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Biblioteca Adelphi 162

Nezamz

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LEYLA E MAJNUN
«Giunse l'amore e colmò loro il calice di
vino. Quand'ebbero colto la rosa profumata
dell'amore, vollero assaporare il suo profumo
ogni giorno: l'uno rapito dalla bellezza del­
l'altro, il cuore stordito e pur senza perdere i
sensi, perdutamente innamorati in uno
struggimento che mai si estingueva». I due
amanti cbe così si incontrano sono Leyla e
Majnun: hanno dieci anni, vanno insieme a
scuola. Leyla è «una luna, una bambola, un
tenero svettante cipresso»; Majnun ha «lab­
bra di rubino che spargevano perle». Insie­
me, formano la coppia archetipica dell'amo­
re estremo, della passione sino alla follia, che
traversa gloriosamente la storia dell'Oriente
islamico nell'immaginazione di tutti, dotti e
incolti, un po' come da noi la storia di Romeo
e Giulietta. Come nel loro caso, l'amore di
Leyla e Majnun è avversato dal mondo, che
lo vuole distruggere con ogni mezzo. Ma non
ci riuscirà, perché «amore è quello cbe non
ha fine». Così la separazione e l'assenza si
trasformano in possenti catapulte della pas­
sione. Majnun, il «Folle d'amore», vaga
giorno e notte cantando versi, le spine del de­
serto lacerano i lembi di lino e seta delle sue
vesti, ma l'occhio della sua mente è fisso sem­
pre sullo stesso fuoco. Il suo delirio amoroso
lo spinge a un moto perenne, «come un'az­
zurra veste di lutto che galleggia nelle acque
di un fiume profondo». La società degli uo­
mini gli è invisa, mentre le fiere gli si accovac­
ciano intorno. A specchio del suo vagare,
Leyla rimane al centro del giardino, insieme
prigioniera cd esule,«colma di grazia e di fa­
scino». Ma «nell'intimo il cuore le sanguina­
va», il pensiero è fisso sull'amato inavvicina­
bile, men L re 1 a circondano tanti �< miseri cuo­
ri cbc a migliaia erano precipitati nel pozzo
della fosse lla del suo mento». Né la guerra né
un matrimonio forzato valgono a soffocare
l'ardore dei due amanti, pur costretti a essere
«appagati di fantasmi e fantasmi essi stessi».
I nu mcrosi episodi che scandiscono la loro vi­
cenda servono a .'.\le'.?ami per tessere un son-
tuoso manto di immagini, dove«simbolismo
�ufi, e anche gnome e pura fiaba rimangono
fra loro in continuità, senza che possa dirsi
che un aspetto prevalga nitidamente sull'al­
tro». Chi legge questo libro non può che ri­
manere abbagliato innanzitutto dalle imma­
gini, per la profusione e la sottigliezza delle
figure, per lo smalto dei dettagli, per la febbre
lirica che li anima. Sono queste immagini a
formare il«velo» dell'opera, come l'amore di
Majniin, nel suo eccesso rigoglioso, serve a
proteggere quel «frammento dì paradiso» che
è Leyla. E lo scrittore Ne�ami potrebb<:: pro­
nunciare le stesse parole dell'amante:« E me­
glio che l'essenza rimanga celata e che solo
l'involucro appaia, meglio che dell'amata io
sia il velo, che della perla io sia la conchiglia!».

Leyla e Majnun fu composto nel 1188 cd è uno dei


Cinque Tesori di Ne�ami (1141-1204), romanzi in
versi di varia lunghezza che costituiscono il cen­

tro della sua opera e una delle più alte manifesta­


zioni della letteratura persiana. I nnum e revo l i al­
tre versioni della storia di Leyla e Majnun, la più
popolare storia d'amore di tutto l'Oriente mu­

sulmano, si sono susseguite nei secoli, in arabo,


turco, persiano, urdu, ecc. Nessuna raggiunge il
fulgore della versione di Ne�ami, considerato da
molti «il più grande narratore, e forse, non è esa­

gerato dirlo, il più grande poeta» (A. Bausani)


della letteratura persiana . La p resen t e edizione, a
cura di Giovanna Calasso, che insegna Storia del­
la civiltà arabo-islamica all'Università di Roma,
è in certo modo la pri m a traduzione di Leyla e
Majnun in Occi dent e, dove questo testo era finora
conosciuto attraverso edizioni come quella di
Gelpke, che sono piutlosto delle parafrasi.

In copertina: Majniinfra gli animali del deserto vùitato dal­


lo zio Sallm (Khamsè di Ne�ii.ml , miniatura di un allievo
di Behzii.'d, Herat, 1494. British Muscum, Londra).
BIBLIOTECA ADELPHI
. 162
Nezamz
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LEYLA E MAJNUN
A cura di Giovanna Calasso

Scansione e OCR Kafir

ADELPHI EDIZIONI
@ 1985 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO
471409
INDICE

In nome di Dio misericordioso 13

Elogio del Profeta 16

L'ascensione celeste del Profeta 17


Cause della composizione del libro 19

INIZIO DELLA STORIA

L'amore d i Leyla e Maj niin 28


Descrizione dell'amore di Maj niin 30

Maj niin vede Leyla 32

Il padre di Maj niin chiede la mano di Leyla 33

Disperazione di Majniin 36

Maj niin è condotto in pellegrinaggio alla Ka'ba 40


Il padre di Maj niin apprende i propositi
di vendetta della tribù di Leyla 42
Parole del padre di Maj niin al figlio 45
Risposta di Maj niin al padre 47
Descrizione di Leyla 49

Leyla n el giardino 52

Ebn Sal am c h iede la mano di Leyla 56

Nowfal si reca da Majniin 57

Rimprovero di Majniin a No wfa l 60

Nowfal si batte con la tribù di Le yl a 61

Maj niin rimprovera nuovamente Nowfal 65

Secondo combattimento di Nowfal 66

Maj niin libera le gazzelle 69

Maj niin libera il cerbiatto 71

Majniin parla al corvo 73

Maj niin e la vecchi a 75

Leyla è data in sposa a Ebn Sala m 78

Leyla è condotta in sposa da Ebn Sala m 80

Maj niin apprende delle n ozz e di Leyla 82

Lamento di Maj m1n con il fantasma di Ley!a 84

Il padre di Maj nfm visita il figlio 87

Rispost a di Maj niin al padre 90

Congedo di Maj niin dal padre 92

Maj niin apprende della morte del pad re 93

Familiarità di Maj niin con gli animali del deserto 96

Apologo 98

Maj niin si rivolge be ne di cen te a lla Corte Sublime.


Invocazione a Ve nere 100

Invocazione di Majniin a Giove 102

Invocazione di Maj niin alla Corte


dell'Onnipotente 102

Maj niin riceve un messaggio di Leyla 103

La lettera di Leyla a Majniin 107


Risposta di Maj nun a Leyla llO

Maj nfm riceve la visita dello zio Salim 'A.meri ll3

Storia del derviscio e del re 1 14

Incontro di Maj nun con la madre ll6

Majnun apprende della morte di sua madre 1 18

Leyla invia a chiamare Maj nun 120

I versi di Maj nun 123

Il giovane Salam di Baghdad viene a


incontrare Maj nun 125

Risposta di Majniin a Salam di Baghdad 127

La morte di Ebn Salam, sposo di Leyla 130

Come giunge l'autunno e come Leyla muore 133

Lamento di Maj niin per la morte di Leyla 135

Morte di Maj nun sulla tomba di Leyla 137

La famiglia di Maj niin apprende della sua morte 138

NOTE 14 1

Deserto e giardino di Giovanna Calasso 187


LEYLA E MAJNUN
NOTA SULLA TRASCRIZIONE. Abbiamo scelto di usare un SÌ·
s terna 'misto ' , traslitt erando i differen ti grafemi deU'alfa­
beto arabo-persiano secondo uno dei criteri corren ti nel­
l'uso sci enti fico, trascrivendo però i nomi propri e i ter­
mini che abbiamo mantenu to in originale nel testo, se­
condo la pronuncia persi ana moderna (segilendo in que­
sto A. Bausani, Letteratura neopersiana, Milano, 1960).
Non è stata usata traslitterazione scientifica per i toponimi
più noti .
Ecco alcune i ndicazioni per la pronuncia:

suona come la g di ga tto



J corrisponde alla g dolce itali ana di gioco
(Magnun)
h , !:i so no leggerm en t e aspira te
kh suona in modo simile al eh del tedesco Nacht
q e gh suonano in persiano moderno in modo molto si­
mile; la l oro pronuncia si avvicina a una g mol­
to profonda, ovvero alla r mouillée iniziale
s, � sono sempre sorde
z, f:, i sono sempre sonore e da pronunciarsi come l a
s i t aliana d i rosa ( Ne5ami)
sh corri sponde allo se italiano di scena

th e dh sono rispett ivamente omofoni di s e di z

ey va letto come l ' i tali ano ei


ow va letto come ou
è l'occlusiva glo ttidale ('colpo di glottide'),
suono molto marcato in arabo, quasi insensibile
in p ersiano
segna una sorta di iato. Non si pronuncia

L'acce nto dei nomi propri e dei termini persiani cade sul­
l'ultima sillaba.
In nome di Dio misericordioso1

Il Tuo nome è l ' esordio più bello, a quale poema


potrei mai dare inizio senza il Tuo nome? La Tua
menzione è il conforto della mia anima, all'infuori del
Tuo nome la mia lingua non produce parola! O Tu
che sciogli ogni nodo, il Tuo nome è la chiave che di­
schiude ogn i porta, e nessuna scrittura senza il sigillo
del Tuo nome è stata mai autenticata!
I pian eti, simili a sette spose, insieme alle nove let­
t ighe dei cieli rotanti, custodiscono la soglia della Tua
corte: o Tu dell a cui esistenza non è dato conoscere il
come,2 che conosci il segreto e il manifesto, che tutto,
mobile e immobile, hai creato con il tuo fiat, o datore
dell' intelletto, suscitatore dell'anima, solo che Tu lo
voglia, essere e non essere si eguagliano!
O Tu che solo i Tuoi attributi descrivono, il Tuo
d ivieto rende illec ito il lecito, al Tuo ordine è dovuta
incondizionata ubbidienza e dal Tuo ordine deriva
l'intero universo! La Tua via è ill uminata dall' etern ità
e non possiedi com p agno alcuno al tuo fianco! Impo­
tente è la men t e che indaghi le cause della Tua o p era :
l' ordinamento dell'universo hai creato con i suoi. gra-

13
di, il baio mantello del mattino e il nero purosangue
della notte3 hai posto, con il Tuo decreto, all'ombra
dell'immensa scuderia del cielo! Soltanto da una kaf e
da una nun hai fatto ergere il monte Bisotiin fino al
cielo,4 e dovunque esista un prezioso tesoro queste due
lettere ne sono la chiave! Né vi è lettera, in tutto il
libro del creato, cui sia stata consentita un'imperfezio­
ne, non vi è punto che non sia al luogo giusto! Nel
creare il mondo non avrebbe potuto esserci migliore
scrittura.
Decretando regalità e schiavitù doni il regno a chi
vuoi, conosci l'oppressore e l'oppresso, conosci la storia
non ancora manifesta, sai leggere il libro ancora non
scritto. Se la Tua grazia non ne mostra la via, chi sve­
lerà all'intelletto questo mistero? L'intelletto, solo in
grazia della Tua generosità accende la vista, ché se
mette il piede in fallo la brucia!
Per Tua grazia o per Tuo castigo, davanti a Te uni­
co è il vino e il veleno. Non v'ha dubbio ch'io sia un
prigion iero, ché per Tua grazia ho la vita , per Tuo ca­
stigo la morte. Ti supplico, se il vino della Tua grazia
non puoi concedermi, non m ' infliggere il Tuo castigo!
Se la mia anima avrà il Tuo soccorso, chi potrà sot­
trarmi le Tue briglie di mano? E anche l'alito estremo
con cui esalerò la mia anima, canterà le lodi del Tuo
nome. Quando m i appronterò per la morte, del Tuo
nome intriderò le erbe odorose che saranno sparse sul
mio cadavere, e quando la mia esistenza passata sarà
ormai polvere, dovunque io finisca Ti adorerò. Fra le
solide mura della Tua fortezza, che mai potre i temere
da Satana il maledetto? Sulla Tua via ho vestito la ve­
ste del pellegrino, salmodiando « Labbeyka »5 alla ri­
cerca di Te. Guai a chi viola lo stato sacrale, preser­
vami dal violarlo!
Se non ho altro sostegno al di fuori di Te, il neces­
sario io ricevo dalla Tua grazia, se un atomo, dall'al­
chimia della purificazione, Tu getti sul mio rame, io
mi trasformo in nobile metallo! Dovunque Tu conce-

14
da un raggio della Tua grazia, la Terra si fa oro, l'ac­
qua si fa perla! Che io sia gemma o vile argilla, Tuo
è lornamento del mio volto! Che io sia aloe o assen­
zio, pur sempre del Tuo profumo io mi vanto!
Ai Tuoi piedi io non depongo né religione, né ubbi­
dienza: intercedi per l'indigente! Finché la nave non
affonda, assistimi, sii misericordioso! Sostienimi, sono
caduto, lasciato a piedi dalla cavalcatura della mia
ignoranza! Tu, con il Tuo divino favore, guida il mio
piede secondo il Tuo volere, liberami d alle mie tene­
bre, accompagnam i con la Tua luce! Che cosa è più
ricco della Tua mensa, chi è p iù munifico della Tua
maestà? Fammi un' elemosina del Tuo raccolto! Affin­
ché il mio campo in rovina possa divenire fiorente,
dammi terra della Tua soglia e acqua che porti via la
corruzione da me! Il giorno in cui mi strapperai da
me stesso, non distruggere di me ciò che lasci, e quan­
do mi restituirai a me stesso, riversa su di me un'om­
bra della Tua grazia! Non l'ombra che dalla luce è di­
stante, ma l'ombra cui la Tua lampada è luce, affinché
in vicinanza di Te io divenga ombra di luce, come
luce io sia distante dall'ombra!
Mi hai creato, in principio, senza mancanze, non m i
abbandonare alla fi n e negletto! Quando giunge l a
morte perc hé aver timore, se io so c h e è l a strada che
conduce verso di Te? Non morte , ma giardino fiorito
è la via che conduce al palazzo della Tua intimità! Se
la morte proviene da Lui, che io muoia! S'io rifletto,
non è morte, ma transitorio luogo di tappa : dalla men­
sa al giaciglio del sonno, dal giaciglio del sonno alla
corte del re!
Se p er la pena il Tuo servo Ne:?ami, nel formula­
re la sua preghiera, ha mostrato ardimento, la sua ac­
qua appartiene pur sempre al Tuo mare, se ne tra­
bocca u na goccia, non la sprecare! Se cento lingue par­
lasse, in ogni lingua ti loderebbe, se tace come i dere­
litti, Tu sai comprendere la lingua di chi non possiede
parola! Se di Tartaro o di nero Abissino è la scrittma

15
del mio esistere, Tu l'hai vergata!6 Ordunque, prima
che la fine mi stringa e mi strappi di mano le redini
della vita, consenti ch' io ritrovi la via per esserti ac­
cetto!

Elogio del Profeta

O cavaliere del regno dell'esistente, sultano vittorio­


so dell'intelletto, o sigillo dei profeti inviati, soltanto
il folle può inorgoglirsi davanti a t e ! O tu che sei giun­
to al Loto d el Termine,7 che per dignità sei al cospetto
del Trono di Dio! La terra che tu calpesti è farmaco
per la vista, per te risplende l'occhio della creazione!
Un c ero che non da t e prende luce, muoia della pro­
p ria vanità! O detentore del rango supremo dell'in­
telletto e dell'anima, mehrii.b della terra e dei cieli, in
graz ia della tua religione la terra si è fatta cielo, che
dico, i cieli si son fatti terra per te! A causa tua le sei
direzioni sono rimaste confuse, quando hai guidato la
tua cavalcatura al di sopra dei sette cieli!8 Era dalla
creazione di Adamo che il mondo non aveva udito un
tale clamore! La ragione mendica i resti della tua
mensa, l'anima è umile scriba alla tua soglia: ogni in­
telletto che sia lontano da te è folle, ogni an ima che
non sia folle d ' amore p er te è morta.
Chi è mai colui che sul tapp eto dell'esistente non ti
è sot�omesso come terra? Il tuo elisir alla terra ha dato
colore e in grazia tua l'esistente fu creato; tu sei il con­
dottiero, gli altri non sono che schiere soggette al tuo
comando, tu sei la meta agognata, gli altri non sono
che intrusi! S ultano del trono dell'esistente, sovrano
del regno della vita, l'accampamento del tuo esercito
è la verde cupola del cielo, i riccioli della tua chioma
sono un regale parasole, un tuo fuggevole sguardo im­
periale sigillo e le cinque preghiere, pilastri della pie-

J6
tà, sono i cinque rullii del t amb uro della tua regale
fanfara!9
Con cinque pilas tri , nella dimora della fede,10 hai
sbarrato la porta a migliaia di ingiustizie, e fat tane
l'edificio dell'universo, l'affidasti in le gato ai quattro
califfi: il fedele Abi"1 Bakr con veridicità ne fu guida,
'Omar, il savio, con discernimento tenne distante la
disunione, e il vecchio 'Othman, timorato di Dio, fu
condiscepolo a 'Ali, leone di DioY Tutti e quattro con­
d ussero una sola battaglia furono il profumo di una
,

sola d i mor a Il regno dei quattro califfi fu giusto l'edi­


. ,

fic io ricevette i suoi quattro confini. Alla religione do­


nasti cosi qu attro colonne e quattro cupole.12 Simili
all arco delle tue fulgide sopracciglia, all'orizzonte i
'

quattro califfi furono u n it i a co mporre un unico arco.13


Ma dal cerchio rot an t e di q uesta danza i n tr e c ci ata sul
tap peto del mondo terreno, un tuo passo ha il potere
di innalzarti fino al T r on o di Dio.14

L'ascensione celeste del Profeta

O tu, che del p ensi e r o rappresenti il supremo stru­


mento di a sce s a la tua ascensione ti ha innalzato dalla
,

terra fino ai cieli! Calpestate le qu attro radici,15 var­


cate le porte dei se t t e cieli, lanciato il tuo nero destrie­
ro fuori dalle strettoie de lla terra a c alpe stare la cer­
vice della volta ce l e s te quando la notte innalzò il s uo
,

nero vessillo, il tuo c avall o dal notturno mantello bal­


zò danzando sul suo cammino! Asceso dal palazzo del
transeunte sullo zenit de ll a dimora di Omm Hani, 16
,

il tuo piede divenne alato e ascendesti ai recessi del


Trono cli Dio.
Giunse Gabriele con il collare di Boraq17 in mano e
così ti parlò: « Il cielo è sottomesso al tuo comando,
le sette sfere si son ritirate in un dup l ic e cerchio e tut­
to l'esistente è tua scorta. Alzati orsù, non è tempo di

17
giacere n el sonno, la luna si è fatta sole nell' ansia di
vederti; Mercurio, segretario della Corte celeste, dal
foglio in cui è scritto i l divino decreto della tua ascen­
sione ha cancellato i l segno del tuo arrestarti ; Venere
tiene u n vas s oio di auree monete sul capo in attesa che
la tua luce si l evi da oriente; il sole, con il volto di
cre sc en t e lunare ha fugato ogni disagio dal tuo cam­
m ino; Marte, tuo fedele servitore e custode ha allon­
tanato il m al occ h i o dalla tua strada; Saturno, col suo
nero st en dardo, s i è fatto tuo schiavo .18 Avere simili
servitori fra gli astri è condizione di felice riuscita !
Stanotte è la notte del destino, affrettati! Afferra il de­
cr eto della notte del tuo d es t ino ! » .
O fausta notte c he come giorno illuminò il mondo
grazie al tuo incedere! Quella notte disegnasti la terra
con il compasso, della volta celeste tracciasti il quadra­
to! Qu e l lampo cui era nome Boraq si ammansì per
consentirt i la cavalcata. S ul dorso di quella sella non
mai forata, divenisti vascello veloc e, cavalcando quel­
l'unico destriero, rimanesti per via per la duplice ca­
valcata di un g forno e una notte.
Gabriele si arrestò nell'accompagnarti, chiamato di
lontano; Michele ti pose sulle sue spalle conducendoti
a un'altra guida, Esrafil, caduto ai tuoi piedi, anche
lui si arrestò a m e t à del cammino ; il cuscino di seta
che ti era stato com pag no di strada, ti condusse al tro­
no del Loto. E quando giungesti oltre il Loto del
Termine, sc rivest i fogli mai scritti, dallo spazio dei
sette tappeti g iun ge s ti al non spazio del Trono di Dio.
Per la luce da te sprigionata gli angeli r eggitori del
trono si fecero ombra. Volasti via dalla cortina del tro­
no, lacerasti settanta veli, e allora tu fosti libero dal
peso di ogni farde llo , e abbandonasti corona e trono.
Chiu de st i il mercato d el la direzione, lib erandoti dal­
la pressione del sotto e del sopra, p iantasti la tua tenda
al di fuori dei due mondi 'e ti ponesti nel nobile padi­
glione del qabii qowseyn.19 Vedesti il sovrano in mae­
stà, udisti parole di Verità, e c iò che udisti e vedesti
fu al di là di per c ezi on e e intell e tto .

18
Poi dalla vi c in an z a della divina maestà r i t ornast i se­
condo il tuo volere: un gi a rd in o di r o s e sbocciava dal­
la tua fronte, il sigillo della grazia divina era ne lla ma­
nica della tua ve st e, riportav i il salvacondotto d e i li­
beri per coloro che c o me noi sono pecc a tor i . Abbiamo
f o rse altro allogg io che come te sia regale, alla cui om­
bra ripararci? Tu sei un sole s p lende n te , po ssiam o for­
se s tupirc i se r i fulgi sopra di noi?
La tua saggez za è il mare della fortitudine, il tuo
luogo è i l cielo della p ro f e zia : senza di te la porta della
fortitudine agli uomini è rimas ta preclusa, più ancora
della porta della profezia .2° Chi si è d i stolt o dal s o tto­
mettersi ai tuoi piedi, la fortuna si è a ll o n t an ata da
lu i, ma colui c he ti è s ott o me sso e fedele, co s tu i è
assi so in uno scenario di prosperità. I giardin i di
Eram, per t im or e e s pe ranz a di te, sono tributari del
tuo profumo.21 O tu che come era scritto s e i asceso ai
cieli e come un tes or o sei ricaduto sulla terra, del tuo
fulmineo perc o r s o nei cieli sciogli un segreto sopra
Nefami! P er quanto ancora res tar e nel velo del sonno?
Sorgi, getta via il velo dal volto, solleva il p es o di que­
sta men sa dal d orso , discosta la cortina dal volto del­
l ' o p era! Di qu el la Tavola che leggesti in principio,
getta un versetto nel nostro cuore, di q u ell a scienza
che ti fu data scrivi una lettera sul no s tr o registro! Sve­
laci il nostro nome: siamo i dol atri o distruttori degli
idoli? O tu, graz ie a c ui la mia o pera s i c o mp i e , da te
proviene la forza del cu o re di Ne�ami! Di q uest o cuo­
re, ti s u ppl ico, sii soddisfatto e in ter c edi per lui presso
Dio!

Cause della composizione del libro

Un giorno, in stato di let iz ia e di grazia mi trovavo,


e di rega l e esultanza; l'arco delle' mie sopracciglia era
sereno e disteso come un crescente di luna,22 e atten-

19
devo al mio canzoniere. Lo specchio della fortuna mi
era di fronte, il successo mi av eva adornato la chioma.
Il ma ttino aveva intrecciato una ghirlanda di rose ros­
se, il giorno era fausto al mio animo.
Il mio cuore era una falena ebbra di luce, ero l'usi­
gnolo del giar d ino e il giardino era inebriato del mio
can to : il vessillo era innalzato sulla vetta della parola,
puntato il calamo a vergare il volume d el l ' a rte , la pun­
ta del c a l a m o pronta a infila re perle,23 la l i ng ua ad
esprimere concetti sottili.
Nella mia me nte pensavo: «Non è forse questo il
m om en to dell'opera, ora che la p r ospe rit à è mia com­
pagna, la fortuna al mio fianco? Fin quando resterò
inoperoso, fin quando lontano dalle preoccupazioni
del mondo? Il tempo, che dal la pienezza ha fatto sca ­
turire la gioia, ha s ottrat t o ogni bene dall'anima vuo­
ta: un cane affamato non in una strada vuota troverà
il pane t Solo s u l lo strumento del mondo si può com­
porre una melodia, ché appagato nel mondo è soltanto
co l u i che è in accordo col mondo! M en t re lo specchio
cancella da ogni essere l a menzogna, ogni na t ur a che
aspiri alla diversità è disarmonica come un pannello
distorto! }>.

O fortuna, se mai fosti magnanima, ascoltasti la mia


supplica! M e n tr e io sondavo gli a u sp ic i del destino,
ecco passare l'astro!
Così il fortunato è vincente, così la fortuna fa dono
dei suoi tesori!
Sulla strada appare un messaggero, portatore di una
regale missiva. In essa erano vergate nei più bei carat­
teri della scrittura del nostro sovrano,24 dieci o quin­
dici righe di stile squisito. Ogni lettera di q u ello scrit­
to era un giardino fiorito, era più fu lg i da di una fiac­
cola nella notte. Così vi era s c ritto : « O mio intimo
confidente, o N e:('.ami, mago della p a ro l a , suscita un
incantesimo dalla fragranza del tuo alito, susci t a con
parola di poeta una n uo va magia! Mostra ancora, nel
luogo del vanto, le me ravigl ie della tua eloquenza! Io
voglio che rievocando l'amore di Maj nun, tu compon-

20
ga versi simili a perle preziose, voglio che nella tua
poesia tu riversi intatte primizie, simili alla vergine
Leyla. E affinché io possa leggere e recitare il tuo poe­
ma, guarda qual è il bottino: io scuoto il capo accioc­
ché tu veda il mio diadema!25 Con la tua penna di
sommo poeta componi un poema che sia la vetta di
mille poemi d'amore! Queste sono parole del sovrano,
a te conviene coniugare le tue parole alle sue! Adorna
la giovane sposa di un tesoro di gemme di Persia e
d'Arabia!26 Sai bene ch'io sono un conoscitore della
poesia, che ben so distinguere i versi vecchi dai nuovi!
E affinché l'oro puro dei tuoi versi rari e preziosi si
mostri, getta via l'oro falso! La nostra non è promessa
di Turchi, e versi di turca assonanza non sono degni
di noi: a colui che è di alti ascendenti, si addicono ele­
vate parole I ». 27

Quando la regale ingiunzione mi ebbe posto in ca­


tene, la mia mente fu ebbra a tal punto da perdere i
sensi: non trovo l'ardire di distogliere gli occhi da
quello scritto, non trovo occhi che mi facciano scor­
gere la via del tesoro! Sono stupito e confuso, la mia
debolezza mi fa vergogna. Non ho un intimo amico
cui confidare il segreto, cui apertamente parlare. Ed
ecco il figlio mio Mol;iammad, caro a me come la stes­
sa vita, pose nelle mie mani lo scritto, e come om­
bra sedette al mio fianco. Con amore s'inchinò a ba­
ciare i miei piedi e così mi parlò: « O tu che il tam­
buro hai vibrato più in alto dei cieli, di quanti allie­
tasti il cuore rievocando la storia di Cosroe e Shirin!
Ora, affinché la gemma della tua arte trovi la sua com­
pagna, devi cantare di Leyla e Majnun! Possa questo
squisito poema essere composto, possa il giovane pavo­
ne accoppiarsi I Un intimo amico come il re di Shirvan,
che dico, come il sovrano d'Iran, donatore di grazie e
creatore di rango, datore di prosperità e protettore del­
la poesia, ti ha richiesto che questo libro divenga il
tuo libro: ·orsù, attendi a comporre un prezioso poema
per il sovrano I » .
Gli dissi: « Le tue parole sono appropriate, o mia

21
luce, o acuto intelletto! Ma che fare se grande è il ti­
more e ansioso il cuore? Quando angusto è il vestibolo
di una storia, le parole, nell'andare e venire, si usura­
no! Vasto dev'essere il campo della parola, in poesia,
acciocché la sua cavalleresca natura vi si possa mostra­
re! Ma da questi versi, tanto celebrati, lungi è un com­
mento di gioia! Strumenti della poesia sono grazia e
letizia, da grazia e letizia il verso trae i suoi pretesti!
Ma da catene e follia che altro può scaturire se non
nude parole che attristano il cuore? In un cammino
che mi è ignoto, molti saranno i segni da tracciare.
Non vi è giardino o banchetto regale, non vi è suono
di liuto, né vino purpureo!28 Su aridi deserti e imper­
vie montagne, fin quando potranno correre parole
d'infelicità? La parola, in poesia, deve accordarsi sulla
gioia, affinché il verso e la storia volteggino insieme I
Ma tanta era la tristezza di questa storia che fin dal­
l'inizio nessuno ha mostrato inclinazione a cantarla: e
chi vi si è cimentato si è bruciato le ali, tanto che fi­
no a oggi essa è rimasta non detta. Ma poiché il so­
vrano del mondo m'invita a comporre questo libro
in suo nome, malgrado l'angusto cammino, colà, gra-·
ziosamente, io lo conduco, ché a cantarlo in pre se nza
di sua maestà gemme preziose siano sparse per via, e
il suo lettore, se pure ha il cuore di ghiaccio, se ne
innamori! ».

E nuovamente quel mio figlio ed erede, unica gem­


ma delle mie prime conquiste, unica coppa delle mie
ultime mattutine bevute,29 così prese a di re : « Padre
mio, le cui parole mi sono sorelle, non nutrire vani
timori di comporre un tale poema! Ovunque sia im­
bandita una mensa d'amore, questa storia la rende
sapida, ma per quanto sale possieda, la vivanda sulla
mensa rimane cruda e solo incisa dalla tua punta, gra­
zie alla tua invenzione, si cuoce! Un sì bel volto è ri­
masto disadorno finora, poiché nessuno ha saputo
adornarlo cli gemme adeguate alla sua bellezza. Que­
sta storia preziosa è simile all'anima: nessuno vuole
compi ere degli sforzi per l'anima, ed essa, che non può

22
rivestirsi di pa n ni altrui, resta nuda : ornamento del­
l ' a n ima soltanto dall'anima può t r ars i ! Colui che ha
dato vita agli umani è il tuo alito, e il figlio t u o, que­
st'anima che ti è cara, il tuo confidente del cuor e . E
ora, a te spetta l' o per a dell' eloquio fluente, a me di
pregare che la fortuna ti sia c om p agn a ! ».

Tanto ar dore e tanta p remur a mi rinsaldarono il


c uor e e senza in dugi mi posi alla ricerca di quella
gemma, per trarla alla luce e liberare la pietra filo­
sofale !
Scelsi un ritmo di n at ura breve,30 temendo i peri­
coli del lungo cammino . Più breve di questo non ne
esisteva : è u n metro svelto, ma car ez z evol e, e di na­
tura vivace . Molti so no i v ers i che si compongono in
tale dilettevole metro, ma s en z a freschezza . Con que­
sto metro, l ' ingegno di nessun pes c at o r e di perle ha
mai saputo portare alla luce una p erla tanto pre z iosa :
grazie a d esso ogni verso è un filo di perle, colmo d ' arte
e se n z a difetto. N e l r ice rca re una mercanzia sì preg ia ­
ta, n u lla mi è stato d ' intralcio : non appena ho par­
lato il cuore mi ha dato r isp o s t a, non appe n a ho sca­
vato l'acqua è zampillata.
I quattromi l a versi e più di q ue s to poema furon
co mposti in m e no d i quattro mesi, ma se "libero fos s i
stato da altre incombenze, in sole quattordici notti
sarebbero venuti alla luce! E po s s a la prosperità e s sere
su colui che augura p ro s p e ri tà allo svelamento di que­
sta n o bi le s p osa ! L ' ho acconciata nel modo p i ù b ello
al cadere del mese di rajab dell' anno 5 84 : 31 l'ho ad or ­

nata con e l eg an za sq u isi ta adagiandola sotto il baldac- ·

c hino di una lettiga, acc iocché n essuno le si possa ac­


costare, all'infuori dell' augusto sguardo d el re !

'

23
Inizio d e l la s toria

Così il narratore ha parlato, infila ndo le perle delle


sue parole: 32
C'era una volta un potente signore fra gli Arabi,
capo della tribù dei Baml '.Amer: nessuna regione era
più fiorente di quella di cui era signore, e per l'aleg­
giare della sua fama la terra degli Arabi era più profu­
mata del vino del suo calice. N obile e valoroso al di
sopra di lui non esisteva nessuno all'intero orizzonte :
il suo po tere era da sultano, la sua ricchezza pari a
quella di Creso.33 Prodigo con i bisogn03i, la fortuna
gli apparteneva come il nocciolo appartiene alla pol­
pa,. Era pari a un califfo, per fama,34 ma privo di ered e ,

simile a un cero senza fiamma: anelava a un figlio co­


me una conchiglia alla perla, come la spiga al chicco
di grano . La sua vita trascorreva tutta nell' ansia che
il destino facesse crescere un ramo dal suo tronco: per­
ché potesse avvenire come quando un cipress o muore
e un altro cipresso nasce dalla sua radice, e se il fagia­
no entra nel giardino, all'ombra del nuovo albero può
ripararsi . È veramente vivo soltanto colui nella cui
casa rimane un erede a ricordarlo !

25
Con simile struggimento nel cuore, viveva piament e
elarg endo i suoi beni, le sue ricchezze invano riversan­
do a fiumi, m i g lia ia di monete per il volto di luna di
un figlio : 35 gettava il s eme de l gelsom ino, ma il gelso­
mino non germogliava . La p ienezza ricercava invano,
eppure in quella i
r c e rc a perseverava, ignaro che nel
venire tardi al mondo p uò celarsi un bene, ignaro che
quando ciò che desideri non av v iene è per il meglio
che non avviene. Quante v olte , un tesoro trovato, me­
glio sarebbe stato non trovarlo mai ! Q u a nt e volte, me­
glio una speranza delusa che una speranza esa u dita !
Il capo del filo del mistero è nell'invisibile: e non è
raro che il lucchetto, a chi sappia g u arda rl o si riveli ,

la chiave !
Ed ecco, mentre egli continuava a n u trire quel de­
siderio, simile a chi, ansioso, ricerchi un rubino, il Si­
gnore r i com p e n s ò il suo umile i m p l orare facendogli
dono di un figl io. Era b el l o · come una rosa appena
sbocciata, come un ridente m el ogra no : no, m ille rose,
mille mel ograni ! G e mma fu lgent e di luce che il lu mi­
na come giorno la notte nel pal azz o del mondo !
Alla vista di quel figlio meravi g lioso, il padre spa­
lancò le porte del suo tes oro, p er la felicità come una
rosa prese a spargere gemme.
Il p iccolo fu affidato a una n u t ri c e per all ev ar l o fin­
ché non fosse sv e zz at o. O gni goccia di latte era come
se i mpri m e s s e in lui una lettera della parola « fedel­
tà », ogni frammento di cibo in lui s i trasformava in
tenerezza, ogni segno color indaco t rac ciato sulle sue
guance contro il malocchio,36 era già come un incante­
simo d'amore i mpresso sul suo cuore. Allorché la sua
piccola bocca di tulipano si inumidiva di latte, egua­
gliava una turgida foglia cli gelsomino, e avresti detto
che per il la t te le sue lab b ra fossero miele : nella culla
era b e llo come la luna nel mezzo della sua celeste let­
tiga.37
Non erano trascorse due settimane dalla s u a nasci­
ta e già la sua be l l ezza era al colmo: la p er fe z ion e lo
coronò quando gli venne imposto il nome Qeys.38

26
Compì un anno e la sua bellezza si accrebbe ancora,
l'amore che era in lui gli donava il ful gore di una
gemma. Crebbe così per alcuni anni, nei giochi e nella
gioia, nei giardini d ella tenerezza . Compiuto che ebbe
il settimo anno, le sue guance d i tulipano si adornaro­
no della prima p eluria e all ' età di d ieci anni39 le sue
fattezze addirittura ammalia vano e chiunque vedesse
pur di lontano il suo volto invocava su di lui la prote­
zione del cielo.
I l padre dispose allora d i affidarlo a un dotto mae­
stro, un severo maestro che incuteva timore agli allie­
vi, sempre assorti in studio e lezio n i . L ' arte di Qeys
nella lettura, quelle labbra d i rub in o che spargevano
perle,40 lo res ero superiore ben presto ai compagni di
ogni altra tri b ù : nessuno sapeva e guagliarlo nell' infi­
lare simili fili di perle.
Anche alcune giovinette, di nobile stirpe, erano con­
venute in quel luogo per studiare e apprendere .
E fra di esse ve n' era una d'impareggiabile bellezza :
una luna, una bambola, un tenero svettante cipresso,
una p iccol a b ella che soltanto con uno sguardo furtivo
avreb b e trafitto non uno ma m ille cuori : occhi di gaz­
zella che con un solo batter di ciglia avrebbero potuto
annientar e il mondo intero.
La sua b ellezza era araba, i l suo fasc ino quello di
un giovane paggio persiano : il suo volto risplendeva
come una lampada sotto il nero notturno dei capelli,
una fiaccola sotto le ali di un corvo. Dalla minuscola
bocca flu iva un torrente di dolcezze : e chi mai potreb­
be immaginare che con lo zucchero possano vin c ers i
eserciti?41
Dall'arco del mento alla dolce convessità della fron­
te, alle volute dei riccioli ambrati, la natura era stata
prodiga di doni con lei. Dal laccio r icurvo della trec­
c ia alla rotondità del neo,42 s i moltiplicavano le gemme
d ella sua bellezza . N el cuore di ognuno era amore per
lei : notturna era la sua chioma e L eyla il suo nome . 43
Qeys non appena la vide l ' amò, il suo cuore ven-

27
dette all'amore. E anche in lei pa l pitò l'amore per
Qeys .
G iunse l'amore e co l mò loro il calice di vino : e quel
solo calice li inebriò . Quand ' ebbero colto la rosa pro­
fumata de l l ' a m or e , vollero assaporare il suo profumo
ogni giorno: l ' uno rapito dalla bellezza dell'altro, il
cuore stordito e pur senza perdere i sensi, perd u ta­
mente innamorati in uno struggimento che mai s i
estingueva .
Gli altri erano intenti nella lettura, loro erano as­
so rti nella tenerezza ;
gli altri im pa ra vano a scrivere in arabo, loro scriveva­
no in una lingua diversa ;
gli al t ri studiavano s u i libri, l oro apprendevano l'a­
more;
gli altri imparavano le concordanze, loro ascoltavano
l'accordo dei propri cuori ;
gli altri contavano, numeri e numeri, per loro null'al­
tro che se stessi contava.

L'am ore di Ley la e Aiajniln

O gni giorno al fiorire dell'alba il fulgido sole d'ù­


r ien t e imbandiva sull'aurea mensa della volta c eleste
u n ' aran c i a d'oro. Leyla, giocando, mostrava la dolce
rotondità del suo m e n t o e chi guardava la bellezza d i
quella fresca e luminosa arancia appena matura n e era
turbato e ardeva come fuoco.44
Qeys, al manifestarsi delle sue gra z ie , patì cocente
gelosia cogliend o i p ensier i altrui al profumo di q uel
dolcissimo frutto.
Passò il tempo della gioia e venne per i due vinti
d'amore il tempo delle lacrime .
Giunse l'amore e rapì loro il cuore , e per sempre ne
sottrass e la pace. Per que l cuore che si erano donati
l'un l'altro divennero oggetto dei discorsi altru i . Il

28
velo fu lacerato da ogni parte, il segreto fu udito in
ogni strada. Quello che era miracolo divenne favola
sulla bocca di tutti. Tentarono di dissimularlo, affin­
ché il segreto non trapelasse; ma se anche non stilla
una goccia dal sacchetto di muschio, è l'intens ità del
suo profumo a rivelarlo!45
Qualcuno che sepp e di quell'amore, dalla sua bel­
lezza sollevò il velo. Pazientarono, tentarono di resi­
stere , per proteggere il loro amore svelato: ma può
forse essere paziente chi ama? Il sole non può nascon­
dersi sotto la creta! Spiato da mille occhi, come può
rimanere celato un segreto? E di fronte a mille ric­
cioli che incatenano, che altro resta se non farsi avvin­
cere dall e catene d'amore?
Da quell'istante, da quando furono costretti a guar­
darsi intorno, non poterono più scambiarsi che sguar­
di rubati. Qeys impazzì, le caten e d'amore lo avvinse­
ro. Folle d'amore, in alcun luogo poté più trovare ri­
poso. Era ancora insieme al suo idolo, ma l'inquietu­
dine era ormai penetrata dentro di lui . I l suo cuore si
ammalò e perse · il senno: la bisaccia si lacerò e l'asino
cadd e . 46 E quelli che mai come lui erano prec ip itati
n ella follia gli posero nome Majnùn.47 Lui stesso, con
l'ind igenza del suo aspetto, di quel nome dava testimo­
nianza . Dapprima mormorarono, poi se ne fecero bef­
fe, infine al Folle d'amore celarono la luna nuova ;43
p ri ma la azzannarono come cani, poi dalla gazzella se­
pararono il tenero agnello.
Leyla, privata di Majnùn, versò dagli occhi fiumi di
p erle preziose; Maj nùn, quando gli fu precluso il vol­
to di Leyla, versò un diluvio di traboccanti lacrime .
Si aggirava per strade e bazar, il volto in lacrime, il
cuore colmo d i tormento, e declamava versi di dolore,
declamava come gli amanti, piangendo. E gli altri da
ogni parte lo tempestavano : « Majnùn ! Majnun ! » . E
lui allora, veramente allentava le briglie alla follia.
Si sforzò di celare il segreto del cuore, ma l'incendio
del cuor e chi può soffocarlo?
Lu i nel dolore per l'amata, l'amata lontano da lui;

29
il c uore gonfio di dolore, il conforto del suo dolore
lontano da l u i . Come una can dela, aveva rinunciato al
sonno, il giorno non aveva quie te e la notte vegliava .
Vagava in preda ai tormenti, invano cercando un far­
maco per il corpo e p er l'anima. Con quella sola spe­
ranza leniva il dolore, con qu ella sola speranza pog­
giava il capo sul guancial e .
All'alba, o g n i giorno , scalzo correva n e l deserto ; lui
schiavo d ' amore, la sua amata p rigioniera, paghi am­
b edue del profumo l'uno dell' altro . Ogni notte, can­
tando versi n el dolore della s eparazione, veloce come
un jinn49 raggiungeva in segreto la dimora dell' amata,
n e baciava la soglia e tornava indietro; ma lungo era
il ritorno. All'andata volava come il vento del nord, il
ritorno era come durasse un anno intero ; all' andata
bru ciava m iglia, al ritorno era come se avesse spine sul
suo cammino; all' andata correva come acqua che si
vèrsa in un pozzo, il ritorno era irto di asperità. I suoi
piedi erano ricoperti di vesciche all'andata, ma era co­
m e se fosse in sella a un fulmineo destriero mentr e
c orr eva v erso l ' amata ; m a quando faceva ritorno verso
l ' aria malsana di casa sua era come se il vento lo so­
spingesse e un pozzo gli sbarrasse il cammino . P erché
r itornare? Se il destino avesse esaudito il suo desiderio,
a casa sua mai più avrebb e fatto ritorno .

Descrizione dell'amore di Majnun

Sultano del trono dell'alba nascente, condottiero


d el l ' es ercito degli inconsolabili, asceta in ritiro sulla
via della tenerezza, folle in catene della contrada dei
giochi d ' amor e , canone dei cantori di Baghdad, vendi­
tore al mercato dei lamenti, monaco della chiesa del
rimp ianto, Harut dei folli d ' amore, Cosroe senza tro­
no e s enza corona, allietatore del cuore di centomila
diseredati, signore dell'esercito delle formiche, domi-

30
natore degli onagri, espugnatore dei castelli della ten­
tazione, difensore del convento indifeso : 50 Majnun,
l'estraniato, il cuore trafitto, era sconvolto come un
oceano in tempesta .
Ogni giorno, al chiarore dell'alba, insieme agli ulti­
mi amici che gli erano rimasti vicini, vagava intorno
all'accampamento dell'amata. All'infuori del nome di
Leyla null'altro ascoltava dei discorsi che udiva; chiun­
que parlasse d'altro, non sentiva, non dava risposta.
La tribù di Leyla aveva fissato i suoi accampamenti
fra i monti del Naj d,51 e in nessun altro luogo poteva
restare Maj nun. Il fuoco dell'amore e l ' intensità del
suo tormento non gli consentivano di sopravvivere in
altro luogo. Vagava fra quelle montagne, cadendo e
rialzandosi come un ubriaco, declamando versi e cor­
rendo da una parte e dall'altra; finché una volta, gli
occhi colmi di lacrime, così si rivolse al vento dell' est:
« O vento dell'est, levati all'alba, e sospeso fra i ric­

cioli di Leyla sussurrale:52 " Colui che per te ha rinun­


c iato a tutto giace a terra sulla strada che conduce ver­
so di te. Ricerca il tuo alito nel vento dell' est e alla
terra racconta del suo dolore per te. Inviagli uno ze­
firo dal luogo in cu i sei, mandagli un po' di polvere
p er dargli un segno che pensi a lui! S'io non tremassi
come una foglia a causa tua, m'importerebbe forse di
polvere e vento? S ' io non ti avessi dato in pegno la
vita, meglio sarebbe perderla che sopportare questa
infelicità ! Se non fosse per il fuoco del mio amore, la
piena del dolore mi travolgerebb e , se non fosse per le
lacrime amiche, il mio cuore brucerebbe divorato dal
mio desiderio di t e . P erfino il sole, fiaccola dell'uni­
verso, arde per i miei gemiti infuocati. O c ero nasco­
sto della mia anima, non addolorare la tua falena ! 53
La magia del tuo sguardo ha legato il mio sonno, ha
trafitto il mio cuore. O dolore tu sei il conforto della
mia anima, sei la ferita e insieme l'ungu ento che la
risana. Anche un minuscolo frammento del tuo labbro
sarebbe dolce per me, se potess i inviarmelo, giunge­
reb b e come farmaco esilarante a sanare questa follia

31
che m' incatena. O mia luna, è stato certo il malocchio
a separarmi tanto improvvisamente da te! Sì, che altro
se non il malocchio può avermi fatto sfuggire di mano
un f u lgid o frutto maturo come te? Il destino ha pun­
tato il d i t o e ha inflitto una ferita mortale. È per di­
fesa dagli sguardi malvagi, lo sai, che tracciano segni
c o lor indaco sulle guance dei neonati ; è per schermarsi
che il sole si tinge il volto d'azzurro, il suo eclissarsi è
difesa dalla ferita dell' occhio malvagio ! Poiché il mon­
do in ogni mo d o tenta di sottrarti il tesoro che non sia
p rotetto da un velo ! » .54
"

Majnun vede Ley la

Un giorno, era l'alba, l'etere avvolto di seta si ador­


nò dell'aureo orecchino del sole e per il fuoco di quel
sole l a r ge nt o vivo delle stelle trapassò in vermiglio .
'

Majnun, il cuore tremante come argento vivo, insieme


ai pochi amici che ancora si prendevano cura del suo
tormento, gi u n s e vagando nei pressi della dimora del­
!' amata, declamando versi e salmodiando « Lab b ey­

ka » .5 5 Correva col cuore sconvolto, lacerata ormai la ve­


ste della sopportazione, correva, si arrestava, avanzava
onde gg iando come un ubriaco, percuotendosi il vol to e
l e membra ; quando le redini del cuore gli furono sfug­
gite di mano, ebbro raggiunse la tenda dell'amata.
S eduta alla maniera degli Arabi, dietro la cortina
del padiglione la vide e ne ebbe struggente nostalgia ;
l a vide dentro la tenda e ruppe in lamenti : 56
Leyla è la luna nella lettiga,
Maj n u n ne è, c ome il cielo, il custode,
Leyla ha rialzato il velo,
Majnfm prolunga i lamenti,
Leyla è come se avesse un liuto nel petto,
Majnun come una ribeca poggia la mano sul capo,51

32
o

I . M aj nun condotto in catene da una vecchia mendicante alla tenda di


I .cyla (Khamsè d i Neiaml, 1 539-43. Miniatura attribuita a Mir Sayyed
' A li, British Museum).
No, non è Leyla, ma l'aurora che illumina il mondo,
No, non è Maj nun, ma il c ero che ardendo si consuma !
Non sono Leyla e Maj nun, ma un giardino in un giardi­
no e l' incandescente bruciore del marchio sul marchio ! 58
Leyla è la luna, vivida di luce,
Maj nun una languida canna ;
Leyla è l ' alb ero in fiore,
Maj n un una vile moneta.
Che d ire di Leyla? È un angelo .
E Majnun? Non altro che un fuoco.
Leyla è un gelsomino che non ha visto l'au tunno,
Majnun un prato autunnale ;
a Leyla l 'aurora accende le guance di rosa,
Majnun come un cero s i estingue davanti all'aurora ;
Leyla batte languidamente le ciglia, i riccioli sulle
spalle,
Majnlin è il suo schiavo, immoto n ella fedeltà ;
Leyla bevendo lenisce le sofferenze dell'anima,
Majnun nell' estasi del samii' fa ruotare la veste ; 59
Leyla cuce seta dipinta.
M aj nu n brucia ruta selvaggia,6()
Leyla come un bocciolo di rosa fiorisce,
Maj nun rinfresca gli occhi con l'acqua di rosa ;
Leyla ha in mano il calice profumato di muschio,
Majnlin è ebbro, non del vino, ma del suo profumo .

Lui si appagava del profumo di lei, lei si appagava


della ricerca di lui. Per t imore dell'occhio scrutatore
dei guardiani, si contentava di restare a distanza come
uno stran iero ; 61 finché il destino non colse un pretesto,
e anche quello sguardo lontano dovette svan ire.

Il padre di l\1ajnun chiede la mano di Ley la

Quando gli fu sbarrato il cammino che conduceva


all'amata, quando ogni ponte fu ormai tagliato, Maj ­
nfm, struggendosi n e l tormento della s eparazione, tra-

33
scorreva l' intera notte cantando versi d'amore : fuggi­
va da casa e ca n t a n do vagava per le montagne del
N aj d .
Anche gli ultimi amici lo abbandonarono, ora che
si agg i rava nudo,62 ot t en e brato dalla follia. La ruota
del destino aveva gi rat o e ora nell' ignominia era dive­
nuto favola s ull a bocca di tutti. Anche gli amici lo
b i asimavano e infelice era suo padre all'udire quel che
s i raccontava d i lui.
Lo consigliarono ma non ascoltò, gli parlarono ma
non udì . C ' è forse posto p er i saggi consigli là dove è
entrato l a m o r e ?
'

I l misero padre aveva il cuore sconvolto per la fol­


lia di q u ell un ico figl i o assistendo alle sue stravagan­
' ,

ze, i ncap a c e di porvi rimedio . Si rivolse allora ai suoi


c onsigli eri e q u e l l i gli raccontarono come fosse sulla
. bocca di tut t i che egl i ormai aveva dato il suo cuore a
una fanc iull a a tal punto da uscir fuori di sé.
,

Udito i l racconto, il p a d re volle dissipare ogni nube


dal volto di r os a del figlio, volle incastonare sul diade­
ma dei suoi desideri quella gemma illuminatrice del
.
mondo,63 q u el la gemma fra le gemme degli Arabi volle
donare al l a pupilla dei suoi occhi.
Anche gl i anziani della tri b ù furono di un unico av­
viso ; e ac co l s e ro unanimi il suo desiderio di accoppia­
re a l l a p erla del suo man to quella purissima perla non
mai forata.64 L'assemblea espress e concorde l ' intenzio­
n e d i partire : forse sarebbe stato possibile con le nozze
riunire i l folle alla luna nuova.
Allora Sayyed 'A.meri non pianse più e d i nuovo sor­
rise e i preparativi per la partenza furono approntati
con magnificenza e sp l endo re .
Quando la gente della tribù di Leyla, nobili e po­
polo, se ppero del s uo arrivo, uscirono in festa per ac­
coglierlo con gioia sincera e provvidero ai doveri del-
1' ospitalità con generosa munificenza. Domandarono
quindi a Sayyed ' Amer1 quale fosse la cagione della
sua vis i t a ; d i q ualsiasi c o sa avesse necess ità non doveva
che chiedere, se gli occorreva essere difeso essi erano

34
pronti a difenderlo e poterlo fare sarebbe stato per
loro un onore.65
« Ciò che sono venuto a chiedervi » rispose loro
Sayyed 'A.meri « non ha a che fare con la guerra; ciò
che io vi chiedo reca in sé la luce dell'amicizia » e ri­
volto al padre della fanciulla proseguì : « Io desidero
che i nostri figli possano unirsi in matrimonio; il cuo­
re assetato del figlio del deserto ha posto lo sguardo
sulla tua fonte e solo quando l'assetato può attingere
alla sorgente da cui sgorga l'acqua della grazia può ri­
sanarsi. Ecco perché sono qui, e non ho certo da ver­
gognarmi per ciò che ti chiedo. Tu ben conosci la
fama di cui godo in Arabia, sai che possiedo immensi
tesori e immenso seguito, strumenti di amicizia e di
vendetta; ora io sono qui per comprare, se sei un in­
tenditore non rifiutarti di vendere la tua merce. Qua­
lunque sia il prezzo che chiederai, troverai in me il
miglior compratore. Qualunque tesoro essa possa va­
lere, vendila ora che è il suo momento ! » .66
Quando l ' eloquente discorso fu terminato, così gli
rispose il padre di Leyla: « L e tue parole non si accor­
dano con i miei intendimenti; tu parli così ma il cielo
ha i suoi disegni e se anche le tue parole sono eloquen­
ti non basterebb ero a soffocare il fuoco della maldi­
cenza. Tu non hai contato che l'amicizia, ma le insi­
die del nemico sono infinite. S e anche tuo figlio è
adorno di ogni ornamento, la sua stravaganza non pro­
mette nulla di buono, la sua follia è man ifesta e non
si conviene a un mio pari dare in sposa la figlia ad un
folle. I nvoca dunque il soccorso divino con la preghie­
ra, e quando il Signore ti avrà concesso la sua guari­
gion e, allora vieni pure a parlarmi di matrimonio ! Ma
finché tuo figlio non avrà ritrovato il senno , non vo­
glio più udire una sola parola di questa storia. Non è
lecito scamb iare una merce buona con una cattiva,
non è lecito incastonare in uno stesso monile una gem­
ma purissima e una pietra macchiata! Sai b ene quanto
gli Arabi considerebbero ciò vergognoso; immagina
35
cosa si direbbe di me se accettassi un s imile pa t t o !
O rs ù , d i ment i ca le p ar ole c h e mi h a i dett o ! » .
Così rispose il padre di Leyla e tacque. N ull'altro
rimase ai Baml '.Amer se non la via del ritorno. Delu s i
ripercorsero i propri passi, offesi r itornarono alle pro­
prie d i m ore ; ciascuno in cuor suo era infelice come
uno straniero, ciascuno sentiva l'oltraggio di quelle
parole.
Cercando allora un farmaco p er il Folle d'amore,
presero· ad esortarlo, e s u l fuoco gettarono spine d i­
cendo : « Qui, in mezzo alla tua gente, puoi trovare
ben altra sposa, qui ti è consentito scegliere fra id o l i
lab bra di rubino, l o b i di perla che emanano
delizìosi,
profumo d i muschio e d ' ambra, fanciulle vestite di
puri lini d ' Egitto, più soavi della primavera ! D i fron­
te a tante b el l ezz e che pu o i trovare fra la tua gente,
p e rch é adorare una stran iera? Scegli, suvvia, noi non
desideriamo altro per te che un idolo pieno di grazie,
una compagna che ti accarezzi l'animo, che si accordi
con te come i l latte col miele! ».

Disperazione di .Majnun

Tale fu l' amarezza, che M aj niin cominciò a vaneg­


giar e, a percuotersi le membra e a lacerarsi le vest i .
A che s erv e a un morto il sudar io? Colui c h e fuori da
questo mondo e dall' altro erige il suo trono, come po­
trebbe lasciarsi c ingere da una veste?67
Come Vameq per il desiderio di 'Adhra'68 prese la
via dei monti e del deserto, come un nomade preparò
il suo fag otto e p a rt ì Lacerò la camicia e serrò la cotta
.

di m a gli a spezzò la catena e bruciò la corda : 69 di lon­


,

tano era simile a uno straniero, la veste lacerata fino


al collo , amico ormai solo della propria morte. E non
vi era chi non sfuggisse la su a vicinanza.
Assunte le se m b ian z e di un folle, gridando in ogni

36
d irezione il nome di Leylà, la candida veste strappata,
il corpo discinto, precipitato n ell'abiezione, senza più
discernere il bene dal male, cantava canti d'amore a
diletto dell'astro dello Yemen .1° E ogni verso che pro­
nunciava si imprimeva nella m emoria di chi lo ascol­
tava come un marchio d i fuoco ; la gente lo seguiva in
preda a stup efazione e chiunque lo incòntrava non po­
teva impedirsi di versare lacrime su d i lu i .
Ormai non aveva più nulla i n comune con gl i altri
uomini, era come se dal libro del mondo avesse can­
cellato il suo nome, non era morto e non apparteneva
più ai vivi. Era precipitato sulla dura pi etra, sprege­
vole come argilla, e una pietra era precipitata sul suo
cuore . Fra quelle du e pietre il suo cand ido corpo era
schiacciato dal dolore. Era simile a un cero consuma -
to, a un colombo separato dalla compagna; il suo cuo­
re ardeva del marchio di fuoco del dolore, il suo viso
era ricoperto di polvere.
Quando fu esausto di quel supplizio, uscì dalla mol­
titudine e si isolò. Srotolò la sua stuoia e vi sede tte, e
nel lamento lasciò fluire il dolore : « Ahimè, che fare,
dove trovare un farmaco p er il m io dolore? Vago lon­
tano dalla mia casa, tanto da non sapere più la strada
p er ritornarv i ; non c'è monastero cu i chiedere asilo ,
non c ' è via per raggiungere la dimora d e l l a mia amata;
il calice d el buon nome si è ormai frantumato sulla
dura pietra; il tamburo, annunciatore di gioia, è lace­
rato e non resta che il tamburo dell'addio. O Turca,7t
di cui io sono la debole preda, delle cui frecce d i piop­
po io sono il bersaglio, tu sei l 'amica cui la mia anima
è sottomessa, presso la quale io intercedo per essere uc­
ciso. Se mi vuoi ebbro, io lo sono , se m i vuoi pazzo
d'amore, io lo sono: non c'è catena che possa placarmi .
A tal punto sono prostrato che i miei occhi non po­
tranno più vedermi risorgere . O terra, potessi inghiot­
tirmi tu che mi hai distrutto ! Oh, volesse il cielo che
un fulmine violento, schiantandosi su cli me, bruc iasse
in sieme la casa e tutto ciò che è dentro di essa! Perché
un fuoco non d ivampa, che trascin i via la tristezza da

37
me insieme con la mia vita? N essuno che mi getti nelle
fauci d i un drago e liberi il mondo dalla mia ignomi­
n ia ? I o ignobile c r ea tur a , io folle agli occhi della gen- ·

te, io d i so n o re della mia famiglia! Sono una spina nel


cu o r e dei miei, gli amici hanno onta del mio stesso
nome. Versare il mio sangue è ormai lecito a tutti,
s enza t agl i on e o riscatto.72 Addio amici delle feste di
un tempo, a dd io a tutti ! Ormai quella coppa di vino
che av evo in m a n o è caduta, la coppa s i è infranta e
il vino si è s pa rso. Ma non temete, se venite da me, di
ferirvi le piante d e i piedi, che se il calice si è frantu­
mato la co rre n t e delle mie lacrime ha già trascinato
tutto lontano .
« O voi che ign o ra t e cosa sia il dolore, via da me,

andatevene ! Io sono p erduto, non ven ite alla mia ri­


cerca, non sprecate par ole con chi si è perduto ! Fin
quando continuerete a opprimermi, fin quando vorre­
te p e rs eg u i t ar m i ? Lasciatemi finalmente solo con il
mio dolore ! Non dovete più cacciarmi dalle vostre di­
more, me ne vado da solo, da solo !
« Amica mia, mia amata, sono caduto, soccorrimi,
dammi la m a no ! Sono esausto, ma ti ho dato in pegno
il mio cuore: ed è meglio pur sempre vivere per te,
che morire per t e ! Sii clemente, fammi la graz ia di un
saluto, vivifica il mio a nim o con un tuo messaggio !
Tu se i pr igi on i era , lo so, ma perché? Io sono il pazzo
da tenere in ca t ene , non tu. Getta un laccio intorno
al mio collo, ti prego , che è più dolce per me stare in
catene; il tuo ricciolo ha lacerato ciò che il cuore ave­
va unito : da chi ha imparato quel boccolo impudente?
Ma no, non è sua c o l pa se m i ha rapito il cuore : puoi
forse incolpare un Indù se riesce a illuderti?73
« Fa' q u al c o s a , ti supplico, o mia unica meta, affin­

ché io possa risorg ere dal baratro in cui sono precipi­


tato, dammi una ma n o per sollevarmi da questa in­
felicità, oppure porgimi il tuo p iedino e lascia che lo
bac i ! Abbi p i e tà di me, perché mi hai abbandonato?
Perché non mi hai chiamato?
« L'uomo tranquillo, i g n a ro del dolore, non ha idea

38
dei tormenti di chi soffre : chi è sazio e davanti all'af­
famato imbandisce una mensa, educato assaggia anche
lui un po' di cibo, ma conosc e forse la fame? Soltanto
colui che mette la mano senza paura nel fuoco, cono­
sce l ' a rd or e del fuoco .
« Ma non siamo ambedue esseri umani? Che dico, io
sono una s p in a , tu u n r a m o fiorito: e d ov e mai l'arse­
n ico può av e re il v alor e d ell'oro? O conforto della mia
anima, dimmi, dove sei? Che senso ha porta'.rmi via la
vita così? All ' infuori d el l ' a mo r e che nutre per te, la
colpa del mio cuore che implora p erd o n o, qual è? Sii
con m e una sola notte fra m i ll e, agisci per una sola
volta con equità e non rifiutarti di e s aud ire il m io de­
siderio ! La colpa di qu e s t o peccato r icadrà tutta sulla
mia anima . Qu esto miserab ile che ha perduto tutto,
cui non è rimasto nemmeno il nome della miseria,
spasima per te! S e il fuoco della tua ira infuria, gettac i
l ' a cq ua d e l l e m i e lacrime per placarlo ! O m ia luna
nuova, i o sono un astro che i l tuo sguardo ha fatt o im­
pa zzi re . Persino alla mia ombra non chiedo di te, per­
ché t emo che sia mia r ival e ; e tu anche la tua ombra
hai separato da me. Mi hai rapito il c uore e la vita:
questo non è un gioco innocente, ma un gioco crudele.
« E cosa mi è stato dato in c amb io del su p pli zi o che
ha posto i l mio nome sull a bocca di tutti? Null'altro
che vano d olore . Ma sebbene m i sia preclusa l' unione
con te, io non soffro finché vivo nella speranza. Ma
qu a l e sp eranza? È s im i l e a quella di un bimbo assetato
che vede in sogno una mano porgergli un calice d'oro
colmo di fresca acqua, ma al risveglio tutto è scom­
parso e non gli resta che suggersi il d i to .
« Eppure , nulla esiste che possa strapparmi dal cuo­
re il mio amore per te : è un segreto che nessuno può
decifrare, u n segreto che è entrato a far parte di me
con il latte materno e che solo mi ab ba ndone r à quan­
do la vita mi avrà abbandonato » .
Così d iss e e cadde n ella polver e ; e tutti coloro che
avevano a s c ol tat o le sue parole piansero. Poi lo raccol­
sero p ietosamente e lo ricondussero alla casa paterna.

39
L'amore che non è e t e rn o è gioco, è giovanile p ia­
cere dei sensi ; amore è quello che mai non muta, amo­
re è q uello che n on ha fin e ; amore non è vana follia',
non è gioco e illusione. M aj nun, che ha legato il suo
nome all' amore, dell'amore ha raggiunto la conoscen­
za su bli me ; e finché è vissuto s u q uesta terra ne ha
portato il fardell o . Il suo amore è stato come una rosa
profumata. E anche ora che la rosa è svanita, una goc­
cia del suo profumo persiste, e ancora, sappi, il profu­
mo d i q uella rosa mi è dolce.

k!ajnun è condo tto in pellegrinaggio alla Ka' ba

Più lo stendardo dell 'amore di Majnun si innalzava


vittorioso nel cielo, come Leyla, la sua luna, s ignora
della volta celeste, p i ù egli si incurvava, sp r o fo ndand o
n ella follia: po ic h é non c'è delirio d'amore che non
sia portatore d i malattia e di dolore . La fortuna gli
aveva volto le spalle per sempre . Ma il padre, pur tor­
m ent ato dall'infelice d es tin o del figl io, tenacemente
s perava, e ogni giorno rendeva grazie al S ignore per
quel supplizio bruciante, co n fi d an do che dalle tenebre
potesse ancora risorgere la lu ce del giorno.
Tutti erano p artecipi del suo stato, tutti cercavano
di applicarvi rimedio; ma potevano forse arrivare a
immaginare la sua disperazione ? Infine, un solo pen­
siero p arve a tutti come l' estrema salvezza : condurlo
al sacro tem p io della Ka'ba, meta di pellegrinaggio per
il mondo in tero mehriib del c ielo e della terra .74
,

Sayyed Ameri accondiscese e non appena fosse giun­


'

to il mese del pellegrinaggio, fu d isp o sto di partire .


Tutto fu dunque approntato per il viaggio e, radu­
n ati i cammelli, la carovana ebbe ordine d i porsi in
cammino . Con mille p rem u re Sayyed ' A.meri fece ada­
giare l'amatissimo figlio nella lettiga e partirono . Il
cuore del vecchio era in tumulto quando giunse in

40
presenza della Ka'ba e si prosternò : una pro fusione
d ' oro elargì in elemosine, auree monete gli mulinava­
no intorno come una temp esta di sabbia.
N on app ena lo splendore della Ka'ba fu d ava n ti ai
suoi occhi, l'ansia lo assalì di ve d er e esaudito il suo
voto . Dolcemente pre s e i l figl i o per m ano e con dottalo
all'ombra della Ka'ba così prese a dirgli: « Figlio mio,
eccoci al luogo in cui ogni gioco p er v ie ne al s u o ter­
min e . Affrettati, poiché solo qu i, al cosp etto del sacro
tempio, potrai salvarti. Intorno alla Ka'ba congiungi
le mani affinché tu p os sa essere liberato dalle catene
del do l o re e p r o n u ncia queste parole : Mio S ign ore, "

fa' ch'io possa essere vittorioso, e l i b erarmi dalla mia


follia ! Sii misericord e e offrimi asilo ! Assistimi, io so­
no vittima dell ' amore: lib erami , per pietà, dalla ten­
tazione del m io amore! " ».

Udendo queste p a r ol e p i an s e Majnun e rise forsen­


,

natamente nello stesso tempo. Poi, con u n guizzo, si­


mile a un serpe che si attorce, si scagliò contro la
porta della Ka'ba e p re se a p ercuoterla urlando : « Ec­
c o m i , sono io che oggi batto a questa porta, io ch e ho
venduto la mia vita a l l ' a m or e e p o s s a io
, n on cessare
mai di ess erne schiavo ! M i dicono : " Separati dall'amo­
re l Non e' è altra vi a che possa condurti alla salvezza ! " .

M a io dall'amore traggo i l mio alimento d a semp r e ,

se fin isce l' am or e io finisco di esistere . L'amore mi ha


nutrito, l'amore mi ha allevato, e io non desidero altro
destino che l'amore ! E p o s s a il cuore che mai ne ha
sp erimentato le pene essere travolto dalla piena del
dolore ! Signore, ti su pp lico, per la divinità della tua
divina natura e per la p erfez io n e della tua regalità, fa'
che dell'amore io possa attingere l a vetta suprema: che
esso continui a esistere anche quando io non sarò più!
D o nami la l uc e della sorgente d ell am o r e, e fa' che i '

miei occhi mai ne restino p r ivi ! E se


del v in o dell'amo­
re io sono ebbro, fa' che io n e sia mille v o lte più eb­
bro ! Mi dicono : L i b e ra il cuore dal desiderio di
"

Leyla! Ma io t i supp lico accresc i ogni istante di più


".

il mio desid erio di lei ! Prendi, S ignore, quanto resta

41
della mia vita e aggiu ngil o alla sua vita ! Se anche il
dolore m i ha reso più sottile di uno dei suoi capelli
di seta, io neanche un capello l e torcerei . Che essa mi
p u n i sca e m i mortifichi, purché il mio calice non sia
mai vuoto del suo v i no purché il mio nome non sia
,

mai privo del suo sigillo! Possa la mia vita essere im­
molata alla sua bellezza, e il mio sangue innocente es­
sere l egitt im a m e n t e versato per lei ! E se per lei io mi
estinguo come un c ero che io non trascorra giorno
,

senza es tingu erm i come u n cero ! E possa l' amore che


già o ra interamente m i pervade, accrescersi ancora,
m i ll e volte di più! » .75
Questa fu la pr egh i e ra di Majnfm e il padre ascoltò
l e sue parole in silenzio. Seppe ormai che il cuore del
figlio era irrimediabilmente in catene, seppe che per
il suo male non esistevano farmaci .
Tornato fra i suoi, raccontò loro c i ò c h e aveva udi­
to. « S e n tii un mormorio u scire dalle sue labbra, e il
sangue mi ribollì, come l'acqua del pozzo di Zamzam .
Mi dissi: " Forse sta re c i t a ndo parole che lo lib ereran­
no dalla ca l a m ità di Leyla! . Ma lui espresse solo il
"

suo desiderio : lo udii m a l ed ire se stesso e invocare su


Leyla la benedizione del cielo » .

Il padre d i Majnun apprende i propositi


d i vendet ta della tri b ù di Ley lii

La s to r i a della preghiera di Maj nun al sacro tempio


della Ka'ba p a ssò di bocca in bocca e si divulgò : non
v era ormai più chi non sapesse del giovane che per il
'

troppo amore aveva s ma rr i to il senno. E fra coloro che


ne udivano raccontare c era chi lo biasimava e lo co­
'

priva d i insulti e c'era chi lo elogiava e lo venerava .


Leyla, oppressa da tanto mormorare sulla follia di
Majnun, p i a ng eva appartata nel suo dolore. Finché un
giorno vennero da suo padre e gli riferirono d i come
42
quel giovane figlio del deserto stesse macchiando il
buon nome della sua tribù. « Scarmigliato si aggira
intorno alle nostre tende, una marmaglia lo segue, cani
senza catene, e ignominiosamente ora s i mette a dan­
zare, ora s i prosterna a baciare la terra. E incessante­
mente compone versi d'amore : e ohimè, i suoi versi
sono meravigliosi, e soave la sua voce ! Canta, e chi lo
ascolta manda i suoi vers i a memoria e il buon nome
della nostra gente è gettato al vento . L eyla a cagione
d i tanto rumore è segnata da un marchio : un turbine
rovinoso d i vento s i abbatte su quella fi accola risplen­
dente e minaccia d i estinguerla . Ordina ch' egli sia pu­
nito e questa pestilenza sarà infine allontanata da
lei! » . Quando l' autorità venne a conoscenza d i quan­
to avveniva, per Majnun fu come essere un ladro brac­
cato : quegli sguainò la spada, l' affilò e disse : « Con
questa gli sarà data risposta ! ».
Un uomo della tribù dei Banu ' Amer ne ebbe noti­
zia e immediatamente riferì ciò che aveva udito a
Sayyed 'A.meri : « Impedisci, finché sei in tempo, che
una tragedia si compia ! Quello sheykh è un uomo spie­
tato, è una fiumana che travolge, un fuoco impetuoso !
Io temo che Maj nun sia all' oscuro di tutto e quando
saprà sarà ormai troppo tardi per la sua testa ! Occorre
metterlo in guardia, occorre avvertirlo che davanti a
sé ha un b aratro spalancato, prima che vi precipiti ! » .
I l cuore d e l vecchio padre trep idò . Immediatamen­
te fu dato ordine a due giovani amici del figlio di cor­
rere come il vento sulle sue tracce. Gli amici partiro­
no, corsero ansiosi alla sua ricerc a : ma p er quanto cer­
cassero non ne trovarono traccia. Pensarono allora che
il, suo destino d i morte lo avess e raggiunto, che le
fiere lo avessero aggredito. E fu così che amici e pa­
rent i della sua trib ù piansero e innalzarono alti la­
menti p er la sua scomparsa.
Ma lo schiavo d 'amore non era morto : viveva in ri­
tiro, celato come un tesoro sepolto nella terra . Dai tu­
multi del mondo s i era posto al riparo, al suo orecchio
non giungeva se non il silenzio.

43
Il lupo sa avere la forza di un leone, ma vale pm
una volpe di un lupo che è sazio : un falcone che non
ha bisogno d i cibo non va a caccia di pernic i ! Mentre
all' affamato s embra buono anche un po' di pane raf­
fermo, per chi è sazio anche il pane più squisito che
vale? Quando la natura si accende p er l'a pp etito, an­
che il duro miglio appare tenero, mentre il twlva', che
p er tutti è un dolce squisito, per chi è afflitto da vo­
mito non è che veleno!
M ajnun, che alle dolcezze della vita non aveva par­
te, assaggiava dei cibi che gli donavano come fosse ve­
leno. Ma no, il suo dolore , per quanto estremo non
era tale da potersene addolorare : quel dolore gli con­
sentiva di essere libero dalle catene d i s é .
Soffriva ricercando un tesoro per raggiungere il qua­
le non trovava la via .
Ed ecco che cosa accadd e . Fortuna volle che un uo­
m o d ella tribù dei Banù Sa'd si trovasse a passare di

lì ; lo vide in quell ' angolo desolato e gli parve un mi­


raggio . Suo unico asilo erano i suoi impareggiabili
versi : all' infuori di quelli non aveva nient'altro.
Come l ' arciere del suo destino, era ricurvo nella pro­
strazione e dritto n ella fedeltà; nella sua sofferenza i
due elementi si congiungevano come l'arco alla frec­
cia. All' infuori dei suoi lamenti non ha compagno
a lcuno , all' infuori della sua ombra non gli è accanto
nessuno.
L ' uomo della tribù dei Banù 'Amer, quando scorse
Majniin, vid e dinanzi a sé una figura di singolare b el­
l ezza ; ma per quante domande gli rivolgesse non ebbe
altra risposta se n o n il silenzio.
Quando ogni speranza svanì di udirlo proferire pa­
rola , lo abbandonò e fece ritorno alla sua gente e rac­
contò loro ciò che aveva visto: « Vive n ella p i ù asso­
luta desolazione, simile a un serpe che si attorce sulla
nuda roccia; folle di sofferenza e di dolore, come uno
spirito si. sottrae alla vista degli uomini. Del s uo corpo
non restano che le ossa per l' infelicità che lo con­
suma » .

44
Il padre d is perato di fronte a ciò che gli si svela va,
abbandonò la cura degli affari del regno e partì alla ri-
erca del fi gl io . Dopo lunghe ricerche lo trovò infine
in un angolo desolato, riverso sul la dura pietra che
cantava sommessamente versi d'amore alternandoli a
tenu i lam enti e intanto versava lacrime co c en t i , ora
alzandosi ora abbattendosi al suolo q ua si a simboleg­
g·iare il proprio destino . Del vino d e ll estasi era ebbro
'

a tal punto che l ' esistenza d i chiunque altro nel mon­


do era fuori dalla sua percezione.
Il padre lo strinse fra le sue braccia e dolcemente
prese a rincuorarlo . E a l lora _ M ajniin, ombra evane­
scen te di fronte alla saldezza paterna, si prosternò ai
suoi piedi e così supplicò : « Padre mio, trono e coro­
na della mia vita, per donam i , te ne supplico, poiché
a me è precluso di perdonarmi ! Guardami e non chie­
dermi d e l mio stato, ma incolpane il destino ! Vorrei
versare sangue, poiché i tu o i occhi sono costretti a ve­
dermi in un simile stato, i l m io v i so è incenerito dalla
vergogna! Da t e che sei giunto fin qui per vedermi,
come potrei sperare il perdono? Eppure tu sai che non
s iamo noi a reggere il filo d el nostro destino ».

Paro le del padre d i J.V!.ajnun a l figlio

D i fronte a tan ta infelicità, i l vecchio padre ruppe


in lamenti, si strappò via i l turbante e gemette come
un usign o l o al crepuscolo, mentre la luce del giorno
si ott e nebrav a ai suoi occhi. « O p e t al o di rosa sgual­
c it o e strappato, o Folle d'amore senza pace, tu così
acerbo e già consumato dal fuoco della pa s sione ! Di
chi lo sguardo malevolo si posò sulla tua bellezza? Di
chi la maledizione t i ha inflitto il castigo? Per quale
sangue versato devi espiare?76 Folli d'amore al mondo
ne sono esistiti, ma non a tal punto avversati dal de­
stino, per loro le avversità si sono infine appianat e .

45
« Ma tu non sei ancora stanco di soffrire e di subire

le contumelie dei nemici? Il tuo cuore non è ancora sa­


turo di abiezione? Non sei iorse anche tu una creatura
destinata a risorgere? Basta con questa folle passione
che trascina via con sé il tuo onore e il mio! Compor­
tarsi come uno sposo senza che vi sia un patto di ma­
trimonio è colpa grave; e se anche è bene tener celate
le proprie colpe, meglio è vederle nello specchio ami­
co degli amici, affinché riconoscendole in questo spec­
chio si possa purificarsene! Placati, lib era il cuore
dalla sofferenza, è meglio questo, credimi, che gettare
invano la vita! Prendimi come confidente, come inti­
mo amico, quell'amico '.che con ostinazione continu i a
tenere a distanza, cui a malapena di tanto in tanto con­
cedi uno sguardo ! Chi si isola con le proprie passioni
a forza di fuggire rimane solo. La tua afflizione non è
che ebbrezza senza vino; il tuo desiderio non è che
idolatria del desiderio senza speranza. Sei fuggito get­
tando al vento la mia felicità, e io sono restato per la
gioia del nemico. Tu percuoti le corde dell'arpa, io
mi percuoto le membra, tu laceri la tua veste, . io mi
lacero l'animo e se l'amore a te ha incendiato la men­
te a me ha incenerito il cuore.
« Non disperare, ti supplico, di trovare un rimedio

alla tua infelicità: non germoglia forse la pianta da un


seme celato nella terra? E proprio ciò in cui non ripo­
ni speranza può rivelarsi cagione di speranza: la dispe­
r azione racchiude in sé la speranza, come le tenebre la
luce. Ricerca la compagnia dei fortunati e cessa di fug­
gire la buona stella : è con la fortuna che i desideri so­
no esauditi, non fartela sfuggire di mano, è la fortuna
che fa sciogliere i nodi, è la fortuna il sigillo vittorioso
della divinità. Se saprai attendere non c'è dubbio che
essa, a poco a poco, finirà p er raggiungerti ! Anche
l'oceano si è fatto oceano da una minuscola goccia
d'acqua, e quella montagna che s'innalza fino alle nu­
vole non è altro che mucchietto di terra sopra muc­
chietto di terra! Sappi che armati di pazienza non è
difficile trovare un tesoro. Non essere irragionevole!
46
Un uomo che non fa uso della ragione è incapace di
camminare, è simile a un verme che striscia sulla ter­
ra ; mentre la volpe sa vincer e anche il lupo con la · sua
scaltrezza. Perché donare il tuo cuore a qualcuno che
non avrà memoria di te, a una rosa che fiorisce senza
di te, m en tre tu sei lacerato dalle sue spine?
« Vita mia, anzi, più caro a me della mia stessa vita,
ritorna a casa con m e ! Qual b e n e ficio puoi trarre dal
lasciarti inghiottire da queste montagne? Che altro
puoi trovare in questa terra desolata, altro che pietre
e voragini pronte a divorarti? Non ti ostinare, il ne­
mico è in agguato, non scatenarti nella follia, ché fer­
rea è la catena del nemico !
« Anima m i a , s t a i in guardia, salva l a testa dalla spa­
da sguainata! Scegliti qualche amico fidato e vivi feli­
ce, a scorno del nemico ! ».

R ispos ta di l\1ajnun a l padre

Alle dolc i parole paterne , così rispose M ajnu n, la­


sciando fluire le parole dalle sue labbra zuccherine :
« O celeste maestà, o nobile statura, o signore di ac­
campamenti abitati e deserti, tu adorni com e un neo

d'ambra il volto degli Ara b i , tu sei la q i b la della mia


prosternazion e ! Io sono in vita graz i e alla tua vita e
possa tu vivere eternamente e D io m a i non voi?;lia che
io possa esser vivo senza d i te! I l tesoro cl i sag�i consi­
gli che hai riversato su d i me ha incendiato il mio
animo : ma che fare? N on per mio vo lere sono ca­
duto nella cenere dell'abiezione, non per mia scelta
ho intrapreso questa via. Sono incatenato d a una fer­
rea catena, esser prudente a che uotrebbe giovare? È
il mio destino, è una catena c h e non osso snezzare,
un fardello che non mi è lecito denorre . Né i o sono
l'unico oppresso in questo mondo : non c ' � occh io c h e
n o n abbia visto centinaia d i altri O".l nress i come m e .

47
Non per suo voler e l'ombra si cala nel fondo del poz­
zo , né per propria sce l ta la luna s i innalza fino allo
zenit nella volta celeste ! Dovunque tu guardi intorno
a te, dall'elefante alla formica, nessun essere ti sarà
dato incontrare che non soggiaccia alla forza del suo
destino.77 Dunque, chi mai potrà alleviare il peso che
opprime il mio cuore? Chi m·a i potrà affrancarmi dalla
ca t tiva stella che mi persegu ita? Chi può cancellare la
propria sfortuna? Se avessi il potere di farlo, io sarei
sole e luna i Ma po iché tu tto ciò non avviene per no­
stra scelta, non sta a noi m igliorarlo. Felice non posso
vivere: io sono infelice. Come il lampo io temo il sor­
r i so di fuoco delle mie labbra. M i dicono : " Perché
non sorridi ? Il pianto è stendardo di dolor e ! ". Ma io
temo che se lasciassi s p rigi onare la gioia del sorriso,
sarebbe fuoco a u sc ir fuori dalle mie labbra !
« Rifletti sulla storia di quella p ernice, che nel b ec­

co ghermì una form i ca, facendo violenza a quella d e­


b ole creatura. La formica proruppe allora in una fra­
goro sa risata e le disse: " Tu non sai mica ridere come
me! ". Alla risata della formica, la pernice dalla voce
modulata si sentì punta sul vivo : " Io s ì che so ridere,
non tu! le rispose, e ruppe in una risata argentina.
"

Ma mentr e la p e rn ic e rideva, la formica era già sfug­


git a alla sua p resa. Così, ogni volta che l ' uomo sorride,
di quel sorriso dovrà avere t imore : meglio mille la­
men ti che un sorriso che si a fuori luogo ! 78
« P o i c hé la m i a vita è fatta di pene e tormenti, chi

può da rm i la pace? Il vecchio asino che porta il suo


basto, finché è in vita non può che portarlo . E solo ri­
po s erà quando a forza di faticare avrà trovato la mort e !
« P uò forse c h i ama temere la spada? L a spada geme

per la testa degli amanti, ma chi ama non teme che


gli sia sottratta la vita, chi ama non teme nulla dal
mondo . Poiché la mia luna è celata dalle nubi, poiché
non mi è dato raggiungerla, non m i rimane che s p e­
rare che la spada si a b b at t a sul mio collo. E colui che
del sacrificio ha desiderio, è degno della spada e del
48
vassoio .79 Da una vita di rovente dolore, bello è preci­
pi tare in rovina ! Va' , abbandona queste rovine ! » .
Pianse il padre di Maj nii n all' udire le parole del
figlio, e in quell'angolo desolato e remoto rimasero al­
q uanto in silenzio, il padre in lacrime di fronte all'esi­
le corpo del figlio, che nudo giaceva a terra.
Poi, ancora una volta, lo condusse a casa con sé, e
insieme agli amici lo curò, c ircondandolo di t enerezze .
E i l folle amante, c o n fatica indicibile, pazientava .
Per qualche giorno visse in quel supplizio, rompen­
do in lacrime ogni volta che scorgeva qualcuno ; ma
alla fine lacerò la cortina e fuggì, correndo verso il de­
serto. Viveva esausto nel dolore : moriva, quella era la
s ua vita. L ' estasi dell'amore lo infuocava e lo rap iva
verso il N aj d, il luogo delle sue delizie.
Vagava n el Najd come un l eone s elvaggio, le piante
dei suoi piedi erano di ferro, di pietra i palmi delle
sue man i . E quando il flauto sconvolto gemeva, can­
tava versi d 'amore a gran voce e da ogn i parte una
moltitudine di gente accorreva a d ascoltarlo. E tutti
gli incomparabili versi che udivano uscire dalla sua
bocca, li imprimevano nella mente, li registravano per
iscritto . Li portavano via come doni preziosi nelle più
lontane contrade, e di quelle gemme si adornavano gli
amanti.

Descrizione di Leylii

Esordio del versetto d ella b ontà, sovrana d el regno


della leggiadria, canone della b ellezza dei sette cieli,
beneficiaria della generosità dei sette califfi, b ellezza di
c u i è gelosa la luna n el c ielo, svettante statura di cui
è invidioso il c ipresso nel giardino, gioco d 'azzardo d i
timore e speranza, erede della luna e d e l sole, mehra b
degli adoratori degl' idoli, cero d e l palazzo, cipresso
del giardino, sposa dell'amore, compagna delle carez-

49
ze, tesoriera e insieme ladra di tesori, da' ornamento
a ll e vesti di s e ta , offri u n capitale ai m ercanti di zuc­
c her o ! O tia ra di mille p erle preziose, catena d i mi­
gliaia di folli d'amore!80
Leyla era un miracolo di b ellezza e bontà, Leyla era
il polo della santità; dal bocciolo era emerso un fre­
sco, sp lendido frutto, i l dritto cipresso si era slanciato,
il ro ss o rubino del suo dattero si era fatto ancor pi ù
maturo .81 Cresceva incendiando cuori, in virtù dei suoi
occhi in can ta t or i anche un solo sguardo furtivo l a ren­
deva p a dro na di cento reami, e a suo piacimento avreb­
be s acch e gg i a t o Arabi e Turchi. E come la preda
avreb be potuto sfuggirle? Con lo sguardo catturava,
con il r icciolo incatenava . Quegli occhi vellutati pre­
davano muschio e gazz e lle , 82 quei riccioli inanellati, al
tempo della caccia, serravano in vincoli anche i leoni .
Le sue g u an ce spargevano rose, le s u e labbra sparge­
vano miele, e chiunque p osasse lo sguardo su di lei
i n nal zav a u n i n no di lodi alla sua dolcezza .
A migl i ai a e .ran o p e rsi d'amore per quella soavissi­
ma rosa, la sua treccia percorreva il cammino di chi
anelava a i suoi baci, mentre i suoi occhi dicevano :
« Possa lddio essere gen ero s o con t e ! » .83 Il laccio del­

l a sua treccia at ti ra verso di lei, le sue c iglia respin­


gono via.
Le s u e guance superavano la luna in fulgore, il
suo roseo incarnato la rosa, al sommo di quella figura
di elegante c i p resso il suo volto era come sul cipresso
l'aggraziata pernice, e a l lo rc hé le sue labbra schiudeva
al ringraziamento, lo zucchero candito era umiliato
dall a sua dolcezza. I l rubino di quelle labbra parlava
di baci rimp i an gen d o la sua minuscola bocca zucche­
rina, e la treccia aveva ge t ta to giù a mo' di corda per
salvare quei m iseri cuo ri che a migliaia erano precipi­
tati nel pozzo della fossetta del suo mento .84
Colma di grazia e di fascino, nell' intimo il cuore le
sanguinava. Nella tenda che all'amato era s tata pre­
clusa t rascorr eva i suoi giorni appartata ; segretamente
si rifugiava sul tetto di quella tenda e guardava, guar-
50
dava, dall'alba al tramonto. Guardava nella speraµza
che d i lontano le apparisse Ma j niin, n e l la speranza di
trascorrere anche un solo istante insieme a lui . Lui
con ogni suo sguardo cercava, a lui anelava di confi­
dare il suo dolore.
N e1 timore dei guardiani e diffidando dei malevoli,
attendeva la notte per dare s fogo a i suoi lament i . Co­
me un cero viveva illuminata da un sorriso fatto di
lacrim e : dolce era il sorriso, amaro il pianto. Con l e
lacrime riga va le guance di rosa, e in q u alsia s i cosa,
foss'anche uno sterpo di legno, c on t emp l ava l' imma­
gine dell'amato. Ardeva del fuoco della separazione,
un fuoco che non s prigionava né luce, né fumo .85 Da­
vanti a sé, unico e solo c om p agn o dei suo i fan tasm i ,
er a l o sp ecchio dell'agonia.86
All' esterno, come il vento sollevava turb i n i di pas­
si on e , ma nell ' intimo, come .la terra in ghiottiva ama­
ro. N on un solo con cui confidarsi l e era vicino, al di
fuori della sua ombra, soltanto l a tenda era a conoscen­
za dei suoi s e g reti . E dopo aver a p e r to l ' i n t imo alla sua
ombra, insonne le restava a fianco per tutta la n o t te .
La sua vita era sospesa fra acqua e fuoco, fra lacrime
e amore bruciante, e avr es t i d e t to che fosse un mi­
raggio.
Il menestrello87 della donna è il rumore d el fuso, la
freccia è strumento d i risonanza dei r e : essa aveva g et­
tato il fuso a due punte e raccolto la freccia sib ilante
a una punta, ma messasi a l l ' opera essa si era tra s for ­
mata nelle sue mani in fuso a due punte : 88 mari d i
gemme portò alla luce, bastimenti d i lacrime versò.
Si nutriva d i dolore, là n e lla sua tenda, il dolore
l ' a v e va sfinita eppure non aveva mai fin e . Aveva posto
a ll ' or ecc h io l'anello d ' oro della schiava, era avvinta da
un'a u r e a catena, ma quella catena era orma i parte d i
lei e mai avrebbe potuto pri v ars e n e .
Il s uo occhio fissava la strada in c erc a di luce, atten­
dendo chi l e portasse un messaggio di lui, un sa l uto
di p a c e . Ma il vento che soffiava dal Naj d non vede­
va che in lei il profumo della fedeltà, la nube che da
51
quella parte si d i schiudeva non era prodiga che di ac­
qua con lei.
D ovunque guardasse vedeva un ghazal89 di Majniin
giungere a lei, ognuno che passava accanto alla sua
tenda portava, con un p iccolo verso, un messaggio
d i lui .
Leyla, tesoro di bellezza e di grazia, possedeva anche
un talen to squisito nel comporre versi.ro Quella perla
intatta, infilando perle di parole, componeva vergini
versi d'amore, in p erfetta armonia con il cuore di
Majnun. E quello di nuovo inviava la sua risposta:
l'acqua parlava, il fuoco ascol tava. Preparava un fo.
glio segretamente , vi scriveva un verso e lo gettava a
un viandante: e così era inviato un messaggio dal gel­
somino al c ipresso .91 E chiunque lo raccoglieva lo rec i­
tava e danzava al suo ritmo. Lo portava via e lo por­
geva a quell' infelice esiliato, ché da lu i poesia rara
sgorgasse. E lui, con scorrevole is p irazione, poetava ri­
volto a lei.
Così u na corrente di messaggi univa i due amanti,
la voce di quei due ebbri usignoli sovrastava ogni mor­
morio, e molti su quelle due corde dalla voce melo­
d iosa accordavano i loro strumenti e su arpa e rib eca
quelle due voci si univano in un' unica melodi a . Per
l 'a rmon ia di quei due affiatati strumenti i fanciulli di­
venivano menestrelli, mentre i calunniatori spalanca­
vano la porta del b iasim o . Ed essi per le perfidie dei
malevol i inumidivano gli occhi di pianto. Così trascor­
sero un anno, appagati di fantasmi e fantasmi essi
stessi.

Ley la nel giardino

Quando nel deserto la rosa sollevò il velo, la terra


fu inondata dal suo profumo ; sorrisero i fiori fra i
rami d egli alb eri, simili ai volti raggian t i dei beati e

52
ol vermiglio del tulipano e il giallo d ella rosa la terra
i nnalzò uno stendardo b icolore .
I l tenero prato stillava umide perle di smeraldo, il
t ulipano punteggiava di macchie nere il foglio di cina­
bro, le lunghe trecce delle v iolette si rincorrevano co­
me per gioco, mentre il bocciolo di rosa serrava la sua
intura e con le spine lanciava frecce acuminate ; la
rosa avvolta di broccato di seta aveva imprigionato il
vento, la n infea, rosata dai raggi del sole, aveva depo­
sto sull'acqua lo scudo da guerra, il giacinto dischiu­
d eva il sacchetto di muschio e la rosa tentava di rapir­
glielo ; il bosso si p ettinava i riccioli, mentre il melo­
grano era intento a spargere i semi dei suoi frutti .92
Il narciso, arrossato dall' ebbrezza, febbric itante si
d estava d i soprassalto dal sonno,93 per il calore del sole
gocce color vino stillavano dalle vene dell'albero di
Giuda, e nell'argentea fonte d el gelsomino la rosellina
selvatica si rinfrescava le foglie ; la rosa guardava in­
torno timorosa e si pavoneggiava non scorgendo rivali ,
l' iris brandiva l a spada verso i l ciel o .
I l confuso cinguettio degli uccelli inondava il giar­
dino : la p ernice e la tortora con il loro canto eccita­
vano l'ardore del cuore, i colomb i sul platano tuba­
vano parole d'amore, l'usignolo sul ramo più alto can­
tava gemendo come Maj nun, e intanto la rosa, come
Leyla dalla lettiga, sollevava lo sguardo verso di lu i .94
Al tempo delle rose, in un tale splendore, Leyla dai
suoi appartamenti uscì nel giardino. Annodati i rie·
cioli n eri, irrorata la fiorente violetta,95 in mezzo alle
sue compagne era simile a una perla incastonata nel
centro di un monile prezioso ; circondata di divine fan­
ciulle come una vergine paradisiaca, era tale la sua
bellezza quando prese a incedere nel giardino, da invo·
care i l cielo che il malocchio le rimanesse lontano .
Era forse uscita per ristorare gli occhi con il verde
di quel giardino, o per sedere all'ombra rosseggiante
della rosa? Per sorseggiare un fresco calice insieme al
narciso e il vino con il tulipano?96 P er dare i riccioli
della sua treccia alla violetta, o lo splendore delle sue

53
guance di rosa alla rosa? Forse per insegnare l'arte del
cavalcare al cipresso, o al bianco ge ls omin o donare il
suo c an dor e ? O forse, come r egi na del gi ar din o per ,

trarre tributo dal pr ofu mo del bocciolo di rosa?


No, non questo desiderava, non il c i p resso né la ,

rosa, e nemmeno il narciso : ciò che d e si d e rava era un


rifugio per piangere, co me lo c er ca chi ha il cuore che
arde d'amore. Ciò che v o l eva era c o n fi d a re all' ebbro
usignolo il suo segreto, confidargli tutto del suo do l or e
e forse dallo zefiro del roseto avere un s egno dell'ama­
to lontano . Voleva ap rire il suo animo, sollevare dal
cuore il peso che lo opprimeva .
C ' era un boschetto di palme in quel giardino, così
bello da somigliare al dipinto di un artista cinese,97
così bello che la via che conduce al gia rd i n o del para­
diso sembrava lo a t trav er sa ss e . Era un luogo delizioso
e appartato, lontano da s g u ar d i indiscreti: qui entra­
rono L eyla e le sue compagn e, e Leyla, come una rosa,
si adagiò nel m ezzo d el prato: la sua s ola ombra riem­
piva di b oc c i o li la rosa, ovunque il suo profum o giun­
geva, il gigli o sbocciava, cr esceva la r o s a ; là dove si ada­
giava, il bosso fioriva, si ergeva svettante il cip ress o .
D ap pr ima insieme alle sue compagne, fi g u re di snel­
li cipressi, guance di tulipano , manifestò espressioni di
gioia, simulando sorrisi e letizia. Poi da quella lieta
compagnia si ritrasse e sola sedette in un angolo om­
broso e là prese a ge m e re come l'usignolo al tempo
d ella primavera. Pia ngeva e così in s egret i lamenti par­
lava : « Amico mio, mio fedele, simile a me e fatto p er
me ! O n ob il e creatura, cuore ardente e sospiro dispe­
rato! Volesse Iddio che tu entrassi in questo giardino
a portare conforto al mio c u or e che brucia! Potessi tu
sedere vicino a me così come i l mio cuore des i der a,
l'uno ac ca n to all' altro come un . olmo e un cipresso! È
vero, da me non tr a i alcuna gioia, non puoi aver cura
del mio palazzo e del mio giardino, ma infine, con il
linguaggio del buon nome, neanche puoi inviarmi un
messaggio? » .
N on aveva ancora finito di pronunciare quelle pa-

54
ole che da fuori si levò una voce : qualcuno cantava
un ghazal, b ello come una perla preziosa, versi compo­
' L i da Majniin :
« Maj n un è sommerso dal dolore, Leyla può forse
ignorare il suo dolore? Majniin ha il cuore straziato,
Leyla può torturare un cuore straziato? MajnUn è lace­
rato dai rovi, Leyla può forse dormire su morbida se­
ta? Maj niin sospira con mille lamenti, Leyla può avere
pensieri di gioia, Majniin patisce il marchio di fuoco
del dolore, Leyla p uò rinfrescarsi l'anima nel giardi­
no di primavera? Maj nun è stretto nell' angustia, Leyla
sorride, Maj n un ha il cuore straziato dalla separazio­
n e, come può Leyla vivere in pace e letizia? » .
Pianse Leyla alle parol e di quel ghazal, pianse tanto
d a intenerire persino le pietre.
Ed ecco che una fanciulla del suo segt'lito furtiva­
mente la vide, vide in che stato era per il dolore della
separazion e , vide a qual p unto era vinta d'amore, e
q uando rientrarono, quando la perla si fu ritratta soli­
taria nella conchiglia, colei che conosceva il segreto
alla madre di lei confidò c iò che aveva veduto, implo­
rando di colmarla d i tenerezze, di assister la e di tro­
vare un farmaco per lenirne il d isperato dolore. La
madre, turbata da quelle parole, ne restò stupefatta e
s marrita, simile a un uccello caduto in trappola. E così
ragionava dentro di sé : « Non posso lasciarla fare, fi­
n irà col p erdere il senno, ma s e l'ammonisco e le ad­
dito la via della pazienza, for se non sarà in grado d i
sostenerlo, e anche i o allora n e sarò sopraffatta! » .
P iangeva la madre sulle lacrime della figlia e infelice
gemeva e pazientava.
E intanto Leyla, asserragliata come un tesoro, luna
offuscata da nubi d' infelicità, segretamente ingoiava le
spade acuminate del dolore .

55
Ebn Salam chiede la mano di Ley la

Colui che delle delizie di questo giardino ha trac­


c iato il dise gno,98 così ha spronato il destriero delle pa­
rol e :
Quel giorno i n cui Leyla, fulgida come luna pie­
na, uscì nel giardino, la chioma inghirlandata di rose,
fonte essa stessa di acqua di rose, sebbene rosa spez­
zata, le c iocche annodate e attorte nei riccioli come gli
anelli di una catena, un giovane prode la vide, simile
a un fiorente roseto . Era un giovane valoroso, dotato
d i autorità e seguito, reputato d i alto rango fra gli
Arabi, di nobile tribù e di parentela assai vasta, rispet­
toso e osservante delle leggi : tutti gli auguravano il
bene e la fortuna gli aveva dato nome Ebn S alam.99
Era ricco e aveva fama, alla vista di quella fiaccola
risplendente fulmineo come il vento la volle, incuran­
te di saper e se il tesoro era in palio, se la fiaccola si
sarebb e accordata col vento.
Tornato a casa, il desiderio lo avvinse d i unirsi a
lei, e trascurò di sapere se altri avesse occupato il suo
cuore. Subito inviò un messo, p er cercare di stringere
un patto con quella celeste fanciulla, affinché essa, gra­
zie alla sua domanda di matrimonio, acconsentisse di
porre la propria lettiga al suo seguito.
I l messo s foderò ogni arte per accendere il deside­
rio, fu umile e intorno a sé sparse oro, quasi fossero
granelli di sabbia, dichiarò regali tesori e greggi e
mandrie, p i ù di quanti se ne potesse desiderare.100
Quando il mediatore eloquente ebbe formulato la
domanda d i matrimonio, padre e madre riposero sp e­
ranza n elle sue parole e così gli risposero: « Acconsen­
tiamo, ma prima è necessario attendere un poco, ché
fragile è ancora il nostro tenero giardino di primave­
r a ; non app ena sarà pienamente ristab ilita e ci sarà
dato tornare a sorrider e, saremo grati di accordartela
in sposa. E possa questa promessa di matrimonio an­
dare a buon fine e voglia il Signore che presto possa
realizzarsi ! Non è ancora giunto il momento, ma non

56
manca molto a che la promessa si adempia, a che il
bocciolo si schiuda, a che l e spine siano allontanate dal
suo giardino. Allora cingeremo il suo collo di un aureo
monile e te l'affideremo in sposa ».

Ebn Salam, ormai paziente promesso, montò in sella


riprese la via del ritorno : acquetò l'animo e dissipò
gni nube dal cuore.

Nowfal si reca da Majn un

Leyla, dietro la cortina della lettiga, aveva abbando­


nato pudore e riserbo, il velo d i buon nome e di onore
le era sfuggito ed era passata al registro del flauto e
del liuto : zucchero dei cantori di ghazal, celebrata nel
novero degli amanti, aveva gustato il rullo del tam·
buro dei menestrelli. 101 Senza pace, senza sonno, senza
un confidente a darle conforto, si torceva nei tormenti
come i riccioli attorti della sua chioma.
Majnun, errante nel deserto, vagava sconvolto come
il proprio destino; il giovan e cammello smarrito erra­
va senza guida nella processione degli animali selva­
tici del deserto, cantava versi colmi di dolore a mi­
gliaia.
Era signore del N aj d - ma non era il Demonio ! 1°2 -

un giovane d ' indole imp e tuosa : danzava sul plettro


dell'amore e da qu el luogo aveva spazzato via ogni la­
mento ; ogni volta che sentiva un sospiro d'amore si
lacerava le vest i . Quel suo regno era acciaio tempTato
e insiemé ' morb ida cera. Nowfal era il suo nome, re­
gnava su quella terra generoso e intrepido.103 Col fen­
dente della sua spada abbatteva eserciti, nell'amore era
tenero come una gazzella, ma nell' ira furente come un
leone. Era magnifico e munifico, dotato d i fortuna e
ricchezza.
Un giorno, andando a caccia, giunse in quella de­
serta contrada in cerca di preda e mentre vagava fra

57
le bocche di quelle caverne gli apparve un essere che
vaneggiava per il dolore, un infelice abbandonato da­
gli uomini e lui stesso non più essere umano, bensì
animale selvatico c ircondato da animali selvatici .
Nowfal si informò di chi fosse quell'infelice e do­
mandò quale fosse la cagione del suo stato. Gli dissero :
« P er amore di una fanciulla è sprofondato nella me­

lanconia e ha perso il senno; vaga giorno e notte can­


tando versi, ricercando n el vento il suo profumo, e a
ogni zefiro che gli reca il profumo di lei affida i suoi
v ersi d' amore, e ogni nube che vaga per questa terra
riconoscente ripete i suoi versi. Da ogni parte accorre
gente per ved ere l ' infelice, gli portano cibi e bevande,
ma lui appena n e assaggia, a stento ne beve un calice e
anche quello soltanto per ricordare il suo amore ; e
questo è il luogo in cui attende il Giudizio Finale » .
Udita la storia di Majnim , Nowfal esclamò : « È im­
presa d egna di un prode impegnare ogni sforzo per far
sì che un cuore infelice possa infine ra ggiungere la
meta del suo desiderio ». Così detto smontò dal suo
cavallo baio e gli si accostò, chiamandolo e invitando­
lo a prendere posto accanto a sé davanti alla mensa che
aveva fatto imbandire.
Ma l ' infelic e vaneggiava in un delirio feb brile e in­
tenerì come cera il suo cuore. Comprese allora che sen­
za l'amata non poteva toccare cibo, sebbene ormai eva­
n escente come un ' ombra, comprese che a nessun altro
avrebbe prestato orecchio s e non a chi gli parlasse di
L eyla. E fu così che il nome di Leyla fu pronunciato .
E allora, come per un miracolo, solo all'udire quel
nome il Folle d'amore si placò . Trovò la forza di alzar­
si e lieto e sereno si accostò alla mensa di Nowfal, as­
saggiò qualche cibo e b evve con lui, improvvisamente
divenne amab ile, riconobbe in quell'ospite generoso
un amico e ne fu raggiante, e i versi presero a fluire
dalle sue labbra come un ruscello. E N owfal, con dolci
parole di lusinga, riuscì a far risorgere da quelle ro­
vine un palazzo .104 Così gli parlava : « Io non consen­
tirò che lontano da quella lampada colma di luce tu

58
l nguisca come un cero che si estingue, io ti farò giu­
iz ia, col vigore del mio braccio e con le mie ricchez-
1e: foss'anche un usignolo e a volo fuggisse n ell'aria,
i la catturere i ; foss'anche una favilla celata nella roc­
ia, io l'agguantere i . Finché quella luna non sarà tua
·ompagna non deporrò le armi, non cesserò di andare
a l la sua ricerca ».

Majnùn, al sommo délla speranza, colmo di gratitu­


d ine si prosternò ai suoi piedi dicendo : « Le parole
he ho udito dalle tue labbra sono profumo paradisia­
o per me, perle rare e preziose, se non sono menzo­
gna . Ma mai la madre di cole i che amo mi concederà
cl i prender la in sposa: si può for s e gettare al vento una
rosa? S i può forse conc edere una fanciulla divina a un'
d emon io? Unire un folle alla luna nuova è pura follia !
Quanti hanno cercato di darmi aiuto! Quante volte
banno purificato la m ia veste per rendere accetta la
mia preghiera, ma la mia veste non è divenuta più
b ianca ! Quanto argento hanno sparso, ma la mia
stuoia non è d ivenuta più b ianca ! 105 E se la tua mano
compisse un miracolo non saresti tu a compierlo ! Ma
io temo che la tua amicizia mi abbandoni a metà del
cammino, temo c h e non appena avrai catturato una
preda sarai già stanco di questa caccia ! Volesse Iddio
che non fosse cos ì ! E se veramente tu manterrai ciò
che m i hai promesso, possa Iddio concederti mercede
immensa! Ma se la fonte d i queste parole è un m irag­
gio, sii generoso e lasciami andare, lascia, ti prego, che
io segua il mio cammino ». ,

N owfal, al lamento di Majnùn, si sentì ribollire i l


sangue, p e r v i a dell'amicizia che g i à provava p e r lui ;
ma perdonò quel suo così singolare coetaneo, con cui
già sentiva il suo cuore pulsare all ' u nisono.
« Ti giuro, » disse Nowfal « e Dio e il suo Inviato
siano miei testiwoni, che m' impegnerò con tutto me
stesso, con i miei b en i e con la mia spada: mi batterò
per te come un lupo, come un leone. Non indugerò,
non assaggerò cibo e non dormirò finché non avrò rag­
giunto la meta. Ma una cosa devi concedermi, di libe-

59
rarti dalla tua follia! Acquetati, te ne supp l ico , alme­
n o per qua l che giorno ra s s ere na il tuo cuore ! A te sta
di spegnere l ' incendio del cu or e , a me di spezzare la
ferrea c atena ! » .
D i fronte a quel l ' elisir, i l F ol le comprese che soltan­
to nel berlo era una via di salve zza . S i acquetò e fugò
dal suo animo il turbamento, esaudendo il desiderio
di N owfa l . D ivenne qu i eto e paziente, quella promes­
sa gli aveva pl a ca to l' incendio del cuore. Prontamente
accettò di seguirlo nella sua dimora : s i ristorò con un
bagno e .indossò una veste, r ip osò e sorseggiò un calice
di vino ; alla maniera degli Arabi avvolse il capo in
un tur ban te e insieme all' amico sedette a mensa,106
a s col t and o musica e dec la m an d o squisiti versi d ' amore
p er la bellezza del suo i d o lo, mentre N owfal lo c ol­
mava di ogni premura. I l pa l lor e delle sue guance
trapa ssò nella tinta accesa dell' arghavan, la sua figura
ormai curva si e re ss e come un cipresso, e la linea color
del musc h i o dei suoi capelli d i segn ò volute intorno
alla ro to n d i t à del suo viso . A quella rosa che deliziava
l ' anima il vento ora restituiva tutto ciò che prima ave­
va sottratto . Tornò a sorridere l um inos o come il mat­
t ino , il sole tornò a mos t rar e i suoi denti di per la . I l
folle del deserto divenne savio . S i ristorò n ella frescura
del giardino, in mano un ca li c e di rosa purpurea. E fu
così che M aj nu n , in que lla quiete serena, d ivenne
c ommen sale raffinato e sagace.
Il suo eccellente o sp i t e lo co lm a va di ogn i at t e n zio­
ne, non faceva nulla senza averlo vicino, non b eveva
che per la bellezza del suo volto . E fu così che ebbri e
s p e n s i erati trascorsero alcuni m esi .

Rimprovero di Majnun a Nowfa l


M a u n giorn o, mentre s ed e vano l ' uno accanto al­
l' a l tr o colmi di spensieratezza e di letizia, Maj nu n
espresse l a s u a amarezza e il s u o sco nfo rto : « S enza la -

60
rn n t i non è minore il dolore di chi soffre ! Tu al vento
i n gannevole ha:i abbandonato ogni mia speranz a : dopo
vermi offerto mille promesse, non a una sola parola
h a i tenuto fede ! Ho accettato di bere insieme a te, ho
cettato d i divenire immemore, e t u m i hai condotto
v i a con le lusinghe, deponendo una promessa nelle
mani di un disperato . Mi dicesti parole da amico leale,
m a oggi la tua lingua tac e : ho udito dalle tue labbra
m igl iaia d i parole, ma non un solo fatto hanno veduto
i miei occhi ! La mia sopportazione è ormai al termine,
i l senno è sul punto di fuggire. Adempi alle tue pro­
m esse, o me ne andrò via p er sempre ! D imostrare cuo­
re e non averne, parlare e non agire, son cose ben lun­
g i da un animo nobil e : i veri amici sanno dare pro­
ve ben m igliori d i queste. Sono estenuato e dolente,
s nza l'amata simile a un assetato cui l'acqua d i vita
preclusa : dare acqua all'assetato non è forse un do­
vere? Soccorrere il derelitto non è forse un dovere?
Adempi alle tue promesse, oppure sappi, io sprofon­
d erò di n uovo nella follia ! Conducimi Leyla, o non ci
sarà più vita per me! ».

Nowfal s i batte con la trib ù d i Ley la

Ferito da questi amari rimproveri, il cuore di


N owfal si intenerì come cera al calore del fuoco . Riso­
l u to cinse la spada e indossò la cotta d i maglia ; ap­
prontò una schiera di uomini scelti e b ellicosi, capaci
d i volare sui loro destrieri e partì a cavallo, simile a
u na pantera in cerca di preda.
Quando fu giunto sul territorio della tribù d i Leyla,
inviò un m esso con questo messaggio : « Sono qui con
il mio esercito, siamo prodi e indomabili guerrieri :
che Leyla mi sia condotta senza indugi o sarà la guer­
ra tra noi. Io conosco chi è degno d i lei, che la colmerà

61
di c a r ezz e e d ' amo r e e da lui i n t end o condurla . Possa
a colui che è morente di sete giungere infine il refr i­
gerio dell'acqua e possa chi gli offre l'acqua averne
mercede ! » .
Il messo fece ri t orno con questa r i s p o s t a : « Non così
p o t rai ottenere ciò che d es ider i . È fors e Leyla un frut­
to zuccherino su cui chiunque possa a l l u nga r e una
mano? No, Leyla è la luna nel suo fulgore e a chi è
concesso arrivare a s fior a re la luna? N o , certo non sarai
tu a giu nger e a tanto! Tu, demone r e i e tt o , vuoi forse
competere con una c om et a? 107 Sguaina pure la spada,
noi sguaineremo le nostre, lancia su di noi dard i in­
fuocati, noi ti risponderem o ! ».

Furente ordinò al messaggero di correr e ancora una


volta al campo nem ico : « O voi che non conosce t e il
fendente della mia spada ! S e la sgua in o non vi resterà
uno solo dei vostri ca mm e ll i ! Levatevi dalla st ra da d i
c h i è come un o c eano infuriato o scorreranno fiumi
d i sangu e ! » .
M a i l messaggero tornò ri p o rt and o ancora una volta
un d i n i ego . N owfal fu pervaso da un tale furore che
dal suo cuore s i s p rigionavano l i ngu e di fuoco . Sguai­
nata la spada, segu i to dai suoi, si avventò s ulla gente
n e m ica come un leone. Simile a una ferrea m o n tagna
avanzava la schi e ra nemica ; lanciando in molti tudine
il grido di gu erra , spronarono i loro destrieri con tro
la g e n t e di Nowfal, co n t r o il leone brand irono le
spade.
Le grida dei gu errier i trasformarono il campo in un
oceano mugghiante. La spada n ella m a n o di Nowfal
era r o s s a come un calice traboccante di vino e v er san ­
do il suo rosso liquore rendeva ebbra la t erra ; le lance
artigliavano i corpi, le frecc e di pioppo fu lm i n ee vola­
vano, simili a uccelli da pre da col becco acuminato
a ss etato di sangue, la spada d'acciaio era p rotesa a fal­
c iare le teste n emiche.
I l rombo tumultuante degli Arabi assordava perfino
il cielo e la luna, n es suno sfuggiva ai lampi di morte
che guizzavano fra la pietra e l'acciaio . Il gi av e ll ot to

62
uc i t ato r e di morte aveva la punta acuminata e so tt i l e
· me i capelli dei De y lamiti,108 e lo s t en d ardo fiarn-
1 n eggiava co m e il sole del ma tt i n o S imili a neri l eo n i
.

ft i avventavano, fulminei come demoni.


Tutti si b att eva n o sul campo da p r o di, soltanto
M aj n un non p e n s ava che a risparmiare vite, tutti spro­
n av an o i loro destr i e ri in b at t a glia lui solo ri v ol geva
,

.t l la moltitudine preghiere di p ac e ; tutti uccidevano,


I u i solo p e r la disperazione u cc ide va se s t e ss o e come
,

u n p ellegrino si aggirava sul campo invitando alla pa-


e . Se la v ergo gn a non lo avesse som m ers o avrebbe ri ­
volto la spada contro l'esercito amico, se i l proprio
nore glielo a v e sse concesso si s ar eb b e battuto contro
i suo i stessi compagni, se non avesse visto il ghigno
beffar d o del nemico sarebb e stato il primo a ta g l ia r e
l a testa ai suoi amic i .
S i aggirava i n mezzo all' esercito t u m u l t ua n t e dei
suoi pregando p er c hé la vit to r ia arridesse al nemico ;
q ua ndo una testa cadeva dalla pa r te d e i suoi sarebbe
an dato a bac iar e la ma n o che l'aveva t agl i at a , e se l' uc­
c iso fosse stato il suo amico lo a vr e bb e inondato con
un di luv i o d i lacrime_
S e l' esercito am ic o fosse stato vincente, lui s tesso
non avrebbe esitato a rivolgere contro i su o i arco e
frecce, se i suoi amici avessero riportato vittoria avreb­
be innalzato alti lame n t i d i disperazione. Qualcuno lo
a p ostr o fò : « E h i , tu che guardi di l o nta n o il campo d i
battaglia! Do b b iam o forse me tt er e a repentaglio la
vita per te m e n t r e tu ti fai amico d e l n e m ic o ? » . Ri­
spose Maj nu n : « Se i l nemico è mio am i c o , posso forse
usare la spa da contro di lui? Fra me e un n emi c o può
scorrere il sangue, ma può forse scorrer e il sangue Era
me e un amico? Il campo di ba tt agl ia è po r t a t or e di
feri t e ma da q u esto luogo e m ana il profumo della pa­
,

ce. I I cuore di colei che am o è da l l a parte di que i guer­


rieri, e come avere i n spregio coloro per cui parteggia
chi amiamo? Il m i o cuore è là d ov e è il cuore della
mia amata, la mia vita è là d o v e batte il m i o cuore .
Dare la vita per chi si ama è un dovere, a lei spetta

63
prendere, a me dare la vita. Poiché così poco io tengo
alla mia vita , quale pietà p osso nutrire per voi? » .
Simile a u n elefante infuriato Nowfal si aggirava se­
m inando la morte n el campo nemico : ogni sua freccia
rapiva una vita, ogni suo assalto produceva sterminio,
dovun q ue brandiva la spada volavano teste, dovunque
giungeva scorreva il sangue.
Quando la chioma del c i elo notturno cosparse d'am­
bra la front e d el giorno;109 i due eserciti si divisero,
abbandonarono il campo e si ritirarono per il sonn o .
M a quando i l n ero serpente della notte si ritrasse e il
drago del crepuscolo sorrise, nelle mani dei guerrier i
tornarono a volteggiare l e rapide lance e intorno al­
l'accampamento di Leyla una moltitudine si addensò,
simile a una montagna. C ircondarono da ogni lato
l' eserc i to di Nowfal preparandosi ad aggredirlo con
una pioggia di frecce. N owfal, visto un siffatto eserci­
to, comprese che non c ' era altra via se non un accordo
di pace. E così inviò un messaggero a proporre una
tregua: « N on è più tempo di duellare, il messaggio
che ora ti invio è messaggio di pace. È per un giovane
avvinto dalle catene d' amore che io vi chiedo quel­
l ' incantevole creatura, e in cambio sono disposto a o f­
frirvi carichi e carichi delle mie ricchezze. È un atto
di pietà, e se questo accordo vi fosse accetto, le vostre
parol e di assenso suonerebbero mille volte p i ù dolc i
delle mie. Ma se a nessun patto intendete cedere quel­
la dolce fanciulla, allora non costr ingeteci a batterci
ancora con voi ! S e non volete accordarvi, a che fine
continuare a incrociare le spade? » .
Quando il messo ebbe portato a destinazione il mes­
saggio di pace i due eserciti s i divisero. Udite le reci­
p roche volontà i contendenti si ritirarono e abbando­
narono ogni proposito d i vendetta. Giunse la pace, con
lo scettro in mano, e la gu erra lasciò libero il campo.

64
Pa rticolare della tav . 1 .
Majnun rimprovera nuovamente Nowfa l

L' ignominia d i quell' accordo d i pace fece avvampa­


r Maj n ii n , che si avventò contro N owfal brandendo
I< spada d ella parola : « O tu che dovevi condurre una
e ppia a riun irsi ! Magnifico ! Mai fu fatto tanto per
•sa ud ire una speranza ! La tua grandezza sta tutta nel
f r sguainare la spada al tuo esercito? Tutto qui il tuo
a rd im en to? Queste le tue magiche arti? Questo lo scal­
p i tare del tuo destriero, il roteare del tuo laccio? Con
ciò che hai fatto, contro il mio volere, mi hai reso ine­
st imab ile servigio : chi mi era ancora amico mi hai reso
n emico, quella perla che mi era r imasta fedele mi hai
ora precluso per sempre ! Amico mio, ogni legame fra
n o i è ormai s p ezzato : grazi e all'amico, non al n emico,
io sono ora simile al re che sullo scacchiere è messo in
scacco dal proprio cavallo, o come il cane da guardia
·o lpito a morte dalla freccia che il padrone aveva scoc-
cato contro il lupo ! Se grande è la fama della tua ge­
nerosità, non altrettanto grande è la tua fedeltà alle
p romesse » .
Schermandosi con lo scudo dalle sue parole acumi­
n ate, Nowfal riprese a blandire Maj nii n : « Fu solo per­
c h é un vero esercito non mi era d'appoggio che ho
finto intenzioni di pace. Sono tornato, ma non temere
che deponga la spad a : radunerò un èsercito chiaman­
do gente da ogni tribù, e non avrò pace finché non
avrò frantumato per terra quel coccio vuoto » . Così
d etto inviò un messaggero da M edina fino a Baghdad
per radunare un esercito, p er compiere la vendetta si
rivolse anche alle più lontane trib ù : e quando ebbe
raccolto un esercito sterminato, si apprestò ad affron­
t are ancora una volta il nemico, una ferrea montagna
contro una ferrea montagna.

65
Seco n d o com ba t t imen to di No wfal

Intrepido difensore del tesoro del cuore, 1 10 il giorno


in c u i N owfal si pose alla testa d i quell'esercito, chiun­
que lo vedesse n e restava atterri t o . La terra era squas­
sata dall'avanzare di quell 'esercito, la cima d el mon t e
A b u Qob eyslll si sgretolava .
Gli avversar i, sentendo quel grido di guerra, scruta­
rono il desert o : non era più un deserto, ma un mare
ondeggiante di lance e di spade, da un capo all ' altro
dell' orizzonte un im m e n s o esercito tumultuava . I l vi­
brare assordante d i tamburi e di trombe avrebbe dato
un sussulto al c uore di un mort o . N essuno è pronto
alla guerra, ma nessuno si tira indietro, ognuno come
s i trova si affretta: un ' immensa alluvione è arrivata e
trascina ogni cosa con sé .
Ogni fendent e di spada è una test a che cade, il cuo­
r e dei due eserciti all'unis ono cessa di battere. Il san­
gue scorre c ome a lavare la sab b ia del deserto, ed è
com e se dal fango di una palude spuntassero agate ros­
s e . I cu o r i sono o rma i estenuati di squarciare altri cuo­
ri, le spade sentono l o nta di altre teste tagliate .
'

N owfal, l' ero e , brandì la spada ingaggiando batta­


glia simile a un d rago : ogni colpo di spada era una fe­
r ita, ogni ferita una vita cessava di esistere. Ogni colpo
d ella sua mazza da guerra si schiantava sopra il nemico
come un macigno, a ogni prode colpito dal fendente
della sua spada non restava più un foglio nel l i bro del
suo destino.
Quando gli amici procedono uniti sanno anche far
scaturire acqua dalla pietra : la debolezza nasce dalla
disunione, la vittoria dalla concordia!
Per l esercito di N owfal il gior n o fu sotto il segno
di un astro propizio : la fortuna gli arrise e furono vit­
torios i . Vinsero, dispersero e uccisero : non un solo vi­
vo, fra i n em ici, era senza ferite, e anche i feriti mo­
nvano .
C o l c a p o r icop e rto di polvere , i v ecchi della tribù
s i inginocchiarono a b ac i ar e la terra ai piedi del vin-

66
[ ore, piangendo e implorando : « Signore, non essere
1 1 iq uo! I l tuo avversario è a i tuoi p iedi, di noi non
ouo rimasti che morti o prigionieri; risparmia noi
1 l L imi sopravvissuti, feriti di lancia o d i freccia, con­

't�d ici di risorgere, medita che alla fine dei tempi ben
1 l tra resurrezione c i attende ! Finché il tuo nemico ri­
i renda le armi, puoi ben riporre la spada nel fodero !
I nostri scudi sono ai tuoi piedi, risparmiaci, ti sup­
p l ichiamo ! Fin quando vorrai combattere con chi non
l ia più nemmeno lo scudo? O vincitore, che hai sotto
H l i occhi la nostra disperazion e, perdona e sii magna-
1 i mo! ».

Rispose : « Che la sposa promessa m i sia condotta al -


l ' i stante, e la vostra tribù sarà salva ! » .
S i avanzò allora il padre d i Leyla, i l cuore spezzato
r ia l dolore, umiliato si pro s ternò fino a terra e così lo
i m plorò : « O tu che per grandezza sei la perla degli
rabi, degno del comando e di regale dignità, sono
v ecchio e ferito, e il mio cuore è spezzato, mille miglia
I ntano da te sprofondato nella d isgrazia! Gli Arabi
si fanno ormai b effe di me, né ormai mi resta più
n emmeno il nome d i Arab o . Questo sangue è stato ver­
sato a causa mia e p er simile colpa io vorrei poter es­
sere argento vivo e dileguarmi alla vista ! Se mia figlia
porterai via come schiava, farai grazia a questo tuo
umile servo, sarò contento e non mi ribellerò al tuo
volere; se le darai fuoco e la brucera i , se la getterai in
u n pozzo o se la trafiggerai con la spada, io non mi op­

porrò al tuo volere ; ma mai darò mi':l figlia a quel de­


monio, a quel folle ! M eglio vederla in delirio, meglio
in catene, che in preda a Maj nu n . È un folle, non un
uobile cavaliere, senza avvenire e senza valore, solo av­
vezzo a vagare per deserti e montagne, ad aggirarsi
senza requie e a percorrere il mondo, avvezzo a por­
tare addosso l' ignominia e di ignominia a coprire il
mio nome. I l mio volere non conta più nulla fra la
gente d'onore, il mio nome è coperto d' infamia. Non
c'è luogo, in tutta la terra d'Arab ia, dove il nome di
mia figlia non sia sulla bocca d i tutti, e se le mie re-

67
<lini tu affidi nelle sue mani il mio nome avrà disonore
per sempre. Meglio è colui che perisce nelle fauci di
un drago, che colui che vive nell' ignominia. Io stesso
taglierò la testa di quella sposa promessa, io stesso la
getterò ai cani pur di essere libero da quel folle e dalla
sua ignominia ; meglio per mia figlia esser gettata ai
cani che preda di quel demonio: se anche sarà azzan­
nata, una volta curata non si avrà più da temere; ma
non c'è unguento che possa guarire le ferite inferte
dalle parole degli uomini ! » .
Quando il vecchio ebbe terminato la sua supplica,
Nowfal fu mosso a pietà da quell'infelice che con tale
eloquenza invocava misericordia e così gli rispose :
« Alzati, sebben e il mio esercito sia vincitore, non è

contro la tua volontà ch'io desidero avere tua figlia.


Una donna presa con la forza è come pane seccato,
come un dolce privo di zucchero. Io stesso che sono
venuto fin qui per averla, sono ormai stanco di tanta
crudeltà ».

Anche i p i ù vicini compagni d i Nowfal parteggia­


vano per il vecchio : « Quel folle ha la testa colma di
impuro desiderio, un simile folle non è fatto per il ma­
trimonio. Qualunque cosa tu ponga nelle sue man i,
foss'anche la salvezza, non puoi averne fiducia, ché la
sua costanza è nell' incostanza . In battaglia, noi rischia­
vamo la vita per lui, lui si era messo a sperare rhe il
nemico riportasse vittoria! Noi eravamo per lui il ber­
saglio delle frecce nemiche, lui invocava Dio contro d i
noi. Non così s i conduce u n uomo dotato d i senno,
non come lui ora piange ora ride. Se anche quest'unio­
ne si realizzasse non potrebbe che avere un destino in­
felice. Non è bene per te continuare ad aiutarlo, egli
è un folle e la vergogna ricadrà su di te. Finché abb ia­
mo ancora un nome e un onore, tiriamoci fuori da
quest' impresa insensata » .
F u così che anche colu i che aveva voluto intercedere
per Majn�n dette all' esercito il segnale del ritorno.
Il cuor e in felice di Majnun fu lacerato da mille spi­
ne. Gli occhi colmi di lacrime, si scagliò contro N O'IN -
68
f' 1 1 , il furnre Io rendeva s imile a una montagna di
f' 1 1 oc o : « O tu che hai calpestato l'amicizia, che non
I m i tenuto fede a ciò che avevi promesso, che da un' al­
l m irradiant e mi ha i gettato in un giorno senza spe-
nza, p erché hai lasciato che la mia preda ti sfuggisse?
I ov' è più quella promessa d i condurm ela di tua m a­
il ? Morente di sete mi hai portato fin sulla riva d i
1 1 n 'acqua dolce, ma p r i m a c h e p o t e s s i bagnarm i le lab­
h ra m i hai gettato d i nuovo nel m io fuoco infe1·nale.
( l a i preparato davanti ai miei o c c h i una bevanda zuc­
d 1erina, ma non m i hai consentito d i assaggiarne nem­
l l l eno un sorso ! Mi hai posto davan t i un vasso io colmo
d i dolci deliziosi e poi, come una mosca, mi hai cac­
c iato via! Se il nodo doveva restare annodato, meglio
sa rebb e stato non aver mai promesso di sciogli erlo ! » :
osì detto volse le briglie e partì a l galoppo e s i allon­
tanò scomparendo alla vista. I suoi occhi versavano
, equa sulla t erra, le sue lacrime, come qu ell e del cer­
vo, erano antidoto al veleno della separazione.m
Tornato alle sue dimore, Nowfal, insieme ai suoi
p i ù intimi amici, invocava l ' infelice Majniin, ché il
suo cuore era sempre con lui. A lungo cercarono in
q u e i luoghi, ma era come se il suo nome fosse stato
ca nc ellato dal l ibro d e lla vita . E della sua scomparsa
senza ritorno ben conoscevano qual fosse la causa .

J\1ajnun l i b era le gazzelle

Così il suonatore d' organo ha intonato la sua melo­


d i a : 113
Quando M ajnun, ancora lon tano dall'oggetto del
s u o desiderio, simile a un uccello ebbe preso il vo­
lo separandosi da Nowfal e dai suoi, il suo veloce
destriero correva come il vento n el deserto . Cantava
versi sull ' infedele N owfal e ogni luogo risuonava dei
s uoi lamenti sull'infelice destino. Versava lacrime d i

69
dolore cocente, quand'ecco gli apparvero di lontano
due gazzelle cadute in trappol a . Giacevano saldamente
legate e un cacciatore era sul punto di versare il san­
gue delle sue prede. Maj nun spronò il suo cavallo, an­
sioso di intercedere per la loro vita, e il ca'cciatore,
vedendo quel cavaliere, arrestò la sua mano. « Concedi
la lib ertà a queste gazzelle, mi rivolgo a te come un
ospite, non puoi rifiutarmelo ! 114 Perché versare il san­
gue di qu este infelici? Non sono forse creature viventi
come gli esseri umani? Che male possono averti fatto
con occhi così dolci, con fianchi così aggraziati? Perché
vuo i versare il loro sangue innocente? Sei forse un lu­
po invece che u n uomo? Uccidere queste due gazzelle
è ignominia. I loro occhi non sono forse b elli come gli
occhi della tua amata? Il loro aspetto non è forse soave
come la primavera? Risparm iale, ti supplico, in nome
degl i occhi di colei che ami, abbile care, in ricordo del
suo volto d i primavera! Non colpire il collo di queste
due leali creature, il loro collo non è avvezzo a por­
tare il giogo! Quel collo libero da catene sarebbe op­
presso dalla tua spada d'acc iaio, quegli occhi neri, tin t i
d i collirio, per colpa t u a resterebbero chiusi per sem­
pre ; quel petto così b i anc o da far invidia all'argento,
non è fa t to per arrostire sul fuoco! Quei fianchi così
lisci e delicati sai bene che non meritano di essere tra­
passati da una spad a ! È forse onorevole far versare
sangue a quella vescica colma di muschio?115 E quelle
zampe, sottili come canne, sai bene che non meritano
di esser sottoposte a questo suppliz i o ; quel dorso trop­
po delicato per sopportare pesi perché b a t ter l o sulla
dura terra e farlo soffrire? » .
Con queste parole di poeta parlò al cacciatore e
q uello ne rimase turbato e si morse le dita. « Ho p re­
stato or ec chi o alle tue p a rol e , e se non fosse per la mia
indig enza la p e n s ere i com e te. Ma questa è in due
mesi la mia u n i ca preda, ho fa m i gl i a e non ho altro
con cu i sostentarla; come puoi chiedermi d i dare la
libertà alle mie prede? Se vuoi proteggere queste gaz­
zelle, poiché sei ricco, riscattan e la vita ! » .

70
Majnùn, in risposta a quell'indigente, balzò giù dal
u o veloce d estriero , lo offrì al cacciatore e le gazzelle
fu rono salve . I l cacciatore spronò il cavallo e corse via
I ntano, e Majnun con le due tenere gazzelle rimase
s lo . Baciò i loro occhi con amore, neri occhi notturni
·be gli riportavano alla memoria quell i di Leyla .116
I n fine, dopo molte parol e d i benedizione e di addio,
l ette loro la libertà. Esultanti l e gazzelle si slanciarono
n el d eserto .
Ancora suo malgrado rivestito delle armi, ferito, co­
m e la rosa, dalle sue proprie armi , continuò a cam­
minar e per giorni e per giorni : la sabbia, per l 'ardore
del sole , era simile ad acqua di fuoco, il suo cuore ar­
deva febbrilmente nell'amore e le spine del deserto
laceravano i lembi di lino e di seta delle sue vesti.
Quando la notte s i avvolse d i mussola nera, il sole
celò la sua veste di luce alla luna.
I l folle guardiano della luna per l ' estenuazione si
era assott igliato come un capello, come una punta di
canna. L'ombra della volta notturna era nera come i
riccioli d e l l 'amata, la strada sottile come il corpo del­
l'aman t e . Majnun, in lamenti, s i riparò in una grotta
come una spaurita lucertola morsa da un serpe. I suoi
occhi versavano gemme preziose ; sedette, e donò libe­
ro sfogo al tumulto del cuore e insonne trascorse la
notte sfogl iando in lamenti il nero libro del suo de­
stino .

1vlajn un li b era il cer b iatto

Quan d o il giorno con felice presagio sventolò lo


stendardo che illumina il mondo, il bruno sguardo oc­
cidentale della notte si spense e apparve il fulgore
orientale dell'alba. Gli spettri notturni svanirono sotto
i raggi del sole, volarono via come fumo dal fuoco, e

71
c antando versi Majniin r iprese il cam m i no, innalzan­
do fino al cielo la voc e degl i amant i .
Ignaro raggiunse un luogo i n c u i una trappola era
stata gettata. Un cerbiatto vi era caduto, il collo im­
brigliato, pronto a subire la spada. Su quel roseo cer­
b iatto un cacciatore s i avventava come un leone, pron­
to a versare il suo sangu e innocente.
M aj niin lo r aggiunse e così gli parlò con parole acu­
minate: « O tu che come un cane ti avventi s u una
debole creatura, libera questo a n im a le indifeso, lascia
che un prigioniero possa tornare a godere della vita,
las c ia che torni alla sua tana, alla sua compagna ! Cosa
dirà quella compagna che stanotte lo cercherà invano?
Dirà: " P ossa colui che m i ha separato da te provare
altr e ttanto dolorel Possa, colu i che ti ha catturato, non
vedere più giorni felic i ! " . S e temi il la m e n to di chi
soffre, abbandona questo infelice ! Pensa a come ti sen­
tiresti se lui fosse il cacciatore, tu, al suo p osto, la
p r e da ! ».

A qu este eloqu ent i parole il cacciatore arrestò la sua


mano : « Io non lo ucciderò, ma non senza compenso
gli lascerò salva la v i t a . Qu esta preda è il mio cibo. Se
hai di che riscatt arlo, il tuo riscatto b en venga ! ». T u t­
to ciò che di valore aveva indosso Majniin lo depose
davanti a lui. Il cacciatore prese le arm i di Majnùn,
vide in esse un p r ez io so bottino e lasciò la s ua preda
di caccia.
M aj nù n si accostò a quel dolce cerb iatto com e un
pad r e al bambino, l o a cc a re zz ò come si accarezza la
mano a un amico, gli curò le fer i te e gli passò il palmo
della mano su tutto il corpo, e p iangendo gli disse:
« O tu che sei lontano dai t u o i cari , anche tu, come
m e , s e i separato dalla tua compagn a ! Tu corridore del
deserto, tu abitatore d elle verdi montagne, il tuo pro­
fumo mi ricorda il profumo d i colei che amo, nei tuoi
occhi rivedo i suoi occh i ; va' , corri libero e r i t ro va il
tuo p osto all'ombra della tua compa g n a ! I tuoi denti
son o meglio n e l la tua b occa che incastonati nell'oro,
la tua p e ll e è più bella sul tuo corpo che sulla corda

72
tii un arco ! Le tue lacrime, se anche sono un antidoto,
1 meglio che, come il veleno, non siano versate! O fe-
1 i ·e ribelle a ogni giogo, io so che della mia luna in
q 1 1esta tua serrata fortezza ti giunge notizia; p erciò, ti
w p plico, quando pascolerai in quella terra, falle sape­
i' di me ! Dille: 117 O tu che sei rimasta presso i tuoi
"

N condo il volere dei miei nemici, io sono come tu mi


v u o i : mi sei lontana e io sono lontano da te, sono in-
1' ! ice come infelice sei tu . D i un vento che non p orti
i l tuo profumo io non serbo memoria, non c'è posto
1 1 ella mia mente per un ricordo che non porti traccia
< l i te " » . E cento versi ancora declamò, meditando
s u l suo infelice destino. Poi sciolse il cerbiatto dai vin­
coli, baciò i suoi occhi e gli rese la libertà .
Quando la carovana della notte espose la lampada
d ella luna, simile al volto di Giuseppe che emerge dal
pozzo,118 la via lattea apparve nell' Egitto celeste, simile
a lla corrente sfavillante del N ilo . E in quella notte
Majnun camminava, miglio dopo miglio, ed era come
u n 'azzurra veste di lutto che galleggia nelle acque di
un fiume profondo.
Inquieto come un serpe ferito a m o r t e insonne co­
,

me un uccello con le ali tarpate, la sua mente arde­


va nella febbre del desiderio, ardeva come una can­
dela di sego , ma se anche come una candela si fosse
estinto, il fianco non avrebbe adagiato sulla terra.

Majn un parla al c o rvo

Al termine del suo percorso notturno la volta di la­


p islazzuli adornò la veste luttuosa di giallo ; sorrise la
rosa dorata del sole e tinse l ' orizzonte di rosso.U9 An­
dava Majniin , simile a rosa autunnale, il volto in la­
crime, lacrime ardenti come fuoco .
L'aria era incandescente sotto il sole infuocato del
mezzogiorno, non un filo d'ombra in quei raggi impie·
73
tosi. Infine, un albero accolse nella sua frescura Ma j­
n ii n , un. albero attorno a c u i scorrevano fresche ac­
que. Era un bacino circolar e , come la volta celeste,
acqua pura e dolce come la sorgen te paradisiaca del
Kowthar . 120 Ai bordi di quella fonte era fresca verzura.
E l 'assetato ormai bruciant e di febbre, abbeverandosi
a quell ' acqu a rinvenne come tenera aiuola. Estenuato
dall' interminab ile andare prese riposo, in quella quie­
te il suo inin terrotto monologare ebb e fine .
Adagiato su q u e l tappeto d i verde broccato, vide fra
i rami dell ' albero gli occhi di un corvo, due occhi ac­
cesi com e fari. N ero e fascinatore come la treccia di
un giovane idolo , il cuore incatenato da tristezza, ma
ammantato di nero come vestono gli uomini pii, spic­
cava sul verde dei rami nero e lucente come una perla
di giaietto su un fondo di smalto .
M ajnun vide in lui un viandante errabondo e sentì
i l proprio cuore pulsare all ' unisono con il suo: « O no­
b ile creatura, » gli disse « p er quale cagione ti sei am­
mantato d i nero? Tu che illumini la notte, perché alla
notte hai rubato il colore? Quale dolore t i ha oscura­
to? Ardi forse anche tu del m io stesso fuoco ? O, se
il tuo cuore non arde e non hai perso i l senno , perché
sei simile a chi s ia stato incenerito dal fuoco? E se il
tuo cuore arde di dolore, perc h é fuggi chi arde come
te? Sei forse un predicatore e per questo hai indossato
un nero m a n te llo? O un servi tore n egro ? O un Indù
che prepara un agguato? O -forse io sono un r e e tu il
mio palanchino ? m Ma ascoltam i : il giorno in cui giun­
gerai vicino alla mia amata, dille t i supplico, da parte
,

mia : " Senza di te la vita mi sfugge di mano . Soccor- .


rimi,. o senza il t u o aiuto io perirò nella desolazione ! " .

M i dicesti: " Non temere, prendimi per mano " . Ma


io temo che in questo desiderio mor irò . Verrai e io
sarò morto e lamore per te avrò portato con me sotto
terra. A che serve il collirio all'occhio che piange? A
che giova il lamento del pastore quando il lupo ha già
raggiunto il gregge? Quando il seme si è inaridito, a
che serve la pioggia? ».

74
Majniin ostinatamente continuava a parlare, il cor­
o saltellava di ramo in ramo ; Maj nun senza tregua
l iceva parole, il corvo si preparava a partire . E quan­
d o il suo folle monologo si arrestò, il corvo partì e gl i
i m presse sul cuore il marchio rovente del dolore.
La notte calò come l'ala di un nero rapace e il pip i­
Lrello sollevò il capo dal sonno. Le stelle brillavano
·ome lampade, occhi di brace fra le piume di un cor­
v o . E Majnun, da quando la lampada della notte si
spense fino al lucore dell' alba versò dag1i occhi fiumi
c l i lacrime, simile a un cero che, goccia a goccia, s i
estingue.

Majnim e la vecch ia

Emerse la luce del sole dal padiglione dell'alba, ne­


gli occhi di ogni creatura sbocciò un giardino e ogni
sguardo si illuminò come una fiaccola. Maj niin, simile
alla falena che cerca la luce, riprese il cammino, ricer­
cando la via che lo conducesse all'amata.
Quando infine voci note gli giunsero da lontano,
quando il profumo di lei lo raggiunse inebriandolo ,
fu costre tto a fermarsi: per un attimo si arrestò con la
mano sul cuore e sentì dal suo animo levarsi una voce,
come un morto che senta rifluire nelle vene la vita. Di
lontano gli apparve una vecchia e insieme a lei la stra­
na figura di un folle. Da capo a piedi era stretto da
corde, eppure aveva l'aria appagata e felice; la vecchia
lo tirava per un laccio che gli cingeva il coll o . Veden­
do quel prigioniero in catene, Majnun prese a scon­
giurare la donna: « Dimmi, ti prego, nel nome di Dio,
chi è quest'uomo e perché mai lo conduci in catene? » .
« S e vuoi conoscere il vero, » rispose la vecchia « sapp i

che costu i non è un prigioniero e i lacci che lo avvin­


cono non sono catene. Io sono una vedova, lui un der­
viscio, ambedue in suprema indigenza . Per povertà mi
75
accompagno a quest ' uomo, per povertà lo conduco in
caten e . E m entre lo porto in giro, stretto da corde co­
me un folle, passo di casa in casa e ho un pretesto per
chiedere un pugno di cib o . Poi, ogni boccone che rac­
c ogl iamo lo dividiamo fra noi ».

M ajniin s i buttò in ginocchio ai piedi di quella don­


na e così l ' i m p lo rò : « M e, non lui, t i supplico , avvinci
in queste catene, io sono il folle, io il miserab ile infe­
lice che deve p or ta rl e ! Conducimi i n giro, dovunque
tu vuoi, e tutto c iò ch e ci sarà dato apparterrà solo a
te ». La vecchia gio ì di una simile preda e senza in­
dugi legò c on quei lacci e con quelle corde il nuovo
co mpagno di str ad a . E MajnCm quasi ricevesse carezze
si lasc iava l egare , mostrandosi grato delle ferite, gra to
d i avere i piedi in catene e il collo aggiogato. E da­
vant i a ogni tenda presso cui si f ermava no , ebbro can­
tava i suoi canti d' amore. Pronunciava il nome d i
Leyla e gli gettavano p ietr e , l o lap idavano e l u i esta­
s ia t o danzava .
Quando , dopo pat imenti infin i t i , giunse davanti
alla t enda di Leyla, qu a n do il vento gli portò il pro­
fumo del suo giardino, si gettò a terra con m ille la­
menti e dai suoi occhi scorreva una pioggia di lacri­
me, come d a nube primaverile : « Io , che per te sono
incurvato come un arco e ind issolubilmen te u n ito al
dolore per te, io » gridò « più d i loro sono colpevo­
l e . 1 22 Ma ora eccomi qui, incatenato da capo a piedi,
app agato d el castigo che vorrai infl iggermi . Se ho com­
m esso una colpa di c u i non posso venire assolto, sono
qui p er ubbidir e al tuo comando ; non mi pensare ar­
mato d i spada e di frecce, guardami come sono ora,
prigioniero dav an ti a t e ! Se con q uesto bracc io ho
combattuto e ferito, con questo s t esso braccio oggi fe­
risco me stesso, se ieri il mio piede ha commesso un
fallo, ogg i il mio collo è in cat en e, se la mia d ebole
mano h a impugnato l ' arco, eccola qui, torturata da
qu este cord e ; della mia col pa io sento i n fi n ito rimorso,
non com p iacerti di vedermi umiliato davanti a te! Se
d evi ucciderm i , ucc i d i m i ! Se fuori d i te è radicata la

76
lll ia radice, crocifìggimil A te è lecito far lo, ché la tua
u fedeltà è fedeltà123 e d i fronte a te l ' innocente è col­
i ' vole i Se non fossi già in colpa verso di te, io stesso
1 1 t ' i mprigionerei n ella colpa, ché mentre io sono in
v i La il tuo saluto non mi giunge, la tua mano non ac­
·a rezza il m io volto: mia sola speranza è che tu mi uc­
· i c la , ché forse allora, p er scusarsi, la tua mano sfio-
1· rà la mia fronte. Se con la spada mi decapiterai, m i
f ra i avvicinare a l l a t u a soglia, se m' imporrai di sof­
fr ire, sarò fermo e paziente come Ismael e . Il m io cuo­
re è colmo di luce, può forse temere di esser decapi­
t ato da te? Un cero che arde, se gli tagli il lucignolo
arde ancora di p iù!
« M eglio esser morto a i tuoi piedi, che vivo tortu-
1·armi lontano da te; s e non c'è via che possa condurmi
fino a te, non mi resta che ritirarmi in un canto per
piangere, poiché non sopporto di soffrire se non alla
L u a presenza . Ordina che l ' infelicità sia allontanata da
te: la tua infelicità sono io, che dunque la mia testa
sia tua ! ».

Così detto balzò s u come una fiera, colto da furore


sp ezzò le catene e simile a un invasato si slanciò sul
sentiero della montagn a , e percuotendosi il capo e le
membra si allontanò in d irezione del Naj d .
Quando i suoi ebbero notizia d i lui, partirono alla
sua ricerca, ma ogni ricerca fu vana. Padre e madre
abbandonarono allora ogni speranza e a t:hi non si da­
va pace dissero d i lasciare in pace quella povera crea­
tura sconvolta. E Maj n un, n ella solitudin e, di null'al­
tro se non del nome di Leyla conservava memoria, e
chiunque in sua presenza parlasse d'altro all' infuori
di Leyla, o prendeva a percuotersi, o fllggiva, o spro­
fondava nel sonno.

77
Leylii è da ta in sposa a Ebn Saliim

Così il pescatore di perle dell'arte della parola124 ha


effuso dolcezze dalle sue labbra zuccherine :
Il giorno in cui N owfal fu vincitore, Leyla ebbe co­
noscenza dell'accaduto poiché suo padre venne da lei,
ancora sconvolto, e le disse : « Con l'ingegno e con
l'arte della parola son riuscito a sventare una calami­
tà: Nowfal, cui l'Altissimo aveva concesso vittoria, ha
acconsentito a lasciare il bottino, e lui stesso era lieto
di rinunciare, di tenere lontano dalla sua preda l'arti­
glio del desiderio » .
Leyla alle parole del padre infinitamente soffrì, e
nel segreto del cuore amaramente pianse, ma il suo
intimo rimase celato. Ma quando il padre la lasciò
sola, i suoi occhi di narciso si arrossarono come rose
per il pianto, e tante furono le lacrime cocenti che ri­
garono le sue guance da imprimere su di esse il mar­
chio del dolore ; con l'acqua del narciso abbeverò il
rosso arghavan, la canna immerse nell'acqua di fon­
te .125 Non esisteva persona con cui confidarsi, non un
amico a darle conforto.
Come un serpe colpito alla testa che continua a re­
stare in vita rinchiuso nella bisaccia, sopravviveva in
quella prigione, mentre ogni zefiro in quella terra par­
lava delle sue grazie e molti erano i prodi che infuo­
cati d'amore p er lei la chiedevano in sposa, offrendo,
in cambio della sua bellezza, valore e ricchezze . E fra
i pretendenti a quell'intatto tesoro, c'era chi tentava
di rapire la perla preziosa e chi assaporava, nell'attesa,
il gusto di quel miele.
Ma il padre orgogliosamente continuava a tenere al
sicuro quella gemma preziosa, e Leyla, dalle candide
membra e dalle squisite maniere, continuava a esser
tenuta al riparo dal duro granito come un fragile ca­
lice di cristallo.
Ed ella, dissimulandolo fra mille sorrisi segretamen­
te si torturava. Il sorriso le accendeva il volto come a
una candela la fiamma, sorrideva, ma sotto il sorriso
78
I rnciava . Come una rosa che cela sotto il fiore le spine,
d l ' esterno splendeva, all' interno era trafitta da lanci­
n a n t e dolore ; per amor di pace, della sua tortura inte-
1 i re faceva sparire ogni traccia dal volto e intanto i

pr t e nd e n t i attorno alla fortezza che racchiudeva quel-


1 ' stra attendevano.
Quando Ebn Salam ebbe notizia di quanto accade­
va, si affrettò a tener fede alla sua promessa e partì
I r rinnovare la sua richiesta di matrimonio con ma­

gn i ficenza e pompa regale .


Portava c o n sé immensi tesori, carichi e carichi
d 'ambra e di muschio, e dolci prelibati e tesori di
gemme preziose ; i suoi cammelli, a causa dei finimenti
I reziosi, erano sepolti nel b roccato e tale era la vastità
d ella sua carovana da destare incredulità. Spargeva
monete d'oro intorno a sé, quell' oro che gli uomini
on tanto accanimento si contendono, quasi fossero
granelli di sabbia. M a non era oro ciò che spargeva in­
torno a sé, bensì il sangu e del nemico sopraffatto dalla
sua vittoriosa r icchezza. E tale profluvio di generosità
prodigò intorno a sé da inondare come di un'aurea
corrente quelle dimore c ircondate di sabbia.
Per qualche giorno dalle fatiche del viaggio prese
riposo, quindi inviò un messaggero al campo d i Leyla.
Era un mago della parola, capace d' incantare un' inte­
ra assemblea, di intenerire perfino le p ietre ; la sua elo­
quenza, come l'alito del M essia, restituiva a i morti la
vita. 126 Giunse portando in dono oggetti rari e preziosi,
bottino di Rum, 127 di Cina e d'Arab ia; ad uno ad uno
li consegnò al tesoriere e s i accinse con la chiave della
parola a dissigillare lo scrigno dei cuori : « Chi t i offre
con umiltà questi doni è un prode dal cuor d i leone,
vanto degli Arab i, nerbo di ogni esercito ! La fama
della sua spada si innalza fino al c ielo, egli è grande e
nulla offusca la sua grandezza. Se chiedi sangue, ne sa
v er s ar e a fiumi, se chiedi oro, ne sa spargere tanto
quanto la sabbia del d eserto » . Flu ivano le parole
dell'ambasciatore eloquente, mentre il padre di L eyla
intimidito taceva . Per quanto cercasse una via di scam-

79
po non c'era modo di sfuggire alla sua promessa. Il
consenso fu dunque accordato, la luna fu gettata nelle
fauci del drago .123
Quando, il mattino seguente, l' aurora, come una
sposa, prese in mano l'aurea coppa di Jamshid,129 lo
schiavo d i Russia, dalla candida pelle, gettò sulle spal­
l e dello spos o notturno il fulgente tappeto della festa
di nozze.130 I l padre della sposa, addobbata ogni tenda
di paramenti preziosi, invitò lo sposo promesso e il
resto della compagnia, e tutti insieme sedettero nel
padiglione di festa e secondo il costume celebrarono
l'evento felice in gioia e let iz ia ; sedettero insieme, se­
condo il costum e degli Arabi e riannodarono i fili del­
la procrastinata promessa. U na tempesta di argentee
m on ete s ' innalzò al cielo, senza fine si parlò della dote.
E lei, muta e infelice, ardeva, emanando profumo,
come ardono aloe e zucchero insieme .131 La sua bocca
di rubino esalava sospiri di fuoco, dai suoi occhi scro­
s ciava una cascata di lacrime, ed erano, insieme, acqua
di rose e zibetto.
I l calice era caduto in frantumi quando le labbra
già lo sfioravano, quella fresca e dolce b evanda era di­
venuta bruciante veleno.
Quando un membro del tuo corpo si paralizza, resi­
ste e non accetta p i ù gli ordini, è come un membro
r ibelle della tribù, che perde i diritti della tribù. I l
dito morso da u n serpe è necessario amputarlo: poiché
il farmaco della vita è l'armonia della natura, disar­
monia è causa di mort e E Leyla, che l'animo altrui
.

colmava di gioia, portava nel proprio animo lacerato


la morte .

Ley la è condo tta in sposa d a Ebn Sa liim


Al sorgere del giorno, quando il sole fulgente pian­
tò la sua tenda sulla pianura color indaco del cielo, la
nave della notte, col suo carico di stelle, corse via ve-

80
132
sulla corrente del Tigri cel e s t e . Lo sposo felice
1,r p rontò la l ettiga per condurre presso di sé la sua
I sa ; adagiata all' ombra del p alan chino , attorniata da
I' rzo e magnificenza, la condusse via dal la casa pater­
. Le donò il suo trono e le sue ricchezze, al p ar i di
la rese ar b it ra e signora.
Lasciò trascorrere alcuni giorni, poi, con estrema
l o lc ezza tentò di ammorbidire la cera. Ma quando vol­
i ge ttarsi su quella tenera palma da dattero, quando
t se la mano per coglierne il frutto, quella tenera pal­
ma mostrò le spine e a lung o egli non poté chiuder
chio per il dolor e . 133 Così duramente essa lo c ol pì da
.1 sc iarl o a terra privo di sensi : « Se ancora una volta
vorrai t entare » gli disse « non ne verrà che del male
per t u tt i e due. Poiché ho giurato al S ign ore, Creatore
del mondo, che mai avre i ceduto ai tuoi desideri,
q uand'anche i l mio sangue dovesse essere versato dalla
t u a spada » .
Di fronte a simile giuramento, Ebn Salam, per la
pace del suo idolo, si placò. S eppe che vano sarebbe
stato insistere, seppe che la luce degli occhi della sua
sposa era un altro. Ma seppe anche che mai avrebbe
potuto sep ararsi da lei, poiché soltanto a vederla le
aveva donato il suo cuore. S i disse allora : « Se t ale è
l amor e che nutro per lei, m eglio vale accettare di
'

guardarla a d istanza, meglio appagarsi di uno sguardo


che perd ere la sua vista per sempre » .
Prese a l lora a chiedere venia della sua colpa : « Sap­
pi » le disse « che il mio cuore sarà appagato se an­
che tu mi consentirai soltanto di posare il mio sguardo
su di te. E p i ù di uno sguardo non c hiederò ».

Ma Leyl a quel giardino i ngemmato, q uella soavis­


,

sima. distesa di ro s e non aveva occhi che pe r scorgere


,

un se g no di Majniin, non aveva sensi che per sentire


una brezza che le portasse un granello di sabbia da lui
calpestato. Fuori di sé, gemendo sostava sulla soglia
della sua t en da poi, quasi fosse ebbra, faceva qualche
,

passo di corsa, piangendo di disp eraz ione invano cer- ,

81
cando un segno dell'amato lontano . E così intensi
erano i suo igemiti per i l marchio d i fuoco della dispe­
razione, che quell'amore segreto fu manifesto, che
quel mistero divenne tr a spare nte come giorno. Non
le restavano f orz e per sopportare oltre quella priva­
zione, ormai non provava p i ù t imore dello sposo e del
padre : quando l'amore ti è p enetrato fin nel midollo,
c'è forse spazio per la pa ur a ?

Majnun apprende delle nozze di Ley la

Così il nobile cantore di Baghdad ha ripreso a nar­


rare: 134
Il folle che aveva infrant o le sue catene, il paz z o
invasato cui la luna nuova era stata celata, l' infelice
Majniin dal cuore spezzato, era d ivenuto signore di
terre d e so la t e ogn i luogo non era per lui se non luogo
,

d i tappa e nessun compagno gli era r imasto vicino al­


l'infuori dei suoi lamenti e del suo dolore. M a ogni
pur tenue traccia del profumo dell'amata era p iù ine­
briante per lui del profumo di tutta una primavera .
Solo di quel profumo si nutriva : le sue membra, per
lo s fi n im e n t o avevano assunto il colore dell'ambra,
,

un' ambra umida di melanconia .


C a du to a terra sotto un cespuglio spinoso come una
spregevol e creatura, non d i s tingueva più la rosa dalla
spina, l a spina dalla rosa. Non si accorgeva che un
nero cavaliere, simile a un serpe velenoso, lentamente
avanzava verso di lui. Il cavaliere vide quella creatura
abbandonata e serrò le redini della sua cammella e si­
mile a un nero demonio gridò: « Ehi, tu, che ignori
tutto ciò che accade al mondo, tu che solo sei intento
ad adorare il tuo idolo, meglio sarebbe che tu gli vol­
gessi le spal l e · ché in nessun i do lo troverai fedeltà !
,

Solo in te e s i s t e quell'amore, e c ol e i che ami esiste solo


l on t a n o da te! Ascoltami, b en meglio sarebbe per te

82
n on avere un simile idolo da adorare ! Non ti s fiora il
sospetto che colei c ù i hai donato i l tuo cuore sia la
t ua peggiore n emica? Eppure essa t i ha tradito, i vin­
coli dell'amore ha spezzato . È andata sposa ad un al­
tro, un altro che ora la tiene fra le sue bracc ia, e gli
occhi negli occhi abbracciati trascorrono i giorni. Lei
vive fra baci e carezze, tu nello struggimento p er lei
ti consumi; poiché ella è lontana mille miglia da te,
manda anche tu in frantumi il calice dell' amore ; poi­
ché ella non ha più memoria d i te, cancellala anche tu
dal tuo cuore ! Le donne sono tutte infedeli : prima se­
gnano patti, poi frantumano i l calamo; la donna ti è
amica soltanto finché non ha trovato un altro amico
da amare, e allora non vorrà più saperne di te. La don­
na è più incline dell'uomo alle passioni, m a l ' ego ismo
è la sua prima passione. La donna non è mai onesta
giocatrice, ipocrisia e inganno sono il suo gioco; molte
sono le iniquità che l ' uomo dalla donna subisce, ma
da nessuna ottiene fedeltà; e meglio è la donna infe­
dele che l ' uomo che crede alla sua fedeltà ! D onna si­
gn ifica inganno, fuori la pace, dentro la guerra : n emi­
ca è una sciagura per i l mondo intero, amica è la p er­
d izione dell'anima ! Le dic i : " Fa ' questo ! ", non ti
ascolta ; le d ic i : " N on farlo ! " e lei si fa in quattro per
disubbidire. S e sei addolorato n e gode, se sei felice,
muore d i dolore. Così è la donna, e così sempre sarà » .
Tale fu l ' intensità del dolore a quelle ins ensate e
velenose parole, che Maj nun, il cuore in fiamme, ge­
mette e si abbatté al suolo come un uccello ferito ; così
duramente sbatté i l capo sulla pietra, che i l sangue
prese a scorrere a fiotti e tinse la roccia di rub ino .
Cadde sulla dura pietra, il cuore straziato, la veste a
brandelli . E quel velenoso serpente che vilmente lo
aveva ingannato, s i sentì pervadere di vergogna e ri­
mase al fianco di quell' infelice finché non ebbe ripre­
so i sensi; e allora, gettandosi ai suoi piedi gridò : « P er­
donami, ti scongiuro ! Ho vergogna di ciò che ho det­
to, non ho pronunciato che menzogne e calunnie, p er­
donam i ! P o iché ho osato prendermi gioco di te, ecco,

83
uccidimi, il mio sangue sarà legittimamente versato
da te! Quella fanciulla, che conduce vita modesta e ri­
tirata, ha i l cuore infranto p er amor tuo. E lo sposo,
cui suo malgrado è stata unita, non ha mai condiviso
una notte con lei. E se anch e mille altre volte dovesse
sposarsi, mai infrangerebbe il patto che ha suggellato
con te. Le sue labbra non pronunciano che il tuo no­
me, al mondo p er lei non esisti che tu, e non trascorre
attimo senza che m ille volte abbia memoria di te. P i ù
di u n a n n o è passato dalle s u e nozze, ma ella ti è sem­
pre fedele e se anche dovesse passare mille ann i sen­
za d i te, mai i l suo sposo potrebb e godere delle sue
grazie » .
Majnun che nelle parol e dello sconosciuto aveva vi­
sto rifl e sso il volto del suo idolo come in uno specchio
a du e facce, sentì ora lie v em en t e scemare l' intensità
del dolore, ma la durezza del colpo lo aveva prostrato,
come u n uccello cui abb iano tarpato le ali. Per l'infe­
licità versò dagli occhi una cascata di gemme preziose,
su quell' infranta promessa p rese a comporre versi,
stordito e inquieto, ché la sua amata non aveva pi ù
notizie dilui.

Lamento di Majnun co n il fantasma di L ey la

Il vinc olo delle nozze incatenò quella sposa promes­


sa, che l'ancella con tali cure aveva acconciato da su­
s citare l ' invidia del calamo di mille pittor i . Il cuore
del suo amato lontano s' infranse, l'infelicità si accreb­
be d i nuova infelicità nell'apprendere che era andata
sposa a un a l t ro .
Prostrato come un uccello cui abbiano tarpato le ali,
la mente sconvolta, il corpo diafano, non altro che
l'anima rimaneva di lui, folle ormai al di là del suo
stesso nome : null'altro che infelicità aveva incontrato
nel ricercare l'acqua d i vita. E ora, sottile come un

84
fragile stelo, lo sguardo rivolto alla dimora del suo
idolo, così parlò affidando al vento la sua voce: « Ami­
ca mia, mia amata, che hai dato a un altro la gioia
dell'unione, dov'è più il tempo in cui sedevi al mio
fianco, quel tempo in cui un patto fu suggellato con
mille promesse? Dov'è p iù quell'unione che mi fac evi
sperare, dove quell'umile reclinare il capo, quell'in­
vocare l'amore con cristallina speranza? Oggi insieme
a un altro hai suggellato un patto e senza mia colpa
mi hai celato il tuo volto. La promessa è ormai in­
franta, ma anche l'amicizia è svanita? Tu hai dato sol­
tanto la tua parola, io ho dato la vita; a prezzo della
mia vita ho com prato il mio amore per te e tu hai
preferito l'amore di un altro . Così si cancellano le pro­
messe? Io non ne ho forse conservato memoria? A tal
punto la t ua nuova felicità ti ha turbato la mente, che
del compagno di un tempo non hai più nemmeno il
ricordo? La mia giovinezza trascorse nel tuo giardino,
e ahimè, quanta pena per prendermi cura di quel
giardino ! Poi un colombo vi introdusse il lamento, un
corvo ne ghermì i frutti appena maturi. Ma possa il
dattero tramutarsi in spina per chiunque mi ha sot­
tratto il tuo frutto ! E possa esser precluso anche a lui
il godimento del tuo giardino e anche a lui essere in­
flitto l'ardore rovente del samum ! 135 O seno di gelso­
mino, sei come un cipresso che cammina, ma nessuno
ha mai gustato i frutti di un cipresso ! Prima hai vo­
luto innalzarm i a te col tuo amore, poi mi hai abban­
donato nell'abiezione. Quel giorno i n cui ti ho dato
in p egno il mio cuore, mai avrei pensato che ti potessi
macchiare di una simile colpa! Mi ingannasti con giu­
ramenti e promesse per incatenarmi a te: giuramenti
e promesse ben menzogneri ! I l tuo cuore si è acceso
per un altro e non ne hai avuto vergogna di fronte a
me. Ma al mondo non esistiamo noi soli, non solo noi
giudichiamo del bene e del male. Gli altri sapranno
ben giudicare quanto ingiustamente mi fai soffrire.
Immagina che occhi esterni ci guardino : che altro po­
tranno dire s e non che sei una vile spergiura? Rom-

85
pere le promesse è un male, rifletti sulla vita che spez­
zi. La ro s a , finché non viola il patto che ha sigillato col
roseto, non ha da tem er e il destino; il vino, finché non
fa irrom p er e la dissolutezza non è chiamato v ergo gn a ,
la no t t e finché non frantuma l'arg en t e a coppa della
luna non fin i s ce col volto ann er it o . 1 36 Con che cuore
ho potuto ri p o rr e in te l e mie speranze, a causa tua
c ome ho potuto anco ra sorridere? Quella promessa che
tu hai c al p e s tat o era la mia vita , eppure non hai esi­
tato a tradirla ! Tu no n fai ciò che s o l o p o tre bb e farmi
felice e io non posso dimenticarmi di te. Eppure, mal­
gra do il dolore che provo a causa tua, io mi i nd i gn o
se mi affiiggo per te: in tal m o d o hai radicato nel mio
cuore il do l ore c h e non vi è rim a st o spazio per l 'affii­
zione. Sono d eb o l e ormai per l ' assuefazione al tuo
vino, che cosa p o s s o r improverare al tuo nome? Le ini­
quità che c omme t t i sono pur sempre ci b o per il mio
c o r p o e per la mia anima; se la tua iniquità mi con­
s uma l a vita, la bellezza d el tuo volto la scusa : per
colei che tal e bellezza p o ssi e d e , possa il sangue inno­
cente essere lecitamente v e rs a to ! Tu sei il gi o r n o ful­
gente, io sono la lamp a d a , è giu s to che io mi estingua
di fro nt e a te. Se la luna fosse dolce come lo zu cc h ero ,
tu sare s t i la luna, se il re con due torri potesse da­
re scacco al n em i c o, tu s a re s t i il re, 137 se il fuoco ve­
desse di l o n tan o la tua luce arderebbe dal desiderio
di unirsi a te ! Un gi ardin o , per quante rose e aiuole
fiorite p o s si eda , che co sa è mai in confronto al fulgore
del tuo vol t o ? I l rosso del rubino imperiale di fronte
al ve rmigl i o delle tue guance scolora, l ' arco delle tue
sopracciglia è un a visione, u n a falce di luna nella not­
te del ' id, 138 il su l tan o del t uo volto, adorno del nero
baldacchino della tua chioma, estende il suo potere su
Cina e Abissinia.139 Ecco infine la mia decisione : io
getto la mia vita ai t u o i piedi, sc elg o la sofferenza della
promessa senza guardare alla tua iniquità, alla tua cru­
deltà, e lo strumento della paz i e nz a instancabilmente
continuerò ad acc ordare finché la mia vita si arresti! » .

86
Il padre di Majnun visita il figlio

Così l eloquente deh qiin di nobile stirpe p ersiana


ha rievocato l' infelice storia dell' arabo padre di
Maj nu n : 14-0
Il vecchio, simile a Giacobbe privato del volto del
suo Giuseppe, conosciuto fino a qual punto era scon­
volta la mente del figlio, di placarlo aveva p erduto o r­
mai ogni sp eranza; gemendo si piegava nella tortura
e viveva solo nell'attesa di poterne e ssere liberato.
M a nel continuare a ricercare un rimedio non trovò
pace : può forse un negro diventare con l ' acqua un tar­
taro dalla candida pelle?141 Corse da un capo all'altro,
impegnò ricchezze e ricchezze, ma la b uona fortuna
non lo degnò di uno �guardo e di lib erarsi da quel do­
lore p erse ogni speranza : ciò che è eterno non può
mutare .
Sedette in un canto, preparate le p rovvigioni, atten­
dendo che la morte venisse a prenderlo ; vecchiaia, in­
fermità e debolezza gli erano di guida p er il viaggio .
Infine sentì farsi anguste le pareti di quella tenda, il
flauto della sua voce divenne simile al lamento stra­
ziante del liuto e presagì che fosse giunta la fine, che
lo straniero stesse per bussare alla porta. Prese allora
il bastone, come un infermo, e accompagnato da due
giovani, d i nuovo si pose alla ricerca del figlio. Errò
fra montagne e deserti, sabbie nere e verdi p ianure,
solo la speranza sosteneva il suo piede malfermo : ma
del figlio non vi era traccia. Alla fine gli giunse un
segno : gli dissero che in un luogo non lontano da lì
viveva qualcuno, in un luogo di tormenti, una caver­
na, simile a un oscuro sepolcro. Il vecchio disperato
riprese il cammino, e corse ancora affannosamente per
un giorno intero, finché raggiunse quel luogo e infine
lo vide. M a non fu ciò che desiderava che vide, ché
anzi quanto apparve ai suoi occhi sconvolse il suo cuo­
re: non un essere umano gli apparve, ma uno spirito
che si muoveva, non un essere umano, ma ossa appena
rivestite di pelle.

87
Separato dal mondo, eremita in adorazione del suo
idolo, a u n filo dal regno della morte, vagava sulla
terra come un cane r a n d a g io, eppure restava celato
più di un m or t o sotterra. Privo di sensi, il suo cor­
po giaceva al suolo, simile a un serpe attorcigliato .
Era n udo, solo un misero perizoma di pelle c ingeva i
suoi fia n c h i Teneramente sedette vicino a lui, acca­
.

rezzandogli con dolcezza la fronte, e lacrime cocenti


s gorgavano dal suo cuore : Majniin riaprì gli occhi, e
china s o p ra di sé un a figura gli apparve, che non rico­
nobbe. Fissò gli occhi sul volto paterno e si ritrasse .
Colui che di sé ha perduto memoria, può forse sp erare
di non s m arri re il ricordo degli altri? « Chi sei? » sus­
surrò « C h e cosa cerchi da me? D a dove sei giunto? » .
« Sono t u o padre » r i sp o s e « fino ad oggi ti ho cercato

senza posa, e il mio cuore è straziato dai tormenti » .


Quando conobbe chi era, M aj niin si gettò ai suoi
p i edi, e le lacrime sgorgavano dagli occhi di entrambi, ,
mentre l'uno copriva l'altro di bac i . Asciugate infine
le lacrime, il padre osservò l ' aspetto del figlio : era nu­
d o come il corpo di un risuscitato nel Giorno del Giu­
dizio. Estrasse dalla sua sacca una veste preziosa e ri­
vestì le nudità d e l suo corpo, e così pure il capo e le
estremità.142 Poi con paterna saggezza gli si rivolse ,
usando di ogni esempio di cui avesse memoria : « F i ­
gl io mi o , tu che sei la mia vita, che luogo è m a i questo
in cui hai scelto di vivere? Fuggi da qui, ché solo
fuggendo puoi trovare una via d i salvezza ! Puoi forse
attendere qui, bersaglio immobile, la freccia del desti­
no? Bersaglio senza difesa, ben presto il tuo sangu e
sarà versato, il p i ed e del nemico calcherà il tuo corpo :
quando lupi e leoni avran n o fatto di te una vuota car­
cassa, tu s a ra i morto e il ve n t r e delle fiere sarà sazio di
t e . M eglio essere un cane n e l proprio villaggio, che
provare l'umiliazione dello straniero ; per quanto tu
corra non troverai ma i un luogo di pace e intanto la
vita ti sarà sfuggita di mano. Affliggersi è privo di sen­
so : chi sull'afflizione ha potere? Quel letto di fiume in
c u i scorre l'acqua, guar da lo q uan d o è devastato dalla

88
l i e n a ! E il monte da cui sgorga l'acqua, gu arda lo ,
uando squassato dal terremoto si sp acca ! A s en tire
ome tu senti la ferita del dolore ti e stingue rai, fossi
anche di ferro ! Lungo tempo hai t r asco rso nell' osti­
n az io n e, ora sii ubbidiente e rasserena il tuo cuore.
Placati, cessa di spronare la tua cammella, cessa di far
correre i l tuo destriero in compagnia delle b esti e sel­
vatiche, cessa d i essere supremo poeta in una grotta
infern al e e di nutrirti, come una sanguisuga, del tuo
stesso s an gu e ! Sii for te e paziente, s oppo r t a e inganna
te stesso con altri p e nsi e ri , sii pago del p iac e re , anche
se fuggevole, ché saggio è colui che si appaga d el l e ca­
rezz e : che il piacere sia v er ità o m e n zo gn a, alla fine
adorn a l'animo. A che pro farsi il sangue amaro? Ogni
piacere che non sia de ll' oggi non è da fidarsen e : molti
sono coloro che hanno ammucchiato grano senza poi
poterne godere . Oggi, nel dì che v i v ia mo , è il momen­
to di pr e p arar si . Domani, quando il destino prenderà
le br i g lie , il mo n do accetterà forse le tue scuse? La
donna veste ciò che ha tessuto, l'uomo raccoglie ciò
che ha seminato : brucia oggi gli incensi dei tuoi sfor­
zi, per averne il profumo domani! Preparati, antici­
p and o l' 'ayyiir della m o r t e ,143 affinché la morte giunga
s enza portare dolore : soltanto colui che prima d e l la
morte ha saputo morire è sfuggito alla morte. Il tuo
p o s t o in casa è rimasto vuoto, vieni ! La spensieratez­
za è finita, vieni! Anche i l can e ha una pat ria, solo
tu non c e l ' hai! Tu sei un uomo, sii dunque un uomo
e non un d e m o n io su questa t e r a ! In quei pochi
r

gi orn i in cui ti sono compagno, non lib e r art i della


staffa della mia vita! S ii la consolazione del m i o de­
bole cuore ! Stanotte mi volti le spalle, domani invano
mi c ercherai ; e s e queste parole ti sono di peso, sa p p i
che anche questo è decreto del cielo.
« V i v i felice, io ho ormai piegato i l fog l i o del mio

destino, nutriti, io sono ormai finito, io me ne vado,.


rimani tu al sicuro in questo mondo ! Il dolore mi ha
ucciso, tu sii fel i ce ! Il s ol e si è ormai oscurato per me,
p r o ss imo al tramonto. Il mio giorno è giunto alle so-

89
glie della notte, affrettati, figlio mio, tu che sei si­
mile alla luce del mattino ! Figlio mio, sono prossimo
a sp irare, affret ta ti ! Affrettati, vita mia, se non vuoi
gi unge re troppo t a rd i ! I l segnale p er il viaggio è or­
mai dato, ecc o è tempo d i mettersi in marcia ! Io temo
di esser costretto a levare le tende e che tu giunga al­
l'accam p amento quando i o non c i sarò più! Allora
p oggera i il capo sulla mia terra e p iangerai per la se­
p araz ion e, e come p i a ng er a i ! Ma se anche, allora, il
tuo animo d iva mpa s se dal dolore, che mi giovereb b e,
allora, quel do l or e di fuoco? S e anche la vampa del tuo
cuore incendiasse i l mondo, potrebb e forse rendere lu­
minoso il volto del mio destino? ».

Risposta di f\1ajnitn al padre

Uditi gli ammonimenti patemi, il figlio desiderò


sott om e t t ers i al suo volere e p er due giorni di buon
g rado ubbidì, e illuse il padre. M a mentre vuo l e pen­
tirsi d ell ' amore , l'amore Io assale e la voce del penti­
m e n to so p raffatta si estingue. « Padre mio, » disse al­
lora « la tua vita è la mia vita, la tua saggezza sciçiglie
ogn i nodo e la m ia mente si inchina al tuo consiglio :
il m io orecchio è tuo schiavo , i tuoi moniti sono una
fiaccola che mi illumina l'animo e s e non t i dò ascol­
to è solo la m i a angustia a impedirmelo . I l tuo ordine
è degno d i obb edienza, lo so, e io voglio obb edirti,
ma è al di sopra delle mie forze. Puoi forse imprimere
su di me il conio della saggezza, se il conio della mia
moneta è l ' a mo r e ? 1 44 Per il mio animo in cui l'amore
ha get ta t o il seme, il mondo intero non vale l ' amore.
Di ciò che fu i o non ho più memoria, la mia memoria
non porta null'altro che oblio. Non chiedermi oggi ciò
che ho fatto i eri, che anche delle mie proprie parole
non ho ricordo; e se anch e mi chiedi in questo istante
che c o sa faccio, io l ' i gn oro . So solo che tu sei mio pa-

90
d re e io il tuo schiavo, ma il tuo stesso nome io non
so più. M a non solo di te, padre mio, ho perduto me­
moria, dalla mia mente si è cancellato ogni ricordo di
me. Io stesso mi chiedo il mio nome, sono amato da
chi, sono amante di chi? Come un fulmine, una vam­
pa ha incendiato il mio cuore e la vampa del cuore ha
incenerito la mia esistenza. Sono pago ormai di una
grotta per vivere, per cibo m i basta un po' d ' erba . La
macina del destino ha esaurito acqua e pane.145 Mi so­
no p erso nel mio stesso deserto, sono ridotto allo stato
selvaggio, non riportarmi fra gli uomin i ! Chi ormai
ha familiarità con la solitudine e col deserto, gradisce
la consuetudine con le bestie selvatiche. Un melone
che è s tato morso da un insetto, va allontanato dalle
altre frutta o avvelena anche quelle : così io t emo che
da me, il dolore intorno a me si diffonda e tutto il
giardino possa esserne afflitto . La mia via volge al suo
termin e : meglio che sia distrutto io solo, piuttosto che
lo sia anche chi sta intorno a me . Immagina che l ' erba
verde della tua proprietà sia stata inghiottita da una
calamità della terra, 146 non leggere i l mio nome nel
libro delle generazioni, e immagina di non aver mai
versato la tua linfa vitale ! Fammi una tomba, e un tu­
mulo su di essa e pensa che sia di un uomo ebbro
d'amore, un uomo cui non si può richiedere la virtù,
che davanti al suo nome il calamo della virtù si è arre­
stato . Mi hai detto che la tua partenza è vicina, ma la
creatura sperduta che hai sotto gli occhi, ha già ini­
ziato il viaggio. Io sono ormai nell'autunno, quando
il momento del tuo distacco giungerà, il mio sarà già
avvenuto . Sulla tua morte i vivi devono piangere : ma
io non sono più dei vivi e può forse un morto p ian­
gere un morto? » .

91
Congedo di Majnun dal padre

Il padre comprese allora lo stato del figlio, compre­


se che egli era prig ion ier o dell'amore per sempre e
abbandonò ogni sp er anza di vederlo risanato ; il laccio
dell'amuleto contro le malattie era ormai p ieno di no­
di.147 « Figlio m io, » disse « mia vita e mio carnefice,
mio supplizio e m io diadema, ho ascoltato l e tue pa­
role disperate e mi congedo insieme da me stesso e da
te. Tuo padre ha desistito , p iangi, p iangi con lamenti
e gemiti, cingi il m io collo con le tue braccia e inumi­
disci delle t ue lacrime il mio volto : quelle lacrime sa­
ranno la mia abluzione al la vigilia del viaggio finale,148
e nella lett iga che mi condurrà alla meta il mio sonno
sarà dolce. È l ' u lti m o istante prima della mia dipar­
tita e nei miei occhi in luogo del conforto della tua
vista è l ' immagine della t ua rovina. Abbracciami for­
t e, non c ' è p i ù tempo per le carezze, solo questo sarà
il viatico, ché lungo è il mio viaggio. Sono ormai sepa­
rato dalle cose di questo mondo, il mio mondo è or­
mai un altro. Ora non sono più lontano dal mondo in
cui sei, muoio e il tuo dolore d iventa il mio. Addio,
non m i vedi forse diverso? Addio, sto morendo, ho già
preso posto nella nave di chi non farà più ritorno. Ad­
d io, ho già deposto il mio carico, l'artiglio dell' aldilà
mi ha ghermito . Addio, è come se io fossi stato già sot­
tratto a me stesso ; forse già troppo abbiamo indugiato
e la carovana è partita. Addio per sempre, parto, la
risoluzione è ormai presa, parto per un luogo da cui
non esiste r it or no ! » .
Concluse queste parole d i addio, il vecchio riprese
il cammino. Sofferente riandò alle sue principesche di­
m ore , ormai prossimo alla morte. Al limite delle forze,
ancora un poco sopravvisse a fatica, poi subitaneamen­
te la morte in agguato lo aggred ì . Il celeste uccello
volò via dalla gabbia e sul trono della Verità trovò la
sua pace : 149 lo spirito si c ongi u n se allo spirito, la terra
alla terra.
La pace godrà colui che in questo mondo in pace

92
1 on è mai stato, colui che mai nella vita di questo
mondo si è rad i cato, che come un fulm i ne l'ha attra ­

v r s a ta nascendo e morendo . Nel mondo del transeun ­

te non ti arrestare, se non vuo i averne d o l ore : a colui


h e in questo mondo mette radici, la pace del cuore
rimane preclusa. Soltan t o chi è mort o a q u esta vita,
sarà vivo nell'altra ! Il m on d o è un demonio col volto
di un angelo, se a esso ti leghi non s fu g girai alla
rovina .
Non è un uomo scaltro ma un serpe, colu i che le
r i cchezz e lasciano libero di cibarsi di terra! Non essere
un serpe! 150 Non str ingere in pugno come gli ubria­
chi, ma prendi e d a i come la m ac ina di un mulino !
Se prendi dovrai anche dare , che è dal prendere e dare
che il mondo divenne pro spero ! Solo se non hai frutti
non devi tributo, ché sulle rovine non si esigono
tasse!
Si d ipartir o no i gra nd i re e i devoti, e ri m ase ro i
sud d i t i del mondo . Gli uni erano stirpe keyanide, i s t
questi chi sono? Guarda chi è ora al posto della stirp e
di Key! Solo essendo un uomo di ani m o nobile sarai
p ari a quei re in di gn it à ! Fa' il bene e asti en it i dal
male, ché il b ene v i ene in pre senza del bene e chi ha
fatto d el male non è certo che a te lo abbia fatto, b ensì
certo a se stesso. Fa' il bene e ge tta lo via, che anche
dal profondo di u n pozzo ritorn e rà fino a t e . Tutto ciò
che di bene e di mal e è i n una voce, trova un'eco nelle
viscere d ella terra : se alla montagna hai affidato un se­
greto sappi che l' eco della montagna ciò che ha ascol­
,

tato ripeterà!

Majnun apprende della m o r t e del pa dre

Volle il des t ino che una notte, al canto dell' usigno­


lo, un c acciatore inseguendo la preda gi unges s e nel
Najd, l'al t op i a no in cu i ave v a trovato rifugio Majnii.n,

93
simile a una p erla preziosa incastonata in un diadema .
I l cacciatore se l o trovò sul cammino e le parole che gli
scagliò contro furono acuminate come frecce . Con vo­
c e l ugu bre lo apostrofò : « Ehi, tu, che vivi lontano
dalla tua gente e dai tuoi amici, incurante di ciò che
hai davanti, non esiste per t e più n essuno all' infuori
di Leyla? Di tuo p adre e tua madre non hai più me­
moria? Che la vergogna ricada su di te, che non cono­
sci vergogna ! Un figlio degenere come te meglio aver­
l o sotto terra che sotto i propri occhi ! Se anche per gio­
van ile stoltizia abbandonasti tuo padre quando era in
vita, ora che è morto, possa tu stare in vita per averne,
in estremo, memoria ! Vieni a piangere sulla sua tom­
ba, vieni a cercare un segno del suo p erdono ! Solo nel
perdono della sua tomba puoi trovare rifugio, implora
il p erdono dell'anima sua ! ».
Sotto il peso di quelle p arole Maj nun si piegò, e ge­
mette come un liuto; disperato si gettò a terra batten­
dosi il capo . Poi, in preda a divorante inquietudine,
c orse senza tregua finché non giunse alla tomba pater­
na. E di fronte a quella lapide il suo cuore fu come un
diamante spezzato . Privo di sensi si abbatté sulla tom­
ba d el p adre, aggrappandosi a essa e abbracciandola,
e p er amore di q u e l l an im a pura lacrime sgorgarono
'

dai suoi occhi irrorando la sepoltura paterna . Ora si


inchinava a baciare la terra, ora se la gettava sul capo .
La notte imprigionò il giorno e la febbre assalì l' in­
fermo.
P er tutta la vita era s t at o vittima del destino, fin
dai primi passi i l dolore gli era stato compagno, ma
prigioniero della paura diventa solo colui che rimane
orfano, quando ogni speranza di sostegno e di protezio­
ne svanisce e subentra l' umiliazione di essere orbo del
padre . S i rotolò nella polver e di quella tomba, invano
cercando un segno di colui che aveva condiviso le su e
pene, ma non ne trovò alcuna traccia e dal compati­
mento non s i distolse; e tale effluvio di lacrime cocen­
ti versò , da intridere la terra d i sangue. « Padre, » dis­
se « padre mio, dove sei? P er ché non mostri a tuo fi-

94
glio l a tua corona? Amico mio, dove debbo cercarti, a
hi debbo c onfidare i miei rimorsi per il dolore che ti
ho pro c u rat o ? S e non mi avessi mai generato avrest i
onosciuto la felicità, e ora è per m ia sola colpa che
giaci so tt e rra . I o non avrei m a i saputo immaginarmi
enza di te, e a m aro è ora sperimentarlo ! Oh me infe­
l ice, l on tan o da t e ! Eri il mio amico e il mio protet­
tore, eri la forza c h e mi rendeva i ntre p i do il cuore,
ri il maestro s p irituale, colui che condivideva il mio
i n t imo e senza di t e sono rimasto senza nessuno! Oh
me in fe li c e abbandonato su q u est a terra s e n za di te !
,

Non mi rimproverare per la m ia assenza, ché io stesso


mi sento inab issare nella v e rgo gn a per il mio agire .
Un lamento si leva dal mio cuore quando dei tuoi
consigl i mi torna m emoria: tu m i amm aestra v i con
i n d u lgen z a , io ero come un pu ledro selvaggi o ribelle
al morso, tu mi eri v i c in o come un aureo orecchino
all'orecchio, io ostin ato restavo l o n t ano da te, io ero
du ro, tu dolce, tu mi davi calore, io solo ge lo . Tu pa­
tivi per me il mio stesso dolore, io mi battevo contro
il mondo intero. Tu sei accor s o al m io capezzale, io ti
ho abbandonato sprofondando nel sonno ; tu hai im­
bandito per m e un b anc h e tt o di gioia, io l'ho gettato
via ; tu hai pregato e non hai ricevuto nulla, io ho di­
s tru tt o l'albero senza avern e gustato il frutto. Il tuo
amore era la mia vita, lo ricordo e trascino la v i ta nel
d olor e I miei occhi continueranno a spargere inda­
.

co, 152 finché da ambedue sarò cieco. Padre mio, per ciò
che ho fatto io patisco non u n o ma mille supplizi !
O da t or e d i luce a l mio astro, l a tua gioia è il mio
unico far m a c o e io temo che Dio mi pu n i s c a se tu sei
,

insoddisfatto d i me. " Cuore m io " m i chiamavi, e ora


q u e s to cuore trafiggi con una freccia mortale? Se io
sono il tuo cuore non darmi fuoco, non infliggermi
come a un infedele le fiamme infernali ! Perché tortu­
rarmi così, riman endo sepolto nelle viscere di questa
terra di dolore? S e verso di te sono stato colpevole, la
mia colpa si è r itort a contro me stesso, se i tuoi ammo-
95
nimenti non ho asc o l ta t o la ferita che mi hai inflitto
,

è il mio castigo ! » .
Cosi disse gemendo e lacrimando, e così continuò
finché la not t e tinse il giorno di nero .
S ospirò il fantasma d e l giorno e dalla montagna l'au­
rora levò il suo vessillo; l'alchimia dell'aurora trasmu­
tò con il suo elisir la polvere in oro . L'errabondo visi­
tatore di quella tomb a , dolente si rimise in cammino
verso l a l to p ia no del N aj d : i l suo fardello era fatto di
'

lacrime, la sua strada di lamenti. Respirava con la for­


tuna avversa, sopravviveva fra mille asperità. Per l' in­
c endio che gli d ivampava nel cuore, la notte rapiva al
g i orno il giorno alla notte.
,

Familiarità di Majnun con gli animali del deserto

Così i l narratore della storia ha proseguito a nar­


rar e :
Quell' errabondo viandante che aveva n elle monta­
gne i l suo guanc iale, profumo di quelle dimore d'ar­
gilla, cessato che ebbe di piangere sulla tomba pater­
na, tornò a va gar e per montagne e deserti, finché u n
gi o rn o passò d al la terra in cui l'amata aveva dimora.
I suoi occhi si posarono su d i un foglio di carta, su cui
u n calamo aveva vergato i nomi di Leyla e Majni.in.
Afferrò quel foglio e lo lacerò: il proprio nome rimase
intatto, quello di Leyla fu canc ell ato . « Perché » gli fu
chiesto « dei due nomi uno solo conservi? » . Rispos e :
« È meglio se di noi d u e u n sol o nome riman e ; chi co­
nosce l ' amore sa bene che dietro l 'amante subito tra­
spare l'amata » . « Ma perché, se anche basta il nome
di u n solo, p erché cancellare il suo nome? » . Rispose :
« È meglio che s ia io a stare in vista e non c iò che è

p rezioso, è meglio che l' essenza rimanga celata e che


solo l'involucro a ppaia, 153 meglio che dell'amata io sia
il velo, che della perla io sia la conchiglia! » . Così dis-

96
e si allontanò, e riprese a errare per strade s egn ate
sentieri senza traccia, cantando versi d'amore, in cer­
\ di colei che sola avrebbe potuto lenire il su o dolor e .
Ormai r i d o t t o allo s ta to selvaggio, rotto ogni vinco-
1 lib ero da contumelie e ignominia, avvezzo come gli
,

, nimali d el deserto a cibarsi di radici e di erbe, non


I aggredivano le fiere, né gli animali domestici gli
ven ivano intorno, ma fra tutti loro era pace. Leone e
ervo come sentinelle lo proteggevano, e ogni animale
c i el deserto s i affrettava per venire a servirlo. Di c ervi
leoni e volpi e lupi, un eserc ito si era raccolto intor­
no a lui : essi erano pronti al suo comando, ed egli,
ome Salomone, regnava su di loro.154 Le ali dell'aqu i­
la erano il suo baldacchino, il suo esile corpo riposava
sotto le ali dell ' avvoltoio . Il suo r egnare aveva rag­
giunto la meta: distog lier e anche le fiere dal fare del
male. Il lupo vigil ava sulla pecora, i l leone ritraeva
l 'artigl io dall'onagro, il c an e era in pace con la lepre,
la leonessa allattava la gazzella smarrita.
Lui proseguiva estenuato, loro in ranghi serrati lo
circondavano; e quando desidera va dormire, la volpe
con la coda sgombrava il terreno, la gazzella correva a
l eccargl i i piedi, l'onagro gli offriva con il suo dorso
un appoggio e il fianco del daino era il suo guanciale;
accovacciato alle sue spalle, il leone vigilava come
una s e n t in ell a con la spada sguainata, il lupo in avan­
guar di a lo proteggeva, e la feroce pantera aveva ab­
bandonato la sua naturale ferocia.
Quell'esercito di fie r e percorritrici di deserti faceva
c erchio intorno a lui, e lui, simile a un angelo con le
ali in catene, era il polo di ogni loro agire. Ma per
t imore di quelle fiere assetate di s an gue, nessun essere
umano osava più avvicinarlo : i suoi selvaggi guardia­
ni sbranavano chi non era grad i t o dal loro signor e ,

ma nessuno osava sfiorare chi egli invitava a v enire


avanti. Insomma, fosse amico o parente, nessuno senza
sua licenza p o teva passare.
In m ezzo a quel corpo di guardia, Maj niin cammi­
nava come un pastore col gregge ; s i era unito a loro

97
n ello stato selvaggio e sulla loro selvaggia natura aveva
riportato vittoria.
La gente era stupefatta peT il suo stato e p er quel
segu ito di an i mal i selvatici ; e in ogni luogo in cui pe­
regr i nand o giungeva, nessuno aveva pace finché da vi­
c in o non aveva potuto veded o . Ogni giorno qualcuno
faceva sosta presso di lui, portandogli cibi e b evande,
affinché con essi rompesse il digiun o ; e quel pellegrino
rivestito soltanto di un perizoma di p elle intimoriva i
loro cuori . Ma di quel cibo egli non toccava che infi­
nitesimali frammenti, e il resto lo distribuiva fra gli
animali che lo attorniavano. E dopo che ebbe dato loro
il cibo d i primavera e di estate, ogni fiera che lo incon­
trava si prosternava ai suo i piedi come al proprio gior­
naliero benefattore ; e l' accorrere grato di quegli ani­
mali, contò per Majnun come il guadagno di un' intera
gi or n a ta .

La generosità addolcisce ogni creatura, e anche chi


è libero c inge di legami : quando un adoratore del fuo­
co è ge n e ro so con un cane, il cane, p er la lusinga, si
tra s fo r m a in gatto !155

Apologo

Ho udito una volta narrare la storia di un principe


che viveva nella città di Merv. Egli possedeva un gran
n um ero di cani in cattività, simili in tutto a demoni
in catene_ Ognuno di essi aveva la forza di un cin­
ghiale, con un morso c a p a c e d i troncare la testa a un
cammello. A queste fiere assetate di sangu e, il principe
gettava in pasto chi fosse caduto in disgrazia. A chiun­
que il signore non accordasse p i ù la sua protezione,
era riservato il destino di farsi divorare da quelle fiere.
C'era fra gli intimi di quel pri nc ipe un giovane, vir­
tuoso ed esperto in ogni arte; temette quel giovane che
un giorno la calorosa amicizia del principe si tramu-

98
t. sse in odio, che la sua ira lo gettasse in pasto a qu ei
ani, infliggendogli le loro lame acuminate . P er timo­
e d i quelle fiere allora lo precedette, e strinse amici­
z ia con i guardiani . Ogni giorno s i avvicinava alle gab­
bie e a quei cani gettava una pecora ; e tanto li molcì,
he la loro ferocia con lui si tramutò in dolcezz a : grati
Ila sua mano generosa, divennero a lui sottomessi.
Un giorno l ' indole irosa del principe rese quel gio­
vane spregevole ai suoi occhi; ordinò ai feroci guar­
diani di gettarlo ai cani, e quegli esseri spregevoli di­
mostrarono tutta la loro brutalità avventandosi su di
lui e, incatenatolo, gettandolo ai can i . Quindi si allon­
tanarono e rimasero a guardare a distanza. Ed ecco che
quelle belve dal morso d'acciaio, dapprima gli abbaia­
rono contro, ma appena ebb ero riconosciuto il loro
b enefattore, scodinzolando gli fecero festa, lo c ircon­
darono e si accucciarono intorno a lui. Come madri
premurose lo colmarono di ogni cura e cosi un giorno
intero trascorse.
Quando il nuovo giorno mostrò il suo volto di luce,
e il nero broccato della notte si tinse dei riflessi del-
1' oro, il principe cominciò a provare rimorso per ciò
che aveva fatto, il dolore lo punse e disse ai suoi corti­
gian i : « I eri, con atto sconsiderato, ho fatto gettare ai
cani quell'amabile giovan e ; andate a vedere che cosa
è accaduto di lui, se le b elve lo hanno d ivorato ! » .
Quando i guardiani vennero a conoscenza d i ciò che
il signore aveva detto, si presentarono al suo cospetto
e gli dissero : « Quello non è un essere umano, ma un
angelo che D io ha voluto inviare fra noi ! Vieni a ve­
dere il miracolo, vieni e riconoscerai l'op erare di D io !
Egli è là, alla mercè d i quei cani, m a le loro fauci sono
incatenate dall'amore, e nessuna di quelle belve infer­
nali gli torce un capello ! » .
I l principe sub itamente ordinò che in fretta si cor­
resse a vedere s e quell' infelice ancora si poteva salvare,
e i guardiani lo ricondussero dalla gabbia d e i cani alla
corte del principe. I l principe, sb igottito alla vista del
giovane, scampato sano e salvo dalla gabbia di quelle

99
fiere, piangendo si alzò p er accoglierlo e mille volte,
in lacrime, implorò il suo perdono. Infine gli doman­
dò : « D immi, ma come hai potuto restare vivo in balìa
di quelle belve feroci? » . Rispose: « Il motivo è assai
semplice: prima che tu mi gettassi in catene, molte
vol t e io detti a quei cani del cibo, e loro, grati dei
b occoni che avevano ricevuto dalle mie mani, hanno
s igillato le loro fauci. Per dieci anni sono stato tuo ser­
vitore fedele e , innocente, questa è stata la ricompen­
sa che ho ricevuto da te: solo per un attimo d' ira mi
hai datn in pasto ai cani, e se sono salvo è solo perché
i can i non attaccano chi gli è amico . Il cane mi è stato
amico, non tu, al cane è dovuto rispetto, non a te. Un
can e p er qualche osso t i si fa amico e ti resta fedele,
ma vi sono uomini che nemmeno se dai loro la vita ti
sono fedel i ! ».

Quando il principe fu a conoscenza d i quel porten­


to, che d elle belve avevan o salvato un uomo dagli
uomini, r ecuperò la ragione dalle nebbie dell' inco­
scienza, e abbandonò per sempre ogni crudeltà .
M orale d i questa storia è c h e bontà e generosità
sono la migliore difesa : Maj niln, che sfamò le b estie
feroci, eresse intorno a sé una fortezza. D evotamente
esse gli fecero scudo e dovunque egli andasse, fosse
desto o giacesse nel sonno, quell' esercito non lo abban­
donava . Anche tu, se agirai come lui, non dovrai assa­
porare le amarezze del mondo, e ricorda: colui che
siede con te alla tua mensa, foss'anche un califfo, non
appena accetta il tuo cibo diventa tuo schiavo. 156

Majniln si rivo lge b enedicente alla Corte Su blime.


Invocazione a Venere

La notte splendeva come giorno chiaro, il volto lu­


minoso .del firmamento era u n fresco roseto, la sua figu­
ra aurea di monili. I sette pianeti, adorni dei brac-

100
iali della fortuna, danzavano sul tappeto dell' orizzon ·

t e , meteore s frecciavano come dardi scagliati contro i


demoni,157 scongiuri evocati di lontano, l'etere era pro·
fumato dal nero muschio della notte e la gemma della
luna illuminava la t erra. Le p i etre preziose e i pro·
fumi del regale padiglione celeste i nondavano l'intero
orizzonte, le stelle, adorn e di diademi, avevano assun­
to s emb ianze diverse, l'astro sfavillante del mattino,
dai mille colori, mostrava la volta celeste in maestà. 158
Il firmamento, n el suo celeste cavalcare, aveva posto
l'assedio alla Fortezza di Ram e del polo, 159 le Pleiadi,
drappeggia t e di seta gialla e turchina, avevano issato
uno stendardo sul drappo aureo della nott e . La luna
si era amman tata di aureo broccato e candido lino, e

sulla fronte le si era posata una pietra mohrè,1w simile


a un rotondo p roiettile scagliato dall' arco del re. Ve­
nere aveva per ornamento la stella Setam , era fausta
come la sua fronte luminosa, mentre il sole, con il suo
gladio fiam meggiante, si teneva ancora in disparte, ve­
lato . Marte, assetato di vendetta, puntava, per trafig­
gerlo, l 'occhio del nemico, m entre Giove, colmo d'a­
more, teneva in serbo la prosperità del mondo e Sa­
turno aveva appeso al suo fianco la p ietra p er affilare
la lama della sua spada.
Possa l'orizzonte mai essere privo della fulgida b el­
lezza di un Sovrano di tale mae stà ! Il mio nome è
al servizio di tale Sovrano: quale sublime impresa, o
Nqami!

Lo sguardo d i Majniin trascorreva da un astro al­


l 'altro come l'agile mano di un prestigiatore ; si fissò
infine su Venere e così le parlò: « O astro propizio,
splendida Venere che ill u mini la notte, o tu da cui il
r egno trae felice presagio, fiaccola d i coloro che ri­
cercano il piacere, protettrice di coloro che cantano, 161
o tu, nelle cui mani è la chiave di ogn i desidexio,

1 01
tuo è il vino versato in ogn i calice ! Tu sei il sigillo
d e ll a regalità,sei la signora del palazzo della gioia, sei
la do lc ezz a d i o gn i animo gentile, e l e tue creature
profumano d ' ambra! Fammi grazia della tua graz ia,
dischiudimi la porta della speranza e portami, te ne
supplico, il profumo d e l l am a t a, unico farmaco del­
'

l'anima mia ! ».

Invocazione d i lvfajnun a G iove

E così si r i v ol se a Giove, quando apparve all' oriz­


zonte: « O Giove, fausto p ianeta che fedelmente esau­
disci ogni voto, il tuo sguardo è refrigerio per l ' anima,
la sal v ezz a del mondo porta il tuo sigillo ! Tu sei l' au­
tore del libro de lla grazia, tu decreti chi conquista e
vince, su di te posa la compagine intera del mondo e
salda in grazia tua è la sua p rosperità ! O tu, da cui la
m ia sorte dipende e la fortezza del mio animo, rivolgi
i l tuo sguardo verso di me, esaudisc imi, e se ancora
esiste un rimedio, porgim i questo rimedio ! » .

Invocazione d i Majnun alla C orte


dell' Onnipotente

M a gli as tri tacevano, e fuggendo proseguivano il


loro viagg io. Seppe a ll ora M aj nun che non da quei
fu gg evo l i esseri poteva venirgli soccorso, e si rivolse
piangendo al l Un i c o che co n s ol a, a Colui che d i nulla
'

ha mancanza : « O m io unico asilo, o Tu d i cui Venere


e Giove sono gli schiavi, il Tuo nome è l' origine di
ogni nome, l a Tua sc i enza è superiore a ogni scienza,
i l bene che da Te emana è superiore a ogni b ene, S i­
gnore dell' esistenza e Sovrano munifico, Tu che innal-

1 02
z i i grandi alle vette più alte, sii indulgente coi miseri!
P er noi, schiavi in catene, nessuno all'infuori di Te è
s ignore e padrone ! O Tu che hai creato i sette cieli,
n on vi è creatura che non sia umilmente ai Tuoi piedi
le sei direzion i162 ubbidiscono schiave al Tuo cenno !
Colui che su di Te potesse posare il suo sguardo, la sua
vista s i estinguerebbe per sempre. Colui che come un
ane Ti s egue è un puro , colui che non è con Te è un
v i le ! Ero fango, l a Tua grazia mi ha reso fresca acqua :
volgi il Tuo sguardo sulla mia rovina, non mi abban­
donare, sono u n debole, uno straniero, cui non resta
nemmeno i l b ene della propria misericordia! Fa' con
il Tuo divino soccors o che la m ia notte trapassi in lu­
ce, che il m io giorno nella fedeltà sia felic e ! )> .
Così supplicò, pronunciando la sua preghiera in un
sussurr o . Vid e a llora in sogno un alb ero crescere dalla
terra, e dalla cima di quell'albero un uccello sp iccava
il volo, audacemente si librava sopra di l u i e dal becco
lasciava cadere una gemma : e quella gemma si posava
sulla sua fronte come un diadema. 163 Si d estò , all'oriz­
zonte luceva il chiarore dell'alba, e quando il fresco
volto del mattino s i tolse il velo, la ricerca dell'amore
inondò il suo cuore di gioia, e si s entì libero e leggero
come l' uccello che in sogno si librava sopra di lui. E fu
così c h e un sogno rese felice colu i cui l 'amore era pre­
cluso nella realtà.

Majn un riceve un m essaggio di Ley la

Era un giorno di fulgida luce, u n mattino fiorito


dal paradiso, sp irava uno zefiro vivificante come l 'alito
del M essia. 164 I l destino fece sorgere quel giorno felice:
il c i elo era stanco d i rampogne, la fortuna era giunta,
sebbene tardiva .
Majniin, estenuato dall'affiizione, il cuore s enza spe­
ranza, sedeva quel giorno in un angolo remoto fra le

1 03
montagne, g l i animali lo circondavano . Ed ecco, dal
margine del deserto un viandante gli apparve in una
nube di p o lv e re , e dietro il velo d i quella nube emer­
se la figura di un cavaliere .
Era un uomo ma riluceva come una favilla, di lon­
tano avanzò e smontò d i sella . M aj n u n riconobb e in
quello straniero nobili e cortesi semb ianze ; fece un
cenno all'esercito che lo circondava e quelli r imasero
quieti intorno a lui. Quindi andò incontro al cavalie­
re e affabilmente così gli p a rl ò : « O astro dello Yemen,
dimmi, cosa mai ti c on d u c e in questi luoghi? S p ero in
Dio che la tua venuta sia fausta ! Tu possied i nobili
sembianze, ma i miei animali non se ne fidano e anche
io temo sempre che u n a corda possa tramutars i in ser­
pe, 165 poiché una volta un velenoso serpe m i ha m o r­
so! Un giorno, un altro cavaliere giunse fin qui, por­
ta tor e di rovina, e nel mio cuore p iantò una spina acu­
minata : e da quella spina i l mio cuore ancora è tra­
fitto ! S e dun q u e anche la tua merce è falsa, ritorna in­
dietro, t i supplico, e non dire parola ! » .
I l cavaliere, udite q u e st e delicate parole, si gettò co­
me ombra ai suoi piedi e così gli parlò:
« O nobile fra i p i ù nobili, che vivi isolato dagli

uomini in m ezzo agli animali selvatici, la gazzella t i


h a dato il suo a mo r e g razie a t e diment icando il leo­
,

ne. Io ho con me un messaggio segreto per te, parole


quali mai da nessuno hai udito. S e mi consent irai di
parlare, te lo riferirò, altrimenti riprenderò il mio
cammino » .
I l Folle d'amore all'udire quelle parole si accese d i
speranza e ansioso invitò lo stran iero a parlare . E così
i l messaggero parlò: « Possa il tuo recalc itrante desti­
no essere infine domato ! Voglio narrarti quanto mi è
accaduto : ieri, passando in prossimità di un accampa­
mento, mi è apparso un idolo, una luna, un sole ful- ·

gente, il volto velato da candido lino, un c ipresso, un


gi a rd i no , un frammento di paradiso. Così soave è il
suono della sua voce, che quando sgorga dolcemente
dalle sue labbra l'acqua si tace; così dolci sono i suoi
1 04
o chi di gazzella, da incatenare perfino un leone. I
uoi n eri riccioli notturni tracciano le volute della let­
'ra jim, la sua figura è diritta come un alef, la sua
bocca turgida come una m'im: jam è il nome formato
e ia quelle lettere, e jam è
la coppa che rispecchia il
mondo l 166 I suoi occhi erano due ebbri narcisi, fioriti
n ella frescura del suo volto di rosa, le sopracciglia si
i ncurvavano insieme come un arco :167 nell'arte di rapi­
re il cuore è una maga, il suo profumo è essenza pro­
f'umata dello spirito, e tal e è la sua magia che ora si
mostra allo sguardo e un attimo dopo scompare. Ep­
p ure la sua bellezza porta il segno dell'infermità: la
sua svettante figura è lievemente incurvata, le conchi­
glie dei suoi occhi palesano lacrime di perla, da esile
canna slanciata è ora melanconico flauto, 168 il rosso ver­
miglio delle sue guance è trascolorato in pallore : ep­
pure il fulgore di quelle guance era oro, la sua slan­
ciata figura era canna da zucchero, non melanconica
canna di flauto !
« Il suo animo vive nella speranza dell'amato, e solo
il timore l'ha piegata alle nozze. Acqua di rose scorre
dai suoi occhi sulle sue guance di rosa, raggi di luna
filtrano il solare splendore del suo volto. Udire i suoi
lamenti mi ha lacerato il cuore. Le dissi: " Perché
piangi? Per chi un sì cocente dolore? " . La sua voce
soave così p arlò in un amaro sorriso : " Vuo i forse spar­
gere sale sulle mie piaghe? Un giorno io fui Leyla, ma
ora mille volte più folle io sono di mille Maj niin !
Maj niin è il nero astro che Folle d'amore eternamente
vaga, ma io sono mille volte più folle di lui ! Anche
lui è bersaglio su cui si accanisce il dolore, ma è un
uomo! Nel poetare d'amore è maestro, poiché non ha
da temere n essuno, e se non trova sollievo alle sue pene
è libero di fuggire, ovunque i suoi piedi lo porti­
no. Ma io, infelice, non ho un solo istante di sollie­
vo al mio dolore; io temo, con il mio delirio d'amo ·
r e , di soccombere all ' ignominia e ogni dolcezza s i tra­
muta in veleno per me, e perenn emente io celo con
erba s eccata l ' a ntro del mio inferno. Io soffro insie-

1 05
me il lacerante dolore dell'esiliato e del png10niero,
di chi alla l on tana nza è costretto e di colui cui è im­
p edito di al l on ta n a rs i ! Io vivo dilaniata fra due fuochi,
non ho cuore di rib ellarmi al mio sposo, non ho l ' au­
dacia di sfuggire a mio padre; ora l'amore dice al mio
cuor e : ' Ribellat i ! Fuggi, c ome la p ernice, dall'arti­
glio del corvo e del nibbio! ' ; ora il pensiero della ver­
gogna mi mette in gu a rd i a e m ' ingiunge : ' Rimani !
P ensa che ben più forte della pernice è il falcone rea­
le! La donna se anche v i nce con le armi un eroe, re­
sterà sempre una donna ! Una donna, s e anche assetata
di sangue e forte come un leone , resterà sempre una
donna! ' . E poiché a questo supplizio non posso sot­
trarmi, mi s on o votata a subire il dolore. Ma il mio
maggiore t ormento è ignorare ogni cosa d i colu i che
a m o e che vive lontano da me. S enza d i me come tra­
scorr e i su oi giorni? Chi gli è compagno nel suo pere­
grinare? I n c he monastero avrà trovato asilo? Quali
com pagni si è sc elto , i suoi amici chi sono? Se qual­
cosa, per avventura, qualcosa di lui, nel tuo viaggiare,
ti è gi unto all'orecchio, fammene parte, ti supplico ! " .
« U d ite l e sue parole, i l silenzio mi parve iniquità e
ciò che mi era noto di te le narrai, imprimendo la tua
immagine nel suo c uore, come sulla cera un s igillo :
" Quel Folle d'amore non ha un solo amico " le dissi
" del tuo amore non altro che vento gli resta, e onagri
ed elci sono i su oi soli com p agni . Il suo amore infe­
lice per te lo dilania, la morte del padre gl i ha inferto
m o rtale ferita . Così procede, g i o rn o dopo giorno, spi­
na dopo s pina , ora cantando in versi la storia del suo
infelice amor e p e r te e dagli occhi versando fiumi di
lacrim e , ora piangendo la morte del padre, tanto da
i n te n erire le pietre " . Questo l e dissi e le recitai qual­
che tun verso appreso a memoria, ed ella emise un ge­
m ito dal profondo del cuore. Un tremito la squassò e
abbandonò il capo r iv er so , quasi fosse sul punto di spi­
rare lontano da te. Qu a n d o riprese i sensi, gemette an­
c o ra e molto p ian se e si disp erò per la morte di tuo
padr e e la tua solitudine in quel dolore. P o i una riso-

106
l uzione si affacciò sul suo volto, e così mi disse: Tu
"

sei un uomo nob ile d'animo e puro di cuore, damm i


una mano, aiutami a risollevarmi ! Fermati u n giorno
in questi luoghi e domani raggiungi la mia tenda e "

me la indicò di lontano " e io ti affiderò una missiva :


d imostrami la tua amicizia e consegnala a colui che
amo ! ". I eri, come m i aveva chiesto, mi recai alla por­
ta della sua dimora : mi apparve in un' azzurra veste
di lutto e mi consegnò qu esta lettera sigillata » . Così
detto il vecchio estrasse la lettera e depostovi un bacio
la porse a Majnun. Il Folle d ' amore, non appena ebbe
in mano quella missiva, n e lacerò i sigilli e per cento
volte nell'estasi ruotò su se stesso . Poi cadde a terra
sfinito, in preda all'ebbrezza, cadde fuori di s é , ma non
cadde la lettera che teneva stretta fra le d ita della sua
mano. Quando riprese i sensi i l suo cuore era ormai
placato.

La lettera di Ley la a Majnun

Dissigillata la lettera, questa ne era l ' intestazione :


« I n nome del Sovrano datore di vita, asilo della sag­

gezza, Sapiente al di sopra di tutti i sapienti, Colui che


conosce la l ingua di chi non possiede parola, Colui che
luce ha separato da tenebrai soffio vitale di ogni crea­
tura, Colui che del cibo quotidiano provvede uccelli e
p esci, Colui che la volta celeste ha illuminato con gli
astri e che degli uomini ha adornato la terra ! Eterna
è la Sua maestà e la Sua eternità non ha principio
né fine, datore di vita e ai viven t i datore del mondo :
si può forse donare un più grande tesoro? La vita ha
illuminato dell' intelletto e di ambedue ha illuminato
il mondo » . D opo aver sparso simili gemme, cpsi pro­
s eguiva il suo messaggio d'amore: « Questa lettera è co­
me un broccato che un'infelice invia a un infelice, che
una prigioniera invia a un cuore spezzato . Amico mio

1 07
di un tempo, l ega to a me da una promessa, antica, che
n e è st at o d i te? O tu che vaghi gu idato dagli astri,
dimmi, dove sei? O tu che custodisci il tesoro dell'ami­
c izia, l ' am ore da te trae la s u a luce, o tu che del tuo
sangu e hai arrossato l a montagna, che come un'agata
vivi c e lato nella ro c c i a , tu sei la fonte dell'acqua di
vita, immersa nelle tenebre, sei la falena della luce
mattutina! Hai gettato il mondo nel tumulto e gli hai
volto le s p a l le seppellendoti in una solitudine in cui
solo gli onagri ti sono co mpag n i ! O b ersaglio dell' igno­
minia, carovana che avanz a verso la resurrezione, con
i l tuo c or po seis ta to impietoso, al tuo stesso raccolto
hai ap p iccato il fuoco ! Mi hai dedicato il tuo cuore e
p erciò sei caduto, ti sei esposto ai mormorii dei male­
voli ! Anch ' io ho d e d i c a to i l mio cuore alla fedeltà : ma
tu, non t i sei forse distolto dall' essermi fedele? Dove
sei, che ne è ora di te? Io sono con te, e quello sposo
che mi hanno imposto, sap p i che mai ha condiviso una
notte con me. I o sono consunta, ma la mia perla è in­
tatta, e mai il diamante l ' ha saggiata ; il mio tesoro è
sigillato come un bocciolo non mai dischiuso ; del mio
sposo io non vedo neppure i l volto, poiché il tuo mi
è precluso : i l fiore dell'aglio può essere simile al gi- ·

glio, ma dov'è il suo profumo? il pallido cetriolo quan­


do si dora è simile al frutto immaturo che si trasforma
in a r a n c i o : è aspro come l'arancio, ma dov'è il suo pro­
fumo? Come vorrei che in questo mondo insieme a
te fosse il mio nido ! Il mio cuore che non può darti
felicità piange s ul nostro in f e lice destino ! Avere di te
anche solo un capello sarebbe avere il mondo intero
per m e, u na spina che hai cal pest at o nel tuo cammino
sarebbe ai miei occhi u n roseto!
« I o sono la luna, tu il sole, e i miei occhi, di lon­
tano, fissano la tua l u c e . P erdona il mio p iede che è
r imasto indietro e non ti ha raggiunto, avrei potuto,
poiché mi è interdetto chiamart i . H o appreso di tuo
padre e per il c ordoglio mi sono lacerata le vesti, mi
sono percossa i l volto come fosse il mio stesso padr e .
Avvolta c o m e una viola in u n a l ivida veste di lutto ho

108
I ianto tutte le mie lacrime per fondermi in ogni mo­
do col tuo dolore! Ho fatto tutto fuorché venire da t e ,
oiché questo non era i n mio potere. Ma s e anche i l
mio c o r p o è separato da t e , il mio spirito da te non
s i allontana un istante . Conosco il tuo dolore, conosco
lo strazio del tuo cuore e n u ll alt ro che la pazienza ne
'

è il farmaco.
« La vita non è altro che pochi giorni da trascorr ere

in un luogo di tappa, e il saggio sa b en e che è meglio


b endarsi gli occhi piuttos to che con le l a cr i me far sog­
ghignare il nemico, il sagg io sa bene che è meglio
l'oblio del d o lor e di cui gode il nemico. Non guardare
il seme gettato, guarda il frutto che da quel seme na­
scerà ! Quella palma che oggi ha solo s p in e, domani
sarà carica di datteri zuccherini! Quel bocciolo celato
in una spina annuncia una rosa sbocciata ! 169 Non ti
struggere se nessuno è con te : io sono forse nessuno?
Non t i basta ch' io non abbia nessuno all'infuori di
te? P erché pi an g ere della solitudine? Dio non è forse
compagno a chi è solo? Se se i orfano, non consumarti
n el fuoco del dolore, non annegare nell'oceano delle
lacrime ! Se il padre è scomp arso, p o ss a il fig l io vivere
lungamen t e ! Se fendi la roccia, non resta for se integra
la gemma? » .
Quando ebbe letto la lettera dell'amata, Maj niin
cadde a terra fuori di sé, come un bocciolo subitanea­
mente sbocciato . N ull 'altro usciva dalle sue labbra al­
l infu o r i del nome d i Leyla, senza poter rip r e nd e r e i
'

sen s i, e quando riuscì a p lacarsi, lungamente pianse.


Poi, le mani e p erfino i piedi di qu e l messaggero che
al suo cospetto a t t e n de va prese a ricoprire dÌ baci :
,

« Non possiedo né carta, né penna » gridò « come po­

trò mai scriverle una r isp os t a ?


» . Il messaggero, con la

sollecitudine che si co nv ien e ad un ospite, estrasse dalla


sua borsa un cofanetto e gli porse tutto quanto occor­
reva per la scrittura .170
Con lo scorrevole calamo, Majnun v e rgò su quei
fogli i segni di un a squisita scrittura d 'amore, descri­
vendo l ' ininterrotto dolore che aveva albergato nel-

1 09
l' animo e componendo con adorne parole la sua mis­
s iva. Quando la lettera fu terminata la consegnò al
messaggero e co stui corse via come il vento, e così ra­
pido come aveva portato la missiva di Leyla a Majniin,
riportò indietro la sua risposta. E quando qu ella let­
t era la raggiunse, lacrime scorsero copiose dai suo i oc­
chi a inumidirne le pagine.

Risposta di A1.ajnun a Ley la

Così era il p rincip io di qu ella miss iva : « In nome


del Sovrano che non ha pari, d i Colui che conosc e il
segreto e il manifesto, Colui che al granito ha donato
la gemma, Colui cui a pp artiene il firmamento e che
sostiene le Stelle dell' Orsa, Colui che con la conoscen­
za rend e il cuore veggente, che illumina della luce
d el giorno la notte, c he rende fiorente la primavera, e
che l'indigente soccorre ! ».

Raccontava qu indi la disperazione del suo cuore


spezzato : « I o, senza pace in questa terra, invio questa ·

lettera a t e, che sola sei la mia pace. La chiave del


tuo tesoro è pre sso di te, nella roccia, o tesoro che ap­
partiene a un altro ! I o sono come la polvere che i tuoi
p iedi calpestano, tu sei l'acqua, ma a chi appartieni,
o splendida acqua? Io mi umilio ai tuoi piedi, ma tu
a chi ubbidisci? Io subisco in segreto il dolore che mi
infliggi, di chi è il tuo dolore? Sono tuo schiavo, la tua
sella è legata al m io dorso, ma tu a chi appartieni? Di
chi è l'orecchino che porti all' orecchio?171 O inegua­
gliabile bellezza, o mia Ka'ba, la soglia della tua di­
mora è i l mio mehrii b ! O farmaco di migliaia di cuori ,
m io tormento e vino del mio calice, o diadema ma n o n
della mia fronte, o tesoro di c u i n o n resta a colui c h e
ti ama s e non il veleno, 172 o giardino del Paradiso di
cui non possiedi la chiave, o celeste giardino che mi

110
elato, o mia catena che solo tu puoi sciogliere, o
1 1 1 lanconia che solo in grazia tua può divenire letizia!
« I l mio l e g n o è l'aloe del tuo g iardin o , s app ilo e
1 1 n lo abbatter e ! Abbattendolo uccideresti una parte
d i te. Sono la tua terra, non b atterm i, ma accarezzami,
o dammi fuoco, sono polvere d ' ambra ! P er essere tuo

hiavo ho ac q u i s t a to fama, mi fai tuo avversario se


1 n i tieni lontano da t e : io tr a sc i n o il m io fardello di
hiavo, tu fa ciò che compete al tuo ra n go ! Di fro n t e
te avevo gettato lo s c ud o , ora se mi getti via io impu­
gno la spada : non sc agl i ar p ietre su lle tue proprie ar-
m i, non fare guerra c o nt r o il tuo pro pr i o esercito ! Se
rafiggi il mio corpo, ferisci il tuo corpo ! Un signo­
e che non conosce misericordia, su llo schiavo non ha
potere, mentre col u i che q u est' arte conosce, molti
schiavi possiede. Sono stato finora tuo sc h iav o , lascia
h e lo sia ancora e non v en de rmi I
« Amica m ia , mia p a d ro n a, che segn i manifestano

le tue guance? M o s tra mi, vi si p o sso n o forse scorgere i


segni d ell'am o r e per me? Fu forse per amore che vio­
lasti il patto che av e v i stretto c o n m e e c on un altro
suggellasti una n uo v a promessa? È fors e per amor m io
che forgi parole ingannevoli, mentre all' al tro concedi
ciò che richiede l 'am or e ? Se mi ami, il tuo lamento è
veridico, il tuo animo è in c o n so na n z a con il mio, ma
se il tuo amore non è s incero, la tua è tirannia, non
amore ! Ma no, tu non s e i s e nza cuore, l'afflizione è an­
che tua compagn a ! Sappi allora che il mio sguardo è
fisso su di te, c h e il mio capo poggia solo sulla terra su
cui dimori, che il mio des t ino è s egn ato dal tuo volto .
« Ma non a me è data la gioia, b e n s ì a colui che pos­

siede una gemma come te. U n giardino, se anche è


pregiato per i l canto dei suo i usignoli, i suoi frutti
sono preda dei corvi, e il b el melograno che il p a d ro ­
'
ne del g iardi n o ha cre sc i u t o sudando sangue, finirà
forse p er nutrire un m al a to . Da s e mp r e così va il mon­
do, e colui che t i cerca si è seppellito sotterra come un
tesoro, ma invano.
« O mio roseo rubino, quand o sarai infine l i b er a dal

111
macig no che ti op p rim e? Quando, o mia luna risplen­
dente, potrai sfuggire alle fauci del drago?173 Quando
l ' ap e volerà via lasciandomi il m iel e? Quando la luna
sarà infine senza g u a rdian o e libera la sua lettiga?174
Quando, perito il signore della fortezza, la camera del
tesoro spalancherà le sue porte? Quando lo specchio
sarà terso dalla ruggin e e il tesoro liberato dal drago?
Quando la mia signora potrà uscire dalla fortezza e il
suo padrone esserne cacciato?
« Ma s e anche io devo vivere lontano dalla tua luce,

possa il tuo sposo, com e la falena, non esser privato


della tua luce! Se il dolore dell'infamia m i ha ucciso,
possa Ebn Salam essere s alvo ! Tu sei tutto per me, il
mio b ene e il mio male, il mio dol or e e il farmaco per
i l mio dolore ; e se pure io conosco che ferrea è la tua
fortezza e che la tua um ida perla è ancora racchiusa
nella conchiglia, 175 il tuo tesoro è pur sempre in potere
del drago , e tu sai bene che, per il troppo amore, la
m e n te d i chi ama concepisce pensieri malvagi ! Nulla
è più cieco dell'amore, che di una m osca fa un avvol­
toio ! Io non ho requie finché quella mosca non allon­
tano dal miele! Quel cavaliere, senza alcun merito, ha
goduto e ha penato per una r osa che non lui aveva
colto, ha vigilato su di una perla che non a lui ap­
parteneva.
« O mio g elsomino, l'am0re che nutro per te sta

estinguendo i m i ei giorni, ha inaridito le mie labbra,


ha inondato i mi e i occhi di la cr i me ; mille volte più
sconvolto i o sono di ciò che tu i mm agin i , mille volte
p i ù folle di q u a nt o tu puoi a ver udito ! Per te, ogni
senso di me mi ha lasciato, e questa è una via che solo
n ell'estasi è d at o percorrere. E un amore che non così
è praticato, nella rel i g i one dell' amore non vale un
granello .
« Così, in grazia tua, l ' a mor e mi mos tra il suo volto,

dovesse anche il tuo volto rest a rm i precluso per sem­


pre . Possa il mio amore per te v i g il a r e perennemente
sul mio segreto e la fe ri ta che mi infliggi essere il bal-
112
I I .a prima visita di Maj n u n all' accampamento di Leyla, secondo la ver­
M11 11 1e del poema di Jaml (Haft Owrang di Jaml, 1 5 5 6-65. Miniatura attri­
l 11 1 i t a a Mo?:affar 'Ali, Freer Gallery of Art, Washington) .
samo del mio an imo ! Che i mp o rt a se non esiste fa rma ­
·o per le mie piaghe? La tua salute annulla ogni mio
d olore! ».

l\1ajnun riceve la visita dello zio Sa lim 'Amer'i

Così il tesoriere della parola con a ure a pronuncia


r iprese a infilare il suo filo di perle:
Fra tanti che biasimavano Majniin vi era un vec­
chio zio che l o amava e lo com p rendeva, uomo nobile
e della più alta virtù, ta n to nobile quanto umile e
schivo . Salim 'A.meri era il suo nome , ma Sa.meri sa­
r e b be stato nome ben p iù appropriato al suo magico

ingegno .176 Eppure, i farmaci che sapeva trovare per


o gn i ferita erano ris u l tati vani di fronte al dolore di

Majnun. Null'altro aveva potuto, se non inviargli a


ogni luna n u ova ve s t i prez i o s e e squisite vivande.
Ma un giorno il nobile vecchio decise d i partire alla
ricerca d el Folle. Corse il vecchio, di d es ert o in deser­
to, corse follement e come i l vento, finché non giunse
in un angolo remoto fra le montagne e ve lo trovò,
libero ormai da ogni vincolo. Ma la via v e r s o quella
selvaggia creatura era sbarrata dalle fiere che lo attor­
niavano . Costernato, gli porse di lontano il saluto co­
me un estraneo, per timore di quelle fi er e . Udendo
il suo s a lu to , M ajniin gl i domandò d o n de venisse e
quale f o s s e il su o nome. « Sono Sal:im 'A.meri » rispose
« e saldo mi oppongo ai colpi del destino ; sono tuo

zio, il fratello di tua madre, sebbene in nulla somigli­


no i nostri volti, ora che il tuo, an n erito dal sole, ha
mutato s em b i anz e, rendendoti simile a un negro » .
Maj nun allora lo ricon o b b e , lo chiamò a sé e lo pregò
di s e d ersi al suo fianco. Gli chiese p o i notizie di tutti
e trascorse qualche tempo in sua compagnia .
Era nudo da capo a pie d i, a Salim 'A.meri apparve,
in quel luogo di morte, s im il e a un de f un to senza tom­
ba e senza sudario. Trasse fuori una veste che aveva

113
con sé e co n mille scuse gliela porse dicendo : « Indos­
sa questa veste come si conviene ad un uomo, tenta,
ora che s e i con me, d i r iacquistare la tua dignità! » .177
« Il mio corpo » r i s p o s e Majnun « non sopporta le ve­
sti, un fuoco d i vo rant e lo consuma e se anche volessi
indossarne una, dopo poco l'avrei lacerata » . M a Salim
insisté e Majnun alla fine indossò quella veste. L'ospi­
te allora, sollec ito trasse fuori ogni sorta di cibi, J:ialva'
e altri dolci e squisite vivande, ma per quanto pregas­
se e supp licasse, Majnun non volle neppure assaggiar­
ne . « O i nfel i ce, » gli disse Salim « ma di che vivi, d i
cosa t i nutri? U n uomo ha b isogno d i cibo per vivere,
e se anche tu sei un essere umano di cosa ti cibi? » .
Rispos e : « O S alim, i l tuo nome significa " integro ",

come integro è i l mio cuore, e possa il t u o saluto d i


pace essere i l s igillo della m i a integrità! 178 I l m i o cor­
po è es t en u a t o dall'assenza d i cibo e la forza d i nu­
trirsi ha perduto per sempre. Ho interrotto l'abitudi­
ne al cibo, sono libero ormai dal b isogno di nutrirm i !
Il p ane mi resta in gola inghiottire mi duole. N ello
,

s tato in cui sono il cibo non mi è più n ecessario . Ma


non r it rarr e la m a n o ché s e io non posso nutrirmi c ' è
,

chi può far l o al m i o posto! I l cervo, il leone mange.ran­


no quei cibi, a m e basterà guardarli per esser sazio » .
Salim al lo ra comprese che quel saggio aveva impa­
rato a sfamarsi con un po' d ' erba, e ammirato per quel
distacc o d alle cose del mondo, rispose alle sue parole
con tenero affetto : « È per l ' avidità dei chicchi di gra­
no che gli uccell i finiscono in gabbia ! Più grande è
l ' avidità, più gran d e è il pericolo e l'affiizione che c i
riserva i l destino ! Ma colui c h e come te si soddisfa di
u n p oc o d ' erba, egli nel suo mondo è come un re. Con­
senti che io t i racconti, a questo riguardo, una storia :

STORIA DEL DERVI S CIO E DEL RE

« C' era una volta un grande sovrano, e un giorno,


così come i re u sano fare, andò a visitare la casa di un
suddito, un p io asceta che viveva soltanto nell'attesa

114
l ell'aldilà. Grande fu la meraviglia del re al vedere
ome l'ab itazione di costu i foss e in completa rovina .
Il re si rivolse allora ai suoi cortigiani per sapere come
vivesse quell'uomo, e fino a che grado giungesse il suo
ascetismo. Gli fu risposto : " Qu est'uomo è famoso p er
la sua devozione, non conosce sonno, né cibo e in tal
modo si è separato dagli altri uomini, conducendo con
infinita sopportazione una vita di dur issime priva­
zioni " .
« Il re, venuto a conoscenza di u n simile grado di
devozione, volle conoscere l'eremita. Il ciambellano
sollecito lo precedette, per condurre l' eremita in pre­
senza del sovrano, e così gli parlò : " O tu che hai ta­
gliato ogni legame col mondo, sei forse soddisfatto di
vivere in queste rovine? Non hai nessuno, come puoi
vivere in simile sol itudine? N on hai cibo, di cosa t i
nutri in q u e s t a spelonca? " . L' eremita, che aveva ta­
gliato un po' d'erba da una trappola per gazzelle, ri­
spose porgendogliela : " Ecco, questo è i l mio cibo, que­
sta la m ia provvista p er i l viaggio ". Con la presuntuo­
sa alterigia d i un servitore d i alto rango, il ciambel­
lano continuò a domandargli : " Ma perché vivere in
simile indigenza? Se tu volessi serv ire il nostro re,
non saresti più costretto a mangiare quest' erba ! ". Al­
lora l'eremita rispose: " Che stolte parole mi dici?
Questa non è erba, ma miele di rose ! Se il vero gusto
di quest' erba tu riuscissi a provare, come t i affrettere­
sti ad abbandonare il servizio del tuo re ! ".
« Quelle parole giunsero all'orecchio del re e il cuo­
re gli si infiammò, poiché comprese la loro suprema
saggezza. Allora smontò da cavallo e si gettò ai piedi
dell' eremita, sup plicandolo d i concedergli il suo per­
dono, mentre umilmente lo ricopriva di bac i .
« Felice è colui che non ha d esideri, non desiderare
più nulla, q uesta è la santità! » .
Per la gioia procuratagli da questo racconto, Maj ­
n ii n balzò i n piedi eccitato, quindi n uovamente sedet­
te; d' improvviso i l suo cuore s i accese ricordando gli

115
amici di un tempo, e di tutti chiese notizie a Salim.
Poi, sub itaneamente, il r icordo di sua madre lo colse
e ruppe in lamenti : « D immi, ti supplico, che ne è
s ta to di lei? Povero cardellino con le ali tarpate ! P er
la v er gog n a che provo ver so di lei il mio volto si è fat­
to più n er o di uno s c h iav o indiano ! D immi, è sana an­
c ora o sofferente? Quanta nostalgia della sua dolce
b e llezza ! » .
Vedendo come q u ell ' i n fe li c e anelava a rivedere la
madre, Salim non lasciò che la gemma restasse sepolta
nella roc c ia, e senza indugiare gli condusse da casa sua
madr e .

Incon tro di Majnun con la madre

Quando, d i lo n ta n o , la figura del figlio le apparve,


il cuore le s i s p ezzò c o m e un diamante : che pallore
qu e l l a rosa p ur p ur e a ! Che esile ombra, quel sole abba­
glian t e ! Il suo v o l to si fece ter r e o e, per l' intensità del
do l o re, un istante fu c ome morta.
Gli deterse il volto con le sue lacrime, gli pettinò i
riccioli scom p osti, c o n amore da capo a p iedi lo co­
sparse d i u ng ue n t i , ge m end o su ogni ferita, lo c u rò in
o gni parte del corpo, fasciando piaghe, medicando ve­
sc iche, detergenclogli il capo ricoperto di polvere . E
dopo che con cure infin ite ebb e ricomposto l' imma­
gine del figlio adorato, così gli p arlò : « Figlio mio, che
s p e ttac o l o è qu e s t o ? È forse la vita solo gioco d'amo­
re? La spada della morte ha già colpito due volte,
tuo padre è s p irato, avvel e n at o dal dolore, e io sono
già come morta, e tu vivi ancora nell' ebbrezza del­
l ' amore? Vieni, ritorna alla tua casa paterna, non ab­
bandonare per sempre il tuo n id o ! Pren di esempio da­
gli uccelli e dagli animali selvatici : tutti durante il
giorno vanno lontano, ma t u t t i al sopraggiungere del­
la n o tt e ritornano a i loro nidi e alle loro tan e ! Per

116
q uanto tempo ancora vuoi vivere isolato dagli altri
u omini, p e r quanto tempo ancora senza requie e senza
sonno ? È breve la vita, due giorn i ed è già trascorsa,
m ettiti in strada e affrettati al tuo rifugio ! Perché ag­
girars i per oscure caverne, in m ezzo a for miche e a
serpi ? Il serpe ti morderà, stanne certo, e senza che tu
l o voglia, e la formica si ciberà del tuo corpo ! Placati,
l 'anima non è un pugno di sassolin i, acquetati, non
calp estare la vita, non continuare a martoriare il tuo
uor e : il cuore non è pietra, né ferro la vita ! ».

Alle note accorate del lamento materno, i l cuore di


Majniin si accese come una torc ia fiammeggiante.
« Madre mia, » r ispose « io non sono che i l tuo umile
servitore, e possa il tuo p i ed e essere la mia corona ! La
mia esistenza, lo so, è indissolubilmente legata al tuo
torm ento, come la perla alla conchiglia! M a se la mia
strada non è quell a della ragione, non è mia colpa, lo
sai, se la mia vita precipita, non è mia scelta. Ma con­
t rastare il destino a che serve? Ciò che è accaduto do­
veva accad ere . Eppure un amore così colmo di strazio
e di tormenti non è mia scelta, lo sai. Tu vorresti che
l e ali dell'anima m ia io affrancassi dalle catene d'amo­
re : ma così, dopp iamente in catene mi ridurresti ! Non
chiedermi di tornare a casa, non potrei che morirne,
come si muore in una palude; da quella casa, credimi,
uscito di senno, non potrei c he fuggire di nuovo ! M i
dici che della casa non s i può fare a meno, ma ormai
sulle scacchiere del mio destino non resta più una ca­
sella per me! Lasciami, t i supplico, al mio dolore, ho
toccato il fondo, tu vai , ripercorri i tuoi pass i ! » .

Tacque e si gettò a terra come un'ombra, e ristette


prostrato c o prendole i piedi di baci. Per aver violato
il volere materno, baciava, cercando perdono, la terra
da l e i calpestata. Le disse addio e si ritirò in quel de­
serto. Pianse la madre e tristemente si rimise in cam­
mino. Come il padre anche lei prese congedo dal mon­
do, anch'essa s truggendosi per il figlio sp irò .
Oh destino infido, sei simile al contadino quando
semina il campo : getti i semi nella terra e quando è il

117
tempo del raccolto r ecidi le 'messi con la falce impie­
tosa ! Accendi ogni notte una torcia e la deponi sul-
1' anima in fliggen dol e bruciante dolore, e quando fa
giorno fai sp irar e il vento, che il dolore allontani . Così
il cielo, che di simile talismano è il motore, si fa gioco
d i n o i . F inché i l piede è impigliato nei lacci del desti­
no, dovunque andrai, quel luogo sarà una trappola :
solo a llora co n qu is t er a i il mondo, quando smonterai
dal d e s tr i e ro dei quattro elementi, 179 e andrai a piedi.
Purificati an ch e tu dai legami, non restare invischiato
nei lacci impuri della malattia : se l'aloe ti attrae con
i l suo prof u mo, sappi far ti muschio tu stesso, e svin­
colati da ogni legame!

Majnun apprende della morte di sua madre

Q uan do il cavalier e del firmamento ruotando s i fu


allontanato dal campo di b attaglia, il sole, per timore
d egli abitanti delle regioni celesti, depose la giara so­
pra l'arco dell'orizzonte : il mattino, nello scompiglio
di quel momento, infranse la giara e il vino purpureo
si sparse tingendo l ' o rizz ont e di rosso . 180
M aj nun, cantando senza tregua i suo i versi çl'amore,
percuoteva i l tamburo dell'esilio . Recitava, foglio do­
po foglio, declamava, q�idè dopo qa�idè.181 Di sua ma­
dre ignorava tutto, i gno ra va che il destino l ' aveva
s trap pat a al mondo dei vivi . E una volta di più il ge­
n eroso Salim raggiunse quell' infelice estraniato dal
m o ndo : gli p or tò cibi e vesti p er ricoprirsi, poi, rom­
pen d o in lamenti, così gli disse : « La tua infelice ma­

dre, povera vecchia provata dalla sventura, lontano da


te ha chiuso gli occhi . Ha fa t t o fagotto e silenziosa ha
abbandonato il palazzo del mondo, come tuo padre è
s p irata nel desiderio di r iabbracciarti » .
Sconvolto, Majnun prese a p ercuotersi il volto, ge­
m endo come in un incantesimo il liuto, e come un fra-

118
gile vetro andò a infrangersi sulla dura pietra. I l ri­
ordo di suo p adre e sua madre lo assalì, e gemendo
piangendo fu sulle loro tombe . P ianse sulle tombe
d ei due vecchi e baciò quella terra benedetta. Ora pog­
giava la fronte sull'una, ora sull'altra : ma possono for­
se le lacrime essere un farmaco che r idona la vita? La
gente della tribù, udendo i suoi accorati lamenti, da
gni parte accorreva . Guardavano la sua figura este­
n uata, a terra gettato, ignaro di sé, e versavano lacrime
di cocente dolore, gettandosi a terra ai suoi piedi.
Ognuno irrorava con le sue lacrime, come con una
pioggia d'acqua di rose, i l suo volto privo di sensi. E
q uando la sua mente sconvolta ritornò in sé, molto lo
supplicarono d i restare, compiendo ogni sforzo p er
trattenerlo e indurlo a restare fra i suoi.
Ma egli emise un gemito, riprese la strada delle
montagne e partì, abbandonando quella compagnia.
Per monti e deserti riprese ad errare, i l cuore colmo d i
cocente dolore ; solo qualche animale selvatico lo se­
guiva, ma nessun essere umano gli era vicino, né lui
era vicino a un essere umano . Srotolò la sua stuoia ol­
tre i confini del mondo degli uomini, ché null'altro
che male vi aveva trovato : come un lampo lo attraver­
sò e di nuovo scomparve come una nube trasportata
dal vento .
La vita è un edificio fondato sull' effimero, non dura
che un attimo, foss' anche mille ann i ; la vita porta in
seno la mort e : a cosa conducono l e sue lusinghe? O tu
che sei ignaro di cosa è la morte, che non sai che morte
è tenere alla vita, fin quando continuerai a ingannare
te stesso, rimandando i preparativi per l' estremo viag­
gio? Ogni granello c elato nelle viscere della terra, mi­
sura il mondo sulla propria grandezza, eppure, se mi­
surato ai monti Q à f182 non è che un punto e nulla più.
Guarda dunque, che cos ' è una foglia, che cos ' è un ra­
mo, nella vastità di un giardino? E tu cosa sei, con la
tua altezza, se ti confront i con l 'altezza del cielo?
S e l a tua vita misurerai, vedrai che è nulla a parago­
ne della vastità dell'oceano. Solo quando passerai oltre

119
i co n fi n i del mondo finito, allora abbandonerai la con­
vinzione di esistere.
S olo allora ti eleverai alle altezze sublimi, quando
da ogni bisogno ti sarai liberato : guai ad aspettare il
p ane da un p a d ron e come il cane, o , come il gatto a
leccarne l a mensa ! D ivora com e una torcia il tuo pro­
prio t ormento, come un cero divora il tuo stesso teso­
ro ! S egui l'esempio d i Ne�ami e il mondo, da tuo si­
gnore, d iverrà tuo schiavo !

Leylii invia a chiamare lvlajnun

Una bambola in un turrito castello era Leyla, s igno­


ra e padr ona confinata entr o impenetrabili mura . I so­
spiri dell'amato l'avevano colmata di amarezza e ora
era prigioniera di un cocente dolore . Era in un cer­
c h i o s enza uscita, prig i o n i e ra senza catene ; il suo sposo
vigilava l ' i ntero giorno, la perla aveva contornato di
lame di d i a m a n t e, affinché nell'oscurità della notte ella
n on potess e sparire attraverso un varco di quel tempio
idolatrico ; e dedicava la vita a c ircondarla di attenzio­
ni e di t enerezza, mentre gli occhi di L eyla lo guarda­
vano s enza amore .
Un giorno, un giorno diverso da ogni altro, quando
fu giunta la no t te , una notte più nera di un Etiope, la
sua s tanza rimase priva di guardiani : nell'oscurità,
Ley la scivolò via fino alle soglie dell'accampamento,
incurante dello s poso e solo assorta nei suoi pensieri
d'amore. Sedette là dove due vie si incrociavano, al ri­
paro dall'occhio del nemico, in attesa che giungesse
colui che doveva por tarle una parola dell'amato .
D ' im p ro vviso il vecchio le apparve, e non la privò
del suo confort o : procedeva su quel sentiero, rapido
come Khe:ir, 1 83 ricercando la strada.
L' idolo della fortezza gli chiese : « Che nuove mi
porti del corso del cielo? Colui che nella solitudine si

120
1 compagna alle fiere, di cosa parla, di cosa ha memo-
1 i a? ». Il vecchio rispose : « Lontano da te egli è simile
i l l ' infelice Giuseppe n el fondo del pozzo, è un mare
i m placato, una luna precipitata dal cielo . Cantando
v rsi a voce spiegata, simile a un b anditore si aggira
I r valli e deserti, in ogni luogo è all a ricerca di Leyla,
•togni passo pronuncia il suo nom e . Ignaro di sé, vita
" per lui soltanto la via che conduce a Leyla » .
Quando Leyla ebbe udito tali parole, il giovane svet­
tante cipresso divenne dai gemiti l ang u ida canna, s'in­
· l inarono i t eneri narcisi d e i suoi occhi e perle di aga­
ta rossa rotolarono sul suo seno di gelsomino .184 « So­
no io » gemette « colei che infiamma il suo cuore, io
gli ho portato un tale destino ! N el dolore non sono
sola, eppure in questo dolore non s iamo uniti: a lui è
onsentito vagare per le montagne, io non po s so che
gemere nel profondo del pozzo ! » . S i sfilò or e cch ini e
monili preziosi, e depostovi un b ac io li porse al vec­
chio. « Prendili » disse « e r i to r n a indietro, e fa che
possiamo riunirci. Conducimelo da quel luogo lonta­
no, s ì che io un solo s guardo possa gettare su di lui !
Non appena lo avrai condotto qui, fammi un cenno ;
io vi raggiungerò e segretamente potrò posare i miei
occhi sul suo volto : lo vedrò finalmente, solo allora
potrò misurare la sua fedeltà, e forse potrà avvenire
che pronunci p er me qualche verso che a n cor a nessu­
no prima di me ha mai ascoltato . E forse all' udirlo
cantare i suoi versi la pietra che opprime il mio cuore
cadrà » .
I l vecchio i monili che quella perla intatta gli ave ­
va affidato annodò alla cintura e con sé portò via quel
tesoro prezioso, da parte d i colei c he di tanto più pre­
zioso tesoro era stata privata. Corse di montagna in
montagna, rapido come il vento, p er l u o g hi desolati e
verdeggianti p ianure, e p er giorni cercò Majniin in
quei luoghi, ma niente portava traccia di lui. Alla fi­
ne, nei pressi di una montagna, trovò l' infelice Maj ­
nun . Alcun e fiere lo circondavano, vigilando su di lui
come fosse un tesoro .

121
Majnfm, quando scorse in lontananza la figura del
vecchio, come un cucciolo si volse verso il leone e con
u n ac u to richiamo avvertì l e altre fi ere affinché non
aggredis�ero l'ospite. Qua n do le b elve s i furono poste
a distanza, i l vecchio avanzò r endendogli grazie. S i in­
chinò toccando con la fronte la t erra e così gli disse :
« O tu che hai ai tuoi p iedi il regno dell'amore, possa
tu vivere finché l'amor e v ivrà ! L eyla, b ellezza del mon­
do, ti ha sì caro da dare la vita per te ! Lungo tempo
è trascorso da quando p e r l' ultima volta ti ha visto, né
ha più udito una sola paro la dalla tua voc e : ora si
strugge p er vederti anche solo un istante, per sedere al
tuo fianco, voi due e n es su n altro con voi . Anche tu
po tra i godere della sua vista, libero infine dalle catene
della s e p ara z i o ne Le c a n tera i dei versi che l e done­
.

r an n o la pace, farai r i vivere gli incontri felici del pas­


sato ! C'è u n fiorente palmeto, le sue fronde sono fitte e
i n t r ic a te alte s' innalzano quelle palme fino al c i elo, e
,

sotto di esse si stende un prato fiorito: quello è il luo­


go dove dovrai in c on trar e la tua primavera, là è c elata
l a chiave di ogni tua angustia » . Così detto gli porse
l e gioie che Leyla gli aveva affidato in pegno del suo
amor e .
Maj nun assentì, finalmente sfuggito all' infelicità d el
diniego . C o n ansia s i mise in cammino, l'assetato era
infin e vicino all'acqua di vita : e può mai l' assetato fug­
gire il refrigerio dell' acqua? può forse battersi con il
vento profumato di muschio? D ietro d i lui le fiere del
deserto seguivano, come u n esercito che s egua fedele
il suo capo . Con il favore della sorte raggiunse felice­
mente i l luo go fissato. S ed et te bene in vista sotto una
palma, e gli animali re�tarono a rispettosa distanza . I l
vecchio l o lasciò solo e nascostamente si recò a d avver­
tire il suo idolo . E q u ella luna, quell' immagine cele­
st i al e , come un angelo volò via dal suo padiglione e
raggiu ns e il giardino : diec i passi la separavano ancora
da lui e Leyla trattenne i l piede, mentre la calma l'ab­
bandonava. S i vo l s e al vecchio che era con lei : « Pi ù
ava nt i non mi è consentito inoltrarmi » gli disse « i o

122
, 1 rdo già come un cero, se andassi più oltre mi estin-
u erei. Ogni passo più in là è perdizione e nella reli­
g ione dell'amore ogni peccato è ignominia.185 F inché
i I dominio conservo di me, delle azioni commesse non
d ovrò avere vergogna. Anche a lui, che è un amante
perfetto, andare oltre nella strada del desiderio è proi­
b ito. Va' da lui, e supplicalo di onorarmi del suono
H ave della sua voce : lui canterà i suoi versi e io lo
, scolterò, lui porgerà la coppa di vino e io me n e dis­
H terò ».

I l vecchio s i allontanò d a quel bocciolo di rosa, per


, vvicinarsi al tenero prato di primavera. Ma a terra
sanime giaceva M ajniin. Il vecchio con i suoi sospiri
l o rianimò, mentre con le lacrime rinfrescava il suo
volto . E quando infine riprese i sensi sedette vicino al
vecchio, e di nuovo placato lasciò che dalle sue labbra
f l u issero i versi.

I versi di Majnun

« Dove s e i ? Dove siamo? C h i sei t u ? L ' u n l' altro ci


contempliamo? N o i vendiamo l a v i l e indigenza della
vita e indossiamo seta strappata e veste da dervisc io :
liberi dalla servitù del mondo, i l dolore s i allieta di
noi e noi del dolore . S iamo cuori assetati e insieme
somm ersi dall'acqua del p ianto, siamo nictalopi e in­
s ieme intimi confidenti del sole. Tu sei sperduta e
insieme parola di guida, n ella coppia di cose di ugual
valore, il signore è tuo pari. Noi, siamo esiliati e si­
gnori della fama, come la luna perfetti anche a metà.
S iamo prestigiatori senza gli strumenti dell'illusione,
senza staffa e cavalcatura destrieri purosangue . Al di
fuori del dolore per te non c i è compagno nessuno,
soffriamo per te, ma non ne abb iamo dolore . Mi dic i :
" Muori, afflitto n e l dolore p e r m e ! E i o esisto solo
".

nel dolore p er te. E quando giungerà il momento, io

1 23
st esso batterò il tamburo dell' estremo viaggio : ché il
l upo soltanto se teme la tempesta si pone al riparo !
« Non augura rmi la buona notte, ché notte b uona

senza di te non può esistere ! Andartene senza esser


mai venu ta, quale inganno! M ietere ciò che non hai
seminato, quale m ister o ! Insieme alla mia la tua ani­
ma non pro c ede, ché due anime in un solo corpo non
p o s sono entrare : finché l'anima non abbandonerà la
sua casa, a q ue s to non c i è dato sfuggire ! Rimuovi con
mille e d it t i l 'anima mia dal registro della vita e dona­
mi una vita m igl io re ! La vi ta che non proviene dalle
t u e labbra è effimera , non m i si addice, ma quella di
cui il tuo labbro è custode, custodisce l' eternità.
« Mol t i sono tuoi schiavi, ma nessuno come me t i è

sottomesso . F inché d e l l a tua esistenza ho memoria io


sono sereno, sano è il mio cor p o . Solo se non avessi più
memoria d i te io sarei con un cuore che ti è nemico !
D ' o ra in poi tu ed io, un cuore solo e due corpi tra
noi : e quest'unico cuore è il tuo cuore, ed è giusto,
poiché il mio non è più che rovine ! Tutto ciò che
di me è rimasto con te è luce, i o sono lontano da tutto
c iò che è lo nt a n o da te.
« La vita è s i m i l e a un libro e anch' essa è con te,

non con me. Tu sei feroce e i l tuo guardiano crudele,


io sono la terra che i cani del tuo villaggio calpestan o ;
scegli m i c o m e guar d i an o dei t u o i cani, lascia ch'io
sieda al loro fianco, se le fiere mi seguono mansuete,
anche i cani d all ' ar t i gli o feroce mi seguiranno .
« P iange l a nube a cagione della primavera, Majniin
è in disperazione e l a m en t i a cagione di te! La volta ce­
leste trae la b ellezza dal volto della luna, Majniin dal
tuo volto trae il s uo destino. Il nero Indù fa da senti­
nella, Majniin, come lui, è tu a guardia e tuo servitore ;
l'usignolo per amore della rosa si estingue,186 Majniin
si t o rt u ra per la se p a raz io n e da te; la gente scava la
t err a p e r c elarvi rubini, Majniin scava l'anima sua a
cagione di te .
« S i gn o re, quale evento felice, se in grazia tua il de­
siderio si avvera ! Una notte di luna chiara come gior-

1 24
n o, soli, io e te, in un roseto, io seduto accanto a te,
guancia a guancia, tu protesa verso di me, dolce net­
are in dolce nettare! Ti circondo come la mano la
·orda dell'arpa, ti celo come la p ietra il rubino. Il lan­
guore dei tuoi occhi di narciso mi ha reso ebbro, pren-
l imi per mano con i tuoi riccioli d i giacinto ! Scom­
poni l ' in treccio dei tuoi riccioli , ché io possa tendere
l'arco delle tue so pracciglia,187 fammi adagiare sul tuo
seno di melograno e accarezzare il pomo soave del tuo
mento ! Ora t i getto indietro la treccia sulle spalle, ora
d iscosto un ricciolo dal tuo volto, ora il lino della tua
veste inum idisco di lacrime, ora improvviso versi, ora
i n torno alle tue guance di rosa imprimo segni di viola,
ora sollevo i l tuo volto di rosa liberandolo dalle vio­
l ette della tua chioma, ora ti stringo fra le mie brac­
c ia, ora ti porgo il libro del dolore .
« Amica mia, ora che la vita ci è amica, ecco, ora è
il momento : non mostrarmi una fonte luminosa come
il sole, non m ' i ngannare d i lontano con un miraggio !
Per la sete della tua b ellezza, anima mia, son divenuto
un nero granello c ome il tuo neo , 188 ma tu, anima mia,
non m i concedi neppure un gran ello d'amore, e solo
d i dolore cocente sai gravar e il mio cuore. So soffrire
senza di te, ma so anche b ere vino con t e : nel tuo con­
vivio ber e vino è di fausto auspicio, ché in Paradiso è
l ecito il vino ! » . 1 89
Così d i sse, e riprese la via del d eserto : il cuore gli
sangu inava, la mente era in f i amme. E quel sottile c i­
presso, abbandonando il giardino col volto attristato,
ri tornò alla sua tenda .

Il giovane Sa lam di Baghdad viene a


incon trare Majnun
Così l' esperto conoscitore della parola ha rievocato
la storia del giovan e Salfun di Baghdad :
C ' era a Baghdad un nobile e munifico giovan e . Il

1 25
suo splendido vo lto era ancora imberbe, ma già aveva
p erc orso le vie della so f e re nz a d'amore, le pene del­
f

l a mo r e avevano già provato il suo animo. Avvezw alle


'

pen e del cuore, consunto dal d o l o r e Salam era: il suo


,

nome e la fortuna gli ave va porto il saluto.190 Edotto


sul mondo dell'amore, e ra ansioso d i divenire anche
famoso poeta. Quando la s t o ria di Qeys fu ormai cele­
bre, da ogni parte si tessevano d o l en ti e l ogi d ella sua
in dole p ura e l affl i t to che cantava i suoi v e rs i
' , attri­
buiva a lui ogni s e gn o della sua guarigione .
Quando, di città in città, la fam a del s u o amore
giunse fino a Baghdad, per s en t i r e la magia dei suoi
versi i gi ov a n i sensibili d ' animo si riun i va no in esta­
tico ascolto. Accadde al lo ra che Salam arse dal deside­
rio di tro vare la pace del Folle d'amor e . E fu così ch e ,

caricata la sua cammella, partì a briglia sciolta. Molte


parasanghe p erco rs e nel d e se r t o alla ri ce rca d i quel
,

sol i tar io infelice, finché non giunse al luogo del suo


eremo : lo t r ovò a ter ra , nudo da capo a piedi, e in­
torno a lui una schiera di an imali selvatici vigilava,
recingendolo come una catena, e lui, in mezzo a quella
corte, era simile a u n prigioniero in giudizio. Quando
in l o n ta n a n za vide avanzare il giovane, gettò un grido
a quelle temibili fiere, a ffinché le armi rip on e ss er o
dentro il fodero . Salam si fermò innanzi a lui, con de­
vozione gli porse il saluto e Maj niin lo gradì e affabil­
mente lo a cc ol s e , domandandogli dove fosse diretto.
Ri sp o s e : « Tu sei la mia me ta , tu sei la causa del mio
errare. Sono giunto fino a te dalla città di Ba g hdad,
per a llietarmi della tua vista. Per te ho scelto l esilio,
per a sc olta re dalla tua bocca i tuoi ineguagliabili versi .
Come D io dona la vita, il tuo volto p er il mondo è la
luc e Lascia ch'io d' ora in poi sia il tuo schi avo , ba­
.

cerò la t e rra che tu calpesti, mi sottometterò a ogni


tuo volere, non respirerò se tu non respirerai, e ogni
verso c h e co mpo rr ai lo im p ri merò nella mia me mor ia.
E tan ti saranno i tuoi versi che inciderò n e lla mente,
che essa ne sarà colma . Consenti al mio gi ovan e ar d i r e

1 26
d starti v1cmo, concedimi l' intimità del tuo cuore,
1· mcedimi d i ascoltare i tuoi vers i ! Fa' conto ch'io sia
1 1 na di queste fiere, avere per schiavo un giovane co-
111 me non potrà danneggiart i . Anch' io mi sono con­
u mato sulla dura p ietra dell'amore, anch'io ho amato
ho sperimentato la lama del dolore ! » .

Risposta d i Majnun a Saliim d i Baghdad

Udite queste parole, la luna nuova di un sorriso si


' [acciò sul volto d i M ajnun e così gli rispose :« O no­

b i le giovane, la via che vorresti intraprendere è colma


d i pericoli, ritorna sui tuoi pass i ! Per quanto grande
sia il tuo coraggio, in nulla tu sei simile a me, ché nep-
1 ure un' infinitesima parte delle mie pene hai speri­
mentato . Non mi sono rimasti come compagni altro
he gazzelle e animali selvatici, non potrei essere un
sos tegno per te, non lo sono più p er me stesso ; sono
rmai stanco perfino della mia propria natura, accor­
darmi con la tua sarebbe impossibile . Dallo stare con
me qual mai giovamento potresti trarre, se anche i
d emoni fuggono la mia compagnia? Io non sono più
u n essere umano ma una creatura selvatica, e tu cerchi
umana socievolezza, se anche tu fossi duro come il fer­
ro, stando in mia compagnia saresti estenuato dai la­
menti, se anche versassi lacrime per blandirmi, non
trascorreresti una notte in presenza del mio fuoco.
Nulla ci unisce, io distruggo me stesso, tu di te stesso
sei amico : 191 lasciami n ella mia solitudine, ché in me
non potrai trovare un intimo amico, e se nel cercarmi
hai attraversato la mia strada, sappi che hai incontrato
il dolore ! Poiché m i incontrasti, solitario e infelice,
dimm i : " Che Dio sia con te! e passa oltre ! I o temo
"

che se non te ne andrai di tua volontà, sarà il dolore


che ti costringerà a fuggire d i qui ! » .
All 'orecchio dell'ambizioso Salam quell'ammoni-

1 27
m e n to n o n g i u n s e grato . « In nome di D io » disse an­
cora « poiché ti ostini a celare l 'acqua pura all' asseta­
to, lascia almeno, ti supplico, che in tua direzione io
c omp ia la mia preghiera ! Se nella mia via, per adora­
zione h o commesso una colpa, nell' adorazione la colpa
p o trò e spi a re ! » 1 92
.

Maj nun a stento glielo concesse, per compensarlo di


tante fatiche . E d ecco che Salam dispiegò la sua stuoia
da b anchetto, e su di essa d ispose "J:talva' e altri dolci
squisiti. « Sii mio ospite » gli disse « per amor mio,
dividi i l pane con me! Se anche il tuo digiuno è volu­
to, di qualche boccone di cibo non puoi fare a meno !
L ' uomo, per sua natura, ha b isogno del cibo perché il
p ro pri o corpo rimanga in forze !» . Rispose M aj nun :

« Da s i m i l e condizione io s o n o ormai separato, poiché

in me ho annullato l'uomo che si nutre di cibo. È solo


colui che s i cura d el l a sua esist enza corporea, che trae
energia dal cibarsi di dolci e di pan e . Ma poiché io
sono estraneo ai b i s ogn i della natura corporea, come
p o t re bbe , il privarmi di cibo, mandarmi in rovina? ».

Qu a nd o comprese, S al a m , che quell'amante infelice


non si accostava a cibi e bevande né giorno né notte,
ch e non si volge va verso alcun luogo e non tollerava la
presenza d i alcuno, così prese a rincuorarlo : « Perché
non moderare la tua afflizione? I l tuo cuore è perenne­
mente infelice, così immutabile non è n emmeno il
c orso del c ielo ! La volta celeste ruota veloce, ogni
i st a n t e vol ta una nuova pagina nel libro del destino :
un batter d'occhio e c e n to porte si spalancano verso la
gioia. N on essere così fedele al tuo dolore, per quanto
intenso esso s ia, m e gl io è sorridere, talvolta, invece
che p iangere ! Anche io, come te, ho subito la morsa
del dolore, anche io ho avuto il cuore trafitto, le mem­
bra impi etrite. Epp u re , la grazia divina mi ha conces­
so la salvezza. Anche la tua p ena infine avrà termine e .

questa dura battaglia d imenticherai . La scintilla che


accende l'amore appartiene al fuoco della giovinezza,
quando il giovane si fa uomo, quel torrente infuocato
si p l aca ».

1 28
Majniin per quei saggi consigli non si scosse dalla
ua ostinazione, ma il cuore gli balzò in petto e così
l' i s pose a Salam : « Pensi fors e ch'io sia un ubriaco,
: b e Folle d' amore io sia schiavo della passione? Sappi,
· h e io dell'amore sono il sovrano in maestà, che la mia
1 n ima è pura da ogni altra cosa che non sia nobiltà, la
m i a terra è intatta, purificata dagli appetiti dei sensi,
i n contaminata dalle passioni : spezzato è in me ogni
i m p eto di concupiscenza . L 'amore è l ' essenza del mio
• s ere, l 'amore è il fuoco, io sono il legno d'aloe che

I fiamma consuma. L ' amore è entrato e ha nobilitato


la casa, e il mio io ha abbandonato la scena : tu credi
d i vedermi esistere, ma ti sbagli, non sono io, ciò che
siste è l ' amata.193 E quest'amore impastato di dolore
l ovrebbe spegnersi? Mai lo potrà, dovessero estinguer­
si gli astri nel cielo ! Questo amore potrebb e essermi
ancellato dal cuore? Più facile sareb b e contare i gra­
n el li di sabbia del deserto ! Perciò, se hai trovat o la
s t rada per giungere fino a me, tieni a freno la lingua !
uarda dentro te s tesso e risparmiami le tue prediche
s tolte ! ».
Così Maj nii n mostrò a Salam la sua presunzione, e
gli apprese a essere umile e a non pronunciare vane
parol e . Guardati dalle parole sconsiderate, per poi non
doverne chiedere venia ! Scagliare la freccia senza pri­
ma saggiare se l'arco sia teso o sia molle è imperdona­
bile errore : se è molle ti darà tedio, se è troppo duro
non ne avrai che vergogna !
Pochi giorni trascorsero insieme Majniin e Salam .
I versi che Majnfm gli donò lasciando fluire la sua
poesia nei suoi canti d'amore furono un dono prezio­
so : ogni verso che il poeta errante cantava, il giovane
di Baghdad lo custodiva nella memoria. Ma M aj niin,
ormai troppo estenuato, si privava del sonno e del
cibo, e il disperato Salam non aveva chi lo aiutasse a
sostentarsi e a trovare un r iparo p er qualche ora di
sonno . Quando le provvigioni furono terminate, l ' ospi­
te prese dunque commiat o . Esausto si rimise in cam­
mino e fece ritorno a Baghdad, riportando con sé un

1 29
tesoro di versi preziosi custodito nella memoria. E ogni
volta che recitava quelle q a§ idè, l'animo degli ascolta­
tori ne r estava confuso e turbato.

La, morte di Ebn Salam, sposo di Ley la

Ogni punto posato sopra una lettera racchiude in


sé scelta e destino, nel moto di tutto ciò che esiste è
il dis p i e gar s i di una finalità. I fogli del libro della vita
hanno due facce, ché il mondo stesso ha due facce : da
un lato ciò che l'uomo d i s p o ne, dall'altro, ciò che il
divino decreto ha fissato. E raramente lo scriba con la
sua penna può far c o i n c i d er e le due facc e della scrit­
tura, d iffic il m en t e le due misure coincidono ! Di quel
fiore che t i appare una rosa, non di rado scoprirai col
tuo sangue le spine, e quello che in apparenza è un
ram o colmo di datter i , scoprirai che non è che uva
acerb a . Il languore prodotto dall'assenza di cibo, spes­
so non è malattia, ma salute, e poiché tale è la discor­
danza fra la r e a l t à e ciò che di essa ci appare, meglio è
saper accettare il destino, che rib ellarsi. Rifletti dun­
que e ricorda che non di rado ciò che ti sembra aceto
è, n ella realtà, dolcissimo m i ele !
Leyla, ri fu lgen te bellezza fra tutte le b elle, era per
se stessa d o l or e prezioso tesoro p er gli altri. Era come
,

un t esoro che un drago avesse ghermito e imprigiona­


to dentro u na cinta di mura. Il d rago la custodiva co­
m e una p erla p reziosa, m entre lei si sentiva come la
luna nelle fauci del drago .
Infelice trascorreva la vita in quel supplizio, come
un rubino incastonato nelle viscere della roccia, con
ab ilità s i mostrava paziente, schermandosi con l' ingan­
n o . Il suo sposo la vi gi l ava l ' intero giorno, essa soffriva
in si l e n z i o e gli si mostrava grata. Quell' idolo, quella
celeste fanciulla era come una fata intrappolata in fer­
re e catene : non appena lo sposo si allontanava pian-

130
' va, e furtivamente asciugava le lacrime non appena
i ungeva di nuovo . Finché era sola gemeva, ma non
ppena il suo carceriere tornava, i suoi gemiti rinser-
1 a va di nuovo dentro di sé, e languiva in quel segreto

d o lore . Fra lo sfarzo del seguito di cui la c ircondava


1 sposo e la propria indole schiva, era confusa e
tordita .
Quando, dopo quella fugace visione, Maj niin, lo
s t raniero, scomparve nel deserto, Leyla ruppe in la­
m enti e nella più lacerante disperazione si gettò nella
I olvere. Ma non appena udì un rumore di passi arre­
stò i suoi lament i : simile a una candela che piange e
i n sieme sorride di luce, 194 il suo pianto trasformò in un
sorriso . Questo il cielo malevolo le destinava e la bella
si nutriva di dolore .
M a infine, l' errare n o n dissimulato della s u a sposa
l ontano da lui rese manifesto a Ebn Salam ciò che
solo gli si imponeva : allontanarsi da lei. Ma lontano
e i a lei lo struggimento lo rese infermo, il suo corpo si
i ndebolì e la salute sfuggì a Ebn Salam. Le membra
rurono arse dalla febbre, e l' incandescente calore del
d elirio gli raggiuns e la mente. I l medico saggiò l e uri­
ne e misurò il polso, diagnosticò il male e prescrisse il
rimedio. E fu così che il morbo cominciò ad allentare
la presa e la via della guarigione fu chiara . L ' infermo
m igliorò, il corpo estenuato riprese le forze.
Ma non si astenne il convalescente da ciò che poteva
nuocergli, e quanto era stato ottenuto svan ì ; poiché la
ontinenza, se non può sbarrare la via alla rovina, sia
nel b enessere che nel male è d 'aiuto : aiuta a conser­
vare l'uno, a fuggire l'altro . Quando il miglioramento
bbe indotto il malato ad abbandonare la continenza,
la febbre nuovamente inferse un attacco, e la malattia,
momentaneamente fugata, fec e ritorno . Quel corpo
che la prima ferita aveva prostrato, non resse al secon­
d o colpo e si spense. Un tremito insorse e squassò le
s u e membra, e quando un secondo attacco lo aggredì,
quel corpo saldo come una fortezza crollò e cadde a
terra distrutto. Per giorni il giovane infermo si dibatté

131
nella malattia, inf i ne il res piro si fece corto, la fiala
della vita si frantumò e l' anima sfuggì alla prigione di
questo mondo.
Si d ipartì Ebn Salam, come noi tutti c i dipartiamo,
quando il mondo si riprende il credito che c i ha fatto .
S ta' in guardia, non accettare nulla dal mondo, foss'an­
'
che un po d ' erba s e cca t a, che il mondo è un creditore
impaziente! S forzati di non accettare nulla da lui, per
non avere nulla da r e s ti tu irgl i domani, non ti adagia­
re su ciò che il mondo ti dà, poiché non è che rovina !
Sulla tua propria perla spezza lo scrigno del mondo, 195
vola via, come fanno i colomb i, da queste mura turri­
te ! Ché i s e t te continenti di questo mondo son fatti di
quattro radici, non sono come lo scudo dai mille chio­
d i della volta celeste ! 1% E quando il giavellotto della
morte col p i sc e si cade, senza più potersi r ialzare !
,

Alla morte del suo infelice sposo, Leyla balzò su


come l ona gro dalla fossa in cui è intrappolato ; ma se
'

anche s opp es ò i benefi c i che la sua scomparsa le pro­


cura va, era stato pur semp re il suo sposo e lo p ianse.
P iangeva per i l suo sp oso scomparso e segretamente
pensava all'amato, si st r a p pava i capelli pensando al­
l in fe l icità del suo amore, mentre appariva disperata
'

per i l l u t t o che l' aveva colpita . Lo sposo era la scorza


e st e rior e il midollo era sempre l ' amato.
,

È costume presso la gente d'Arab ia che la vedova


non mostri a nessuno il suo volto e d u e anni trascorra
in ritiro s e nza vedere alcuno, né da alcuno farsi vedere .
P iange ora Leyla, piange disperata, e versi d'amore
flu i scon o dalle sue labbra s ec o n d o il desiderio del cuo­
re; ora, con i l pretesto del lutto, Leyla può finalmente
esser sola, esser sola con il suo dolore ; ora che legit­
timamente le è co n s ent ito d i piangere, Leyla è pazien­
te. Sotto il velo del l utt o maritale può innalzare grida
e alti lamenti, im p une m en te può essere folle, a volon­
tà può percuotersi i l volto e le membra, a suo p iacere
p uò sospirare, timore e pericoli sono ormai svaniti.

132
Come giunge l'autunno e come Ley la m uore

Era tempo d'autunno . Le foglie cadevano, rosse la­


·rime di sangue, goccia a goccia la linfa vitale stillava
fuori da ogni ramo. Il calore svaniva dall' acqua, il vol­
to del giardino impallidiva, i rami spogli rabbrividi­
vano, le foglie volavano alla ricerca dell'oro, ma non
trovavano che la terra. 197 Il narc iso, pronto al viaggio,
aveva bardato la sua cavalcatura, il bosso era precipi­
tato dal trono, il candido colorito del gelsomino aveva
perso il suo argenteo splendore, la rosa teneva in mano
il libro del dolore,198 il vento aveva scomposto la ch io­
ma del ,giardino, ché quando soffia il vento contrario
le foglie non hanno scelta e si buttano giù, simili a
naviganti che per sfuggire al naufragio ge ttano la za­
vorra per timore della tempesta .
Afflitti i fragili c uori del giardino, avvelenate le sue
dolci grazi e ! I neri grappoli d ' uva pendevano come
teste di Etiopi, la mela crudelmente si prendeva gioco
del melograno e il melograno per il cocente dolore ros­
se lacrime di sangue aveva versato sul cuore ferito ; il
giuggiolo, turbato dal ridente p istacchio, di lontano si
mordeva le labbra . 199 Cos ì , in questo campo di batta­
glia autunnale il roseto cadeva ferito a morte.
Anche Leyla dal trono dell' e saltazione sprofondò
nel baratro del dolore. I l malocchio colpì la primavera
del suo giardino, il vento soffiò con violenza sulla sua
fiamma. Quella fronte che un tempo auree ghirlande
adornavano, ora era avvolta di b ende, quella delicata
figura rivestita di candidi lini era ora una punta di
canna, languida e assottigliata. La luna piena era or­
mai mezzaluna, un fantasma lo svettante cipresso .
La melanconia dal cuore le invase la mente, il deli­
rio dalla mente trionfò sul suo cuore . Un ardore in­
fuocato d i febbre, di quella rosa prosciugò la rugiada,
il vento rapì le foglie del tulipano. Le membra furono
scosse da un tremito, le labbra morse dalla febbre, la
sua figura di c ipresso reclinò il capo, e il fagiano della
sua anima abbandonò il nido .200

133
Solo allora s vel ò alla ma dr e il suo segreto : « M a dr e
mia, dimmi , come può mai avv en i r e che la gazzella
neonata succhi insieme al latte il veleno? La vita mi
s fugge, sono estenuata, non essere dura c on me! Sof­
fro, è forse questo l'amore? M uoio, è forse questa la
vita? È stato tanto il dolore che segretamente ho sof­
ferto , che ora dal c u o r e esso si è fa t t o strada fino a rag­
giungere le mie labbra . Ora che la vita mi sfugge, è
giusto che il mio s egr et o si sveli e q u an do dal mio s e ­
greto avrò sollevato il velo, allora ti dirò addio. E Dio
ti guardi dal non tener fede alle mie ultime · volontà!
Ascoltami dunque! Quando avrò esalato il mio estre­
mo sospiro, poiché io muoio per la lontananza dal­
l'amato, adornam i come una sposa : sui miei occhi sten­
di c ome c o l l ir io la polvere che lui ha cal p estato, p re ­
parami l'indaco della sua indigenza, ri n fr e sca m i la
fronte con l'acqua di rose delle sue lac r im e, profumami
col pr ofu m o del suo dolore, cosp arg imi degli aromi di
quella pallida rosa e della canfora dei suoi sos p iri.201
Fa' ch'io sia avvolta in un rosso sudario, io sono una
martire e questo colore io d e s i dero per il mio giorno
di fes ta . Acconciami nel m io vestito da sp o sa avvol­,

gimi in un v el o di terra .
« Quando il mio amato errante saprà che la patria

ho abbandonato per sempre, so che verrà a p ia nger e


sulla m ia tomba, verrà a darm i l'estremo saluto. Sie­
derà pre s so la mia t o m b a invano cercherà la luna, non
,

troverà che la terra. E s u l la mia tomba, qu e l lo stra­


n iero di tutta la terra piangerà. E allora, m a dr e mia,
p ensa che egli è l am i c o del mio c u o r e, e quale impa­
'

reggiab ile amico ! Consid eralo come il mio testamento,


in nome di Dio abbilo caro e non disprezzarlo! Avvi­
c inat i a lui e rac co n t a gli ciò che sai : io l'ho avut o caro
più di ogn i cosa, abbilo caro an c h e tu . D igli : " Quan­
do Ley la è sfuggita alle cat e ne del palazzo del m o n d o ,
colma d ' amor e per te ha affidato alla t erra il suo cor­
po; nel r icordo di te h a esalato la sua anima pura, nel­
l'amore di te ha vissuto perennemente fedele. All'amo­
re per te ha dedicato la vita, e se mi domandi come è

134
pirata, sappi che a m andot i si è a ll o ntanat a da que s t o
rn ondo; e finché è stata di questo mondo, null'altro
· he la pena per la lontananza da te l'ha colmata, e
q uando è sp ira ta la sua sofferenza per te ha preso come
v iatico . E an c he ora che il velo de lla terra l av v o lg e,
'

s ffre nel d e s id er i o di te . I s uo i occhi, a nsiosi di rive­


d erti, s o no fissi sul tuo cammino, fe r m a attende la tua
venuta, intrepida vigila i n a t te s a di te " » . Così d is­
s , gli occhi colmi di lacrime. E q u a ndo le sue labbra
bb ero svelato il segreto, s i volse v erso il regno del­
l ' Oltre e spirò.
Di fronte al suo corp o senza vita il dolore della ma­
d re esplose come il tumulto del G i o rno del Giudizio .
Gettò il velo e prese a strapparsi i b ianchi capelli di
gelsomino ; gemendo nella disperazione, ora s tringeva
al petto il capo della figlia adorata, ora affondava il vol­
to nella sua nera chioma ricciuta. Tutti i lamenti della
t erra innalzò fino al cielo, s t ra pp and osi forsennata i
c a p elli Piange la vecchia madre sulla sua giovinezza
.

spezzata, sull'acqua di vita versa lacrime di s an gue, e


per il sangue che intride le sue lacrime, quella l impida
fonte si tinge di rosso . E così disperati sono i suoi la­
menti che il c i elo stesso ne geme. Piangeva su quel­
l'agata dal c ol ore di rosa, le sue lacrime come stelle
cadevano ad adornare quel volto di luna, e i suoi ge­
mi t i intenerivano p er fi n o le pietre.
L'acconciò come essa le aveva ordinato, la rosa pro­
fumò d 'ambra e di acqua di rose. P o i l'affidò alla terra
e non ne ebbe timore, ché il luogo della t erra è la
terra.

Lamento di Majnun per la morte d i Ley la

Lo scriba di questa celeb rata storia così ha vergato


l ' imperiale diploma : 201
Allorché il lacrimevole evento della morte di Leyla

135
fu giunto all ' or ec c h io dell' infelice Qeys, egli si abban­
donò alle lacrime e pianse di amara disperazion e . Scon­
volto r aggi un se la tomba di Leyla e come un fulmine
vi si a bb a t t é Il suo a sp e t t o era indescrivibile, dai suoi
.

occhi arrossati lacrime cocenti scorrevano a fiumi e la


gente fuggiva al su o n o stridulo e penetrante dei suoi
lamenti. S i rotolava n ella terra di quella tomba, come
i l drago s i a t torc e intorno al tesoro di cui è guardiano,
e non appena quelle sue lacrime toccavano l' erba dalla
t erra fiorivano tulipani . Il suo bruciante dolore filtra­
va come una vampa, le parole che gli fluivano dalle
labbra e rano simili a una l ingua di fuoco . La fronte
sulla lapide sep o lcra le, così, gridando di dolore, si ri­
volse a l l a m a ta :
' « O m i a rosa che ancora in boccio hai
raggiunto l ' au t u nn o , o tu che sei uscita dal mondo
p ri m a ancora d i es se rv i entrata, che ne è d i te, là, nelle
tenebrose vi s c er e della terra? Dov'è più quel tuo neo,
sim i l e a un granello d i muschio, quegli occhi di gaz­
zella? Dov'è l aga t a ris p lendente delle tue labbra, il
'

muschio della tua chioma? Di quali colori ti adornano


i l vo lt o laggiù? Di chi sono gli occhi che ora allieti
d ella tua vista? Chi fai inebriare del tuo profumo? Sul­
la r i va di quale fiume si erge il tuo c ipresso, in quale
gi ar d i n o d i tu l i p a n i celebri il tuo banchetto? Come
trascorre il t uo tempo in quest'oscura caverna? O mia
l una, l e caverne son tane di serpi, non è luogo per te
una caverna ! I o soffro cocente dolore, o mia amata, a
pe ns a r t i in quel luogo di tenebra, e come potrei non
e s s er n e disperato? Ora sei come un tesoro celato nelle
viscere de ll a terra, e ogni tesoro che la terra racchiude
è guardato da un drago! Io sono quel guardiano, io
sono quel drago !
« C o me hai po t ut o trasformarti così? E r i folle come

la sabbia del deserto, ora sei qu ieta come l'acqua di


u n p o zzo ! Ma se il t uo volto è celato ai miei occhi, la
tua immagine è incas t ona ta nel mio cuore, se sei di­
s tan t e dai miei occhi infelici, il mio cuore c ustodisce
un amuleto che t i protegge contro il malocchio, se la

136
l t t a figura è svanita lontano, il dolore che hai lasciato
I ietro di t e non ha fine ! ».

Così disse e riprese la via del suo regno, c ircondato


lal seguito di animali selvatici. Sfinito procedeva nel
, uo viaggio, cantava versi nel dolore della separazio­
n e . I l deserto piangeva con lui, le spine dei rovi get­
tavano faville p er i suoi gemiti, le pietre si t ingeva no
d el rosso del suo sangue. Ma quando pi ù intensa di­
v en n e la disperazione, e i ncontenibile il desiderio di
ritornare alla tomba dell'amata, come un torrente in
piena dalle montagne si slanciò giù nella valle, e corse
imp etuoso a coprire d i baci la terra che r icopr iva la
tomba del suo idolo . Alla polvere che la ricopriva rac-
ontò tutto il suo dolore, e mentre era lì, assorto nel
pensiero di lei, le fiere vigilavano intorno. Le sue la­
crime avevan fatto zamp illare una fonte dalle viscere
d ella terra, l e fiere lo avevano circondato di un sacro
recinto, e a nessuno era consentito avvicinarsi a quel
sacrario.203
Avvenne così che il timore di quelle fiere tenne in­
d i e tro i visitatori dalla tomba di L eyla e nessuno ven­
ne più a visitarla.
I fogli del libro del suo destino si andavano tingen­
do di nero, la vita di Majnun era ormai solo divorante
passione . Viveva agognando la morte, la tomba del­
l ' amata era il polo del suo spirito e da quel polo non
si d istoglieva che per vagare follemente nel deserto . Il
suo cammino era ormai segnato, il suo percorso era
dalla tomba alla tomba .

J\1orte di Majnun sulla to m ba di Ley la

Così il celebre cantore ha portato a termine la sua


storia :
Majnun, nero grano riarso dal sole, divenne una
m esse fatta di grani di lacrime, la macina del destino
lo frantumò e lo trascinò via con sé .

137
Sempre ·p i ù debole, sempre più evanescente, un
gio rn o infine, schiacciato dalla sofferenza, fu sul punto
d i esalare l 'anima. Gemendo si portò su quel tumulo
che celava il corpo di Leyla, si abbatté sulla terra di
quel sacro recinto, e il suo vascello affondò in acque
di tenebra. Pronu nc iò gli ultimi versi, versò le ultime
lacrime, e levando la mano verso il cielo, socchiuse le
palpebre e così parlò : « O Creatore di tutto il creato,
liberami ti supplico dal mio tormento, lascia c h ' io rag­
giunga l ' amata, liberami dalle strettoie della vita, con­
cedimi i l refrigerio dell ' acqua di vita e conducimi in
salvo ! » .
C osì disse e p oggiò il capo s ulla terra, abbracciò
quel tumulo e mormorando « M ia amata ! » , spirò . An­
che lu i abbandon ò questo mondo, tutti i mortali de­
vono abbandonarlo, poiché a nessuno è consentito
sfuggire all'estremo viaggio.
O tu che come un asino zoppo sei inchiodato alla
macina del mulino, allontana la tua c ervice da questa
macina greve, che da essa è lontana la libertà ! Non at­
taccarti alla terra, non è altro che polvere, non asse­
condare la tua p a s s i one non è che favilla, non stabi­
,

lirti sol ida m e n t e sulle tue forze, finché in cielo non


avrai t rov a to dimora! I fru tt i del mondo non sono
eterni, non adorare ciò che perisce !

La fam iglia di Majnun f1.pprende della sua m orte

S fuggito alla vita del mondo, Maj nii.n sfuggì anche


al biasimo degli uman i . Sulla tomba dell' essere amato
il sonno lo rapì e gl i chiuse gli occhi per sempre . Nel
palazzo del mondo non aveva trovato mai pace, non
appena il sonno della morte lo colse, lo raggiunse la
p ac e . Cosi come era spirato rimase in quel luogo, un
m ese, forse u n anno dicono alcuni, e vanamente le fie­
re combattevano intorno a lui.

138
Egli era addormentato, come il re sotto il b aldacchi­
no reale, le fiere vigilavano su di lui, intorno a quella
mba avevano stabilito la loro dimora, avevano fatto
la loro tana. E per timore d i quelle fiere la gente non
sava avanzare fino alla tomba . I l visitatore che d i lon­
t ano scorgeva quell'agitarsi come di api in un alveare,
pensava che il folle straniero fosse inginocchiato pres­
so la tomba come soleva . E intanto quei prodi, sguai­
nando la spada, vigilavano sulla sicurezza del loro re,
ignari che il loro re era spirato, che il vento aveva ra­
pi to il suo c into e la sua corona . 204
La vuota carcassa fu avvolta dalla sabbia, lo squas­
sarsi dei cieli la sparse sulla terra. E così delle fattezze
esteriori del Folle d'amore non rimasero più che le os­
sa. Ma n essuno sciacallo ebbe l'ardire di avvicinarsi al
suo corpo, e fintanto che gli animali gli rimasero at­
torno a vegliarlo, nessuno osò mettere piede in quel
.
sacrario .
Trascorse un anno e la schiera dei cervi, gazzelle e
animali da preda, a poco a poco si diradò, tornando a
disperdersi nel desert o . Quando il talismano si infran­
se, quando si ruppe il sigillo di quel tesoro celato, co­
loro che da lontano erano rimasti a guardare osarono
entrare nel sacro recinto . Videro il Folle d'amore gia­
cere a terra, ma non ve n ' erano più che gli ultimi resti.
La voce s i sparse in ogni contrada, la storia in ogni
angolo d'Arab ia fu conosciuta. I parenti, gente nobile
e pura di cuore, s i radunarono colmi di dolore in quel
luogo, quando l o videro s i lacerarono le vesti e le
membra. Quei resti privi d i vita erano simili a una
b ianca conchiglia senza perla, e intorno a quella con­
chiglia essi sparsero le perle delle loro lacrime e lo pro­
fumarono d ' ambra ; ma lui stesso, come un idolo in un
tempio del deserto, emanava un soave profumo.
P iansero i pellegrin i e lo inondarono di una p ioggia
di lacrime, con le proprie lacrime ne lavarono i resti
e dalla terra lo affidarono alla terra . Gli scavarono la
tomba e lo deposero a fianco di Leyl à . Là essi riposano
in gloria, in attesa della Resurrezione, e ogni b iasimo

139
da loro è stato fugato. In questo mondo un unico pat­
to l i unì, nel mondo dell'Oltre essi giacciono uniti in
una sola lettiga. La loro tomba fiorita divenne meta
obbligata degli amanti, e chiunque giungesse in quel
luogo affranto dal dolore vi trovava la pace e da quella
tomba fiorita nessuno si separava senza che il suo desi­
derio fosse stato esaudito .

140
NOTE
1 . L'invocazione a Dio, l'elogio del Profeta e l'evocazione
del me'riij, costituiscono il trittico introduttivo con cui
Ne?ami apre « canonicamente » i suoi « Cinque Poemi »
(Khamsè) . In Ley la e Majnun è privilegiata in apertura
l 'evocazione del nome di Dio e dei suoi poteri, chiave e
sigillo dell'esistente, cifra che consente di penetrare le
realtà segrete. In questa scelta certamente non casuale, di
u n determinato ordinamento interno dei temi tradizional­

mente presenti nell'invocazione a Dio, è forse possibile


l eggere una forma di corrispondenza con quello che per
Ne?ami costituisce l'asse centrale di ciascuno dei suoi cin­
que poemi : ne « Le sette effigi » , ad esempio, il tema attor­
no a cui ruota l'invocazione a Dio è quello della creazione
( N e?ami, Le sette principesse, a cura di A. Bausani, Mila­
no, 1 982); il mondo creato è per eccellenza rappresentato
nell'immaginario islamico come luogo dei colori, palazzo o
ta ppeto sfavillante e variopinto (il fenomenico) e le sette
storie legate alle immagini dipinte nei sette padiglioni del
palazzo di Bahram Gur sembrano offrirne una sorta di il­
l ustrazione narrativa. In Ley la e Majnun molto più sobria
è l'evocazione dell'opera vera e propria della creazione,
rispetto a quella di nome, parola, scrittura divina: chiave
e sigillo, segreto e manifesto, tenebre e luce, rame e oro,

143
s o no alcune delle coppie di parole-chiave che vi compaio­
no. E i protagonisti del poema, Leyla e Maj nun, potreb­
bero inserirsi em bl em ati ca me n t e in questa medesima « se­
rie ,. , secondo la linea dell'interpretazione nezamiana:
Leyla è l'essenza preziosa e celata, Maj nun ne è lo scher­
mo, i l velo, « la conchiglia che cela la perla » . (Cfr. in
p articolare il capitolo " Familiarità di Maj niin con gli
animali del deserto » ) .

2. Accenno a lla proposizione teologica formulata da al­


Ash'ari (260/873-324/935) circa i l problema degli attributi
di D io menzionati nel Corano : Dio possiede rea lmente
(non m et a fori c a me n te) quegli attributi, ma il credente de­
ve astenersi da ogni interpretazione materiale, fisica: deve
credere nella loro realtà " senza domandarsi come » .

3 . I l baio mantello del mattino e i l nero purosangue della


n o tte sono es p ressioni che abbiamo scelto in questo come
i n altri casi, di ricalcare sulla forma persiana, nella quale
tuttavia il legame d i annessione (ezafè) - traducibile con
l a proposi z i on e " del ,, - fra l e due coppie di termini non
e sprime un nesso g eni ti v a l e bensì comparativo : il « nero
purosangue della notte » sarebbe più estesamente traduci­
bile in italiano co m e « l a no tte, simile a un nero purosan­
gue " , o, più propriamente « l a notte che è un nero puro­
sangue ,, (s i veda G. D'Erme, In margine al dizionario per·
siano-ita liano : II. Per una definizione dell'eiafè persiana,
e Annali di Ca' Foscari " • XI, 3, 1 972, pp. 1 85-1 89).

4. Kiif e nun sono le due lettere dell'alfabeto arabo che


form an o graficamente l ' imp e r a t i vo kun, il fiat divino.
Biso t un è i l nome più comune in neopersiano per designa­
re l a moptagna di B ehi stii n (antico persiano : Bagastana,
" luogo degli Dei ,, ; 't' Ò �ayLcr't'cb1ov oeo<; delle fonti greche),

situata a circa 30 chi l om e tri dalla città di Kermanshah.


Vi si trova il celebre bassorilievo di Dario il Grande, con
i sc r izi oni cuneiformi in tre lingue : persiano antico, acca­
dico ed elami ta. Gli autori musulmani classici lo hanno
considerato come una delle meraviglie del mondo.

5. I lessicografi arabi a t tr i bui s co n o a questa formula il si­


gnifi cat o di e eccomi al tuo servizio, ai tuoi ordini » . La
formula, d e t ta in arabo talbiyya, è usata all'interno di
espressioni di differente complessità, e in differenti circo­
s t an z e . La si riferisce di solito ad Allah, nelle tradizioni
144
((tadith) anche a Maometto. La talbiyya è pro ferita so­
p r a t t u t t o durante i riti del pellegrinaggio alla Mecca, a
p a rtire dal momento in cui il pellegrino è entrato nello
l a to sacrale. È anche una delle esclamazioni pronunciate
la l �ufi sulla via del raggiu ngimento dell 'estasi.

1. Tart aro e Abissino sono nomi etnici comunemente usa­


i i i n questo codice linguis tico per desi gnare, rispettiva­
rn nte, il bi anco e il nero (non solamente con riferimento
i l colore della pelle) : .qui la metafora vuole significare che
l > i a nco o nero, buono o cattivo, l ' u omo è pur sempre crea­
i l i ra di Dio e a lui appartiene.

7. « Loto del Termi ne » , m e nzionato i n Cora no, LI I I , 1 4-


1 5 , versetti che evocano le divine visioni del Profeta del­
l ' r s l a m , è i n terpretato dall 'esegesi musulmana come nome
d i u n l u ogo celeste, li mite supremo al di là del quale la
co noscenza umana non pu ò inol trarsi .

8. Le « sei direzioni ,, indicano gli estremi di ciascuna


l lle tre di mensioni dello spazio, secondo l a geometria
d e l l ' e po c a : sopra, sotto, avanti, d i e tro, destra, sinistra .
I appresentano qui emblematicamente lo spazio di questo
mon d o, dai cui confini il Profeta è usci to comp iendo il
suo viaggi o ultraterreno, che lo ha condotto alle soglie
d e l l a non-s p azialità divina.

!J. Si com pongono i n questa sequenza attributi che po­


t remmo i n terpretare come r elativi alla titolatura islamica
e ira n i ca del potere, nonché all ' apparato in cui esso s i
rappresen t a : « i cinq u e rullii del tamburo ,, alludono i n
particolare alla n owbat, s or t a di fanfara imperiale suo­
n a t a davan ti al pa l azzo dei s ovrani iranici cinque volte
al giorno.

J O. I « cinque pil astri » indicano qui i cinque obblighi


< l ella vi ta rel igiosa del creùente musulmano, il cui adem­
p i mento testimoni a della sua appartenenza all a Comuni­
t à : professione di fede, preghiera, digiuno ri tuale, decima
canonica, pel legrinaggio al l a Mecca.

1 1. È la professione di sunni smo di N e{'.ami. Il discono­


scimen to della legi ttimità dei primi tre cal iffi Abu Bakr,
' O mar e ' O thman (e addiritt ura la maledizione invocata
s u i l or o nomi) è i nfat ti caratteristica dell 'Islam scii ta, per
i l quale l ' un ico l egi ttimo erede sp irituale e successore del

145
fondatore del l ' Islam doveva essere 'Ali. (Si confronti an­
che Ne?ami, Le sette p rincipesse, cit., p. 46).
12. È i ncerto se l e quattro colonne e le quattro cupole
siano un'ulteriore duplice metafora dei quattro fondatori
del l ' edifici o del califfato (colonne), di cui hanno anche
r appresentato l a mai più e gu a gliata realizzazione (cupole),
oppure se le due immagini si riferiscano l'una ai quattro
califfi e ben gui dati » (Abii Bakr, 'Omar, 'Othman, 'Ali) ,
l ' altra ai cosiddetti u�ul, « fondamenti » , della religione,
come l i definisce i l diritto islamico, e cioè il Corano, l a
tradizione profetica (sunna), il consenso della Comunità
(ijnui') e i l principio analogico (q iyas).
13. È qui appena accennata un'immagine che ricorrerà
più volte nel seguito, propri a della rappresentazione reto­
rica della bellezza del volto : quella delle sopracciglia ben
disegn a t e e che arrivano a toccarsi, formando appunto un
arco . (Cfr., infra, no t e 138, 167, 1 87).

1 4. L'imma gine del passo di danza è strumento retorico


di trapasso a l l ' evocazione del viaggio ultraterreno del Pro­
feta.
1 5. Le e quattro radici » è una tra l e varie espressioni me­
taforiche us a te da Ne�ami: per designare i quattro ele­
menti.

1 6 . Omm Han! è il nome della moglie del Profeta presso


la quale egli s i trovava, secondo la versione tradizionale,
al momen to del l ' esperienza visionaria del me'raj. Così re­
ca anche l a versione latina del Li bro della Scala : « Sciant
omnes . . . quod cum ego Machometus filius Abdillahae . . .
M eche in domo mea essem, et j a cerem in lecto proprio et
juxta uxorem m ea m cui n o m e n era t O mheni et multum
vigilaverim i n lege Dei sollici te cogitando ... ecce statim
venit ad me Gabriel Angelu s » (E. Cerulli, Il « Libro del·
la Sca la » e la questione delle fo nti ara bo-spagno le della
Divina Commedia , Ci ttà del Vaticano, 1 949, p. 4 1 ; per la
versi one persi ana scii ta, datane da un autorevole commen­
tatore o r an i c o e tradotta i n italiano, si veda A.M. Pie­
c ,

montese, Una versione persiana della storia del « mi'rag '"


" Oriente Moderno » (Studi i n onore di Paolo Minganti),
LX, 1 9 8 0, p. 226) .
17. Così a bbiamo interpretato il testo, che non nomina
146
splicitamente Boraq in questo passo, ma parla solo di un
ollare, o cinto che teneva in mano Gabriele (la versione
l atina dell'arabo Kitiib a l-me'riij così si esprime : « Cum
go Machometus inclinavissem me Gabrieli ... ecce respi­
iens vidi quod ipse tenebat per habenas q uamdam be­
st iam quam mihi adduxerat, cui nomen erat " A lborak » "

(Cerulli, op . cit., p. 43) . Al-Boraq è il nome della ca­


valcatura su cui il Profeta ha compiuto il miracoloso
« viaggio notturno » (su cui dr. Corano, xvn, I ; LIII, 1 4).
La maggior parte dei f:iadith più antichi descrivono al­
Boraq sempl icemente come un animale « di taglia inter­
media tra un mulo e un asino » , talvolta con il dettaglio
• di color bianco " · Nella biografia del Profeta redatta da
l bn Hisham esso è descri tto come « avente sulle cosce delle
a li, grazie alle quali spinge le zampe in avanti » : formula
che qui verosimilmente vuole soltanto esprimere la sua
straordinaria velocità. Delle vere e proprie ali saranno at­
tribuite alla cavalcatura del Profeta soltanto in testi più
tardi e nelle miniature. Ecco ad esempio come il già ci­
tato commento coranico sciita di Ahii'l-FutiiJ:i ar-Razi
(c. 480-525/ 1 087-l l 3 1 ) descrive Boraq: « La faccia simile
a volto umano, i fianchi da cavallo, il petto adorno di
perle incrostate con corallo rosso, il ciuffo della fronte
di rubino rosso, le orecchie di smeraldo verde, gli occhi
l ucenti e incavati come Venere e Marte, le ali di avvol­
toio, l a coda di vacca, la pancia come bianco argento,
petto e groppa fulvi come oro rosso » ( cfr. Piemontese,
art. cit., p. 227) . Sul discusso problema dell'etimologi a del
nome Boraq e la sua rappresentazione nella letteratura
islamica cfr. A.M. Piemontese, Note morfo logiche ed eti­
mo logiche su al-B uriiq, « Annali di Ca' Foscari » , XIII, 3 ,
1 974, p p . 1 09-1 33 , che contiene anche tutta la bibliografia
essenziale al riguardo.
1 8. Questo inserto di carattere astrologico non è proprio
delle versioni tradizionali del me'riij, bensì è una perso­
nale integrazione di Ne?:ami (la si può comparare a quella
inserita nella descrizione del me'riij del poema successiva­
mente composto da Ne?:ami, Le sette principesse, cit., pp.
50-5 1 ).
1 9. In questo passo tutto costruito su immagini che tra­
ducono il passaggio dalla spazialità del cosmo alla non­
s pazialità divina le parole coraniche « si avvicinò a due
147
archi di distanza » - che si r i fe r i s con o a Dio o all'Angelo,
nel m ome nto in cui il Profeta Maometto ha la visione su­
p rema al t e rm i n e della s ua Ascensione - sono parole che
rappresentano e mb l ematicamente il massimo della vici­
nanza a Dio ra ggiunta dal Profeta.
20. I l te rm i ne " fortitudine » è u s ato qui a tradurre - seb­
bene in modo i n a de gu a to - quella sintesi di virtù ideali
del l ' u omo maturo, designate nella tradizione culturale
arab a da l termine m u r u w w a , che implica soprattutto for­
tezza d'animo, magnanimità, senso dell'onore. Un insie­
me d i virtù che corrispondono, p e r l'età giovanile, a quel­
le della fu tuw wa ( da fata, « giovane » ) , termine coniato
ver so - !'VIII s e co lo e con il quale si è soliti designare dei
movi menti e del l e organizzazioni - del tipo della confra­
ternita - diffuse per secoli in tutte le società urbane del­
l ' Ori ente islamico (su questo si rinvia al basilare studio
di F . Taeschner, Zunfte und Bruderschaften im Islam,
Ziiri ch-M iinchen, 1 97 9 ) .

2L Eram dalle alte colonne " , menzionata in Corano,


«

Lxxx r x , 7, è secondo- una legge nda largamente diffusa nel­


l'Islam, i l nome di una meravigliosa città - poi raggiunta
e a n n i e n tata dal castigo divino - costruita in Arabia dal
re Sh addad b . 'Ad a i m magine del Paradiso. Iperbole per
rappresen tare i l profumo paradisiaco emanato dal Pro­
feta . ·

22. C fr . , infra, nota 1 3 8 .

23. La similitudine perla-p arola su c ui è costruita la me­


tafora d el p arlare come « i n fi l are perle " • è un topos del
li nguaggio p oe ti co classico p ers i an o : la contiguità perla­
parol a è stabi l i ta dal s i mbolismo della perla come vita
germi nale e della p a ro l a (rappresentat:i come nata dalle
acq u e gi à nella tradizione m i to l ogica babilonese) come
crea tri ce di vi ta. Ecco allora che « infilare perle » viene a
s i gn i fi care « p arl are '" e « collane di perle infilate » finisce
per assumere il significato tecnico di « poesia » (na�m), in
con trapposizione allo « spargere perle » che è la « prosa »
(na thr). (Su questo dr. A. Bausani, Letteratura neopersia­
n a , i n A . Bausani-A. Pagliaro, Storia della letteratura pe r­

siana, Milano, 1 960, pp. 260-263).


24. S i tratta del re d e l l o Shirvan (l'antica Media) Abu
'I-Mm.affar Akhsetan, membro della dinastia dei Banu

148
Kasran che regna nella zona del Caucaso a partire dall'XI
secolo, sottraendo la zona al controllo dei sovrani Sel­
gi uchidi.
25. Passo non del tutto perspicuo, ma che allude con tutta
probabilità alla ricca ricompensa offerta a Ne?ami dal so­
vrano committente.
26. La sposa (si veda anche, infra, p . 23) rappresenta qui
la poesia e le « gemme di Persia e d'Arabia » alludono
verosimilmente al fondersi nel nuovo poema delle due
tradizioni poetiche araba e persiana.
27. I re dello Shirvan favorirono la letteratura in lingua
persiana garantendole il loro patronato; malgrado non
fossero di madrelingua persiana essi si attribuivano ascen­
denze iraniche, facendo risalire la propria genealogia al­
l'usurpatore Bahran Chobin.
28. Il regale « convito » (bazm) sembra qui implicare
un'allusione al binomio del razm o bazm, « guerra e con­
vito » , che sintetizza, con particolare riferimento all'epica
iranica, il genere romanzesco e quello « eroico » . « Guer­
ra e convito » sono in effetti assenti da Ley lii e Majnun,
poema in realtà strutturalmente privo di narratività, me­
ditazione sull'amore assoluto, eterno, immutabile e per­
tanto privo di « storia )) ; specularmente opposto a e osroe
e Shlrzn. Ne emerge ancora più limpidamente il talento

narrativo di Ne{:ami, che da una struttura bloccata è riu­


scito a costruire un'apparenza di movimento.
29. $a bu� è termine specifico per designare la coppa mat­
tutina, quella che conclude una notte di ebbrezza : Ne?ami
definisce con questo il figlio MoJ:iammad come la sua ulti­
ma gioia.
30. All'interno della struttura del mathnavz - forma di
componimento poetico in cui ogni emistichio rima col
compagno e ogni verso ha una nuova rima, forma propria
di tutti i « Cinque Poemi » (Khamsè) di Ne{:ami, e più in
genere di tutta la poesia epico-romanzesca persiana - il
metro scelto per Ley la e Majnun è una variante di �azaj
( - - u/u - v -/u - -).
3 1 . La data corrisponde all'anno 1 1 88 d.C.
32. Ley lii e Majnun è tutto scandito da riferimenti a que­
sta figura senza nome, spesso denominata attraverso meta-
149
fore, in terpre tabile sia come proiezione esterna del poeta
stesso sia come rinvio a una tra dizione della storia narrata
nel poema, nella quale Ne?ami si inserisce come l'anello
di una catena. Si tr atterebbe allora di un'affermazione
del valore essenziale dell a continuità rispetto al muta­
mento, di un riferimento al passato come al l u ogo del
principio d'au tori tà, per quanto riguarda i contenuti del
p oema, l a trama essenziale degl i eventi narrati. Sono in·
fat ti gli aspetti formali, il verso, la rima, il ritmo, in cui
la parol a narra ta è ordinata, costruita, scandita, che costi­
tuiscono i l campo del l ' intervent o individuale del poeta,
i l luogo i n cui l ' innovazione è consent i t a e apprezzata:
nel l e « C ause del l a composizione del libro » Ne?iimi vi
aHude, come ancora più ma rcata men te vi alluderà nella
prefazione a Le sette principesse (trad. it. cit., pp. 57-58).
Sul problema del rapporto conservazione-innovazione nel­
l ' ambito della poesia araba classica, si può vedere ad esem­
pio R. Blach ère, Vue d'ensemb le sur la poétique classique
des Arabes, « Revue des Études sémitiques » , 1 938, pp. 1 - 1 8 .
Quanto alla similitudine perla-parola, s u cui è costruita
l a metafora del parlare come « i nfilare perle » , cfr., supra,
nota 23.

33. Il nome di Creso - figura d a i contorni mitologici igno­


ta alla cultura islamica - è stato scelto qui pet « tradurre »
que l l o, usato invece da N e+ami, del coranico Qarii.n (che
più dire ttamente si richiama al Core biblico, Numeri,
xvi), possessore di immense ricchezze che egli ritiene or­
gogliosamente gl i siano state concesse in grazia della sua
scienza (idea su cui si è costruito un filone leggendario che
ha fatto d i lui uno dei fondatori dell'alchimia). Qarun
finirà inghiottito dalla terra insieme al suo palazzo per
s·ervire da esempio a coloro che preferiscono le ricchezze
del mondo a l la ricompensa di Allah.

34. Questa simili tudine possiede implicitamente un valo­


re s tilistico di contrappunto rispetto al precedente « il suo
potere era da sul tano " : essendo cal i ffo e sultano il bino­
mio - ormai istituzionalizzato all'epoca in cui Ne?ami
scrive - in cui s i è espressa nel l 'Islam la scissione fra auto­
r i tà e po tere . N ell'ambito più ristretto del verso, gioca in­
vece il significato de l termine " cali ffo » (khalifè), letteral­
mente « vicario, luogo tenente, successore » , che si rispec­
chia, più circoscritto in un rapporto di consanguineità,

150
nel termine khalaf, « erede, figlio preferito '" del secondo
mistichio.
85. Forma e colore dei vari elementi della fisionomia uma­
na - mai denominati senza la mediazione della metafo­
ra - rinviano in questo linguaggio poetico, a un siste­
m a di corrispondenze già sostanzialmente stabile, alme­

no in alcuni elementi base: fra questi si può annoverare la


orrispondenza fra la rotondità e la luminosità del volto
quella della luna piena, come fra il rosso delle labbra e
i l rubino o fra la statura slanciata e la sagoma elegante
del cipresso. Qui poi la metafora del « volto di luna » si
pone in corrispondenza con l'immagine delle monete : ro­
tondità e splendore ne fondano l'implicita connessione
formale.
36. Si allude alla pratica apotropaica di tracciare partico­
lari segni di color azzurro sulle guance dei neonati per
preservarli dal malocchio; tale uso è probabilmente connes­
so al valore negativo di questo colore nella cultura islami­
ca, dove esso è portato anche in segno di lutto. Nell'unico
passo coranico in cui compare il termine azraq « azzurro » ,
esso è riferito agli occhi dei peccatori nel Giorno del Giu­
dizio : « Il giorno quando squillerà la Tromba e adune­
remo gli scellerati, quel giorno, con gli occhi colorati d'az­
zurro » (Corano, xx, 102). In generale gli Arabi hanno
considerato l'azzurro come colore magico, nefasto, inquie­
tante. Il valore apotropaico attribuitogli nella pratica cui
i l testo si riferisce sembra doversi interpretare come lega­
to a un uso « antifrastico » di questa sua negatività, uti­
lizzata appunto come schermo di ciò che si vuole preser­
vare: ecco che il blu, da dispensatore di male si trasforma
in preservatore dal male.
37. La lettiga della luna è il cielo; la traduzione italiana
non riesce a restituire il gioco di parole che si ha in per­
siano grazie all'ambiguità di significato del termine mahd,
« culla » , ma anche « letto, lettiga » .
38. È il primo rinvio - i n questo caso non esplicito - alla
corrispondenza fra nome e « natura » del denominato : il
nome Qeys, per i l significato base della radice da cui è
costruito, q-y-s, rinvia all'idea di « misura, equilibrio » .
Proprio l a rottura di questo ordine armonico, con i l con­
seguente trasformarsi di Qeys in Maj nun, Folle d'amo-
151
re, si potrebbe dire che, in termini di fiaba, rappresenti
q ue ll o squil ibrio iniziale che mette in moto il meccanismo
del l a storia (si veda anche , infra, nota 47).

39. Si tuando l a nasci ta dell'amore fra Leyla e Maj m1n in


e tà ancora infantile, Ne?amì si ricollega a quella versio­
n e araba della storia che sarà invece scartata da Jamì
(8 17-898 / 1 4 1 4- 1 492), il quale a distanza di tre secoli can­
terà anche lui in un poema la storia di Leyla e Maj niin,
ponendo la nasci ta del loro amore all'epoca de l l' a dole ­
scenza. Ma l ' amore i n fantile, nato fra i due piccoli guar­
dian i di greggi nella versi one araba, si modifica in Ne?amì
a t traverso i l n uovo sfondo in cui è collocato: la scuola,
che le immagini d el l e miniature connoteranno come uno
sfondo chiaramente urbano.

40. Qui lo « sp argere per1e ,, e l ' « infilare perle » che,


come s i è già detto, tecnicamente sono state assunte a me­
ta fore , rispettivamente, di « prosa » e « poesia » , sembra­
no fondersi p er significare l ' arte di Qeys nel recitare, leg­
gere ad alta voce.

4 1 . Zu cchero, miele, flalva', datteri, s orbetti


e canditi, co­
stituiscono, accanto alle metafore costruite
sulle affinità
p er colore o per forma fra parti del corpo dell'essere ama­
to e i l m o n do della natura vegetale e minerale, un'altra
« serie » di immagini centrate sulla dolcezza, mai di per

sé nomi nata come val ore astratto, ma, con assoluta preva­
lenza, rappresentata at traverso metafore alimentari.

42.Ii neo è in generale considerato e descritto come or­


namento e coron amento della bellezza. Il trattatello sulle
figure retoriche relative alla descrizione della bellezza,
scritto nell'826/ 1 423 da Sharaf od-Din Rami, ci offre un
compendio delle metafore usate in poesia per designarlo,
che mostrano di fondarsi soprattu t to sul colore nero (mu­
schio, a mbra, grano di ru ta, pi etr a nera, Abissino, Etiope,
ecc.), o s u colore e forma i nsiem e , che lo rendono compa­
r ab i l e a un punto diacritico della scrittura araba, alla
pupilla d el l ' occhi o, a una mosca, ecc. (cfr. Cheref-Eddin
Rami , A n is el-'Ochchaq , traité des termes figurés relatifs
à la descrip tion de la beauté, tra duit du p ersan par Ch.
Huart, Paris, 1 875, pp. 49-54). Qui è puramente la minu­
scol a forma rotonda del neo a essere considerata all'in­
terno di questo ri tratto di Leyla tutto impostato sulla mi-

1 52
rabile catena di rinvii alla rotondità ri scontrati nell a sua
figura.

43. Il nome proprio Leyla, « notte >>, di stinto da leyla (con


l a vocale finale breve, che carat terizza i n arabo l'uni tà ri­
spetto all ' i nsieme), cioè il nome comune della notte, di
u n a delle tan ti notti che compon go no la notte in gene­
rale, ley l, fu il presce l to fra tutti i possibili nomi femmi­
nili, per l ' amante-amata di Maj n ù n , che divenne così
Maj niin Leyla, i l Fol l e di Leyl ii. E i due nomi sembrano
chiamarsi a vicenda, poiché in arabo il verbo janna, da
cui il participio passivo majnun, evoca, assai prima del­
l ' idea di follia, quella di copertura, avvolgimento. Il « fol ­
l e » è col u i l a cui men te è stata o t tenebrata: e Maj nun è
s t a to ottenebrato, e avviluppato "' da Leyla nella sua du­
plice forma di notte e di donna (dr. A. Miquel-P. Kemp,
Majnun et Laylà: l'amour fou, Paris, 1 984, pp. 47-5 1 ) .

4 4 . « Il fulgido sol e d'orient e ,, sarebbe l e t teralmente nel


testo « il Giuseppe dal volto orien tale » : l'allusione è al
Giuseppe coranico-bi blico della Sura xn, di fronte all a
c u i sovrumana bell ezza si racconta che le donne invitate
dalla moglie di Putifarre a un banchetto, i n ten te a mon­
dare delle a ra n ce, si sarebbero, per il turbamento, tagli uz­
zate l e dita. Donde i l rincorrersi d i me tafore cen trate sul­
l ' immagine dell'arancia.

45. Il muschi o era assai sp esso usato o venduto avvol to in


seta e l 'immagine del sacchetto di muschio come metafora
di profumo o di color nero è una delle più comuni .
Quanto al motto: e se anche non stilla una goccia dal sac­
che t to d i muschio, è l ' intensi tà del suo profumo a rive­
l arlo ! », esso si ricoll ega a quel fi lone di saggezza prover­
biale che ha trovato nella Persia i sl amica una delle sue
prime espressioni l e t terarie nell a traduzione della raccol ta
di apologhi indiani nota sotto i l nome di Kalila e Dimna.
Qui infatti r i troviamo quasi testualmente l ' i mmagine usa­
ta d a Ne�aml, a i l l us trazione della massima secondo cui
ciò che ha valore finisce sempre per mos trarsi, per quanti
sforzi si p ossano fare per cel arlo (cfr. A. Miquel, Ka lila et
Dim na, fab les de B idpai, Pari s, 1 957, p. 87).

46. Così l e tteralmente nel tes to: i l passaggio è secco e


" dura » l ' immagine, in persiano come in i taliano. A!l'in­
terno di un linguaggio che così raramente chiama le cose

153
con il loro nome, mentre di norma trasforma e arricchi­
sce tutto attraverso l a metafora, sono rare infatti imma­
gi n i così concrete e p overe (ma l'asino-corpo è un'imma­
gine di tradizione gnostica).
47. È la frattura dell' armonia i niziale espressa attraverso
il n ome del protagonista: Qeys diviene Maj nun (cfr.,
supra, nota 38) . Questo a l m e no è l'iter ricostruito dalla

storia narrat a . Nella realtà, l'esistenza di un poeta arabo


detto Maj nun Leyla, il Folle di Leyla, un poeta senza
nome dunque, senza genealogia sicura, ha posto non pochi
problemi negli ambienti delle lettere arabe. E a lungo è
rimasta l'incertezza, anche per chi non ne contestava l'esi­
stenza storica, circa la sua appartenenza tribale : era dei
Banu 'l-Haris, dei Banu Ja'da, o dei Banu Qusayr? Infine
fu il nome di Qeys b. Mulawwaf:i a prevalere, dei B anu
'.Amer. « Così il Folle poteva entrare di diritto nella no­
menclatura dei poeti arabi. Possedeva ormai un nome, un
patronimico, un a tribù e un clan, pur conservando l'epi­
teto di " Folle di Ley la , il più prestigioso dei suoi no­
"

mi l> (J.-C. Vadet, L'esprit courto is en O rient, Paris, 1 968,


p. 37 1 ) .
4 8 . Come è faci l e intendere, la luna nuova è qui meta­
fora di Leyla; ma l'immagine della luna nuova, la falce
sottilissima che richiama la giovinezza e la fulgida delica­
tezza della figura dell'amata, fa qui anche da tramite al
nesso l u n a nuova-follia e alla co rrispo nd e n z a tradizional­
mente sentita tra fasi lunari e crisi di follia.
49. Secondo la concezione islamica i jinn sono esseri di
natura corporea, formati di vapore o di fiamma, dotati di
intelligenza e impercettibili ai nostri sensi; possono mani­
festarsi sotto forme differenti. Nel Corano si afferma che
essi furono creati da un fuoco senza fumo (Lv, 1 4), cosa
che li disti n gu e dai demoni (shayiitin), come pure dagli
uomini e dagli angeli, creati rispettivamente di terra e di
luce. La tradizione li rappresenta in una forma forte­
mente umanizzata: esistono jinn buoni e cattivi, musul­
mani e miscredenti, sono divisi in tribù e possono anche
sposarsi con esseri umani. Il riconoscimento della loro esi­
stenza da parte dell'Islam ufficiale ha comportato la di­
scussione e fis s azi o n e del loro sta tuto giuridico, e anche i
problemi concernenti i loro r a pp orti con gli uomini, so-
1 54
prattutto relativi a matrimonio e proprietà, sono stati
'sami nati in dettagl i o .
I lessicografi arabi f a n n o risalire generalmente i l n om e
finn, che i filologi occidental i non escludono possa. ricon­
d ursi al latino genius, alla radice f-n-n, il cui significato
base è quello di « coprire, celare " : perché, essi spiegano,
i finn si celano all a vista degli u omini, così come l a men­
Le dell'uomo folle, il majnun, è stata "' ri coperta, offusca­
la » dai jinn (dr . , supra, nota 43).

50. La lunga catena di metafore, qui riprodotta quasi


i n tegralmente, è una sorta di evocazione in forma litanica
di Majniin, che corris p onde specularmen te a quel la posta
i n esordio alla « D escrizione di Leyla » (si veda, supra,
pp. 49-50 e, più avan ti, nota 80) . Si tra t ta di un compendio
d i attributi, espressi in forma metaforica, che definiscono
la figura di M aj nii n nella gerarchia dell ' i ntero universo:
dalla t itolatura del potere - sul tano, condottiero - che
t uttavi a si applica qui ad ambiti estranei a quella so­
cietà degli uomini p er cui tali poteri sono stati isti tui ti,
alla sua definizione solo a p parentemente contraddi ttoria
come asceta e folle, devoto e a ngelo dannato (Hariit e
M arii t sono nel Corano i nomi di due angeli decaduti, fat­
tisi maestri di arti magiche proibite fra gli uomini), so­
vrano senza l e consuete insegne del potere (senza trono e
senza corona), ma ben più potente di Cosroe, se può defi­
nirsi, letteralmente, « da tore di feudi all ' esercito delle for­
m ic h e » , quell 'esercito misterioso ci o è, che, secondo la leg­

genda accolta dal Corano, lo stesso Salomone non riusci a


sconfiggere; così come l ' essere assi so « su di un trono che
poggia sul dorso degli onagri » (cos ì letteralmente nel te­
sto), signi fi ca possedere il po tere di soggiogare la na tura
selvaggi a per eccellenza, quella cui di norma si rivolge
l ' attività venatoria del principe ; Maj niin è i nfine trionfa­
tore del male (castelli della · tentazione) e paladino del
bene (il convento indifeso).

5 1 . L'altopiano del Naj d - vasta regione al di l à della


barriera montuosa del I;Iej az e delle due ci ttà « sante » di
Mecca e Medina - sarà d'ora i n poi i l punto di riferimen­
to del p ere gri n ar e di Maj niin. Per q uanto lontano lo spin­
ga il suo errare, i suoi movimenti ritornano infatti sempre
verso il Naj d, il s uo polo restando p ur sempre l'accampa­
mento dell'amata, uno spazio tribale in cui gli è precl uso

155
di pene trare, · ma a cui sempre ritorna, anche quando o r ­
mai la sua vita appartiene defini tivamente alla società de­
gli an i m al i selvatici .
5 2 . Gu i d o Cavalcanti si raccomanderà alla sua « balla­
tetta " con parole non mol to dissimili :
deh, ba l l ate t t a , dille sospirando
qua n d o le se' pr esen t e :
questa vostra servente
viene per star con vui ,
partita da colui
che fu servo d'amore.
(Ballata dell'esilio)
Per a l tri successivi « i nvii » , si v eda, supra, pp. 73, 74.
53. L'immagine del c ero è metafora ambivalente : il cero
è l'amante che arde, c on sum a t o dal fuoco dell'amore, che
s offre e pi ange lacrime di cocente dolore, simili alle « la­
crime » di c e ra della candela. Ma la fiamma del cero può
anche essere - c o m e appu n t o in questo passo - simbolo
dell ' a m a to, attorno a cui l'amante ruota ipnotizzato dalla
sua luce, come una falena.
54. Allusioni al malocchio, te m u tissimo pericolo, ricorro­
no con frequenz a in questo come negli altri poemi di
N e?:a m i, che accenna a varie credenze po p olari connesse.
Lo s tesso Cor ano sembra riferirsi del resto al potere del
malocchio, su ggere n d o al credente una formula per scon­
gi ur ar l o, nella p en ul ti m a sura del Corano : « D i ' : " Io mi
rifugio presso i l Signore dell'Alba dai mali del creato, e
da l male di una notte b u i a q u an do s'addensa, e dal male
delle soffianti sui nodi e dal male dell'invidioso che invi­
dia " ,. ( Cora n o , cxm) .
55. Si veda, supra, nota 5 .

56. I er s i
v che seguono, ri tma ti sul contrappunto dei
nomi di Leyla e Ma j niin, so no tutti costruiti sul tema del­
l'opposizione. D a qu a n do Qeys, separato da Leyla, è di­
v en u t o Majm1n, l'unione che prima li separava da tutto
il resto del mondo (dr. i versi che li descrivono al tempo
felice della scuola, q uan d o ha inizio i l loro amore, p. 28)
h a lasci a to spazio a una distanza q u i rappresentata attra­
verso un'iterazione di metafore tutte cen trate sull'opposi­
zione qualitativa: dacché il mondo si è posto come bar-
156
riera in mezzo a loro, Maj nun ha perduto ogni valore,
gni bellezza, che invece in Leyla, agli occhi di Maj nun,
si sono esaltati.
57. Metafora che non siamo riusciti a interpretare. La
r i beba o ribeca (persiano rabab) era uno strumento musi-
aie ad arco, originariamente a due corde, con il piano
a rmonico di pergamena e di forma affine alla chitarra.

58. Leyla è « un giardino in un giardino » perché pos­


siede il fulgore e la freschezza di un giardino, nella cor­
n i ce di qu ell'u nico spazio « esterno » che le è consen­
t i to, il giardino appunto, mentre Maj nun, che percorre
ormai soltanto gli spazi infu o cati del deserto, è doppia­
mente arso, dall'ardore del sole e dal cocente dolore della
separazione.
59. Il termine sama', letteralmente « audizione » , ha ac­
quistato un significato molto specifico nel sufismo, defi­
nendo l'ascolto di musica, canti, salmodie o recitazione
ri tmica, finalizzato al raggiungimento dell'emozione reli­
giosa e dell'estasi . Designa anche i canti stessi e la musica
vocale o strumentale che si ascolta a tale fine.
60. Le fumigazioni ottenute gettando nel fuoco la ruta
selvatica - pianta aromatica che cresce in terreni aridi -

erano un 1·ito magico praticato contro il malocchio. Nel

quadro di questa sequenza, ritmata su coppie di immagini


speculari, l 'opposizione sembra fondarsi, più che sulle
azioni specifiche di Leyla e Maj nun, sulla contrapposizio­
ne che esse implicano fra dentro-fuori, abitazione-deserto,
domestico-selvaggio.
6 1 . Il tema dell'ama nte tenuto a distanza dall'accampa­
mento del l ' amata dai guardiani che vigilano, è un topos
della qaJida araba classica. L'esilio è la punizione per il
tash b"ib, la pubblicizzazione del segreto d'amore, ma è an­
che lo spazio di libertà concesso all'uomo, che una volta
infran ta la norma, può ancora vivere al di l à dei confini
dello spazio tribale, una vita apparentemente assimilata
a quella degli animali selvatici, ma che nel caso di Maj nun
conserva ed esalta in massimo grado l'attributo umano
della parola, nella poesia. Su Leyla invece grava la dupli­
ce pena della prigioni a e dell'esilio (si veda, supra, p. 1 06) .
62. Le biis, il termine arabo che designa la veste, l'abbi­
gliamento in generale, è definito nei lessici arabi classici :
157
« ciò che nasconde o ricop re le p ar t i intime » . Si riman­

da a Corano, vu , 26, ch e dice : « O figli di Adamo ! Noi


ab biam fatto discendere su di voi una v es te , che dissimu l a
le vostre nu d i tà e così pure degli ornamenti. Ma la veste
d ell a pietà è q u e l l a che vale di più ! » . Di fa tto la nudità,
m a tutt'altro che solo delle p a rt i i n t ime , è se n t i t a nella
cu l tu r a islamica come vergogna, come c ont r appo si z i on e al
decoro che si co n vi ene alla c o n d i z i on e giuridicamente in
regola dell'uomo i n società. L'abbandono d a parte di
M aj n ù n della propria famiglia, che s i spinge in realtà fino
a u n vero e p r o pr i o abbandono d e l l a società degli uomi­
n i , è cara tterizzato v i siva me n t e dalla sua nudità (mitigata
s ol tanto da un misero p eri zo m a di pelle). In questo senso,
par ticol armente significative sono le due scene dell'incon­
tro di Majniin, che vive orm a i nel deserto, rispettivamen­
te con lo zio materno e con il padre . In ambedue i casi la
n u di t à del Folle di Leyla è rappr e se nt a t a quasi come un
impedimento che è n ece ssari o rimuovere, affinché una co­
municazione possa instaurarsi ( c fr. , supra, pp. 1 1 3-1 1 4 e
p. 88). Su q u e s t a emblematica nudità di Maj niin si può
confron tare anche l'aneddoto sul Folle che avvolto in una
p elle di capra penetra n ell ' a cc a mpame nto di Leyla, rac­
contato da 'Anar (La conférence des oiseaux, a cura d i
Garcin de Tassy, Paris, 1 979, pp. 175-1 76), un a n e d d oto in
cui la nudi t à si co nno t a anche come segno di status so­
ciale i nfe r i or e .
63. La ge mm a rappresenta qui Leyla e l 'i nc a sto n ar l a sul
diadema dei su o i desideri s ign i fica porla al sommo dei
suoi pe n s i eri , e d u n qu e prodigarsi per ottenerla e farne
d o n o al figlio (pupilla dei su o i o cch i ) .

64. Me ta fora di cui è chiaro il s i gn ifi ca to centrale (la per­


la non mai forata è evidentemente Ley l a , l'altra p er l a è
Maj nun), mentre di non chi aro si gn i fi c a to rimane il rife­
r i m en to d i de tt agl io alla p erla " del suo manto ,, (letteral­
mente " della sua sp all a " ) .
65. Ne�ami sottolinea in ques to m o d o la rel az ion e ami­
c ale es i s t en te fra la famiglia di Maj niln e quella di Leyla,
i quali secondo la t r a d izi o n e araba erano cugini e dunque
nella situ�zione pr e fe r en zial e pe r essere uniti in matrimo­
nio (si veda Miquel-Kemp, Majnun et Lay ld: l'amour fou,
cit., p. 22) . Viene così posta la necessaria premessa per iso-

158
l are la causa del rifiuto da parte del padre di Leyla, mal­
grado la ricchezza della dote o fferta gli : un rifiuto dovuto
l unque a nient'altro che all'infrazione commessa da Maj ­
n un, alla trasgressione della norma sociale di non pubbli­
i zzare l'amore prima del matrimonio (ib id., pp. 1 4 1 - 1 43,
1 60, e passim). In ]ami la causa iniziale, determinante, del­
la separazione fra i due e della conseguente follia di Maj­
niin sarà invece l'antica inimicizia che divide le loro rispet­
live famiglie - aggiunta alla l oro differenza di status - e
he segna fin dall'inizio la sorte i nfelice dei due amanti
(Medjnoun et Leila, trad. frane. di A.L. Chézy, Paris, 1 807,
pp. 70-7 1) . La scelta di Jami si può dire rappresenti un pas­
so ulteriore sulla via di quel processo di « santificazione »

he la figura del Folle ha subìto nel trasmettersi alla tra­


dizione letteraria persiana (dr. Miquel-Kemp, Majnun et
Lay ld: l'amour fou, cit., pp. 1 26- 1 27 ) : non è la trasgressio­
ne, coscientemente perseguita da Maj niin, come nella tra­
dizione araba, ma un destino al di sopra di lui che pone
le condizioni della separazione e della follia.
66. La tradizione araba ci ha tramandato l'eccezionale
entità della dote offerta dal padre di Maj niin: cinquanta
cammelle fulve.
67. L'abbigliamento appare ancora una volta come segno
distintivo di appartenenza alla società degli uomini, nella
sua duplice dimensione di vita e di morte (la veste, il
sudario) .
68. Vameq e 'Adhra' sono i protagonisti di un antico « ro­
manzo » persiano, messo i n versi dal poeta ' OnsorI (m.
1040 o 1 049) ; è la storia - forse di origine ellenistica - di
due celebri amanti.
69. Stracciare, spezzare, bruciare : troncato ogni legame,
lacerate le vesti consuete - i nfrante, cioè, le norme - Qeys
dive 1:m to Maj niin abbandona per sempre la società degli
.
uom1nl.
70. Si tratta di Soheyl-Canopo, stella di prima grandezza,
che secondo la tradizione brillava con particolare limpi­
dezza sullo Yemen.
7 1 . Turca o Tartara è per eccellenza la bellezza femmi­
nile e maschile, in primo luogo per lo splendore dell'in­
carnato. Più volte questo tratto caratterizzante la bellezza
1 59
turca è messo in risalto per contras to, confrontandolo con
l'inverso carattere dell'indiano o del negro africano ; se ne
può vedere un esempio a p. 87 : « può forse un negro di­
ventare con l'acqua u n t arta ro dalla candida pelle? » (cfr.
anche, supra, nota 6) .
72. È l'unico tratto che riconduca inequivocabilmente al­
l 'originario ambiente beduino della storia di Leyla e
Maj nfm: la condizione scelta dal Folle, la rottura di ogni
legame tribale, lo vota i nesorabilmente alla morte, poiché
lo priva dell'unica garanzia di vita nel deserto, la legge
del taglione: nessuno è or m a i obbligato a vendicarlo con
le armi o a pagare per lui il prezzo del sangue.
73. Zo lf è termine che designa una parte ben pre c i sa del­
la capigliatura, di per sé considerata come " la regina del­
la bellezza nell'impero della perfezione » secondo le pa­
role di Sharaf od-Din Rami (cfr., supra, nota 42). La chio­
ma è sempre rappresentata come ricciuta, e se n e possono
distinguere diverse modalità: il tipo turco, deylamita, etio­
pico (cfr . Cheref-Eddìn Rami, A n is el-'Och chdq, cit., pp.
8-1 1 ) . Lo zo lf designa q uella parte della chioma ricciuta
che inquadra il volto. Qui il boccolo della bella è co m ­
parato a un Indù per un duplice motivo: è nero - e Indù
nel linguaggio delJa poesia persiana classica è usato come
sinonimo di « nero » - e, col suo fascino, ha rapito il cuo­
re di Maj nun - e Indù, è a n ch e, tipicamente, un ladro . Ne
Le sette principesse Ne:t:ami cita un noto proverbio in
proposito : " la cornacchia è progenie di Indù » (trad. it.
c i t . , p. 1 43).

74. La Ka'ba, il santuario di forma cubica pos to a] cen­


tro della corte della grande moschea alJa Mecca, è, come
è noto, la direzione (qi bla) verso cui tutti i musulmani
pregano_ Il mehriib è la nicchia vuota scavata nella parete
di fondo della moschea, e che indica appunto l a direzio­
ne della Mecca. La polarità delJa Ka'ba rispetto all'intero
mondo c r eato (mehrab del cielo e della terra) è c ol l eg a ta
con il ricco patrimonio di tradizioni cosmografiche musul­
mane relative al tema dell'ombelico della terra, la parte
cioè che per prima è stata creata e attorno alla quale tutto
il resto si è esteso. La Ka'ba, ombelico della terra, è an­
che i l suo punto culminante, in asse con la stella p ol a r e ,
pun to culminante del cielo. (Cfr. A.J. Wensinek, Th e
1 60
I . Maj nun penetra di nascosto nell' accampamento di Leyla (Haft Owrang
tl1 , ) ami, 1 5 5 6-65 .
Miniatura attribuita a Sheykh Mobammad, Freer Gal­
l ny o f Art, Washington) .
Navef of the Earth, « Verh. Kon. Akad. v. Wetensch. '"
I. XVII, 1 ) .
7 5 . La preghiera d i Maj niin alla Ka'ba rappresenta il
punto supremo della sua trasgressione, la pubblicizzazione
massima del segreto d 'amore (tash bib) che sancisce la sua
ondanna.
76. Ancora una volta il potere del malocchio è posto in
primo piano come causa di male, primo anche rispetto al
potere della p arola, mentre solo in ultimo è menzionata
l ' ipotesi del delitto da espiare, del taglione.
77. Questo « inno » , in negativo, al Destino, che grava
con la sua onnipresenza sul mondo, sembra riferirsi assai
più al concetto iranico di Tempo-Destino che non a quel­
l o islamico di predestinazione, volontaria e personale di
Dio.
78. La morale di questo apologo sembra ricollegarsi a Co­
rano, IX, 83.
79. La spada e il vassoio sono metafora di esecuzione ca­
pitale.
80. È la sequenza li tanica di elogi di Leyla corrisponden­
te a quella dedicata a Maj niin, nell'esordio del capitolo
« Descrizione dell'amore di Maj niin » . La sequenza per­
corre un iter discendente, si potrebbe dire dal cielo alla
terra : l'iperbole iniziale la paragona infatti a un ver­
setto coranico, per passare poco dopo a menzionare i
sette cieli - le sette sfere planetarie della tradizione co­
smografica musulmana, conforme a quella tolemaica - e
i sette pianeti (i califfi), che le hanno accordato molte­
plici doni. Dal generale si scende quindi al particola­
re : la bellezza del volto, la figura slanciata e armoniosa,
che producono in chi la contempla un alternarsi di timo­
re e speranza (riferimento al gioco del nard, la tavola rea­
le), e una devozione esclusiva e idolatra (mehrab degli
adoratori degli idoli). Il suo fulgore la rende simile a un
cero che risplende in un luogo di sfarzo (il palazzo), l 'ele­
ganza della sua figura al cipresso; è tesoriera, in quanto in
sé custodisce un prezioso tesoro, e insieme ladra, poiché
rapisce il cuore a chiunque la veda (o anche perché ha
sottratto ogni pregio a tutto ciò che la circonda). La se­
quenza si conclude con una supplica a concedere il pro-
1 61
prio te s o ro di dolcezza a chi è ansioso di farlo suo (i mer­
canti di zucchero ) .

8 1 . Le labbra della bella uniscono il colore del rubino


alla dolce z z a zuccherina del dattero maturo.
82. Poiché si ri teneva che l a gazzella avesse una vescica
colma di muschio, sostanza intensamente profumata e di
col or n er o (il m u schio ricorre infatti in questo linguaggio
alternativamente con il valore metaforico di « profumo »
e di « nero ,, ) , e d'altra parte l 'occhio dell'amata è classi­
c ame n t e comparato al gr a n de occhio vellutato della gaz­
ze lla , ecco il gi oco di p a role.
8 3 . I suoi occhi res pingevano, sottraendosi alle richieste
di coloro che i s u oi ricciol i avevano avvinto nelle catene
d ' amore.

84. C o mp a ion o qui per la prima volta (se si eccettua un


brevi ssimo ce n no all a m i n u s cola bocca di Leyla nella de­
s crizione i n iz i a le) altre due immagini classiche della bel­
le zza : l a p i c c o l e zz a della bocca e la fossetta del mento. La
bocca, distinta dalle lab br a e costituita da uno spazio
vuoto di forma variabile, di difficile rappresentazione, e di
gr a nde zz a infinitesimale, è paragonata nella poesia persia­
na al punto ge ome tric o e addirittura al nulla. Donde la
co n t r ad di t torie t à sp eculativa legata all'affermazione e in­
s ieme alla negazione della sua esistenza. Emami, poeta di
Herat contemporaneo di Sa'di (fine VII E.), la esprimerà
i n questi vers i , i n cui è fatto palese riferimento alle cate­
gorie di A r i st ote l e : « La bocca di quella beltà è nulla ed
esistenza a un tempo; e ss a esiste, ma il dove, il cosa, i l
com e e i l quanto non e siston o in lei » (dr. Cheref-Eddin
R àmi , op. cit., p p . 65-67). La fossetta del mento è invece
comparata a un p ozzo da " coloro che sono divorati dalla
sete nel d eser to dell 'amore » - sempre secondo le parole
di Rami. Anzi, spesso essa è v i s ta non solo come un pozzo,
in cui l ' amante si tuffa in cerca di refrigerio, ma come un
p ozzo magico , per l'attrazione magnetica che esercita sui
cuor i , che in es sa s i pre ci pi t a no (ib id., pp. 7 1 -72).

85. Il fuoco è m a teri a infernale, mentre la luce è pro­


pria del p aradiso ed è la materia di cui sono stati crea ti
gli a nge l i . Di fiamma senza fumo, infine, sono stati creati
i jinn, secondo l ' affer m a z i on e di Corano, LV, 1 4. Questo
1 62
fuoco « che non sprigionava né luce, né fumo » sembre­
rebbe perciò definire il tormento della separazione come
legato a una situazione di sospensione, di indeterminatez­
za, una sorta di Limbo.
86. Il testo allude propriamente allo specchio che si usa
porre davanti alla bocca del morente per stabilire se è
ancora in vita.
87. Il testo usa il termine khonyagar (mediopersiano
hunyagar). Per il periodo sasanide abbiamo numerose te­
stimonianze di una larga presenza della figura del mene­
strello in Persia. Il hunyagar sasanide, come del resto il
partico gosan, aveva alle spalle un corpus tradizionale cui
attingere, ma contribuiva anche con componimenti poe­
tici di propria invenzione e di vario carattere, cantati e
accompagnati strumentalmente. Questo tipo di produzio­
ne poetica legata all'improvvisazione e alla musica non
è stata tuttavia consegnata alla tradizione scritta e se ne
sono in gran parte perdute le tracce. In testi arabi il ter­
mine mediopersiano h unyagar è reso indifferentemente
con mutrib, mughannz o sha' ir, rispettivamente « musico » ,
« cantore » , « poeta » ; e un secolo prima di Ne'.?'.ami, il
principe Key Ka'us dava nel suo Libro dei consigli (a cu­
ra di R. Zipoli, Milano, 1 98 1 , pp. 2 1 1 -2 1 5) un quadro di
« arte e tecnica del menestrello » che sembra riassumere
in sé le tre categorie dei musici sasanidi, dovendo il me­
nestrello possedere la triplice arte di suonare, cantare e
poetare (o declamare l'altrui poesia) . (Su questo argomen­
to si veda : Le livre de la Couronne . . . attribué a Cah iz,
trad. frane. di Ch. Pellat, Paris, 1 954, pp. 53-54 e M. Boyce,
The Parth ian Gi5san and the Iranian Minstrel Tradition,
« Journal of the Royal Asiatic Society », XVIII, 1 957,
pp. 1 0-45).
88. Passo non chiaro. Il significato sembra essere che la
freccia acuminata dell'amore infliggeva a Leyla una du­
plice ferita: il tormento della separazione, la necessità di
celarlo.
89. Ghazal, « canzone, elegia amorosa » (termine arabo
passato in persiano), è lo strumento principe della poesia
lirica persiana. Il problema dell'origine del ghaza l neo­
persiano coincide di fatto con il problema stesso dell'ori­
gine della poesia neopersiana. Tra le varie ipotesi vi è
1 63
quella che lo interpreta come uno sviluppo indipendente
del nasib, il preludio ero ti co -elegiaco che a partire da una
certa epoca si i mpose come consuetudine di porre in esor­
dio della q�ida araba (apostrofe alle tracce dell'accampa­
mento dell'amata ormai abbandonato, infelicità suscitata
dal l a separazione, ricordo delle promesse dell'amata, i va­
n i tentativi di raggiungerla). Secondo altri le sue origini
s arebbero da ricercarsi nelle canzoni popolari persiane di
epoca anteriore all' influenza araba. I l ghaza l è componi­
mento monorime, che generalmente non supera i dieci­
dodici versi e non ne ha meno di cinque (nel primo verso,
segue la rima generale anche i l primo emistichio) . Il ghazal
non raggiunge la sua forma tecnica definitiva prima di
Sa'di (VII-XIII sec.).
90. L'elogio delle virtù intellettuali della dama contribui­
sce a comporre l a sua rappresentazione secondo i canoni
dell'amore cortese.

9 1 . " Gelsomino » e « cipresso » sono qui evidenti meta­


fore di Leyl a e M aj m1n, sebbene più spesso siano imma­
gini usate con significato più circoscritto, per rappresen­
tare singole parti del corpo della bella: in particolare il
seno di gelsomino e la fi gur a -s t a tura di cipresso.

92. Leyl a n on ha, in quanto donna, diritto ad accedere


a gli spazi aperti del deserto, di cui liberamente può invece
disporre M ajm1n: a l di fuori della sua tenda non c'è che
il giardino in cui possa spingersi, Io spazio di natura nella
sua form a più circoscritta, dominata, sottratta a ogni pos­
sibile i n trusione del caos. A sua volta, la descrizione del­
l e bellezze della natura nel giardino ne riconduce l'im­
magine alla figura femminile, adornata di gioielli, abbi­
gliata in tessuti preziosi, l a c hi oma acconciata e cosparsa
di profumi, salvo l'interpunzione di alcuni elementi pro­
pri dell'armamento da guerra: le frecce acuminate, Io scu­
do, la spada. Le analogie che fondano le metafore sono
espresse per il trami te di forme verbali di azione, attri­
buite a ogni singolo c o m p o n en te della scena, azioni che
visualizzano l e eziologie fantastiche con le quali sono spie­
gate l e e cause ,. di forme e colori della natura. (Cfr. H.
Rit t er, Ober die Bildersprache Ni?amis, Berlin-Leipzig,
1 927, pp. 8 - 1 6) . Protagonista la rosa, nelle sue varie for­
me: il bocciolo spinoso (che lanc ia frecce acuminate) dai

1 64
pe t ali serrati (che ha s tretto la c i ntur a) ; la rosa nella sua
p iena fiori tura che ha già i mpregna to il ve nto del suo pro­
fumo e tenta di far suo anche quello del gi a cin t o ( tentava
di ru b arg l i il sacche t to di muschi o) ; la rosellina selvatica,
dai piccoli petali bianchi , immaginata aver tratto il suo
bi ancore dall'essersi bagnata nel l a vi cina sorgente, che
non è al tro che la c as cata di minuscoli fiori bian c hi del
gel somino.

93. La fo rma dei p e t al i del narciso suggerisce l ' immagi ne


dell'occhio socchiuso dell a persona amata, l a ng u ido per
l ' e bbrezza. Ed è com par a z ione talmente costante che nel
l inguaggio di questa p oesia " narciso " può considerarsi
quasi sinonim o di « o c chi o " .

94. Gli uccelli sono, fra gl i animal i , ra ppresentati come i


tipici abitatori del giar d in o . L' usignolo, che vi si ins tall a in
p ri m av e ra , per l a sc i ar p osto al corvo i n au t u n no, e che vi
ca n ta l e s ue celebrate m el o di e stando soprattutto in mez­
zo alle rose, è spesso m eta fo ra del l ' amante infelice e il
suo canto è so pratt u tto se n ti to c om e ge m i to d'amore (dr.
C.-H. de Fouchécour, La description de la na t ure dans la
poésie lyriq ue persane d u XJe siècle, Pari s, 1969, pp .
1 37-1 47).
95. La v i ol e tta evoca generalmente la capigliatura, e ta­

lora, nel caso di un fa n c i ull o amato, anche l a prima pe l u­


ria del m ent o . La com p arazione viol e tta-capiglia tura si
fonda sopr a t t u t to sul profumo, ma anche sulla forma, an­
che se non chi aramente preci sata. Le violette possono de­
s ignar e anche, più in parti colare, l e due p ar t i della cap i ­

glia tura che ricadono su lle guance incorniciando i l volto :


s imi l i a violette che tend a no u n ' i m boscata a del l e rose,
secondo un'imm agine del poeta Farrokhi (de Fouchécour ,
op. cit., pp . 77-79).

96 . Poiché il n arciso è, co m e s i è de t t o, l'occhio i l l a ngui­


dito dall'ebbrezza, è con il narciso che si immagina la
bell a sorseggiare u n calice di fres c a bevanda; mentre il
legame fra tulipano e vino è chiaramente s t ab i l i to dal
colore.
97 . La Cina, nel l a tradizione islamica, è legata corrente­
mente a un' immagi ne di abil i tà tecnica e di raffina te zz a
estreme : il paragone con un dipinto d ' ar ti s t a cinese evoca
dunque un' immagine di n a tura sup remamente artefatta.
1 65
98. Ancora una metafora per designare quella anonima fi­
gura ch e qui, più chiaramente che in altri esordi di Leyla
e Maj m1n si può interpre tare come coincidente con lo

stesso Ne:?ami.
99. Il nome Ebn Salam cost i t u i sce, da un punto di vista
t e cn i co quella parte del nome di persona arabo-islamico
,

che si chiama nasa b « pa t r o n i m ico » caratterizzato ap­


,

punto dalla composizione del termine ebn, « figlio » , con


un nome di persona. E si s tono però anche dei nasa b che
d efi n is co no un rapporto di filiazione in senso metaforico,
come appunto Ebn Salam, che vorrebbe dire letteralmen­
te « figl io della prosperità, della pace » (per uno schema
sintetico del l e varie parti del nome di persona arabo­
islamico, si veda Kay Ka'iis ibn Iskandar, Il libro dei con­
sigli, ci t . , pp. 289-290.
1 00. Si all ud e q ui veros i m i lmente alla dichiarazione da
parte del messo del mahr che Io sposo è disposto a offrire.
Si tratta d i quel corrispettivo che lo sposo, nella consue­
tudine araba, pagava ai co n gi unt i masch i della sposa in
cambio del l oro consenso alle nozze, ma che il Corano pre­
scrive sia do nato dire ttamente alla donna, della quale ri­
mane p o ssess o p ersonale e inalienabile.
101. Passo di notevole difficoltà, tutto costruito sullo stru­
mento retorico d ell'anfibologi a : il termine pardè vi com­
p ar e infatti us ato nel suo signi ficato più letterale di
« cor­
tina » , quindi di « pudore », « onore » e anche di « regi­
stro m u si cal e » . Il se n so complessivo sembra essere che
Leyla, pur conti nuando a co ndu rre la vita appartata che
compete a l l a sua c on di zi o n e femminile, ha ormai acqu i ­
s t a to n o t orie tà in qua nto amata da Maj nun, divenendo
,

così ogge tto del can to dei menestrelli e perdendo per ciò
s tesso il buon nome l egato al riserbo che si conviene a
una giovanetta non ancora usci ta dalla c a s a paterna.

1 02. « Vecchio, signore del Naj d » è uno degli epiteti con


cui nelle tradizioni (�adith) è designato Satana. Nella bio­
grafia del Profeta si racconta ad esempio di come egli
sarebbe a pparso, nelle spogl ie appunto di un vecchio del
Naj d, all'assembl ea dei Qurays, riuniti per deliberare cir­
ca la rico struzione de lla Ka' ba, istigandoli contro il Pro­
feta (Ibn IsJ:iaq, The Life of Muhammad, a cura di A.W.
Guillaume, Karachi, 1 9 7 4) .
1 66
1 03 . n nome Nowfal, derivato dalla radice n-f-l, il cui si­
gnificato base è quello di « fare o dare più del dovuto » ,
implica dunque essenzialmente un'idea d i generosità, di
munificenza.

1 04. Nowfal riusci, parlando di Leyla e riaccendendo in


lui la speranza, a far risorgere Maj nùn dallo sta to rovi­
noso in cui si era ridotto.
1 05. Malgrado le preghiere e le elemosine elargite per
lui, non è stato p os s i bile lavare le colpe di Maj nun, non
è stato possibile reintegrarlo nella società: nemmeno l'of­
ferta di una dote straordinaria è stata capace di farlo
accettare.
1 0 6 . Ancora una volta l'abbigliamento torna a essere il
primo segno del la reintegrazione in società.
1 07 . Dietro l ' accostamento « demone reietto » e « cometa »
deve leggersi il riferimento a q ue i passi coranici (come
x v , 18; xxxvn , 6 sgg.; LXVII, 5, ecc.) in cui si accenna alla

credenza che i demoni si avvicinino al cielo per asco! tare


i discorsi degli angeli, ma ne vengano ricacciati da un
lancio di stelle.
1 08 . Come s i è già accennato (cfr., supra, nota 73), la ca­
pigliatura vi e ne per lo più considerata in tre varianti di
capelli ricciuti : turca, deylamita, etiopica. Quella turca è
contraddistinta da un tipo di fitta ondulazione che forma
come dei nodi, la deylami ta è a boccoli, mentre quella
etiopica è comparabile agli anelli di una co tta di m a gli a ,

incatenati gli uni agli altri (Cheref-Eddìn Ràmi, op. cit . ,


pp. 9- 10) . In questo verso tuttavia i capelli dei Deylamiti
sono invece menzionati soltanto per la loro sottigliezza.
1 09. L'ambra è usata come metafora sia di profumo che
di colore scuro, addiri ttura nero. L'immagine è perciò tra­
ducibile « quando il cielo notturno, simile a nera chioma,
gettò la sua ombra sulla fronte del giorno " .
l l O. Nowfal si è infatti offerto di difendere i diritti del­
l'amore di Majniin.
1 1 1 . AbCt Qobeys è il nome di u n colle sacro che domina
la valle della Mecca. Secondo le tradizioni islamiche si
tratterebbe della prima montagna creata da Dio.

1 67
1 1 2. Era credenza diffusa che le l acrime del cervo con­
tenessero una sostanza che fungeva da a ntidoto contro il
veleno dei serpenti.

l 1 3. Ulteriore metafora usata da Ne�ami per designare se


stes s o poeta o l a tradizione di cui è parte.

1 1 4 . È il modo più vincolante di formulare una richie­


sta, nel l a concezione beduina, poiché ogni desiderio del­
l ' ospite è s a cro. L'Arabo del deserto non si ritiene infatti
obbliga to al rispetto deH ' « altro '" se non per il fatto che
costui appartiene al suo clan o a un altro gruppo con cui
si hanno legami di parentela o a essa assimilati. Lo sco­
nosciuto, l o straniero non avrebbe altrimenti di per sé di­
ritto a essere ri s pe ttato . Particolare significato nell'ambi­
to del di ritto consuetudinario beduino ha perciò q uell'in­
sieme di re go l e che concernono i doveri dell'ospitalità.
L'ospite non è altri infatti che l ' « esterno » , lo sconosciu­
to, momentaneamente sottra tto a ll a sua potenziale perico­
l osi tà, integrandolo nel gruppo che lo accoglie. Un r icc o
insieme di norme non s critte provvede a determinare le
modal i t à di tale integrazione, i suoi confini, i suoi tempi
(dr. J . C helh o d, Le droit dans la société bédouine, Pari s,
1 97 1 ) .

1 1 5 . S i veda, supra, n o t a 82.


1 1 6. S e n el mondo del l a natura vegetale il termine di pa­
ragone più usuale per l ' occhio languido della persona
amata è i l narciso, nell'ambito del mondo animale il para­
gone preferi to è con l 'occhio della gazzella, grande e bor­
dato di nero come l ' occhio femminile truccato con il kohl.

1 1 7 . È il primo degl i « invii ,. per il tramite di animali


selva tici del deserto.

1 1 8. Le carovane usavano, al calar della notte, esporre


una lampada. Qui la metafora è usata per designare la
l u n a, lampada della n otte, p arago nata quest'ultima a una
carovana i n c a mm i no , a causa del movimento delle sfere
celes ti ; men tre, immediatamente dopo, l'oscurità della
not te e lo splendore del la luna vengono rivisti attraverso
un'immagine di ascendenza biblico-coranica : il pozzo dal­
le cui oscure profondità emerge la sublime bellezza del
v ol to di Giuseppe (la luna) (dr., supra, nota 44) .

1 68
1 1 9. Metafora dell'aurora: una volta di più il mutare
d'aspetto del cosmo nelle varie fasi del suo ciclo diurno
è rappresentato attraverso immagini legate all'abbiglia­
mento : la volta celeste è immaginata nell'atto di ravvi­
vare la veste di lutto - che nella cultura islamica non è
i l nero bensì l'azzurro profondo - con l'oro dei raggi so­
l ari, che, nel momento del sorgere, arrossano l'orizzonte.
1 20. Nella tradizione esegetica islamica si è attestata l'in­
terpretazione che considera a l-kawthar (termine che ricor­
re una sola volta nel Corano, cvm, l ) come nome proprio
di un fiume del Paradiso o, più in particolare, della fonte
del Profeta a cui i credenti si disseteranno all'entrata del
Paradiso.
1 2 1 . Tutto il preludio all ' « invio » gioca intorno al tema
del nero delle piume corvine attraverso l'incalzare delle
domande di Majnun, le quali propongono sette possibili
eziologie di come quelle piume abbiamo potuto « diventa­
re » nere.
1 22. Gli al tri colpevoli cui si riferisce Maj nun sono evi­
dentemente Nowfal e i suoi, che hanno quasi sterminato
la tribù di Leyla.
1 23 . L'inversione di valori, qui applicata a Leyla, sembra
essere il « segno » di una realtà esoterica, del superamento
della « lettera » della legge.
1 24. L'immagine del pescatore di perle riunisce in sé
l'idea di profondità e di ri cerca di tesori nascosti, mentre
la perla è per eccellenza metafora di parola, soprattutto
parola poetica (si veda, supra, nota 23).
1 25 . Nel codice delle equivalenze su cui si fondano le
metafore relative alla figura umana, il narciso che abbe­
vera il rosso arghavan non è altro che l'occhio, che, ver­
sando lacrime, bagna le guance, il cui colore vermiglio è
qui paragonato a quello dei fiori delI' a rghavan , il cosid­
detto albero di Giuda. Ma tale è il profluvio di lacrime,
che addirittura l'intera figura (canna) di Leyla è come ve­
nisse immersa nell'acqua di fonte.
1 26. Fra i miracoli di Gesù il Corano ne ricorda in par­
ticolare due che appartengono alla tradizione dei Vangeli
apocrifi. Si tratta di Gesù che ancora neonato parla agli
uomini (Corano, xix, 3 0), mentre nella Sura III, 49 è detto :
1 69
" E D io lo invierà come Suo Messaggero ai figli di Israe­
le, ai quali egli dirà " I o vi porto u n Segno del vostro Si­
gnore . Ecco che io vi creerò con dell ' argilla una figura
d ' uccello e poi vi soffierò sopra e diventerà un u ccello vi­
vo, col perme sso di Dio " ». Quest'ultimo è rimasto le­
ga to in modo emblematico alla figura di Gesù nella tra­
dizione islamica, e l ' " alito vivifican te " è il suo attributo
per eccellenza.
127. Rum, Roma, è la denominazione usata nel l a cultura
i sl amica classica per designare l'impero bizantino. Geo­
grafi camente indi ca p erci ò l ' Anatolia e può anche desi­
gnare più specificamente l a città di Bisanzio.
1 28. La luna e il drago designano qui me taforicamente
Leyla e Ebn Salam. La metafora è fondata su un signifi­
cato tecnico astronomico. In persiano sono infatti chia­
m a ti « draghi ,, i due nodi dell'orbita lunare, cio è i pun­
ti i n cui essa incrocia l ' ecli ttica. La luna può essere ecli s­
sata solo trovandosi in uno di questi due nodi : il n0-
me « dragh i " , con cui è divenuto tradizionale denomi­
narli, è l ega to ail' a ffabulazione el aborata sulle e clissi di
luna, duran te le quali si immaginava che essa venisse in­
goi a t a da un drago .
1 29. J amshid (avestico Yima Khshae ta, medio persiano
Yamshe t o Yam) è il nome di uno dei mitici sovrani ira­
n i ci de l l e origini, re ed eroe civil izzatore, connesso anche
con gl i eventi della fine del ciclo cosmico. Né i tes ti anti­
chi , né quelli pahl avici parlano di una coppa di Jamshid.
Quanto a Ferdowsì, l ' a u tore del L i bro de i R e , nel suo
poema a ttribu i s ce una « coppa che mos tra i l mondo » a
un al tro sovrano della mi tica stirpe keyanide, Key Khos­
row. L' attribuzione del l a coppa a Jamshid pare abbia
avuto inizio in torno al XII secolo, ed è probab i lmente
legata a quel processo di identificazione simbolica del so­
vran o iranico con il sovrano biblico Salomone (i cui po­
teri s up erumani sono affermati già nel Corano), che è poi
rimasto u n fatto acquisito nell a cul tura islamica. La cop ­
pa è definita come jahiin-bin, « che vede il mondo '" e
jahiin-nomii, « che mostra il mondo », una coppa spec­
chio, dunque, che trova un suo omologo nel faro-specchio
di Alessa n dro, altra « repli ca » di Salomone nella tradi­
zio ne dell' Islam. Nella lirica persiana la coppa di Jamshid
è i n terpretata come l a rappresentazione simbolica del

1 70
« cuore » ( del) , per gli gnostici essa è il nafs-e dana, « l'ani­
ma sapiente » , purificata e limpidissima, e, in corrispon­
denza con questa interpretazione simbolica, il metallo di
cui essa è fatta è l'oro (evidente riferimento nella meta­
fora usata da Ne;i:ami per descrivere il sorgere del sole
(dr. Bausani, Lettera tura neopersiana, cit., pp. 256-259).
1 30. Gli schiavi russi o slavi erano particolarmente pre­
giati nel mondo islamico per il candore della loro pelle e
la loro chioma bionda. Erano anzi gli schiavi per eccel­
lenza. Qui « lo schiavo di Russia » rappresenta il sole, in
opposizione all'arabo, di pelle scura, che è la notte. La
metafora si fonda sul riferimento al costume nuziale ara­
bo-islamico, secondo cui lo sposo, nel corso della festa di
nozze, viene ammantato di un tappeto prezioso da pre­
ghiera. In questa immagine dunque, il sole ricopre la
notte con lo sfavillante tappeto del mattino.
1 3 1. Si usava gettare dello zucchero sul legno d'aloe per­
ché ardesse meglio.
1 32 . Il moto delle sfere, che governa l'alternarsi del cielo
notturno e diurno, è evocato attraverso l'immagine della
corrente di un fiume imponente, il Tigri, su cui la notte,
come una nave, si allontana velocemente.
1 33. La metafora allude chiaramente al tentativo di Ebn
Salam di congiungersi alla sua sposa e al rifiuto che essa
gli oppone. La palma è immagine, già usata dai poeti
arabi ma meno frequente del cipresso nella poesia persia­
na, per rappresentare la figura dritta e slanciata della
persona amata, mentre al dattero, per colore, dolcezza e
turgore, sono comparate le belle labbra.
1 34. Secondo V. Dastgerdl, curatore dell'edizione di Ley la
e Majniln su cui è stata condotta questa traduzione, « il
nobile cantore di Baghdad » potrebbe qui alludere ad
Abu Bakr al-WalibI, autore della più popolare e più ricca
raccol ta di versi di Maj n un (sui problemi relativi alla fi­
gura di al-Walibl, non meno leggendaria di quella di
Maj m1n, sulla sua identità e la cronologia della sua vita,
si veda A.E. Khairallah, Love, Madness and Poetry , Bei­
rut, 1 980, pp. 57-6 1 ) .
1 35 . Samùm significa in arabo « avvelenato » . È il nome
di u n vento torrido e pestilenziale.
1 71
1 36. II tr a m on to della luna, che rende buia la notte, è
i mmagi n a t o come « causato " dalla notte stessa, che man­
da i n frantumi la l u n a, qui assimilata, per il suo bian­
core l um i no s o, a una coppa argentea.
1 37 . Una catena di iperbol i rappresenta la superiorità
della bella rispe tto alla natura nei suoi aspetti più ful­
gidi : la l u n a , il fuoco, i l giard i no. E ciò le conferisce un
potere di soggiogare gli uomini . ben superiore anche a
quello di un re : l ' u ltima metafora, legata al gioco degli
scacchi, si fonda s ull' omografia dei termini rok h « guan­
c i a » e rokhkh « torre » (nel gioco degli scacchi : da cui
il nostro ter mi n e « arrocco " , indicante la mossa consi­
s te n t e nello spostamento s i mu l taneo del re e della torre).
1 3 8 . L'anno m usulmano comporta due feste canoniche :
'id a l-adha, la " festa del sacrificio » (dell'agnello), cele­
brata il IO del mese di dhu 'l-J:i ijja durante i riti del pel­
l e gri n a ggio alla Me cca e 'id al-fitr, « festa della ro ttura del
digiu n o » : quest'ul tima, seb b ene sia d etta « la piccola fe­
sta » , essendo quella con cui si conclude il mese del di­
giuno, è sempre stata la più popolare, ed è quasi certa­
mente quella cui s i riferisce questo passo. Quanto alla
falce della !una nuova, essendo il calendario musulmano
l u n are, è dalla sua d ir e t ta visione che viene calcolato l'ini­
z i o di o g n i mese; nel caso del mese di ramacj,iin, il tenni­
ne del digiuno viene app u n to a coincidere con la visione
testimoniale della luna nuova (prescindendo cioè dai cal­
coli astronomici), dan do inizio alla 'id al-fitr. Fra le im­
magini d i q u es t o l i nguaggio metaforico, il crescente di
l un a è una di que l l e più frequentemente usate per rap­
presentare le sopraccigli a. Come scrive Rami « sul cielo
della bellezza esse sono, come l a luna nuova nel firma­
mento, l'oggetto di de sid erio degli amanti, e non appena
esse app aio n o, tutti ma n i fe sta n o la loro gioia e se le mo­
strano gli uni con gl i altri " (Cheref-Eddin Rami, op. cit.,
p. 22).
I 39. " Il sultano del tuo vol t o » , traduzione « letterale »
della c o n s u e t a forma persiana, duttile e concisa, dell'e.iiifè
( « annessione "), es prim e anche qui un nesso comparativo
(cfr . , supra, nota 3), che potrebbe sciogliersi così : « Il
tuo volto, adorno della chioma corvina, è simile al sulta­
no all ' o mbra del n ero baldacchino regale » . Cina e Abis­
sinia, all'interno di questa metafora centrata sulla rega-
1 72
l i tà del volto dell'amata, simboleggiano, rispettivamente,
il bianco della carnagione e il nero della chioma, delle
sopracciglia e del neo.
l 40. La figura del deh qan, rappresentante della piccola
nobiltà terriera dell'Iran sasanide - che continua a esi­
stere dopo la conquista islamica specialmente con funzio­
ni di amministrazione locale - è divenuta, soprattutto a
partire da Ferdowsi (che era appunto un deh qan), emble­
maticamente legata alla poesia epica, alla memoria delle
antiche tradizioni iraniche.
1 4 1 . Ancora un'allusione all'immutabilità del destino : ciò
che sta scritto non può cancellarsi, come chi è nero di
pelle non può, per quanto si deterga con l 'acqua, trasfor­
marsi in bianco.
1 42. Cfr., supra, nota 62.
1 43. 'Ayyar è termine che ricopre una complessa e non di
rado contraddittoria realtà: si tratta di gruppi di uomini
che, ai margini della società urbana - fra Iraq, Persia e
Transoxiana dei secoli IX-XII - vivevano organizzati in
bande o confraternite, generalmente in rapporto d'anta­
gonismo con il potere costituito, ispirandosi, con differenti
accentuazioni, agli ideali della futuwwa ( « cavalleria ). »

Qui 'ayyar evoca certo in primo luogo l'immagine della


morte come brigante notturno, nemico in agguato, ma
forse anche, per l 'ambivalenza del termine, cavalleresco
compagno di strada.
1 44. Si ricordi la descrizione di Maj niin neonato : « Ogni
goccia di latte era come se imprimesse in lui una lettera
della parola " fedeltà ", ogni frammento di cibo in lui si
trasformava in tenerezza, ogni segno color indaco tracciato
sulle sue guance contro il malocchio, era già come un in­
cantesimo d'amore impresso sul suo cuore » . (Cfr., supra,
p . 26).

1 45. Il destino ha terminato il suo ciclo, come la macina


di un mulino che cessa di produrre farina quando l'acqua
si arresta.
1 46. « L'erba verde della tua proprietà » è qui metafora
di prole. L'immagine ci sembra carica di risonanze cora­
niche, soprattutto in direzione della parabola del proprie-
1 73
tario dei due giardi n i della « Sura della caverna » (Cora­
n o, xvm, 32-44), su cui si abbatte il flagello di Dio, o an­
che del versetto che immed i a tament e segue: « E proponi
loro l ' esempio dell a vi ta terrena, che è come acqua che
abbiam fa tto scendere dal cielo e imbeve I'erbe della ter­
ra, e al mattino dopo ques te son già stoppia dispersa dai
venti, e Dio è sopra tutte le cose possente » .

1 47 . Il testo s i riferisce alla pratica di annodare al brac­


cio del malato un laccio con una formula di scongiuro
· contro la malattia. Metafora della gravità dello stato di
Majnun (l'amul e to era ormai inservibile), o, secondo un'al-
tra interpretazione, della sua stessa figura, ormai sottile
come un laccio e logor a ta dalle avversità (i nodi) . Cfr.
Ne?iimi, Leyfi o Majniln, a cura di V. Dastgerdi, Teheran,
1 93 3 - 1 954, p. 1 58.

148. Nel rituale funerario musulmano, il corpo del de­


funto viene puri ficato con un'abluzione integrale prima
di essere avvol to i n u n sudario e affidato direttamente alla
t erra deU a tomba (qui " la lettiga per l'estremo viaggio » ) .

1 49. L'immagine, di o r igi ne gnosti ca, dell'anima umana


come d i u n uccello i mp i gl i ato nelle reti del corpo e del
mondo, e che da queste cerca di liberarsi per tornare al
suo n i do d'origine, su l l Al be r o Celeste, primevo, è un al­
'

tro topos del l a lirica persiana cl assica. È il tema centrale


del l ' « Epistola del l ' Ucc el l o » di Avicenna (la si può leg­
gere in traduzione italiana in A. Bausani, Persia Religio­
sa, Milano, 1 959, pp. 220-224), come anche del poema di
Farid od-Din 'AHar, « Il linguaggio degli uccelli » .
1 50. Cibarsi d i terra (come fa i l serpente nel periodo di
letargo) significa qui essere attacca to ai beni del mondo.
1 5 l . Il nome di keyanidi è dato a una dinastia di sovra­
ni iranici delle orig i ni , dinastia in gran parte mitica, che
deve il suo nome al titolo regio di kavi> pahlavi kay, por­
t a to da a l cuni de i suoi membri.
1 52. Il ol ore azzurro cupo dell'indaco è, come si è già
c

de tto, us ato come me tafora di l u t to, in questo caso di la­


crime d i cordoglio.

153. La corrispondenza fra nome proprio e natura del


denominato, e d u nqu e fra nomee destino - cui si è già
1 74
accennato (cfr. le note 38 e 43) - è alla base anche del­
l'ampio uso dell'antifrasi con valore apotropaico nella
cultura arabo-islamica. Circa il criterio di scelta del nome
proprio nella consuetudine beduina, si tramanda ad esem­
pio questa tradizione : « Fu chiesto a un beduino: " Per­
ché usate dare ai vostri figli i nomi peggiori, come Kalb
(cane) e Dhi'b (lupo), e ai vostri schiavi i nomi più belli,
come Marziiq (Fortunato) e RabaJ:i (Prospero)? " . Rispo­
se : " I nomi dei nostri figli sono destinati ai nostri nemi­
ci, quelli dei nostri schiavi a noi " » . « Intendeva dire »
commenta Diyarbakri, l'autore che ci ha tramandato que­
sta tradizione « che i figli sono come uno scudo contro i
nemici, come delle frecce nel loro petto : per questo essi
danno loro tali nomi » (Khamzs, II, 1 53). Ma sebbene la
spiegazione di Diyarbakri attribuisca un valore « offensi­
vo » ai nomi dei figli, è anche evidente il valore protet­
tivo attribuito implicitamente ai nomi che sviliscono al­
l 'esterno chi li porta, schermando così il valore della per­
sona denominata e distogliendone eventuali influssi ma­
lefici provenienti dall'esterno. Majm1n, nome che scredi ta
chi lo porta, è dunque schermo adeguato per proteggere
la perla preziosa e intatta che è Leyla.
1 54. Numerosi sono i racconti coranici - di origine mi­
drasica - relativi ai poteri miracolosi di Salomone (si v e ­
da Corano, XXI, 81 sgg. ; XXVII, 16 sgg. ; XXXIV, 10 sgg. ;
xxxvm, 30 sgg.). Il Corano parla in modo particolare di
come Dio abbia sottomesso al potere di Salomone i venti,
i demoni e gli uccelli, di cui comprende il linguaggio.
Qui il potere di Salomone, cui venti, jinn e uccelli si sot­
tomettono come schiavi in catene, diviene piuttosto il po­
tere pacificante e domesticatore di Orfeo.
1 55 . A conclusione di questa rappresentazione di Maj niin
come domesticatore della natura il motto vale come pa­
radosso · estremo a esemplificare i poteri della dolcezza
d'animo.
1 56. Il verbo arabo a<f,afa, « dare ospitalità » , significa an­
che « annettere, aggiungere, legare » . Secondo il 'orf, di­
ritto consuetudinario beduino, il viaggiatore che divide
il pasto di un altro, fossero anche pochi datteri o un po'
di pane secco, si pone automaticamente sotto la sua pro­
tezione. Il visitatore accolto in una dimora non dovrebbe
1 75
mai rifiutare di prendere parte al pasto, poiché chi lo ri­
ceve sarebbe autorizzato a pensare di avere a che fare con
un nemico (dr. Chelhod, Le droit dans la société bé­
douine, ci t . , pp. 2 1 5-2 1 6). Eloquente in questo senso il pas­
so corani co che racconta degli angeli venuti ad annun­
ciare ad Abramo la prossima nascita di Isacco e Giacobbe:
« E portarono i nostri angeli la buona novella ad Abra­

mo : " Pace l " gli dissero. Rispose : " Pace ! " , e subito por­

tò l oro un vitello arrostito. Ma quando vide che le loro


mani non lo toccavano, si insospettì di loro e ne concepì
timore. Ma gli dissero : " Non aver paura '' » (Corano, x 1 ,
69-70).
1 57. S i veda, supra, nota 1 07.
1 58. I n questa descrizione della vol ta celeste come sala
del trono divino, sembra sintetizzarsi simbolicamente
quella tendenza, che p ercorre l ' intero poema, a trasferire
nel mondo della natura i mmagini di preziosità proprie
dell'abbigl i amento della persona o della decorazione di
edi fici, tutte immagini che sottraggono la natura al " na­
turale " ·

1 59. Fortezza d i Rame (o di Bronzo) vale qui generica­


mente nel senso di fortezza maestosa e inaccessibile, seb­
bene il suo nome abbia dei ben precisi echi nella tradi­
zione epica relativa all'Iran preislamico: Ruin-dez è in­
fatti denominata una fortezza del Turan (la zona dei non­
arii, dei nemici e mblematici dell'Iran), dove il re Arj asp
aveva imprigionato le figlie dell'iranico Goshtasp, di cui
l'eroe Esfandyar sarà il liberatore.

1 6 0. Mohrè, letteralmente « sassetto, pietruzza, pallina »,

è i l nome con cui è denominata una pietra che si trove­


rebb e nella testa del serpente e che avrebbe il potere di
un efficacissimo contravveleno.

1 6 1 . La Venere della tradizione islamica è concepita so­


pra ttutto come « musica ,. celeste.

1 62. Cfr., supra, nota 8.

1 63. Questo sogno di Maj nun, che sembra presentare i


tratti simbolici di una visione sciamanica può rinviare nel­
la tradizione iranica a un insieme di rappresentazioni che
connettono l 'Albero cosmico al profeta Zarathustra (cfr.
Bausani, Lettera t ura neopersiana, ci t., pp . 286 sgg.) .

176
1 64. Gesù è venerato nella tradizione islamica, a partire
dal C orano, sopra t tu tt o come operatore di s traordinari
miracoli : col suo soffio fa di uccelli d ' argilla uccelli vivi
(C orano, III , 49). Ecco perché l 'aria della pri mavera è
« normalmente ,. comparata nella poesia persiana all'alito
di Gesù che sa dare vi t a a i morti. E l ' evocazione degli atti
taumaturgi ci del Messia s tabilisce implicitamen te una se­
rie di rinvi i : dal l ' evocazione dell'attributo di ruh A llah,
« Spirito di Dio ", con cui egli è denominato in un passo
del Corano, alla s tessa creazione dell'uomo : « Ecco Io
creerò un uomo d'argilla secca, presa da fango nero impa­
stato e quando l 'avrò modellato e gli avrò soffia to dentro
del m io Spirito (ruh), prostratevi avanti a lui, adoranti ! »
(Corano, xv, 28-29) .

1 65. « Citazione » coranica che allude al l 'episodio del con­


fronto tra Mosè e i maghi chiam a t i dal Faraone . L'episo­
dio rappresenta nel Corano una parabol a sull' abisso che
separa magia e miracolo, e le p arole di Majm.1n esprimono
appunto il timore di non riconoscere il male che p otreb­
be celarsi sotto le nobili sembianze dello straniero; il rife­
rimento si applica i n particol are a C orano, xx, 66-69 :
« Rispose (Mosè) : " Gettate voi per primi " ; ed ecco che
le loro corde e i loro bastoni gli parvero , per la loro ma­
gia, divincolarsi a cors a. E co ncep ì paura nel cuore, Mosè.
Ma Noi gl i dicemmo: " Non temere, T u sarai il vincitore !
Getta il bastone che hai nella destra ed esso ingoierà ciò
che essi hanno prodotto, poiché ciò che essi hanno pro­
dotto è incantesimo di mago " "·

1 66. Sol t a n t o l a forma grafica delle tre lettere del l ' a l fabe­
to arabo (acquisito, com ' è noto, dalla l i ngua neopersia­
na), jzm ( � ). alef ( I ) e mzm ( r ), può chiarire questa meta­
fora nezamiana, che t rapassa, nel secondo emisti chio, dal­
la grafia al signi ficato del nome formato dalle tre lettere :
jiim appun to, che s i gnifica « copp a », ma che si riferisce
in questo contesto alla mitica coppa del sovrano keyanide
Jamshid (su cui si veda la nota 1 29) . Le tre lettere insom­
ma evocano, i n u na sintesi s uprema, l a persona dell'ama­
ta : l a l oro forma grafica rinvia alla sua immagine es te­
riore, men tre il significato del loro comporsi nel nome
jiim ne dà per così dire l 'interpre tazione interiore: la cop­
pa che rispecchi a il mondo è i n fa t ti « l 'i n tima anima illu­
minante dell'Amico » (seco ndo la definizione di H a.fez) ,

1 77
il « cuore " (dd ) . Si veda su q u e sto Bausani, Letteratura
neopersiana, ci t . , p. 258.
1 67 . Le sopracciglia che si toccano sono considerate le
più belle. Il trattatello di Rami cita in proposito il se­
guente verso:
Nessu no a l mondo è i ni nterro t t amen t e piacevole,
solo l e sopracciglia del mio amato ininterrottamente lo
[sono
(Cheref-Eddin Rami, op . cit., p. 22).
1 68. La st at ur a dell'essere amato è comparata ad alberi
di varie specie, sia in arab o che in persiano. La poesia per­
siana predilige i n particolare due termini di paragone: il
cipresso e ! a canna, ney . Ma ney è in persiano « canna »
e " flauto " , e su ques ta duplici tà di significato si fonda
la m e t afora della canna come rappresentazione dello gno­
s t i co , che come la canna si è svuo tato di sé e della propria
na tura transeunte, per accogliere in sé soltanto Dio, l 'Ama­
to. Ney, nel senso di « flauto » , è p erò anche la voce del
dolore del!'Uom.o Perfetto, che ha desiderio della Patria
originari a :
Ascol t a l a canna come racconta,
e come si lagna della se p ara zione [ ... ]
" Da quando fui separata dal canneto,
al mio suono hanno pianto uomini e donne " .
Ques ti i cel eberrimi versi d'esordio del Ma thnavi spiritua­
le di Mow! ana Jala!od-Dln Rumi, sui cui Jami ha scri t to
un breve p oemetto di commento (dr. B. Scarcia Amoretti,
Il commento di Cii.mi ai primi d ue versi del Matnavi,
e Annal i d ell ' I s tituto U ni v ers i t ar io Orientale di Napoli » ,

N.S., voL XV, 1965, pp. 3 1 9-329).


1 69. Clas sico tema di ri flessione sapienziale. Si possono al
rigu ardo confron ta re le p arole del Libro dei consigli (trad.
it. ci t . , p . 4 2) : " la d i s peraz i o n e è legata alla speranza e
la speranza alla disperazione: ogni atto si risolve nel suo
esser transeunte » . U gua lme n te Sa'di (dr. R . Bargigli, Il
roseto di S a ' d i , Roma, 1979, p . 202) invita a riflettere su
come te soro e s erp en t e , rosa e spina, gioie e dolore, siano
sempre insieme congiunti .

1 7 0 . C o m paio n o q u i i termini chi ave con cui si denomi­


nano gl i elementi essenziali per l'esercizio della scri t tura,
178
arte somma della cultura arabo-islamica : kaghed, la car­
ta, introdotta nel mondo islamico verso la metà dell'VIII
secolo da alcuni prigionieri di guerra cinesi, e che già nel
IX secolo sostituisce ormai a Baghdad sia il papiro che la
pergamena; qalam (gr. kalamos, canna), il calamo, stru­
mento principe della scrittura, sacralizzato nell'Islam dal ­
le parole dei primi versetti rivelati del Corano : « Grida,
in nome del tuo Signore, che ha creato, ha creato l'uomo
da un grumo di sangue! Gridai Che il tuo Signore è Ge­
nerosissimo, Colui che ha insegnato l ' uso del calamo, ha
insegnato all'uomo ciò che non sapeva » (Corano, xcvi,
l -5) ; qawat, il calamaio, definito da un autore musulma­
no come « la madre di tutti gli strumenti per scrivere » ,
poiché « uno scriba senza inchiostro è come un uomo che
va a combattere senz'armi » . Possiamo immaginare che il
vecchio porgesse a Maj nun uno di quegli astucci, usati fin
dai tempi più antichi, che contenevano insieme, i n scom­
partimenti separati, sia il q a lam con i relativi accessori,
che l'inchiostro.
1 7 1 . Avere lorecchio forato da un orecchino è simbolo di
schiavitù. La domanda significa quindi : « A chi appar­
tieni? » .
1 72. La quasi costante associazione tesoro-serpente ( dra­
go) che lo custodisce, è alla base di questo lamento, da
parte di Maj nun, che privato di Leyla, il suo più prezioso
tesoro, non può che assaporare il morso del serpente che
la custodisce, con tutto il suo veleno.
1 7 3 . Cfr., supra, nota 1 28. « Luna » e « Drago » sono an­
che qui metafore per Leyla e Ebn Salam.
1 74. Cfr., supra, nota 37.
1 75. Allusione alla resistenza opposta da Leyla al suo spo­
so e allo stato verginale da lei conservato anche dopo le
nozze.
1 76. Si tratta del nomè di un personaggio coranico (che
compare soltanto nella « Sura Ta-Ha » ) legato alla storia
del vitello d'oro. Di fronte all'ira di Mosè, che ritornato
dal suo popolo, lo trova in adorazione del vitello d'oro, gli
viene infatti risposto : « Non · mancammo noi di nostro
proposito alla promessa che già ti facemmo, ma ci fecero
portare pesanti monili del popolo che poi gettammo nel
1 79
fuoco, e vi gettò anche as-Samiri q u a lc o sa . Ed egli ne fece
per loro un vitello " (C orano, xx, 88).
Il nome as-Samiri:, «
i l Sama ri tano ,, , è stat o inteso dai
vari com m ent atori islamici come quello di un antenato
dei S a m ari tani (secondo Gol dz i he r si tratterebbe dell'epo­
nimo d ei S a mar i t a n i , della cui i n t oc c a bi l ità rituale per
gl i Ebrei ve rr e b b e così offerta " una causa personificata e
con cretata in u na de fini t a colpa nel p a ss a to » (cfr. Il Cora­
n o, a cura di A . B a u sa n i , p. 593). As-S amiri, l'istigatore al

peccato del vi te l l o d'oro, è ri m as to nella tradizione isla­


m i ca il p r o t oti p o del mago « satanico » , col u i che nella
s u a azione perturbatrice s i manifesta, per usare la defini­

zione t ert ull i a n e a del D i avol o , come interpola tor naturae.


177. Cfr., supra, nota 62.

1 78. Il gi o co di p arole si fonda s u l l ' i dentità di radice del


nome propri o S al i m , « i nte gr o, intatto, salvo '" e del ter­
mi ne sa liim, " i nt e gr i t à, sa lvezza, p ace ", centrale nella
formula di sal u t o arabo-musul mana : as-saliim 'alaykum,
" la p a c e sia con voi ! ».

1 79. " Il destriero dei q u a t t ro elementi » è metafora del


mondo t erre n o .
1 80. A n c o r a u n ' i mmagine moto delle sfere celesti e
de l
de l l 'al ternarsi d el
giorno alla notte. Ricorrente, in Ne­
'.?ami, l a metafora del cavaliere com e rappresentazione del

firmamen to, quanto inedita q ue l l a del rossore dell'aurora


para go n a t o al vi no che s i sp arge dalla gi ara poggiata dal
so l e sull ' orizzonte .

1 8 1 . L a qafida (qa�idè s e c o n do la pronuncia moderna del


ne o p e r si a n o ) è co m p onimento monorime, di lunghezza va­
r i abile, s trumento p ri n ci p e della poesia arab a classica, poi
i n tro do t t a i n P er s i a, dove è stata usata soprattutto come
s tr umento di poesi a p a n egiristica, fil osofica e moraleggian­
te, a di ffere nz a del gh aza l (su cui si veda la nota 89), che
ha per soggetto il vino, l ' a more - terreno ·e m i stico - e la
pri m aver a . La q a � l da araba cl a s s i c a - cui ci si riferisce evi­
dent e m e n t e nel p a sso - possiede u n a struttura ri gidamen­
te c o nve nzi on a l e composta essenzialmente di tre parti :
1) nasib, un prologo in cui il poeta p i a n ge la separazione
dall'ama ta, e vocandone l ' amore nel Ricordo ; 2) parte in­
termedia in cui trovano spazio descrizioni del deserto,

1 80
della cavalcatura dell'eroe, nonché frammenti lirici ; 3)
panegirico di una tribù, di un protettore o di un mece­
nate, o satira dei loro nemici.
1 82. Qaf, nella cosmologia islamica, è il nome della mon­
tagna che circonda l a terra, secondo una concezione di
probabile deriva z io ne irani ca . L'idea di una montagna­
limite del mondo (collocata a nord), presente nelle tradi­
zioni indoiraniche, era assai di ffusa presso i popoli del­
l 'Oriente antico. Forse l ' origi ne potrebbe esserne rintrac­
ciata nella cosmologia babilonese.
Nel mondo musulmano classico la terra è tradizional­
mente rap presen t a t a come un disco piatto. I monti Qaf so­
no separati dal disco te r re s t re da una regione che agli uo­
mini non è da to pene trare, l uogo di tenebra che si estende­
rebbe nella misura di quat tro mesi di cammino. Qaf è la
montagna-madre di tutte le montagne della terra, che so­
no collegate a essa attraverso delle ramificazioni sotterra­
nee, ed è fatta di smeraldo.
1 83 . In un enigma tico racconto coranico della « Sura del­
la Caverna » (xvm, 59-8 1), si parla del viaggio di un per­
sonaggio di nome Musa (l a cui identificazione con il pro­
feta biblico Mosè è tuttavia in certa) alla « confluenza dei
due mari » . Nel corso di questo viaggio avviene l ' incon­
tro con un « servitore di D io ,, , che la maggioranza dei
commentatori denomi na appunto al-Khaçlir (o al-Khiçlr;
Kheir, secondo la pronunci a neopersiana), il quale sotto­
pone Musa a una serie di prove; il racconto coranico è
denso di riferimenti in direzione dell'epopea di Gilgamesh,
del « Romanzo di Alessandro » (in p articolare della sua ri­
cerca dell'acqua di vita) e della l e gge nda ebraica di Elia.
Fra le spiegazion i del nome ( « i l Verde ») offerte dalle fon­
ti orientali, ve n'è una secondo cui egli avrebbe acquisito
il colore verde immergendosi nella fonte dell'acqua' di
Vi ta. Kheir è considerato patrono dei naviganti, e in tutta
la tradizione popolare islamica la sua figura è connessa
con l 'acqua e con il movimento, e l a sua rappresentazione
è in genere quella di u n vecchio.
1 84. Si è già de tto di come la statura della persona amata
sia comparata so p rat tu t to, per la forma elegante e slan­
ciata, al cipresso e alla can n a : in questo caso si inserisce
implicitamente ne l l i mm agi n e la « contiguità » canna-
'

181
flau to, con la s u a componente musicale di tristezza e di
l amento (dr., supra, nota 1 68). Dai narcisi, sinonimo di
e occhi " , piovono lacrime, comparate per « forma » a del­

le perle, ma che per il cocente dolore che le fa scaturire


sono lacrime di sangue - e dunque, per colore, di agata
rossa - che vanno a bagnare il candore di gelsomino del
seno di lei.

1 8 5. È espressa, in q ueste poche righe, la teoria del cosid­


detto " amore " 'odhri ta " '" l ' amore cortese di tradizione
arabo-beduina, che prende il nome dai Banii ' Odhra, una
tribù di origine sud-arabica s t a bil i t a s i nel I:Iej az. Si tratta
di una tribù non particolarmente rilevante, né prima né
dopo l 'Islam, m a i l cui nome è passato alla storia grazie
a l suo eroe, il poeta J amil, che mori consumato dalla sua
infelice passione per Buthayna. Gli amanti ' o dhri ti infa t ti
« muoiono d ' amore ,. pur di mantenersi fedeli a un'asso­
luta p urezza e castità.

1 8 6 . Il motivo usignolo-ros a è fra i più ricorrenti e più


antichi della lirica persiana, in cui è presente fin dal X se­
colo. La rosa è l a bel l ezza suprema e inaccessibile del giar­
dino ; sdegnosa essa guarda l'usignolo e spesso lo deride,
ma appena fiori ta m u ore. Il canto dell'usignolo, l' uc­
cello de l l ' a l ba , è perciò canto di dolore per l'inattingibile
u nione e insieme per i l rapido abbandono della rosa.
Sull'identi fi cazione fra Dio e l 'inaccessibile Rosa, si veda
ad esemp i o la celebre pre fazi one del « Roseto " di Sa'dI,
dove iI �ufz che ha compiuto i l viaggio nel Trascendente
così si e sprim e : e Avevo i n animo, allorché fossi giunto
all'Albero dell a Rosa, di ri e m p i rm e ne il grembo per por­
tarne in dono agl i amici. Ma quando vi giunsi, il profumo
della Rosa a tal punto mi i nebriò, che il lembo, già pieno,
del l a veste mi sfuggì dal le mani > (Bausani, Lettera tura
neopersiana, ci t., pp. 248-249) . Cfr. anche A. Schimmel,
Rose und Nach tigall, « N umen '" V, 2.
1 8 7 . S i è già de tto dell 'arco come metafora delle soprac­
ciglia (cfr. le note 1 38 e 1 6 7 ) . Qui la metafora dà luogo a
un'azione in cui l'amante, liberata dai riccioli la fronte
dell 'amata, esalta la mirabile l i nea arcuata delle sue so­
pracciglia, qu asi u n arciere che tenda a l massimo il suo
arco.

1 88. Cfr., supra, nota 42 .

182
1 89. Sul motivo del vino, essenziale i n tutta la lirica per­
siana classica, rimandiamo a Bausani, Letteratura neo­
persiana, cit., pp. 263-277.
1 90. Gioco di parole fondato sull'identità del nome pro­
prio Salam con il termine centrale della formula di sa­
luto arabo-musulmana as-sa lam 'alaykum, « la pace sia
con voi " ·
1 9 1 . Si può confrontare questo racconto con quello, bre­
vissimo, del poema « Il linguaggio degli uccelli » di 'A�­
�ar, in cui Kheir (si veda la nota 1 83) chiede a un Folle
di Dio (o non è proprio rivolto a Maj nun?) se vuole essere
suo amico, e il Folle risponde: « Non sarebbe possibile.
Tu hai bevuto l'acqua dell'immortalità, io voglio rinun­
ciare alla vita. Tu sei occupato a preservare la tua, io sa­
crifico perennemente la mia » (La conférence des oiseaux,
cit., p. 50).
1 92. Il giovane Salam chiede a Maj nun di accettare di
essere il polo verso cui egli si orienta, la direzione ( q i b la)
verso cui far convergere la sua devozione, di essere insom­
ma per qualche tempo il suo maestro spirituale, visto che
le parole di Majnun gli hanno mostrato quanto ancora
egli abbia da imparare, quanto ancora lontano si trovi
dalla via del vero fedele d'amore.
1 93 . Ancora un'affermazione del nucleo tematico centrale
della storia di Leyla e Maj nun, quello del progressivo
svuotarsi di sé dell'amante per accogliere in sé l'Amata,
il suo farsi non più che scorza, schermo, di un midollo
prezioso e celato.
1 94. Evidente riferimento alle gocce di cera in cui si scio­
glie una candela che arde, mentre il bagliore della sua
fiamma è come la luce di un sorriso.
1 95. È un invito a rompere lo schermo di valori appa­
renti del mondo terreno, per liberare lo spirito. La parola
arabo-persiana gowhar significa, ol tre che « perla, gem­
ma » , anche « sostanza, essenza ,, .

1 96. Il testo dice letteralmente : « Questi sette pioppi non


hanno che quattro radici ( ' " intendendo con « sette piop­
pi » i sette climi ovvero le sette fasce climatiche, paralle­
le fra loro (arabo-persiano eq lim, trascrizione del greco
1 83
klima) in cui è divisa la terra secondo la geografia isla­
mi ca di tradizione ellenistico-tolemaica. Il « pioppo » è
probabilmente stato prescelto qui come metafora di « cli­
ma » per la sua caratteristica forma allungata. Secondo
l a tradizione a n ti co- i ran i ca la terra abitata è invece sud­
divisa in sette co n ti ne n t i (keshvar), disposti concentrica­
mente, di cui l'Iran costituisce quello centrale. Sia nel
caso della tradizione tolemaica che di quella iranica, i set­
te « co n ti nen t i " non si identificano in alcun modo con
i nostri e i nol tre la loro estensione, numerazione rispet­
tiva e u bicazione variano a secon da degli autori. La meta­
fora usata da Ne?:ami significa complessivamente che que­
sto mondo ( i sette pioppi o continenti) è limitato, è fatto
pur sempre di quattro elementi, non di migliaia come le
stelle del firmamento che sono simili ai mille chiodi di
uno scudo. Il ciel o s te ll a t o è i n questo contesto metafora
del regno dello spirito in contrapposizione a quello della
materia.
197. Ancora una vol ta, di un fenomeno naturale ricor­
ren te, come l'ingiallire delle foglie nella stagione autun­
nale, viene data una sorta di e zi ologia che lo strappa alla
r ip e t i ti vi tà di ciò che avvi e ne per « legge di natura » , o,

come il Corano si esprime, pe r un ' « abitudine » consen­


tita da Dio. I l dorarsi delle fogl ie degli alberi diventa qui
un segno del loro ric ercare oro; una ricerca delusa, poi­
ché dorandosi e s se non fanno altro che seccarsi e cadere
a terra.

198. È il progressivo ab band ono del giardino da parte


della vegetazione floreale: il narciso sta per sfiorire (fa i
pre parativi per il viaggio), il bosso, arbusto sempreverde
di forma slanciata, assume un aspetto più dimesso (perde
il suo splendore regale e pr ec ipi t a giù dal trono), il gelso­
mino si s ecca e in gi a llis ce, alla rosa non restano che le
spin e (dolore) .
1 99. Il « ridente » pistacchio allude al pistacchio matu­
ro, che ha una fe ndit ur a nel guscio, mentre al contrario,
il giuggiolo con le labbra serr at e ( che si morde le labbra)
è i n diz i o di a cerb i t à . Un'ulteriore immagine dell'alter­
narsi stagional e dei frutti della natura.
200. Sull'uccello-anima, cfr., supra, nota 1 49.

1 84
201 . Per « collirio » si intende la polvere di antimonio di
cui è composto il kohl, cosmetico e farmaco che, passato
con un bastoncino di legno d'arancio sul contorno delle
palpebre, serve a delineare gli occhi di nero e insieme a
dare lucentezza alla cornea.
L'indaco, materia colorante azzurro cupo ottenuta per
macerazione dalle foglie di alcune indigofore, e usato an­
ch'esso, insieme a kohl, hennè, profumo di muschio, ecc.,
per adornare il corpo femminile, è qui associato all'indi­
genza e quindi al dolore, per essere l'azzurro considerato
colore di lutto.
202. È l'epilogo dell a storia di Leyla e Majnun, e come
si conviene a un epilogo la metafora attraverso cui si rin­
via a una « tradizione » che precede il poema di N e?:amì
evoca l'immagine della firma imperiale, la Tughrii: un'im­
magine che assolve al molteplice fine di rappresentare
concettualmente una conclusione, un'autorità e un'arte
della scrittura massimamente elaborata.
203. Il recinto e l'acqua possono dirsi gli unici due ele­
menti originariamente necessari al tempio islamico : spa­
zio delimitato, separante, ma non necessariamente coper­
to, non necessariamente configurato come edificio, e prossi­
mità a un punto d'acqua per la purificazione·. Anche se for­
se l'unico carattere veramente irrinunciabile dell'origina­
rio santuario (masjid) islamico era quello di costituire uno
s p azio sufficientemente ampio per raccogliere al suo inter­
no la comunità dei credenti. (Si veda su questo O. Grabar,
The A rchitecture of the Middle Eastern City from Past to
Present: The case of the Masq ue, in Middle Eastern Cities,
a cura di I. Lapidus, Berkeley-Los Angeles, 1 979, pp.
26-46) .
204. L'immagine degli animali selvatici che continuano a
vigilare invano il corpo di Majnun, inconsapevoli che il
loro signore è ormai spirato, non può non evocare l'im­
magine coranica della morte di re Salomone, il soggioga­
tore degli uccelli e dei jinn: « E quando decretammo a lui
la morte, l 'unica cosa che ai jinn rivelò il suo trapasso fu
un animale della terra che rosicchiava il suo bastone. E
quando, privo di appoggio, cadde a terra, fu chiaro ai jinn
che se avessero conosciuto l'arcano non avrebbero conti­
nuato in quell'umiliante castigo » (Corano, xxxiv, 1 4).

1 85
DESERTO E GIARD I N O
D I GIOVANNA CALASSO
« Strumenti della poesia sono grazia e letizia, da grazia e
letizia il verso trae i suoi pretesti ! Ma da catene e follia
che altro può scaturire se non nude parole che attristano
il cuore? [ . . . ]. Non vi è giardino o banchetto regale, non vi
è suono di liuto, né vino purpureo! Su aridi deserti e im­
pervie montagne, fin quando potranno correre parole
d'infelicità? " · Con queste parole, nelle « Cause della com­
posizione del libro » , Ne;i:ami esprime, nella finzione reto­
rica del dialogo con il figlio, il suo sconforto di poeta
di fronte all'impresa commissionatagli dal sovrano: com­
porre un poema che canti l'amore di Leyla e Maj niin. Lo
comporrà, ma solo per ubbidire al volere del re di Shirvan.
Più che un modo traslato di esprimere la propria in­
soddisfazione nei confronti del terzo dei suoi « Cinque
Poemi » ,1 le parole di Ne;i:amì sembrano piuttosto impli­
care una sfida e un vanto : chi altri sarebbe riuscito a rea­
lizzare una simile opera partendo da presupposti che con­
traddicono le leggi stesse del narrare poetico?

I. Cosi è stato inteso ad esempio da A. Bausani (Letteratura neo­


persiana, in A. Pagliaro-A. Bausani, Storia della le tteratura persiana ,
Milano 1 960, p. 665). S i veda anche J. Rypka, History o f lranian
Literature, Dordrecht, 1 968, p. 2 1 1 .

1 89
Man c a alla storia d i Leyla e
Maj nun della tradizione
araba l ' i n treccio romanzesco e
sfondo di corte (bazm,
lo
i l « b a nch e t to » ), come manca del resto la guerra (razm),
l 'altro polo d e l l e pope a ; anche se di questo l'autòre non
'

sente m ancanz a . Vengono meno a Ne?ami i precedenti,


che nell ' epica iranica d el suo tempo si chiamano in pri­
mo luogo Ferdowsi, Asadi, Fakhroddin Gorgani : né il
Libro dei Re, né le avve n t ure , dense di esotico e di mera­
viglioso, dell ' eroe Ga rshasp, né, sebbene certo più vicina,
l a s toria del l ' i n felice amore d i Vis e Ramin - probabile
fonte dèl romanzo di Tristano e Isotta2 - possono offrire
a N e+ami un modello.
La sua ar te di p o e ta e narra tore è già matura : otto anni
prima ha composto Cosroe e Shirin, uno dei suoi massimi
capolavori. M a non si tratta q ui , ancora una volta, del r o ­
manzo di un amore co n trast a to, bensì della rappresenta­
zione n arra tiva di una Follia d a more : un'idea che, come
'

scrive Va det, « fa bruscamente irruzione negli ambienti


iracheni del III secolo [IX sec.J , che non vi erano prepa­
rati e che, loro ma lgrado, si l asciano andare a scoprirla [ . . . ] .
Sarà n ecessari o u n secolo intero d i trasmissione letteraria,
il deci mo del l a nostra èra , p er imporre quest'idea a un
pubbl i co rilut tante» .3

Il celebre compilatore del Libro dei canti raccoglie le


varie version i che si t r am a nd a no sul Folle di Leyla e ne
fissa cos ì la Ieggenda,4 m e n tre un insieme composito di
fram m en ti poetici circol a so tto iI nome di Maj niin. Da
quelle tradizi o n i , scrup olosamente raccolte e correda te

2. Se ne veda la discussione ne ll' in tro d uzion e di H. Massé all'edi­


zione francese da lui curata (Gorg;ill i , Le roman de Wis e t Rdmin ,
Paris, 1 959) . Sugli anteceden t i del poema di Gorgani cfr. V. Minorsky,
Vis u Riimln, a Parthian Romance, • Bull. of the Royal Society of
Orienta] S t udies » XI , 1 946, p p . 741 sgg. e ibid., XII, 1 947, pp. 20 sgg.
3. J.·C. Va de t , L'espri t cour t o is en Orient, P aris , 1 968, p. 368.
4. Lo s t ud io d i I.J. Kraokovskij (trado t to da H. Ritter), Die Fruh.
gesch ich te der Erziih lung von Macnun u n d Laila in der ara bischen
Literatur, • Oriens » VIII, 1 955, pp. 1-50), attraverso una minuzio­
sissima a nalisi delle fonti arriva a propendere per la storicità di
Maj niin . È uno s t ud io che appare quasi sproporzionato, per il dispie·
game n to di sforzi, in rapporto a l dilemma, non poi cosi rilevante;
ma è di grande interesse i l suo percorso che ci conduce, attraverso
un'analisi capillare d i, tes ti di generi assai diversi - spesso di dispe­
rante ina t tendibil i tà st o ri ca - nel labirinto del • romanzo • arabo
di Majniin.
190
ognuna dalla sua c a t e n a di trasmissione, due problemi ri­
sultano e ss e r stati sentiti come es se nz i a l i : l 'identità del
Folle, il suo nome, la sua parentela, e la sua stessa follia.
Poiché forse i l F o l l e non è i n r e a l t à mai esistito,5 e se è
esistito, f or s e la sua non era vera follia, ma « soltanto un
certo l a n gu or e " , come dicono alcuni; affermazione che
ri corr e , con i dent i t à di par o l e, attribuita a trasmettitori
diversi.6 E poi Majnun non è un n o m e , ma un sopranno­
me,7 e anche la vera follia non d i sp en s a da un nome pro­
prio, da un patronimico in regola, da una genealogia. Il
Libro dei canti ne propone un gran numero,8 testimo­
nianza di quanto il problema fosse carico di significato.
Più tar d i , dopo lunghe incertezze anche fra coloro che non
ne contestavano l ' es iste nza s tori ca, ci si accorderà sul suo
nome : Qeys b. al -Mo l a wwa f.i, del clan dei Ja'da, della
tribù dei B anu 'A.mer. E insieme a un nome, un patroni­
mico, una tribù e un cl an , i g ra m m a t i c i arabi gli costrui­
rono anche un canzoniere, u n diwan, forse attingendo ai
versi di più oscuri poeti beduini .9
Della s to ri a del suo amore per Leyla, due versioni prin­
cipali : una lo situa nell'infanzia e lo vede nascere al tem­
po i n cui i due bambini andava no a pascolare insieme le
greggi, l ' a ltr a al tempo dell ' adolescenza, fra un Qeys gio­
vanetto di straordinaria bellezza e una Leyla al trettanto
bella e che sottopone a prove il suo amore fingendo di
interessarsi ad a l tri , prima di promettergli fedeltà per
la vita.
La rich i e s ta di matrimonio e il consenso negato, il p e l ­
legr in a gg i o alla Ka'ba e l ' i nvocazione di Maj nun a Dio
perché m ol t i pl i c h i il suo a m or e per Leyla, la vita errante
nel deserto i n compagnia degli a n i mal i selvatici, l'amici­
zia con Nowfal, sono altrettanti tasselli di questa tra­
dizione.
Ecco d un q ue gli elementi a disposizione di Ne�amI : due
nomi ormai entrati nella leggen da, singoli « quadri » di

5. Le tradizioni su M ajnun raccolte nel Libro dei canti di Abu


'l-Faraj al -E§fahan i (m . 356/967) so no s ta te tradotte in francese in
A. Miquel-P. Kemp , Majnun et Laylà : l'amoui· fou, Paris, 1 984.
6. lbid., pp. 2 1 3 , 215, 233, 235.
7. Cfr., supra, la nota 43 a p. 1 5 3 .
8 . ì\Iiquel-Kemp, op. cit., p p . 2 1 3-2 1 8.
9. Cfr . Vadet, op. cit., pp. 369-370 .

191
un'esile storia amplificata dalla tradizione, frammenti poe­
tici ossessivamente centra t i sul rimpianto di un oggetto
d'amore ormai divenuto irraggiungibile, w l e convenzfoni
dell'amore beduino.
N o n es iste alle origini presso gli Arabi una vera poes i a
d'amore, o almeno non ci è stata tramandata. Quello che
la rappresen ta, è, i n an tico, i l nasib, le cui prime testimo­
nianze non risalgono al di l à del VI secolo e che ci si mo­
stra fin dal l 'inizio i n tutta la compiutezza di un'arte al ta­
mente convenzionale, senza che ci sia dato ricostruirne
l ' origi n e prima. Esso ci appare, i n qualità di prologo, co­
me p arte integrante della qa�zda, l'ode araba classica. Al
di là della r i correnza di certi temi e di certi procedimenti
evoca tivi - di cui l' a p o s tr ofe dell ' a mante alle tracce del­
l 'accampamento dell 'amata ormai l ont a n a resta i l più em­
b l ematico - quello che ne costituisce la vera costante è il
Ricord o : p er descrivere il suo amore e l'oggetto del suo
a more il p oet a ricorre alla finzi one della reminiscenza.11
La s ep arazione d e i due amanti - che è p o i , al l or i gin e l a
' ,

rottura dell 'amante con i l c l a n del l a D ama ne costitui­


-

s ce l'asse cen tral e : solo l a s e p ar az i o n e conta nel nasi b, che


« ignora i l ri trovamento e si orienta i n te rame n te verso il

ricordo d ' a more , condannandosi a evo lvere sul d up li ce


piano de l l a real tà pre sente e del l a memor i a » . 1 2 Per nobi­
l i t are l ' a more ln si colloca nel passato, l o si i m m agi n a de­
funto o impossibile. E per tutti la tradizione cortese di
lingua araba, la cornice ideale di quest'amore rimane una
sola: i l deserto.
Elyas b. Yusof Ne:('.ami è un poeta di cul tura cittadina
e dotato di dottrina assai vasta - lo deduciamo dalle sue
stesse opere poe tiche13 - i n « tutte ,, quel le che all 'epoca so-

I O . La traduz ione di una scelta di componimenti poetici attribuiti a


Majnfm è sta ta curata da A. Miquel (Majnùn, L'amour poème,
P:uis, 1 984-).
I l . Cfr. Vadet, op. cit., pp. 25 sgg. Questa definizione del nasib si
pone in contrasto radicale c o n quella proposta, sulla base di un si­
stema di classificazione mol to più esteriore, da L Lichtenstadter
(Das Nasib der altarabischen Qaside, • Islamica • , V, pp. 17-96).
12- Vadet, op. cit., p . 35.
1 3 . Sebbene s i a a u tore anche d i componimenti poetici in forma di
ghazal e di qa�idè (cfr., supra, pp. 1 9-20, l'accenno che l'autore fa al
suo canzonjere) , l'opera basilare di Ne�ami, quella che lo qualifica
come uno dei massimi poeti e narratori di tutta la l et t er atura persia-

192
no considerate nel mondo islamico le branche essenziali
del sapere. Vive a Ganj è, nella regione meridionale del
Caucaso (attuale Azerbaigian sovietico),14 dove è nato, e
opera abitualmente su committenza principesca, anche se,
con costanza, si sottrae agli ambienti di corte.15 Quando il
re di Shirvan, uno dei tanti dinasti locali che governano
con poteri autonomi nell'ormai frammentato impero sel­
giuchide, nel 1 1 88 lo invita a comporre un poema che can­
ti l'amore di Leyla e Maj niin, adornandolo di « gemme di
Persia e d'Arabia » , pone in realtà a Ne�ami: un compi to
arduo: fondere due tradizioni poetiche per certi aspetti
inconciliabili. Ne�ami: ne è consapevole e si mostra rilut­
tante : non può sapere quanto questa sua opera, anche più
dei suoi due più celebrati poemi, Cosroe e Shirin e Le
sette effigi,16 sarà destinata a pesare nella storia delle let­
terature islamiche, soprattutto persiana e turca : Ami:r
Khosrow di Delhi, uno dei grandi rappresentanti della
letteratura persiana dell'India (m. 725/ 1 325) sarà il primo
a comporre dopo Ne�ami:, e a sua imitazione, una « Penta-

e
na classica, è la Khamsè, ovvero I cinque tesori •, costituita da cin­
que poemi a rime baciate (mathnavi) : di questi il primo, Il ma­ •


gazzino dei segreti (makhzano 'l-asrii.r), del l l63-64, o, secondo altri,
del 1 1 76, ha forma didascalica sapienziale ed è seguito da Cosroe e
Shlrin (del 1 1 80), quindi da Ley la e Majnun (del l l 88); il quinto e
ultimo, lo sterminato Libro di A lessandro - che in realtà è un poema
doppio - fonde in sé, nel ripercorrere la leggenda alessandrina, l'ele­
mento narrativo con quello sapienziale.
14. Sulle peculiarità della cosiddetta scuola letteraria azerbaigiana,
cfr. Rypka, op. cit., pp. 201 sgg.
15. Le notizie sulla sua biografia sono ben poche più di queste, se
si eccettuano le date di nascita, 535/l l 4l , e di morte, 600/1203, ma
secondo altri, 121 1 . Del padre rimase orfano in giovane età, della
madre Ne�ami traccia un breve ricordo nell'introduzione a Leyla e
Majnun (in un passo che rientra però in quella parte introduttiva
che qui non è stata data in traduzione) menzionandola col nome di
Ra'isa e designandola come di stirpe curda. Per quanto ci è dato sa­
pere non si allontanò se non una volta in tutta la sua vita dalla città
natale, Ganjè, e non per sua iniziativa, bensl per richiesta del prin­
cipe dell'Azerbaigian Q1zi1 Arslan-Shah. L'unico dato di rilievo, ma
tutt'altro che certo, è quello della sua appartenenza agli akhi (e fra­
telli • ) ovvero alla fu tuwwa (su cui si veda F. Taeschner, Zunfte und
Brudershaften im Islam, Ziirich-Miinchen, 1 979, in particolare pp.
231 -235). Sarebbe stato infatti discepolo spirituale del �ufi e akhi
'
Faraj Zenjani (m. 1065). Cfr., ibid., p . 233.
16. Nella traduzione italiana, Le sette principesse, a cura di A. Bau­
sani, Milano, 1 982.

193
logia » di cui fa parte un poema i n ti t ol ato Ley la e Maj­
nun, mentre la sua interpretazione più dichiaratamente
mis tica sarà dovuta a Jami, nel 1 484,t? dopo di lui altri
due poeti, 'Abdallah I:Iatefi e Maktabi, ambedue del tar­
do periodo timuride18 comp orranno un mathnavz sullo
stesso terna. Mentre, tra XV e XVI secol o si pongono an­
che le due v ersi o n i turche del medesimo soggetto, opera
di H amdi (m. 1 503) e di Foziili (rn. 1 5 56) .
N e�ami realizza dunque la prima ve r sion e narrativa
d ' ar te 19 del « romanzo ,, di Majniin, agglomerativamente
co s t r u i to dalla tradizione araba intorno ai versi del Folle
di Leyl a . E il suo poema p o trebbe d e fi n i r si per certi aspet­
ti un nasib ampl ifica to e pi c amen te .
Come nel nasib la separazione ne è l ' an i ma . Ma a dif­
ferenza del nasib, in cui l'amore e l ' og ge tto d'amore sono
cristallizzati in una l ontananza irra ggiungibile di spazio
e di tempo e vivono solo nel Ricordo, l ' amore di Maj nun
n ella versione di Ne�ami non conosce p re sen te e passato,
ma solo un prese nte continuo, sempre ug u al e a se stesso :
"È un segre to che nessuno può decifrare, un segreto che
è e n t ra to a far parte di me con il latte materno e che solo
mi abb andonerà q u a ndo l a vi ta mi avrà abb a ndon a t o » ,
dice il M aj nun di Nqami.20 Il Maj nun arabo, in quei
suoi frammenti poetici già distanti dalle r i gi d e z z e formali
della qa§ida, diceva forse l a stessa cosa, in modo ora più
realistico : « Mi dicono : " D imenticala ! " / E io rispondo :
" Non posso e non è in mio potere / ché il suo amore è
l ega to al mio cuore / come il secchio a lla corda del poz­
zo " » ,21 ora ancora più e str emo : « Il mio spirit o si è av­
vi nt o al suo p ri ma ancora di esser c re a ti , e quando fummo
concepiti e nella culla » . Versi, questi ultimi, attribuiti a

1 7 . Su cui si veda il rec en te s tudio di A.E. Khairallah, Love, Madness


and Poetry, Beirut, 1 980, sopra t tutto pp . 97 -125.
1 8 . Cfr. Rypka, op. cit., pp . 213, 496.
1 9 . Rimane aper ta la ques t ione dell'epoca in cui è v issuto al-Walibi,
a l cui nome è legata la più • nana tiva • delle raccolte di frammenti
poetici d i Maj niin intercalati dalle tradizioni su di lui, e che po­
trebbe aver costitui to il più vicino precedente per Ne?ami, anche se
non certo dal punto di vista qualita tivo (dr. Khairallah, op. cit.,
p p . 56- 6 1 ) .
20. Cfr., supra, p. 39.
2 1 . Cfr. Majnun, L'amour poème, cit., p. 4-0.

194
M aj n u n ma anche a Jamìl,22 l ' al tro astro dell' amore pla­
tonico di cornice bedui na - poi offuscato dal Folle di
Leyla - Jamil che rese per sempre celebre fra gli Arabi
la tribù dei Banii. ' Odhra,23 gli Asra diwelche
Heine, «

s terben, wenn sie lieben » : quando


coloro che muoiono
amano. In questo amore che si genera da sé e che al suo
interno perennemente s i r i pr odu ce, l'assenza di narrati­
vità del nasib s embra trovare la sua massima amplifica­
z i one, snodandosi attraverso i meandri n arrativi del poema
di Ne�amL
Ma è come un n asib costre t t o ad accogliere in sé quella
manifestazione trasgressiva che è il tashbib - lo svelamen­
to del segre to d'amore - pri ma di divenire formula lette­
raria del corteggiamento nella poesia erotica omayyade:
il termine, nel l a critica letteraria araba, sembra abbia de­
signato in modo particolare quei componimenti poetici il
cui tratto salien te era di pronunci are il nome della Da­
ma.24 È la manifestazione pubblica dell'amore-passione,
'esh q , già di per sé massimamente sconveniente agli occhi
de i Bedui ni : 'eshq significa i ndividualizzazione estrema
del sentimento d'amore, inesorabilmente in contrasto con
la l ogica tri bale. I poeti del nasib lo avevano sempre la­
sciato pudicamente nell'ombra. La colpa contestata a
Maj nii.n secondo la tradizione sembra essere stata non
altro che questa: l'infrazione al divi eto sociale del tash bib.
E la trasgressione ri mane, nelle let tere arabe, la cifra es­
senziale della figura di Maj n u n .2;

22. Di Majniin l i considera A. Khairallah (op. cit., pp. 7 1 -72), che


pure segnala la loro attribuzione anche a Jamìl e a Ibn DhariQ.;
mentre una sicura attribuzione a Jamil si trova in F. Gabri el i , La
letteratura araba, Firenze, 1 9 67, p. 107 .
23. Cfr. F. Gabrieli, Gamil al-' Utjrl, studio critico e raccolta di fra m·
menti, • Rivista degli Studi Orien tali • , XVII, 19 38 , pp. 40-7 1 , 1 32-
172; e Contributi all'in terpretazione di Ga m'il, • Rivista degli Stu­
di Orientali . , XVIII, 1 940, pp. 1 7 3 - 1 98. S u l l ' a more 'odhrita e pi ù
in generale sulla poesia amorosa araba tra VII e VIII secolo , fonda­
mentale r imane R . Blachère, Les principaux thèmes de la poésie
érotique au siècle des Umay)•ades de Damas, del 1 939, ripubblicato
in R. Blachère, A nalecta, Damas, 1 975, pp. 333-378.
24. Cfr. Vadet, op. cit., p . 102.
25 . La natura di quest a trasgressione, di entità a ben g u ard are non
cosi rilevante per le strutture della società, e la • li m in ar i tà • della
figura del Majniin arabo, che spesso giunge al limite, ma mai arriva
a v ar care la soglia del non-ritorno, sono discusse in Miquel- Kemp,
op. cit., pp. 1 36- 146.

195
Ecco allora che la struttura bloccata del nasib si apre,
attraverso la componente d el tashbib, a u n percorso nar­
rativo : un p ercorso che non approda alla ri composizione
di una fra t tura sul piano dell 'individuale - come nel
nasib essenziale rimane anche nel poema di Ne�ami la
separazione, e il ri travamento, s e pure c'è, non modifica
nulla - bensì sul piano del colle ttivo. Non c ' è progressio­
ne nel!'amore-follia di M aj mln, ci sarà progressione solo
n ell ' a tteggiamento esterno nei suoi confronti : è la storia
- l eggibile solo in filigrana e certo inessenziale per l ' arte
di N e�ami - dell' accettazione della follia di Maj niin da ,
parte dell a soc i e t à triba l e che inizialmente lo aveva ripu­
diato. Un' acce ttazione che si esprimerà in un'inversione
di segno nella valutazione del comportamento estremo di
M aj niin : dall'ignominia alla venerazione, dalla follia alla
santi t à .
È il fenomeno p i ù ap pariscente che s i verifica n e l pas­
saggio di Maj niin dalla tradizione araba a quella iranica :
il processo di sant i ficazione della sua figura.26 Da Ne�ami
a Amir Khosrow a J à mi, tutti ci propongono, sia pure
con v aria nti anche non marginali , l'immagine di un
Maj niin e santo ,, . Qeys i nfrange le norme e , rifiutato
dal l a socie tà degli uomini, diviene Maj nii n : trova asilo
nel deserto e acquisisce potere sulla natura selvaggia. Ma
la poesi a che scaturisce dalle sue labbra nel corso della
sua vita di ascesi ai margini della società degli uomini,
fi nirà per restituirlo a quest'ultima: alla sua morte lenta­
mente gli animal i del deserto l o abbandoneranno, men tre
gli uomini torneranno ad avvicinarlo e venereranno l a
s u a memori a . .
Ma al di là di questo fenomeno eminentemente narra­
tivo, che ha luogo nel passaggio alla tradizione poetica
dell 'Iran islamico, si pone un a l tro evento essenziale :
I ' " adozione ,., della figura di Maj niin all ' interno di certe
corren ti del sufismo, già da tempo iniziata all 'epoca di
Ne;i:ami, e non cer to limi t a ta all'Iran. L'autori tà più emi­
nente a favorire questa " adozione ,, sarà forse Ibn al­
'Arabi, i l grande maestro di Murcia (m. 1 240),n ma già

26. Cfr. Miquel-Kemp, op. cit., pp. 125 sgg.

27. Ibn aJ-'Arabi si riferisce a Maj nlin come alla figura esemplare
in cui si è manifesta ta l'c unione immaginativa . , che • a tal punto
assorbiva (il suo) spirito da distoglierlo dalla sua amata Leyla, al

196
Shibli, ch e a Baghdad, d o v e al-I:Iallaj aveva trovato la
morte sul patibolo, camuffava l a sua predi caz i one sotto
« ge s t i eccentri ci, cal colati per gua dag nar s i un pr i v i legi o
d' irresponsabi li t à » ,28 p or tav a M aj m1n come e s emp i o ai
�ufz. C osì ce ne ha l a s ci a t o testimonianza Abii Na�r as­
Sarraj : « Qu a ndo chiedevano a Majniin di Leyla, e gli ri­
spondeva : " Io so no Leyla " . Così ,, commentava Shibli
« gra z i e a Le y l a e gli s i estrani ava da Leyla, per restare pre­
sente a l l a visione di Leyla e assente ad ogni altra perce­
z i o ne che non fosse Leyl a, e in questo modo tutto gl i di­
veniva presente attraverso Leyla » . 29 Così, l ' op era di un
p o e t a �uft come 'Attar è tutta per corsa da rinvii all ' e s e m­
pl ar it à di M aj n u n , men tre proprio al tempo i n cui Ne�ami
scrive, Ruzbehan Baqli di Shiraz, t e orizz an do la funzione
de l l ' a m or e pro f a n o c o me p a s sag gio p er introdurre alla via
m i s t i ca, f a 1·iferimento an c he l u i a Maj nun. Così è de­
scritto l 'iter dei �ilfi nel « Gelsomino dei fede l i d'amore » ,
se co ndo le parole di Corbin : « I l loro progredire sulla via
che conduce d a l l ' a m or e umano all'amore celeste non con­
siste in un trasferimento dell 'a more da un oggetto a un
altro (Dio non è un ogget to), m a una metamorfosi del
soggetto d ' amore : l ' amore esta tico di Majnun fa di lui,
al suo limite estremo, mol t o più che un modello da imi­
tare, da tr asporre, per il �ilfi : M aj n u n diventa allora egli
stesso lo specchio di D i o, o meglio, l'occhio attraverso il
quale D i o contempl a se s tesso ; l'amore di Maj niin è di­
ven u t o l ' a more i n s enso p ropri o » . 30
Fra etica be du i na e d i sci pl in a �ufi, nel dilemma fra il
d o v er e di m an te n ere i l se gre to e l a spinta a divulgarlo
sotto la pr ess i o n e i n calzante dell'estasi, Maj niin rappresen-

momento in cui essa si presentava a lui nella realtà oggettiva. Tanto


che egli arrivava a dirle: " Allontanati da me! ", per timore che la
densità della sua presenza materiale lo pri v ass e dell'altra, la delicata
e s o t tile con templazione immaginativa (citato in H. Corbin, L'ima­

gination créa trice dans le soufìsme d'Ibn 'A ra b i, Paris, 1 958, p . 1 04.
Una rappresentazione che si rispecchierà nell'interpretazione poetica
di Majniln nel poema di Jàmi).
28. L . Massignon, Recueil de textes inédits concernant l'h istoire d e
la mystique e n pays d'Islam, Paris, 1 929, p . 77.
29. Cfr. Khairallah, op. cit., p. 1 02.
30. H. Corbin, Introduction
• • a Ruzbehan Baqli ShirazI, Le jasmin
des fìdèles d'amour, a cura di H . Corbin e M . Mo'in, Teheran-Paris,
1 958, pp. 1 3 - 1 4.

197
ta coloro che hanno scelto quest'ultima via. Le parole di
Shibli delineavano in modo trasparente una sovrapposi­
zione tra la figura di Majniln e quella di I;Iallaj , desti­
nato al martirio da quell' " Io sono D io ,, dichiarato pub­
blicamente, che risuona in forma assai debolmente cifrata
nell' « Io sono Leyla » di Maj nun secondo Shibli.
I connotati esteriori della follia, dall'assenza di decoro
nella persona, all'iterazione ossessiva del nome di Leyla,
aIIa frequentazione degli animali selvatici del deserto, se­
gnano l'aspetto malamati di Maj nun. Ma lama è il biasi­
mo, l a denigrazione, e coloro che nell'Islam si sono di­
stinti portandone i l nome, sono stati definiti da uno dei
loro maestri come " un gruppo di uomini che si dedicano
a preservare i loro " momenti " e a proteggere i loro se­
greti, e biasimano se stessi ogni volta che accade loro di
lasciar trapelare qualcosa della loro prossimità a Dio. Essi
mostrano agli uomini le turpitudini del proprio stato,
celando le proprie virtù, e gli uomini li biasimano per
il loro comportamento esteriore » .31 I;Iallaj era appunto
un maliimatl, ma la sua scelta si era manifestata fino in
fondo nella società, non al di fuori di essa, come invece av­
viene per il Majnun di Ne+ami. E se l'ignominia di cui
questi si ricopre, arrivando a farsi condurre in giro, nudo
e in catene, da una vecchia mendicante, e le parole che

p ronuncia: "' Tu credi di vedermi esistere, ma ti sbagli,


non s o n o io, ciò che esiste è l'amata » ,32 possono richia­
mare I;Iallaj e le sue parole « Se tu mi vedi, vedi Lui, se
tu Lo vedi, vedi me » , il Maj nun di Ne;i:ami non dice mai
« Io sono Leyla » , come Shibli gli faceva dire. E la separa­

zione, non l'unione, rimane la sua esperienza ultima. An­


che se forse più in consonanza con u n codice letterario
- potremmo chiamar lo il codice del nasib - che per una
scelta speculativa che, nell'ambito della meditazione filfz,
lo avvicini a un Ghazali o a un Sarhendì.33
Gli emblemi di Majnun, nudità e catene, immagini
proprie della convenzione poetica della follia, segni ri­
spettivi dell'infrazione alle norme sociali e di una schia-

3 1 . Citato in M . Molé, Les mys tiq ues musulmans, Paris, 1 965, pp. 74·
75. S ul la maliima anche come motivo letterario nella poesia persiana
classica, cfr. Bausani, Letteratura neopersiana, cit., pp . 265 sgg.
32. Cfr . , supra, p . 129.
33. Cfr. Molé, op. cit., pp . 95-96, 1 0 8 sgg.

198
vitù cui non è possibile sottrarsi, fissano l a figura del
Maj ni.in di Ne�ami in un destino di trasg ressione, che lo
sottrae, sia a quell'alone di ribelle ai codici tribali che cir­
condava il Maj nùn arabo, sia a quell 'agiografia che più
tardi s'impadronirà di lui, giovane bel lo e galante, aman­
te dei piaceri, fulmineamente e chiamato " a un amore
casto e inattingibile, come n el l a rappresentazione che, tre
secoli dopo Ne?:amì, ne darà Jami.34
Pur distintamente marcato dalle meditazioni di certe
correnti del sufismo sull'amore, il poema di Ne�ami sem­
bra sottrarsi a una d e fi niz i o n e univoca. E forse si pone fra
i suoi pregi anche questa sua forma « aperta » , in c u i con­
venzione bedui n a dell'amore cortese - rivisitata in modo
intensamen te lirico attraverso le immagini della conven­
zione p oe t i ca persiana - simbolismo �-Ufi, e anche gnome
e pura fiaba rimangono fra loro in continuità, senza che
possa dirsi che u n aspetto prevalga nitidamente sull'altro.
Situando la nasci ta dell'amore fra Leyla e Maj ni.in in
età ancora infantile - anche se mutandone l a cornice in
senso più « urbano » : non più i due pi c coli guardiani di
greggi dell a versione araba, ma due fanciulli di nobile fa­
miglia beduina che si incontrano alla scuola - N e�ami
compie innanzitutto una scelta, che si conferma, indiret­
tamente, anche nel suo tra l asci are la versione secondo cui
l'i nfelice d e s tin o dei due protagonisti sarebbe stato segna­
to da un'anti ca inimicizia fra le loro famiglie: la scelta di
allontanare fi n dall ' i nizio la storia di Leyla e Maj nun dal
piano del « verosimile » e insieme di scindere le sue svol­
te essenziali da ogni motivazione « esterna » . L'amore di
Leyla e Maj nun è chiuso e per fe t t o come una monade.
« Giunse l'amore e colmò loro il calice di vino: e quel solo

calice li inebriò. Quand'ebbero colto la rosa profumata


dell' amore, vollero assaporare il suo profumo ogni giorno:
l'uno r apit o dalla bellezza del l ' a ltro , i l cuore stordito e
pur senza perdere i sensi, perdutamente innamorati in uno
struggimento che mai si estingueva » . 35 Così è descritto il
nascere dell'amore i n Leyla e Maj ni.in, bambini di appe­
na dieci anni. Nessuna obbedienza al verosimile, dunque,

34. Si tratta naturalmente di una scelta narra tiv a necessaria, nell'in­


terpretazione di Ji!mi, che intende disegnare, a t traverso la figura di
Maj niin, una progressione spiri tuale.
35. Cfr., supra, p. 28.

199
e insie me l ' emergere di Leyla - anche questo' in certo sen­
so non verosimile - sullo stesso piano di Maj niin.
L'amore-poesia del Folle d e l l a tradizione araba si nu­
triva del l ' a ssenza d i Leyla,36 che vi appare sol tanto come
nome instancabilmente evocato dal lamento di Maj nùn.
Il poe m a di N qam1 le conferisce ora u n'esistenza sua
propria.37 Eppure, l a sua p r e s e nz a i n prima persona rima­
n e anche qui esigu a . Ma il mutamento c'è: lo si po trebbe
definire i l passaggio dall'assenza di Leyla alla sua presenza
o ccul t a t a .
Tutto il p o e m a d i N eiami, ·e al suo in terno Io squi­
librio mani fes to fra presenza maschile e femminile, fra
Leyl a e Maj m ln, po trebbe infatti es se re letto attraverso
questo episodio : « I suoi occhi [di Maj nùn] si posarono
su d i u n fogli o di car ta, s u cui un c a l amo aveva vergato i
nomi di Leyla e Maj niin. Afferrò quel foglio e lo lac er ò :
i l proprio nome rimas e i n tatto, quello di Leyl a fu cancel­
l a to. . . " È meglio [disse] s e di noi due u n solo nome ri­
mane ; chi conosce l ' amore sa bene che dietro l 'amante su­
b i to traspare l ' amata " . " Ma perché, se anche bas t a il no­
me di un solo, p erché ca ncellare i l suo nome? ". Rispose :
"È megl io che sia io a stare in vista e non ciò che è pr ez i o ­
so, è meglio che l ' essenza rimanga ce l a t a e che solo l ' in­
vol ucro a pp a i a , megl i o che dell 'amata io sia i l velo , che
della perla i o sia la conchiglia " » .33 Maj nun, un nome che
s credi t a chi I o porta, fa da s chermo alla perfezione di
Leyl a . M aj nù n si mos tra, si espone nudo a occhi estranei
e malevoli, il s uo aspet to, che a p p are n on più umano ma
demon i a co in questa nu d i tà ol traggiosa, è l 'opposto della
bellezza a ngelica del Giuseppe coranico , qui solo v e l ata ­
mente tra sferi ta, nel s u o v al o r e simbolico di specchio della
bellezza divina, alla figura di Leyla.39

36. Cfr. Mi quel- Kemp , op. cit., pp . I I 6 sgg.


37. lbid . , pp. 1 1 6 sgg . Qui tu ttav i a , la d is tanza che separa l'assenza
di Leylll, se con do la versione araba, da q u e s t o particolare tipo di
presenza che le attribuisce Ne'.f<'imi, non viene messo in alcun modo
in rilievo.
38. Cfr., supra, p. 96.
39. Cfr. Khai ral lah , op. c i t . , p. 86. La Sura di Giuse pp e, l a dodice­
sima de l Corano, dal Cmano stesso d efini t a � la più bel l a delle s to­
rie • , è i l p u n to d i riferimento e ssenziale di questo valore simbolico
della figura di Giuseppe, che troverà la sua m assima amplificazione
nel poem a di ]ami • Jusof e Zolejkh a • , del I483. Un'anticipazione

200
A Leyla i nv ece non è consentito pa r lare , dire il suo
amore, poiché questo equivarrebbe a sv e l a rs i . E il suo
svelamento precederà i nfa tti di poco l a mor t e : « Così dis­
se, gli occhi colmi di lacrime. E q ua ndo le s u e labbra eb­
bero sv el at o i l segre to, si volse v e rso il regno dell'Oltre e
s p ir ò » .40 Ma questo sv e l a m en t o c'è : ed è pur se mpre una
s o r ta di tash b i b i nvertito di s e gno quello che Ne?,ami pr e ­
sta alla protagonist a femminile del poema; qualcosa che
l 'antico nasi b b e du i n o e in genere la tradizione « corte­
se » di lingua araba non avrebbero m ai consentito. La
figura di Leyla tornerà pressoché a cancellarsine l l a ver­
sione d i }imi, s e pure a t traverso un per cor s omentale in­
verso a quello che dettava la sua assenza nel diwan ar a bo
di M aj nù n : nel poema di Jami, Leyla finirà per non es­
sere più nemmeno riconosciuta da Maj nii.n, che orm a i ha
raggiunto lo s ta dio in cui ogni s en s o di dualità fra aman­
te e Amato si è dissol to .41
Ma non è soltanto attraverso q ues to avanzamento della
pr o t ago ni sta a un ruolo di pri mo pi ano, che il « femmi­
n i le ,, guadagna ora un suo spazio n e l poema di Ne?,am1 :
i l fe mmi n i l e come ornamento, s u perfi ci e indecifrabile di
uno spaz io chi uso e impenetrabile, è presente in fondo
lungo tutto il p oe m a nella rappresen tazione dei fenomeni
naturali, che quasi mai si m an i fe s t a no « naturalmente » ,
ma ap pa i o n o in pr e v al e n z a fil tra ti a t traverso le i m ma g i n i
di un abbigliamento ornato e p rez i o so : seta, brocca to, lino
b i a nc o d ' Egi tto e mussola n era , col l ane, orecchini, brac­
ciali, perle e sm er a l di , lapislazzuli e gi aietto; mentre velo,
l e t ti ga e pa l a nc h ino sono i « l uoghi " del loro appartarsi .42
D eserto, accampamen to e giardino sono gli spazi indi­
viduati dal racconto: quello di Maj nun, che ha infranto
le norme tribali e ab band on a to l a società degli uomini,
qu e l lo della colle ttività e q uel l o della donna. Il giardino
è infatti il solo spazio e s te rn o , di u n a natura rappresen­
tata come supremamen te artefatta, abbi g l ia t a e pr otet t a

sebbene appena accennata se ne può ravvisare nell'immagine usata da


Ne?limi per descrivere Leyla. Cfr., supra, p. 28 e la nota 44 a p. 1 5 3 .
40. Cfr., supra, p . 1 35 .
4 1 . Cfr. Miquel-Kemp, op. cit., pp. 123- 124. S i veda anche, supra,
nota 27.
42. Cfr., supra, pp. 32, 53, 73 , e passim.

201
da ben delimita t i confini, che sia concesso a Leylà al di
là del l a sua tenda. Mentre la Foll ia consente a Maj nun
di percorrere, senza confini, il deserto. D i questi s p azi, so­
no « accampamento ,. e " deserto ,.. a rivelarsi fra loro i
più distanti, non e deser to " e « gi ardino " : forse perché,
trasferi t o nel l i ngu aggio di Ne?ami, " accampamento » va
inteso come nome conve n zionale che sta per « città ». Ma
forse anche per moti vi di ordi ne diverso. E chi fa parte di
uno di questi un iversi non può comunicare con l ' altro
senza med iazione. Quando i personaggi più autorevoli
della sua fam igl i a, il padre e lo zio mate rno Salim, ven­
gono a visitare Maj m1n nel deserto, prima di rivolgergli
parole di saggezza, provvedono a far sì che l 'instaurarsi
della comuni cazione si renda possi bile : ricoprono le nu­
dità di Maj nun con delle vesti che lo res t i tuiscono al
rango di uomo secondo l e norme sociali. " Era nudo da
capo a pie di, a Salim 'A.meri ap p ar v e, in quel luogo di
morte, simile a un defunto senza tomba e senza sudario.
Trasse fuori una ves te che aveva con sé e con mille scuse
gliela porse dicendo: " I ndossa questa veste come si convie­
ne ad un uomo, tenta, ora che sei con me, di riacquistare
la tua dign i t à ! " » ; e così n ell ' u l timo incontro con il p a­
dre : « Asciuga t e infine le l acrime, il p adre osservò l ' a spe t­
to del figlio : era nudo come il corpo di un risusc i tato nel
Giorno del Giudizi o . Estrasse dalla sua sacca una ves te
preziosa e rivestì le nudità del suo corpo, e così pure il
capo e l e estremità. Poi con paterna saggezza gli si ri­
volse . . . » . 43
Soltanto la madre, l ' u nico personaggio femminile con
cui M aj nun venga i n con t a tto nel suo eremo - e anche
una delle rarissime figure materne della letteratura p er­
siana c lassica, cui s i a concessa una s cena da protagonista -
non si preoccu perà di rives tirlo, ma solo di ricomporre i l
s u o corpo l a cera to, prima di p arlargl i , proponendo alla
sua riflessione esempi tratti non dal mondo degl i uomini
ma d a quello della na tura: " Gli deterse il volto con le
sue l acrime, gl i petti nò i ricciol i s composti, con amore da
capo a piedi lo cosparse di unguen ti, gemendo su ogni fe­
rita, lo cur ò in ogni parte del corpo, fasciando piaghe,
medicando vesciche, detergendogli il capo ricoperto di

43. Cfr., supra, pp. 1 1 3- 1 1 4 e p. 88.

202
p o l ver e . E d opo che co n cure i n fin i t e ebbe ricomposto
l ' immagi ne del figlio adorato, così gli parlò ... ,, 44 .

In questa tri pl i ce scansione del lo s p a z io del racconto, è


comp l eta m e n t e assente l ' edificio,45 e non certo solo per
" coe r en za » ambi e n tale : anche il giardino, che per la sua
perfezione app are simile « al di p i n to di un artista cine­
s e » ,46 è s u pre m a men te « incoeren te » con un accampa­
m e n t o beduino. Con un'unica eccezione : la Ka'ba, di fron­
t e a cui avv ien e la professione d'amore pubblica d i
M aj niin , l'edificio che riunisce in sé gli emblemi delle
mura e del v e l o , il l uogo sacro per e c ce ll è n z a dell'Islam,
reso i n t oc ca bi l e e i mpenetrabile al l a vista da un prezioso
drappo nero ricama to, che Io ri vest e intera mente. Anche
questa un'immagine che rinvia alla figura di Leyl a , sacra
e inviol a b i l e , J:iaram, come quella di ogni donna con cui,
nel l ' I slam , sia gi uridicamente lecito i l m atr i monio , e la
cui sacra l i t à sia necessario pro teggere: « O ineguagliabile
bellezza, o m i a Ka'ba, la sogl i a della t ua dimora è il mio
mehrab » , 47 dice a Leyl a Ma jm1n. E la metafora si rivela
fo nd a ta sli una con tigu i tà simbolica assai più profonda di
quanto quel cenno alla « i neguagl i abile bellezza » lasci
supp orre a p r im a vista.
Dei f enomen i na turali la Bildersprache di Ne:i;amI ri­
cerca costantemente l'eziologia:48 in na tura, non solamen­
te l e cose,. per il trami te della metafora, sono sempre « al­
tro ,, - non l i m i tandosi ad e s sere « simili ad altro » co me
nella poesia araba49 - ma sono sempre « diventate » quel-

44 . Cfr., supra, p . 116.


45. In oppo s izio ne specu lare a Leylii e Maj nun, il successivo poema
di Neµmi, Le se tte effigi, avrà come elemento-chiave l'edificio : sua
unica cornice sarà un pad ig lio n e del palazzo di Bahrlim Gftr, men­
tre le sette effig i femminili raffi gurate sulle sue pareti ne costituiran­
no i centri narrath•i.

46. Cfr., supra, p . 54.


47 . Cfr., supra, p. J lO, vedi a nc he la nota 74 a p. 160.
48. Cfr. H . R i t ter, Ober die B ildesprache Ni�àmls , Berlin-Leipzig,
1 927, che rimane singolarmente an co r a oggi, a distanza di quasi ses­
s a n t'anni, l'unico studio in profon d i t à sull'uso della metafora in
Ne?limi. Circa il procedimento i n terno di queste • eziologie fantasti­
che > ,che stabiliscono collegamenti causa li da relazioni semplice­
mente sp a ziali (tr asformando un Ne beneinander in un Wegeneinan ­
der), si \'edano in particolare, pp. 7 sgg. co me anche Bausani, Lette­
ratura neopersiana, cit., pp. 64<1 sgg.

49. lbid., p . 4.

203
lo che sono per cause non naturali e contingenti. Le « leg­
gi di natura » appaiono insignificanti davanti alla ric­
chezza e i mpreve dibili tà di cause contingenti che determi­
nano, momento per momento, gli aspetti del cosmo. Solo
l'amore di Ma jm1n non può essere mutato: « Può forse
uno negro diventare con l'acq ua un tartaro dalla can­
dida pelle? » .50 E nulla vale che possa modi ficarlo : le
nozze con Leyia negate a Majnun e concesse a un altro
pretendente, Ia guerra fra Ia tribù di No w fa l e quella di
Leyla, la morte stessa dello sposo di Leyla, che le resti·
tuisce la libertà e le consente ancora un incontro segTeto
con Maj nun. Tutto questo non approda ad al tro che a
confermare quello che fin dall'inizio era stato affermato,
quasi in una proposizione teologica: l'eterni tà dell'amore
di Maj nun. Tutto il resto non è che parvenza d i azione,
illusione di movimento, in ottemperanza alle regole del
narrare poe tico.

NOTA A L LA TRA D UZ I ONE

Del poema di Ne'{:ami che ha avu to traduzioni anche


-

in rus so, in turco e, recenti ssimamente, i n giapponese -


esistevano fino a oggi due versioni in lingue occidenta­
li: una in inglese, ad opera di J. Atkinson (Laili a n d
Majnun. A Poem, from the Origi nal Persian of Nazami
by J. Atkinson, London, 1 836), che del poema di Ne'{:ami
più che una traduzione è una parafrasi molto libera , in
versi, e una in tedesco - meno libera, ma c e r t o non in­
tegrale - ad opera di R. Gelpke (Nizami, L e i la und
Madschnun, Ziirich, 1 9 63). D a quest'ultima è stata tratta
anche u na versione inglese : The Story of Lay la a n d
Majnun, English Version in Collaboration wi th E. M a t tin
and G. Hill, Oxford, 1966 e New York, 1 97 8 .
N o n esiste a tutt'oggi una re censi one critica che possa
considerarsi defini tiva dell'opera di Ne:?amL La nostra
traduzione è stata condo t ta sull'edizione p ersiana curata

50. Cfr . , supra, p . 87.

204
da V. Dastgerdi (Teheran, 1 3 3 3 / 1 9542) . Ci siamo perciò at­
tenuti a quei circa tremi l aseicento versi da lui considerati
di sicura autenticità, mentre l'originale avrebbe dovuto
comporsi di circa qua t tromila versi, a detta dello stesso
Ne?àmi. Della parte introdut tiva di Ley la e Majnun, par­
ticolarmente l u nga i n rapporto al testo, si è scelto di dare
i n traduzione l ' i nvocazione a Dio, l' « Elogio del Profeta » ,
« L'ascensione celeste del Profeta » e l e « Cause della com­

posizione del l ibro " - tutti esclusi dalle precedenti tradu­


zioni - tralasciando una successiva parte teologico-sapien­
ziale, gli ammonimen t i al figlio e i brevi ricordi dei fami­
liari, gl i elogi del sovrano. All'interno del poema l'unico
taglio signi fica tivo è stato operato in « Maj m1n si rivolge
benedicente alla Corte Sublime ,. : si tratta di trentasei ver­
si che l ' autore dedica alla descri zione della volta celeste,
·
preziosi ma oscuri gi à i n lingua persiana, e di tale comples­
si tà per l ' i n trecciarsi di li nguaggio tecnico astronomico e
di metafore che fanno ampio uso di doppi sensi giocati sui
nomi propri di costellazioni , astri e pianeti, da apparirci
se non i ntraducibili, di inevitabile ed eccessiva astrusità,
trasferiti in li ngua italiana.
Del nome della protagonist a del poema abbiamo scelto
di u s are la cl assica ' dizione araba " Leylà » , a preferen­
·

za dell a variante di pronuncia persi ana « Leyll » , facendo


in questo u n ' eccezione rispetto al criterio generale indi­
cato nella « Nota sulla trascrizione " .

Teni amo q ui ad esprimere tutta la


nostra gratitudine
al prof. A . Bausani e al prof. A . M . Piemontese per l'ami­
cizia che ci hanno dimostrato nell'aiutarci a risolvere non
poche difficoltà del tes to e per i preziosi suggerimenti.
Un ringraziamen to anche a Barbara Fiore, per la colla­
borazione nell a scel ta delle illustrazioni e l'esecuzione del­
le fotografie delle minia ture riprodot te nel testo.

205
Finito di stampare nel novembre 1 985
da MOG - Morell Officina Grafica S.p.A. - Osnago

Prin ted in llaly

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