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Ciascuna strofa è composta da 7 novenari seguiti da un senario, con schema ABABCDCd. Ciascuna strofa
termina con la rima sera, con un procedimento anaforico che chiaramente insiste sull’oggetto della lirica.
Contrasto giorno/sera
L'opposizione tra giorno e sera simboleggia l'opposizione tra la vita stessa e il rifugio nei ricordi legati alla
famiglia d'origine. In questa lirica il giorno in effetti è il tempo della tempesta, e probabilmente della vita
stessa, mentre la sera costituisce il momento di riposo per lo «stanco dolore» (v. 21), quando i genitori
provvedono ai figli che ancora non sanno volare: condizione che per l'io lirico non esiste se non nel ricordo. Il
poeta infatti rievoca tramite le campane le nenie della madre defunta.
Figure retoriche
Al v. 5 troviamo una metafora e assieme una personificazione: la «gioia leggiera» è la brezza che sembra
trasmettere un fremito di gioia alle foglie. Al v. 9 le stelle metaforicamente «si devono aprire», come se
fossero corolle di fiori. Ai vv. 17-18 si registra l’antitesi tra «infinita» e «finita», che sottolinea come della
tempesta, che pareva interminabile, sia rimasto come unico segno un rivolo d’acqua. Al v. 19 in «fulmini
fragili» si può anche leggere una sinestesia tra tatto e vista. Al v. 20 «cirri di porpora e d’oro» sono espressioni
metaforiche e metonimiche, scambiando il colore con il materiale, che ovviamente non è quello di cui sono
fatte realmente le nubi. «O stanco dolore» (v. 21) è insieme apostrofe e metonimia: chi deve riposare non è il
dolore, ma chi lo ha provato. Al v. 29 «nidi» è la consueta metonimia con cui Pascoli indica i piccoli degli
uccelli non ancora in grado di spiccare il volo. Nell’ultima strofa «dicono/cantano … sussurrano/bisbigliano»
costituiscono un climax discendente, mentre «voci di tenebra azzurra» (v. 36), riferito al suono delle campane
vespertine, è una suggestiva sinestesia tra la vista e l’udito.
I motivi tipici della poesia di Pascoli: il legame con la famiglia d'origine e la regressione fino
all’infanzia
Nell'ultima strofa del componimento si concentrano temi e stilemi tipici di Pascoli. La stessa regressione
all'infanzia («fanno ch'io torni com'era»), oltre che al dato biografico dell'attaccamento alla famiglia d'origine,
precocemente disintegrata (la madre morì poco dopo il padre), non può non rimandare alla poetica del
«fanciullino», la cui presenza nell'animo del poeta gli consente di umanizzare la natura e di vedervi evocati
significati e ricordi. Con la rete di suoni e ripetizioni Pascoli riproduce efficacemente l'atmosfera cullante
della presenza materna prima del sonno, e il suono delle campane è ciò che fa rivivere questa sensazione al
poeta adulto, facendolo regredire alla condizione di fanciullo. Ma, come sappiamo, tornare all'infanzia nella
sola dimensione possibile, quella del ricordo, comporta anche la chiusura del poeta verso l'esterno e
l'esclusione dalla vita presente e futura. Dal punto di vista formale, oltre al fonosimbolismo e alla sinestesia
(«voci di tenebra azzurra»), si possono notare l'elementarità della sintassi, particolarmente evidente nel
ricorso ai puntini di sospensione, nel prevalere della paratassi e nella presenza di espressioni nominali (come
il sintagma che chiude la poesia).