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TO BE
,
Sl~TEM
DI~O~ERNO,
VALUTAZIO~E
E ,~NROLLO
QUINTA EDIZIONE
GIOVANNI AZZONE
UMBERTO BERTELÈ
L'impresa
Sistemi di governo, valutazione
e controllo
Quinta edizione
con il contributo di
Michela Arnaboldi e Davide Chiaroni
appendici di
Marco Giorgina e Franco Quillico
~zzoli Er A s
Michela Arnaboldiè associato presso il Politecnico di Milano, dove è anche docente di Econo-
mia ed organizzazione aziendale.
Davide Chiaroniè ricercatore presso il Politecnico di Milano, dove è anche docente di Econo-
mia ed organizzazione aziendale.
Marco Giorgino è ordinario di Analisi dei sistemi finanziari al Politecnico di Milano, dove
coordina anche le iniziative nell'area bancario-finanziaria del MI P.
ISBN 978-88-17-05187-3
Introduzione XIII
Parte I
L'impresa: gli obiettivi, le modalità competitive e i sistemi di governance 1
I
2. L'impresa e il contesto 65
2.1 L'impresa come componente del sistema economico-finanziario 66
2.1.1 Il "perimetro" dell'impresa: il portafoglio di business 70
2.1.2 Il "perimetro" dell'impresa: il grado di integrazione verticale 74
2.1.3 L'assetto tecnologico-organizzativo 78
2.1.4 L'immagine 82
2.1.5 L'assetto giuridico-proprietario-finanziario 87
VI I L'IMPRESA: SISTEMI DI GOVERNO, VALUTAZIONE E CONTROLLO
5. La competizione 223
5.1 Le chiavi di lettura 223
5.2 Il business model dell'impresa 234
5.3 Il portafoglio di output 24 7
5.4 L'integrazione verticale e il ricorso ali' outsourcing 250
5.5 Le attività 253
5.6 I differenziali competitivi 258
5.7 I margini 264
5.8 I principali fattori alla base dei differenziali competitivi
e dei margini 270
5.8.1 La scala o dimensione 271
5.8.2 Il grado di utilizzo delle risorse o grado di saturazione 276
5.8.3 L'esperienza accumulata o apprendimento 278
5.8.4 Le risorse "critiche" materiali e immateriali 283
Indice J VII
Parte II
L'organizzazione di impresa 317
7. L'attività 325
7.1 L'attività come unità di analisi organizzativa 325
7.2 L'individuazione delle attività di un'impresa 328
7.3 L'analisi delle attività 331
7.3.1 L'utilità dell'analisi per attività 331
7.3.2 Il portafoglio di attività 332
7.3.3 Le prestazioni critiche delle attività 333
7.3.4 Le prestazioni delle attività come input all'analisi organizzativa 336
9. Il gruppo 353
9.1 I meccanismi di coordinamento 353
9.2 Responsabilità individuale e responsabilità collettiva 360
VIII L'IMPRESA: SISTEMI DI GOVERNO, VALUTAZIONE E CONTROLLO
Parte III
Le informazioni clinatura economico-finanziaria, con MichelaAmabo/,di 399
Parte IV
I sistemi di decisione 487
17. L'analisi delle decisioni aziendali: un quadro di riferimento 489
17.1 La misura indiretta della creazione di valore economico 490
17.2 Le fasi dell'analisi di una decisione 493
17.3 L'individuazione delle alternative 495
17.3.1 Gli investimenti non obbligati 495
17.3.2 Gli investimenti obbligati 496
17.3.3 Investimenti obbligati o non obbligati? 497
17.4 La "consistenza" del progetto 498
17.4.1 Bundling dei progetti sinergici 499
17.4.2 Unbundling dei progetti indipendenti 500
17.5 I confini dell'analisi 500
17.6 Gli impatti competitivi 501
18. La metrica dei net cash flow 505
18.1 Le componenti del NCF operativo 505
18.1.1 Il cash flow operativo lordo 506
18.1.2 L'investimento operativo 507
18.1.3 Il valore residuo 509
18.2 Logica incrementale e costi affondati 509
18.3 L'effetto fiscale 511
18.3.1 Il ruolo degli ammortamenti e lo scudo fiscale 511
18.3.2 Plusvalenze e minusvalenze 513
18.3.3 Il tasso di attualizzazione 513
18.4 Le modalità di finanziamento 513
18.5 Considerazioni di sintesi 517
Parte V
I sistemi di controllo 561
21. I sistemi di controllo 563
21.1 Il flusso logico del controllo 564
21.1.1 La programmazione dei risultati 564
21.1.2 La misura dei risultati 565
21.1.3 L'analisi degli scostamenti 566
21.1.4 L'introduzione delle azioni correttive 566
21.2 Il processo di controllo 567
21.2.1 L'approccio feed-back 567
21.2.2 Il controllo feed-forward 568
III. [dall'introduzione alla III edizione (settembre 2005)] Sono due le novità
importanti di questa terza edizione. Vi è una parte completamente nuova, dedica-
ta alle problematiche organizzative dell'impresa. Vi è una parte, quella riguardan-
te il bilancio, che è stata radicalmente ristrutturata per adeguarsi agli Ias-Ifrs. i
nuovi criteri contabili europei, obbligatori da quest'anno per tutte le imprese
quotate in borsa e la quasi totalità di quelle (anche se non quotate) bancario-
finanziario-assicurative. La scelta di introdurre una parte espressamente dedi-
cata all'organizzazione, affrontando in modo esplicito e con sistematicità pro-
blematiche spesso affioranti (nelle precedenti edizioni) nell'ambito delle te-
matiche più diverse, è congruente con il nostro principio di dare dell'impresa
una rappresentazione stilizzata ma realistica, che - pur puntando alla semplifi-
cazione - ne evidenzi la multidimensionalità e la complessità. La scelta, nel ri-
strutturare radicalmente la parte dedicata al bilancio, di privilegiare la nuova
contabilità (obbligatoria per ora solo per le realtà economico-finanziarie più
rilevanti) e di relegare viceversa in secondo piano quella tradizionale (anche se
presumibilmente destinata a essere ancora utilizzata dalla maggioranza nu-
merica delle nostre imprese per un periodo non breve), risponde a un altro
nostro principio: guardare al futuro e non al passato. Accanto a questi cambia-
menti in grande, la terza edizione ne presenta numerosi altri più in piccow. Si è
dato esplicito rilievo alla crisi strutturale che molte nostre imprese stanno attra-
versando, in uno scenario mondiale in continua evoluzione, e alle trasforma-
zioni - nei modi di pensare e di operare - che essa loro impone per sfuggire a
rischi che possono divenire mortali. Si è fatto cenno a fenomeni che hanno as-
sunto un rilievo maggiore negli ultimissimi anni, quali la crescita del private
equity, e a fenomeni che appaiono destinati ad assumerlo, quali l'entrata in vi-
gore nel 2007 delle nuove regole (in gergo Basilea 2) che le banche dovranno
rispettare nell'erogazione dei crediti: gli uni e gli altri con impatti rilevanti sul
funzionamento del sistema delle imprese.
V. Sono passati solo quattro anni dalla scorsa edizione, ma sono stati quattro
anni che hanno cambiato profondamente lo scenario economico-finanziario
e geo-politico in cui opera l'impresa. La crisi iniziata nel 2008, la più rilevante
dopo quella famosa del 1929 che stravolse il mondo di allora, ha messoaUoscrr
perto e amplificato - sino a renderli talora irreversimli- una serie di squilibri
preesistenti (molti dei quali oggetto di attenzione nelle scorse edizioni). Essa
ha creato un vero e proprio fossato, con pochissime eccezioni, fra i tassi di cre-
scita dei paesi da poco emersi sulla scena mondiale (Cina, India ecc., ma non
solo) e i paesi tradizionalmente ricchi; ha messo alle corde, fra questi ultimi,
quelli più oberati dal debito e/ o dal deficit corrente, provocando tensioni so-
ciali che potrebbero acutizzarsi; ha messo in dubbio la solidità della moneta
di riserva principedalla fine della seconda guerra mondiale, il dollaro, e la stes-
sa sopravvivenza dell'euro. Essa ha avuto e sta avendo un impatto di grande ri-
levanza sulla vita delle imprese industriali e di servizi: sia per l'effetto combi-
nato delle restrizioni creditizie e del calo della domanda, che ne ha già fatte
uscire diverse di scena (per fallimento o chiusura dell'attività); sia per gli sce-
nari macroche essa sta facendo emergere, che obbligano anche le imprese più
prospere e consolidate a ripensare le loro strategie e a predisporsi alla nuova
concorrenza da parte delle imprese nuove dei paesi nuovi. Essa ha avuto inve-
ce un impatto relativamente limitato sulle dimensioni complessive e sui com-
portamenti del sistema finanziario, che proprio con la sua crescita abnorme e
i suoi eccessi ne era stato la causa prima: sono infatti fallite nella fase iniziale o
sono state salvate con soldi pubblici alcune delle principali realtà finanziarie
mondiali, ma nuova linfa - soprattutto per le operazioni a carattere più mar-
catamente speculativo - è paradossalmente arrivata dalla liquidità messa in
circolo dagli Stati per i salvataggi e per evitare il tracollo dell'economia reak.
L'impostazione di questa quinta edizione si basa sul presupposto che il cam-
biamento di scenario non vada tanto a intaccarela strumentazione di base - re-
lativa al governo, all'organizzazione, alla valutazione e al controllo (parti secon-
da, terza, quarta e quinta) - di cui l'impresa si awale, quanto le modalità di uti-
lizzo di tale strumentazione da parte dell'impresa stessa nel rapportarsi dialet-
ticamente con il contesto. E che sia importante dare spazio ancora maggiore a
tematiche, quale quella ad esempio della responsabilità sociale, che (a prescin-
dere dalla crisi) sempre più condizionano le scelte di fondo dell'impresa.
La parte prima è stata ristrutturata di conseguenza, soprattutto nei capitoli
iniziali, con un ampliamento che si è concentrato su cinque grandi temi: il ri-
schio, la responsabilità sociale, il posizionamento strategico su scala interna-
zionale, l'innovazione, l'ICT e i socia[network. ,
L'esigenza di una maggiore attenzione da parte dell'impresa a individuare
le principali fonti potenziali di rischioe a gestirle proattivamente è figlia in ge-
Introduzione I XVI I
nerale della maggiore precarietà del contesto, ma è pure legata alle maggiori
difficoltà di accesso al credito bancario che il rischio potrà provocare con il
prossimo awento di BasilRa3 e - anche se più simbolicamente - all'obbligo di
trasparenza a tale riguardo, in occasione della presentazione del bilancio an-
nuale, imposto dalle norme Ias-1.frs.
Tra le sorgenti di rischio, soprattutto nelle aree tradizionalmente ricche,
cresce il peso della responsabilitàsocialR.Il rispetto per l'ambiente e per la salu-
te e la sicurezza di chi lavora, il rispetto degli obblighi verso lo Stato e le collet-
tività locali, il rispetto della correttezza nei rapporti con i clienti e i fornitori e
della trasparenza nei rapporti con i finanziatori, sono - se palesemente violati
- oggetto di sanzioni crescenti da parte sia dei pubblici poteri sia dei cittadini-
consumatori-investitori: rispettivamente con condanne anche penali e con
penalizzazioni negli acquisti e nelle quotazioni.
Il divario nelw crescitafra i paesi di sviluppo recente e quelli tradizionalmen-
te ricchi, con la persistenza però di una forte diversità culturalR,e il passaggio
nei primi dall'autosufficienza all'economia di mercatodi centinaia di milioni di
persone, impone all'impresa sfide qualitativamente nuove: quanto ad esem-
pio essere cosmopolitanella composizione del top management, per gestire le di-
versità;quanto impegnarsi nel mettere a punto prodotti very ww cost,per con-
quistare i nuovi consumatori.
L'innovazione, in una situazione di cambiamento anche radicale, rappresen-
ta l'arma per eccellenza dell'impresa per cercare di uscire dalle situazioni di
impasse,se consolidata, o per crearsi uno spazio di vita, se nuova: è un tema
centrale sin dalla prima edizione, che abbiamo ritenuto opportuno trattare
con maggiore sistematicità.
Le ICT-Information & Communication Technowgye i socialnetworkcontinuano
a essere fra le maggiori sorgenti di innovazione e di start-up: a esse abbiamo
dedicato una specifica attenzione, in relazione sia alla straordinaria dinami-
cità della competizione in atto fra le principali imprese del comparto sia ai ri-
flessi sull'organizzazione dell'economia e della società.
Il testo è - sin dalla prima edizione - il frutto della concezione comune dei
due autori, che si sono però suddivisi la fase diretta di scrittura e coordina-
mento e si sono awalsi dell'importante contributo di colleghi giovani e senior
della Scuola di Ingegneria Gestionale. Umberto Bertelè ha curato in partico-
lare la parte concernente l'impresa nel suo complesso: insieme a Davide Chia-
roni per il capitow 1. Giovanni Azzone ha curato le altre parti: insieme a Mi-
chela Arnaboldi per la parte terza. Marco Giorgina e Franco Quillico sono au-
tori delle due appendici. Michele Giovannini ci ha messo a disposizione le sue
competenze giuridiche e Federico Frattini quelle in tema di innovazione.
L'impresa:
gli obiettivi, le modalità competitive
e i sistemi di govern'ance
In un testo che- come visto nell'Introduzione-si propone di fornire una letturadi
basee a largospettrodell'impresa,è naturale che le parti di natura più analitica sia-
no precedute da una presentazione di carattere generale dell'impresa stessa: del-
le tipologie che essa può assumere (in termini di attività, dimensione, forma giu-
ridica ecc.), delle sue interrelazioni competitive e cooperative con gli altri attori
dell'economia e della società, della sua strutturazione, dei sistemi di governance
che può adottare, degli obiettivi che persegue, delle condizioni che ne regolano la
soprawivenza e la crescita.
Ed è questo il contenuto della Parteprima:ove si è cercato un compromesso
fra la vastità della materia oggetto della trattazione e la limitatezza dello spazio da
dedicare a essa in un testo di base, fra il rischio di entrare in dettagli eccessivi e
quello contrapposto di dare dell'impresa una rappresentazione ipersemplicistica
che ne nasconda la natura multidimensionale e la complessità.
Il capitolo1, in particolare, cerca di far capire che cosa sia un'impresa - nella
enorme varietà delle configurazioni che essa può assumere (dal punto di vista
della dimensione, della tipologia di attività, del grado di internazionalizzazione,
della struttura giuridico-proprietaria, dell'assetto organizzativo, delle modalità di
gestione ecc.) e dei contesti in cui può trovarsi a competere - partendo da quattro
casi, molto lontanifra loro. Esso fornisce inoltre un quadro aggiornato delle prin-
cipali imprese a livello nazionale e mondiale: a scopo innanzitutto conoscitivo,
ma anche per far comprendere la necessità, in presenza di giridi affaritalora su-
periori a quelli di intere nazioni, di disporre di sistemi - di rilevazione dell'infor-
mazione, di decisione e di controllo - estremamente sofisticati.
11capitolo2 evidenzia come l'impresa sia un microsistema aperto, che opera in
stretta interdipendenza dinamica con il macrosistema economico-finanziario di
I. L'impresa I 3
cui fa parte e più in generale con quello socio-politico, su scala globale e nei terri-
tori in cui è presente: subendone le continue trasformazioni - negli assetti tecno-
logico-organizzativi, nei valori e nei comportamenti, nelle regole e nei meccanismi
di funzionamento - ma anche contribuendo ad attivarle o a rafforzarle. Mette in
luce come conseguentemente il cambiamento, e non la stabilità, debba essere
considerato lo stato di normalità. Come l'innovazione, in tutte le sue molteplici
connotazioni, giochi un ruolo di grande rilievo nel forgiare il futuro dell'impresa e
la sua capacità di creare valore. E come il rischio connesso alla ridotta prevedibilità
rappresenti un qualcosa di organico alla natura dell'impresa stessa e alla funzione
a essa attribuita nell'ambito dell'economia e della società.
Il capitolo3 affronta la tematica dello stato giuridico e della governancedell'im-
presa: guardando ai rapporti che essa ha con i suoi interlocutori economico-finan-
ziari e socio-politici e alle regole - stabilite dalla legge o concordate fra le parti o
frutto dell'adesione volontaria a forme codificate di autodisciplina - che devono
improntarli.
Il capitolo4 guarda agli obiettivi che l'impresa persegue e ai potenziali conflitti
che si possono generare fra gli interessi di tutti coloro che giocano un qualche
ruolo nell'ambito di essa o nei rapporti con essa. Definisce in particolare la nozio-
ne di valore di impresa, di rilevanza centrale nelle economie di mercato, e ne forni-
sce le diverse interpretazioni in chiave finanziaria e in chiave economica.
Il capitolo5, infine, guarda all'impresa nella sua consistenza e concretezza rea-
le, per illustrarne le attività e le possibili configurazioni, ma anche e soprattutto
per capire come si formi il valore e come esso sia estremamente sensibile alla ca-
pacità di competere dell'impresa stessa. E affronta la tematica delle relazioni fra
competizione e creazione di valore con riferimento a una serie di scenari-tipo di
complessità crescente.
1 L'impresa
Perché Procter & Gamble (P &G) come primo caso? Perché P &G:
• è un'impresa straordinariamente longeva, essendo stata fondata negli
Stati Uniti nel lontano 1837 dall'inglese William Procter e dall'irlandese
James Gamble (a seguito del loro matrimonio con due sorelle di Cincin-
nati), a fronte di un ciclo di vita medio delle imprese significativamente
inferiore a quello umano;
• è un'impresa sulla cresta dell'onda da molti anni, al quinto posto assoluto
nella classifica di Fortune delle Worlds Most Admired Companies 2011 (alle
spalle di Appie e Google, ma davanti ad esempio a Coca-Cola e ad Ama-
zon), che può vantarsi di avere sempre distribuito dividendi agli azionisti
negli ultimi 120 anni e di averli ogni anno aumentati (a un tasso medio
annuo composto del 9,5% circa) negli ultimi 54 anni;
• è un'impresa presente in gran parte del mondo: che raggiunge con i
suoi prodotti 4,2 miliardi di potenziali clienti; che realizza più di un ter-
zo dei suoi ricavi nei paesi cosiddetti emergenti (nei paesi cioè, come la
Cina, che stanno accrescendo a ritmi sostenuti il loro PIL); che punta
per crescere su una presenza sempre più elevata in tali paesi, anche at-
traverso l'offerta di prodotti appositamente progettati (in termini di
prezzo, caratteristiche e packaging) per le nuove masse che stanno
uscendo dallo stato di povertà;
I. L'impresa I 7
1. SymphonyIRI (www.symphonyiri.com) è una delle società leader a livello mondiale nelle ri-
cerche di mercato relative ai CPC - consumerpackagedgoods.
8 I L'IMPRESA: Gli OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
P&Gin sintesi
I prodottie i brand
70
Fonte:FinancialTimes.
I llrand con cui i prodotti sono proposti al mercato sono su scala mondiale cir-
ca 250 (Ace, Ariel, AZ, Braun, Duracell, Gillette, Max Factor, Oral B, Pampers,
Pantene, Wella alcuni dei più noti in Italia), ma con ricavi specifici molto di-
versi fra loro: in particolare sono 24, ossia meno di un decimo, quelli che su-
perano il miliardo di dollari di ricavi annui e che complessivamente pesano
per più del 70 per cento sul valore totale delle vendite.
La grande varietà dei prodotti potrebbe far apparire P&G come un'impre-
sa conglomeral,e, caratterizzata cioè da un insieme di business sconnessifra loro.
Ma, come visto, esiste un fattore unificante di grande rilievo: tutti i prodotti
hanno come clienti finali le famiglie e come clienti intermedile strutture di di-
stribuzione al dettaglio. Di qui l'importanza dei llrand, necessari per differen-
ziare i prodotti - rispetto a quelli dei concorrenti - agli occhi degli acquirenti
finali e per incrementare il potere contrattuale rispetto alle strutture distribu-
tive: obbligandole, per non perdere (a favore di strutture concorrenti) i clien-
ti affezionati ai llrandP&G, ad accettare margini di guadagno meno elevati e a
concedere spazi più ampi sugli scaffali.
10 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
La strutturaorganizzativa
Nel 2010 Annual Report Robert A. McDonald, chairman e CEO-central executive officer (owero
presidente e amministratore delegato) di P&G, spiega chiaramente l'import.anza dell'inte-
grazione fra le diverse capacità, in un capitoletto dal titolo significativo lnvesting to Grow,
Changi,ng to Lead: 'We are supporting our innovation program with strong levels of marke-
ting investment. We delivered a 20% increase in consumer impressions - the number of ti-
mes consumers hear about our brands and new products - this fiscal year, with most of the
increase in the second half of the fiscal year behind many of the innovations I just described.
This investment is criticai. Decades of experience have demonstrated that making people
aware of our innovation and motivating them to try our new produ~ts is the key to long-term
success. When people experience the innovation we bring to market, they are frequently de-
lighted, which in turn drives repurchase and sustainable share growth. This is the founda-
tion of brand building, and P&G is committed to investing sufficiently and consistently to
support innovation and build brands that thrive for decades. One of the most important
ways we fuel investments in innovation and brand building is through cost savings and pro-
ductivity improvements. P&G is very disciplined about cash management and cost reduc-
tion. We are strengthening this discipline with a culture that continually simplifies the way
we work and increases productivity. [ ...] Another good example of how we're becoming mo-
re productive is the 'digitization' of P&G. With digitization, our goal is to standardize, auto-
mate and integrate systems and data so we can create a real-time operating and decision-
making environment. We want P&G to be the most technology-enabled company in the
world. We are targeting a 20-25% reduction in some spending areas and we are looking fora
sevenfold increase in real-time data. By getting the right datato the right decision makers at
the right time, we can become increasingly efficient and productive. [...] Another waywe are
increasing productivity is by turning the Company's size into scale and our scale into growth.
To do this, we are increasingly competing as one Company. Our individuai categories,
brands, countries and functions are ali critical and each has unique value to add. But at the
total Company level, we can create scale advantages by allocating resources more strategica!-
r. L'impresa I 13
ly and efficiently than any individua! business can do on its own. The combination of the in-
dividual components is greater together as one Company than the sum of the parts - and we
are focused on maximizing this total value. We are working across our businesses and
markets to leverage P&G scale. [ ...] By leveraging P&G scale and competing more effectively
as one Company- rather than as individua! businesses and brands alone - we are able to tou-
ch and improve more lives while creating meaningful competitive advantage".
Nell'ambito della strategia di crescita di P&G una specifica attenzione può essere ri-
servata al programma Connect+Deve/op(C+D) - "a systemic, company-wide open in-
novation program charged with bringing the outside in, and taking the inside out" -
introdotto in modo quasi pionieristico da P&G una decina di anni fa, in una fase di
rallentamento della crescita della società, e cresciuto poi sempre più di rilevanza nel
tempo.
As a program C+D includes a global team that searches for solutions to business needs via external
networks, preferred suppliers and existing partners. They are linked via six main hubs in China, EMEA
(Europe/Middle East and Africa}, India, Japan, Latin America and North America. They also run an in-
novation portai (pgconnectdevelop.com) in 5 languages (English, Japanese, Chinese, Spanish, Por-
tuguese) for idea submissions. Collaborating for innovation solution~ has become part of everyone's
job at P&G. [...] C+D looks for innovative solutions for all areas of the business, from packaging to
processes to products. C+D looks to partner with anyone with a winning idea: academia, small and
medium enterprises, global companies, individuals, NGOs and government labs. [...] C+D enabled
projects consistently delivered with greater effìciency, speed, value and market impact:
• >50% of P&G innovation [is] currently sourced externally
• 40% of C+D partners have multiple deals with P&G
• about $3 billion in annual sales at partner companies [are] driven by P&G-shared innovation.
È interessante notare come il programma sia multi-localizzato, allo scopo non solo di
interagire più facilmente con reti esterne, fornitori e partner sparsi in tutto il mondo,
ma anche per cogliere le potenzialità e le peculiarità dei diversi territori. In termini di
competenze cui avere accesso, da un lato. In termini, dall'altro, di caratteristiche da
conferire ai prodotti sulla base di esigenze locali:con la successiva scoperta, talora,
che i prodotti di nuova concezione possono avere una valenza molto più generale,
perché in grado di soddisfare esigenze simili inespressein aree simili per sviluppo o
esigenze diverse in aree diverse (ad esempio per le famiglie con basso potere d'acqui-
sto nei paesi ricchi).
È importante anche evidenziare come la open innovationaumenti le opportunità e ri-
duca il numero di persone che un'impresa deve mantenere al suo interno, ma al prez-
zo di una complessità organizzativa più rilevante per la gestione dei rapporti.
14 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
I prodottie i numeri
Mediobanca, nel sopracitato rapporto 2011 su De' Longhi, descrive così l'atti-
vità della società: "De' Longhi is a leading manufacturer in the small domestic
appliances market, and is also present in the professional channel producing
large thermo-cooling systems, radiators and fixed air-conditioning units. The
group is therefore organised into two different industriai poles, one for each
business:
• the Househol,ddivision, which operates in the domestic appliances mar-
ket, designing, manufacturing and selling products within the following
segments: cooking and food preparation, heating and air conditioning,
cleaning and ironing;
• the Professionaldivision, which operates in the markets for large thermo-
cooling systems (with the Climaveneta and RC G;roup brands), radiators
(DL Radiators) and fixed air-conditioning units for the professional
channel.
Within the small ekctrical appliance market, the De' Longhi group is global
leader in portable heaters and air conditioners, as well as for espresso coffee
makers. Furthermore, in Western Europe the company is leader in the food
processor segment (with the Kenwood brand), while it ranks second in cook-
ing products (following the SEB group) and third in ironing systems. The
group product positioning (excluding portables heaters and air condition-
ers) is on average higher than that of its main competitors, with more than
half of the goods sold falling in the high-end segment".
Le small appliances,concentrate come visto nella divisione Househol,d,con il
76 per cento circa degli addetti e 1'86 per cento delle vendite, costituiscono di
gran lunga la componente principale del portafoglio prodotti. Esse rappre-
sentano un insieme eterogeneo dal punto di vista della progettazione e della
produzione, ma hanno in comune i canali commerciali attraverso cui viene
effettuata la vendita alle famiglie e godono della coperturadei due principali
&rand(De' Longhi e Kenwood) con cui opera la società. Mentre le apparec-
chiature fisse per il riscaldamento e per il condizionamento della divisione Pro-
fessional sono caratterizzate da una sorta di continuità tecnologica con quelle
portatili vendute direttamente alle famiglie, ma sono destinate al canale com-
pletamente diverso degli operatori di montaggio nel comparto edilizio.
16 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
,,Jl,d,.
,,"··r1tiÌr1,~,x, ibA,b ..·"'
Fonte:FinancialTimes.
Le vendite complessive nel 2010 sono ammontate come detto a 1,69 miliar-
di di euro e sono state realizzate per il 19 per cento circa in Italia, p~eril 70 per
cento in Europa e, per il rimanente 30 per cento, in misura significativa nei
paesi emergenti.L'utile netto complessivo è stato di 83,5 milioni. Dei 7 mila di-
pendenti circa, 2.600 operano in Italia e - a seguito soprattutto della deloca-
lizzazione di ampia parte della produzione - 4.400 all'estero.
La capitalizzazione di borsa ammontava come detto a metà 2011 a 1,24 mi-
liardi di euro, con un incremento del 140 per cento circa rispetto a un anno
prima e del 222 per cento rispetto a cinque anni prima (cfr.figura 1.2).
La scissione"annunciata"e le prospettive
Dal comunicato stampa del 21.7.2011 al termine della riunione del Consiglio di Amministra-
zione di De' Longhi: 'Today the Board of Directors ofDe' Longhi has approved the project
of partial and proportional spin-off for the separation of the Professionaldivision. [ ...] De'
Longhi Professional S.A. is the company within the De' Longhi Group representing the acti-
vities relateci to the manufacturing and marketing of devices for systems of air conditioning
and refrigeration in industriai processes. [... ] In particular, participations in Climaveneta
S.p.A., R.C. Group S.p.A. and DL Radiators S.p.A. can be referred to De' Longhi Professio-
nal S.A. As a consequence of the spin-off, the two areas where the business of the De' Longhi
Group currently develops will be separateci: activities of the Household division will be under
De' Longhi S.p.A., those of the Professional division will be under De' Longhi Clima S.p.A.
[...]. The two divisions have different clients and reference market and do not benefit from
operative synergies. The transaction will allow greater managing efficiency based on two dif-
ferent teams of managers, focused only on one of the two businesses; will make possible mo-
re flexibility in implementing the strategies of each of the two divisions and, finally, make the
strategies of both areas of business within the De' Longhi Group more clearly identifiable.
[...] From the effective date of the spin-off (which can reasonably be expected to be January
JSt,2012), the shares of De' Longhi Clima S.p.A. will be listed separately from the shares of
De' Longhi S.p.A. The spin-offwill be proportional [...] ".
r. L'impresa I 17
La scissione fra le due "anime" della De' Longhi - con una tipologia di clienti
e un conseguente approccio al mercato completamente diversi e con sinergie
ormai inesistenti - appariva immediatamente, guardando alla composizione
del portafoglio della società e alle aree con prospettive più brillanti, come
un'opzione razionale da perseguire (cfr. sottaparagrafo2.1.1). Con due proble-
mi: la sindrome del distacco,la riluttanza cioè da parte di chi ha creato un'im-
presa a tagliarneuna parte; l'individuazione di una destinazione adeguata (ol-
tre che remunerativa) della componente Professional.
La soluzione individuata-quella dello spin-offe quindi della nascita di una
nuova società quotata completamente indipendente - non era l'unica a prio-
ri possibile, essendo presenti sulla carta almeno due altre alternative: la ces-
sione a un acquirentestrategi,co,a un'impresa cioè che vedesse le attività della
componente Professionalcome integrabili e/ o complementari alle proprie; la
cessione a un fondo di private equity, che la gestisse nell'ottica di trovarle in
tempi più lunghi una sistemazione adeguata. Una soluzione sfidante, perché
il giro d'affari della nuova società è relativamente piccolo e perché il merca-
to di sbocco è già affollato. Una soluzione che punta sull'effetto stretch (cfr.
paragrafo 5. 6): sulla forte motivazione cioè del futuro gruppo dirigente, in
termini di impegno e di creatività, nell'assumere la responsabilità di una so-
cietà quotata.
Le prospettive per la componente Househoul,owero per la De' Longhi nel-
la nuova versione più focalizzata, rimangono sostanzialmente quelle suggerite
nel rapporto Mediobanca precedentemente citato. Esse vedono come punti
basilari-per un'ulteriore crescita delle vendite e del valore -il rafforzamento
dei b-rand(collocati in prevalenza nella fascia alta premium) e lo sfruttamento
I
Che cosa pensa la De' Longhi del proprio futuro? Fabio De' Longhi, ammini-
stratore delegato della società (oltre che vicepresidente e membro della fami-
glia principale azionista), ha esposto il suo punto di vista in una intervista fat-
tagli da Umberto Bertelè, riportata in ICT4Executive (n. 5, aprile 2011).
In termini più specifici mi sembra che nel nostro settore non ci siano marchi ci-
nesi importanti, che le imprese cinesi non abbiano network distributivi e siano
ancora solo fabbriche. Non vedo quindi rischi in questo senso.
Noi abbiamo strutture di R&D in Cina e ritengo impensabile produrre senza
avere in locoanche la componente di ricerca e sviluppo. Ed è capitato che alcune
soluzioni tecniche siano state concepite in quei laboratori e poi utilizzate nel
gruppo a livello mondiale.
L'elemento che a mio avviso determinerà la capacità della Cina di competere
sul mercato n1ondiale sarà il tasso di cambio, soprattutto nei confronti dell'Eu-
ropa. Bisognerà vedere come si muoverà il cambio euro/dollaro.
D. De' Longhi ha sreltodi quotarsi in Borsa all'inizio degli anni 2000. Siarrwin un rrwmento
storicoin cui le uscitedal/,aBorsasuperano /,enuove entratee sonofrequenti /,e/,amentel,e:
per
/,apesantezzadegli obblighie per i costiche /,aquotazione comporta;per /,efluttuazioni nel/,a
capitalizzazioneesagerate, rispettoallefluttuazioni nei risultati e nell,easpettative, cui /,e
societàquotate sono esposte;per l'obbligo(e questo sarebbeun vantaggio) a un forte rigore
ma anche (e questopuòessereuno svantaggio) per il privil,egi,oche si deve dare al brevepe-
riodo. Voi avete rappresentatoprobabilmenteuno dei pochi casi di successodi /PO effettuati
negli ultimi 10-12 anni, ma sietestati anche soggettiall,emontagne russe durante /,afase
più acuta della crisi, con una discesarrwltoaccentuata e il successivocomp!,etorecuperonel-
l'ultimo anno. Qy,alè il vostro bi/,anciocompkssivo sull'esperienzadi quotazione?
R. Siamo andati in Borsa subito dopo l'aquisizione di Kenwood e ritenijilllo l'espe-
rienza complessivamente soddisfacente. È vero che mentre un'impresa dovreb-
be avere una visione di lungo periodo per il proprio sviluppo industriale, la Bor-
sa ragiona prevalentemente sul cortissimo raggio e obbliga a ricercare un punto
di equilibrio fra le due esigenze. Ma d'altro canto l'esigenza di fornire continua-
mente dati agli azionisti, di tenere sotto controllo il circolante (anche nei mo-
menti di maggiore difficoltà come durante la crisi) e di ottenere risultati visibili
rappresenta un esercizio utile e obbliga alla disciplina.
D. De' Longhi, vista dal di fuori, sembra attribuire molta rikvanza nel/,asua comunicazione
al fatto di essereun 'impresacon la testa in Italia, ancorché con molte dell,esue attività
sparsenel mondo. Quanto riteneteche l'essereun 'impresaitaliana abbia contribuito al v<r
stro successo?
R. In generale, nel mondo industriale, l'essere italiani non è un valore forte. Il pro-
dotto italiano può essere visto come bellodai consumatori internazionali, ma diffi-
cilmente viene condiderato in quanto tale come prodotto di altissima qualità. Di-
versa è la percezione per le macchine da caffè o per i prodotti per la cucina, dal
momento che nell'immaginario globale gli italiani sanno fare bene il caffè e san-
no cucinare bene. Il marchio De' Longhi è riconosciuto come italiano e ha quin-
di, in questi segmenti di mercato, un valore aggiunto rispetto ai concorrenti.
La Germania, invece, è molto più vista come sinonimo di precisione e qualità. È
stata per questo per noi una soddisfazione esserci aggiudicati un premio in Ger-
mania [il Best Brand 2011], rientrando tra i primi 10 brand per tasso di crescita-
in quinta posizione [con Appie in testa al gruppo] - nella percezione dei consu-
matori tedeschi.
D. De' Longhi ha sempreperseguitouna strategi,avolta a portare nuovi prodotti sul mercatoe
intende continuare a farlo - come da Lei affermato - in un 'otticadi rafforzamento dell,e
gamme esistenti.Possiamoquantificare il vostro impegnoper l'innovazione?
I. L'impresa I 21
R. Spendiamo circa il 3,5% dei ricavi in attività di ricerca e sviluppo: molto in Italia,
ma anche in Inghilterra e_in Cina. È difficile industrializzare un prodotto in Ci-
na se non si ha un adeguato reparto R&D a supporto.
D. De' Longhi, con la sua presenza commercia/,e o produttiva in tutto il mondo, ovviamente
ha dovuto e deve dedicareuna fortissima attenzione all'efficaciae all'efficienzadella sua
macchina organizzativa. Qµ,aleruo/,oha gi,ocatoe gi,ocal1CT nel rendereefficaceed effi-
cientela vostra organizzazione?E in relazionea Internet, pensate di sfruttare /,enuove p~
tenzialità di marketing connessecon /,osviluppo dei sodai network - per crearecontatti
diretti con i clientiprivati e perfidelizzarli, comediverseesperienzerecenti(P&G, Barilla,
Fiat ecc.)dimostrano- o non /,eritenetesignificativenel vostrocontestocompetitivo?
R. Il gruppo ha sempre investito molto in IT, dotandosi di una struttura che si oc-
cupa dell'informatizzazione. Il 90 per cento della nostra impresa opera con lo
stesso sistema informativo - SAP - che abbiamo adottato da una decina di anni e
di cui utilizziamo tutti i moduli principali. Continuiamo a fare importanti inve-
stimenti in IT, per rispondere alle nuove esigenze che emergono: a quella ad
esempio, in contesti di mercato che si muovono sempre più velocemente, di di-
sporre dei dati mensili di conto economico consolidato di gruppo entro pochi
giorni dalla fine del mese.
Ritengo affascinante il tema dei socialnetwork,ma allo stesso tempo molto contro-
verso in termini di suo utilizzo a fini di marketing. Sono molte le imprese che si
stanno lanciando ad esempio su Facebook, ma credo che sia prima indispensabile
- se non si vuole sortire un effetto opposto a quello desiderato - assicurarsi di poter
garantire un flusso realmente bidirezionale (attraverso la creazione di una struttu-
ra capace di rispondere alle richieste dei consumatori) e di essere in grado di at-
trarre un numero di fan adeguato all'importanza del gruppo. Per questo stiamo la-
vorando a un progetto di digi,talstrat,egy, che comprenderà anche i socialnetwork.
I
Perché riteniamo il caso YOOX Group (nel seguito denominato per brevità
Yoox) di particolare interesse? Perché Yoox
• è un'impresa molto giovane, fondata da un giovane nel 2000 e quotata
in borsa alla fine del 2009, cresciuta - come accade nella Silicon Valley
ma molto meno in Italia- con l'aiuto di una serie di fondi di venture capi-
tal italiani e stranieri (cfr. schema 4.3);
• è - fatto abbastanza raro in Italia - una public companydi stampo anglo-
sassone, una società cioè quotata (owero public come contrapposta apri-
vate) senza azio~isti di riferimento con quote significative: Federico Mar-
chetti, il fondatore che ne è dalla nascita presidente e amministratore
delegato, risulta al quinto posto come azionista con il 4,6 per cento e po-
trebbe salire nel futuro all'll,1 se esercitasse tutte le stockoption2; mentre
2. Yoox ha implementato, a decorrere dal 2000, una serie di piani di stockoption. Le stockoption-
owero le opzioni di acquistare dopo un periodo predeterminato dalla società un numero di
22 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
(Dal RapportoAnnua/,e 2010) "Il Gruppo Yoox, il partner globale di Internet re-
tail per i principali brand della moda e del design, si è affermato tra i leader di
mercato con gli storeMulti-brand yoox.come thecorner.com,ed i numerosi Online
I numeri
12
10
••.1.........1,I Id 111I11u1.•
+ 4,40 +84,29%
·····I
..-..Iu,1•• I 1, I
_+83, 11 +32,33%
I,1.1.""
h 1111 dli ••JII.I ._.1 ,11111.1
Fonte:FinancialTimes.
L'Italia ha pesato complessivamente nel 2010 per il 23 per cento circa dei
ricavi, il resto dell'Europa per il 48, il Nord America per circa il 20 e il Giap-
pone per un po' più del 6: percentuali tutte in movimento, in connessione
con il processo di internazionalizzazione- e in particolare di entrata in nuove
aree quali la Cina- in atto.
In linea con la sua prospettiva di crescita, Yoox ha effettuato nel 2010 inve-
stimenti per 12,3 milioni di €, equamente suddivisi fra immobilizzazioni im-
1nateriali e immobilizzazioni materiali. Nell'ambito delle prime la voce princi-
pale è stata quella dello sviluppo di specifici progetti volti a individuare solu-
zioni innovative per la realizzazione e gestione dei negozi online. Nell'ambito
delle seconde ha avuto un peso rilevante l'avvio della messa a punto della
nuova piattaforma tecno-logistica ad automatizzazione elevata: resa necessaria
dal continuo aumento del numero di ordini da evadere, che hanno superato
nel 2010 la soglia del milione e mezzo.
Il business model di Yoox, quale in precedenza sinteticamente descritto, si
presenta come una sorta di unicum su scala mondiale nel~'ambito fashion: am-
bito in cui non tutte le case di moda effettuano vendite online, se lo fanno ope-
rano (escludendo ovviamente le 27 sopra citate) quasi sempr.e con siti propri
e in pochissimi casi riescono a realizzare quote significative rispetto ai canali
tradizionali. Il maggior caso di successo è quello di Polo Ralph Lauren, 300
milioni di$ circa di ricavi online (su un totale di 5,66 miliardi nel 2010), con
un sito negli Stati Uniti fatto gestire da un operatore e-commerceche però - a
differenza di Yoox - è un generalista(supporta cioè la vendita online di_prodot-
ti merceologicamente molto diversi).
r. L'impresa I 25
Le prospettivedi crescita
"La Cina è uno dei più importanti tasselli per completare la nostra offerta al
settore della moda, con l'obiettivo di consolidare la nostra posizione di part-
ner globale di Internet retailper i principali &rand(dalla LetteradelPresidenteagli
azionisti acclusa al Bilancio 201 O). Si tratta di una strategia di lungo periodo in
un mercato dalle grandi potenzialità in cui stiamo agendo da first mover.Per
affermarsi in Cina, Yoox intende per i primi anni adottare una strategia full
pricee posizionarsi nella fascia alta del mercato. [...] Abbiamo intrapreso un
importante percorso di investimenti nell'automazione della nostra piattafor-
ma tecno-logistica centrale di distribuzione. Grazie al connubio tra l'impiego
dei più moderni sistemi di automazione e l'utilizzo della tecnologia RFid, la
nuova piattaforma tecno-logistica globale sarà unica nel settore [...] ".
E nella july 2011 Roadshow Presentationvengono evidenziati gli altri grandi
obiettivi di crescita che Yoox si pone per il 2015:
• accrescere a 50 il numero di online store "poweredby YOOX Group" (27 a
metà 2011) , puntando a the worlds /,eadingfashion and designpwyers-,
• accrescere al 50 per cento dei ricavi totali la quota di prodotti in-season
(contrapposti ai fine stagi,oneche sono stati alla base della nascita e della
prima crescita di Yoox) e, in connessione, il valore medio degli ordini;
• vedendo il perseguimento di una forte crescita come il motore per ac-
crescere la profittabilità e la generazione di cashflow.
Sono obiettivi complessivamente molto ambiziosi, che mirano a fare di Yoox
un leader mondiale nella nicchia che si è scelto.
Sono obiettivi costosi da perseguire, sia per gli investimenti che richiedono
sia per i maggiori costi di struttura che comportano. Affermarsi in Cina rap-
presenta ad esempio una stretta necessità per un'impresa che voglia essere
leader globale, ma i tempi necessari per affermarsi possono essere lunghi. Per-
sonalizzarein generale i siti rispetto alle abitudini dei consumatori delle aree a
potenziale maggiore e rafforzare in esse le piattaforme tecno-logistiche è fun-
zionale a far crescere i clienti (oltreché a evitare la nascita di competitori che
sappiano meglio allinearsi agli usi locali), ma ha come primo effetto - in atte-
sa che la crescita si concretizzi - una moltiplicazione dei costi.
Il perseguimento di una forte crescita ha però un ruolo essenziale, che giu-
stifica - questa è la scommessa di Yoox3 - gli investimenti e gli aumenti dei co-
sti di struttura, per una serie di ragioni.
Più Yoox cresce nelle dimensioni e nella varietà e qualità dei servizi che of-
fre, innanzitutto, più elevata dovrebbe essere la sua attrattività per le grandi
case di moda, che
3. Diverse delle considerazioni che seguono sono frutto di un colloquio di Umberto Bertelè
con Federico Marchetti.
26 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
4. Il term~ne ecosist~a o business ecosystem,che apparirà più volte anche nel seguito (cfr. paragrafo
1.4), divenuto d1 uso comune soprattutto in relazione alla competizione nel comparto del-
1'ICT-ln[armatio~ & Communication Technology, fu introdotto per la prima volta da James F.
Moore m un artIColo della Harvard Business Reviewdel 1993 sul "sistema Cisco".
r. L'impresa I 27
Ha una certezza l'autore di questo paragrafo: che chi lo leggerà, anche poco tempo dopo la
sua pubblicazione, troverà la descrizione della competizione nell' ICT-Information & Commu-
nication Technologypiù o meno difforme dalla realtà del momento. Questo perché il contesto
dell'ICT è caratterizzato da una dinamicità estremamente elevata - con pochi precedenti
nella storia dell'economia - in cui si assiste alla continua entrata in scena di nuove tecnolo-
gie, nuovi prodotti, nuovi businessmodele nuove imprese e alla frequente caduta dei paletti di
confine fra i diversi settori.
Basta andare indietro di pochi anni - ad esempio a metà 2007 (quando fu pubblicata la quar-
ta edizione di questo libro) - per trovare un quadro radicalmente diverso dall'attuale. I PC
dominavano ancora la scena nell'Information Technology,facendo la felicità di Microsoft (quasi
monopolista nei sistemi operativi), di Intel (leader di mercato nei microprocessori) e di HP
(che aveva soppiantato Dell come leader nelle vendite dei PC etl era solamente insidiato dagli
asiatici nella fascia bassa del mercato), anche perché l'apparizione dei primi tabl,etnon aveva
destato alcun interesse. Google era riuscita da poco a trasformare il suo innovativo motoredi ri-
cercain una potente macchina per attrarre pubblicità - passando dai 440 milioni di $ di ricavi
nel 2004 (al momento della quotazione) ai 10,6 miliardi del 2006, da 682 addetti a circa 12
mila - e aveva surclassato i due competitori Yahoo! e Microsoft. Appie stava felicemente cre-
scendo (dopo il rischio di morte corso negli anni '90 6 ), praticamente senza concorrenti, con
l' iPod e con il sistema iTunes costruito attorno a esso; e recuperava terreno con il Mac nella fa-
scia più alta dei PC. Nokia regnava incontrastata - con il 40 per cento circa su scala mondiale
- nel mercato dei cellulari e in quello in fase di sviluppo degli smartphone.ove RIM, con il suo
BlackBerry,si era ritagliata una nicchia completamente protetta. Il settore delle consol,eper 1.ti-
deogameaveva da anni tre protagonisti - Nintendo, Sony e Microsoft - con successi alterni al-
1'apparire dei nuovi modelli. Il settore tel,ecomsoffriva già della perdita di ricavi nella voce,ma
puntava sui dati e sui cosiddetti VAS (servizi a valore aggiunto). I socia[networkerano apparsi
5. Per i urand di LVMH si veda il paragrafo5.3. Tra i principali urand del pow del lussodi PPR (che
con il complesso delle sue attività ha realizzato nel 2010 ricavi pari a 14,6 miliardi di€, con circa
60 mila addetti): Gucci, Bottega Veneta, \ves Saint Laurent, Balenciaga e Girard-Perregaux.
6. Fondata nel 1976 da tre soci- uno dei quali era Stevejobs (artefice dei trionfi dell'ultimo de-
cennio) -Appie ebbe un ruolo pionieristico nei PC, ove introdusse importanti innovazioni ma
uscì sconfitta dallo scontro con l'accoppiata IBM-Microsoft (cfr. schema5.11). I cattivi risultati e
il crollo della quotazione di borsa negli anni '90 indussero Appie nel 1997 a richiamare come
CEO Steve Jobs, che era stato allontanato nel 1985 dopo uno scontro di potere per la leader-
ship e che nel frattempo aveva acquistato e lanciato la Pixar (poi ceduta alla Walt Disney).
28 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
da qualche anno all'orizzonte, ma la loro popolarità non era ancora espl~sa: anche se ave~~
destato un certo scalpore l'acquisto di MySpace da parte della News Corp d1 Murdoch per pm
di mezzo miliardo di dollari. Il cloud computing esisteva, ma - con qualche eccezione (Ama-
zon) - si era a livello di progetti di ricerca. Non si parlava ancora, se non in Giappone, di pa-
gamenti effettuati con gli smartphone. Le grandi imprese musicali, forse le prime grandi vitti-
me della pirateria informatica, avevano già scelto come male minore l'accordo con l' iTunes di
Apple. Le grandi imprese cinematografiche erano anch'esse sotto attacco e il mondo dei me-
dia faceva in un certo senso concorrenza a se stesso attraverso i siti gratuiti online dei giornali
(famosa la dichiarazione "Fra cinque anni il New York Times potrebbe sparire dalle edicole; e
non importa, perché ormai viviamo nell'era di Internet" che fece il suo editore, a seguito del-
1'emorragia di copie vendute e del calo della pubblicità su carta).
Quali sono i fatti nuovi che rendono così diversa, a metà 2011 rispetto a metà
2007, la competizione nell' ICT-Information & Communication Technowgy (più
specificamente nella componente dell'ICT che si rivolge prevalentemente al
mercato consumer) e che - ben lungi dall'aver esaurito il loro effetto - appaio-
no destinati a generare ulteriori terremoti o scosse di assestamento? Se ne
possono indicare tre principali:
• lo sviluppo tumultuoso del mercato degli smartphone e dei tabl,et,origina-
to da Appie con il lancio dell'iPhoneneI 2007 e dell'iPadneI 2010 e con il
conseguente rafforzamento del suo AppStore. che da un lato 4,a quasi ob-
bligato Google a entrar e in gioco per difendere il suo mercato nella pub-
blicità e messo in crisi il leader storico Nokia; che dall'altro minaccia la
centralità dei PC e di conseguenza le posizioni di chi - come Microsoft,
Intel o HP- sui PC ha per tanti anni prosperato;
• lo sviluppo tumultuoso, che potrebbe portare a una nuova bolla Internet,
dei social network: in primo luogo di Facebook, che per creare valore deve
ridimensionare la leadership di Google nel mercato della pubblicità e
quella di Amazon nell' e-commercee allo stesso tempo contenere le velleità
di espansione di Appie in ambedue i mercati;
• l'esplosione del cwud computing, per il momento soprattutto a livello di
offerta di servizi: che non solo coinvolge la quasi totalità dei protagonisti
dell' Information Technology- IBM, HP, Microsoft, Amazon, Accenture ecc.
- nei servizi ai clienti-imprese, ma che viene sfrut~to anche strategica-
mente da Appie (con iCwud), piuttosto che da Google o Amazon, per ga-
rantirsi la fedeltà dei clienti-persone.
Un quarto fatto nuovo potrebbe diventare importante nel prossimo futuro: il
ruolo rilevante che la Cina vuole giocare - e in parte sta già giocando - nel-
l'ICT, forte dei suoi numeri sul mercato interno (divenuto ad esempio il pri-
mo al mondo per i PC) e della protezione che essa riesce a garantire alle sue
imprese sul mercato internazionale.
Smartphonee tablet
7. Google ha acquisito nell'agosto 2011 per 12,5 miliardi di$ Motorola Mobilicy, la componente
di Mo toro la operante negli smartphonee nei tabletoggetto di uno spin-offnel gennaio 2011. La
decisione, motivata come detto dall'esigenza di Google (e in particolare di Android) di di-
sporre di un portafoglio brevetti che la rendesse meno esposta agli attacchi di società come
Appie e Microsoft, ha destato molti dubbi per due ragioni: per il rischio che la dominanza di
Android fra i sistemi operativi per smartphone potesse essere messa in crisi dal nuovo ruolo di
Google non solo come fornitore ma anche come competitore diretto, rischio che Google ha
minimizzato impegnandosi a gestire Motorola Mobilicy come un'unità completamente sepa-
rata; per il rischio che l'ingresso nell'hardware da parte di quella che da sempre era stata una
Internet company potesse alterarne negativamente la cultura d'impresa. La decisione di Goo-
gle, che ha preceduto di pochissimo l'uscita di HP (discussa nel seguito) dal comparto dei ta-
blet,ha anche aperto la possibilità di nuovi scenari: quali la possibile acquisizione di Nokia da
parte di Microsoft.
30 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
"Gartner, the research group, estimates that 17.7bn apps will be downloaded in 2011, a 117
per cent increase on last year (dal Finanaal Times del 20.2.2011). Revenue from mobile apps
is expected to surpass $15.lbn this year, including paid downloads and adve~tising revenue
generated by free apps, up from $5.2bn in 2010".
Ma anche Arnazon (94,7 miliardi di$ di valore di mercato a metà 2011 e 36,9 miliardi di ri-
cavi) potrebbe entrare in questa guerra, per difendere - cercando di contrattaccare - i suoi
interessi nell' e-commercee negli e-book."Appie vs. Arnazon is going to get fiercer (da The Wall
Street]aumal del 3.6.2011, "Appie vs. Arnazon: Another round of tablet wars?", di Dave Kan-
sas). [ ...] In a research report CLSA argues that Arnazon is getting dose to launching an
Arnazon-branded tablet to take on Appie. Arnazon would join a very crowded field that is
currently dominated by Apple's iPad. [ ... ] The Arnazon entrance into the tablet market
looks particularly intriguing, and it portends a bigger battle between the online retailer and
Appie, which is a formidable online retailer itself via iTunes. Arnazon has 137 million user ac-
counts, Appie iTunes has 160 million user accounts. Appie has sold more than 100 million e-
books since launching its book service back in Aprii, which Arnazon has certainly noticed. It
has slashed prices for its Kindle device since Appie got into the e-book game. Also, Apple's
launch of iCloud, along with Google's cloud computing efforts, could create additional chal-
lenges for Arnazon. 'Given the existence of Appie and Google ecosystems by way of Appie
and Android devices, Arnazon's business will be under threat of direct attack once Appie and
Google drive adoption of their native cloud services (i.e., books, music, video, storage).
However, Appie and Google's pursuit of establishing adoption of their clouds is more threa-
tening to Arnazon than Arnazon's pursuit of a tablet,' CLSA says [ ...] ".
Socialnetwork
200%
150
100
50
o
2010 2011
Fonte: The WallStreetjournaldel 19-4-2011,"In Silicon Valley, investors are jockeying like it's 1999", di Monica Langley.
32 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
In panda a Facebook sono nel frattempo nate e cresciute diverse imprese, ag-
gregando le persone sulle basi più diverse: Zynga mette ad esempio a disposi-
zione giochi elettronici innovativi (l'idea di business è di vendere virtual goods
in cambio di real money);Groupon organizza gruppi di acquisto finalizzati alla
riduzione dei prezzi.
~
Zynga, che ha 232 milioni di utenti unici per mese in 166 paesi e che-cresciuta moltissimo a
partire dal 2007 - ha avuto nel 2010 ricavi (al lordo del pedaggi,o da pagare a Facebook) di
quasi 600 milioni, punta con l'IPO a un valore implicito fra i 15 e i 20 miliardi di$. Groupon,
che ha rifiutato i 6 miliardi offerti da Google per acquisirla, mira con l'IPO a un valore simi-
le a quello di Zynga: è una società che presenta un forte tasso di crescita e ricavi rilevanti
(650 milioni di$ circa nel primo trimestre 2011); ma ha anche perdite molto rilevanti (450
milioni circa nel 201 O), ha un businesscon basse barriere ali' entrata ed è molto labour-inten-
sive (7 mila addetti).
PCe sistemioperativiper PC
Quello che avviene nel principale teatro di guerra, e nei suoi dintorni, -crea
scompiglio anche in altri teatri di guerra sino a poco tempo fa completamen-
te separati.
Dominato da Microsoft per la componente software e storicamente da In-
tel per i microprocessori, il mercato dei PC ha visto nell'ultimo decennio l'en-
trata prepotente dei produttori asiatici (in primo luogo di Lenovo e Acer che-
si contendono il terzo posto nel mondo) per crescita organica e/ o acquisizio-
ni, il sorpasso ai vertici di Dell da parte di HP e la rivitalizzazione della presen-
I. L'impresa I 33
"Some research firms have even started to look at tablets as part of the PC market when de-
termining market share, which significantly changes Apple's position (da The Wall Street]our-
nal del 15.8.2011, "Microsoft Faces the Post-PC World", di Nick Wingfield). Canalys, for ex-
ample, now calls Appie the second-largest PC vendor, after Hewlett Packard. Adding in
iPads as well as Macs ~ which only accounted for about 5% of global shipments - the firm esti-
mates thatApple accounted for 13.6% in world-wide PC shipments in the second quarter, up
from 8.2% a year earlier, andjust a bit behind H-P's 15.7% share".
Videogames
Il mercato dei video games, di valore consistente, vede da diversi anni (come
detto) tre grandi competitori battersi fra loro con alterne vicende: Nintendo,
che ha avuto un ruolo pionieristico nel settore e che ha riconquistato la lea-
dership con l'introduzione di Wii qualche anno fa; Sony, a lungo leader con
due generazioni di PlayStation;Microsoft, ultimo entrato nel 2004, che sta co-
gliendo successi con l'introduzione di Kinect a integrazione di Xbox. La com-
ponente economicamente più consistente è quella delle console,ma parallela-
mente esiste una componente di consoleportatili, che anni addietro aveva visto
pure l'ingresso (non di particolare successo) di Nokia. Perché accostare que-
sto teatro di guerra al principale? Non solo perché Microsoft e-in misura mi-
nore - Sony sono presenti in ambedue i teatri, ma perché il cosiddetto casual
smartphonegaming, l'utilizzo cioè degli smartphone (e nel futuro in misura ere-
34 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
scente dei tabl,et)a scopo di gioco, rappresenta sempre più un sostituto estre-
mamente pericoloso.
Interessante a questo proposito la strategia di Sony, che offre i suoi giochi ai casual gamersu-
gli smartphone della famiglia Android e che ha fatto mettere a punto alla sua joint venture Sony
Ericsson uno smartphone concepito per essere facilmente usato come consol,eportatile.
Libri,giornali,musica,film e televisione
L'introduzione del formato elettronico per i libri, per i giornali, per la musica
e per i film - avvenuta ormai diversi anni or sono - ha progressivamente alte-
rato l'economia dei rispettivi settori.
La prima vittima è stata come detto la musica, resa gratuitamente disponi-
bile su Internet da siti pirati divenuti per questo famosi. Con l'entrata in cam-
po dell'iPod di Appie nel 2001 e soprattutto con gli accordi della stessa con le
case musicali per la vendita di brani musicali via rete a prezzo contenuto tra-
mite iTunes (forse il primo caso strutturato di ecosistemain questo ambito), il
settore della musica ha cambiato completamente assetto. Negli ultimi anni la
situazione si è ulteriormente modificata, con una vendita di CD ormai su li-
velli estremamente limitati e un novero di businessmodele di distributori in re-
te in espansione: un business model di successo è quello della svedese Spotify
(che ha una valutazione implicita di circa 1 miliardo di dollari), in fase di
espansione internazionale, che offre la musica in streaming invece che attra-
verso downwad; qualcosa di simile fanno le statunitensi Pandora (2,9 miliardi
di dollari di capitalizzazione, in fortissimo calo rispetto all'IPO) e Rhapsody,
mentre fra i nuovi distributori sono da citare Amazon e Google.
Il fallimento di Blockbuster, catena leader a livello mondiale nella distribu-
zione di film su DVD, testimonia come qualcosa di simile sia accaduto anche
per i film: dove l'avvento dei DVD aveva ridotto il numero di spettatori nei ci-
nema e dove l'avvento delle nuove forme di distribuzione - la rete ma anche
il digitale terrestre e il satellite - porta la vendita dei DVD a livelli estrema-
mente bassi. Come nella musica, Appie è leader nel downwad dei film, con
quasi i due terzi del mercato; seguono Microsoft (forte delle vendite di Xbox
Kinect) e Wal-Mart, il gigante della distribuzione da poco passato dalla vendita
di DVD a quella di film online, che si batte negli USA per il terzo posto con
Amazon e Sony. Come nella musica vi è un business model alternativo basato
sullo streaming,che ha fatto la fortuna di Netflix (che capitalizza più di 15 mi-
liardi di dollari) e che vede come nuovi entranti Amazon e Facebook.
Il tema del progressivo passaggio - nelle preferenze degli utenti - dal download allo streaming,
dall'acquisto cioè di un brano musicale o di un film all'acquisto (più economico) del diritto
di ascoltare il brano o di vedere il film, è di particolare interesse. "Rent or buy? The house-
hunter's dilemma is becoming an increasingly serious question for media companies as they
contemplate the digitai era's latest upset to their businesses models (dal Finandal Times del
r. L'impresa I 35
15.6.2011, "Content owners find nothing going on but the rent", di Andrew Edgecliffe:Jobn-
son). Content companies bave long mixed various methods ofmaking money into their mo-
dels, notably advertising, taking a cut of subscriptions to services sucb as cable television, or
selling pbysical media sucb as CDs, DVDs or video games. [ ...] Recent figures on wbat media
consumers actually buy, particularly in the most advanced media markets, are mucb less reas-
suring. US consumer spending on bome video fell 3.3 per cent last year. DVD sales, even in-
cluding Blu-Ray discs, bave been falling since 2007, and the US pbysical video market was
down 14.9 per cent. [ ...] Digitai music downloads from stores led by Apple's iTunes are now
sputtering, rather tban compensating far the long slide in CD sales, and tbe US video game
market bit a four-year low, driven down by a 20 per cent fall in packaged software sales year-
on-year. [ ...] Tbe trend is clear. A significant sbift is emerging, away from payment models
that involve buying and owning content that is stored on a device and toward paying far the
rigbt to consume it on a rented basis via streaming from cloud-based services. Tbe tale of
pbysical media substitution by less lucrative digitai forms is a familiar one, but the sbift from
ownersbip to rental or access models could be as important as a secular cbange. [ ...] What
sbould worry media companies is thatAmericans bave become 'a nation of renters'. [ ...] As
consumers move from high-margin purcbases to low-margin rentals, studios' annual profit
per household would tumble from $135 in 2005 to just $89 by 2015. Tbe rent-versus-buy
equation has been different in music, because people wbo migbt watch a film only once or
twice would listen to a song dozens of times. On-demand access far a monthly fee cbanges
that equation, however, and streaming or access models such as Pandora and Spotify are gai-
ning ground wbile downloads flatline. In the digitai world, owning big video files also bogs
hard drive space, pushing consumers to streaming services instead. Why do most content ow-
ners see new services using storage in the digitai 'cloud' as an incrementai growth opportu-
nity? First, they encourage ownersbip: users get access from any device to content they bave
already bougbt. [...] Finally, media owners know that there are rational and irrational rea-
sons to believe thai rental and ownership models can still co-exist. [ ...] With compelling con-
tent, and the right packaging, you can still persuade people to buy. Since Tbe Beatles' arrivai
on iTunes in November, 1.3m digitai copies of tbeir albums bave sold, belped by extras such
as exclusive documentary footage [... ] ".
Per i libri la prima rivoluzione, nei secondi anni '90, aveva toccato solo i mec-
canismi distributivi di un prodotto che rimaneva cartaceo. Amazon, con i suoi
algoritmi per delineare il profilo e i gusti dei clienti, era stato il vincitore asso-
luto di questa fase e aveva ampliato il suo raggio d'azione internazionalizzan-
dosi da un lato e diventando dall'altro un operatore di e-commerce a tutto cam-
po. Alla prima fase ne è seguita una seconda, che vede l'affiancamento del
formato elettronico a quello cartaceo e l'entrata in campo dei lettori elettro-
nici - primo fra tutti il Kindl,edi Amazon - dotati di biblioteca virtuale (ossia di
possibilità di memorizzazione di molti testi) e di capacità incorporata di ac-
quisto di nuovi titoli via etere. L'entrata in gioco dell'iPad nel 2010- cui han-
no fatto seguito nel 2011 una seconda versione dello stesso e un'intera fami-
glia di tabl,etbasati sull'Honeycomb di Google (l'uno e gli altri dotati di stare
per gli acquisti) - mette in gioco come detto un importante sostituto e ari-
schio la supremazia di Amazon; mentre nel frattempo, in primo luogo negli
USA, prosegue il processo di radicale ridimensionamento delle librerie fisiche.
Amazon reagisce però con vigore, giocando la carta della crescita anche sacrificando i mar-
gini. 'The Seattle-based company (dal Finandal Times del 26.7.2011, "Amazon sales surge
most in a decade", di Barney Jopson) reported that its second-quarter revenue jumped 51 %
to $9.9 billion, which Amazon finance chief said was the company's best growth rate in 10
36 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
years. But the increased sales carne at a high cost, as the company spends heavily to add wa-
rehouses and digitai offerings. The online retailer's profit fell 8% [ ...] as operating expenses
rose 54%. Operating margins were squeezed to 2.0%, down from 3.3% from a quarter ear-
lier and 4.1 % a year earlier [...] ".
Per i giornali la scelta storica (forse obbligata) di creare siti a libero accesso di
supporto alla carta stampata ha contribuito a innescare un fenomeno, accele-
ratosi poi con la crisi, di drammatica discesa del numero di copie vendute e -
in connessione - dei ricavi pubblicitari. Solo a pochi, al notissimo quotidiano
economico-finanziario statunitense The Wall StreetJournal in prima posizione,
era riuscito sino a poco tempo fa il passaggio a una logica di pagamento per
molti dei contenuti del sito. La novità si è avuta con l'awento dell' iPad, che -
insieme con i tabl,etsimilari che stanno approdando sul mercato - viene visto
dagli editori di giornali come una possibile ancora di salvezza per ricavare de-
naro dalla vendita via rete dei giornali: un qualcosa di simile a quello che l'i-
Pod rappresentò per le case discografiche.
Per la televisione la minaccia è meno direttamente connessa agli~smartphone
e ai tablet,ma precede in un certo senso il loro attuale sviluppo. La navigazio-
ne su Internet e ora sempre più la frequentazione dei sodal networksottraggo-
no fisicamente parte del tempo libero prima dedicato dai singoli e dalle fami-
glie alla televisione; riducono quindi l'audience e con essa coeterisparibus i rica-
vi pubblicitari.
Ma qualcosa si muove anche in questo ambito. "Appie TV customers will be able to watch
Major League Baseball and National Basketball Association games after the tech group si-
gned deals with the sports leagues, in a sign that cable companies will face more online
competition (dal Finanaal Times del 10.3.2011, "Appie TV to offer sports leagues", di David
Gelles). The deal could signal a shift in thinking for sports leagues about how they make
their content available online. Originally launched in 2007, Appie TV failed to gain traction
until a new version was unveiled in September last year. In December, Appie said it had sold
lm of the devices, adding to speculation that US consumers were beginning to shift away
from cable subscriptions and consume more traditional entertainment content online
[ ...]".E in parallelo Google cerca da tempo di promuovere, con continui miglioramenti, la
sua Googk Tv.
Retitelecom
"Chi guarda lontano sa che la sfida strategica sarà quella regolatoria su scala globale con
Google, Appie, Facebook, Twitter, Skype e le legioni di applicatori che vengono ospitati
sugli smartphone (dal Corrieredella Sera del 9.3.2011, "Telecom nella partita delle nomine/
Bernabè e le nuove sfide Internet", di Massimo Mucchetti). Le compagnie di telecomuni-
cazioni stanno perdendo irrimediabilmente terreno nei servizi a valore aggiunto, che 10
anni fa rappresentavano la loro nuova frontiera, e si vedono erodere anche il traffico voce
da 'usurpatori' che si awalgono delle loro reti, architrave del protocollo Internet, ma non
pagano né fanno pagare i loro clienti-applicatori assorbendo, in compenso, crescenti ca-
pacità trasmissive [ ... ] ".
Cloudcomputing
Nell'ambito della guerra in atto "tutti contro tutti" avrà un ruolo importante,
come in diversi punti accennato in precedenza, il cosiddetto cloud computing.
la modalità cioè, in forte crescita (seppur con significativi ostacoli da superare
in termini di continuità del servizio, di privacy e di regolamentazione), di for-
nire in outsourcing e spesso con una formula pay per use - agli individui e alle
imprese - una serie di servizi sostitutivi o compleme:qtari rispetto al mantene-
re "in casa" un'infrastruttura informatica e/ o disporre "in casa" di tutto il
software necessario.
È il doud computing che può permettere ai tabi.etdi disporre di una serie di
potenzialità tipiche dei PC e di sostituirli nella soddisfazione dei bisogni di in-
numerevoli utenti. È ricorrendo al cloud computingche diverse imprese - ope-
ranti nell'offerta di musica, film e libri - già offrono ai loro clienti la conser-
vazione di quanto acquistato in una memoria remota, cui possono nel seguito
accedere liberamente attraverso qualunque tipo di device (dal PC al tabi.etallo
smartphone).
E nell'offerta di servizi di cloud computingsi ritrovano i principali protago-
nisti della guerra in corso: Apple, Google, Microsoft e Amazon. Mentre fra i
principali produttori di infrastrutture per il cloud computing si ritrovano an-
che HP e Dell, citate in precedenza in relazione ai PC e - la prima - anche ai
tabi.et.
38 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Pagamenti
Vale pure la pena citare quello che potrebbe essere un importante campo di
espansione nel prossimo futuro: i pagamenti - invece che mediante carte di
credito, bancomat, assegni o contanti- con il ricorso a una nuova generazio-
ne di smartphone (in fase di apparizione) che permettano, come già avviene da
tempo in Giappone, il riconoscimento contactkss dell'acquirente da parte di
apposite apparecchiature installate nei punti di vendita: attraverso l'uso della
tecnologia cosiddetta near-fìel,d-communication (NFC). Il successo è ovviamente
condizionato dalla diffusione di tali apparecchiature e dai tempi con cui essa
si verificherà, 1na la posta in gioco è piuttosto elevata. In gara per sottrarre
margini alle banche, per i pagamenti relativamente piccoli, ci sono gli opera-
tori telecom: che potrebbero incorporare i relativi ammontari nei conti te-
lefonici. In gara per i pagamenti più consistenti, per operare insieme con i ge-
stori di carte di credito o per diventare loro concorrenti, i soliti Appie e Goo-
gle (forte la prima dei 200 milioni di persone che hanno già utilizzato il suo si-
stema di pagamento per gli acquisti in rete di canzoni, film e apps e presente
la seconda con il suo CheckOut), eBay con il suo popolarissimo PayPal e Ama-
zon con Amazon Payments.
Un uso creativo (ancorché invasivo) della tecnologia NFC, in un contesto di importanza cre-
scente della geo-localizzazione per inviare selettivamente ai possessori di smartphone "in zo-
na" messaggi sulle iniziative delle strutture commerciali locali, potrebbe essere quello - in-
travisto da Google-di retrocedere alle strutture stesse che hanno pagato per l'invio dei me1---
saggi le informazioni sugli acquisti dei clienti tramite CheckOut.
Non rappresenta sicuramente un fatto nuovo, nel mon~o ICT, il ricorso alle
authority antitrust come strumento competitivo.
Microsoft è rimasta per molti anni nel mirino delle authority USA e UE con l'accusa di abusa-
re della sua posizione dominante nei sistemi operativi per PC per bloccare la crescita dei pro-
duttori di software specialistici. Google vi è entrata più recentemente, in relazione ad acquisi-
zioni che avrebbero potuto rafforzare ulteriormente la sua posizione dominante nei motori
di ricerca. ·
'The Jus~ce Department is intensifying an investigation into whether tech giants including
Appie, Microsoft and RIM could use a recently acquired trove of patents to unfairly hobble
r. L'impresa I 39
com peting smartphones using Google 's Andro id software (da The Wall StreetJournal del
30.7.2011, "Nortel patent probe picks up", di Thomas Catan). A consortium of six compa-
nies last month paid $4.5 billion to acquire a portfolio of 6,000 patents auctioned by the
bankrupt Canadian telecom equipment maker Nortel, thwarting Google's interest. The fi-
nal amount, five times Google's originai $900 million bid, stunned observers and raised con-
cerns about how the consortium intended to use them. [ ...] Google says that the bid was 'a
sign of companies coming together not to buy new technology, not to buy great engineers or
great products, butto buy the legal right to stop btllter people from innovating'. [ ...] Android
supporters say that the six would never bave paid so much if they merely wanted the patents
to protect themselves against lawsuits: because Microsoft, for example, already had a license
to use the patents, so it wouldn't face any law suits whoever owned them.
Google has already come under attack. Appie (which also has been on the receiving end of
such suits, recently settling a case brought by Nokia) sued a number ofhandset makers using
Android, including HTC, Samsung and Motorola. [...]
The Justice Department could still impose conditions on the parties. In Aprii, the Depart-
ment forced a consortium of companies including Microsoft, Apple and Oracle to promise
not to use a portfolio of patents it had acquired to unfairly hurt rivals and Microsoft was
forced to give up the patents it was buying and license them instead. 'We're seeing a situation
where big companies seem more willing to try to use, and in essence misuse, their patent
portfolio in a really aggressive way to go after open-source products and weaker competi-
tors,' said the president of the Computer & Communications Industry Association, a tech
lobbying group. 'That's really troubling"'.
"[ ... ] As always in tech bubbles ("Patent hunting is latest game on tech bubble circuit", di Ri-
chard Waters, 27.7.2011), it is the 'pure plays' that bave drawn the most interest - in this ca-
se, the companies set up mainly to exploit the value of pure IP, rather than actually to build
things. Shares in InterDigital, which specialises in mobile communications IP, bave soared 75
per cent since it said last week that it was looking at putting itself up for sale: with a market va-
lue of $3.2bn even before any auction begins. [ ...] But even that pales in comparison with
VirnetX. Despite baving only one licensee for its internet security technology and royalties of
just $17,000 in its latest quarter, VirnetX's 14 US and 16 non-US patents pack a punch: with
lawsuits out against Cisco, Appie and Avaya, among others, its stock market value bas jumped
more than fivefold in the past year, to $1.6bn. [ ...] The battle over the smartphone market
has greatly raised the stakes. That is partly because of the buge amount of money the rivals in
this figbt bave on band. (Appie just revealed that it is putting up $2.6bn of the $4.Sbn that
the winning consortium of tecb companies agreed to pay for the Nortel patents.) But it also
reflects the unusual imbalance that exists in this market: with relatively little IP to their na-
mes, companies sucb as Apple and, in particular, Google, bave little cboice but to pay up.
Tbis distorts prices [... ] ".
La tabella1.1 riporta l' elenco 12 dei tap 15 gruppi mondiali operanti nell'indu-
stria e nei servizi. Essa fornisce, oltre ai ricavi, anche l'utile realizzato nello
stesso anno e il numero di addetti, nonché - con riferimento a metà 2011 - il
valore di mercato. Non sono inclusi nell'elenco i gruppi bancario-finanziario-
assicurativi, per la loro disomogeneità dal punto di vista della tipologia delle
entrate e dei criteri di contabilizzazione.
In termini di nazionalità, di paese cioè sede dei quartieri generali ( headquar-
ters),i gruppi statunitensi sono sei (due dei quali al primo e al terzo posto), gli
europei sei, i cinesi due e i giapponesi uno.
In termini di settore,ben nove gruppi sono petroliferi (di cui cinque nelle
prime sei posizioni) e quattro automotoristici. Wal-Mart, che occupa il primo
8. Tutte le considerazioni svolte in questo paragrafo fanno riferimento alla situazione esistente
al momento della consegna del testo all'editore: situazione che potrebbe essere diversa al mo-
mento della lettura, data la forte dinamicità che caratterizza (come si è già affermato e come
si affermerà più volte nel seguito) il contesto economico-finanziario.
9. Si sono utilizzati come fonti per i dati quantitativi Financial Times e Financial Times FT Global
500 (www.ft.com), Mediobancae R&S (www.mbres.it), ai cui siçi si rimanda per informazioni
aggiuntive. Per gli aspetti di natura più qualitativa e i legami azionari si possono consultare di-
rettamente i siti delle società.
10. Con il termine gruppo si fa riferimento a un insieme più o meno aµipio di imprese, con una
loro connotazione giuridico-societaria autonoma, possedute o comunque controllate diretta-
mente o indirettamente da una società - denominata solitamente holàing- nel cui ambito so-
no collocati i quartierigeneralidel gruppo stesso; i dati economico-finanziari dei gruppi (quali
quelli qui riportati e salvo ove diversamente indicato) sono consolidati,calcolati cioè come se i
gruppi stessi fossero monolitici.
11. Il termine valoredi mercatoè qui utilizzato come sinonimo di capitalizzazionedi borsa,in relazio-
ne a imprese quotate nelle diverse borse; esso è calcolabile come prodotto della quotazione
della singola azione (se ne esiste un solo tipo), quale riportata nelle pagine economico-finan-
ziarie di un qualunque quotidiano, per il numero di azioni.
12. L'elenco da cui sono tratti i top 15 è l'FT Global500, owero l'elenco delle 500 società quotatea
maggiore capitalizzazione, a prescindere dalla loro nazionalità e dalla borsa (o borse) di quo-
tazione. Potrebbero quindi non essere compresi gruppi non quotati. I dati relativi ai ricavi e al-
l'utile netto del 2010, in dollari nell'elenco, sono stati convertiti in euro al tasso di cambio del
31 dicembre 2010. I valori di mercato dei top 15- nella classifica originale relativi al 31 marzo
2011 - sono stati aggiornati a metà 2011 e ove necessario convertiti in euro, sempre utilizzan-
do il Financial Times come fonte ufficiale, per renderli più facilmente comparabili con quelli
delle imprese italiane discussi nel sottoparagrafo1.5.2.
I. L'impresa I 41
Legendasettori
A: Generai Retailers; B: Oil & Gas; C: Automobiles & Parts; D: Generai lndustrials.
posto, è la principale catena distributiva del mondo con oltre 2 milioni di ad-
detti. Generai Electric {cfr. paragrafo 2. 2.3), famosa per la sua longevità, è la
sola società conglomeral,e-in ambito sia industriale sia finanziario - in classifi-
ca. Eni è l'unico gruppo italiano fra i top15.
La posizione dei gruppi petroliferi 13, cresciuti dimensionalmen~ con i processi di fusione
"tra grandi" della fine degli anni '90, è dovuta anche all'aumento post-crisi del prezzo del pe-
trolio. La posizione dei gruppi automotoristici può essere spiegata con la rilevanza che le eco-
nomie di scala (cfr. sottoparagrafo5. 8.1) hanno nel comparto.
Con 22,8 miliardi di euro Exxon Mobil - che capeggia pure la classifica per
valore di mercato - è prima fra le top15 per utile, superata però dalla russa
Gazprom con 23,8: una cifra non molto inferiore, per fornire un ordine di
grandezza, a quella degli interi ricavi della nostra Telecom Italia. Al di sopra
dei 15 miliardi di euro di utile si collocano altre tre società petrolifere - Petro-
china, Petrobras e Royal Dutch Shell - mentre le prime non petrolifere (poco
al di sotto dei 15) sono AT&T e Microsoft.
La tabell,a1.2guarda invece al valore di mercato 14 delle società quotate che so-
13. Si vedano al termine del presente paragrafo le considerazioni relative ai gruppi petroliferi di
proprietà degli stati emergenti detentori delle riserve di petrolio, che - in quanto non quotati
- non sono presi in considerazione in questa classificazione.
14. La tabella riporta i dati delle prime 29 imprese al mondo con valore di mercato (a metà 2011)
L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
42 I
TABELLA 1.2 - I principaligruppi mondiali per valore di mercato
Legendasettori
A: Generai Retailers; B: Oil & Gas; C: Automobiles & parts; D: Generai industrials; E: Technology hardware &
equipment; F: Banks; G: Mining; H: Food producers; I: Software & computer services; L: lnsurance; M: Mobi-
le telecommunications; N: Fixed line telecommunications; O: Pharmaceuticals & biotechnology; P: Hou-
sehold goods & home construction; Q: Beverages.
superiore a 100 miliardi di€ e delle successive 6 imprese con valore di mercato superiore a 90
miliardi di €. I dati di utile netto - tratti dalla già richiamata classifica fT Global500 redatta in
dollari -sono relativi all'anno 2010 e sono stati convertiti in euro al tasso di cambio del 31 di-
cembre 2010. I dati di valore di mercato (capitalizzazione di borsa) - nella classifica originale
relativi al 31 marzo 2011 - sono stati aggiornati a metà 2011 e ove necessario convertiti in eu-
ro, per le medesime ragioni già richiamate in precedenza.
I. L'impresa I 43
no ai vertici dei gruppi e include, a differenza della tabella 1.1, anche le banca-
rio-finarµ:iario-assicurative - quali Berkshire Hathaway e JPMorgan Chase - che
dal punto di vista della quotazione e del valore risultano del tutto omogenee alle
altre. Essa riporta in particolare la fotografia, "scattata" a metà 2011, delle prime
35 società per valore di mercato: 17 delle quali statunitensi, 6 cinesi, 3 inglesi, 2
svizzere, 2 brasiliane, 2 australiane, una francese, una giapponese e una russa.
Una fotografia divisa in due parti: quella superiore relativa alle aver 100, alle 29
società cioè con un valore superiore ai 100 miliardi di euro; quella inferiore rela-
tiva alle 6 società con un valore compreso fra 90 e 100 miliardi di euro.
Exxon Mobil capeggia la classifica, con altre tre società petrolifere nelle pri-
me otto posizioni e complessivamente sette nelle prime 35. Appie (cfr. paragrafo
1.4), al secondo posto, ha rubato a Microsoft il quasi storico ruolo di società di
maggior valore nell'ambito ICT: un comparto che ha ben tre società nelle top
1Oe otto nelle prime 35. Pure otto sono le società bancario-finanziario-assicura-
tive, tre le minerarie e tre le farmaceutiche. Nestlé, al settimo posto 15, e Coca-
Cola rappresentano rispettivamente i comparti food e beuerages. Generai Electric
è l'unica vera società conglmneraledella lista, in una posizione più arretrata ri-
spetto a un passato che l'aveva vista spesso alternarsi in una delle prime tre posi-
zioni con Exxon Mobil e con Microsoft. Wal-Mart è l'unica società di distribu-
zione e Procter & Gamble (cfr. paragrafo1.1) l'unica nei beni di largo consumo.
Toyota - fatto a prima vista più sorprendente per il contrasto con la classifica
per ricavi - è a sua volta la sola impresa automotoristica fra le prime 35: con
Daimler, Volkswagen e Honda distanziate oltre il novantesimo posto.
Ormai arrivato alla saturazione nei paesi tradizionalmente ricchi,il mercato automotoristico
cresce solo nelle economie emergenti. Il mercato cinese ha superato per dimensione nel
2010 quello statunitense. La concorrenza rimane molto alta: perché le concentrazioni - at-
traverso acquisizioni e/ o fusioni di imprese di dimensione rilevante - sono relativamente ra-
re; perché la più importante di esse sinora effettuata, fra Daimler e Chrysler, si è conclusa nel
2007 con un divorzio, cui hanno fatto seguito nel 2009 il fallimento di Chryslere l'entrata in gi,ocodi
Fiat (cfr. schema 1.4); perché le imprese che falliscono - oltre a Chrysler nel 2009 fallì anche
General Motors, che per decenni era stata l'impresa leader su scala mondiale -vengono in
generale rimessein vita dai loro governi, per il contributo che esse danno al PIL e all'occupa-
zione (diretta e indotta); perché nei mercati nuovi nascono nuovi competitori, che giocando
sul mix protezionismo-bassicostidel lavoro-bassistandard richiestipossono poi crescere in quantità
e qualità e presentarsi sui mercati mondiali.
15. L'utile netto di Nestlé riportato in tabella di 8,8 miliardi di€ è stato ottenuto depurando il
contributo di 18,75 miliardi proveniente dall'operazione straordinaria (discontinuedoperation)
di riacquisto da parte di Novartis del 52% della Alcon detenuto da Nestlé.
44 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Lo schema 1.2 mette in luce i profondi cambiamenti nei valori assoluti e relati-
vi delle principali società del mondo intercorsi fra metà 2007 (quando fu pub-
blicata la quarta edizione di questo libro) e metà 2011: cambiamenti in parte
direttamente imputabili alla grande crisi iniziata nel 2008, in parte connessi a
dinamiche geo-politiche e/ o settoriali spesso accelerate dalla crisi. Mette in
luce in particolare come sia diminuito - da 34 a 29 - il numero delle società
over 100, delle società cioè con un valore di almeno 100 miliardi di euro; e co-
me ben 14 delle 34 over 100 del 2007 non lo siano più nel 2011.
La classifica per valore guarda ovviamente, come detto, solo alle società
quotate'.Vi sono però società non quotate che, se valutate con criteri simili a
quelli delle quotate (cfr. appendice1.2), verrebbero a occupare posizioni di ri-
levanza assoluta.
r. L'impresa I 45
Lo dimostra uno studio realizzato da McKinsey per il F'inanrial Times, volto a individuare le top
150 società non quotate su scala mondiale. "[ ...] Private and state companies (dal Financial
Times del 15.12.2006, "Hidden value: how unlisted companies are eclipsing the public equity
market", di Francesco Guerrera) are lagging behind publicly traded companies. McKinsey
estimates that the world's largest non-public 150 companies would be worth a total $7,000bn
(€5,313bn) if they had been listed in 2005 - roughly half the market value of their quoted
counterparts. [...] Twelve of the largest 13 companies are state oil groups from developing
countries. Such government-owned entities contrai three-quarters of the world's oil reserves
[...] ". In una classifica "ricostruita" 16 per il 2007 la società di Stato arabo-saudita Saudi Aram-
eo, con un valore di 593 miliardi di €, sarebbe balzata al primo posto assoluto davanti a Exxon
Mobil. Petr6leos Mexicanos (Pemex) e Petr6leos de Venezuela, con valori rispettivamente di
315 e 295 miliardi di€, si sarebbero collocati immediatamente alle spalle di Exxon Mobile
Kuwait Petroleum Corporation (287) poco lontana. La malese Petroliam Nasional Berhad
(Petronas) e l'algerina Sonatrach, con valmi rispettivamente di 176 e 170 miliardi di€, si sa-
rebbero collocate prima di BP, e la National lranian Oil Company (167) alla pari.
Il confronto prescinde sia dalle erogazioni dalle società agli azionisti - dividendi ordinari e/o
straordinari e/o buyback- sia dagli aumenti di capitale a pagamento sia dagli eventuali aiuti pub-
blici corrisposti nel frattempo. Esso quindi non vuole né può essere utilizzato per calcolare il valo-
re creatoo distruttofra le due date.
È sceso innanzitutto, da 34 a 29, il numero di società over 100, delle società cioè con
un valore pari ad almeno 100 miliardi di euro.
Vi è stato un notevolissimo ricambio nelle top 10. Sono uscite Citigroup e BP, la prima
per essere rimasta coinvolta nella crisi del sistema bancario statunitense e la seconda
per aver causato con un suo pozzo un rilevantissimo danno ambientale nel Golfo del
Messico: con una caduta del valore, al di sotto della soglia dei go miliardi di euro, che
le ha escluse dal gruppo delle prime 35. È uscita Toyota (-42,8%), pur rimanendo nel-
la fascia bassa (quella fra go e 100 miliardi di euro di valore), a seguito delle difficoltà
della domanda nel settore automobilistico ma anche di errori che ne hanno danneg-
giato l'immagine. Sono uscite Generai Electric (-53,7%), Gazprom (-38,6%) e AT&T
(-30,9%), rimanendo però nelle over100: Generai Electric, in particolare, è stata forte-
mente penalizzata dalla crisi nella sua componente finanziaria GE Capitai. È rimasta
Exxon Mobil, sempre in testa alla classifica, ma con una perdita di valore superiore al
20 per cento. Sono rimaste Microsoft e Royal Dutch Shell, con una perdita di valore
prossima al 30 per cento la prima e un po' superiore al 20 la seconda. È rimasta l&C
Bank of China, con un leggero incremento di valore. Sono entrate Nestlé e I BM, che
già nel 2007 erano nelle over 100, con crescite del valore superiori al 40 per cento la
prima e al 20 la seconda. Sono entrate - tutte con crescite del valore superiori o larga-
mente superiori al 50 per cento - Appie al secondo posto, la cinese Petrochina e la
brasiliana Petrobras (settore petrolifero) al terzo e quinto posto, l'australiana BH P Bil-
liton (settore minerario) al sesto posto.
Sono complessivamente 14 su 34- oltre il 40 per cento - le società che non fanno più
parte delle over100: le quattro con un valore più prossimo a tale soglia (Bank of China,
Vodafone e Total, oltre a Toyota) appaiono nella fascia bassa delle prime 35; le restanti
dieci (Bank of-America, American lnternational Group, Cisco, Roche, GlaxoSmithKli-
ne, Altria, Eni e lntel, oltre a Citigroup e BP) sono uscite dalla lista. Mentre sono nove
le società che entrano a far parte delle over100 (China Construction Bank, Oracle, Va-
le, Coca-Cola e Wells Fargo, oltre a Appie, Petrochina, Petrobras e BHP Billiton), due
delle quali nell'ICT, due nel comparto bancario, due nel petrolifero, due nel minerario
e una nel beverage.
Le ragioni dell'uscita sono varie. Bank of America soffre, come Citibank, della crisi del settore
bancario-finanziario-assicurativo; così c~me American lnternational Group, nel 2007 leader
mondiale nelle assicurazioni, salvata dal fallimento dall'intervento pubblico. La svizzera Roche
e l'inglese GlaxoSmithKline, due delle più famose società farmaceutic_he del mondo, soffrono
come visto della difficoltà di trovare nuovi prodotti di successo in sostituzione di quelli per cui
scade il brevetto. La statunitense Cisco soffre della crescente conco.~renza, e della guerra dei
prezzi, nei suoi comparti di forza tradizionali legati a Internet, nonché della difficoltà di trova-
re nuovi comparti con margini elevati. L'altra statunitense, lntel, regina nei microprocessori
per PC, dell'errore strategico di non aver compreso per tempo le potenzialità di crescita degli
smartphone e dei tablet, lasciando crescere nuovi concorrenti in questi ambiti. E la nostra Eni,
come si vedrà nel seguito, subisce cali di valore molto più elevati che gli altri grandi gruppi pe-
troliferi: per difficoltà tecniche e conseguenti ritardi nello sfruttamento dei giacimenti di Ka-
shagan (Kazakistan), che hanno permesso ad altri gruppi concorrenti di acquisire quote e
posizioni di controllo; per difficoltà di ordine soprattutto politico, in paesi come la Libia e la
Nigeria.
1. L'impresa I 47
La tabel/,a1.3 17 riporta i dati fondamentali dei top 27 gruppi e delle top 6 hol-
ding di partecipazioniper ricavi- almeno 4 miliardi di euro nel 2010- operanti
in Italia nell'industria e nei servizi.
Sono presi in considerazione i gruppi e società con sede legale in Italia o comunque con
azionariato italiano, a esclusione di quelli bancario-finanziario-assicurativi riportati nella ta-
bellal .4. Sono riportate (in modo graficamente differenziato) nell'elenco anche le società
che a nostro avviso possono essere classificate con1e hol,dingdi partecipazioni:come società
cioè che hanno quale ruolo prevalente quello di detenere i pacchetti azionari delle società
industriali e di servizi controllate (o semplicemente partecipate) senza entrarne direttamen-
te nella gestione. Sono esclusi dall'elenco i gruppi facenti parte di gruppi più grandi riporta-
ti nell'elenco stesso (che non abbiano il carattere di hol,dingdi partecipazioni),e viceversa in-
clusi quelli appartenenti a gruppi a base estera (con l'esclusione delle filiali meramente
commerciali dei gruppi petroliferi e automobilistici) .
...
E una realtà, quella dei principali gruppi del nostro paese, in cui sono assai po-
chi (come visto) i gruppi giudicabili come grandi su scala internazionale - Eni,
Enel e Telecom Italia (cfr. schema1.3), Fiat e Fiat Industriai (cfr. schema1.4), Po-
ste Italiane 18 e Finmeccanica - ed è assai elevata la distanza fra i top 7 e gli altri. È
una realtà in cui hanno un ruolo molto forte i servizi infrastrutturali (energia,
telecomunicazioni, poste e trasporti), destinati in misura ampia (anche se fortu-
natamente minore che nel passato) o talora prevalente al mercato nazionale, in
cui risultano coinvolti ben sei dei primi dodici gruppi: Eni,
...
Enel, Telecom Italia,
Poste Italiane, Edison e Ferrovie dello Stato Italiane. E una realtà (cfr. schema
1.5) ancora dominata dai gruppi un tempo pubblici o tuttora pubblici.
Fiat rimane il principale gruppo industrial,edel paese, seguito da Fiat Indu-
striai e da Finmeccanica: società quest'ultima che opera principalmente nei
sistemi di difesa - owero negli armamenti - e che è cresciuta sensibilmente
prima della crisi con una strategia di importanti acquisizioni all'estero (vitali
per le commesse). Sono tre gruppi multinazionali nel senso più proprio del
termine, perché vendono all'estero una parte consistente del loro output e
perché all'estero sono basate molte delle loro attività di produzione e di R&D,
oltre ovviamente a quelle commerciali. Spendono cifre consistenti in R&D:
Finmeccanica (cfr. schema 2.24), 1,93 miliardi di euro, primo fra i gruppi ita-
liani e sedicesimo fra gli europei, e le due Fiatante-scorporo, 1,62 miliardi.
17. I dati presenti nella tabella e discussi nel testo sono tratti dai bilanci consolidati dei diversi
gruppi o comunque da informazioni riportate nei siti dei gruppi. Sono approssimati per di-
fetto, in assenza di informazioni aggiornate, i dati relativi ad alcune hol,ding.più specificamen-
te il consolidato Exor è stato posto pari a quello Fiat ante-scissione, il consolidato Techint è sta-
to calcolato sommando i dati delle principali società controllate; il consolidato Edizione è sta-
to calcolato come somma dei consolidati di Benetton Group, Autogrill e Atlantia (con una
forte sottostima degli addetti per la non inclusione delle attività agricole).
18. L'inclusione di Poste Italiane fra le società industriali e di servizi è giustificata per quanto con-
cerne i servizi postali (5,1 miliardi di€ sui complessivi 19,6 di ricavi, proventi e premi assicu-
rativi), mentre lo è meno per i servizi finanziari (4,7) e assicurativi (9,5).
48 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
* Le top 6 holdingdi partecipazionisono evidenziate completamente in corsivo (tra parentesi l'indicazione del-
la famiglia che ne detiene il controllo). Per i top 27 gruppiè indicata fra parentesi l'eventuale appartenenza a
una holdingo a un gruppo estero: in corsivo nel secondo caso.
(da The Wall Street]aurnal, "Globaldata company profiles") "Ferrero offers a large portfolio of
products under world renowned brands. The key products include Ferrero Rocher, Raffael-
lo, Mon Chéri, Nutella, Kinder Surprise, Kinder Chocolate, Kinder Bueno, Kinder Pingui
and Tic Tac. It takes pride in being one of the world's largest chocolate producers, making
treats such as chocolates and its origina! product, the chocolate-hazelnut spread, Nutella.
The key strength of the company is the leading market presence and global network. Apart
from domestic market, the company has presence in international markets across Europe,
Asia, Australia and Americas. [ ...] The company operates more than seventy affiliates in mo-
re than one hundred countries worldwide, which includes 38 business units, 15 production
plants and three social enterprises".
(dal sito www.edizione.it) "Edizione è una tra le maggiori holding di partecipazioni italiane,
con investimenti nei seguenti principali settori - tessile e abbigliamento, ristorazione e retail
autostradale e aeroportuale, infrastrutture e servizi per la mobilità - che fanno capo rispetti-
vamente a Benetton Group [2,05 miliardi di€ di ricavi e quasi 8 mila dipendenti], Autogrill
e Sintonia, che a sua volta è l'azionista di riferimento di Atlantia [ex-Autostrade, 3,71 miliar-
di di€ di ricavi e più di 10 mila dipendenti]. È presente anche in attività immobiliari e agri-
cole, diverse da quelle direttamente detenute dalle società sopra. citate, nel mondo dello
sport. Edizione non è quotata ed è interamente controllata dalla famiglia Benetton".
(da The Wall StreetJaurna~ "Globaldata company profiles") ''The Techint group is a diversi-
fied company, operating more than hundred companies. The group is engaged in steel mak-
ing; building of complex infrastructures; oil and gas exploration; production and designing
and assembling industriai plants; and selected public services. It also operates and manages
hospitals in Italy. The group operates six group companies, namely, Tenaris, leading supplier
of tubes and related services; Ternium [4,37 miliardi di€ di capitalizzazione di borsa e 5,53
miliardi di ricavi nel 2010], supplier of flat and long steel products; Techint Engineering and
Construction [circa 1 miliardo di€ di ricavi], specialist in design and construction of oil and
gas facilities, petrochemical plants, power plants and many others; Tenova [circa 1 miliardo
di € di ricavi], provider of leading technologies and capi tal goods for metal and mining;
Tecpetrol, involved in oil and gas exploration; and Humanitas, supplier of health services in
Italy. The group along with its subsidiaries operates in 38 countries".
I ricavi consolidati di 13,3 miliardi _di€ riportati nella tabella J.Jrappresentano una stima per
difetto, sulla base dei dati disponibili.
50 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Pirelli, il gruppo più antico per nascita e più agi,tatocome storia recente - per
l'acquisizione del controllo e poi l'uscita da Telecom Italia, l'uscita dal settore
dei cavi (ora Prysmian), l'entrata e poi l'uscita dal real estate- ha come azioni-
sta di riferimento Marco Tronchetti Provera e conserva la sua anima tradizio-
nalmente multinaziona/,enei pneumatici.
(da The Wall Streetjournal, "Globaldata company profiles") "Pirelli Tyre operates 19 plants in
11 countries throughout the world (Argentina, Brazil, China, Egypt, Germany, Uniteci King-
dom, Italy, Romania, Turkey, Uniteci States and Venezuela), and a commercial network that
covers over 160 companies. [...] During the fiscal year 2009, the Italy segment contributed
9% of the total revenue, followed by Rest of Europe (33%), North America (8%), Centrai
and South America (34%) and Africa, Asia and Pacific (16%) ".
"Barilla (da www.barillagroup.com) is one of the top Italian food groups: a leader in the pas-
ta business worldwide, in the pasta sauces business in continental Europe, in the bakery
products business in Italy and in the crispbread business in Scandinavia. [ ...] Barilla owns 49
production facili ties ( 14 in I taly and 35 outside I taly). Barill 4 exports to more than 150 coun-
tries, with the brands Barilla, Mulino Bianco, Voiello, Pavesi, Wasa, Harry's _(France and Rus-
sia), Lieken Urkorn and Golden Toast (Germany), Alixir, Academia Barilla, Misko (Greece),
Filiz (Turkey), Vernina and Vesta (Mexico)". Ha accresciuto nel 2010 la sua leadership nella
pasta negli U__SA, con il 29 per cento della quota in valore. Con Lieken è leader nel bread mar-
ket tedesco. E stato riconosciuto nel 2010 dal Reputation Institute "the 19th most reputable
company in the world and the most reputable company in Italy''.
"Le~der mondial_e (da ~-prysmian.it) nel settore dei cavi e sistemi ad elevata tecnologia
per 11trasporto d1 energia e per le telecomunicazioni, con ricavi pari a circa 7 miliardi di eu-
I. L'impresa I Sl
Non compare fra i top27Coop, leader nella grande distribuzione - con oltre 56 mila addetti
- davanti a Supermarkets Italiani, che si collocherebbe in ottava posizione, alle spalle di Fin-
meccanica, avendo avuto nel 2010 ricavi complessivamente pari a 12,9 miliardi di€. L'ano-
malia consiste nel fatto che Coop non ha una forma giuridica unitaria - anche se opera con
una logica di fondo unitaria e un marchio unitario e si avvale di Coop Italia per la gestione di
una parte rilevante degli approvvigionamenti e dei servizi comuni - ma si configura come
un sistema di cooperative di consumatori: oltre cento, con nove però che realizzano più del
90 per cento dei ricavi complessivi.
Mediaset è l'azionista di maggioranza - con il 50,5 per cento - di Mediaset Espaiia Comu-
nicaci6n (909,2 milioni di€ di ricavi), che opera prevalentemente in Spagna con il brandTe-
lecinco.
Due dei top27 gruppi sono di proprietà estera, essendo divenuti tali a seguito di
acquisizioni e successivi passaggi di proprietà più o meno lontane nel tempo: Vo-
dafone Italia (facente capo all'omonimo gruppo a base inglese) e Wind Teleco-
municazioni (facente capo al gruppo a base egiziana Sawiris confluito nel grup-
po a base russa Vimpelcom), ambedue operatori telecom. E un terzo, Parmalat,
è passato sotto il controllo del gruppo alimentare francese Lactalis - rafforzan-
done ulteriormente la presenza in Italia e la leadership mondiale - a metà 2011.
52 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Edison è in una fase di transizione al momento del licenziamento di questo testo, che po-
trebbe preludere all'assunzione del pieno controllo da parte del gruppo elettrico francese
EDF - tra i principali al mondo - che ne ha una quota superiore al 50 per cento, ma che è
stato costretto dal governo italiano a condividere pariteticamente la govemance con un grup-
po di soci italiani (di cui A2A è il più importante): in contropartita verrebbe smembrata Edi-
power, che Edison controlla al 50 per cento, e suddivise le sue centrali.
11profiloche Eni offre di se stessa su www.eni.com: "Eni opera nelle attività del petrolio e
del gas naturale, della generazione e commercializzazione di energia elettrica, della pe-
trolchimica e dell'ingegneria e costruzioni, in cui vanta competenze di eccellenza e forti
posizioni di mercato a livello internazionale. Ogni azione è caratterizzata dal forte impe-
gno per lo sviluppo sostenibile: valorizzare le persone, contribuire allo sviluppo e al be-
19. Le quote ~i prop~ietà azionaria cui si fa riferimento in questo e nel prossimo schema sono
tratte dal sito ufficiale della Consob (www.consob.it) e riferite a metà 2011. ,
1. L'impresa I 53
nessere delle comunità nelle quali opera, rispettare l'ambiente, investire nell'innovazio-
ne tecnica, perseguire l'efficienza energetica e mitigare i rischi del cambiamento climati-
co. Eni è presente in 79 paesi con circa 80 mila dipendenti". E il profilonel Portfolio
del Fi-
nancialTimes:"Eni is engaged in the oil and gas exploration and production, gas marke-
ting operations, management of gas infrastructures, power generation, petrochemicals,
oil fìeld services and engineering industries. Eni has operations in 79 countries. The
Company segments include Exploration & Production, Gas & Power, Refìning & Marke-
ting, Engineering & Construction, Petrochemicals and other activities [...]".
Eni è controllata dallo Stato - direttamente per il 3,9 per cento dal Ministero dell'Economia e delle
Finanze e indirettamente attraverso la Cassa Depositi e Prestiti per il 26,4 per cento - e possiede
azioni proprie per il 7,5 per cento. Controlla a sua volta due società anch'esse quotate e di valore di
mercato consistente (cfr. tabella 1.5): Saipem (ingegneria e costruzioni) con una quota pari al
42,93 per cento e Snam Rete Gas con una quota pari al 50,031 per cento.
Da vari anni essa ha preso il posto che storicamente era di Fiat come società leader - fra quelle a
base italiana - sia per ricavi sia per valore di mercato. Ha perso però, fra la metà del 2007 e la metà
del 2011, il 37 per cento della sua capitalizzazione di borsa (cfr. schema 1.6): quasi il doppio rispet-
to a Exxon Mobile a Royal Dutch Shell.
Il profilodi Enel su www.enel.it: "Siamo la più grande azienda elettrica italiana, con
una capacità installata di circa 40-400 MW e una produzione di 84 TWh. Con quasi 30
milioni di clienti, contribuiamo in modo determinante al fabbisogno energetico del
Paese e alla sua crescita. Dal 2006 siamo anche il secondo operatore nazic;malenel
settore del gas. ~ambiente, la lotta ai cambiamenti climatici e lo sviluppo sostenibile
sono fattori strategici nell'esercizio delle nostre attività e nel consolidamento della no-
stra leadership nel mercato dell'energia". E sul FinancialTimes:"Enel is an electricity
operator in ltaly. The Company produces, distributes, and sells electricity and natural
gas across Europe, Russia, North America and Latin America. The Company operates
a range of hydroelectric, thermoelectric, nuclear, geothermal, wind-power, photovol-
taic and biomass power stations. The Company has presence in 40 countries with
over 97,000 megawatt of generating capacity and serves over 61 million power and
gas customers. Enel operates in ltaly, Bulgaria, Canada, France, Greece, Guatemala,
Mexico, Panama, Romania, Russia, Slovakia, Spain and in the United States, Latin
America and Portugal among others. [...]"
Enel è controllata direttamente dallo Stato, più specificamente dal Ministero dell'Economia e
delle Finanze, con una quota del 31,2 per cento. Ha quotato nel 2011 Enel Green Power, la sua
componente operante nelle energie rinnovabili, per ridurre il debito gonfiatosi con l'acquisizio-
ne della spagnola Endesa: mantenendone però una quota pari al 69,171 per cento. È quello tra i
grandi gruppi (cfr. schema 1.7) che ha perso meno - fra metà 2007 e metà 2011 - in termini di
capitalizzazione di borsa.
tenza. Attenzione al cliente e innovazione tecnologica sono le parole chiave che guidano
le attività del gruppo [...]. I mercati strategici in cui il gruppo opera sono Italia, Brasile e
Argentina. [...)". E sul FinancialTimes:"Telecom Italia is an ltaly-based company that
operates in the telecommunications sector. lt provides fìxed and mobile telephony, In-
ternet, media and news services through fìxed and mobile telephones, persona! compu-
ters, and television terminals. The Company has the following operating segments: Do-
mestic Business (domestic operations for voice and data services on fìxed and mobile
networks for fìnal customers and other operators); Brazil Business (TIM Brasil and lnte-
lig); Argentina Business (Telecom Argentina and Telecom Persona!); Media Business
Unit (television network operations and management); Olivetti Business Unit (manu-
facturing operations for digitai printing systems, office products and other operations)".
Telecom Italia ha come azionista di riferimento Telco, con una quota del 22,44 per cento. Telco, co-
stituita appositamente per questo ruolo, ha come azionisti Telef-6nica- l'operatore telecom spa-
gnolo fra i maggiori al mondo- con il 46,18 per cento, Generali con il 30,58, Intesa Sanpaolo e Me-
diobanca con 1'11,62ciascuno. Telecom Italia possiede il 77,7 per cento di Telecom Italia Media, an-
ch'essa quotata.
"[ ...] At the beginning of 2005, the ltalian company was widely believed to be heading
towards bankruptcy [...)". Così scriveva il FinancialTimes ("Fiat awarded investment
grade rating", di Adrian Michaels, 19.6.2007), nel dar notizia del ritorno dopo ben
quattro anni - nella valutazione di una delle principali agenzie modiali di rating- del
debito di Fiat nell'area investmentgrade.E il giorno dopo, in un altro articolo ("Fiat to
develop Truck Engines with DaimlerChrysler", di John Reed e Adrian Michaels): "[ ...]
The ltalian industriai group has been rescued from fìnancial perii by a restructured ba-
lance sheet, new management and a focus on a number of alliances with companies
including Ford, Peugeot, Tata, Suzuki and Severstal [...]".
Che Fiat attraversasse un momento storico molto critico per la sua stessa soprawivenza rappre-
sentava una convinzione largamente diffusa. Nella terza edizione di questo testo, licenziata in quel
periodo (luglio 2005), si diceva: "Attraversa una fase di forte travaglio il gruppo Fiat, storicamente
il più importante e il politicamente più influente dei gruppi italiani, fondato più di un secolo orso-
no dalla famiglia Agnelli e tuttora avente nella famiglia - che ne controlla il 30 per cento circa attra-
verso la catena lfì-lfìl - l'azionista di riferimento. Il travaglio è legato soprattutto alla crisi di Fiat Au-
to, che ha visto scendere drammaticamente la sua quota di mercato in Italia e in Europa e che è in-
corsa in perdite di consistenza tale da mettere a repentaglio la stessa soprawivenza del gruppo". E
sulla stampa:"[ ...] Da 15anni a questa parte, il feeling della Fiat con il mercato è andato via via af-
fievolendosi (da La Repubblicadel 7.6.2005, "Errori, flop e occasioni mancate: perse per strada
75omila auto"), spingendo pericolosamente la società verso la periferia del mondo dell'auto: Fiat
nel 'go, con il 13,6 per cento delle vendite europee (e quasi il 50 per cento in Italia), lottava gomito
a gomito per la maglia rosa del continente con Vw, Ford e Gm. Oggi[ ...] la sua quota è ridimensio-
nata a un risicatissimo 6,4 per cento (il 27,9 per cento in Italia). Lo scivolone è ancora più evidente
leggendo a distanza di anni la hit parade delle quattroruote. Nel '95 Fiat era il quinto produttore
mondiale con 2,35 milioni di auto dietro Gm, Ford, Toyota e Vw. Ora arranca in undicesima posi-
r. L'impresa I 55
zione. Sorpassata anche da Hyundai, Peugeot, Honda, Nissan, Renault e DaimlerChrysler. Non
solo: mentre il mercato è cresciuto di volumi (nel 2004 al mondo sono stati prodotti 43,6 milioni
di auto contro i 35,4 del '95) dalle fabbriche Fiat escono oggi 1,6 milioni di vetture, il 30 per cento in
meno di 10 anni fa, addirittura 900 mila in meno del '97 [...)".
Quello che sembrava essere il turnarounddefinitivo del gruppo era oggetto di esalta-
zione, all'esterno e ancor più all'interno del gruppo."[ ...] 'Oggi Fiat è un'azienda che ha
più che quadruplicato la capitalizzazione di borsa e vale più di Gm e Ford messe assie-
me' (da La Repubblicadel 12.5.2007, "Un acquisto importante entro il 2010: Fiat vuole
competere con Toyota", di Salvatore Tropea). Sergio Marchionne [amministratore dele-
gato del gruppo], con un sostanziale aggiustamento di rotta, annuncia il passaggio de-
ciso dalla fase di risanamento e rilancio della Fiat alla stagione dello shopping, annun-
ciando entro il 2010 un'acquisizione e disegnando una Fiat lanciata verso un modello
che è quello del numero uno del mondo. 'Puntiamo a raggiungere la prima della clas-
se, owero Toyota'. Un traguardo impossibile appena due anni fa e che oggi Marchion-
ne propone dopo aver messo in programma il raggiungimento nel 2010 di ricavi per 70
miliardi contro i 51,8 attuali e di un risultato operativo di 5 miliardi, pari a 100 volte quel-
lo del 2004 che era appunto di 50 milioni [...]". La situazione sembrava cambiata così
tanto da far affermare a Mario Deaglio, nel suo rapporto Einaudi-Lazard 2007 20 , che
una parte significativa della crescita dell'1,9% del PIL italiano nel 2006 poteva essere
attribuita al rilancio di Fiat, tenendo conto dell'impatto di tale rilancio sia a monte
(componentistica) sia a valle (credito al consumo, assicurazioni ecc.).
li sognodi Marchionne riceve un duro colpo dalla crisi del mercato dell'auto, innesca-
ta negli Stati Uniti dalla fiammata nel prezzo del petrolio ed estesasi poi a tutta la par-
te ricca del mondo - nonostante i corposi incentivi statali all'acquisto - con la grande
crisiiniziata nel 2008. I ricavi 2010 sono un po' inferiori ai 60 miliardi, l'utile netto è
prossimo ai 650 milioni, Toyota (anche se un po' azzoppata dai suoi errori) è ancora
molto lontana e combatte per la leadershipcon Volkswagen e la risuscitata Generai
Motors, ma a una promessa Marchionne non manca di fare onore: quella di fare
un'importante acquisizione. L!acquisizione, un po' rocambolesca,è quella di Chrysler:
il terzo gruppo automobilistico statunitense, controllato da un fondo di privateequity
dopo l'insuccesso della fusione con la tedesca Daimler, che fallisce, viene salvato dal-
l'intervento pubblico e viene affidato alla gestione di Fiat - insieme con una quota
azionaria e l'opzione di acquisire la maggioranza assoluta a fronte del raggiungimen-
to di determinati obiettivi - in cambio della disponibilità delle tecnologie Fiata favore
dei bassi consumi e del ridotto inquinamento ambientale.
"[ ...] Chrysler must present a pian showing how it intends to be viable (da The Wa/1StreetJournal
del 3.2.2009, "Fiat races U.S. deadline to set deal with Chrysler", di John D. Stoll e Jeff Bennett).
The Fiat pact is a key part of the effort. [...] Under the deaI, Fiat will end up with at least a 35% stake
in Chrysler in exchange for helping revitalize the U.S. car maker. Mr. Marchionne said Fiat will
provide technology and engineering for the U.S. company to make small cars that would meet
coming strider federai fuel-economy standards. Such know-how would cost Chrysler $3 billion or
more to develop, he said. Fiat also would help the company operationally, he said. Mr. Marchionne
20. XII Rapporto sull'economia gwbale e l1talia, promosso dal Centro Einaudi e da Lazard e pubbli-
cato da Guerini e Associati.
56 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
is credited with helping turna round Fiat after taking the CEO job in 2004. For Fiat, the alliance is a
'lottery ticket' that could be worth nothing if Chrysler doesn't recover, he added [...]".
"Fiat SpA's strength in fuel effìciency is its biggest bargaining chip as it negotiates a stake in
Chrysler LLC (da The Wa/1StreetJournal del 7.4.2009, "Fiat in strong position", di Jennifer Clark).
The ltalian auto maker's fuel systems offer Chrysler access to something it hasn't had in years: cut-
ting-edge technology. The U.S. government's pian to let states set their own fuel-effìciency rules
could make fuel effìciency and emissions levels more important. [...] Until recently, the quickest
way for auto makers to improve emissions was to pursue diesel technology, because it is more
effìcient. But the European Parliament has tightened emissions standards of nitrogen oxide, mak-
ing it more expensive to produce diesel engines that meet those standards. That means European
manufacturers are focusing more and more on wringing greater effìciency from gasoline-powered
engines. European auto makers such as Fiat, Volkswagen AG, PSA Peugeot-Citroen SA and others
are at the forefront of making gasoline engines smaller and cleaner, which gives them a big advan-
tage over other car companies. [...] Fiat future strategy depends on innovations such as its MultiAir
engine technology, which reduces engine waste and boosts fuel effìciency by 10%. MultiAir-pow-
ered and downsized engines could achieve fuel economy of up to 25% [...]".
In vista dell'acquisizione del controllo di Chrysler, Fiat decide di dividersi in due a par-
tire dal 1° gennaio 2011, scorporando Fiat Industriai. Azionista di riferimento per am-
bedue le società rimane, come detto, la famiglia Agnelli attraverso la Giovanni Agnelli
& C. sapa (società in accomandita per azioni), che possiede il 52,664 per cento di
Exor,società quotata che a sua volta possiede il 30,417 per cento di Fiat Industriai e il
30,419 per cento di Fiat.
"Fiat SpA (dalla descrizione delle società nel Portfoliodel FinancialTimes) aesigns, produces and
sells cars under the Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Fiat Professional, Abarth, Ferrari and Maserati
brands. In additi on, it also operates in the car components sector through Magneti Marelli, Teksid
and Fiat Powertrain Technologies and in the production systems sector through Comau. Fiat SpA
is also active in the publishing sector through Editrice La Stampa SpA and in the reselling of adver-
tisement space through Publikompass SpA. The subsidiaries of Fiat SpA include, among others,
Maserati SpA, Fiatgroup Automobilies SpA, Ferrari SpA, Fiat Powertrain Technologies SpA, Mag-
neti Marelli SpA, Teksid SpA, Comau SpA and !tedi-Italiana Edizioni SpA.
Fiat Industriai SpA designs, products and sells trucks, commerciai vehicles, buses, special vehi-
cles, tractors, and agricultural and construction equipment, in addition to engines and trans-
missions for those vehicles and engines for marine applications. Fiàt Industriai SpA markets its
products worldwide under the brands: Case, Case IH, New Holland Agriculture, New Holland
Construction, Steyr and Kobelco for agricultural and construction Equipment; lveco, Astra, lrisbus
and Magirus for trucks and commerciai vehicles and FPT Industriai for powertrain technologies".
I dati proforma 2010 forniti al momento dello scorporo mostrano che, dei circa 200
mila addetti complessivi, 137.800 sono rimasti in Fiat e 63.600 sono passati a Fiat In-
dustriai. I ricavi di Fiat sono pari a 35,9 miliardi di€ e quelli di Fiat Industriai a 21,3-
Rispetto alla decisione di Fiat di separare la parte "auto" dalle altre attività automotoristiche,
Volkswagen si è mossa qualche mese dopo in una direzione completamente opposta. "[ ...] Volks-
wagen ha comunicato di controllare il 53,7% del capitale e il 55,9% dei diritti di voto di Man (da //
Sole24 Oredel 5.7.2011, "Volkswagen controlla Man", di Beda Romano). L'acquisto è avvenuto con
un'offerta pubblica di acquisto.[ ...] La società tedesca sta accumulando i marchi, da Porsche a Au-
di, da Seat a Lamborghini, da Bugatti a Skoda. Grazie a Man, Volkswagen vuol mettere radici nel
settore dei camion, unendo le proprie forze a quelle di Scania (controllata al 70,9%). Insieme Man
r. L'impresa \ 57
[15,3 miliardi di€ di ricavi nel 2010 con oltre 47 mila dipendenti] e Scania hanno costruito l'anno
scorso 176 mila mezzi pesanti con un peso superiore alle sei tonnellate. Il confronto è con Daimler
(274 mila) e Volvo (171mila) [...]".
(Dal FinancialTimesdel 3-6.2011,"Fiat assumes contro! of Chrysler", di Tom Braithwaite, Helen Tho-
mas e John Reed): "Fiat has acquired majority contro! of Chrysler, its US counterpart that was bailed
out by Washington, after agreeing to buy government-owned equity and options. The US Treasury
said it had agreed to sell its 6 per cent stake in Chrysler for $5oom [...]. Fiat also paid $75m for options
on a stake of about 47.5 per cent held by an employee trust. The Canadian government is also dose to
selling its 1.7 per cent holding in Chrysler, valuing the whole transaction at about $7oom [...]".
(Da un'agenzia onlinedel 9.6.2011, "Fiat-Chrysler, debiti a 6,3 miliardi"): "Il nuovo gruppo Fiat-Chry-
sler ha un debito industriale di 6,35 miliardi di euro e un debito netto di 8,56 miliardi di euro se si com-
prendono le esposizioni finanziarie. Lo evidenzia // Sole 24 Ore che riporta i dati al 31 dicembre delle
due società desumibili dal documento informativo presentato al momento dell'ascesa al 46% di
Chrysler. Nel bilancio pro-forma i ricavi del gruppo si attestano a 67 miliardi di euro contro i soli 35,8
di Fiat (post scissione). Il risultato operativo è positivo per 2,16 miliardi di euro contro i 992 milioni di
Fiat e l'utile netto consolidato pro-forma è a 496 milioni (a 222 milioni il risultato di Fiat da sola)".
Molti dei gruppi e società che appaiono nelle tabelle1.3,1.4e 1.5sono stati o sono anco-
ra - parzialmente o totalmente - di proprietà pubblica o sottoposti al controllo pubbli-
co: a testimonianza del ruolo che lo Stato ha giocato e gioca nella vita economica del no-
stro paese. In particolare, appartengono ancora completamente allo Stato, anche se con
lo statusgiuridico di società per azioni e con un'autonomia gestionale molto più elevata
che nel passato, Poste Italiane e Ferrovie dello Stato Italiane: rispettivamente al primo e
al terzo posto nel 2010 per numero di addetti, complessivamente 230 mila circa.
Hanno ancora lo Stato come principale azionista, direttamente o indirettamente, Eni,
Enel, Finmeccanica e - pariteticamente con i francesi - ST Microelectronics. Hanno
lo Stato come azionista unico Fincantieri (gruppo Fintecna) e Rai. Ha i Comuni di Mi-
lano e Brescia come principali azionisti A2A. Sono ormai passate completamente sot-
to il controllo privato Telecom Italia, Telecom Italia Media, Edison, Atlantia e Autogrill
(Edizione Holding), Riva, Wind e Alitalia. Erano di proprietà pubblica o sottoposte in
forme diverse al controllo pubblico tutte le banche maggiori; e molte di esse hanno
come azionisti di riferimento le fondazioni bancarie, i cui amministratori sono in larga
misura designati (direttamente o indirettamente) dagli enti pubblici territoriali. Gli en-
ti pubblici territoriali giocano un ruolo più diretto, come azionisti unici o come azioni-
sti principali di società quotate, nei servizi infrastrutturali (distribuzione di energia
elettrica e gas, trasporti pubblici locali ecc.) - Acea, Acegas-Aps, Acsm-Agam, Hera e
Iride, oltre ad A2A-tutte ex municipalizzate o aggregazioni di ex municipalizzate, tut-
te con ricavi superiori a 2 miliardi di euro.
58 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Le ragioni delle differenze nel rapporto fra capitale investito e ricavi possono essere di
natura varia: è diverso in primo luogo il fabbisogno teoricod! capitale per tipologia di
attività svolte, ma possono essere ad esempio diversi, cqeterisparibus,il grado di inte-
grazione verticale (quanto meno un'impresa ricorre all'outsourcing tanto più è neces-
sario che si infrastrutturi e/o disponga di capitale circolante netto) o l'età media dei
beni infrastrutturali (quanto più lontano è stato il momento del loro acquisto tanto
maggiori sono gli ammortamenti già effettuati e minore il capitale impegnato).
Anche le ragioni delle differenze nel grado di indebitamento finanziario, rapportato
al capitale proprio, possono essere diverse. Un gruppo è costretto ad accrescere l'in-
debitamento, in assenza di aumenti di capitale compensativi da parte dei soci, se ef-
fettua un'acquisizione rilevante, se investe pesantementeper rinnovare la gamma dei
prodotti o per ristrutturare l'organizzazione, se è troppo generosonella distribuzione
di dividendi agli azionisti o se incorre in grosse perdite. Ma lo può diminuire utiliz-
zando parte del cashjlow (utile più ammortamenti) che gli deriva dalla gestione cor-
rente oppure cedendo asseto rami di impresa o partecipazioni di minoranza in altre
. '
imprese.
r. L'impresa I 59
Unicredit è il principale azionista singolo (con 1'8,7 per cento circa) di Mediobanca, che a
sua volta è il principalè azionista singolo (con il 13,5 per cento circa) di Generali, che è azio-
nista a sua volta (con una quota del 4,8 per cento circa) di Intesa San paolo: a testimonianza
degli strani intrecciche si sono formati storicamente nella finanza italiana.
I
Banco Popolare e Ubi Banca sono anch'essi il risultato di una serie di fusioni.
Non si è sviluppato invece con le fusioni, ma con acquisizioni (di particolare
rilievo quella di Antonveneta), il Monte dei Paschi di Siena.
Monte dei Paschi di Siena acquistò Antonveneta nel 2007 per 9 miliardi di euro dallo spa-
gnolo Banco Santander, nelle cui mani era caduta dopo una serie di vicende con esiti anche
giudiziari: una cifra in linea con i prezzi ante-crisi,ma enorme se paragonata alla capitalizza-
zione - 3,10 miliardi di euro - a metà 2011.
21. I dati presenti nella tabella e discussi nel testo sono tratti dai bilanci consolidati dei diversi_gru{:
pi o comunque da informazioni riportate nei siti dei gruppi. I dati di Mediobanca, che chmde il
bilancio al 30 giugno, sono stati "ricostruiti" - e riportati al 2010 - a partire dal bilancio 2009-
2010 e dalla prima semestrale 2010-2011. I dati di Allianz Italia, "annegati" in quelli del gruppo
Allianz strutturato come societàeuropea(cfr. schema3. 6), sono tratti dal sito del gruppo.
60 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Saipem (cfr. schema 1.3) è controllata da Eni con una quota pari al 42,93 per cento. Snam Re-
te Gas è controllata da Eni con una quota pari al 50,031 per cento e detiene il 5,017 per cen-
r. L'impresa I 61
to delle azioni proprie. Enel Green Power è controllata da Enel con una quota pari al 69,171
per cento.
Fiat Industriai e Fiat (cfr. schema 1.4) hanno ambedue come azionista di riferimento la fami-
glia Agnelli, che con la Giovanni Agnelli & C. sapa possiede il 52,664 per cento di Exor, so-
cietà anch'essa quotata, che a sua volta possiede il 30,417 per cento di Fiat Industriai e il
30,419 per cento di Fiat. Fiata sua volta ha una quota del 3,233 per cento di Fiat Industriai e
detiene il 3,226 per cento delle azioni proprie.
Prada ha fatto il suo debutto il 24 giugno 2011 alla Borsa di Hong-Kong (invece che alla Bor-
sa di Milano ove voleva in precedenza quotarsi), per sfruttare l'effervescenza della borsa stes-
sa e l'elevata quota della sua produzione- circa un terzo-venduta nell'Est asiatico. La gran-
de maggioranza delle azioni, oltre 1'80 per cento, è nelle mani della famiglia.
Lo schema1. 7 evidenzia la caduta di valore che negli ultimi quattro anni ha col-
pito molte delle principali società italiane, in misura spesso più consistente ri-
spetto alle principali società mondiali. Solo nove società italiane sono presenti
Eni 66,0
Enel 42,4
Intesa Sanpaolo 31, l
Unicredit 29,7
Generali 22,7
Tenaris 18,6
Telecom Italia 17,7
Saipem 75,7
Snam Rete Gas 4,8
Fiat Industriai 10,7
Prada 10,5
Luxottica 10,4
EnelGreenPower 9,5
Fiat 9,2
Atlantia 9,0
62 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
a metà 2011 fra le GwbalFI' 500, e non nelle posizioni di testa: con Eni scesa al
cinquantaquattresimo posto ed Enel in centoventunesima posizione.
L'enfasi posta sui grandi gruppi non deve far dimenticare che la dimensioneri-
dotta e la proprietàfamiliare sono ancora dominanti nel sistema delle imprese
del nostro paese. Sono soltanto 11 le imprese italiane che appaiono tra le Gw-
bal 500 censite da Fortune. un numero inferiore non solo a quello di paesi che
hanno un PIL maggiore del nostro-gli Stati Uniti ne hanno 133, il Giappone
78, la Cina 61, la Francia 35,'la Germania 34 e il Regno Unito 32-ma anche a
quello di paesi più piccoli e con PIL inferiore al nostro: la Svizzera ne ha 15, la
Corea del Sud 14, l'Olanda 13 e il Canada 11 come noi. Non sono nemmeno
molte le imprese italiane censite da Mediobanca 22, 140, che superano il mi-
liardo di euro di ricavi: una cifra che le fa qualificare come (molto) grandi se si
segue la classificazione comunitaria 23, ma che le pone fra le picco/,e- almeno
nel sentire collettivo - se paragonate alle topsu scala mondiale. ~
Tutte le altre, poco meno di 4,5 milioni, sono imprese medie,picco/,eo micro.
"Nel 2009 (lstat, "Struttura e dimensione delle imprese -Anno 2009", giugno 2011) le im-
prese attive nell'industria e nei servizi sono poco meno di 4,5 milioni e occupano complessi-
vamente circa 17,5 milioni di addetti. Il sistema produttivo italiano è caratterizzato nel com-
plesso dalla forte presenza di microimprese: quelle con meno di 1O addetti sono quasi 4,3 mi-
lioni, rappresentano il 95% del totale e occupano il 47% degli addetti. Il 21 % degli addetti
(circa 3,6 milioni di individui) lavora nelle picco/,eimprese (da 10 a 49 addetti) e il 12,4%
(quasi 2,2 milioni) in quelle medie (da 50 a 249 addetti). Soltanto 3.718 imprese (0,08%) im-
piegano 250 addetti e più, assorbendo, tuttavia, il 20% dell'occupazione complessiva (circa
3,6 milioni di addetti). L'occupazione si concentra nel settore manifatturiero, con oltre il
23% degli addetti totali, nel commercio all'ingrosso e al dettaglio (20% dell'occupazione to-
tale) e nelle costruzioni (poco meno dell' 11 %) ".
22. La rilevazione di Mediobanca, relativa a tutte le imprese operanti nell'industria e nei servizi (a
eccezione di quelli bancario-finanziario-assicurativi) con ricavi consolidati 2009 non inferiori
ai 50 milioni di€, censisce poco meno di 2.600 imprese (con un grado di "copertura" dell'or-
dine del 75 per cento, molto elevato per le imprese maggiori e viceversa più ridotto al ridursi
delle dimensioni). Escludendo le imprese che sono controllate da altre presenti nella lista, il
numero si riduce a 1.489, comprendente le topda noi evidenziate e le filiali commerciali di
gruppi petroliferi e automotoristici internazionali da noi escluse. Sono 41 in particolare le im-
prese (gruppi) con ricavi compresi fra 2 e 4 miliardi di€ e 73 quelle tra 1 e 2 miliardi di€.
23. L'UE definisce come microimpresequelle con un numero di addetti minore di 10, che non su-
peri~o i 2 milio_nidi € di ricavi e i 2 di attivo di bilancio; come imprese pirco/,equelle con me-
no ~1 50 addetti, che no~ superino i_10 milioni di€ e i 10 di attivo di bilancio; come imprese
mediequelle con meno d1 250 addetti, che non superino i 50 milioni di ricavi e i 43 di attivo di
bilancio; come grandi quelle che superano almeno una di queste soglie.
1. L'impresa \ 63
...
E una transizione non facile, per un paese che riesce -quando opera in piccow-
a esprimere meglio la sua creatività e imprenditorialità, e che di converso ama
poco le grandi organizzazioni. La crescita dimensionale richiede infatti, ad
esempio, di sostituire ~ controllo diretto sistemi di gestione e controllo via via
più sofisticati, spesso estranei alla cultura dei piccolo-medi imprenditori; ri-
chiede, per reperire le risorse finanziarie necessarie alla crescita, di immettere
nuovi soci (privati o fondi) nel capitale azionario o addirittura di quotarsi in
borsa, tagliando quel "cordone ombelicale" che spesso rende sfumati i confini
fra interessi della famiglia e interessi dell'impresa; richiede di rendere que-
st'ultima molto più "trasparente" verso l'esterno, con impatti talora significati-
vi dal punto di vista degli oneri fiscali e previdenziali e dell'appesantimento or-
ganizzativo imposto dalle normative (relative all'ambiente, alla privacy ecc.);
può favorire (anche se questo era un problema più sentito nel passato), insie-
me ...con la crescita degli addetti, una maggiore conflittualità sindacale .
E una transizione però necessaria. Per poter mantenere nelle diverse aree
del mondo strutture commerciali e di assistenza post-vendita, come pure
strutture produttive, funzionali alla penetrazione e al consolidamento delle
posizioni nei mercati locali. Per poter creare o rafforzare i propri !,rand e la
propria immagine. Per poter portare avanti progetti strutturati di R&D (ricer-
ca e sviluppo), volti all'innovazione. Per poter finanziare le acquisizioni di im-
prese, se necessarie per non perdere terreno rispetto ai competitori o per
conquistare proattivamente posizioni di kadership.
Al problema della crescita dimensionale delle imprese esistenti (operanti
in larga prevalenza nei comparti tradizionali) se ne affiancano almeno altri
due ben noti:
• la nostra scarsa presenza nei settori più nuovi dell'economia (ICT, bio-
tecnologie ecc.), che sono quelli che presentano tassi di crescita più rile-
vanti a livello mondiale;
• il nostro ridotto utilizzo, a livello organizzativo, degli strumenti che l'ICT
mette a disposizione.
Il confronto proposto - analogo a quello dello schema 1.2 - è fra le liste delle società
italiane top per capitalizzazione a metà 2011 (cfr. tabella1.5)e al 29 giugno 2007 (ri-
portata nella quarta edizione di questo libro).
Il confronto, analogamente al precedente, prescinde sia dalle erogazioni dalle società agli azionisti -
dividendi ordinari e/o straordinari e/o buyback- sia dagli aumenti di capitale a pagamento corrispo-
sti nel frattempo. Questi ultimi sono stati particolarmente consistenti nel comparto bancario, a se-
guito da un lato delle perdite causate dalla crisi (fallimenti e/o ristrutturazioni del debito delle impre-
se industriali e di servizi clienti) e dall'altro delle esigenze di rafforzamento dei coefficienti patrimo-
niali poste da Basilea3: con alcuni casi clamorosi, come quello del Banco Popolare, che al 29 giugno
2011 valeva 2,85 miliardi di€ dopo averne ricevuti poco prima ben 2 come aumento di capitale. "I cre-
diti in sofferenza (quelli insolventi, di difficile recupero) sono probabilmente il problema numero uno
delle banche italiane: perché sono tanti e sono cresciuti troppo velocemente (da // Sole 24 Ore del
5.7.2011, "Banche italiane, maxi-svendita di sofferenze", di Morya Longo). Nel 2097, prima della crisi,
nei bilanci degli istituti di credito c'erano 48 miliardi di euro di sofferenze lorde: ora - secondo l'Abi -
questa zavorra è aumentata a 95 miliardi. [...] Questa massa abnorme di crediti dubbi assorbe infatti
capitale alle banche e riduce di conseguenza le loro possibilità di finanziare l'economia[ ...]".
Delle top 18società che avevano un valore superiore a 9 miliardi di€ nel 2007, ben ot-
to sono scese al di sotto di tale soglia nel ~011,con cali nella capitalizzazione di borsa
in diversi casi molto rilevanti: Banco Popolare (-80,5%), Ubi Banca (-79%), Monte
dei Paschi di Siena (-72,4%) e Mediobanca (-58,4%), fra le bancarie; nonché Edison
(-59,6%), Mediaset (-57,7%), ST Microelectronics (-51,1%) e Finmeccanica (-50%).
Ma cali nella capitalizzazione, più o meno rilevanti, si sono avuti anche fra le dieci so-
prawissute (diventate peraltro undici a seguito dello sdoppiamentodi Fiat): Unicredit
(-66,1%), Intesa Sanpaolo (-55,3%) e Generali (-45,6%), fra le società bancario-fi-
nanziario-assicurative; Telecom Italia (-52,5%), Eni (-37,1%), Atlantia (-35,3%), Fiat e
Fiat Industriai (-26% rispetto alla "vecchia" Fiat), Luxottica (-20,6%), Tenaris
(-13,5%) ed Enel (-12,6%), fra le società industriali e di servizi.
L'unica nuova entrante è Prada, di valore non raffrontabile (come detto) data la "fre-
sca" quotazione.
Se si estende l'analisi anche alle quotate controllate da società di dimensioni maggio-
ri, si hanno due nuove entrate e una permanenza. La permanenza è quella di Saipem,
cresciuta del 50 per cento circa. Le nuove entrate sono quelle di SnamRete Gas, cre-
sciuta del 70 per cento circa, e di Enel Green Power, quotata nel 2011.
2 L'impresae il contesto
._.L'impre_sa- come detto - può essere vista come un microsistema aperto, che
opera in stretta interdipendenza dinamica con il macrosistema economico-fi-
nanziario di cui fa parte e più in generale con quello socio-politico, su scala,
globale e nei territori in cui è presente: subendone le continue trasformazio-
ni - negli assetti tecnologico-organizzativi, nei valori e nei comportamenti,
nelle regole e nei meccanismi di funzionamento - ma anche contribuendo
I
ad attivarle o a rafforzarle.
JI._cambiamentQ, e non la stabilità,_deve essere considerato come lo stato di
_.nor_rnalità;f in_novazione come lo strumento principe con cui l'impresa può
adattarsi al cambiamento o esserne il motore; il rischio, connesso con lari-
dotta prevedibilità del futuro, come un qualcosa di strutturalmente organico
alla natura dell'impresa e alla funzione a essa attribuita nell'ambito dell'eco-
nomia e della società.
Il capitolo 2 è coerentemente articolato in sei paragrafi.
II paragrafo2.1 guarda all'impresa come componente del sistema economi-
co-finanziario: al suo portafoglio di business, al grado di integrazione vertica-
le dei suoi diversi business, al suo assetto tecnologico-organizzativo, alla sua
immagine e al suo assetto giuridicq-proprietario-finanziario.
II paragrafo2.2 guarda al ruolo dello Stato inteso in senso lato - nelle sue
diverse articolazioni nazionali, sovranazionali e locali - come determinatore
delle regole del gioco e regolatore dell'economia e della finanza, come impo-
sitore di oneri fiscali ed erogatore di incentivi, come imprenditore. Esso guar-
da anche alle interrelazioni fra impresa e società, e in particolare al tema sem-
pre più sentito della responsabilità sociale dell'impresa.
II paragrafo2.3 affronta i temi dell'internazionalizzazione delle imprese e
66 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
pendenza con le altre componenti di tale sistema", l'impresa non è sensibile sola-
mente alle trasformazioni strutturali del sistema, ma può risentire in forma anche
amplificata delle fluttuazioni congiunturali - più o meno pronunciate - dello stesso:
con conseguenze che in diversi casi non sono meramente congiunturali ma toccano
la sua carneviva,condizionandone la strategia e i comportamenti futuri.
Come caso estremo, si può sinteticamente guardare a quanto accaduto con la grande
crisidel 2008: una crisi in cui le difficoltà nate nell'ambito bancario-finanziario-assicu-
rativo si sono rapidamente trasferite - amplificandosi progressivamente - alle impre-
se industriali e di servizi, mettendo in moto una pericolosa spirale negativa interrotta-
si solo con l'awio della ripresa. Nel seguito vengono evidenziate, con il rischio di iper-
semplificarle, alcune fasi fondamentali della crisi.
Lecrescentid[ffìcoltàdi accessoal credito.Il primo impatto della crisi - per le imprese in-
dustriali e di servizi - fu la maggiore difficoltà di accesso al credito, fosse esso richie-
sto per rispondere a nuove esigenze di finanziamento (derivanti ad esempio dalla ne-
cessità di coprire le uscite di cassa per la conclusione di un investimento o da quella
di sostenere le vendite allungando ai clienti i tempi di pagamento) o per rinnovare i
prestiti giunti a scadenza. Un impatto non critico per le imprese finanziariamentesoli-
de, ma particolarmente grave per quelle molto indebitate:categoria comprendente
non soltanto le imprese economicamente deboli, ma anche quelle - economicamen-
te forti e in fase di crescita - indebitatesi per sostenere la crescita stessa sui mercati
nazionali e internazionali. Le difficoltà di accesso al credito toccarono anche le fami-
glie, in relazione alla concessione di mutui per l'acquisto delle case o alla rateizzazio-
ne per l'acquisto di beni durevoli (quali le automobili).
senza di riserve fìnanziarie - dover coprire le perdite chiedendo soldi agli azionisti o al
sistema bancario.
GliinterventidegliStati. In una prima fase gli Stati - e con essi le banche centrali - in-
tervennero principalmente per evitare il collasso dei sistemi bancario-fìnanziario-assi-
curativi e i loro riflessi a catena sulle economie reali: in misura molto differenziata, in
dipendenza dalla gravità delle specifìche situazioni di crisi. Intervennero poi, anche se
in misura meno consistente, per rilanciare la domanda e fermare la spirale negativa:
ad esempio fìnanziando l'acquisto di nuove auto "a basso tasso di inquinamento" in
70 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
cambio delle vecchie molto inquinanti. Intervennero, in particolare negli Stati Uniti e
in Cina, con macroprogetti infrastrutturali essi pure volti al riawio della domanda.
Le economie ripartirono, anche se con ritmi lenti e molte incertezze, ma gli Stati si ri-
trovarono con livelli di indebitamento molto più alti. Con pesanti conseguenze ad
esempio per le prospettive dell'Eurozona e dell'euro, a causa delle crisi finanziarie di
alcuni suoi paesi (Grecia, Irlanda, Portogallo e successivamente Spagna e Italia), ma
anche per la credibilità dell'unica vera moneta di riferimento dalla fine della guerra
mondiale a oggi, il dollaro 2 •
Dopola crisinullaè più come prima. L'impresa che esce viva dalla crisi è spesso molto
diversa da quella che vi era entrata, perché la crisi - soprattutto quando di grande ri-
lievo - rappresenta un potente stimolo al ripensamento della strategia e della struttu-
ra. Ma anche il sistema economico-finanziario è in generale molto diverso: perché al-
cuni suoi attori non ci sono più (falliti o assorbiti), perché altri si sono viceversa raffor-
zati, perché altri ancora (le cosiddette start-up)stanno nascendo per riempire gli spa-
zi aperti dalle mutate prospettive. E diversi sono i pesi relativi delle diverse economie,
con owi impatti sulle imprese in funzione della nazionalità della loro casa-madre e
della distribuzione geo-politica dei loro asset produttivi e dei loro clienti: la crisi del
2008 ha ridimensionato la rilevanza delle aree ricche del mondo, appesantite (come
visto) dai debiti e dalla bassa crescita; ha esaltato quella delle aree nuove--(BRICecc.),
forti sia dal punto di vista finanziario sia da quello della crescita, che dovranno però
evitare nel futuro la tipica tendenza alla creazione di bolle(in primo luogo quella edili-
zia) che accompagna la crescita stessa e può interromperla. L'irrompere nei primi po-
sti della classifica mondiale per valore di borsa di società con casa-madre in questi
paesi, prima di tutto di società cinesi operanti nei comparti più disparati, può essere
visto come un chiaro segnale del profondo cambiamento verificatosi.
2. La riduzione della credibilità del dollaro come moneta mondiakè stata confermata, nell'agosto
2011, dal doumgrading (a opera di Standard & Poor's) del ratingdel debito pubblico statuni-
tense - sino ad allora considerato a rischionuUoe assunto come 1iferimento (cfr. capitow 4) per
tutte le valutazioni - con la conseguente perdita per la prima volta nella storia del paese della
"tripla A" (AAA), a seguito delle difficoltà nel trovare un accordo politico interno sulla ge-
stione del debito e sulla riduzione del deficit corrente. Il ratingrappresenta, per le imprese e
per gli Stati, una misura della loro affidabilità come debitori, formulata da agenzie specializ-
zate (Standard & Poor's, Moody's e Fitch le più famose) sulla base della situazione economi-
co-finanziaria e delle prospettive. Le agenzie di ratingsono state a loro volta oggetto di fortis-
sime critiche e (in un caso) poste sotto inchiesta per avere mantenuto sino all'ultimo la "tri-
pla A" a istituzioni finanziarie - come Lehman - rivelatesi viceversa estremamente fragili e
collassate con la crisi del 2008.
2. L'impresa e il contesto I 71
Un esempio classico di "comunanza" o '\ricinanza" sia dei clienti sia delle reti di distribuzio-
ne al dettaglio - nell'ambito di un portafoglio molto ricco e variegato di prodotti - è quello
di Procter & Gamble (cfr. paragrafo 1.1), che ha poi puntato a un secondo livello di "comu-
nanza" (nell'individuazione dei bisogni dei clienti, nelle politiche di comunicazione ecc.)
aggregan~o i prodotti nelle tre macroaree Beauty and Grooming,Health and Well-BeingeHouse-
hol,dCare.E interessante_ notare a tale proposito come la società abbia cercato negli anni, at-
traverso la politica di acquisizioni e dismissioni, di rendere più ampi e più coerentii portafogli
all'interno di ciascuna macroarea: ad esempio cedendo nel 2011 un business come quello
degli snack Pringles, molto redditizio ma poco coerente con la maggior parte degli altri pro-
dotti della macroarea Health and Well-Being.
Appaiono più lontane - anche se con una debole "comunanza" tecnologica - le due ma-
croaree Househol,de Professionalin cui si articola il portafoglio prodotti quasi conglomera/,e di
De' Longhi (cfr. paragrafo 1.2): che, anche per questo, ne ha deciso la separazione societaria.
Mentre, se si guarda alla composizione del portafoglio della macroarea Househol,d(quella
preponderante per peso e prospettive), si trovano prodotti diversissimi fra loro - dalla mac-
china per il caffè al condizionatore portatile Pinguino- ma accomunati, come per Procter &
Cambie, dal tipo di clientela e di canale distributivo.
È il caso ad esempio di Enel (cfr. schema 1.3), monopolista per legge per più di un trentennio
in un comparto grande come quello dell'energia elettrica, prima della privatizzazione; e di
nuovo dopo la pulizia del portafoglio dei primi anni 2000, che l'ha fatta tornare a essere qua-
si monoprodotto. È il caso di Fiat (cfr. schema 1.4), che - dopo lo scorporo all'inizio del 2011
di Fiat Industria! - opera quasi esclusivamente nel comparto automobilistico.
La tendenza alla focalizzazioneha dominato gli anni '80 e larga parte degli anni '90, trainata
dalle profonde trasformazioni awenute nel contesto, e ha portato alla decomposizione( break-
up) della maggior parte delle imprese conglomerali cresciute tumultuosamente (soprattutto
negli Stati Uniti) nei decenni precedenti. Il trend si è ribaltatonella fase di boom dell'econo-
mia mondiale dei secondi anni '90, con numerose grandi imprese che hanno imboccato la
strada della crescita"a qualunque costo": entrando in lmsinessanche del tutto incorrelati o so-
lo apparentemente contigui e indebitandosi in misura spesso molto consistente. Ma, con
l'afflosciarsi della bolla speculativa (la cosiddetta Internet lmbbl,e)a partire dal 2000 e la succes-
siva crisi dell'economia mondiale, il ritorno alla focalizzazione è stato una scelta obbligata
per molte di esse, in particolare per quelle che si sono trovate in situazioni di forte squilibrio
finanziario e di difficoltà di accesso a nuovi finanziamenti - con la conseguente esigenza di
fare cassa vendendo i business ritenuti non core- a fronte dei cali di P!Ofittabilità e di genera-
zione di cashflow dovuti alle difficoltà di mercato e (spesso) dell'emergenza di minusvalenze
rilevanti sulle acquisizioni effettuate in precedenza a prezzi molto elevati.
rid of a business - PCs - that defìned the company in the 1980s, but later became a
drag on profìt margins ·(da Knowledge@Emory, in occasione della cessione dei PC
IBM alla cinese Lenovo nel dicembre 2004). Over the past decade IBM has transfor-
med itself into a services and software company, and set its sights clearly on China as
a potentially huge market. lt has shed disk drives, displays, desktop manufacturing
and network processor businesses while adding PricewaterhouseCoopers' services
fìrm PwC Consulting. IBM has also acquired software companies such as Tivoli, Ra-
tional and lnformix. 'IBM's strength historically has been reinventing itself', says
Wharton management professor Mark J. Zbaracki. The company has manufactured
everything from timekeeping devices to card sorting machines to videodiscs to typew-
riters and printers, only to jettison those businesses later".
Nel bilancio consolidato 2006 IBM diceva di se stessa: "We exited commoditizing bu-
sinesses like PCs and hard disk drives, and strengthened our position in areas like ser-
vice-oriented architecture (SOA), information on demand, business process services
and open, modular systems for businesses of all sizes. This has changed our busi-
ness mix toward higher-value segments of the industry. [...] The company's broad ca-
pabilities include services, software, hardware, fundamental research, fìnancing and
the component technologies used to build larger systems. [...] In 2006, 13acquisitions
were completed, all focused on expanding the company's software and services capa-
bilities, at an aggregate cost of approximately $4.8 billion [...]". Con il software e i ser-
vizi arrivati a contribuire per quasi I'8o per cento - 40 e 37 per cento rispettivamente -
alla formazione del margine operativo netto, provenendo il restante 23 dai sistemi e
dalfinancing.
E nel bilancio consolidato 2010: "We believed that these shifts [in the world, in tech-
nology, in client demand] would change our industry, creating winners and losers, we
transformed IBM's mix of products, services, skills and technologies - exiting com-
moditizing businesses like PCs and hard disk drives, and making 116 strategie acquisi-
tions over the course of the decade [17 nel solo 2010, per un valore complessivo di 6
miliardi di dollari], largely in software and services. We amassed substantial cross-indu-
stry expertise, and reinvented the way we deploy it, shifting skills and decision making
closer to the marketplace and the client. We invested signifìcantly more in our teams
and capabilities in the developing world, and we accelerated the global integration of
IBM's operations. We also worked to rebalance our internal R&D. Of the 5,896 U.S. pa-
tents IBM received in 2010, more than 70 percent were for software and services.[...]".
"Dalla pelle del cuoio di cui sono fatte alle mani del commesso che le vende, il viaggio di
un paio di Nike racconta il mercato globale meglio di un'infinità di teorie (dalla lezione al
Festivaldell'Economia di Trento dell'economista francese Daniel Cohen, ripresa dal Cor-
rieredellaSeradel 2.6.2007 nell'articolo di Federico Fubini "Scarpe globali: 2,75dollari al-
l'operaio, 17 al testimonial"). ~esempio è concreto: un paio di scarpe da ginnastica Air
Pegasusdella Nike, che costano 70 dollari in alcuni punti-vendita negli Stati Uniti. Di que-
74 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
sta cifra sborsata dal consumatore, all'operaio che produce materialmente le scarpe (in
Indonesia, Vietnam o Cina) va circa il 3 per cento[ ...], in media 2,75dollari per ogni paio.
Gli oneri della fabbricazione materiale salgono sino a 16 o 17dollari, se si tiene conto del
costo delle materie prime e [sotto forma di ammortamento] dei macchinari spesso im-
portati dai paesi avanzati [...]. Le Air Pegasusche arrivano dall'Asia a uno stabilimento di
Los Angeles sono già costate dunque circa il 25 per cento del loro prezzo di listino. 'A
questo punto occorre investire - dice Cohen - perché il prodotto fisico diventi un pro-
dottosociale'.Nike investe circa 16 o 17dollari al paio in pubblicità o sponsorizzazioni af-
fidate a campioni dello sport. [...] Resta una differenza di 35 dollari circa fra l'investimen-
to compiuto dalla Nike e il prezzo che la società propone nei punti-vendita. In gran par-
te, questa cifra residua è assorbita dalla commercializzazione in senso stretto: recapita-
re le scarpe in centinaia di migliaia di punti-vendita, pagare gli affitti dei negozi, versare i
salari dei commessi. Oltre, presumibilmente, all'utile della società".
In un bene destinato al consumatore finale, molto più soggetto alla rilevanza del brand
che non un bene destinato alle imprese o alla pubblica amministrazione, fanno quindi
la "parte del leone" le attività "finali" della catenadel valore:
• far conoscere ai potenziali acquirenti il bene e l'impresa che lo concepisce e lo
mette a disposizione sul mercato;
• portare fisicamente il bene (la cosiddetta logisticain uscita)nei punti ove awerrà
l'acquisto;
• remunerare chi effettua concretamente la vendita: una struttura distributivo-
commerciale esterna o una rete di negozi propria (quali quelle di Benetton o di
Zara), gestita direttamente e/o con il ricorso alfranchising.
Nella parte a monte dellacatena del valore,la concezione e la progettazione spesso
"valgono" di più della fase di produzione in senso stretto. E, nell'ambito di quest'ulti-
ma, l'ammortamento dei macchinari spesso "vale" di più della remunerazione del la-
voro: in particolare quando la produzione stessa è effettuata in paesi a basso costo
del lavoro, a seguito di delocalizzazione degli impianti o di ricorso all'outsourcing da
parte dell'impresa produttrice.Con l'aggettivo produttriceche - come meglio si vedrà
nel seguito - rimane attaccato all'impresa che concepisce e rende disponibile sul
mercato il bene, eventualmente avvalendosi di servizidi produzioneesterni.
L'impresa può svolgere in casa, a un estremo, la quasi totalità delle attività ne-
cessarie per la produzione 3 di un prodotto o di una famiglia di prodotti, avere
cioè un grado di integrazione verticale molto elevato. Può, ali' altro estremo, es-
sere fortemente deverticalizzata: limitare cioè il suo interesse alle sole fasi "pros-
sime al mercato" (quali il marketing, la vendita e l'assistenza post-vendita), ac-
quistando da fornitori esterni - in outsourcing- i beni fisici che vende, i servizi
3. Il termine produzione, qui come nel seguito, è utilizzato in senso lato come sinonimo di messa
sul mercatoa disposizione dei clienti.
2. L'impresa e il contesto I 75
logistici per far giungere i beni ai clienti e gli stessi servizi di ricerca e proget-
tazione necessari nella fase estremamente rilevante di concezionedelprodotto.
con l'evolvere del ciclo di vita del prodotto (cfr. schema 5.2), in funzione della
fase del ciclo economico che si sta attraversando, per l'affacciarsi di innova-
zioni tecnologico-informatiche e/ o organizzativo-gestionali, per l'abbassarsi o
il rialzarsi delle barriere agli scambi con altre aree geo-politiche, per il variare
dei rapporti di forza lungo la filiera (nei riguardi cioè dei fornitori e/ o dei
clienti diretti e indiretti) - provocando accelerazioni anche brusche, frenate
o addirittura inversioni nei processi di deverticalizzazione.
La scelta di espandersi a valle non può essere presa con leggerezza dall'impresa, che deve
"porre sui piatti della bilancia" da un lato gli incrementi di valore (cfr. capi,tow4) che le nuove
attività possono apportare - rafforzandone la posizione competitiva ed evitandole di essere
taglieggi,atada chi controlla i canali di vendita- e dall'altro i decrementi di valore che potrel:r
bero derivare da una minore redditività delle nuove attività (per il clima competitivo ivi esi-
stente) rispetto a quelle esistenti e da un conseguente annacquamento dell'uso del capitale.
L'espansione a valle nel settore retail non è peraltro sempre possibile. Imprese ad esempio
come Procter & Cambie e De' Longhi (cfr. paragrafi 1.1 e 1.2) sono comunque costrette -
per raggiungere il consumatore finale - a passare la prima attraverso il canale della grande
distribuzione o della distribuzione organizzata (Esselunga o Coop in Italia e Wal-Mart negli
Stati Uniti) e la seconda attraverso le catene di vendita degli elettrodomestici (MediaWorld o
Saturn), non essendo nemmeno immaginabile l'opzione di gestire catene di negozi in pro-
prio. E vivono dialetticamente il loro rapporto, in parte scontrandosi con le marcheprc;prie
della distribuzione e in parte instaurando rapporti di cooperazione con la distribuzione stes-
sa (ad esempio attraverso il cosiddetto categorymanagement) che le pongano in condizioni di
vantaggio rispetto ai competitori industriali.
Èfisiologico che le imprese operanti nei settori nuovi dell'economia tendano - dopo un
periodo iniziale di forte integrazioneverticale(in carenza da un lato di una chiara defini-
zione di quali saranno i prodotti e le tecnologie vincenti e per evitare dall'altro i fenome-
ni di spilloverdelle competenze) - a deverticalizzarsi. Per ragioni di mera convenienza o
per l'emergere di attori, in qualche punto della filiera, più competitivi: perché innovativi
e/o in grado di operare su livelli di scala più elevata, perché localizzati con le loro infra-
strutture produttive in aree a più basso costo del lavoro e con minori requisiti ambienta-
li, ma anche talora perché meno rispettosi delle leggi (in termini di diritti di chi lavora, di
rispetto dell'ambiente e di pagamento delle tasse). È fisiologico che si possa arrivare
(anche se questo non sempre awiene) a una vera e propria decomposizioneverticaledi
tali settori, a uno spezzamento cioè in più tronconi contenenti imprese in generale di-
verse, come accadde ad esempio nell'industria informatica che - al momento del pas-
saggio dai grandi calcolatori ai persona! computer - si divise in almeno tre pezzi: quello
dei PC veri e propri, in cui il leader storico I BM manteneva una posizione di leadership;
quello dei microprocessori, dominato da lntel; quello del software,dominato da Microsoft.
Ed è fisiologico che il processo di deverticalizzazione tenda progressivamente (a meno
di eventi nuovi) ad arrestarsi con la stabilizzazione dei settori stessi.
Ma, accanto a queste dinamiche naturali, vi sono stati e/o sono in atto fenomeni di de-
verticalizzazione riguardanti trasversalmente
tutte le imprese, a prescindere da,ll'età dei
2. L'impresa e il contesto I 77
Lo schema 2.4 ha messo in luce come spesso, allo scorrere del ciclo di vita del prodot-
to (cfr. schema 5.2), l'impresa tenda a deverticalizzarsi, espeNendoattività che prima
erano nel suo perimetro e ricorrendo all'outsourcing.Ma non è infrequente che un'im-
presa, in particolare un'impresa industriale originariamente "baricentrata" sull'atti-
vità manifatturiera, recuperi a valle quello che (eventualmente) espelle a monte: spo-
stando in avanti il baricentrodelle sue attività, per awicinarsi ai destinatari ultimi dei
suoi prodotti e per evitare di diventare ostaggiodelle scelte delle imprese commerciali
e/o distributive che controllano i canali che permettono di arrivare a essi.
È interessante a tale proposito la strategia seguita negli ultimi quindici anni da
Luxottica, leader mondiale nell'occhialeria di fascia alta (5,8 miliardi di euro di ricavi
nel 2010 e 10,4 miliardi di capitalizzazione di borsa a metà 2011), per "aumentare la
sua presa" sul mercato mondiale e per diventare (come appariva dalla titolazione
nel sito www.luxottica.com) a successfulverticallyintegratedbusinessmodel: accresce-
re, anche attraverso una serie di importanti acquisizioni, il portafoglio di brande la
presenza diretta nel retail. Luxottica compra il marchio storico italiano Persol nel
1995 e i marchi storici statunitensi Ray-Ban e Oakley rispettivamente nel 1999 e nel
2007; mentre nel campo del retailingl'acquisizione di US Shoe Corp. (proprietaria
della catena The LensCrafters con 604 retailstores)è del 1995, quella di Sunglass Hat
(circa 2 mila negozi negli Stati Uniti) del 2001, quella di OPSM (461 negozi in Au-
stralia, Nuova Zelanda, Hong Kong, Singapore e Malesia) del 2003, quella di Cole
National (quasi 3 mila negozi gestiti direttamente o in franchisingnegli USA, in Cana-
da e nei Caraibi) del 2004, quella della cinese Xueliang del 2005 e quella del 40 per
cento di Multiopticas (390 negozi in Cile, Perù, Ecuador e Colombia), con una op-
zione per il restante 60, del 2009.
78 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
2.1.3L'assettotecnologico-organizzativo
Può essere modificato il processo produttivo (in senso stretto), con l'introduzione di nuovi
impianti e apparecchiature; può essere introdotta una diversa articolazione verticale del pro-
cesso, con prodotti intermedi differenti dai precedenti; può essere modificata la distribuzio-
ne fisica, con una diversa strutturazione della rete logistica e delle procedure informatiche;
può essere modificato lo stesso "perimetro" delle imprese, con l'assorbimento di attività in
precedenza esterne (quali ad esempio la vendita) e viceversa con l'espulsione di attività in
precedenza interne (quali ad esempio quelle per la produzione di prodotti intermedi a bas-
so contenuto tecnologico ed elevato costo del lavoro); viene modificata comunque (sia "a
perimetro costante" che "variato") l'organizzazione interna e, insieme con essa, le modalità
operative e le logiche gestionali, e può risultare di conseguenza anche profondamente diver-
so il fabbisogno quantitativo e qualitativo di competenze.
Una modifica "in grande" del sistema dei prezzi relativi- quale quella che si ve-
rificò ad esempio su scala mondiale negli anni '70 con l'au1nento strutturale del
prezzo del petrolio (che era rimasto dalla fine della Seconda guerra mondiale
su livelli bassissimi) - può stravolgere completainente, sino a provocarne talora
la morte, l'equilibrio economico delle imprese: che, proprio sulla base del siste-
ma dei prezzi precedente, avevano scelto come combinare i fattori di produzio-
ne, quale "perimetro" darsi e quali tecnologie e forme organizzative adottare.
2. L'impresa e il contesto I 79
La risposta può essere molto diversa, a seconda della rilevanza e della sostituibilità del "pro-
dotto" in oggetto. Nel caso citato del petrolio - che proprio per il suo basso costo preceden-
te si era affermato come principale fonte energetica ("scalzando" altre fonti come il carbo-
ne) e aveva permesso il diffondersi della meccanizzazione e automazione di larga parte dei
processi industriali dell'economia - furono battute contemporaneamente strade differenti:
vi fu un profondo ripensamento dei processi, per renderli meno energi,vori, in alcuni compar-
ti; si abbandonarono i prodotti eccessivamente energivori, a favore di prodotti sostitutivi, in
altri; si rinunciò alle lavorazioni più energivore, quali le prime lavorazioni dei minerali me-
talliferi, "spostandole" nelle aree a elevata disponibilità di energia (ad esempio di origine
idroelettrica) a basso costo, in altri ancora; si ritornò a sfruttare giacimenti petroliferi in pre-
cedenza abbandonati per il costo di estrazione troppo elevato (rispetto al prezzo); si ricerca-
rono fonti energetiche alternative e, soprattutto, si riattivò - stimolata dal prezzo - la ricerca
di nuovi giacimenti petroliferi. Il tutto con una profonda ristrutturazione del sistema delle
imprese, dei loro "perimetri" e delle loro localizzazioni e con una notevole iniezione di "nuo-
ve" tecnologie: alcune delle quali di concezione realmente "innovativa" e frutto dello sforzo
di ricerca indotto dallo stato di necessità, altre già esistenti (almeno in linea di principio) ma
non convenienti in regime di bassi costi energetici.
È quanto sta accadendo da molti anni a questa parte con la continua evoluzione dell' ICT-
Information & Communication Technologi,es e con il progressivo affermarsi di Internet nell'eco-
nomia e nella società (cfr. schema 2.14): un'evoluzione e un'affermazione che assumono in
taluni momenti le caratteristiche di veri e propri salti, seguiti da processi di profondo aggiu-
stamento - con "morti" e "feriti" ma anche con l'emergere di nuovi protagonisti- nella strut-
turazione dell'economia, nell'organizzazione delle imprese e delle istituzioni pubbliche,
nelle loro mutue interazioni, nei rapporti che esse intrattengono con i privati (consumatori
per le prime e cittadini per le seconde), nei rapporti fra privati.
"Le rilevanti innovazioni in atto nel mondo delle telecomunicazioni mobili (dalla pre-
sentazione di Andrea Rangone dei risultati 2011 dell'Osse,vatorioMobileInternet,Con-
80 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
tent & Apps della School of Management del Politecnico di Milano) - la rapida affer-
mazione del mobile Internete degli applicationstore,la diffusione di smartphonesem-
pre più sofisticati ed efficaci anche per accedere a Internet, lo sviluppo delle reti di
nuova generazione (LTE),il lancio di molteplici applicazioni innovative capaci di sfrut-
tare le caratteristiche specifiche del telefono cellulare, la messa a punto di nuovi mo-
delli di business che puntano su nuovi format di pubblicità e su nuove forme di ricavo
pay - sono le ragioni che inducono alcuni a parlare addirittura di MobileRevolution.
Queste innovazioni sono alla base di un processo circolare che vede quattro elementi
principali influenzarsi reciprocamente: la crescente penetrazione degli smartphone
[500 milioni nel mondo a metà 2011], l'aumento del numero di utenti che accedono a
Internet da cellulare [destinato a superare in pochi anni il numero di utenti che acce-
dono da PC], l'incremento della banda disponibile [che potrebbe arrivare nel giro di
qualche anno a 100 megabit al secondo], lo sviluppo di un'offerta sempre più ampia
di contenuti e servizi specificamente pensati o ottimizzati per il cellulare. [...] Nelle
abitudini dei consumatori il cellulare sta diventando uno strumento non solo per co-
municare ma anche per leggere news, ascoltare musica, vedere video, accedere ai so-
cia/network,navigare il web, giocare, effettuare pagamenti, comprare prodotti e servi-
zi ecc. [...] Questa trasformazione ha importanti implicazioni anche sul mondo delle
imprese e della pubblica amministrazione: fornendo loro un nuovo potente canale di
gestione della relazione con i propri clienti/cittadini. [...] Non c'è fase del ciclo di vita
della relazione impresa-cliente che non venga impattata: dalla pubblicità alla promo-
zione, dai servizi pre-vendita a quelli post-vendita, dall'acquisto al pagamento[ ...]".
E a proposito della complessità degli effetti - sull'offerta - della crescita del cosiddet-
to cloudcomputing(dalla presentazione di Mariano Corso e Stefano Mainetti dei risul-
tati 2011 dell'Osservatorio Cloud& ICTas a Servicedella School of Management del Po-
litecnico di Milano): "Con il termine cloudvengono qualificate offerte molto differenti:
da quella di chi [come ad esempio Cisco o I BM] offre componenti di base hardware e
software per la costruzione delle infrastrutture cloud (componentdeveloper),a chi [co-
me IBM, Accenture o BravoSolution] offre servizi via rete (serviceprovider),a chi [come
Accenture] aggrega e rivende servizi (cfoudbroker),a chi [come ltaltel] realizza proget-
ti su misura (solutiondeveloper)o aiuta l'impresa nel percorso verso il cloud (consul-
tant)". Non dimenticando che la nascita di nuovi business a carattere innovativo ha in
generale il duplice effetto di spingere le imprese già operanti in attività similari - quali
quelle citate - ad ampliare il proprio output e di favorire la nascita di nuove imprese vi-
ceversa focalizzate.
Un cambiamento dei prezzi relativi, ad esempio, che porti a un aumento sensibile del prezzo
del lavoro e/ o di quello dell'energia (quali quelli visti in precedenza) rispetto alla media dei
prezzi dell'economia, rende non mwne- ossia non economiche- combinazioni a elevato conte-
nuto di lavoro e/ o di energia che in precedenza lo erano.
Combinazioni tecnologico-organizzative molto lontane fra loro dal punto di vista del conte-
nuto di lavoro e/ o di energia possono peraltro essere contemporaneamente presenti - risul-
tando localmente le migliori disponibili- in aree geo-politiche diverse: si pensi alle differen-
ze esistenti nel tessile-abbigliamento fra le combinazioni ad alta intensità di capitale del no-
stro paese e quelle ad alta intensità di lavoro di molti paesi asiatici.
82 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Ma anche un cambiamento nella domanda - ad esempio, come accaduto negli anni '80, in
termini di richiesta di un più elevato livello di qualità (intesa come conformità agli standard)
di prodotti intermedi quali le parti meccaniche di un'automobile o di una più elevata tem-
pestività di fornitura degli stessi a fronte degli ordini - può rendere non economica, perché
non più rispondente a ciò che il mercato richiede e quindi potenzialmente destinata a far
perdere clienti all'impresa che continua ad adottarla, una combinazione tecnologico-orga-
nizzativa in precedenza vincente.
2.1.4 l!immagine
È dal 1997 che la rivista statunitense Fortune4 pubblica ogni anno l'elenco - messo a punto
da Hay Group- delle Worlds Most Admired Companies, delle imprese cioè che (a prescindere
dai comparti in cui operano e dai paesi delle case madri) godono della reputazione più ele-
vata con riferimento a una serie di parametri: innovatività, qualità dei prodotti, qualità del
management, competitività su scala globale, solidità finanziaria, investimenti a lungo termi-
ne, utilizzo degli asset, gestione delle risorse umane e socia[ responsibiHty. La nazionalità pre-
valente -fra le top 50del 2011 - è quella statunitense, anche per le modalità con cui l'elen-
co è stato costruito, consultando "executives, directors, and securities analysts" in larga mi-
sura statunitensi. Ma è comunque interessante vedere quali siano le imprese con I'immagi,ne
più elevata: Appie e Google occupano le posizioni di testa, In questa come peraltro in altre
classifiche riportate nel seguito; Berkshire Hathaway, la creatura finanziaria di Warren Buf-
fett (a lungo secondo uomo più ricco del mondo), precede SouthwestAirlines (capostipite
delle low cost aeree) e Procter & Gamble (cfr. paragrafo 1.1); seguono Coca-Cola, Amazon
(cfr. paragrafo 1.4), FedEx (notissima per i suoi servizi rapidi di spedizione ip tutto il mon-
do), Microsoft (cfr. paragrafo 1.4), McDonald's (leader mondiale nel fastfood), Wal-Mart
(leader mondiale nella grande distribuzione), IBM (cfr. sotto-paragrafo 1.5.1), Generai Elec-
tric (cfr. sotto-paragrafo 1.5.1) e Walt Disney (famosa per i suoi cartoni animati ma anche per
aver incorporato Pixar). Le imprese italiane selezionate per la gara- sulla base della loro di-
mensione e del peso nell'ambito del proprio comparto - sono state soltanto otto: Eni, la
principale impresa del nostro paese (nota anche, ad esempio, per la forte attenzione che
dedica alla corporale governance), è risultata prima fra esse con un buon punteggio comples-
sivo; mentre Fiat, nonostante i successi americani con Chrysler, occupa la posizione di coda
con un punteggio piuttosto basso.
La reputazione di cui l'impresa gode, owero l' immagi,ne di sé che essa proietta
all'esterno (verso i clienti, le banche, gli azionisti e i mercati finanziari, le au-
torità pubbliche, le collettività locali, i giovani alla ricerca del primo lavoro
ecc.) ma anche all'interno (verso i suoi dipendenti), rappresenta una gran-
dezza - ancorché impalpabi/,e- di rilevanza a nostro avviso paragonabile a quel-
la del suo assetto tecnologico-organizzativo (da cui peraltro è fortemente in-
fluenzata). L' immagi,ne dell'impresa non è legata solo alle performance econo-
mico-finanziarie correnti, ma anche - come traspare dai criteri di Fortune per
individuare le most admired - alla qualità dei suoi prodotti e del suo manage-
ment, alla sua proiezione verso il futuro (quindi alla sua innovatività e alla di-
sponibilità a investire in un'ottica di medio-lungo periodo), alla qualità del-
l'ambiente umano (quindi alla sua capacità di attrarre i cosiddetti taknti), alla
responsabilità sociale (al rispetto cioè delle leggi, alla salvaguardia dell 'am-
biente e all'attenzione verso le collettività dei territori in cui opera).
L'immagine che dell'impresa si ha- soprattutto all'esterno - può non corri-
spondere alla realtà. La difficoltà di far _conoscere la propria esistenza, in un
contesto informativo sempre più affollato, può far sì che ci sia una sottostima
dell'impresa; ma l'inerzia, per un'impresa che ha goduto viceversa di un'ele-
vata notorietà, può prolungarne l'immagine positiva anche quando i fattori
che l'hanno generata tendono a scemare.
Il potenziale ~ivario-fra immagine e realtà ha fatto crescere l'importanza
della comunicazione.che, quando utilizzata in modo virtuoso, mira a cancellare
tale divario e/ o a spianare la strada per i salti di qualità che effettivamente
l'impresa sta cercando di fare; che viceversa può essere utilizzata, in modo in-
gannevole, per fornire dell'impresa un'immagine molto lontana rispetto alla
realtà corrente e futura.
Un caso interessante è quello della sudcoreana Hyundai. "Ask North American car industry
executives which rival they most admire, and many come up with a surprising reply: Hyundai
(dal Financial Times del 17.5.2011, "A tale of two sectors", di Bernard Simon). The respect
the South Korean carmaker garners is especially remarkable given its early reputation in the
North American market. Derided in the late 1980s and early 1990s for dumping cheap rust
buckets on US car buyers, Hyundai has transformed its image, and has a record for innova-
tion and quality that rivals the best in the industry. Its share of the US light-vehicle market
has doubled in the past six years [ ...]. Hyundai is seeking to build on its new-found brand
loyalty by targeting young families. [...] ". Il passaggio dalla derisione all'ammirazione è stato
sicuramente il frutto di un cambio di strategia dell'impresa relativamente alla qualità e al-
l'innovatività delle sue auto, ma la comunicazione ha avuto il compito determinante di far
oscer a tutti tale cambio di rotta e di invertirein tempi non troppo lunghi un'immagine
nerzia rende in generale difficilmente reversibile.
Procter & Gamble (cfr. paragrafo 1.1) si è storicamente collocata a un estremo, con una corpo-
rate image completamente separata rispetto alla !Jrandimage dei suoi prodotti, spesso anche
molto distinti fra loro. Apple (cfr. paragrafo 1.4) rappresenta invece, all'altro estremo, un ca-
so emblematico di forte identificazione fra impresa e prodotti e di forte apparentamento fra
i prodotti stessi, progettati in un'ottica di interoperabilità e tutti awalentisi dell'ecosistema
messo a punto dall'impresa. Un "guaiq,, __ a un prodotto di Pro~~er _8-c_.~~I:1]:!?l~
non_ sarebbe
quasi visibile agli acquirenti dègttattri proèiof.ff e·aweooe-=-iiélla maggioranza dei casi - un
84 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
~~-!~--~QP..Q!g({'.j~e;
impatto lim!~..!.<? ma il success<_:>_~ un P~?_?:~~todi Procter & Gamble, se
.no11C1Sara- un'inversione completa nella strategiadi &aniiing (attualmente, come detto, in
fase di cambiamento), è sostanzialmente irrilevante per gli altri prodot_ti. L'oppost?, __E~~Ap-
~le! ove sinora il successo ·de1nuovlproctofti".:·quàTI1"tPlwiieeTzPiuf=ba rilanciato-la vendita
- gli esistenti (come il Mac); ove in contropartita il rischio che corre l'impresa è che l' emer-
gere (che non auguriamo) di seri problemi per un prodotto possa danneggiare tutti gli altri.
"Emerging markets are yet to produce brands equivalent to Generai Electric or Microsoft.
But when they do, Tata, the Indian conglomerate, would like to be counted among them
(dal Finanaal Times del 14.4.2011, 'Tata: polished image under threat?", di James Lamont).
The company, which values its brand at about $14bn, more than double what it was six years
ago, is embarking on an ambitious branding push into the US, UK, South Africa - and Chi-
na. But it has its work cut out to home. Tata managers are worried India's spate of corrup-
tion scandals might tarnish the global standing of its largest company [... ] ".
'TomTom, the Amsterdam-based navigation device maker, has a bit of an image problem on
its hands after it was discovered that some of the data it collects from drivers 'Yas being used
by the Dutch police to choose the best sites for speed cameras (da The Wall StreetJournal del
28.4.2011, "TomTom drives into speed camera scandal", di Archibald Preuschat). Not an
enhancement its paying customers would appreciate. TomTom - which faces a shrinking
market for persona! navigation devices and has been pushing its higher-margin service offe-
rings - collects anonymized data from owners of high-end navigation devices and Vodafone
mobile phone [ ...]. Unfortunately, a Dutch paper revealed that Dutch police were making
use of the data [ ...]. It's too early to asses how far this has knocked TomTom's image or
whether Vodafone customers are switching off their mobile phones [ ...] ".
In ambedue i casi la reputazione dell'impresa -faticosamente conquistata-è a 1ischio:per il coin-
volgimento in scandali politico-finanziari Tata, per la rivelazione di comportamenti poco lea-
li verso i suoi clienti TomTom. Con un impatto però potenzialmente diverso. Per una con-
glomerata come Tata, presente nei settori più diversi dell'economia con le tipologie più di-
verse di clienti, i danni maggiori potrebbero verificarsi nelle relazioni che essa intrattiene
con il governo indiano e con i governi dei paesi ove è presente o vuole investire: con riflessi
sulle grandi commesse pubbliche e sulle nuove concessioni. Per un'impresa viceversa foca-
lizzata sul mercato consumer come TomTom, che si identifica con il brand dei suoi prodotti,
sarebbe la vendita di questi ultimi che potrebbe entrare in crisi.
Quale sia il valore dei brand,rispetto a quello delle imprese cui fanno capo, è un pro-
blema concettualmente aperto. 11v~!~f-~is~l!~ -~~P~?PP~?'.!QD~,.!e!1!9~.P!.~ ..~J!E~..9~.§!.IJ~.O
E!}!.!!1-..-:
più_él__l
__ ..i.~~S.~~-~H-~~JtrjJatto.riiri g_i,9.-ca.~ yi~_f"!e
..a~Tib_~_i_tg
i!_mçrf.t.o...__çl~~l_livel!9
aèlle ven~~-d-~Uiv.e.llQ.dei prezzL(con il loro impatto sui margini e sulla capitalizza-
zione) è~resi realizzano "sotto il suo cappello". La logica sottostante alle valutazioni
più alte è quella di attribuire al brandtutta la differenza fra ciò che l'impresa (o il ramo
di impresa che a esso fa capo) vale e ciò che . .. varréboe··1r;·asse~zàdel
-.' . . . - .
- . . ..
hrand.
.- ,. .. - .
,. "'
In altre pa-
'' ~
role: quanto riuscirebbe a vendere, e a che prezzi, un'impresa come Coca-Cola o Pra-
da se fosse privata coeterisparibusdel suo brand?
La valutazione di un branddeve quindi awalersi, congiuntamente, di un'analisi finan-
ziaria approfondita sulle imprese e di un'analisi quantitativa dei consumatori: que-
st'ultima per comprendere quale sia la fiducia (formatasi nel tempo) che essi ripon-
gono nel brandstesso, ma anche quale la convinzione, sulla base delle esperienze re-
centi, che il brandcontinui a garantire lo stesso livello di prestazioni; e quale sia il di-
vario fra il prezzo che essi riterrebbero corretto pagare, in funzione del loro desiderio
di acquisto, e il prezzo reale.
La valutazione può essere fatta solo per i cosiddetti marketfacingbrand,ossia per i
brandche generano direttamente i ricavi e i profitti attraverso la vendita ai clienti dei
beni e dei servizi. Mentre essa non può riguardare i corporatebrand di gruppi (quali
Procter & Gamble, Unilever, Nestlé o LVHM) che hanno in portafoglio marketfacing
branddiversamente denominati o di gruppi (quali l'.Oréal) per cui la coincidenza fra
corporatee marketfacingbrandriguarda solo una parte dell'output.
Il rapporto messo a punto da WPP, BrandZ Top 100 Most valuable global brands 2011
(www.ft.com/reports/global-brands-2011;www.brandz.com), con i criteri metodologici testé citati,
è probabilmente il più noto. "[...] The ranking includes some of the world's most recognized
brands and brands that are virtually unknown. [...] lt values brands from 13 categories, ranging
from apparel, beer, cars, to fast food, fìnancial services, insurance, luxury goods, telecom provi-
ders, oil & gas companies, persona! care, retail, soft drinks, and technology. [...] AIIthese brands
survived the most challenging global economy of the past 80 years. Most emerged strengthened
and poised for growth. Success is diffìcultto unbundle. [...] Brand contributes signifìcantlyto ear-
nings across all sectors, both consumer facing and business-te-business. The value of the BrandZ
Top100 Most ValuableGlobalBrandsincreased 64 percent since 2006. During the same period, the
stock market value ofthe BrandZ portfolio grew by 35.9% compared with a fall of 1.1%for the S&P
500. lt's not that strong brands always are immune to the vicissitudes of the market and fate.
86 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
~repar~d.re~ourc~fy.L~r,d__
They're not. But ~trong br~~~~~.:....~~E:....e!.<?~ected, ~f:~i_H~~!=
They'r~
inoculated with product innovation, marketing acumen, customer closeness, trust and respons1-
ble citizenship. Having a strong brand is especially important today as consumers emerge from
the recession less trustful and much more thoughtful about what and how much they purchase.
On average worldwide, only 7 percent of consumers buy on price alone, down from 20 percent ten
years ago. In contrast, 81 percent regard brand as an important consideration [...]".
Appie e Google sono in testa alla classifica generale - con un valore stimato dei loro brand pari ri-
spettivamente a 153,3e 111,5miliardi di dollari - seguiti da IBM, McDonald's, Microsoft, Coca-Cola,
AT&T, Mari boro, China Mobile e Generai Electric. Facebook (salito al trentacinquesimo posto con
19,1miliardi) è il brandche ha avuto il più elevato accrescimento di valore percentuale, +246 per cen-
to, rispetto al 2010; mentre Appie ha avuto il più rilevante, +153,3miliardi, in termini assoluti.
Appie e Google sono owiamente in testa anche nella categoria technology,seguiti da IBM, Micro-
soft, H P, Oracle e (in decima posizione) da Facebook. Amazon vede il suo brand primo nel retail,
addirittura davanti a Wal-Mart. Nel persona/care Procter & Gamble, non classificato perché corpo-
rate,vede ben quattro suoi brandnelle prime 12 posizioni, con Gillette in testa; mentre L'.Oréal,se-
condo come marketfacingbrand,vede - come corporate- altri due suoi brand nelle prime 7 posi-
zioni. LVHM, non classificato per le stesse ragioni di Procter & Gamble, ha nel luxuryben quattro
dei suoi brand nelle prime g posizioni (Louis Vuitton, Hennessy, Moet & Chandon e Fendi), con
Louis Vuitton in testa che precede tre grandi case come Hermès, Gucci e Chanel.
Gucci e Fendi sono tra le pochissime imprese italiane e con headquartersin Italia, anche se non più
a proprietà italiana perché integrate rispettivamente nei gruppi francesi LVH M e PPR, che appaio-
no nelle classifiche settoriali. Telecom Italia e Tim sono gli unici brand italiani - anche-se non nelle
posizioni più avanzate - nell'elenco dei top 100.
Posizioni di testa invertite fra Google e Appie nella classifica de The World'sMost ReputableCom-
paniesstilata dal Reputation lnstitute (www.reputationinstitute.com/advisory-services/global-rep-
trak-pulse.php), che vede fra le top 10 imprese diverse dalle precedenti - BMW, Daimler e Volkswa-
gen, owero l'industria tedesca dell'auto; le giapponesi Sony e Canon; le altre statunitensi The Walt
Disney Company e lntel; la danese Lego - e fra le top 100 solo tre italiane: Ferrero (ventiduesima),
Pirelli (trentunesima) e Barilla (cinquantaduesima).
Perché così poche imprese del nostro paese, soprattutto nelle categorie più legate al lusso? Probabil-
mente la loro ridotta dimensione e la loro assenza in borsa (tendenza invertitasi a metà 2011 con l'I-
PO di Prada e Ferragamo), e quindi il ridotto contributo in termini assoluti all'utile e al valore di mer-
cato attribuibile al brand,giocano un ruolo non trascurabile. Anche perché le nostre imprese operanti
nella moda occupano posizioni di testa in altre classifiche: Prada, Armani, Versace e Valentino ap-
paiono ad esempio a fianco di Gucci e Fendi nei Top10 Most ExpensiveFashionBrands(http:/ /top-10-
list.org/2010/11/13/top-10-most-expensive-fashion-brands/) e a fianco di Louis Vuitton, Hermès e
Chanel nei Top 10 Most ExpensiveClothingBrands(www.top-10-blog.com/top-10-most-expensive-
clothing-brands/). Anche perché Ferrari è sicuramente uno dei brandpiù conosciuti al mondo nelle
auto sportive di lusso, per la sua presenza da sempre e le sue vittorie nella Formula 1.
2.1.5 L'assettogiuridico-proprietario-finanziario
5. Cfr. www.multicanalita.it.
88 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
mioni,..che vede la proprietà dell'impresa in capo a uno o più azionisti: questi pos-
s~'ru-7essere persone fisiche e/ o persone giuridiche (imprese, banche e assicura-
zioni, fondi di natura varia) e/ o entità pubbliche (Stato, Regioni, Comuni ecc.).
Sta agli azionisti (sharehoùkr)nominare il tap managementdell'impresa e assumere
le decisioni di fondo che la riguardano, rispettando i diritti delle eventuali mino-
ranze e quelli - fissati dalla legge e/ o frutto di accordi contrattuali - di chi
(stakehoùkr)partecipa attivamente alla vita dell'impresa: di chi lavora per essa, di
chi ne è fornitore o cliente, di chi le presta denaro, di chi vive nello stesso o negli
stessi territoii ove essa opera ecc. L'azionista può essere unico, come spesso acca-
de per le imprese familiari di piima generazione ancora rette dall'imprenditore-
fondatore. Il numero di azionisti può essere limitato, come prevalentemente ac-
cade per le imprese familiari a partire dalla seconda generazione o anche per
quelle di nascita recente fondate da più soci. Il numero di azionisti può essere
anche molto elevato, quando le imprese si sono quotate in borsa - raccogliendo
capitali a fronte della vendita di quote di propiietà - e vedono il loro flottante 6
oggetto di scambi giornalie1i sul mercato; ma anche nel caso di azionariato diffu-
so l'impresa può iisultare non contendibik (non soggetta cioè a potenziali scalate
da parte di terzi) se esiste un socio di maggioranza- o un insieme di~sociche for-
malizzano un patto fra loro - che possiede almeno la metà delle azioni.
Procter & Cambie (cfr. paragrafo1.1), in linea con la maggior parte delle grandi imprese del
mondo anglosassone, ha un azionariato estremamente diffuso: essa risulta quindi contendibi1e,
anche se il suo elevato valore - legato non solo alla dimensione ma anche alla bontà delle perfar-
manc,e- rende al momento improbabile (perché poco conveniente) la possibilità che essa ven-
ga scalata. Yoox (cfr. paragrafo1.4) ha una composizione proprietaria simile, che fa sì che an-
ch'essa sia contendibi/,e.
anche se il ruolo propulsivo che il suo fondatore e attuale amministrato-
re delegato continua ad avere rende al momento poco probabile l'eventualità di una scalata
ostile.Mentre in De' Longhi, che pure è quotata, il controllo della famiglia è pari al 75 per cen-
to. Non sono invece quotate, ma ancora a proprietà integralmente familiare, società della rile-
vanza di Ferrero e Barilla (cfr. sottoparagrafo
1.5.2). In Italia, in generale, è estremamente ridot-
to il numero delle società quotate; e larga parte di esse non è contendibile(cfr. schema2. 9').
"[ ...] Nel nostro Paese il mercato azionario ha da sempre rivestito un ruolo modesto
(dal discorso del presidente della Consob, Giuseppe Vegas, in occasione dell'Incontro
annuale con il mercatofinanziariodel 9 maggio 2011), che nell'ultimo decennio ha co-
nosciuto un'ulteriore contrazione, solo in parte spiegata da andamenti congiunturali
sfavorevoli. Fra il 2001 e il 2010 il numero delle società quotate domestiche è rimasto
sostanzialmente invariato (appena al di sotto delle 300 unità) e il peso della capitaliz-
zazione sul PIL si è quasi dimezzato (dal 47 al 27 per cento circa); i dividendi (e i riac-
quisti di azioni proprie) hanno sopravanzato gli aumenti di capitale e ogni anno agli
azionisti sono state restituite risorse pari in media al 2,6 per cento della capitalizza-
zione. Anche il mercato obbligazionario è storicamente poco sviluppato; rappresenta
un canale di finanziamento accessibile soprattutto a banche e società non finanziarie
di grandi dimensioni e con elevato merito di credito.
Il sottodimensionamento_q_~!!~J~_qr.~a ~ta_li_?_r,~--~-!.~ga,t9,
fo_nd,amen_talmente alla scarsa
presenza delle,_ rrti.dTé~imp!ese.n~Uisti_n9-.Si tratta di un fenomeno radicato nella strut-
turale frarn~entazione del nostro sistema produttivo in un numero elev?tissimQ _dL
piccole e medie imprese, prive delle dimensioni minime nec~ss'i~ie-per affrontare i
cosHlìssfi;g~ti ~alÌaqì:ù5tazioriÈte·rnùttanti·-~cfaccettare la maggiore trasparenza e
con·fendibifftà degli as.setti proprietari richieste dall'ingresso sul mercato azionario.
Per alcune di queste aziende il passaggio generazionale e l'apertura di nuovi mercati,
che postula l'aumento della scala produttiva, potrebbero essere il momento giusto per
compiere un salto dimensionale e per aprire il capitale o gli assetti manageriali a sogget-
ti portatori delle professionalità necessarie per guidarle verso la crescita e la quotazione.
Ma è ancora troppo debole il ruolo degli investitori istituzionali, in particolare di quelli
specializzati in investimenti nel capitale di rischio, che dovrebbero sostenere le società
nelle delicate fasi di passaggio che ne caratterizzano la crescita. [...] Il nostro mercato
azionario continua a essere[ ...] caratterizzato da assetti proprietari concentrati.
Nel periodo 1998-2010 il numero di società controllate di diritto o di fatto è aumenta-
to da 156 a 178, mentre la quota media detenuta dal primo azionista è rimasta presso-
ché stabile, passando dal 47 al 45 per cento.
La presenza degli investitori istituzionali [...] non è sostanzialmente, mutata negli ulti-
mi dieci anni considerati, se non per la nazionalità di tali soggetti. Da una situazione
di sostanziale parità nel 1998, quando sia gli istituzionali esteri sia quelli italiani con
partecipazioni superiori al 2 per cento erano presenti in circa una società su quattro,
si è passati, a fine 2010, a una presenza degli investitori esteri nel 40 per cento delle
società e di quelli italiani nell'8 per cento. Il fenomeno del cosiddetto interlocking con-
tinua a essere diffuso: a fine 2010, circa il 74 per cento delle società quotate aveva un
consiglio composto da almeno un membro con incarichi in altre società quotate; per
45 emittenti l'interlocking riguardava oltre il 50 per cento dei componenti[ ...]".
Procter & Cambie, al 31 agosto 2010, aveva un capitale di pertinenza degli azionisti (stakehol-
der's equity) - o capitale di rischio - pari a 61,4 miliardi di dollari, sostanzialmente provenien-
te da utili non distribuiti ( retained earnings): essendo lontanissima nel tempo la formazione
del capitale iniziale e non essendovi stati recenti aumenti di capitale a pagamento, data la
forte capacità di generare cassa o comunque (nel caso ad esempio di acquisizioni rilevanti)
di accendere prestiti presso il sistema bancario o attraverso emissioni obbligazionarie. Alla
stessa data il rapporto debt/equity (cfr. schema 1.6), fra indebitamento finanziario e capitale di
pertinenza degli azionisti, risultava pari al 46,85 per cento. Può valere la pena evidenziare la
differenza fra la consistenza contabilR del capitale di pertinenza degli azionisti - pari come
detto a 61,4 miliardi di euro - e il valore quasi triplo che il mercato borsistico assegna al com-
plesso delle azioni, legata (cfr. schema 4.1) alla logica radicalmente diversa con cui le due
grandezze sono costruite: il valore contabi!Rriflette il passato, sommando (senza attualizzarle)
tutte le cifre versate o non ritirate nel passato; il valore di borsa riflette le aspettative sui risul-
tati futuri, che ovviamente non sono sensibili solo alla quantità di denaro messo in gioco, ma
anche e spesso soprattutto alla qualità delle scelte rese possibili da tale denaro.
Seat Pagine Gialle ( 1, 11 miliardi di euro di ricavi nel 20 I O, con circa 4800 addetti), aveva inve-
ce al 31 dicembre 2010 un capitale di pertinenza degli azionisti pari a 357,8 milioni di euro -
dopo una svalutazione dell'avviamento di 673,8 milioni a seguito dell'effettuazione dell'impair-
ment test (cfr. capitolo12) - e un indebitamento finanziaiio di ben 2,731 miliardi. Una struttura
finanziaria molto sbilanciata, che impediva al valore di borsa di superare i 160 milioni di euro,
"figlia" in larga misura del duplice passaggio della società attraverso le maglie del private equity
(cfr. schema 4.3). Come spiega Massimo Mucchetti nel suo articolo "Seat Pagine Gialle e le av-
2. L'impresa e il contesto I 91
venture del private equity" sul Camere d.RllaSeradel 3.6.2007: "I fondi di private equityhanno det-
to di voler vendere il loro 50, 1% di Seat Pagine Gialle. È dunque l'occasione per tirare le som-
me di un'operazione che esemplifica la prevalenza della finanza nell'economia. Seat, una co-
stola di Telecom Italia privatizzata nel 1997, è prossima al quarto cambio di proprietà in dieci
anni. I primi acquirenti furono fondi di privateequity,poi Telecom Italia se la riprese strapagan-
dola, volendo farne una internet cmnpanycon tv annessa; nell'agosto 2003, riallocata la tv, i fondi
sono rientrati e ora stanno per monetizzare. Questi fondi hanno pagato il 61,5% di Seat 3,03
miliardi di euro e si sono finanziati per 874 milioni con capitali che appaiono come propri e
per il resto con prestiti. Dopo pochi mesi, hanno imposto a Seat la corresponsione di un divi-
dendo straordinario di 3,6 miliardi, che la società operativa si è procurata facendo, a sua volta,
debiti in banca. Con la loro quota di dividendo, i fondi hanno rimborsato il proprio debito tra-
sferendo così il rischio all'impresa [...]".Un caso esemplare di come la finanza sia indispensa-
bile per la crescita economica dell'impresa, ma anche di come il perseguimento di obiettivi fi-
nanziari a breve possa risultare letale per la sua stessa sopravvivenza.
Non è sufficiente cioè, nel clima di incertezza che caratterizza l'attività economica, presentare
prospettive favorevoli per il futuro: perché i potenziali finanziatori possono da un lato non ri-
tenere sufficientemente credibili tali prospettive e dall'altro - se la disponibilità di risorse da
mettere a disposizione è limitata (ad esempio per i vincoli ai prestiti posti da Basilea 27) - tro-
vare più conveniente concedere i finanziamenti ad altre imprese. Un'impresa viceversa con
prospettive non particolarmente favorevoli, ma che si sia costruita nel tempo un solido patri-
monio di fiducia o che goda di un buon sistema di relazioni (economiche, politiche ecc.),
può avere talora più facilità nell'accedere al credito e nel prolungare la sua vita.
7. Il Nuovo Accordosui requisiti minimi di capitale,meglio noto come Basi"lea2, è stato firmato nel
2004 dal Comitato di Basilea - organizzazione internazionale istituita dai governatori delle
Banche Centrali dei dieci paesi più industrializzati alla fine del 1974 - ed è entrato in vigore
nel 2007 (e poi parzialmente modificato nel 2008 e nel 2009 a seguito della crisi economica)
in sostituzione del precedente accordo del 1988. Basilea 2 è uno strumento di vigilanza pru-
denziale, riguardante le quote di capitale (riserve patrimoniali) che le banche devono accan-
tonare per sostenere la loro attività e che devono essere proporzionate al rischio assunto. Il 12
settembre 2010, sempre a seguito della crisi economica, è stata approvata una nuova versione
dell'accordo - Basil.ea3- che contiene condizioni ancora più restrittive di rafforzamento dei
patrimoni delle banche, che (sebbene destinate a non entrare in vigore prima del 2013) han-
no già spinto le principali banche del nostro paese a ricapitalizzarsi anticipatamente nel 2011.
92 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
petitori: quando i flussi di cassa generati dall'attività corrente non sono suffi-
cienti per finanziare sia gli investimenti sia gli incrementi di capitale circolan-
te netto che la crescita comporta.
Il caso Facebook (cfr. paragrafo 1.4) è esemplare. Si è in presenza di un'impresa con una buo-
na profittabilità, ma ancora molto piccola dal punto di vista dei ricavi rispetto a quelle che
potrebbero essere le sue potenzialità, con azionisti che puntano a una quotazione sul merca-
to borsistico a prezzi molto elevati: che devono a tale scopo mostrare che l'impresa è effetti-
vamente capace di accrescere le sue entrate e realizzare margini consistenti, e per questo in-
vestire, non disponendo però di flussi di cassa (data la dimensione economica) sufficienti a
finanziare la crescita. È la tipica situazione in cui risulta necessario l'aumento del capitale di
rischio (premessa anche per un aumento del ricorso alle banche), coinvolgendo nuovi azio-
nisti che vogliano scommettere sulla valorizzazione della società. Solitamente sono i fondi
cosiddetti di venture capi,tal(cfr. schema 4.3) che giocano questo ruolo, ma alternativamente -
come ha fatto Facebook con il supporto di Goldman Sachs all'inizio del 2011 - si possono
cercare, creando una sorta di borsa secondaria in cui vendere i titoli, finanziatori privati di-
sposti a pagare meglio le azioni.
L'impresa non deve essere vista soltanto come una componente ~del sistema
economico-finanziario, ma anche - più in generale - come un "pezzo" della
società:
• società di cui (nel suo ruolo più proprio) cerca di soddisfare direttalnen-
te o indirettamente, percependoli o anticipandoli ·o àriciìé ..sollecitando-
li, bisogni e aspirazioni individuali e collettivi, attraverso i prodotti (beni
e sérvizif che mette sul mercato;
• società da cui ~rae le risorse u~ane che operano stabilmente o tempora-
neamente in essa o per essa, e delle cui esigenze e visioni della realtà de-
ve tenere conto se vuole garantirsene impegno e fedeltà;
• società ai cui vawri di fondo, in con.tinua ev~~µ,zioqe, deve adeguarsi (pe-
raltro contribuendo consciamente o inconsciamente alla loro formazio-
ne), pena l'ostracismo e la sparizione: si pensi ad esempio al fortissimo
~ ~
Con il termine Stato si fa riferimento non solo allo Stato nazionale, ma anche alle sue artic~
fazioni territoriali (Regioni, Province, Comuni) da un lato e all'Unione Europea dall'altro,
che stanno sottraendo spazi crescenti al primo: in connessione con il trasferimentoversoil bas-
so di alcuni poteri, introdotto in seguito a modifiche apportate al nostro ordinamento costi-
tuzionale, e con il trasferimentoverso l'alto di altri, legato alla costruzione (ancorché travaglia-
ta) dell"'edificio" comunitario.
"'Un fisco più leggero su imprese e lavoratori, paghi anche la finanza' (dall'articolo di Mat-
teo Meneghello su fl So/,e24 Oredel 20.4.2011). 'Il convincimento degli imprenditori lombar-
di - spiega il presidente di Confindustria Lombardia - è che il sistema vada cambiato, in mo-
do che sia ridotta l'imposizione fiscale su imprese e lavoratori dipendenti e trasferita, piutto-
sto, sulle rendite di qualsiasi natura e sui beni materiali. Le imprese hanno bisogno di un si-
stema di esazione fiscale più equo e sostenibile. Il carico fiscale è un elemento di competiti-
vità di sistema: se continuiamo a far pagare le tasse soprattutto alle imprese e ai lavoratori, il
rischio di perdere attrattività è reale. Un rischio che ci condanna I a una spirale involutiva'. 'Si
deve ridurre la spesa pubblica - aggiunge il presidente dell'Associazione industriale brescia-
na - abbattendo gli sprechi, diminuendo i costi della burocrazia e della politica. Costi che, se
ridotti in maniera significativa, possono permetterci di recuperare risorse importanti. E que-
sto senza trascurare l'impegno contro l'evasione'". E negli Stati Uniti "[ ...] Obama admini-
stration officials have been working behind the scenes for severa! months on corporate tax
reform (dal Financial Times del 17.3.2011, "Prospects for early US corporate tax reform in
doubt", di James Politi), running the numbers, meeting business leaders and think-tanks,
and consulting members of Congress and their staff on how to advance legislation. The aim
is to lower the top corporate tax rate from its current 35 per cent- one of the highest in the
developed world - to boost US competitiveness. In order to do so without further running
up budget deficits, a vast array of tax breaks, deductions and special incen tives would have to
be eliminated from the corporate tax code. [ ...] But moving from generai statements of am-
bition to accomplish corporate tax reform to the specifics of legislation - a process that is be-
ginning to unfold now - is proving to be difficult [... ] ".
La tassazione - nelle molteplici forme dirette e indirette che essa può assume-
re e con le molteplici voci che essa può colpire (gli utili, il valore aggiunto, il
costo del lavoro ecc.) - rappresenta una componente di grande rilevanza nel
bilancio di un'impresa, in grado di condizionarne la profittabilità, la crescita
e talora la stessa sopravvivenza.
La ~~-~i2E:~~~z.l!~.!U1.3:lJ!.~~1E.E.~'2LJA!!.ti{~)~
,.__......~.~
~Ql~H.ç_~_e,_pg~~~Q,,12~.-~J.~~E.e
...tr,~_sf
e-
94 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
riti agli azionisti sotto forma di dividendi; ma limita anche le possibilità di au-
tofinan:riamento per un'impresa che· voglia reinvestire i suoi utili per cresce-
re. La tassazione sul lavoro (contributi previdenziali ecc.), se elevata, rappre-
senta un disincentivo ad assumere o un incentivo -violando la legge - al ri-
corso al cosiddetto lavoronero.L'IVA- l'ìmposta sul valore aggiunto che accre-
sce il costo di acquisto di un bene o di un servizio per il consumatore - pena-
lizza coeterisparibus il volume dei consumi e spinge spesso i comparti in crisi a
chiederne la riduzione.
La t3:s.sazione delle imprese è d'altra parte indispensabil~, insieme con
qu~Ti~-dell~-persone fisiche, per mantenere lo Stato e finanziare la spesa pub-
blica. L'impatto fiscale sulle imprese, in un paese (ma ormai sono numerosi
quelli con una situazione simile) oberato dal volume di debito pubblico accu-
mulato nel tempo e dall'ammontare degli interessi, può essere ridotto o di-
stribuito in modo differente solo spostando il tiroverso altri comparti (riducen-
do la spesa pubblica, tassando maggiormente le persone fisiche, aumentando
le aliquote sulle rendite' finanziarie, riducendo o eliminando gli incentivi in
essere ecc.): con un'ovvia resistenza di tali comparti, che rende politicamente
difficile effettuare anche le riforme giudicate più necessarie.
La tassazione inoltre, in un sistema geo-politicamente aperto (cfr. paragrafo
2.3), diventa un fattore competitivo:per le imprese, favorite o penalizzate dalla
localizzazione delle loro attività, che possono per questo essere spinte a modi-
ficarla; per gli Stati, che sempre più spesso cercano di attrarre imprese sul lo-
ro territorio offrendo un'imposizione fiscale più favorevole.
"Dall'Est caccia aperta alle imprese venete (dall'articolo del 27.10.2010 di Federico Nicoletti
sul Corriere della Sera). E gli industriali rilanciano l'appello: 'La politica crei le condizioni per
rimanere qui'. Il mix si fa sempre più allettante: bassa tassazione sulle imprese, costi del lavo-
ro più favorevoli, poche settimane per costituire società e siti industriali disponibili. Magari
con incentivi, come il taglio delle tasse per un certo numero di anni, per chi si insedia. Op-
portunità che rendono attraenti non solo paesi come Repubblica Ceca e Slovacchia, Roma-
nia e Serbia, ultima frontiera degli insediamenti all'estero, ma anche Austria e Ger_mania. In-
centivi con cui le agenzie di marketing territoriale bussano alle porte degli imprenditori del
Nord Est [...] ". E in Francia "France will refuse a cut in the cost of Ireland's European bail-
out loans at next week's meeting of eurozone finance ministers as 'long as Dublin maintains
its ultra-low corporate tax rate (dal Anancial Times del 10.5.2011, "France resists Ireland's low
corporate tax", di Peggy Hollinger e John Murray Brown). President Nicolas Sarkozy has at-
tacked Ireland's 12.5 per cent corporate tax rate as a form of 'fiscal dumping', accusing Du-
blin of using unfair methods to attract foreign investment and compete against the Euro-
pean partners who bailed the country out of its severe banking crisis. His view has previously
been endorsed in Germany, where Berlin has also called for an increase in the corporate tax
rate. [ ...] Irish officials are lobbying intensely to shift the French position, arguing that the
corporate tax rate is necessary for the competitiveness of a country with 4.5m people and
any change could severely dent investor confidence [... ] ".
Gli incentivi possono essere visti invece come una sorta di tasse negative. La tas-
sazione ridotta è già una forma di incentivazione, ma in diversi casi si inverte
la direzione delle risorse finanziarie. È lo Stato cioè, nelle sue molteplici arti-
2. L'impresa e il contesto I 95
tenga conto delle istanze delle diverse parti in gioco [...)". E Davide Chiaroni, Federi-
co Frattini e Lorenzo Boscherini, nello stesso Report:11 Nel complesso, nel corso del
2010 in Italia sono stati installati impianti per 2.100 MW (+ 192% rispetto al 2009).
[...] A fine 2010 erano in funzione in Italia circa 210.000 impianti fotovoltaici, per una
potenza totale di 3:276 MW, oltre 64 volte il valore che si registrava in Italia all'inizio
del 2007 (prima dell'entrata in vigore dei nuovi incentivi): con 800 imprese circa
operanti lungo l'intera filiera, oltre a diverse migliaia di operatori locali attivi nella fa-
se di installazione e a 430 banche e istituti di credito attivi nel finanziamento degli
impianti. [...] Una crescita così esplosiva lascia evidentemente qualche perplessità
ed ha inevitabilmente attratto sul fotovoltaico gli 'strali' di chi è particolarmente
preoccupato del diffondersi di atteggiamenti opportunistici e speculativi, in qualche
modo mascherati dalla connotazione 11verde" dell'investimento in energie rinnovabi-
li[ ...)". Una perplessità soprattutto per l'onere (stimato 40 miliardi di euro circa) che
gli incentivi comporteranno per la collettività lungo l'arco ventennale di erogazione:
sempreché, nel frattempo, l'incremento dei prezzi dell'energia da fonti tradizionali
non cambi le carte in tavola.
Lo Stato italiano (cfr. schema 1.5), con gradazioni e modalità diverse da altri
Stati, ha giocato sino a non molti anni or sono un ruolo - nell'economia e
nella finanza - molto più intrusivo di quello che gioca attualmente, svolgendo
funzioni di imprenditore-azionista e regolamentando con mano pesante in
molti comparti lo stesso diritto di "fare impresa". E il processo di ,privatizzazioni
e liberalizzazioni portato avanti successivamente ha cambiato profondamente
la mappa del nostro sistema economico-finanziario: impattando con partico-
lare forza sulle imprese di dimensione maggiore e mettendo in moto una se-
quenza di acquisizioni, fusioni e smembramenti forse non ancora arrestatasi.
Con il termine ,privatizzazione ( di un 'impresa), più precisamente, si intende il
passaggio della proprietà dell'impresa stessa - completo o parziale, concen-
trato nel tempo o effettuato per tappe successive - dalle mani pubbliche a
quelle private.
Con il termine liberalizzazione ( di un settore), invece, si intende il processo
di abbattimento del monopolio pubblico (statale o locale) precedentemen-
te in atto o di attenuazione dei meccanismi di iper-regolamentazione del
settore stesso (restrizioni discrezionali all'ingresso di nuovi attori, obblighi
di autorizzazione preventiva per gli investimenti di espansione ecc.), non-
ché di messa in moto di meccanismi volti a incre1nentare il numero e il peso
delle imprese presenti e il livello di competizione: affidandone la gestione -
laddove il mercato non sia strutturalmente in grado di svolgere il suo ruolo
di mediazione fra la domanda e l'offerta - ad authority settoriali costituite ad
hoc ( cfr. schema 2.11).
2. L'impresa e il contesto I 97
Che lo Stato abbia avuto, e in parte conservi, un peso di estremo rilievo nella sua attività di
imprenditore lo si è visto nello schema 1.5. E d'altra parte basta tornare ai secondi anni '80 o
ai primi '90 per trovare uno Stato che produceva ancora apparati di telecomunicazione con
ltaltel 'e panettoni e gelati con i marchi Motta e Alemagna, che si occupava di grande distri-
buzione con GS e che faceva il "ristoratore" con Autogrill lungo le autostrade (anch'esse pe-
raltro in larga misura di sua proprietà); che gestiva (anche se indirettamente) la Borsa; che
possedeva diverse delle principali banche e controllava a vista attraverso la Banca d'Italia il si-
stema bancario, concedendo con il contagocce l'autorizzazione a creare nuovi sportelli e fa-
cendo sostanzialmente da baluardo all'ingresso di nuovi competitori; che a livello locale con-
trollava quasi integralmente le utility.
Questo sino all'arrivo anche in Italia, sotto il pungolo dell'Unione Europea, dell'onda lunga
proveniente dal Regno Unito e dagli Stati Uniti. Ove le privatizzazioni e le liberalizzazioni
avevano dato una forte spinta alla rivitalizzazione delle economie, ambedue in affanno an-
che se in misura e per ragioni diverse: la prima in crisi dal dopoguerra per la perdita del suo
vastissimo impero coloniale; la seconda in crisi sotto le bordate di un'industria giapponese
che al momento sembrava invincibile.
Molti passi si sono fatti dagli anni '90 in poi: diversi gruppi sono stati privatiz-
zati; in diversi settori é stata intrapresa, anche se con maggiori difficoltà (alcu-
ne delle quali oggettive), la strada della liberalizzazione; si sono fortemente ri-
dotte nei gruppi rimasti pubblici o sotto controllo pubblico, a livello centrale,
le pressioni politico-clientelari e sindacali che avevano caratterizzato i periodi
precedenti. Molto meno si è fatto a livello periferico (regionale, ma soprattut-
to provinciale e comunale), ove la proprietà di molte imprese - operanti tipi-
camente nei trasporti pubblici, nella pulizia urbana e nel trattamento dei ri-
fiuti, nella gestione dell'acqua, nelle utility per la fornitura di energia ecc. - è
tuttora prevalentemente in mano pubblica.
Il "pendolo" potrebbe cambiare però di direzione. Su scala mondiale per-
ché alcuni dei paesi a tasso di sviluppo più elevato, in primo luogo la Cina, so-
no caratterizzati da una presenza pubblica forte nelle imprese; e anche per-
ché i salvataggi - soprattutto delle banche - e_ffettuati durante la crisi del 2008
hanno accresciuto il peso della mano pubblica in diversi paesi sviluppati. In
Italia perché l'intervento diretto dello Stato è invocato come strumento di
promozione di una crescita ritenuta troppo bassa o come strumento di difesa
contro le scalate a imprese italiane: dimenticando gli effetti nefasti che il cli-
ma statalista aveva generato (in termini di inefficienze, pressioni della più di-
versa natura, corruzione ecc.) e che potrebbe tornare a generare.
8. Per maggiori dettagli si possono consultare il sito www.organidellostato.it, nella sezione Auto-
98 L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
• vigila, con rilevanti poteri sanzionatori, sulle intese restrittive della concorrenza
(quali gli accordi fra imprese volti a nonfarsi troppaconcorrenzae a mantenere ele-
vato il livello dei prezzi ai danni dei consumatori o delle imprese acquirenti) e su-
gli abusi di posizione dominante (quali l'uso da parte delle imprese leader del
proprio potere di mercato per scoraggiare la distribuzione e/o l'acquisto di pro-
dotti concorrenti);
• vigila sulle operazioni di concentrazione fra imprese (acquisizioni e/o fusioni),
per evitare la costituzione o il rafforzamento di posizioni dominanti tali da elimi-
nare o ridurre in misura sostanziale e duratura la concorrenza sul territorio nazio-
nale: concedendo o meno l'autorizzazione (o condizionandola all'adozione di
determinati rimedi)a tutte quelle operazioni che per legge - data la loro rilevanza
- le devono essere preventivamente sottoposte e che non ricadono nella sfera di
azione dell'antitrusteuropeo.
Ha anche competenze in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparati-
va e in materia di conflitti di interessi.
È un'authority"indipendente", ove con questo termine si fa riferimento a un'ammini-
strazione pubblica che prende le proprie decisioni sulla base della legge, senza possi-
bilità di ingerenze da parte del governo né di altri organi della rappresentanza politica.
È un organo collegiale che prende le decisioni votando a maggioranza, formato da
persone scelte per legge sulla base della professionalità e della correttezza dei com-
portamenti.
È composta da un presidente e da quattro componenti, nominati di concerto dai pre-
sidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, che durano in carica
sette anni senza possibilità di un secondo mandato.
Tra le sanzioni pecuniarie più consistenti comminate per "intese restrittive della con-
correnza" si possono ricordare quelle alle società petrolifere (relativamente ai prezzi
di distribuzione al dettaglio) e alle società assicurative (relativamente ai premi per le
polizze). Sia nel caso di sanzioni pecuniarie, sia in quello di mancate autorizzazioni o
di imposizione di rimediritenuti ingiustificati, esiste la possibilità di ricorso al TAR del
Lazio9 e, in ultima istanza, al Consiglio di Stato.
LAutoritàper l'energiaelettricae il gas, nata nel 1995a fronte dei processi di liberalizza-
zione dei corrispondenti settori e di privatizzazione delle imprese pubbliche (nella fatti-
specie Enel ed Eni) in essi operanti in condizione di monopolio legale, ha poteri forti di
regolazione nella determinazione delle tariffe, dei livelli di qualità dei servizi e delle con-
dizioni tecnico-economiche di accesso e interconnessione alle reti, giustificati dal fatto
che il mercato non è in grado di garantire l'interesse di utenti e consumatori a causa
dei vincoli (tecnici e/o legali) - connessi con la non replicabilità delle reti - che limitano
il normale funzionamento dei meccanismi concorrenziali. È anch'essa un organo colle-
giale, formato da cinque membri, ma le modalità di nomina sono un po' differenti.
LAutoritàper le garanzienellecomunicazioni,o Agcom, nata nel 1997,è in parte figlia
dei processi di liberalizzazione e privatizzazione (di quella che è l'attuale Telecom lta-
2.2.3 Responsabilità
sociale
Eni (cfr. schema 1.2), il principale gruppo del nostro paese per ricavi e per capitalizzazione,
esprime con forte enfasi l'Impegno per la Sostenibilità sul suo sito www.eni.com: "Operare in
modo sostenibile significa creare valore per gli stakeholder e utilizzare le risorse in modo ta-
le da non compromettere i fabbisogni delle generazioni future, rispettando le persone, l'am-
biente e la società nel suo complesso. Eni si ispira ai principi di correttezza, trasparenza, one-
stà e integrità e adotta i più elevati standard e linee guida internazionali nella gestione delle
proprie attività in tutti i contesti in cui opera. Considera la sostenibilità come il motore di un
processo di miglioramento continuo che garantisce i risultati nel tempo e il rafforzamento
delle performance economiche e della reputazione. Si impegna a realizzare azioni tese a
promuovere il rispetto delle persone e dei loro diritti, dell'ambiente e, più in generale, degli
interessi diffusi delle collettività in cui opera. Conduce le sue attività prendendo in conside-
razione gli interessi degli stakeholder, nella consapevolezza che il dialogo e la condivisione
degli obiettivi sono strumenti attraverso i quali creàre valore reciproco. Contribuisce, at~a:
verso le sue attività, a uno sviluppo sostenibile dei Paesi in cui opera, creando opportumta
100 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
per le persone e le imprese locali. Garantisce la sostenibilità delle sue attività attraverso un
modello declinato nei processi e trasversale a tutte le funzioni aziendali, orientato all'innova-
zione e al conseguimento di obiettivi di lungo periodo e attraverso una valutazione e una ge-
stione dei rischi che contribuisce alla loro prevenzione o mitigazione". Sulla base di tale im-
pegno il titolo Eni è stato ripetutamente confermato nell'indice DowJones Sustainamlity World
e nell'indice di sostenibilità FI'SE4Good.
Procter & Cambie (cfr. paragrafo 1.1) attribuisce anch'essa sul suo sito www.pg.com un ruolo
molto elevato alla sustainamlity: "Sustainability is about ensuring a better quality of life, now
and for generations to come. P&G does this through the products and services we offer,
making these products in an environmentally responsible manner, and through our social
responsibility programs that improve lives for those in need around the world. We define su-
stainability broadly at P&G to include both ehvironmental sustainability and socia! responsi-
bility". E i capitoli in cui essa articola la tematica sono: "environmental sustainability, socia!
responsibility, product safety, privacy, employee engagement".
Generai Electric (cfr. sotto-paragrafo1.5.1) - una delle società più note al mondo per longe-
vità, innovatività e redditività - attribuisce sul suo sito www.ge.com un rilievo molto elevato
alla citizenship:"GE's approach to corporate citizenship and to business are driven by a com-
mon understanding of the role we can play in helping to solve the world's toughest pro-
blems. Our goals are to make money (strong, sustained economie performance), make it
ethically (rigorous compliance with financial and legai rules), and make a difference (ethi-
cal actions, beyond formai requirements, to advance GE's reputation and long-term
health). GE's corporate citizenship strategy is defined by three key pillars of energy and cli-
mate change, sustainable healthcare and community building, and underpinned by a foun-
dation of operational excellence in the way that we do business. We highlight our citizen-
ship performance with data points, metrics, actions and progress made in the following
priority areas: our people; our people: health & safety; compliance & governance; public
policy; environment; our suppliers; human rights; our products & services; our customers;
our communities".
Le impostazioni comuni alle tre grandi realtà citate appaiono in linea con il successo che ha
avuto nel mondo - almeno nelle dichiarazioni- l'idea macrodi sviluppo sostenibde,cqme sinte-
si di tematiche prima promosse singolarmente. "Sustainable development [secondo la diffu-
sissima definizione del Brundtl,and Report] is development that meets the needs of the pre-
sent without compromising the ability of future generations to meet their own needs. It con-
tains within it two key concepts: (1) the concept of needs, in particular the essential needs of
the world's poor, to which overriding priority should be given; and (2) the idea oflimitations
imposed by the state of technology and social organization on the environment's ability to
meet present and future needs". Il mondo in altre parole deve essere visto come un sistema
"that connects space and that connects time (cfr. www.iisd.org/ sd/) ". Perché "the air pollu-
tion from North America affects air quality in Asia, and that pesticides sprayed in Argentina
could harm fish stocks off the coast of Australia". Perché "the decisions our grandparents
made about how to farm the land continue to affect agricultural practice today; and the eco-
nomie policies we endorse today will have an impact on urban poverty when our children
are adults". E ancora, relativamente alla qualità dell,avita da considerare anch'essa in un'otti-
ca di sistema: "It's good to be physically healthy, but what if you are poor and don'fhave ac-
cess to education? It's good to have a secure income, but what if the air in your part of the
world is unclean? And it' s good to have freedom of religious expression, but what if you can 't
feed your family?". Tale visione olistica dello sviluppo sostenibile, accompagnata dal tentati-
vo di una classificazione sistematica di tutto ciò che un'impresa dovrebbe fare per contribui-
re allo sviluppo sostenibile del mondo, è alla base ad esempio dello standard ISO 26000 che
verrà discusso nel seguito (cfr. paragrafo3.5).
"Companies can meld social responsibility with strategy by focusing on the interde-
pendence of business and society, rather than on the friction between them. The re-
sults benefit both far more than prevailing corporate social programs can". È il sotto-
titolo dell'articolo "Strategy and society: The Link Between Competitive Advantage
and Corporate Social Responsibility", di Michael E. Porter e Mark R. Kramer, pubblica-
to sulla HarvardBusinessReviewItaliadel gennaio-febbraio 2007, n. 1-2, sintetizzato
da Umberto Bertelè nel suo commento (che rieccheggia varie considerazioni riporta-
te nel testo) nell'edizione italiana della rivista.
Privilegiare
le azioniche creano'valorecondiviso'per l'impresae la società.Limpresa non
deve avere però, come troppo spesso ha attualmente, un approccio cosmeticoalla re-
sponsabilità sociale. Non deve comportarsi come un'istituzione filantropica, disper-
dendo i suoi interventi in azioni di generico interesse per la società. Non deve affidare
le politiche CSR (CorporateSocia/Responsibility) a persone diverse da quelle che gesti-
scono i corebusiness.Essa deve invece - ed è la tesi fondamentale dell'articolo - inte-
grare le politiche CSR nella sua strategia complessiva, privilegiando quelle azioni che
producono benefici strutturali allo stesso tempo per se stessa e per la società. Un in-
dirizzo di fondo che, riecheggiando Adam Smith, vede come situazione ideale per la
società e per l'impresa quella in cui ciascuno gioca bene la propria parte: la società ge-
nerando segnali chiari e coerenti sul suo sistema di valori, l'impresa perseguendo i
suoi obiettivi di profittabilità e crescita in linea con i valori sociali e consolidando di
conseguenza la sua sostenibilità nel tempo. Un indirizzo di fondo che ritiene eccessi-
va l'attenzione usualmente posta sui trade-ojffra interessi della società e dell'impresa
e che punta invece a uscire dalla logica del 'gioco a somma nulla' attraverso lo sfrutta-
mento intelligente delle interrelazioni fra la società e l'impres'a stessa.
Focalizzarsi
sui 'punti di interrelazione'.Le attività e i processi dell'impresa hanno un
impatto (inside-out)più o meno rilevante, nel bene e nel male, sul contesto socio-am-
bientale-territoriale esterno. E il contesto esterno - con le sue disponibilità locali di ri-
sorse umane e naturali, la sua infrastrutturazione, i suoi vincoli e incentivi, le altre sue
peculiarità - ha a sua volta un impatto (outside-in)più o meno rilevante sull'impresa:
condizionandone la competitività e le strategie di lungo termine. La tesi di Porter è
che proprio su questi punti di interrelazione l'impresa deve focalizzarsi, costruendosi
una agendasocialeche non si preoccupi soltanto di accontentare genericamente gli
stakeholder,ma che - al di là dei doveriminimi - sia selettiva nella scelta delle iniziati-
2. L'impresa e il contesto I l 03
ve. Un'agendain particolare che privilegi quelle che offrono opportunità dirette in te-
ma di competitività o che appaiono come sorgenti di idee innovative, potenzialmente
trasformabili in differenziali competitivi (ad esempio inducendo il regolatore pubblico
ad adottare come standard l'innovazione in tema di ambiente sviluppata nell'ambito
dell'impresa stessa). Un'agendache risponda al principio di trasformare la responsabi-
litàsocialein opportunitàsociale.
La CSR come parte integrantedellastrategia.Le esigenze sociali da soddisfare devono
diventare parte integrante della value propositiondell'impresa. Le scelte in tema di
CSRdevono essere assunte congiuntamente a quelle in tema di business, e agli stes-
si livelli decisionali. Più ìn generale è tutta l'organizzazione che deve adeguarsi - nei
processi, negli obiettivi, nelle misure di prestazioni - se si vuole che l'integrazione fra
obiettivi economici e sociali non resti sulla carta."
(da// Sole 24 Ore del 1.10.2004, "Terremoto Merck a Wall Street", di Stefano Carrer) "Una bato-
sta per gli investitori internazionali in uno dei titoli azionari considerati relativamente più sicuri.
Il terzo gruppo farmaceutico mondiale, l'americana Merck, ha perso ieri circa 27 miliardi di $ di
capitalizzazione [di borsa] dopo la decisione di procedere al ritiro volontario immediato su scala
globale del Vioxx: uno dei farmaci più venduti nel mondo, con un giro d'affari totale stimato per
quest'anno in quasi 3 miliardi di $; il più utilizzato al di fuori degli USA per combattere l'artrite e
i dolori acuti. La decisione si è basata sui risultati di uno studio triennale che ha indicato un rad-
doppio del rischio di problemi cardiovascolari, come infarti e ictus, in pazienti affetti da cancro
colonrettale [...] Le azioni della Merck sono così precipitate del 26,8 per cento a 33 $: il peggior
tonfo da 11 anni di un titolo del Dow Jones [...]. Il panico degli investitori non deriva tanto [dal ca-
lo atteso degli utili per quest'anno], ma dalle conseguenze a largo raggio. Viene messa in forse
l'approvazione da parte della FDA (l'authoritystatunitense preposta alle autorizzazioni) della
nuova versione del farmaco, Arcoxia, già commercializzato in 47 Paesi ma non ancora in USA.
C'è la probabilità di una valanga di cause giudiziarie di risarcimento danni (alcune già iniziate ie-
ri), tanto più che i dubbi sugli effetti collaterali del Vioxx erano emersi da tempo e la società li
aveva minimizzati.[ ...] Grandi investitori istituzionali USA potrebbero imboccare anch'essi la via
dei tribunali.
Solo due mesi fa, in occasione della trimestrale, Merck aveva sottolineato che le vendite di Vioxx
erano aumentate a 1,3 miliardi nel primo semestre (da 2,5 in tutto il 2003), aveva applaudito la de-
cisione della FDA del marzo scorso di estenderne l'approvazione al trattamento acuto dell'emicra-
104 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
nia e aveva dichiarato di continuare a cercare di promuovere nuovi utilizzi per il Vioxx per estende-
re i benefìci clinici del prodotto a 'new populations' [...]".
(dal FinancialTimes del 17-4.2011, "ThyssenKrupp executive convicted", di Guy Dinmore) "A
Turin court has sent shockwaves through ltaly's business community by making legal history in
convicting a German executive ofThyssenKrupp on charges of manslaughter. At the end of one
of ltaly's most watched trials on Friday, H.E., chief executive of the German steelmaker at its
Turin plant, was sentenced to 16½ years in prison on charges of 'second degree murder', ovP.r
the deaths of seven workers in an industriai accident at its steel plant in northern ltaly. [...] The
prosecution argued that the plant's managers had deliberately sacrifìced security for cost-
savings ahead of the planned closure of the plant, knowing that an accident was possible. The
seven workers died in a blaze that broke out in its Turin plant in December 2007. The Essen-
based steelmaker, which described the verdicts as 'incomprehensible', is appealing. lt reiterated
its commitment to ensuring the safety of its workers and said such a tragedy should not be
allowed to happen again. Although ltaly has improved its record on industriai accidents over the
past decade, its fatality rate remains the worst among major industriai countries in Europe.
Courts had been criticised in the past by trade unions of taking too lenient an attitude towards
employers. This time some commentators asked whether the judges had taken a particularly
tough line as the accused were foreign [...]".
(dal FinancialTimes del 24.8.2011, "Google reaches $5oom deal over drug ads", di Joseph Menn
e Richard Waters) "Google has reached a $5oom settlement with US prosecutors to resolve a
criminal investigation into its accepting advertisements from companies selling unlicensed
pharmaceuticals. The payment is one of the largest forfeitures imposed in the US, according to
federai authorities, and is a severe dent to the reputation of a company that ~unched with a
promise to 'do good in the world'. The internet search company was aware as long ago as 2003
that it was illegal in most cases for pharmacies based in Canada to ship prescription drugs into
the US [...]. Despite this, Google continued to accept the adverts on its AdWords search adver-
tising system, and advised pharmacies on how to make messages more effective, unti I it learnt
of the cri minai inquiry in 2009. [... ] The $5oom payment represents the revenues Google made
from selling the adverts and the estimated revenues generated by the pharmacies from their
sales to US consumers. [...] Like Microsoft and Yahoo, Google has already changed its ad
policies following pressure from licensed pharmacies, major drugmakers and the FDA to do
more to fìlter out ads for prescription medications that are counterfeit or unlicensed for sale in
the US. Many are manufactured in China, India and other countries [...]".
[...] At market exchange rates, the non-rich share of world GDP comes to something
like 38 per cent. [...] But the trend is clear. Back in 1990, the advanced economies ac-
counted for 69 per cent of global GDP (in PPPterms). And in the past eight years, real
GDP in advanced economies increased by a mere 14per cent, while developing nations
grew by 69 per cent".
L'.allargamento dell'economia globalizzata a nuovi paesi, caratterizzati da un PIL pro
capite molto più basso e da differenze culturali spesso molto rilevanti, ha interrottoal-
meno temporaneamente - mantenendolo nei precedenti confini - quel processo di
omologazionedellasocietàche aveva caratterizzato i decenni precedenti al 2000. Le di-
versità territoriali hanno riacquistato importanza, con conseguenze significative sulle
modalità di internazionalizzazione delle imprese e sulla globalizzazione dei mercati
(cfr.schema2. 15).
2.3.2 l!internazionalizzazione
delle impresee la globalizzazionedei mercati
Brembo, la multinazional,etascabi,l,e italiana nota in tutto il mondo per la qualità dei suoi siste-
mi frenanti (utilizzati tra l'altro da Ferrari per la Formula 1), che occupa 6 mila addetti (il 10
per cento dei quali nell'R&D) con ricavi 2010 pari a 1,08 miliardi di€ e una capitalizzazione
2. L'impresa e il contesto I l 09
di borsa di 660 milioni, ha aperto ad esempio nel 2001 il suo primo impianto in Cina a Nan-
chino - per rifornire la fabbrica locale dei veicoli commerciali Iveco (al seguito quindi del
suo cliente Fiat) - attraverso una joint venture con un partner cinese di cui detiene una quota
di minoranza. Nel 2006 ha aperto un secondo impianto nell'area cittadina di Pechino, per
rifornire invece le fabbriche in Estremo Oriente dei costruttori di automobili sia europei sia
asiatici (e quindi anche il mercato locale), attraverso una joint venture con un socio finanzia-
rio di cui questa volta detiene la quota di maggioranza. Ancora nel 2006 ha aperto in India
una joint venture con una sussidiaria del gruppo multinazionale tedesco Bosch - la KBX Mo-
torbike Products Private Ltd. - per la fornitura di sistemi frenanti per motociclette al merca-
to indiano e in generale del Far East: rilevandone poi la totale proprietà nel 2008. Nel 2007
ha acquisito la divisione freni della statunitense Hayes Lemmerz (operante nella componen-
tistica automobilistica), e con essa i due impianti produttivi nel Michigan e in Messico; nel
2009 il ramo di azienda per la produzione e la commercializzazione di volani motore per
l'industria automobilistica della brasiliana Sawem Industriai; nel 2010 una fonderia a Nan-
chino, nel quadro della realizzazione di un polo produttivo integrato per triplicare la produ-
zione di dischi e pinze freno per il mercato cinese. Complessivamente Brembo, allo scopo di-
chiarato di coprire i mercati serviti e di acquisire nuovi clienti, dispone di siti produttivi in 12
paesi (in Europa, America e Asia) e commercializza i propri prodotti in 70.
Mapei (acronimo di "Materiali ausiliari per l'edilizia e l'industria") è una multinazionale ta-
scabile altrettanto famosa, che nel giro di 15 anni ha moltiplicato per 20 il suo fatturato -
l'aggregato è pari a circa 1,9 miliardi di€ nel 2010 (oltre il 60 per tento dei quali al di fuori
dell'Italia) - puntando sull'innovazione e sull'internazionalizzazione e ricorrendo ampia-
mente a tale scopo alle acquisizioni. Mapei ha 7.500 addetti (a fronte dei 50 degli inizi degli
anni '70). Ha 69 diverse società che operano in 58 stabilimenti (9 in Italia) in 44 paesi diver-
si. Investe il 5 per cento circa del suo fatturato nella R&D, che assorbe il 12 per cento degli
addetti e che si avvale di dieci centri di ricerca principali (tre in Italia, uno in Francia, uno in
Germania, uno in Norvegia, uno in Canada e tre negli Stati Uniti).
Ha una gamma di più di 1.350 prodotti per l'edilizia (adesivi, sigillanti, malte, additivi, lattici
ecc.), in larga misura frutto degli investimenti in R&D. Tra le acquisizioni più significative:
Vinavil nel 1994, Gorka Cement (cementeria polacca) e VA.CA. (impresa estrattiva di sabbia
pregiata italiana) nel 2000, Sopra (uno dei principali produttori tedeschi di prodotti chimici
per l'edilizia) nel 2002, Rasco Bitumentechnik (produttore tedesco di materiali bituminosi)
nel 2006, Gruppo Polyglass (produttore di membrane impermeabilizzanti e sistemi isolanti)
nel 2008, Betontechnik (produttore austriaco di additivi) nel 2009 ed Henkel South Korea
(produttore di adesivi per l'edilizia) nel 2011.
Fiat continua a essere leader in Italia, Peugeot e Renault in Francia, le tre grandi tedesche
(Volkswagen, Daimler Benz e BMW) in Germania, Toyota e Honda in Giappone. Ma la
stessa cosa non accade nel Regno Unito, dove le imprese nazionali hanno perso la loro au-
tonomia - essendo state assorbite da gruppi di altri paesi - molti anni fa. Non accade in
Brasile, dove una vera industria nazionale non è mai esistita e dove Fiat e Volkswagen - da
molti anni con loro stabilimenti nel paese - dominano il mercato. Accade solo parzial-
mente in Cina, diventato nel 2010 il più importante mercato del mondo, dove le imprese
cinesi pesano per 45 per cento circa e le joint ventures con le grandi imprese mondiali per il
restante 55.
Negli smartphone e negli aerei per uso civile (per scegliere due esempi lonta-
ni fra loro) il grado di omologazione - a livello addirittura mondiale - è
molto più elevato, pur permanendo differenze nella forza relativa dei com-
petitori nelle diverse aree del mondo: analogamente peraltro a quanto ac-
2. L'impresa e il contesto I lll
Negli smartphone (cfr. paragrafo 1.4 e schema 2.8), a differenza di quanto accade per le auto-
mobili, le imprese competitrici fanno capo a un numero molto ridotto di paesi. E, a diffe-
renza dell'automobile, si è in presenza di un mercato nato pochi anni fa e molto meno cri-
stallizzato, che vede una continua evoluzione dei prodotti e delle quote. È significativo ricor-
dare, a testimonianza delle differenze di peso nei diversi paesi anche in un comparto così
globale, che nel 2009 Nokia - pur essendo leader mondiale con quota complessiva del 40
per cento circa- aveva una presenza quasi irrilevante in un mercato importante come quel-
lo statunitense.
Le conseguenze della transnazionalizzazione delle imprese sono state molto rilevanti anche
nel nostro paese e in particolare in una città come Milano. Sono quasi tutte scese di rango le
sussidiarie italiane dei grandi gruppi internazionali (che spesso avevano sede proprio a Mila-
no), riducendosi molto spesso al ruolo di umbrella companies delle attività nel nostro paese
(nei rapporti con il governo e le autorità in genere, nei rapporti con il sindacato, nella ge-
stione delle sedi ecc.): avendo dovuto cedere il coordinamento per prodotti alle divisioni
globali e il (meno rilevante) coordinamento territoriale alle divisioni continentali site in
qualche capitale europea. Emblematico è il caso di IBM, che aveva una presenza così signifi-
cativa nel nostro paese - anche in termini occupazionali - da far eleggere negli anni '90 il
112 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Il peso però sempre più forte che, come visto, stanno assumendo le economie
dei paesi emergenti - caratterizzate da livelli del PIL pro capite relativamente
bassi (pur essendo in continuo ampliamento al loro interno le fasce di consu-
matori allineate per potere d'acquisto a quelle dei paesi ricchi), da distanze
culturali spesso molto rilevanti (si pensi ai paesi dell'area del Golfo, così lon-
tani per religione e tradizioni) e da forme di protezionismo di varia natura
spesso altrettanto rilevanti - costringe le imprese che vogliano essere presenti
anche in tali paesi ad assumere caratteri e strutturazioni interne che ricorda-
no quelli delle multidomestiche di mezzo secolo fa.
Rispetto a mezzo secolo fa sono però molto differenti i mercatidomesticirispetto a cui l'impre-
sa si articola: l'Europa ha spesso preso il posto dei tanti mercati nazionali che la componeva-
no; gli Stati Uniti sono spesso associati al Canada; il Giappone può rappreseatare un merca-
to a sé stante o aggregare i paesi ricchi vicini (Corea del Sud, Australia ecc.); la Cina e l'India
sono così grandi e così culturalmente lontane da fare vita a sé; l'area del Mercosur (Brasile,
Argentina, Cile ecc.) ha una sua specificità per le barriere che la proteggono; l'Africa, in cre-
scita, potrebbe diventare anch'essa un'area a sé stante.
Con una grande differenza però, data dalla maggiore diversità dal punto di vi-
sta della cultura, della religione, delle abitudini e degli assetti politici: che po-
ne alle imprese maggiori il dilemma se diventare cosmopolite - nella composi-
zione del tap management (cfr. schema 2.15) e nella copertura dei nuovi bisogni
dei gruppi emergenti nei paesi emergenti (cfr. schema 2.16) - o se privilegiare
l'omogeneità, e con essa le economie di scala, optando per una maggiore fo-
calizzazione del portafoglio prodotti-aree.
"Per avere successo a livello globale le imprese devono valorizzare la diversità e la di-
stanza anziché cercare di- eliminarle" (HarvardBusinessReviewItalia,"~azienda co-
smopolita", maggio 2011), sostiene lo studioso di strategia d'impresa Pankaj Ghe-
mawat, rifiutando l'idea - molto diffusa prima della crisi - che si andasse verso un
mondo in cui i confini geo-politici si sarebbero progressivamente annullati. "Una cre-
scita sbilanciata, costellata di problemi finanziari. Le minacce protezionistiche causa-
te da una disoccupazione costantemente elevata, in particolare nei paesi avanzati.
Tensioni, nelle nazioni ricche come in quelle povere, su divisioni etniche, religiose e
linguistiche e discorsi su una nuova era di secessioni e tribalismi. Sono alcuni degli
sviluppi che contraddicono la storia che eravamo abituati a sentire: una storia di mer-
cati che si stavano integrando alla perfezione a prescindere dalle frontiere, di una tec-
nologia che stava cancellando le distanze e di Governi nazionali sempre meno in-
fluenti. Le conseguenze della crisi finanziaria del 2008 ci ricordano in quanti modi le
differenze contano ancora. [...]
[Ci sono] tre modi fondamentali in cui le imprese possono creare valore oltre frontie-
ra: adattamento, aggregazionee arbitraggio.Le strategie di adattamento puntano a col-
mare le differenze tra Paesi e a rispondere ai bisogni locali. Le strategie di aggregazio-
ne cercano di superare le differenze per ottenere economie di scala e di scopo attra-
verso i confini nazionali. Le strategie di arbitraggiotentano di sfruttare le differenze,
per esempio comprando a prezzo basso in un paese e rivendendo a prezzi elevati in
un altro. [...]
Nel medio termine per molte imprese potrebbe avere senso porre l'accento sull'adat-
tamento più che sull'aggregazione o sull'arbitraggio: [soprattutto per sfruttare me-
glio] le opportunità aperte dallo spostamento delle attività verso le nuove aree della
crescita globale. Data la debolezza della crescita dei mercati occidentali, le imprese
occidentali devono competere nei grandi mercati emergenti come la Cina e l'India.
Ma non possono entrarvi di prepotenza. E non possono nemmeno prosperare affi-
dandosi alla vecchia abitudine di rivolgersi ai clienti d'élite delle grandi città, che ten-
dono ad assomigliare di più ai clienti in madrepatria. Le imprese occidentali dovran-
no prendere sul serio i concorrenti locali e pensare ad allargare la loro presenza alle
città minori e anche a quelle più piccole, dove sarà richiesto un maggiore adattamen-
to. Ma è impossibile investire in ogni mercato del mondo solo in modo adattivo.[ ...] È
necessario comprendere veramente i mercati prescelti e dimostrare un profondo im-
pegno verso clienti, fornitori, Governi e in generale il pubblico, con un approccio assai
lontano da quell'atteggiamento imperialistico che consiste nell'imporre su scala glo-
bale dei prodotti standardizzati e nel pretendere che gli altri si adeguino al nostro mo-
do di fare affari. [...] ~innovazione per i mercati emergenti spesso richiede business
model diversi, non solo sfavillanti tecnologie. [...] ~ingrediente organizzativo forse cru-
ciale in un mondo che richiede adattamento è la composizione del gruppo dirigente.
La maggior parte delle imprese è lungi dall'essere cosmopolita[...]".
E Umberto Bertelè, nel suo commento: "Pankaj Ghemawat è radicale. Non gli basta-
no prodotti e businessmodel innovativi, non gli bastano strutture di R&D localizzate
nei paesi emergenti in prossimità dei nuovi potenziali clienti, ma vuole che sia l'im-
114 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
presa nella sua interezza a cambiare anima e a diventare sempre più cosmopolita:co-
struendo management team composti da persone provenienti in modo bilanciato da
paesi ed esperienze diverse, selezionate (o formate) per la loro multiculturalità, che
siano in grado di cogliere e di valorizzare le diversità. Un'idea a mio awiso molto bel-
la, che può scontrarsi però con una serie di difficoltà (oltre a quella di costruire e man-
tenere management team con le caratteristiche viste sopra):
• in un contesto in cui gli Stati hanno spesso un ruolo forte nella gestione degli af-
fari, un'impresa realmente cosmopolitarischia - come orfana(se non sentita pro-
pria da nessuno Stato) - di incorrere in pesanti differenziali competitivi negativi;
• un'attenzione troppo forte alle differenze, anche quando necessaria per rafforza-
re i posizionamenti locali, può comportare livelli di complessità tali da cancellare
i vantaggi di scala tipici delle imprese globali: diventando esiziale per la stessa so-
pravvivenza dell'impresa cosmopolita.
In sintesi concordo con Ghemawat quando sostiene che costruire un'impresa globale
- in un mondo che ha incrementato le diversità invece che omologarsi - sia estrema-
mente difficile. [...] Concordo sulla tesi che l'impresa cosmopolitapossa rappresentare
una soluzione in taluni casi, quando la scala non è surclassata dalla complessità. [...]
Non ritengo però che questo sarà il caso più frequente. Penso piuttosto che le imprese
sceglieranno, molto più spesso, un portafoglio prodotti-aree meno globale ma anche
meno complesso, maggiormente orientato allo sfruttamento degli effetti di scala e me-
no sfidante dal punto di vista del cosmopolitismo e della composizione del manage-
ment team: una scelta rischiosa in prospettiva (per gli spazi che apre a nuovi player),
ma più sicura nei risultati a breve e quindi più rassicurante per i mercati finanziari".
"Le multinazionali puntano sui mercati emergenti per la crescit~ futura. Ma nel tentati-
vo di trapiantare i modelli di business che applicano in patria, finiscono per comprime-
re eccessivamente i margini o per autoconfinarsi nei segmenti di clientela a più alto
reddito, che non sono abbastanza grandi da generare ritorni sufficienti". È l'analisi -
peraltro sempre più oggetto di attenzione e dibattito a livello mondiale - da cui parto-
no Matthew J. Eyring, Mark W. Johnson e Hari Nair (HarvardBusinessReviewItalia,gen-
naio-febbraio 2011, "Nuovi modelli di business nei mercati emergenti") per formulare
le loro proposte. "[Esse] stanno trascurando un'opportunità straordinaria: quel 'merca-
to intermedio' poco servito di consumatori a basso reddito che devono soddisfare bi-
sogni primari come il possesso del frigorifero o della lavatrice con soluzioni di fascia
bassa perché le alternative di alta gamma sono fuori dalla loro portata. Per sfruttare
questo mercato, le imprese devono identificare dei bisogni importanti ancora insoddi-
sfatti, sviluppare modelli di business radicalmente nuovi in grado di garantire loro pro-
fittabilità e costi compatibili, e implementare adeguatamente e far evolvere quei mo-
delli mettendoli continuamente alla prova e adattandoli in continuazione".
Una tesi interessante, oggetto di attenzione e dibattito a livello internazionale, com-
mentata da Umberto Bertelè. "Il grande successo del low cost [cfr. schema 5.4]insegna.
2. L'impresa e il contesto I 115
Il mercato va analizzato con estrema cura, guardando agli effettivi bisogni - siano es-
si insoddisfatti o addirittura inespressi - e alle effettive disponibilità di spesa dei po-
tenziali acquirenti. I prodotti, siano essi beni (materiali o immateriali) o servizi o mix
dei precedenti, vanno progettati di conseguenza: in maniera che diano il meglio -
compatibilmente con i costi - in termini di performancerealmente indispensabili e
non si sprechino soldi per prestazioni ritenute superflue dagli acquirenti scelti come
target. La tesi di fondo di Eyring, Johnson e Nair (che mi sembra in linea con la filoso-
fia del low cast), può essere così riassunta:
• la transizione verso livelli medi di vita occidentali, nei paesi BRIC e in generale in
quelli che stanno emergendo dalla povertà, non sarà brevissima, per cui gli spazi
maggiori di mercato non saranno nei prodotti di fascia alta - dove già le imprese
occidentali si stanno dando da fare con successo - ma piuttosto in quelli in gra-
do di soddisfare i bisogni delle centinaia di milioni di persone che usciranno pro-
gressivamente dalla sussistenza e dall'autoconsumo;
• è in questa fascia che le imprese multinazionali potranno cogliere i successi più
consistenti, se saranno in grado di progettare prodotti non di bassa qualità, ma
di qualità adatta ai bisogni dei nuovi consumatori: consumatori che non solo
hanno pochi soldi da spendere, ma che vivono spesso in un habitat con forti ca-
renze infrastrutturali (nella disponibilità ad esempio di energia elettrica piuttosto
che di acqua).
Concordo sui prodotti. A fronte di una diversa composizione della platea dei consu-
matori mondiali - che si amplierà da un lato con l'affacciarsi sul mercato di chi esce
dalla sussistenza e dall'autoconsumo e che potrebbe modificarsi dall'altro (aggiungo
io) per il manifestarsi di una maggiore parsimonia nei paesi ricchi in affanno - e con-
seguentemente di una diversa composizione dei bisogni da soddisfare, si crea uno
spazio importante per prodotti e businessmodel di nuova concezione. Perché i prodot-
ti attuali sono tarati su target di consumatori più abbienti. Perché non è pensabile ri-
pescare dal nostro passato i prodotti abbandonati al crescere della ricchezza, non più
in linea con le potenzialità tecnologiche e con i modi di vita che si sono nel frattempo
affermati (emblematica a tale proposito è la presenza diffusa di antenne paraboliche
sovrastanti capanne spesso malferme nelle aree più povere del mondo).
Ho viceversa forti dubbi sul fatto che siano le multinazionali attuali, quelle con base
nei paesi ricchi cui è rivolto primariamente l'articolo, le maggiori protagoniste dell'in-
novazione. Il primo dubbio nasce dall'osservazione di quanto successo nel low cast,
dove sono state le imprese nate per sfruttare il nuovo concetto che hanno colto i suc-
cessi più rilevanti, soprattutto dove sono riuscite (si pensi ad esempio ai casi lkea e
Ryanair) a creare beni o servizi capaci non solo di attrarre i consumatori 'a basso red-
dito', ma anche di catturare - per parte dei loro bisogni - i consumatori 'a reddito ele-
vato'.[ ...] Mi sembra anche più naturale che siano imprese con base nei paesi in cre-
scita, piuttosto che nei paesi ricchi, a cogliere meglio i nuovi bisogni e a individuare le
risposte appropriate: [giovandosi, in paesi ad esempio come la Cina o l'India,] oltre
che della vicinanza ai nuovi bisogni e di un significativo protezionismo da parte dei
governi, della convivenza sul territorio di lavoro lowcaste di conoscenze hi-tech,la mi-
scela ideale per prodotti realmente nuovi".
116 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Tra i fenomeni che più hanno sconvolto negli anni 2000 il tessuto produttivo del no-
stro paese - con pesanti riflessi anche sociali in alcune aree - vi è la chiusura di tutta
una serie di attività, in precedenza svolte in loco,da parte delle imprese che le effet-
tuavano: chiusura che si è trasformata in morte per le imprese che avevano tali attività
come prevalenti o esclusive. Il fattore scatenante è stato l'abbattimento, nel quadro
del processo di globalizzazione sopra descritto, delle barriere che in precedenza pro-
teggevano le aree sviluppate e la conseguente entrata in gioco delle aree povere del
mondo: contraddistinte, almeno nelle fasi iniziali del loro sviluppo, da costi del lavoro
estremamente più bassi e da vincoli di compliance- qua!i quelli relativi al rispetto del-
l'ambiente e alle condizioni di lavoro - estremamente più laschi. Le attività entrate
per prime in crisi sono state owiamente quelle caratterizzate da un basso contenuto
di competenze e da un elevato contenuto di manodopera e/o impatto ambientale:
proprio le attività per cui storicamente l'Italia, in ritardo rispetto ad altri paesi comuni-
tari, si era ritagliata una "riserva di caccia". Ma, con il procedere del tempo e con lo
sviluppo di maggiori competenze in alcune delle aree·emergenti, altre attività sono
entrate o rischiano di entrare in crisi. Come hanno reagito le nostre imprese, owia-
mente quelle non colpite mortalmente? In due modi, delocalizzandole attività più po-
vere e/o inquinanti - ricorrendo cioè all'offshoring-oppure deverticalizzandosi e ricor-
rendo in outsourcinga fornitori offshore:legandoli talora (come detto) con contratti a
medio-lungo termine o con partecipazioni azionarie di minoranza.
Il fenomeno ha colpito in particolare molti distretti industriali del nostro paese (cfr. sottoparagrafo
2.3-3),obbligandoli - quando gli effetti non sono stati peggiori - a rinunciare a interi "pezzi" del-
le loro filiere. E in taluni casi la comunanza delle scelte di delocalizzazione da parte delle nostre
imprese e lo sviluppo indotto di un'imprenditoria locale hanno portato alla nascita di veri e pro-
pri distretti - complementari ai nostri - in altre aree del mondo. Con il rischio ovviamente che, al
crescere del know-how e al moltiplicarsi delle nuove imprese local,i, questi distretti vogliano
estendere la loro presenza dalle attività più povere a quelle ricche della filiera: come alcuni di essi
stanno facendo e come in fondo fecero in passato diversi distretti del tessile-abbigliamento ita-
liano, convertendosi da fornitori a basso costo delle imprese di moda francesi a protagonisti del-
la moda mondiale.
l'.attenuazione dei fenomeni descritti - dai paesi ricchi a quelli più poveri - ha principalmente due
cause. In taluni comparti essa è dovuta al quasi completamento del·processo di trasferimento e di
concentrazione di specifiche attività (soprattutto nell'ambito del manufacturing)- da parte di tutti
i competitori mondiali - in aree geo-politiche dei paesi emergenti a elevataspecializzazione: in pri-
mo luogo della Cina, per questo spesso definita fabbrica del mondo dai media. In altri comparti
l'aumento dei costi del personale e i più elevati vincoli di compliancenei paesi emergenti hanno ri-
dotto la convenienza: soprattutto quando, parallelamente, le aree ricche a rischiodi deserti.fìcazione
hanno risposto alla sfida con misure (politiche di incentivazione per i nuovi insediamenti, conces-
sione di sconti fiscali per gli insediamenti esistenti, investimenti in nuove infrastrutture materiali e
immateriali ecc.) atte a ribilanciare le convenienze stesse.
L'.elevataspecializzazionedi talune aree nei riguardi di specifiche attività, soprattutto se accompa-
gnata dalla crescita delle competenze tecnologiche e della capacità di innovazione, spinge le im-
prese mondiali a insediamenti in tali aree - o al ricorso a fornitori operanti in tali aree - anche per
le nuovè iniziative: per cui non ha più senso parlare di delocalizzazionie si deve parlare invece di lo-
calizzazioni.Un esempio interessante è quello di Appie. Appie si deverticalizzò nei secondi anni
'go, esternalizzando tutto quanto concerneva la produzione fisica dei PC (all'epoca suoi prodotti
più importanti) a imprese asiatiche, in occasione del rientro di Steve Jobs (cfr. paragrafo1.4).Da al-
lora è sempre rimasta un'impresa a grado di integrazione verticale limitato, avendo delegato alle
imprese asiatiche - in occasione della loro successiva introduzione sul mercato - anche la fabbri-
cazione fisica degli iPod,degli iPhonee degli iPad.Per Fiat si è continuato invece a parlare nel 2010
di una possibile delocalizzazionedegli impianti, in Polonia o in Croazia piuttosto che negli Stati
Uniti (sede di Chrysler) o in Brasile, in relazione al rischio che non fossero più localizzati in Italia i
nuovi stabilimenti destinati a sostituire - incrementando nel contempo la capacità produttiva -
I
quelli ormai obsoleti di Pomigliano e di Torino.
I nuovi fenomeni di delocalizzazione e/o di ricorso a fornitori delocalizzati - all'interno dei paesi
emergenti o fra paesi emergenti - sono ben visibili in Cina e (in misura più circoscritta) in India. In
Cina, a fronte del sovraffollamento industriale delle zone costiere e della volontà del governo di
promuovere le attività a maggior valore, è in atto la spinta al trasferimento delle attività a minor va-
lore dalle zone costiere a quelle interne più povere, nonché la concessione di nuovi insediamenti
solo in queste ultime; o, in alternativa, l'apertura di filiali di imprese cinesi in paesi asiatici come il
Vietnam o l'Indonesia o in paesi africani. In India, che ha assunto un rilievo mondiale nel software
e nei servizi informatici in termini di presenza sia delle multinazionali del comparto (IBM ha ben
go mila dipendenti nel paese) sia di imprese a proprietà indiana operanti in outsourcing,la conge-
stione creatasi a Bangalore ha spinto a pianificare la concentrazione in nuove aree (Chennai,
Mumbai ecc.) dei nuovi insediamenti e a riflettere in quali paesi "poveri" le imprese indiane po-
trebbero delocalizzare alcune attività.
Il fenomeno della globalizzazione convive, come si è detto più volte, con quel-
lo dello sviluppo di sistemi economici locali "a elevata integrazione", ossia di
aggregati di impreseindipendenti:
• operanti sullo stesso territorio, almeno per la loro componente preva-
lente: centri direzionali ( headquarters)e attività strategicamente più rile-
vanti;
• fortemente interconnesse dal punto di vista dell'interscambio di beni
118 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
L'importanza dei sistemi economia localiha spinto alcuni anni fa l'IMD di Losanna a introdurre,
nella sua tradizionale classifica per grado di competitività complessiva delle aree geo-politiche
con meno di 20 milioni di abitanti, le regioni accanto agli Stati nazionali "piccoli". Questo per-
ché un numero crescente di imprese, nello scegliere ad esempio ove localizzare le loro nuove
strutture (produttive, commerciali o di ricerca), guarda con sempre maggiore selettività e at-
tenzione alle peculiarità puntuali dei territori.
Il parco scientifico-tecnowgi,co
o technowgycluster.L'esempio più classico è la Sili-
con Valley, area di punta storica dello sviluppo mondi~e dell'informatica e
delle telecomunicazioni, che ha fondato il suo successo sulla felice integrazio-
ne fra imprese, università (Berkeley e Stanford in primo luogo) e istituzioni fi-
nanziarie di sostegno alla nascita e allo sviluppo di nuove imprese innovative
( incubator,venture capita!ecc.) .
I modelli misti. Una variante, molto diffusa anche negli altri paesi, è quella del
modello misto "distretto-grande impresa": del distretto cioè che nasce e vive
per la presenza di una o più grandi imprese che fanno da traino, come Fiata I
Dal Financial Times del 13.7.2011 ("Cracks in the heart of a cluster", di Bernard Simon): "[ ...]
As the BlackBerry's popularity has spread around the world over the past 15 years, RIMhas
helped transform Kitchener-Waterloo from a quiet manufacturing centre best known for its
Mennonite community and Oktoberfest celebration into a thriving technology cluster.
Ideally, businesses that comprise a cluster feed off each other's skills and resources to improve
productivity, stimulate innovation and bring new products to market. The process takes piace
through myriad networks, from chance encounters in the pub to joint training schemes and
philanthropic ventures. [...] The CEO of Communitech, a non-profit organisation, estimates
that 800 technology companies now ct;l.11 Kitchener-Waterloo home. Communitech, which
supports start-ups and champions collaboration among locai businesses, universities and gov-
ernment, owes its own existence to a drive by locai businesses, including RIM. [...]
RIM's influence on Kitchener-Waterloo is pervasive. [...] The company occupies 25 build-
ings in an area nicknamed RIM City, and employs about half of its 17,500 workforce in
Kitchener-Waterloo. [... ]
The question now is whether the cluster can withstand RIM's troubles [...] ".
"[ ... ] 1 11nostro è un distretto che ha combattuto la crisi con grande coraggio. Ha fatto
ricorso agli accorpamenti, s'è ristrutturato, le fusioni sono state almeno sette', sostie-
ne il presidente di Confindustria Ceramica (da// Sole24 Ore del 15.5.2011,"Sassuolo ri-
parte dopo lo stop ai cinesi", di Rita Fatiguso). Il 50% delle aziend 1, pari all'8o% della
120 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
produzione industriale, ha fatto ricorso a vari ammortizzatori sociali che hanno tocca-
to almeno 6 mila addetti su 24.600, con preferenza per i contratti di solidarietà[ ...]".
L'introduzione di dazi per le piastrelle cinesi importate nei paesi UE può rappresenta-
re almeno temporaneamente (la misura dovrebbe essere prorogata per un quinquen-
nio) un"'ancora di salvezza" per il distretto di Sassuolo (in provincia di Modena), sto-
ricamente fra i più citati quando nel mondo si parla dei distretti italiani: che potrebbe
frenare l'emorragia delle quote delle sue imprese operanti nella fascia medio-bassa
del mercato comunitario, mentre - per quanto concerne il resto del mondo - sono
necessari trasformazioni e riposizionamenti molto più radicali. "La quota di prodotto
cinese in Europa galoppava dall'1% del 2005 al 7% del 2009, in parallelo la quota ita-
liana crollava del 25%. I dazi danno una boccata di ossigeno perché in certi casi l'ali-
quota schizza fino al 73% e, tra una cosa e l'altra, un container di piastrelle made in
Chinaall'importatore può costare il doppio. Il vantaggio, per l'Italia, è che in un di-
stretto afflitto da una domanda interna depressa, l'export diventa essenziale. La com-
petizione sleale neutralizza anche la variabile export. 'I dazi antidumping stanno resti-
tuendo i giusti valori al rapporto tra produzione cinese ed europea, dand()_,unabocca-
ta d'ossigeno a Sassuolo e questo awiene soprattutto per le produzioni di livello me-
dio-basso[ ...]. Perché la produzione di qualità corre sui suoi binari'.[ ...] La Cina maci-
na piastrelle: il Guangdong è passato da 113,7milioni di metri quadri del 1995 ai 659,5
del 2010, seguito dal Fujian con 13 milioni del 1995 balzati a 573,2 l'anno scorso. Per
non parlare delle quote di mercato internazionali perse a causa del fenomeno delle
copie. [...] L'eco dei dazi s'è sentito, forte, in Cina. 'Noi però non possiamo vivere di
questo, sarebbe un errore fatale. Anche perché cominciano a circolare in varie località
piastrelle commissionate da produttori cinesi marchiate made in Vietnam, destinate
all'export europeo, per le quali il dazio all'import è appena del 5 per cento"'.
Con 1.089 imprese e 10 mila addetti circa il distretto di Lumezzane (in provincia di Bre-
scia) - specializzato nella lavorazione di metalli non ferrosi per la produzione di valvola-
me, rubinetteria, posate e casalinghi in genere - è stato soggetto anch'esso ai problemi
di competizione prima da parte dei paesi emergenti e di crollo.della domanda poi du-
rante la crisi. "[ ...] Il centro studi dell'Aib, l'associazione degli industriali di Brescia, ha
analizzato (da Il Sole-24Ore del 21.4.2011,"Le valvoie di Lumezzane sfidano Cina e com-
modity'', di Nino Ciravegna) i bilanci 2008 e 2009 dei primi cento gruppi di Lumezzane,
fotografando le gravi difficoltà del distretto: i ricavi delle aziende che operano nella me-
tallurgia sono crollati del 41,6% in un anno, mentre il giro d'affari di rubinetti, valvolame
e casalinghi è sceso del 25,2%; peggio ancora sono andati i costruttori delle macchine
utensili (-32,1%). Ma pur di far girare gli impianti gli imprenditori hanno accettato di di-
mezzare il loro Roa, che misura la redditività degli investimenti: dal 7% del 2007 al 3,2%
del 2009, con punte minime dello o,6% delle imprese metallurgiche.[ ...] Il 2010 ha per-
messo di recuperare terreno, ma fin dai primi segnali di ripresa su! distretto si è abbattu-
ta la corsa dei prezzi delle materie prime. [...] Ma ha ancora un futuro un distretto come
Lumezzane, abbarbicato sulle montagne bresciane? 'Senz'altro - assicura uno dei prin-
cipali industriali locali - a patto che gli imprenditori sappiano alzare l'asticella della qua-
lità e del servizio ai clienti. Qui si trovano competenze, capacità e tecnologie che non si
possono e non si devono perdere. E dovremo continuare a investire e innovare"'. La
grande sfida della maggior parte dei distretti del nostro paese.
2. L'impresa e il contesto I 121
2.4 li cambiamento
Le fluttuazioni e le derive, sia che si presentino in forma pura sia (come più spesso accade)
combinate in "proporzioni" a prioridiverse fra loro, possono essere originate dal verificarsi di
fenomeni rilevanti "esterni" alla sfera economico-finanziaria (Twin Towers, guerra dell'Iraq
ecc.) o essere il mero frutto della dinamica interna. Un caso esemplare (cfr. schema 2.19) è
quello citato dei cicli economici: che, in quanto cicli, dovrebbero avere il carattere tipico di
fluttuazioni; ma che in realtà, in molti casi, hanno un impatto significativo - che può trasfor-
marsi in una vera e propria deriva- sulla struttura dell'economia, sull'organizzazione del si-
stema delle imprese e sui comportamenti delle persone.
"Tanto più lunga è la fase di crescita, quale quella vissuta dall'economia mondiale si-
no al volgere del secolo, tanto più consistente è la crisi che fa seguito a essa e tanto
più complessa è la fuoruscita", ha scritto ad esempio Umberto Bertelè nel suo edito-
riale "Pulizia necessaria" su // Sole 24 Ore del 17.7.2002, in un momento di forte crisi
dell'economia, ripetutosi poi su scala molto più ampia nel 2008.
"La teoria è di semplice illustrazione. Come in politica la permanenza al potere per pe-
riodi lunghi delle stesse persone o partiti (utile per realizzare le trasformazioni più im-
pegnative) alimenta quel senso di sicurezza e impunità che spesso è propedeutico al-
l'emergere della corruzione, così nell'economia una fase di crescita molto prolungata
del ciclo - invocata da tutti per i benefici che apporta alle imprese e in generale alla so-
cietà - solitamente genera squilibri e fa emergere comportamenti progressivamente
più disattenti, imprudenti o addirittura (usando un eufemismo) disinvolti. La crescita
prolungata, facendo prosperare i profitti, premia le imprese intraprendenti ed efficien-
ti, ma cela - agli occhi del pubblico ma spesso anche all'attenzione dei top manager-
le crepedi quelle che lo sono meno: crepe che vengono poi alla luce al contrarsi della
domanda e al restringersi dei margini, con una estensione e profondità tanto più ele-
vate quanto più a lungo è stata ignorata la loro esistenza. Molte delle situazioni estre-
me, che vengono a galla drammaticamente ora, forse non sarebbero arrivate a questo
punto se riconosciute e curate per tempo. La crescita prolungata può generare l'illu-
sione - e lo ha fatto spesso anche nel passato - di essere destinata a durare per sem-
pre, come in una mitica età dell'oro,con conseguenze drammatiche. La certezza della
crescita fa perdere infatti ogni freno inibitore nel decidere investimenti e acquisizioni,
creando fragilità finanziarie che rimangono nascoste finché tutto va bene. La certezza
della crescita, e quindi l'illusione che assunzioni di rischio al di fuori della norma non
creino pericoli reali o che situazioni critiche abbiano carattere transitorio, può forse
spiegare_i comportamenti (altrimenti incomprensibili) [tenuti nel caso Enron] della
più antica società di revisione del mondo [Arthur Andersen, poi letteralmente .dissol-
tasi come conseguenza dello scandalo].
La crescita prolungata, accrescendo la dimensione della torta da spartire, accresce pa-
rallelamente la cupidigia - dei top manager(attraverso le stockoption),degli uomini di
finanza e degli azionisti - o comunque il timore di rimanere esclusi con danni non solo
per il portafoglio, ma anche per lo status e per lo stesso mantenimento delle posizioni
2. L'impresa e il contesto I 123
di potere. Questo può spiegare perché Enron, pur di conservare l'immagine di impresa
vincente, si sia assunta di nascosto rischi di proporzioni colossali. Ma può spiegare an-
che il ricorso - per certi versi più sorprendente - a pratiche al limite della legge (di gon-
fiamento dei ricavi) da parte di gruppi di grandissimo prestigio e leader nei loro settori
come Xerox e Merck, che non avevano particolari errori da coprire: operazione molto
meno dannosa per gli azionisti (in quanto neutrale rispetto agli utili), ma apportatrice
comunque di nuova sfiducia. La crisi in atto, in sintesi, è un qualcosa che un lettore at-
tento della storia poteva aspettarsi. E alla crisi è affidata peraltro, nelle economie di
mercato, la funzione catartica di rigenerare il sistema, eliminando le strutture più debo-
li e rimuovendo le principali cause di malfunzionamento e di sfiducia.[ ...]".
2.5 L'innovazione
Joseph Alois Schumpeter (1883-1950), austriaco, è considerato uno dei più importanti econo-
misti del XX secolo (per un approfondimento non specialistico http:/ /it.wikipedia.org/
wiki/Joseph_Schumpeter). Schumpeter ha posto al centro della sua analisi sulla dinamica del-
lo sviluppo dell'economia la figura dell'imprenditore-innovatoreche-con i capitali messi a dispo-
sizione dalle banche e remunerati con l'interesse (ossia con una parte del "profitto aggiuntivo"
realizzato grazie all'innovazione) - introduce nuovi prodotti, sfrutta le innovazioni tecnologi-
che, apre nuovi mercati, cambia le modalità organizzative della produzione. Schumpeter spie-
gai cicli economici come l'alternarsi di fasi espansive, caratterizzate dall'introduzione massic-
cia e squilibrantedi innovazioni, e di fasi recessive, in cui l'economia ricerca un nuovo equilibrio
ovviamente diverso dal precedente. Egli ha introdotto anche l'importante concetto di distruzio-
ne creatrù:e,in relazione al drastico processo selettivo che si accompagna all'introduzione delle
innovazioni a maggiore impatto e che porta alla "morte" alcune imprese, ne rafforza altre e ne
fa nascere altre ancora: offrendo una lettura "darwiniana" positiva di tale processo, giudicato -
nonostante gli elementi di dolorosità- indispensabile per lo sviluppo.
126 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
IBM ad esempio, già leader mondiale nelle macchine per scrivere e nelle calcolatrici, riuscì a
diventare una delle principali società del mondo (per ricavi e valore) in assoluto per la sua
capacità di innovare in un comparto al momento in fase nascente come quello dei calcolato-
ri elettronici. Lo stesso fece Intel nei microprocessori, nascendo però da zero. Lo stesso in
anni più recenti hanno fatto Google e Appie (cfr. paragrafo 1.4): Google non solo e non tan-
to per la bontà dei suoi algoritmi di ricerca, quanto per la capacità di costruire su di essi
un'imponente infrastruttura per la ricerca e di farne un grande motore di acquisizione di ri-
cavi pubblicitari; Appie per la sua capacità di mettere sul mercato nuovi oggetti (quali I'iPod,
l'iPhoneo I'iPad), con nuove prestazioni e nuovi servizi acclusi, in grado di far emergere biso-
gni totalmente inespressi. Lo stesso spera di fare Facebook, se riuscirà a trasformare in suc-
cesso economico il successo che ha avuto nel creare il socia! network più popolare nel mondo:
successo non legato a innovazioni di natura tecnologica, ma a innovazioni nelle modalità di
interazione fra i soci.
10. Una serie di casi di successo basati su innovazioni non tecnowgfrhe- relativi a imprese multina-
zionali (molte delle quali citate in questo testo) nate in aree differenti del mondo, specifica-
mente Toyota, Wal-Mart Stores, Starbucks, Ryanair, Gillette (ora parte del gruppo Procter &
Gamble), Swatch, Italcementi e Tenaris - è riportata ad esempio in EntrepreneurialStrategy:
Emergi,ng Business in Declining Industries, di Lucio Cassia, Michael Fattore e Stefano Paleari
(Edward Elgar Publishing, 2005).
2. L'impresa e il contesto I 127
l:innovazione- come tutti i termini che servono a indicare fenomeni importanti, com-
plessi e variegati - è un concetto dai contorni estremamente- indefiniti e indefinibili.
Fra le definizioni più interessanti (tratte da J. Tidd e J. Bessant, Managinglnnovation.
lntegrating Technological,Market and OrganizationalChange, 4a ed., John Wiley &
Sons, 2009):
• lnnovationis the successful exploitation of new ideas (UK Department of Trade
and lndustry- DTI)
• Industriai innovationincludes the technical, design, manufacturing, management
and commerciai activities involved in the marketing of a new (or improved) prod-
uct or the fìrst commerciai use of a new (or improved) process or equipment
(Chris Freeman)
• lnnovationis the specifìc tool of entrepreneurs, the means by which they exploit
change as an opportunity fora different business or service (Peter Drucker)
• Companies achieve competitive advantage through acts of innovation.They ap-
proach innovation in its broadest sense, including both new technologies and
new ways of doing things (Michael Porter)
• An innovativebusinessis one that lives and breathes "outside the box". lt is not
2. L'impresa e il contesto I 129
just good ideas, it is a combination of good ideas, motivated staff and an instinc-
tive understanding of what your customer wants (Richard Branson).
11DTI inglese pone l'accento sul fatto che l'innovazione richiede allo stesso tempo
idee nuove e capacità di sfruttarle con successo. Freeman mette in luce la natura mul-
tidimensionale dell'innovazione, che - relativamente sia alla messa sul mercato di un
nuovo prodotto sia all'impiego di un nuovo processo - deve integrare tecnologia, de-
sign, produzione, marketing e vendite, gestione. Drucker vede l'innovazione (non dis-
similmente da Schumpeter) come un qualcosa di profondamente legato agli impren-
ditori che la pongono in àtto e come loro strumento principale per sfruttare il cambia-
mento come opportunità di diversificazione. Porter considera determinante l'innova-
zione, intesa nella sua accezione più ampia, come strumento per acquisire vantaggi
competitivi. Branson, infine, vede l'innovazione come un qualcosa che "esce dagli
schemi", dovendo combinare la bontà delle idee con la motivazione dello staff che la
realizza e con la capacità di comprendere istintivamente i desideri del mercato.
Operano nel mondo dell'ICT e sono statunitensi, secondo la classifica 2010 di Bloom-
bergBusinessWeek,le quattro impresepiù innovativedel mondo:nell'ordine Appie, Goo-
gle, Microsoft e IBM. L'ICT fa la parte del leone anche nelle posizioni successive: 9 im-
prese fra le prime 12, con Amazon, LG, Sony, Samsung e lntel che si aggiungono alle
precedenti; 12 sulle top 20, con RIM, HP e Nintendo. L'auto è l'altro grande protagoni-
sta: 2 delle prime 10 imprese, la giapponese Toyota e la cinese BYD, al quinto e all'ot-
tavo posto; 6 delle top 20, con Ford, Volkswagen, Tata e Bmw che si aggiungono alle
prime due; Fiat - unica italiana nelle top 50 - al quarantatreesimo posto. Solo Generai
Electric e Coca-Cola fanno capo a comparti diversi dai due citati fra le top 20; cui si ag-
giungono - se si guarda alle top 25- Wal-Mart, Virgin e Procter & Gamble.
P&G, leader mondiale nei consumergoods (cfr. paragrafo1.1 e schema 1.1), è entrata nella classifica
delle imprese più innovative per essersi focalizzata nel 2010 sul miglioramento dei lower-priced
goods, più adatti alle fasi di recessione dell'economia. Wal-Mart, leader mondiale della grande di-
stribuzione, innovativa nel passato nel ridurre i costi della supply-chain,per l'orientamento am-
bientale che ha posto in atto (che punta ad esempio a una significativa riduzione del packaging).
Coca-Cola, per il suo nuovo fountain-drinkdispenserche può erogare più di cento bevande diverse,
realizzato con la tecnologia Microsoft e con il design italiano. Generai Electric, la più importante e
130 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
longeva conglomerata del mondo, per la sua attività di ricerca (2.537brevetti nel 2010) che spazia
dalle nanotecnologie alle bioscienze.
Dal punto di vista della nazionalità delle case-madri, anche se mantengono la testa
della classifica, le imprese statunitensi nelle top 50 sono scese nel 2010 a 22 dalle 35 di
quattro anni prima. Mentre le asiatiche sono salite a 15, le europee sono 11 (4 inglesi,
3 tedesche, 1 italiana, 1 spagnola, 1 svizzera e 1 finlandese) e vi sono inoltre 1 canade-
se e 1 brasiliana.
"Before the world shuddered two years ago (dall'introduzione alla classifica), US companies dom-
inated our Most InnovativeCompaniesranking, easily outnumbering corporations based outside of
America. But now that the global economy seems to be growing again, senior executives surveyed
by the BCG no longer consider the US the be-all and end-alI in innovation. Yes,Appie reigns as No.
1 again, trailed by silver medalist Google. And Microsoft and IBM fìnd themselves back in the top
fìve. But for the fìrst time ever, more companies on our top 50 are based outside the U.S. China's
rise is the fastest. A year ago, its only representative was Lenovo, at 46. This year Greater China is
tied with Asia's postwar powerhouse, Japan, thanks to showings by BYD (8), Haier Electronics
(27), Lenovo (29), China Mobile (44), and Taiwan-based HTC (47). To make room for 201o's fresh-
men, a half-dozen American giants on 2009's list got dumped: AT&T, ExxonMobil, 3M, Johnson &
Johnson, Southwest Airlines, and Target". ~
Di rilievo l'ottava posizione della cinese BYD - una sorta di conglomerata con 180 mi-
la addetti che opera, oltre che in Cina, in India, Ungheria e Brasile - entrata nel top de-
gli innovatori per i suoi ultimi modelli di automobili, ibride ed elettriche plug-in,che
intende esportare negli US e in Europa.
BYD (la cui sigla sta per Build Your Dreams), fattura 7,2 miliardi di dollari circa con quasi 400
milioni di utile e ha una capitalizzazione di borsa (al 22 maggio 2011) di poco superiore a 8 mi-
liardi: del 600 per cento circa superiore rispetto a quella di cinque anni prima, ma del 52 inferio-
re rispetto a un anno prima. Fornisce di se stessa, un po' enfaticamente, il seguente profilo
(http://bydit.com/doce/about/CompanyProfìle/): "Established in February 1995, BYD Com-
pany Limited specializes in IT, automobile and new energy. BYD is the ·Iargest supplier of re-
chargeable batteries in the globe, and has the largest market share for Nickel-cadmium batter-
ies, handset Li-ion batteries, cell-phone chargers and keypads worldwide. lt is the largest sup-
plier of rechargeable batteries and it also has the second largest market share for cell-phone
shells in the globe. BYD Auto becomes the most innovative independent national auto brand
and leads the fìeld of electric vehicles with unique technologies. In the field of new energy, BYD
has developed green products such as solar farm, battery energy storage station, electric vehi-
cle, and LED ecc.".
Può stupire che paesi noti per la loro creatività- quali Francia, Italia e Spagna - siano
così poco presenti (solo Fiat e Banco Santander sono nelle top 50) in una classifica
che dichiaratamente fa riferimento all'innovazione nel senso più lato del termine, e
non solo a quella tecnologica. Ma giocano presumibilmente la più diffusa notorietà
delle imprese di dimensione maggiore, rispetto alla dimensione medio-piccola che
spesso le imprese creative(quali quelle che operano nella moda e nel design) hanno,
e le loro migliori performancedal punto di vista del valore di borsa.
11diverso peso attribuito al successo economico e finanziario, rispetto all'originalità
in senso stretto dell'innovazione, spiega anche le significative differenze nelle gradua-
2. L'impresa e il contesto I 131
torie e negli stessi nomi in lista che si ritrovano in classifiche meno note di quella
BloombergBusinessWeek.
"[ ... ] The Chinese government is trying to encourage more companies to be innovators (an-
cora dall'introduzione alla classifica 8/oornbergBusinessWeek).Beijing has implemented new
procurement policies to promote what it calls 'indigenous innovation' by requiring locally
made technology in certain government purchases. [ ...] [But] China's indigenous initiative
isn't the main driver of innovation there, according to BCG's annual survey of top execu-
tives. [ ...] The crucial factor is a mindset- a belief that innovation matters. In China, 95% of
executives said innovation was the key to economie growth, while 90% and 89%. of respon-
dents in South America and India, respectively, agreed. In the U.S., only 72% said innovation
was important. Similarly, 88% of executives in China said they were raising their innovation
budgets this year, followed by 82% in South America and 73% in India. The rate fell to 48%
in the U.S., ahead of only Japan, where just 34% of executives said their companies planned
to increase innovation spending. All of which suggests the U .S. may not be dominating the
list again soon".
ne e iPad- che non dalla dimensione degli sforzi fatti nei laboratori di ricerca.
Perché l'attività di R&D è per sua natura rischiosa e può non portare (si pensi
ai fallimenti nella costosissima ricerca di nuovi farmaci) ai risultati desiderati.
Perché l'attività di R&D può essere indirizzata verso obiettivi che, anche se rag-
giunti, non danno i frutti desiderati. Perché l'attività di R&D, soprattutto per la
componente D, può essere sovradimensionata dall'ampiezza della gamma of-
ferta al mercato. Perché la cosiddetta open innovation ( cfr. paragrafo 1.1) spinge
le imprese a ricercare ali' esterno - spesso ridimensionando gli sforzi interni -
le sorgenti dell'innovazione: stringendo accordi con università ed enti di ricer-
ca, offrendo ai fornitori piani di acquisto pluriennali in cambio della messa a
punto di prodotti con le performance desiderate, acquistando sul mercato bre-
vetti o addirittura imprese che abbiano in pancia brevetti o kno11.rhowdi rilievo
(come accaduto con l'incorporazione in Google di Android).
"[ ...] There's little apparent connection between R&D expenditures and successful product
launches. Apple, for instance, has come up with new products like the iPhone and the iPad
despite spending less on R&D over the entire past decade than Microsoft did in fiscal 2010
alone (da The Wall StreetJournal del 30.3.2011, "For RIM, less research could mean more mo-
tion" [è evidente il gioco di parole rispetto al significato "Research in Motion" della sigla
RIM], di Martin Peers). At BlackBerry maker RIM, R&D expense has more than tripled to
$1.35 billion in fiscal 2011 since 2008. As a percentage of sales, R&D roseto 6.8% from 5.9%
[ ...]. RIM is introducing a new operating system on its coming PlayBook tablet, but one it ac-
quired through an acquisition rather than internal development.
The same trend is evident at Nokia. Facing challenges to its once-dominant global market
share, Nokia's R&D spending rose to 13.8% of net sales in 2010 from 9.5% in 2006. That's
dose to its new mobile partner, Microsoft, which routinely spends 14%-15% of its sales on
R&D, or $8.7 billion in fiscal 2010. For its money, over the past few years Microsoft has pro-
duced such duds as the Zune music player and Windows Vista along with hits like the Xbox
Kinect videogame device.
Apple, by contrast, spent only about 2.7% of its annual sales on R&D last year. Over the past
decade, Apple has spent $8.5 billion on R&D. Apple benefits from focus. It doesn't produce
an endless variety of products. Apple releases only one new version of its iPhone a year [ ...].
The same goes for tablets. Apple just released its annual update of the iPad.
But RIM said last week that R&D expense would be higher due to this year's release of multi-
ple 4G PlayBook tablets. [ ...] It couldn't hurt RIM to sharpen its focus. A narrower selection
of products could reduce R&D costs and would make marketing more effective. And by em-
ulating Apple, RIM would have a chance to regain some motion".
Fra i massimi protagonisti nel secolo scorso dell'innovazione "ad alta intensità di
R&D" (cfr. schema 2.24), con forti ricadute positive sulla profittabilità e sulla
capitalizzazione di borsa delle sue principali imprese, il comparto farmaceuti-
co sembra sempre più attraversato da dubbi su quante risorse continuare a
dedicare agli investimenti interni in R&D, a fronte della crescente insofferen-
za del mercato finanziario verso i risultati più incerti (date le maggiori diffi-
coltà di trovare nuovi farmaci e farli approvare) e comunque proiettati su
tempi lunghi degli stessi. La strada dell'open innovation è ampiamente battuta
da anni, in particolare attraverso l'acquisizione di start-up operanti nell'inno-
vazione biotecnologica. Ma sempre più viene messa in dubbio, seppur nel-
2. L'impresa e il contesto I 133
'The newly minted chief executives of two of the world's biggest drug makers sketched out
sharply divergent strategies for reviving their businesses this week, setting up a showdown
over which is the better strategy for the industry's future (da The Wall StreetJournal del
4.2.2011, "Pfizer, Merck take different R&D tacks", dijonathan D. Rockoff). Merck's CEO
[Merck ha una capitalizzazione di 110 miliardi di dollari, ricavi 2010 di 46,2 e 93 mila addet-
ti] took steps that are sure to anger Wall Street, saying the company won't make the cuts nec-
essary to meet its long-term forecasts. Instead, it will focus on investing in drug development
to drive growth. By contrast Pfizer's CEO [Pfizer ha una capitalizzazione di 160 miliardi di
dollari] (dopo averne investiti ben 230 in acquisizioni nel decennio 2000-2010), ricavi di
67,6 e oltre 110 mila addetti] pleased shareholders byvowing to slash the company's spend-
ing on drug research and development by a third and to spend an additional $5 billion to
buy back its stock. lnvestors punished Merck with a drop in its share price, while Pfizer's
stock was up. Big pharmaceutical companies are scrambling to find ways to overcome .the
loss of tens of billions of dollars in revenue as patents on top-selling drugs run out. Many
sound similar notes about encouraging entrepreneurialism in their ranks, making smart
deals and capitalizing on emerging-market growth, But their actual plans are often qui te dif-
ferent - and each carries significant risks. Novartis AG, for instance, isso convinced that di-
versification is the best course that the company has a considerable business selling low-
priced generics. Bristol-Myers Squibb Co. has decided to concentrate on innovative medi-
cines, shedding so many nonpharmaceutical units that it has become midsize. GlaxoSmith-
Kline PLC is still investing in research, but like Pfizer it has narrowed the range of disease ar-
eas in which it's seeking new treatments. Underlying the divergepce is a deep-seated philo-
sophical dispute over the merits of the heavy investment that companies must make to dis-
cover new drugs. By most estimates, bringing a new molecule to market costs drug makers
more than $1 billion. Industry officials have been engaged in a vigorous debate over
whether the investment is worth it, or whether they should leave it to others whose work they
can acquire or license after a demonstration of strong potential. Pfizer's CEO expressed
common cause with investors and consultants who argue that much of R&D spending isn't
cost effective. [ ...] Hence his decision to shutter the company's laboratories in Sandwich
[2.400 addetti], U.K, which carne up with blockbuster Viagra. [ ...] Merck's CEO on the oth-
er hand said that Merck either had to 'cut more costs at the expense of the top-line and the
long-term growth or invest in the long-term growth'. [...] Pfizer and Merck are going in dif-
ferent directions and each strategy carries its own risks: if it cuts R&D too much, Pfizer could
miss out on the next blockbuster drug that could propel significant growth and be forced to
over-spend to acquire new products; Merck could end up wasting billions of dollars probing
compounds that don't pan out".
~"EU IndustriaiR&D lnvestment Scoreboard2010" 11 fornisce informazioni, tratte dai loro bilanci,
sulle 1000 imprese UE e le 1.000 non UE che più hanno investito in R&D nel 2009 e sugli am-
montari di tali investimenti, a prescindere dall'area geo-politica ove sono stati effettuati. Elabora
anche un campione di 1.400 imprese, che hanno investito in R&D almeno 28 milioni di euro nel
2009, composto dalle 1.000 non UE e da 400 UE. È il comparto Pharmaceuticals & Biotechnology
che, come detto nel testo, presenta la più elevata R&Dintensity,nonostante i disinvestimenti effet-
tuati negli ultimi anni: quasi il 16 per cento dei ricavi, come media del campione. Seguono il com-
parto Software& ComputerServices(software, computer services, internet) vicino al 10 per cento, e
quello Technology Hardware& Equipment(computerhardware,electronicofficeequipment,semicon-
ductors,telecommunicationsequipment) con 1'8,7. Il comparto LeisureGoods (consumerelectronics,
ricreational
products,toys) segue al 6,5, quello Healthcareequipment& servicesal 6,2 e quello Auto-
mobiles& partsal 4,7.
La giapponese Toyota è stata nel 2009 l'impresa che ha investito di più al mondo in
R&D in termini assoluti: 6,77 miliardi di €, pari al 4,4 per cento dei suoi ricavi. La te-
desca Volkswagen, rimanendo nel comparto automobilistico, ha occupato il quarto
posto con 5,79miliardi (5,7per cento). E nelle top 20 sono entrate anche la statuniten-
se Generai Motors (4,23 miliardi), la giapponese Honda (4,22) e la tedesca Daimler
(4,16).
La svizzera Roche, seconda in assoluto (6,40 miliardi, pari al 19,4 per cento), è in te-
sta al gruppo delle imprese farmaceutiche e biotecnologiche. La seguono la statuni-
tense Pfizer (5,40) al quinto posto e, fra le top 10, l'altra svizzera Novartis (5,16),la sta-
tunitense Johnson & Johnson (4,87)e la francese Sanofi--Aventis (4,57).Cui si aggiun-
gono, nelle top 20, l'inglese GlaxoSmithKline (4,08) e la statunitense Merck (4,07).
La statunitense Microsoft (6,07 miliardi), terza in assoluto, capeggia l'articolato mon-
do ICT. È seguita dalla finlandese Nokia (5,00) e dalla sudcoreana Samsung (4,51)nel-
le top 10; nonché dalle statunitensi lntel (3,94) e Cisco (3,63)e dalle giapponesi Pana-
sonic (3,88)e Sony (3,72)nelle top 20.
Con solo la tedesca Siemens (4,28), fra le top 20, non inquadrabile (anche se in misu-
ra ridotta essa opera nell'ICT) in alcuno dei tre gruppi precedenti.
Se si incrociano i dati delle imprese più innovative e di quelle che investono di più in
R&D si può vedere che 12delle top 20 per innovazione appaiono anche fra le top 50 per
R&D. Google è seconda per innovatività, ma solo quarantasettesima per spesa in
R&D; Microsoft è terza in ambedue le graduatorie; le altre imprese a presenza doppia
(tra parentesi le posizioni nelle due classifiche) sono IBM (4, 22), Toyota (5, 1), Generai
Electric (9, 38), Sony (10,19), Samsung (11,10), lntel (12,17),Ford (13,23),Volkswagen
(15,4), HP (16,48) e BMW (18,35).Specularmente, 10 delle top 20 per spesa in R&D
appaiono fra le top 50 per innovatività (tra parentesi le posizioni invertite nelle due clas-
sifiche): Toyota (1,5), Microsoft (3,3), Volkswagen (4, 15),Nokia .(8,23), Samsung (10,
11),Siemens (11,34), Honda (13,26), lntel (17,12),Sony (19,10) e Cisco (20, 31).
Non vi è nessuna impresa italiana che investa più di 2 miliardi di euro in R&D, contro
le 15statunitensi, le 12giapponesi, le 7 tedesche, le 3 francesi e le 2 inglesi e svizzere.
Sono solo 3 quelle che superano la soglia di 1 rr.iliardo di euro - Finmeccanica (1,93),
sedicesima nell'UE e quarantanovesima nel mondo; Fiat (1,62 miliardi), nella sua
configurazione ante-scissione, rispettivamente diciottesima e cinquantatreesima;
STMicroelectronics (1,55miliardi), ventesima e cinquantacinquesima - a fronte delle
28 statunitensi, delle 18giapponesi e delle 11tedesche. Se si abbassa l'asticella a mez-
zo miliardo, entra in gioco anche Telecom Italia (842 milioni); mentre le successive -
Intesa Sanpaolo ed Eni - superano di poco i 200 milioni.
Perché queste differenze così sensibili con altri paesi? Perché ci sono poche grandi
imprese in Italia (cfr. sottoparagrafo1.5.2),con l'apparente paradosso che poche di es-
se hanno ricavi superiori agli investimenti in R&D di imprese come Toyota, Roche,
Microsoft, Volkswagen, Pfizer, Novartis o Nokia. Perché il nostro paese è relativamen-
2. L'impresa e il contesto I 135
Il basso livello di investimenti in R&D nel nostro paese, che sarebbe altamente auspicabile riu-
scire ad accrescere nei prossimi anni in un contesto internazionale sempre più competitivo,
non comporta però che sia altrettanto basso il livello di innovazione: che, come evidenziato in
precedenza, può assumere I caratteri più differenti e manifestarsi nei modi più diversi. È fre-
quente nel nostro paese, anche per la dimensione relativamente ridotta delle imprese, la pre-
senza di un'innovazione non strutturata (senza cioè personale dedicato e quindi senza traccia
nei bilanci) di natura incrementale e non radicale: che gioca sulla creatività nei settori tipici del
made in ltaly (come la moda o i mobili), ove il design è un'arma fondamentale; che gioca sulla
capacità di personalizzazionein settori quali quello delle macchine industriali, ove pure l'Italia ha
spesso una posizione di leadership.
2.6 Il rischio
Non esiste impresa senza rischio. 11rischio è intimamente connesso all'idea stessa
di "economia di mercato", qualunque sia la configurazione che quest'ultima
assume - variabile a seconda dei paesi e del momento storico - in funzione
del ruolo riservato allo Stato.
In una "economia di mercato" infatti, a differenza di quanto accadeva nelle
economie "pianificate", una parte comunque estremamente ampia delle de-
cisioni concernenti il futuro è assunta attraverso le scommesse- investimenti di
risorse finanziarie e allo stesso tempo impegno ( commitment) delle risorse uma-
ne - delle imprese: quali ad esempio il lancio sul mercato di nuovi beni e/ o
servizi; la costruzione di impianti o di infrastrutture logistico-distributive (ma-
gazzini, depositi ecc.); la creazione di reti commerciali; il lancio di nuovi mar-
chi; la promozione di progetti di ricerca.
L'assunto che non esisteimpresasenza rischiopuò essere considerato in una qualche misura tau-
tologico, nel senso che si può decidere di non considerareimprese,almeno nel senso più pro-
prio del termine:
• le società che operino con "retidi protezione"eccessive,da parte dello Stato (come le società
pubbliche e parapubbliche nel nostro paese sino all'awento delle regole comunitarie e
all'awio dei processi di privatizzazione e liberalizzazione) o delle case madri (come le so-
cietà, in verità in numero sempre più decrescente, che vengono fatte operare come for-
nitori unici per i bisogni interni);
• le società che non dispongano di un liveUodi autonomia decisionalesufficiente,rispetto al
gruppo privato o all'istituzione pubblica cui fanno capo dal punto di vista proprietario,
in quanto assimilabili a divisioni interne di questi ultimi;
• le società che mettano in gioco, per operare e per svilupparsi, risorse.finanziariemodesteri-
spettoal wro volume di attività: quali ad esempio quelle società di consulenza che, pur con
la forma giuridica di società di capitali e pur di dimensioni rilevanti, rimangono assimila-
bili a studi professionali (rischiando più l'impegno e la carriera dei "professionisti-part-
ner" che non i soldi investiti);
. .
e, a maggior ragione:
136 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
• le strutture, quali quelle della pubblica amministrazione, che non abbiano un output
'\rendibile" e un mercato in cui confrontarsi con i competitori (effettivi o anche solo po-
tenziali).
È la scelta fatta in questo testo, tenendo anche presente che la maggior parte delle teorie
concernenti l'impresa - soprattutto se di matrice statunitense - hanno proprio l'assunto ini-
ziale come presupposto esplicito o implicito.
Rischio significa 12 che non esiste a priori alcuna certezza su quelli che saranno
gli esiti delle scommessedell'impresa, nel breve e nel medio-lungo termine.
Scommesse che potranno essere perdenti, sino a portare al limite l'impresa
stessa alla dissoluzione coatta: ossia al / allimento. O che potranno essere vin-
centi, sino a innescare spirali di crescita e moltiplicazione del va/me creato per
gli azionisti ( shareholder) e per gli altri soggetti in qualche misura coinvolti
(stakeholder):il top management e le risorse umane in genere che operano nel-
l'impresa, le collettività locali che ne ospitano gli insediamenti, i clienti, i for-
nitori, le banche e così via.
Il rischio che l'impresa, e con essa gli shareholdere gli stakeholder,affrontano
presenta però una asimmetria sostanziale: mentre non esiste teoricamente al-
cun limite superiore al successo, e mentre dal successo "si può tornare indie-
tro" (molte delle imprese top negli anni '30 o '50 o anche negli anni '70 non
appaiono nemmeno più nelle classifiche perché assorbite da altre più dinami-
che), il fallimento rappresenta un evento irreversibileche non lascia spazi a possi-
bili recuperi (cfr. schema 2. 25).
Nel loro libro Ladistruzionecreatrice(Etas, 2001) Richard N. Foster e Sarah Kaplan, af-
frontando l'affascinante tema del ciclodi vita delle imprese - con_riferimento a quelle
statunitensi più importanti e in relazione al periodo intercorrente fra il 1917 (anno del-
la prima pubblicazione da parte di Forbes dell'elenco delle top 100 imprese USA) e i
giorni nostri, per un campione più ristretto, e agli ultimi quattro decenni, per un cam-
pione molto ampio - hanno ad esempio verificato empiricamente che:
• sono rarissimi i casi di imprese capaci di soprawivere per periodi molto lunghi ai
vertici della classifica per capitalizzazione di borsa e di mantenere allo stesso
12. In larga parte della discussione che segue, e in generale nella teoria finanziaria, il termine "ri-
schio" è usato - utilizzando una definizione dei latini (che ad esempio con la parola jMtuna
indicavano sia la fortuna sia la sfòrtuna) - come una vox media: non attribuendogli alcun con-
notato negativo a priori, se non quello della variabilità degli esiti più o meno rilevante (nel
male ma anche nel bene) che esso comporta. Nel linguaggio normale, invece - come in alcu-
ne considerazioni che verranno fatte (cfr. scherna 2.25) - spesso il termine "rischio" assume
una connotazione più sbilanriata in senso negativo: per "impianto a rischio" si intende ad
esempio un impianto ove si teme che possa accadere qualche incidente e ove viceversa si spe-
ra (ben che vada) che non accada nulla.
2. L'impresa e il contesto \ 137
tempo tassi di remunerazione totale per gli azionisti superiori a quelli medi del
mercato finanziario: a causa delle discontinuità esterne (salti tecnologici, nuove
normative quali quelle ambientali ecc.) ma anche delle debolezze interne (barrie-
re culturali al cambiamento ecc.);
• sono viceversa molto numerosi i casi di imprese, arrivate al successo in un deter-
minato momento storico, che "muoiono" - per fallimento o assorbimento da par-
te di altre - o entrano in una fase di progressivo regresso, assoluto o relativo, dei li-
velli di capitalizzazione e di remunerazione totale degli azionisti: solo 74 delle 500
maggiori imprese statunitensi presenti nella lista S&P500 delle top 500 nel 1957,
ad esempio, lo erano ancora nel 1997; e se lo S&P500 avesse mantenuto nel 1997
la stessa composizione di quarant'anni prima, la performance complessiva sareb-
be stata di gran lunga inferiore rispetto a quella a composizione aggiornata;
• il tempo di permanenza di un'impresa nella lista delle top si è violentemente ridot-
to fra gli anni '20 e la situazione attuale, con un'accelerazione del tasso di ricambio
in corrispondenza alle grandi transizioni dell'economia (quali quelle legate all'u-
scita degli Stati Uniti dall'economia di guerra nei secondi anni '40, ai grandi pro-
grammi federali di sviluppo della difesa e dell'aerospazio negli anni '60 e all'esplo-
sione delle ICT negli anni '90): passando da un'aspettativa di permanenza di 65
anni negli anni '20 a una compresa fra i 20 e i 10 anni nel periodo più recente.
l'.impresa in altre parole è una creatura "mortale" e tende anzi, come evidenziato in al-
tri studi, ad avere una vita media di durata inferiore rispetto a 'quella dell'uomo: nono-
stante, in quanto istituzione, non soffra a prioridei limiti che la natura pone all'uomo.
La paura del fallimento, e in generale il prevalere nella "testa" delle persone del-
la preoccupazionedi perdererispetto alla possibilitàdi vincere,è alla base dell'atteg-
giamento mediamente auuersoal rischioche caratterizza il mercato finanziario e
che lo porta a richiedere - nell'acquistare quote di proprietà delle imprese o
nel partecipare ad aumenti di capitale, ma anche nel prestare denaro - premi di
rischiocommisurati alla variabilità attesa dei possibili esiti delle scommesse.
In termini statistici il mercato finanziario nel mettere in gioco le sue risorse
non guarda solo al valnre attesodi tali esiti, ma anche alla loro varianza: dando
la preferenza, a parità di valore atteso, agli investimenti o ai prestiti che pre-
sentano la varianza più bassa; owero considerando "equipollente" un investi-
mento a elevato valore atteso ma a elevata varianza a uno a minor valore atte-
so ma anche a minor varianza (cfr. capitolo19).
La paura del rischio, e l'esistenza d'altra parte di premi per chi lo affronta,
è alla base dell'importanza che in un'economia di mercato - e più in genera-
le in una società che adotta tale forma di organizzazione - assumono gli im-
prenditori.E un fenomeno analogo si ha all'interno delle imprese di dimensio-
ni maggiori, ove il timore della burocratizzazione spinge sempre più spesso a
richiedere ai dirigenti di essere essi pure imprenditori:mettendo in gioco conti-
nuamente la propria carriera, ma con la prospettiva di remunerazioni anche
molto elevate (attraverso ad esempio i meccanismi di stock aption o stockgrant)
nel caso di successo delle iniziative (cfr. schema2. 26) .
138 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Diverse fra le imprese italiane di media dimensione che hanno ad esempio effettuato rile-
vanti investimenti nel 2006 o nel 2007 per potenziare la loro capacità di export- in un con-
testo mondiale che appariva molto promettente - si sono venute a trovare allo scoppio della
crisi nella spiacevole situazione di avere un'esposizione finanziaria molto forte (a causa del
debito contratto per l'investimento), a fronte di una minore disponibilità di credito da parte
del sistema bancario (colpito a sua volta dalla crisi) e di una caduta talora verticale delle ven-
dite (per la crisi dell'economia mondiale): sino a rischiare il fallimento.
Significativo, non per le implicazioni finanziarie ma perché esemplare degli effetti combina-
ti che il ritardo e l'irreversibilità possono produrre, è il caso di un'impresa come Edison: dan-
neggiata (sino a presentare per la prima volta i conti in rossonel primo trimestre 2011) per un
investimento che al momento della sua concezione appariva molto brill,ant,e.La business idea
sottostante, nata diversi anni prima ma rallentata dagli ostacoli autorizzativi, era quella di p~
tenziare la propria presenza nel mercato italiano del gas naturale - affrancandosi dal potere
dell'ex monopolista Snam (gruppo Eni) - attraverso l'importazione dal Qatar (con un tipi-
co contratto di fornitura take or pay) di gas liquefatto trasportato per nave e)a sua rigassifica-
zione in un impianto ad hoc fatto costruire ,nell'area di Rovigo. L'effetto della crisi è stato
quello di ridurre sensibilmente il fabbisogno di energia elettrica (per la caduta della produ-
zione industriale) e in connessione il fabbisogno di gas: con la conseguenza di un uso ridot-
to del rigassificatore e di una ricaduta negativa del contratto (che costringe comunque l'ac-
quirente a pagare anche il gas non ritirato).
La turbolenzapuò giocare a favore. Il passaggio dall'IRI, storico gruppo conglomerale a pr~
prietà pubblica del nostro paese, alla famiglia Riva del più grosso impianto italiano per la
produzione dell'acciaio - quello di Taranto - awenne a una cifra che rifletteva la situazione
mondiale del mercato dell'acciaio al momento. Ma l'aumento del prezzo dell'acciaio sul
mercato mondiale (prezzo catterizzato da una forte vo/,atilitàa causa della rigi,ditàdell'offerta
nel breve periodo) che si verificò poco dopo fu di dimensioni tali da rendere l'operazione
quasi gratuita: un vantaggio per l'acquirente, ma ovviamente un dispiacere per il venditore.
Un qualcosa di simile awenne per una "vecchia" raffineria in Sicilia, ceduta da Eni a Erg sul-
la base dei margini di raffinazione del momento, che si trasformò• in un quasi regaw per la
crescita nei margini (anch'essi molto vo/,atilz)che poco dopo si verificò.
sa a punto del film a sviluppo istantaneo come allargamento naturale della sua offer-
2. L'impresa e il contesto j 141
ta. L'obiettivo (estremamente ambizioso per le difficoltà tecniche che comportava) al-
la fine fu raggiunto, ma in tempi lunghi e con un ingentissimo assorbimento di risor-
se per la ricerca e per l'ingegnerizzazione. Il risultato fu un pesantissimo flop, ricondu-
cibile in larga misura alla nascita awenuta nel frattempo delle innovative e più ma-
neggevoli cinecamere digitali. Polaroid, e per essa Land che venne poi estromesso da-
gli altri azionisti, probabilmente sottovalutò la potenzialità delle tecnologie informati-
che nel comparto, al momento di lanciare il progetto, o non seppe (o non volle) inter-
rompere tempestivamente il progetto stesso - accettando la perdita di quanto già in-
vestito ma senza mettere in gioco risorse addizionali - nel vederne la progressiva cre-
scita. Ma la lunghezza del tempo necessario per la messa a punto del nuovo sistema
- il cosiddetto time to market- giocò sicuramente un ruolo negativo determinante.
Il rischio può riguardare l'esito di un'intera impresa.
È il caso delle numerosissime start-up,per cui vi era una sostanziale coincidenza fra
impresee progettiportati avanti, nate alla fine degli anni '90 nella prospettiva di una ra-
pida transizione dai mercati tradizionaliai mercati virtuali82c e 82b. Le scommesse
sono state, come noto, in larga misura perdenti (anche se con importanti eccezioni
come Amazon o eBay). Con il trascorrere del tempo, infatti, molte delle aspettative -
ad esempio quella che una parte significativa delle entrate dei siti 82c sarebbe prove-
nuta dai flussi pubblicitari "rubati" ai mediatradizionali - si sono dimostrate irrealisti-
che. E le risorse finanziarie, in taluni casi reperite in misura mdlto consistente (tipica-
mente al Nasdaq) con l'obiettivo dichiarato di precostituire posizioni di forza per il fu-
turo, sono state rapidamente "bruciate" nella messa a punto e nel successivo sowen-
zionamento di una strutturaorganizzativarivelatasi progressivamente incapace di au-
tomantenersi, incedibile ad altri e liquidabile solo al prezzo della perdita quasi inte-
grale delle risorse messe in gioco.
Un caso interessante del rischio di non investire per tempo è quello di un grande del-
l'industria della pasta (e dell'industria alimentare in genere) come Barilla, che alcuni
anni or sono, resa forse troppo sicura da un periodo almeno ventennale di alta profit-
tabilità e di continua crescita, incorse in quella che viene chiamata una miopia di
marketing(ma le miopie spesso si rivelano tali solo troppo tardi): non comprendendo
per tempo la nuova propensione dei consumatori italiani - nel quadro di un riorienta-
mento generale verso ilfresco- verso la pasta fresca (tortellini ecc.). Barilla lasciò cre-
scere infatti un'impresa all'inizio piccola come Rana, in quella che riteneva probabil-
mente essere una nicchia destinata a rimanere tale e quindi di consistenza non ade-
guata per una grande impresa, e quando si accorse dell'errore si trovò a fronteggiare
un concorrente che nel frattempo - forse conscio delle potenzialità di crescita o anche
solo per difendere al meglio la sua nicchia - si era costruito un brandestremamente
solido presso i consumatori: concorrente che cercò prima invano di combattere, no-
nostante la "potenza di fuoco" messa in gioco, e poi invano di comprare. Barilla si
in ~na situazione in cui il
venne a trovare cioè in una tipica situazione di irreversibilità:
142 i L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
recupero delle opportunità non sfruttate al momento giusto può risultare impossibile
(come di fatto awenne) o comportare extracostianche molto elevati (quali quello che
Barilla era disponibile a pagare per l'acquisizione).
Un altro caso da manuale è quello di un gigantecome I BM (cfr. sottoparagrafo1.5.1 e
schema 2.2), che - partendo da una posizione quasi monopolistica nei calcolatori -
comprese solo in ritardo l'importanza che, con l'affermarsi dell'informatica distribuita
e dei PC, avrebbero assunto i microprocessori e il software e le potenzialità di disinte-
grazioneverticaleche ciò comportava per un comparto sino a quel momento caratte-
rizzato da una fortissima verticalizzazione. I BM lasciò prosperare due suoi fornitori di-
venuti nel seguito famosissimi, Microsoft e lntel, favorendone anzi la crescita senza
contropartite azionarie o rinunciando a sfruttare quelle di cui disponeva: non chiese
infatti partecipazione azionaria alcuna o opzione di acquisto a Bill Gates, nel momen-
to in cui lo faceva crescere dal nulla mettendo sulle sue macchine il sistema MS-DOS;
cedette addirittura come non strategica la quota di lntel di cui era in possesso e ri-
nunciò conseguentemente, nel contempo, a esercitare l'opzione di acquisto del pac-
chetto di controllo di cui disponeva. Un altro caso di miopiadi marketinge un altro ca-
so di irreversibilità,
con vani tentativi poi da parte di IBM di rimontare nei due compar-
ti - con investimenti elevati - una situazione ormai di forte debolezza competitiva.
Un caso che dimostra come rilevanti errori di valutazione possano essere fatti anche
da imprese che viceversa, nella loro storia precedente e successiva, hanno mostrato
notevoli capacità di adattamento alle mutazioni del contesto esterno.
Negli anni 2000 sono state spesso le imprese passate sotto il controllo dei fondi di private
equity a esacerbare l'uso della leva. Per due ragioni: per retrocedere una parte del capitale
proprio - sostituendolo con debito - ai fondi che le avevano acquistate, permettendo loro di
recuperare più rapidamente le fuoruscite finanziarie per l'acqùisizione; per esaltare al mas-
simo la redditività del capitale proprio, nell'ipotesi ovviamente (non sempre dimostratasi
poi realistica) di prospettive positive per l'impresa. Ma il ricorso all'indebitamento finanzia-
rio non deriva nella maggior parte dei casi da un ragi,onarrientoa freddo (quale quello del pri-
vate equity), ma dal fabbisogno di risorse finanziarie delle imprese che vogliono crescere o di
quelle che - più tristemente - devono coprire le loro perdite.
mento sul capitale investito superiore al tasso di interesse sul debito; ha vice-
versa una profittabilità che decresce con la leva, sino ad andare in perdita,
l'impresa che - a causa di crisi temporanee o di problemi strutturali - sa far
rendere il capitale meno di quanto paga per il prestito.
Un esempio numerico, trascurando per semplicità l'effetto fiscale e immaginando che sia
pari a 1000 il capitale investito e al 5 per cento il tasso di interesse sul debito, può aiutare a
comprendere il meccanismo. Un'impresa che impieghi solo soldi suoi avrebbe ovviamente
una profittabilità sul capitale proprio pari al rendimento sul capitale investito: del 10, del 5
o dello O per cento a fronte di rendimenti analoghi. Un'impresa con un mix bilanciato di
capitale proprio (500) e indebitamento finanziario (500) vedrebbe, nel caso di rendimen-
to del 10 per cento sul capitale investito di 1000 (100 in valore assoluto), salire la profitta-
bilità sul capitale proprio dal 10 al 15 per cento (essendo pari a 25 gli interessi complessivi
da pagare e andando i restanti 75 a remunerare il capitale di 500); vedrebbe la profittabi-
lità immutata, al 5 per cento, in caso di parità fra rendimento e tasso di interesse; vedrebbe
l'impresa passare da una profittabilità nulla a una negativa del 5 per cento (a causa degli
interessi comunque da pagare) nel caso di rendimento nullo del capitale investito. Una for-
bicequindi che si allarga- da un range compreso fra il 10 e lo O per cento a uno fra il 15 e il
-5 per cento- a dimostrazione della crescita del rischio. Una forbice che si allargherebbe ul-
teriormente se l'impresa coprisse con i soldi suoi solo il 20 per cento del capitale investito
(ossia 200 a fronte di 800 di debito): gli interessi complessivi da pagare salirebbero infatti a
40 e la profittabilità sul capitale proprio si porterebbe rispettivamente al 30, al 5 e al -20
per cento.
Le cose funzionano nella realtà in modo un po' più articolato. Perché l'inde-
bitamento finanziario ha un costo che cresce (in termini di tasso di interesse)
quando il grado di /,evasi porta a livelli molto elevati, riducendo o annullando
la convenienza - anche dell'impresa che abbia buone prospettive di rendi-
mento - di indebitarsi ulteriormente. Perché l'indebitamento finanziario ha
un costo che cresce, per l'impresa già indebitata, al peggiorare delle prospet-
tive: sino a una situazione estrema in cui, non riuscendo più l'impresa né a
contrarre nuovi debiti per coprire le perdite né a rifinanziare quelli in sca-
denza, si prospetta la possibilità concreta del fallimento.
L'utilizzo di una l,eua molto elevata da parte delle grandi banche d'affari - non solo le grandi
statunitensi (Goldman Sachs, Lehman Brothers, Morgan Stanley, Merrill Lynch ecc.) ma an-
che molte europee - ha contribuito fortemente, come visto (cfr. schema 2.1), allo scoppio
della grande crisi del 2008. La l,eua, che nel caso delle banche si misura come rapporto fra
l'ammontare complessivo delle operazioni di investimento in essere (effettuate in generale
con il danaro dei clienti delle banche stesse) e il capitale proprio, si era portata in taluni casi
a quota 30: con un effetto ovviamente moltiplicativo sulla profitta?ilità e sui bonus, ma un~
capacità quasi nulla di rispondere con risorse proprie alle perdite. E ciò che puntualmente e
accaduto: con il fallimento di Lehman Brothers e con il salvataggio - pubblico o comunque
realizzato con aiuti pubblici - di molte altre realtà.
Tepco.Il Corrieredella Seradel 21.5.2011 ("Nucleare, maxiperdita per Tepco"): "Il disastro nu-
cleare di Fukushima abbatte i conti della Tepco, il gestore dell'impianto, che segna un rosso
da 10,6 miliardi di euro (di cui 8,5 come diretta conseguenza della crisi). 'Mi dimetto perché
sono responsabile del crollo di fiducia dell'opinione pubblica nell'energia nucleare e per
aver causato tanti problemi' ha annunciato il CEO Masataka Shimizu". The Wall Street]ournal
del 17.5.2011 ('Tepco shares plummet as confusion reigns over its debt", di Brad Frisch-
korn): "Apprehension over the future ofTokyo Electric Power Co. triggered its worst single-
day share sell-off in more than a month, as concern mounted over its debts and problematic
news from the stricken Fukushima Daiichi nuclear power plant. The sell-off also hit banks
that have large loans outstanding to the company, which was once seen as representing bed-
rock corporate Japan. Tepco's shares slid 9.5% [ ...]. The closing level represents an 82% fall
fromjust before the earthquake that devastated northernjapan on March 11. [ ...] Tepco's
creditors haven't escaped the fallout [...] ". Un caso estremo quello del disastro nucleare in
Giappone, causato dal combinarsi di un terremoto di magnitudo molto elevata e dello tsu-
nami da esso generato. Causato però, secondo gli esperti, anche da mancanze della Tepco in
sede di progettazione e in sede di gestione: cui la società sarà chiamata presumibilmente ari-
spondere in sede penale e civile, con ulteriori oneri che la potrebbero portare alla chiusura
e/ o al fallimento. Un caso che mostra come rischino di rimanere finanziariamente coinvolti
nella crisi della Tepco anche le banche e i fornitori: immeritatamente,dato che l'importanza e
la solidità finanziaria di cui Tepco era accreditata non potevano far immaginare l'esistenza di
rischi da cui proteggersi.
GoUman Sachs. Il Financial Times del 2.6.2011 ("NY prosecutors probe Goldman on crisis"):
"Goldman Sachs was subpoenaed by Manhattan prosecutors seeking details on its conduct
during the financial crisis, [...] after a US Senate subcommittee accused the investment bank
of misleading clients when it sold mortgage-linked securities just as the credit markets fell in-
to crisis. Goldman agreed last year to pay the Securities and Exchange Commission $550m
to settle civil fraud charges against the bank. The conclusions drawn by the Senate perma-
nent subcommittee on investigations triggered a new wave of probes into Goldman's busi-
ness practices, reigniting concerns that its legai headaches coulcl worsen. Goldman's shares
have fallen 20 per cent this year [ ...] ".
L'impresa che non sappia o non voglia cautelarsi per impedire il verificarsi di
evenienze negative (cfr. sottoparagrafo 2.6.2), o comunque limitarne le conse-
guenze, aumenta la sua rischiosità. Perché - spendendo meno del dovuto per
le misure di sicurezza (come nel caso Tepco) o accrescendo i ricavi con l'in-
ganno (come nel caso Goldman Sachs) - essa spinge verso l'alto i risultati nel ca-
2. L'impresa e il contesto J 145
Il rischio, come visto, è figlio della ridotta capacità di prevedere il futuro - tan-
to più pericolosa quanto più il contesto è caratterizzato da una forte ed errati-
ca variabilità- e dall'irreversibilità delle decisioni, owero dai tempi e dai costi
necessari per correggere una decisione assunta su presupposti rivelatisi poi
sbagliati. È figlio delle modalità con cui l'impresa si finanzia. È figlio della sua
attitudine nei riguardi del verificarsi di evenienze negative. Non esistono ri-
cette garantite per eliminare il rischio, ma non esistono nemmeno per l'im-
presa strade obbligate da percorrere. '
L'impresa cioè, nel decidere le scelte da adottare fra quelle disponibili, può
valutarne a priori sia la rischiosità sia il trade-offcon la profittabilità attesa: pun-
tando su quelle più rischiose, per il premio elevato che garantiscono se le co-
se vanno bene; o puntando su quelle (almeno apparentemente) più sicure,
anche se il premio in palio è più modesto.
È importante notare però come il ventaglio delle scelte disponibili possa ri-
sultare più o meno ampio in funzione dello stato e delle prospettivedella speci-
fica impresa: non tutte le strade cioè sono percorribili da tutti. E come la stes-
sa rischiosità abbia una componente soggettiva:l'aumento del grado di indebi-
tamento, ad esempio, è molto meno pericolosoper un'impresa che operi in
condizione di quasi-monopolio che non per una esposta alla concorrenza in-
ternazionale.
È importante notare anche che in generale il rischio risulta tanto minore
quanto più la specifica impresa è in grado di incidere proattivamente sull'evo-
luzione del contesto ( riducendone quindi l'imprevedibilità) e/ o quanto più -
mantenendosi flessibile - rende meno irreversibilile sue scelte.
La flessibilità
La flessibilità- intesa come capacità e/ o possibilità dell'impresa di reagire ra~
pidamente e/ o senza extracosti eccessivi a determinati cambiamenti del con-
testo - tende in generale a contenere il rischio: assicurando esiti delle scom-
messe meno "distanti"" fra loro, owero caratterizzati da una minore varianza,
per un ''ventaglio" di possibili scenari alternativi futuri.
Di converso la rigi,dità,owero la presenza di vincoli che rendono difficile
per l'impresa adattarsi ai cambiamenti del contesto, tehde ad amplificare il
rischio.
146 i L'IMPRESA: Gli OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Il potere di mercato
II poteredi mercato,tipicamente derivante dalla forza del brande/ o dal possesso
di un know-howesclusivo, riduce il rischio: sempre che non si verifichino rottu-
re sostanziali - nelle abitudini, nelle tecnologie, nelle normative ecc. - che
portino a trasformazioni radicali nell'organizzazione industriale.
2. L'impresa e il contesto I 147
La prossimità della scadenza del brevetto del Viagra ha ad esempio messo in difficoltà Pfizer.
"An expiring patent for the little blue pill (da Fortune 2011: Top 500 American Companies)is
making Pfizer blue these days. Pfizer's blockbuster Viagra will face competition from gene-
rics starting next year. To prepare, the company is scrambling to find other uses for the drug.
It's also making variations ofViagra, such as a chewable tablet called ViagraJet, which it's al-
ready selling in Mexico. Like many big pharmas facing a generics threat, Pfizer is slimming
down and restructuring [...] ".
Una rotturasostanziale - nel passaggio dai cellulari di precedente generazione agli smartphone
(cfr. paragrafo1.4 e schema2. 8) - è quella che sembra aver colpito Nokia, dopo tanti anni di lea-
dership sul mercato mondiale. "Nokia shares tumbled almost 18 per cent after the Finnish mo-
bile phone maker issued a profit warning (dal Finanaal Timesdel 1.6.2011, "Embattled Nokia
hit by profit warning", di Andrew Ward e Andrew Parker). Nokia said second-quarter sales and
operating margins would be 'substantially below' previous guidance because of lower-than-
expected volumes and prices. Tue warning increased the sense of ~risis surrounding Nokia as
it continues to lose market share to the Appie iPhone, devices using Google's Android opera-
ting system and low-end Chinese manufacturers. [...] The company lowered its second-quarter
operating margin target from 6-9 per cent to 'around breakeven', and said that the outlook
148 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
was too uncertain to provide new full-year estimates. Nokia shares fell to their lowest for 13
years. The stock has shed one-third of its value over the past six months and more than 70 per
cent over the past five years as Nokia's status as the world's biggest mobile phone maker has
come under threat. [...] An analyst warned that Nokia faces a 'Motorola-type scenario' - refer-
ring to the US mobile phone maker that once dominated the industry only to see its market
share collapse - and predicted that the shares could slump as low as €3, compared with a high
of €64.95 in 2000 [...] ". Indipendentemente da quello che sarà il futuro di Nokia - i recuperi
sono difficili ma non impossibili come insegna la storia di Appie (cfr. paragrafo 1.4) - il caso
evidenzia come il potere di mercato, importantissimo sino a che c'è nel conferire stabilità al con-
testo e nel permettere all'impresa che lo detiene di mantenere o accrescere le sue quote (la
quota di Nokia negli smartphoneera ancora pari al 40 per cento nel 2009, mentre ne è previsto
il più che dimezzamento nel 2011), possa precipitare anche in tempi rapidi.
È quanto fece ad esempio negli anni '60 e '70 IBM, dopo aver sbaragliato gli awersari nella
guerra per il dominio nella crescente computer industry, imponendo ai clienti una serie di
condizioni che sbarravano la strada all'entrata di concorrenti nelle forniture all'epoca
marginali (periferiche, software e servizi): trovando però sulla sua strada l'antitrust statu-
nitense, che la costrinse all' unbundling, alla vendita cioè separata e senza condizioni delle
diverse componenti di un computer. È quanto fece negli anni '90 ad esempio Microsoft, che
avendo creato un quasi-monopolio nei sistemi operativi e nel software per i personal computer
- essendo divenuti Windows e Office uno standard defacto- utilizzò il suo potere per cercare
di eliminare i concorrenti nel frattempo cresciuti con Internet: famoso l'attacco "mortale" a
Netscape, che aveva messo a punto il browserdi gran lunga più diffuso, attraverso la stretta in-
tegrazione in Windows del suo browserExplorer. Con una serie di successivi interventi sia del-
1'antitrust USA sia di quello UE.
L'innovatività
Anche l'innovatività di ciò che l'impresa fa può impattare sul rischio: talora ri-
ducendolo e talaltra esaltandolo.
L'introduzione di processi nuovi, volti a ridurre i costi e/ o a innalzare le ca-
ratteristiche di prodotti a mercato consolidato, tende coeterisparilms a ridurre
il rischio dell'impresa: dal momento che ne rafforza la competitività.
L'introduzione periodica di prodotti - beni e/ o servizi - che rappresentino
un continuo upgrade rispetto agli esistenti è uno dei tipici strumenti utilizzati
dalle imprese con un potere di mercato forte per riaffermarlo: muovendosi in
2. L'impresa e il contesto I 149
Il manifestarsi di una serie di segnali premonitori di una possibile crisi - le prime difficoltà
negli IPO (initial public offering) di imprese della new economy nel 2000 che anticiparono lo
scoppio della bolla Internet o quelle nelle quotazioni dei titoli legati ai mutui subprime che an-
ticiparono la grande crisi del 2008 - può ad esempio mettere in moto un processo di rivalu-
tazione del profilo di rischio dell'impresa (anche se non direttamente implicata né nella new
economy né nei mutui subprime), all'esterno e all'interno dell'impresa stessa. Con possibili
conseguenze sulla quotazione in borsa e sulle condizioni di accesso al credito bancario. Con
possibili conseguenze nelle scelte dell'impresa, che -in vista del calo della domanda che una
crisi potrebbe generare e delle potenziali difficoltà nell'accesso al credito - potrebbe aliena-
re alcuni dei suoi business non care per fare cassa e ridurre l'indebitamento finanziario: mo-
dificando ulteriormente in tal modo il suo profilo di rischio.
Il rischio va visto nella sua globalitàe nella sua dinamùità: perché le diverse sor-
genti di rischio possono, interagendo dinamicamente fra loro, generare veri e
propri effettia catena.
2. L'impresa e il contesto I 151
Esemplare degli effetti a catena è il caso Nokia già visto in questo paragrafo. Pochi giorni do-
po l'annuncio, nel giugno 2011, della crescita delle sue difficoltà sul mercato degli
smartphone e il conseguente tonfo del titolo in borsa, Nokia ha dovuto subire una riduzione
quasi umiliante del suo rating (dell'affidabilità cioè riconosciutale nel restituire il denaro
preso a prestito) sino a un livello prossimo a quello dei cosiddetti junk-bond o titoli-spazzatu-
ra: con possibili inasprimenti sui tassi di interesse da pagare sui debiti in scadenza e/ o nuo-
vi e quindi con possibili ulteriori impatti negativi sulla profittabilità. "Nokia's debt has been
downgraded to one notch above junk status by Fitch, the credit rating agency, amid con-
cern over accelerating <ledine in the mobile phone maker's market share (dal Financial Ti-
mesdel 7.6.2011, "Nokia hit by debt downgrade", di Andrew Ward). Fitch said Nokia's cash
position was relatively strong but warned that mature companies in fast-moving sectors can
feel threatened to rapidly spend accumulated cash [ ... ] when faced with step changes in
market share dynamics".
È molto diverso, in relazione all'esempio precedente, se l'impresa per fare cassa mette in
vendita i suoi business non coreprima che la crisi provochi una diminuzione generalizzata de-
gli indici di borsa - e quindi dei valori a cui si vendono e si comprano le imprese - o dopo. È
molto diverso, nel caso in cui inizino a girare in retevoci negative - ad esempio (cfr. "Measu-
ring the human cost of an iPad made in China", di John Bussey, The Wall StreetJournal,
3.6.2011) sulla correttezza di imprese come Appie, HP e Dell nell'awalersi come grande for-
nitore della taiwanese Foxconn, divenuta nota per le condizioni di lavoro estremamente pre-
carie (con numerosi incidenti e suicidi) del milione circa di dipendenti che essa ha in Cina -
se le imprese coinvolte rispondono tempestivamente con misure credibili o se lasciano cre-
scere il brusioa livelli pericolosi per la loro reputazione.
Nella sua R.ilazionefinanziaria annuale 201 OEni (cfr. schema 1.3) dedica un capitolo ai fattori di
rischio e incertezzae alle misure organizzative messe in atto per la loro gestione (pp. 87-98):
"Nell'ambito dei rischi d'impresa, i principali rischi identificati, monitorati e attivamente ge-
stiti da Eni sono i seguenti: (i) il rischio di mercato derivante dall'esposizione alle fluttuazio-
ni dei tassi di interesse, dei tassi di cambio tra l'euro e le altre valute nelle quali opera l'im-
presa, nonché alla volatilità dei prezzi delle commodity;(ii) il rischio di credito derivante dalla
possibilità di default di una controparte; (iii) il rischio liquidità derivante dalla mancanza di
risorse finanziarie per far fronte agli impegni finanziari a breve termine; (iv) il rischio Paese
nell'attività oil&gas; (v) il rischio operation; (vi) la possibile evohy:ione del mercato italiano
del gas e gli altri rischi di settore; (vii) i rischi specifici dell'attività di ricerca e produzione di
idrocarburi. La gestione dei rischi finanziari si basa su linee guida emanate centralmente
con l'obiettivo di uniformare e coordinare le politiche Eni in materia di rischi finanziari
152 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
[ ...] ". E nel paragrafo dedicato al rischioPaese: "Una parte notevole delle riserve di idrocar-
buri Eni sono localizzate in Paesi al di fuori dell'Unione Europea e dell'America Settentrio-
nale, alcuni dei quali possono essere politicamente o economicamente meno stabili. Al 31
dicembre 2010 circa 1'80% delle riserve certe di idrocarburi di Eni erano localizzate in tali
Paesi. [ ...] Evoluzioni del quadro politico, crisi economiche, conflitti sociali interni possono
compromettere in modo temporaneo o permanente la capacità di Eni di operare in condi-
zioni economiche in tali Paesi[ ...]. Ulteriori rischi: (i) mancanza di un quadro legislativo sta-
bile e incertezze sulla tutela dei diritti [ ...]; (ii) sviluppi o applicazioni penalizzanti di leggi
[...]; (iii) restrizioni di varia natura sulle attività di esplorazione, produzione, importazione
ed esportazione; (iv) incrementi della fiscalità applicabile; (v) conflitti sociali interni che sfo-
ciano in atti di sabotaggio, attentati, violenze e accadimenti simili. Ferma restando la loro na-
tura imprevedibile, tali eventi possono accadere in ogni momento comportando impatti ne-
gativi sui risultati economico-finanziari attesi di Eni. Eni monitora periodicamente i rischi di
natura politica, sociale ed economica dei circa 60 Paesi dove ha investito o intende investire,
al fine della valutazione economica-finanziaria degli investimenti di cui il rischio Paese è par-
te integrante [...] ".
3 Lo stato giuridicoe la governancedell'impresa
3.1Shareholdere stakeholder:
i dirittie i doveridi chidetienela proprietà
dell'impresae di chi partecipaallasuavita
sua gestione e/ o comunque interagisce con essa: che può conformarsi a mo-
delli societarie a modellidi governancedifferenti, per ciascuno dei quali la legge
definisce diritti e doveri dei diversi attori.
Nel modello societario più diffuso e più rilevante nell'ambito della nostra
trattazione, quello della societàper azioni1 e più in generale dell,asocietàdi capita-
li, essa prevede che i capitali necessari per avviare e portare avanti l'attività del-
l'impresa stessa siano conferiti da uno o più azionisti - shareholder- che:
• si assumono il rischiodi perdere anche interamente tali capitali se l'im-
presa ''va ma 1e ,,;
• hanno il diritto, a fronte di tale rischio, di gestire l'impresa e/ o di desi-
gnare il top managementche la gestisca;
• sono i destinatari, a fronte di tale rischio, del surplus (owero dell' uti/,e)
che l'impresa riesce a generare e possono decidere se lasciarlo nell'im-
presa o se ritirarlo sotto forma di dividendo;
• devono operare però nel rispetto generale e specifico delle leggi e delle
normative, e in particolare rispettare - e fare in modo che vengano ri-
spettati dall'impresa - i diritti degli altri partecipanti alla vita dell'impresa
owero degli stakeholder.
Specularmente essa prevede che i partecipanti non azionisti alla vita dell'im-
presa - stakeholder- godano di una serie di diritti, determinati dalle leggi e dal-
le normative, e di una serie di forme di rispetto, legate ai valori della colletti-
vità, che l'impresa stessa deve garantire: attraverso l'organizzazione, le regole
di governance,i sistemi di controllo e i codici di comportamento che si dà o de-
ve per legge darsi.
Il modello della società di capitali è il più diffuso, ma non è l'unico che l'im-
presa può adottare. Ed esso viene adottato da imprese che possono differire
1. Nel seguito di questo capitolo si useranno alternativamente i termini impresa o società, in fun-
zione del risalto che si vuole dare agli aspetti "reali" o a quelli più squisitamente "giuridici".
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 155
Gli shareholder
Gli stakeholder
me di integrazione di filiera che sono diventate sempre più stringenti. Essi so-
no conseguentemente sensibili alla correttezza dei suoi comportamenti e in-
teressati al suo buon andamento economico e al suo sviluppo quali-quantitati-
vo: per i danni ad esempio, nel caso dei clienti, che potrebbero derivare da un
ritardo o dalla cattiva qualità di una fornitura, talora molto più elevati del va-
lore della fornitura stessa (si pensi al costo di sostituzione di un componente
difettoso in un'automobile appena uscita dalla catena di montaggio); come
garanzia, nel caso dei fornitori, della sicurezza del pagamento delle forniture;
come garanzia, sia per i clienti sia per i fornitori, della potenziale continuità
del rapporto nel tempo; per le nuove opportunità, sia per i clienti sia per i for-
nitori, che possono nascere da un'espansione dell'attività dell'impresa e/o da
un innalzamento delle prestazioni del suo output.
- owero i soggetti che sono a prioriin condizioni più conflittua-
I competitori,
li rispetto all'impresa- hanno la necessità che la competizionesi svolga senza ec-
cessive scorrettezzee condividono comunque alcuni interessi comuni nei ri-
guardi di parti terze (quali i sindacati, le banche, le imprese fornitrici di ener-
gia, il fisco ecc.) .
I governi e le coUettivitànazionali o localivedono da un lato l'impresa come
contribuente fiscale, di cui cercare di prevenire le possibili forme di evasione
o elusione (a livello di tassazione diretta e indiretta e di versamento dei con-
tributi previdenziali); vedono dall'altro l'impresa stessa come vettore di cresci-
ta occupazionale e di sviluppo e sono spesso spinti per tale motivo, dalla com-
petizione con gli altri paesi o territori, a offrire condizioni - di trattamento fi-
scale, di erogazione di contributi pubblici, di facilitazione dei processi autoriz-
zativi, di disponibilità di servizi infrastrutturali - che attraggano nuovi insedia-
menti o almeno mantengano gli esistenti (evitando la disoccupazione e il de-
clino). Essi si possono trovare a vedere l'impresa come un nemico del loro am-
bienteo come un possibile all.eatonel risanamento dell'ambiente stesso e nel
recupero dal degrado del territorio. Essi rappresentano in ogni caso interlo-
cutori importanti per l'impresa, dal momento che - con i poteri di cui di-
spongono - ne possono agevolare lo sviluppo o frenare i piani di espansione e
la stessa operatività diretta.
Essaè la chiave di volta per il disaccoppiamento fra proprietà e gestione: non solo nel
caso in cui la gestione stessa venga affidata a un management professionale esterno,
ma anche nel caso (estremamente frequente nell'economia del nostro paese) in cui
tale ruolo vada a membri delle famiglie proprietarie che sono titolari soltanto di una
quota parte delle azioni. È la chiave di volta anche per il passaggio da una proprietà
concentrata in poche mani a una proprietà diffusaattraverso la quotazione in borsa.
Non è l'unica forma possibile su cui costruire un'impresa, anche se di gran lunga la
più diffusa.
Rimane in vita la formula della societàdi personecon responsabilità personale,di tutti i
soci o del solo socio-gestore nel caso delle società cosiddette in accomandita.
Hanno una natura più squisitamente sociale - e per tale motivo godono di signifi-
cativi vantaggi fiscali quando risulta prevalente il loro carattere di mutualità - le so-
cietà cooperative,caratterizzate da una serie di differenze rispetto alle normali so-
cietà di capitali:
• i socidevono essere cointeressati concretamente alle attività delle società stesse:
come fornitori di materie prime agricole per le cooperative di trasformazione ali-
mentare o commercializzazione; come lavoratori per le cooperative di costruzio-
ne; come consumatori per le cooperative di consumo quali le Coop; come clienti
per le mutue assicuratrici ecc.;
• le decisioni in sede di assemblea vengono sostanzialmente prese contando le te-
ste e non le quote di capitaleconferite (anche queste ultime comunque percen-
tualmente limitate);
• non vi è distribuzione di dividendi, ma gli utili potenziali non reinvestiti vengono
tradotti in integrazioni dei prezzi o dei salari pagati (nel caso ad esempio degli
agricoltori e degli addetti alle costruzioni) o in riduzioni dei costi dei~prodotti o
servizi forniti (in quello dei consumatori o dei clienti delle mutue).
Ai margini dell'economia, e con una rilevanza determinante del volontariato al suo in-
terno, si colloca infine il modello delle società non profit (regolato in Italia dal Decreto
legislativo 460/1997 di istituzione delle cosidette Onlus),che stanno assumendo un
peso crescente nei paesi più avanzati e che vedono la componente economica - talo-
ra anche di grande consistenza - come meramente strumentale, essendo le loro fina-
lità di tutt'altra natura: prettamente assistenziale, ad esempio, nel caso della Caritas,
orientata alla protezione dell'ambiente e del paesaggio nei casi del WWF e del FAI.
engineering& construction I
saipem f eni trading& shipping
(eni 52,54%)
Servicesf<><the (eni 100%)
o~ ~ ps industry
Group services in commodity
trading,shippingand derivatives;
trading
proprietary
in commodityderivatives
petrochemicals otheractivities
polimeri europa
(eni 100%)
Petrochemical produci
Corporalefinancial
produclion anclsale
and senricecompanles
Specificamente, al vertice di Mapei è collocata una società per azioni madre,con la fa-
miglia fondatrice come azionista unico e un membro della famiglia come ammini-
stratore unico, che allo stesso tempo è la scatolagiuridicain cui si colloca larga parte
delle attività del gruppo (fra cui quelle di natura più strategica), la sededel governo del
gruppo e l'azionista unico di tutte le società per azionifiglielocate nei paesi esteri eri-
spondenti alle leggi locali: create, come contenitoridelle attività ivi svolte, allo scopo di
meglio gestire i rapporti con i governi, i sindacati e le autorità locali.
Una variante molto diffusa del modello Mapei, soprattutto in presenza di business di-
versificati, è quella che vede una separazione giuridica netta fra le società operative e il
governo generale - in gergo corporate- dell'impresa: con una configurazione anche in
questo caso ad alberorovesciato, ma con al vertice una società per azioni - in gergo hol-
ding- con i soli ruoli di governo e di "cassaforte" delle azioni delle società operative.
~assetto societario e proprietario può essere molto complesso, come nel caso di Eni
(cfr. schema 1.3efigura3-1).Ove sono della natura più varia - relative ai business piut-
tosto che ai servizi comuni e/o ai paesi - e collocate su molteplici livelli le società per
azioni figlieche in numero molto elevato fanno capo al gruppo, sotto il governo di una
holding(la Eni spa) che ha funzioni sia di capogrupposia (a seguito delle trasformazio-
ni delle capogruppodi settoreAgip, Snam e Agip Petroli in divisioniinterne)di società
operativa.E ove soprattutto due società per azioni - Snam Ret~ Gas e Saipem - sono
quotate in borsa e hanno qurndi al loro interno azionistiterzi,con interessi non neces-
sariamente e non sempre coincidenti con quelli generali del gruppo.
~assetto societario e proprietario è ancora più complesso nelle due società quotate -
Fiat e Fiat Industriai - in cui dall'inizio del 2011 si è suddiviso lo storico gruppo Fiat
160 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Un esempio eclatante di perdita del posto, a seguito dell'insuccesso agli occhi degli azionisti del-
le strategie scelte, è quello di Carly Fiorina: CEO (l'equivalente nel mondo anglosassone del no-
stro amministratore delegato) di HP - uno dei gruppi leader a livello mondiale nell'Jnformation
Technology(cfr. paragrafo1.4) - dal 1999 al febbraio 2005, universalmente considerata una sorta
di icona della donna-manager di successo. Scriveva poco prima della caduta il' più autorevole
quotidiano economico statunitense (da The Wa/1Streetjournal del 26.1.2005, "Carly Fiorina fails
at Hewlett-Packard after betting badly'', di Jesse Eisinger): "[ ...] The centerpiece of Ms. Fiorina's
tenure has been her controversia I takeover of Compaq, which H P continues to defend as a
smart pian for improving its competitive edge with cost cfficiencies. That Get-Big strategy to
compete with lnternational Business Machines hasn't been a panacea for the complex and my-
riad problems H P faced: the drubbing its PC unit was taking from Dell, its faltering ability to
compete with I BM in servicing big corporate clients, its lack of any big new consumer gadgets.
[...] Since the merger, H P has lost market share and fai led to revive its profìt margins. lt relinqui-
shed the No. 1 position in market share of persona I computers last year to Dell. [...] I BM and
Dell gained share in network servers. [...] H P is stil I stuck in between high-end services provider
I BM and master of the PC-as-commodity market Dell. [...]". Il seguito della storia: il titolo H P
iniziò a salire in borsa all'allontanamento di Carly Fiorina e continuò per lungo tempo a salire,
mentre la società tornava a essere leader nel mercato dei PC: curiosamente, sino a che il suo
successore Mark Hurd non perse il posto a sua volta travolto da un'accusa di sexual harassment.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 161
Ma in questo caso l'effetto in borsa fu di segno completamente opposto. "The value of Mark
Hurd, one of Silicon Valley's bèst-regarded business leaders, was spelt out in no uncertain
terms by Wall Street on Friday (dal FinancialTimes del 7.8.2010, "Hurd departure wipes $1obn
off HP", di Richard Waters). Within minutes of Hewlett-Packard disclosing the departure of its
chief executive amid allegations of unethical behaviour, nearly $1obn was wiped from its stock
market value [...]".
3.2 La corporategovernance
avere accesso al mercato dei capitali oppure attuando frodi fiscali o rispar-
miando sulla sicurezza del lavoro e sulla salvaguardia dell'ambiente a scopo di
profitto (con esiti di segno completamente opposto quando i cattivi compor-
tamenti '\rengono a galla").
I primi anni 2000 hanno visto fiorire una serie di scandali, dovuti a comportamenti del tipo
testé descritto, che hanno impressionato l'opinione pubblica e portato ad esempio gli Stati
Uniti- con il varo nel 2002 del Sarbanes-OxleyAct- a irrigidire le pratiche contabili e le rego-
le in generale di cmporategovernanc,edelle imprese quotate in una misura da molti ritenuta ec-
cessiva. Nel 2001 scoppiò lo scandalo Enron: la società statunitense operante nell'energia e
nelle commodity,che per ben sei anni consecutivi era apparsa nella classifica di Fortune come
la AmericasMost Innovative Companyper l'originalità del businessmodel,rimase travolta da una
serie di scommesse.finanziarie perdenti e trascinò nella rovina quella che all'epoca era la prin-
cipale società di revisione del mondo - Arthur Andersen - rea di aver contribuito a tenere
nascosto al mercato finanziario il buco che si stava progressivamente creando. Nel 2002 fu il
turno di World-Com, la società telecom statunitense che partendo quasi dal nulla aveva rag-
giunto ai tempi della bol/,aInternet ricavi pari a 37 miliardi di$: il bucodi 11 miliardi portò alla
condanna a 25 anni di prigione di Bernard Ebbers - l'artefice della crescita- per truffa, as-
sociazione a delinquere e falso in bilancio.
Il nostro paese non fu da meno. Nel 2002 scoppiò lo scandalo Cirio e nel 2003 quello Par-
malat. Il bucodi 14 miliardi di € generato da Parmalat, tra i più grandi in assoluto della storia
dell'economia mondiale, fu il risultato di una lunga serie di bilanci/al5i che permisero alla
società di continuare per molti anni a trovare nuovi finanziamenti. Oltre al top management ri-
masero coinvolte - con risarcimenti di grossa entità - alcune grandi banche italiane e inter-
nazionali, sospettate di essere state al corrente della situazione e di averne approffittato per
ottenere commissioni più ricche.
Nel 2008 il caso Madoff, un po' diverso perché riguardante un fondo e non un'impresa in-
dustriale o di servizi. Il bucodi 65 miliardi di$, che portò Madoff alla condanna a 150 anni di
carcere (una pena simbolica data anche l'età avanzata), nacque dall'uso prolungato per de-
cenni del cosiddetto Ponzi scheme:una sorta di "catena di sant'Antonio", in cui i soldi dei nuo-
vi sottoscrittori venivano utilizzati per pagare gli interessi (avviamenti elevati) di quelli esi-
stenti, che prosperò per la debolezza dei controlli e (forse) per il siknzio di alcune banche
che ne traevano profitto.
2. La Legge delega 366/2001 si è concretizzata con l'emanazione dei Decreti legislativi 6/2003
(riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative), 5/2003 (pro-
cedimenti per le controversie societarie) e 61/2002 (reati societari), cui sono seguiti alcuni
aggiustamenti negli anni successivi (ad esempio con il Decreto legislativo 224/2010). Per i te-
sti della Legge delega e dei Decreti legislativi di attuazione si veda www.senato.it.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 163
la tradizione del nostro paese ma anche con gli orientamenti nei princi-
pali paesi dell'UE, e quello proposto direttamente dall'UE;
• evidenziare le principali prescrizioni del Codice di autodisdplina promosso
- per le società quotate - dalla società-mercato (Borsa Italiana) che gesti-
sce il mercato borsistico.
L'attenzione posta su quanto prevedono il Codice Civile del nostro paese e il Codice di auto-
disciplina della nostra borsa non deve far dimenticare che la configurazione sempre più glo-
bale dei mercati (di quello finanziario in primo luogo) e l'integrazione della nostra econo-
mia in quella comunitaria fanno sì che le norme nazionali - per libera scelta o sulla base di
accordi a livello comunitario o mondiale - siano sempre più in linea con quelle dei paesi
avanzati e in particolare dei paesi UE. Una strada obbligata, come evidenziato anche nelle
premesse della legge-quadro di riforma, per permettere alle nostre imprese di essere com-
petitive su scala internazionale. L'omogeneità delle regole, particolarmente forte nell'ambi-
to UE (che la persegue attraverso direttive di inquadramento e regolamentidi validità imme-
diata e diretta) e comunque elevata anche nel quadro più ampio dei paesi a maggiore svi-
luppo, è come detto minore nei paesi emergenti e in quelli sottosviluppati: con tensioni po-
tenzialmente crescenti soprattutto al crescere del peso dei primi - Cina, India, Brasile ecc. -
nell'economia mondiale. '
per i mercati finanziari. E sono state individuate due diverse tipologie di mo-
delli societari, la societàa responsabilitàlimitata e la societàper azioni, con obbli-
ghi di controllo e trasparenza differenziati a seconda della natura concentrata
piuttosto che diffusa degli azionisti e della modalità - diretta o attraverso il ri-
corso ai mercati borsistici - di raccolta dei capitali.
Lo schema3.3 riporta una sorta di indice dei "pezzi" del Codice Civile, per le
sole società per azioni, privilegiando le voci di più immediata comprensibilità:
allo scopo di evidenziare quanto ampia sia la rilevanza della normativa nelle
scelte di fondo e nei meccanismi di governancedell'impresa.
Gli schemi3.4 e 3.5 prendono spunto dal fatto che il Codice Civile3 , a segui-
to della riforma, non prevede un modelw di governanceunico, ma mette le so-
cietà per azioni nella condizione di scegliere fra tre modelli diversi:
• il modelw "tradiziona"le", ispirato cioè al nostro ordinamento storico, op-
portunamente rivisitato;
• il modelw "dualistico",ispirato agli ordinamenti tedesco e francese;
• il modelw "monistico",ispirato all'ordinamento anglosassone.
Lo schema3.6 illustra infine il modellodi societàeuropea- SE (societaseuropaea)-
lanciato dall'UE 4 allo scopo dichiarato di far prosperare imprese che sempre
più percepiscano concretamente l'UE stessa come loro patria, che possano
operare indifferentemente nei paesi che ne fanno parte e che siano quindi
agevolate nel conseguimento di quei livelli di scala che le rendano competiti-
ve nei mercati globali: un modello però che, pur essendo operativo dal 2004,
ha riscosso un successo limitato (in termini numerici e di nazionalità) e po-
trebbe quindi essere rivisto.
3. Le società non debbono solo obbedire a quanto previsto dal Codice Civile nella sezione "Am-
ministrazione e controllo" (cfr. schema 3.2), ma - in particolare se quotate - sono soggette ad
altre norme: quali quelle del 1èsto Unico del/,aFinanza, con i conseguenti regolamenti della
Consob e della Banca d'Italia. Sono soggette anche alle "regole del gioco" derivanti dal rece-
pimento a livello nazionale della direttiva europea MiFID (Market in Financial Instruments Di-
rective), nata con l'obiettivo di creare un ambiente finanziario competitivo e armonizzato -
per i mercati regolamentati e le imprese di investimento - e di rafforzare la protezione degli
investitori e l'efficienza e integrità dei mercati finanziari stessi (rafforzamento apparente-
mente non centrato visti gli esiti della crisi del 2008).
4. Per il testo del Regolamento si veda http:/ /europa.eu.int/eur-lex/it/search.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 165
piamento defado del consiglio di an1ministrazione del modello tradizionale, senza una sepa-
razione netta dei poteri fra i due consigli, per garantire a tutti i rappresentanti degli azionisti
di rilievo delle società fuse la presenza in almeno uno dei due consigli.
Nonostante l'esperienza ben più lunga alle spalle, anche il sistema dualistico tedesco - un
tempo "orgoglio" del paese e oggetto di attenzione all'estero - sembra caratterizzato da di-
verse "crepe". Al centro delle critiche sono il potere, ritenuto da molti eccessivo rispetto a
quello degli azionisti, e la difficile amovibilità dei membri del consiglio di sorveglianza: che
viceversa possono con facilità rimuovere il top management, se non sufficientemente "allinea-
to". Ma pure oggetto di critiche, a somiglianza di quanto avviene in Italia, è l'esistenza di in-
croci di membri dei consigli anche fra imprese concorrenti. "Siemens and Volkswagen have
severa! things in common - not only are they Germany's two most emblematic companies,
but both have recently been embroiled in two of the country's biggest corporate corruption
scandals (dal Financial Tirnes del 9.5.2007, "Germany's two-tier governance system comes
under fire", di Richard Milne). On top of the recent controversies, there is another shared is-
sue: opaque goings--on in their supervisory boards. Chief executives at both companies have
been ousted in efforts led by their chairmen despite being respected by investors and not im-
plicated in the scandals. [ ... ] Several companies are turning towards the European Company
(SE) set-up that allows them to shrink their supervisory board to 12 members and invite for-
eign workers on to the labour side. Allianz, Porsche and BASF have taken this path and
more are likely to join them. The smaller board makes discussions more efficient and the
presence of foreign workers weakens co-determination, although half the board remains la-
bour representatives [ ...] ".
CapoX "Trasformazione,
fusionee scissionedellesocietà"
UE, delle imprese strutturate con più unità operative distribuite sul territorio comunita-
rio: che favoriscano una pianificazione su scala internazionale; che consentano di rea-
lizzare in modo semplificato operazioni straordinarie come le fusioni, le trasformazioni
e le scissioni; che rendano possibili i trasferimenti da uno Stato UE all'altro.
(Dal Regolamento CE 2157/2001 dell'8 ottobre 2001, operativo dalla fine del 2004)
"1.1 Nel territorio della Comunità possono essere costituite società in forma di società
per azioni europea (societàeuropea,in seguito denominata "SE"); 2.1 Le società per
azioni, costituite secondo la legge di uno Stato membro e aventi la sede sociale e
l'amministrazione centrale nella Comunità, possono costituire una SE mediante fu-
sione se almeno due di esse sono soggette alla legge di Stati membri differenti; 5.1 Il
capitale della SE [che deve essere espresso in euro e non essere inferiore a 120 mila
euro], la sua salvaguardia, le sue modificazioni, nonché le azioni, le obbligazioni e gli
altri titoli assimilabili della SE sono disciplinati dalle disposizioni che si applichereb-
bero a una società per azioni con sede nello Stato membro in cui la SE è iscritta; 7.1 La
sede sociale della SE deve essere situata all'interno della Comunità, nello stesso Stato
membro dell'amministrazione centrale; 8.1 La sede sociale della SE può essere trasfe-
rita in un altro Stato membro. Il trasferimento non dà luogo a scioglimento né alla co-
stituzione di una nuova persona giuridica; 8.3 L'organo di direzione o di amministra-
zione redige una relazione nella quale sono spiegati e giustificati gli asp~ettigiuridici
ed economici del trasferimento e sono spiegate le sue conseguenze per gli azionisti,
per i creditori e per i lavoratori".
Tra i primi ad adottare questo modello- nella forma duale- può essere citato il grup-
po multinazionale tedesco Allianz (cfr. sottoparagrafo1.5.2),nell'ambito della sua fu-
sione con la controllata italiana Ras. Lo hanno adottato anche, fra le altre, le tedesche
Porsche (automobili), Man (veicoli commerciali) e BASF (chimica): anche per la mag-
giore flessibilità del duale "europeo"rispetto al duale "tedesco".
Per quanto concerne i codici di autodisciplina, il più rilevante nel nostro paese
è il Codicedi autodisciplina (o CodicePreda dal nome del suo promotore) promos-
so dalla società - Borsa Italiana - che gestisce il nostro mercato azionario, da es-
sa reso cogente per le società di nuova quotazione e da ·essa fortemente racco-
mandato alle società già quotate (cui è fatto obbligo comunque di dare giustifi-
cazione formale al mercato delle ragioni dell'eventuale non adozione).
Il Codice- messo a punto per la prima volta nel 1999 - ha anticipato diversi
punti ripresi poi dalla riforma ed è stato in seguito modificato anche in con-
seguenza della riforma: perché alcune norme da esso consigliate sono diven-
tate legge e perché il modell,odi governance cui esso faceva esclusivo riferimento
era quello tradizionale. Esso viene proposto alla lettura (cfr. schema 3. 7), an-
che se in forma non integrale, per due ragioni:
• una strettamente di merito: perché permette di meglio comprendere la
natura degli organi di controllo e dei meccanismi decisionali che posso-
no migliorare la governance e la tipologia dei principali conflitti di inte-
resse;
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 171
Consigliodi amministrazione
1.P.1. l'.emittente [owero la società quotata] è guidato da un consiglio di amministra-
zione che si riunisce con regolare cadenza e che si organizza ed opera in modo
da garantire un efficace svolgimento delle proprie funzioni.
1.P.2. Gli amministratori agiscono e deliberano con cognizione di causa ed in auto-
nomia, perseguendo l'obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azio-
nisti. Coerentemente con tale obiettivo, gli amministratori, nello svolgimento
dell'incarico, tengono anche conto delle direttive e politiche definite per il grup-
po di cui l'emittente è parte nonché dei benefici derivanti dall'appartenenza al
gruppo medesimo.
1.C.1. Il consiglio di amministrazione:
a) esamina e approva i piani strategici, industriali e finanziari dell'emittente e
del gruppo di cui esso sia a capo, il sistema di governo societario dell'emit-
tente stesso e la struttura del gruppo medesimo;
b) valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile
generale dell'emittente e delle controllate aventi rilevanza strategica predi-
sposto dagli amministratori delegati, con particolare riferimento al sistema
di controllo interno e alla gestione dei conflitti di interesse;
I
c) attribuisce e revoca le deleghe agli amministratori delegati ed al comitato
esecutivo definendone i limiti e le modalità di esercizio; stabilisce altresì la
periodicità, comunque non superiore al trimestre, con la quale gli organi de-
legati devono riferire al consiglio circa l'attività svolta nell'esercizio delle de-
leghe loro conferite;
d) determina, esaminate le proposte dell'apposito comitato e sentito il collegio
sindacale, la remunerazione degli amministratori delegati e degli altri am-
172 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Collegiosindacale
10.P.1. La nomina dei sindaci awiene secondo un procedimento trasparente. Esso ga-
rantisce, tra l'altro, tempestiva e adeguata informazione sulle caratteristiche
personali e professionali dei candidati alla carica.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 173
10.P.2.I sindaci agiscono con autonomia ed indipendenza anche nei confronti degli
azionisti che li hanno eletti.
10.P.3.L'.emittente predispone le misure atte a garantire un efficace svolgimento dei
compiti propri del collegio sindacale.
Remunerazioni
7.P.1. La remunerazione degli amministratori e dei dirigenti con responsabilità strategi-
che è stabilita in misura sufficiente ad attrarre, trattenere e motivare persone do-
tate delle qualità professionali richieste per gestire con successo l'emittente.
7.P.2. La remunerazione[ ...] è definita in modo tale da allineare gli interessi con il per-
seguimento dell'obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azionisti in
un orizzonte di medio-lungo periodo. [...] Una parte significativa è legata al rag-
giungimento di specifici obiettivi di performance, anche di natura non econo-
mica, preventivamente indicati. [...] La remunerazione aegli amministratori
non esecutivi è commisurata all'impegno richiesto a ciascuno di essi, tenuto
anche conto dell'eventuale partecipazione ad uno o più comitati.
7.P.3. Il consiglio di amministrazione costituisce al proprio interno un comitato per
la remunerazione, composto da amministratori non esecutivi, la maggioranza
dei quali indipendenti. [...]
7.C.1. La politica generale per la remunerazione [...] definisce linee guida con riferi-
mento alle tematiche e in coerenza con i criteri seguenti:
a) la componente fissa e la componente variabile sono adeguatamente bilan-
ciate in funzione degli obiettivi strategici e della politica di gestione dei rischi
dell'emittente[ ...];
b) sono previsti limiti massimi per le componenti variabili;
c) la componente fissa è sufficiente a remunerare la prestazione dell'ammini-
stratore nel caso in cui la componente variabile non fosse erogata [...];
d) gli obiettivi di performance[ ...] cui è collegata l'erogazione delle componen-
ti variabili[ ...] sono predeterminati, misurabili e collegati alla creazione di va-
lore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo;
e) la corresponsione di una porzione rilevante della componente variabile del-
la remunerazione è differita di un adeguato lasso temporale rispetto al mo-
mento della maturazione; [...]
f) l'indennità eventualmente prevista per la cessazione anticipata del rapporto
di amministrazione o per il suo mancato rinnovo è definita in modo tale che
il suo ammontare complessivo non superi un determinato importo[ ...]; non
è corrisposta se la cessazione del rapporto è dovuta al raggiungimento di ri-
sultati obiettivamente inadeguati.
7.C.2. Nel predisporre piani di remunerazione basati su azioni, il consiglio di ammi-
nistrazione assicura che:
a) le azioni, le opzioni ed ogni altro diritto assegnato agli,amministratori di ac-
quistare azioni o di essere remunerati sulla base dell'andamento del prezzo
delle azioni abbiano un periodo di vesting[ovvero di attesa prima di poter
godere delle assegnazioni] pari ad almeno tre anni;
b) il vestingsia soggetto a obiettivi di performance predeterminati e misurabili;
c) gli amministratori mantengano sino al termine del mandato una quota del-
le azioni assegnate o acquistate attraverso l'esercizio [di tali] diritti.
174 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Controllointerno
8.P.1. Il sistema di controllo interno è l'insieme delle regole, delle procedure e delle
strutture organizzative volte a consentire, attraverso un adeguato processo di
identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una
conduzione dell'impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati.
8.P.2. Un efficace sistema di controllo interno contribuisce a garantire la salvaguardia
del patrimonio sociale, l'efficienza e l'efficacia delle operazioni aziendali, l'affi-
dabilità dell'informazione finanziaria, il rispetto di leggi e regolamenti.
8.P.3. Il consiglio di amministrazione valuta l'adeguatezza del sistema di controllo in-
terno rispetto alle caratteristiche dell'impresa.
8.P.4. Il consiglio di amministrazione assicura che le proprie valutazioni e decisioni
relative al sistema di controllo interno, alla approvazione dei bilanci e delle rela-
zioni semestrali ed ai rapporti tra l'emittente ed il revisore esterno siano sup-
portate da un'adeguata attività istruttoria. A tal fine il consiglio di amministra-
zione costituisce un comitato per il controllo interno, composto da ammini-
stratori non esecutivi, la maggioranza dei quali indipendenti. Se l'emittente è
controllato da altra società quotata, il comitato per il controllo interno è com-
posto esclusivamente da amministratori indipendenti. Almeno un componen-
te del comitato possiede una adeguata esperienza in materia contabile e finan-
ziaria, da valutarsi dal consiglio di amministrazione al momento della nomina.
8.C.1. Il consiglio di amministrazione, con l'assistenza del comitato per il controllo
interno:
a) definisce le linee di indirizzo del sistema di controllo interno, in modo che i
principali rischi afferenti all'emittente e alle sue controllate risultino corretta-
mente identificati, nonché adeguatamente misurati, gestiti e monitorati, de-
terminando inoltre criteri di compatibilità di tali rischi con una sana e còrret-
ta gestione dell'impresa;
b) individua un amministratore esecutivo (di norma, uno degli amministratori
delegati) incaricato di sovrintendere alla funzionalità del sistema di control-
lo interno;
c) valuta, con cadenza almeno annuale, l'adeguatezza, l'efficacia e l'effettivo
funzionamento del sistema di controllo interno;
d) descrive, nella relazione sul governo societario, gli elementi essenziali del si-
stema di controllo interno, esprimendo la propria valutazione sull'adegua-
tezza complessiva dello stesso.
11consiglio di amministrazione, inoltre, su proposta dell'amministratore ese-
cutivo incaricato di sovrintendere alla funzionalità del sistema di controllo in-
terno e sentito il parere del comitato per il controllo interno, nomina e revoca
uno o più soggetti preposti al controllo interno e ne definisce la remunerazione
coerentemente con le politiche aziendali.
8.C.3. 11comitato per il controllo interno, oltre ad assistere il consiglio di amministra-
zione nell'espletamento dei compiti indicati nel criterio 8.C.1:
a) valuta, unitamente al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabi-
li societari ed ai revisori, il corretto utilizzo dei principi contabili e, nel caso di
gruppi, la loro omogeneità ai fini della redazione del bilancio consolidato·,
b) su richiesta dell'amministratore esecutivo all'uopo incaricato esprime pare-
ri su specifici aspetti inerenti alla identificazione dei principali rischi azien-
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 175
Ladisciplinadi bilanciointrodottadallariforma
Diversi passi sono però stati fatti. Nel 2007 (da The Wall Street]ournal del 21.6.2007, "Is end
near for 'U.S. only' accounting?", di Kara Scannell e David Reilly): 'The SEC-Securities and
Exchange Commission [l'equivalente della Consob italiana] took its first step toward em-
bracing international accounting standards for all companies that file financial reports in
the U.S. The SEC yesterday voted unanimously to propose allowing companies based out-
side the US to file financial results using international financial reporting standards, or Ifrs,
as set by the IASB-International Accounting Standards Board [l' authority UE] -without rec-
onciling the figures to US generally accepted accounting principles, or GAAP, and highlight-
ing the differences, as is now required. [...] Differences between the two accounting systems
make it difficult for investors to compare companies, even firms in the same industry. Under
US GAAP, research and development costs, for example, are generally expensed when they
occur. Under the international standards, once a project gets to t9e development stage, costs
are spread out over time. The upshot is that a company could show different operating in-
come and net profit depending on which system they use [...]".Nel 2011 (dal Financial Times
del 26.1.2011, "Fair value accounting"): 'The new chairman of the FASB-Financial Account-
ing Standards Board [I' authority statunitense] announced a reversal of the board's most con-
troversial piece of regulation: mark-to-market accounting [owero le modalità di utilizzo del cri-
terio del fair value]. Instead of forcing companies, particularly banks, to value their financial
178 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
assets at market values, the new rules will allow them to value certain ones at historic values,
even when the market for those assets falls. [...] The compromise brings US standards more
into line with the rest of the world, aiding the process of converging the FASB's rules with
those of the IASB. [...] A positive result would then piace significant pressure on China and
Japan - among the last remaining countries which use their own modified rules- to fall into
line". Ancora nel 2011 (dal Financial Tirnesdel 22.4.2011, "IASB optimistic on US rules tim-
ing", di AdamJones): 'The chairman of the IASB said the US could still decide in 2011 to
drop its domestic accounting standards, known as US GAAP. The IASB wants the US to move
to its 1.frsaccounting norms - followed in the European Union and some other countries -
amid politica! pressure fora global financial reporting language. Supporters of an 'Esperan-
to for accounting' claim it would benefit investors, companies and regulators [ ...] ".
Lo ha fatto in ossequio a: .
• la Convenzione Europea del 26 maggio 1997, relativa alla lotta contro la corruzione nel-
la quale siano coinvolti funzionari delle Comunità Europee o degli Stati membri dell'U-
nione Europea;
• la Convenzione OCSE del 17 settembre 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici uffi-
ciali nelle operazioni economiche internazionali.
Tra i nuovi reati appaiono: la contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ov-
vero di brevetti, modelli e disegni; l'introduzione nello Stato e il commercio di prodotti con se-
gni falsi; la vendita di prodotti industriali con segni mendaci; la fabbricazione e il commercio
di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale; la turbata libertà dell'industria o del
commercio; le frodi contro le industrie nazionali; la frode nell'esercizio del commercio; l'ille-
cita concorrenza con minaccia o violenza; la vendita di sostanze alimentari non genuine come
genuine; la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti
agro-alimentari. Tra i reati relativi a violazioni di norme del Codice Civile: le false comunica-
zioni sociali; l'impedito controllo; l'omessa comunicazione del conflitto di interessi da parte
degli amministratori; l'infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità; l'ostacolo all'eserci-
zio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. E anche: i delitti di associazione a de-
linquere finalizzata alla riduzione o al mantenimento in schiavitù, alla tratta di persone, all'ac-
quisto e alienazione di schiavi e ai reati concernenti le violazioni delle disposizioni sull'immi-
grazione clandestina; le associazioni di tipo mafioso anche straniere; lo scambio elettorale po-
litico-mafioso; il sequestro di persona a scopo di estorsione; l'associazione a delinquere finaliz-
zata allo spaccio di sostanze stupefacenti o psicotrope; l'associazione per delinquere; i delitti
concernenti la fabbricazione e il traffico di armi da guerra, 'esplosivi e armi clandestine.
"È stata pronunciata a Milano (da Il Sole 24 Ore del 21.3.2007, "Dal decreto 231 prima con-
danna", di Giovanni Negri) la prima condanna dibattimentale di una società per effetto del
Decreto legislativo n. 231 del 2001. La Decima sezione penale del tribunale ha condannato
la MyChef, società che opera nel settore della ristorazione e dei buoni pasto, a una sanzione
pecuniaria di 75 mila euro, al divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per la
durata di un anno e alla confisca di un milione di euro, considerato frutto del reato. [ ...] Si-
nora la disciplina che ha introdotto sei anni fa nel nostro ordinamento la responsabilità del-
la società per reati commessi da propri dipendenti, ma dai quali ha tratto vantaggio, è stata
applicata solo in ambito cautelare o all'esito di un patteggiamento. In questo caso, invece, la
società ha scelto di andare al dibattimento e ha subìto una condanna che abbina, secondo lo
schema 'classico' del decreto 231, la misura pecuniaria (sanzione più confisca, con quest'ul-
tima sempre obbligatoria) alla misura interdittiva. Anche l'apparato sanzionatorio costitui-
sce una novità assoluta, visto che a una multa individuata con il sistema delle quote che van-
no da un minimo a un massimo per lasciare al giudice la massima flessibilità nell'infliggere
la pena, si può accompagnare (anche in via cautelare) un'altra tipologia di sanzioni, forse
più temute della stessa misura pecuniaria. In alcuni casi si può andare infatti sino al blocco
dell'attività o, quando ci sia pericolo per la salvaguardia dell'occupazione, al commissaria-
mento. Ma è anche prevista - ed è stata applicata in questo caso - la sospensione della con-
trattazione con la pubblica amministrazione (che per un'azienda abituata a reggersi sulle
commesse pubbliche rischia di avere effetti equivalenti alla chiusura) oppure il divieto di far-
si pubblicità. Inizialmente circoscritta ai reati commessi nell'ambito delle relazioni con la
pubblica amministrazione (e quindi soprattutto corruzione, concufsione, indebita percezio-
ne di finanziamenti), la disciplina ha poi gradualmente allargato il proprio perimetro agli il-
leciti societari e finanziari [...] ".
Ma tre anni dopo lo stesso autore sullo stesso quotidiano ("In tribunale funziona l'ombrello
della 231 ") scriveva: "Le cose potrebbero iniziare a cambiare. [...] La possibilità [di non con-
danna per le imprese che avessero adottato congrui modelli organizzativi] sinora era stata
soprattutto teorica, visto che i pubblici ministeri avevano avuto gioco facile nei procedimenti
contro le società: la maggioranza di queste non aveva infatti adottato modelli [ ...] e [anche
182 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
in presenza di essi] - è il caso per esempio di Impregilo ~ella vicend~ pe~ale sugli_appalti per
lo smaltimento dei rifiuti in Campania - ne era stata d1 fatto sancita 1mefficac1a. [...] Ora
una sentenza del tribunale di Milano, lo scorso 17 novembre, ha prosciolto una società- [cu-
riosamente] la stessa Impregilo - sulla base della sua condotta 'virtuosa'. La società, condot-
ta sul banco degli imputati per avere tratto un beneficio dal reato di aggiotaggio informativo
compiuto da suoi manager, aveva inserito specifiche misure organizzative sin dal 2003, [...]
anticipando di gran lunga le maggiori imprese del comparto, e inoltre dal 2000 aveva adot-
tato un sistema di controllo interno basato sui principi del Codice di autodisciplina di Borsa
Italiana [...] ".
3.5 La responsabilità
socialedell'impresa
In coerenza con il quadro esposto e nei limiti consentiti dagli obiettivi che
questo libro si pone, verrà dedicata una qualche attenzione alle forme volonta-
rie di certificazioneconcernenti:
• la salvaguardia dell'ambiente, della sicurezza e della salute (cfr. schema
3. 9), e
• la salvaguardia dei diritti di chi lavora (cfr. schema3.1 O),
e al codicedi comportamentoISO 26000 sulla responsa!Jilitàsociale,di carattere
molto più generale, introdotto nel 201O (cfr. schema3.11).
Gli standard oggetto di attenzione sono stati scelti il primo per la sua diffusione, il secondo
(anche se poco diffuso) perché offre un'ampia visuale sui diritti di chi lavora e sui rischi di
una loro violazione, il terzo (ancora meno diffuso data la giovane età) per il suo carattere -
almeno nelle intenzioni - onnicomprensivo. Fra gli altri standard proposti negli anni 2000 si
può ricordare l'ISO 31000, introdotto nel 2009, che propone un approccio onnicomprensi-
vo al risk management (cfr. sotto-paragrafo
2. 6.2) .
ve essere visto tuttavia come un punto di arrivo, ma come una tappa importante sulla
strada del miglioramentocontinuodelleprescrizioniambientali.I dati e le informazioni
della Dichiarazione Ambientale saranno pertanto aggiornati annualmente, fornendo
una continua occasione di confronto con l'esterno e di verifica del raggiungimento
degli obiettivi di miglioramento".
Si è riportata quasi integralmente la premessa alla Dichiarazione Ambientale, perché
in essa sono espressi i punti chiave della problematica che l'impresa cerca di affronta-
re con la certificazione e della strada prevista - dallo standard internazionale ISO
14001 e da quello (simile ma più impegnativo) europeo Emas - per conseguire la cer-
tificazione stessa. Alla base di tutto sta la crescente ostilità delle collettività locali per
gli insediamenti giudicati ambientalmente critici(stabilimenti chimici, raffinerie, cen-
trali elettriche ecc.) nel loro territorio: il rifiuto in particolare di accoglierne di nuovi e il
tentativo di rendere la vita difficile a quelli esistenti. La strada suggerita all'impresa da-
gli standard internazionali e comunitari, per rassicurare le collettività locali e creare un
clima di cooperazione con esse, è quella - come ben appare dal testo - della traspa-
renza nei loro riguardi, dell'impegno verso il miglioramentocontinuoscandito con pre-
cisione nei tempi e definito mediante indicatori misurabili e nella conseguente possi-
bilità di controllo da parte delle collettività stesse dell'effettivo mantenimento delle
promesse. Ed essa passa attraverso:
• la creazione nell'ambito dell'impresa del sistemadi gestioneambientale;
• la definizione della politicaambientale- qualificata nella fattispecie "politica di si-
curezza, salute, ambiente e prevenzione degli incidenti rilevanti" - dell'impresa
stessa, relativamente allo specifico insediamento o al complesso delle attività;
• la messa a punto di un piano di miglioramentoambientale,che evidenzi in relazio-
ne agli aspetti critici - nella fattispecie le emissioni in atmosfera, l'approvvigiona-
mento e gli scarichi idrici, il suolo/sottosuolo e le acque di falda, le emissioni acu-
stiche - gli interventi previsti, i risultati puntuali che attraverso essi si vogliono
conseguire, i loro costi e le unità interne responsabili;
• la verifica periodica dei risultati raggiunti e la messa a punto di nuovi piani più
ambiziosi.
La certificazione ambientale non è però appannaggio solo dei comparti ambiental-
mente più critici. Possono essere ad esempio le imprese della grande distribuzione
che si certificano - in relazione a tematiche quali la riduzione dei consumi energetici,
la gestione degli imballaggi ecc. - per aumentare la loro attrattività agli occhi degli ac-
quirenti finali più sensibili ai temi dell'ambiente.
I requisiti per la salvaguardia dei diritti di chi lavora hanno trovato una loro codificazio-
ne nella norma SA8ooo, ove SA sta per socia/accountability(responsabilità sociale):con
un'accezione della responsabilità socialemolto più focalizzata di quella da noi utilizzata.
Nonostante la norma - messa a punto da un ente statunitense - non sia molto diffu-
sa in sede di certificazione, abbiamo ritenuto interessante riportare alcuni articoli
estratti dalla lista dei requisitiper evidenziare le dimensionichiavedella tematica.
186 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
1. Lavoroinfantile
1. 1 ~azienda non deve utilizzare o dare sostegno all'utilizzo del lavoro infantile.
1. 4 ~azienda non deve esporre bambini [qualsiasi persona con meno di 15 anni di
età] e giovani lavoratori [qualsiasi lavoratore "non bambino" con meno di 18 anni
di età] a situazioni pericolose, rischiose o nocive per la salute, sia all'interno che
all'esterno del luogo di lavoro.
2. Lavoroobbligato
2.1 ~azienda non deve ricorrere a, né sostenere, l'utilizzo del lavoro obbligato e non
deve essere richiesto al personale di lasciare "depositi" in denaro o documenti di
identità al momento dell'inizio del rapporto di lavoro.
3. Salutee sicurezza
3.1 ~azienda, tenendo presente lo stato delle conoscenze prevalenti riguardo al set-
tore e a tutti i relativi rischi, deve garantire un luogo di lavoro sicuro e salubre e
deve adottare le misure adeguate per prevenire incidenti e danni alla salute[ ...].
4. Libertàdi associazione
e dirittoalla contrattazionecollettiva
4.1 ~azienda deve rispettare il diritto di tutto il personale di formare e aderire ai sin-
dacati di sua scelta e il diritto alla contrattazione collettiva.
4.3 ~azienda deve garantire che i rappresentanti del personale non siano soggetti a
discriminazione[ ...].
5. Discriminazione
5.1 ~azienda non deve attuare o dare sostegno alla discriminazione nell'assunzione,
retribuzione, accesso alla formazione, promozione, licenziamento o pensiona-
mento, in base a razza, ceto, origine nazionale, religione, invalidità, sesso, orien-
tamento sessuale, appartenenza sindacale o affiliazione politica.
5.3 ~azienda non deve permettere comportamenti, inclusi gesti, linguaggio o contat-
to fisico, che siano sessualmente coercitivi, minacciosi, offensivi o volti allo sfrut-
tamento.
6. Proceduredisciplinari
6.1 ~azienda non deve utilizzare o dare sostegno all'utilizzo di punizioni corporali,
coercizione mentale o fisica, abuso verbale.
7. Orariodi lavoro
7.1 ~azienda deve conformarsi all'orario di lavoro previsto dalle leggi vigenti e dagli
standard del settore; in ogni caso al personale non deve essere richiesto di lavo-
rare in maniera continuativa per un periodo superiore alle 48 ore settimanali e
deve essere previsto almeno un giorno di riposo ogni 7 giorni lavorativi.
7.2 ~azienda deve garantire che il lavoro straordinario (superiore alle 48 ore settima-
nali) non ecceda le 12 ore settimanali, che non sia richiesto se non in circostanze
aziendali eccezionali è sia retribuito con una tariffa superiore alla normale.
8. Retribuzione
8.1 ~azienda deve garantire che il salario pagato per una settimana lavorativa regola-
re sia almeno conforme ai minimi retributivi legali o industriali e che sia sempre
sufficiente a soddisfare i bisogni primari del personale, oltre a fornire un qualche
guadagno discrezionale.
3. Lo stato giuridico e la governance dell'impresa I 187
8.3 L:azienda deve garantire che non vengano stipulati accordi di lavoro nero e pro-
grammi di falso apprendistato volti a evitare l'adempimento degli obblighi azien-
dali nei confronti del personale, in base alla legislazione vigente in materia di la-
voro e di sicurezza sociale.
9. Sistemidi gestione
9.1 L:alta direzione deve definire una politica aziendale in materia di responsabilità
sociale e di condizioni lavorative in maniera tale da garantire che essa:
a) comprenda l'impegno dell'azienda a conformarsi a tutti i requisiti della pre-
sente norma e a tutti quelli altrimenti sottoscritti dall'azienda;
b) comprenda l'impegno a conformarsi alle leggi nazionali e alle altre leggi vigen-
ti e a rispettare gli strumenti internazionali [...];
e) comprenda l'impegno al miglioramento continuo;
e) sia disponibile al pubblico.
9.2 L:alta direzione deve periodicamente riesaminare l'adeguatezza, l'appropriatezza
e la continua efficacia della politica aziendale, delle procedure e dei risultati di
performance in ottemperanza ai requisiti previsti dalla presente norma e dagli al-
tri requisiti sottoscritti dall'azienda. Tutte le modifiche di sistema e i migliora-
menti ritenuti necessari devono essere implementati.
9.6 L:azienda deve stabilire e mantenere attive procedure appropriate per la valuta-
zione e la selezione dei fornitori sulla base della loro capacità di rispondere ai re-
quisiti della presente norma.
9.8 L:aziendadeve mantenere ragionevoli evidenze in merito alla conformità di forni-
tori e sub-fornitori ai requisiti della presente norma.
La tematica della salvaguardia dei diritti di chi lavora è più critica di quanto appaia a
prima vista, per un'impresa italiana o comunque con base in un paese avanzato, se
questa impresa, come sempre più spesso accade, ha attività dirette - in particolare
produttive - in paesi ove esiste una legislazione protettiva molto debole o comunque
non rispettata e/o si awale di fornitori operanti in tali paesi.
11
1S0 (dalla presentazione del codice dell' /SO-lnternationalOrganizationfor
26000
Standardization)is intended to assist organizations in contributing to sustainablede-
velopment.lt is intended to encourage them to go beyondlegaicompliance,recognizing
that compliance with law is a fundamental duty of any organization and an essential
part of their sodai responsibility. lt is intended to promote common understanding in
the field of sodai responsibility, and to complement other instruments and initiatives
for sodai responsibility, not to replace them.
In applying ISO 26000, it is advisable that an organization take into consideration so-
cietal, environmental, legal, cultura!, politica! and organizational diversity, as well as
differences in economie conditions, while being consistent with international norms
of behaviour.
188 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
:>. <_:fi:.
_www.is,,:org/is~1/is~)_ca~alogut'/management_and_leadership_standards/social_respon-
s1h1l1ty/sr_d1sn1n-nng_1so2b000.htm.
4 Il valoreeconomicodell'impresa
Dal Financial Timesdel 24.10.2009 ("Amazon share surge recalls tech boom days", di Richard
Waters ejonathan Birchall): "Shares in Amazon, the world's largest online retailer, soared 25
per cent yesterday, returning to a peak last hit at the height of the dotcom boom on evidence
of a revival in spending on digitai gadget-;; and internet bargains. Amazon's rise capped a re-
vival of confidence in America's technology industry and strengthened growing optimism
on Wall Street that demand for its products could underpin economie recovery. The jump in
Amazon's share price followed news of a 28 per cent increase in its net sales in the third quar-
ter and a 68 per cent rise in net profits [...] ".
Dal Financial Tirnes del 17.6.2011 ("BlackBerry maker's stock plunges on outlook cut", di
Paul Taylor): "Shares in Research in Motion plunged more than 21 per cent after the Black-
Berry maker again slashed its earnings outlook due to product delays and falling market
share in the US. [ ...] The stock has lost more than 43 per cent of its value this year. The Cana-
dian company is facing rising competition for its ageing smartphones from Apple's iPhone
and handsets running Google's Android operating system. RIM reported net profits of$1.33
a share, on revenue of $4.9bn for the first quarter. Analysts had expected profits of $1.32 a
share on revenue of $5.lbn [...] ".
Dal Financial Tirnes del 28.6.2011 ("Smartphone apps continue to hit TomTom", di Matt Ste-
inglass): "Shares in TomTom [cfr. sottoparagrafo 2.1.4] plunged 27 per cent on Tuesday after
the Dutch auto navigation company issued a profit warning forecasting revenues for the year
would fall to some €1.25bn, nearly €200m short of analysts' consensus. [...] TomTom cited
falling revenues from its persona! navigation devices (PNDs), as customers shift to navigation
tools integrated in smartphones or devices built into their car dashboards. In North Ameri-
ca, PND sales are expected to fall 30 per cent for the year, while in f.urope they are expected
to drop 10 per cent. The company's strategy is based mainly on increasing sales of built-in
dashboard devices through auto companies, on business solutions for shipping and other
navigation-dependent companies, and on growth in subscriptions to its premium Live ser-
vice which provides real-time updates on traffic and disturbances [...] ".
190 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
200
150
100
50
Fonte:FinancialTimes.
60
55
50
45
40
3·5
, -6.98 -16.88%
giugno 2011
Fonte:FinancialTimes.
50
40
30
20
10
+33,37% +26,24%
2009 2010 , 2011
Fonte:FinancialTimes.
4. Il valore economico dell'impresa I 191
Tre imprese famose in tre momenti critici. An1azon che vede la sua capitalizzazione di borsa
salire addirittura di un quarto in un solo giorno, dopo aver comunicato al mercato finanzia-
rio risultati molto più brillanti di quelli attesi: nell'ottobre 2009, quando gli indici generali di
borsa statunitensi stavano ancora cercando di recuperare i livelli ante-crisi. RIM che vede vi-
ceversa la capitalizzazione scendere di più di un quinto, e di oltre il 40 per cento in un mese,
non perché perde ma perché i risultati inferiori agli attesi insinuano nuovi dubbi sulla sua
capacità di trasformarsi da monopolista di nicchia a competitore globale negli smartphone.
TomTom che vede la sua capitalizzazione di borsa scendere di più di un quarto in un solo
giorno, perché i suoi risultati (come quelli di RIM) sono inferiori alle attese e perché questo
spinge il mercato a dare più peso al danno che le vendite di TomTom possono subire dalla
concorrenza con le apps degli smartphone.un danno simile a quello che le vendite degli oro-
logi hanno subito da quando la loro storica funzione di fornire l'ora è assolta - anche e per
giunta gratuitamente - dai cellulari e dagli smar1phone.
I tre casi riportati permettono di approcciare una delle nozioni più centrali,
ma anche per certi versi più sfuggenti, del libro: il valoredi impresa,inteso co-
me valore per gli azionisti.
La massimizzazionedel valoreper gli azionisti, obiettivo ben noto in economia
nella sua formulazione astratta, ha infatti assunto a partir~ dagli anni '80 una
sempre maggiore concretezzacome guida per i comportamenti dell'impresa e
quindi per il suo tap management,in parallelo con lo sviluppo e con la crescen-
te globalizzazione dei mercati finanziari: con conseguenze positive, ma anche
con eccessi e distorsioni.
Una spinta molto forte in questa direzione è venuta dal moltiplicarsi e dal-
1'estendersi anche alle imprese di dimensione maggiore - soprattutto negli
Stati Uniti ove molte imprese quotate (le cosiddette public company) hanno un
azionariato estremamente diffuso e sono quindi contendibili - delle scalate
(takeover) ostili, con susseguente "licenziamento" del tap management, nel caso
in cui il divario fra la capitalizzazione di borsa corrente e quella 1itenuta con-
seguibile lo rendesse possibile e conveniente: scalate rese sempre più facili nel
primo decennio del nuovo secolo - sino allo scoppiare della crisi - dalla cre-
scita vertiginosa delle risorse a disposizione dei fondi di private equity, sia sotto
forma di conferimenti ai fondi stessi sia di capitale di debito a tassi di interesse
molto ridotti). Il tap management si è così trovato esposto a una verifica quasi
continua del suo operato e dei risultati da parte del mercato, attraverso il fil-
tro degli analisti finanziari, e ha dovuto passare dalla logica - prevalente in
precedenza anche negli stessi USA - del perseguimentodi risultati soddisfacentia
quella del massimosfruttamento dell,epotenzialità di creazionedi valoreper gli azioni-
sti. Con la minaccia della possibile "punizione", ma anche con la prospettiva
in caso di successo di essere compartecipe con gli azionisti - attraverso le stock
aption - dell'aumento di valore. Con la spinta positiva a "non accontentarsi",
a
ma talora con quella negativa Jar crescereil valoredi borsa,in un'ottica di breve
periodo, con azioni atte a compiacere gli analisti e il mercato (anche se nega-
tive in una prospettiva più lunga) o addirittura - come emerso durante la crisi
- con comportamenti scorretti e false comunicazioni.
192 j L' 1M PRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Questo cambiamento di "fuoco", iniziato come detto negli Stati Uniti e in pa-
rallelo nel Regno Unito, si è poi esteso - con la.globalizzazione dei mercati fi-
nanziari e con l'attivazione dei processi di liberalizzazione e privatizzazione -
anche a paesi, come quelli continentali europei, ove i modelli di organizzazio-
ne dell'economia erano molto diversi: per il forte controllo esercitato dallo
Stato (come in Italia e in Francia) o dal sistema bancario (come in Germania)
e per la ridotta contendibilità delle imprese (causata ad esempio dai meccani-
smi di scatolecinesi, dall'esistenza di clausole di gradimento per l'ingresso di
nuovi soci o dalla necessità di autorizzazione per l'ingresso di soci esteri).
La caduta generalizzata delle quotazioni di borsa, la prima volta dopo lo
scoppio della bol/,aInternet e dopo l'attentato alle Twin Towerse la seconda con
la grande crisi del 2008, ha messo almeno temporaneamente in crisi il mecca-
nismo sopra descritto. Quando il trend è calante, infatti, cambia c·ompleta-
mente il modo con cui il mercato esprime soddisfazione nei riguardi delle
performancedi un'impresa: non più accrescendone la quotazione (con l'ecce-
zione di pochissimi casi), ma riducendola in misura inferiore alla media, con
una distruzionecomunque di valoredal punto di vista degli azionisti e con una
perdita di attrattività dei meccanismi di compartecipazione del topmanage-
ment alla creazione di valore.
4. Il valore economico dell'impresa I 193
Le due cadute, di consistenza molto rilevante data anche l'elevatezza dei li-
velli raggiunti in precedenza, hanno pure generato un animato dibattito sul
funzionamento dei mercati finanziari, ancora di attualità. Un dibattito che ri-
guarda in particolare il ruolo distorcente - nell'orientare gli investitori e nel
forzare le scelte delle imprese - talora esercitato dagli analisti finanziari e dalle
società di rating nella loro veste di gi,udici,e l'eccessiva presenza di potenziali
sorgenti di conflitti di interessi nell'ambito delle istituzioni finanziarie ope-
ranti nel mercato.
D'altro canto, già da prima si era sviluppata una corrente di opinione
estremamente critica sulle implicazioni, per alcuni degli stakehoùler, di una lo-
gica di impresa troppo orientata al valore. Nel "mirino" in particolare le opera-
zioni di razionalizzazione e ristrutturazione radicale in imprese non in crisi,
per le ricadute sui dipendenti "espulsi", ma ancor più per quelle sulle colletti-
vità locali e sugli stessi Stati, a fronte di ridimensionamenti o eliminazioni de-
gli insediamenti sul loro territorio: con ovvi riflessi sul tessuto economico
I
La nostra trattazione del valorepartirà dalla sua definizione astratta, per poi
tornare alle implicazioni concrete.
Le domande cui rispondere sono diverse. Tra le principali:
• quali origini ha il valoreattribuito alla proprietà dell'impresa (o più pre-
cisamente delle azioni dell'impresa), che si può materializzare in un prez-
zo in corrispondenza a una transazione o anche nel rifiuto di una transa-
zione a fronte di un prezzo non ritenuto congruo?
• su quali basi può essere calcolato? e per quanto tempo il calcolo rimane
valido?
• è una grandezza meramente finanziaria o può essere riportata all'anda-
mento economicodell'impresa?
• quanto è importante nella sua determinazione il passato, l'entità ad
esempio delle somme immesse o non ritirate sotto forma di dividendi da
parte degli azionisti (il cosiddetto valoredi libroo bookvalue) o la bontà
dei risultati conseguiti, e quanto il futuro?
• quanta soggettività vi è nel valore e quanta oggettività?
• si può parlare di valore anche per le imprese non quotate (che come
detto costituiscono in termini numerici la quasi totalità delle imprese)?
L'idea-base è che un'impresa ha un valoreper gli azionisti solo se si ritieneche
essa nel futuro - a partire dal n1omento in cui si effettua la valutazione, consi-
derato come istante O - sarà in grado di generare flussi di danaro verso gli
azionisti stessi, come frutto della sua attività o con1e conseguenza della sua
alienazione o liquidazione, superiori a quelli che eventualmente richiederà
agli azionisti stessi (sempre a partire dall'istante O) per promuovere nuove at-
tività, finanziare riconversioni o ristrutturazioni o coprire eventuali perdite.
Vi è una chiara indicazione della soggettivitàdel valore, in quanto riferito
esclusivamente a eventi futuri: per loro natura non prevedibili con certezza,
ma solo presumibili da chi effettua la valutazione sulla base delle conoscenze
e delle aspettative relative al contesto oltre che all'impresa. Soggettività raffor-
zata dal diverso grado di conoscenza del presente, oltre che dalla possibile di-
versa visione degli scenari futuri, che può contraddistinguere chi valuta (l'am-
ministratore delegato dell'impresa piuttosto che il generico operatore finan-
ziario) e dalla diversa aspettativa di poter incidere sul futuro (ad esempio, fra
chi rimarrà comunque esterno alla gestione dell'impresa e chi pensa acqui-
standola di poterne modificare le strategie o addirittura fonderla con un 'im-
presa consimile già in suo possesso).
Vi è una chiara indicazione che ciò che conta è solamente il futuro. Anche
se è il passato ad aver generato l'impresa quale è, con le sue potenzialità e i
suoi problemi, con le risorse visibili di cui dispone e la sua rete di relazioni,
con i prodotti che fa e le idee innovative per farne di nuovi, con la sua imma-
gine, con il suo rapita/11di libro.Ed è anche il passato che può fornire una "car-
4. Il valore economico dell'impresa I 195
"[ ...] Western finance has traditionally assumed that governments were the safest entities in
the markets. [...] No longer (dal Financial Times del 29.8.2011, "Sovereign spreads challen-
ging cherished notions", di Gillian Tett). Tue financial crisis is challenging some cherished
20th cen tury ideas in fin ance [...] ". Il tradizionale cri terio di considerare come risk-freei ti to-
li di stato dei paesi "base" delle società, e di calcolare i premi connessi al rischio medio di fa-
re impresa, per ciascun paese, sulla base delle differenze (spread')manifestatesi nel medio-
lungo periodo fra i rendimenti dei titoli di stato e i rendimenti del mercato azionario nel suo
complesso, appare sempre più concettualmente in crisi: anche se, per il momento, non sem-
brano esistere criteri alternativi consolidati. L'elevato indebitamento statale, non solo in Ita-
lia ma anche in molti altri Paesi a economia avanzata (tra cui gli USA cui è stata simbolica-
mente revocata la "tripla A" da parte di Standard & Poor's nell'agosto 2011), rende poco cre-
dibile l'ipotesi che i titoli di stato (quali i nostri Btp decennali) possano essere considerati a
rischionullo. L'altrettanto elevata volatilità - manifestatasi con particolare virulenza nel 2011
- degli spread fra i rendimenti dei titoli di stato dei diversi paesi, anche in un'area a moneta
unica come quella dell'euro, rende pure più dubbia la modalità di calcolare i premi connes-
1. Per una trattazione più dettagliata si veda ad esempio Aswath Damodaran, Applied CorporateFi-
nance:A User'sManua~ John Wiley & Sons, New York, 2005.
2. Nell'ipotesi ad esempio di un tasso-opportunitàannuo del 10 per cento, questo significa consi-
derare indifferenteper gli azionisti ricevere o versare 100 € oggi o 11•0€ fra un anno, owero ri-
cevere o versare 100 € fra un anno o 100/1,10 = 90,9 oggi; significa parimenti ricevere o ver-
sare 100 € oggi o 121 € fra due anni, owero 100 € fra due anni o 100/1,21 = 82,6 oggi. Per ap-
profondire questi aspetti, cfr. appendice1.1.
196 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Procter & Cambie (cfr. paragrafo 1.1), ad esempio, ha distribuito nel 2011 agli azionisti 11,5
miliardi di$ (pari al 6 per cento circa della sua capitalizzazione), 5,5 dei quali sotto forma di
dividendi ordinari e 6 sotto forma di buy-back.l\1icrosoft (cfr. sottoparagrafo1.5.1) distribuì ai
suoi azionisti nel dicembre 2004 il dividendo straordinario più ricco nella storia del mondo,
quasi 33 miliardi di $, seguito nel 2006 da un buy-backdi 19,2 miliardi di dollari. Intesa San-
paolo e Banco Popolare (cfr. sottoparagrafo5.2) hanno effettuato nel 2011, per rafforzare il
3. La quantizzazione della variabile t dovrebbe essere estremamente fine: è infatti diverso rice-
vere o versare 100 € il 22 settembre o il 22 ottobre dello stesso anno, per il rendimento-op-
portunità che anche in un solo mese si può ottenere; così come pure l'intervallo di un giorno
diventa significativo, quando le cifre in gioco sono consistenti. Nel seguito p~rò, per semplicità,
noi utilizzeremo una quantiz.zazione annua: come se l'impresa concentrasse tutte le sue opera-
zioni che prevedono introiti o esborsi di danaro al 31 dicembre alle ore 24 di ogni anno. La
modalità di determinazione del tasso-opportunità k, stùla base di quello offerto dai titoli pub-
blici (a sua volta strettamente interconnesso con l'andamento dei tassi di interesse nell'eco-
nomia), fa capire come anche tale tasso dmTebbe essere considerato nella sua variabilità nel
tempo: non solo all'interno di un medesimo anno ma pure tra anni diversi. L'adozione da
noi fatta di un tasso prospettico k costante è da vedersi quindi come una semplificazione, ma
anc~e n~me t~n ric_onoscimento delle difficoltà di effetn1are una ragionevole previsione del
profilo dmamICo eh k (soprattutto all'allontanarsi dall'istante O).
4. Il valore economico dell'impresa I 197
loro patrimonio in linea con Basilea3, un aumento di capitale a pagamento pari rispettiva-
mente a 5 e a 2 miliardi di€.
4. Un'impresa ad esempio che nasca per gestire un grande evento sportivo quale un'olimpiade
è per sua natura a termine (a meno che i suoi azionisti non la vogliano indirizzare successiva-
198 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
La formulazione a termineè usata spesso per motivi pratici anche nel caso di
imprese a tempo di vita indefinito: suddividendo l'orizzonte temporale in un
orizzonte prossimo(da 1 a 1), per cui è possibile effettuare valutazioni più ana-
litiche, e in un orizzonte /,ontano(teoricamente da Tall'infinito), per cui si ri-
corre a una valutazione globale sintetica attraverso V(T).
Può essere infine osservato che - soggettivamente (ma non per questo con
implicazioni n1inori) -1' impresaè "vista" come se fosse a tennine dai suoi azio-
nisti, quando sono gli azionististessi ad essere a tennine:ad essere intenzionati
cioè a uscire dall'azionariato dell'impresa, vendendo le quote in loro posses-
so, entro un orizzonte temporale predeterminato. Con ricadute di rilievo sul-
l'impresa quando tali azionisti ne determinano le scelte di fondo: come tipi-
camente avviene quando è un fondo di private equity o di venture capi.tal (cfr.
schema4.3) ad avere assunto il controllo, con la prospettiva di "rimanere" nel-
l'impresa solo per il tempo necessario (normalmente non superiore ai 5 an-
ni) a "far rendere" i soldi investiti. E analogamente l'impresa può essere '\ri-
sta" a terminedal suo top management,quando quest'ultimo è incentivato a ter-
mine (tipicamente attraverso le stockoption) o soggetto a fer?n,ine
al giudizio de-
gli azionisti per determinarne o meno il rinnovo. In tutte queste situazioni la
visione di breve o medio termine prevale su quella di lungo 5, e le azioni capa-
ci di portare a risultati tangibili a tempi ravvicinati passano davanti a quelle
che riescono a manifestare i loro effetti solo in tempi lunghi: anche quando il
più elevato potenziale di creazione di valore dovrebbe far propendere per le
seconde (cfr. paragrafo4.5).
mente ad attività diverse): a evento concluso essa è cioè destinata ad essere liquidata,con re-
~ocessione agli azionisti di quanto residuato - nwltoo pocorispetto al capitale versato in fun-
z10ne del grado di successo - una volta soddisfatti tutti gli stakelwlàer che vantano crediti nei
co~fronti dell'impresa stessa. Ma anche una start-up in settori di punta come quello biotecno-
logico o quello del software (sistemi operativi, giochi ecc.) può-già al momento della nascita
- e_ssereconcepita a termine, non tanto in questo caso (almeno nelle speranze) per essere li-
qmc~ata, quan_to per esse~e ceduta ~n caso di successo a imprese di dimensione molto maggio-
r~:.fan~a~et~llc~e ~el pnmo caso, m grado di gestire e finanziare i lunghissimi iter autorizza-
llVI e d1 d1stnbmre _1prodotti_ su s~ala mo?diale; operanti nell'ICI nel secondo, in grado - co-
me ac~a~luto con_ ~I pass~gg1? _di ~ndr01~ a Google - di inserire la start-up stessa in circuiti
monchah molto pm ampi e d1 formrle le nsorse per crescere.
f>. Si parla talora a tale proposito, con un brutto anglicismo, di shortennismo.
4. Il valore economico dell'impresa I 199
La definizione del valore come somma attualizzata dei FF(t), owero delle ge-
nerazioni nette di cassa dall'impresa verso gli azionisti NCG( t), è l'unica con-
cettualmente e operativamente corretta: anche perché tiene conto degli istan-
ti precisi in cui si verificano in effetti i flussi finanziari in entrata o in uscita.
Essa non esplicita però il legame esistente fra il valore da attribuire all'im-
presa e i suoi risultati attesi: legame che sta invece usualmente alla base di
ogni ragionamento di tipo valutativo. È conveniente, di conseguenza, affian-
care alla formulazione diretta altre formulazioni: sicuramente più imprecise e
meno generali, per le ipotesi semplificative su cui sono costruite, ma molto
più intuitive e molto più legate ai concetti di fondo che verranno sviluppati
nel testo.
Per introdurre tali formulazioni può essere utile fare riferimento a una rap-
presentazione semplificata dell'impresa (figura 4. 4), bas 4 ta su un modello in-
put/ output e valida sotto le seguenti ipotesi:
• l'attività dell'impresa e i relativi flussi di cassain entrata e in uscita vengo-
no immaginati come concentrati in un singow istante per ciascun anno (ti-
picamente alle ore 24 del 31 dicembre o alle ore O del 1° gennaio succes-
sivo): in modo da evitare i problemi connessi con le differenze di occor-
renza dei flussi stessi all'interno dell'anno;
• l'impresa ha come unica fonte di finanziamento gli azionisti, e non può
quindi ricorrere all'indebitamento finanziario;
• l'impresa non detiene scortefinanziarie: in altri termini, si ipotizza che l' e-
ventuale liquidità generata dall'impresa sia immediatamente utilizzata
per nuovi investimenti o sia ceduta agli azionisti sotto forma di dividendi.
Nella figura in particolare vengono evidenziati due diversi input: quelli "cor-
renti", come il lavoro o i materiali, e quelli "pluriennali", come gli impianti o i
brevetti, che vengono utilizzati per più esercizi.
In termini generali, il risultato dell'impresa può essere misurato dalla diffe-
renza tra il valore dell'output prodotto e quello degli input da essa utilizzati.
Questa differenza può essere in realtà espressa secondo due diverse logiche:
• la logica "finanziaria" (figura 4.5), che misura l'output attraverso le entra-
Lavoro e input
correnti di beni
e/o servizi
~---,
Uscite di cassa
~
correnti
...
.....
Entrate
di cassa
Costi di esercizio
~
.... Ricavi
/' L...--------'
Ammortamenti
6. Per una definizione più puntuale di ricavi e costi di competenza, cfr. capitolo 13.
7. L'operazione di riallineamento fra ricavi e costi relativi allo stesso output~ sulla base del cosid-
detto criteriodi competenza,ha l'obiettivo di comprendere - pur con l'introduzione di alcune
arbitrarietà- se l'impresa riesce o meno a utilizzare bene le risorse finanziarie a disposizione.
Essa comporta come detto un'interpretazione differenziata dei diversi flus.5idi cassa e un loro
possibile spostamento ideale nel tempo: i fllls.5iad esempio relativi all'acquisto di macchinari
o di brevetti vengono qualificati come investimenti in capitalefisso e ripartiti - spostandoli nel
tempo - in costida imputarsi pro-quota annualmente lungo tutto l'arco temporale di ammor-
tamentr1,i flussi relativi all'acquisto di materie prime o semilavorati vengono qualificati come
invP.stirnenli
in rapita/eci.rrolant,e
e trasformati in costi (solitamente in tempi molto più rapidi) so-
lo al momento della loro "incorporazione" nell'output; i flus.5irelativi all'affitto della sede o al-
l'amministrazione vengono invece immediatamente qualificati come costi cOTTl'nti. Analoga-
mente, il flusso di cassa corrispondente al pagamento ritardato di una vendita viene riportato
indit'tro rwl tempo e quello anticipato fatto slittare in avanti.
4. Il valore economico dell'impresa J 201
4.3.1L'interpretazione
"finanziaria"
V(O) =
.
i
t=l
NCF(t)
(l+k)t
( 4.3)
8. Per un'analisi più puntuale delle relazioni tra NCF e NCG, cfr. ap,pendice l//.1.
202 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
4.3.2 L'interpretazione
"economica"
r-0 X*(t)
V(O) = V"(O) + I (4.4)
t=I(l+k)t
10. Nell'ipotesi ad esempio che il valore di libro iniziale V''(O) sia pari a 100 milioni di€, la profit-
204 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
ROE
V(O) = V"(O) = V"(O) . ROE 0 (4.6)
k
1) e inferiore se sottoprofittevole (ROE < 1): con un legame di tipo lineare 11.
0
tabilità ROEal 15 per cento e il tasso di crescita gal 5 per cento, il profitto dell'impresa alla fi-
ne del primo anno risulterà pari a 15 milioni di€ e l'incremento di capitale di libro necessa-
rio per finanziare la crescita risulterà pari a 5 milioni di €. Nella ipotesi c. di autofinanziamen-
to fatta, valida ovviamente solo perché ROE è maggiore di g, l'impresa ha la possibilità di de-
stinare un terzo del suo profitto alla crescita, elevando il capitale di libro a 105 milioni di €, e
due terzi- 10 miliòni di €-agli azionisti sotto forma di dividendi. Alla fine del secondo anno
il profitto salirà a 15,750 milioni di€, essendo inalterata la profittabilità ma più elevato il ca-
pitale di libro da remunerare; la crescita assorbirà 5,250 milioni di€, portando il capitale di li-
bro a 110,250 milioni di €; i dividendi saranno pari alla differenza - 10,500 milioni di€ - con
un incremento percentuale rispetto a quelli dell'anno precedente pari anch'esso a g, ossia al
5 per cento. E così via per gli anni successivi.
11. Questo significa ad esempio, per una nuova impresa che si costituisca con un capitale iniziale
(destinato a mantenersi tale nel tempo) di 100 milioni di€, che la cifra è salvaguardata solo
se la profittabilità è almeno pari a quella richiesta dal mercato; che in presenza di una profit-
tabilit.à attesa del 50 per cento supe1;ore, il valore dell'impresa si colloca a 150 milioni di€, os--
sia a un livello del 50 per cento al di sopra della cifra messa in gioco; che, in presenza di una
profittabilità attesa che (seppur positiva) sia solo la metà di k, il valore dell'impresa si colloca
a 50 milioni di€, con una distruz.ùmedi metà della cifra messa in gioco.
4- Il valore economico dell'impresa I 205
V(O) V(O)
g>O
V"(O)
l V"(O)
o o
o 0,8 l 1,3
ROE
ROE 0 =--
k
In particolare:
• la combinazione più favorevole si ha quando l'impresa è extraprofittevoke
allo stesso tempo cresce:perché si creano le condizioni per un continuo
incremento del capitale che l'impresa sa far rendere al di sopra delle ri-
chieste del mercato;
' I
12. E immediato (oltre che owio) vedere a tale proposito che un'impresa, anche se molto più
&rava di un'altra, può presentare un valore sensibilmente inferiore. Se si considerano infatti
un'impresa A con ROE = 0,5 e VA(O)= 100 (in milioni di€) e una B con ROE = 2 e VA(O)=
0 0
10, il valore della seconda- molto più &rava della prima- si colloca comunque in un rappor-
to 20 contro 50.
206 I L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
13. A puro titolo di esempio, a parità di V"(0) = 100 (in milioni di€) e di ROE = 1,2 e ipotizzando
0
un tasso-opportunità k pari al 10 per cento, il valore V(0)- pari a 120 in condizione di crescita
n~lla - sale a 1:5 per una crescita del 2 per cento (g = 0,02 /0,10 = 0,2) e a 140 per una cre-
0
sCita del 5 (g = 0,05); mentre scende a 116,6 per una decrescita del 2 per cento
(1(= -0:02/0,10 =-0,2). A fronte invece di ROE = 0,8, il valore V(O)-pari a 80 in condizione
0
d1 crescita nulla - scende a 75 per una crescita del 2 per cento e a 60 per una crescita del 5;
mentre sale a 83,3 per una decrescita del 2 per cento.
14. ~tornando all'esempio precedente-valore di libro iniziale pari a 100 e kpari al 10 per cento
- 11valore 140 può essere conseguito da un'impresa che abbia un ROEdel 12 per cento e una
crescita del 5 o da un 'altra con un ROE del 14 per cento e crescita nulla. L'intercambiabilità
pcrù è vera soltanto in relazione alla determinazione del valore, ma non ad esempio se si van-
no a co~1fn~•~ta~·e l_ese~uenze dei 1itorni agli azionisti. Gli azionisti della seconda impresa ser
no d~stmat1 11~fatt1 a ncevere un dividendo 14 costante nel tempo e pari al profitto, mentre
quclh della pnma clm,,-anno accontentarsi di partire da un dividendo molto più basso nel pri-
4. Il valore economico dell'impresa I 207
Il valore attribuito a un'impresa può essere analizzato, ai fini della sua com-
parabilità con quello di altre imprese, introducendo degli indici: che hanno il
pregio di mettere a fuoco determinati fenomeni, ma che (come tutti gli indici
in generale) danno una rappresentazione parziale della realtà.
A titolo di esempio ne prenderemo in esame due, utilizzati frequentemen-
te nel comparare le quotazioni di borsa, per mostrarne la formulazione nel-
l'ambito della nostra trattazione:
• l'indice M/B ( market su book), che rappresenta il rapporto fra la capitaliz-
zazione di borsa e il valore di libro dell'impresa, corrispondente al rap-
porto V(O)/V"(O), e
• l'indice PIE (price eaming), rapporto fra la capitalizzazione di borsa e il
profitto atteso, corrispondente al rapporto fra V(O) e X( 1), che risponde
alla domanda: a quanti anni di profitti (supposti p<tITia quello atteso a fi-
ne anno) corrisponde il valore di mercato dell'impresa?
Risulta:
M V(O) - ROE -g 0 0
-
B VA(Q) I -go
( 4.7)
p V(O)
= -I . I-g RQE
0 0
/
-
E X(I) k I -go
M V(O)
- = ROE 0
B VA(O) (4.8)
p V(O) I
-- - -
E X(I) k
mo anno - in quanto possono prelevare solo 7 dal profitto 12 perché 5 servono per finanzia-
re la crescita- per poi accrescerlo al ritmo del 5 per cento all'anno.
208 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Può essere interessante, con tutte le cautele necessarie a causa della natura stilizzata
del nostro modello (in particolare delle ipotesi di costanza nel lungo termine di tutte
le grandezze in gioco), mettere a raffronto quello che il modello stesso "dice" con ciò
che accade nella realtà dei mercati borsistici.
Risulta solitamente confermato il legame inversofra quotazioni delle imprese - e con-
nesse capitalizzazioni - e livello reale dei tassi di interesse previsto dal modello: al pro-
spettarsi di un abbassamento prolungato nel tempo dei tassi, cioè, la borsa coeterispa-
ribussale e viceversa. La realtà sottostante è però molto più complessa. Perché l'ab-
bassamento dei tassi di interesse può avere un impatto diretto positivo, attraverso la
riduzione del costo del danaro che esso comporta, sul livello di profìttabilità delle im-
prese (ipotizzato invece costante nel modello) e sulla loro facilità di finanziare la cre-
scita. Perché viceversa l'abbassamento dei tassi di interesse può essere una spia dello
stato di malessere dell'economia, con implicazioni di segno opposto: per l'effetto de-
pressivo che una contrazione della domanda ha sul fatturato e sui margini, e quindi
sul livello di profìttabilità e le prospettive di crescita, delle imprese stesse.
Anche i valori assunti nella realtà di mercato dagli indici M/B e P/E, riportati sulle pa-
gine di borsa dei principali giornali economico-finanziari, richiedono di essere "inter-
pretati".
Se si guarda all'indice M/B a metà 2011,per alcune delle imprese quotate italiane, si
ritrova una dispersione dei valori molto elevata: Fiat 0,81, Enel 1,10,Eni 1,26, De' Lon-
ghi 1,59,Tenaris 2,51,Geox 2,61, Luxottica 3,10,Tod's 4,55, Ferragamo 8,47, Yoox 9,70.
È una dispersione notevolmente superiore a quella prevista dalle formule viste in pre-
cedenza, sensibili alla combinazione profìttabilità-crescita ed eventualmente (come si
vedrà nel seguito) al differenziale di rischio. Ma che trova la sua spiegazione nella si-
stematica sottovalutazionenel capitale di libro B di alcuni asset "intangibili" (i brevetti,
il know-how,i brand, l'immagine ecc.), determinanti per spiegare il valore di mercato
M di molte imprese, e nel conseguente gonfiamentodell'indice M/B. Le imprese ad
esempio che hanno come asset fondamentali i brand (come Tod's e Ferragamo) pre-
sentano livelli più elevati degli indici rispetto alle imprese energetiche (Enel ed Eni) e
alle automobilistiche (Fiat) che operano con asset ''tangibili" proporzionalmente più
consistenti. La sottovalutazioneè legata al fatto che gli esborsi che le imprese sosten-
gono nel tempo per finanziare la ricerca o per fare pubblicità ai loro prodotti, a diffe-
renza di quelli per acquistare impianti o software, non vengono usualmente contabi-
lizzati come investimenti:come invece awiene se i brevetti o i brand non sono svilup-
pati all'interno, ma acquistati da altre imprese.
Se si guarda all'indice P/E - i dati che riportiamo (tratti dal FinancialTimes) sono an-
ch'essi relativi a metà 2011- si ritrova di nuovo una dispersione elevata dei valori: 54,7
per Fiat, 20,9 per Google, 19,6 per Oracle, 18,4 per PepsiCo, 17,1per Appie e Procter &
Gamble, 13,2per Coca-Cola, 12,6 per Wal-Mart Stores, 12,2 per Cisco, 11,7per Exxon
Mobil, 10,7 per Vodafone, 10,5 per Microsoft, 9,9 per Dell, 9,3 per Royal Dutch Shell,
9,1 per AT&T, 8,7 per Samsung, 8,7 per HP, 8,6 per Enel ed Eni, 8,1 per Nokia, 7,1 per
Telef6nica e 5,5per Telecom Italia.
Una parte di questa dispersione è in linea con quanto previsto dal nostro modello sti-
lizzatorelativamente all'impatto della crescita o decrescita attesa.
4. Il valore economico dell'impresa \ 209
La presenza di multipli molto differenziati nell'ambito dell'ICT - dal 20 circa di Google e Oracle al
10 di Microsoft e all'8 circa di HP e Nokia - riflette le differenti aspettative (commentate nel para-
grafo1.4e in altri punti del testo) sul futuro delle imprese. Tali aspettative si sono peraltro molto
modificate negli ultimi anni, sia in termini assoluti (ove hanno risentito anche del generale abbas-
samento dei multipli verificatosi) sia in termini relativi: a metà 2007 Google aveva ad esempio un
multiplo pari a 44,9 e Microsoft a 23,0. Nella situazione attuale sono le imprese operanti nei socia/
networkche hanno multipli, di mercato o impliciti,estremamente elevati; mentre Google, ormai
più stabilizzata nelle attese di crescita, ha un multiplo simile a quello che aveva Microsoft prima di
essere considerata (a torto o a ragione) una realtà a bassa crescita.
Anche per Telecom Italia (cfr. schema 1.3)la borsa sembra esprimere - con un multiplo veramente
molto basso - un giudizio non positivo sulle aspettative di crescita: legato probabilmente sia alle
difficoltà della componente mobilesul mercato italiano sia al carattere composito e potenzialmen-
te instabile dei suoi azionisti di riferimento sia alla sua ridotta contendibilità defacto per i vincoli
che potrebbero essere posti dallo Stato. Apparentemente il multiplo di Telef6nica - uno dei leader
mondiali del comparto - non è di moito superiore, ma vi è un effetto di illusionelegato al diverso
rapporto utile/ricavi (10,8 contro 16,3 per cento): che fa sì che la capitalizzazione di borsa di Te-
lef6nica sia pari al 117per cento dei suoi ricavi e quella di Telecom Italia soltanto al 56,8 (Vodafone
ha un rapporto addirittura pari al 180 per cento e AT&T al 146).
li multiplo 54,7 di Fiat rientra in quest'ultima fattispecie - un profitto corrente giudicato straordi-
nariamente basso rispetto all'andamento futuro (in termini assoluti e in relazione ai ricavi) - e non
è attribuibile, come il numero potrebbe far pensare, a un'aspettativa di crescita simile a quella dei
socia/network.Se si guarda infatti al rapporto fra capitalizzazione di borsa e ricavi (che per i socia/
networkè altissimo), si può verificare che esso è pari solo al 24 per cento per Fiat, contro il 57 per
cento di Daimler e Toyota e il 70 di BMW.
210 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
to dal rischio medio sposta a k (l + q) tale livello. La figura 4.8 fornisce una
0
rappresentazione grafica dell'impatto del rischio stùla linea del valore.Essa evi-
denzia in particolare l'effetto congiunto di traslazione e di rotazione, a fronte
di un rischio superiore a quello medio, che subisce - a parità di crescita - la
retta che correla il valore all'extraprofittabilità.
Il tema del rischio,della sua centralità nella \tita dell'impresa- oltre che della
sua rilevanza per il mercato finanziario - e dei fattori che possono esaltarlo o at-
tenuarlo (quali la minore o maggiore flessibilità), è stato oggetto di attenzione
nel parawafo 2.6. Si possono aggiungere però alcune considerazioni sintetiche.
4. Il valore economico dell'impresa I 211
V(O) V(O)
V/\(0) g=O
g=O
l ·············································································
·························1····················
o o
o l l +q ROE
ROE 0 =--
k
15. Con riferimento all'esempio precedente - V"(O) pari a 100, ROE pari a 1,2 e g pari a 0,2- e 0 0
ipotizzando una penalizzazione q dovuta alla varianza del 25 per cento, il valore ex ante V(O)
dell'impresa si riduce da 125 a 95,2, con il passaggio addirittura d 1ll'area di creazione a quel-
la di distruzione del valore: per l'effetto depressivo che qgioca sulle attese di profittabilità e di
crescita, che passano rispettivamente da 1,2 a 0,96 e da 0,2 a 0,16.
212 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Il valo~e medi? ex post dei risultati, se la disn;buzione attesa degli stessi riflette le previsioni,
deve nsultare mvece pari al valore (medio) atteso ex ante 125: dal momento che la varianza è
ininciden te su di esso.
Chi si assume il rischio, acquistando al valore 95,2 atn;buito ex ante dal mercato finanziario si
. . . '
n,trova ex post - m .termmi ovviame1?te sto_casticie non deterministici - con un valore pari a
125 e c~n un c~>~nspondente prem10 pan alla differenza 29,8. La varianza elevata però fa sì
che egh - a panta d1 valore medio 125 - possa ottenere risultati molto lontani fra loro: estre-
m~1m~nt_cs~ddisfac~nti a t_mestr~mo, con un valore pari ad esempio a 250 e un corrispon-
dtnte prenuo effettivo pan alla differenza 154,8; profondamente deludenti all'altro estremo
con un ~zcrament~> (1?el caso di simmetria della dismbuzione di probabilità) del valore ~
una perdita st·cca dfetuva pari a 95,2.
4. Il valore economico dell'impresa I 213
molto complesse dal punto di vista statistico e ricorrono talora all'uso del concetto di
opzione.La domanda che viene legittimo porsi è: che rapporti esistono fra la nozione
di valoreeconomicofornita nel capitolo e le molteplici versioni, tutte diverse fra di loro
ma anche inquadrabili in macrocategorie, che si ritrovano nell'uso corrente o nelle
trattazioni più sofisticate?
~appendice/.2, scritta da Franco Quillico, si propone di rispondere a questa domanda
e allo stesso tempo di offrire un quadro ampio e piuttosto esaustivo delle molteplici
metodologie impiegate nella realtà. Per comprendere i legami fra tale quadro e la no-
stra nozione di valore,si deve ricordare (riprendendo discorsi in parte già fatti) che nel
formulare quest'ultima:
• si è fatto riferimento a un'impresaprivadi debitifinanziari,a un'impresa cioè in cui
il capitale investito coincide con quello di pertinenza degli azionisti e il valore at-
tribuibile al capitale azionario V(O) coincide quindi con quello attribuibile all'im-
presa (enterprisevalue) EV(O);
• si è fatto riferimento a un'impresa non soggetta alla tassazionedell'utile:ipotesi
particolarmente limitativa in presenza di indebitamento per il diverso trattamen-
to fiscale riservato agli oneri finanziari, che vanno a ripagare il debito, rispetto al-
l'utile e per le conseguenze che questo può avere sulla scelta del livello di indebi-
tamento (cfr. appendice/.1);
• si è ipotizzato di disporre di proiezioni esplicitee quasi-deterministiche dell'anda-
mento futuro dell'impresa e in particolare della sua capacità di generare cassa
verso gli azionisti: esplicitein quanto rappresentate da numeri relativi a tutti gli an-
ni futuri; quasi-deterministiche nel senso che il determinismodei numeri è stato
parzialmente corretto attraverso l'introduzione sintetica del rischio(medio o diffe-
renziato per impresa), che in parte però è un riflesso del livello di indebitamento;
• ci si è posti, nel definire il valorecome somma scontata delle generazioni nette di
cassa verso gli azionisti, nei panni degli azionisti cosiddetti cassettisti,che guarda-
no ai ritorni nel medio-lungo termine loro derivanti dal possesso del capitale
azionario e non sono particolarmente sensibili quindi alle eventuali fluttuazioni
che si possono invece verificare nel valore corrente di mercato: di rilevanza cen-
trale viceversa per gli azionisti speculatori(termine utilizzato senza connotazione
negativa alcuna), che effettuano frequenti operazioni di compravendita di azioni
sul mercato finanziario.
~appendice/.2 "rifiuta" le prime due ipotesi (da noi introdotte per semplificare la trat-
tazione) e fa riferimento quindi a un'impresa reale, che ricorre usualmente al debito
come fonte di finanziamento e che opera in un contesto in cui gli utili sono soggetti a
tassazione. Relativamente alla terza ipotesi, essa suddivide le metodologie in due ma-
crocatego rie:
• metodologie basate su proiezioni esplicitedell'andamento futuro dell'impresa,
concettualmente simili a quella da noi utilizzata, con il mantenimento della logi-
ca quasi-deterministica o il passaggio a modalità più sofisticate di trattamento del
rischio e dell'incertezza;
• metodologie basate su proiezioni implicite:prime fra tutte quelle che valutano
l'impresa, attraverso i cosiddetti multipli,guardando a come il mercato finanzia-
rio sta valutando imprese ritenute comparabili.
Le metodologie basate sui multipli,quelle appunto che vedono il valore come un mul-
tiplodell'ebitdapiuttosto che dell'utile, appaiono - relativam'ente alla quarta ipotesi -
214 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
le più adeguate per gli azionisti speculatori: data l'attenzione costante che esse presta-
no all'andamento delle quotazioni sul mercato finanziario, che non sono invece mini-
mamente tenute in conto nella nostra formulazione.
!.:appendice /.2 si chiude con due consigli, che vale la pena sottolineare:
• verificare sempre con una analisidi sensitivitàl'impatto che le specifiche ipotesi
fatte hanno sulle proiezioni, in particolare su quelle esplicite: perché sono le ipo-
tesi a impatto più elevato che richiedono una validazione più attenta;
• utilizzare se possibile più metodologie, per verificare il loro grado di convergenza
e per cercare di comprendere le ragioni di divergenze significative.
"La massimizzazionedel valareper gli azionisti ha a~sun to una sern pre maggiore
concretezzacome guida per i comportamenti dell'impresa e quindi per il suo
top management", si diceva all'inizio di questo capitolo. E il termine value based
management è indicativo di una modalità di conduzione dell'impresa attenta
ai risultati correnti, ma attenta anche a trasmettere ali' esterno- al sistema fi-
nanziario in particolare - l'idea (non sempre corrispondente alla verità inter-
na) della sostenibilitànel tempoe possibilmente della crescitadell'utile.
Con il vantaggio per una società quotata di poter monetizzare subito, attra-
verso l'aumento della capitalizzazione di borsa, eventuali miglioramenti nelle
aspettative per il futuro.
Con il vantaggio, per una società non quotata, di aumentarne il prezzo nel-
la prospettiva di una cessione o di una quotazione in borsa (/PO - initial pu-
blic offering).
I comportamenti reali, anche quando tutti formal·mente ispirati al value ba-
sed management, possono differire però profondamente in funzione della di-
versa tipologia degli azionisti e del top management.
Una prima grande differenza-focalizzando la nostra attenzione sugli azionisti
che detengono il controllo dell'impresa e quindi la gestiscono direttamente
e/ o ne scelgono il top management- è fra gli azionisti a tempo indeterminatoe gli
azionisti a termine.quali tipicamente i fondi di p1ivate equity.Per ambedue le ca-
tegorie sono rilevanti sia il valore "corrente" che l'impresa assume 16 nel tempo
sia i dividendi ordinati e straordinari (restituzioni di capitale) - al netto degli
aumenti di capitale a pagamento - che essa eroga. Per ambedue le categorie è
importante che gli investimenti o i reinvesti.menti generino valore. Mal' esisten-
za di un termine massimo "desiderato" di permanenza nel capitale dell'impresa
fa sì che per i secondi - a differenza che per i primi - non risultano accettabili
17. La coincidenza è parziale quando l'amministratore delegato è anche azionista (ad esempio
perché membro della famiglia proprietaria), ma non detentore di una quota tale da farlo ra-
gionare come proprietario-,
la coincidenza non esiste quando l'amfninistratore delegato è un
manager professionale.
216 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Da unfondinodel Corriere
dellaSeradel 22.5.2007, intitolato - parafrasando il titolo di un noto film
con Michael Douglas - "Un'ordinaria giornata da private equity": "La britannica Emi, terza casa di-
scografica mondiale, ieri ha accettato l'offerta da 3,2 miliardi di sterline [...] da parte del fondo d'inve-
stimenti Terra Firma. Alltel, quinto operatore di wireless degli Stati Uniti, ha raggiunto un accordo per
essere acquistato per 27,5 miliardi di dollari dal consorzio formato dal fondo di private equity Tpg Ca-
pitai e dal braccio di private equity della banca d'affari Goldman Sachs. E, per la prima volta nella sua
storia, la Cina ha preso una partecipazione da 3 miliardi di dollari nel fondo americano Blackstone [...].
È la cronaca di un'ordinaria giornata sui mercati mondiali, dove i fondi di private equity sono sempre
più i protagonisti dei grandi affari. 1.'.ultimocolpo risale a qualche giorno fa, quando Cerberus ha com-
prato il gruppo automobilistico Chrysler [un colpo rivelatosi poi molto dubbio dato il fallimento del
gruppo]. Non trascurano nessun settore: dall'industria aerea [...] alla moda, con la battaglia per Valen-
tino Fashion Group tra Carlyle e Permira [poi vinta da Permira]".
112006 e il 2007 hanno rappresentato gli anni d'oro- sia dal punto di vista della raccol-
ta che da quello della dimensione delle operazioni di fusioni e acquisizioni gestite-del
privateequity18 (figura4.9), del protagonista cioè de!le operazioni sopra riportate.
Che cos'è il privateequity?Come opera?
Le società del privateequity,semplificando al massimo la spiegazione, operano nel
modo seguente:
• raccolgono le risorse finanziarie dagli investitori istituzionali (banche, fondi di inve-
stimento, fondi pensione, fondazioni ecc.), collocandole infondi più o meno dedi-
cati (ossia con vincoli più o meno stringenti sulle tipologie di investimenti possibili)
e impegnandosi a liquidare ifondi stessi - disinvestendo - entro un orizzonte di vi-
ta solitamente decennale: con l'opzione di restituire anticipatamente 19 parte dei sol-
di versati ma con la libertà di trattenerli sino alla scadenza decennale·
'
• utilizzano le risorse finanziarie raccolte per entrare nell'azionariato (da cui il ter-
Rtpart 2010effettuato da
18. Lo studio da cui sono tratti i dati e le figure è il Global P,ivate F,quiti,·
Bain & ( :ompany. ·
19• La restituzione anticipata, tanto più "normale" quanto più ci si avvicina alla data di liquidazione
4. Il valore economico dell'impresa I 217
CAGR CAGR
(07-09) (09-1O)
95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 lO
del fondo e risultano quindi inibite tutte le operazioni che prevedano un tempo di permanenza
nelle imprese-predapiù elevato, è giustificata dal modo di conteggiare il rtndimento complessivo
garantito agli azionisti, che non considera a denominatore - come capitale da remunerare -
quello raccolto inizialmente proiettato sull'intero arco di vita decennale del fondo, ma tiene
conto del fatto che il capitale da remunerare si assottig/,ia
a ogni restituzione anticipata.
218 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
in tre parti: la prima per gli investitori, la seconda per la società che ha costituito il
fondo, la terza per il top managementdell'impresa-preda.
In molti casi - soprattutto agli inizi - il privateequityè riuscito allo stesso tempo a per-
seguire il proprio interesse (far rendere al massimo i capitali avuti in affidamento) e a
giocare un ruolosocialeimportante, finanziando il processo di profonda ristrutturazio-
ne del sistema delle imprese reso ineludibiledalla globalizzazione. In altri casi non ha
esitato a intraprendere operazioni di dubbio vantaggio per le imprese coinvolte: ad
esempio spingendole verso scorporiredditizi a breve ma discutibili in un'ottica di me-
dio-lungo termine; o indebitandole in misura estremamente consistente, per recupe-
rare nei tempi più brevi possibili i soldi investiti e incrementare con il ricorso spinto al-
la leva finanziaria il rendimento dei rimanenti.
numero di dea/ realmente "attraenti" - su cui hanno messo gli occhi peraltro anche gli hedge
fund 21 (essi pure ricchissimi di liquidità e alla ricerca di nuovi impieghi vantaggiosi) - e la cre-
scita del numero dei fondi di privateequity hanno portato a una maggiore concorrenza e a
una redditività media più prossima ai livelli normali;
• è cresciuta la difficoltà dell'exit,dell'uscita cioè dei fondi dal capitale delle loro prededopo il pe-
riodo canonico di permanenza, per le difficoltà esistenti - soprattutto ai livelli dì prezzo richiesti
(necessari per la redditività dei dea/22 ) - nel trovare acquirenti strategici o nel quotare in borsa le
predestesse: con la conseguenza che sempre più spesso i fondi vendono ad altri fondi;
• si profila il rischio (rivelatosi poi una realtà) di una maggiore riluttanza delle banche a conce-
privateequity,a seguito della crisi generata dalle insol-
dere crediti, vitali per le operazioni di
venze relative ai mutui ipotecari statunitensi cosiddetti subprime(cfr. schema2.1).
20. Con M&A- mergers& aquisitions- si indica il complesso delle operazioni di fusioni fra impre-
se e/ o di acquisizioni di imprese (da parte di altre imprese o di fondi o di investitori privati o
istituzionali).
21. Gli hedgefund (cfr. www.borsaitaliana.it) sono fondi di investimento aperti (che consentono
cioè in ogni momento la sottoscrizione di quote da parte degli investitori e dai quali si può
uscire attraverso il rimborso delle quote) altamente speculativi, caratterizzati da un elevato
profilo di rendimento-rischio. Sulla base delle attività tradizionalmente prevalenti, sono indi-
viduabili tre macrocategorie principali:
• macrofund: sono i fondi che speculano, in un'ottica di breve periodo, sull'andamento del-
le economie mondiali, cercando di anticipare l'andamento dei tassi d'interesse, delle va-
lute o dei mercati azionari;
• arbitragefund: sono i fondi che effettuano operazioni di arbitraggio. Possono sfruttare ad
esempio il momentaneo disallinean1ento tra l'andamento di un titolo in due mercati:
vendendo su un mercato, acquistando sull'altro e ottenendo così un profitto pari alla dif-
ferenza tra i due valori. Possono acquistare titoli sottovalutati e vendere contemporanea-
mente titoli valutati (o sopravvalutati) fortemente correlati con i primi;
• equity hedgefund: sono i fondi che acquistano e vendono allo scoperto azioni sui mercati
regolamentati, scommettendo di fatto sui titoli destinati a salire o a scendere. Si vendono
ad esempio allo scoperto al prezzo corrente titoli che non si hanno, ritenendo che il prez-
zo scenderà. Si acquistano effettivamente i titoli (per coprire le vendite già effettuate) so-
lo successivamente, lucrando - se la scommessa è stata vincente e il prezzo è effettivamen-
te sceso - sulla differenza tra i due prezzi.
22. IJeal è il termine anglosalisone utilizzato in gergo, anche nel nostro paese, per denotare le
operazioni di M&A di potenziale interesse.
4. Il valore economico dell'impresa I 219
A distanza di quattro anni da allora il privateequity è soprawissuto, anche se con qualche "am-
maccatura" (soprattutto per i fondi che avevano completato i loro acquisti a prezzi e multipli alti
poco prima della crisi). Ha perso però quell'immagine di altissima profìttabilità che aveva attirato
tanti investitori istituzionali negli anni d'oro, ma che allo stesso tempo aveva aperto le porte a ope-
ratori molto meno professionali e a manager di livello inferiore a quelli della prima leva. La speran-
za di chi scrive è di un ritorno all'origine: meno soldi, meno fondi, più equilibrio con le prede po-
tenziali, più professionalità, più capacità di far convivere il proprio interesse con un ruolo sociale-
quello di ristrutturare e rilanciare le imprese - che continua a essere di grandissima rilevanza.
Dal Financial Times del 19.6.2011 ("Survey points to failures for private equity", di Daniel
Schafer): "lnstitutional investors are forecasting that one in fìve private equity groups will disap-
pear during this decade, according to a global survey that predicts a shake-out in the sector in
the wake of the fìnancial crisis. The research underlined how large investors, including pension
funds, fund of funds and insurers, have started to become more picky in the wake of the fìnan-
cial crisis and that underperformers have become more visible. Almost nine in 10 investors ex-
pect to turn down some of the requests by private equity groups to reinvest into their next fund
generation, according to a survey of 11 o investors [...]. The survey suggested that private equity
will be facing a Darwinian time in the next few years, comparable with the drastic shake-out in
the venture capitai market in the decade that followed the end of the dotcom bubble. [...] One of
the largest private equity investors in Europe, said this was a consequence of the credit bubble,
when the sector attracted [between 2004 and 2007] too many inexperienced newcomers and fì-
nancial engineers [...]".
A differenza del privateequitynell'accezione più stretta, che come visto opera nella ri-
strutturazione e nel rilancio di imprese già consolidate, il venturecapitai(cfr. paragrafo
1.3per il caso Yoox) è una forma particolare di privateequity (nell'accezione più lata)
che opera nel lancio di start-upinnovative con forti potenzialità di crescita: entrando
nel loro azionariato con quote importanti, data la forte rischiosità di questo tipo di
operazioni; aiutandole a ottenere prestiti dalle banche; irrobustendole dal punto di vi-
sta organizzativo, con la creazione di nuove funzioni e con l'immissione di nuovi ma-
nager; aiutandole a raggiungere un assetto che renda possibile la quotazione in borsa
o l'acquisizione da parte di un grosso gruppo che la integri al suo interno (come acca-
duto nel passaggio di Android a Google) o l'acquisizione da parte di un fondo più
specializzato.
~ICT, il bio-teche il green-techsono i comparti tipici, ma non gli unici, in cui opera il
venturecapitai:che spesso subentra nell'azionariato delle start-upad altri fondi, quali i
cosiddetti businessangel,che intervengono in una fase precedente del ciclo di vita.
Data la probabilità molto elevata che le acquisizioni si traducano in flop, un fondo di
venturecapitai- oltre a essere molto selettivo nella scelta degli investimenti - scom-
mette sul fatto che almeno alcune delle start-upin cui entra garantiscano plusvalenze
tali da coprire le perdite sulle altre e da lasciare margini per la remunerazione degli in-
vestitori, dei gestori dei fondi e dei manager (anch'essi compartecipi del rischio per
una parte elevata della loro remunerazione).
Se il 2006 e il 2007 sono stati gli anni d'oro per il privateequifyin senso stretto, il ven-
turecapitaiha avuto il suo massimo momento di gloria (in termini di raccolta da par-
te dei fondi) negli anni precedenti lo scoppio della bollaInternet:una situazione che ri-
schia di ripetersi con i socia/network(cfr. paragrafo1.4).
220 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
5.1Lechiavidi lettura
Osservata senza istruzioni per l,a l,ettura,l'impresa appare come un coacervodi at-
tività della natura più diversa, di relazioni interne e con l'esterno, di persone
che (cooperativamente ma talora anche conflittualmente) giocano i ruoli più
vari, di risorse materiali e immateriali, di competenze e di esperienze accumu-
late nel tempo (sia individuali che collettive) ecc., con una localizzazione con-
centrata in un singolo territorio piuttosto che distribuita in aree geo-politiche
differenti: coacervoche, come detto, si modifica incessantemente nel tempo,
in modo graduale o con discontinuità radicali, sotto la pressione delle forze
esterne ma anche delle spinte che si sviluppano all'interno, talora in forma (al-
meno apparentemente) disordinata e casuale e talaltra seguendo un copione
studiato a tavolino.
Per orientarsi nella comprensione di questo coacervoè necessario quindi
adottare chiavi di l,etturache - guardando all'impresa sotto angoli prospettici
diversi - mirino a ricostruirne alla fine un profilo ragionevolmente completo.
224 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Si dice talora- in riferimento alle due chiavi di lettura - che la prima è orientata al breve ter-
mine e la seconda al medio-lungo: come se le discontinuità dovessero rappresentare even-
tualità temporalmente più lontane. In realtà, se è statisticamente vero che la continuità è più
associabile al breve termine e le discontinuità al medio-lungo, è anche vero che le disconti-
nuità possono verificarsi in un qualsia5i momento, con tempi e intensità spesso imprevedibi-
li: com'è accaduto ad esempio in molti comparti dell'economia a fronte di eventi esterni del
tutto inattesi, quali il disastro di Chernobylo l'attentato alle Twin Towers,come può accadere
nelle imprese in occasione di atti del tutto normali, perché tipici del modo di competere an-
che in un contesto di continuità, quali la sostituzione di un modello esistente con uno nuovo
o la riorganizzazione a fronte di un calo di natura ciclicadella domanda.
Per capire ciò che l'impresa è analizzando ciò che essa fa (prima chiave di let-
tura), si deve guardareprioritariamenteal suo output:
• ai benie serviziche essa vende;
• ai clientiche serve;
• ai bisogniche cerca di soddisfare;
• alle areegeopoliticheove vende;
e interpretare e valutare tutto ciò che sta alle spalledell' output, ossia:
• le attività che l'impresa svolge, o fa svolgere ali' esterno;
• le risorsee le competenzeche mette in gioco, o comunque attiva;
in funzione del contributo che esse danno alla generazione dell'output stesso.
Si deve guardare allo stesso tempo, per il ruolo che la competizioneha da un
lato nel pungolarel'impresa e dall'altro nel condizionarne il valore, a:
• i competitoridiretti:ossia le imprese con un profilo almeno in parte sovrap-
posto relativamente ai beni e servizi, ai clienti, ai bisogni e alle aree geo-
politiche;
• i competitoripotenziali:ossia le imprese che potrebbero essere interessate a
entrare nella competizione, e che entrando renderebbero più aspra la
competizione stessa;
• i competitoriindiretti:le imprese cioè che mirano agli stessi clienti con beni
e servizi anche molto diversi, ma percepiti come sostitutivi,in una visione
più lata dei bisogni;
con un 'analisi tanto più differenziata quanto meno l'output dell'impresa si
presenta come omogeneo.
5. La com petizione I 225
I competitori diretti sono quelli che l'impresa deve più visibilmente affrontare per conqui-
starsi i clienti e realizzare ricavi e quote di mercato e che più condizionano i prezzi che essa
può richiedere ai clienti per ì beni e servizi, in funzione anche delle caratteristiche e quindi
dell'attrattività relativa di questi ultimi.
I competitori indiretti rappresentano nemici apparentemente più lontani, ma non per que-
sto meno insidiosi per l'impresa e i suoi competitori diretti, perché possono porre serie ipo-
teche allo sviluppo del mercato o addirittura provocarne una contrazione più o meno sensi-
bile - offrendo vie alternative di soddisfazione dei bisogni - e comunque condizionarne i
prezzi. La competizione indiretta si presenta con tanta più forza quanto meno puntualmen-
te risulta definito il bisogno: come nel caso in cui l'oggetto del contendere sia l'occupazione
del tempoliberopiuttosto che lo snack o la bevanda per il fuori pasto.
I competitori potenziali sono quelli che, con la loro entrata, potrebbero pure stravolgere gli
equilibri esistenti; e che possono comunque, anche solo con la virtualità della loro esistenza,
condizionare i comportamenti dell'impresa e dei suoi competitori: spingendoli ad esempio
a contenere i prezzi e i profitti, per non creare voglie eccessive, o a lasciare inutilizzata come
deterrente (da usare in caso di attacco) parte della capacità produttiva.
L'impresa deve, nel confrontarsi con i competitori diretti in relazione a ogni specifica cate-
goria di beni e/o servizi, battersi su due fronti: sul fronte dei costi, per avere mano più libera
nella fissazione dei prezzi o per incrementare i profitti unitari; sul fronte dell' attrattività, della
rispondenza cioè delle caratteristiche e dell'immagine dei suoi beni e/ o servizi ai bisogni dei
clienti, per incrementare le quote di mercatoo fruire dei premi di prezzo.
Nel perseguire l'uno e/ o l'altro di tali obiettivi, essa può - se le tipologie di clienti e di biso-
gni non sono (come quasi sempre accade) del tutto omogenee - scegliere se presentarsi co-
me un fornitore a tutto campo, mirante a soddisfare tutti i clienti e tutti i bisogni, o se focaliz-
zarsi su tipologie specifiche di clienti e bisogni (ossia su segmenti o nicchie del mercato), per
ridurre i costi e/ o aumentare l'attrattività attraverso beni e/ o servizi più mirati.
Può anche puntare a migliorare le sue prestazioni, dal punto di vista dei costi e/ o dell'attrat-
tività, con un portafoglio di beni e/ o servizi più ampio: che permetta attraverso le opportu-
ne sinergie di ridurre i costi (utilizzando ad esempio le stesse reti distributive e passando per
gli stessi canali commerciali nell'ambito dei beni di largo consumo) e/o di aumentare l'at-
trattività (allargando ad esempio la gamma dei servizi offerti per coprire integralmente le
necessità di approvvigionamento di un ufficio professionale o di un reparto manutenzioni di
un'impresa).
Si deve guardare - sempre ai fini del valore - oltre che ai fattori differenzianti,
anche a quelli che possono impattare in modo analogo (positivo o negativo)
sulle prestazioni dell'impresa e dei suoi competitori e porli mediamente in
condizioni di vantaggio o svantaggio rispetto alla media d~ll'economia.
Di rilievo potenzialmente elevato, nel bene o nel male, tra questi fattori: il
livello di asprezza della competizione interna, la dinamica della domanda, lo
stato di salute dei clienti, la forza relativa dei fornitori, il grado di permeabilità
226 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Un comparto che è stato ad esempio caratterizzato per molti anni da una situazione di pe-
renni perdite da parte delle imprese (la maggior parte delle quali di grandi dimensioni) in
esso operanti, a livello italiano ed europeo, è quello dell'acciaio: in precedenza considerato,
a partire dall'800 e ancora nel periodo della ricostruzione susseguente alla Seconda guerra
mondiale, come uno dei settori più strategicisia ai fini della crescita economica sia a quelli
militari, in grado di creare vere e proprie dinastie industriali (qualche cinefilo ricorderà a tale
proposito il celebre film di Visconti La caduta deglidez). La crisi si manifestò a fronte del ral-
lentamento nel trend di crescita della domanda, dovuta al minor bisogno relativo di acciaio
rispetto alle fasi iniziali dello sviluppo, e della conseguente formazione di un eccesso struttu-
rale di capacità produttiva complessiva (accresciutasi nel frattempo per il contemporaneo
tentativo da parte di tutte le imprese di abbattere i costi unitari incrementando la propria
scala) rispetto alla domanda, che portò a una fortissima pressione al ribasso dei prezzi: pre~
sione che non si invertì se non molti anni dopo (con l'aiuto delle sowenzioni elargite dal-
l'UE per distruggere capacità produttiva e dei divieti di costruirne di nuova), perché nessu-
na impresa - in un mercato caratterizzato dalla rilevanza dei costi affondati (relativi alle usci-
te di cassa già awenute al momento degli investimenti) e falsato dagli aiuti nazionali-usciva
dal gioco nonostante le perdite talora rilevantissime.
Si deve guardare infine, dal momento che l'impresa può avere un output più o
meno eterogeneo e può operare - a livello sia di mercati sia di localizzazione
delle attività - su una scala geo-politica più o meno ampia e diversificata, ai
vantaggi e agli svantaggi che essa può trarre dalla composizione del suo por-
tafoglio.
La natura obbligata - anche se discrezionale nelle forme con cui si concretizza - attribuita
(forse sorprendentemente) al miglioramento continuo e all'introduzione di nuovi modelli
merita qualche riflessione.
La casa automobilistica che non rinnovasse ad esempio con continuità la sua gamma di mo-
delli- introducendo in un primo anno il nuovo modello di utilitaria, in un secondo il nuovo
modello di ammiraglia, e così via, e procedendo comunque a frequenti operazioni di restyling
lungo l'arco di vita dei singoli modelli - si troverebbe presumibilmente a perdere quote di
mercato rispetto alle altre case: non solo perché i nuovi modelli usualmente incorporanoi
progressi tecnologici più recenti (a eccezione di quelli sviluppati in forma proprietaria dai
competitori), ma anche perché - nel campo automobilistico come in molti altri campi - la
moda gioca un ruolo rilevante e fa sì che un modello percepito di foggi,anon attual,e,anche se
aggiornato nelle prestazioni, risulti in generale soccombente. Introdurre modelli nuovi, di
conseguenza, è un obbligo; mentre discrezionale (come detto) è la s~elta di come realizzarli,
e in particolare di quanta innovazione incorporarvi.
L'impresa industriale o di servizi, d'altro canto, che non si impegnasse annualmente - in se-
de di predisposizione del budget - a migliorare almeno un po' la sua efficienza e la sua effica-
228 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
eia si troverebbe nel giro di pochi anni, in comparti ove i margini siano compressi dalla com-
petizione, ad accumulare perdite di posizione sempre più preoccupanti: basta riflettere a
questo proposito su cosa significhi ad esempio rinunciare per cinque anni di fila a migliora-
menti anche modesti nei costi - tipicamente di un ordine di grandezza coeterisparibus com-
preso fra l'l e 1'1,5 per cento - laddove la percentuale media dei profitti rispetto ai ricavi sia
ad esempio dell'ordine del 4 o 5 per cento.
Nel caso degli srnartphone(cfr. paragrafo 1.4) ci si può chiedere se si sia in presenza di una rot-
tura o meno del ciclo di vita dei cellulari,già molte volte oggetto <li innovazioni significative
nelle caratteristiche e nelle prestazioni. Da un lato si può infatti attribuire peso alla continuità
nel comportamento degli acquirenti, che - quando acquistano per la prima volta uno
srnartphone- dismettono (o comunque non sostituiscono con un prodotto simile) il cellulare
di cui si awalevano in precedenza; dall'altro si può porre l'enfasi sulle profonde e crescenti
dif.ferenu nelle J1restazionie sulla moltiplicazione degli utiliz.:zi,ovvero sulla constatazione che
lo smartplwne è anche un cellulare,ma che è moltodi più di un cellulare.A favore della seconda
tesi ~ioca il fatto che le differenze sono così forti che, come ,isto, sono cambiate molte delle
5. La com petizione j 231
La classica teoria del ciclodi vita del prodotto- o più correttamente del ciclodi vita del
business(per riflettere anche la componente di mercato e di competizione) - indivi-
dua la sequenza difasi che usualmente caratterizzano la vita di un prodotto, o di una
famiglia di prodotti, dallacullaallatomba.
La durata del ciclo di vita, la consistenza della domanda nel suo punto di massima e i
tempi del passaggio da una fase all'altra sono tutte grandezze poco prevedibili a prio-
ri - sensibili non solo allo specifico contesto ma anche alle mosse proattive delle im-
prese - e fortemente variabili a seconda delle situazioni. Mentre molto più simile si
mantiene nelle differenti situazioni il profilodel ciclo e molto più simili le peculiarità
che le diverse fasi presentano dal punto di vista della dinamica della domanda, del
suo grado di segmentazione, dell'evolversi delle tecnologie di prodotto e di processo,
della criticitàdelle singole attività ai fini della posizione competitiva.
Le fasi, se si adotta il classico schema di Hofer e Schendel2,sono le seguenti: sviluppo
iniziale del mercato (development),crescita (growth),rallentamento o decelerazione
(shakeout),maturità (maturity),saturazione (saturation)e declino (decline).
Il declino in particolare può portare:
• alla morte del prodotto stesso: a fronte della caduta del bisogno o della sua sod-
disfazione con un prodotto diverso, nuovo o frutto di un processo di rivitalizza-
zione; oppure
• a un ridimensionamento su livelli più bassi della sua domanda complessiva, se
almeno una parte dei clienti e/o dei bisogni permane, con un secondo stadio di
saturazione: chiamato talora di pietrificazione (petrification).
~introduzione di innovazioni rilevanti (in qualunque fase del ciclo) - che vadano a
modificare in modo significativo le peculiarità del prodotto o ne riducano in modo so-
stanziale il prezzo, con possibili riflessi sulla tipologia dei clienti serviti, dei bisogni
soddisfatti e dei canali utilizzati - può portare a una rivitalizzazionedel prodotto stes-
so e all'innescarsi, come detto, di un nuovo ciclo.
Le caratteristiche salienti delle diverse fasi sono solitamente quelle riportate, in termi-
ni estremamente sintetici, di seguito.
• Sviluppoinizialedel mercato:domanda ridotta e in scarsa crescita; segmentazione
ridotta; grandissima evoluzione delle tecnologie di prodotto, alla ricerca della
configurazione più attrattiva del prodotto stesso; scarsa evoluzione delle tecnolo-
gie di processo, in connessione con l'instabilità delle caratteristiche del prodotto
e con i ridotti volumi; rilievo prevalente dell'attività di ricerca e sviluppo.
• Crescita:domanda in forte crescita e accelerazione; segmentazione ridotta; gran-
de evoluzione delle tecnologie di prodotto, ma inferiore rispetto alla fase prece-
dente; moderata evoluzione delle tecnologie di processo; rilievo prevalente del-
l'attività di progettazione.
• Rallentamento:domanda ancora in crescita ma in rapida decelerazione, con il pos-
sibile formarsi di unaforbicerispetto alla capacità produttiva e di una conseguente
maggior pressione competitiva se la decelerazione non è percepita per tempo;
segmentazione ridotta; evoluzione più moderata, rispetto alla fase precedente,
delle tecnologie di prodotto; evoluzione molto sostenuta delle tecnologie di pro-
cesso, allo scopo di ridurre i costi e di mantenere un'elevata competitività a fronte
dell'accentuarsi della pressione competitiva e della tendenza all'espulsione dei
competitori più deboli (shakeout);rilievo prevalente dell'attività di produzione.
domanda
complessiva
ve di difesa rispetto ai competitori a scala più elevata e costi più bassi; evoluzione
molto ridotta delle tecnologie di prodotto; evoluzione decrescente delle tecnologie di
processo; rilievo prevalente delle attività di marketing (in funzione della differenzia-
zione e della segmentazione), distribuzione (in funzione del miglioramento del servi-
zio e/o della creazione di rapporti positivi con i canali) e finanza (in funzione dell'im-
portanza crescente che la crescita esterna, attraverso acquisizioni e/o fusioni, viene
ad assumere rispetto a quella organica autogenerata dall'interno).
La nostra trattazione darà molto maggiore spazio alla prima chiave di lettura
- che comunque rappresenta una premessa indispensabile e che permette di
introdurre una sorta di grarnmatica elementare di base in tema di competi-
zione - che alla seconda, più complessa da affrontare e per certi versi più sfug-
gente: per cui si rimanda a trattazioni più specialistiche.
Con la raccomandazione però al lettore di non considerare la seconda co-
me meno importante della prima, come taluni testi sembrano indurre impli-
citamente a pensare. In un'economia e in una società sempre più improntate
al cambiamento e ali' innovazione è infatti pericoloso vedere la continuità quale
stato naturale dell'impresa, mentre è concettualmente più prudente e co-
struttivo considerarla a priori solo come una delle opzioni possibili: se si vuole
evitare, nel caso dell'analista esterno, di farsi sorprendere dal verificarsi di di-
scontinuità; se si vuole evitare, nel caso del decisore interno, di non guardare
con sufficiente attenzione e anticipo ai problemi ma anche alle opportunità
che le discontinuità possono prospettare.
L'ordine logico scelto per trattare con un qualche dettaglio le tematiche
in cui, come appena visto, può essere articolata la prima chiave di lettura è il
seguente:
• il paragrafo 5.2 introduce il concetto di business model dell'impresa: che
guarda contemporaneamente a ciò che l'impresa vuole vendere, a chi e
per soddisfare quale bisogno lo vuole vendere e all'assetto tecnologico-
organizzativo con cui essa opera per essere competitiva e per salvaguar-
dare i suoi margini;
• il paragrafo 5.3 evidenzia, guardando alle diverse configurazioni che il
portafoglio di output può assumere, come l'impresa possa essere a un
estremo molto focalizzata e all'altro estremo presente in una moltepli-
cità di business del tutto eterogenei fra loro; ,
• i paragrafi 5.4 e 5.5 centrano invece l'attenzione sull'assetto tecnologico-
organizzativo che sta alle spalle dell' oittput: sul grado di integrazione ver-
ticale o di ricorso all' outsoitrcing, il primo; sulle attività necessarie alla rea-
lizzazione dell' oittput, svolte all'interno o delegate all'esterno, il secondo;
• i paragrafi 5. 6 e 5. 7 affrontano, rispettivamente, la tematica dei differen-
ziali competitivi di costo e/ o attrattività fra competitori in senso stretto e
234 i L'IMPRESA: Gli OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
5.2 Il businessmodeldell'impresa
Realtàe apparenzapossonodivergere
anche in relazione alla definizione in senso stretto.
Un esempio tipico di questa seconda fattispecie è quello del dettagliante o della catena distributiva
che vendono alimentari: che hanno in generale come prodottonon ciò che apparentementevendono,
ma il serviziodi intermediazione commerciale-distributiva che permette di far giungere ai consumatori
finali gli alimentari provenienti direttamente o indirettamente {attraverso i grossisti) dalle imprese
alimentari o agricole e considerabili come prodottidi queste ultime. E lo stesso discorso può essere
fatto per chi vende componenti meccanici a imprese utilizzatrici, fornendosi da {altre) imprese pro-
duttrici, in assenzadi interazioni dirette fra le prime e le seconde.
Il discorso si fa invece più complesso quando un'impresa della grande distribuzione - come av-
viene sempre più frequentemente e intensamente anche nel nostro paese - affianca sui suoi
scaffali, agli alimentari di marca, alimentari con marchio proprio: fatti produrre, sulla base di pre-
cise specifiche, a imprese alimentari.Dev'essere ridefinito infatti l'output della grande distribu-
zione: che non produce più solo servizi di intermediazione commerciale-distributiva, ma che è
del tutto assimilabile - per quanto concerne la quota parte venduta con marchio proprio - a
un'impresa alimentare che ricorra all'outsourcing{come non infrequentemente awiene) per l'in-
tera fase produttiva.
Deve essere ridefinito però anche l'outputdi chi fisicamenteproduce per conto e su specifiche del-
la grande distribuzione, che - almeno per quanto concerne la quota parte venduta in outsourcing-
non ha più come prodottogli alimentari, bensì il serviziodi produzione(ed eventualmente di previa
progettazione)degli stessi: con differenze fondamentali ad esempio, per chi venda esclusivamente
in outsourcingrispetto a chi venda con marchio proprio, sia nella finalizzazione e strutturazione
delle attività di vendita che nella stessa individuazione dei clientiultimi.
Si parla talora a questo proposito, nell'ambito dei beni di consumo ma anche di taluni beni
di produzione, dell'alternativa fra strategie pushe pull Le prime cercano di conquistare i
clienti ultimi utilizzando i cli~nti intermedi - gli intermediari commerciali piuttosto che co-
loro che effettuano i montaggi di apparecchiature (scaldabagni ecc.) - come promotori dei
prodotti dell'impresa: concedendo ad esempio sconti percentualmente crescenti con i volu-
mi di vendita. Le seconde puntano invece direttamente ai clienti ultimi, ad esempio attraver-
so lo strumento pubblicitario, con il duplice obiettivo di conquistare il loro interesse e di
esercitare una pressione indiretta attraverso essi sui canali intermedi.
Le caratteristiche standard sono più frequenti nei prodotti destinati alle imprese che non in
quelli di consumo destinati alle famiglie, anche perché esiste una normativa internazionale
ISO che spinge in molti casi in questa direzione. Fra i prodotti di consumo percepiti sostan-
zialmente come standard nelle scelte di acquisto - anche se contraddistinti da marche molto
note -vi sono ad esempio la benzina e lo zucchero. ·
Avere una quota di mercato elevata in un comparto che cresce, in cui i principali com-
petitori gareggiano ciascuno con il proprio standardproprietario, rappresenta il sognodi
molte imprese.
Lo rappresenta nei contesti ove si ha a che fare con prodotti compositi, soggetti a signi-
ficative integrazioni o a parziali sostituzioni nel tempo: un esempio tipico è quello delle
apparecchiature fotografiche reflex,ove per l'acquisto di un nuovo obiettivo o di un nuo-
vo flash sincronizzato, piuttosto che per la loro sostituzione, ci si deve necessariamente
rivolgere alla stessa impresa - per ragioni di compatibilitàcon il corpo macchina e con
gli altri accessori in precedenza acquistati - o al più a una che produca componenti
adattabiliai diversi standard proprietari; l'alternativa essendo quella di buttare via tutto e
di riacquistare il corpo macchina, gli obiettivi e il flash da un'impresa concorrente.
Lo rappresenta nei contesti ove gli acquirenti - di un bene fisico come il PC o lo
smartphoneo di un servizio quale quello della posta elettronica - hanno l'esigenza di
interagire fra loro e non possono farlo se la mancanza di standard generali si accom-
pagna all'incomunicabilità fra standard proprietari. Il grande successo di Microsoft
(cfr. paragrafo1.4)è figlio del fatto che Windows- sulle orme dell'enorme successo dei
PC di I BM - riusd ad affermare il suo standard proprietario come standarddifatto di
(quasi) tutti i PC, conquistando una posizione di quasimonopolio;mentre la margina-
lizzazione in quegli anni del Macdella Appie, da molti ritenuto superiore nella qualità,
è largamente da ascrivere al fatto che il suo sistema operativo proprietario non era in
grado di colloquiare con i più.
Osservata dal punto di vista dei potenziali acquirenti, e in certi casi anche da quello
delle potenzialità di crescita del comparto, l'assenza di standard ufficiali condivisi può
essere viceversa molto negativa. Perché la competizione si ingessa e i prezzi possono
rimanere strutturalmente più alti; perché senza interoperabilità e/o intercomunicabi-
lità l'utilità percepita decresce, come appare chiaro dalla differente penetrazione dei
cellulari di seconda generazione fra gli Stati Uniti (ove non era stato trovato un accor-
do soddisfacente fra i grandi operatori) e l'Europa (ove viceversa l'accordo per il GSM
coinvolse tutti).
Con gli smartphone,i tablet e il cloud computing (cfr. paragrafo1.4) l'idea di trovare
standard comuni sembra lontana anni-luce, e viceversa quella di far crescere e di te-
nersi stretti i propri clienti, facendoli spendere possibilmente di più e rendendo sem-
pre più costoso e meno attraente l'eventuale passaggio a un concorrente, sembra
quella in maggior voga soprattutto in Appie. Appie ha introdotto a questo proposito
un businessmodel molto originale, che come visto poggia su alcuni elementi salienti:
• la presenza in portafoglio di quattro famiglie di devicediversi - Mac,iPod,iPhone
e iPad- tutti caratterizzati da performance e immagine molto elevate, nonché
l'affiancamento a essi di iC/oud;
5. La competizione I 239
• la possibilità per i clienti di fruire di tutto ciò che l'ecosistema che Appie ha creato
attorno a sé può offrire: brani musicali, fìlm, libri ecc.;
• l'affiancamento, sull'onda di quanto fatto con successo da altre imprese, di una
logica di streaminga quella più tradizionale di downloading:che, unitamente al-
l'offerta di spazi di memoria ampi sulla nuvolae all'aggiornamento in tempo rea-
le - sincronizzazione - di tutti i devicenel momento in cui essi si vengono a trova-
re in prossimità, permette di accedere da ciascuno di essi in qualsiasi momento a
tutti i contenuti prodotti o raccolti.
La concezione integrata e la sincronizzazione automatica dei devicesono un potente
stimolo al possesso contemporaneo di più di uno di essi e, in assenza di proposte
concorrenti fortemente innovative, al mantenimento di tale integrazione nel tempo.
La non disponibilità fìsica di tutti i brani musicali, film, libri ecc. acquistati - sostituita
dalla possibilità di accesso a essi in streamingin qualsiasi momento - può d'altra par-
te rappresentare un forte freno ai passaggi alla concorrenza.
Diversa la partita di Google, che - rendendo disponibile il suo sistema operativo Android
in forma gratuita (anche se con vincoli sullo sfruttamento commerciale) ai produttori di
smartphonedi tutto il mondo3 e favorendone così la crescita di quota complessiva - cer-
ca di farne un qualcosa di simile a ciò che Windowsè stato per i PC,owero uno standard
difatto: puntando a far retrocedere a nicchia lo spazio occupato dall'iPhone.
Mentre il dover competere con un sistema proprietario e con un ecosistema proprio
sembra rappresentare, come visto, più un handicap che un vantaggio per le altre
grandi imprese in gara.
3. L'ipotesi è che la strategia di Google nei riguardi di Android non cambi - come affermato dal
vertice della società- a seguito dell'acquisizione di Motorola Mobility (cfr. paragrafo1.4).
4. Organizzato a Milano nel 2006 dal Boston Consulting Group.
240 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
75
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1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 201 O
Anno
fortemente positiva, offrendo (come ben noto) la prima mobili e arredi e la seconda
viaggi aerei a prezzi molto contenuti: non solo ad acquirenti "poveri", ma in misura
significativa anche ad acquirenti "ricchi" ma desiderosi di usare bene il loro denaro in
funzione delle esigenze contingenti.
È evidente come businessmodel di questo tipo, caratterizzati da margini unitari estre-
mamente risicati, richiedano grande bravura non solo nella concezione, ma anche e
forse soprattutto nella concreta messa in atto e conduzione (in gergo nell'execution):
come dimostra l'elevata percentuale di fallimenti ad esempio nel low cost aereo.
L'impresa può avere nel suo portafoglio, come detto, prodotti anche molto
diversi: destinati a clienti, bisogni e canali diversi.
In taluni casi questi prodotti possono fruire sinergicamente di alcune atti-
vità e processi, con potenziali vantaggi di costo e/ o di attrattività. In altri casi la
diversità è tale da ridurre le possibili sinergi,ealla sola gestione comune delle ri-
sorse finanziarie e alla parziale intercambiabilità dellè risorse umane di pregio.
La scelta del portafoglio di business dell'impresa (cfr. sottoparagrafo 2.1.1) risulta di rilievo al-
trettanto importante - se non in certi casi superiore - rispetto alle scelte che vengono effettua-
te relativamente a ciascun business. Vì sono imprese, come accennato in precedenza, che pri-
vilegiano l'idea che il portafoglio sia in una qualche misura focalizzato, almeno a livello della
cosiddetta cultura d'impresa:che comprenda ad esempio solo business che richiedano forti abi-
lità nella gestione del mercato (marketing, pubblicità ecc.) o che vedano il predominio dell'a-
nima tecnologica. Vì sono imprese invece che operano secondo una logica strettamente finan-
ziaria e che guardano alle sole potenzialità di creazione di valore dei singoli business, senza
cercare sinergie che non siano quelle derivanti dalla gestione finanziaria co_mune e senza
preoccuparsi delle difficoltà che l'eterogeneità può comportare soprattutto nelle fasi di gran-
de transizione: difficoltà che si manifestarono ad esempio in forma forte negli anni '80, a fron-
te dei fenomeni di internazionalizzazione dell'economia e dei cambiamenti tecnologici, e che
portarono a un radicale ridimensionamento delle imprese con portafoglio rongwmeral.e.
5. La competizione I 243
...
E importante rilevare com.e con il termine businessmodelsi guardi usualmente
a quelle che sono le caratteristiche salienti delle scelte dell'impresa - a livello
corporatee dei singoli business, sul versante prodotto-mercato e sul versante at-
tività-processi - più che al buon funzionamento nell'ambito di tali scelte.
Scindere la valutazione della bontà del modello dalla valutazione della
bontà della sua realizzazionepuò essere operativamente costruttivo: ma richie-
de grande cautela, soprattutto nella verifica del presupposto che il modello
sia in effetti in grado di funzionare bene e non rappresenti un'idea meramen-
te astratta.
Si può dire cioè di un'impresa che ha un business modelche non può funzionare o che l'idea
è buona ma la realizzazione cattiva. Ma è estremamente pericoloso proporre modelli astratti
- che non tengano conto cioè delle reali caratteristiche del contesto - soprattutto se su que-
sti modelli si chiedono e ottengono soldi dal mercato finanziario attraverso /PO ( initial public
offering):come accaduto al volgere del secolo per molte società della cosiddetta new economy.
Se si torna ad esempio al caso dei beni di largo consumo (alimentari, detersivi ecc.) e si guar-
da a un paese come il Regno Unito ove il canale della grande distribuzione è largamente
prevalente, la competizione è relativamente omogenea tra le imprese industriali che si batto-
no fra loro ricorrendo ampiamente a una politica di marca: e<lè lecito un confronto fra le at-
tività e i processi dei differenti competitori, per comprendere dove siano localizzate le origi-
ni dei differenziali esistenti fra loro. Nel momento in cui invece si prende atto dell'impor-
tanza che hanno -in relazione alla stessa tipologia di prodotti, agli stessi clienti e bisogni e al-
lo stesso canale della grande distribuzione - le marcheproprie della distribuzione stessa e si
prende atto del fatto (già discusso in precedenza) che le imprese di distribuzione sono in
realtà anch'esse competitori a pieno titolo, il quadro si modifica radicalmente: perché si
fronteggiano sul mercato business modelmolto lontani fra loro, chb rendono possibile soltan-
to una comparazione integrale.
II lmsinessmodeldi un'impresa della grande distribuzione - a differenza di quello dei produt-
tori di marca- non prevede in particolare né di fare in casa la produzione e l'eventuale pro-
gettazione né di fare politiche specifiche di marca dei prodotti; e ha come unico canale di
sbocco il proprio, che usa anche (nella veste di produttore di servizi commerciali-distributi-
244 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
vi) per far transitare i prodotti di marca di quelli che sono nello stesso tempo suoi fornitori e
competitori.
Una parte delle attività dell'impresa è dedicata usualmente a predisporre il futuro, owero al-
1'autotrasformazionedell'impresa stessa: alla messa a punto di nuovi prodotti, alla messa a punto
di nuove tecnologie e nuovi processi produttivi, alla creazione di nuovi brantle/o al rafforza-
mento degli esistenti, al rinnovo e/o al potenziamento delle infrastrutture produttive e com-
merciali (attraverso investimenti materiali e immateriali), e così via. Più tale parte è struttural-
mente rilevante in percentuale, più l'impresa si ritrova con una collocazione per certi versi sm-
ln,naata rispetto all'asse dei tempi: con un profitto corrente che guarda zn.di.etro, che dipende
cioè in larga misura da quanto si è predisposto nel passato; con un 'allocazione delle risorse in
larga misura proiettata in avanti, difficilmente valutabile in termini di risultati correnti.
È cos1da lungo tempo, anche se non integralmente, per i quotidiani e i periodici: che
possono far pagare ai lettori solo una parte dei costi che affrontano e dei loro profitti,
perché il resto viene dalla pubblicità. Lo stesso accade per la RAI, che non riuscirebbe
a soprawivere con il solo canone. Lafree press(i quotidiani distribuiti gratuitamente
nelle stazioni della metropolitana o in altri luoghi a elevato passaggio delle grandi
città) vive della sola pubblicità, che le garantisce ricavi proporzionati al numero di let-
tori che essa riesce a conquistare. Lo stesso accade per La7. Mediaset ha introdotto
con l'awio del digitale terrestre, accanto agli storici canali che da sempre vivono inte-
gralmente di pubblicità, una serie di canali pay. E Sky, che trasmette via satellite e ri-
chiede l'uso del decoder,trae dagli abbonamenti la componente principale dei suoi ri-
cavi: ricorrendo anche alla pubblicità.
Google ha anch'essa un businessmodel completamente fondato sulla pubblicità (cfr.
paragrafo1.4),che usa la superiorità del suo motoredi ricercacome 11 esca" per attrarre
i visitatori nel sito. Lo stesso fanno Yahoo e Microsoft, che faticano a scalfire la leader-
ship di Google nella pubblicità su Internet. Mentre più pericolosa può essere, dato an-
che il numero di frequentatori, Facebook.
Ma anche ATM a Milano, come in generale le società che gestiscono i trasporti urba-
ni, ricorre alla pubblicità - si pensi ai 11 rivestimenti" di tram e autobus o ai totem nelle
stazioni e nelle pensiline - come componente essenziale, anche se minoritaria, del
suo equilibrio economico. E accettando un rivestimento pubblicitario si può acquista-
re a minor prezzo una Smart.
5. La com petizione I 245
"Chipaga non è chifruiscedel servizio"è stato anche il principio su cui sono cresciuti in
numero e in ricavi gli OsservatoriICT della Schoolof Management del Politecnico di
Milano. Il servizio consiste nella predisposizione di un rapporto annuale molto detta-
gliato sul settore o sulla tematica oggetto di ciascun Osservatorio (Mobile Internet,
Content & Apps, RFld, NFC & Mobile Payment, Cloud & ICT as a Service ecc.), nella
sua presentazione e discussione pubblica e sulla sua consultabilità e scaricabilità dal
sito. I fruitori sono gli interessati,con i ruoli più diversi, alla tematica in oggetto: mana-
ger di impresa, esponenti del sistema bancario-finanziario, consulenti, giornalisti spe-
cializzati ecc. Gli sponsorsono in generale le imprese che vogliono rafforzare i contatti
con gli interessati(perché loro clienti ecc.) o mettersi in luce presso di loro o sensibi-
lizzare il mondo esterno alle nuove potenzialità che la tecnologia rende disponibili. Il
circolovirtuosoche favorisce la crescita è di immediata comprensione: più gli Osserva-
tori sono noti, più aumentano gli interessatiche partecipano alle presentazioni e/o
scaricano i rapporti; più sono gli interessati,più sono i potenziali sponsore maggiore il
contributo che sono disposti a corrispondere; più crescono i ricavi, più può aumenta-
re la "potenza di fuoco" del gruppo di ricerca, con riflessi sulla qualità dei rapporti e
sull'apertura di nuovi Osservatori.
"Dell will sell its persona! computers through Wal-Mart Stores (da The Wa/1StreetJournal del
25.5.2007, "Dell to rely less on direct sales: Wal-Mart will offer PCs as computer maker seeks a
broader retail reach", di Christopher Lawton}, breakingfrom thedirect-sales model that previously
helped it become the world's largest PC company but which missed out on a recent consumer
boom as more people started to buy computers in retail stores. [...] Dell has sold PCs over the
phone and the Internet for years, allowing it to convert inventory into cash much faster than its
competition. The efficiency allowed Dell to underprice its rivals. But the model began to lose
steam in 2005 as rivals such as Hewlett-Packard became more effìcient themselves. What's more,
Dell became boxed in by its direct-sales strategy as PC-buying behavior began to change. Con-
sumers - the growth engine of the U.S. PC market - have started gravitating to stores to buy
portable notebook computers. Dell, which had focused on selling desktop PCs to corporate cus-
tomers, was largely unable to participate. Dell's sales and profìts have since slowed [...]. Last year,
the company lost the No. 1 spot in the PC industry to H-P, which sells PCs through 110,000 retail
outlets world-wide [...]. Over the last year, H-P's stock has risen 42%, while Dell's is up 9%. [...] lt is
unclear if Dell plans to match HP's presence in retail stores. Since 2002, Dell has populated shop-
ping malls with kiosks that sell its PCs. [...] But all of these retail efforts have used the direct-sales
model, meaning that while customers can peruse merchandise at the kiosks and stores, they have
to order the PC online, over the phone at home or in the store, and have the PC delivered. [...] Dell
faces potentially signifìcant challenges in retail, given the company will now have t~ hold onto PC
inventory longer than under its direct model. [...] More inventory will generate less cash for Dell to
reinvest back into the business. [...] Wal-Mart is tough on suppliers, so Dell's margins from sales
through the retailer may be lower than it is used to. Mr. Dell has recently signaled that Dell was
open to moving beyond its direct-sales model.[ ...] 'The Direct Model has been a revolution, but is
nota religion', Mr. Dell wrote".
Dell ha perso più del 40 per cento della sua capitalizzazione di borsa fra il 2006 e il
2010, per poi recuperare significativamente valore - fra il 2010 e il 2011 - come risul-
tato congiunto di una strategia di crescita nell'ambito dei servere del miglior anda-
mento nei PC della domanda corporate(ove Dell è più competitiva) rispetto a quella
privata.
Saper prevedere per tempo che il vento sta mutando radicalmente direzione - ovve-
ro che il contesto è destinato a subire un cambiamento profondo con contraccolpi
potenziali pesanti per la propria impresa - è importante, perché permette (almeno
in linea di principio) di adeguare con tempestività il businessmodel al nuovo conte-
sto, ma spesso non è sufficiente a salvaguardare il valore dell'impresa. E questo è
tanto più vero quanto più elevato, e legato alla peculiarità del businessmodel, è il va-
lore dell'impresa.
La ragione è semplice: un valore alto (cfr. capitolo4) riflette differenziali di costo e/o di
attrattività elevati, che possono non essere replicabili nel nuovo contesto; non è in altre
5. La competizione I 247
Famosa a tale proposito la dichiarazione che nel 2007 fece provocatoriamente Arthur Sultzberger,
editore di uno dei più celebri quotidiani del mondo: "Fra cinque anni il New YorkTimes potrebbe
sparire dalle edicole. E non importa, perché ormai viviamo nell'era di Internet". Ma altrettanto in-
teressante, dopo che il successo dell'iPadaveva fatto sperare a molti editori di poter finalmente di-
sporre di un'edicolavirtualeattraverso cui vendere i propri giornali onlinee li aveva spinti a predi-
sporre format che agevolassero la lettura, la "doccia fredda" proveniente da Appie con la richiesta
del 30 per cento del valore di copertina (poi in parte rientrata a fronte della ribellione degli editori)
per distribuirei giornali onlinestessi.
La risalita non è però impossibile, come dimostrano i casi IBM (cfr. schema 2.2) e Ap-
pie (cfr. paragrafo1.4):casi ambedue ove però il recupero o addirittura l'incremento di
valore hanno richiesto la ricerca di nuove opportunità in settori attiguima diversi.
Vale la pena anche osservare che i problemi dell'impresa non sono gli stessi che han-
no i suoi azionisti con quote minori, quali tipicamente i fondi: che hanno la possibilità
di cedere facilmente i loro pacchetti ai primi "scricchiolii", con perdite rispetto ai mas-
simi tanto minori quanto più in anticipo si colgono gli "scricchiolii" stessi.
5.3Il portafoglio
di output
Due esempi sono quelli di Procter & Gamble (cfr. paragrafo1.1) e di Unil~ver. Quest'ultima,
come P&G operante su scala mondiale, ha fatturato nel 2010 più di 44 miliardi di€ e ne vale
in borsa circa 67. Ha nel suo portafoglio prodotti una molteplicità di beni di consumo im-
mediato - principalmente alimentari, detersivi e prodotti per la toeletta - che rispondono a
bisogni diversi, ma che hanno come principali clienti ultimi le famiglie e che transitano in
misura significativa attraverso il canale della grande distribuzione. I brand con un fatturato
annuo superiore a 1 miliardo di€ sono 12: Axe/L)TIX, Blue Band, Dove, Becel/Flora, Heart-
brand ice creams, Hellmann 's, Knorr, Lipton, Lux, Omo, Rexona e Sunsilk.
Un esempio per certi versi similare è quello di LVMH (più di 20 miliardi di€ di fatturato nel
2010 con una capitalizzazione prossima ai 60), che ha nel suo portafoglio prodotti beni di
consumo - nella moda in generale, nei vini, nei superalcolici e nei profumi - che, pur
rispondendo a bisogni apparentemente diversi, risultano accomunati dal fatto di soddisfare
la domanda di lusso da parte dei loro principali clienti ultimi, anche in questo caso le
2.000
1.800
1.600
1.400
1.200
Fonte:Financia/Times.
5. La competizione I 249
120
100
80
60
40
Fonte:FinancialTimes.
famiglie. "LVMHis a France-based luxury goods company (dal breve prospetto della società
fornito dal Financial Times). The Company uwns a portfolio of luxury brands and its business
activities are divided into five business groups: Wines and Spirits, Perfumes and Cosmetics,
Watches and Jewelry, Fashion and Leather Goods, and Selective Retailing. The activities of
the wines and spirits sector include che Champagne and Wines branch, and the Cognac and
Spirits branch. LVMH is present in the perfume and cosmetics sector with the French Hous-
es Christian Dior, Guerlain, Givenchy and Kenzo brands. The Fashion and Leather Goods
business group includes Louis Vuitton, Donna Karan, Fendi, Loewe, Celine, Kenzo, Marcja-
cobs, Givenchy, Thomas Pink, Pucci and Berluti. Watches andjewelry se1ls products, such as
TAG Heuer, Hublot, Zenith, Dior Watches, Chaumet, Fred and De Beers. The Selective Re-
tailing businesses operate in two segments: travel retail and the selective retail concepts rep-
resented by Sephora and Le Bon Marché".
colarmente "felici" di un suo business durante il boom della new economy- da un portafoglio
focalizzato sul tradizionale business dell'editoria a uno congf,omerak. Arrivato nel 2003 a 6,3 mi-
liardi di€ di ricavi, quasi 4 dei quali costituti dai premi di Toro Assicurazione (acquisita da Fiat
e ceduta poi ad Assicurazioni Generali), il gruppo- che ha realizzato ricavi pari a 4,32 miliar-
di di€ nel 2010- si autodefinisce "una holding di partecipazioni presente in diversi settori in-
dustriali e nel settore finanziario". È presente nell'editoria con De Agostini Editore, nelle atti-
vità mediae communicationcon DeAgostini Communications (Zodiac Media, Antena 3 de Tele-
visi6n ecc.), nei gfochie_servizicon Lottomatica (che con l'acquisizione nel 2006 della statuni-
tense Gtech è diventata il più grande player mondiale nelle lotterie, giochi e servizi) e nelle at-
tività.finanziariecon DeA Capi tal (partecipazioni e fondi di privat.eequity).
Il gruppo Fiat (cfr. schema1.4) ha percorso invece un cammino inverso in due fasi successive:
nella prima tornando, a seguito dell'alienazione delle attività non core,alla sua originale foca-
lizzazione automotoristica;nella seconda, come visto, separando il business automobilistico
dalle altre attività attraverso lo scorporo di Fiat Industriai (veicoli industriali, macchine per
l'agricoltura e per le costruzioni).
I casi visti in precedenza - Fiat, De Agostini, LVMHe U nilever - sono rutti caratterizzati dalla
presenza in una molteplicità di aree geo-politiche: con differenze anche molto significative
però, per ciascuna impresa, nella diffusione internazionale dei diversi prodotti facenti capo
al suo portafoglio.
5.4 L'integrazione
verticalee il ricorsoall'outsourcing
I prodotti che l'impresa pone sul 1nercato - beni fisici e/ o servizi ed eventuali
servizi complementari- possono essere realizzati, se si considerano i due casi
estremi:
• prevalentemente all'interno del perimetrodell'impresa stessa, o
• con un ricorso quasi integrale all' outsourcing.
Nel primo caso si parla di impresa a integrazioneverticalemolto elevata.
Nel secondo caso si tende alla cosiddetta lwllaw corporation- all'impresa vu~
ta - che si riserva al limite i soli ruoli di cervelwe di cassaforte,mentre delega
tutte le altre attività all'esterno.
Le situazioni reali si collocano all'interno di questi due estremi, con una
tendenza accentuatasi nel tempo (cfr. sottoparagrafo2.1.2) a fare in casa solo le
attività ove si è più bravi o che è rischioso delegare e a ricorrere all' outsourci.ng
o a forme misteper tutte le altre.
Gli esempi di forme mist.epossono essere di natura varia. Vi può essere la centralizzazione a li-
vello di gruppo delle attività intermediein precedenza incorporate nelle diverse società e/ o
divisioni del gruppo stesso, con la nascita di unità e/ o società ad hoc che soddisfano soltanto
~ee~igen_zeinte~ne. È quanto avviene nel gruppo Eni (cfr. schemi1.3 e 3.2). È quanto awiene
m d1vers1grandi gruppi bancari, che concentrano in apposite società i servizi informatici: co-
me tappa in taluni ca.o,;i
di un processo che porta alla cessione delle stesse ·a "specialisti" del
settore (IBM, HP ecc.), a fronte di contratti di fornitura in outsourringa medio termine.
5. La competizione I 251
Vi può essere una situazione simile, ma in cui viene chiesto alle società intermediedi operare
anche sul mercato esterno: per:-all.eggerire__
i costi del gruppo e/ o per mantenersi competitive
e/o per far crescere un nuovo business. E quanto avvenuto ad esempio nel gruppo Fiat (cfr.
schema 1.3): storicamente con le società produttrici di componenti o di sistemi di produzione
(Magneti Marelli, Comau ecc.); più recentemente, prima della separazione del gruppo in
due tronconi all'inizio del 2011, con la concentrazione in Powertrain delle produzioni di
motori, attraverso lo scorporo dalle società in cui erano precedentemente inserite (Fiat Au-
to, Iveco, CNH ecc.) e con la sottoscrizione di importanti accordi di fornitura ad altre case.
Oppure si possono trasformare le società intennediein joint venture con "specialisti" del setto-
re, invece che cederle integralmente a questi ultimi: come nel caso della joint venture Global
Value tra Fiat e IBM nelle Infonnation & Communication Technologi,es, poi confluita in IBM,
creata con l'idea di servire non solo il mercato captiveinterno, ma anche di sfruttare le estese
relazioni di Fiat (fornitori, concessionari ecc.) per allargare il proprio raggio di azione.
Il ricorso ali' outsourcing- specularmente a quanto accade per ciò che l'impre-
sa vende - può riguardare, a un estremo, prodotti con caratteristiche stan-
dard: per cui esistono mercati strutturati e quindi prezzi di mercato ben defi-
niti (owiamente variabili nel te1npo e in rapporto alle quantità e alle condi-
zioni di fornitura).
Esso può riguardare invece, all'altro estremo, beni e/ o servizi ad hoc: che
devono essere concepiti sulla base di esigenze che l'impresa stessa ha (e che
talora inizialmente non riesce nemmeno a definire con precisione), che pos-
sono richiedere per la produzione investimenti anch'essi ad hoc da parte dei
fornitori, che possono prevedere un orizzonte temporale di fornitura lungo
(addirittura pluriennale) e che necessitano conseguentemente di un'organiz-
zazione del rapporto molto più complessa.
Esso risulta spesso nei primi casi una sceltaobbligataper l'impresa, mentre è
molto più discrezionalenei secondi.
Sarebbe ad esempio impensabile, per un 'impresa che operi al di fuori del comparto energe-
tico, non ricorrere a un fornitore esterno per il gasolio o per il metano. Così come sino a po-
chi anni addietro rappresenta una scelta obbligata il ricorso all'esterno per l'energia elettri-
ca, a meno che l'impresa non avesse un'attività produttiva così energi,vorada rendere conve-
niente un'autoproduzione o fosse spinta in tale direzione dalla necessità di ridurre gli scari-
chi nell'ambiente (nel comparto chimico piuttosto che nella raffinazione del petrolio) o dal-
la grande disponibilità di residui di lavorazione: una situazione profondamente cambiata in
presenza dei ricchiincentivi messi a disposizione dallo Stato (cfr. schema2.10), con un conse-
guente aumento della discrezionalità.
La decisione invece nel comparto automobilistico se fare in casa determinati componenti,
ammesso che le esigenze di scala lo permettano (circostanza che non si verifica ad esempio
per i pneumatici), è di natura più discrezionale. Così come discrezionale è la decisione se ge-
stire all'interno la logistica, piuttosto che la manutenzione degli impianti o l'amministrazio-
ne, o se affidarsi all'esterno.
Al crescere del ricorso ali' outsourcing, soprattutto ove esso comporta una com-
plessità dei rapporti elevata, cresce la necessità di attivit:ì di coordinamento
con i fornitori esterni volte a simu/,areun funzionamento della filiera analogo a
quello che si avrebbe mantenendo le diverse attività all'interno dell'impresa.
Più sono elevate poi le prestazioni che si richiedono ali' output e di conse-
252 j L'IMPRESA: eu OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
guenza alla filiera - in termini di tempestività nella risposta alle richieste dei
clienti, in termini di qualità intrinseca e di conformità ecc. - più si evidenzia
la necessità di un'organizzazione anche per processi:
• trasversalerispetto all'impresa e a tutte quelle collocate a montelungo la fi-
liera;
• eventualmente prolungata nella stessa logica anche a valle, verso i clienti
finali;
• trasversalerispetto alle singole unità organizzative in cui si articolano tut-
te le imprese della filiera, se omogenee per attività.
I processirilevanti per l'impresa possono essere di varia natura, e qui ne verranno richiamati a
titolo di esempio i due forse più importanti (se non altro per consistenza e frequenza), in re-
lazione ancora - data la sua grande complessità- all'industria automobilistica.
Il primo processo parte dall'ordine del cliente, che sceglie fra le diverse opzioni prospettate
dalla casa automobilistica (relativamente al modello, alla motorizzazione, al tipo di cambio, al
colore, alle tappezzerie interne ecc.), e si chiude con la consegna: coinvolgendo le attività di
vendita (sino ai concessionari) e quelle produttiverlogistiche, interne all'impresa e a monte,
in termini sia fisici sia amministrativi.La necessità di rispondere in tempi predeterminati ali' or-
dine e quella affermatasi nel tempo di tenere ai livelli minimi le scorte (sia in chiave di conte-
nimento del capitale circolante sia di possibilità di garantire una varietà _ampia di scelte), ac-
coppiata alla molteplicità delle imprese che concorrono al prodotto finale, rendono particer
larmente critica l'organizzazione - usualmente denominata just-in-tim11-del processo stesso.
Il secondo processo riguarda la realizzazione di un nuovo modello. Esso comporta: la proget-
tazione,sulla base del targetdi clienti e bisogni che si vuole servire e delle potenzialità offerte
dalla tecnologia a livello di processo produttivo, prodotto e assistenza post-vendita; l' ingegne-
rizzazione(intesa in senso lato), la predisposizione cioè di tutte le attreuature e del software
necessari per la produzione di serie (presso la casa automobilistica e presso i fornitori) e per
la commercializzazione (presso i concessionari); l'individuazione dell'immagine che si vuole
conferire al nuovo prodotto e la predisposizione delle campagne pubblicitarie e della logica
di comunicazione.
La necessità di contenere i tempi necessari per l'intera operazione (che sino a vent'anni or
sono prendeva circa sei anni) e di sfruttare non solo le competenze della c~ automobilisti-
ca, ma anche quelle dei fornitori in grado di contribuire con idee innovative alla messa a
punto di un prodotto competitivo, ha portato ad esempio in questo campo negli anni '80 al-
l'adozione del cosiddetto concurrentengineering:a far entrare in gioco cioè sin dall'inizio del-
la fase di progettazione i fornitori considerati strategiciai fini del risultato finale, simulando il
comportamento di un'impresa integrata verticalmente.
Vi sono diverse ragioni che spingono nella direzione dell' outsourcing,o alme-
no verso forme miste, e quindi verso la riduzione del grado di integrazione a
monte dell'impresa.
Vi è il timore che il senso di sicurezzaderivante dal disporre di un mercato
assicurato a priori - captive- riduca la propensione al miglioramento conti-
nuo e all'innovazione di chi opera come fornitore interno. Che la consistenza
del mercato interno possa essere o diventare insufficiente a garantire le econo-
mie di scala e di apprendimento di cui dispongono i produttori esterni, quan-
do tali economie giocano o rischiano di giocare un ruolo rilevante. Che l' en-
trata o la permanenza di risorse umane pregiate (i cosiddetti talenti) in attività
per loro natura non core- non centralicioè e proprio per tale motivo potenzia!-
5. La competizione I 253
A tale proposito sono molteplici i casi di imprese che - avendo intrapreso la strada dell' out-
sourcing in una fase bassa del ciclo economico, allettate da condizioni di approvvigionamen-
to esterno particolarmente favorevoli per la presenza di un eccesso di offerta - sono dovute
ritornare poi sui loro passi a fronte delle difficoltà insorte nella fase espansiva del ciclo, al ri-
baltarsi del rapporto fra domanda e offerta.
5.5Leattività
o
-e svil~ppo delle tecnologie
~o
·s: o..
·- o..
tC'O VI
:::l
QJ
,l"O ·-
+" ....
·- C'O logistica in operations logistica in marketing
.:::: E
t--
C'O .... entrata uscita e vendite
o..
base del contributoche esse danno a tale realizzazione, a prescindere dalla loro
natura intrinseca.
Questo per poter effettuare una comparazionepiù fine fra i diversi competitari
(a scopo di analisi e/ o come premessa a possibili interventi), che:
• possono impostare le attività stesse in modo simile o diverso, in funzione
del loro business model generale e specifico: in particolare in funzione
della struttura del portafoglio di output, delle scelte di collocazione sul
mercato e delle peculiarità dei prodotti, dell'assetto tecnologico-organiz-
zativo, del grado di ricorso all' outsourcing,della dimensione generale e di
quella relativa allo specifico business;
• possono presentare un funzionamento effettivodelle attività a priori diver-
so, anche a parità di impostazionedelle stesse, con ricadute differenzialiim-
portanti sul costoe/ o sull' attrattività dei prodotti e conseguentemente
sulla posizione competitiva e sulla capacità di creare valore.
Lo schema standard qui presentato per la classificazione· delle attività sulla ba-
se del loro contributo alla realizzazione dell' 01.,tput- riferito per semplicità a
un'impresa con un output estremamente focalizzato - riprende sostanzial-
mente, seppur con qualche variazione, lo schema ormai classico proposto da
Porter nell'ambito del modello della catena del valme (figura 5. 4).
Esso distingue al livello più alto, seppur con confini (come meglio si vedrà
nel seguito) non sempre così netti:
• le attività primarie:tutte quelle direttamente e correntemente volte a ren-
dere disponibile l'output sul mercato; e
• le attività di supporto:tutte quelle volte a creare le condizioni correnti per-
ché le attività primarie possano funzionare al meglio o a predisporre il
futuro dell'impresa (a livello di output e di assetto tecnologico-organiz-
zativo).
5. La competizione I 255
La classificazione delle attività sulla base del loro contributo all'output può trovarsi talora in
rotta di collisione con la natura intrinseca delle attività stesse: come può essere evidenziato at-
traverso due esempi.
L'attività di vendita, classificabile come tale sulla base della sua natura intrinseca, rientra
ad esempio fra le attività di gestione del mercato per un'impresa che abbia come output un
oggetto materiale, quale l'automobile o il PC, o immateriale, quale un viaggio o una con-
sulenza.
Entra invece nella categoria delle attività di produzione se l'output dell'impresa è costituito
da servizi di vendita per imprese (industriali e di servizi) che non dispongano di una rete pro-
pria in un determinato territorio: l'attività di vendita riferita all'output, in questo secondo ca-
so, essendo quella di trovare clienti che acquistino i prodotti dell'impresa, ovvero i servizi di
vendita. 1
L'attività di manutenzione degli impianti, classificabile come tale sulla base della sua natura
intrinseca, rientra fra le attività di supporto per un'impresa meccanica o chimica che la ten-
ga al suo interno; entra invece nella categoria delle attività di produzione per un'impresa che
fornisca in outsourcingil servizio stesso a chi ha gli impianti.
256 / L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
L'esempio più estremo si ha nella moda, ove è strutturale introdurre almeno due nuove col-
lezioni all'anno. Ma anche nell' automobde (cfr. paragrafo 5.1), ove la vita dei modelli è più lun-
ga, è connaturato con la competizione - e quindi in un certo senso primario- procedere pe-
riodicamente al loro rinnovo. La bravura nel progettare le nuove collezioni o i nuovi model-
li di auto può rappresentare peraltro (seppur con uno sfa~amento temporale degli effetti so-
prattutto nel secondo caso) una delle principali sorgenti di differenziali COJ?petitivi, di at-
trattività ma anche di costo.
La condivisione di un impianto o di una rete commerciale fra due o più unità di business
permette nell'uno e nell'altro caso di operare su una scala più elevata e quindi di godere dei
vantaggi - in termini di costi ma anche di prestazioni - che essa solitamente assicura. Può
creare però anche problemi, di varia natura e a livelli diversi. Nel funzionamento corrente:
può nascere ad esempio uno squilibrio nella cura dedicata ai diversi prodotti (in funzione
della facilità di vendita, dei margini ecc.) dalla rete commerciale. A livello di unità di busi-
ness coinvolte: per cui può diventare proibitivo un cambiamento di tecnologia, perché por-
terebbe a una più difficile saturazione della capacità dell'impianto e quindi a un più lungo
ammortamento, o un cambiamento nelle modalità di vendita, perché potrebbe mettere in
crisi la rete commerciale (soprattutto se soggetta a vincoli di dimensione minima in connes-
sione con l'estensione e l'articolazione del territorio). Al livello corporate:che per le stesse ra-
gioni può essere vincolato nelle scelte di portafoglio, non potendo ad esempio alienare
un'unità senza scaricare maggiori costi sulle altre.
geneità sia a livello di clienti, bisogni e canali che fra attività omologhe a diversa
localizzazione: a causa da un lato delle peculiarità nei modi di vita e nei gusti e
delle differenze nelle capacità di spesa; a causa dall'altro dei divari anche
profondi nelle competenze e costi delle risorse umane e nelle infrastruttura-
zioni dei territori, nonché nelle leggi e norme e nel loro concreto rispetto.
5.6 I differenziali
competitivi
dizioni di razionalità limitata (ridotta conoscenza, scarsa prevedibilità ecc.); in cui la bravura
dei competitori si rivela spesso più quella di saper cogliere le opportunità generatesi quasi
per caso che non quella di saperle generare.
A fronte ad esempio di una diversa collocazione di mercato (in termini di clienti e bisogni da
privilegiare) e di prodotti con peculiarità che riflettono tale collocazione, le differenzeche si
riscontrano nell'infrastrutturazione e organizzazione della medesima attività (produzione,
yendita ecc.) in imprese diverse possono essere altrettanto (se non più) .figliedella differente
finalizzazione - delle peculiarità che devono contribuire a conferire ai prodotti e delle carat-
teristiche dei mercati in cui tali prodotti devono essere collocati - che frutto di scelte discre-
zionali differenti da parte delle imprese stesse.
Analogamente, a fronte di una diversa composizione di portafoglio, fa medesima attività
(produzione, vendita ecc.) può essere concepita in maniera differente: per forza di cose a sé
stante nell'impresa monobusiness,orientata (in misura più o meno elevata) allo sfruttamento
delle possibili sinergi,enell'impresa multibusiness.
L'assetto giuridico dell'impresa e la tipologia dei soci (privati, banche, gruppi finanzia-
ri, fondi di investimento o pensionistici, fondi di privateequityecc.), il fatto che essa
sia o meno quotata sul mercato borsistico e abbia quindi accesso o meno a tale mer-
cato per le sue esigenze finanziarie, le modalità di finanziamento che essa utilizza e il
costo medio del capitale conseguente, il ricorso più o meno ampio alla cosiddetta le-
vafinanziaria(al possibile sfruttamento cioè della capacità di far rendere il capitale
preso a prestito più del suo costo), impattano sulla profittabilità e sulle potenzialità di
crescita dell'impresa stessa e possono essere all'origine di d!fferenziali competitivian-
che rilevanti.
L'appendice /.1, scritta da Marco Giorgino, affronta sinteticamente due grandi tematiche:
• le scelte di fondo di capitairaisingda parte dell'impresa: le scelte cioè che l'impre-
sa stessa fa, in connessione con il suo progetto strategico e/o come precondizio-
ne alla sua attuazione, per conseguire la composizione ottimale delle fonti di fi-
nanziamento, la composizione cioè in grado di minimizzareil costomedioponde-
ratodel capitale investito;
• i principali strumentidifinanziamentoa disposizione dell'impresa: creditizi(aper-
ture di credito in conto corrente, mutui, prestiti sindacati, leasing e factoring} e
mobiliari(aumenti di capitale e prestiti obbligazionari).
5. La competizione I 261
Tra le nonlinearità vanno citate le ben note economiedi scala, che comportano costi unitari de-
crescenti al crescere delle dimensioni e che conferiscono coettmsparibus un vantaggio struttu-
rale potenzialmente permanente a chi è riuscito a diventare grande rispetto a chi è rimasto
262 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
piccolo o a chi vorrebbe entrare nel comparto: superabile solo in presenza di innovazioni o
di cambiamenti significativi nel contesto (nelle caratteristiche della domanda, nei prezzi re-
lativi ecc.).
Il fatto d'altra parte che il forte rimanga forte (o addirittura lo diventi ancor più) e che lo
stesso awenga per il debole è una prova della natura dinamica dei fenomeni che caratterizza-
no l'economia, e in particolare dell'importanza dell'inerzia e dell'irreversibilità:inerzia signifi-
ca che il sistema tende a mantenere il suo stato in assenza di forze nuove che entrino in gio-
co; irreversibilità significa che spesso non si può tornare indietro senza pagare pegno, e nella
fattispecie che chi non si è mosso in tempo per diventare grande deve affrontare poi costi
molto maggiori per cercare di recuperare il distacco.
La generazione di asimmetrie nell'accesso- al mercato o a risorse e competenze critiche - è
un'altra delle vie che le imprese (soprattutto se grandi) usualmente seguono per ridurre il
grado di concorrenza:
• attraverso il wbbying,facendo approvare leggi o normative a loro favore (ad esempio bar-
riere tariffarie o standard ambientali particolarmente stringenti per difendersi dalle im-
portazioni a basso costo);
• attraverso I' R&.D ( research& devewpment), mettendo a punto know-how esclusivi di prodot-
to e/ o di processo che possono (se adeguatamente protetti, ove possibile con il ricorso
allo strumento brevettuale) rappresentare una barriera insuperabile per i competitori e
per i potenziali entranti;
• attraverso la pubblicità e la comunicazione,creando brand che sfruttino l'inerzia tipica dei
comportamenti di acquisto dei consumatori.
Lo stretchspiega infine come la grande variabilità nel rendimento (in senso lato) delle risorse
umane possa essere usata, da un management capace di indicare obiettivi e di motivare le
persone al loro raggiungimento, a rovesciamenti talora inattesi nei rapporti di forza: Praha-
lad e Hamel hanno dimostrato nei loro lavori 6 come lo stretchsia alla base del decollo di mol-
te imprese - di nascita relativamente recente - che raggiumgono posizioni di vertice nella
classifica mondiale.
6. C.K. Prahalad e G. Hamel, 'The core competence of the corporation ", HaruardBusinessReuiew,n.
3, 1990; G. Hamel e C.K. Prahalad, Compningforthefutu re,Har\"ard Business Press, Boston 1994.
5. La competizione I 263
La lista si differenzia da quella di Porter per l'introduzione esplicitadel quarto e del quinto
fattore - relativi alle risorse "critiche" materiali e immateriali a disposizione (know-how, im-
magine ecc.), con le loro penùiarità legate anche al momento in cui sono state formate o ac-
quisite (timing), e le risorse umane, con la loro qualità e impegno individuale e collettivo - e
l'esclusione del timing (che traduce la rilevanza in generale che può avere il momento in cui
una certa decisione è stata presa o una certa azione è stata compiuta), incorporato negli altri
fattori (in particolare nel quarto).
I differenziali di costo relativi a una specifica attività (la produzione, la vendita ecc.), ad
esempio, risultano in diversi casi riconducibili più a scelte di sistema (ad esempio quella di
che cosa fare in casa e che cosa fuon), con le loro ricadute sull'infrastrutturazione e organiz-
zazione dell'attività in oggetto, che non a scelte e peculiarità specifiche.
D'altro canto una specifica scelta - quella ad esempio di ricorrere all' outsourcingper un com-
ponente (il navigatore o l'iniezione elettronica per l'automobile) - può essere il frutto del
gioco delle economie di scala, che ne sconsigliano la produzione in casa in presenza di un bi-
sogno quantitativamente ridotto.
Un'impresa ad esempio che scelga di dare un forte rilievo alla marca e/o all'immagine, per
connotare i prodotti presso i clienti e/ o per connotare se stessa presso gli stakehol,der,deve
strutturare coerentemente (anche con il ricorso all' outsourcing)1l'attività che presiede alla
politica stessa di marca e/ o di immagine: attraverso la pubblicità sui diversi media o con l 'or-
ganizzazione di eventi: quali furono ad esempio il restauro della facciata di San Pietro in Va-
ticano per Eni o il restauro de L'ultima cena di Leonardo a Milano per Olivetti e quale è an-
264 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
nualmente la predisposizione del Calendario Arelli. Il disporre o meno di una marca e/o di
un'immagineforte rappresenta d'altra parte in molti casi la discriminante per le scelte di mer-
cato-prodotto: per il produttore di beni di largo consumo ad esempio, come evidenziato in
precedenza, che deve decidere se rivolgersi direttamente al consumatore finale o se operare
come subfornitore delle marche proprie della grande distribuzione.
L'uso della medesima rete di vendita e della medesima marca per prodotti diversi permette
ad esempio di strutturare la rete su una scala più elevata e di disporre di una base più ampia
di prodotti su cui spalmare gli investimenti pubblicitari: è il caso di Barilla, che sotto l'om-
brello del Mulino Bianco vende nel contempo biscotti e sostituti del pane (grissini, fette bi-
scottate ecc.). Ma Barilla decise all'epoca - con successo -- di entrare nei business dei sostitu-
ti del pane, ciascuno dei quali già ampiamente presidiato, proprio in virtù delle sinergie che
poteva sfruttare per rovesciare gli equilibri esistenti.
5.7I margini
Nel suo sforzo orientato (aln1eno in linea di principio) alla creazione di valo-
re, l'impresa non trova sulla sua strada solo i competitori diretti sull'output-
quelli che vendono prodotti analoghi o simili ai suoi - e non ha come unico
obiettivo la creazione di differenziali di costo e/ o di attrattività rispetto a essi.
L'impresa spesso deve battersianche con i competitori indiretti: quelli (se vi so-
no) che vendono prodotti sostitutivivolti a soddisfare bisogni analoghi o simili.
Essa inoltre deve comunque battersiper:
• tenere elevati in termini assoluti,al di là delle differenze con i competito-
ridiretti, i margi,niunitari (ossia le differenze fra prezzi e costi unitari), e
• favorire, al di là dei proble1ni di spartizione delle quote con i competitori
diretti, lo sviluppo della domanda e quindi i volumi complessivi di vendita.
In questa "guerra" si ha una sorta di rovesciamento di fronte fra nemici e amici.
Nel senso che l'impresa si trova ad avere interessi allineati da molti punti di
vista a quelli dei suoi competitori diretti, compreso quello di sbarrare l'acces-
so a nuovi entranti, e solitamente ottiene risultati tanto migliori quanto meno
aspra è la modalità con cui si svolge la competizione.
5. La competizione I 265
Nel senso che l'impresa si trova viceversa ad avere interessi almeno in parte
contrapposti,dal punto di vista dei margi,ni,a quelli degli attori economici per
cui realizza l'output o con cui coopera nella realizzazione dell'output, e specifi-
camente:
• i clienti (famiglie, altre imprese, pubblica amministrazione): in relazione
ai prezzi di vendita, alla qualità in senso lato dei prodotti e al livello di
serV1z10;
• i fornitori di beni e servizi: in relazione ai prezzi e alle condizioni contrat-
tuali (qualità di conformità dei prodotti, tempi di fornitura ecc.);
• le risarseumane che operano nell'impresa, ai diversi livelli e con le diverse
responsabilità: in relazione alle remunerazioni e alle modalità di impegno;
• il sistema bancari~finanziario: in relazione ai livelli dei tassi di interesse e
alle condizioni di erogazione di capitale di debito.
Così come può avere interessi almeno in parte contrappostia quelli delle collet-
tività e dei territori in cui opera: in relazione al trattamento fiscale, ai vincoli
legislativi in tema di ambiente e sicurezza, e così via.
L'osservazione della realtà mostra (e se ne è già fatto cenno in precedenza)
che esistono comparti ove tutti i competitori vanno bene- ovviamente chi più e
chi meno, in funzione del gioco dei differenziali - con combinazioni positive
di profittabilità e crescita e quindi buona capacità di creare valore. E che esi-
stono altresì comparti ove anche il competitore in assoluto più bravopresenta
combinazioni di profittabilità e crescita modesterispetto alla media dell'econo-
mia e ove tale situazione non ha carattere contingente, ma tende a perdurare
nel tempo.
Un'area di businessrisulta cioè mediamente più o meno attraenteper chi ha
investito capitali, rispetto alla media dell'economia,in funzione della capacità di
creare valore delle imprese che operano al suo interno. Si può fornire una
misura di questo fenomeno introducendo il concetto di differenziai.edi attratti-
vità dell'area di business rispetto alla media dell'economia: concetto tanto più
significativo quanto più l'area stessa risulta omogenea al suo interno e con
competitori monobusiness.
Un livello di competizione ridottoviene visto in quest'ottica come un fatto positivo per le im-
prese, che cercano infatti usualmente - soprattutto se grandi e consolidate - di spingere nei
limiti del possibile in tale direzione. Esso presenta però importanti controindicazioni, dal
punto di vista della società e talora della stessa capacità di sopranivenza delle imprese nel
lungo termine.
La società vede nella competizione uno stimolo estremamente importante all'innovazione e
la garanzia migliore contro la formazione di posizioni di pura rendita: da cui la spinta nei
paesi evoluti a cercare di rimuovere, anche attraverso strumenti legislativi antitrust (peraltro
in perpetua ridefinizione), ogni elemento che possa ridurla eccessi\ clIIlen te.
Ma anche per le imprese un grado di competizione molto ridotto, ovviamente vantaggioso a
breve, può essere strutturalmente negativo. Può avere in particolare su di esse un effetto s<>-
poriferoe ridurne progressivamente la capacitàdi reauone,sino a esporle al rischio di morte a
fronte di capovolgimenti improvvisi: quali quelli legati a innovazioni maturate in altri com-
parti o a riassestamenti dei confini dei mercati su scala geo-politica. Anche se è vero, ed è la
linea di difesa delle imprese, che un grado di competizione esasperatopuò far mancare le ri-
sorse necessarie per la crescita quantitativa e qualitativa e per la stessa innovazione.
Fornitori
Potere contrattuale__-.
Minaccia di
prodotti
sostitutivi
Concorrenti
diretti
Competitori
C~mpetit?ri
potenziali indiretti
!
Minaccia di
nuove entrate
Asprezza del confronto
interno
Potere contrattuale
Clienti
loro entrata potrebbe provocare; ma anche per i costi e per i vincoli che
l'erezione di barriere di difesa può comportare;
• l'asprezza del confronto interno: per l'effetto di depressione dei prezzi e/ o
di incremento dei costi (a fronte di prestazioni più elevate dei prodotti
offerti) che essa può provocare;
• il potere contrattual,e nei riguardi dei clienti e deifornitori (in senso lato): che
definisce i termini degli scambi, dal punto di vista dei prezzi e delle ca-
ratteristiche delle transazioni, e quindi la ripartizione dei margini fra i
diversi attori della filiera (ivi compresi i clienti finali della filiera stessa).
L'effetto della presenza di competitori indiretti (già oggetto della nostra analisi),
con i loro prodotti sostitutivi, non merita ulteriori commenti. È ovvio che i pe-
ricoli maggiori, per l'area di business, si hanno in presenza di prodotti sostituti-
vi innovativi, passibili di ulteriori miglioramenti nelle prestazioni e di ulteriori
cali nei prezzi (a fronte ad esempio degli incrementi nella scala di produzio-
ne): sino alla morte dell'area di business stessa o a un suo ridimensionamento
profondo. È ovvio, di converso, che se è l'area di busihess in oggetto a essere
sorta per proporre prodotti nuovi in sostituzione di quelli tradizionali e con-
268 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
solidati, sono gli acquirenti dei prodotti sostitutivi che diventano riserva di cac-
cia per le imprese dell'area.
L'esistenza di competitoripotenziali credibili può essere ricondotta alla pre-
senza o meno di barriereche proteggano l'area di business,inibendo o renden-
do costosa e incerta nel risultato l'entrata. E le barriere a loro volta hanno in
larga misura origine dagli stessi fattori - se rilevanti - che sono alla base dei
differenziali di costo e/ o attrattività fra i competitori diretti: scala, esperienza
accumulata, risorse "critiche" materiali e immateriali, localizzazione, fattori
istituzionali, sinergie di portafoglio.
La rilevanza delle economie di scala e delle economie di apprendimento,
come si vedrà nel seguito, rende difficile la vita a chi vuole entrare con una di-
mensione ridotta e in ritardo. La rilevanza del know-how o dell'immagine nel-
l'ambito della competizione interna si traduce anch'essa in un ostacolo talora
insormontabile per chi debba costruirsi da zero un suo know-how o una sua
immagine solo per poter iniziare a competere. Così come l'esistenza di stan-
dard proprietari o di accessi riservati a determinate risorse o di localizzazioni
riservate crea differenze all'interno, ma anche protezione ri•spetto all'esterno.
L'area di businessrisulta ancora più protetta se i potenziali entranti sono sco-
raggiati a tentare l'avventura dalla tradizione di rispostedure da parte delle im-
prese dell'area: risposte che usualmente si concretizzano in incren1enti consi-
stenti dell'offerta, con l'utilizzo di capacità lasciate volutamente insature, e pa-
rallele riduzioni temporanee dei prezzi, per togliere spazi di mercato ai nuovi
entranti proprio nel momento della loro maggiore esposizione finanziaria (a
causa degli investimenti fatti per entrare nell'area) e quindi della loro mag-
giore necessità di fare fatturato.
L'asprezza del confrontointerno risente anch'essa dell'importanza della scala,
piuttosto che del know-how e dell'immagine o dell'esistenza di standard pro-
prietari o accessi e localizzazioni riservate: nel senso che, coeterisparibus, essa è
tanto più elevata quanto maggiore è la numerosità dei competitori di scala si-
mile e minore la differenziazione nella loro offerta. Se viceversa i competitori
sono pochi e la loro offerta ben identificabile,il confronto solitamente si svolge
più su altre caratteristiche dell'offerta che non sui prezzi: data la non conve-
nienza dei competitori stessi a combattersi su un fronte - quello dei prezzi -
che potrebbe comportare una riduzione generalizzata dei margini.
A favore di una maggiore asprezza possono giocare però altri fattori, fra cui:
• la bassa crescitadel/,adomanda, soprattutto se a fronte di aspettative diver-
se, o addirittura la sua stagnazione o declino;
• il liveUoelevatodei costifissi o dei costidi stoccaggi,o
dei prodotti o l'elevata de-
peribilitàdegli stessi, che spingono strutturalmente verso un abbassamen-
to medio dei prezzi di vendita; piuttosto che il grado mediamente basso di
saturazione di talune risorse (tipicamente gli impianti di produzione)
quando non siano possibili incrementi graduali delle capacità, che ha un
effetto del tutto analogo;
5. La competizione I 269
5.8 I principalifattoriallabasedeidifferenziali
competitivie dei margini
cato a imprese di dimensioni minori, che riescano a farsi pagare di più le prestazioni ad hoc o
che abbiano pretese minori (anche per i costi di struttura più bassi).
Nel caso discusso relativo al comparto automobilistico, in cui l'atti,ità in oggetto è quella
produttivo-logistica e il modello tecnologico-organizzativo è quello basato sull'automazione
flessibile e sul principio del !,ego,
le soglie e gli effetti differenzianti possono essere meglio stu-
diati guardando separatamente alle sub-attivitàin cui può essere dRcompostal'attività produtti-
vo-logistica, e specificamente a:
• l'attività finale di assemblaggio mediante sistemi di automazione flessibile, per cui risulta
soprattutto rilevante la scala dei singoli stabilimenti;
• l'attività di produzione dei componenti (all'interno dell'impresa o in outsourcing), solita-
mente mediante sistemi di automazione rigida, per cui sono rilevanti le scale relative a
ciascun componente: sensibili, a parità di scala complessiva dell'impresa, all'applicazio-
ne più o meno spinta del principio del 'legoin sede di progettazione;
• la logistica (in entrata dalle aree di provenienza degli input~tra i diversi stabilimenti e ver-
so i mercati di sbocco), spesso determinante con i suoi costi nel limitare la concentrazio-
ne de~li stabilimenti e nel definire i confini dell'area territoriale rispetto a cui è oppor-
tuno impostare unitariamente l'attività produttivo-logistica: nel caso dell'auto quella
continentale.
5. La competizione I 273
La soglia di esclusione è determinata come detto sia dalla necessità che i singoli stabilimenti
operino su scala elevata, per non incorrere in costi unitari eccessivi nell'adottare l'automa-
zione flessibile, sia da quella che anche gli specifici componenti (seppur con criticità diverse
tra loro) siano realizzati su scala-elevata; mentre la logistica, in questo aiutata dalle differenze
esistenti a livello di domanda (che impattano negativamente sull'omogeneità e riducono le
possibilità di standardizzazione), definisce l'area continentale come la più opportuna cui ri-
ferirsi nel dimensionare l'attività produttivo-logistica e progettare la gamma di modelli. Il li-
vello elevato della soglia di esclusione, se parametrato alle dimensioni complessive del mer-
cato (continentale), fa sì che essa abbia un rilevante impatto ai fini della competizione.
La DOM viene raggiunta quando non si hanno possibilità di ulteriori miglioramenti, nell'ef-
ficienza e/o nell'efficacia dell'attività produttivo-logistica, né elevando le dimensioni dei sin-
goli stabilimenti né elevando le quantità omogeneedei componenti: anche se questo non si-
gnifica che non si possano ottenere vantaggi ulteriori di scala in altre attività, quali ad esem-
pio quelle di marketing, vendita e assistenza post-vendita (sensibili anche alla scala locale e
quindi alla distribuzione territoriale della domanda) o di ricerca e sviluppo (spesso viceversa
sensibili alla scala globale).
Nell'intervallo fra soglia di esclusione e DOM - in taluni casi esteso e in altri estremamente
limitato - la scala può giocare l'effetto differenziante illustrato in precedenza: conferendo
coeterisparibus vantaggi, nel costo o nell'attrattività, alle imprese di dimensioni maggiori (ov-
vero con quote più elevate) rispetto a quelle di dimensioni minori.
Se si rimane nel comparto automobilistico e si guarda all'attività di vendita e di assistenza
post-vendita- di solito portata avanti in Europa attraverso concessionari in esclusiva (a diffe-
renza degli Stati Uniti, ove sono prevalenti le strutture multi-marca) - anche per essa la scala
gioca un ruolo rilevante, sia dal punto di vista del costo che della bontà del servizio (e conse-
guentemente dell'attrattività), ma in una forma un po' diversa.
Vi è una soglia di scala minima, legata in questo caso a un'adeguata copertura del territorio,
che richiede (limitando la nostra attenzione al continente europeo) che in ogni paese e re-
gione vi sia una rete minima di concessionari e di officine specializzate che assicurino quella
vùinanz.a al clienteindispensabile alle vendite. Gli investimenti in gioco sono largamente infe-
riori a quelli relativi alla produzione, ma vi sono costi correnti di mantenimento della strut-
tura tali che più si scende al di sotto di una certa scala di vendite in un determinato paese o
regione più severi diventano i problemi di efficienza ma anche di efficacia: perché la rete
stessa tende a essere più rada, per non penalizzare troppo i ritorni dei singoli concessionari,
e perché a causa dei bassi ritorni è più difficile attrarre o mantenere i concessionari bravi.
Al crescere delle quantità e nell'ipotesi che gli squilibri territoriali non siano eccessivi, si ha
innanzitutto una saturazione della reteminima e poi una crescita delle risorse da mettere in
gioco - attraverso l'ampliamento delle infrastrutture dei concessionari e delle officine spe-
cializzate autorizzate o l'incremento del loro numero-cui corrispondono in generale un in-
cremento meno che proporzionale dei costi complessivi (e quindi una diminuzione dei costi
unitari) e un miglioramento della qualità del servizio: sino a una DOM oltre la quale i mi-
glioramenti tendono a essere sempre più modesti.
Se si passa a un comparto di servizi quale quello assicurativo e si guarda all'attività di vendi-
ta mediante agenti monomandatari, si ritrova una situazione simile a quella vista per l'auto-
mobile.
La scala societaria, se elevata in assoluto e nei singoli territori, permette di avere un numero
relativamente elevato di agenzie grandi: il numero elevato permette (con la bontà del servi-
zio) di mantenere elevata la scala delle vendite, fronteggiando i tentativi di erosione delle
stesse da parte dei competitori e le eventuali vogliedi entrata di nuovi competitori; la scala ele-
vata delle singole agenzie permette all'impresa (Generali piuttosto che Allianz) di contenere
la percentuale sulle vendite loro assegnata, garantendo comunque ritorni soddisfacenti e in
grado di attrarre o mantenere gli agenti bravi.
La scala può essere decisiva anche nel rendere o meno fattibili specifiche decisioni di rile-
vanza per l'impresa nel suo complesso. Acquisire ad esempio un'impresa 1competitrice, mes-
sa sul mercato per problemi di successione dell'imprenditore, può risultare infattibi,l,eper
un'impresa di scala minore e viceversa fattibil.eper quella di scala maggiore: con riflessi pe-
santi poi sugli assetti di mercato.
274 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
Q, DOM
La curva delle economie di scala descritta, che è quella che si trova più di frequente nei testi
di microeconomia, è finalizzata a evidenziare le alternative teoriche che si presentano a
un'impresa che debba decidere come strutturarsi. Essa ipotizza implicitamente che l'impre-
sa operi in effetti nel seguito in corrispondenza al livello di scala per cui è progettata o in
prossimità di esso, e che quindi non vi siano extracosti legati alla ridotta saturazione delle ri-
sorse messe in gioco. Essa ipotizza implicitamente che l'impresa abbia un funzionamento ef-
fettivo che non si discosti da quello previsto teoricamente in corrispondenza al modello
adottato e che lo abbia da subito, senza passare lungo la fase dell'apprendimento (con le re-
lative variazioni di costo).
Essa non tiene conto in generale - ma ve ne è la possibilità quando l'area di business in cui
l'impresa vuole entrare è già esistente e consolidata- del fatto che le imprese presenti nell'a-
rea stessa possono operare con modellidivenuti in talw1i casi almeno parzialmente obsoleti e
in altri non ripetibili: obsoleti, ad esempio, perché nel frattempo si sono rese disponibili tec-
nologie e/ o modalità di organizzazione più avanzate; non ripetibili perché i primi entranti
sono riusciti a far conoscere i loro prodotti e a consolidare le relative marche senza gli inve-
stimenti pubblicitari necessari a un nuovo entrante o perché hanno goduto di condizioni
particolarmente favorevoli (bassi prezzi degli impianti ecc.) per la loro infras.trutturazione o
perché hanno già concluso la fase di ammortamento contabile.
5. La competizione I 275
'
E sempre rilevante la scala ai.fini della competizione? Ha più impatto dal pun-
to di vista della competizione sull'output o di quella sui margi,nz?Come gioca-
no le nonlinearità, l'inerzia e l'irreversibilità, la limitazione agli accessi?
In termini estremamente sintetici si può affermare che l'effetto della scala,
in relazione a una (o a più) attività, è tanto più rilevante quanto più:
• l'attività stessa entra fra quelle di maggiore rilevanza strategica (in gergo
core),non delegabili ali' esterno;
• la soglia di esclusione e la DOM risultano elevate rispetto alla dimensio-
ne complessiva dell'area di business,con il triplice effetto di limitare il nu-
mero di competitori (in quanto possono restare in gara coeterisparibus so-
lo quelli che sono al di sopra della soglia di esclusione), creare differen-
ziali sostenibilidi costo e/ o di attrattività fra i competitori stessi e rendere
costosol'accesso ai potenziali nuovi entranti.
La nonlinearità sta alla base (come visto) della stessa esistenza delle soglie e dei
differenziali.L'asimmetria negli accessi,e specificamente la barriera ai nuovi en-
tranti, ne è una conseguenza. Così come lo è l'inerzia, owero la tendenza al
mantenimento dello status quo e quindi ali' irreversibilitàrispetto a quanto awe-
nuto nel passato, che nasce dal fatto che - in assenza di discontinuità sostan-
ziali e in assenza di operazioni finanziate al di fuori del business (vendite a
prezzi non remunerativi o investimenti pubblicitari straordinari per accresce-
re le quote di mercato ecc.) - chi si viene a trovare in condizioni di vantaggio
non è attaccabile da chi ha costi unitari più elevati e/ o attrattività minore e
può addirittura, se il divario è elevato, puntare a espellere dal mercato i com-
petitori più deboli.
La scala incide peraltro non solo sulla competizione sull'output, ma anche coe-
terisparibus su quella sui margi,ni,dal momento che: riduce la conflittualità inter-
na e la connessa spinta verso prezzi più bassi e/ o prestazioni dei prodotti più
elevate; crea barriere all'entrata di nuovi competitori; può rafforzare coeterispa-
ribus,favorendo la concentrazione e quindi le dimensioni dei competitori, il lo-
ro potere contrattuale nei riguardi dei fornitori (in senso lato) e dei clienti.
L'effetto della scala è viceversa poco rilevante quando si ha a che fare con
attività non core,per cui sia possibile ricorrere all' outsourcing senza riflessi par-
ticolarmente negativi, e/ o quando la soglia di esclusione e la DOM risultino
basse rispetto alla dimensione complessiva dell'area di business:lasciando spa-
zio alla presenza di un numero elevato di competitori e all'entrata di nuovi
(in assenza di limiti di altra natura) e non creando differenziali significativi
fra i competitori stessi. La valenza competitiva della scala, in termini sia di
creazione di differenziali fra competitori sia di barriera all'ingresso di nuovi
competitori, perde infine parzialmente o totalmente la sua rilevanza in pre-
senza di disomogeneitàsovrastanti di altra natura.
Vi possono essere in primo luogo disomogeneità rilevanti fra aree geo-politiche: non sono
più nate ad esempio imprese automobilistiche nuove nei paesi avanzati, mentre ne sono na-
te - e si stanno progressivamente rafforzando (a fianco delle subsidiary o delle joint ventures
276 j L'IMPRESA: e LI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
locali delle imprese occidentali) - in paesi come la Cina e l'India, caratterizzati da un mix di
protezionismo e di costi del lavoro bassi. Vi posso~o essere disomogeneità ~nche n~ll'am~ito
dello stesso territorio, quando sono le imprese a ncevere un trattamento differenziato de1ure
o de/arto dalle pubbliche autorità: in diversi comparti, in primo luogo nell'edilizia, le impre-
se minori riescono ad esempio frequentemente a trarre vantaggio, in assenza di controlli
adeguati e quindi di sanzioni, dal minor rispetto delle regole; owero, utilizzando il lavoro ne-
ro, evadendo le tasse e/ o violando le norme ambientali riescono a bilanciare i vantaggi "teori-
ci,di scala delle imprese di dimensione maggiore.
E può essere per altri versi il desiderio di raggiungere un livello di scala ade-
guato - per una o più attività critiche - che spinge l'impresa ad ampliare il
portafoglio di output, anche accentuandone significativamente l'eterogeneità.
Se si considerano ad esempio gli impianti saccariferi, per cui la DOM risulta molto elevata,
l'effetto scala mostra come il costo di produzione di 1 kg di zucchero in un impianto da 50 mi-
la t annue sia sensibilmente superiore a quello in un impianto da 100 mila t annue. E come
ulteriori vantaggi, anche se marginalmente decrescenti, si possano ottenere in corrispon-
denza a dimensionamenti più elevati: sempre nell'ipotesi, owiamente, che gli impianti fun-
zionino poi a pieno regi,me.
L'effetto saturazione mostra invece come vari il costo di produzione di 1 kg di zucchero al va-
riare del grado di utilizzo di un impianto già esistente, ad esempio da 100 mila t annue. Esso
coincide (almeno in linea di principio) con quello visto in precedenza in corrispondenza al
funzionamento a pieno regime, mentre cresce vertigi,nosamenteal ridursi del livello effettivo
di produzione: con il risultato che il costo che si ha in corrispondenza a un grado di satura-
zione del 50 per cento - ossia a una produzione effettiva di 50 mila t di zucchero - risulta lar-
gamente superiore a quello che si avrebbe realizzando lo stesso volume in un impianto da 50
mila t annue funzionante a pieno regime.
Questo significa, nel caso visto in precedenza, che il costo di produzione di 1 kg di zucche-
ro in un impianto da 100 mila t annue sfruttato al 110 per cento risulta superiore a quello
che si avrebbe in corrispondenza al volume di targa e a maggior ragione a quello che si
avrebbe facendo funzionare a pieno regime un impianto dimensionato per la produzione
di 110 mila t annue.
Nel caso in cui però siano diverse le imprese che seguono contemporaneamente questa stra-
tegia - di preriempimento o preemptive-l'esito può essere quello di una sovracapacità com-
plessiva e di una conseguente contrazione generalizzata dei margini.
5.8.3L'esperienza
accumulatao apprendimento
Analogamente a quanto accade per le persone, anche per le imprese l' espe-
rienza accumulata- nel portare avanti una (o più) attività o nella gestione com-
plessiva - e il conseguente apprendimentopossono avere grande rilievo: nella
direzione di una maggiore efficienza, e quindi di una riduzione dei costi; nel-
la direzione di una maggiore efficacia, e quindi di una più elevata attrattività.
Può, se superiore (inferiore) a quella dei competitori, generare differenziali
di costo e/ o di attrattività sostenim,linel tempo, simili a quelli generati dalla
scala e solitamente operanti in sinergia con essi.
L'effettoe5perienzanon è legato (come quello scala) alla presenza di nanunea-
rità, ma ha un'origine tipicamente dinamica e tende a creare condizioni di irre-
versimlità.Migliorare l'efficienza e l'efficacia non è in altre parole un qualcosa
che si possa realizzare istantaneamente, ma richiede tempo e soprattutto ripe-
titività (oltre che ovviamente capacità di razionalizzazione). Chi ha più appre-
5. La competizione I 279
Cu
La /,earningcurve, nella versione storica che spesso si trova nei testi di strategia e che fu messa
a punto nel dopoguerra in relazione alla produzione di velivoli, accredita addirittura l'esi-
stenza di un legame lineare fra i costi unitari e i volumi cumulati espressi in scala logaritmica.
Si ha il medesimo calo dei costi unitari, sotto questa ipotesi, a ogni aumento di un ordine di
grandezza dei volumi cumulati: a partire ad esempio da un costo unitario di un componente
meccanico per l'industria automobilistica di 8 € in corrispondenza a un volume cumulato di
I 00 mila pezzi, si scende a 7 € per un volume di I milione di pezzi e a 6 per un volume di I O
milioni di pezzi. Il calo non nasce solo dalla mera esperienza, che permette di lavorare più
velocemente e commettere meno errori, ma anche da un'infrastrutturazione e organizzazio-
ne complessiva in evoluzione per sfruttare al ma-,simo la scala.
L'impresa leader di mercato in una determinata area di lmsiness può, sotto queste ipotesi,
diminuire progressivamente i suoi costi unitari - in misura tanto maggiore quanto più ele-
vato è il tasso di crescita della domanda - e allo stesso tempo mantenere il vantaggio sui
competitori.
La matrice BCG, proposta dal The BostonConsultingGroupnegli anni '60, affronta con
un'ottica estremamente semplificata - che fu probabilmente alla base del suo grande
successo ma che ne rappresenta anche il limite maggiore nelle applicazioni - la te-
matica della composizione idealedel portafoglio di business di un'impresa:
• ignorando qualunque possibile sinergia al di fuori di quella finanziaria, cui è data
viceversa grande rilevanza;
• enfatizzando l'importanza della quota di mercato dell'impresa in ciascun· business
- vista come proxydella sua posizione relativa di scala e di esperienza e conse-
guentemente come sorgente degli unici differenziali competitivi considerati rile-
vanti - e ponendo come obiettivo dell'impresa stessa il conseguimento della lea-
dershipo co-leadership e, in caso di insuccesso, l'uscita dal business;
• enfatizzando l'importanza del tasso di crescita della domanda complessiva in
ciascun business (dipendente dalla posizione nel ciclo di vita), vista come proxy
dell'attrattività dell'area di businessstessa: nell'ipotesi che il grado di competizio-
ne in senso lato sia minore e i margini mediamente più elevati nelle fasi espansi-
ve del ciclo, e viceversa;
• attribuendo grande importanza al fenomeno del ciclodi vita e alla conseguente
necessità, a garanzia del mantenimento nel tempo della vitalitàe dell'equilibrio fi-
nanziariodell'impresa, della contemporanea presenza - nel suo portafoglio - di
business in fasi diverse del ciclo di vita stesso.
Il rilievo dato alla necessità per l'impresa di rinnovarsi continuamente - facendo en-
trare e crescere business nuovi- e l'introduzione di una terminologia (per denotare i
business) diventata di uso corrente nel mondo delle imprese rappresentano forse gli
elementi di maggiore interesse, a fronte dell'eccesso di semplificazione.
5. La competizione I 281
La matrice BCG divide i business che fanno parte del portafoglio di un'impresa in
quattro categorie:
• star: l'impresa è leadero co-leaderdi mercato - ha cioè la quota più elevata o co-
munque prossima a quella del leader- in un'areadi businessnella fase di crescita
del ciclo di vita (con un tasso annuo di crescita della domanda complessiva su-
periore al 10 per cento);
• cashcow: l'impresa è leadero co-leaderdimercato in un'area in fase di decelerazio-
ne, maturità,saturazioneo declino(con un tasso annuo di crescita della domanda
comunque inferiore al 10 per cento e al limite negativo);
• questionmark o problemchildren:l'impresa ha una quota di mercato significativa-
mente inferiore a quella del leader in un'area di businessnella fase di decollo o
ascendente del ciclo (con un tasso annuo di crescita della domanda complessiva
superiore al 10 per cento);
• dogo cash trap:l'impresa ha una quota di mercato significativamente inferiore a
quella del leaderin un'area di businessnella fase di decelerazione, stagnazione o
declino (con un tasso annuo di crescita della domanda comunque inferiore al 10
per cento e al limite negativo).
Nelle ipotesi estremamente semplificative fatte che:
• il tasso di crescita della domanda rappresenti una buona proxydell'attrattività di
un'areadi business;
• la quota relativa dell'impresa nella singola area rispetto a quella del competitore
più forte - superiore o prossima a 1 se l'impresa è leadero co-leadere sensibil-
mente inferiore negli altri casi - rappresenti una buona proxydel differenziale
competitivo esistente (non essendo attribuita una specifica rilevanza alla diffe-
renziazione),
le quattro categorie si vengono a trovare nelle seguenti situazioni:
• star:extraprofittabilità corrente molto elevata, per il gioco congiunto del differen-
ziale competitivo a favore e del livello mediamente elevato dei margini nell'area
di business;crescita elevata, almeno in linea con quella dell'areadi businessstessa,
se l'impresa non vuole ridurre la sua quota di mercato e con essa il differenziale
competitivo futuro; NCF (net cashflow) vicino allo zero, per l'elevato fabbisogno
di cassa conseguente alle esigenze di crescita (per gli investimenti in capitale fis-
so e in incremento del capitale circolante netto);
• cashcow:extraprofittabilità corrente elevata, anche se un po' inferiore per la mag-
giore pressione competitiva in presenza di una crescita inferiore della domanda
complessiva; crescita in linea con quella dell'areadi business,per mantenere la quo-
ta, e quindi inferiore rispetto al caso precedente; NCF molto elevato, per l'alto livello
del profitto e dell'ammortamento e il minore fabbisogno di cassa per la crescita;
• questionmark o problemchildren:extraprofittabilità ridotta o negativa, in funzione
della lontananza della quota da quella del leader;crescita elevata, se l'impresa
vuole almeno mantenere la quota; NCF conseguentemente negativo o molto ne-
gativo, per il contrasto fra la generazione e il fabbisogno di cassa (accentuato dal
fatto che in presenza di una crescita elevata, qui come per le star e a differenza
delle cashcow, l'ammortamento non è strutturalmente in,grado di ricoprire le ne-
cessità di investimento);
• dogo cashtrap:extraprofittabilità ridotta o negativa, in funzione della lontananza
della quota da quella del leader;crescita in linea con quella dell'areadi business,
282 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
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per mantenere la quota; NCF ridotto o nullo, in funzione del profitto e del fabbi-
sogno per la crescita.
La composizione di portafoglio considerata come ideale, dai fautori della matrice
BCG, è caratterizzata dalla presenza equilibrata di cashcow, star e questionmark e dal-
la totale assenza di dog.
Le cashcow assicurano la cassa per distribuire dividendi agli azionisti e per finanziare
lo sviluppo di quelli - fra i questionmark- che si ritengono più promettenti, puntando
alla leadershipo alla co-leadership.
Le star, destinate a trasformarsi in cash cow allo scorrere del ciclo di vita, purché la
quota di mercato non si riduca, rappresentano la garanzia di disporre di cassa anche
nel futuro meno immediato; d'altra parte contribuiscono anche, con il loro livello mol-
to elevato di extraprofittabilità, alla brillantezza dei bilanci.
I questionmark, se non promettenti o se caratterizzati da una situazione competitiva
che renda difficile il conseguimento della leadership,devono essere abbandonati: per-
ché destinati a trasformarsi, allo scorrere del ciclo di vita, in dog.
I dog, infine, sono visti come totalmente negativi. E il nome alternativo cashtrap a essi
attribuito sta a indicare l'effetto-trappola che essi possono esercitare sulle risorse fi-
nanziarie dell'impresa, tenendole impegnate anche su tempi lunghi a rendimenti bas-
si o negativi.
I diversi business vanno considerati ovviamente anche per il loro peso: in relazione al-
la quota parte di risorse dell'impresa che assorbono e al contributo quantitativo che
essi danno alla formazione del profitto e dell'extraprofitto e della generazione lorda e
netta di cassa.
5. La competizione I 283
5.8.5Le risorseumane
7. Il discorso non vale per i servizi radicati sul territorio (trasporti, bar e ristoranti, ospedali, assi-
stenza agli anziani ecc.), ove la delocalizzazione non può esistere e ove viceversa si ha una for-
te crescita della presenza di immigrati.
286 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
5.8.6 La localizzazione
Le difficoltà da superare e i tempi necessari per costruire una rete di esercizi di fast food con
localizzazioni adeguate - nelle aree ad alta densità di uffici, nei centri commerciali, nei pun-
ti di servizio autostradali ecc. - sono state alla base della scelta del leader mondiale MdJ~
nald's di entrare nei paesi ove non era presente acquisendo ad alto prezzo una rete già esi-
stente (in Italia i Burghy's del gruppo Cremonini), invece che costruendone da zero una
nuova.
aree geo-politiche ove le condizioni sono più convenienti o nel ricorrere al-
1'outsourcingda tali aree, pena l'eliminazione dal mercato.
In alcuni casi le convenienze sono così differenziate per paese - in relazio-
ne a determinate attività - che tutte le imprese che competono in un'area di
businessscelgono, per tali attività, le n1edesime localizzazioni.
Per business anche di grande rilievo - come quelli della telefonia mobile o
della televisione via etere - la definizione degli attori che possono competere
è in generale nelle mani della pubblica amministrazione, che nel fare le sue
scelte deve tenere conto di vincoli ed esigenze di natura diversa, quali ad
esempio: la scarsità delle bande disponibili piuttosto che la difficoltà di loca-
lizzazione delle antenne; la necessità (in particolare nella telefonia mobile) di
favorire la concorrenza ma anche di rendere possibile ai nuovi entranti il re-
cupero degli elevatissimi investimenti che essi devono sostenere; la necessità
(in particolare nelle televisioni) di contemperare gli aspetti di mercato con il
pluralismo dell'informazione.
Per gli stessi business, e per altri, la pubblica amministrazione o le authority
di settore definiscono in una certa misura (anche o solamente) le armi a di-
sposizione dei competitori per competere: il numero delle reti in campo tele-
visivo, il diritto a operare su determinate rotte e gli slot per le compagnie ae-
ree, le traccein campo ferroviario.
Per business ove la probkmatica ambiental,egiochi un ruolo di rilievo (ad
esempio per la chimica o l'industria petrolifera) le normative ambientali pos-
sono comportare, al di là degli incrementi di costo più o meno scaricabili sui
prezzi, impatti competitivi differenzianti di grande rileva:pza.
E le imprese in generale non subiscono passivamente l'evolvere della norma-
zione, ma si awalgono della loro capacità di lobbying- il termine è utilizzato,
senza connotazioni a priori negative, come sinonimo di legittima rappresentazio-
288 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
La situazione attuale nel nostro paese, e in generale nei paesi dell'UE, differisce profonda-
mente da quella del passato: per l'obbligo in vigore dal 1991 di gare comunitarie per tutte le
commesse e appalti pubblici al di sopra di un determinato valore (in assoluto basso) e per il
divieto in vigore ai paesi membri di attuare politiche di sostegno alle imprese, senza esplicita
autorizzazione da parte dell'UE, al di fuori di quelle - come gli aiuti alla ricerca e all'innova-
zione - gestite direttamente a livello UE. Fra le politiche di sostegno nazionali autorizzate, a
complemento di quelle comunitarie, vi possono essere quelle a favore di aree tèrritoriali par-
ticolarmente depresse.
L'ipotesi che il prodotto sia percepito come indifferenziato,che sia visto cioè dai clienti (ultimi
e intermedi) come ugualmente idoneo a soddisfare i loro bisogni, è ovviamente un'ipotesi li-
mite, che può avvicinarsi alla realtà in presenza di prodotti i cui standard siano definiti dalla
legge o dalla normativa: anche se pure in questi casi i competitori cercano di sfuggire - at-
traverso l'offerta di servizi complementari - a una logica competitiva che verrebbe a basarsi
solo sul prezzo e che impedirebbe qualsiasi forma di fidelizzazione dei clienti.
La condizione di trasparenza dei prezzi è importante per garantire che non si formino diffe-
renze nei prezzi (a parità di condizioni di vendita), e conseguenti posizioni di rendita a favo-
re di alcuni competitori rispetto agli altri, per la sola presenza di asimmetrieinformative.
La condizione di assenza di discriminazioni e di condizioni privilegiate di accesso o di tratta-
mento è importante per garantire, dal punto di vista reale, che:
• non si formino assi privilegiati di fornitura per ragioni esterne: ad esempio per ragioni
di natura politica, nel caso in cui il cliente sia la pubblica amministrazione, o per ragioni
di interesse di gruppo, nel caso (qui però escluso per le ipotesi fatte) in cui sia il cliente
sia il fornitore facciano capo allo stesso gruppo;
• non esistano restrizioni alla concorrenza legate alla presenza di condizioni di particolare
favore per alcuni dei competitori (concessione in esclusiva di localizzazioni strategica-
mente rilevanti ecc.).
290 J L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
È importante per garantire, dal punto di vista finanziario, che tutti i competitori siano sogget-
ti alle stesse regole del gioco nell'accesso al capitale di rischio e al capitale di debito: che non
vi siano cioè, ad esempio, competitori che, per possibilità finanziarie degli azionisti e/ o per
relazioni privilegiate con le banche, possano usare la loro maggior disponibilità di danaro - e
quindi il loro minore rischio di fallire - per conquistarsi il mercato con politiche aggressive di
prezzo (non correlate ai costi), espellendo dal mercato stesso anche chi è più efficiente.
Il ricorso a una guerra dei prezzi, con il conseguente abbassan1ento degli extraprofitti unitari di
tutti i competitori e il passaggi,oal rossodei più inefficienti di essi, è più frequente nella fase del ci-
clo di vita caratterizzata da una crescita elevata della domanda e in quei comparti ove la scala e
1'esjJerienzagiocano un ruolo rilevante: per l'effetto combinato sulla scala e sull'esperienza stesse
della maggiore quota e dei maggiori volumi complessivi. Lo è molto meno nei mercati saturi,
ove il sacrificio richiesto in termini di mancati profitti può risultare eccessivo rispetto ai vantag-
gi conseguibili.
5. La competizione I 291
Se:
• i differenziali risultano sostenibili;
• l'area di business è relativamente concentrata;
• il leader di costo è anche, come spesso accade, leader di quota;
la posizione relativa migliore in termini di valore- nell'ambito dell'area di busi-
ness - è di pertinenza del leader di costo stesso, con gli altri competitori che lo
seguono in fila in ragione del minore o maggiore divario nei costi.
La posizione assoluta di valare - riferita cioè non alla specifica area di busi-
ness ma all'intero mercato finanziario (in cui gli investitori pongono a con-
fronto tutte le imprese indipendentemente dai loro business) - del leader di
costo e dei competitori dipende invece anche (come visto~ dall'intensità della
competizione in senso lato nell'ambito dell'area di business: che sposta verso l'alto
292 j L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
o verso il basso i margini medi. Ed è molto sensibile nel contempo alla crescita
attesa della domanda, complessiva (riferita cioè all'intera area di business) o, se
esistono differenze, individuale: nei modi evidenziati ad esempio con estrema
chiarezza dalla linea del valore.
...
E essenziale, affinché la differenziazione venga presa in considerazione dai
clienti e ripagata (se positiva) con un premiodi prezzo,che i prodotti che la in-
corporano siano distinguibili- visti cioè (come si dice talora) come unici,- e
che i fattori differenzianti vengano percepiti come tali e valutati favorevol-
mente dai clienti.
Differenziali anche molto consistenti, ad esempio nelle prestazioni tecniche, possono essere
- se non adeguatamente comunicati- irrilevanti ai fini di quanto accade sul mercato. Diffe-
renziali nelle prestazioni tecniche, d'altra parte, che comportino un allargamento non ap-
prezzato delle opzioni e una maggiore complessità nell'uso, possono diventare addirittura
controproducenti: come accaduto per i telecomandi dei televisori, ma anche per i videoregi-
stratori o le macchine fotografiche, ove l'irritazione crescente dei clienti ha comportato un
ritornoaUasemplicitàe una connessa limitazione delle opzioni.
I fattori che sono differenzianti in un certo momento storico possono peraltro, come detto,
non esserlo più in periodi successivi e viceversa.
Nei componenti per l'industria meccanica o per l'elettronica di consumo, che devono ri-
spettare le caratteristiche di targa determinate in sede di progetto, fati.aridifferenziantistorica-
mente rilevanti sono stati ad esempio:
• la qualità di conformità (esprimibile con il numero di pezzi per milione che non rispet-
tano l'intervallo di tolleranza predefinito): perl'impatto che essa ha sul numero di scar-
ti di prodotto finito o sulle necessità di rilavorazione, e
• il tempo di risposta all'ordine: per l'impatto sulle scorte minime da tenere in casae quin-
di sull'entità del capitale circolante.
Ma quelli che erano fattori differenzianti negli anni '80 si sono trasformati nel tempo, in
molti casi, in standard da rispettare per rimanere sul mercato, e hanno lasciato spazio a nu~
vi fattori di differenziazione. Le imprese infatti che hanno saputo giocare bene la carta della
qualità e della velocità di fornitura, portando a livelli molto elevati l'una e l'altra,-si sono così
awantaggiate sulle altre da espellerle dal mercato, e i livelli raggiunti sono divenuti sogliemi-
5. La competizione I 295
nime difficilmente migliorabili, nella sostanza standard: rilevanti non più come sorgenti di
differenziali competitivi, ma piuttosto come barriereali' entrata di nuovi competitori.
Sino a pochi anni fa sembrava che questa fosse la situazione anche nei telefoni cellulari (i co-
siddetti te'-efonini):"Sembra essersi ridotta progressivamente la differenziazione basata sulla tec-
nologia, dal momento che tutti i produttori sono in grado di incorporare a prezzi competitivi
avanzate funzioni multimediali come fotocamere e lettori mp3" (da un'intervista al chief desi-
gner di Motorola, riportata in @ljaR Sok 24 Oredel 7.7.2005). Diventano viceversa differenzian-
ti "lo stile del design dei telefonini e il loro aspetto esteriore [che] giocano un ruolo determi-
nante nel processo di decisione dell'acquisto". Con l'introduzione (cfr. paragrafo1.4) dell'iPho-
ne di Appie, parte invece la sostituzione dei cellulari classici con gli srnartphonea prestazioni
sempre più elevate, e la tecnologia - insieme, come visto, a una serie di altri fattori - torna a es-
sere un fattore differenziante (come anche Motorola ha dovuto constatare).
Il passaggio dallo scenario-tipo "2a" a quello "2b", più vicino alla realtà, richie-
de di far cadere:
• l'ipotesi di omogeneitàdei clienti:poco realistica soprattutto quando i clien-
ti sono le famiglie (diverse per potere d'acquisto, composizione ed età
media, status socio-culturale, stili di vita, abitudini ecc.) e le prestazioni
potenzialmente differenzianti sono numerose, e con essa
• l'ipotesi di omogeneitàdelle soglieminime di accettabilità (per le diverse
prestazioni) e dei criteri di pesoutilizzati nella misura del grado complessi-
vo di soddisfazione e nella definizione della scala assoluta di preferenze.
I clusterin cui l'area di businesssi articola tendono, al ridursi dell'omogeneità, a
diventare sempre più le vere arenedella competizione diretta, mentre si ridu-
ce la virulenza della competizione fra imprese facenti capo a clusterdiversi.
Sino ad arrivare alla situazione limite in cui - pur in presenza di prodotti
1nerceologicamente appartenenti alla stessa categoria e lessicalmente qualifi-
cati con la stessa denominazione - la disomogeneità è tale da trasformare i
clusterin areedi businesscompletamente distinte fra loro.
varsi ad esempio in maggiore competizione con altri materiali a elevate prestazioni che non
con un acciaio generico.
Cavanna (46 milioni di ricavi e 300 dipendenti circa nel 2010), tra le imprese leader su scala
mondiale nell'area di business delle macchine e degli impianti di confezionamento per pro-
dotti alimentari, è un tipico esempio di caso intermedio (semicustom). Dispone di un certo
numero di modelli virtuali, caratterizzati in base all'architettura delle macchine e ai livelli stan-
dard di performance, che rappresentano soluzioni progettuali di mas.sima di base (quindi
non prodotti fisici per il magazzino). A partire dai modelli realizza su commessa - con un ele-
vato grado di personalizzazione in funzione delle specifiche esigenze dei clienti - gli impian-
ti di confezionamento, differenziati per tipologie di impiego e per formati dei prodotti da
confezionare. ·
5. La competizione J 297
Per Fiat, come in generale per tutte le case automobilistiche, i modellisono invece completa-
mente predefiniti. O meglio, è predefinita la loro gamma (cresciuta in ampiezza nel tempo)
- orientata a coprire i bisogni diversi espressi da clienti diversi (per potere d'acquisto, stile di
vita ecc.) o dagli stessi clienti in funzione di esigenze diverse (per viaggi lunghi, per sposta-
menti prevalentemente urbani, per membri differenti della famiglia ecc.) - e sono predefi-
nite le (sempre più elevate) opzioni di personalizzazione: quali il colore della carrozzeria,
l'arredamento interno, la presenza o meno dei deflettori o del tettuccio apribile, gli optional
della natura più varia (quali il navigatore, che tende però a diventare sempre più di serie, co-
me accaduto ad esempio in passato per l'aria condizionata), ma prima ancora il tipo di mo-
torizzazione e di alimentazione.
È interessante far notare che proprio l'allargan1ento delle opzioni offerto dalle grandi case,
pur nell'ambito di modelli di produzione su larga scala e quindi con incrementi contenuti
nei prezzi, ha messo praticamente fuori mercato le produzioni cosiddette fuori,seriedei gran-
di carrozzieri che ancora negli anni '70 coprivano nicchie ricche del mercato. È anche inte-
ressante rilevare come la fascia più elevata per caratteristiche di sportività o di comfort, stori-
camente quasi isolata rispetto al resto del mercato automobilistico, abbia visto nel tempo le
imprese esclusivamente operanti in essa (come Ferrari e Rolls-Royce) perdere la loro indi-
pendenza ed entrare nell'ambito di gruppi più grandi presenti nell'intero mercato: in con-
nessione probabilmente con il passaggio da una tecnologia in prevalenza basata sulla mecca-
nica a una in cui l'elettronica ha un ruolo fondamentale, e con sempre maggiore enfasi -
con i relativi costi di ricerca (incompatibili con volumi di vendita limitati) - sulla riduzione
dei consumi e dell'impatto ambientale e sull'aumento della sicurezza.
Sono significativi i casi delle imprese operanti nei beni di largo consumo - già esistenti o di
nuova costituzione - che, a fronte della crescita di importanza del canale della grande distri-
buzione anche nel nostro paese, hanno fatto la scelta di focalizzarsi su questo canale per con-
quistarsi spazi di mercato: con le implicazioni che tale scelta ha in termini di organizzazione,
investimenti pubblicitari e margini.
sono vedere l'intercambiabilità come una minaccia, almeno in relazione ai bisogni tempolibe-
ro e regalo,o come un'opportunità (se ne esistono ovviamente le condizioni, a iniziare dai
prezzi) - da perseguire con una scelta opportuna dei testi, con un editing adeguato e con una
pubblicità e una comunicazione coerenti - per appropriarsi di fette di mercato in preceden-
za appannaggio di altri comparti. Se un gruppo di tali editori si specializza sui libri-regalo,
possono nascere ad esempio dubbi quali:
• se la competizione più rile\-~te sia quella interna, fra editori di libri-regalo, o se la diver-
sità dei targetdi clientela scelti dagli editori stessi non rendano poco significativa l'indivi-
duazione di questa come area di business;
• se vi sia una competizione e quanto sia diretta con altre categorie di editori;
• se la competizione più rilevante avvenga invece nell'ambito dell'industria del regalo.
Il caso dell'assalto giapponese al mercato USA nell'ambito dei televisori tra la fine degli anni
'70 e i primi anni '80, riportato da Prahalad e Doz nel loro noto lavoro The Multinational Mis-
sion (The Free Press, 1987), è esemplare. Le imprese giapponesi (Matsushita, Sony ecc.) riu-
scirono a rubare una fetta significativa del mercato più rilevante del mondo alle imprese sta-
tunitensi (RCA, Zenith, GE ecc.) - che erano per giunta detentrici dei principali brevetti -
muovendosi non solo in una logica globale invece che locale, ma anche in una logica di fa-
miglia di prodotti elettronici di consumo (videoregistratori in primo luogo, al momento in
fase di introduzione sul mercato) invece che di soli televisori. Ali' area di business relativa ai te-
levisori a colori si venne ad affiancare cioè - come conseguenza delle scelte strategiche delle
imprese giapponesi- la superarea di business relativa ai prodotti elettronici di consumo.
Non sempre muoversi in una logica di superarea risulta però premiante; owero, ciò che è pre-
miante in una particolare contingenza può non esserlo più in una successiva e viceversa. Un
caso interessante è quello della rivoluzione awenuta nel mercato italiano degli impianti per
collettività (cucine, lavanderie ecc., di scuole, ospedali, prigioni, alberghi, ristoranti ecc.) nei
primi anni '80: al tempo dominato da Zanussi Grandi Impianti (società italiana facente capo
al gruppo multinazionale Electrolux), che si era storicamente mossa in una logica di supera-
rea, privilegiando la vendita ai clienti di sistemi integrati - previa consulenza per la progetta-
zione (dimensionamento e lay-out) - in luogo di singoli componenti. La logica di buruilingsi-
no allora vincente, in un mercato in larghissima misura di prima introduzione e caratterizza-
to da una scarsa competenza dei clienti e da una scarsa presenza di consulenti professionali,
perdette progressivamente il suo stesso senso al prevalere nel mercato del bisogno di sostitu-
zione dei singoli componenti (se non più funzionanti o tecnicamente obsoleti): aprendo la
strada a una competizione in prevalenza assata sulle aree di business relative ai singoli compo-
nenti (frigoriferi, forni, lavatrici, asciugatrici ecc.) o a gruppi di essi.
5.9.5Loscenario"5":le disomogeneitàgeo-politiche
di una competizione cioè in cui gli scontri principali sono quelli che si verifi-
cano a livello delle singole aree geo-politiche - che sono anche areedi business
- e in cui però una o più itnprese si 1nuovono in un'ottica di superarea(come
nello scenario-tipo "3"): cercando di sfruttare alcune sinergie, tipicamente
nelle attività a monte del mercato.
singole aree geo-politiche: con un rapporto fra imprese globali e imprese lo-
cali simile a quello -visto nello scenario-tipo "2" - fra imprese operanti a tutto
campo e imprese focalizzate.
La tendenza a una competizione globale,fra imprese che tendano anch'esse a essere globali,
ha come presupposto che esista una reale convenienza per le imprese stesse a essere grandi:
che i vantaggi cioè connessi a fattori come la scala o l'esperienza siano superiori ai costi della
complessità. È solitamente, coeterisparibus, particolarmente forte nei comparti più nuovi del-
1'economia, ove non esiste un passato con cui fare i conti dal punto di vista del potere di mer-
cato locale delle imprese esistenti e ove non esistono tradizioni e usi che spingano nel~a dire-
zione della separazione dei mercati (come nei PC, nel software o negli smartphone). E forte
anche nei comparti, se di più vecchia nascita, che abbiano subito trasformazioni tecnologi-
co-funzionali profonde: come nell'industria aeronautica civile, ove solo la statunitense
Boeing e l'europea Airbus erano sopravvissute come competitori globali al crescere dell'im-
portanza - in termini assoluti e in relazione alla domanda mondiale - delle economie di sca-
la e di apprendimento.
È viceversa più debole, o comunque si attenua almeno temporaneamente, in presenza di
una crescita sostenuta (quale quella attuale) dei paesi emergenti: che tendono naturalmente
a favorire lo sviluppo nei loro mercati (anche acquisendo kn011rhowattrav<:_rsojoint ventures)
di campioni locali, con l'idea di farne in futuro possibili campioni globali.~ quanto sta acca-
dendo nell'appena citata industria aeronautica civile, dove l'esplosione della domanda nei
paesi emergenti favorisce l'entrata in gioco di n,uovi attori protetti dai propri governi (come
lo fu peraltro a suo tempo l'Airbus europeo). E quanto probabilmente accadrà nell'indu-
stria automobilistica, se verrà confermata la volontà preannunciata dal governo cinese di ri-
servare alle proprie imprese (eventualmente in partnership con chi porti tecnologie) il futu-
ro mercato delle auto elettriche.
La tendenza a una competizione globalefra imprese globali fatica a decollare anche in pre-
senza di politiche di sostegno più o meno mascherate,da parte dei paesi sviluppati, a industrie
tradizionalmente considerate strategiche - per il loro contributo al PIL e ali' occupazione -
come (ancora) quella automobilistica: politiche che, come visto nella crisi del 2008, permet-
tono di mantenere in vita imprese "morenti" e di resuscitare imprese "morte", frenando così
i processi di concentrazione.
La competizione globalepresenta caratteristiche molto simili a quelle che si leggono sui libri
di storia relativamente alle guerre mondiali. Un'impresa globale, ad esempio, attaccata con
una politica di prezzi particolarmente aggressiva in un'area geo-politica ove ha una posizio-
ne di mercato forte (e ove più elevati sono conseguentemente i danni che le possono deriva-
re da una guerra dei prezzi), può scegliere di portare il contrattacco laddove è in grado di in-
fliggere il danno più pesante all'aggressore, ossia in uno di quelli che vengono talora defini-
ti suoi santuari delprofitto:tentando per questa via di farlo recedere dall'aggressione.
Specularmente, un'impresa che non sia presente nei santuari del profitto dei competitori
globali risulta vulnerabilead attacchi cross-finanziaticon i flussi di cassa provenienti dalle loro
aree-santuario.
Un caso storicamente significativo è quello, già visto in precedenza, del comparto dell'auto-
mobile, ove - a fronte di una globalizzazione complessiva piuttosto ridotta - esisteva sino a
tempi relativamente recenti una globalizzazione molto più elevata nella fascia alta del mer-
5. La competizione I 307
5.9.6 Laregolamentazione
dellacompetizionee le authority
In nessuno dei casi trattati si è fatto riferimento esplicito alla possibilità di esi-
stenza di regol,edel gi,ocodella co·mpetizioneimposte dal legislatore (cfr. schema
2.11): regole che possono assumere in taluni casi una rilevanza determinante
nel sagomare il contesto competitivo e nel condizionare i comportamenti dei
competitori, e che sono in generale diverse non solo a seconda dei comparti,
ma anche delle aree geo-politiche e dei momenti storici.
Un esempio della rilevanza delle rego/,edel gi,ocoè quello che ha visto l'antitrust dell'Unione
Europea bocciare il 3 luglio 2001- nonostante le forti contestazioni da parte del governo sta-
tunitense-l'acquisizione per circa 43 miliardi di dollari della sta'tunitense Honeywell da par-
te della statunitense General Electric (cfr. sottoparagrafi 1.5.1 e 2.2.3), già approvata dall' anti-
trust statunitense: per la supposta limitazione alla concorrenza sul territorio comunitario che
la fusione delle attività delle due società avrebbe comportato in alcuni comparti in assenza di
"rimedi" (ossia di cessione di pezzi di almeno una delle due nei comparti incriminati).
Un altro scontro di grande rilievo durato molti anni fu quello fra l'antitrust UE e Microsoft,
susseguente a quello fra Microsoft stessa e l'antitrust statunitense: avente come oggetto la
natura discriminante o meno, nei riguardi dei produttori di software specifici, dei sistemi ope-
rativi della "famiglia Windows". "European antitrust regulators (dal }ìnancial Times del
2.10.2006, "Brussels expands Vista inquiry", di Tobias Buck) have expanded their probe into
Microsoft's Vista operating system. [... ] The new concerns are based on complaints from
small European software developers who fear the bundling of these new functions into Vista
will undermine their own products in this area. [ ...] In particular, the regulator is concerned
about the 'bundling' of new features and programs into the operating system. Brussels fears
the addition of an internet search engine and a range of software security features will un-
dermine competition from companies which sell similar products on a stand-alone basis.
[ ...] In March, Ms Kroes [la commissaria UE alla concorrenza] warned Microsoft over its
plans to bundle an internet search engine, a fixed-document reader and security software in-
to Vista. The warning carne only weeks after the Commission received a formai antitrust
complaint against Vista from an alliance of technology groups including IBM, Nokia, Oracle
and Sun". Nel giugno 2007 Microsoft, citata da Google davanti all'antitrust statunitense,
308 I L'IMPRESA: GLI OBIETTIVI, LE MODALITÀ COMPETITIVE E I SISTEMI DI GOVERNANCE
La posizione di potere acquisita da Google nei motori di ricercal'ha fatta successivamente pas-
sare dal ruolo di accusatrice a quello di accusata. "A fresh complaint accusing Google of
abusing its dominant position in the online search market and blocking the development of
rivai search businesses has been filed with the European Union's antitrust watchdog (dal Fi-
nanrial Times del 22.2.2011 ("Google faces fresh search complaint", di Nikki Tait e Richard
Waters). It comes from a French company [ ...], one of three companies that originally filed
complaints against Google with the European Commission last year, that prompted Brussels
to open an in-depth probe against Google, looking at whether the search company gave
preferential treatment to its own services when ranking results and whether its contractual
relationships with advertisers may also bave breached competition rules. [ ...] It comes at a
sensitive time. In another sign of the growing pressure on regulators to subject Google to
greater antitrust scrutiny, a prominent US lawmaker has called on the Department ofjustice
to take a dose look at the company's proposed acquisition of travel search company ITA [ ...],
urging that the proposed deal be reviewed carefully to ensure competition and transparency
will be protected in the online travel industry. [ ...] Google has consistently denied dominat-
ing the online search market, and contested individuai allegations made against it. It said its
behaviour was driven by the desire to give users of its search facilities the best results [ ...] ".
La possibilità per le imprese di uscire dalla stagnazione in cui spesso si trovano a operare, in-
dividuando creativamente aree inesplorate di crescita, è al centro del libro di successo Blue
Ocean Strategydi W.C. Kim, R. Mauborgne (Harvard Business School Press, 2005): un libro a
nostro avviso eccessivamente ottimistico, per il risalto che dà ai (limitati) casi di successo - tra
cui quelli di Southwest Airlines, la madre di tutte le ww cost,e di Ikea - rispetto a quelli (molto
più numerosi) di insuccesso; un libro tuttavia che ha il pregio di stimolare le imprese a non vi-
vere in modo rassegnato nella mediocrità (in quelli che vengono denominati red oceans), ma a
pensare in grande e a cercare numi spazi (i cosiddetti blue oceans). "Red oc,eansrepresent ali the
industries in existence today. This is the known market space. Blue oaans denote ali the indu-
stries not in existence today. This is the unknown market space. In the red oaans, industry
boundaries are defined and accepted, and the competitive rules of the game are known.
Here, companies try to outperform their rivals to grab a greater share of existing demand.
As the market space gets crowded, prospects for profits and growth are reduced. Products be-
come commodities, and cutthroat competition turns the red ocean bloody. Blue oaans, in
contrast, are defined by untapped market space, demand creation, and the opportunity for
highly profitable growth. Although some blue oceansare created well beyond existing industry
boundaries, most are created from within red oceans by expanding existing industry bound-
aries. [ ...] Although the term blue oceans is new, their existence is not. They are a feature of
business life, past and present. Look back one hundred years and ask yourself, How many of
today's industries were then unknown? The an~wer: Many industries as ba.sic as automobiles,
music recording, aviation, petrochemicals, health care, and management consulting were un-
heard of or had just begun to emerge at that time. Now turn the dock back only thirty years.
Again, a plethora of multibillion-dollar industri.es jumps out - mutuai funds, celi phones, gas-
fired electricity plants, biotechnology, discount retail, express package delivery, minivans,
snowboards, coffee bars, and home videos, to name a few. Just three decades ago, none of
these industries existed in a meaningful way. Now put the dock forward twenty years - or per-
haps fifty years - and ask yourself how many now unknown industri.es will likely exist then. If
history is any predictor of the future, again the answer is many of them ".
"Le imprese miopi spesso perdono di vista l'interazione fra le tecnologie e i significati
commettendo un [...] errore: limitano la loro strategia di innovazione alle sostituzioni
tecnologiche.[...] Sostituiscono una vecchia tecnologia con una nuova, al fine di mi-
gliorare radicalmente la performance o di aggiungere funzionalità ai suoi prodotti, la-
sciando però invariati i significati esistenti.[ ...] Investendo nella tecnologia al quarzo, i
produttori asiatici trasformarono quasi inconsapevolmente il significato degli orologi
in strumenti, nonostante un altro significato quiescente - quello di accessorimoda -
avesse un potenziale maggiore. Nelle sostituzioni tecnologiche le imprese danno per
scontato che la ragione fondamentale per cui le persone comprano e usano un pro-
dotto rimarrà sempre la stessa.[ ...]". È il pensiero di Roberto Verganti8, nella sua inte-
ressante interpretazione di un caso ormai storico: il caso Swatch (5'44 miliardi di€ di
ricavi e quasi 1 di utile netto nel 2010, con una capitalizzazione di borsa a metà 2011di
quasi 19 miliardi di€). Swatch nasce dal fallimento di due dei principali produttori di
orologi svizzeri - ASUAG e SSIH - in un momento particolarmente critico per l'indu-
stria degli orologi svizzera, leader mondiale del comparto.
"[ ...] Following repeated crises in the Swiss watch industry, by the 1970s both ASUAG
and SSIH were once again in trouble. Foreign competition, in particular the Japanese
watch industry, with its mass production of cheap new electronic products and new
technology, was rapidly establishing a strong foothold in the market. Eventually, both
ASUAG and SSIH faced liquidation, and foreign competitors were offering to buy
prestigious brands such as Omega, Longines, Tissot, and others", riporta il sito del
gruppo www.swatchgroup.com. "Nicolas G. Hayek, at the time CEO of Hayek Engi-
neering, [...] recommended a number of measures designed to enable the survival
and ultimate recovery of the companies. Criticai steps included the merger of ASUAG
and SSIH into SMH and the launching of a low-cost, high-tech, artistic and emotional
'second watch' - the Swatch - a slim plastic watch with only 51 components (instead
of the usual 91 parts or more) that combined top quality with a highly affordable price.
lt first went on sale in 1983. Since this time, it has gane on to become the most suc-
cessful wristwatch of all time, and The Swatch Group, the parent company, is the
largest and most dynamic watch company in the world [...]".
L'.ideavincente, assolutamente innovativa e tale da far nascere nel seguito (con il fiori-
re degli imitatori) una vera e propria sottoareadi business,fu quella di affiancare all'i-
dea dell'orologio-gioiello (in cui la Svizzera aveva mantenuto e mantiene tuttora la lea-
dership)e dell'orologio-strumento (che aveva fatto la fortuna delle imprese giapponesi
ma che fu poi surclassato) quella dell'orologio-accessorio moda: un accessorio di cui
possedere più esemplari, da accompagnare - come un paio di se-arpeo una cintura -
a uno specifico abbigliamento; un accessorio soggetto alla moda, con più collezioni
nuove presentate ogni anno. Un accessorio però low cost, in grado di generare grossi
volumi di vendite.
Un accessorio low cost perché, spiega Roberto Verganti, "lo Swatch rappresenta non
solo un'innovazione radicale dei significati, ma anche delle tecnologie. Non solo ha
utilizzato i movimenti al quarzo più nuovi di quel periodo (con un display analogico
[al posto di quello digitale dell'orologio-strumento]), ma ha anche richiesto un cam-
biamento nell'architettura di prodotto. [...] Ciò ha permesso all'azienda di ridurre lo
spessore dell'orologio da più di quattro millimetri a meno di uno, e diminuire il nu-
mero dei componenti da circa 150 (per un orologio analogico convenzionale) a 51.
Questo a sua volta ha reso possibile assemblare ciascuno Swatch in un impianto
completamente automatizzato in soli 67 secondi con un costo di manodopera infe-
riore al 10% del costo totale. Anche la sua struttura era modulare, consentendo ai de-
signer di creare facilmente e velocemente nuove collezioni[ ...)".
"Lo Swatch è sicuramente il trionfo dell'ingegneria. Ma è anche il trionfo dell'im-
maginazione. Se si combina la potenza tecnologica alla fantasia, si crea qualcosa di
veramente unico", è la sintesi di Nicolas G. Hayek, fondatore e sino al 2010 a capo
del gruppo.
È interessante infine osservare come il gruppo abbia mantenuto - e anzi incremen-
tato nel tempo anche attraverso acquisizioni - la sua presenza originaria nell'orolo-
gio-gioiello.Più precisamente, esso si presenta con una gamma di orologi che spa-
ziano dal lusso ai prodotti basic,con i marchi: Breguet, Blancpain, Glashutte Origi-
nai, Jaquet Droz, Omega, Tiffany & Co. e Léon Hatot, nel "prestige and luxury ran-
ge"; Longines, Rado e Union Glashutte, nell'"high range"; Tissot, ck watch & jewelry,
Balmain, Certina, Mido e Hamilton, nel "middle range"; Swatch e Flik Flak, nel "ba-
sic range"; Endura, nel "private label" (produzione di orologi personalizzati per con-
to di società e brand).
5.Lacompetizione I 313
"Vi è una discontinuitàche trae la sua origine dal mondo esterno e che può essere ca-
valcatadalle imprese, come quella relativa allo Web2.0 e al socia/networking,e una di-
scontinuitàche viene generata dalle imprese (start-upo già esistenti), cogliendo biso-
gni latenti e/o potenzialità esterne non ancora sfruttate". È l'incipit9 dello schema su
Appie riportato nella scorsa edizione (2007), confermato da quanto avvenuto nei
quattro anni successivi.
"Nata nel 1976 con il persona/computer,Appie ha rappresentato per molti anni - in-
sieme a Sony con il suo videoregistratore Betamax- il tipico caso utilizzato nelle busi-
nessschoolper spiegare come non sempre siano i prodotti più brillantia vincere, ma
come altri fattori (quali la potenza di fuoco della rete commerciale-distributiva, il
brand,la capacità di sfruttare appieno le potenzialità connesse con la scala ecc.) pos-
sano essere determinanti per l'esitodellagara.Appie fu battuta all'epoca nel settore
nascente dei PC dalla 'grande' I BM e in quello del software(nonostante fosse stata
sua l'idea delle finestrelle)dalla 'più astuta' Microsoft, che riuscì a fare del suo Win-
dows - il sistema operativo sviluppato per I BM - una sorta di standard universale. Es-
sa riuscì a restare in vita, rifiutandosi orgogliosamente (sino agli anni più recenti) di
rendere compatibili con Windows i suoi Macintosh, o Mac con il diminutivo di uso
comune, essenzialmente per due ragioni: per la superiorità da tutti riconosciuta dei
Mac nella grafica, che le assicurò il quasi monopolio nella relativa nicchiadi mercato,e
per il mantenimento di un gruppo di fedelissimi,che continuavano a riconoscerle una
qualità delle prestazioni superiori.
All'inizio del nuovo secolo Appie, che ha recuperato come CEO Steve Jobs - uno dei
cc-fondatori in precedenza scacciato - è quindi un'impresa che gode di buona repu-
tazione, ma che non sembra avere davanti a sé un futuro particolarmente brillante. E
qui si colloca il colpo d'ala, la discontinuitàche fa sì che Appie valga attualmente [a
metà 2007] quasi 80 miliardi di €, con meno di 15 di fatturato e 1,5 circa di utile nel
2006, con un multiplo P/E che appare incorporare una elevata aspettativa di crescita.
Nel 2001 Appie lancia l'iPod(mettendone poi sul mercato versioni continuamente di-
verse per dimensioni e prestazioni negli anni successivi) e nel 2003 l'iTunesMusic
Store. ~iPodè come noto un lettore mp3 di brani musicali, con un designaccattivante,
una memoria potente e un softwarecapace di ordinare i brani stessi e di renderne faci-
le l'accesso. È una reinterpretazione del Walkman della Sony, che ne·rinnova il succes-
so a trent'anni di distanza (il numero complessivo di esemplari venduti ha superato
nel 2007 i 100 milioni), che mette insieme con intelligenza e originalità tecnologie tut-
te note. ~iTunesMusic Store è un servizio, quasi subito reso accessibile anche agli
utenti Windows, che - sulla base di un accordo stretto da Appie con le 5 majordisco-
grafiche - rende disponibile su Internet qualsiasi brano musicale al prezzo (negli
USA) di 99 centesimi di $ e qualsiasi album musicale al prezzo di 9,99 $. Il grande
successo, che ha portato nel 2006 a superare il miliardo il numero di brani comples-
sivamenti venduti, premia l'intuizione dell'esistenza di consumatori disposti a pagare
i brani musicali, invece che piratarli,se offerti a un prezzo ragionevole.
~ultimo nato in casa Appie è l'iPhone,che verrà lanciato nella seconda metà del 2007:
un apparecchio, presentato come rivoluzionario, che mette assieme differenti funzio-
nalità (quelle di un cellulare, di una macchina fotografica, di un iPod e di un computer
palmare) e modalità d'uso (quali il touch screen)e che si presenta molto curato nel
design. Anche se solo il futuro potrà dire se il prodotto verrà percepito come sufficien-
temente differenziato in un mercato - quello dei cellulari -tendente alla saturazione e
dominato da un numero ristretto di grandi player(Nokia, Motorola ecc.), iPhonetesti-
monia il nuovo spirito di Appie, orientato all'uso dell'innovazione (nel conceptpiutto-
sto che nella tecnologia) come strumento per allargare continuamente il proprio rag-
gio di azione. Uno spirito che, come visto, ha fatto classificare Appie nel 2007 al pri-
mo· posto assoluto per innovatività nel mondo; uno spirito che ha portato in pochi an-
ni al di sotto del 40% il contributo dei tradizionali Mac, peraltro anch'essi rinnovati e
resi più compatibili con il mondo Windows, al fatturato Appie".
A quattro anni di distanza, a metà 2011,Appie è il secondo gruppo al mondo (cfr. ta-
bella1.2) per valore di mercato, alle spalle di Exxon Mobil: 231,9 miliardi di€ a fronte
di circa 80, con un tasso di crescita che apparirebbe ancora più elevato se si ragionas-
se in dollari. I ricavi sono saliti da meno di 15 a oltre 70 miliardi e l'utile netto si è più
che decuplicato. ~iPhone,con il suo storee le sue apps,si è rivelato la seconda grande
discontinuità:a livello interno, come principale (almeno sino al 2010) motore della
crescita; a livello esterno, rivitalizzando (come visto) un comparto che appariva in sa-
turazione come quello dei cellulari e cambiandone i protagonisti.
"Appie overtakes Nokia in smartphone volumes" era il titolo di un articolo del Finan-
cial Times del 21.7.2011,che spiegava: "Appie was already the biggest smartphone
maker by revenue and profits, but the April-June (2011]period marked the first time it
had surpassed Nokia in volume".
"iPad 2 lifts Appie above forecasts" era il titolo di un articolo del giorno precedente
dello stesso quotidiano, che spiegava; "Appie sold 9.25m iPads during the June quar-
ter, up from 3.3m a year earlier - an increase of 183 per cent. The increase came in spi-
te of acute shortages of the iPad 2, launched in March, due to overwhelming demand
for the tabi et".
~iPad,ad appena tre anni di distanza, ha rappresentato la terza grande discontinuità:
con esso Appie ha creato quasi dal nulla il mercato dei tablet (già apparsi ma senza
successo) e ne è diventato almeno temporaneamente l'assoluto dominatore.
Con una filosofia di fondo (cfr. schema5.3), confermata dal lancio nel 2011 di iC/oudin
sostituzione di un precedente servizio di cloudcomputingnon coronato da successo:
creare un sistema fortemente integrato e sincronizzato dei propri device,apertoai for-
nitori di contenuti e ai realizzatori di apps ma chiusoverso i competitori, capace di in-
vogliare i clienti ad acquistare esclusivamente devicedella casa.
In questa logica è stata ripensata da anni anche la famiglia dei Mac, che ha visto au-
mentare progressivamente la propria quota nel mercato dei PC. In questa logica, al
momento dell'uscita di questo libro, Appie ha proposto una nuova versione del suo
sistema operativo 05 X Lion,che incorpora alcune caratteristiche del software iOS
utilizzato negli iPhonee negli iPad.
Potrà Appie nei prossimi anni continuare a introdurre nuove discontinuitàdella porta-
ta di quelle descritte? È la domanda che si pone il mercato finanziario, che da un lato
5. La competizione I 315
350
300
250
200
150
100
_,
__~,~~~~i~~1jtfil,fal~
+112,22% ·-49,60% +132,21% +53,07%
2006 2007 2008 2009 2010 2011
Fonte:FinancialTimes.
L'organizzazione di impresa
La seconda parte del testo affronta il tema della progettazione dell'organizzazione
aziendale, ovvero dei sistemi e delle strutture destinati a rendere coerenti i comporta-
menti individuali con gli obiettivi dell'impresa.
I diversi capitoli di questa parte del testo sono stati concepiti come indipendenti, in
modo da servire come strumento di supporto per chi debba affrontare uno specifico
problema organizzativo (ad esempio: quali attività svolgere internamente all'impresa;
come suddividere i compiti tra individui; come coordinare diversi individui; come va-
lutare l'efficienza di un processo aziendale, come articolare una struttura organizzati-
va). La sequenza tra le diverse parti vuole invece costruire un "flusso logico" attraver-
so il quale procedere per valutare le coerenza complessiv.a di un'organizzazione; in
questo senso, si parte dall'analisi delle attività (capitolo7), da cui si derivano:
• i compiti specificiche devono essere attribuiti agli individui e le relative modalità
di coordinamento (capitolo8 e capitolo9);
• i processi,ovvero la sequenza di attività attraverso i quali l'impresa realizza i pro-
pri obiettivi (capitolo10);
• le strutture, ovvero le modalità con cui raggruppare gli individui che svolgono
una specifica attività in unità organizzative (capitolo11).
6 Dalle decisioni ai risultati: il ruolo dell'organizzazione
di impresa
6.1 Introduzione
Nella prima parte del testo, l'attenzione è stata rivolta all'impresa nel suo
complesso e alle sue decisioni, evidenziando i soggetti che le determinano,
i relativi obiettivi, le diverse alternative disponibili per articolare il business
model, i vincoli e le opportunità del contesto esterno.
Tuttavia, i risultati delle decisioni dell'impresa dipendono dalle azioni
degli individui che vi operano; la capacità di un 'impresa di creare valore
economico non dipende quindi solo dalle sue scelte strategiche, ma anche
dalle 1nodalità di implementazione del suo assetto organizzativo, dalla ca-
pacità cioè di adottare sistemi e strutture che assicurino la massima coeren-
za tra i comportamenti individuali e gli obiettivi dell'impresa. La progetta-
zione dell'assetto organizzativo è un problema complesso, poiché fa riferi-
mento a comportamenti individuali, difficilmente modellizzabili in termi-
ni matematici, e molto articolato; un elenco non esaustivo delle domande
cui bisogna rispondere è il seguente.
• Quali sono le attività necessarie per progettare, realizzare e vendere i
prodotti/ servizi dell'impresa?
• Quali di queste attività devono essere realizzate internamente e quali
affidate all'esterno?
• Come si deve suddividere e coordinare il lavoro dei diversi individui
impegnati nella realizzazione di ciascuna di queste attività?
• Quali competenze sono necessarie?
• Come è possibile assicurare una elevata motivazione degli individui,
in modo da fare "leva" sulle loro capacità?
320 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
F I e u RA 6.1 - Le dimensionidell'analisiorganizzativa
Strutture
Attività Processi
organizzative
D
Individuo/
Gruppo
razioni che si svolgono nell'impresa e delle risorse necessarie alla loro ese-
cuzione. L'attività costituisce la dimensione organizzativa più facilmente
"integrabile" con il posizionamento competitivo dell'impresa e, nel con-
tempo, il '"mattone elementare" dell'analisi organizzativa, a partire dal qua-
le si possono analizzare le altre dimensioni. Infatti:
• innanzi tutto, l'attività identifica le operazioni che devono essere svol-
te in un'organizzazione, in coerenza con il suo posizionamento com-
petitivo. Tali operazioni costituiscono la base per definire gli specifici
compiti da assegnare ai singoli individui o ai gruppi di indivi~ui. Inol-
tre, visto che a ogni attività sono associate le risorse necessarie per la
sua realizzazione e il relativo driver di consumo, l'analisi per attività
consente di "stimare" la quantità di risorse necessarie in un dato pe-
riodo di tempo 1. Infine, dalla descrizione delle attività è possibile
identificare le principali competenze necessarie per la sua esecuzione.
Complessivamente, quindi, una volta note le attività di un 'impresa si
conoscono alcuni dei principali elementi ( quali risorse, con quali
competenze, in quali quantità) richiesti per la progettazione delle po-
sizioni individuali;
• inoltre, dalla conoscenza dei clienti e dei fornitori di ogni attività è pos-
sibile identificare le "catene" di attività legate da relazioni di causa/ ef-
fetto, owero i processi aziendali. La mappatura delle attività consente
quindi di descrivere immediatamente anche i processi dell'impresa;
Efficienza X X X X
Efficacia X X X X
Capacità di risposta
a piccoli cambiamenti X X
Capacità di risposta
a grandi cambiamenti X X
Capacità di innovazione X X X
Responsabilizzazione X X X
Sviluppo di competenze X X X
324 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
impresa, quali siano gli effetti di tali alternative e, infine, quali di queste sia-
no maggiormente coerenti con differenti posizionamenti competitivi.
I diversi capitoli di questa parte del testo sono stati concepiti come indipen-
denti, in modo da servire come strumento di supporto per chi debba affron-
tare uno specifico problema organizzativo (ad esempio: quali attività svolge-
re internamente all'impresa; come suddividere i compiti tra individui; come
coordinare diversi individui; come valutare l'efficienza di un processo azien-
dale, come articolare una struttura organizzativa); la sequenza tra le diverse
parti vuole invece costruire un "flusso logico" attraverso il quale procedere
per valutare le coerenza complessiva di un'organizzazione; in questo senso,
si parte dall'analisi delle attività ( capitow 7), da cui si derivano:
• i compiti specificiche devono essere attribuiti agli individui e le relative
modalità di coordinamento ( capitow 8 e capitolo 9);
• i processi,ovvero la sequenza di attività attraverso le quali l'impresa rea-
lizza i propri obiettivi ( capitolo 1O);
• le strutture, ovvero le modalità con cui raggruppare gli individui che
... svolgono una specifica attività in unità organizzative ( capitow 11).
E bene sottolineare che, per descrivere questi aspetti, si possono in genera-
le seguire due diverse prospettive:
• quella del progettista organizzativo, che, a partire dalla conoscenza
del business model dell'impresa, identifica l'assetto organizzativo "teori-
camen te ottimale";
• quella dell'analista organizzativo, che parte da un'analisi dell'organiz-
zazione esistente, ne verifica la coerenza con il business model e, infine,
suggerisce interventi migliorativi.
All'interno di questo testo si è deciso di adottare l'una o l'altra di queste
prospettive cercando di porsi dal punto di vista del lettore, il cui obiettivo è
di disporre di una conoscenza di base, non specialistica, del management
aziendale. Nei capitoli relativi alle attività, ai processi aziendali e alle strut-
ture organizzative, quindi, si è adottata la prospettiva dell'analista, in quan-
to il generico "manager" deve essere in grado di comprendere le eventuali
criticità dei processi e delle strutture organizzative in cui è coinvolto; per
chi voglia diventare "progettista" di strutture e processi aziendali, è preferi-
bile fare riferimento a testi specialistici. Al contrario, nei capitoli relativi al-
la posizione individuale e al coordinamento tra gli individui si è adottata la
prospettiva del "progettista", poiché spetta al singolo manager definire i
compiti da affidare agli individui che operano nella propria unità organiz-
zativa e assicurarne il coordinamento.
7 L'attività
F I G u RA 7 .1 - L'attivitàcome microimpresa
Risorse Competenze
Risultati Driver
326 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
Gli schemi 7.1 e 7.2 esemplificano due attività, l'una di tipo prettamente
operativo in un'impresa tessile, l'altra di carattere programmatorio, in
un'amministrazione pubblica. Per quest'ultima non vengono identificati
fornitori e clienti visto che costituisce un atto "isolato" all'interno dell'am-
ministrazione.
1. In alcuni casi, il driver di consumo coincide con la misura quantitativa dei risultati dell 'at-
tività. Ad esempio, nell'attività di setup, il driver di consumo può essere espresso dal nume-
ro di setup effettuati. Esistono tuttavia casi in cui le due grandezze divergono. Ad esempio,
sempre per il sl'lup, si potrebbe utilizzare come dri11erdi consumo il tempo totale di setup.
7. L'attività I 327
2. Così, ad esempio, un 'impresa che voglia sviluppare una strategia di differenziazione basa-
ta su una più aggressiva azione di vendita potrà anticipare gli impatti organizzativi di que-
sta scelta analizzandone le implicazioni su tutte e sole le risorse coinvolte in questa attività;
in modo speculare, una disfunzione negli assetti logistici (un turnover inatteso, una "crisi"
nel sistema informativo, un cambio di fornitore di servizi logistici) avrà un effetto imme-
diatamente percepibile nei differenziali competitivi associati all'attività "logistica" nella
catena del valore.
328 i L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
Mappatura delle
attività
i
Costruzione della
curva ABC
i
Analisi delle
competenze
e dei driver per
le attività principali
i
Accorpamento delle
attività principali
i
Attribuzione delle
attività secondarie
330 I L1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
1 20 70 o 20
2 o 40 o 70
3 o 20 o 70
4 10 70 o 30
5 o 50 o 50
7 10 70 o 30
7 o 10 o 90
7 o 40 o 70
9 40 50 o 10
10 o 50 20 30
3. La mappatura bottom up può essere anticipata da una fase di tipo topdown, nella quale, pre-
valentemente sulla base di materiale documentale e della strategia competitiva dell'im-
presa, ne vengono individuate le principali attività. Questa fase consente di individuare le
attività cui dedicare maggiore attenzione nella successiva fase di tipo bottom. up; inoltre, es-
sa può consentire una validazione dei risultati della mappatura bottom up.
4. L'ascissa corrispondente all'attività n-esima rappresenta quindi l'incidenza percentuale
del costo delle prime n-attività sui costi totali dell'unità.
F I G u RA 7. 3 - La curva ABCdelle attività
120%
100%
80%
60%
Percentuale sui costi
complessivi 40%
20%
0%
1 2 3 4 s 6 7 8
Attività
attività prese in considerazione potrà essere più alto nelle aree che
hanno la maggiore rilevanza competitiva per l'impresa;
• attività secondarie: sono tutte le altre attività.
L'attenzione viene a questo punto rivolta alle sole attività principali, verifi-
cando la possibilità di accorpare gruppi di esse, sulla base del loro grado di
omogeneità 5 . Infine, si riprendono in esame le attività secondarie, ciascu-
na delle quali viene accorpata alla attività principale più simile relativa-
mente agli obiettivi dell'analisi.
5. A seconda degli obiettivi dell'analisi, ci si potrà basare in questa fase sull'omogeneità nelle
competenze e/o nelle risorse necessarie e/o nei driverdi consumo.
332 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
La scelta del mix di attività da realizzare si basa sulla valutaziope della capa-
cità di un'attività di creare valore per il cliente. A tal fine, le attività si divi-
dono in:
• attività a valore aggi,unto;
• attività non a valore aggiunto ( non value added activities).
La definizione del valore aggiunto dall'attività dipende naturalmente dal-
l'opinione del cliente, interno o esterno. In particolare, devono essere
considerate come attività non a valore aggiunto tutte quelle che:
• non hanno un cliente (sono quindi rivolte esclusivamente all'autofun-
zionamento dell'unità);
• o i cui clienti non attribuiscono all'attività alcun beneficio.
L'eliminazione delle attività non a valore aggiunto do\Tebbe perciò consenti-
re una riduzione dei costi dell'azienda, quindi un aumento della sua effi-
cienza, senza avere ripercussioni sul valore percepito dal cliente, quindi sul-
1'efficacia.
Più in generale, è opportuno confrontare il costo di un'attività con il suo
potenziale di creazione di valore economico. Infatti, anche alcune delle at-
tività a valore aggiunto possono assorbire una parte eccessiva delle risorse
dell'impresa. In questi casi, è utile verificare se:
• sia possibile introdurre interventi migliorativi "interni", che consenta-
no di migliorare il rapporto tra i costi e i benefici dell'attività;
• esistano opportunità di "esternalizzare" l'attività, affidandola a imprese
che hanno competenze e risorse che consentono loro di realizzare con
costi inferiori e/ o livello qualitativo superiore l'attività. Negli ultimi an-
ni, questo processo di esternalizzazione è stato particolarmente esteso e
si è tradotto in una complessiva deverticalizzazione delle imprese, che ha
portato a introdurre il concetto di "rete di imprese", per sottolineare co-
7. L'attività I 333
• I
6. Uno dei testi di base per approfondire il concetto di rete organizzativa è quello di Butera
(1990).
334 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
Ad esempio, sempre con riferimento al caso della tabella 7.1, una politica
destinata a ridurre del 10% il numero dei fornitori dovrebbe consentire
una contrazione dei costi pari a:
32 · 3.000 = 96.000 €
i rischi che si corrono nel caso la tipologia di un'attività non venga compresa
correttamente; ad esempio, se si opera, erroneamente, come se l'attività di
"gestione dei fornitori", descritta nell'esempio precedente, presentasse solo
una dimensione "quantitativa", si potrebbe incentivare una diminuzione del
suo costo attraverso una minore attenzione al singolo fornitore, con il risul-
tato di ridurre la qualità della fornitura o di peggiorare i tempi di consegna.
Un esempio è costituito dalla misura delle prestazioni delle ASL; in pas-
sato, esse erano valutate dal Servizio Sanitario Nazionale solo attraverso lo
"sforzo" impiegato, attribuendo un rimborso proporzionale all'occupazio-
ne delle risorse (ad esempio, numero di posti letto occupati) invece che ai
risultati ottenuti. Questa soluzione presentava alcuni problemi:
• nessun "premio" sulla qualità erogata;
• nessun incentivo al miglioramento dell'efficienza; anzi, maggiore era
l'impiego di risorse maggiore era la remunerazione riconosciuta alla
struttura.
Il sistema attualmente utilizzato, quello dei DRG 7, costituisce da questo
punto di vista una forte evoluzione. Di fatto, viene identificato un costo
standard per ciascuna prestazione terapeutica e il relativo rimborso si basa
su tale costo. Di conseguenza, una struttura può migliorare le proprie pre-
stazioni se:
• riduce i costi unitari rispetto allo standard;
• aumenta i propri volumi di attività.
Ambedue questi comportamenti sono correlati a un miglioramento delle
prestazioni "quantitative" dell'attività; il problema nasce immediatamente
dal riconoscimento che le attività mediche non possono essere classificate
come attività per le quali è significativa solo la dimensione quantitativa; <li
fatto, il sistema dei DRG "dimentica" la componente qualitativa dell'azione
sanitaria, con rischi facilmente immaginabili. Proprio per questo si sta cer-
cando oggi di introdurre misure dell'esito dell'intervento, che potrebbero
completare le valutazioni di efficienza.
7. Di fatto, la produzione delle ASL viene valorizzata sulla base di tariffe standard in corri-
spondenza a specifiche patologie. Tali "patologie tipo" sono definite Diagnosis Related
Groups (DRG). Per un approfondimento su questo tema, cfr. Longo e Masella (1999).
7. L'attività I 33 7
1. Sul ruolo competitivo delle risorse umane e sull'estendibilità (stretch) del loro rendimento,
cfr. il paragrafo5.8.5.
340 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
Sforzo
Coerenza tra
le capacità Risultati
e le mansioni dell'individuo
assegnate
Fortuna
Prestazione
Obiettivi
dell'impresa
8.2 La motivazione
8.2.1 Leteoriedell'azione
È bene ricordare che la teoria dei bisogni è in grado di spiegare solo parzial-
mente i comportamenti individuali; l'azione dell'individuo dipende infatti
anche in misura rilevante dai suoi contatti sociali all'interno di un'organizza-
zione, sia di tipo orizzontale (coni colleghi di lavoro) sia di tipo verticale (con
i superiori).
Le persone, in particolare, sono stimolate ad agire correttamente quando
sono inserite in gruppi che lavorano intensamente (facilitazione sociale) e
quando si rendono conto dell'esistenza di un feed-back specifico sul loro com-
portamento da parte dei superiori ( apprensione dell,avalutazione). Questi ele-
menti non hanno una implicazione diretta sulla progettazione della posizio-
ne individuale; essi dovranno però essere tenuti presenti nei prossimi capitoli,
quando si analizzeranno le logiche utilizzabili in fase di formazione dei grup-
pi e delle unità organizzative.
Una volta che l'individuo abbia deciso di dedicare una parte maggiore delle
proprie energie all'attività lavorativa, occorre cercare di guidarne le scelte in
modo coerente con gli obiettivi dell'impresa. Le principali teorie rivolte ad
analizzare i fattori motivazionali che spiegano le scelte individuali sono: la teo-
ria dell'aspettativa,la teoriadell'equità e la teoriadell,afissazione degli obiettivi.
La teoriadell'aspettativa
La teoriadell'aspettativcPsi basa sull'ipotesi che gli individui siano esseri perfet-
tamente razionali e come tali portati a scegliere, tra i diversi comportamenti
possibili, quello che massimizza i risultati (in termini di riconoscimenti espli-
citi) a parità di sforzo.
Il legame tra riconoscimento/ricompensa e sforzo può essere espresso come:
6. Cfr. McClellan et al. (1953), Vroom (1964), House (1971), Collins (1982).
8. L'individuo e i suoi comportamenti j 343
La teariadell'equità
Secondo la tearia dell'equità7 , un individuo fornisce all'impresa alcuni input
(sforzo, formazione, esperienze precedenti) a fronte dei quali ottiene dei ri-
sultati, misurati sia da benefici esterni/tangibili (stipendio, promozione, frin-
ge bene.fil)sia da benefici interni/intangibili (autonomia, livello di responsabi-
lità). Esiste una situazione di equilibrio quando l'individuo ritiene che il rap-
porto tra risultati e input assuma un valore sostanzialmente analogo per lui e
per le altre persone che svolgono lo stesso tipo di attività. In caso di situazioni
di squilibrio, l'individuo sceglie comportamenti che tendono a riequilibrare
la situazione.
Nella pratica, normalmente gli individui che ritengono di essere sottovalu-
tati riducono il proprio sforzo; gli individui che invece pensano di essere so-
pravvalutati tendono a riequilibrare la situazione modificando le proprie per-
cezioni: di fatto, ci si autoconvince di avere erroneamente sottovalutato i be-
nefici che il proprio lavoro garantisce ali' organizzazione nel suo complesso.
La teariadell'equitàimplica la necessità di un approccio sistemico alla proget-
tazione del sistema di incentivi. Inoltre, vengono evidenziati i limiti di una so-
pravvalutazione delle prestazioni, talvolta ritenuta, a torto, innocua. Da un la-
to, essa è almeno parzialmente irreversibile, poiché l'individuo che è stato so-
prawalutato tende ad adeguarsi al nuovo rapporto tra prestazioni e sforzi,
quindi percepirebbe un eventuale riallineamento futuro di tale rapporto co-
me una sottovalutazione. Dall'altro lato, si disincentivano indirettamente gli al-
tri componenti dell'organizzazione, che si ritengono trattati in modo iniquo e
quindi tenderanno a riequilibrare la propria percezione riducendo gli sforzi.
La teariadellafissazione degliobiettivi
La teoria della fissazione degliobiettivisostiene che la scelta di come indirizzare i
propri sforzi nei confronti di ogni specifico obiettivo nasce dall'interesse che
quest'ultimo riveste per l'individuo.
La teoria afferma in particolare che l'individuo aumenta la propria motiva-
zione quanto più:
Considerazionidi sintesi
Se le teorie dell'azione analizzano i possibili incentivi che possono motivare
gli individui, le teorie della scelta evidenziano come gli incentivi, per avere ef-
fetto, devono essere correlati a obiettivi:
• influenzabili dall'individuo ( teoriadell'aspettativa);
• equi rispetto a quelli attribuiti ad altri individui ( teoriadell'equità);
• misurabili e difficilmente raggiungibili ( teoriadellafissazionedegliolJiettim).
8.3 La posizioneindividuale
8.3.1I compiti
Tra le variabili organizzative, quelle relative alla ripartizione dei compiti tra gli
individui sono state probabilmente le prime a trovare una sistematizzazione
8. L'individuo e i suoi comportamenti \ 345
• Pervasività e influenza
• Tensione al risultato
• Lavoro di gruppo e cooperazione
• Pensiero analitico
• Spirito di iniziativa
• Sviluppo degli altri
• Fiducia in sé
• Ricerca di informazioni
• Leadership del gruppo
• Pensiero concettuale
flrafforzamentodellecompetenzee l 'empowerment
Se si combinano i tre assi di analisi descritti in precedenza, si possono rappre-
sentare le diverse posizioni individuali all'interno di uno schema tridimensio-
nale (figura 8.2), a seconda che:
8. L'individuo e i suoi comportamenti I 351
TABELLA 8.2 -· Il modello delle competenze manageriali alla Camera dei Deputati
(tratto da Provenzano, 1999)
Aree Competenze
Delega
Alta
Alta
Competenze richieste
Bassa
Specializzazione
352 j L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
hanno eseguito gli ordini, sul fatto cioè di aver assolto o meno i compiti lo-
ro affidati. La supervisione diretta, separando il ruolo direzionale da quel-
lo esecutivo, riduce quindi il livello di delega rispetto all'adattamento reci-
proco.
La supervisione diretta è il meccanismo di coordinamento più usato in
unità di medie dimensioni, poiché assicura una ripartizione dei compiti
più razionale e bilanciata rispetto all'adattamento reciproco. I suoi risultati
dipendono tuttavia in modo essenziale dalla qualità òel supervisore, poi-
ché i singoli operatori non hanno margini di autonomia: devono ricevere
dal supervisore indicazioni sui compiti loro assegnati e devono chiedere
istruzioni ogni volta che questi presentino dei margini di ambiguità o si ve-
rifichino situazioni inattese. Ciascun supervisore deve quindi dedicare
molta attenzione a ogni co1nponente del gruppo; proprio per questo, nor-
malmente si ritiene che un supervisore non possa coordinare più di 5-1O
persone. In presenza di un uso generalizzato della supervisione diretta, la
dimensione delle unità organizzative sarà quindi limitata e, parallelamen-
te, aumenterà il numero delle risorse dedicate al coordinamento e il relati-
vo costo. Si avranno inoltre delle strutture organizzative caratterizzate da
molti livelli gerarchici; come si preciserà meglio nel capitolo 1 O, tuttavia, il
numero dei livelli gerarchici incide negativamente sulla velocità di risposta
di un 'impresa al cambiamento, poiché le informazioni necessarie per ren-
dersi conto che si è manifestato un problema e per decidere la soluzione
da adottare devono fare un numero superiore di "passaggi" nell'organizza-
zione, con inevitabili rallentamenti.
Per aumentare la dimensione delle unità organizzative e ridurre il nume-
ro di livelli gerarchici, ottenendo strutture organizzative più "piatte", occorre
privilegiare meccanismi di coordinamento basati sulla standardizzazione.
In generale, la standardizzazione consiste nell'individuare delle "situazio-
ni standard", in cui ciascuna persona è in grado di sapere cosa fare indi-
pendentemente dalla presenza di un coordinamento o di una supervisione
esplicita. Di conseguenza, il management non deve intervenire nell'attività
degli operatori, se non per decidere come affrontare le eccezioni; il tempo
che il management deve dedicare a ciascun operatore diminuisce e, di con-
seguenza, aumenta la dimensione delle unità organizzative e si riduce il
numero dei livelli gerarchici (cfr. schema 9.1).
Difetto Azione
F, e u RA 9. 2 - Meccanismidi coordinamentoe c
Bassa complessità
Adattamento reciproco
---
Supervisione diretta
----
Standardizzazione dei processi
---
Standardizzazione dell'output
---
Standardizzazione delle competenze
---
Adattamento reciproco
Alta complessità
Responsabilità
Individuale Collettiva
Standardizzazione Adattamento
dell'output reciproco
Sui
risultati
Standardizzazione
delle competenze
Delega
Standardizzazione
dei processi
Supervisione
Solo sulla diretta
esecuzione
362 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
Scelta Gestione
Cliente
Pianificazione
fabbisogni -- del - Emissione
- ordine -- della -
~
interno
fornitore fornitura
Costi
cumulati
Costi sostenuti
o QJ QJ QJ Q)
Fasi
n!
t::~ e: e: e: u
Q)
bl)
::I
...
o o o ·.;.
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e:
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u o... Q)
e:
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a.. bl)
Q)
bl)
e:
4. Sulla interazione tra i risultati delle diverse fasi del processo in termini di livello qualitativo e
sull'impatto di tali relazioni in termini di creazione di valore economico, cfr. Noci (1993).
5. Su q~esto tema, cfr., ad esempio, Berliner e Brimson ( 1988) e Bartezzaghi, Spina e Ver-
ganti (1999). Proprio la ricerca di un coordinamento temporale tra le diverse unità che
appartengono allo stesso processo logistico è, ad esempio, uno degli obiettivi principali
dell'adozione di tecniche Just in Time.
10. I processi [ 367
6. Cfr. capitolo5.
7. Si noti la relazione che esiste tra processi e attività anche su questo punto. Un processo
"primario" potrà essere costituito sia da attività primarie sia da attività di supporto (ad
esempio, nel processo di vendita, che è un processo primario, potranno esistere attività di
amministrazione delle vendite, che sono "di supporto").
368 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
Anche nel caso dei processi, come per le attività, esistono alcuni elementi
di progettazione organizzativa che appaiono assolutamente generali e indi-
pendenti dalle caratteristiche del singolo processo, altri invece completa-
mente specifici. In questo paragrafo, in particolare, si farà riferimento al
primo gruppo di elementi, riferendosi normalmente a un processo di tipo
ripetitivo. Nel capitolo successivo verranno indicate le caratteristiche diffe-
renziali di un processo disc on tin uo.
Analizzare un processo significa esaminare:
• il flusso delle attività che lo compongono e le relative interdipendenze;
• i confini del processo;
• le responsabilità organizzative;
• i sistemi informativi di supporto.
8. Nel testo si fa riferimento alla mappatura di un processo in termini molto generali e fun-
zionali all'analisi organizzativa; in realtà, è possibile utilizzare diverse forme di mappatu-
370 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
ra, in funzione degli obiettivi specifici che si vogliono affrontare. Ad esempio, se l'obietti-
vo della mappatura è la costruzione del sistema informativo di supporto, essa dovrà enfa-
tizzare i flussi informativi tra le diverse unità; se invece vuole stimare il bilanciamento del-
le diverse risorse coinvolte, sarà necessario associare a ciascuna attività il tipo di risorse im-
piegate, il relativo driverdi consumo e la relazione esistente tra drivere utilizzo delle risor-
se. Esistono metodologie (la più nota è Idef, integrated computer-aided definition) e strumen-
ti di supporto specifici (quale ad esempio Aris, architecture of integrated inforrnation systerns).
Per un approfondimento su questi temi, cfr. Bartezzaghi, Spina e Verganti (1999).
10. I processi I 371
10.3.3 Le responsabilitàorganizzative
12. Owiamente, sono possibili limiti agli accessi alle singole informazioni.
374 j L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
Di conseguenza:
• il tempo/ costo dello sviluppo è ridotto, poiché non è necessario met-
tere a punto il codice software in ogni nuova applicazione, ma è suffi-
ciente "parametrizzare" il codice customizzato;
• l'impresa deve però avere un modello di funzionamento coerente con
la rappresentazione presente nell'ERP; in caso contrario, è necessario
adattare l'ERP (procedura, normalmente, troppo costosa) o modifica-
re le logiche di funzionamento dell'azienda.
Di fatto, l'ERP è un sistema "efficiente", che aumenta la capacità di integra-
zione del sistema informativo; come sempre, però, l'aumento dell'integra-
zione va a scapito della flessibilità, in termini di:
• possibilità di adattare il sisten1a alle specificità dell'azienda;
• possibilità di modificare il sistema in presenza di una reingegnerizza-
zione dei processi aziendali.
Il primo punto può essere o meno critico a seconda del modo in cui un 'im-
presa è organizzata attualmente. Il secondo punto appare invece molto
problematico in contesti innovativi e richiede una certa cautela nell'ado-
zione di questa soluzione tecnologica.
13. Questo utilizzo di Internet viene definito business to business (B2B) se mette in connessio-
ne un'impresa con un'altra, business to ronsumer (B2C) se la connette con i consumatori in-
dividuali.
10. I processi I 375
2001
B Employ Project 05 06 07 08 09 l O
1.1 Analisi richieste utenti 16.S p/m
· CortsigliOdi
;·, .amministrazione
. / ,. . . .
Pr6gettazh:>né
-
Consigliodi
amministrazione
Pianificazione ,.._-
· e controtlo Risorseumane
Amministrazione
e finanza -
I I
I
Ingegneria
I I I
di processo - Grandi Piccoli Mercati
clienti clienti esteri
I I
Tornitura Fresatura
11. Le strutture organizzative I 379
Presidente
:,t'>irezione t_.re_z
generaleprocessie infrastruttura statistica L..,-_D__ ......
io_n_e_.;;.g_en
......
e__
ra
___
l_e.
_p_roct
.....
· _ottì......
...... tl....
s_ta_t_is,
.....
ci_._......
......
Informatica Statisticadei.servizi
~nsimento e anagrafe .Statistichesociali
Raccoftadati Prezzie bilancidellefamiglie ·
Metodologiae tecnic~ statistica Statisticheindustrialie agrarie
1. Contrariamente alle imprese industriali e di servizi, dove non è mai possibile tro~are ~n~
totale sovrapposizione di attività e di prodotti tra due diverse imprese, nel caso d1 un isti-
tuto nazionale di statistica le funzioni sono definite in modo univoco, anche per la neces-
sità di rispondere alle richieste di statistiche da parte dell'UE.
380 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
FI e u RA 11 .4 - L'organigrammadell'istitutonazionaledi statisticaolandese
Sviluppoe supporto
Spinta all'integrazione
bassa alta
alta
Imprese
globali
Spinta alla
risposta locale
Imprese Imprese
multidomestiche transnazionali
bassa
FI e u RA 11. 6 - Interdipendenzemonodirezionali
.
Unità Unità organizzativa 2
Organizzativa 1
,. ,
Attività 1 ~
,·,;
Attivit'à
2
,,,- , ,,;
.. Attività 3
/, .,_,~;:;; .
'," ' ,
6. Si noti che nel capitolo 1Osono state analizzate le interdipendenze tra le diverse attività che
·compongono il processo indipendentemente dall'unità organizzativa che le realizza; così,
un'interdipendenza sequenziale tra due attività indicava che una era input per l'altra. Nel
caso della progettazione delle strutture organizzative, invece, l'attenzione è rivolta ai lega-
mi tra le unità organizzative che svolgono le singole attività.
384 I L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
F, e u RA 11. 7 - Interdipendenzebidirezionali
Unità Unità
organizzativa 1 organizzativa 2
Qa · Ca + Qb · Cb
che è decisamente superiore al costo (Qa + Qb) · Ca+ b' che si sarebbe otte-
nuto nell'ipotesi le due attività utilizzassero congiuntamente la risorsa. An-
Costo unitario
Ca I
I
I
Cb ---------------------~-------
I
I
I
I I
Ca+b ---------------------~--------~-------------------=----
'
1
I
I
!' -------- I
I
I I I
1 I I
1 I I
I I I
I I I
I I I
Qa Qb Qa+Qb
Q
Efficienza interna Elevata, poiché accorpa attività Ridotta, a meno che esistano
che utilizzano risorse diseconomie di scala
e competenze,.simili
Efficacia Ridotta, per la presenza Elevata
di barriere tra funzioni
Capacità di risposta Elevata, per la possibilità Limitata all'interno della singola
a piccoli cambiamenti di gestire in modo accentrato divisione
ogni risorsa
Capacità di risposta Bassa, richiede interventi estesi Elevata
a grandi cambiamenti a tutte le funzioni aziendali
e coordinati
Capacità di innovazione Agevolate le innovazioni Agevolate le innovazioni
researchdriven market driven
Responsabilizzazione Difficile isolare correttamente Evidenzia meglio le responsabilità
le responsabilità delle singole sui risultati di business
unità organizzative
Sviluppo manageriale Basso Alto
8. Cfr. paragrafi5.8.1-5.8.3.
388 i L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
Presidente
AD
Revisione
interna
D.G.
Cond G.
Pianificazione
e controllo
I I I I
Organizzazione ,-
Affari sociali
- Sistemi
Legale
informativi
... Partecipazioni
The McGraw-Hill
companies
I
Financial lnformation and
Education services Media Services
.__
Constructions
.__
Platts
Aviation
- week
Broadcasting
group
Health
care
In generale ( tabella 11. 2), si può ritenere che le strutture di tipo funzionale
siano particolarmente coerenti con:
• contesti competitivi stabili o comunque le cui evoluzioni sono limitate
e prevalentemente di natura quantitativa; in questi casi, infatti, l' effi-
cienza e la flessibilità operativa appaiono particolarmente importanti;
• contesti semplici, con una gamma produttiva limitata e una competi-
zione basata su pochi fattori competitivi; in queste situazioni, infatti, i
flussi informativi tra le diverse aree aziendali sono meno frequenti e
importanti;
• imprese di medie dimensioni, in cui non si verificano diseconomie di
scala.
Nella figura 11. 9, ad esempio, viene riportato l'organigramma di Fineco, nel
11. Le strutture organizzative I 391
Group strategy
and key processes
Communication
Legai Affairs
and Branding
I I
Treasury, Controlling, Human Resources and
Accounting, Taxes, Auditing Organizational development
quale il primo livello di management, alle dirette dipendenze del direttore ge-
nerale, identifica le principali attività "operative" di una struttura finanziaria
(finanza, contabilità e bilancio, risorse umane, organizzazione e sistemi, par-
ticolarmente enfatizzata dalla strategia di Fineco, che privilegia le interazioni
on-line con i propri clienti). La struttura è coerente con un "mix produttivo"
relativamente sernplice e "stabile" e con dimensioni organizzative contenute.
Le strutture divisionali saranno invece in generale preferibili in:
• contesti dinamici e complessi, dove è essenziale avere una elevata ca-
pacità di risposta al mercato;
• imprese più grandi, le cui dimensioni consentono di suddividere le
singole funzioni senza conseguenze negative in termini di economie
di scala e dove è particolarmente importante disporre di una corretta
responsabilizzazione delle singole unità.
All'interno di questo quadro generale, le strutture divisionali assumeranno
alcune specificità in funzione della dimensione utilizzata per articolare le
divisioni. In particolare, nelle figure 11.10-11.12 vengono rappresentati i ca-
si più frequenti, nei quali il primo livello dell'organigramma raggruppa
tutte le attività funzionali alla realizzazione di una linea di prodotti (divisio-
nale per prodotto), a servire uno specifico mercato (divisionale per merca-
392 J L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
to) o a realizzare tutto ciò che serve a una specifica area geografica (divi-
sionale per area geografica).
Ciascuna divisione potrà poi essere articolata al proprio interno secondo
diverse modalità: ancora per prodotto/mercato/area geografica, per fun-
zione, per processo o secondo una struttura di tipo matriciale.
McGraw Hill, multinazionale che opera in campo editoriale (figura
11.10), in particolare, ha voluto evidenziare la presenza al proprio interno
di linee di prodotto molto diverse: l'editoria più classica, rivolta prevalente-
mente alla produzione di testi scientifici ( education), la produzione di servi-
zi finanziari, con il ben noto Standard&Poor's, le altre attività.
Al contrario, nel caso di Electrolux (figura 11.11) prevale l'interesse a in-
tegrare le attività rivolte a uno stesso cliente; così, ad esempio, una stessa li-
nea di prodotto (gli outdoor products) viene inserita sia nell'unità che si occu-
pa del mercato consumer sia in quella che si rivolge agli operatori professio-
nali. Si noti che i livelli successivi di raggrupparnento sono ancora orientati
al mercato: dal responsabile dei consumer goods dipendono le diverse linee di
CEO
I I I ·-
Appie Appie Appie Appie
Products USA Europe Pacifìc
I
- Europe
West
- Canada
Europe
Australia
North
France - Japan
- Europe
South
- Latin
America
- Far East
Fonte: Daft.
11. Le strutture organizzative I 393
Amministratore
delegato
I I I I
Brand Human
Finance and IT Manufacturing Supply chain
development resources
- BU
Cheese
Sales ltaly e---
- BU
Meet
Internal
development
,---
Subsidiaries
.....
Fonte:www.galbani.com,gennaio 2005.
394 I L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
Normalmente, col passare del tempo i benefici di uno specifico assetto or-
ganizzativo tendono a saturarsi, mentre i problemi che esso comporta di-
ventano più evidenti.
I motivi di questo fenomeno sono prevalentemente culturali.
Se ad esempio si opera da tempo in una struttura funzionale, lo scambio di
competenze tra le diverse persone è diffuso e interiorizzato. Così, anche
nell'ipotesi che si passi a una struttura divisionale, suddividendo le unità
organizzative per prodotto, le connessioni precedenti verrebbero in larga
II. Le strutture organizzative I 395
Amministratore
Presidente
delegato
I I
I I I I
Generazione ed Servizi alle aziende
Infrastrutture e reti Mercato Telecomunicazioni
Energy Management e attività diversifìcate
Enel Produzione Enel Distribuzione Enel Distribuzione Wind Ape Gruppo Enel
Enel G reen Power (Network Area) (Market Area) Enelpower
Enel Trade Enel Distribuzione Enel Energia Enel.it
Enel Logistica Gas Enel Gas Enel Facility
Combustibili Electra de Viesgo Enel Sole Management
Conphoebus Distributi6n Enel.si Enel.Hydro
Viesgo Generati6n Viesgo Energia Enel.NewHydro
Enel Union Fenosa Sfera
Renovables Cise srl
Maritza Dalmazia Trieste srl
Enel North
America
Enel Latin America
9. Sui cicli come strumento per eliminare le inerzie organizzative, cfr. Azzone (2000).
10. Cfr. Mintzberg (1983).
396 i L'ORGANIZZAZIONE DI IMPRESA
12. I sistemi di know/,edge management hanno naturalmente altre funzioni, ugualmente impor-
tanti. In particolare, essi rendono l'organizzazione meno sensibile alla perdita di persona-
le qualificato.
13. In alcuni casi si ottiene il coinvolgimento delle persone associando una parte della loro re-
tribuzione ai risultati dell'attività "orizzontale", e attribuendo al manager integratore il
compito di valutare i risultati relativi a tali attività.
398 j L 1 ORGAN IZZAZION E DI IMPRESA
di Saipem S.A. di Parigi, ma anche dal responsabile dei servizi tecnici, basato
a Milano. L'obiettivo della struttura a matrice è di "attivare" le diverse forme
di raggruppamento sulla base dei problemi che si verificano; così, un proble-
ma relativo ai servizi tecnici di gruppo nella sede di Parigi verrà affrontato di-
rettamente dal responsabile dei Servizi tecnici di gruppo, senza che sia neces-
sario un passaggio gerarchico al livello carporate.
È molto difficile, nella realtà, che i due tipi di legame abbiano esattamente
la stessa importanza; normalmente, uno dei due risulta dominante rispetto al-
l'altro, ad esempio perché determina in modo prioritario i percorsi di carrie-
ra degli individui; la struttura a matrice, perciò, riduce i problemi di collega-
mento laterale ma usualmente non li elimina completamente.
Inoltre, anch'essa presenta alcuni punti deboli. I più importanti sono:
• la doppia linea gerarchica può causare alienazione agli individui, in par-
ticolare in presenza di obiettivi contrastanti e di conflitti tra i due supe-
riori; questi conflitti possono inoltre ripercuotersi sulla valutazione degli
individui e sulla definizione dei relativi percorsi di carriera;
• vi sono inevitabilmente aumenti nei costi di struttura (costi per riunioni,
per la gestione dei sistemi informativi, per la pianificazione).
CORPORATE MILAN
I
Paris Based Operations Milan Based Operations
Saipem s.a. Saipem S.p.A.
-~
e
:::, I I 1
Cl)
Cl) Leased
Cl.I M.M.O LNG Onshore Offshore Drilling
e FPSO
Cl)
::s I I
m I ~---------------,
-~
V
Cl.I L-
V, Group Project Services (EPC Competencies)
~ca
.e L-
V,
M ajor / Integrated Project Task Force
Le informazioni di natura
economico-finanziaria
La terza parte del testo è dedicata all'analisi delle principali fonti di informazioni dina-
tura economico-finanziaria in un'impresa, la contabilità generale e la contabilità anali-
tica.
La contabilità generale ha una rilevanza prevalentemente esterna; essa è finalizzata
a produrre il bilanciodi esercizio(oggetto di questa parte del testo) che ogni azienda
deve predisporre, almeno annualmente, in base alle norme definite dalle leggi nazio-
nali. Qualora poi l'azienda sia a capo di un gruppo, ovvero di un insieme di società tra
le quali esistano partecipazioni azionarie, essa è tenuta a redigere anche il bilancio
consolidato 1 , ovvero a fornire una rappresentazione del gruppo stesso come se fosse
un'unica entità. In Italia i vincoli legislativi di redazione del bilancio, sia di esercizio sia
consolidato, hanno subito recentemente profondi cambiamenti, a seguito del proces-
so di armonizzazione contabile promosso dall'Unione Europea (UE).
Il processo di cambiamento è stato avviato nel 1995 e ha portato la UE ad adottare i
principi già internazionalmente riconosciuti emanati dallo IASB (lnternational Ac-
counting Standards Board)2, i cosiddetti IAS (lnternational Accounting Standard)3. Il
• gli Stati membri devono obbligare: le società i cui titoli sono negoziati in un mercato
pubblico e quelle che si preparano a chiedere l'ammissione alla negoziazione dei loro ti-
toli a redigere i conti consolidati conformemente ai principi contabili internazionali;
• gli Stati membri possono consentire o prescrivere:
- alle società con titoli negoziati, di cui al punto precedente, di redigere i conti annuali (bi-
lanci di esercizio non consolidati) conformemente ai principi contabili internazionali;
- alle società i cui titoli non sono quotati di redigere i conti consolidati e/o i conti annuali
conformemente ai principi contabili internazionali; medesimo discorso per banche e
assicurazioni quotate e non quotate (sono escluse le società che redigono il bilancio in
forma abbreviata).
È prevista la proroga al 2007 nelle seguenti due ipotesi:
• imprese che attualmente redigono i bilanci in base a principi contabili riconosciuti in ambito
internazionale (il riferimento è, in particolare, ai principi statunitensi, gli US GAAP);
• imprese i cui titoli di debito (non azionari) sono quotati unicamente in un mercato rego-
lamentato di un qualsiasi Stato membro.
4. Il recepimento della normativa IAS da parte del legislatore italiano si ritrova in tre prowedimenti: la
Legge Comunitaria 2003 (Legge 31 ottobre 2003, n. 306), il Decreto Legislativo n. 394/2003, il De-
creto Legislativo n. 38/2005 (approvazione definitiva dello schema attuativo previsto dall'art. 25
della Legge n. 306/2003 che consente di redigere il bilancio di esercizio in base agli IAS). La legge
Comunitaria 2003 (pubblicata sulla G.U. n. 266 del 15novembre 2003, entrata in vigore il successi-
vo 30 novembre) si occupa delle opzioni previste dall'art. 5 del Regolamento Comunitario n.
1606/2002, relativo all'applicazione dei principi contabili internazionali. Il Decreto Legislativo n.
394 del 30 dicembre 2003 recepisce in Italia la Direttiva n. 2001/65/Ce, introducendo le prime va-
riazioni nella presentazione dei bilanci. Il recepimento ha tuttavia modificato in modo limitato la
presentazione dei bilanci, focalizzandosi sulle informazioni in nota integrativa. Il Decreto Legislati-
vo n. 38/2005 approva lo schema attuativo previsto dall'articolo 25 della Legge n. 306/2003, che
consente di redigere il bilancio di esercizio in base agli IAS. In particolare, le imprese obbligate, dal
Regolamento Comunitario n. 1606/2002, alla redazione del bilancio consolidato in base agli IAS,
potranno redigere, a partire dal 2005, anche i bilanci di esercizio in base a tali principi. La possibi-
lità di utilizzare gli IAS è concessa anche alle società controllate (collegate) da quelle che sono ob-
bligate a redigere il bilancio consolidato in base a tali principi, incluse nel consolidato stesso. Tutte
le società potranno scegliere di utilizzare gli IAS,escluse le società che possono redigere il bilancio
in forma abbreviata (art. 2435 e.e.).
5. Cfr.schema 3.8.
6. Gli articoli del codice civile che regolano i principi tradizionalidi redazione del bilancio hanno
subito significative modificazioni a seguito della riforma del diritto societario con il D.Lgs. del
17 gennaio 2003, n. 6, e sue successive modificazioni.
402 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Società quotate IAS/IFRS obbligatori dal 2005 IAS/IFRS facoltativi nel 2005
So'cietàcon strumenti IAS/I FRSobbligatori dal 2006
finanziari diffusi
Banche
Enti finanziari vigilati
Assicurazioni IAS/IFRS obbligatori dal 2005 IAS/IFRS obbligatori dal 2006
solo per le società quotate
che non redigono il bilancio
consolidato. Escluse dagli
IAS/IFRS negli altri casi.
Società oggetto di consolidamento(1) IAS/IFRS facoltativi dal 2005 IAS/IFRS facoltativi dal 2005
e altre società che redigono
il consolidato (escluse le società
minori) (2)
Società minori (ex art. 2435-bise.e.) Escluse dagli IAS/IFRS Escluse dagli IAS/IFRS
Note. (1) Si intendono società che vengono consolidate nel bilancio di un gruppo (Cfr. appendice1/.2). (2)
Il termine "Società minori" indica le società che in base all'art. 2435-bisdel codice civile possono redigere
il bilancio in forma abbreviata. Si fa riferimento a società che "nel primo esercizio o, successivamente,
per due esercizi consecutivi non abbiano superato due dei seguenti limiti: (a) totale dell'attivo dello sta-
to patrimoniale 3-125.000 euro; (b) ricavi delle vendite e delle prestazioni (fatturato): 6.250.000 euro; (c)
dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità" (art. 2435-biscodice civile, fonte: www.gover-
no.it, 31 luglio 2005). (3) Ossia società che non redigono il consolidato e non sono oggetto di consolida-
mento.
7. A partire dal 1 aprile 2001 i principi di nuova elaborazione dello IASBsono identificati con la si-
gla IFRS (lnternational Financial Reporting Standards).
Introduzione parte I II I 403
L'attenzione che viene rivolta nel testo alle informazioni di natura economico-finanzia-
ria è legata a diversi fattori; rispetto ad altri tipi di informazioni, in particolare, le gran-
dezze economico-finanziarie:
• sono misurate in "valori monetari", in modo del tutto omogeneo alla creazione
di valore economico;
• consentono di rendere omogenee grandezze per loro natura disomogenee; ad
esempio, è possibile confrontare l'output prodotto con gli input (lavoro, materia-
li, impianti) necessari per realizzarlo esprimendo sia l'uno sia gli altri in termini
di valore equivalente; al contrario, non sarebbe possibile confrontare direttamen-
te le quantità di prodotto finito ottenute in un periodo con le ore lavorate e le
tonnellate di materie prime utilizzate;
• sono in larga parte "standardizzate" (termini come "fatturato" o "patrimonio
netto" assumono lo stesso significato in tutte le aziende), esse consentono quin-
di un più agevole confronto tra aziende diverse o tra diverse unità di una stessa
azienda;
• devono, almeno in parte, essere prodotte per legge da tutte le imprese e sono
quindi "automaticamente" disponibili senza la necessità di realizzare un sistema
di rilevazione ad hoc.
Non bisogna tuttavia cadere nell'errore di ritenere che siano le uniche informazioni ri-
levanti in un'impresa; semplicemente, altri tipi di indicatori, non finanziari, come la
quota di mercato, la qualità del prodotto o la produttività degli impianti sono "specifi-
ci" e "non standardizzati"; essi verranno quindi introdotti successivamente nel testo,
ogni volta che si renderà necessario.
La terza parte del testo si articola in 5 capitoli.
I primi tre sono dedicati alle informazioni ricavabili dalla contabilità generale, e in
particolare:
8. Il patrimonio netto è una delle voci contenute nello Stato Patrimoniale; si rimanda al capitolo12
per il dettaglio.
404 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
12.1 Introduzione
12.1.1 L'attivo
1. In questo capitolo si fa riferimento alla redazione dello stato patrimoniale secondo i prin-
cipi del codice civile ( mlancio civilistico). È bene però ricordare che il bilancio porta alla
determinazione dell'utile, '1:partire da_lquale vengono determinate le imposte che l'im-
presa d.eY.eversare ( util,eimponilnl,e).1,e regole per la determinazione dell'utile imponibile
sono.almeno in parte differenti dai principi de] codice civile. La normativa italiana preve-
de che il bilancio venga redatto secondo i principi del codice civile, evidenziando in appo-
site voci le "correzioni" che devono poi essere introdotte a fini fiscali; tuttavia, in alcuni ca-
si le imprese adottano, per maggiore semplicità gestionale, "politiche fiscali" già nel bilan-
cio civilistico. La legge delega sulla corporale governance, citata nel capitolo 4, dovrebbe ac-
centuare la separazione tra bilancio civilistico e politiche fiscali.
2. I principi contabili italiani preesistenti ponevano invece il diritto di proprietà come ele-
mento necessario per la contabilizzazione delle risorse nell'attivo di stato patrimoniale.
406 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
12.1.2 11passivo
Il passivo riporta invece i diritti vantati da azionisti o terzi sulle risorse del-
l'impresa. I "diritti" possono avere un'origine different~. Possono vantare
diritti:
• gli azionisti, ovvero le persone che hanno investito il proprio capitale
nell'azienda;
• çhj hA.fQID:itoall'impresa risorse finanziarie necessarie per il suo fun-
zionamento;_ è il caso ad esempio degli .istituti di credito, che erogano
denaro e ve:r:_~.9j__
qtJaJLI~ilJlPresa_ç9pJn1.e_J1p __
d~biJQ_finanziari9. A que-
ste passività corrisponde il pagaro~nto di.un interesse esplicito4;
• _i finanziatori "iqipliciti,"_d~ll'i~p_r~~a, ovvero chi, vantando un credito
nei confronti __d~ll'azienda,
..
. ---
contribuisce
, '
di
_....__·----· fatto... ---
__ _____
. ___,,
a..--·-
,_
finanziarne le atti-
. ,
(12.1)
Non esiste invece alcuna relazione di tipo particolare tra singole voci
dell'attivo e del passivo. Dalla (12.1) consegue che ogni operazione di ge-
tavia, questo sarà probabilmente bilanciato, nel caso di acquisto a credito, da un prezzo
più alto da pagare al fornitore rispetto a quanto ottenibile tramite un pagamento a pronta
cassa.
6. Questa rappresenta una differenza rispetto ai principi nazionali preesistenti agli
IAS/IFRS; i principi italiani precedenti infatti erano maggiormente improntati a criteri di
prudenza e permettevano di contabilizzare ad esempio queste passività potenziali (princi-
pio contabile n.19).
7. ,L'equazione patrimoniale può essere ben compresa anche se si considera che l'attivo co-
stituisce l'insieme delle risorse dell'impresa e il passivo l'insieme dei mezzi finanziari ne-
cessari per disporre di tali risorse. In ogni istante, quindi, occorre che le risorse/investi-
menti equivalgano ai finanziamenti ad esse relativi.
408 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Immobili, impianti e macchinari Capitale sociale, con indicazione della parte non versata
Investimenti immobiliari Riserva da sovrapprezzo
Avviamento e attività immateriali Riserva da rivalutazione
a vita non definita
Altre attività immateriali Altre riserve
Partecipazioni Utili / perdite di esercizi precedenti
Altre attività finanziarie Utili / perdite dell'esercizio
Imposte differite attive
Obbligazioni in circolazione
Debiti verso banche
Debiti verso fornitori
Anticipi su lavori in corso su ordinazione
Altre passività finanziarie
Debiti tributari
Altre passività correnti
Totaleattività Totale passivitàe patrimonio netto
stione toccherà almeno due voci dello SP8 . A seconda dell'effetto sullo SP,
le operazioni si possono in generale suddividere in 9 :
• operazioni di "scambio". Consistono nel trasferimento tra diverse voci
di attivo e/ o passivo, che non alterano però la differenza tra i due to-
tali. Ad esempio, l'incasso di crediti commerciali consiste nel trasferi-
mento da una attività (crediti) a un'altra (cassa);
• operazioni di "variazione dei diritti di terzi". Sono operazioni caratteriz-
8. Se ne venisse toccata una sola, non sarebbe possibile mantenere l'uguaglianza tra attivo e
passivo.
9. Naturalmente, un'operazione di gestione potrebbe anche essere la combinazione di ope-
razioni elementari.
12. Lo stato patrimoniale I 409
12.2 l'attivo
10. In realtà il criterio temporale vale solo parzialmente; nell'attivo corrente sono infatti ri-
portati anche crediti con scadenza superiore all'esercizio. Proprio per ovviare a questo li-
mite è prevista anche la necessità di distinguere tra crediti in scadenza entro l'esercizio e
oltre l'esercizio.
410 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Ammortamento - € 800
Ammortamento - € 850
Gli investimenti immomliari 13 sono definiti dagli IAS/IFRS come proprietà im-
mobiliari (terreno o edificio - o parte di edificio - o entrambi) possedute
(dal proprietario o dal locatario tramite un contratto di 'leasingfinanziario)_al
13. Gli investimenti immobiliari nello schema di bilancio precedente all'introduzione degli
IAS erano inclusi nella voce immobilizzazioni materiali.
412 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Se H E MA l 2. 2 - La rivalutazionedegli investimentiimmobiliari
Estrattodal CE Estrattodall'AttivoSP
2005 31/12/2004 31/12/2005
Ricavo (incremento valore edificio) O Investimenti immobiliari € 800.000 € 780.000
Ammortamento - € 20.000
_nionetto. Anche optando per questo sec:_ondo_metodo i beni a vita utile de-
{i!'}Jta.
-~~VI"~!}nO
e~sere sogge~ti_~~-~~-~?r.t~?l"J.e~to.
Si sa inoltre che ilfair value degli impianti e terreni è maggiore rispetto al valore di
bilando e pari a 8.700 €.
Il patrimonio netto acquisito è pari alla differenza tra attività (14.350 €) e passività
(9.300 €) valorizzate alfair value, ossia 5.050 €.
!-,a vo_cepa,_rj_eçip_q;i<J_]J_iif!s::l
ud~--LI!~e_still}~~Ji
_1;_1.eJ
__pa.trJrp.()~i,9_di-~~pr_e_s~___
con-
trollate ,_çollegate o joint venture. La contabilizzazione di queste attività è di-
versificata in base a due elementi:
• tiQQ_l9gi.~Qj_r~J~_i9_ne_C.Q!l l_'i~pr_~.s~pi,t.[Je_çjJllita(controllo, collega-
mento o joint venture);
• obbligo per l'impresa a rediger~.H bilanci9 col).~oJig~to18.
~ur non entrando fl~!~~- sp~~~~_codelle div~rse opzio1;_1.i1.9. pr~Y!§t~,-~ QPRQr-
tun9_ segnalar~_ che ai:içhe in qu_~s_to _ca~o.J<:1
_va~utazione prev~de l'iq:1pjego
dt;t~.!:1~_!.ll_<?Q~!li.q~!_
cqs_t_oe d~l valore rideterminaJQ_.{J~_ir:yalye).
La voce altre attività.finanziarie include due tipolqgie di_attività: strumen-
ti rappresentativi di...cap..itak (ad esempio azioni e quote di partecipazione
non rappresentate da azioni) di un'altré;!_~DJit~20 div~x~i.d4 Lpx~.ç~.denti, e
diritti contrattuali a ricevere. disponi bili tà _liquide o ..altre .aJtiyità. I principi
internazionali precisano che il termine '~diritto cont1~3:t_t~_~1e: _Q_~çontrat!.Q"
~ riferisce a un accordo tra due_o pjù_p.ar_ti.che.abbia.c .. on.segueoze...e.c.ono-::
_!!}i_c:he
ch~ar~ e quindi non evitabilj i_!]_futµsQ;questi contratti possono assu-
mere forme diverse e non necessitano della forma scritta. Ad esempio un
deposito di liquidità in banca è un diritto per il depositante a ottenere de-
naro dall'istituto e quindi rappresenta un'attività finanziaria. I crediti nei
confronti dei clienti sono un altro esempio di attività finanziaria in quanto
sono un diritto contrattuale a ricevere in futuro disponibilità liquide.
Le attività finanziarie così definite, e non classificabili come partecipa-
zioni, si ritrovano in realtà sia nell'attivo non correnteche nell'attivo corrente,
a seconda del loro legame con il ciclo operativo dell'impresa.
Gli IAS/IFRS prevedono una diversa contabilizzazione delle attività fi-
18. Gli IAS/IFRS distinguono infatti tra bilancio separato, ossia il bilancio di una capogruppo
che presenta il proprio bilancio oltre quello consolidato, e bilancio individua/,e, quello pre-
disposto da un'impresa non tenuta alla redazione del bilancio consolidato.
19. IAS 27, 28 e 31.
20. Con il termine "entità" si intendono le persone fisiche, le persone giuridiche, le società e
gli enti pubblici.
416 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
21. Dalle considerazioni successive è esclusa una particolare categoria di strumenti finanziari
che viene trattata a parte dagli IAS/IFRS: i contratti derivati (ad esempio futures e opzioni);
per un breve approfondimento su questo argomento si veda l'appendice //.1.
12. Lo stato patrimoniale I 417
Nel 2005 la Cow S.p.A. ha emesso un prestito a favore della Frog S.p.A pari a
2.000 € della durata di 5 anni; il capitale verrà restituito interamente alla scadenza
del prestito. Il tasso di interesse nominale è del 4 per cento tuttavia la Cow ha ap-
plicato una commissione pari a 50 €.
La contabilizzazione del credito nel bilancio della Cow predeve l'uso del metodo
del costo ammortizzato utilizzando il tasso di interesse effettivo.
Per calcolare il tasso di interesse effettivo è necessario uguagliare il valore attuale del-
l'attività (1.950 €, ossia il capitale prestato a meno della commissione ricevuta) al
flusso contrattuale dei pagamenti futuri. Il tasso così calcolato è pari a 4,6 per cento22 •
Questo tasso effettivo permette ora di calcolare gli interessi di competenza per il
2005 pari a 89,1 € (4,6 per cento di 1.950 €).
Il valore finale del credito (ossia il suo costo ammortizzato) nel 2005 sarà pari a
1.950 più la differenza tra i ricavi calcolati al tasso effettivo e gli interessi incassati
= 1.950 € + (89 € - 80 €).
La tabella di seguito riporta il prospetto per tutti gli anni di durata del credito (va-
lori in€).
Periodo o 1 2 3 4 5 6
22. Di fatto, viene calcolata l'internal rate of return del prestito. Cfr. sotto-paragrafo19.1.3.
418 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
lore complessivo del fondo svalutazione crediti, pari alla percentuale media
di
.. insolvenza dell'azienda moltiplicata per il valore dei crediti commerciali .
E evidente che, una volta che i crediti siano stati riscossi e sia quindi possibile
determinare l'effettivo valore delle eventuali insolvenze, il valore contenuto
nel fondo svalutazione crediti verrà rettificato di conseguenza 23 .
llimanenze
A una stessa consistenza "fisica" dei beni a magazzino possono corrispon-
dere valori diversi della voce "rimanenze" dello SP, a seconda delle scelte di
un 'impresa relativamente a:
• le_ipotesi s_ulle__."seq!J.e_nzedi utilizzo" dei .beni;
• 1:ey.entuale.nec.e.ssità_di svalutazione;
• lé;l~composizione-" dei semilavorati.e dei prodotti.finiti.
Il primo punto può essere chiarito se si tiene conto che in generale, nel
corso di uno stesso esercizio, l'impresa può acquistare uno· stesso tipQdi
bene più volte e a prezzi differenti. Una parte delle unità acquistate sarà
poi utilizzata nel corso dell'esercizio, mentre un'altra si troverà normal-
mente a scorta alla fine dell'esercizio; a seconda delle ipotesi che l'azienda
fa su quali specifiche unità siano state utilizzate e quali si trovino a magazzi-
no, il valore delle scorte (e quello dei consumi di materiali) _ça~_b._i~_r_ann_ç>__
.
Nello schema 12.5 vengono esemplificati gli effetti dei due principali me-
todi di valutazione delle rimanenze previsti dagli IAS/IFRS 24 :
• p metodo Fifo (first in first out), ip. cui ~i iQ._otizz~
__
ç~~J_ç_p1jm~.µn,jtà_uti:-
lizzate siano le prime che sono _state acquistate;
• il n1etodo del costo medio, in cui si assume che tutte le unità siano state
... ------------ •--tt•······· __ , ----•-··
23. In altri termini: se il_y~lore eff~ttivamente riscosso_sarà superiore rispetto al valore del crç-
dito, al netto del fondo rischi, s!_ilyrà_.!:!_11a
sopravvenienza "attiva"; _in__ c~s~ contrario una
""sopravvenienza passiva". Sul significato di sopravvenienza attiva e passiva, si faccia riferi-
mento all'analisi del conto economico, nel capitow 13. Si osservi inoltre che non tutte le
operazioni di rettifica sono fiscalmente rilevanti.
24. Le norme del codice civile precedenti all'introduzione degli IAS/IFRS prevedevano un
terzo metodo, ora non più consentito, il Lifo ( last in first out), in cui si ipotizza che le prime
unità utilizzate siano le ultime che sono state acquistate.
420 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Se H E MA l 2. 5 - La valorizzazionedelle scorte
Un secon._dopr()_!:>.!~f!l~--~Lp~_<}
y_~_rif:ìcar~
_qll_andoil va~~re d~-~e~c;~~<?-~iuna
specifica rimanenza diventi inferiore rispetto al suo costo storico.
Infine, per determinare il valore dei semilavorati e dei prodotti finiti è
necessario identificare in modo puntuale quali specifiche risorse siano sta-
te utilizzate per ciascuno di essi; questo aspetto, per essere gestito con una
adeguata precisione, richiede la disponibilità di un sistema di contabilità
analitica, che consenta di comprendere:
• quali specifiche risorse debbano essere "attribuite" a un prodotto 25 ;
• come tali risorse debbano essere valorizzate 26 .
12.3 Il passivo
27. Anche nel passivo la distinzione tra corrente e non corrente vale solo parzialmente; nel
passivo non corrente possono essere infatti inclusi debiti di carattere "strategico" tuttavia
in scadenza nell'esercizio successivo. È prevista anche in passivo la distinzione tra voci in
scadenza entro l'esercizio e oltre l'esercizio.
28. Sul concetto di valore nominale di una azione cfr. capitolo 3.
29. I principi contabili italiani precedenti all'introduzione degli IAS/IFRS non prevedevano
la detrazione dei crediti verso soci dal capitale emesso, il quale era iscritto nella voce credi-
ti verso soci per versamenti ancora dovuti nello stato patrimoniale.
422 / LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
30. I principi contabili preesistenti già prevedevano la riserva di rivalutazione il cui uso era
tuttavia limitato in quanto le rivalutazioni erano previste solo a seguito dell'applicazione
di leggi speciali.
12. Lo stato patrimoniale I 423
12.3.3Passivitàcorrenti
L'ultimo aggregato,_il_pllssi.~_q_co,:.~~!lte,
include_ categorie già anaHzzate nella
parte non corrente, çb_~ riw._pr~_~a_g_~y~ __
_Ls_crivere_in_q!!~S~_
se~!Q}}~_qua_ndo
rit.i~n~_çhe -~L~~!iD-Kl:!~!EP:n-.Q
__
~_ntro il__normale ciclo operativo dell'impresa.
Al suo interno assumono particolare rilevanza levoci di de!?_i_tg, distingµibili
in debiti di carattere fisico (debiti verso fornitori, anticipi su lavori in corso
su ordinazione) e i debiti di carattere finanziarL9 (obbligazioni in circolazio-
ne e debiti verso banche). Per i debiti~ necessario indicare separatamente
nel bilancio l~__
parte in _scadenza oltre la fine del_succe~~ivo ~-s~~ci:Z_i?.
31. Per i principi italiani preesistenti il TFR è dato dall'integrale delle somme maturate dai di-
pendenti e che dovranno essere liquidate al momento dell'interruzione del loro rapporto
di lavoro con l'impresa.
13 Il conto economico
13.1 Introduzione
' 1. La ( 13.1), in particolare, assume che non vi siano state immissioni di capitali o distribu-
zione di dividendi nel periodo. Essa si ricava confrontando l'equazione economica (utile
= ricavi - costi) e l'equazione patrimoniale (utile= attivo - mezzi di terzi - patrimonio
iniziale) ..
426 i LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Revenue Ricavi
Other operating income Altri ricavi operativi
Changes in inventories of finished goods Variazioni delle scorte di prodotto finito
and work in progress e semilavorati
Raw materials and consumables used Consumo di materie prime e materiali di consumo
Employee benefits expense Costi del personale
Depreciation and amortisation expense Ammortamenti e variazioni di valore
delle attività non correnti
Other operating expenses Altre spese operative
Profit and loss for the year Ricavi e perdite da attività destinate a cessare
from discontinued operation
Attributableto: Attribuibilea:
Equity holders of the parent Azionisti di maggioranza
Minority interest Azionisti di minoranza
4. Si noti che le attività a cui si riferisce l'utile operativo differiscono dalle attività riferite al
ciclo operativo dell'impresa; in particolare in questo caso non vengono incluse le opera-
zioni di tipo finanziario corrente evidenziate nell'aggregato successivo e che concorrono
alla formazione dell'utile da attività in funzionamento.
13. Il conto economico I 429
La prima parte del conto economico raccoglie i ricavi e i costi generati dal-
la gestione caratteristica dell'impresa, aggregandoli sulla base della loro
natura; al suo interno si trovano:
• ricavi, i quali includono 5 la vendita di beni, le prestazioni di servizi,
l'utilizzo da parte di terzi di beni dell'impresa (interessi, royalties e di-
videndi);
• variazione delle scorte (di prodotti finiti e semilavorati);
• variazione delle commesse in corso;
• variazione degli immobilizzi dovuti a lavori interni (cioè immobilizzi
realizzati in proprio dall 'in1presa).
• costo per materie prime, sussidiarie e di consumo, pari agli acquisti di mate-
riali e componenti dall'esterno relativi all'esercizio in corso, rettificate
poi dalla differenza tra scorte iniziali e scorte finali;
• costo dei servizi acquistati esternamente;
• costo per il personalR, per stipendi, oneri sociali e trattamento di fine rap-
porto;
• ammortamenti e variazioni di valore delle immobilizzazioni: l'ammortamen-
to corrisponde alla quota del valore di un 'immobilizzazione materiale
o immateriale considerata di competenza dell'esercizio in corso; con-
cettuahnente, corrisponde al valore della "frazione" del bene consu-
mata nell'esercizio. Sono inoltre qui comprese le variazioni dovute al-
la perdita duratura di valore delle immobilizzazioni materiali e imma-
teriali, rilevate dall'azienda attraverso l' impairment test.
Il tema degli ammortamenti merita di essere approfondito, poiché consen-
te alcuni gradi di libertà alle imprese, relativamente a:
• periodo di ammortamento, ovvero il numero di anni nel quale riparti-
re il costo del bene;
• quota annuale di ammortamento.
II periodo di ammortamento dipende dalla vita utile, che a sua volta è legata al
deterioramento e ali' obsolescenza del bene. Si noti che, dal punto di vista
fiscale, una riduzione della vita utile consentirebbe di detrarre più rapida-
mente i costi di acquisto di un bene dal reddito imponibile, permettendo il
differimento delle imposte e consentendo quindi un risparmio fiscale ac-
Si supponga che un'azienda abbia acquistato un bene a 19.000 €, con una vita uti-
le di 8 anni e un valore di recupero previsto di 3.000 € a fìne vita. Nel caso di am-
mortamento a quote costanti, l'ammortamento sarà pari a:
(19.000 - 3.000) /8 = 2.000 € per ciascuno degli 8 anni di vita del bene, per com-
plessivi 16.000 €
6. Questo tema è un esempio tipico della differenza tra principi civilistici e politiche fiscali.
In teoria, nel bilancio civilistico l'ammortamento dovrebbe essere "rappresentativo del-
l'effettivo consumo del bene"; eventuali politiche di ammortamento diverse, a soli fini fi-
scali, dovrebbero essere annotate separatamente nelle "ultime righe" del conto economi-
co. Spesso, tuttavia, per semplicità gestionale gli ammortamenti ''accelerati" o "anticipati"
vengono utilizzati anche a fini civilistici.
13. Il conto economico I 431
anno 3 - 2.400 €
anno 4- 2.100 €
anno 5 - 1.800 €
anno 6 -1.500 €
anno 7-1.200 €
anno 8 - 1.000 €
Totale - 16.000 €
Nel caso di ammortamento anticipato si ha:
anno 1 - 4.000 €
anno 2 -4.000 €
anno 3 - 4.000 €
anno 4 - 2.000 €
anno 5 - 2.000 €
anno 6 - o€
anno 7 - o€
anno 8- o€
Totale - 16.000 €
Naturalmente, il valore complessivo dell'ammortamento coincide nei tre casi.
e l'input come:
► ►
Produzione Vendite
Alla fine del 2004 la Fraili S.p.A. ha registrato nell'attivo di stato patrimoniale le se-
guenti attività finanziarie:
13. Il conto economico I 433
Nel corso del 2005 le attività Fvtpl subiscono una variazione di valore a causa del-
la pessima congiuntura dei mercati finanziari e il loro valore equo (fair value) al
31/12/2005 è di 18.000 €.
Le altre due categorie di attività sono invece valutate con il metodo del costo am-
mortizzato e gli interessi attivi maturati nel 2005 sono complessivamente pari a
2.600 € (pagati pronta cassa).
Alla fine dell'anno la Fraili opera inoltre un test di impairment evidenziando una
perdita duratura di valore delle attività detenute fino a scadenza pari a 3.000 €.
Gli eventi sopra descritti saranno contabilizzati nel bilancio 2005 come segue:
L'.impresa DLT produce giocattoli e nel corso del 2005 ha deciso di dismettere una
parte della società dedicata alla produzione di bambole.
L'.operazione in base ai principi IAS/1FRS implica che l'impresa evidenzi i flussi
economici di questa attività separatamente nell'aggregato attività destinate a ces-
sare (discontinuedoperations).
Il conto economico del 2005 presenta questa situazione:
Attività in funzionamento €
Ricavi 1.200.000
Altri proventi 8.700
Variazioni delle scorte di prodotto finito e semilavorati 4.000
Imposte -41.000
li CE mostra 12.000 € complessivi che sono determinati in parte dai flussi operati-
vi generatisi da queste attività durante il 2005 e in parte dalla plusvalenza dovuta
alla cessione; il dettaglio di tali informazioni è contenuto nella nota integrativa.
Nota integrativa
Discontinuedoperations
Il ricavo di 12.000 € derivante dal ramo bambole è suddiviso in:
• utile dell'attività operativa del ramo bambole: 3.100 €;
• plusvalenza derivante dalla dismissione del ramo: 8.900 €.
La plusvalenza è pari alla differenza tra il valore di vendita (35.000 €) e il valore
delle attività cedute valutate al fair value (26.1 oo €).
13.2.5Utile d'esercizio
Revenue Ricavi
Cost of sales Costo del venduto
Profìt and loss for the year from discontinued Ricavi e perdite da attività destinate a cessare
operations
La Soap S.p.A. ha venduto nel corso del 2005 prodotti per l'igiene personale per
un valore pari a 75.000 €.
I costi sostenuti nel 2005 sono stati:
438 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
13.4Le diverse"gestioni"
13. In realtà, nella attuale struttura del conto economico la gestione caratteristica comprende
anche alcune attività "extracaratteristiche"; ad esempio, nel valore della produzione ven-
gono contabilizzati gli "affitti attivi", che non dovrebbero fare parte, a rigore, della gestio-
ne caratteristica.
13. Il conto economico I 439
• la gestione fiscale;
• la gestione delle attività destinate a cessare.
Il risultato della gestione caratteristica in particolare è espresso dal Margi-
ne operativo netto (Mon) e rappresenta la capacità dell'impresa di creare
reddito attraverso le sole attività di tipo operativo, indipendentemente cioè
dalle modalità di finanziamento. Un altro indice significativo, il Valore ag-
giunto lordo (Val), si ottiene sottraendo dal valore della produzione i soli
costi relativi all'acquisto di beni e servizi dall'esterno e al godimento di be-
ni di terzi; il Val rappresenta una misura di quanto la gestione fisica del-
1'impresa sia stata in grado di aumentare il valore degli acquisti esterni;
normalmente, al crescere del livello di integrazione verticale di una azien-
da, ne aumenta il Val a parità di ricavi.
14 Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni
di patrimonio netto e documenti integrativi
14.1 Introduzione
Net cash from operating activities 19.100 Flussodi cassa netto della gestione 19.100
operativa
INVESTING
ACTIVITIES ATTIVITÀ
DI INVESTIMENTO
Net cash used in investing activities -12.000 Flussodi cassa netto per attività -12.000
di investimento
f INANCING
ACTIVITIES ATTIVITÀ
DI FINANZIAMENTO
Net cash from financing activities -6.200 Flussodi cassa netto per attività -6.200
di finanziamento
Net increase/(decrease)in cash and cash 900 Incremento (diminuzione) di cassa 900
equivalents o equivalenti
Cash and cash equivalents at beginning 2.300 Cassa o equivalenti all'inizio dell'anno 2.300
ofyear
Cash and cash equivalents at end ofyear 3.200 Cassa o equivalenti alla fine dell'anno 3.200
444 J LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Il punto di partenza per il calcolo del cash flow in questo caso è costituito
dal risultato operativo dell'impresa, ovvero dalla differenza tra valore e costi
della produzione. Questa grandezza sintetizza, in termini economici, la capa-
cità dell'impresa di "aggiungere valore" con la propria attività caratteristi-
ca; per tradurre questa misura in termini finanziari è necessario però evi-
denziare come alcuni dei costi di produzione non comportino uscite di de-
naro. Il caso più immediato è quello degli ammortamenti; l'ammortamen-
to costituisce una convenzione contabile per ripartire il "consumo" di una
immobilizzazione su più esercizi, ma non ha alcun effetto sulla "cassa"
(l'impatto "finanziario" dell'immobilizzazione si ha infatti nel momento in
cui il bene è stato pagato al fornitore, non quando esso viene impiegato).
Considerazioni simili valgono per le svalutazioni o gli accantonamenti. Si
consideri ad esempio l'accantonamento dell'indennità di fine rapporto di
un dipendente; esso non comporta alcun flusso finanziario per l'azienda
quando avviene l'accantonamento, ma solo al momento in cui il dipenden-
te cesserà il proprio rapporto di lavoro.
Una seconda correzione connessa con la gestione caratteristica è quella
relativa alla variazione del Capitale circolante netto operativo (Ceno). Con
Ceno si definisce la differenza tra le attività e le passività legate alla gestio-
ne caratteristica. Le principali attività sono:
• crediti commerciali;
• rimanenze.
Le più importanti passività sono invece:
• debiti commerciali;
• trattamenti di fine rapporto.
In pratica il Ceno rappresenta la differenza tra le risorse utilizzate nella ge-
stione per assicurare il normale funzionamento dell'azienda e le fonti di fi-
nanziamento che emergono in modo spontaneo dalla stessa attività gestio-
nale. Al crescere del Ceno, quindi, ci si trova di fronte alla necessità di re-
perire nuovi finanziamenti, in quanto l'investimento in Ceno "assorbe" de-
naro; al contrario, al diminuire del Ceno ci si trova di fronte a una riduzio-
ne delle risorse, che comporta una disponibilità di cassa incrementale 1.
Le due correzioni apportate al Mon consentono di avere una fotografia
dei flussi di cassa generati dall'attività caratteristica dell'impresa a cui do-
vranno essere aggiunti altri due importanti flussi di tipo corrente: gli inte-
ressi e le imposte pagate. Queste voci consentono di ottenere il flusso di
cassa netto della gestione operativa.
1. Per comprendere questo effetto, può essere utile un semplice esempio. Si consideri il caso
di una azienda che "nasce" e che nel corso dell'anno vende per 1.000 € a credito. In que-
sto caso, nonostante i ricavi, non si ha alcun flusso di cassa (di fatto, il flusso potenziale di
1.000 € è stato bilanciato da un incremento corrispondente del Ceno). Analogamente, se
un'impresa che ha crediti per 1.000 € non vende nulla nell'anno ma incassa i propri cre-
diti, essa genera un flusso di cassa di 1.000 € (il flusso potenziale, nullo, è aumentato dalla
riduzione del Ceno).
14. Rendiconto finanziario, prospetto delle variazioni di patrimonio netto I 445
2. Si noti che i .due prospetti di rendiconto finanziario si differenziano nella parte dedicata
alle attività operative, mentre coincidono per attività di finanziamento e investimento.
446 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
OPERATING
CASHFLOWS € FLUSSI
DI CASSA
OPERATIVI €
+Cash receipts from customers +55.000 +Entrate da clienti +55.000
-Cash paid to suppliers -7.000 -Uscite per fornitori -7.000
-Cash paid to employees -8.500 -Uscite relative al personale -8.500
-Cash paid for other operating expenses -10.000 -Altre uscite per spese operative -10.000
-lnterest paid -2.600 -Interessi pagati -2.600
-lncome taxes paid -7.800 -Tasse pagate -7.800
Net cash from operatingactivities +19.100 Flussodi cassa netto della gestione +19.100
operativa
INVESTING
ACTIVITIES ATTIVITÀ
DI INVESTIMENTO
Net cash used in investingactivities -12.000 Flussodi cassa netto per attività -12.000
di investimento
FINANCING
ACTIVITIES ATTIVITÀ
DI FINANZIAMENTO
Net cash from financing activities -6.200 Flussodi cassa netto per attività -6.200
di finanziamento
Net increase/(decrease)in cash and cash 900 Incremento (diminuzione) di cassa 900
equivalents o equivalenti
Cash and cash equivalents at beginning 2.300 Cassao equivalenti all'inizio dell'anno 2.300
ofyear
Cash and cash equivalentsat end ofyear 3.200 Cassao equivalenti alla fine dell'anno 3.200
Total recognisedincomeand
expensefor the year o o -3.800 1.S00 700 15.000 13.400
Saldo al 31 dicembre 2004 120.000 30.000 20.000 1.000 3.500 95.000 269.500
144.1 La relazionesullagestione
3. La relazione sulla gestione è stata modificata dal Decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 32, in
attuazione alla direttiva 2003/51/CE che modifica le direttive 78/660, 83/349, 86/635 e
91/674/CEE relative ai conti annuali e ai conti consolidati di taluni tipi di società, delle ban-
che e altri istituti finanziari e delle imprese di assicurazione.
4. La modifica del 2007 ha interessato anche la relazione sulla gestione delle società non ob-
bligate ad applicare gli IAS/IFRS escluse le società che redigono il bilancio in forma abbre-
viata.
450 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Gli emittenti con titoli negoziati sui mercati regolamentati e gli emittenti con
strumenti finanziari diffusi, inclusi quelli bancari e assicurativi, devono inoltre
presentare nella relazione sulla gestione 5 :
• schemi riclassificati e prospetto di raccordo;
• operazioni atipiche e/ o inusuali;
• "indicatori alternativi di performance".
A. Cassa
B. Altre disponibilità liquide (dettagli)
C. Titoli detenuti per la negoziazione
D. Liquidità(A+B+C)
E. Crediti finanziari correnti
F. Debiti bancari correnti
G. Parte corrente dell'indebitamento non corrente
H. Altri debiti finanziari correnti
I. Indebitamentofinanziariocorrente(F+G+H)
J. Indebitamentofinanziariocorrentenetto (1-E-D)
K. Debiti bancari non correnti
L. Obbligazioni emesse
M. Altri debiti non correnti
N. Indebitamentofinanziarionon corrente(K+L+M)
O. Indebitamentofinanziarionetto U+N)
6. L'informativa di settore regolata ora dallo IAS 14 verrà dal primo gennaio 2009 regolata dal-
l'IFRS 8.
452 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Il bilancio delle imprese italiane con titoli negoziati sui mercati regolamentati
e gli emittenti con strumenti finanziari diffusi è sottoposto a controllo conta-
bile da parte di una società di revisione esterna certificata.
La società di revisione ha il compito di verificare la regolare tenuta della
contabilità sociale e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di
gestione ed esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio con-
solidato nella relazionedi revisione.
La relazione comprende 7:
• un paragrafo introduttivo che identifica il bilancio sottoposto a revisione
e il quadro delle regole di redazione applicate dalla società;
• una descrizione della portata della revisione svolta con l'indicazione dei
principi di revisione osservati;
• un giudizio sul bilancio che indica chiaramente se questo è conforme al-
le norme che ne disciplinano la redazione e se rappresenta in modo ve-
ritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato
economico dell'esercizio;
• eventuali richiami di informativa che il revisore sottopone all'attenzione
dei destinatari del bilancio, senza che essi costituiscano rilievi;
• un giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio.
Se viene espresso un giudizio negativo o dichiarata l'impossibilità di esprime-
re un giudizio, la relazione deve illustrare analiticamente i motivi della deci-
sione.
15.1 Introduzione
-~e,nel piano dei conti, le vo_çjdi costC>~-~Lricav() "per natura", !Ila se ne dà an-
che una lettu~er destinazione". In altri termini, ogni volta che una risorsa
viene consumata, il si~tema_di con_tabilità analitiç~_ne cl$So_çii!_jl_ ç.9§tor~1atiyo ~
un "oggetto_di costo", owero all'unità organizzativa e/ o al prodotto che ne è
~espon~~_!:>ile.
1. Una configurazione di costo può essere definita come un "set di risorse" il cui valore determi-
na il costo di un prodotto o di una unità organizzativa; è evidente che al variare di tale "set",
cambia la configurazione di costo e, quindi, il valore del costo stesso.
15. La contabilità analitica: elementi di base 455
• la distinzione tra --
costi fissi e variabili·
·-- ---·------ ------ _'...)_
Una prima classificazione rilevante fa riferimento alla natura del costo _eper-
~~tte di distinguere ~:
a. ç9sti di prodotto; e
b. costi di ~riod_o.
!.CO§tid!.P!o_<k>J~rappresentano
-
il valore delle risorse
------------·----•------------
- -----~--- associabili,
--.--.. in modo di-
retto.o indiretto, alla realizzaz_ione._c:ij_unprod9tt9/s~rm.i9 2 . Possono essere
ulteriormente suddivisi in:
costidi lavarodiretto,relativi agli açldetti alle_operazioni di trasf9rmazion~
fisica e di assemblaggio;
costidi materialidiretti,relativi agli acquisti esterni di inater_i~-12Iime,semi-
lavorati e componenti ~soçiab_ili _di_rettamer1t~ all~.I~.<!1.i~~-~lQ!!e ___
çli__!l_I).
_siQg__olo prodott~servizio;
çgsti indiretti di produzione o overheaddi JJ!oduz~ory,e, ç_ioèC()stia~s9_c~~l=>ili <;li-
r~ttamente all'attività produttiva nel suo complesso, m_a:r;ionali~ r~~~~?:Z!1-
zione di una singola unità di prodotto; vengono convenzionalmente sud-
divisi tra costi indiretti fissi, indipendenti dal volume produttivo (affitti,
ammortamenti dei macchinari, assicurazione), e costiindirettivariabili,di-
pendenti cioè dal volume produttivo (ad esempio costo del lavoro indi-
retto, relativo ad attività di supervisione, manutenzione, controllo di
qualità, e costi di energia).
I_ costi di periodo,c;lefiniti anche spese4.i~çreziQrJ!J{i, comprendono invece atti-
vità non diret~~n~e_ associabili alla realizzazione di un prodotto; rientrano
in particolare in questa categoria i costi di ricerca e ajl.yppo e le spese ammi-
nistrative, generali e di vendita.
La somma del co~to_ lf(lavaro direttoe dei costi_indiretti_dj_produzione attribuiti a
viene definita costoçl,i_ç_()_JJ,versione,
un _E._1=._0Q.Q!to ~ju!}g_~Pd9. a.LCQJ'{Q_di (Qn.JLersùJ-
__
ne il costodei materiali dir(!ltisi ottiene il costopi,enoindustrial,e,infine, se al costo
pi,eri_oindustriak_~_i_~QmII).aJ4-.q_\lota dei Cf)5tiÀiperi,Qdo associati al prodotto, si ha
il .Eo~topien,oazienda/,e.
La distinzione tra costi_di prodotto__e _di_p_e_riodo_ha effetti.significativi sul-
la valorizzazione delle scorte e sulla determinazione dei risultati economici
2. La distinzione tra costi di prodotto e costi di periodo non è in realtà univoca. Alcune imprese
considerano nei costi di prodotto i soli costi connessi con la trasformazione fisica del prodot-
to; altre includono anche i costi connessi con il sistema logistico interno; altre ancora, infine,
in modo a nostro avviso concettualmente più corretto, considerano i costi di tutte le attività
pnmane.
456 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
3. Storicamente, i costi variabili erano prevalentemente costituiti dal costo dei materiali diretti e
dal costo del lavoro diretto, sostanzialmente proporzionali al volume produttivo, almeno in as-
senza di adçguate garanzie salariali.
458 i LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Dall'altro lato, anche dove ci sia una relazione tra l'entità di un costo e il vo-
lume produttivo, questa può non essere di proporzionalità diretta; ad esem-
pio, il lavoro indiretto, considerato come un costo indiretto variabile, dipende
in qualche misura dal livello di attività dell'impresa, ma non necessariamente
è ad esso direttamente proporzionale.
15. La contabilità analitica: e]ementi di base I 459
,/'
/'
............................................. ,/'··························--··········--·
/'
Livello
di attività
1=,acl~_s_i_fic~i<;)J;ie
dei costi in evitabilie non evitabilidistingue i costi sulla base
del!a loro ri~_evanzadecisionale; essa quindi deve fare riferimento a una speci-
fica decisione (ad esempio un aumento del livello produttivo, una ridefinizio-
ne del mix o una scelta di make or l,uy). I costi evitabili sono quelli influenzati
dalla decisione, mentre i costinon evitabilisono quelli che non dipendono da
ess~~_che vèrranno comunque sostenuti qualunque ne sia l'esito. Nell'analiz-
zar~_u_na..d~cisione,quindi, si d~ye t~ner conto dei soli costi evitabil_i.
460 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
Costi indiretti variabili Alcune voci (come l'energia) sono normalmente evitabili; altre (co-
me il lavoro indiretto) hanno un comportamento analogo a quello
del lavoro diretto
4. Ad esempio, in presenza di una forte rigidità del fattore lavoro, il costo del lavoro diretto può
non essere evitabile nel breve periodo; il costo diventa evitabile nel lungo periodo, al momen-
to del pensionamento dei dipendenti.
5. Ad esempio, il costo del lavoro sarà in generale meno evitabile nel caso di una decisione che
fa risparmiare mezzo addetto che nel caso di una decisione che fa risparmiare un addetto.
16 I sistemi per la rilevazione dei costi
Con "sistema per la rilevazione dei costi" si definisce l'insieme de_lleregol~ a_t-
traverso le quali la contabilità analitica ripartisce i costi c_o_mplessividell'im-
presa tra le singole unità organizzative e gli specifici prodotti/linee di prodot-
to. Concettualmente, la struttura di un sistema di rilevazione di costi viene
rappresentata in figura 16.1; essa è composta da alcuni "archivi" e da alcune
"rego 1e".
(pianodei conti)
Risorse Q Unità
organizzative
(pianodei centri
di costo)
- logiche di ribaltamento
- modalità di attribuzione
D
Prodotti
(elenco
dei prodotti)
1. Owiamente, se un'azienda vuole utilizzare il prop1io sistema di contabilità analitica solo per
determinare i costi delle unità organizzative e non quelli dei prodotti, il sistema sarà compo-
sto da due soli archivi, piano dei conti e piano dei centri di costo, e dalle sole regole necessa-
rie per attribuire i costi delle risorse alle unità organizzative. Nel seguito del capitolo, per assi-
curare maggiore generalità alla trattazione, si farà sempre riferimento a un sistema "comple-
to", destinato cioè a determinare i costi dei prodotti.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 463
2. L'evoluzione storica dei sistemi di costing,in coerenza con l'evoluzione del contesto competi-
tivo e della struttura dei costi, rappresenta l'oggetto del famoso testo di Johnson e Kaplan
(1987).
3. Tra le caratteristiche specifiche di un sistema just-in-tirne,vi è quella di far svolgere le attività di
manutenziorie e di controllo della produzione direttamente dagli addetti alle linee di produ-
zione e di assemblaggio. Sul just-in-tirne,cfr. Bartezzaghi e Turco ( 1989), Monden ( 1983) e
Schonberger ( 1982).
464 j LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
..Le "regole" del sistema di rilevazione dei costi di prodotto sono in generale
rappresentabili attraverso quattro differenti decisioni.
Le prime due sono relative alla definizione stessa di "costo", general-
mente inteso come il "valore delle risorse utilizzate"; è una definizione che
si presta infatti ad accezioni differenti; per renderla operativa è necessario
precisare:
• il set_delle risorse_ che __
si_vogliono associare al prodottQ. e/ o all'unità or-
ganizzativa (full costingvs. directcos#!lgJ;
__
• le modalità di valorizzél.Zionedi talirisorse ( costistoricivs. costistandard);
Le altre due decisioni analizzano invece le v~re_e_proprie_modalità di at-
tribuz_ione delle risorse, che sono contrQU~_t~dalle unità organizzative, ai
prodotti; in questo senso, i sistemi divergono a seconda che:
• i costi controllati da tutte le unità organizzat~ve vengano ripartiti diret-
tamente tra i prodotti o esistano meccanismi di ribaltamento interme-
dio tra diverse unità organizzative (sistemi a uno stadio vs. sistemi a due o
più stadi);
• l'attribuzione dei costi awenga secondo principi di causa/effetto o se-
Una soluzione ibrida tra full costinge dired costingè rappresentata dai sistemi di
tipo dired costingevoluto;in essi, ai prodotti vengono attribuiti anche i costi del-
le risorse indirette "specifiche" (ad esempio, l'ammortamento di un impianto
dedicato esclusivamente alla realizzazione di una data tipologia di prodotto).
466 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
n calcolodel costostandard
Si definisce costo standard il "costo teorico, ingegneristico ottenibile dall'im-
presa per la realizzazione di un determinato output in condizioni di normale
funzionamento". Come emerge dalla definizione, il costo standard è definito
in sede di pianificazione, prima della realizzazione del prodotto e sulla base di
un ciclo operativo ideale: non viene contemplata, quindi, la possibilità di
eventi straordinari che inficierebbero l'attendibilità del costo determinato in
fase preventiva.
Come anticipato, se il costo standard costituisce un valore obiettivo rispetto
al quale esprimere una valutazione di efficienza, il giudizio di merito risultan-
te dipende in modo sostanziale da come vengono definite le "condizioni di
normale funzionamento".
r6. l sistemi per la rilevazione dei costi I 467
O Hstd totali
Cstd = ----- . LDstd(i) (16.2)
LDstd totale
dove LDstd totale rappresenta l'ammontare complessivo del costo di lavoro di-
retto relativo al periodo di riferimento, stimato a preventivo, e LDstd(i) il co-
sto standard di lavoro diretto relativo a una unità del prodotto i-esimo.
Il ribaltamento dei costi delle attività di supporto sui centri produttivi è più
oneroso rispetto alla ripartizione diretta, ma consente una valutazione più
puntuale delle risorse complessivamente impiegate in ciascun centro produt-
tivo, nonché dell'efficienza nell'impiego di tali risorse 10. La precisione di tale
valutazione dipende ovviamente in misura sostanziale dal modo in cui i costi
delle attività di supporto vengono attribuiti ai centri produttivi.
Esistono quattro tecniche principali di ribaltamento, elencate nel seguito
in ordine di precisione e di complessità crescente:
i. il metododiretta,
ii. il metododirettoa duefasi;
iii. il metodosequenziale,
iv. il metodomatricia/,e.
9. Talvolta in una stessa azienda si usano soluzioni differenti per diverse tipologie di costi.
1O. Ad esempio, risulta più agevole comparare l'efficienza con cui una specifica attività produtti-
va viene svolta internamente all'impresa ed esternamente ad essa, poiché si è in grado di evi-
denziare tutte le attività di supporto impiegate internamente all'impresa per realizzare l'atti-
vità produttiva e i relativi costi.
470 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
CPJl..
sJ.. (16.3)
N
kCP ..
i= I Jl
Il metododirettoa duefasi opera in due fasi successive. Nella prima fase, il co-
sto di ciascun centro di servizio viene ripartito tra i centri produttivi e gli altri
centri di servizio, sempre proporzionalmente alla base di ripartizione scelta.
Al centro produttivo i-esimo viene quindi attribuito direttamente un costo
pan a:
s.. ___CPJ_•
..
__ _
(16.4)
J
11. L'interscambio netto percentuale di un centro di servizio viene definito come differenza tra
la percentuale dei servizi resi e quella dei servizi assorbiti.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 471
~1
S. * = S. + ~ x.k · ' * j = l. .. M ( 16.5)
J J ~ J' ~
k =l
dove xjk rappresenta la frazione delle risorse del centro di servizio k-esimo uti-
lizzata dal centro di servizio j-esimo.
Risolvendo questo sistema di equazioni, si determinano i costi globali di
ciascun centro di servizio; tali costi vengono poi ripartiti tra tutti i centri pro-
duttivi e tutti i centri di servizio attraverso il metododiretto.
I principali metodi di rilevazione dei costi dei prodotti applicati nella pratica
sono 12:
• job costingo contabilitàper commessa;
• processcosting,
• operationcosting,
• activity basedcosting (ABC) .
I quattro metodi si distinguono per l'insieme delle voci che vengono attri-
buite ai prodotti sulla base di relazioni di causa-effetto e di quelle invece per
le quali ci si limita a una ripartizione di tipo proporzionale, secondo quanto
riportato in tabella 16.1. La tabella consente di determinare immediatamente
la diversa precisionee il differente costodei quattro metodi crescenti, passando
,
12. Nella pratica talvolta si utilizzano sistemi "ibridi" tra le diverse configurazioni.
I
472 I LE INFORMAZIONI DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
A ciascun job viene associata una sched~, in forma cartacea o informatica, ~he
lo accompagna lungo tutto il ciclo di lavorazione. Sulla scheda, in ogni centro
di costo y~r1gono_r~gistrati i __ cq~_tis9stenuti _per la realizzaziqne del job.
Più specificamente:
• il costo dei materialidirettiviene determinato sulla base del valore a cui es-
sLer<1120 ~onJabili'.?zati a m<:1gazzino;
ç_lt
• ~i_rileviiJa__g!:l_~l}tj~_ lµ_voroç/,}r:_(!ttq_
impiegata per la realizzazione del job,
valorizzandola al costo orario del lavoro;
• i costi intjirtj_(ti
vengonq ripartiti tra i prodotti proporzionalmente all'uti-
lizzo di un fattore produttivo, usualmente_ il l~voro diretto, denomin~to
base di allocazione.L'allocazione awiene, concettualmente, in due fasi;
dapprima si determina il coefficientedi allocazione,cioè il rapporto, nel pe-
riodo di riferimento, tra i costi indiretti complessivamente sostenuti nel
centro di costo e l'impiego della base di allocazioneda parte di tutti i job
transitati per il centro; quindi, _siallocano allo specifico job j-esimo costi
indiretti pari a:
dove baj rappresenta l'utilizzo della base di allocazione da parte del jobj-esimo
(cfr. schema16.1) .
La semplice lettura della scheda associata a ciascun job consente quindi di
determinare il costo totale del jo/7,dividendo tale dato per il numero di unità
che compongono il job, inoltre, si ottiene il costo unitario di produzione. Infi-
ne, sommando i costi dei job in corso di lavorazione e di quelli contenuti nel
magazzino prodotti finiti si determinano, rispettivamente, il valore delle scor-
te di prodotti finiti e di quelle di semilavorati.
L'impiegodeljob costing
I! job costingè un metodo preciso,in particolare quando il lavoro diretto e i ma-
t~r;ali diretti rappresentano la con1ponente principale dei costi di prodotto;
rispetto a metodi n1eno precisi è però particolarmente oneroso, poiché ri-
chiede uno sforzo elevato di rilevazione dei dati.
In generale, esso non appare impiegabile in imprese che operano con pro-
A 1.000 500
B 2.000 500
Sapendo che i costi indiretti di produzione sono stati pari a 6.000 €, e che sono
state prodotte 10 unità di A e 5 di B, determinare il costo pieno unitario dei due
prodotti, allocando i costi indiretti proporzionalmente al costo del lavoro diretto.
13. Con WIP, WorkIn Processo WorkIn Progress,si definisce l'ammontare dei semilavorati di un'im-
presa.
14. In alcuni casi, per aumentare la precisione del metodo, la (16.7) viene applicata separata-
mente per i diversi input; si avrà così ad esempio un grado di completamento relativo ai mate-
riali diretti e uno relativo ai costi di conversione. I costi unitari verranno conseguentemente
dapprima calcolati separatamente per i singoli input e solo successivamente aggregati.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 475
N eq = ~ + li ~ . gei ( 16.7)
i= l
dove:
Neq = numero di unità equivalenti
~=unità di prodotto finito completate nel periodo
~:-=. numerp_ cii_unità allo stadio i-esimo
gei = grado di completamento dello stadio i-esimo.
15. Le unità completate comprendono sia unità di prodotto finito iniziate e completate nel pe-
riodo di riferimento che unità iniziate in periodi precedenti ma completate nel periodo di ri-
ferimento. ,
16. Si fa riferimento in questo caso alla dimensione "fisica" del WIP.
17. Se il WIP finale è costituito da unità in stadi differenti del processo, nella (16.8), come nelle
successive (16.10) e (16.12), l'espressione del WIP finale deve essere sostituita dalla somma-
toria delle unità presenti in ciascuno stadio, moltiplicate per i relativi gradi di completamen-
to, coerentemente con l'espressione (16.7).
476 I LE IN FORMAZION ,, DI NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
CA
-- · WIPf · gcWIPr (16.12)
Neq
La presenzadi by-product
Se in un reparto vengono realiz"zati più prodotti, nel calcolo delle unità equi-
valenti è necessario tener conto dei differenti consumi specifici delle risorse
18. Si ricordi che si opera secondo una logica FIFO, quindi le unità che fanno parte del WIP fi-
nale sono, almeno in termini contabili, le ultime a essere state realizzate.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 477
L'impiegodel processcosting
Il processa1stingrappresenta il metodo di calcolo del costo di un prodotto me-
no preciso e oneroso. Esso appare valido nel caso di produzione omogenea,
costituita da un unico prodotto realizzato su larga scala o da pochissimi pro-
dotti con cicli produtti,i molto simili; nel caso di produzione disomogenea, ri-
sulta infatti impossibile determinare i coefficienti di equivalenza tra i diversi
prodotti con un grado sufficiente di precisione. Queste caratteristiche fanno
sì che il proass costingvenga in1piegato normalmente dalle imprese che opera-
no con processi produttivi continui (chimico, petrolifero) o da imprese con
processi produttivi di tipo discreto ma a flusso e caratterizzati da lotti di pro-
duzione elevati (calcolatrici, elettronica di consumo).
mando i costi di lavoro diretto e i costi indiretti sostenuti nel periodo di riferi-
mento.
Il costo complessivo dell'operazione viene poi ripartito tra i singoli lotti rea-
lizzati nel periodo di riferimento, sulla base di un'allocazione di tipo propor-
zionale. In particolare, nel caso di prodotti caratterizzati da un utilizzo unifor-
me delle diverse operazioni, i costi di conversione vengono ripartiti propor-
zionalmente alla quantità prodotta (ad esempio, i metri di tessuto); in caso
contrario, si fa riferimento al tempo di utilizzo della singola operazione: si de-
termina cioè un costo orario relativo a ogni operazione, in base al quale è im-
mediato ricavare il costo di conversione da attribuire a ciascun lotto.
L'impiegodell'aperationcosting
L' aperationcostingconsente di rilevare in modo estremamente preciso i costi
dri m~teriali qir~tti _attribuiti ;=t
çJ~scun pr9d9Jto. Il sistema appare quindi par-
__
ticolarmente adeguato a realtà produttive dove:
• __iLços_to .d.½i. ~~ _~~Lco-
llJ~terialLdirç_ttLré!ppres~n t;i-~~a V()_C:~_pn;p{)_~_d.~r~
sti di prodotto;
• il processo di lavorazione preveda la presenza di un numero limitato di
. .
operaz1on1;
~ i lotti produttivi siano internamente omogenei.
E il caso, ad esempio, del settore tessile, dove infatti il metodo trova più fre-
quentemente applicazione.
L' activity based costing (ABC) mira a determinare con maggior precisione ri-
spetto ai metodi di rilevazione tradizionali il costo di un prodotto, inteso co-
me valore delle risorse impiegate per realizzarlo; più specificamente, CbBC,
contrariamente ai metodi tradizionali di rilevazione, attribuisce tutti i costi ai
prodotti sulla base di relazioni causali.
~a principale innovazione dell'ABC riguarda l'attribuzione dei costi indi-
retti. Questi, come si è evidenziato in precedenza, vengono tradizionalmente
ripartiti tra i prodotti attraverso un coefficiente di proporzionalità; si assume
quindi implicitamente l'esistenza di una relazione di proporzionalità diretta,
del tipo:
Il costo indiretto attribuito a una unità dei due prodotti coincide (è pari a
O,12 €), poiché essi richiedono lo stesso tempo di lavorazione. I valori così ot-
tenuti non rappresentano però una misura corretta del costo dei due prodot-
ti, inteso con1e "valore delle risorse impiegate per realizzarli". Infatti, la risorsa
"impianto produttivo" è in realtà impiegata per svolgere due differenti opera-
zioni: la lavorazione, per 100', e il setup,per i restanti 20'. Se è corretto ritene-
re che il costo connesso con l'operazione di lavorazione debba essere attribui-
to ai prodotti proporzionalmente al tempo di lavorazione, non altrettanto si
può dire del costo relativo ai setup,che non ha alcun legame con i tempi di la-
vorazione ma dipende invece dal numero di lotti di prodotti differenti che de-
vono essere realizzati. !n_pratica, per ripartire correttamente r~n:ior~~Il-
to dell'impianto_tra._i_prodo.tti,._è necessari<;>o.p~r~e. in _d4e f~i,___iipai;:~~:n90
_dapprima_il cus.to.indiretto.complessivo tra le singole operazioni.svolte .e solo
su~<;essivamente __ a.EP-licando__~eparatamen t~ _per ci~sc11pa operazione la
(16.14).
Nel caso in esame, i costi delle due operazioni sono determinabili tenendo
conto della frazione del tempo complessivo ad esse dedicato. Si ha:
• costo di lavorazione= 10.000 €
• èosto di setup= 2.000 €
19. Il costo indiretto totale è 12.000 €, mentre il tempo di lavorazione è determinato come som-
ma dei tempi di lavorazione delle 100.000 unità prodotte ed è quindi pari a 100'; il coeffi-
ciente di allocazione è perciò 120 €/'.
480 I LE INFORMAZIONI (:\I NATURA ECONOMICO-FINANZIARIA
L 'ABC comeapproccioconcettuale
Come si è evidenziato in precedenza, se i costi indiretti vengono ripartiti tra i
prodotti in modo proporzionale a una sola grandezza, i valori risultanti posso-
no presentare significative distorsioni. Per risolvere questo problema, l'ABC
introduce un elemento intermedio tra le risorse e i prodotti, le atfivit!Ì, forma-
lizzando in pratica la modalità di determinazione del "costo corretto" descrit-
ta nell'esempio precedente (figura 16.2) 23.
20. Sono proporzionali al volume produttivo il lavoro diretto, i materiali diretti e il tempo mac-
china, le tre basi più comunemente utilizzate per la ripartizione dei costi indiretti.
21. Ovviamente, si fa riferimento a comportamenti tendenziali. In realtà, da un punto di vista
teorico, le scelte relative al mix produttivo non dovrebbero tener conto della ripartizione dei
costi indiretti tra i prodotti. Cfr. capitolo15.
22. Questa è una delle presunte motivazioni della perdita di competitività delle imprese statuni-
tensi rispetto a quelle giapponesi. In particolare, sulla base delle indicazioni contabili, le im-
prese statunitensi avrebbero abbandonato i prodotti standardizzati alle imprese giapponesi,
lasciando a queste ultime forti profitti che, una volta reinvestiti, hanno consentito il successi-
vo aumento della competitività delle ~mprese giapponesi sui prodotti di piccola scala (John-
son e Kaplan, 1987).
23. Nella figura 16.2 si fa riferimento a una configurazione elementare di ABC. Nella pratica, in-
vece di allocare direttamente i costi delle singole attività ai prodotti si può adottare una solu-
zione a più fasi, in cui i costi delle attività di supporto vengono dapprima allocati alle attività
produttive e solo i costi ("pieni") di queste ultime vengono poi allocati ai prodotti (cfr. para-
grafo 16.5).
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 481
Resourcedriver
Activity driver
Prodotti
e, per il testing.
La sceltadel driver
Una volta çhe sia stata d~Je~mina~ un~ macroattjyjtà, ~. necessario scegli~:re
Jl_!Jaj_e,µ:a.j_dr.iYtT._p_Q~~iJ?..ULQ~QQ~
___ ~§~~re__µti_lj~~~Jo.p~r ,JJlQ~~~_i_çostidi quella
1J1/Jf!fJCltftr:!ità 24 .
-~iprC>~(?t~i
La scelta deve bilanciare due diverse esigenze:
• la Jacilità di ottenirneri(Q ~clrlJa.m.i.§Yf~;
• il.gradodLcorrelaziane.. tra.il. driverscelto_e f_effettivo_con s11mo del[attiYi.tà.
La facilità _diottenimento_~e_l_la influ~n~(! il_cq_stg_g~l~istema q.i rilevazio-
_J:!}i_~~I.'1-
l}e. In generale, è preferibile ricorrere a grandezze che_già__, per qualche moti-
vo,yengono rilevate all'inter~g d~l_l'imp_!'~~~; se questo non è possibile, è nor-
malmente meno costoso ricorrere a misure basa.te sµl_nYrJJ,erQ_t/,i transç,zioni(ad
esempio il numero di setup) piuttosto che 4jp._çljçatQrj_g_~J!~4:u_rata deUetra~(}-
-zioni (come il tempo di setup). Oggi, peraltro, la crescente potenza dell' Inf~-
_mation Technowgyconsente spe~so di rilevare a.c<?_sti ll)_Odes~~~~~!e._i_n~orm_a-
zi9ni connesse conJa d'l!:_ra{a_r/,§!!§_ transaz_ioni:
ad esempio, un semplice codice a
barre permette di rilevare quasi istantaneamente e con costi trascurabili item-
pi di attraversamento delle varie fasi del ciclo produttivo di un qualsiasi pro-
dotto.
_Ilgrado di correlazionetra la misura P!~sc~lta e l'~ff~t_tiv~~OJ?-~ll-~_o delle atti-
vità inflµ~n~_~_iµy<:;ç~Ja_pecisio17:e_q~lla_rH~yaziqn_e. In questo caso, il giudizio si
ribalta: normalmente, le misure rela_tivealla durata_deUetransazioni sono mag-
giormente correla.te al consumo delle risorse rispetto a qµelle_ç_op.nesse con il
numero di transazioni.
L'impatto dell'innovazionetecnowgjca
La figura 16.3 evidenzia l'impatto delle scelte del numero di macroattività e
del driversulle prestazioni di un sistema ABC: al crescere della precisione del-
la misura, attraverso un aumento del numero di macroattività o della correla-
zione tra drivere consumo delle risorse, aumenta il costo del sistema di rileva-
zione, ma diminuisce parallelamente il costo degli errori di misura, cioè l'ef-
fetto sul valore economico dell'impresa di decisioni non ottimali dovute a
informazioni non corrette. La curva è ovviamente del tutto teorica, ma sotto-
linea come le scelte di un'azienda dovrebbero essere basate su un bilancia-
mento tra i costi e i benefici dell'informazione. Essa permette inoltre di evi-
denziare come la tipologia di driverda impiegare possa mutare dinamicamen-
te in funzione delle condizioni ambientali; in particolare, oggi:
24. Il problema è tanto più rilevante quanto meno omogenee sono le attività raggruppate all'in-
terno della macroattività.
16. I sistemi per la rilevazione dei costi I 485
Costo totale
Accuratezza/precisione
Le soluzioni disponibili per queste scelte sono state presentate nei paragra-
fi 16.2, 16.3 e 16.4, rispettivamente; le considerazioni che vi sono state svol-
te per quanto riguarda i costi dei prodotti sono di fatto generalizzabili an-
che all'uso delle informazioni contabili per misurare le prestazioni delle
unità organizzative.
PARTE QUARTA
I sistemi di decisione
Nelle prime tre parti del testo si è visto:
• come il valore economico rappresenti l'obiettivo di riferimento per l'impresa;
• attraverso quali leve decisionali un'impresa possa agire per creare valore econo-
mico;
• come le operazioni gestionali delle imprese possano essere espresse in termini
economico-finanziari.
Nella quarta parte si vogliono integrare queste analisi, evidenziando come sia possibi-
le misurare, attraverso grandezze economico-finanziarie, l'impatto sulla creazione di
valore economico di una specifica decisione aziendale. In generale, si utilizzerà il ter-
mine "investimento" per indicare le decisioni di una azienda, per sottolineare il fatto
che le scelte delle imprese devono oggi sempre essere viste come "investimenti", ov-
vero come interventi che hanno impatto sui risultati nel medio-lungo termine e che si
scontrano con uno scenario esterno che non è mai perfettamente definito.
D(t} CF(t}
Sulla base della ( 11.2), il valore economico può quindi essere espresso co-
me:
V= i _N_C_F_(t)_
(17.2)
t=O (l+k)t
2 . Nella letteratura anglosassone, il NCF viene spesso indicato come free cashJlow.
492 I I SISTEMI DI DECISIONE
AC(t) I (t)
D(t) CF(t)
In particolare:
• vi è la possibilità di indebitamento; di conseguenza il capitale a disposi-
zione per investimenti potrà provenire, oltre che dagli azionisti e da au-
tofinanziamento, anche da istituti di credito o obbligazionisti. La presen-
za dei debiti finanziari si ripercuote anche sull'impiego del cashflow pro-
veniente dal progetto: accanto all'autofinanziamento e alla remunera-
zione degli azionisti, infatti, si deve tenere presente che parte del cash
flow sarà erogato ai finanziatori esterni, per il pagamento degli oneri fi-
nanziari sul debito e per la restituzione dei debiti finanziari contratti;
• esiste un "serbatoio cassa"; di conseguenza, il denaro generato dai pro-
getti di investimento in un dato esercizio non necessariamente verrà di-
stribuito agli azionisti nello stesso esercizio; potrà essere mantenuto al-
l'interno dell'impresa in vista di possibili esigenze future.
Questi due fenomeni hanno conseguenze differenti sulla validità della (17.2).
In particolare: in presenza di indebitamento, le modalità di calcolo dei NCF
devono essere differenti (cfr. paragrafo 18.3). La ( 17.2) rimane comunque va-
lida pur di:
T NCF(t) V(T)
!o (l+k)t + (l+k)T
( I 7.3)
14. In questo modo il NCF coincide di fatto con il flusso di cassa netto ricavabile dallo schema di
cashfa,w (cfr. capitol,o8). , _
5. Il tema è ad esempio importante per investimenti in ricerca e sviluppo; cfr. Azzone e Bertele
(1998).
6. Non viene evidenziata, nello schema, una sesta fase, relativa all'analisi delle modalità di finan-
494 I I SISTEMI DI DECISIONE
FI e u RA l 7. 3 - Le fasi dell'analisi
,,
1,
''
Analisi degli impatti
competitivi dell'investimento
,,
Valutazione dei NCF
e del NPV dell'investimento
ziamento del progetto, su cui esiste, come si è già evidenziato in premessa, una letteratura
consolidata. Per approfondimenti sul tema del finanziamento dei progetti, si rimanda ai testi
di finanza aziendale (cfr., ad esempio, Brealey, Myers e Marcus, 1995); alcune considerazioni,
estremamente sintetiche, sono contenute nel capitow18.
17. L'analisi delle decisioni aziendali j 495
NCF
I
NCF
con l'investimento..__ ____________ _
NCF differenziale
NCF caso base dell'investimento
7. Al contrario, spesso nella pratica si commette l'errore di dedicare attenzione al caso base solo
nel primo anno di vita dell'investimento, il cui NCF viene calcolato con molta precisione, li-
mitandosi poi a proiettare tale valore inalterato per 3, 5 o I O anni.
17. L'analisi delle decisioni aziendali I 497
8. Questo tipo di errore si verifica, ovviamente, solo nel caso di investimenti "obbligati" da un
(>Untodi vista economico, ma l}~n norma~vo. , .. . . .
9. E bene ricordare, peraltro, che 1appesantimento dell anahs1, oltre a mc1dere negauvamente
su costi e tempi della valutazione, aumenta di molto il rischio di errore che è presente nella
valutazione di investimento, in particolare nel caso di progetti complessi.
498 j I SISTEMI DI DECISIONE
Immagine dell'impresa +
Quota di mercato dei prodotti verdi +
Fatturato dei prodotti attualmente in produzione +
Costi di produzione + +
Entità dell'investimento + +
Costi di smaltimento rifiuti + +
Energia + +
Oneri relativi alla chiusura degli impianti +
10. Su questo tema, cfr. anche Bartezzaghi, Spina e Verganti (1994); Hendricks, Bastian e Sexton
(1992). ,
17. L'analisi delle decisioni aziendali I 499
ti anche quando non sia necessario farlo. Può accadere, quindi, che il
portafoglio nel suo co1nplesso venga respinto, anche quando parti di
esso dovrebbero essere effettivamente implementate. In queste situa-
zioni, dove non esiste una reale interdipendenza tra i progetti, è op-
portuno analizzare, accanto al portafoglio complessivo, anche i sin-
goli progetti di investimento da esso scorporabili ( unbundling dei
progetti).
Raramente gli investimenti hanno effetto solo sull'area aziendale in cui ven-
gono adottati. Intervenendo su una parte dell'azienda, infatti, si modificano
le modalità di funzionamento dei processi che l'attraversano, e le prestazioni
delle altre unità che operano in tali processi 11.
Se si analizzassero i costi e i benefici di un investimento focalizzandosi solo
sull'unità dove tale investimento è baricentrato, si rischierebbe quindi di otte-
nere un quadro estremamente parziale. D'altro canto, non è pensabile coin-
volgere, in qualsiasi analisi di investimento, tutta l'azienda, se non a prezzo di
un forte aumento dei costi e dei tempi dell'analisi. Diviene quindi essenziale
riuscire a identificare le aree aziendali maggiormente interessate da ciascun
investimento.
A tal fine, è in generale opportuno partire da una "mappa" dei processi
aziendali, rappresentati come catene di attività, legate da relazioni
input/output.
Una volta definiti i confini dell'analisi, è possibile identificare gli impatti com-
petitivi di un investimento. In questo senso, tutte le volte che una decisione
impatta su una delle fonti di differenziale competitivo descritte nella prima
parte del testo (differenziali di costo statici e dinamici, differenziali di attratti-
vità, differenziali di portafoglio) essa può potenzialmente creare o distrugge-
re valore economico. I diversi interventi possono da questo punto di vista es-
sere "riclassificati" sulla base del modo in cui "creano" valore economico in:
• n1iglioramenti o "ampliamenti" della configurazione esterna;
• riduzione delle uscite di cassa "a regime", grazie all'impiego efficiente
delle risorse;
• riduzione dei costi e degli investimenti necessari per adattarsi a un cam-
biamento della configurazione esterna o di quella interna;
• ampliamento dell'insieme dei cambiamenti "economicamente" possibili.
Migliaramentodella configurazioneesterna
Un investimento può generare prodotti innovativi, modificare le caratteri-
stiche dei prodotti esistenti (è il caso, ad esempio, della riprogettazione di
12. Il problema è complicato dalla presenza di unità che operano in più processi, utilizzando per
essi le stesse risorse; diviene quindi difficile ricorrere al processo cotne unità elementare di
analisi dell'investimento. D'altra parte, se si enfatizzano troppo le interdipendenze tra attività
e tra processi, alla fine l'unica unità di analisi utilizzabile diventa l'_intera impre~a, c_onli~elli_~i
complessità facilmente intuibili. Diviene quindi particolarmente importante riuscire a md1vt-
duare le interdipendenze effettivamente critiche.
502 I I SISTEMI DI DECISIONE
13. In presenza di un aumento della competitività dei concorrenti, può essere necessario investire
anche solo per mantenere la propria posizione relativa.
17. L'analisi delle decisioni aziendali I 503
Di fatto, questi casi, che Yengono oggi identificati con il termine di "opzioni
strategiche", sono ancora riconducibili al tema della "flessibilità". Grazie a in-
vestimenti effettuati oggi, l'impresa è in grado, in futuro, di realizzare nuovi
investimenti in prodotti e tecnologie. Rispetto alla dimensione "adattiva" del-
la flessibilità, però, cambia il modo in cui l'innovazione crea valore economi-
co. Nel caso della uflessibilità adattiva", infatti, si assume che l'investimento in
innovazione non "cambi" le scelte complessive dell'impresa; semplicemente,
Differenziali
di costo Differenziali Differenziali Differenziali
..statici" di costo di attrattività di portafoglio
..dinamici"
calcolabile a partire dal più generale schema di cashflow ( tabella 8.1), e viene
definito come la so'mma algebrica di:
• flusso di cassa potenziale della gestione caratteristica;
• variazione del capitale circolante netto operativo;
• flusso di cassa degli investimenti.
Può essere utile richiamare il significato delle due componenti del NCF ope-
rativo lordo.
IJ.cashflow operativo .lorc;lo è misurato dal flusso di cassa potenziale della ge-
stione caratteristica generato dall'investim~nto. Esso è quindi ricavabile, dallo
schema di ca_shflow,sottraendo ai ricavi (la fonte delle entrate di cassa dell'im-
presa) i soli costioperatividi tipo monetario(cioè le voci che fan~o riferimento a
un impiego di risorse cui corrisponde un 'uscita di denaro). In particolare, si
considerano come costi di tipo monetario, a livello operativo, il costo del lavo-
ro per stipendi e salari (escludendo, quindi, la parte relativa ad accantona-
menti al fondo di trattamento di fine rapporto) e gli acquisti di materiali e di
servizi esterni; si considerano invece come costi non monetari gli ammorta-
menti e gli accantonamenti.
Il cashflow operativo lordo, nel generico anno t, può essere quindi espresso
attraverso una rappresentazione di tipo scalare del conto economico come:
( 18.2)
dove:
dove:
2. La stessa relazione si può ricavare dallo schema di cashflow, escludendo gli effetti finanziari e
fiscali.
3. Per la definizione generale di CCNO, cfr. ancora il capito/.o14.
508 J I SISTEMI DI DECISIONE
Nella pratica, talvolta, viene introdotto un "costo opportunità del capitale cir-
colante", definito come:
CCNO(t) · k (18.5)
dove:
e
-C+----
(1 + k)N
Nelle ipotesi adottate (recupero integrale della variazione del capitale circolante alla
fine della vita dell'investimento) le due modalità di calcolo forniscono quindi lo stes-
so risultato.
r8. La metrica dei net cash flow I 509
dei flussi effettivi. Si induce quindi una inutile confusione nel processo di va-
lutazione
...
.
E dunque preferibile considerare le variazioni del capita/,ecircolante(e non il
suo valore assoluto), secondo le modalità indkate in precedenza.
'
pianto produttivo. Si osservi che il fatto che un costo sia o meno affondato
non fa riferimento all'uscita di cassa, ma all'"impegno" ad essa relativo. Così,
ad esempio, se nel caso riportato nello schema 18.2 l'impresa pagasse lo studio
di fattibilità, commissionato nel 2006, l'anno successivo, il costo relativo conti-
nuerebbe comunque ad essere "affondato" già a partire dal 2006.
Un errore che si commette spesso nel caso di progetti complessi consiste
nel ritenere tutti i costi del progetto affondati già al momento in cui viene
presa la decisione di iniziare il progetto. Di conseguenza, si dà per scontata la
continuazione del progetto, senza mai metterla in discussione; in alcuni casi,
questo si traduce nello spreco di ulteriori risorse, che avrebbero potuto essere
risparmiate.
IMP(t) = U (t) · f
CasoA CasoB
Il valore del NCF coincide con quello otte- La presenza di perdite (-100 milioni) non
nibile dalla (18.7), poiché l'impresa aveva consente di sfruttare lo scudo fìscale de-
un utile positivo che consente di sfruttare gli ammortamenti. Il valore ottenuto dif-
integralmente lo scudo fìscale degli am- ferisce quindi da quello che si sarebbe ri-
mortamenti. cavato applicando la (18.7).
' ,
6. E bene ricordare che nel caso l'effetto di scudo fiscale non possa essere interamente utilizzato
in un singolo esercizio, esso può comunque venire trasformato in credito di imposta. È possi-
bile utilizzare tale credito d'imposta per bilanciare utili relativi ai successivi cinque esercizi.
Come conseguenza, si potrà quindi avere la perdita di una parte dei vantaggi potenziali dello
scudo fiscale (nel caso di perdite eccessive e prolungate nel tempo) o comunque uno sfasa-
mento temporale di tali vantaggi.
18. La metrica dei net cash flow I 513
18.3.2 Plusvalenze e minusvalenze
La scelta di operare al lordo o al netto delle imposte dovrà trovare una corri-
spondenza nella definizione del tasso a cui vengono attualizzati i NCF. In par-
ticolare, se i NCF vengono calcolati al netto dell'effetto fiscale, anche il tasso
di attualizzazione dqvrà essere corretto 9 .
Restituzione t
prestiti
Oneri ,
fìnanziari 1
CF(t)
, I
,, ..'sistema ......... I
, ,, analizzato ,' I
I '
I
I \
I
I I '
I
Investi mento Erogazione
I Impresa
\
\
prestiti
\
'' ,
'' ,;
;
' ' ... , ;
I (t)
----------
......
.. ..
Istituti di credito ''
''
, ''
Restituzione ''
' Sistema A ''
prestiti
, ,' analizzato I ' \
I \
\
I
I
Oneri
''
I
' I
' CF(t) finanziari I
'
I'
I
I I
I I
I I
I
I '
'' I
I
I
' I
Erogazione I
I
I
\ Investimento prestiti ,I
I
,
, ,,
,,
,,
,,
,'
-------------- ---------
(18.9)
516 I I SISTEMI DI DECISIONE
dove:
D = finanziamento di'terzi;
E= finanziamento tramite capitale proprio;
k 0 = costo del capitale di terzi;
kE= costo del capitale proprio.
o - 1.000.000.000 + -1.000.000.000
400.000.000 -
- 600.000.000
1 500.000.000 - 500.000.000
40.000.000 -
460.000.000
2 460.000.000 500.000.000
3 460.000.000 500.000.000
4 460.000.000 500.000.000
5 460.000.000 - 500.000.000
400.000.000 -
60.000.000
Aspettofiscale
Con "criteri di decisione" si indicano i diversi criteri che possono essere adot-
tati per decidere:
• se accettare o meno un investimento;
• quale scegliere tra investimenti tra loro mutuamente esclusivi.
Il capitolo affronterà separatamente i criteri di valutazione di tipo "determini-
stico" e quelli di carattere "stocastico".
Il termine "deterministico" merita di essere chiarito, poiché normalmente
si associa al concetto di determinismo quello di "evento certo", ed è di fatto
estremamente raro che si possano ritenere certe le conseguenze di un investi-
mento, destinato a influenzare i risultati di un'impresa per 3, 5 o 10 anni. Con
"'investimenti deterministici", si definiscono in realtà investimenti per i quali
valgano le seguenti ipotesi:
• gli investimenti analizzati sono caratterizzati tutti da un livello di rischio
comparabile; di conseguenza, è ragionevole confrontarli sulla base dei so-
li valori attesi dei NCF; non ha invece senso utilizzare i criteri di tipo de-
terministico per confrontare investimenti con un livello di rischio molto
diverso tra di loro (ad esempio: un investimento in ricerca e sviluppo di
base e un investimento nella sostituzione di una macchina utensile);
• gli investimenti analizzati non modificano la posizione di rischio dell'im-
presa nel suo complesso; si tratta, in altri termini, di investimenti "margi-
nali"1.
2. Nella pratica, spesso questi criteri vengono definiti ir1 modo differente. L'analisi recente
più completa su questo tema è quella di Remer ( 1995), che censisce una trentina di criteri
di valutazione differenti. Le diverse soluzioni, tuttavia, sono in generale identificabili come
adattamenti, a volte solo terminologici, degli indici presentati in questo capitolo.
19. I criteri di decisione I 521
NPV = i NCF(t)
( 19.1)
t=O (1 + k)l
La (19.1) può essere espressa in una forma più esplicita (ma equivalente)
nel caso l'investimento (I) sia interamente concentrato all'istante iniziale e
abbia un valore terminale (VT) diverso da zero:
NPV = f CF(t) +
\T
T -I (19.2)
t=I(l+k)l ( 1 + k) T
NPV>0 (19.3)
• tra più investimenti alternativi, verrà scelto quello che aumenta mag-
giormente il valore economico dell'impresa, quindi quello con NPV
supenore.
Si osservi che il calcolo dei NPV di un investimento richiede che sia defini-
to a priori il tasso di attualizzazione, senza il quale il criterio non è utilizzabile.
522 I I SISTEMI DI DECISIONE
19.1.2 Il profitabilityindex
f CF(t)
t=o(l+k)t
Pl=---- (19.4)
f_I(_t)_
t=o(l+k)t
Di fatto, tra NPV e PI esiste una relazione molto stretta; infatti, il NPV rappre-
senta una differenza tra due termini il cui rapporto definisce il PI. Questa re-
lazione-consente immediatamente di esprimere la condizione di soglia per
l'accettazione di investimenti con il PI. Si ha:
l NCF(t) + l(t)
t=o ( 1 + k) t NPV
PI= - +1 (19.5)
T
T
I(t) l(t)
I I
t=O (1 + k) t t =o ( 1 + k) t
A+C A
B+C B+C
f NCF(t) = O (19.6)
t=O (1 + IRR)l
4. Per approfondire il confronto tra NPV e PI in presenza di vincoli di budget, cfr. White e
Smith ( 1986). Il lavoro paragona, attraverso tecniche di simulazione, la "qualità" dei por-
tafogli selezionati in base a diversi criteri di valutazione· degli investimenti.
19. I criteri di decisione I 525
FIGURA 19.l - Il profilo del NPV in presenza di più IRR reali positivi
NPV(k)
IRR>k (19. 7)
5. Esistono anche altre condizioni sufficienti meno restrittive di quella derivata dal teorema
di Cartesio. Per una analisi del problema, cfr. Bernhard ( 1977), Bernhard e Norstrom
(1980). È opportuno sottolineare, comunque, che l'uso di spreadsheet,che consentono age-
volmente di rappresentare graficamente l'andamento della funzione NPV(k), ha reso que-
ste regole molto meno importanti che in passato: è sufficiente, ogni volta che si abbia il
dubbio della possibilità di più intersezioni, poiché viene violata la regola di Cartesio, dia-
grammare la funzione NPV(k) per verificare l'eventuale esistenza di più punti di interse-
zione.
6. Da qui, il costo del capitale viene spesso indicato come "tasso barriera".
526 I I SISTEMI DI DECISIONE
Il significato economico
L'IRRrappresenta, in termini economici, il rendimento percentuale del capi-
tale "ancora immagazzinato" nell'investimento. In altri termini (schema 19.2),
se si assume che, ogni,anno, l'eventuale rendimento eccedente IRR rappre-
senti una sorta di "rimborso", vada cioè a ridurre il capitale impegnato nel-
l'investimento, l'insieme dei NCF dell'investimento consentirà una remune-
razione pari a IRR sul capitale immagazzinato.
L'IRR si presenta quindi come un rendimento percentuale "intrinseco"
dell'investimento e come tale è facilmente comprensibile dai potenziali inve-
stitori, che sono in grado di comparare tale tasso con quello che caratterizza
investimenti alternativi (obbligazioni, titoli di stato).
Contrariamente al NPV, inoltre, è un criterio di tipo relativo, non tiene
cioè conto della dimensione assoluta dell'investimento.
o o o -1000 o 1000
1 1000 100 300 200 800
2 800 80 280 200 600
3 600 60 260 200 400
4 400 40 440 400 o
del punto di intersezione della funzione NPV(k) con l'asse delle ascisse; que-
sta condizione può essere espressa con1e:
k<IRR
che coincide con la condizione che deve essere rispettata per accettare l'inve-
stimento secondo il criterio dell'IRR.
NPV(k)
T-1 V (t)
VPG=I_'P_
t=O (1 + k)t
7. Nel seguito, si assume che l'investimento sia finanziato interamente attraverso capitale
proprio. Le considerazioni successive possono tuttavia essere estese semplicemente al caso
di investimento finanziato in parte con capitale di terzi.
528 j I SISTEMI DI DECISIONE
NPV(k)
IRR2
Punto k
di Fischer
T-1
I V'P(t) ( 1 + IRR) T - t
IRR t= o k
NPV=VPG• (19.8)
1 +IRR
T-1
l+k
I V'P(t)(l+k)T-t
t= o
La soluzionedei contrasti
La soluzione dei contrasti tra NPV e IRR avviene secondo modalità diverse, in
funzione delle relative motivazioni "economiche". Nel seguito, si analizzano
separatamente, quindi, i casi di:
• diversa distribuzione temporale dei ritorni;
• diversa vita utile;
• diversa dimensione.
assumendo, in ciascuno di essi, che le altre due caratteristiche dell'investi-
mento non siano differenziali tra le soluzioni alternative.
9. Il rapporto tra le due medie pesate dei capitali impiegati nei diversi anni, che caratterizza
il termine tra parentesi nella ( 19.8), è caratterizzato dagli stessi addendi, pesati però in
modo differente. Per investimenti che creano valore economico (IRR > k), i pesi dei ter-
mini a numeratori sono superiori; la differenza, in particolare cresce esponenzialmente
con la distanza che esiste tra il generico periodo te il termine dell'investimento; gli istanti
iniziali dell'investimento contribuiscono quindi in misura sensibilmente superiore a deter-
minare il valore complessivo del rapporto.
10. In termini analitici, questo effetto è del tutto equivalente a quello di una differente distri-
buzione temporale dei ritorni.
530 j I SISTEMI DI DECISIONE
sibile introdurre due,criteri alternativi, NPV e IRR*, tra cui non esiste possibi-
lità di contrasto. I due criteri vengono definiti a partire dal terminal value
(TV), che rappresenta la quantità di denaro che effettivamente i NCF genera-
ti dall'investimento renderanno disponibile all'impresa alla fine della vita uti-
le. Poiché i NCF possono essere reinvestiti al tasso j, tale somma sarà pari a 11:
T
TV = I N CF (t) . ( I +j) T - t (19.9)
t=1
TV
NPV=----10 (19.10)
(1 + k) T
IRR*, a sua volta, viene definito come il valore del costo del capitale k che an-
nulla NPV. Anche IRR* può essere immediatamente messo in relazione con
il terminal value.
IRR*= [ TV
Io
l
1/T -1 (19.11)
Poiché per ipotesi gli investimenti alternativi hanno la stessa vita utile (T) e la
stessa dimensione (10 ), entrambi i criteri privilegiano la soluzione caratterizza-
ta da un valore superiore di TV, fornendo così valutazioni concordi.
11. La (19.9) assume, di fatto, che nell'anno O abbia luogo solo l'investimento iniziale, e che
negli anni successivi i NCF siano positivi. Queste ipotesi, che consentono di semplificare la
struttura formale della (19.9) possono essere agevolmente rimosse. Cfr. Bertelè (1991).
19. I criteri di decisione I 531
12. Anche IRR, infatti, essendo un indice relativo, rappresenta una misura di profittabilità per
unità di capitale impiegato. In termini euristici, quindi, in presenza di vincoli di budget e in
mancanza di una conoscenia chiara delle altre opportunità di investimenti, l'ordinamento
delle diverse alternative in base a IRR porta in generale a selezionare un portafoglio di in-
vestimenti migliori di quello ottenibile in base a un ordinamento in funzione del NPV. Su
questo tema, cfr., oltre a White e Smith (1986), anche Asquith e Bethel (1995).
532 i I SISTEMI DI DECISIONE
FR(t) = ± NCF(-r)
T=O + k)T
(1
(19.12)
FR(t)
NPV
Tempo T _ t
NCFo di pay-back
PB NCF(T)
l--=o (19.13)
T=O (l+k)T
Il tempo di pay back attualizzato può essere utilizzato come criterio di valuta-
zione dell'investimento. In particolare, verranno accettati esclusivamente in-
vestimenti il cui tempo di pay back è inferiore a un valore soglia predefinito
dall'impresa. Analogamente, nel caso di investimenti mutuamente esclusivi, si
privilegerà quello caratterizzato da un tempo di pay backattualizzato inferiore.
Di fatto, è un criterio estremamente cautelativo; ci si pone il problema di rag-
giungere rapidamente un livello di risultati che sia considerato soddisfacente
dagli azionisti, trascurando tutto ciò che avviene dopo tale istante.
È abbastanza evidente che il tempo di pay back attualizzato può portare a
decisioni in contrasto con il criterio del NPV. In particolare, questo avviene
quando si confrontino investimenti "strategici", caratterizzati cioè da forti im-
missioni di capitale in fase iniziale e da tempi di attivazione piuttosto lunghi, e
investimenti di tipo marginale.
534 I I SISTEMI DI DECISIONE
FR(t)
Investi mento
strategico
.,.. ,,,
t
13. Il ricorso al tempo di pay back è stato spesso considerato, agli inizi degli anni '80, uno dei
fattori che spiegano la scarsa competitività delle imprese occidentali rispetto alle imprese
giapponesi, queste ultime maggiormente attente alle implicazioni di lungo periodo delle
scelte di investimento (cfr. Hayes e Garvin, 1982).
19. I criteri di decisione I 535
TPB
I NCF(-r) = o (19.14)
T=O
14. Per un'analisi molto accurata dei diversi impieghi del tempo di pay back,attualizzato o me-
no, si può fare riferimento al lavoro, completato anche da una ricca bibli9grafia, di Lefley
(1996).
536 I I SISTEMI DI DECISIONE
te1npi di pay backmolto bassi, anche inferiori all'anno. Si giustifica questo ap-
proccio assumendo che in tal modo si implementino investimenti sicuramen-
te profittevoli, per i quali gli eventuali ritorni successivi al momento del ripa-
gamento non faranno che incrementare ulteriormente la redditività dell'im-
presa. In realtà è in generale utopico pensare che esistano molti investimenti
realmente in grado di dar luogo a ritorni così rapidi; fanno eccezione al più i
casi di imprese con inefficienze così elevate da poter essere eliminate quasi
senza investire capitali.
L'adozione di tempi di pay backobiettivo molto bassi, quindi, ha effetti ine-
vitabilmente controproducenti, quali:
• il rigetto di investimenti, anche estremamente profittevoli, che non rie-
scono però a superare il vincolo imposto dall'impresa;
• la sovrastima dei benefici degli investimenti; in questo senso, chi vuole
fare approvare un investimento si limiterà a sovrastimarne i benefici,
contando, come spesso capita nelle imprese dove il pay backè il principa-
le criterio di valutazione, nell'assenza di un controllo dei risultati con-
suntivi dell'investimento.
flROI
Il ROI è un criterio, per meglio dire una classe di criteri di valutazione, che
trae origine dall'analisi di bilancio. Tra gli indici di bilancio, infatti, il ROI ( re-
turn on investment) rappresenta la misura del risultato della gestione operativa;
proprio per questo, si è adottato il ROI anche nella analisi degli investimenti
reali.
I criteri di tipo ROI si presentano come:
Nei paragrafi precedenti sono stati analizzati i criteri di valutazione degli inve-
stimenti di tipo "deterministico", caratterizzati cioè da:
15. Sul ruolo del ROI come stimolo alle scelte "in piccolo" e orientate al breve periodo, cfr. an-
cora Hayes e Garvin ( 1982).
538 I I SISTEMI DI DECISIONE
NPV = f _N_C_F'_(
t_)
(19.16)
t=O (l+i)t
dove NCF' (t) è la variabile casuale che esprime il valore che il NCF assumerà
nell'anno te i è il tasso di attualizzazione riskfree.
n quadrowgi,ro
Il criterio dell'equivalente certo (CE) sostituisce ai NCF' di un investimento
delle grandezze "equivalenti" (NCF"); queste ultime sono "indifferenti" per il
decisore rispetto ai NCF', ma sono "certe".
Graficamente, NCF' e NCF" possono essere rappresentati su un pianori-
schio/valore atteso (figura 19. 6), e appartengono alla stessa curva di indif-
ferenza ( cfr. appendice Il/.1). Il NCF" viene definito "equivalente certo" poi-
ché è un valore certo (ha-una deviazione standard nulla) ed è equivalente
all'effettivo NCF' per il decisore. Normalmente, l'equivalente certo viene
espresso come:
NCF' (t) =a· E(NCF' (t))
540 I I SISTEMI DI DECISIONE
dove E(NCF' (t)) indica il valore atteso del NCF' (t) e a (coefficiente di certez-
za) è un valore compreso tra O e 116. Il coefficiente di certezza viene definito
dal decisore in corrispondenza a ciascun NCF'(t), sulla base 17:
f
Dev. std
(NCF)
NCF"
o
E (NCF)
Una volta definiti i coefficienti di certezza relativi ai singoli esercizi, e noti i va-
lori attesi dei NCF', il criterio dell'equivalente certo si esprime come:
CE = i a(t) · E(NCF(t))
(19.17)
t=O (l+i)t
CE>O (19.18)
L 'applicazùmeoperativa
L'applicazione operativa del criterio dell'equivalente certo richiede che il de-
cisore determini, per ciascun anno di vita dell'investimento, il valore del coef-
ficiente di certezza. Ciò, oltre ad essere estremamente macchinoso, introduce
un forte elemento di soggettività nell'analisi; infatti, i diversi decisori, caratte-
rizzati da propensioni al· rischio differenti, peserebbero in modo diverso il ri-
schio connesso con uno stesso investimento. Si introdurrebbe quindi una for-
te disomogeneità che renderebbe impossibile il confronto tra investimenti
proposti da fonti differenti.
Per ovviare a questi problemi, nelle imprese che utilizzano l' equivalen_te
certo, vengono definiti, in modo centralizzato, i valori dei coefficienti di cer-
tezza da adottare per le diverse tipologie di investimento in ciascun esercizio
( tabella 19.1); per non limitare completamente il livello di discrezionalità del
decisore, che spesso è colui che meglio conosce le caratteristiche dell'investi-
mento, si forniscono talvolta delle fa5ce, all'interno delle quali determinare il
coefficiente di certezza.
Anno
dove:
1 = tasso riskfree,
a = premio di rischio relativo al rischio medio dell'impresa;
d = premio di rischio specifico dell'investimento.
RAR>O
19.3.3 RAR e CE
Può essere utile un confronto tra le caratteristiche dei due criteri di tipo pseu-
do-deterministico, RAR e CE.
L'applicazione del RAR all'analisi di un investimento reale richiede la sti-
ma di un numero inferiore di parametri. Per ogni investimento, infatti, è suf-
ficiente determinare il livello complessivo di rischio, in base al quale definire
il tasso di attualizzazione.
La minore onerosità del metodo è compensata tuttavia da una maggiore ri-
gidità. Il premio di rischio si applica infatti in modo indifferenziato in tutti gli
esercizi; poiché esso agisce sul tasso di attualizzazione, che "pesa" il valore at-
teso dei NCF in modo esponenziale nel tempo, il RAR penalizza in modo
n1olto pesante i NCF più lontani nel tempo.
19. I criteri di decisione I 543
In parte, questo appare ragionevole, poiché i NCF più lontani nel tempo
sono maggiormente incerti, quindi caratterizzati da una superiore variabilità.
Tuttavia, esistono investimenti per i quali il livello di vaiiabilità è già molto al-
to nei primi anni di vita, e tende a crescere in m?do contenuto negli esercizi
successivi. Un esempio tipico è quello di investimenti in nuovi prodotti. Tali
investimenti scontano, al momento dell'entrata del prodotto in produzione,
un forte rischio di mercato; una volta che si sia verificata l'effettiva accettazio-
ne da parte dei clienti, i NCF' tenderanno a stabilizzarsi. Per questo tipo di in-
vestimenti, è quindi preferibile adottare un criterio di valutazione del rischio
specifico per ciascun esercizio ..
In investimenti in cui il rischio non subisce una costante amplificazione nel
tempo, quindi, è opportuno ricorrere ali' equivalente certo; negli altri casi, il
RAR viene normalmente pri,ilegiato.
19.4 L'approcciostocastico
L'approccio stocastico consiste nel trattare il NPV come una variabile stocasti-
ca, alla quale devono essere a~ciati indicatori di valore atteso e indicatori di
rischio.
Poiché il NPV è una variabile casuale, somma di variabili casuali, il suo valore
atteso, E (NPV), è pari alla som1na dei valori attesi delle singole variabili com-
ponenti:
- ~ E(NCFtt))
E(NPV) - ~ (19.20)
c=o (l+i)t
Per determinare il valore atteso del NPV è quindi sufficiente conoscere i va-
lori attesi dei singoli NCF'.
18. Questo modo di procedere può essere rischioso nel caso vi sia la possibilità di successivi
reinvestimenti nel progetto, anche in assenza di ulteriori autorizzazioni; in tal caso, si po-
trebbero generare perdite anche molto superiori all'investimento iniziale.
19. I criteri di decisione I 545
fl calcolodegliindici di dispersione
I tre indicatori principali della dispersione dei risultati di un investimento so-
no la varianza, la deviazione standard e il coefficiente di dispersione del NPV.
La varianza del NPV è definita come:
e il coefficiente di dispersione:
<T~'PY
Cd=---
E(NPV)
Ai fini dell'analisi degli investimenti reali, l'uso di uno qualsiasi di questi indi-
catori è sostanzialmente equivalente. Le considerazioni seguenti faranno
quindi riferimento al calcolo della varianza; da essa sarà immediato ricavare,
per chi lo voglia, le altre grandezze.
T a2 T r
<Tja k Pjk
<T2NPV = 2 t +22 2 ( 1 + i)j+k
(19.21)
t =o ( } + i) 2t J =o k =j + I
dove:
a NPV = deviazione standard del NPV;
at = deviazione standard del NCF' relativo all'anno t;
Pjk = coefficiente di correlazione lineare tra i NCF relativi agli annij e k.
Il calcolo della varianza del NPV, quindi, richiede che siano noti, accanto
alle deviazioni standard dei NCF' relativi ai singoli esercizi, anche i coefficien-
ti di correlazione lineare tra i diversi flussi di cassa. I coefficienti di correlazio-
19. Per la giustificazione delle relazioni utilizzate, si faccia riferimento a qualsiasi testo di cal-
colo delle probabilità; ad esempio, Daboni ( 1980).
546 I I SISTEMI DI DECISIONE
2
(J" t
(19.22)
(19.23)
~f
G= IN.
jI J
=
23. L'indipendenza stocastica tra due grandezze si ha quando la conoscenza del valore che
una di esse assume non influenza la distribuzione di probabilità dell'altro.
548 I I SISTEMI DI DECISIONE
Il ricorsoaUasimulazione
Se alcune delle ipotesi alla base dell'analisi di rischio non sono completamen-
te rispettate, si può ricorrere a tecniche di simulazione 24.
In questo caso, si considera l'investimento come un sistema caratterizzato
da un numero qualsiasi di variabili casuali, con distribuzione generica eco-
munque correlate. La simulazione consiste, di fatto, nelle seguenti fasi logi-
che:
1. si estrae un set di valori delle variabili casuali;
2. si calcola il NPV dell'investimento in corrispondenza a tali valori;
3. si itera il procedimento N volte.
24. Owiamente, una analisi puntuale delle tecniche di simulazione esula completamente da-
gli scopi di questo testo. Sono peraltro moltissimi i testi dedicati alla simulazione, cui ci si
può rivolgere nel caso la si voglia applicare all'analisi di un investimento; tra i tanti, un
classico è quello di Shannon ( 1975).
25. È opportuno ricorrere a test statistici adatti a confrontare una distribuzione campionaria
con una distribuzione teorica, quale ad esempio il test di Kolmogorov Smirnov.
19. I criteri di decisione I 549
Dominanza stocastica
Tra due investimenti 1 e 2, il primo è statistican1ente dominante rispetto al se-
condo se tra i relativi NP\' (NPV 1 e NPV 2 ) esiste una delle seguenti relazioni:
• la distribuzione del NPV 1 ha valore atteso superiore e rischio inferiore (si
fa qui riferimento a tutte le misure di rischio giudicate significative dal-
l'impresa) rispetto a quella del NPV 2 ; o
• esiste tra le funzioni di distribuzione del NPV dei due investimenti la se-
guente relazione:
Vx (19.24)
26. In alcuni casi, è sufficiente conoscere il valore atteso e la deviazione standard per conosce-
re anche la distribuzione sfatistica del NPV; ad esempio, se i NCF' sono distribuiti secondo
una normale, anche il NPV risulterà distribuito secondo una normale. Per investimenti
con vita sufficientemente lunga, può talvolta essere d'aiuto il teorema del limite centrale,
secondo cui la distribuzione di una somma di variabili casuali con la stessa distribuzione
tende, al limite, a una distribuzione normale.
550 j I SISTEMI DI DECISIONE
+cx: + cx:
f
- oc
F1 (x) dx< f
- oc
F2 (x) dx (19.25)
Teoria dell'utilità
La teoria dell'utilità associa a ogni specifico decisore una "funzione di utilità",
che identifica combinazioni di valore atteso e di rischio dell'investimento per
lui equivalenti.
27. Il termine viene utilizzato per indicare un livello di dominanza inferiore a quello indivi-
duato dalla condizione precedente, proprio per questo.indicata come dominanza stocasti-
ca di primo grado.
19. I criteri di decisione I 551
dove A, che per un decisore a,verso al rischio assume valori maggiori di zero,
rappresenta il coefficientedi auuers-ioneal rischio.
La presenza dei soli indicatori di dispersione, accanto al valore atteso, nella
funzione di utilità costituisce, a nostro avviso, un limite significativo. Concet-
tualmente, è immediato risolvere questo problema, costruendo funzioni di
utilità con più variabili, indicative di tutte le prestazioni importanti dell'inve-
stimento; operativamente, però, questo modo di procedere porta ad aumen-
tare la complessità della stima dei parametri della ( 19.26), rendendo di fatto
quasi impraticabile l'impiego di un metodo già difficilmente utilizzabile nella
forma più semplice 29 .
Un compromesso interessante viene proposto da Ouderni e Sullivan
(1991), che sostituiscono alla varianza del NPV la semivarianza, "s":
28. Un polinomio quadratico approssima in realtà molto bene un insieme più ampio di fun-
zioni convesse, rappresentative di un grado di utilità marginale decrescente al crescere del
NPV (cfr. Ouderni e Sullivan, 1991).
29. Si noti che la funzione di utilità non è altro che una media pesata dei parametri che ven-
gono utilizzati per caratterizzare l'investimento. In tal senso, il problema principale del
suo utilizzo è costituito dalla corretta stima dei parametri; tale problema si amplifica ogni
volta che si prendano in considerazione più parametri.
552 j I SISTEMI DI DECISIONE
Soggettivitàdel decisore
La teoria dell'utilità costituisce di fatto un modo per costringere il decisore a
tradurre la propria propensione al rischio in un parametro, il coefficiente di
awersione al rischio. A nostro awiso, ciò non garantisce una migliore com-
prensione delle caratteristiche dell'investimento, ma tende semplicemente
ad ammantare di µna parvenza di oggettività la scelta finale del decisore.
È a questo punto spesso preferibile limitarsi a fornire al decisore l'insieme
dei parametri caratteristici dell'investimento, in termini di valore atteso e di
rischio, lasciando poi che sia lui, soggettivamente, a pesare tali prestazioni.
Questa scelta appare in particolar modo corretta per investimenti complessi,
in cui è molto più importante comprendere compiutamente le possibili con-
seguenze dell'investimento, piuttosto che pretendere di arrivare, in modo vel-
leitario, a una valutazione "oggettiva".
20 Le decisionidi breveperiodo
20.1 Introduzione
La valutazione di una decisione di breve periodo deve essere basata sul suo
impatto sulla creazione di valore economico. Tuttavia, l'attenzione al breve
periodo consente alcune semplificazioni; in particolare:
• visto che si opera nel breve periodo, si può considerare trascurabile la di-
stribuzione temporale degli impatti economico-finanziari della decisio-
ne; di fatto, è come se tutti gli eventi economico-finanziari fossero terr1-
poralmente coincidenti e non è necessario attualizzarli;
• le decisioni di breve periodo sono "a risorse fissate", non comportano
quindi in generale investimenti in capitale "fisso";
• operando nel breve periodo e trascurando l'attualizzazione, si ipotizza
normalmente che le vendite coincidano con gli incassi e gli acquisti con
i relativi esborsi di denaro. Di conseguenza, non vi è una variazione nel
capitale circolante operativo netto (CCNO).
Di conseguenza:
• l'impatto della decisione sul valore economico coincide di fatto con l'im-
patto sul NCF del primo esercizio, non attualizzato;
• visto che non vi sono investimenti in capitale fisso e in capitale circolan-
te, il NCF coincide con il CF;
• grazie alla coincidenza tra ricavi e incassi e tra acquisti e costi, infine, il
CF coincide con la differenza:
M = (p-c) ·Q (20.2)
Nel caso, infine, che le alternative in esame siano caratterizzate da una stessa
quantità venduta, la massimizzazione del margi,nedi contribuzionetotalecoincide
con la massimizzazione del margi,nedi contribuzioneunitario (m), pari alla diffe-
renza tra prezzo e costo variabile unitario.
indipendente cioè dalle variazioni del volume produttivo, e dei costi va-
riabili, direttamente proporzionali al volume produttivo. Anche questa
ipotesi può essere realistica solo in corrispondenza a oscillazioni conte-
nute del volume produttivo.
Sulla base di queste ipotesi, il margine operativo netto dell'azienda può essere
espresso come:
In questo caso sono rispettate tutte le ipotesi alla base dell'analisi di breakeven. È
quindi possibile utilizzare la formula semplificata:
(X+ CF)
m
Il volume di break even risulta quindi pari a:
ne di larghissima massima, utile nei casi in cui la domanda prevista sia molto
superiore (o molto inferiore) rispetto al punto di breakeven. Quando invece il
volume di breakeven è vicino al livello di domanda previsto dall'azienda, l'ana-
lisi di breakeven deve essere sostituita da una valutazione maggiormente detta-
gliata degli specifici costi e ricavi aziendali e dei loro legami con il volume di
produzione.
N
max I
i= I
xi · (pi - ce) (20.6)
con i vincoli:
< * i= I ... N
X--X.
I I (20.6')
20. Le decisioni di breve periodo I 559
N
lx .. t9.. -<T.J
. I
j =I ... M (20.6")
I= l
4. Nel caso esista una sola risorsa critica, le (20.6) equivalgono a scegliere i prodotti sulla base
del margine di contribuzione per unità di impiego della risorsa critica, che è pari a: (P; -
cez)/ t1., dove t; è il consumo della risorsa critica da parte di una unità del prodotto i-esimo.
5. Cfr. Azzone e Masella (1991). La giustificazione di questi risultati è legata al fatto che il full crr
sting "incorpora" alcune informazioni sull'impiego delle risorse. Di conseguenza, nell'ordina-
re i prodotti non tiene conto solo del margine di contribuzione unitario, ma anche della rela-
tiva occupazione delle risorse; infatti, normalmente, il mix selezionato attraverso un sistema
full costingcorretto consente un maggior livello di saturazione delle risorse ed è compo~to da
un numero superiore di prodotti rispetto a quello selezionato sulla base del solo costo diretto.
560 j I SISTEMI DI DECISIONE
goperiodoè giustificato dal fatto che, nel lungo periodo, tutti i costi sono varia-
bili, poiché non esisttono risorse fisse. Tuttavia, ciò non implica necessaria-
mente che le decisioni debbano essere prese, nel lungo periodo, sulla base
del confronto tra prezzo e costo pieno 6.
Si consideri ad esempio il caso di una de~isione concernente l'acquisizione
di un ordine da parte di un cliente strategico: la creazione di valore economi-
co connessa con la decisione richiede l'analisi delle implicazioni delle due de-
cisioni alternative, relative rispettivamente all'acquisizione e alla non acquisi-
zione dell'ordine. La differenza tra le due alternative nasce dal margine degli
ordini futuri che il cliente potrebbe annullare in seguito al rifiuto di accettare
l'ordine odierno. La sua valorizzazione impone quindi che si analizzino, attra-
verso una vera e propria valutazione di investimento, i possibili ordini futuri
del cliente, la relativa profittabilità, la possibilità di saturare la capacità pro-
duttiva dell'impresa, tutti elementi che non vengono in alcun modo eviden-
ziati nel costo pieno. Nelle decisioni di lungo periodo è quindi necessario uti-
lizzare sempre i criteri di valutazione degli investimenti, misurando l'impatto
della decisione sui NCF dell'impresa nel lungo periodo; il costo pieno, quin-
di, non ha alcuna rilevanza diretta nelle decisioni di lungo periodo.
PARTE QUINTA
I sistemi di controllo
Nelle parti precedenti si è visto come il valore economico costituisca l'obiettivo dell'a-
zienda e come sia possibile analizzare le singole decisioni al fìne di comprenderne
l'impatto sul valore economico. Tuttavia, conoscere come si crea valore economico
non è sufficiente ad assicurare che un'impresa si comporti effettivamente in modo da
creare valore economico; infatti:
• chi decide non ha una piena visibilità sulle conseguenze delle proprie scelte, che
dipendono dall'evoluzione, almeno in parte imprevedibile, del contesto in cui
l'impresa opera;
• le decisioni vengono prese da più soggetti all'interno dell'impresa, con interessi
propri e non completamente coincidenti con quelli dell'impresa nel suo com-
plesso.
Questi aspetti, che oggi sono accentuati dalla crescente complessità e variabilità del
contesto competitivo, fanno sì che per gestire una impresa in modo da incrementarne
il valore sia necessario disporre di "sistemi di governo", o di "controllo", ovvero di si-
stemi che:
• consentano di monitorare eventuali variazioni del contesto competitivo che ri-
chiedano un mutamento delle scelte dell'impresa;
• consentano di assicurare la coerenza tra le scelte dei singoli decisori e gli obietti-
vi dell'impresa nel suo complesso.
L'ultima parte del testo è appunto rivolta a presentare gli elementi di base dei sistemi di
governo di un'impresa. In particolare, dapprima ci si focalizza sulla logica che sta alla ba-
se del "controllo" di un'impresa (capitolo21). Successivamente, si analizza come sia pos-
sibile costruire operativamente un sistema di controllo funzionale all'impresa nel suo
complesso (capitolo22). Infine, l'attenzione si sposta su singole unità organizzative, evi-
denziandone le specificità e discutendo le modalità per costruire un sistema di controllo
che ne assicuri il funzionamento coerente con gli obiettivi dell'impresa (capitolo23).
21 I sistemi di controllo
Nelle parti precedenti del testo è stato delineato un sistema decisionale coe-
rente con l'obiettivo di creare valore economico per gli azionisti. Non bisogna
tuttavia commettere l'errore di ritenere che l'applicazione "meccanica" dita-
le sistema sia sufficiente per assicurare che l'impresa sia gestita correttamen-
te; infatti, le decisioni che vengono prese in un 'impresa:
• si basano su previsioni del futuro, che, come tali, non necessariamente si
verificheranno; l'evoluzione del mercato, lo sviluppo tecnologico, le
"mosse" dei competitori non possono essere previste perfettamente,
neppure dal più "preciso" sistema previsionale aziendale;
• ipotizzano alcune "leggi" di funzionamento dell'azienda, non necessa-
riamente corrette. Si assuma ad esempio che un'impresa ne acquisisca
un 'altra; le prestazioni della società acquisita sono strettamente dipen-
denti dalle modalità con cui awerrà la sua integrazione organizzativa
con l'impresa acquirente 1; è difficile, quindi, al momento in cui viene
decisa l'acquisizione, prevedere quale sarà l'effettivo "funzionamento"
dell'impresa acquisita.
Occorre quindi disporre di sistemi che siano in grado di verificare con conti-
nuità se il comportamento dell'impresa, e delle singole unità organizzative al
suo interno, sia in grado di raggiungere gli obiettivi che erano stati identifica-
ti in fase decisionale e di introdurre gli interventi correttivi eventualmente ne-
1. Si pensi a una grande jmpresa che ne acquisisce una più piccola; il funzionamento di que-
st'ultima cambia radicalmente per effetto dell'acquisizione, a causa della inevitabile perdita di
capacità imprenditoriali compensata da una parallela crescita delle risorse manageriali.
564 I I SISTEMI DI CONTROLLO
F I e u RA 21 .1 - Il ciclo di controllo
..
__ Risorse/
Oggetto
del controllo --- - Misura
- dei risultati
azioni
Introduzione Analisi
delle azioni correttive degli scostamenti
2. Il termine "controllo" viene qui inteso, coerentemente con l'inglese "control'', come "regola-
zione" e non come "vigilanza". ·
3. Per una analisi più puntuale delle caratteristiche di un sistema cibernetico e del suo impiego
per descrivere il sistema di controllo, cfr. Otley e Berry (1980), Toecher (1976) e Vickers
(1967).
21. I sistemi di controllo I 565
4. Per modello dell'azienda si intende qui qualsiasi rappresentazione "semplificata" del funzio-
namento dell'azienda. Un modello può quindi essere descritto da una relazione analitica (fat-
turato= prezzo. quantità) o da una relazione qualitativa (se si riducono i prezzi aumenta la
quantità venduta).
566 I I SISTEMI DI CONTROLLO
• alcune variabili sono esogene, quindi non possono essere controllate di-
' ad esempio, del livello della domanda quando si vo-
rettamente; è il caso,
glia controllare la profittabilità di un prodotto, o dell'andamento dei
prezzi delle materie prime;
• altre variabili (endogene), pur controllabili direttamente, possono com-
portarsi in modo non coincidente con le previsioni del modello, che co-
stituisce pur sempre una rappresentazione semplificata della realtà; ad
esempio, in presenza di inefficienze nel comportamento della forza la-
voro, la quantità di input impiegata per realizzare un dato output può dif-
ferire dai valori programmati.
Nel caso i risultati effettivi divergano dalle previsioni, è necessario, per identi-
ficare gli interventi correttivi più opportuni, comprendere le ragioni degli
scostamenti. In particolare, è essenziale distinguere tra:
• scostamenti dovuti a variabili esogene, quindi a mutamenti esterni al si-
stema, non controllabili; e
• scostamenti dovuti a variabili endogene, legati perciò a una mancata cor-
rispondenza tra il modello di controllo e l'effettivo funzionamento del
sistema.
del sistema,ad esempio, nel caso di una scarsa produttività della forza lavoro
~arà necessario rivedere le soluzioni organizzative adottate in produzione e/ o
introdurre adeguati sistemi di incentivi.
Una volta definite le singole fasi logiche del processo di controllo, è opportu-
no analizzare l'articolazione del processo, cioè le modalità con cui le diverse
fasi vengono implementate operativamente.
21.2.1 L'approcciofeed-back
ciò sia il tempo nece;sario per individuare l'alternativa più opportuna che
quello per la sua effettiva implementazione.
Si consideri ad esempio il caso di una variazione nel livello della domanda
effettiva rispetto al dato previsionale. Se tale variazione è modesta, sarà sem-
plice introdurre interventi correttivi adeguati a riportare l'impresa in condi-
zioni di regime; nel caso, ad esempio, di un aumento della domanda dell'l %,
sarà possibile intervenire attraverso una semplice riduzione delle scorte o il
coinvolgimento di un subfornitore.
Se invece i risultati effettivi si discostano in modo significativo rispetto alle
previsioni, diviene impossibile introdurre gli interventi correttivi attraverso
una modifica "in piccolo" dei piani operativi: una domanda doppia rispetto
alle previsioni comporta la necessità di riconfigurare l'attività di tutte le diver-
se funzioni dell'impresa, ricominciando, in pratica, il ciclo sulla base delle
nuove informazioni disponibili.
Gli altri due termini dipendono invece in modo sostanziale dalle caratteri-
stiche interne dell'impresa, cioè dalla sua capacità di risposta: imprese dove
più forte è il decentramento riescono a definire più rapidamente i possibili
interventi correttivi; imprese flessibili possono implementare più rapidamen-
te gli interventi necessari.
5. Nelle imprese operanti per progetto vengono determinati periodicamente, per ciascun pro-
getto, accanto ai costi consuntivi, i costi a comp!Rtare(costi necessari per la conclusione del pro-
getto) e i costial completamento(somma dei costi consuntivi e dei costi a completare).
21. I sistemi di controllo I 569
6. Nel caso in cui, ad esempio, la variabile critica sia costituita dal livello della do~anda,.~ar~no
predisposti amtingency pian in corrisponden~a ?i un _a1;1ment~ sign!fi_cativoe d1 ~na n uz10ne
vistosa della domanda, ma non piani dettaghatI relatIVIa ogni possibile valore d1 domanda.
22 Il sistema di controlloa livello di impresa
L'inizio del processo di budgeting presuppone quindi che siano stati definiti
gli obiettivi e i programmi strategici alla cui realizzazione è finalizzata la stessa
attività di budgeting.Il vero e proprio budgeting, come detto, ha come obiettivo
finale la predisposizione del master budget (figura 22.1), il documento che sin-
tetizza il sistema di piani compilati dall'impresa nell'ambito della programma-
zione e che consente di predisporre stato patrirnoniale e conto economico
previsionali e, quindi, di calcolare il NCF. In particolare il master budgetcosti-
tuisce l'insieme coordinato e coerente di tre tipologie di budget:
• i budgetoperativi, riguardanti la pianificazione della gestione caratteristi-
ca dell'impresa, in termini di flussi fisici ed economici di materiali, com-
ponenti, prodotti finiti e servizi, in entrata e in uscita dall'impresa;
• il budgetdegli investimenti, che definisce i nuovi impegni di risorse finan-
ziarie e umane necessari per il raggiungimento degli obiettivi;
• i budgetfinanziari, che determinano la gestione della liquidità a disposi-
zione dell'impresa ed evidenziano come far fronte a eventuali problemi
di insolvenza.
L'elaborazione di questi programmi consente di ottenere una proiezione del-
l'andamento futuro delle prestazioni "economiche" dell'impresa; il confron-
to tra tali valori e gli obiettivi determina l'approvazione del master budget, la
sua revisione - nell'ipotesi che le linee di azioni scelte non consentano di ot-
tenere risultati soddisfacenti - o addirittura una ridefinizione degli obiettivi -
quando non venga individuato alcun pi<1.noin grado di assicurarne il conse-
guimento.
1. Cfr. Chakravarthy e Lorange (1991). Le tre sottofasi sono solo logicamente sequenziali; in
realtà prevedono naturalmente numerosi ricicli.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I S73
Master budget
------------,----------------------r-------------
1
I
I Budget
finanziari
NO
si
n budgetdellevendite
Il budgetdelle vendite ( tabella 22.1) rappresenta un momento centrale del ci-
clo di budgeting: è sulla base del fatturato programmato che vengono infatti
individuati tutti gli altri budget operativi e lo stesso budget di cassa, che è in-
fluenzato dalla distribuzione temporale delle vendite e dalle politiche com-
merciali adottate. Il budgetdelle vendite prevede l'intervento diretto delle fun-
zioni marketing e vendite, che più direttamente dispongono di informazioni
sul mercato di riferimento 2 , e degli staff di pianificazione e controllo, che
hanno il compito di connettere queste informazioni con l'esame delle strate-
gie aziendali di medio-lungo periodo; sulla base di queste indicazioni, si sti-
mano, normalmente con cadenza mensile, i volumi e i prezzi di vendita pro-
grammati. Ai valori aggregati si possono accompagnare dati disaggregati per
cliente, area geografica e linea di prodotto.
2. Per un'analisi delle diverse metodologie di previsione della domanda (quali ad esempio serie
storiche, medie mobili, smorzamento esponenziale e metodo Delphi), si può fare riferimento
a qualsiasi testo di marketing, ad esempio Dalrymple e Parsons ( 1990).
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I S75
Gennaio Dicembre
Prod. A
i
Prod. B
............
Totale I!
[V.+
I
(SF.
I
-S 1I.)] = P.I
..
E immediato quindi ricavare, mediante una somn1a algebrica, la quantità che
deve essere realizzata, nell'orizzonte temporale di riferimento, di ogni pro-
dotto che fa parte del mix produttivo dell'impresa.
La "costruzione., del piano di produzione richiede la verifica della con-
gruenza tra le risorse richiestt' dal budgete le risorse effettivamente disponibili
all'interno dell'in1presa; deve cioè risultare, per ogni risorsaj-esima:
N
I
i=l
P.. ~-<T.'
I ~- J
dove ti' rappresenta la quantità unitaria della risorsa j-esima richiesta dal pro-
dotto [-esimo e T. la disponibilità complessiva della risorsa j-esima.
J
3. Si osservi che, in teoria, le scorte iniziali sono ricavabili a partire dallo stato patrimoniale ini-
ziale dell'azienda. Così, ad esempio, le scorte iniziali relative al budgetper l'anno 2003 sonori-
cavabili dallo stato patrimoniale del 31.12.2002. Tuttavia, poiché il processo di budgetingper
l'anno 2003 viene in generale attivato prima della fine del 2002, sarà necessario determinare il
valore previsto delle scorte iniziali sulla base di un "preconsuntivo" del 2002.
4. Il budgetdelle scorte finali è particolarmente importante in imprese la cui domanda è caratte-
rizzata da una elevata stagionalità; attraverso una variazione delle scorte alla fine di ciascun pe-
riodo, infatti, si riesce ad assicurare una relativa stabilità del livello produttivo nonostante l'o-
scillazione delle vendite.
576 j I SISTEMI DI CONTROLLO
I
Un'impresa, nell'anno 2005, ha avuto un livello di scorte finali pari a 12 milioni di€,
a fronte di un fatturato di 120 milioni di€. Determinare il livello delle scorte finali di
budget per il 2006, nell'ipotesi che l'impresa mantenga inalterata la propria politica
delle scorte e che il fatturato di budget sia pari a 150 milioni di€.
Poiché l'impresa ipotizza di mantenere la stessa politica delle scorte, l'indice ri-
marrà inalterato nel 2001. In corrispondenza a un fatturato di budget pari a 150
milioni di€, quindi, le scorte finali saranno pari a:
150
= 15 milioni di€
10
Budget
delle vendite
Scorte
iniziali
(preconsuntivo)
Budget Budget
delle scorte fìnali di produzione
5. Peraltro, le decisioni che comportano una modifica della capacità produttiva hanno effetto
sulle prestazioni dell'impresa nel medierlungo termine, quindi devono essere analizzate attra-
verso tecniche di capi,tall,udgeting.
6. Le singole soluzioni agiscono su termini differenti della (22.1) e della (22.2). L'intervento
sulle politiche di marketingcomporta infatti una riduzione del termine Vi; la riduzione_ delle
scorte finali una riduzione del termine SFi; l'investimento in beni capitali consente un mere-
mento di T e l' esternalizzazione di alcune attività riduce il consumo necessario di alcune ri-
J
sorse (tij).
578 J I SISTEMI DI CONTROLLO
1 (prod. A)
...
n. (prod. A) Tot. acquisti prod. A
1 (prod. B)
...
n. (prod. B) Tot. acquisti prod. B
Costoconversione
Prodotto A
...
Prodotto N
Costo conv. totale
A questo punto è possibile determinare in modo puntuale, sulla base del co-
sto pieno industriale o del costo variabile, il valore delle scorte finali di bud-
get7. Da qui, infine, si ricava il costo del venduto come:
7. Nelle fasi precedenti, infatti, era stata determinata la sola quantità delle scorte finali.
8. Sui problemi connessi con la misura delle prestazioni di centri di spesa e sulle proposte per su-
perarli, almeno parzialmente, cfr. rafntow23.
9. Su questo tema, si veda anche Brusa e Zamprogna (1991).
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 5 79
• lo zerobasedbudget,
• l' overheadvalue a na~-ysis.
L'approccio incrementale, sicuramente il più diffuso nella pratica, consiste
nel determinare il valore programmato dei costi di struttura e delle spese di-
screzionali sulla base dei valori relativi all'ultimo esercizio; più precisamente, i
nuovi dati programmati sono ricavati moltiplicando i valori passati per un
coefficiente che tiene conto del ~o di inflazione e dell'eventuale espansio-
ne dell'attività dell'impresa. 10.
La relativa semplicità del metodo consente di implementarlo in modo rapi-
do e con costi limitati; tutta,ia, l'approccio incrementale comporta alcuni
problemi di carattere concettuale, e in particolare:
• ipotizza, implicitamente, una relazione di tipo lineare tra il livello di atti-
vità e l'ammontare delle spese discrezionali; il ricorso a una relazione di
proporzionalità può essere ragionevole, almeno in primissima approssi-
mazione, per le spese di tipo strutturale, ma appare del tutto inadeguato
per le spese discrezionali di carattere episodico, owero costi sostenuti,
per particolari ragioni, in un particolare periodo ma éhe non sono desti-
nati ad essere ripetuti in esercizi futuri 11;
• ricava i valori programmati a partire da dati storici; si ha così inevitabil-
mente una amplificazione delle eventuali inefficienze nel tempo.
10. Operativamente, il valore delle spese discrezionali viene espresso come percentuale del fattu-
rato, grandezza indicativa sia del livello di attività che dell'andamento dei prezzi; per~ltro, in
questo modo è possibile determinare il lnuigetdelle spese discrezionali non appena sia stato
definito il budgetdelle vendite.
11. Ad esempio, se si considerano i costi della funzione amministrazione e controllo, accanto a
spese strutturali, come quelle connesse con le attività di fatturazione, possono esistere spese
episodiche per la riprogettazione di parti del sistema di controllo di gestione.
580 I I SISTEMI DI CONTROLLO
12. Si osservi che nell'OVA, l'impegno del 'Vertice" e degli staff di pianificazione nel processo di
allocazione delle risorse è più contenuto rispetto a quanto accade nello ZBB; infatti, l'analisi
dei benefici delle diverse alternative viene di fatto condotta dai "clienti interni".
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 581
Approvatineglieserciziprecedenti
Investimento A
...
Investimento F
Totaleinvestimentiapprovatineglieserciziprecedenti
Approvati
..
Investi mento G
...
Investimento L
Totaleinvestimentiapprovatinell'esercizio
Infase di approvazione
Investimento M
...
Investimento Z
Totaleinvestimentiinfase di approvazione
Comprendono:
• il budgetfonti/impi~hi (o l'equivalente schema di cashflow), per l'analisi di
compatibilità finanziaria dei budgetoperativi formulati; e
• il budgetdi cassa,per anticipare eventuali rischi di insolvenza dell'impresa.
Il budget del reddito imponiml,eevidenzia infine l'effetto derivante dalla gestione
straordinaria sul risultato d'esercizio.
flbudgetfonti/impieghi 13
La struttura del budgetfonti/impieghi ( tabella22.5) è già stata discussa nel capite>-
lo 14. Qui è sufficiente analizzare le modalità per ottenere le informazioni ne-
cessarie alla sua compilazione prospettica.
In particolare:
• il valore della produzione di budget e il costo della produzione di lrudget
sono ricavabili dai budget operativi; l'unica notazione su questo puntori-
guarda le scorte iniziali, che coincidono con le scorte finali dell'esercizio
precedente a quello per il quale è predisposto il budget. Poiché il l,udget
viene in generale predisposto prima della fine dell'esercizio precedente
(il processo inizia normalmente a ottobre o novembre), il valore delle
scorte iniziali non sarà in realtà noto ma dovrà essere stimato attraverso
un "preconsuntivo";
• il calcolo della variazione del capitale circolante richiede che l'impresa
definisca la propria politica rispetto a debiti e crediti commerciali (cfr.
schema 22.2), mentre il livello delle scorte finali è già noto dal budget del-
le scorte finali;
• il calcolo degli oneri finanziari e dei proventi finanziari fa riferimento ai
soli flussi finanziari; il dato relativo non coincide quindi con quello ri-
portato nel conto economico, basato sulla competenza economica delle
diverse voci. Gli oneri finanziari vengono determinati con un processo
di tipo iterativo. Dapprima, si calcola un valore relativo ai debiti contratti
negli anni scorsi e ancora attivi e a quelli previsti per finanziare nuovi in-
vestimenti. Una volta terminata la prima stesura del budgetfonti/impieghi,
si verifica se l'impresa ha necessità di contrarre ulteriori debiti o se ha di-
sponibilità di cassa per ridurre il proprio indebitamento; nel caso di va-
riazioni del debito si ricalcolano gli oneri finanziari e, conseguentemen-
te, si ricalcola il surplus o fabbisogno finanziario dell'impresa;
• le imposte rispondono anch'esse al criterio di cassa. Di conseguenza,
vengono considerate le imposte versate a saldo dell'anno precedente e i
due anticipi di imposte. Poiché questi ultimi sono calcolati a partire dal-
l'anno precedente, per il calcolo delle imposte è sufficiente stimare, at-
traverso un preconsuntivo, l'utile di esercizio dell'anno precedente.
13. In alcune aziende si parla invece che di fonti/impieghi di schemadi cashflow, cfr. capitow14.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 583
Altri impieghi
Investimenti
Utilizzo fondi
Dividendi
Rimborso debiti finanziari
Surplus/fabbisognofinanziario
14. È comunque possibile utilizzare la disponibilità finanziaria per nuovi investimenti o per ridur-
re l'indebitamento.
584 I I SISTEMI DI CONTROLLO
I •
TABELLA 22.6 - Il budget d1 cassa: le entrate
Mese
Il budgetdi cassa
Il budget di cassa stima le entrate e le uscite di cassa dell'impresa nell'ambito
dell'orizzonte di pianificazione (solitamente l'anno); i prospetti presentano
tuttavia una frequenza più ravvicinata (normalmente mensile) per fornire un
continuo monitoraggio del livello di liquidità.
In particolare, nel budgetdi cassa si evidenziano, a partire dalle liquidità ini-
ziali, il totale delle entrate ( tabella22. 6), derivanti da vendite, riscossione cre-
diti e disinvestimenti, e il totale delle uscite ( tabella 22. 7), dovute ad esempio
ad acquisti, stipendi del personale, pagamento dei dividendi e oneri finanzia-
ri. Il saldo di cassa ( tabella22. 8) così identificato deve essere comparato con il
valore obiettivo minimo desiderato, per verificare la possibilità di effettuare
ulteriori investimenti o, al contrario, la necessità di contrarre nuovi debiti nei
confronti di istituti di credito.
La compilazione del budget di cassa costituisce l'ultimo passo del ciclo di
budgeting prima della redazione del bilancio di esercizio di budget. La costru-
zione del budgetdi cassa richiede infatti in input dati relativi alla politica delle
scorte, alle vendite programmate, agli acquisti previsti, che sono disponibili
solo in seguito alla costruzione dei budget operativi, del budget degli investi-
men ti e del budgetfonti/impieghi.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 585
Mese
Stipendi/salari 500
Costo dei servizi 100
o
Spese di vendita 200
Totaleuscitecorrenti 2000
Pagamenti imposte o
Pagamento interessi 150
Rimborso mutui o
Rimborso altri debiti o
Pagamento immobilizzazioni o
Totalealtreuscite 150
Totaleuscite 2.150
Mese
Totaleentrate 2.200
Totaleuscite 2.150
Saldodi cassa 55
Posizione vs. banche inizio periodo (4.860)
Oneri finanziari (bancari)
Di conseguenza, si ha che:
100
3 = 12 · crediti commerciali
e quindi:
100
crediti commerciali= 12 • -- = 25 milioni di€
3
Analogamente, si può ricavare il valore dei debiti commerciali a partire dal totale
degli acquisti (reperibile nel budget del costo del venduto) e dal tempo medio di
pagamento dei fornitori. Questo è esprimibile, in mesi, come:
acquisti
12·--------
debiti commerciali
dei ~ piani del master budget, quindi lo stadio finale del processo di bud-
geting1~.
15. La costruzione del conto economico e dello stato patrimoniale di budgetconsiste semplice-
mente nell'aggregazione delle informazioni contenute nei singoli piani e nella loro rielabora-
zione coerentemente con la struttura del conto economico e dello stato patrimoniale.
588 I I SISTEMI DI CONTROLLO
IAS/IFRS Principitradizionaliitaliani
16
Statopatrimoniale
Presentazione di attività Corrente-Non corrente (in base Immobilizzazioni-circolante
e passività alla natura delle voci).
In alternativaCorrente-Non corrente
(in base alla liquidità delle risorse)
Valorizzazione delle voci Modello del costo e modello Modello del costo con
del fair value indicazioni del FairValuein nota
integrativa per alcune voci.
Contoeconomico
17
Rendicontofinanziario18
Struttura del Metodo diretto o Nessuna indicazione specifìca
Rendiconto Finanziario metodo indiretto
Tipologiaindicatore
Relativi Assoluti
Prestazione
Redditività
Complessiva ROE Utile (net profit}
Operativa ROI EBIT
ROS EBITDA
RA
Finanziaria Costo medio capitale di terzi
Fiscale t= Utile netto da continuingoperations/
Utile lordo da continuingoperations
Discontinued d = Utile netto/Utile netto da
continuingoperations
19. Nella (22.1) può essere inserita la consistenza del patrimonio netto all'inizio o alla fine dell'e-
sercizio. La prima soluzione tende a sottostimare il valore del patrimonio netto disponibile
mediamente nell'esercizio, quindi a sovrastimare il ROE, mentre la seconda ha gli effetti op-
posti. In alcuni casi, per mitigare questo effetto, si considera la semisomma tra la consistenza
iniziale e quella finale.
20. La leva finanziaria è ricavabile rielaborando le seguenti relazioni:
ROE = utile utile netto dell'esercizio/ E;
ROI = MON/ (D + AJ;
s= utile utile netto dell'esercizio/utile lordo delle attività in funzionamento;
r= oneri e perdite finanziarie/ D;
MON = utile operativo;
MON - oneri e perdite finanziarie= utile lordo delle attività in funzionamento.
La relazione assume la forma della (22.2) solo se è nulla la somma di "Utili da società control-
late, collegate e joint venture", "Proventi finanziari da attività di investimento", "Altri proventi
e perdite". Nel caso la somma di queste voci sia diversa da zero, ma comunque limitata rispet-
to agli oneri e perdite finanziarie, si può ancora utilizzare la stessa relazione formale, pur di
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 591
ROE
+
ROI O/E r s
~
=
I
Rotazione Costo medio
ROS
dell'attivo del capitale
t d
di terzi
Consumo materiale Rotazione = =
Fatturato delle scorte Incidenza Risultato
Fatturato
dove:
D= mezzi di terzi (debt), cioè la parte delle passività dell'impresa non di perti-
nenza degli azionisti, pari alla somma di passività correnti e passività non cor-
renti;
E= patrimonio netto ( equity);
ROI = return on investment;
considerare oneri e perdite finanziare al netto della somma di "Utili da società controllate,
collegate e joint venture", "Proventi finanziari da attività di investimento" e "Altri proventi e
perdite". Infine, nel caso in cui la dimensione dei proventi finanziari non sia trascurabile, per
mantenere, almeno formalmente, la stessa relazione, occorre sostituire al MON il MON*, ri-
cavabile aggiungendo la somma di "Utili da società conti:ollate, collegate e joint venture",
"Proventi finanziari da attività di investimento" e "Altri proventi e perdite". In quest'ultimo ca-
so, il significato del RQI muta, poiché non rappresenta solo il risultato della gestione operati-
va, ma comprende anche la gestione finanziaria "attiva".
592 I I SISTEMI DI CONTROLLO
MON
ROI= (22.4)
D+E
21. Nel caso del Bilancio IV Direttiva, le relazioni riportate in questo paragrafo rimangono for-
malmente valide. Si modifica però la modalità di calcolo dei diversi indicatori. In particolare:
s= utile dell'esercizio/reddito al lordo della gestione straordinaria e fiscale; r= interessi e altri
oneri finanziari/ D.
22. La somma di patrimonio netto e mezzi di terzi viene definita capitale investito.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 593
Oneri e perdite finanziarie
r=
D (22.5)
D
ROE* = [ROI + - · (ROI- r')]. s (22.2)
E
dover'= costo medio netto dei mezzi di terzi= (oneri e perdite finanziarie -
proventi finanziari)/ D.
23. la leva finanziaria può es.5ere espressa anche facendo riferimento ai soli mezzi di terzi esplici-
tamente onerosi, sostituendo nelle (22.1-22.5)ai mezzi di terzi i debiti finanziari. In questo ca-
so, owiamente, occorre ridefinire tutti gli indicatori in modo coerente; così, ad esempio, il
ROI deve es.5ere espresw come rapporto tra MON e la somma di patrimonio netto e debiti fi-
nanz1an.
594 j I SISTEMI DI CONTROLLO
con:
RI C = ricavi operativi;
A= totale attivo= D + E.
con:
RI C = ricavi operativi;
VAL= valore aggiunto lordo;
~SC (PF + WIP) = variazione delle scorte di prodotti finite e work in progress
(iniziali - finali) ;
ACQ = consumo di materie prime e altri materiali di consumo;
LAV = costo del personale;
AMM = ammortamenti e variazione del valore delle attività non correnti;
ACP = altri costi operativi,
RIC
nmanenze (22.8)
I livello li livello
.
TABELLA 22.13 - I principaliindicatoridi redditività:
le grandezzedi partenza
24. Per tutte e quattro Ie·società i dati si riferiscono ai bilanci consolidati dell'esercizio contabile
2006.
596 I I SISTEMI DI CONTROLLO
Ricavi
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
- ___
Costi_Operativi _______________________________________________________________________________________
_
+ Ammortamenti e perdite di valore
Utile operativolordo= margineoperativolordo= EBITDA
+ Proventi fìnanziari
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
- Oneri e perdite fìnanziarie
Utile lordoda attività in funzionamento
- Imposte
Utile nettoda attivitàin funzionamento
22.2.2 Laliquidità
La liquidità di breve
Gli indicatori di liquidità di breve periodo analizzano i dati di stato patrimo-
niale attivo e passivo evidenziando la capacità di far fronte alle future esigibi-
lità, attraverso le risorse che si renderanno liquide nel breve periodo.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 597
In linea con questa esigenza le voci di attivo di stato patrimoniale sono rag-
gruppate in:
• attività correnti, ulteriormente suddivise in:
liquidità immediate. os.sia le risorse itnmediatamei1te disponibili (cas-
sa o mezzi equivalenti),
liquidità differite, os.sia le atthità che si prevede si renderanno liquide
. . . .
nei pros.s1m1mesi.
disponibilit:-ì, coincidente con la voce rin1anenze;
• attività non correnti.
Le voci di stato pau;moniale passivo sono invece raggruppate in:
• passività correnti:
• passività consolidate;
• mezzi propri.
È necessario precisare che gli IAS/IFR...5prevedono una cla'isificazione delle
voci di stato patrin1oniale sia per natura che per liquidità. La riclassificazione
dovrà essere preceduta dalla verifica del criterio adottato.
Questa ridassificazione 25 consente di costruire gli indicatori di liquidità di
breve.
Gli indicatori relativi sono:
• il rapporto corrente (RC), il quale indica il rapporto tra le risorse che si
renderanno liquide e le passività che si renderanno esigibili nel breve
periodo; l'indicatore ha un valore di riferimento soglia pari all'unità:
25. Nel caso di classificazione del bilancio IAS/IFRS per liquidità, l'unica classificazione necessa-
ria è la suddivisione dell'attivo corrente in liquidità immediate, differite e disponibilità.
598 j I SISTEMI DI CONTROLLO
flow sufficiency),i quali valutano la capacità dell'in1presa di far fronte alle proprie
esigenze primarie con i flussi di cassa generati.
L'indicatore principale di cashflow sufficienryè la cashflow adequacy,che va-
luta la disponibilità di flussi operati,i per far fronte alle necessità primarie: il
ripagamento di debiti di lungo periodo, l'acquisizione di attività non correnti
e il pagamento dei dividendi
Gli altri tre indicatori misurano in modo più specifico il contributo delle
componenti della CFadequat;;:
(22.18)
dove FCFt è il free cashflow dell'impresa all'anno t, UOt (o MON) è l'utile ope-
rativo nell'anno t, AMMt sono gli ammortamenti e gli altri costi non monetari
all'anno t, à WCt ( working capita[) rappresenta gli investimenti in attività cor-
renti (scorte, crediti commerciali e crediti) ed infine F~ (fixèd assets)sono gli
investimenti in attività non correnti.
~
Relativi Assoluti
Sviluppo
Complessivi Tasso di crescita dell'attivo
Tasso di crescita del patrimonio netto
Tasso autofìnanziamento
Investimenti Tasso reinvestimento Capex
variazione attivo
Il tasso di crescita dell'attivo=------- (22.19)
attivo iniziale
I primi due indicatori misurano la crescita percentuale del totale delle ri-
sorse dell'impresa (attivo) e dei diritti degli azionisti (patrimonio netto).
Il tasso di autofinanziamento valuta la quota percentuale di utili reinvestiti
nell'impresa rispetto al totale del patrin1onio netto.
Campari 2,04% 19
Enel 8,61% 3.257
Fiat 22,32% 3.789
Telecom Italia 7,42% 5.104
29. La considerazione vale owiamente solo nel caso di investimenti economicamente giustificati.
30. Considerazioni analoghe a quelle per gli investimenti in formazione valgono per altre cate-
gorie di investimehti orientati al lungo periodo, quali gli investimenti in ricerca o in promo-
zione.
604 I I SISTEMI DI CONTROLLO
Un altro problema comune a ROI e ROE è il fatto che essi sono indicatori
di tipo relativo, mentre la creazione di valore economico costituisce una misu-
ra di tipo assoluto. Di conseguenza, il ROI e il ROE penalizzano implicita-
mente gli interventi di maggiori dimensioni, contrariamente a quanto accade
per la creazione di valore economico. Il tema può essere chiarito con riferi-
mento alla relazione che lega il valore economico di un'impresa alla sua pro-
fittabilità di bilancio, nell'ipotesi di una sostanziale stabilità di quest'ultima e
della crescita del capitale proprio. Si ha 31:
ROE _ g
V k k (22.23)
E g
1
k
I limiti che caratterizzano il ROE e il ROI hanno portato, negli anni recenti,
all'introduzione di altri indicatori di prestazione, ricavabili sempre dalle
informazioni contenute nel bilancio di esercizio. Tra questi indicatori, il più
noto è probabilmente l' economievalue added (EVA); tuttavia, se non altro per
motivi "storici"', è preferibile introdurre per primo il residuai income.
RI = MON- k · I
dove:
MON è il margine operativo netto;
k è il costo medio del capitale;
I è il capitale investito, considerato con1e sornma del capitale circolante netto
e delle immobilizzazioni nette.
che deve decidere·se effettuare un investimento di 100 milioni di€, il cui im-
patto sul MON è stimato in 20 milioni di €/anno. L'investimento dovrebbe
606 I I SISTEMI DI CONTROLLO
essere effettuato, poiché ripaga il costo del capitale; tuttavia, come si osserva
dalla tabella, se la BU fosse valutata in base al ROI, tenderebbe a rifiutare l'in-
vestimento; al contrario, il RI spinge alla decisione corretta (tabel/,a 22.25).
Poiché il RI utilizza come dati elementari MON e capitale investito, tutte le al-
tre sue caratteristiche sono sostanzialmente coincidenti con quelle del ROI;
in particolare, esso non contribuisce a risolvere due dei problemi principali
degli indicatori di bilancio: orientamento al breve periodo e scarsa tempesti-
vità delle informazioni.
22.4.2 L'EVA
L' economie value added (EVA) è un criterio di prestazione che ha ricevuto negli
anni recenti una notevole attenzione. Il criterio è stato introdotto dalla so-
cietà di consulenza Stern Stewart nella forma seguente:
EVA=CF-k-1
dove:
CF è il cashflow operativo dopo le imposte e prima degli interessi;
k è il costo medio del capitale;
I è il capitale investito, considerato come somma del capitale circolante netto
e delle immobilizzazioni nette.
L'EVA costituisce quindi la versione finanziaria del residual income. I due cri-
teri presentano perciò punti di forza e debolezza simili. In questo senso, l'u-
nico vantaggio dell'EVA è che consente di tenere conto degli sfasamenti tem-
porali tra entrate e uscite di cassa, da un lato, e ricavi e costi, dall'altro, elimi-
nando quindi uno dei limiti dei tradizionali indicatori di bilancio. Non si re-
gistrano invece miglioramenti rispetto ali' orientamento al lungo periodo o
alla tempestività.
22. Il sistema di controllo a livello di impresa I 607
Stern Stewart afferma che una volta adottate queste correzioni, i'EVA costitui-
sce la migliore proxy della creazione di valore economico di un'impresa. Que-
sta affermazione, tutta,ia. è stata messa in discussione, sia dal punto di vista
teorico che da quello empirico.
In termini teorici, si è già sottolineato corne i'EVA non presenti forte diffe-
renze rispetto al RI. Le stesse correzioni dei dati di bilancio suggerite per il
calcolo dell 'EVA non modificano questo quadro, poiché potrebbero essere
impiegate, con risultati del tutto analoghi, anche per il calcolo degli altri indi-
catori di reddithità.
Questa considerazione viene poi confermata dalle analisi empiriche 33 , se-
condo cui la çorrelazione tra EVA e valore economico non è più significativa
di quella tra RI e valore economico.
Infine, può essere utile ricordare che alcune imprese utilizzano il termine
EVA con un'accezione diversa rispetto a quella utilizzata in precedenza; ad
esempio, Coca Cola e Kodak definiscono:
L'EVA e il residua[ incarnenon sono in grado di superare due dei limiti princi-
pali del ROE e del Rç)I, la scarsa tempestività e l'orientamento al passato inve-
ce che al futuro. Questi problemi hanno spinto un numero crescente di im-
prese a integrare gli indicatori di prestazione economico-finanziari con indi-
catori differenti, di tipo non finanziario.
Questi indicatori misurano:
• le prestazioni attuali delle imprese rispetto ai principali fattori critici di
successo (FCS), owero alle fonti di differenziale competitivo rilevanti in
un'area di business: qualità dei prodotti e dei processi, tempi di risposta al
mercato, produttività e flessibilità;
• lo "stato" delle risorse dell'impresa, in termini ad esempio di turnoverdei
dipendenti, riconoscibilità del marchio, livello della ricerca e sviluppo 34.
2000 2001
L'analisi del trend dell'indicatore economico (il fatturato) non consente di antici-
pare i risultati economici del 2002; infatti, l'aumento di fatturato potrebbe essere
stato causato sia da un miglioramento della posizione competitiva dell'impresa,
destinato probabilmente a migliorarne l'immagine e a generare effetti positivi an-
che nel futuro, sia da una strategia molto aggressiva di acquisizione degli ordini,
che potrebbe avere indotto una perdita di immagine, destinata a peggiorare i ris•ul-
tati del 2002. L'analisi dell'indicatore non finanziario utempo di risposta", invece,
consente di comprendere che il primo tra i due scenari ipotizzati è quello corretto,
poiché l'impresa ha migliorato nel 2001, oltre al fatturato, anche le proprie presta-
zioni rispetto al FCS. Di conseguenza, esso fornisce indicazioni utili ad anticipare
l'evoluzione futura dei risultati economici dell'azienda.
23 Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità
Nel capitolo precedente sono stati introdotti gli indicatori che possono es-
sere utilizzati per misurare le prestazioni di un 'impresa nel suo complesso
o di una unità responsabile di un 'areadi lmsiness, cioè di una unità organiz-
zativa sufficientemente ..completa .. da influenzare costi, ricavi e investi-
menti.
Gli indicatori definiti in quella sede sono tuttavia troppo aggregati per riu-
scire a misurare le prestazioni dei responsabili di unità organizzative "elemen-
tari", quali un reparto produttivo o una unità commerciale. Per queste unità,
nel seguito definite "centri di responsabilità", è necessario definire indicatori
di prestazioni specifici, che siano coerenti con le leve decisionali che le unità
sono effettiv3mente in grado di gestire.
Le specifiche prestazioni da a~sodare a cia~una unità di livello operativo
dipendono dal tipo di atti\ità da essa ~volta. Nel seguito, si fa riferimento alla
tradizionale classificazione delle unità organizzative in base alla responsabi-
lità economica, che individua:
• centridi spes«-,
• centridi ricavu,
• centridi costu,
• centridi profitto.
Per ciascuna tipologia di unità organizzativa, dopo aver presentato gli indi-
catori economici utilizzabili per misurarne le prestazioni, se ne discutono
alcuni problemi operativi e si suggeriscono possibili modalità per la loro
soluzione.
612 I I SISTEMI DI CONTROLLO
• delle piccole e medie imprese più innovative, dove le attività non ripetiti-
ve, connesse all'innovazione tecnologica e allo sviluppo prodotto, assu-
mono un carattere quasi strutturale.
A tal fine 1, è necessario che dapprima vengano puntualizzati gli obiettivi del-
l'unità, a partire dalle effettive esigenze dei suoi "clienti interni" 2, e le specifi-
che attività svolte all'interno del centro di spesa coerentemente agli obiettivi 3 .
po si
ormati
inistr
Orientamento
all'efficienza
Orientamento
all'efficacia
Orientamento
ai prodotti
4. Nel caso delle attività di marketing, un indicatore di efficacia può essere la riconoscibilità del
marchio dell'impresa.
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 615
23.1.2 I problemiapplicativi
5. Di fatto, l'attività delle ASL viene valorizzata sulla base di tariffe standard, in corrispondenza a
specifiche patologie, definite DiagnosisRelated Groups(cfr. Longo e Masella, 1999).
616 I I SISTEMI DI CONTROLLO
Voce Importo
- Fitti
- Manutenzione
- Forza motrice
- Pulizie locali
- Rifìuti solidi
- Riscaldamento
- Arredi
- Spese d'ufficio
- Automezzi
- Beni informatici
- Telefoni
Spese di personale
Totale generale
6. Per approfondire il tema del controllo delle attività amministrative nella Pubblica .Ammini-
strazione, cfr. Azzone e Dente ( 1999).
2 3. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 617
Infine, nel caso che a una unità organizzativa siano associate più attività,
quindi più indicatori di prestazione, può essere complesso costn,1ire un unico
indicatoresinteticodelle prestazioni dell'unità. La soluzione più frequente con-
siste nel "pesare" i diversi indicatori. In qualche caso particolare è anche pos-
sibile costruire un unico indicatore che tenga conto di prestazioni differenti.
Un esempio di questo tipo è rappresentato dal metoçlo dei function point
per la misura della produtti,ità dell'attività di progettazione del software.Il me-
todo ha costituito la prima risposta a sistemi troppo semplicistici come il
Co.Co.Mo. ( Cost Costnutive Alodel), in cui la produttività veniva misurata sem-
plicemente come costo per linea di codice 7. Il fundion point definisce urra mi-
sura della complessità del programma realizzato; tale misura viene determina-
ta sulla base dei seguenti passi 8:
• vengono individuati i valori di cinque tipi di funzioni elementari (func-
tion type)di un progran1ma S\V: input esterni, output esterni, file logici in-
terni, file esterni di interfaccia, interrogazioni esterne;
• questi valori vengono "pesati" sulla base del livello di complessità di
un'applicazione (si considerano tre livelli: bassa, media e alta comples-
sità); la somma "pesata" dei valori dei cinque tipi di funzioni elementari
viene definita non-adjuJll'dfunction point dell'applicazione;
• infine, il valore così ottenuto \iiene aggiustato per tener conto del grado
di influenza di 14 fattori di complessità, viene stabilito il fattore di aggiu-
stamento complessivo, compreso tra il +35% e il -35% del punteggio
precedente. I fattori di complessità comprendono, ad esempio, il grado
di distribuzione dell'applicazione, le prestazioni richieste e la comples-
sità degli algorinni usati.
Il metodo, inizialmente proposto da Albrecth e Gaffney ( 1983), ha subito poi
delle proposte di modifica 9 che però non ne hanno alterato la struttura com-
plessiva. Di fatto~ esso ottiene una misura dell'output dell'attività di program-
mazione SW, che può essere confrontato con le risorse impiegate (ore di pro-
7. È evidente che indicatori come questo incentivano comportamenti opportunistici rivolti alla
produzione di lineè' di codice inutili. .
8. Per un'analisi critica del sistema difundion pmnt, cfr. Cattaneo, Fuggetta e Ghezzi (1996).
9. Cfr. ad esempio Jones ( 1995).
618 j I SISTEMI DI CONTROLLO
La misura delle prestazioni dei centri di costo si basa .sul confronto tra i costi
effettivamente sostenuti e quelli che il centro avrebbe dovuto sostenere in
condizioni standard; questa analisi viene effettuata suddividendo la differen-
za tra il costo effettivo e quello previsto in componenti elementari, attraverso
il budgetflessibi1e.
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 619
La differenza tra i costi totali effettivi e quelli di uudget flessibile, quindi, di-
pende esclusivamente dall'efficienza dell'impresa, poiché entrambi sono cal-
colati in corrispondenza al volume di produzione effettivo. Tale differenza
viene definita srost.amrntodi effìrirrzza11.
La differenza tra costi totali di lmdgptflessibile e costi totali di budget,invece,
dipende esclusivamente dalla variazione nel livello di produzione, poiché en-
trambi sono calcolati in corrispondenza agli stessi valori di costo variabile uni-
tario e di e.osti fissi (cfr. srhnna 23. /).
Il secondolivellodi analisi
L'analisi di secondo livello esamina in modo più specifico lo scostamento di
efficienza, almeno in parte controllabile dalle unità organizzative interessate.
Lo scostamento di efficienza costituisce in realtà il risultato della variazione di
due parametri- i prezzi degli input e l'impiego degli stessi - che presentano
un grado di controllabilità differente e, comunque, coinvolgono enti diffe-
renti all'interno dell'impresa. Il prezzo degli input, infatti, è solo parzialmente
influenzabile dall'impresa e dipende comunque prevalentemente dalle scelte
1O. In realtà, la variazione del livello dell' autput potrebbe essere dovuta anche all'incapacità della
produzione di realizzare il volume previsto. In questo caso, tuttavia, alla produzione no~ do-
vrebbe essere attribuito lo scostamento di costo (peraltro favorevole) derivante dalla mmore
produzione, ma la ~duzione di margine di contribuzione conseguente al calo nelle ve~d~te.
11. Si noti che nel caso dei centri di costo multiprodotto, lo scostamento dovuto a una vanaz1one
del mix produttivo rispetto alle attese è considerato implicitamente all'interno dello scosta-
mento di volume.
620 j I SISTEMI DI CONTROLLO
I costi consuntivi sono quindi stati superiori rispetto al budget di 500 Per com-
prendere il motivo di questo scostamento, si introduce il budget flessibile, deter-
minato in corrispondenza alla produzione effettiva (120 unità) e ai valori di costo
variabile unitario e costi fissi previsti a budget. Il costo di budget flessibile risulta
quindi:
Lo scostamento di volume, pari alla differenza tra costo di budget e costo di budget
flessibile risulta quindi:
Lo scostamento di efficienza, pari alla differenza tra costo di budget flessibile eco-
sto effettivo risulta invece:
12. Una varianza di costo viene definita sfavorevole quando corrisponde a un aumento dei costi,
favorevole in caso contrario.
13. Per i costi indiretti di produzione, l'analisi delle varianze si focalizza sulla quota di costi indi-
retti che è stata effettivamente allocata ai prodotti; essa ha quindi l'obiettivo di giungere a una
corretta contabilizzazione del valore delle scorte ma riveste un limitato interesse per la misura
delle prestazioni. Su questo tema, cfr. Horngren e Foster (1993).
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 621
N
vi= I Pstd(i) . [ (qeff(i) - <lstd(i))] (23.2)
i= I
14. Nel caso si scelga di contabilizzare la varianza di prezzo al momento dell'acquisto dei materia-
li diretti, la somma della varianza di prezzo e di quella di impiego può differire dallo scosta-
mento di efficienza.
t
622 I I SISTEMI DI CONTROLLO
ove con ceff e cstd si sono indicati rispettivamente il costo orario effettivo e
standard del lavoro diretto, mentre tstd rappresenta la quantità di lavoro diret-
to utilizzata in condizioni standard.
Lo scostamento di impiego, che esprime l'effetto di una efficienza nell'uti-
lizzo del lavoro diretto diversa rispetto a quanto programmato, viene invece
misurato come 16:
Una volta calcolati i diversi scostamenti, le prestazioni del centro di costo pos-
sono essere rilevate attraverso:
• lo scostamentodi efficienza,se il centro di costo viene considerato responsa-
bile del prezzoe dell'impiego dei fattori produttivi;
• lo scostamentodi impiego,se, come avviene in generale, il prezzo degli in-
put non è controllabile direttamente dai centri produttivi (il prezzo dei
materiali è normalmente legato a decisioni dell'ufficio acquisti e il costo
orario del lavoro dipende da trattative salariali a livello come minimo
aziendale).
15. Un procedimento analogo si può utilizzare per i materiali indiretti, come l'energia.
16. Considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle relative al lavoro diretto valgono anche per
il lavoro indiretto.
23. Il sistema di controllo a livello di centri di responsabilità I 623
!'I:
Fatturato = l p-1 · V · q,1. (23.3)
i= l
La somma dei tre scostamenti, pari ovviamente alla differenza tra fatturato
effettivo e fatturato di budget,viene definita scostamentototal,edel fatturato ( ta-
bella23.3).
Il secondoliveUodi analisi
A un secondo livello, si può valutare quale parte dello scostamento di volume
sia dovuta a una variazione della quota di mercato e quale invece a una varia-
zione complessiva della domanda del mercato.
Il punto di partenza dell'analisi è rappresentato dalla relazione che lega il
fatturato dell'impresa alla sua quota di mercato (sm) e alla domanda co1nples-
-
siva, espressa in valore (Qm ) :
Fatturato = sm • Qm (23.4)
19. È evidente che l'attribuzione dei singoli scostamenti a fenomeni esogeni o controllabili dovrà
nella pratica e~re fatta caso per caso. Ad esempio, le grandi imprese sono in grado di in-
fluenzare non solo fa propria quota ma anche la domanda complessiva del mercato.
20. Anche nel caso si utilizzi il margine di contribuzione totale invece del fatturato, il centro di ri-
cavo viene tradizionalmente considerato responsabile solo di prezzi e quantità vendute, poi-
ché la responsabilità sul costo variabile del prodotto viene attribuita ai centri di costo.
628 I I SISTEMI DI CONTROLLO
zionale" evidenzierà una varianza favorevole nei ricavi, che verrà però proba-
bilmente bilanciata da un peggioramento dell'immagine dell'impresa, quindi
da una riduzione del suo valore economico.
Le soluzioni per ovviare a questi limiti sono sostanzialmente analoghe a
quelle individuate per i centri di costo, cui si rimanda per un'analisi specifica,
e c1oe:
• ricorrere a un set più ampio di indicatori; ad esempio, è possibile intro-
durre indicatori non finanziari relativi al tempo dedicato all'attività di
assistenza ai clienti, per evitare che questa venga eccessivamente sacrifi-
cata;
• introdurre meccanismi di collegamento laterale per gestire le interdi-
pendenze con altre unità, concordando in particolare con i centri pro-
duttivi le caratteristiche dei prodotti;
• aggregare le prestazioni delle diverse unità tra loro interdipendenti.
Marco Giorgino
I .1.1 Premessa
Capitai Cap~tal
allocation ra1Stng
Come si evince dalla (I.I.I), i fattori che possono avere un effetto sul co- ...,
sto medio ponderato del capitale sono diversi e presentano anche determi-
nati livelli di interrelazione reciproca:
• kd, ossia costo del debito, che esprime la remunerazione attesa da par-
te di chi conferisce capitale a titolo di debito;
• t, ossia l'incidenza della variabile fiscale, la quale esprime il trattamen-
to delle ,·ariabili fiscalmente rilevanti. L'introduzione di tale fattore
"di correzione ...permette di incorporare all'interno del WACC il costo
del debito dopo le imposte, ovvero di tenere conto del risparmio fisca-
le derivante dalla deducibilità degli oneri finanziari (tax shelter);
• ke, ossia costo del capitale di rischio ( equity), che esprime la remune-
razione attesa da parte dei portatori di capitale di rischio 1;
• D/E, ossia la composizione della struttura finanziaria articolata tra
fonti a titolo di debito e fonti a titolo di capitale di rischio.
Le relazioni tra tutte le suddette variabili e il loro impatto sul costo me-
dio ponderato del capitale portano alla formalizzazione della figura 1.1. 2:
Il costo del capitale dipende senza dubbio dalla composizione delle fon-
ti di finanziamento. Le fonti hanno dei costi diversi a seconda dei livelli di
rischio cui espongono i relativi conferenti.
In particolare, la canonica suddivisione tra conferenti di capitale di debi-
to e conferenti di capitale di rischio identifica condizioni differenziate rela-
tive a tre aspetti almeno:
a) natura dei.diritti sui flussi di cassa. I conferenti di capitale di debito han-
I. Il costo del debito è definito contrattualmente tra il prenditore e il datore (o i datori) dei
fondi. Se non lo fosse, sarebbe almeno definito l'algoritmo attraverso il quale poterlo de-
terminare, come awiene, ad esempio, nelle operazioni di indebitamento con tassi indici!-
zati a parametri di mercato. Il costo dell' equity,invece, non è definito contrattualmente. E,
invece, il risultato di stime di natura soggettiva che mirano a interpretare quale sarebbe la
remunerazione degli azionisti (e, quindi, il costo dell' equityper l'impresa) in relazione al
rischio al quale essi si espongono.
634 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
WACC
D/E
2. Questo è stato uno dei motivi per i quali, in Italia, le imprese, soprattutto in epoca di de-
ducibilità fiscale degli interessi passivi sia in conto Irpeg sia in conto Ilor, hanno sovente
fatto ricorso a forme di finanziamento basate sul debito.
3. Si precisa, tuttavia, che in alcune fasi dei mercati azionari si può verificare che, per effetto
di un andamento molto positivo dei corsi, il costo del capitale di rischio per le imprese si
riduca sensibilmente fino ad arrivare a livelli più bassi del costo del capitale di debito.
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 635
che sostituire fonti più costose (equity) con fonti meno costose (debito). Tale
variazione del mix tra debito ed equity avviene a costi marginali crescenti, la
qualcosa, da un certo livello soglia in avanti. porta verso l'alto il costo medio
della struttura finanziaria nel suo complesso. L'incremento del costo delle
fonti di finanziamento all'aumentare dell'indebita1nento deriva dal fatto
che viene percepito un livello di rischio crescente e, pertanto, i finanziatori
sono disposti a esporsi (o a rimanere esposti) solo a condizioni per essi più
vantaggiose.
Il peggioramento del livello di costo medio avviene solo da un livello so-
glia in avanti perché fino a tale livello (tratto discendente della curva
WACC) il costo viene più che con1pensato dal beneficio fiscale sul debito.
L'impresa tende a indebitarsi e così facendo ritiene di poter minimizzare il
costo del capitale. Ma ciò avviene solo fino a quando tali benefici fiscali
vengono sopravanzati da un costo del debito n1arginale fortemente cre-
scente.
La scelta della migliore struttura finanziaria non può tHttavia derivare sol-
tanto dall'identificazione del punto minimo della curva del costo medio
ponderato del capitale, ma deve essere il risultato di una serie di verifiche su
altri aspetti importanti della struttura degli investimenti e della struttura dei
ricavi dell'impresa. ·
Tale affermazione (se si vuole) potrebbe essere interpretata in un altro
modo, dicendo come a seconda del tipo di settore e del tipo di impresa la
curva del costo del capitale (e, pertanto, il suo punto minimo) può preve-
dere un andamento dh·erso.
Le imprese che operano in settori con risultati (reddituali e finanziari)
fortemente volatili do\Tebhcro e\itare un ricorso eccessivo al debito. Non
potrebbero, cioè, sopportare rischi di business già in partenza elevati amplifi-
cati da livelli di rischiosità finanziaria insostenibili. Presidiare tassi di crescita
elevati ha una logica solo se non \1 sono finanziatori che alla fine di ogni se-
mestre (o in generale di ogni periodo) battono ca4,saper vedere remunerato
(oltreché restituito) il proprio capitale. Oltretutto, aziende basate su intangi,-
blesmolto significativi hanno una minore facilità di accesso al mercato del de-
bito bancario che, soprattutto, in alcuni casi richiede una rilevante presenza
di beni reali per poter procedere ali' erogazione.
Un altro elemento che può risultare significativo sta nella possibilità che
le imprese riescano a correlare stabilmente i flussi di cassa agli oneri del de-
bito. In linea di principio, se un'impresa riduce il proprio volume di flussi di
cassa della gestione operativa, vedrà aumentare la propria probabilità di dis-
sesto finanziario; ma se ha i costi del debito correlati ai propri flussi di cassa,
tale probabilità potrebbe attenuarsi.
Altro aspetto da verificare sta nella distribuzione del fatturato e delle
classi di attivo. Dove il fatturato è concentrato su un'area di risultato soltan-
to (e di conseguenza anche l'attivo) la dipendenza della soprawivenza e
636 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
f txFF 1 + TxVT
.
d uratzon t=l ( 1 + k)t ( 1 + k) T (Ll.2)
= ---'----'--___;..._ _ _;___
f FF1
t=l(l+k)T
+ VT
(l+k)T
.
valore di unpresa ~ FCF1
= LJ (1.1.3)
t_I r
o+ ,rAAct
si osserva come la relazione tra costo del capitale e valore sia assolutamente
rilevante e di tipo inverso. A dati flussi di cassa disponibili per tutti i finan-
ziatori dell'impresa (free rash flow, altrimenti detti free cash flow to firm: che
rappresentano i flussi di cassa disponibili per tutti i finanziatori), aumenti
o diminuzioni nel costo del capitale generano riduzioni o incrementi nel
valore dell'impresa (si veda in proposito il paragrafo 1.1.1). E come verifica-
to nella figura I. I. 2, esiste una relazione tra costo del capitale e struttura fi-
. .
nanztana.
Ledecisionistrategiche:
il passaggioallastrutturafinanziariaottimale
I I
Sl No Sì No
Ridurre il debito
rapidamente: L'impresa Aumentare il debito L'impresa
- sostituire D con E
- vendere attivo
e rimborsare
ha buone
oppor1unità
di investimento?
- debttr
rapidamente:
equrtyswap
- inde itarsi e
ha buone
opportunità
di investimento?
comprare azioni
- rinegoziare debito
I I I
Sl No Sl No
T I I
Intraprendere nuovi - Estinguere il debito
con utili non distribuiti Finanziare nuovi - Pagare i dividendi
progetti emettendo investi menti - Riacquistare azioni
nuovo capitale azionano - Ridurre i dividendi
- Nuove emissioni con nuovo debito proprie
o usando utili distribuiti
azionarie
4. Il secondo pilastro definisce i nuovi principi guida per la supervisione da parte degli orga-
ni di controllo nazionali, volti ad assicurare che gli intermediari si dotino di adeguati siste-
mi di misurazione e controllo dei rischi e sviluppino politiche e procedure per la valuta-
zione dell'adeguatezza patrimoniale; il terzo, invece, dispone il ricorso alla disciplina ~i
mercato quale strumento di integrazione del lavoro delle autorità di vigilanza nel garanti-
re la solvibilità del.sistema bancario attraverso l'utilizzo di requisiti di trasparenza delle
informazioni sulle condizioni di rischio e di patrimonializzazione delle singole banche.
642 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
Mutui
Il mutuo è un contratto con il quale una banca eroga un determinato im-
porto a un proprio cliente, previa procedura di affidamento, a fronte del
quale riceve a scadenze predefinite rate di rimborso del capitale con i rela-
tivi interessi.
Spesso, il mutuo è correlato a operazioni di impiego di capitale a medio
lungo termine e può essere garantito dai relativi asset.
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 643
Prestiti sindacati
Necessità significative di capitale per periodi prolungati di tempo possono
portare ad attivare contratti di finanziamento che vedono coinvo1ti più in-
termediari bancari. In particolare, l'impresa che ha necessità di tale finan-
ziamento avrà un rapporto preferenziale con una banca (che fungerà da
banca leader) la quale si occuperà di costruire l'operazione e di trovare le
altre banche da coinvolgere nell'operazione. Pertanto, la banca kader (o
lead manager) non fungerà solo da prestatore finanziario (peraltro potreb-
be anche non esporsi assolutamente) ma da prestatore di servizi, che la
porteranno a godere di alcune f eeper tali attività.
I prestiti sindacati vengono utilizzati per operazioni di importo molto rile-
vante (ad esempio per la realizzazione di opere infrastrutturali) e, attraverso
la tecnica della sindacazione del prestito, portano a un frazionamento del ri-
schio complessivo dell'operazione. L'impresa che ne fa uso non solo avrà co-
sti di natura finanziaria ma vedrà inoltre gravare su di sé altri oneri quali la
644 I I NTEG RAZ I ON I E APPROFONDIMENTI
Leasing
Tra le operazioni che consentono alle imprese di colmare un proprio fab-
bisogno di natura strutturale vi sono anche i contratti di leasing, che non
rappresentano un vero e proprio debito.
Il leasing, infatti, è un contratto attraverso il quale un'impresa entra in
possesso di un bene (o di un complesso di beni) a fronte del quale paga un
canone periodale con l'opportunità di poter esercitare un'opzione di ac-
quisto alla scadenza del termine temporale contrattuale. Il canone è rap-
presentativo sia del costo dell'operazione sia di una frazione del capitale
complessivo messo a disposizione. Usualmente, il prezzo di riscatto della
proprietà è estremamente basso.
Il vantaggio del leasing sta nell'intera deducibilità fiscale del canone 5 e
nella possibilità di usufruire di un asset senza appesantire la struttura finan-
ziaria, ma senza appesantire peraltro neanche la struttura dell'attivo (cosa
che potrebbe non essere del tutto positiva).
Le forme del leasing sono le più varie e possono riguardare categorie di be-
ni di natura immobiliare (leasing immobiliare), oppure avere una prevalenza
della componente di finanziamento del bene (leasing finanziario), o ancora
prevedere una componente significativa di servizio (leasing operativo).
5. Tale vantaggio andrà tuttavia confrontato con la soluzione dell'acquisto con debito in cui
la deducibilità fiscale della componente finanziaria è relativa solo alla quota interessi ma in
cui è possibile ammortizzare (e quindi trattare fiscalmente) il valore dell'assetacquisito.
l.1 La gestione finanziaria e le modalità di finanziamento dell'impresa I 645
schio dell'impresa affidata, delle poste ..cedute ... la durata del periodo resi-
duo prima della scadenza di tali poste. la loro negoziabilità ecc.
I prestiti obbligazionari
Attraverso le emissioni obbligazionarie, le imprese (costitttite sotto forma di
società di capitali) riescono a raccogliere sul mercato risorse finanziarie a ti-
tolo di debito in modo strutturato per periodi anche prolungati di tempo.
L'emissione di obbligazioni rappresenta un n1omento importante per
l'impresa correlato a scelte significative sul fronte del portafoglio di attività
piuttosto che a scelte rilevanti sul fronte della ridefinizione della struttura
delle fonti di finanzia111ento.
Attraverso l'en1issione di obbligazioni l'impresa raccoglie determinati
importi dati dal prodotto tra il prezzo di emissione e il numero di titoli che
compongono l'intero prestito; si in1pegna inoltre a rimborsare tali titoli
(con un prezzo di rimborso espresso se,npre in base 100 e con un prezzo di
emissione rapportato a tale base), nonché eventualmente a corrispondere
a date scadenze cedole a titolo di rernunerazione periodale.
Il costo lordo per l'in1presa (e, pertanto, il rendimento lordo per l'inve-
stitore) è funzione di due fattori:
• il livello degli interessi passivi;
• la differenza tra il prezzo di rimborso e il prezzo di emissione.
Come è ovvio, i due aspetti sono interrelati tra di loro. Imprese che offrono
interessi passi\i molto limitati (minimizzando quindi il fabbisogno finan-
ziario per interessi lungo la durata dell'operazione) saranno in grado di
emettere titoli solo se a un prezzo di emissione contenuto (non massimiz-
zando pertanto la raccolta di risorse finanziarie per ogni titolo emesso). Vi-
ceversa, imprese che vogliono raccogliere per ogni titolo emesso la massi-
ma quantità possibile di fondi potranno farlo solo se garantiranno interessi
periodali molto elevati.
La misura che consentirà di conoscere realmente il costo complessivo
dell'operazione sa:i--àl'internal rate of return dell'operazione stessa così deter-
minato:
646 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
~ Interessit
Pobb = ,L.J VN
-------- +
t=l ( 1 + IRR)t ( 1 + IRR)t (1.1.4)
Tale valore rende equivalenti a valore attuale il prezzo (di emissione del
titolo obbligazionario) e tutti i flussi di cassa (sia per interessi sia come ca-
pital gain) a esso correlati. Quanto più è rilevante la differenza tra VN e Pobb
tanto più sarà alto il costo dell'operazione; ovviamente questa correlazione
positiva c'è anche con il valore degli interessi.
Le obbligazioni corporate, ossia quelle emesse dalle imprese (da distin-
guere rispetto a quelle governative emesse dalle pubbliche amministrazio-
ni), godono, in seguito alla riforma del diritto societario (entrata in vigore
all'inizio del 2004), di un ampliamento dei limiti quantitativi all'emissione.
Infatti, è possibile emettere obbligazioni per un importo pari al doppio del
patrimonio netto (comprensivo solo del capitale versato), quando in pre-
cedenza il limite era pari al patrimonio stesso.
Le obbligazioni vengono valutate in termini di spread rispetto ai tassi di
remunerazione dei titoli Jree-risk.Più è elevato il rischio di un titolo corpora-
te più lo spread sarà elevato. All'aumentare della frequenza di emissione di
titoli obbligazionari da parte delle imprese si è accompagnata una crescen-
te tendenza a richiedere il rating di tali titoli in modo che potessero avere
una migliore collocazione sul mercato. Il ratingesprime il rischio di credito
di tali titoli ed è direttamente correlato con lo spread.
Franco Qµillico
1. Le metodologie con proiezioni ..implicite" si basano sui valori delle variabili finanziarie (o
operative) del Target al "tempo presente". All'interno di questa definizione si possono di-
stinguere tre sotto-casi:
• current: in questo caso il valore delle variabili è quello dell'ultimo esercizio disponibile;
• trailing. in questo caso il valore delle variabili è uguale alla somma degli ultimi quattro
trimestri disponibili (questo presuppone, owiamente, che l'impresa pubblichi dati tri-
mestrali);
650 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
Proiezioni
Fonted'informazione
Esplicite Implicite
• forward: in questo caso il valore delle variabili è uguale alla previsione per l'esercizio in
corso (tale previsione deve naturalmente essere giudicata attendibile).
Come si vedrà in seguito, il "futuro" del Target verrà "inserito" nel modello tramite altri
parametri (quali i multipli nella valutazione relativa) che sono "esogeni" rispetto al Target.
2. Per brevità di notazione nel resto dell'appendice si indicheranno, rispettivamente, l' equity
value con V e l' enterprise value con EV, sottintendendo che si tratta di valori all'istante O.
3. Nella definizione di valore d'impresa, EV(O), si deve considerare il valore di mercato del
debito finanziario netto. Tuttavia, nella maggior parte dei casi questo coincide con il valo-
re di libro. Infatti:
• per la componente "cassa" il valore di mercato è per definizione identico a quello di libro;
• per la componente "debito finanziario" il valore di mercato differisce da quello di li-
I.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 651
Le metodologie che fanno capo a questa 1nacrocategoria (di cui sono ri-
portate le denominazioni in lingua inglese perché di uso prevalente anche
nel nostro Paese)
• dividend discount model (DDf\.f);
• discounted cash flow (DCF);
• adjusted present value (.AP\ì;
• equity method;
• economie value added (E\~-\),
sono quelle che riflettono più diretta1nente le definizioni di valore econo-
mico date nel capitolo 4: in un contesto però di molto maggiore aderenza
alla realtà (per la rimozione delle ipotesi semplificatrici evidenziata all'ini-
zio ..di questa appendice).
E interessante rimarcare come le metodologie con proiezioni "esplicite",
a differenza di quelle con proiezioni "implicite", permettano - nel caso in
cui la valutazione venga effettuata in vista di una possibile acquisizione del-
l'impresa Target da parte di un :lrquiror- di "incorporare" nella valutazio-
ne sia le possibili sinergie tra Acquiror e Target (nella prospettiva df un
merger), sia i cosiddetti stand-aloni' improvements, ossia i miglioramenti delle
performancl' del Target sen1plice1nente ottenibili adottando 1nodalità di ge-
stione più efficaci e/ o efficienti.
Tutte le metodologie. relath·amente alle /1roiezioni,richiedono, infatti, la
costruzione es/1/irita dei prospetti "finanziari,. di bilancio futuri 4 dell 'impre-
sa Target.
Le prime quattro. relativamente alla fonte d'informazione, "attingono" le
variabili rilevanti dalla proiezione dello schema di cash flow ( cfr. tabella
/.2. J), mentre la quinta - quella dell'EVA - le "attinge" dalla proiezione sia
dello stato patrimoniale sia del conto economico.
La prima, relativamente alla "prospettiva" con cui le grandezze finanzia-
rie sono trattate, guarda alle generazioni nette di cassar.,(NCG), owero al rap-
porto "esclusivo" fra l'impresa e i suoi azionisti.
Le altre quattro metodologie, invece, guardano alla potenzialità in ter-
mini di generazione di cassa (free ca5hflow o net cashflow) che l'impresa nel
suo complesso mette a disposizione per tutti i finanziatori dell'impresa
( claimho/,der):da "ripartire" quindi tra gli azionisti e i finanziatori terzi (per
bro soltanto in casi molto particolari (impresa in difficoltà finanziarie, variazioni significa-
tive nei tassi di mercato in caso di debiti a tasso fisso e a medio/lungo termine).
4. Essendo owiamente impossibile proiettare le peiformancedell'impresa all'infinito (cfr. pa-
ragrafo4.2), le proiezioni vengono effettuate per un periodo "finito" - normalm~nte co~-
preso fra 5 e 1O anni - e si stima poi un valore terminale ( terminal value), del capitale azio-
nario piuttosto che dell'impresa.
5. Cfr. paragrafo4.2.
652 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
dove
• ebitda - earnings before interest, taxes, depreciation & amortization - equivale
al MOL (margine operativo lordo);
• gli investimenti netti sono da intendersi come la somma algebrica de-
gli investimenti diretti materiali e immateriali dell'impresa, al netto de-
gli eventuali disinvestimenti, e delle acquisizioni o cessioni - di imprese,
rami di imprese e/ o partecipazioni - effettuate dalla stessa;
• il CCNO o capitale circolante netto operativo (operating working capita[) è
uguale (cfr. paragrafo 14. 2) alla somma algebrica di: crediti commerciali,
rimanenze, debiti commerciali, trattamento di fine rapporto (TFR);
• le imposte sono quelle effettivamente pagate nel corso dell'esercizio
(cash taxes), non coincidenti necessariamente a priori con quelle - ba-
sate su una logica di "competenza" - riportate nel conto economico.
II free cash flow to claimholder può essere anche visto come somma di due
componenti (che torneranno utili nel seguito per distinguere le differenti
metodologie) :
• l'una, free cash flow to firm, che riflette il free cash flow che sarebbe di
pertinenza dei claimholder- in tale caso coinc_identi con gli shareholder
- se l'impresa fosse priva di indebitamento ( unlevered), e soggetta
quindi al massimo dell'imposizione fiscale;
• l'altra che tiene conto del cash flow creato dal risparmio derivante dal-
la deducibilità fiscale degli interessi pagati sul debito ( tax shelter).
6. Questo termine, come altri utilizzati nel seguito dell'Appendice per denotare il free cash
flow, è tratto dalla pratica professionale.
l.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 653
EVTarget= f ~
(1.2.2)
t-1(1 + \-VAACt)t
ove il costo del capitale WACC, weighted average cosi o/ capita/,,tiene conto
nella sua formulazione generale della struttura finanziaria effettiva - mix di
capitale di rischio e debito finanziario netto - dell'impresa Target e del di-
verso "costo" dei due.
È indispensabile sottoÌineare che, quando si utilizza (come è d'uso nella
pratica professionale) per la determinazione del WACC la formula (1.1.1)
e si incorpora quindi l'effetto della deducibilità fiscale degli interessi sul
debito nella determinazione del ...costo" del capitale di debito, il free cash
flow to cla.imholderdeve essere conseguentemente "adattato" - come si vedrà
nel seguito nelle diYerse metodologie - per evitare il doubl.ecounting, il ri-
schio cioè di considerare sia al numeratore che al denominatore della
(1.2.2)
...
l'effetto del tax shRlt~ .
E opportuno sottolineare inoltre che l'utilizzo di un diverso WACC(t)
per ciascun periodo può essere necessario. in contrapposizione a quanto
visto nel rapitoln 4. quando siano previste variazioni sostanziali nel tempo
della struttura finanziaria del Target.
Di11idend
discount model (DDM)
7. Più precisamente ii tax shelterandrebbe allo stesso tempo a "gonfiare" il numeratore, se fos-
se il free cash flow to claimhokler che lo incorpora a essere utilizzato nella formula, e a "sgon-
fiare" il denominatore, ove il WACC (cfr. formula 1.1.2) è tanto più ridotto - purché l'inde-
bitamento non raggiunga .livelli "troppo elevati" - quanto maggiore è l'uso della leva e
quindi il tax shelter.
654 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
Discountedcashflow (DCF)
8. Il considerare un diverso WACC(t) per ciascun periodo renderebbe il modello DCF estre-
mamente complesso e di difficile utilizzazione.
l.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 655
ove
• ebit- earnings be/ore interest & tax,s - equivale al MON (n1argine opera-
tivo netto);
• t corrisponde all'aliquota fiscale media pagata dall'impresa;
• le imposte unlRvered 9 sono quelle "teoriche" di competenza in assenza
di indebitamento.
Poiché (come già evidenziato) non è concretamente possibile "calcolare" i
free cash flow su un arco di tempo "infinito", gli stessi sono valutati su un
orizzonte temporale "finito" (da 5 a 10 anni) e si stima poi un valore termi-
nale (terminal value) dell'impresa Target: assumendo ad esempio, come più
frequentemente si fa, che il free cashflow cresca all'infinito a partire dall'ul-
timo anno delle proiezioni a un tasso costante (growi,ng perpetuity) o, in mo-
do più conservativo e prudenziale, che rimanga esso stesso costante all'infi-
nito (constant perpetuity). -
9. Queste imposte (anche dette adjusted taxes) sono maggiori di quelle pagate realmente dal-
l'impresa, poiché l'imponibile fiscale, nel caso unl.euered,coincide con l' e/Ji,t.
IO. Nell'applicare questa metodologia, si assume implicitamente che il Target abbia sempre
un emt sufficiente a utilizzare i tax shelters.
656 I I NTEG RAZ I ON I E APPROFONDIMENTI
Equity method
La metodologia equity method può essere vista anch'essa come una variante
della DCF, avente come obiettivo la stima "diretta" - anziché "indiretta"
passando per EvTarget- di yTarget.
Essa si basa sul calcolo del free cash flow to equity, ovvero della parte del free
cash flow to claimholderdestinata agli azionisti una volta remunerato il "servi-
zio" del debito (restituzione del capitale e pagamento degli interessi):
(1.2.5)
dove:
• nopat - net operating profit after taxes - è pari all' ebit al netto delle impo-
ste, calcolato nell'ipotesi di impresa unlRvered;
I.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 657
La valutazione relativa
11. Il modello di EVA, così come è stato disegnato da Stern & Stewart, prevede decine di "ag-
giustamenti" ai dati contabili per arrivare sia al nopat che al capitale investito.
12. L'utilizzo al minuendo del nopat valutato in condizioni unlevered, in luogo dell'effettivo
?
"gonfiato" dal tax shelter, ha motivazioni analoghe a quelle viste nel~a nota ?ell_a presente
appendice per l'uso al numeratore del free cashJlowtofirm (valutato m cond1z1om unleverea)
in luogo di quello to claimho/,der. . .
13. II terminal value viene solitamente calcolato con la metodologia della growzngperpetuzty,ap-
plicata in questo caso all'EVA dell'ultimo anno delle proiezioni finanziarie.
658 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
16. Le imprese che P,~esentano un ebitda negativo sono molto poche, e sono decisamente im-
prese in grave difficoltà.
17. I dividendi sono considerati un impiego discrezionale di cassa. Tuttavia, la maggior parte
delle imprese quotate deve tener conto delle aspettative dei mercati che spesso "impongo-
no" un dividendo costante o in crescita.
662 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
18. Per "società di consulenza" qui si intende una società di consulenza strategica, o comun-
que di alto valore aggiunto. .
19. In questo caso si è assunta un'aliquota fiscale del 50%.
20. Ciò è vero se la società di consulenza non ha debito finanziario a bilancio, che è il caso più
frequente.
I.2 Le metodologie di valutazione d'impresa I 663
L'asset-based110/uation
21. Luigi Guatri nel suo "storico" libro sulla valutazione delle aziende (L. Guatri, La valutazio-
ne delle aziende, Giuffré, Milano, 1987) identifica tre diversi approcci alla rettifica del valore
degli attivi:
• metodo patrimoniale semplice.in esso si rettifica il valore degli attivi materiali; oltre (ma
non necessariamente) a taluni attivi immateriali;
• metodopatrimoniale complessodi primo gradu. in questo caso la rettifica compr~nde anche
gli attivi immateriali non contabilizzati ma dotati di un valore di mercato (hcenze com-
merciali ecc.);
• metodopatrimoniale complessodi secondogradu. in questo caso la rettifica comprende anche
664 j I NTEG RAZ I ON I E APPROFONDIMENTI
beni immateriali che non hanno un valore di mercato (la specializzazione professiona-
, le del personale ecc.)
E opportuno notare come i sistemi patrimoniali comple'ssi, e in particolare quelli di secondo
grado, rappresentino un tentativo di stimare anche l'avviamento (goodwill) dell'impresa.
11.1 Elementidi basedei sistemicontabili
Il sistemadelle registrazionicontinuative
Dare Avere
2. II numero delle voci di bilancio può invece essere inferiore a quello dei conti, nell'ipote~i
che l'azienda voglia sommare, in fase di predisposizione del bilancio, i valori relativi a piu
conti, invece di presentar~ tali informazioni separatamente.
11.2Cenni ai problemi di consolidamento
Obiettividel bilancioconsolidato
Beta Gamma
100% 100%
Beta . Gamma
670 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
Il concettodi gruppo
60% 100%
I metodidi consolidamento
2. In pratica, tutti i bilanci devono adottare la stessa metodologia di valorizzazione delle scor-
te: costo medio o Fifo.
3. Ovviamente, tra le passività non vengono inclusi i diritti della società controllante.
672 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
4. IFRS 3.
5. I preesistenti principi contabili italiani prevedevano un trattamento contabile della diffe-
renza da consolidamento diverso (art. 33 del D.Lgs. 127 /1991). L'eventuale residuo:
1. se negativo, poteva essere trattato in due modi e cioè poteva:
• essere iscritto in una voce del patrimonio netto denominata "riserva di consolida-
mento"·
'
• oppure, se dovuto a previsione di risultati economici sfavorevoli, essere iscritto in
una voce denominata "fondo di consolidamento per rischi e oneri futuri";
2. se positivo, poteva essere iscritto in due modi, e cioè:
• in una voce dell'attivo denominata "differenza da consolidamento" (in tal caso veni-
va ammortizzato come "avviamento");
• in detrazione della "riserva di consolidamento", fino a concorrenza della medesima.
6. Cioè pari al 70% del debito commerciale effettivo.
I l.2 Cenni ai problemi di consolidamento I 673
7. IAS 27.
674 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
Né controllata
Né collegata No influenza significativa A costo o IAS 39
Collegata Influenza significativa Metodo del patrimonio netto
Controllata Controllo Consolidamento integrale
Joint venture Controllo congiunto Proporzionale o Metodo del patrimonio netto
8. I preesistenti principi contabili italiani (in particolare l'articolo 2359 e.e.) consideravano
come società controllate: 1. le società in cui un'altra società dispone della maggioranza
dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2. le società in cui un'altra società dispone di
voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3. le so-
cietà che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli
contrattuali con essa.
9. I diritti di voto potenziali sono quelli che derivano da warrant, opzioni call, strumenti di
debito o di patrimonio netto che, in caso di esercizio o conversione, hanno il potenziale di
dare diritti di voto all'impresa o di ridurre quelli di un 'altra parte. Nel valutare i diritti di
voto potenziali si devono considerare i diritti correntemente esercitabili o convertibili e
quelli posseduti da altre parti. Non si considerano, invece, quelli che saranno esercitabili
o convertibili solo dopo una data futura o dopo il verificarsi di un determinato evento.
10. I principi italiani preesistenti definivano come imprese collegate le società sulle qual~
un'altra società, la capogruppo, esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume
quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero
un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.
111.1 La relazione analitica tra NCF e NCC
ln(t) V(t)
CCNO(t)
1. Per un'analisi più puntuale delle singole voci di un bilancio, coerentemente con la IV e la VI-
Direttiva comunitaria, cfr. capitoli12 e 13.
676 j INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
Si ha quindi:
dove:
U(t) = utile d'esercizio dell'anno t
AC(t) = aumenti di capitale dell'anno t
dove:
LiCCNO (t) = variazione del capitale circolante;
LiIN(t) = variazione delle immobilizzazioni;
INV(t) = nuovi investimenti in immobilizzazioni;
A( t) = ammortamenti relativi alle immobilizzazioni.
Quindi:
Si ha, allora:
NCF(t) = NCG(t)
111.2 L'attualizzazione
1. Si noti che il ragionamento vale in questi termini solo se il tasso di attualizzazione rimane
inalterato negli anni. In caso contrario, la relazione di equivalenza diviene, in generale:
X(N) = X(O) · (1 + i 1) · (l+i 2) · ... · (1 + iN)
dove i(t) è il tasso di attualizzazione relativo all'anno t.
111.2 L'attualizzazione I 679
y
PV=--- (111.4)
(1 + i)M
Rischio Indifferente
al rischio
Awerso al rischio
Propenso
al rischio
o
Valore atteso
680 I INTEGRAZIONI E APPROFONDIMENTI
y
PV= (111.4')
(1 +i+d)M
L'effetto dell'inflazione
i+ d +f
2. Per essere più precisi, il tasso di inflazione dovrebbe essere "composto" con il tasso risk-freee
con il premio di rischio. Per approfondire questo problema, non particolarmente critico nel-
l'analisi degli investimenti reali, cfr., ad esempio, Brealey, Myers e Marcus (1995).
111.2 L'attualizzazione I 681
dove:
i =~ risk-frer..
d = premio di rischio dell'investimento (eventuale);
f =tassodi inflazione.
3. Di fatto, ragionare in termini "reali" equivale a ritenere che tutte le ~o~ponen~ 1dei cash~~
seguano una stes.sadinamica dei prezzi, in cui l'incremento annuo comc1de con 1 tasso me io
di inflazione.
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