Sei sulla pagina 1di 3

G.

Pascoli, La mia sera, 1900 (Canti di Castelvecchio)


La mia sera prende avvio, come spesso accade nei Canti, da una descrizione (in questo caso la quiete serale dopo
un giorno tempestoso), realizzata secondo la consueta tecnica impressionistica, per poi sfociare
nell’espressione, da parte dell’io lirico, della propria particolare condizione psicologica.

Il giorno fu pieno di lampi1; O stanco dolore, riposa! 8


ma ora verranno le stelle, La nube nel giorno più nera
le tacite stelle. Nei campi fu quella che vedo più rosa
c'è un breve gre gre2 di ranelle. nell'ultima sera9.
Le tremule foglie dei pioppi Che voli di rondini intorno!
trascorre3 una gioia leggiera. che gridi nell'aria serena!
Nel giorno, che lampi! che scoppi!. La fame del povero giorno
Che pace, la sera!4 prolunga la garrula10 cena. prosaico-aulico
La parte, sì piccola, i nidi
Si devono aprire le stelle nel giorno non l'ebbero intera.
nel cielo sì tenero e vivo.5 Né io... e che voli, che gridi,
Là, presso le allegre ranelle, mia limpida sera!
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto, fono-simbolismo Don... Don... E mi dicono, Dormi!
di tutta quell'aspra bufera, mi cantano, Dormi! sussurrano,
non resta che un dolce singulto 6 Dormi! bisbigliano, Dormi!
nell'umida sera. là, voci di tenebra azzurra... sinestesia
Mi sembrano canti di culla, 11
È, quella infinita tempesta, che fanno ch'io torni com'era...
finita in un rivo canoro. sentivo mia madre... poi nulla...
Dei fulmini fragili restano sul far della sera.12
cirri di porpora e d'oro.7

1 lampi: hanno la funzione simbolica di “squarciare” il buio con


la luce. Rischiarano il mondo “vero”, quello nascosto sotto il
“velo di Maya”, il buio della conoscenza illusoria che cela la real-
tà. Tuttavia la folgore permette di attingere all’acerbo vero (Leo-
pardi), alla conoscenza-dolore.
2 gre gre: è il verso delle ile, le piccole rane arboree. Si tratta di
un’onomatopea pura.
3 trascorre: è transitivo reggente le tremule foglie del v. 5.
4 Nel giorno … la sera!: si osservi la costruzione a chiasmo dei
vv. 7-8.
5 Si devono…tenero e vivo: le stelle rappresentano per Pascoli
l’eternità. Il cielo “tenero” è simbolo anche qui la dimensione del 8 passaggio alla dimensione soggettiva
poeta, la sua vita provata dal dolore, “ferito” dai lampi. Catasteri- 9 al termine della sera
smo. È il perturbante freudiano: l’elemento sepolto e nascosto 10 garrula: di grida gioiose (ipallage)
dell’inconscio capace di causare turbamento e sofferenza, che la 11 voce di tenebra azzurra: regressione, conforto della madre
luce lampi lascia riaffiorare. nel suo grembo, fuga volontario dal presente, ricordo vivo
6 dolce singulto: il singhiozzo monotono del “rivo”, che al v. 11 è dell’infanzia e delle sofferenze derivanti dai drammatici lutti
addirittura “dolce” è, assieme alle nubi dorate del v. 20, tutto ciò familiari. Sono le voci delle campane, che provengono dal cielo,
che resta della tempesta diurna, e costituisce il momento di dunque dall’aldilà, richiamano cioè le voci dei propri cari che gli
passaggio alla sempre più esplicita espressione delle sensazioni cantano una specie di ninna-nanna nella quale si riascoltano i
dell’io lirico. dolci accenti materni. La Poesia è in grado di riunire sotto una
7 cirri: nubi presenti nelle alte quote, stratiformi, bianche e forma di interiorità l’Interno soggettivo del poeta con i particolari
sottili, particolarmente trasparenti. È qui che affiora l’inconscio e i dettagli dell’esistenza esterna. (Hegel)
del poeta. La poesia si rivela nella sua natura introspettiva, non 12 Mi sembrano … sera: è la momentanea regressione in
descrittiva. L’infinita (perché sembrava non aver più fine) un’infanzia felice, non ancora violata dai lutti familiari. Pascoli
tempesta è sfociata in un mormorio lieve e armonico. Dei fulmini ode per un attimo il soffio salvifico della voce materna che
fragili resta solo il loro riverbero dorato e arrossato nelle nuvole. svanisce però subito dopo.
Contenuto
La lirica descrive in modo impressionistico e fortemente connotativo la quiete serale dopo un giorno di
tempesta, in un paesaggio campestre alluso attraverso pochi semplici tratti.
La prima strofa contrappone i lampi del temporale diurno al prossimo "fiorire" delle stelle, mentre nei campi
gracidano le rane e una brezza fa frusciare le foglie dei pioppi. La seconda riprende la contrapposizione
tempesta diurna/quiete serale aggiungendo il particolare del «dolce» singhiozzo del ruscello, che ricompare
nella terza strofa, residuo della bufera. Proprio nella terza strofa la nube «più nera» è ora quella «più rosa», a
conferma che la sera porta il sollievo dopo il giorno. Nella quarta compare uno dei motivi fondamentali della
poesia pascoliana, il nido. I «nidi» sono i piccoli che attendono il cibo dai genitori: la sera serena consente
loro di ricevere finalmente un pasto sufficiente e per la gioia la cena è allietata dal chiasso degli uccellini.
L'identificazione tra i piccoli e il poeta è esplicita ai vv. 30-31, in cui egli afferma di non aver avuto a
sua volta «intera» la propria parte. La ragione della fame patita dai piccoli uccellini, su cui si innesta
l'identificazione del poeta, è la tempesta descritta all'inizio del componimento. Infatti la bufera ha impedito
ai genitori di procurare cibo sufficiente per i loro piccoli, che dunque accolgono trepidanti e festosi il pasto
serale. Pascoli si identifica con gli uccellini per il fatto di aver esperito a sua volta «la fame del povero giorno»
(v. 27) a causa della bufera che colpì la sua famiglia con l'uccisione del padre. Tuttavia, più che una «garrula
cena» (v. 28), a lui resta il ricordo dei morti e la regressione a sensazioni infantili.
Nell'ultima strofa il suono lugubre delle campane ricorda al poeta la madre defunta allorché lo accompagnava
bambino fino al sonno. Dunque attraverso la partecipazione emotiva al divenire della sera il poeta regredisce
fino alla condizione infantile (torna «com'era», v. 38).

Ciascuna strofa è composta da 7 novenari seguiti da un senario, con schema ABABCDCd. Ciascuna strofa
termina con la rima sera, con un procedimento anaforico che chiaramente insiste sull’oggetto della lirica.

Contrasto giorno/sera
L'opposizione tra giorno e sera simboleggia l'opposizione tra la vita stessa e il rifugio nei ricordi legati alla
famiglia d'origine. In questa lirica il giorno in effetti è il tempo della tempesta, e probabilmente della vita
stessa, mentre la sera costituisce il momento di riposo per lo «stanco dolore» (v. 21), quando i genitori
provvedono ai figli che ancora non sanno volare: condizione che per l'io lirico non esiste se non nel ricordo. Il
poeta infatti rievoca tramite le campane le nenie della madre defunta.

Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo.


L'elemento che attrae l'attenzione del poeta, poiché appunto vi vede ridotto tutto lo spavento della bufera, è
il «rivo» del v. 12. L'importanza del ruscello è dimostrata dal fatto che esso è ripreso per ben due volte a breve
distanza: dapprima nel «dolce singulto» del v. 15, preceduto dall'anafora «di tutto…/di tutta…» dei due versi
precedenti; di seguito ai vv. 17-18 dove l'«infinita» tempesta risulta «finita in un rivo canoro». In entrambe le
riprese dunque l'io lirico sembra quasi voler sottolineare per via di una vaga (ma non divertita) ironia che
tanto poco è rimasto di tutto lo spavento del giorno.

Onomatopee ed elementi fonosimbolici


Nel testo sono presenti due onomatopee: il gre gre delle ranelle al v. 4 (e l'insistenza sulla r si ripete nei due
versi successivi) e il Don… Don... delle campane al v. 33. Al v. 11 «allegre ranelle» è insieme allitterante e
onomatopeico. Al v. 13 il nesso «cupo tumulto» rende anche fonicamente il significato dell'espressione. Al v.
19 «fulmini fragili» è allitterante. Al v. 28 «garrula» è parola di per sé onomatopeica, come «sussurrano» al v.
34 e «bisbigliano» al v. 35. Allitterante, a significare forse la ripetizione dei suoni nelle nenie, la sequenza
«canti di culla, / che fanno ch'io torni com'era» (vv. 37-38), che presenta non a caso un ritmo regolare e
cadenzato, come del resto tutto il componimento nel suo complesso. Tutta l'ultima strofa con la quadruplice
anafora di «Dormi», che peraltro riprende la d di Don, descrive efficacemente il progressivo smorzarsi di un
suono, o meglio della sua percezione cosciente da parte del poeta-fanciullo. Infine il pronome mi, ripetuto
per ben tre volte nel giro di cinque versi (vv. 33-37), produce un effetto fonosimbolico che rimanda al mondo
e ai suoni della prima infanzia.

Figure retoriche
Al v. 5 troviamo una metafora e assieme una personificazione: la «gioia leggiera» è la brezza che sembra
trasmettere un fremito di gioia alle foglie. Al v. 9 le stelle metaforicamente «si devono aprire», come se
fossero corolle di fiori. Ai vv. 17-18 si registra l’antitesi tra «infinita» e «finita», che sottolinea come della
tempesta, che pareva interminabile, sia rimasto come unico segno un rivolo d’acqua. Al v. 19 in «fulmini
fragili» si può anche leggere una sinestesia tra tatto e vista. Al v. 20 «cirri di porpora e d’oro» sono espressioni
metaforiche e metonimiche, scambiando il colore con il materiale, che ovviamente non è quello di cui sono
fatte realmente le nubi. «O stanco dolore» (v. 21) è insieme apostrofe e metonimia: chi deve riposare non è il
dolore, ma chi lo ha provato. Al v. 29 «nidi» è la consueta metonimia con cui Pascoli indica i piccoli degli
uccelli non ancora in grado di spiccare il volo. Nell’ultima strofa «dicono/cantano … sussurrano/bisbigliano»
costituiscono un climax discendente, mentre «voci di tenebra azzurra» (v. 36), riferito al suono delle campane
vespertine, è una suggestiva sinestesia tra la vista e l’udito.

I motivi tipici della poesia di Pascoli: il legame con la famiglia d'origine e la regressione fino
all’infanzia
Nell'ultima strofa del componimento si concentrano temi e stilemi tipici di Pascoli. La stessa regressione
all'infanzia («fanno ch'io torni com'era»), oltre che al dato biografico dell'attaccamento alla famiglia d'origine,
precocemente disintegrata (la madre morì poco dopo il padre), non può non rimandare alla poetica del
«fanciullino», la cui presenza nell'animo del poeta gli consente di umanizzare la natura e di vedervi evocati
significati e ricordi. Con la rete di suoni e ripetizioni Pascoli riproduce efficacemente l'atmosfera cullante
della presenza materna prima del sonno, e il suono delle campane è ciò che fa rivivere questa sensazione al
poeta adulto, facendolo regredire alla condizione di fanciullo. Ma, come sappiamo, tornare all'infanzia nella
sola dimensione possibile, quella del ricordo, comporta anche la chiusura del poeta verso l'esterno e
l'esclusione dalla vita presente e futura. Dal punto di vista formale, oltre al fonosimbolismo e alla sinestesia
(«voci di tenebra azzurra»), si possono notare l'elementarità della sintassi, particolarmente evidente nel
ricorso ai puntini di sospensione, nel prevalere della paratassi e nella presenza di espressioni nominali (come
il sintagma che chiude la poesia).

Potrebbero piacerti anche