (i due piani differiscono solo
per la diversa composizione del mix di vendita); la differenza tra i ricavi
di budgetflessibil,ea mix standard e i ricavi di budgetflessibil,ea mix effettivovie-
ne definita scostamentodi mix;
• il confronto tra il budgetflessibik a mix effettivoe il contoconsuntivo determi-
na l'impatto sui ricavi dell'impresa di una variazione dei prezzi rispetto
alle previsioni (i due piani differiscono solo per il prezzo di vendita); la
differenza tra i ricavi di budgetflessibil,ea mix effettivoe il fatturato consun-
tivo viene definita scostamentodi prezzo.

La somma dei tre scostamenti, pari ovviamente alla differenza tra fatturato
effettivo e fatturato di budget,viene definita scostamentototal,edel fatturato ( ta-
bella23.3).

TABELLA 23.3 - Gli scostamenti di fatturato

Prezzo Percentualedell'output Vol"-me


relativaa ciascunprodotto

Budget Valori programmati Valori programmati Valori programmati


Budget flessibile Valori programmati Valori programmati Valori effettivi
a mix standard
Budget flessibile Valori programmati Valori effettivi Valori effettivi
a mix effettivo
Conto consuntivo Valori effettivi Valori effettivi Valori effettivi

Il secondoliveUodi analisi
A un secondo livello, si può valutare quale parte dello scostamento di volume
sia dovuta a una variazione della quota di mercato e quale invece a una varia-
zione complessiva della domanda del mercato.
Il punto di partenza dell'analisi è rappresentato dalla relazione che lega il
fatturato dell'impresa alla sua quota di mercato (sm) e alla domanda co1nples-
-
siva, espressa in valore (Qm ) :

Fatturato = sm • Qm (23.4)

L'implementazione dell'analisi di secondo livello degli scostamenti di


marketingrichiede quindi la conoscenza di due parametri che spesso presenta-
no una forte aleatorietà; di conseguenza, essa presuppone un coinvolgimento
diretto dei responsabili della funzione marketinge, comunque, viene generai-
2 3. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 627

mente limitata ai settori consumer. ove la quota di mercato rappresenta un in-


dicatore importante.
Operativamente. l'individuazione del secondo livello di analisi (si veda an-
cora la tabella 23.2) richiede che venga introdotto un ulteriore piano, inter-
medio tra il budgetin condizioni standard e il budgetflessibile. Questo piano,
denominato budget a quota di mercatoeffettiva,è realizzato sulla base del valore
programmato della domanda complessiva del mercato e del valore consunti-
vo della quota di mercato dell'impresa.
Lo scostamentodi volumeviene così suddiviso in due componenti elementari,
lo scostamento do,uto alla variazione della quota di mercato (determinato
come differenza tra i ricavi di budgetin condizioni standard e i ricavi di budget
a quota di mercatoeffettiva) e lo scostamento dovuto alla variazione della do-
manda complessiva del mercato (determinato come differenza tra i ricavi di
budget a quota di mercatoeffettiva e i ricavi di budget flessibile). È evidente che
mentre la prima componente è indicativa normalmente dì un cambiamento
della posizione competitiva dell'impresa, la seconda rappresenta un fenome-
no sostanzialmente esogeno 19 .

23.3.2 I limiti dell'analisidegli scostamenti

Poiché il fatturato è esprimibile come prodotto tra prezzi di vendita e quan-


tità vendute, valutare i centri di ricavo sulla base del fatturato significa ritener-
li responsabili per le variazioni di prezzo 20 e per quelle di quantità venduta.
Spesso, tutta,ia. tali parametri non sono interamente controllabili dai cen-
tri di ricavo. I prezzi. infatti, possono dipendere da politiche di pricingche non
vengono decise dalla singola unità organizzativa, ma a livello centrale. Le stes-
se quantità/ quote di n1ercato, inoltre, non derivano solo dallo sforzo di ven-
dita, ma anche dalle caratteristiche dei prodotti; attribuendo ai centri com-
merciali l'intera responsabilità sui ricavi, quindi, si comrnette un errore spe-
culare a quello visto nel caso dei centri di costo.
Inoltre, i centri di ricavo possono influenzare parametri che non si rifletto-
no direttamente nei ricavi, almeno nel breve periodo. Ad esempio, le unità
commerciali dovrebbero svolgere anche attività di supporto e di assistenza ai
clienti; talvolta, invece, si trascurano tali attività per dedicare più tempo alla
vera e propria fase di vendita: nel breve periodo il sistema di controllo "tradì-

19. È evidente che l'attribuzione dei singoli scostamenti a fenomeni esogeni o controllabili dovrà
nella pratica e~re fatta caso per caso. Ad esempio, le grandi imprese sono in grado di in-
fluenzare non solo fa propria quota ma anche la domanda complessiva del mercato.
20. Anche nel caso si utilizzi il margine di contribuzione totale invece del fatturato, il centro di ri-
cavo viene tradizionalmente considerato responsabile solo di prezzi e quantità vendute, poi-
ché la responsabilità sul costo variabile del prodotto viene attribuita ai centri di costo.
628 I I SISTEMI DI CONTROLLO

zionale" evidenzierà una varianza favorevole nei ricavi, che verrà però proba-
bilmente bilanciata da un peggioramento dell'immagine dell'impresa, quindi
da una riduzione del suo valore economico.
Le soluzioni per ovviare a questi limiti sono sostanzialmente analoghe a
quelle individuate per i centri di costo, cui si rimanda per un'analisi specifica,
e c1oe:
• ricorrere a un set più ampio di indicatori; ad esempio, è possibile intro-
durre indicatori non finanziari relativi al tempo dedicato all'attività di
assistenza ai clienti, per evitare che questa venga eccessivamente sacrifi-
cata;
• introdurre meccanismi di collegamento laterale per gestire le interdi-
pendenze con altre unità, concordando in particolare con i centri pro-
duttivi le caratteristiche dei prodotti;
• aggregare le prestazioni delle diverse unità tra loro interdipendenti.

23.4 I centri di profitto

I centridi profittosono unità organizzative in grado di controllare direttamente


sia le scelte relative all'output che quelle connesse con le risorse da impiegare
per realizzarlo; essi possono quindi essere analizzati come l'aggregazione di
uno o più centri di costo e di uno o più centri di ricavo. Le prestazioni di un
centro di profitto sono quindi misurabili, in termini economici, attraverso il
margine operativo netto (MON), differenza tra ricavi e costi dell'attività ope-
rativa (cfr. capitolo7).
Il problema principale del MON è che, come qualsiasi indicatore economi-
co, è orientato al breve periodo e poco tempestivo; per rispondere a questo
problema, anche nei centri di profitto può essere utile integrare il MON con
alcuni indicatori di tipo non finanziario.
Integrazioni e approfondimenti
l.1 La gestionefinanziaria e le modalità di finanziamento
dell'impresa

Marco Giorgino

I .1.1 Premessa

Le implicazioni che le scelte strategico-gestionali di impresa generano han-


no sovente, per non dire sen1pre, delle caratterizzazioni di natura finanzia-
ria. Tali scelte, pertanto, devono essere interpretate anche alla luce della
dimensione finanziaria dell'i1npresa.
Tale affermazione non è vera solo per le imprese quotate rispetto alle
quali si ritiene che il più strutturato rapporto con i mercati finanziari sia ta-
le da rendere il tema delle implicazioni finanziarie più rilevante, ma è al-
trettanto vera per le i1nprese non quotate. Esse, infatti, devono comunque
operare delle scelte di allocazione del capitale e di conseguenza, prima di
queste, devono effettuare delle scelte che ottimizzino le modalità di raccol-
ta del capitale stesso.
Tale appendice si focalizza, nell'ambito della gestione finanziaria del-
l'impresa, sul tema più specifico delle scelte di raccolta delle risorse finan-
ziarie, osservando sia l'aspetto della composizione ottimale delle differenti
fonti sia l'aspetto più tecnico del funzionamento di ognuna presa singolar-
mente. In particolare, su quest'ultimo aspetto è importante verificare l'im-
patto delle evoluzioni introdotte dall'entrata in vigore della nuova versione
dell'Accordo di Basilea (Basilea 2) e del diffondersi di figure di investitori
in capitale di rischio.
II tema della "composizione ottimale" delle fonti di finanziamento delle
imprese ha sempre interessato molti studiosi, già dalla fine degli anni '50, e
rappresenta un te~a di assoluta rilevanza strategica.
Le scelte di capi,talraising sono tanto importanti quanto le scelte di capitai
al/,ocationper l'obiettivo di creazione di valore per le imprese e, pertanto, il lo-
632 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

F, G u RA 1.1.l - Massimizzare il valore di impresa

Capitai Cap~tal
allocation ra1Stng

ro livello di convenienza andrà sempre verificato in relazione a quest'ultimo


(figura l 1.1) .
Secondo una visione finanziaria dell'impresa, al fine di massimizzare il va-
lore, è opportuno che siano portati in equilibrio tre elementi fondamentali:
a) le politiche di investimento del capitale, finalizzate a generare flussi di ri-
sultato il cui rendimento e la cui distribuzione nel tempo siano coerenti
con le aspettative di tutti i portatori di interesse;
b) le politiche di finanziamento, le cui scelte strategiche e tattiche sono fi-
nalizzate a garantire il migliore approvvigionamento di risorse finanzia-
rie per l'impresa;
e) le politiche dei dividendi, finalizzate a ottimizzare le relazioni con gli
azionisti dosando i flussi da restituire e quelli da trattenere per eventuali
occasioni di reinvestimento.
L'obiettivo di questa appendice, quindi, è quello di analizzare le principali de-
cisioni di natura strategica che hanno effetto sulla struttura delle fonti di fi-
nanziamento e, di conseguenza, sul valore di impresa, nonché i principali
contratti esistenti per alimentare la struttura finanziaria.

I.1.2 Le scelte strategichedi capitai raising

Si definiscono strategiche quelle decisioni che hanno un effetto strutturale sul-


le fonti di finanziamento e che difficilmente possono essere ripetute con una
certa frequenza. Definire le caratteristiche "macro" della struttura delle fonti
di finanziamento, sia in termini di composizione sia in termini di scadenze,
rappresenta un aspetto fondamentale degli obiettivi finanziari dell'impresa.

Le decisioni strategiche: l'identificazione della struttura finanziaria ottimale

Le principali scelte di natura strategica sono finalizzate a ottenere la compo-


sizione ottimale delle fonti di finanziamento. Si può definire come struttura
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 633

finanziaria ottimale quella particolare co1nposizione che porta a ridurre fino


al livello più basso il costo medio ponderato del capitale dell'in1presa.
Il costo medio ponderato del capitale è quel valore che esprime quale
deve essere la remunerazione minima degli impieghi dell'impresa, affin-
ché tutte le aspettative dei portatori di capitale finanziario vengano soddi-
sfatte.
Tale misura (che nella sua traduzione anglosassone è conosciuta come
wei,ghtedaverage cost of capitai- genericamente intesa co1ne "k") - può essere
formalizzata nel seguente modo:

WACC=kd x(I-t)x D +ke x E (I. 1.I)


D+E D+E

Come si evince dalla (I.I.I), i fattori che possono avere un effetto sul co- ...,
sto medio ponderato del capitale sono diversi e presentano anche determi-
nati livelli di interrelazione reciproca:
• kd, ossia costo del debito, che esprime la remunerazione attesa da par-
te di chi conferisce capitale a titolo di debito;
• t, ossia l'incidenza della variabile fiscale, la quale esprime il trattamen-
to delle ,·ariabili fiscalmente rilevanti. L'introduzione di tale fattore
"di correzione ...permette di incorporare all'interno del WACC il costo
del debito dopo le imposte, ovvero di tenere conto del risparmio fisca-
le derivante dalla deducibilità degli oneri finanziari (tax shelter);
• ke, ossia costo del capitale di rischio ( equity), che esprime la remune-
razione attesa da parte dei portatori di capitale di rischio 1;
• D/E, ossia la composizione della struttura finanziaria articolata tra
fonti a titolo di debito e fonti a titolo di capitale di rischio.
Le relazioni tra tutte le suddette variabili e il loro impatto sul costo me-
dio ponderato del capitale portano alla formalizzazione della figura 1.1. 2:
Il costo del capitale dipende senza dubbio dalla composizione delle fon-
ti di finanziamento. Le fonti hanno dei costi diversi a seconda dei livelli di
rischio cui espongono i relativi conferenti.
In particolare, la canonica suddivisione tra conferenti di capitale di debi-
to e conferenti di capitale di rischio identifica condizioni differenziate rela-
tive a tre aspetti almeno:
a) natura dei.diritti sui flussi di cassa. I conferenti di capitale di debito han-

I. Il costo del debito è definito contrattualmente tra il prenditore e il datore (o i datori) dei
fondi. Se non lo fosse, sarebbe almeno definito l'algoritmo attraverso il quale poterlo de-
terminare, come awiene, ad esempio, nelle operazioni di indebitamento con tassi indici!-
zati a parametri di mercato. Il costo dell' equity,invece, non è definito contrattualmente. E,
invece, il risultato di stime di natura soggettiva che mirano a interpretare quale sarebbe la
remunerazione degli azionisti (e, quindi, il costo dell' equityper l'impresa) in relazione al
rischio al quale essi si espongono.
634 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

FI e u RA 1.1. 2 - Il costo del capitale

WACC

D/E

no il diritto di ricevere per contratto una serie di flussi di cassa (inte-


ressi e capitale) di importo certo a scadenze certe (o almeno parame-
tro di riferimento e algoritmo di calcolo certi come nel caso dei debiti
a remunerazione indicizzata). I conferenti di capitale di rischio han-
no il diritto di ricevere flussi di cassa solo dopo che gli altri conferenti
di capitale hanno avuto garantiti i propri diritti alla remunerazione;
b) priorità nei diritti al rimborso del capitale. La suddetta discriminazione
nella remunerazione del capitale si ha anche in occasione dell'even-
tuale liquidazione della società, nell'ambito della quale i portatori di
capitale di debito sono "liquidati" prima dei portatori di capitale di ri-
schio. Anche per questo motivo, questi ultimi sono definiti portatori
di diritti residuali ( residual claims);
c) trattamento fiscale. Gli oneri finanziari, secondo differenti aliquote, so-
no solitamente deducibili ai fini della determinazione del reddito im-
ponibile2. La ricerca della riduzione del carico fiscale può, quindi, far
preferire il finanziamento a titolo di debito.
La differente natura dei diritti sui flussi di cassa e le diverse priorità di rim-
borso del capitale generano, come è ovvi_?,diversi livelli di rischio per chi
sottoscrive debito e chi sottoscrive equity. E questo il motivo che giustifica il
posizionamento della curva del costo del capitale di rischio a un livello più
alto di quella del capitale di debito 3 (figura /.1. 2). Pian piano che il rapporto
D/E si sposta verso una maggiore presenza di debito, l'impresa non fa altro

2. Questo è stato uno dei motivi per i quali, in Italia, le imprese, soprattutto in epoca di de-
ducibilità fiscale degli interessi passivi sia in conto Irpeg sia in conto Ilor, hanno sovente
fatto ricorso a forme di finanziamento basate sul debito.
3. Si precisa, tuttavia, che in alcune fasi dei mercati azionari si può verificare che, per effetto
di un andamento molto positivo dei corsi, il costo del capitale di rischio per le imprese si
riduca sensibilmente fino ad arrivare a livelli più bassi del costo del capitale di debito.
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 635

che sostituire fonti più costose (equity) con fonti meno costose (debito). Tale
variazione del mix tra debito ed equity avviene a costi marginali crescenti, la
qualcosa, da un certo livello soglia in avanti. porta verso l'alto il costo medio
della struttura finanziaria nel suo complesso. L'incremento del costo delle
fonti di finanziamento all'aumentare dell'indebita1nento deriva dal fatto
che viene percepito un livello di rischio crescente e, pertanto, i finanziatori
sono disposti a esporsi (o a rimanere esposti) solo a condizioni per essi più
vantaggiose.
Il peggioramento del livello di costo medio avviene solo da un livello so-
glia in avanti perché fino a tale livello (tratto discendente della curva
WACC) il costo viene più che con1pensato dal beneficio fiscale sul debito.
L'impresa tende a indebitarsi e così facendo ritiene di poter minimizzare il
costo del capitale. Ma ciò avviene solo fino a quando tali benefici fiscali
vengono sopravanzati da un costo del debito n1arginale fortemente cre-
scente.
La scelta della migliore struttura finanziaria non può tHttavia derivare sol-
tanto dall'identificazione del punto minimo della curva del costo medio
ponderato del capitale, ma deve essere il risultato di una serie di verifiche su
altri aspetti importanti della struttura degli investimenti e della struttura dei
ricavi dell'impresa. ·
Tale affermazione (se si vuole) potrebbe essere interpretata in un altro
modo, dicendo come a seconda del tipo di settore e del tipo di impresa la
curva del costo del capitale (e, pertanto, il suo punto minimo) può preve-
dere un andamento dh·erso.
Le imprese che operano in settori con risultati (reddituali e finanziari)
fortemente volatili do\Tebhcro e\itare un ricorso eccessivo al debito. Non
potrebbero, cioè, sopportare rischi di business già in partenza elevati amplifi-
cati da livelli di rischiosità finanziaria insostenibili. Presidiare tassi di crescita
elevati ha una logica solo se non \1 sono finanziatori che alla fine di ogni se-
mestre (o in generale di ogni periodo) battono ca4,saper vedere remunerato
(oltreché restituito) il proprio capitale. Oltretutto, aziende basate su intangi,-
blesmolto significativi hanno una minore facilità di accesso al mercato del de-
bito bancario che, soprattutto, in alcuni casi richiede una rilevante presenza
di beni reali per poter procedere ali' erogazione.
Un altro elemento che può risultare significativo sta nella possibilità che
le imprese riescano a correlare stabilmente i flussi di cassa agli oneri del de-
bito. In linea di principio, se un'impresa riduce il proprio volume di flussi di
cassa della gestione operativa, vedrà aumentare la propria probabilità di dis-
sesto finanziario; ma se ha i costi del debito correlati ai propri flussi di cassa,
tale probabilità potrebbe attenuarsi.
Altro aspetto da verificare sta nella distribuzione del fatturato e delle
classi di attivo. Dove il fatturato è concentrato su un'area di risultato soltan-
to (e di conseguenza anche l'attivo) la dipendenza della soprawivenza e
636 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

dello sviluppo dell'impresa sarà massima e questo potrebbe spingere verso


una contrazione dei livelli di debito. Tale condizione, inoltre, farebbe lievi-
tare i costi di un eventuale fallimento dal momento che le attività dell'im-
presa potrebbero essere difficilmente divisibili ..e commercializzabili.
Va ricordato, anche, il tema della flessibilità finanziaria. Eccedere nel ri-
corso al debito porta a livelli molto bassi di flessibilità finanziaria. Si inten-
de per flessibilità finanziaria quella condizione che consente all'impresa,
di fronte a un improvviso bisogno, di poter- attivare nuovo debito. Un'im-
presa che opera a un livello di indebitamento già ritenuto ottimale, in se-
guito a esigenze improvvise di liquidità, potrebbe non avere la flessibilità
adeguata a procedere verso la ricerca di una nuova erogazione di credito.
Tali esigenze potrebbero essere irnprovvise e derivanti da innumerevoli fat-
tori, quali ad esempio nuove prospettive di investimento.
Vi è, in ultimo, da considerare l'aspetto della scadenza dei flussi di cassa
associati al passivo e il loro livello di coerenza rispetto ai flussi di cassa del-
l'attivo dell'impresa. La duration del passivo deve essere costruita in modo
coerente con la duration dell'attivo.
Si può definire come duration la media ponderata delle scadenze di tutti
i flussi di cassa associati a un'attività o a una passività finanziaria. Può essere
espressa dalla seguente relazione:

f txFF 1 + TxVT
.
d uratzon t=l ( 1 + k)t ( 1 + k) T (Ll.2)
= ---'----'--___;..._ _ _;___
f FF1
t=l(l+k)T
+ VT
(l+k)T

dove "FF/ esprime il flusso di cassa correlato all'operazione finanziaria re-


lativo al periodo t-esimo, ''VT" esprime il valore alla fine del periodo tem-
porale di riferimento (il valore di rimborso di un'obbligazione per esem-
pio) e "k" il tasso di attualizzazione.
La duration rappresenta una misura dell'esposizione di un progetto (o di
un'operazione finanziaria in generale) al rischio dei tassi di in te resse.
Una gestione integrata di attivo e passivo richiede che le duration siano coe-
renti nei due ambiti. Pertanto, una volta nota la duration delle attività, è possi-
bile costruire la struttura finanziaria allineando la duration delle passività.
Ciò è possibile in due modi:
• allineando i flussi di cassa dei finanziamenti con quelli generati dai
progetti che l'impresa ha in portafoglio;
• costruendo una struttura finanziaria che abbia una duration media
ponderata (per il peso di ogni fonte di finanziamento) quanto più
possibile allineata con il portafoglio delle attività (e con la sua duration
media ponderata, per ogni singola classe dell'attivo).
Attraverso tale approccio, l'oscillazione dei valori di attivo e di passivo a da-
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 637

te variazioni del mercato sarà simultanea. lasciando stabile e pressoché


inalterato il valore del capitale azionario dell'impresa.
L'obiettivo della ricerca della struttura finanziaria ottimale è obiettivo di
importanza molto rilevante. La sua ricerca porta a un risultato che non è fa-
cilmente modificabile nel breve periodo.
La struttura finanziaria non solo deve garantire il livello più basso possibile
del costo del capitale ma deve altresì essere coerente con i piani strategici, con
la struttura degli investimenti e con le modalità di generazione dei flussi di
cassa operativi dell'impresa.
Le relazioni tra struttura finanziaria e valore passano attraverso la determi-
nazione del costo del capitale.
Se si considera che il valore di impresa può essere determin·ato attraver-
so la nota relazione:

.
valore di unpresa ~ FCF1
= LJ (1.1.3)
t_I r
o+ ,rAAct
si osserva come la relazione tra costo del capitale e valore sia assolutamente
rilevante e di tipo inverso. A dati flussi di cassa disponibili per tutti i finan-
ziatori dell'impresa (free rash flow, altrimenti detti free cash flow to firm: che
rappresentano i flussi di cassa disponibili per tutti i finanziatori), aumenti
o diminuzioni nel costo del capitale generano riduzioni o incrementi nel
valore dell'impresa (si veda in proposito il paragrafo 1.1.1). E come verifica-
to nella figura I. I. 2, esiste una relazione tra costo del capitale e struttura fi-
. .
nanztana.

Ledecisionistrategiche:
il passaggioallastrutturafinanziariaottimale

Un 'impresa che presenta un livello di indebitamento diverso da quello otti-


male deve porsi di fronte a una serie di scelte importanti:
a) innanzitutto deve decidere se intende procedere alla modifica della pro-
pria struttura portandola verso quella ottimale;
b) successivamente deve riflettere sull'opportunità di modificarla in modo
graduale o in modo repentino;
e) infine, dopo aver deciso di modificare, deve valutare se conviene impie-
gare i nuovi finanziamenti per nuovi investimenti o per variare la struttu-
ra finanziaria esistente a supporto degli investimenti già esistenti.
La velocità con la quale l'impresa, dopo aver verificato di trovarsi in una con-
dizione non ottimale, procede verso il livello migliore può dipendere da una
serie di fattori:
a) innanzitutto, 'Come è ovvio, maggiore è il rischio di imprecisione della
stima su quale sia il livello di indebitamento ottimale, maggiore sareb-
638 J INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

be l'opportunità che l'impresa proceda gradualmente verso il "D/E"


obiettivo. Così facendo, infatti, avrebbe comunque la possibilità di ret-
tificare in corso d'opera la propria traiettoria;
b) la velocità di adeguamento può dipendere anche da un confronto con
i propri competitor,una diversità forte rispetto all'azienda in questione,
infatti, creerà disorientamento e perplessità nell'ambito della comu-
nità finanziaria e tra gli analisti;
e) mantenere un buon livello di flessibilità finanziaria potrebbe rendere
preferibile un percorso più graduale verso il livello ottimale;
d) la caratteristica di azienda quotata eventualmente appetibile per un'o-
perazione di scalata può generare la necessità di procedere repentina-
mente verso una ridefinizione della struttura finanziaria.
La figura I 1.3 riporta una sintesi delle possibili situazioni (e delle relative so-
luzioni) di fronte alle quali un'impresa potrebbe trovarsi, con riferimento alle
modalità attraverso le quali tendere verso una configurazione ottimale della
struttura delle fonti di finanziamento.
Una situazione di squilibrio verso il debito richiede un intervento repen-
tino nel caso in cui il rischio che l'impresa fallisca è prossimo; altrimenti si
potrebbe procedere verso una modifica più graduale della struttura finan-
z1ana.
Nell'ipotesi di intervento repentino per portare il rapporto "D/E" a valori
più bassi, l'impresa può procedere attraverso tre possibili soluzioni:
• rinegoziare il debito affinché abbia caratteristiche diverse in termini di
duration e di costo;
• vendere alcune classi di attivo affinché vi possano essere le necessarie li-
quidità per rimborsare alcuni creditori finanziari;
• sostituire debito con equityattraverso una trasformazione di alcune cate-
gorie di creditori finanziari in azionisti.
A tali opportunità si aggiunge, ovviamente, l'ipotesi di un aumento di capita-
le: che però, in date situazioni così critiche, potrebbe generare degli effetti,
sia in termini di costo sia in termini di risposta del mercato, non proprio otti-
mali. Se la probabilità di fallimento non è così rilevante, l'impresa può proce-
dere più gradualmente verso un riequilibrio della struttura.
Nel caso l'impresa abbia buone opportunità di investimento, potrebbe fi-
nanziarle attraverso utili non distribuiti o attraverso aumenti di capitale; nel
caso non goda di tali opportunità, dovrebbe limitare l'erogazione di dividen-
di al fine di finanziare il rimborso del debito oppure ancora una volta potreb-
be (se il mercato glielo permette) procedere a un aumento di capitale.
Una situazione di squilibrio verso l' equitypone il problema opposto: tende-
re, più o meno rapidamente, verso un grado di leva finanziaria più elevato.
L'impresa quotata potrebbe avere un impulso maggiore a tendere rapida-
mente verso strutture più indebitate: il rischio di essere (qualora l'assetto azio-
nario fosse compatibile con tale eventualità) scalata.
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 639

F I e u RA 1.1.3 - Il percorso verso la struttura finanziaria ottimale


O/E è maggiore
o minore di ~uello
ottimale.
I
r I
Attuale> Ottimale Attuale < Ottimale
Impresa sovraindebitata Impresa sottoindebitata
I I
Rischio default Rischio scalata

I I
Sl No Sì No

Ridurre il debito
rapidamente: L'impresa Aumentare il debito L'impresa
- sostituire D con E
- vendere attivo
e rimborsare
ha buone
oppor1unità
di investimento?
- debttr
rapidamente:
equrtyswap
- inde itarsi e
ha buone
opportunità
di investimento?
comprare azioni
- rinegoziare debito

I I I
Sl No Sl No
T I I
Intraprendere nuovi - Estinguere il debito
con utili non distribuiti Finanziare nuovi - Pagare i dividendi
progetti emettendo investi menti - Riacquistare azioni
nuovo capitale azionano - Ridurre i dividendi
- Nuove emissioni con nuovo debito proprie
o usando utili distribuiti
azionarie

In tal caso, do\Tebbe rapidamente:


• attingere a nuove fonti di debito per ripagare azioni o comunque per
alterare il D / E;
• trasforn1are alcune classi di azionisti in portatori di capitale di debito
(obbligazionisù).
Se non fosse quotata e avesse buone opportunità di investimento, potrebbe fi-
nanziarle con nuovo debito; altrimenti potrebbe distribuire dividendi straor-
dinari piuttosto che rimborsare i propri azionisti riacquistando azioni pro-
.
pne.

l.1.3 Gli strumenti di finanziamento

Le scelte strategiche di capital raisingconsentono di definire in principal mo-


do quale deve essere la composizione ottimale, in termini "macro", della
struttura finanziaria.
Ma l'insieme delle scelte si compone anche di un livello più operativo nel-
1'ambito del quale vengono utilizzati i principali contratti che, sia a titolo di
debito sia a titolo 4i capitale di rischio, consentono all'impresa di "alimenta-
re" la struttura finanziaria.
640 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

Gli strumenti di finanziamento creditizio

Il sistema bancario è stato storicamente l'interlocutore privilegiato.. per il


soddisfacimento delle necessità finanziarie delle imprese italiane. E pur ve-
ro tuttavia che tale rapporto si è modificato, determinando un'evoluzione
della banca che da conferente e prestatore di capitale di debito è via via di-
ventata un prestatore di servizi. Fenomeno assolutamente rilevante che va
a impattare su tale rapporto è rappresentato dall'entrata in vigore delle
norme del Nuovo Accordo di Basilea (Basilea 2).
La revisione della normativa sull'adeguatezza patrimoniale delle ban-
che elaborata dal Comitato per la Vigilanza Bancaria si fonda su alcuni
principi base secondo cui ogni attività posta in essere dall'impresa banca-
ria comporta l'assunzione di un certo grado di rischio e che tale rischio
debba essere quantificato e supportato da capitale. In sintesi, l'impianto
normativo sancisce il ruolo del capitale nella sua funzione fondamentale
di copertura dei rischi assunti e, nel contempo, di vincolo all'espansione
dell'attività.
Le regole introdotte da Basilea 1 nel 1988 sono diventate norma vincolan-
te in un gran numero di Paesi al mondo e hanno il merito di aver introdotto
un requisito patrimoniale atto a fronteggiare principalmente il rischio di cre-
dito. Tuttavia, benché esplicitamente correlata solo a tale tipo di rischio, la
copertura minima (pari all'8%) del capitale proprio (patrimonio di vigi,lanza)
sull'attivo delle banche (attivo ponderato in relazione al suo grado di ri-
schio) veniva ritenuta sufficiente implicitamente anche per altri tipi di rischi
bancari (di mercato, operativo, di liquidità, legale e di reputazione). La rela-
tiva semplicità dello schema teorico e applicativo della normativa ne ha favo-
rito la diffusione e l'applicazione con l'effetto significativo di aumentare il li-
vello complessivo di patrimonializzazione del sistema bancario.
Sulla traccia dell'Accordo del 1988 sono stati avviati i 'lavori del Comitato
sfociati nella nuova proposta, che ha dato origine all'emanazione dell 'Ac-
cordo di Basilea 2. I cambiamenti strutturali awenu~i negli anni '90 nell'in-
dustria finanziaria internazionale (l'intensificarsi della concorrenza, l'in-
novazione tecnologica e normativa, la globalizzazione dei mercati) hanno,
infatti, mostrato i limiti del precedente quadro basato su una rappresenta-
zione semplificata dell'attività bancaria e della rischiosità aziendale non
più indicativa della complessa e dinamica realtà odierna. La nuova regola-
mentazione intende, invece, stabilire una più stretta correlazione tra le va-
lutazioni dell'adeguatezza patrimoniale e i principali elementi di rischio
insiti nell'attività bancaria, oltre a fornire incentivi alle banche affinché po-
tenzino le loro capacità di misurazione e gestione dei rischi.
L'Accordo, maturato in modo lungo e ar_ticolato, si basa su tre pilastri
che, secondo chi lo ha proposto, dovrebbero concorrere in modo congiun-
to al miglioramento della sicurezza e della solidità del sistema finanziario.
I.I La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 641

Quello che in particolare va a innestarsi in ,nodo rilevante sull'attività di


finanziamento alle imprese è rappresentato dal prin10 pilastro che innova
le regole di quantificazione dei rischi a fini di detenninazione dell'adegua-
tezza patrimoniale 4 . Tra le varie innovazioni è richiesta, infatti, una mag-
giore sofisticazione nelle metodologie di calcolo del rischio di credito at-
traverso lo sviluppo e l'utilizzo da parte della banca di siste1ni interni di ra-
tingdel merito creditizio della controparte. Inoltre, la possibilità lasciata al-
la banca relativa alla scelta della metodologia da applicare è fonte eventua-
le di vantaggio competitivo se ciò si traduce per la stessa in una maggiore
complessità e sofisticazione delle metodologie di controllo ma soprattutto,
attraverso una valutazione più piena e completa, in un minore assorbimen-
to patrimoniale a parità di rischio sostenuto.
I cambiamenti imposti dalle autorità di vigilanza in tema di gestione e
controllo dei rischi determinano inevitabilmente un'evoluzione del rap-
porto "banca impresa'\ di certo con interessanti opportunità, ma anche
con diversi elementi di cautela da considerare: da un lato, la banca deve
puntare alla realizzazione di sistemi di rating affidabili e rappresentativi
dell'effettiva rischiosità delle imprese in modo da assicurare equità di trat-
tamento sullo stesso territorio per soggetti dotati delle stesse caratteristiche
imprenditoriali; dall'altro. ma al tempo stesso, le imprese devono adottare
politiche gestionali tali da consentire di ottenere percezioni/valutazioni
del rischio coerenti con le caratteristiche che le contraddistinguono. Tale
discorso costituisce ele1nento di attuale dibattito soprattutto per le piccole-
medie imprese. che a oggi risulterebbero quelle alle quali prestare la mag-
giore attenzione. Per esse non sono disponibili i giudizi di rating delle
agenzie specializzate e il loro merito di credito sarebbe quindi oggetto di-
retto di valutazione da parte dei sistemi di controllo interni della banca.
Inquadrate le variabili che caratterizzano la problematica della gestione
dei rischi nell'ambito dell'accordo, indispensabile risulta capire come l'im-
presa possa effettivamente rispondere ai nuovi requisiti che regolano l'of-
ferta del credito e in definitiva le proprie opportunità di finanziamento e
di crescita.
L'applicazione dei ratinginterni spinge l'impresa a una maggiore atten-
zione dei risultati delle proprie attività gestionali espressi a bilancio e, così
facendo, ne influenza le condizioni di finanziamento, con un impatto si-

4. Il secondo pilastro definisce i nuovi principi guida per la supervisione da parte degli orga-
ni di controllo nazionali, volti ad assicurare che gli intermediari si dotino di adeguati siste-
mi di misurazione e controllo dei rischi e sviluppino politiche e procedure per la valuta-
zione dell'adeguatezza patrimoniale; il terzo, invece, dispone il ricorso alla disciplina ~i
mercato quale strumento di integrazione del lavoro delle autorità di vigilanza nel garanti-
re la solvibilità del.sistema bancario attraverso l'utilizzo di requisiti di trasparenza delle
informazioni sulle condizioni di rischio e di patrimonializzazione delle singole banche.
642 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

gnificativo sulla sua struttura finanziari'a in termini di equilibrio monetario


di medio lungo periodo, solvibilità di breve periodo e rapporto di leva fi-
. .
nanz1ana.
L'applicazione del nuovo Accordo, inoltre, porta a condizioni di mag-
giore trasparenza informativa. Ciò si concretizza in una maggiore frequen-
za nella redazione dei documenti di bilancio e nella predisposizione sia di
piani strategici e industriali, in grado di illustrare le decisioni di investi-
mento in termini di redditività futura dell'azienda e il posizionamento di
mercato attuale e prospettico, sia di piani finanziari che presentino l'evolu-
zione dell'equilibrio finanziario dell'impresa in collegamento ai piani stra-
tegici formulati.
Dopo aver analizzato, seppur brevemente, il contesto regolamentare in
cui si inquadra il rapporto tra sistema delle imprese e sistema bancario,
vengono di seguito presentati, seppur in modo sintetico, alcuni dei princi-
pali contratti di finanziamento bancario. In tutti i casi lo schema logico che
verrà utilizzato sarà lo stesso, prestando attenzione agli aspetti definitori, ai
costi associati a tali contratti e alle necessità che spingono le imprese a far-
ne uso.

Apertura cli credito in conto corrente


Si intende come apertura di credito in conto corrente un'operazione attra-
verso la quale uria banca mette a disposizione, previa analisi di fido del cliente
finalizzata a valutarne il merito di credito, un determinato importo attraverso
lo strumento del conto corrente.
L'impresa può utilizzare tale determinato importo fino alla sua saturazione
e può ripristinare la disponibilità iniziale in modo integrale o in modo parzia-
le <:_on grande flessibilità.
E il tipico strumento che consente di gestire con eleva~ elasticità la tesore-
ria di impresa, con l'obiettivo di ottimizzare il trade off tra il detenere troppa li-
quidità (con il rischio di un costo opportunità troppo elevato) e il detenerne
troppo poca (con il rischio della necessità improwisa di un approvvigiona-
mento a condizioni poco convenienti).
I costi associati a tale contratto sono costi di natura finanziaria riconducibi-
li ali' uso effettivo del denaro e a eventuali commissioni applicate sui valori di
massima esposizione debitoria (commissione di massimo scoperto).

Mutui
Il mutuo è un contratto con il quale una banca eroga un determinato im-
porto a un proprio cliente, previa procedura di affidamento, a fronte del
quale riceve a scadenze predefinite rate di rimborso del capitale con i rela-
tivi interessi.
Spesso, il mutuo è correlato a operazioni di impiego di capitale a medio
lungo termine e può essere garantito dai relativi asset.
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 643

~o rappresenta una delle tipiche forme di copertura degli investin1enti


delle imprese (soprattutto piccole e medie).
Le modalità di determinazione delle rate a servizio dell'operazione (piano
di rimborso)sono rias.sunte dalle quattro seguenti se1nplici regole:
• rata, = capitole,+interessiros.5iala rata periodale a servizio dell'operazione
è data dalla somma del capitale rimborsato e dall'interesse maturato nel
medesimo periodo;
• interessi1 = tasso X DR1_ 1, os.5ial'interesse maturato nel periodo t-esimo è
dato dal prodotto tra il tasso di interes.5e e il debito residuo al periodo
immediatamente precedente; se il tas.5ofos.5evariabile (e non fisso) sa-
rebbe opportuno in pro~imità di ogni periodo di capitalizzazione rifor-
mulare il piano di rimborso;
• DR1 = DR1_ 1 - capitakr o~ia il debito ancora da rimborsare al periodo
t-esimo è dato dalla differenza tra il debito residuo al periodo imme-
diatamente precedente e il capitale rimborsato nell'_ultimo periodo;
T
• VA(DRo) = L rata, , o~ia il valore attuale del debito all'istante iniziale
, .. 1 (1 + i) 1

è dato dalla somn1atoria di tutte le rate attualizzate al costo stesso dell'o-


peraz1one.
Fermo restando che tali regole andranno sempre rispettate, possono esse-
re differenti le modalità di costruzione del piano di rimborso. A puro titolo
di esempio. si potrehbe avere un piano con rate costanti nel ten1po oppure
un piano con quote di capitale rimborsate costanti. A seconda delle diffe-
renti tipologie di soluzione. le quote in conto capitale e quelle in conto in-
teressi si distribuiranno in modo differenziato.

Prestiti sindacati
Necessità significative di capitale per periodi prolungati di tempo possono
portare ad attivare contratti di finanziamento che vedono coinvo1ti più in-
termediari bancari. In particolare, l'impresa che ha necessità di tale finan-
ziamento avrà un rapporto preferenziale con una banca (che fungerà da
banca leader) la quale si occuperà di costruire l'operazione e di trovare le
altre banche da coinvolgere nell'operazione. Pertanto, la banca kader (o
lead manager) non fungerà solo da prestatore finanziario (peraltro potreb-
be anche non esporsi assolutamente) ma da prestatore di servizi, che la
porteranno a godere di alcune f eeper tali attività.
I prestiti sindacati vengono utilizzati per operazioni di importo molto rile-
vante (ad esempio per la realizzazione di opere infrastrutturali) e, attraverso
la tecnica della sindacazione del prestito, portano a un frazionamento del ri-
schio complessivo dell'operazione. L'impresa che ne fa uso non solo avrà co-
sti di natura finanziaria ma vedrà inoltre gravare su di sé altri oneri quali la
644 I I NTEG RAZ I ON I E APPROFONDIMENTI

managementfee che la banca kader percepirà per lo svolgimento della propria


attività, sia organizzativa sia patrimoniale (ad esempio garantendo che l'inte-
ro importo del prestito verrà comunque garantito all'impresa beneficiaria).

Leasing
Tra le operazioni che consentono alle imprese di colmare un proprio fab-
bisogno di natura strutturale vi sono anche i contratti di leasing, che non
rappresentano un vero e proprio debito.
Il leasing, infatti, è un contratto attraverso il quale un'impresa entra in
possesso di un bene (o di un complesso di beni) a fronte del quale paga un
canone periodale con l'opportunità di poter esercitare un'opzione di ac-
quisto alla scadenza del termine temporale contrattuale. Il canone è rap-
presentativo sia del costo dell'operazione sia di una frazione del capitale
complessivo messo a disposizione. Usualmente, il prezzo di riscatto della
proprietà è estremamente basso.
Il vantaggio del leasing sta nell'intera deducibilità fiscale del canone 5 e
nella possibilità di usufruire di un asset senza appesantire la struttura finan-
ziaria, ma senza appesantire peraltro neanche la struttura dell'attivo (cosa
che potrebbe non essere del tutto positiva).
Le forme del leasing sono le più varie e possono riguardare categorie di be-
ni di natura immobiliare (leasing immobiliare), oppure avere una prevalenza
della componente di finanziamento del bene (leasing finanziario), o ancora
prevedere una componente significativa di servizio (leasing operativo).

Finanziamenti della gestione corrente


La gestione corrente delle imprese può essere altresì finanziata attraverso
un temporaneo o un definitivo smobilizzo di alcune posizioni dell'attivo
corrente.
Il meccanismo è tale per cui l'impresa cede temporaneamente (prrrsol-
vendo) o definitivamente (prrrsoluto) oppure porta a garanzia poste tipiche
dell'attivo corrente quali crediti commerciali (sco'nti o factoring), scorte
(anticipazioni su merci), titoli mobiliari (riporti). Il passivo non viene alte-
rato (né i suoi principali indicatori) ma è all'interno dell'attivo che si com-
pongono i diversi effetti, generando in luogo di una diminuzione delle po-
ste di attivo corrente un aumento della liquidità. I valori in diminuzione e
in aumento saranno diversi e tale differenza sarà rappresentativa del costo
dell'operazione.
Tale costo sarà funzione di innumerevoli fattori tra i quali il profilo di ri-

5. Tale vantaggio andrà tuttavia confrontato con la soluzione dell'acquisto con debito in cui
la deducibilità fiscale della componente finanziaria è relativa solo alla quota interessi ma in
cui è possibile ammortizzare (e quindi trattare fiscalmente) il valore dell'assetacquisito.
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 645

schio dell'impresa affidata, delle poste ..cedute ... la durata del periodo resi-
duo prima della scadenza di tali poste. la loro negoziabilità ecc.

l.1.4 Gli strumenti di finanziamento mobiliare

Sempre più diffuso è il ricorso delle in1prese (anche medie) a strumenti di


finanziamento basati sull'emissione di titoli mobiliari, sia obbligazionari sia
azionari. Tale tendenza si è accompagnata a un abbattimento delle barrie-
re dimensionali all'ingresso delle in1prese sui mercati mobiliari regolamen-
tati, nell'ambito dei quali sempre più spesso sono state trovate le opportu-
ne risposte agli obiettivi dì copertura finanziaria.

I prestiti obbligazionari
Attraverso le emissioni obbligazionarie, le imprese (costitttite sotto forma di
società di capitali) riescono a raccogliere sul mercato risorse finanziarie a ti-
tolo di debito in modo strutturato per periodi anche prolungati di tempo.
L'emissione di obbligazioni rappresenta un n1omento importante per
l'impresa correlato a scelte significative sul fronte del portafoglio di attività
piuttosto che a scelte rilevanti sul fronte della ridefinizione della struttura
delle fonti di finanzia111ento.
Attraverso l'en1issione di obbligazioni l'impresa raccoglie determinati
importi dati dal prodotto tra il prezzo di emissione e il numero di titoli che
compongono l'intero prestito; si in1pegna inoltre a rimborsare tali titoli
(con un prezzo di rimborso espresso se,npre in base 100 e con un prezzo di
emissione rapportato a tale base), nonché eventualmente a corrispondere
a date scadenze cedole a titolo di rernunerazione periodale.
Il costo lordo per l'in1presa (e, pertanto, il rendimento lordo per l'inve-
stitore) è funzione di due fattori:
• il livello degli interessi passivi;
• la differenza tra il prezzo di rimborso e il prezzo di emissione.
Come è ovvio, i due aspetti sono interrelati tra di loro. Imprese che offrono
interessi passi\i molto limitati (minimizzando quindi il fabbisogno finan-
ziario per interessi lungo la durata dell'operazione) saranno in grado di
emettere titoli solo se a un prezzo di emissione contenuto (non massimiz-
zando pertanto la raccolta di risorse finanziarie per ogni titolo emesso). Vi-
ceversa, imprese che vogliono raccogliere per ogni titolo emesso la massi-
ma quantità possibile di fondi potranno farlo solo se garantiranno interessi
periodali molto elevati.
La misura che consentirà di conoscere realmente il costo complessivo
dell'operazione sa:i--àl'internal rate of return dell'operazione stessa così deter-
minato:
646 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

~ Interessit
Pobb = ,L.J VN
-------- +
t=l ( 1 + IRR)t ( 1 + IRR)t (1.1.4)

Tale valore rende equivalenti a valore attuale il prezzo (di emissione del
titolo obbligazionario) e tutti i flussi di cassa (sia per interessi sia come ca-
pital gain) a esso correlati. Quanto più è rilevante la differenza tra VN e Pobb
tanto più sarà alto il costo dell'operazione; ovviamente questa correlazione
positiva c'è anche con il valore degli interessi.
Le obbligazioni corporate, ossia quelle emesse dalle imprese (da distin-
guere rispetto a quelle governative emesse dalle pubbliche amministrazio-
ni), godono, in seguito alla riforma del diritto societario (entrata in vigore
all'inizio del 2004), di un ampliamento dei limiti quantitativi all'emissione.
Infatti, è possibile emettere obbligazioni per un importo pari al doppio del
patrimonio netto (comprensivo solo del capitale versato), quando in pre-
cedenza il limite era pari al patrimonio stesso.
Le obbligazioni vengono valutate in termini di spread rispetto ai tassi di
remunerazione dei titoli Jree-risk.Più è elevato il rischio di un titolo corpora-
te più lo spread sarà elevato. All'aumentare della frequenza di emissione di
titoli obbligazionari da parte delle imprese si è accompagnata una crescen-
te tendenza a richiedere il rating di tali titoli in modo che potessero avere
una migliore collocazione sul mercato. Il ratingesprime il rischio di credito
di tali titoli ed è direttamente correlato con lo spread.

Gli aumenti di capitale


Le emissioni azionarie rappresentano operazioni attraverso le quali le im-
prese costituite sotto forma di società per azioni raccolgono risorse finan-
ziarie a titolo di capitale di rischio.
Tali operazioni di aumento di capitale consentono di raccogliere l' obiet-
tivo di natura finanziaria solo se avvengono a pagamento (e non invece a ti-
tolo gratuito come alcune volte potrebbe capitare).
Tecnicamente, le imprese emettono un certo quantitativo di nuove azio-
ni a un determinato prezzo, d~terminando l'importo totale raccolto attra-
verso l'operazione. Il prezzo dell'emissione viene determinato in funzione
del valore intrinseco in quel momento dell'azienda che ne fa ricorso e do-
po aver verificato quali sono i valori che il mercato ha assegnato in opera-
zioni similari ad aziende com parabili.
Così-come nel caso delle obbligazioni, anche nel caso delle emissioni
azionarie il costo lordo della raccolta dipende da due fattori:
• il livello dei dividendi attesi;
• la differenza tra il prezzo a tendere del titolo e il prezzo di emissione.
Ma in questo caso, sia la prima variabile sia la seconda sono difficilmente
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 647

prevedibili, la qual cosa rende l'investimento azionai;o per i risparmiatori


un investimento estremamente rischioso.
Oltre alla tipologia universale delle azioni ordinarie che associano diritti
di voto e patrimoniali comn1isurati all'effettiva quota di partecipazione nel
capitale societario, in seguito alla riforma del diritto societario, è possibile
emettere titoli azionari con particolari diritti patrimoniali e/ o di voto.
Con riferimento ai diritti patrimoniali. è possibile emettere azioni poster-
gate nelle perdite in sede di liquidazione della società. Si possono prevede-
re priorità diverse nel rimborso del capitale e/ o nella distribuzione delle ri-
serve. La nuova disciplina consente remissione di azioni con diritti corre-
lati, ossia azioni contenenti diritti patrimoniali (per un valore non superio-
re al 10% del capitale nettò) correlati ai risultati dell'attività sociale in una
particolare area di business e non a tutta l'impresa.
Infine, è possibile utilizzare azioni riscattabili, cioè rimborsabili a una
scadenza predeterminata e di cui è definito a priori l'algoritmo per il cal-
colo del rimborso. Esse. ad esempio. soddisfano le necessità di soggetti (so-
ci) interessati ad atti,ità specifiche e li1nitate nel tempo.
Con riferimento ai diritti di ,·oto è possibile, sen1pre secondo l'attuale
normativa,, emettere azioni senza diritto di voto, con voto limitato o subor-
dinato. E introdotto il ..Yoto a scalare" che individua categorie di azionisti
per i quali si riduce il peso dei voti esercitabili nel tempo in relazione al-
l'intervenuta minore irnportanza della partecipazione di riferimento. La li-
mitazione al diritto di ,·oto non introduce necessariamente diritti patrimo-
niali (come avveniva ad esen1pio con le azioni di risparmio che avevano so-
lo diritti patri1noniali e non ne avevano di voto). Il riequilibrio viene inte-
ran1ente lasciato alrapprezzarnento del n1ercato.
Al fine di garantire un assetto azionario coerente con quello esistente
prima dell'operazione. ,iene sancito il diritto di opzione, ossia il diritto che
ogni azionista possa acquistare (alle condizioni proposte) tante nuove azio-
ni quante ne sono necessarie per non vedere modificarsi il suo peso all'in-
terno della compagine societaria.
In deroga a tale diritto, è possibile che le nuove azioni vengano offerte a
terze parti, come ad esempio accade in casi di quotazioni sui mercati di
borsa oppure quando si vuole garantire l'ingresso di nuovi azionisti all'in-
terno dell'assetto azionario (partner finanziari o strategici).
Diverse sono le tipologie di soggetti che possono intervenire in qualità
di sottoscrittori di capitale di rischio. La figura dell'imprenditore si accom-
pagna ad altre che possono affia11carlo oppure in alcuni casi sostituirlo.
Una classificazione importante è tra soggetti con prospettive puramente
finanziarie e sogge.~ti con prospettive di carattere strategico e gestionale.
I primi ha11no una prospettiva orientata al puro rendimento e, sovente,
con un orizzonte temporale di breve periodo. I secondi hanno un approc-
648 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

cio orientato comunque alla creazione di valore ma attraverso un apporto


diretto al governo strategico e alla gestione delle imprese. Sempre più ri-
correntemente sia con il primo tipo di logica, sia soprattutto con il secon-
do tipo, operano fondi di investimento mobiliare chiusi (fondi di private
equity- cfr. schema 4.3) che investono con una prospettiva temporale di me-
dio termine e che si muovono con l'obiettivo di guadagnare in conto capi-
tale massimizzando il valore del disinvestimento rispetto a quello di sotto-
scrizione (o di acquisizione) iniziale.
l.2 Le metodologiedi valutazioned'impresa

Franco Qµillico

La presente appendire si propone di offrire un quadro il più ampio possibile


delle metodologie di valutazione impiegate nella realtà. E, proprio allo sco-
po di avere la massima aderenza alla realtà nell'operazione di valutazione
dell'impresa in oggetto - denotata come impresa Target o semplicemente
Target - rimuove {cfr. srhema 4.2) due ipotesi semplificatrici adottate nella
trattazione generale (cfr. paragrafo 4. 3), ipotizzando che l'impresa Target
stessa sia:
• finanziata con un rnix di capitale azionario e di debito;
• soggetta a imposizione fiscale nel paese (o nei paesi) in cui opera.
Le metodologie di valutazione dell'impresa Target possono essere analizzate
e classificate secondo diversi criteri. I due qui adottati come principali, che es-
sendo indipendenti ("ortogonali") fra loro permettono di costruire una ma-
tric.e(cfr. tabella1.2.1) in cui "collocare" le metodologie stesse, sono:
• la natura delle proiezioni delle performanafuture dell'impresa Target:
esplicita: basata cioè sulla costruzione esplùita di quelli che si ritiene
saranno i futuri prospetti "finanziari" di bilancio (stato patrimoniale,
conto economico, schema di cashflow) oppure
implicita 1: basata cioè ad esempio sulle proiezioni che la borsa implici,-

1. Le metodologie con proiezioni ..implicite" si basano sui valori delle variabili finanziarie (o
operative) del Target al "tempo presente". All'interno di questa definizione si possono di-
stinguere tre sotto-casi:
• current: in questo caso il valore delle variabili è quello dell'ultimo esercizio disponibile;
• trailing. in questo caso il valore delle variabili è uguale alla somma degli ultimi quattro
trimestri disponibili (questo presuppone, owiamente, che l'impresa pubblichi dati tri-
mestrali);
650 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

TABELLA 1.2. l - Metodologiedi valutazioned'impresa (matrice di classificazione)

Proiezioni
Fonted'informazione
Esplicite Implicite

Schema di cash flow DividenddiscountModel(DDM) Multiplodelfreecashflow(FCF)


Discountedcashflow(DCF)
Adjustedpresentvalue(APV)
Equitymethod

Stato patrimoniale Multiplodel patrimonionetto (M/8)


Asset-basedvaluation
Opzionereale

Conto economico ~ Multiplodell'utilenetto (P/E)


Multiplodell'ebit
Multiplodell'ebitda
Multiplo delfatturato

Variabili operative Multiplodegliabbonati


Multiplodellapopolazione
Multiplodel KW
Multiplodeifondiin gestione

tamentefa, delle performancefuture di imprese comparabili,nel determi-


narne giornalmente il valore di mercato;
• la fonte d'informazione da cui sono tratte le variabili rilevanti: uno o più
dei prospetti "finanziari" oppure i risultati "operativi".
Si può poi introdurre anche un terzo criterio di classificazione, indipendente
dai due principali, che suddivide le metodologie in:
• metodologie che misurano direttamente il valore del capitale azionario
o V(O) (equity value), quale definito nel capitow 4, indicate in corsivonella
tabella12.1;
• metodologie che misurano invece il valore d'impresa o EV(0) 2 (enterprise
value), somma del valore del capitale azionario e del debito finanziario
netto (differenza fra debito finanziario e cassa), indicate in grassetto nel-
la tabella12.1 3 .

• forward: in questo caso il valore delle variabili è uguale alla previsione per l'esercizio in
corso (tale previsione deve naturalmente essere giudicata attendibile).
Come si vedrà in seguito, il "futuro" del Target verrà "inserito" nel modello tramite altri
parametri (quali i multipli nella valutazione relativa) che sono "esogeni" rispetto al Target.
2. Per brevità di notazione nel resto dell'appendice si indicheranno, rispettivamente, l' equity
value con V e l' enterprise value con EV, sottintendendo che si tratta di valori all'istante O.
3. Nella definizione di valore d'impresa, EV(O), si deve considerare il valore di mercato del
debito finanziario netto. Tuttavia, nella maggior parte dei casi questo coincide con il valo-
re di libro. Infatti:
• per la componente "cassa" il valore di mercato è per definizione identico a quello di libro;
• per la componente "debito finanziario" il valore di mercato differisce da quello di li-
I.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 651

l.2.1 Metodologiecon proiezioni"esplicite"

Le metodologie che fanno capo a questa 1nacrocategoria (di cui sono ri-
portate le denominazioni in lingua inglese perché di uso prevalente anche
nel nostro Paese)
• dividend discount model (DDf\.f);
• discounted cash flow (DCF);
• adjusted present value (.AP\ì;
• equity method;
• economie value added (E\~-\),
sono quelle che riflettono più diretta1nente le definizioni di valore econo-
mico date nel capitolo 4: in un contesto però di molto maggiore aderenza
alla realtà (per la rimozione delle ipotesi semplificatrici evidenziata all'ini-
zio ..di questa appendice).
E interessante rimarcare come le metodologie con proiezioni "esplicite",
a differenza di quelle con proiezioni "implicite", permettano - nel caso in
cui la valutazione venga effettuata in vista di una possibile acquisizione del-
l'impresa Target da parte di un :lrquiror- di "incorporare" nella valutazio-
ne sia le possibili sinergie tra Acquiror e Target (nella prospettiva df un
merger), sia i cosiddetti stand-aloni' improvements, ossia i miglioramenti delle
performancl' del Target sen1plice1nente ottenibili adottando 1nodalità di ge-
stione più efficaci e/ o efficienti.
Tutte le metodologie. relath·amente alle /1roiezioni,richiedono, infatti, la
costruzione es/1/irita dei prospetti "finanziari,. di bilancio futuri 4 dell 'impre-
sa Target.
Le prime quattro. relativamente alla fonte d'informazione, "attingono" le
variabili rilevanti dalla proiezione dello schema di cash flow ( cfr. tabella
/.2. J), mentre la quinta - quella dell'EVA - le "attinge" dalla proiezione sia
dello stato patrimoniale sia del conto economico.
La prima, relativamente alla "prospettiva" con cui le grandezze finanzia-
rie sono trattate, guarda alle generazioni nette di cassar.,(NCG), owero al rap-
porto "esclusivo" fra l'impresa e i suoi azionisti.
Le altre quattro metodologie, invece, guardano alla potenzialità in ter-
mini di generazione di cassa (free ca5hflow o net cashflow) che l'impresa nel
suo complesso mette a disposizione per tutti i finanziatori dell'impresa
( claimho/,der):da "ripartire" quindi tra gli azionisti e i finanziatori terzi (per

bro soltanto in casi molto particolari (impresa in difficoltà finanziarie, variazioni significa-
tive nei tassi di mercato in caso di debiti a tasso fisso e a medio/lungo termine).
4. Essendo owiamente impossibile proiettare le peiformancedell'impresa all'infinito (cfr. pa-
ragrafo4.2), le proiezioni vengono effettuate per un periodo "finito" - normalm~nte co~-
preso fra 5 e 1O anni - e si stima poi un valore terminale ( terminal value), del capitale azio-
nario piuttosto che dell'impresa.
5. Cfr. paragrafo4.2.
652 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

la copertura del "servizio" del debito finanziario, per il ripagamento cioè


dello stesso e la corresponsione dei relativi interessi).

La prima metodologia, conseguentemente, calcola il valore del capitale


azionario dell'impresa ( equity value).
Le metodologie che assumono la seconda "prospettiva", pur con alcune
distinzioni, si basano invece sul calcolo del valore dell'impresa ( enterprise
value) Target EVTarget , che può essere in linea generale espresso come
somma attualizzata dei free cash flow ( net cash flow) futuri prodotti dall'im-
presa stessa. Tali free cash flow, a seguito della rimozione delle ipotesi sem-
plificative introdotte nel capitolo 4, sono da interpretarsi in linea di principio
- a differenza di quanto detto per la (4.3) - come free cash flow to claimholder
(o capital cash flow) 6 , ovvero comprensivi sia della parte di spettanza degli
azionisti che dei finanziatori terzi:

FCF = ebitda- investimenti netti- Li(CCNO) -imposte (1.2.1)

dove
• ebitda - earnings before interest, taxes, depreciation & amortization - equivale
al MOL (margine operativo lordo);
• gli investimenti netti sono da intendersi come la somma algebrica de-
gli investimenti diretti materiali e immateriali dell'impresa, al netto de-
gli eventuali disinvestimenti, e delle acquisizioni o cessioni - di imprese,
rami di imprese e/ o partecipazioni - effettuate dalla stessa;
• il CCNO o capitale circolante netto operativo (operating working capita[) è
uguale (cfr. paragrafo 14. 2) alla somma algebrica di: crediti commerciali,
rimanenze, debiti commerciali, trattamento di fine rapporto (TFR);
• le imposte sono quelle effettivamente pagate nel corso dell'esercizio
(cash taxes), non coincidenti necessariamente a priori con quelle - ba-
sate su una logica di "competenza" - riportate nel conto economico.
II free cash flow to claimholder può essere anche visto come somma di due
componenti (che torneranno utili nel seguito per distinguere le differenti
metodologie) :
• l'una, free cash flow to firm, che riflette il free cash flow che sarebbe di
pertinenza dei claimholder- in tale caso coinc_identi con gli shareholder
- se l'impresa fosse priva di indebitamento ( unlevered), e soggetta
quindi al massimo dell'imposizione fiscale;
• l'altra che tiene conto del cash flow creato dal risparmio derivante dal-
la deducibilità fiscale degli interessi pagati sul debito ( tax shelter).

6. Questo termine, come altri utilizzati nel seguito dell'Appendice per denotare il free cash
flow, è tratto dalla pratica professionale.
l.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 653

Il valore dell'impresa può essere espresso corne:

EVTarget= f ~
(1.2.2)
t-1(1 + \-VAACt)t

ove il costo del capitale WACC, weighted average cosi o/ capita/,,tiene conto
nella sua formulazione generale della struttura finanziaria effettiva - mix di
capitale di rischio e debito finanziario netto - dell'impresa Target e del di-
verso "costo" dei due.
È indispensabile sottoÌineare che, quando si utilizza (come è d'uso nella
pratica professionale) per la determinazione del WACC la formula (1.1.1)
e si incorpora quindi l'effetto della deducibilità fiscale degli interessi sul
debito nella determinazione del ...costo" del capitale di debito, il free cash
flow to cla.imholderdeve essere conseguentemente "adattato" - come si vedrà
nel seguito nelle diYerse metodologie - per evitare il doubl.ecounting, il ri-
schio cioè di considerare sia al numeratore che al denominatore della
(1.2.2)
...
l'effetto del tax shRlt~ .
E opportuno sottolineare inoltre che l'utilizzo di un diverso WACC(t)
per ciascun periodo può essere necessario. in contrapposizione a quanto
visto nel rapitoln 4. quando siano previste variazioni sostanziali nel tempo
della struttura finanziaria del Target.

Di11idend
discount model (DDM)

Il dividend disrount mod11/(DDrvf) - in linea con la definizione di valore data


nel paragrafo 4.2- calcola il valore del capitale azionario yTarget dell'impre-
sa Target corne son11na attualizzata dei dividendi futuri corrisposti dall'im-
presa al complesso dei detentori del capitale azionario stesso: a prescinde-
re dalle modifiche che si potranno verificare nel tempo nella compagine
azionaria (con l'uscita di alcuni azionisti, l'ingresso di altri e in generale
con il cambiamento delle quote detenute in conseguenza degli scambi). Il
DDM si pone in altre parole nell'ottica di chi ipotizza di detenere le azioni
dell'impresa Target per un periodo infinito, e non in quella dello speculato-
re che voglia trarre vantaggio da operazioni anche frequenti di compraven-
dita delle azioni.

7. Più precisamente ii tax shelterandrebbe allo stesso tempo a "gonfiare" il numeratore, se fos-
se il free cash flow to claimhokler che lo incorpora a essere utilizzato nella formula, e a "sgon-
fiare" il denominatore, ove il WACC (cfr. formula 1.1.2) è tanto più ridotto - purché l'inde-
bitamento non raggiunga .livelli "troppo elevati" - quanto maggiore è l'uso della leva e
quindi il tax shelter.
654 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

La formula che nell'ambito di questo modello esprime il valore è analo-


ga alla (4.1) o alla (4.2), pur di ipotizzare che non siano previsti nel futuro
aumenti di capitale a pagamento o restituzioni di capitale oppure che i di-
videndi siano da intendersi al netto dei primi e inclusivi delle seconde,
equivalenti cioè alle generazioni nette di cassa NCG.
Poiché (come già evidenziato) non è concretamente possibile "calcola-
re" i dividendi o le NCG su un arco di tempo infinito, è d'uso nella pratica
corrente ricorrere a proiezioni più "semplici", basate sul tasso di crescita.
Le ipotesi più popolari a tale riguardo sono due:
• modello a crescita costante o Gordon Growth Model: si assume che i dividen-
di o le NCG crescano a un tasso costante e sostenibile all'infinito in un
contesto di stabilità (steady state), analogamente a quanto si è fatto nel-
la definizione della linea del valore ( cfr. paragrafo 4. 4);
• modello a due fasi: si assume che esistano due fasi distinte nella vita fu-
tura dell'impresa, una inizia/,e, in cui il tasso di crescita non è ancora
"stabilizzato", e una successiva (di stabilità), in cui il tasso di crescita è vi-
ceversa stabile e costante (il caso più frequente - tipico di una impresa
che operi in un comparto nelle fasi iniziali del suo ciclo di vita - è
quello in cui il tasso di crescita nella fase iniziale è maggiore di quello
della fase di stabilità; tuttavia il modello si presta anche al caso di im-
prese in una fase di turnaround, per le quali il tasso di crescita nella fa-
se iniziale è inferiore a quello della fase di stabilità).

Discountedcashflow (DCF)

La metodologia del discounted cash flow (DCF) calcola il valore dell'impresa


Target EVTarget come somma attualizzata dei free cash flow ( net cash flow) fu-
turi prodotti dall'impresa stessa.
Rispetto alla formula generale 1.2.2, tuttavia, nell'applicazione corrente della
metodologia DCF, è prevalsa l'abitudine di utilizzare come FCF(t) i free cash
flow to firm, owero quelli che l'impresa Target avrebbe se fosse priva di inde-
bitamento ( un/,evered), e di tenere conto dell'indebitamento stesso (owero del
suo effetto fiscale, tax shelter) solo in fase di determinazione del costo del ca-
pitale WACC, che viene inoltre per semplicità assunto costante nel tempo 8 .
In particolare il free cash flow to firm può essere anche espresso come:

free cash flow to firm = ebitda- investimenti netti - Li (CCNO)


- imposte unlevered =
= ebit (1 - t) + ammortamenti - investimenti netti - Li (CCNO) (1.2.3)

8. Il considerare un diverso WACC(t) per ciascun periodo renderebbe il modello DCF estre-
mamente complesso e di difficile utilizzazione.
l.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 655
ove
• ebit- earnings be/ore interest & tax,s - equivale al MON (n1argine opera-
tivo netto);
• t corrisponde all'aliquota fiscale media pagata dall'impresa;
• le imposte unlRvered 9 sono quelle "teoriche" di competenza in assenza
di indebitamento.
Poiché (come già evidenziato) non è concretamente possibile "calcolare" i
free cash flow su un arco di tempo "infinito", gli stessi sono valutati su un
orizzonte temporale "finito" (da 5 a 10 anni) e si stima poi un valore termi-
nale (terminal value) dell'impresa Target: assumendo ad esempio, come più
frequentemente si fa, che il free cashflow cresca all'infinito a partire dall'ul-
timo anno delle proiezioni a un tasso costante (growi,ng perpetuity) o, in mo-
do più conservativo e prudenziale, che rimanga esso stesso costante all'infi-
nito (constant perpetuity). -

Adjusted present 110/ue(APV)

La metodologia adjustl'd presnzt valu11(APV), sviluppata da Stewart Myers


della Chicago Universi()·, rappresenta una variante a quella DCF.
A differenza di quest'ultima, essa considera separatamente entrambe le
componenti del /rei' rash flow lo daimholder- il free cash fimo to firm (cfr. for-
mula 1.2.3) e il rashflowderivante dal tax shelter1°- che vengono attualizzate
usando, rispettivamente, il costo del capitale di rischio (ke) per l'impresa
unlRvered e il costo del debito (kd).
L'APV viene in generale considerato un metodo di valutazione più accu-
rato della DCF, in quanto pern1ctte di:
• quantificare separatamente il valore di specifici miglioramenti nelle
performanrl' del Target, quali: un incremento nel margine di ebitda,
una diminuzione del capitale circolante netto operativo (CCNO)
ecc.;
• trattare i diversi tipi di debito finanziario (obbligazionario, bancario
ecc.) con tassi di interesse differenti;
• ipotizzare una struttura finanziaria, e coerentemente un WACC, varia-
bile all'interno dell'orizzonte temporale delle proiezioni.

9. Queste imposte (anche dette adjusted taxes) sono maggiori di quelle pagate realmente dal-
l'impresa, poiché l'imponibile fiscale, nel caso unl.euered,coincide con l' e/Ji,t.
IO. Nell'applicare questa metodologia, si assume implicitamente che il Target abbia sempre
un emt sufficiente a utilizzare i tax shelters.
656 I I NTEG RAZ I ON I E APPROFONDIMENTI

Equity method

La metodologia equity method può essere vista anch'essa come una variante
della DCF, avente come obiettivo la stima "diretta" - anziché "indiretta"
passando per EvTarget- di yTarget.
Essa si basa sul calcolo del free cash flow to equity, ovvero della parte del free
cash flow to claimholderdestinata agli azionisti una volta remunerato il "servi-
zio" del debito (restituzione del capitale e pagamento degli interessi):

free cash flow to equity = utile netto + ammortamenti


- investimenti netti - d (CCNO) + d (debito finanziario) (1.2.4)

dove il d (debito finanziario) è la somma algebrica dei nuovi prestiti otte-


nuti dalrimpresa e la quota di ripagamento dei debiti, vecchi e nuovi, in
corso di esercizio.
Essa utilizza come tasso di attualizzazione dei free cash flow to equity il co-
sto del capitale di rischio ke coerente con il livello effettivo di indebitamen-
to ?ell'impresa (cfr. figura I.1.2).
E importante rimarcare il fatto che nel free cash flow to equity è conside-
rato (anche se implicitamente, partendo dall'utile netto per il calcolo
del flusso) l'effetto di scudo fiscale ( tax shelter) generato dall'indebita-
mento.

Analogamente all'APV, anche l' equity method permette di tener conto di


una struttura finanziaria variabile all'interno dell'orizzonte temporale del-
le proiezioni e di trattare con tassi di interesse differenti i diversi tipi di de-
bito finanziario.

Economievalue added (EVA)

La metodologia dell' economie value added (EVA), sviluppata dalla società di


consulenza finanziaria statunitense Stern & Stewart ( cfr. sottoparagrafo
22.4.2), si basa su un concetto analogo a quello di extraprofitto (cfr. sottopara-
grafo 4.3.2), del profitto cioè in eccesso rispetto al "costo" del capitale inve-
stito I.
Per ciascun periodo t l'EVAt viene definito come:

(1.2.5)

dove:
• nopat - net operating profit after taxes - è pari all' ebit al netto delle impo-
ste, calcolato nell'ipotesi di impresa unlRvered;
I.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 657

• il capitale investito I è pari alla so1n1na delle immobilizzazioni materiali


e immateriali nette e del capitale circolante netto 11;
• il WACC tiene conto della struttura finanziaria reale dell'impresa, e
quindi può variare nel tempo a seguito di modifiche del mix di capita-
le di rischio e debito finanziario utilizzati dall'impresa.
Analogamente alla metodologia DCF, anche nell'EVA si tiene conto dell'ef-
fetto dell'indebitamento nella determinazione del WACC 12.
Il valore dell'impresa EVTargetviene calcolato poi come somma (cfr. for-
mula 4.4) di:
• il capitale investito iniziale (10 );
• il valore attuale degli EVA1 futuri (incluso una stima del terminal va-
lue13alla fine del periodo delle proiezioni), scontati al WACC.

l.2.2 Metodologiecon proiezioni"implicite"

Le metodologie che appartengono a questa n1acrocategoria


• la valutazione relati\-a;
• l' asset-based valuation;
• l'opzione reale,
sono quelle più utilizzate dagli operatori finanziari, che valutano il loro in-
vestimento in un "ottica di breve-medio periodo (al contrario degli acqui-
renti "strategici .. che hanno non11ahnente un'ottica molto più proiettata
nel tempo).
Le prime due verranno esposte qui di seguito, n1entre per la trattazione
dell'opzione reniR- a causa della sua complessità- si rimanda alla letteratura
specialistica.

La valutazione relativa

Con il tern1ine '\alutazione relativa" si comprende una serie di metodologie,


quali:
• il multiplo dell'utile netto (PIE ratio);
• il multiplo dell' ebit,

11. Il modello di EVA, così come è stato disegnato da Stern & Stewart, prevede decine di "ag-
giustamenti" ai dati contabili per arrivare sia al nopat che al capitale investito.
12. L'utilizzo al minuendo del nopat valutato in condizioni unlevered, in luogo dell'effettivo
?
"gonfiato" dal tax shelter, ha motivazioni analoghe a quelle viste nel~a nota ?ell_a presente
appendice per l'uso al numeratore del free cashJlowtofirm (valutato m cond1z1om unleverea)
in luogo di quello to claimho/,der. . .
13. II terminal value viene solitamente calcolato con la metodologia della growzngperpetuzty,ap-
plicata in questo caso all'EVA dell'ultimo anno delle proiezioni finanziarie.
658 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

• il multiplo dell' ebitda;


• il multiplo del free cashflow,
• il multiplo del patrimonio netto;
• il multiplo del fatturato;
• i multipli di variabili operative;
tutte basate sulla stessa "procedura": stimare il valore dell'impresa Target sulla
base del valore di mercato di imprese comparabili.
La procedura richiede ovviamente, per non cadere in problemi di "circola-
rità", che il valore di mercato delle imprese comparabili sia noto (per esempio
scegliendo imprese quotate in borsa e assumendo che il loro valore sia eguale
alla loro capitalizzazione).
La procedura di valutazione relativa può essere "decomposta" in quat-
tro fasi:
• si sceglie innanzitutto un gruppo di imprese comparabili al Target, operanti
nello stesso settore industriale;
• si "standardizza" il valore di mercato delle irnprese comparabili, espri-
mendolo come multiplo di una variabile comune (utile netto, ebitda, ebit,
cashflow, patrimonio netto o fatturato);
• si calcola il multiplo medio per l'intero gruppo di imprese compara-
bili;
• si può aggiustare (in modo soggettivo) il multiplo medio, per tener conto
delle differenze tra il Target e le aziende comparabili: essendo consape-
voli però che tale "aggiustamento" introduce un evidente grado di "di-
screzionalità" nella valutazione.
La valutazione relativa - comunemente chiamata anche "valutazione per mul-
tipli" per il fatto che essa stima il valore dell'impresa Target come multiplo di
una specifica variabile - deve essere sottoposta a quattro "test" 14:
• test "definizional,e",volto a verificare la consistenza tra la variabile comune e
il valore che si vuole misurare: l'utile netto è ad esempio consistente ( co-
me si vedrà nel seguito) con il valore del capitale azionario V, mentre l' e-
bitda lo è con il valore d'impresa EV;
• test "descrittivo", volto ad analizzare le caratteristiche della distribuzione dei
multipli (media, deviazione standard ecc.): raramente ad esempio la sem-
plice "media" è un indicatore affidabile, mentre la "mediana" risulta
spesso più significativa;
• test "analitico", volto a identificare i fattori fondamentali (fundamenta'l)
che determinano il multiplo;
• test "applicativo", volto a verificare la correttezza della scelta del grup-
po delle imprese comparabili: nella consapevolezza del trade-off esi-

14. Cfr. Damodaran (2002).


l.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 659

sten te fra una definizione "an1pia" di settore industriale, che incre-


menta il numero di aziende ritenute comparabili a danno dell'omo-
geneità, e una definizione "'stretta", che viceversa privilegia l'omoge-
neità ma rischia di ridurre drasticamente il numero.
I primi tre multipli (multiplo dell'utile netto, dell' ebit e dell' ebitda) partono
da variabili del conto economico e la sequenza corrisponde a una "salita"
nel conto economico stesso. Questo moYimento "a salire" comporta, da
una parte, una maggiore stabilità e una minore possibilità di manipolazione
(tramite escamotagesdi tipo contabile). e dall'altra però una diminuzione
nel livello di comparabilitàtra imprese. L'utile netto è infatti l'unica variabi-
le che presenta una comparabilità ...trasversale" completa, essendo la misu-
ra del ritorno economico per gli azionisti. Mentre, per ovviare ad esempio
alla minore comparabilità che caratterizza sia l' ebit sia l' ebitda, può risultare
opportuno agire sul multiplo con aggiustamenti verso 1'-alto o verso il basso.
Per ciascuno dei multipli verranno elencate le diverse sensibilità, in modo
incrementale, oltre che i relati\i pregi. '
Il quarto multiplo (multiplo del ft-eerashflow) si basa sullo schema ~i cash
flow. Il quinto (multiplo del patrimonio netto) attinge allo stato patrimo-
niale. Il sesto ( multiplo del fatturato). che deriva come i primi tre dal con-
to economico, è però quello strutturaln1ente più "lontano" dall'utile netto:
per tale ragione poco significati,·o. ma tuttora utilizzato.
I multipli di variabili operative infine - che si basano su variabili non-mo-
netarie, che esulano da quelle strettarnente finanziarie riportate nei bilanci
delle in1prese - sono per loro natura "specifici" di settori industriali.
L'utilizzo della 11nlutn:.imu' rPlntivn è aun1entato (come detto) negli ultimi
anni, soprattutto per la n1aggior rapidità di esecuzione rispetto a metodo-
logie più cornplesse (quali quelle viste nel paragrafo l.1.1).
È opportuno però sottolineare i limiti di validità della valutazione relativa,
dovuti tra gli altri ai seguenti moth·i:
• la selezione delle imprese romparabiliè essenzialmente soggettiva;
• le imprese comparabilipossono avere un profilo di rischio e di crescita
differenti dal Target;
• la valutazione relativa, non misurando il valore estrinseco,è soggetta ai
fenomeni di sovravalutaz.ioneche possono riguardare un intero settore
industriale: quale ad esempio la cosiddetta internet bubbk della fine de-
gli anni '90.

Il multiplo dell'utile netto (P/Eratio)


Il multiplo P/E, già introdotto nel capitolo 4, è uno dei più antichi ed è stato
molto utilizzato dagli operatori finanziari per un lungo periodo, grazie alla
sua semplicità di applicazione.
660 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

La formula di partenza definisce P (che è sinonimo di V) come multiplo di


E (cioè dell'utile netto). Come spiegato nel capitol,o4, il P/Eè funzione di al-
cune variabili fondamentali 15:
• il tasso di crescita degli utili: imprese con tassi di crescita più elevati han-
no P/E ratio più elevati;
• il livello di rischio dell'impresa: un rischio elevato tende a deprimere il
P/Eratio.
Lo schema 4.1 analizza in particolare le ragioni alla base della dispersione ele-
vata dei valori di P/E rilevata sul mercato.

Il multiplo dell' ebit


Il multiplo dell' ebit (cfr. paragrafo I.2.1) - earnings beforeinterest & taxes- è di
utilizzo molto frequente.
La formula di partenza definisce EV come multiplo dell' ebitper tutte le im-
prese comparabili. Il valore EVTarget viene calcolato moltiplicando l' ebit del
Target per il multiplo medio del gruppo di imprese comparabili.
Il multiplo (EVI ebit) è funzione, oltre che del tasso di crescita degli utili e
del livello di rischio dell'impresa (come il P/E), anche delle seguenti variabili
fondamentali:
• il livello di fabbisogno di capitale dell'impresa, definito come il capitale
che deve essere reinvestito per generare la crescita attesa: imprese che
hanno fabbisogni più limitati tendono ad avere multipli più elevati;
• il costo del capitale WACC: imprese con costo del capitale più elevato
hanno un multiplo più basso;
• l'aliquota fiscale effettiva: imprese con aliquote più basse ottengono
multipli più elevati.
Il multiplo dell' ebitpuò essere calcolato anche per imprese che presentano un
conto economico in perdita, purché l' ebitsia positivo.

Il multiplo dell' ebitda


Il multiplo dell' ebitda (cfr. paragrafo 1.2.1) - earnings beforeinterest, taxes, depre-
ciation & amortization-è utilizzato sempre più frequentemente, in particolare
da parte di acquirenti di tipo finanziario (private equity).
La formula di partenza definisce EV come multiplo dell' ebitda per tutte
le imprese comparabili. Il valore EVTarget viene calcolato moltiplicando l' e-
bitda del Target per il multiplo medio del gruppo di imprese comparabili.
Il multiplo EVI ebitda è funzione, oltre che di tutte le variabili di cui è fun-
zione il multiplo di ebit, anche della porzione dell' ebitda che viene dagli am-

15. Il capitolo 4 contiene una trattazione più esauriente dell'argomento.


l.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 661

mortamenti: imprese che deri\'ano una porzione n1aggiore presentano un


multiplo inferiore.
La "popolarità" del multiplo di ebiula è dovuta a diversi fattori, tra i quali:
• esso può essere calcolato (analogamente al multiplo dell' ebit) anche
per imprese che presentano un conto economico in perdita 16: il che
non è invece possibile per il P/E;
• esso permette di comparare imprese che presentano differenti livelli
di indebitamento (/ìnancial /,everage);
• nel caso di operazioni di /,everagedbuyout (LBO), l' ebitda viene conside-
rato una misura del free cashflow che può essere utilizzato, perlomeno
nel breve periodo, per il "servizio" del debito (restituzione del capita-
le e pagamento degli interessi) .
L'utilizzo dell' ebitda come proxJ del free cash flow dell'impresa pone però
una serie di problematiche, che devono essere tenute in conto, per l'uso
del multiplo: -
• l' ebitda ignora le variazioni nel capitale circolante e quindi tende a so-
vrastimare il free cashflow nei periodi di crescita dell'iinpresa;
• l' ebitda non considera il livello di re-investimento necessario ogni an-
no, e ciò è particolarmente rilevante per imprese caratterizzate da ce-
spiti con \-ita media breve o in settori industriali soggetti a rapidi cam-
biamenti tecnologici;
• l' ebitda non tiene conto delle imposte. In caso poi si assun1a che l' ebitda
sia interamente utilizzato per ripagare il debito, occorre aggiungere che
I' ebitda non tiene conto neppure dei dividendi 17, che assorbono cassa.

Il multiplo del free cashflow (FCF)


La formula di partenza definisce EV come multiplo del FCF per tutte le im-
prese comparabili. 11valore EV1arget viene calcolato moltiplicando il FCF del
Target per il multiplo medio del gruppo di imprese comparabili.
II multiplo EV/FCFè funzione di alcune variabili fondamentali:
• il costo del capitale WACC (che tiene conto anche del rischio): imprese
con costo del capitale più elevato hanno un multiplo più ba-,so;
• il tasso di crescita dell'impresa: imprese con tassi di crescita più elevati
hanno multipli più elevati.
II multiplo del free cashfluw ricalca la metodologia DCF con la differenza che il
futuro dell'impresa viene qui "catturato" solamente attraverso il multiplo, sen-
za una proiezione esplicita dello schema di cashflow del Target.

16. Le imprese che P,~esentano un ebitda negativo sono molto poche, e sono decisamente im-
prese in grave difficoltà.
17. I dividendi sono considerati un impiego discrezionale di cassa. Tuttavia, la maggior parte
delle imprese quotate deve tener conto delle aspettative dei mercati che spesso "impongo-
no" un dividendo costante o in crescita.
662 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

Il multiplo del patrimonio netto (Market/Book)


Il multiplo M/B, già introdotto nel capitow 4, è particolarmente utilizzato dalla
stampa finanziaria nel presentare le quotazioni di borsa.
La formula di partenza definisce V come multiplo del valore di libro del pa-
trimonio netto B (sinonimo di V") per tutte le imprese comparabili. Il valore
yTargetviene calcolato moltiplicando il patrimonio netto del Target per il mul-
tiplo medio del gruppo di imprese comparabili.
Uno dei vantaggi è che il multiplo del patrimonio netto può essere utilizza-
to anche per imprese con utili negativi.
La validità del M/B nella valutazione di una singola impresa rimane, però,
assai dubbia. In particolare la metodologia non appare adatta a valutare im-
prese che non abbiano nello stato patrimoniale cespiti materiali (immobili,
impianti ecc.) consistenti: come evidenziato nello schema 4.1.

Il multiplo del fatturato


La formula di partenza definisce EV come multiplo del fatturato per tutte le
imprese comparabili. Il valore EVTargetvienecalcolato moltiplicando il fattura-
to del Target per il multiplo medio del gruppo di imprese comparabili.
È probabilmente il meno significativo dei multipli presentati, in quanto il
fatturato è ben lungi dal rappresentare una proxydella profittabilità o del cash
flour. come è facile verificare dal fatto che esistono imprese di grandi dimen-
sioni che realizzano perdite di bilancio e, in alcuni casi, persino free cashflow
negativi.
Nonostante la sua scarsa significatività, esso è spesso utilizzato come parame-
tro di valutazione: si dice ad esempio che una società di consulenza può valere
da una a due volte il suo fatturato. In realtà questo approccio sottintende un
business model. L'utile ante-imposte di una società di consulenza 18 è spesso sti-
mabile pari a 1/3 del fatturato e l'utile netto 19 conseguentemente a circa 1/6:
valutare queste società una o due volte il loro fatturato equivale quindi a valu-
tarle 6-12 volte il loro utile netto 20 (modello del P/E), con un range di variabi-
lità che si spiega con le differenti prospettive di crescita di ciascuna società.

I multipli di variabili operative


I multipli di variabili operative hanno in generale una valenza specifica setto-
riale più elevata rispetto a quelli visti in precedenza. Ne verranno brevemente
descritti quattro:

18. Per "società di consulenza" qui si intende una società di consulenza strategica, o comun-
que di alto valore aggiunto. .
19. In questo caso si è assunta un'aliquota fiscale del 50%.
20. Ciò è vero se la società di consulenza non ha debito finanziario a bilancio, che è il caso più
frequente.
I.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 663

• il multiplo degli abbonati (subscribers);


• il multiplo della popolazione ( entnprise value per pop);
• il multiplo del KW (utili!)·);
• il multiplo dei fondi in gestione (funds undn· management).
Il muuiplo degliabbonati mette in correlazione il valore di impresa EV con il nu-
mero di abbonati, per esempio a una pubblicazione o a un sito Internet. L'as-
sunto alla base di questo semplice modello è che ciascun abbonato genera
ogni anno per l'impresa un utile e un caslzflow. Contrariamente ai multipli vi-
sti in precedenza, esso non è adimn1sionak~ ma espresso nell'unità di valuta
dell'impresa($,€ ecc.).
Il muuipw dellapopolazione,S\iluppato negli US per valutare le prime licenze
di telefonia mobile in assenza di una storia del settore, mette in correlazione il
valore di impresa EV con la popolazione nella zona coperta dalla licenza. An-
ch'esso, come il precedente, non è adimensionale, ma espresso nell'unità di va-
luta dell'impresa($,€ ecc.).
Il muuipw del Kll-: specifico per il settore della produzione di energia elettry-
ca, mette in correlazione il valore d'impresa EV con la capacità produttiva del-
l'impresa stessa, intesa come potenza massima erogata. Anch'esso non.è adi-
mensionale,ma espresso nell'unità di valuta dell'impresa ($,€ecc.).
Il multipw dn fondi in gestioni', specifico per il settore della gestione del ri-
sparmio (private banking). mette in correlazione il valore d'impresa EV con
i fondi in gestione: suddi,;si a loro volta in fondi con n1andato di gestione
discrezionale (considerati più pregiati) e fondi gestiti insieme al cliente
(non discrezionali). Esso ,iene espresso in percentuale e varia solitamente
fra il 2 e il 3% per i fondi gestiti e fra lo 0,5% e l' I% per i fondi non gestiti.

L'asset-based110/uation

L' asset-based va/uation o valutazione degli attivi, definita anche metodopatri-


monia/,e,parte dall'attivo di stato patrimoniale e lo sottopone a una serie di
rettifiche con l'obiettivo di giungere a una stima di yTargct.
La metodologia si concretizza in rettifiche dei valori degli asset materiali
e immateriali, per "catturare" il loro valore di mercatdl-1, e nell'eventuale in-

21. Luigi Guatri nel suo "storico" libro sulla valutazione delle aziende (L. Guatri, La valutazio-
ne delle aziende, Giuffré, Milano, 1987) identifica tre diversi approcci alla rettifica del valore
degli attivi:
• metodo patrimoniale semplice.in esso si rettifica il valore degli attivi materiali; oltre (ma
non necessariamente) a taluni attivi immateriali;
• metodopatrimoniale complessodi primo gradu. in questo caso la rettifica compr~nde anche
gli attivi immateriali non contabilizzati ma dotati di un valore di mercato (hcenze com-
merciali ecc.);
• metodopatrimoniale complessodi secondogradu. in questo caso la rettifica comprende anche
664 j I NTEG RAZ I ON I E APPROFONDIMENTI

serimento di ulteriori asset-quali brevetti, brand, know-howecc. solitamente


non contabilizzati (cfr. schema 4.1): con variazioni che, a parità dei diritti
vantati da terzi, si ripercuotono in maniera diretta sul valore di libro del ca-
pitale azionario.
Questo approccio può essere anche utilizzato in un'ottica completamente
diversa, quella della liquidazione dell'impresa:ipotesi che si discosta nettamente
da quella sulla quale si basano tutte le metodologie presentate in questa ap-
pendice, che presumono che l'impresa Target continui a operare nel futuro
(going concern).
Norrnalmente, nel caso di liquidazione, gli assetperdono valore rispetto al
libro, per la difficoltà di alienarli. Ma vi possono essere casi - più rari - dove si
verifica il contrario: tipicamente quando qualcuno di essi è "penalizzato" dal
fatto di essere "ingabbiato" all'interno dell'impresa.

l.2.3 L'analisidi sensitività (sensitivity analysis)

Indipendentemente dalla metodologia adottata, sia EvTarget sia yTarget sono


stime che si basano su una serie di ipotesi e di assunti che sono alla base del
modello di valutazione prescelto. In particolare, nelle metodologie con proie-
zioni "esplicite", questi assunti riguardano le performancefuture del Target.
Poiché tali assunti possono rivelarsi non esatti alla prova dei fatti, è oppor-
tuno cautelarsi con un'analisi di sensitività. In questa analisi si generano degli
scenari in cui le performancedel Target divergono da quelle dello scenario di
base ( base case). Normalmente si genera almeno uno scenario pessimistico
( worstcase)e, in taluni casi, uno scenario ottimistico ( bestcase).
Un altro approccio, che è sempre consigliabile, è quello di applicare più di
una metodologia alla valutazione del Target. Così facendo sia EVTarget sia
yTarget diventeranno dei range di valori. Se questi range sono ragionevolmente
concentrati intorno a un valore, la valutazione acquista una maggiore sostan-
za e credibilità.

beni immateriali che non hanno un valore di mercato (la specializzazione professiona-
, le del personale ecc.)
E opportuno notare come i sistemi patrimoniali comple'ssi, e in particolare quelli di secondo
grado, rappresentino un tentativo di stimare anche l'avviamento (goodwill) dell'impresa.
11.1 Elementidi basedei sistemicontabili

Gli elementi di base di un sistema contabile sono:


• il piano dei conti;
• il sistema delle registrazioni continuative;
• le operazioni di rettifica e chiusura.

Il piano dei conti

Il sistema contabile di una azienda i.· costituito da un insieme di archivi


contabili (mastro). il cui elenco è definito f,iano dei, conti; ogni archivio del
piano dei conti, definito ronto, corrisponde a una voce dello SP o del CE (o
a una disaggregazione di tale \'oce 1) cd è rappresentabile come un dia-
gran1ma a T (figura //.1. l). in cui sono identificabili due sezioni:
• la sezione di sinistra, definita [Jare-,
• la sezione di destra, definita Avere.

Il sistemadelle registrazionicontinuative

All'inizio di un esercizio contabile, in corrispondenza a ogni voce dello SP


viene aperto il relativo conto. L'apertura del conto avviene inserendo i va-
lori dello SP iniziale:

1. Per quanto riguarda le immobilizzazioni materiali, ad esempio, si può decidere di avere


nel piano dei conti un unico conto, in cui annotare i dati relativi a tutte le immobilizzazio-
ni materiali, o avere conti separati per diverse tipologie di immobilizzazioni (impianti, at-
trezzature, terreni, edifici}.
666 i I NTEG RAZ I ON I E APPROFONDIMENTI

FIGURA 11.1.1 - Il diagramma a T

Nome del conto

Dare Avere

• in dare, nei conti relativi a voci di attivo ( conti di attivo);


• in avere, nei conti relativi alle voci di passivo ( conti di passivo).
Le operazioni di gestione successive vengono dapprima riportate su un
rendiconto chiamato libro gi,ornal,e,quindi registrate all'interno dei relativi
diagrammi a T, con le seguenti convenzioni:
• conti di attivo: gli incrementi vengono registrati in "dare" e i decre-
menti in "avere"; così, ad esempio, la vendita di beni a credito per
1.000 € darà luogo a una registrazione in "dare" nel conto crediti di
1.000 €, mentre il successivo pagamento da parte dei clienti darà luo-
go a una registrazione in "avere" pari sempre a 1.000 €;
• conti di passivo: gli incrementi vengono registrati in "avere" e i decre-
menti in "dare"; così, ad esempio, nel momento in cui si contrae un
debito, il valore relativo viene registrato in "avere", nel momento in
cui lo si ripaga in "dare";
• conti di ricavo: incrementi di ricavo vengono registrati in avere, varia-
zioni negative (rettifiche di ricavo) in dare;
• conti di costo: incrementi di costo vengono registrati in dare, variazio-
ni negative (rettifiche di costo) in avere.
Queste convenzioni consentono di introdurre una regola valida per qual-
siasi operazione di gestione: ogni operazione deve essere registrata in uno
o più conti in "dare" e in uno o più conti in "avere", in modo che la somma
dei valori registrati in "dare" coincida con la somma dei valori registrati in
"avere" (partita doppia). Questa regola consente anche di chiarire meglio
la differenza tra due diversi tipi di operazioni di gestione, quelle di "scam-
bio" e di "variazione dei diritti di terzi", da un lato, e quelle di "sbilancia-
mento" (cfr. capitolo 12), dall'altro. Le prime sono operazioni che compor-
tano registrazioni nei soli conti di SP; queste operazioni non hanno quindi
nessun effetto sull'utile. Le operazioni di "sbilanciamento" sono operazio-
ni di gestione che hanno effetto anche sui conti di CE e, quindi, contribui-
scono alla formazione di utile o perdita di esercizio.

Le operazionidi rettificae chiusura

Le operazioni continuative sono basate in generale su documenti che deri-


vano immediatamente da specifici eventi aziendali (la vendita di un pro-
ll.1 Elementi di base dei sistemi contabili I 667

dotto, il ripagamento di un debito); vi sono però alcune operazioni, come


l'ammortamento di un impianto, per le quali tali documenti non sono di
fatto disponibili. Queste operazioni vengono quindi "concentrate" nel tem-
po, al momento in cui l'impresa "chiude" i conti per costruire il proprio bi-
lancio, dando luogo a operazioni di rettifica di fine esercizio.
Le principali operazioni di rettifica sono relative a:
• la consistenza dei magazzini: teoricamente, si potrebbe modificare gior-
nalmente la consistenza delle "rimanenze", ogni volta che si preleva
qualcosa a magazzino. In pratica, si preferisce evidenziare la consi-
stenza finale dei magazzini attraverso una operazione di ~ettifica, nel-
la quale il valore finale dei magazzini viene registrato, in dare, nel con-
to "rimanenze" di SP (conto di attivo), in quanto beni (attività) dispo-
nibili per il prossimo esercizio, e, in avere, nel conto "scorte finali" di
CE (conto di ricavo), in quanto rettifica di costi no_n di con1petenza;
• gli ammortamenti: nel caso degli impianti, ad esempio, l'ammortamen-
to viene registrato in avere nel conto immobilizzazioni materiali (con-
to di attivo), poiché corrisponde a una riduzione del valore delle im-
mobilizzazioni, e in dare nel conto di CE ammortamenti (conto di co-
sto), poiché corrisponde a un aumento di costo;
• l' impairment delle voci di stato patrimoniale: ad esen1pio se l' impair-
ment di un edificio mostra una riduzione del suo valore, la rettifica vie-
ne registrata come diminuzione del valore dell'immobile in attivo di
stato patrimoniale (in avere) e compensata da una diminuzione di pa-
ri valore della riserva di rivalutazione di patrimonio netto in passivo
(in dare).
Infine, tutti i conti vengono "chiusi", ovvero si determina il saldo tra le due
sezioni del conto. Tale saldo rappresenta il valore da inserire all'interno
del bilancio di esercizio. Il numero delle voci contenute nel bilancio, quin-
di, non può essere superiore al numero dei "conti" presenti nel piano dei
conti 2•
La sequenza di "chiusura" prevede:
1. chiusura dei conti reddituali;
2. determinazione utile/perdita d'esercizio;
3. chiusura conti patrimoniali, compreso il conto utile/perdita d'esercì-
.
ZIO.

2. II numero delle voci di bilancio può invece essere inferiore a quello dei conti, nell'ipote~i
che l'azienda voglia sommare, in fase di predisposizione del bilancio, i valori relativi a piu
conti, invece di presentar~ tali informazioni separatamente.
11.2Cenni ai problemi di consolidamento

Il bilancio consolidato 1 vuole rappresentare la situazione patrimoniale e


reddituale di un insieme di società, tra le quali esistono partecipazioni
azionarie, come se esse costituissero un'unica entità.

Obiettividel bilancioconsolidato

Il bilancio consolidato ha due finalità principali:


• migliorare le informazioni sulla effetti va consistenza patrimoniale di
un gruppo di società, esplicitando le voci che sono sinteticamente
riassunte nella posta "partecipazioni";
• migliorare le informazioni sulla consistenza reddituale di un gruppo
di società, eliminando gli utili fittizi derivanti da operazioni intra-
gruppo.
Si consideri, ad esempio, il caso di un'impresa Alfa çhe controlla al 100%
l'impresa Beta, nelle due situazioni alternative:
1. lo stato patrimoniale di Beta è costituito da una "cassa" pari a 1 miliar-
do, all'attivo, e da un "capitale sociale" della stessa entità;
2. lo stato patrimoniale di Beta è costituito da "immobilizzazioni mate-
riali" pari a 1 miliardo, all'attivo, e da un "capitale sociale" della stessa
entità.
Nello stato patrimoniale della società Alfa, ambedue le situazioni danno
luogo a una voce partecipazioni pari a 1 miliardo, quindi, apparentemen-

1. La redazione del bilancio consolidato è regolata dai principi IAS 27 e IFRS 3.


I l.2 Cenni ai problemi di consolidamento I 669

te, non rappresentano un ele1nento differenziale. In realtà, nel primo caso,


la società Alfa dispone, indirettan1ente, di una riserva di liquidità che nel
secondo caso risulta assente. Di\iene quindi interessante riuscire a com-
prendere quali risorse "reali., giustifichino il valore di una partecipazione.
Anche per quanto riguarda l'aspetto reddituale, può essere utile fare rife-
rimento a un esempio. In figura 11.2.1 sono riportate due distinte situazioni.
Nel primo caso (figura 11.2.la), si considera un'impresa Alfa, articolata in un
livello corparatee in due dhisioni operative, Beta e Gamma, la prima delle
quali produce componenti che vengono poi assemblati dalla seconda. Nel
secondo caso (figura 11.2.1b), l'impresa Alfa svolge la sola funzione di houling
di controllo, al 100%, delle due società autonome Beta e Gamma.
Si ipotizzi che un lotto di componenti, il cui costo è pari a 80, venga ce-
duto da Beta a Gamma, a un prezzo di I 00. L'operazione, se Beta e Gamma
costituiscono due dhisioni di Alfa, non genera ovvia1!1ente alcun utile o
perdita, fino al momento in cui i componenti, assemblati da Gamma, ven-
gono ceduti all'esterno.
Nel caso invece che Alfa, Beta e Gamma costituiscano due società auto-
nome, l'operazione genera un utile di 20, pari alla differenza tra il fattura-
to ( 100) e il costo del venduto (80), per la società Beta, mentre la società
Gamma non presenta alcun utile o perdita. La somma degli utili delle so-
cietà controllate, pari a 20, rappresenta l'utile della holding. Tuttavia, in ter-
mini di risultati economici, non ,; è alcuna differenza sostanziale tra le due
operazioni; l'utile generato nel secondo caso non dipende perciò dal risul-
tato della gestione. ma solo da convenzioni di tipo contabile e fiscale, quin-
di deve essere eliminato in fase di analisi delle prestazioni dell'impresa.

FIGURA I1.2.lA - L'impresa integrata


Alfa

Beta Gamma

FIGURA 11.2.1e - La holding


Alfa

100% 100%

Beta . Gamma
670 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

Il concettodi gruppo

Per ovviare ai problemi esposti in precedenza, occorre presentare il bilan-


cio di un gruppo di imprese trattandole come se fossero un 'unica società.
Da questo punto di vista, il primo problema è definire il concetto (configu-
razione) di gruppo.
È possibile ricorrere a due differenti logiche: la teoria del possesso e la teo-
ria della capogruppo.
Secondo la teoria del possesso, nel bilancio consolidato devono apparire
tutte e sole le attività e le passività di competenza degli azionisti della so-
cietà capogruppo. Si consideri il caso di figura 11.2.2, in cui un'impresa Alfa
possiede il 60% del pacchetto azionario di un'impresa Beta. La teor!a del
possesso suddivide in pratica l'impresa Beta in due imprese fittizie, Beta' e
Beta". Beta' costituisce la parte di Beta posseduta dagli azionisti di Alfa e
viene interamente consolidata, mentre Beta" costituisce la parte di Beta
posseduta da azionisti terzi e non viene toccata dal consolidamento.
In termini concettuali, la teoria del possesso evidenzia limiti precisi dal
punto di vista della completezza dell'informazione; si supponga che nel ca-
so precedente l'impresa Beta abbia immobilizzazioni materiali pari a I mi-
liardo: avrebbe poco senso dire che il gruppo controllato da Alfa possiede,
attraverso Beta, un impianto che vale 600 milioni.
La teoria della capogruppo afferma invece che nel bilancio consolidato
debbano apparire tutte le attività e passività relative a imprese le cui deci-
sioni siano sostanzialmente influenzate dagli azionisti della capogruppo.
Nell'esempio precedente, in particolare, la teoria della capogruppo sugge-
rirebbe di considerare l'intero valore dell'immobilizzazione (1 miliardo)
come parte del gruppo. Ovviamente, si dovrà però evidenziare come una
quota delle risorse riportate nel bilancio consolidato non corrisponda a di-
ritti degli azionisti della società controllante, ma a diritti di azionisti terzi.
La teoria della capogruppo risulta concettualmente più adeguata, purché vi
sia un effettivo controllo delle decisioni delle società partecipate; in caso
contrario, si tenderebbe a sovrastimare la consistenza del gruppo.

F I G u RA 11.2.2 - La scomposizione della controllata secondo la teoria


del possesso
Alfa Alfa

60% 100%

Beta Beta' Beta"


I l.2 Cenni ai problemi di consolidamento I 671

Le principalifasi della predisposizione


del bilancioconsolidato

Nella procedura di consolidainento si possono indi\;duare alcune rnacro-


fasi, così riassumibili.
I. Armonizzazione de/1,econvenzioni contabili. Occorre, innanzi tutto, verifi-
care che i bilanci delle diverse società che costituiscono il gruppo sia-
no basati sulle medesime convenzioni contabili, in termini di data di
chiusura, metodi adottati per la valorizzazione delle scorte 2 , modalità
di ammortamento delle immobilizzazioni.
2. Eliminazione <klleparteripa:.ioni. Una volta definiti i singoli documenti
che devono essere consolidati, il consolidamento avviene sostituendo
alla voce "partecipazioni", nel bilancio della capogruppo, l'insieme
delle attività e delle passi\;tà di ogni società partecipata, la cui diffe-
renza rende ragione del valore delle partecipazioni._
3. Eliminazione dei flussi interni. Infine, devono essere eliminati, sia dal
conto economico che dallo stato patrimoniale, tutti i flussi interni
(cessione di beni. debiti e crediti ecc.) tra le diverse società che costi-
tuiscono il gruppo.

I metodidi consolidamento

L'eliminazione delle partecipazioni può essere realizzata secondo tre me-


todi principali:
• il metodo del ron.rnlidamrnto intl'gralr,
• il m-l'todod11lronmlida mrnto prr>f1or:.ionale,
• il mJ1todod-1'/patrimonio 1111lt0.
Il metodo dl'l consolidamn1to intl'grn!Rfa riferimento alla teoriadella capogruppo.
Si assume, cioè, che le risorse del gruppo siano costituite da tutte le attività
delle società controllate dalla capogruppo; nel passivo, quindi, è necessa-
rio evidenziare i diritti \'antati sulle risorse del gruppo da azionisti esterni
rispetto alla capogruppo (diritti di azionisti terzi). Operativamente, nel me-
todo del consolidamento integrale, il bilancio consolidato viene realizzato sosti-
tuendo la voce ..partecipazioni" con il fair value delle attività e passività
identificabili (o patrimonio netto a "valori correnti") acquisite al momento
dell'acquisto della partecipata 3 . In presenza di un valore della partecipa-
zione coincidente con i diritti della controllante, l'operazione mantiene
perfettamente bilanciato lo stato patrimoniale. Nel caso invece la parteci-
pazione sia sottovalutata o sopravvalutata, la sua sostituzione con le effetti-

2. In pratica, tutti i bilanci devono adottare la stessa metodologia di valorizzazione delle scor-
te: costo medio o Fifo.
3. Ovviamente, tra le passività non vengono inclusi i diritti della società controllante.
672 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

ve attività e passività della controllata sbilancia lo stato patrimoniale conso-


lidato, dando origine a una differenza da consolidamento.
Questa "differenza contabile" può essere positiva o negativa e il suo tratta-
mento contabile è disciplinato dai principi IAS/IFRS 4 nel modo seguente 5 :
La differenza positiva può essere iscritta:
• nell'attivo come avviamento (goodwill); la voce non deve essere am-
mortizzata ma soggetta a una valutazione annuale per eventuali perdi-
te di valore ( impairment test);
• nel conto economico.
La differenza negativa può essere iscritta:
• in un fondo per rischi e oneri;
• in conto economico.
Il metodo del consolidamento proporzionale fa invece riferimento alla teoria -del
possesso; in particolare, lo stato patrimoniale della società controllata viene
trasformato in uno stato patrimoniale fittizio, corrispondente alla parte
della controllata posseduta dalla capogruppo, moltiplicando ciascuna voce
per la percentuale di possesso esercitata dalla capogruppo nella controlla-
ta. Lo stato patrimoniale così ottenuto non presenta più alcun riferimento
agli azionisti terzi, i cui diritti non appaiono quindi nello stato patrimonia-
le consolidato. La partecipazione viene poi sostituita dalle attività e dalle
passività dello stato patrimoniale fittizio così definito, bilanciando le even-
tuali sottovalutazioni o sopravvalutazioni come indicato precedentemente
per il metodo del consolidamento integrale.
Il metodo del consolidamento proporzionale presenta qualche problema in
termini di eliminazione dei flussi interni al gruppo; si consideri ad esem-
pio il caso di una società A che vanta un credito commerciale di 100 milio-
ni con la società B, controllata al 70%. Nello stato patrimoniale consolida-
to, le due voci appaiono come un credito commerciale di A nei confronti
di B, pari a I 00 milioni, e un debito commerciale di B verso A, pari a 70 mi-
lioni6; non è quindi possibile elidere le due voci senza sbilanciare lo stato
patrimoniale consolidato. La soluzione normalmente adottata consiste nel
ritenere "flusso interno al gruppo" solo quello di competenza degli azioni-

4. IFRS 3.
5. I preesistenti principi contabili italiani prevedevano un trattamento contabile della diffe-
renza da consolidamento diverso (art. 33 del D.Lgs. 127 /1991). L'eventuale residuo:
1. se negativo, poteva essere trattato in due modi e cioè poteva:
• essere iscritto in una voce del patrimonio netto denominata "riserva di consolida-
mento"·
'
• oppure, se dovuto a previsione di risultati economici sfavorevoli, essere iscritto in
una voce denominata "fondo di consolidamento per rischi e oneri futuri";
2. se positivo, poteva essere iscritto in due modi, e cioè:
• in una voce dell'attivo denominata "differenza da consolidamento" (in tal caso veni-
va ammortizzato come "avviamento");
• in detrazione della "riserva di consolidamento", fino a concorrenza della medesima.
6. Cioè pari al 70% del debito commerciale effettivo.
I l.2 Cenni ai problemi di consolidamento I 673

sti della capogruppo; in altri termini, nel caso precedente, si eliminerà il


debito commerciale di B verso A attraverso una riduzione dei crediti com-
merciali di A pari a 70 milioni. I crediti con1merciali restanti, pari a 30 mi-
lioni, vengono considerati come un flusso tra A e la parte della società B di
competenza di azionisti terzi, quindi come un flusso esterno al gruppo.
Infine, il metodo del patrimonio netto si limita a rivalutare (o a svalutare) il
valore della partecipazione per tener conto degli utili (o delle perdite) ma-
turati nel corso dell'esercizio.
In particolare, il valore delrimpresa partecipata viene fatto coincidere
con il suo valore di libro, determinabile (in assenza di aumenti di capitale)
come:

valore di libro(t) = valore di libro(t- 1) + utile(t) -dividendi(t)

dove utilet rappresenta l'utile relativo all'esercizio per il quale si predispo-


ne il bilancio consolidato e dhidendit l'ammontare dei dividendi erogati,
nell'anno t, relati\i a utili di esercizi precedenti.
Il valore della partecipazione ,iene quindi determinato moltiplicando il
valore di libro della partecipata per la percentuale del suo capitale posse-
duta dalla controllante; le eventuali rivalutazioni o svalutazioni vengono bi-
lanciate attraverso una riserva di consolidamento.
II metodo costituisce solo una risposta parziale al problen1a del consoli-
damento, poiché è in grado di arrivare a una stima più corretta dell'utile,
ma non di fornire un quadro chiaro delle attività e passività del gruppo. Es-
so può essere utilizzato quindi solo per il consolidamento di partecipazioni
di minoranza.
La scelta del metodo di consolidamento per le partecipazioni di un
gruppo è legata alla relazione sostanziale tra capogruppo e partecipata e in
particolare fa riferimento ai concetti di controlloe coUegamento.
Gli IAS/IFRS 7 stabiliscono che il controUosi presume quando la capogrup-
po possiede, direttamente o indirettamente attraverso società controllate,
più della metà dei diritti di voto(> 50%) a meno che, in circostanze eccezio-
nali, si possa chiaramente dimostrare che tale proprietà non costituisce con-
trollo. Definiscono inoltre che il controllo esiste anche quando la capo-
gruppo detiene la metà o meno(< 50%) dei diritti di voto quando vi è:
• il potere su più di metà dei diritti di voto in virtù di un accordo con al-
tri investitori;
• il potere di governare le politiche finanziarie e operative dell'impresa
in base alla legge, allo statuto o a un accordo contrattuale;
• il potere di nominare o revocare la maggioranza dei componenti del
consiglio di amministrazione o dell'equivalente organo amministrativo;

7. IAS 27.
674 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

• il potere di indirizzare la maggioranza dei voti nelle riunioni del con-


siglio di amministrazione o dell'equivalente organo di governo 8 .
Nel valutare il possesso del controllo, si dovrà tenere conto anche dei dirit-
ti di voto potenziali, che potrebbero modificare, in più o in meno, la per-
centuale dei diritti di voto posseduti. Non è rilevante, al fine della defini-
zione di società controllata, il fatto che il controllo non venga in pratica
esercitato, essendo sufficiente che il controllo sia esercitabile in virtù àelle
circostanze sopra elencate 9 .

I principi internazionali indicano invece come imprese coUegatequelle in cui


l'impresa capogruppo può esercitare un'influenza significativa. L'influenza
significativa implica il potere di partecipare alle strategie decisionali finanzia-
rie e operative della società partecipata, ma non il controllo completo su
quelle politiche. Il collegamento presuppone la proprietà diretta o indiretta
dei diritti di voto nella partecipata pari o superiore al 20% a eccezione del ca-
so in cui risulta evidente che non si detiene influenza dominante 10.
La tabella II.2.1 indica il trattamento contabile previsto dagli IAS/IFRS
sulla base della tipologia di partecipazione, e del relativo criterio sostanzia-
le per definire questo legame.

T A s EL LA 11.2. 1 - I metodi di consolidamentoper le diversetipologie di partecipa-


.
z1one

Partecipazione Criteriosostanziale Trattamentocontabile

Né controllata
Né collegata No influenza significativa A costo o IAS 39
Collegata Influenza significativa Metodo del patrimonio netto
Controllata Controllo Consolidamento integrale
Joint venture Controllo congiunto Proporzionale o Metodo del patrimonio netto

8. I preesistenti principi contabili italiani (in particolare l'articolo 2359 e.e.) consideravano
come società controllate: 1. le società in cui un'altra società dispone della maggioranza
dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2. le società in cui un'altra società dispone di
voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3. le so-
cietà che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli
contrattuali con essa.
9. I diritti di voto potenziali sono quelli che derivano da warrant, opzioni call, strumenti di
debito o di patrimonio netto che, in caso di esercizio o conversione, hanno il potenziale di
dare diritti di voto all'impresa o di ridurre quelli di un 'altra parte. Nel valutare i diritti di
voto potenziali si devono considerare i diritti correntemente esercitabili o convertibili e
quelli posseduti da altre parti. Non si considerano, invece, quelli che saranno esercitabili
o convertibili solo dopo una data futura o dopo il verificarsi di un determinato evento.
10. I principi italiani preesistenti definivano come imprese collegate le società sulle qual~
un'altra società, la capogruppo, esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume
quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero
un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.
111.1 La relazione analitica tra NCF e NCC

La relazione tra NCF e NCG è facilmente dimostrabile in termini analitici,


nell'ipotesi di impresa "semplificata", senza cassa e senza indebitamento.
A tal fine, in figura III. I ,iene sintetizzato lo stato patrimoniale dell'impre-
sa. Nell'attivo, si tro\'ano:
• capitale circolante netto operativo, definito come differenza tra attività
correnti e passività di carattere operativo (CCNO(t));
• immobilizzazioni nette (IN (t)), definite come il totale delle immobilizza-
zioni (materiali e immateriali) dell'impresa, al netto del relativo fondo
ammortamenti 1.
Nel passivo, invece, per l'ipotesi di a~senza dei debiti, appare solo il patrimo-
nio netto dell'in1presa (V(t) ).

FI G u RA 111.1- Lo stato patrimoniale semplificato


Attivo Passivo

ln(t) V(t)

CCNO(t)

Si confronti il passivo dello stato patrimoniale relativo a due successivi eserci-


zi. Si ha:

1. Per un'analisi più puntuale delle singole voci di un bilancio, coerentemente con la IV e la VI-
Direttiva comunitaria, cfr. capitoli12 e 13.
676 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

I(t) = V(t) -V(t-1) = incremento netto del valore di libro dell'impresa

I (t) può derivare da:


• utili, relativi all'anno t, reinvestiti (aumentando quindi il valore del passi-
vo) e non distribuiti sotto forma di dividendi;
• aumenti di capitale a pagamento.

Si ha quindi:

l(t) = U (t) - D(t) + AC(t) = U (t) - NCG(t)

dove:
U(t) = utile d'esercizio dell'anno t
AC(t) = aumenti di capitale dell'anno t

La variazione del passivo deve, per definizione di bilancio, coincidere con


la variazione dell'attivo. Quest'ultima sarà in generale esprimibile come:

l(t) = LiCCNO(t) + LiIN(t) = LiCCNO(t) + INV(t) -A(t)

dove:
LiCCNO (t) = variazione del capitale circolante;
LiIN(t) = variazione delle immobilizzazioni;
INV(t) = nuovi investimenti in immobilizzazioni;
A( t) = ammortamenti relativi alle immobilizzazioni.

Uguagliando la variazione dell'attivo e quella del passivo si ha:

I(t) = LiCCNO(t) + INV(t) -A(t) = U (t) - NCG(t)

Quindi:

- LiCCNO(t) - INV(t) + A(t) + U (t) = NCG(t)

Si ricordi infine che il cashflow è definito come:

CF(t) = U (t) + A(t)

Si ha, allora:

NCF(t) = NCG(t)
111.2 L'attualizzazione

I criteri di decisione DCF si basano sull'attualizzazione dei NCF. La necessità


dell'operazione di "sconto", o di attualizzazione, deriva dalla definizione di in-
vestimen ti come "decisioni di lungo periodo". I flussi finanziari indotti dagli
investimenti sono quindi localizzati in istanti temporali differenti.
Ciò origina due problemi intrinseci alla valutazione di investimento, con
cui tutti i metodi di analisi devono scontrarsi:
• il problema del tnnpa. le conseguenze dell'investimento si verificano in
momenti diversi, quindi non sono direttamentesommabili.Il prolema può
essere meglio cornpreso facendo direttamente riferimento alle conse-
gttenze finanziarie dell'investimento. Disporre di 100.000.000 oggi non
è equivalente ad a\'ere la stessa somma tra due anni: i I 00.000.000 dispo-
nibili oggi possono i~fatti essere reinvestiti dando luogo, tra due anni, a
una cifra superiore. E necessario, quindi, riuscire a individuare dei coeffi-
cientidi equivalenza,che consentano di comparare grandezze espresse in
unità di misura differenti (di fatto, gli euro relativi a istanti diversi sono
"unità di misura differenti");
• il problema del rischiu.come detto, le scelte di investimento hanno delle
conseguenze di medio e lungo termine; poiché non è pensabile una co-
noscenza "deterministica" di quanto accadrà nel futuro, in particolare
per decisioni complesse come sono normalmente i progetti di investi-
mento, le scelte di oggi risentono inevitabilmente di un certo livello di
aleatorietà.
L'attualizzazione è il meccanismo attraverso il quale si rendono comparabili
flussi di denaro localizzati in istanti di tempo differenti e con diversi livelli di
rischio. L'attualizzazione consente in pratica di tradurre una certa somma di
678 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI'
denaro in una somma "equivalente" in un altro periodo di tempo; in questo
senso, il processo di attualizzazione è del tutto analogo al passaggio da un'u-
nità di misura a un'altra per una qualsiasi grandezza fisica. Per illustrarne il
funzionamento, conviene partire da una situazione semplificata, procedendo
per generalizzazioni successive.

Un mondo senza rischio e inflazione

Si consideri dapprima il caso di un "mondo" in cui non vi sia inflazione e dove


esistano solo investimenti "certi". Come detto in precedenza, un investimento
a rigore non è mai del tutto certo; ne esistono tuttavia alcuni (ad esempio, gli
investimenti in titoli di stato a reddito fisso) che possono con buona approssi-
mazione essere considerati tali. Sia i il tasso di rendimento percentuale di
questi investimenti (tasso riskfree) relativo a un dato periodo di tempo (mese,
trimestre o anno).
Se un generico decisore, in questo "mondo", dispone di una somma X(O),
potrà investirla a un tasso pari a i. Di conseguenza, dopo I periodo, disporrà
di una cifra superiore, composta dal capitale, X(O), e dall'interesse, X(O) • i.
Quindi, per il decisore è indifferente disporre al periodo O di X(O), o al perio-
do 1, di una cifra X(l) pari a:

X(l) = X(O) · (1 + i) (III.I)

Se il decisore mantiene il proprio denaro nell'investimento per un altro


periodo, riceverà, oltre al capitale X(l), il relativo interesse (composto).Quin-
di:

X(2) = X(l) · (1 + i) = X(O) . (1 + i) 2 (111.2)

Iterando il procedimento si ha che, in generale, 1 il valore futuro, in un pe-


riodo N generico, di una somma X(O) disponibile attualmente, è dato da:

X(N) = X(O) · (1 + i)N (111.3)

Operando in modo speculare, si ricava il valore attuale, o presente (PV), di


una somma Y che sarà disponibile tra M anni:

--~ -- - ---------- --- -- - - - ---- --------- ~~

1. Si noti che il ragionamento vale in questi termini solo se il tasso di attualizzazione rimane
inalterato negli anni. In caso contrario, la relazione di equivalenza diviene, in generale:
X(N) = X(O) · (1 + i 1) · (l+i 2) · ... · (1 + iN)
dove i(t) è il tasso di attualizzazione relativo all'anno t.
111.2 L'attualizzazione I 679

y
PV=--- (111.4)
(1 + i)M

L'effetto del rischio

In presenza cli rischio, le (III.1-111.4)devono es.5ere modificate. In effetti, mu-


ta il significato della relazione cli indifferenza. Al decisore non si chiede più
"quale somma saresti disposto a scambiare, tra M anni, con una somma X di-
sponibile oggi", bensì "quale valore atteso saresti disposto a scan.1biare, tra M
anni, con una somma X-disponibile oggi, quindi certa". La risposta a questa
domanda dipende O\'viamente da:
• l'aleatorietà associata alla somma disponibile nel futuro;
• la propensione al rischio del decisore.
La propensione al rischio, in particolare, può essere espressa attraverso curve di
indifferenza (figura m.2.1), che esprimono combinazioni rischio/rendimento
atteso che il decisore considera equivalenti. I tre profili tipici sono quelli di:
• decisore avverso al risrhiu. in questo caso, il decisore accetterà investimen-
ti rischiosi solo in presenza di un rendimento atteso superiore; in termi-
ni analitici, ciò si traduce nel richiedere un interesse maggiore di quello
degli investi men ti pri"i di rischio (premio di rischio);
• decisore iruliffn1?1teal mchiu. in questo caso, il rischio non costituisce un
elemento rilevante per il decisore; di conseguenza, egli richiederà anche
in condizioni rischiose un rendimento pari al tasso risk-free.È questo l'u-
nico caso in cui le (111.3-111.4) rimangono valide;

F I e u RA 111.2.l - Le curve di indifferenza

Rischio Indifferente
al rischio

Awerso al rischio

Propenso
al rischio

o
Valore atteso
680 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI

• decisore propensoal rischio;è un decisore che preferisce disporre di som-


me aleatorie piuttosto che di somme certe (di fatto, dando un forte valo-
re ai risultati superiori alla media e penalizzando in modo limitato i risul-
tati inferiori alla media): è il modello del giocatore d'azzardo.

In ambito economico, il comportamento utilizzato normalmente per rappre-


sentare i decisori è quello avversoal rischio.Ciò porta a trasformare le (111.3)e
(111.4)nelle relazioni seguenti:

X(N) = X(O) · (1 +i+ d)N (111.3')

y
PV= (111.4')
(1 +i+d)M

dove d rappresenta il "premio di rischio", cioè l'incremento nel rendimento


richiesto per compensare il rischio associato al futuro.

L'effetto dell'inflazione

Inflazione significa perdita del potere di acquisto del denaro. In presenza di


inflazione, quindi, i valori futuri devono essere incrementati in misura tale da
compensare la relativa perdita di potere d'acquisto. Per tener conto di questo
effetto, è possibile operare secondo due diverse linee:

• deflazionare i dati: in questo senso, i valori futuri vengono espressi in ter-


mini reali, ovvero in unità monetarie relative al periodo presente; se si
adotta questa soluzione, il tasso di attualizzazione è, per coerenza, un tas-
so reale,quindi corrispondente a un mondo senza inflazione, secondo
quanto riportato nelle relazioni (111.3') e (111.4');
• operare in moneta corrente.in questo approccio, le somme che devono es-
sere attualizzate vengono espresse in termini nominali; di conseguenza,
ciascuna cifra sarà espressa in denaro con differente potere d'acquisto,
quindi, di fatto, in una diversa unità di misura. In questa seconda opzio-
ne, si dovrà quindi utilizzare un tasso di attualizzazione nominale, in pri-
ma approssimazione,2 tale tasso viene espresso come:

i+ d +f

2. Per essere più precisi, il tasso di inflazione dovrebbe essere "composto" con il tasso risk-freee
con il premio di rischio. Per approfondire questo problema, non particolarmente critico nel-
l'analisi degli investimenti reali, cfr., ad esempio, Brealey, Myers e Marcus (1995).
111.2 L'attualizzazione I 681

dove:

i =~ risk-frer..
d = premio di rischio dell'investimento (eventuale);
f =tassodi inflazione.

Ambedue gli approcci sono concettualmente corretti; operativamente,


nella valutazione degli investimenti reali è in generale preferibile adottare la
prima soluzione.
Fanno eccezione i casi in cui le diverse componenti economico-finanziarie
dell'investimento (costi e ricavi). siano caratterizzate da una dinamica dei I

prezzi estremamente variegata. In queste situazioni, può essere utile ragiona-


re in termini nominali, in modo da esplicitare l'effettiva evoluzione dei diffe-
renti prezzi 3 .

3. Di fatto, ragionare in termini "reali" equivale a ritenere che tutte le ~o~ponen~ 1dei cash~~
seguano una stes.sadinamica dei prezzi, in cui l'incremento annuo comc1de con 1 tasso me io
di inflazione.
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