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Gli ebrei definiscono il cimitero “casa della vita” oppure “casa dei viventi”; la parola
“morte” viene molto spesso omessa perché, sempre secondo la tradizione ebraica, anche la
morte fa parte di un passaggio della vita ed il cimitero ne è la testimonianza assoluta. Dalle
espressioni usate per indicare il luogo appare chiaro che la morte nella concezione ebraica
rappresenta la porta della vita eterna. Si lega a questo concetto il fatto che le salme non
possono essere riesumate, devono restare per sempre nella sepoltura originale e il terreno
adibito a cimitero non può più essere usato per nessun’altra destinazione.
È assolutamente vietato disturbare i morti, rimuoverli o trasferirli altrove. E il rispetto
dei morti è così importante che il reperimento di uno spazio da adibire a cimitero e, in
seguito, il suo allestimento, costituiscono il primo dovere di una comunità ebraica che
decida di radicarsi in un determinato territorio. Il primo segno che un gruppo di ebrei ha
deciso di fermarsi in un posto.
Nei cimiteri ebraici italiani si incontrano prevalentemente due tipi di tombe: la lastra
tombale perpendicolare parzialmente interrata, chiamata stele, di tradizione askenazita,
oppure la tomba costituita da una lastra orizzontale, usata abitualmente dalle famiglie
d’origine sefardita. Per l’ebraismo non solo la sinagoga ma anche il cimitero rappresenta
quindi uno spazio identitario molto forte e in continuo dialogo tra questioni normativo -
religiose legate alla tradizione; i campi ebraici rappresentano quindi anche uno spaccato
della storia delle comunità oltre che essere, specialmente quelli più antichi,
romanticamente suggestivi.
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solo possibile fare supposizioni anche sulla localizzazione del cimitero ebraico nella nuova
Sabbioneta fatta edificare da Vespasiano Gonzaga. Sicuramente si trovava all’interno della
cinta muraria e, secondo lo storico Umberto Maffezzoli1, poteva essere nel cortile
dell’attuale edificio che ospita la sinagoga.
Col trascorrere degli anni il luogo di inumazione divenne troppo angusto per una
comunità in espansione, così fu deciso (non possiamo sapere quando) di iniziare ad
utilizzare un terreno posto fuori le mura.
Da un atto del 1735 stilato dal notaio Francesco Maria Velluti2 sappiamo che Gabriele
Foà dettò le proprie ultime volontà ordinando che il suo corpo venisse sepolto secondo il
rito ebraico nel luogo fuori Sabbioneta chiamato il Forcadizzo, “ove è consuetudine
seppellire gli ebrei”. Abbiamo poche indicazioni a proposito della località Forcadizzo ma, da
diversi indizi, è ipotizzabile che corrisponda alla posizione attuale.
In uno schizzo del catasto teresiano e nella lista delle case di proprietà ebraica (1788 -
mapp. 3857), il cimitero è indicato come “prato ad uso di cimitero”, ha una superficie di
poco inferiore a 1000 mq. e si trova esattamente dov'è ora, sulla strada verso Borgofreddo.
Nello stesso anno, dalla “Circolare alle università degli ebrei nella provincia di
Casalmaggiore”3 sappiamo che il cimitero si trovava fuori dell’abitato in conformità dei
regolamenti correnti ma che non aveva il prescritto muro di cinta alto “tre braccia milanesi”
(circa 1 metro e 80 cm) e un cancello di ingresso. Anche se una delle disposizioni prevedeva
la localizzazione a tramontana (a nord di Sabbioneta) il cimitero è in località Borgofreddo,
quindi a sud, e li resterà “non essendoci obiezione alcuna”4.
La conferma di questa indicazione ci viene dalle tavole d’estimo del Catasto Teresiano5
dalle quali apprendiamo che Ori Forti era proprietario del terreno insieme ai nipoti
Salomone, Israele e Isacco. Attraverso i documenti del catasto è possibile ricostruire i rami
della famiglia Forti proprietaria dei terreni su cui sorge il cimitero a cavallo tra la fine del
Settecento e l’inizio dell’Ottocento6: le intestazioni e i cambi di proprietà del piccolo lotto di
terreno si susseguirono anche successivamente rimanendo nell’ambito della famiglia Forti.
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Da un documento8 si apprende che il mappale 3856, cioè il campo utilizzato come
cimitero, fu unito al mappale 3857: la fusione crea l’area oggi occupata dal cimitero. La
notizia è interessante perché significa che il cimitero settecentesco era esattamente dove è
ora ma occupava solo la metà dell’area, quella entrando a destra attualmente priva di
lapidi.
La documentazione conservata presso l’archivio storico del comune di Sabbioneta e
presso l’Archivio di Stato di Mantova attesta, tra il 1811 e il 1813, i rapporti intercorsi tra il
prefetto del Mincio, il podestà di Sabbioneta e diversi esponenti della comunità ebraica
relativamente alla sistemazione e messa a norma del cimitero.
Il 7 febbraio del 1811 il prefetto informa il podestà che, a seguito del decreto del Regno
d’Italia del 3 gennaio dello stesso anno, si “fa obbligo a chiunque di notificare nel più breve
termine le morti e prescrive il modo della tumulazione dei cadaveri”9. Il 27 febbraio dello
stesso anno il prefetto chiede al podestà che “a spese dei professanti della religione ebraica
e a termini della disposizione reale, venga il cimitero, che serve alla tumulazione degli
israeliti, sollecitamente riparato”10.
A seguito di questa perentoria richiesta il podestà Visioli convocò gli esponenti della
comunità ebraica. Il 24 giugno del 1811 scrisse una lettera ai signori Isacco e fratelli Foà,
Isacco e fratelli Forti, Elia e fratelli Forti, Isacco Cantoni: “in conformità di quanto mi viene
ordinato dal sig. cav. Prefetto del Mincio, (…) di trattare dell’erezione del recinto al cimitero
(…) invito (…) a volere intervenire o mandare un suo rappresentante in questa sala comunale
il giorno di Lunedì 1 luglio (…)”11.
Alla riunione del primo di luglio parteciparono Isacco e Elia Forti e Isacco Cantoni. I
Forti, proprietari del terreno, dichiarano che il cimitero si trovava “in Borgo12 ed in remota
situazione essendo lontano tanto da caseggiati quanto dalle strade pubbliche”. Inoltre era
“cinto di una robusta siepe d’issopo13 in modo che non può entrarci alcuno”. L’unico
problema era che, secondo i Forti “mancano due pilastri ed un restrello per chiuderlo”14. La
proposta che gli ebrei fecero al Prefetto del Mincio fu quella di erigere a loro spese due
pilastri e di collocare un cancello di chiusura dell’area cimiteriale.
Il 15 luglio 1811 il podestà scrisse al prefetto del Mincio informandolo della situazione
del cimitero e di quanto stabilito durante l’incontro del primo luglio.15 Nel documento è
riportato che: il cimitero si trova in un luogo idoneo e lontano da strade ed abitazioni, è di
proprietà privata delle famiglie Forti, i proprietari hanno dichiarato che il cimitero è
circondato da una siepe di oppio alta più di due metri e quattro palmi e una volta costruito
8 ASMn, Catasto Teresiano, Sabbioneta, Tabella delle variazioni topografiche di riferimento dal vecchio al nuovo catasto, n. 1730. La
fusione avviene il 17 novembre 1806.
9 ASCS, b. 1, “Cimitero Israelitico”.
10 ASMn, Prefettura del Dipartimento del Mincio, b. 992.
11 ASCS, b. 1, “Cimitero israelitico”, doc. 254.
12 Frazione Borgofreddo.
13 L’issopo è un arbusto citato spesso nella Bibbia che però è troppo piccolo per essere usato per fare una recinzione. In altri documenti
viene usato il termine “oppio” che è probabilmente l’italianizzazione del termine dialettale mantovano “opi” che indica l’acero
campestre molto comune nelle nostre campagne.
14 ASCS, b. 1 “Cimitero israelitico”, doc. 250.
15 ASMn, Prefettura del dipartimento del Mincio, b. 992, 15 luglio 1811.
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un portone di rovere, sarà completamente inaccessibile. Il podestà informò inoltre il
prefetto di avere già fatto fare un sopralluogo e di aver dato disposizione perché entro il 28
agosto fosse realizzato il portone e rinforzati alcuni tratti della recinzione.
Il prefetto rispose tre giorni dopo comunicando che “il Reale Decreto del 3 gennaio 1811
(…) all’articolo 16 (…) prescrive che i cimiteri siano cinti di muri la cui altezza non può essere
minore di metri due, palmi quattro”16. Il prefetto non approvò quindi quanto era stato
concertato e ordinò che fossero adempiute al più presto le “sovrane prescrizioni”17. Il 16
agosto il podestà scrisse ai signori Forti informandoli di quanto stabilito dal prefetto 18.
L’ingiunzione non fu però accolta con molta sollecitudine tanto è vero che la convocazione
del podestà agli esponenti della comunità ebraica si fece attendere oltre due anni, e più
precisamente fino al 28 aprile del 181319.
Il 3 maggio del 1813 gli ebrei presero atto dell’ingiunzione e chiesero al podestà un mese
di tempo per poter consultare tutti gli esponenti della comunità e riferire la decisione
definitiva. Il podestà accettò stabilendo che la data definitiva per la risposta sarebbe stata il
1 giugno 181320. Le famiglie ebraiche presero tempo e così il 16 giugno del 1813 il podestà
sollecitò una risposta21, gli ebrei risposero di aver deciso come suddividere i costi dell’opera
e il podestà ingiunse di terminare il muro entro il 21 agosto “approfittando della corrente
buona stagione”22. Dai documenti disponibili non è chiara la data esatta ma, alla fine della
lunga diatriba tra prefetto, podestà e famiglie ebraiche, il muro venne finalmente costruito.
Nel 1820 risultarono esserci ancora “alcune irregolarità” definite come “una deformità nei
muri di cinta”23. Le difformità furono confermate dal sopralluogo del 2 ottobre 182024 e da
un altro documento in cui un certo ingegnere Solferini dichiarò che in certi punti il muro
era un po’ più basso di quanto stabilito dalla legge a causa delle “irregolarità del livello del
piano del campo”25.
Abbiamo una descrizione molto dettagliata del cimitero da parte dell’ingegnere Angelo
Cavicchini del 19 gennaio 183226; il documento, in una decina di punti, descrive ogni
aspetto del cimitero. Nel primo punto si sostiene che “(…) le tumulazioni vengono eseguite
senza osservanza di linee parallele successive da un capo all’altro del recinto (…) e nel
secondo che “ (…) l’area interna di questo cimitero oggi misurata è di quadrati metri 1554:48,
tutta disposta pelle tumulazioni (…)”. L’ingegnere Cavicchini si preoccupa di calcolare, in
base alla superficie del cimitero, del numero dei morti delle ultime decadi e dello spazio
necessario per ogni tumulazione, per quanto tempo potrà essere ancora utilizzato in
considerazione del fatto che la regola ebraica non permette esumazioni. Nel terzo punto si
sostiene che “(…) Si fanno l’escavazioni delle fosse in ogni ricorrenza di bisogno secondo la
dimensione delle casse mortuarie e senza alcun riguardo agli interspazi (…) ed anche non
osservata la prescritta profondità (…) mentre nel quarto si attesta che “(…) Il cimitero trovasi
custodito a chiave dal sagrista”.
L’ingegnere prosegue la sua relazione affermando che “(…) in causa delle irregolarità (…)
orizzontalità del piano intero combinatamente alla mancanza degli opportuni bocchetti al
piede del muro di recinto per l’opportuno scarico all’esterno del cimitero delle pluviali sono
queste costrette a ristagnarsi e a disperdersi per l’assorbimento al suolo stesso del cimitero a
pregiudizio (…)”. La nota prosegue ancora confermando che il muro di cinta è della
prescritta altezza e che “non vi (…) in questo cimitero la camera di custodia degli effetti
accessori alla tumulazione dei cadaveri ed atta al bisogno per qualche operazione
anatomica”.
Nell’ultimo punto si suggerisce di erigere un nuovo cimitero, una volta che tutta la
superficie sarà stata occupata, mentre nelle “Proposizioni di provvedimenti” finali
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l’ingegnere consiglia di mettere a norma il cimitero realizzando delle bocchette di scarico
per l’acqua alla base del muro perimetrico.
Il 22 luglio 1876 il sindaco Albertoni, scrivendo al prefetto di Mantova a proposito dei
cimiteri del territorio comunale informa che “il muro di cinta (…) del Cimitero Israelitico,
situato nella frazione Sabbioneta (?), (…) elevasi sopra terra (…) di metri lineari 2,61”27.
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Negli ultimi decenni dell’Ottocento la comunità ebraica di Sabbioneta inizia una lenta
decadenza, una riduzione progressiva del numero dei residenti che porterà allo
scioglimento agli inizi del secolo successivo.
Nel 1907 l’avvocato Emilio Forti, in considerazione del fatto che il numero dei membri
della comunità locale era molto ridotto e quasi nessuno risiedeva stabilmente a Sabbioneta,
propone di cedere tutti i beni alla Commissione Israelitica di Mantova29.
Una dichiarazione del sindaco, nello stesso anno, conferma che gli ebrei residenti
stabilmente sono solo otto e che la Sinagoga e il cimitero non erano più utilizzati.
Il passaggio di proprietà del cimitero non fu semplice, la cessione si compì solo sei anni
dopo, il 9 luglio 1913, con una delibera di accettazione della Commissione di Mantova.
Una minuta tratta dalla documentazione di quegli anni descrive il cimitero: “ ... di are
18, cent. 61, completamente cintato, ha la camera mortuaria, gode di un proprio stradello di
accesso alla strada pubblica” 30.
Gli accordi allegati alla cessione prevedevano che la Società Israelitica di Mantova
avrebbe dovuto “ ... provvedere alla conservazione del cimitero ...; per quanto riguarda il
cimitero l’obbligo della sua conservazione si intende perpetuo, qualunque sia la sorte
definitiva della comunità israelitica di Sabbioneta.”
In realtà, con lo scioglimento della centenaria comunità sabbionetana, il cimitero venne
abbandonato e cadde rapidamente in rovina.
29
Marida Brignani, Tra Cultura diritto e religione, Sinagoghe e cimiteri ebraici in Lombardia, pag. 289
30
Marida Brignani, Tra Cultura diritto e religione, Sinagoghe e cimiteri ebraici in Lombardia, pag. 289
31 Foto di Emanuele Pacifici, Roma.
32 A. MENINI, Sabbioneta: sistemato il cimitero israelitico, Gazzetta di Mantova 11 agosto 1990, p. 17.
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Figura 5: la situazione all’interno del cimitero nel 1982
Altri interventi risalgono all’estate del 2007: grazie all’apporto di Giuseppe Minera sono
state restaurate le epigrafi e la Pro Loco ha provveduto a riposizionare le ultime nove lapidi.
Ora anche queste ultime sono state fissate alle pareti insieme con le altre in modo tale da
permettere la facile visibilità e manutenzione.
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Figura 6: Giuseppe Minera durante i lavori di restauro delle lapidi
Il cimitero oggi
Si arriva al cimitero ebraico lasciando la città murata di Sabbioneta verso sud, oltre
Porta Imperiale, superando la strada provinciale e seguendo le indicazioni per la frazione di
Borgofreddo; dopo alcune centinaia di metri si imbocca una piccola strada a sinistra che
conduce in aperta campagna.
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Google Earth 2014.
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Figura 8: mappa catastale attuale
Il cimitero, oggi dismesso, è circondato per l’intero perimetro da un alto muro in mattoni
realizzato nel 1813, vi si accede attraverso un unico ingresso. All’epoca della realizzazione
del muro di cinta vi era “… un’apertura di porta fornita di due nuove imposte d’asse doppia
di rovere custodite a chiave dal sacrista …”34: quindi l’accesso avveniva tramite un portone
di legno, successivamente fu sostituito da un cancello in ferro battuto, purtroppo trafugato
durante il periodo di abbandono del cimitero e integrato con un altro, di più modesta
fattura, nel 1990. L’attuale cancello ha un’apertura che è circa il doppio di quella
originale35.
Dopo il recupero e il conseguente restauro negli anni Novanta del secolo scorso, le lapidi
integre superstiti sono state collocate nell’area a sud/est mentre quelle ritrovate disperse in
più punti sono state fissate, per ragioni conservative, sul muro perimetrale.
Un documento manoscritto, databile alla fine del XIX secolo36, ci fornisce una breve ma
interessante descrizione del cimitero dal quale sappiamo che l’area era quasi interamente
occupata da sepolcri, che le lapidi mortuarie sui tumuli erano poche, che in un angolo del
Cimitero a sinistra della porta d’ingresso esisteva una piccola stanza rustica con pozzo,
camerino e secchiaio, che era contornato da cinta in ottimo stato.
Da queste righe capiamo la ragione per la quale oggi la maggior parte dell’area su cui
sorge il cimitero è vuota e le lapidi marmoree sono poche: pur essendo stato, a fine
Ottocento, il cimitero interamente coperto da sepolcri, la maggior parte di essi non aveva la
lapide. Anche la “piccola stanza rustica” è scomparsa mentre c’è una traccia del pozzo, che
fino a pochi decenni fa era molto più ampio37. Probabilmente i manufatti servivano come
piccola camera mortuaria: in molti cimiteri vi è infatti una costruzione, familiarmente
chiamata “tempietto”, destinata alle preghiere per i defunti. Lasciando il cimitero è
obbligatorio lavarsi le mani38, per questo in prossimità dell’uscita è normalmente situata
una fontana, o un pozzo come nel nostro caso.
Complessivamente nel cimitero, uno dei più interessanti della Lombardia39, si contano
49 lapidi che coprono un arco temporale che va dal 1756 al 1937.
34 ASMn, Ingegneri, periti, agrimensori, b. 160, Processo verbale della visita eseguita questo giorno, 19 gennaio 1832, firma in calce
illeggibile.
35 Ringrazio per l’informazione Piergiuseppe Sarzi Amadè, Sabbioneta.
36 Collezione Vittorio Rossi, Sabbioneta. Il manoscritto non è datato ma, in base alla carta, al tipo di scrittura e al riferimento alla moglie
di Pio Foà, dovrebbe essere del periodo compreso tra il 1880 e la fine del secolo. La moglie di Pio Foà, di cui si fa cenno alla fine del
documento, era Beatrice Foà, figlia di Cesare e Clara Forti.
37 Ringrazio per l’informazione Piergiuseppe Sarzi Amadè, Sabbioneta.
38 L. SESTIERI, Ebraismo e cristianesimo, Edizioni Paoline, Milano 2001.
39
Tra Cultura diritto e religione, Sinagoghe e cimiteri ebraici in Lombardia, Corberi Sapori Editori, Milano, 2013.
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Una parte delle pietre tombali, le più antiche, riportano scritte in lingua ebraica, altre
sono bilingue, le più recenti solo in lingua italiana. Contrariamente al cimitero di Mantova
la lingua ebraica è rimasta in uso a Sabbioneta per quasi tutto il XIX secolo.
Il cimitero, come stabilito dagli accordi intercorsi nel 1913, è di proprietà della comunità
ebraica di Mantova, mentre l’Associazione Pro Loco di Sabbioneta si occupa della
manutenzione, dei restauri e delle visite.
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Archivio comune di Sabbioneta.
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Angelo Finzi
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Il restauro ha evidenziato il simbolo araldico della famiglia Foà. E’ invece purtroppo
andato perduto il simbolo della famiglia Forti che fu probabilmente visto da Cecil Roth 43
prima del saccheggio del cimitero.
Figura 13: simboli araldici della famiglia Foà e della famiglia Forti.
Questa lapide ha dato vita ad una vicenda tanto singolare quanto curiosa che inizia
negli anni Settanta del Novecento del secolo scorso quando il giovane architetto milanese
Stefano Valabrega viene inviato a fare un reportage fotografico nella Città Ideale di
43Scritti in memoria di Leone Carpi: saggi sull'ebraismo italiano / a cura di Daniel Carpi, Attilio Milano, Alexander Rofe. – Milano,
Gerusalemme, Fondazione Sally Mayer, 1967, pag. 176. La notizia ripresa da Elvio Giuditta, Araldica Ebraica in Italia, sito Internet
www.socistara.it.
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Vespasiano. Alla fine del lavoro, durante un sopralluogo nel territorio limitrofo, si imbatte
nella recinzione diroccata di un cimitero ebraico in stato di completo abbandono.
L’architetto nota un cumulo di marmi sepolto dalla vegetazione da cui spunta una
lapide, quella di Felice Foà; con l’intenzione di salvarla e di proteggerla da ulteriori
vandalismi, la carica in macchina per affidarla alla Comunità Ebraica di Milano. I
responsabili della Comunità consigliano Valabrega di riportare la lapide nel luogo
originario; indeciso sul da farsi per il timore che la lapide finisse perduta e per la mancanza
di chiarezza sul luogo esatto del ritrovamento preferisce continuare a custodirla.
La decisione sicuramente salva la lapide ma nel frattempo passano gli anni e il marmo
resta nel capoluogo lombardo. Solo nel 2011 Valabrega decide che è tempo di riportarla nel
luogo di origine e contatta Emanuele Colorni, presidente della Comunità Ebraica di
Mantova, per chiedere informazioni sulla presenza di cimiteri ebraici nel territorio limitrofo
a Sabbioneta.
Nel 2012, dopo alcuni decenni la lapide ha fatto ritorno nel cimitero d’origine,
consegnata dall’architetto Valabrega ad Alberto Sarzi Madidini in rappresentanza della
Associazione Pro Loco
Nel 2013 il cimitero e la zona circostante hanno fatto da set per alcune scene del film
“Felice nel box” della regista milanese Ghila Valabrega, figlia di Stefano, che racconta una
storia basata sulle vicende della lapide di Felice Foà.
Figura 15: protagonista (Aldo Stella) e regista (Ghila Valabrega) del film “Felice nel box”
Scopo del film è raccogliere fondi per il restauro del cimitero della Sinagoga di
Sabbioneta danneggiate dal terremoto del 2012.
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Speranza Foà
Vittorio Forti
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Alcune steli con foto sono presenti anche nel cimitero di Mantova.
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Enrichetta Forti Basevi
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Archivio storico del Comune di Sabbioneta, “Libro degli atti di morte della comunione ebraica”.
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Donato Leone Forti
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Nota
Questo scritto riprende ampi stralci dei miei precedenti elaborati sullo stesso
argomento:
• Il cimitero ebraico e le sue vicende storiche, Il giardino degli ebrei – cimiteri
ebraici del mantovano, a cura di Annamaria Mortari e Claudia Bonora Previdi,
Giuntina Editrice, Firenze, 2008, pp. 347-355.
• Gli ebrei a Sabbioneta, Vox Organalis, a cura di Giorgio Pavesi, Associazione
organistica Girolamo Cavazzoni Mantova, 2011, pp. 17-35
• L’itinerario ebraico, Sabbioneta e il suo territorio – guida per il visitatore, a
cura di Giovanni Sartori, Marcella Luzzara e Alberto Sarzi Madidini,
Associazione Pro Loco, Sabbioneta, 2013, pp. 113-120
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2014 / Alberto Sarzi Madidini / Sabbioneta
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