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5/2023 • mensile
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CONSIGLIO SCIENTIFICO
Rosario AITALA - Geminello ALVI - Marco ANSALDO - Alessandro ARESU - Giorgio ARFARAS
Angelo BOLAFFI - Aldo BONOMI - Edoardo BORIA - Mauro BUSSANI - Mario CALIGIURI - Vincenzo
CAMPORINI - Luciano CANFORA - Antonella CARUSO - Claudio CERRETI - Gabriele CIAMPI - Furio
COLOMBO - Giuseppe CUCCHI - Marta DASSÙ - Ilvo DIAMANTI - Germano DOTTORI - Dario FABBRI
Luigi Vittorio FERRARIS - Marco FILONI - Federico FUBINI - Ernesto GALLI della LOGGIA - Laris
GAISER - Carlo JEAN - Enrico LETTA - Ricardo Franco LEVI - Mario G. LOSANO - Didier LUCAS
Francesco MARGIOTTA BROGLIO - Fabrizio MARONTA - Maurizio MARTELLINI - Fabio MINI
Luca MUSCARÀ - Massimo NICOLAZZI - Vincenzo PAGLIA - Maria Paola PAGNINI - Angelo
PANEBIANCO - Margherita PAOLINI - Giandomenico PICCO - Lapo PISTELLI - Romano PRODI
Federico RAMPINI - Bernardino REGAZZONI - Andrea RICCARDI - Adriano ROCCUCCI - Sergio
ROMANO - Gian Enrico RUSCONI - Giuseppe SACCO - Franco SALVATORI - Stefano SILVESTRI
Francesco SISCI - Marcello SPAGNULO - Mattia TOALDO - Roberto TOSCANO - Giulio TREMONTI
Marco VIGEVANI - Maurizio VIROLI - Antonio ZANARDI LANDI - Luigi ZANDA
CONSIGLIO REDAZIONALE
Flavio ALIVERNINI - Luciano ANTONETTI - Marco ANTONSICH - Federigo ARGENTIERI - Andrée BACHOUD
Guido BARENDSON - Pierluigi BATTISTA - Andrea BIANCHI - Stefano BIANCHINI - Nicolò CARNIMEO
Roberto CARPANO - Giorgio CUSCITO - Andrea DAMASCELLI - Federico D’AGOSTINO - Emanuela C. DEL RE
Alberto DE SANCTIS - Alfonso DESIDERIO - Lorenzo DI MURO - Federico EICHBERG - Ezio FERRANTE
Włodek GOLDKORN - Franz GUSTINCICH - Virgilio ILARI - Arjan KONOMI - Niccolò LOCATELLI - Marco MAGNANI
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Francesco MAIELLO - Luca MAINOLDI - Roberto MENOTTI - Paolo MORAWSKI - Roberto NOCELLA - Lorenzo NOTO
Giovanni ORFEI - Federico PETRONI - David POLANSKY - Alessandro POLITI - Sandra PUCCINI - Benedetta RIZZO
Angelantonio ROSATO - Enzo TRAVERSO - Fabio TURATO - Charles URJEWICZ - Pietro VERONESE
Livio ZACCAGNINI
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EDITORIALE
7 Storia all’Ucraina! (in appendice: Giuseppe DE RUVO
Preistoria delle forze speciali in Ucraina)
LIMES IN PIÙ
291 Henry KISSINGER - ‘Il calcio è l’incarnazione dell’esperienza umana’
AUTORI
293
295
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LEZIONI UCRAINE
1. «Henry Kissinger explains how to avoid world war three», The Economist, 17/5/2023. 7
STORIA ALL’UCRAINA!
2. H.A. KISSINGER, A World Restored: Metternich, Castlereagh and the Problems of Peace,
8 1812-22, Brattleboro (Vermont, Usa) 2013, Echo Points Book & Media, p. 66.
LEZIONI UCRAINE
nella terra di Kiev, fra le nebbie di guerra. Qui si decide, in buona parte,
il nostro futuro.
FEDERAZIONE RUSSA
2.852.395
STORIA ALL’UCRAINA!
Primi 10 paesi
per accoglienza Mosca
rifugiati ucraini
1. FEDERAZIONE RUSSA REGNO UNITO
2. POLONIA 203.700
3. GERMANIA
4. REP. CECA GERMANIA POLONIA
5. REGNO UNITO 1.061.623 1.593.860
6. SPAGNA OCEANO REP. CECA UCRAINA
7. ITALIA ATLANTICO 516.100
8. FRANCIA FRANCIA M
9. SLOVACCHIA 118.994 ar
10. MOLDOVA
C
ITALIA
175.107
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MOLDOVA
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107.645 M a r N e r o
SLOVACCHIA
SPAGNA 114.628
175.962
31 CROAZIA 21.640
32 CIPRO 16.281
PAESI E NUMERO DI RIFUGIATI UCRAINI 33 SLOVENIA 9.397
11 ROMANIA 97.085 21 BULGARIA 49.826 34 MACEDONIA N. 6.768
12 AUSTRIA 96.766 22 FINLANDIA 47.067 35 LUSSEMBURGO 6.756
13 TURCHIA 95.874 23 NORVEGIA 45.238 36 AZERBAIGIAN 4.764
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Le guerre per procura che si giocano sulla pelle degli ucraini sono
due. La più diretta lega il manager Usa al player ucraino. La più indiret-
ta e contestata, ma strategicamente decisiva, pone la Russia sotto Pechi-
no. Senza il peloso sostegno di Xi Jinping l’amico Putin sarebbe rovinato.
Come in ogni relazione gerarchica, il dipendente può usare il prin-
cipale. Fino a un certo punto. Se per disperazione Zelens’kyj decides-
se di intensifcare ulteriormente le incursioni e gli attacchi di droni in
territorio russo, metterebbe nei guai l’America. Quindi sé stesso. Perché
fra rischiare il duello atomico con Mosca e abbandonare Kiev al suo
destino Washington diffcilmente opterebbe per la prima ipotesi. Quanto
alla stranissima coppia eurasiatica, Putin conta sulla necessità per Xi di
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di Nerčinsk, 1689
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nelle mappe russe . Us Confne disegnato
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A CINA
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Jiamusi
Territorio guadagnato
dalla Russia con il
trattato di Pechino, 1860
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Vladivostok e
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COREA GIAPPONE
LEZIONI UCRAINE
sulla ricerca di una vittoria militare totale che potrebbe svelarsi vitto-
ria di Pirro. (…) L’Ucraina non deve rischiare di autodistruggersi per
raggiungere obiettivi che probabilmente sono fuori della sua portata».
Dunque «non è necessario recuperare il pieno controllo della Crimea
e del Donbas a breve termine». Il cessate-il-fuoco sarà fssato lungo la
linea di contatto determinata dalla controffensiva, via zona smilitariz-
zata sorvegliata da una forza di interposizione Onu od Osce, con il
supporto delle maggiori potenze, Cina e India incluse. Seguiranno col-
loqui di pace su binari paralleli: russo-ucraino, fondato sul principio
che la defnizione legale del confne fra i due paesi va rinviata, e russo-
euroatlantico, per tracciare una «più ampia architettura di sicurezza
in Europa», che porterebbe alla totale abolizione delle sanzioni. Intanto,
per convincere Putin alla tregua, Biden «potrebbe anche offrire qualche
limitata riduzione delle sanzioni».
Haass e Kupchan sono fn troppo chiari con Zelens’kyj: «La pace
in Ucraina non può fnire ostaggio di obiettivi bellici che, per quanto
moralmente giustifcati, sono inattingibili. (…) Per oltre un anno l’Oc-
cidente ha concesso all’Ucraina di defnire il successo e stabilire i nostri
scopi di guerra. Questa politica (…) è ormai fuori corso. Non è saggia,
perché gli obiettivi dell’Ucraina stanno configgendo con altri interessi
dell’Occidente. (…) Gli Stati Uniti devono riconoscere che una defnizio-
ne massimale degli interessi in gioco ha prodotto una politica sempre più
contrastante con altre nostre priorità» 3.
Nelle ultime settimane, l’amministrazione ha comunicato la svolta
a Zelens’kyj. Nella forma non è ultimatum. Lo è nella sostanza, posto
che senza il sostegno americano l’Ucraina è fnita. Per chiarezza, Blin-
3. R. HAASS, C. KUPCHAN, «The West Needs a New Strategy in Ukraine», Foreign Affairs,
13/4/2023. 15
STORIA ALL’UCRAINA!
piani.
Il primo concerne il nuovo confne fra Russia e Ucraina, inteso
provvisorio perché disegnato solo dalle armi, con il retropensiero che
potrebbe svelarsi «eterno». Mosca conserverebbe il Donbas. Zelens’kyj è
interessato a recuperare le oblast’ di Zaporižžja, con la sua centrale
nucleare, e Kherson per tenere sotto schiaffo la Crimea, mentre valuta le
repubblichine di Luhans’k e Donec’k, semidistrutte e piene di russofli,
rinunciabile zavorra. Della base navale russa a Sebastopoli, inscritta
nella penisola crimeana, nemmeno si discute.
Il criterio di tale spartizione è il fattore umano, non lo spazio fsico.
Ogni Stato controllerà territori abbastanza omogenei perché non ha la
forza di gestire minoranze corpose e probabilmente bellicose.
Il secondo riguarda il rapporto tra Impero europeo dell’America
(Nato) e Ucraina. D’accordo con la Vecchia Europa franco-tedesca e
contro i satelliti dell’Est, Polonia e baltici su tutti, Washington con Lon-
dra rinvia a tempo indeterminato l’ammissione dell’Ucraina nella Nato.
Motivo: alla prova del fuoco, l’America ha scoperto di non poter rischia-
re la pelle per Kiev. Se l’Ucraina fosse nella Nato oggi l’America sarebbe
in guerra contro la Russia. O lo sarebbe stata, insieme al resto del piane-
ta, trattandosi di vertenza al grado atomico.
L’articolo 5 del Patto Atlantico che in lettura evolutiva – oggi fuori
moda – implicherebbe la disponibilità a difendere l’Ucraina dalla Rus-
sia, potenza nucleare, pare dunque troppo impegnativo a Biden. Il crite-
rio decisivo per associare uno Stato all’Alleanza è sempre stato secondo
Washington non la sua utilità alla difesa comune, assunta più o meno
minima, ma la necessità americana di difenderlo perché non cada in
mano russa (sovietica). Ragione per cui, fra l’altro, la non-atlantica Ita-
16 lia fu accettata nella Nato alla fondazione.
Supporto Legione
internazionale
3.800 satelliti SpaceX (Starlink) 1- LA LINEA DI CONTATTO
sul campo
di paesi 6 satelliti ottici (Maxar Technologies) CON IL MONDO
europei copertura 60% del pianeta ogni mese
(passaggi multipli ogni giorno sullo stesso territorio)
Linea di contatto
Mar d’Azov Fortificazioni russe (denti di drago)
Mar Nero Filo spinato e trincee russe
CR I M EA Area paludosa poco adatta
(FEDERAZIONE a operazioni militari
RUSSA) Area di Bakhmut priva di fortificazioni
e penetrabile
Fonte: Liveaumap, autori di Limes
2 - FAGLIE EUROPEE NELLA GUERRA D’UCRAINA AREA RUSSA
FINLANDIA Fed. Russa e Bielorussia
UNITO NORVEGIA
NUOVA CORTINA DI FERRO GNO Territori controllati dalla Russia
RE
SVEZIA FEDERAZIONE RUSSA Territori florussi
GUERRE IN CORSO EST.
PAESI BASSI Transnistria
BELGIO LETT. Rep. Popolari del Donbas
IRLANDA LUSSEMB. DANIMARCA Abkhazia
LIT.
Ossezia del Sud
Oceano Berlino BIELORUSSIA
Atlantico POLONIA KAZAKISTAN
GERMANIA UZB.
Parigi REP. CECA UCRAINA
SLOV. Aspirante avanguardia
antirussa
SVIZZ.
AUSTRIA MOLD. M
FRANCIA UNGH. a
SLOV. ROMANIA
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ITALIA CROAZIA
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GEORGIA
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PORTOGALLO
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Madrid MON.KOS. BULGARIA
Roma MAC
SPAGNA
ALB. D. N. TURCHIA
GRECIA Potenza autocentrata IRAN
Mar Mediterraneo e in espansione IRAQ
SI A
CIPRO LIB.
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TUNI
Quadrilatero del dialogo Potenza in riarmo in funzione antiturca
GIORD.
di sicurezza euroccidentale
Finti neutri Irlanda candidata all’Anglosfera
ISR.
Stati dell’EuroQuad
Balcani atlantici LIBIA Moldova ultimo cuscinetto?
Perni dell’EuroQuad
EGITTO
Possibili soci dell’EuroQuad Perno pro Usa vs Russia e Germania Tutore occidentale antirusso
GERMANIA OVEST
GERMANIA EST
3 - L’ESPANSIONE VERSO EST DELLA NATO
REP. CECA ISLANDA 1949 2020
SLOVACCHIA Mar di Norvegia
1952 2023
UNGHERIA
ROMANIA 1955 Possibile
BULGARIA NORVEGIA integrazione
1982 nella Nato in stallo
SLOVENIA
ALBANIA FINLANDIA 1990 In procinto di
10 IRLANDA entrare nella Nato
1999
11 SVIZZERA Oceano A SERBIA
SVEZIA 2004
12 AUSTRIA Atlantico B BOSNIA-ERZEGOVINA
13 FEDERAZIONE RUSSA REGNO ESTONIA
2009 C MONTENEGRO
UNITO
LETTONIA FEDERAZIONE RUSSA D KOSOVO
10 2017
DANIMARCA E MACEDONIA DEL
LITUANIA NORD
PAESI BASSI 13
BELGIO
LUSSEMBURGO BIELORUSSIA
POLONIA
UCRAINA
(paese in guerra)
PORTOGALLO
FRANCIA 12
11
Mar
Caspio
ITALIA
CROAZIA
A Mar Nero GEORGIA
B
SPAGNA
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D
C E
TURCHIA
Mar Mediterraneo
GRECIA
4 - LA RUS’ DI KIEV 964-1242
Mar di Barents
Rus’ di Kiev (1054)
Altre regioni sotto il controllo
della Rus’ di Kiev tra il X e il XII secolo
Principati russi (1200)
Invasioni peceneghe e cumane
Invasioni mongole
Ucraina attuale
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Ladoga Onega Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
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ORDINE SMOLENSK Mosca
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Grodno Minsk Kozel’sk
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Novgorod Severskij
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KIEV
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Galič Doneck
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Peresečen
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LUSS. 2 Mosca Kaliningrad (Fed. Russa)
t l ant
Transnistria (florussa)
A
3 Russia e Bielorussia
o
un solo esercito Crimea (Fed. Russa)
La g
REGNO Minsk Abkhazia (florussa)
UNITO BIELORUSSIA Ossezia del Sud (florussa)
POLONIA
Cortina di ferro
(Guerra fredda 1949-89)
FRANCIA REP. CECA UCRAINA Cortina di acciaio
GERMANIA 4 b (Nato vs Russia oggi)
b Cortina di fuoco
5 b (Fronte russo e bielorusso-ucraino)
6 7 ROMANIA
ITALIA
PORTOGALLO
La
Lago turco-russo
g
SPAGNA
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BULGARIA (Domani atlantico?)
At
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n
9
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ESTONIA-1 SLOVENIA-6 n° GRECIA TURCHIA
2
LETTONIA-2 CROAZIA-7 Triangolo di Lublino
LITUANIA-3 MONTENEGRO-8 Gruppi di battaglia
SLOVACCHIA-4 ALBANIA-9 b Gruppi di battaglia in formazione
UNGHERIA-5
Territorio ucraino
6 - LA NATO AMERICANA È MOLTO POLACCA occupato dalla Russia
CAOSLANDIA
7 - CAOSLANDIA (VERSUS ORDOLANDIA) Area di massima concentrazione
dei confitti, del terrorismo
LIMES INTERMARIUM e della dissoluzione degli Stati
Linea di faglia tra Nato e Russia
compresa tra il Mar Baltico e il Mar Nero
FEDERAZIONE RUSSA
C AOSLA
FAGLIA MEDITERRANEA ND
Confne tra il mondo I
A
dell’ordine e Caoslandia
CA
OS
LA Area di crisi
Confitti e instabilità siro-irachene ND del Levante
IA
CA
Invasione russa dell’Ucraina Guerra nella Repubblica Democratica del Congo FED. RUSSA
Kashmir conteso Instabilità islamista nel Caucaso del Nord
CINA
Instabilità del Balucistan (Pakistan e Iran) Instabilità nel Xinjiang (Cina)
Insorgenza e repressione organizzazioni etniche armate Confitti locali in India Coprotagonisti:
Tensione israelo-palestinese Insurrezioni islamiste/separatiste nelle Filippine e in Malaysia GERMANIA FRANCIA
Guerra civile nel Mali Guerra della droga (basi logistiche dei cartelli messicani della droga)
TURCHIA IRAN
Instabilità nel Sahel Formazioni jihadiste attive (Ǧamā‘a aI-Islāmiyya e Abū Sayyāf) Libia turca GIAPPONE
Gruppi islamisti e mafe del deserto Confitto Armenia-Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh Libia russa
8 - IL MONDO CHE (NON) SOSTIENE L’UCRAINA Germania 3,57 Polonia 2,4
Poligono di tiro di Grafenwöhr Veterani forze speciali di Varsavia,
(in miliardi di euro) per addestramento di migliaia intelligence e sabotaggio in Ucraina.
Danimarca 0,8 di soldati ucraini Circa 10 mila combattenti polacchi
partecipano al confitto (stima)
Norvegia 1,26
Istituzioni Svezia 1,13
dell’Ue 3,6
Estonia-Lettonia-Lituania
Canada 1,38 Regno Unito 6,6 Principali aree di provenienza
dei combattenti della
Paesi Bassi 2,36 Legione internazionale di difesa
Irlanda 0,10 territoriale dell'Ucraina
4. Cfr. nota 1
5. Così il suo ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, cfr. B. HALL, «The Russo-Ukrainian War –
Turning points», Financial Times, 11/5/2023. 17
STORIA ALL’UCRAINA!
da dentro, gli suggerisce con tono fra il neutro e l’arrogante che stanti i
rapporti di forza – i soldati ucraini spendibili oggi al fronte sono la metà
dei russi – converrebbe sospendere l’inutile strage, oppone la determi-
nazione a non arrendersi. Con sovrappiù di orgoglio slavo che nei sof-
fci salotti euroccidentali risulta incomprensibile. A sostenerne l’impeto
restano baltici e polacchi. I quali fanno balenare ai coraggiosi ucraini
il ricordo per loro sempre contemporaneo del «miracolo della Vistola»
(agosto 1920), quando l’esercito guidato da Józef Piłsudski sbaragliò
l’Armata Rossa in procinto di saccheggiare Varsavia. Perché disperare
nel «miracolo del Dnepr», con le avanguardie ucraine che penetrano tra
Kherson e Zaporižžja per isolare la Crimea?
PUTIN ZELENS’KYJ
L’Ucraina non esiste, è Russia L’Ucraina ha mille anni (Rus’ di Kiev)
La Russia è sé stessa. Punto La Russia è l’Altro. Eterno nemico
Abbiamo una missione universale Proteggiamo l’Europa da Mosca
KAZAKISTAN
Rep. Soc. Sov. 1936
GEORGIA Indipendenza 16/12/1991
Rep. Soc. Sov. 1922
Indipendenza 9/4/1991
ARMENIA
Rep. Soc. Sov. 1922
Indipendenza 23/8/1990 TURKMENISTAN
AZERBAIGIAN Rep. Soc. Sov. 1924
Rep. Soc. Sov. 1922 Indipendenza 27/10/1991 UZBEKISTAN
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
8. Ibidem.
9. Cit. in M. VON HAGEN, «Does Ukraine Have a History?», Slavic Review, Autumn, vol. 54, n.
22 3, 1995, p. 665 nota 23.
LEZIONI UCRAINE
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4 3
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Kalisz Varsavia Gomel’
Brest-Litovsk
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MINSK 5 SYEDLITZ
Łódź Syedlitz Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
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Piotrków Radom ČERNIGOV
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7
Kielce Lublino Černigov 8 KIELCE
8 VOLINIA
Žitomir Kiev
PERCENTUALE DI EBREI PER REGIONE P O LTAVA Kharkov
Poltava 4,02 % Podolia 12,15 % Berdičev Poltava KHARKOV
Tauride 4,57 % Kherson 12,32 % PODOLIA KIE V Kremenčug
Ekaterinoslav 4,77 % Vilnius 12,90 % Kamenec-Podol’skij
Černigov 4,99 % Volinia 13,31 % Ekaterinoslav
Elisavetgrad E K A T E R I N O S L A V
Kalisz 8,59 % Kaunas 13,71 %
Płock 9,13 % Radom 13,89 %
KHERSON
Suwałki 10,09 % Łomża 15,69 % Kišinëv
Kielce 10,82 % Minsk 15,77 % Odessa Nikolaev TAURIDE
Bessarabia 11,65 % Piotrków 15,83 % Kherson
Vitebsk 11,80 % Syedlitz 15,84 % BESSARABIA Mar d’Azov
Mogilev 11,92 % Grodno 17,28 %
Kiev 12,03 % Varsavia 18,12 % Sinferopoli
Dal 4% al 5% Dal 12% al 14%
Dall’8% al 10% Dal 14% al 16% Sebastopoli
Dal 10% al 12% Dal 17% in su Mar Nero
Fonte: The Jewish Encyclopedia, New York, London 1901, Singer, Funk and Wagner
dell’Urss gli ucraini siano stati oppressi dagli imperi russo, polacco-litua-
no e asburgico che ne spartirono il territorio e martirizzarono le genti.
Come in altri popoli sfortunati, l’accento cade sulle sconftte e sulle ves-
sazioni subìte da potenze maligne, culminate nella spaventosa strage
per fame nota come Holodomor (1932-33), classifcata genocidio per
mano sovietica nel canone prevalente. Revisione avviata dagli stessi sto-
rici ucraino-sovietici che fno agli anni Ottanta negavano persino la
carestia, al massimo evocando «diffcoltà di alimentazione». Salvo poi,
in età gorbacioviana e nei primi anni di indipendenza, virare verso il
genocidio rispolverando gli argomenti dei colleghi «nazionalisti borghe- 23
STORIA ALL’UCRAINA!
10. Cfr. G. KASIANOV, Memory Crash, Budapest 2022, Central European University Press, p.
184. Fra i voltagabbana, l’autore cita tra gli altri Stanislav Kulchytsky e Vasyl Marochko.
11. Ivi, p. 178.
12. Cfr. R. SZPORLUK, «Ukraine: From an Imperial Periphery to a Sovereign State», Daedalus,
vol. 126, n. 23, Summer 1997, pp. 85-119.
24 13. Cfr. O. GAIDAI, «Leninfall in Ukraine», Harvard Ukrainian Studies, n. 1-2/2021, pp. 45-70.
LEZIONI UCRAINE
14. S.P. HUNTINGTON, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano 1997, Gar-
zanti, pp. 239-40. 25
STORIA ALL’UCRAINA!
Non prendiamo troppo sul serio le frontiere di civiltà. Quel che conta
non è quanto siano pregnanti. Decisivo è il persistere del dualismo noi/
altri nelle rappresentazioni mediatizzate del popolo e delle élite ucraine
rispetto ai russi, ancor più nella strumentale percezione dell’Ucraina da
parte delle potenze esterne. Mentre esaltano i «valori comuni» ed esorta-
no i patrioti ucraini a battersi contro la barbarie russa anche per nostro
conto, fra i decisori occidentali permane un fondo di cinismo fglio di
rappresentazioni geopolitiche e stereotipi etnici maturati nei secoli. Pas-
sato che dà tono al presente. Percepibile se alziamo lo sguardo dalla
scala ucraina a quella eurasiatica e di qui alla mondiale, mentre sca-
viamo le origini del canone che vuole i popoli europei e atlantici dotatiCopia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
15. Cfr. G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla flosofa della storia, Roma-Bari 2003, Laterza.
26 16. Ivi, p. 76.
LEZIONI UCRAINE
disputato sul comunismo quasi fosse solo flosofa politica e non anche
geopolitica applicata, ne restiamo sorpresi. Gli ucraini, come i polacchi e
gli altri popoli della Zwischeneuropa – l’Europa in Mezzo, fra Germania
e Russia – coltivano un’idea più concreta di che cosa fosse il comuni-
smo. Se sei stato cavia una volta preferisci risparmiarti le repliche. La
damnatio memoriae di Marx e derivati è condotta con acribia.
I fondatori del comunismo scientifco erano meno universalisti e più
nazionalisti di quanto usiamo credere. O, se si preferisce, pensavano un
universo meno universale dell’universo. Lo storicismo metafsico di Hegel
convivrà in Marx, soprattutto in Engels e poi nella gran parte del movimento
comunista e socialdemocratico tedesco con anticipazioni e tracce del dar-
winismo sociale a sfondo razzista corrente nell’Europa, nell’Inghilterra e
nell’America del secondo Ottocento. (Fra qualche anno ne perderemo ogni
cognizione se nelle accademie nostrane prevarrà l’insostenibile «correttez-
za».) Nel loro internazionalismo c’era molta Germania, nazione di cultura
se mai una, e nessuna considerazione per gli slavi. Intenso l’odio per i russi,
tra i quali al tempo erano da annoverare gli abitanti dell’odierna terra
ucraina, spartiti fra Asburgo e Romanov. Certo, Marx ed Engels deplorava-
no gli zar, portabandiera della reazione. Ma poi fnivano inconsciamente
per riscattarli, giacché reggevano un popolo «intrinsecamente barbaro», che
«sa solo portare le catene rispettosamente». Marx dixit 17. In Engels una pun-
ta ucrainofoba supplementare: «E per quanto riguarda le antiche province
polacche da questo lato della Dvina e del Dnepr, non ho più voluto sentirne
parlare da quando ho saputo che tutti i contadini sono ucraini (…)» 18.
17. Cfr. Carlo Marx contro la Russia, antologia di scritti marxiani prefata da A. POPA, Milano
1971, «Il Borghese».
18. Cit. in G. HAUPT, C. WEIL, «L’eredità di Marx ed Engels e la questione nazionale», Studi
28 Storici, anno 15, n. 2, aprile-giugno 1974, p. 304.
LEZIONI UCRAINE
23. Lettera di K. KAUTSKY a F. ENGELS, 11/5/1882, in Friedrich Engels Briefwechsel mit Karl
Kautsky, Wien 1955, Danubia, p. 56. Immaginiamo l’irritazione postuma di Engels nello
scoprirsi pubblicata la corrispondenza con il suo ex segretario da una casa editrice intito-
lata al «fume reazionario».
24. F. ENGELS, «Il panslavismo democratico», in K. MARX, F. ENGELS, Il Quarantotto. La «Neue
Rheinische Zeitung», Firenze 1970, La Nuova Italia, p. 212.
25. Cfr. «L’importanza di non essere globali», editoriale di Limes, «Il bluff globale», n. 4/2023,
30 pp. 7-32.
LEZIONI UCRAINE
detta. Siamo sulla soglia che separa il nostro Nord dal Sud del mon-
do. Dove Ordolandia sfuma in Caoslandia (carta a colori 7). Il rifuto
del «Sud Globale» di allinearsi compatto all’Occidente nella condanna
dell’aggressione russa, la disponibilità ad accogliere con pragmatica
comprensione i messi di Putin o Xi in missione di propaganda e reclu-
tamento fra America Latina, Africa e Asie varie, India inclusa, avverte
di quel che accadrà se continueremo a parlarci addosso (carta a colori
8). Verremmo meno a noi stessi se non facessimo più del possibile per ri-
cucire questa ferita, prima che il caos dilaghi nel sempre meno ordinato
ordine europeo, risvegliandone i fantasmi.
Non siamo soli al mondo e l’America, nostro faro, non è più ricono-
sciuta misura di tutte le cose perché ha smesso di crederci. Forse potrem-
mo restituirle qualcosa del molto che ci ha dato assumendoci, nel nostro
interesse, le responsabilità cui abbiamo abdicato sognando la stabilità
permanente. L’Occidente è nato qui. E qui ha imparato che non è il tutto.
L’America l’ha dimenticato e noi tutti occidentali ne paghiamo il conto.
Fra le tante lezioni che potremmo trarre dall’Ucraina questa è dirimente.
A noi come agli altri veteroeuropei e mediterranei di riscoprire il
nostro meglio: l’arte della diplomazia. Non solo negoziato in extremis,
antincendio quando si è a un millimetro dalla guerra. Abbiamo – o
avevamo? – talento diverso. Vocazione all’equilibrio, diffdenza per il
bianconero, gusto per le sfumature che colorano incontri e scontri fra
storie e civiltà diverse. Scambio permanente tra chi nell’altro riconosce
un diverso sé stesso.
Ma Italia esita. Il nostro soliloquio è silenzio per gli altri. Ci qualifca
non pervenuti. Per sempre?
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LEZIONI UCRAINE
Già nel 1957, come prevedibile, erano le regioni della Galizia orientale – di
tono essenzialmente mitteleuropeo – a manifestare il grado maggiore di russo-
fobia (area 2). L’intelligence statunitense notava che in queste zone erano infat-
ti già attive delle bande armate in grado di compiere azioni di resistenza con-
tro i sovietici, le quali potevano essere facilmente afƓancate da forze speciali
americane. La Galizia, culturalmente refrattaria ad assimilarsi al modello sovie-
tico, si conƓgurava dunque come potenziale centro della presenza americana
in Ucraina. Unica pecca, i rapporti a volte difƓcili tra i gruppi nazionalisti polac-
chi e quelli ucraini, che rivendicavano entrambi la regione. Tuttavia, nota la Cia,
su una cosa polacchi e ucraini erano (e sono) d’accordo: la Galizia non è Russia.
Guai, però, a chiedere di chi altro sia.
Discorso speculare potrebbe essere fatto per la Volinia (area 3), la quale però
– per via di una più nutrita presenza russa e bielorussa – risultava in linea di
massima meno russofoba.
Anche la Transcarpazia (area 1) si conƓgurava come una regione non total-
mente assimilata al modello sovietico, dunque adatta ad accogliere forze spe-
ciali americane. Inoltre, la natura montuosa e boschiva del territorio avrebbe
offerto riparo e copertura alle truppe statunitensi, che avrebbero potuto con-
tare anche sull’aiuto di bande armate simili a quelle operanti in Galizia, per
quanto meno numerose e organizzate.
La regione di Kiev (area 4), invece, aveva la caratteristica di essere abitata per il
50% da persone etnicamente ucraine, ed era dunque considerata adatta per
operazioni di spionaggio e di raccolta d’informazioni. Forze speciali dovevano
essere inviate anche a nord-ovest della capitale, ma non a sud-est, date le strut-
turali difƓcoltà di nascondere a lungo le truppe nella pianura alluvionale del
Dnepr.
Da ultimo, l’intelligence americana riteneva opportuno inviare forze speciali
anche nel Sud della Crimea (area 5). Sebbene la penisola fosse sotto il pieno
controllo sovietico, le catene montuose avrebbero comunque offerto riparo
1. «Resistance Factors and Special Forces Areas. Ukraine», Central Intelligence Agency, ago-
sto 1957, Secret. Ampie parti del documento restano secretate.
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Porti importanti L’UCRAINA DELLA CIA
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russa e bielorussa
LEZIONI UCRAINE
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LEZIONI UCRAINE
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Parte I
COME e PERCHÉ
l’ UCRAINA RESISTE
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LEZIONI UCRAINE
CHI E COME
DECIDE
IN UCRAINA di Fulvio SCAGLIONE
tari del 2019. Tanto più che era già «sopravvissuto» al grande repulisti post-Jevro-
majdan. Nel 2015 era stato lanciato il Piano di azione per la riforma della Giustizia
(poi emendato nel 2016) che istituiva nuove procedure per la nomina dei giudici,
basate su un riesame delle caratteristiche professionali e personali di ognuno e su
colloqui personali. Ben 3 mila dei 9 mila giudici ucraini si erano dimessi prima di
dover affrontare il riesame. E nel 2018 altri 6 mila giudici in carica e candidati al
ruolo erano stati passati al setaccio. Eppure…
A mettere le manette a Knjazjev è stato Oleksandr Klymenko, un poliziotto
passato anche per l’Uffcio nazionale anticorruzione, che dal 28 luglio 2022 guida
la procura speciale anticorruzione. Anche la sua è una storia interessante. Per ot-
tenere l’incarico ha dovuto affrontare una selezione affdata a una commissione
mista (parlamento, società civile, osservatori esteri) di dieci membri. Klymenko Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
aveva un rivale nella corsa alla procura speciale: Andrij Synjuk, un avvocato della
procura generale. Dopo gli esami di «competenza professionale» e «integrità perso-
nale», Klymenko aveva chiuso in vantaggio con 246 punti contro i 229 di Synjuk.
Eppure per due volte la commissione rifutò di nominarlo, chiedendo anzi, in
modo almeno irrituale rispetto alle procedure stabilite dalla legge, un’ulteriore
verifca del curriculum dei due candidati. Il Centro di azione contro la corruzione,
una ong di Kiev, gridò allo scandalo e scrisse chiaramente che la presidentessa
della commissione Kateryna Koval’, in quel ruolo quale esponente della società
civile, e l’uffcio della procura generale, allora ancora guidata da Iryna Venedykto-
va 1, cercavano di boicottare la nomina di Klymenko. La tesi dell’ong era che la
Venedyktova e la Koval’ 2 recepissero le pressioni dell’amministrazione presiden-
ziale, che considerava l’avvocato della procura Synjuk (cioè un sottoposto della
stessa Venedyktova) più malleabile e fdato dell’integerrimo e poco politico Kly-
menko. Furono i componenti esteri della commissione a protestare contro le ano-
malie procedurali e a impuntarsi, fnché la Venedyktova si decise a frmare il de-
creto di nomina.
Rada, prima come membro del blocco di Julija Tymošenko e poi come indipen-
dente. Nel 1990 è diventato titolare della Finances and Credit, una delle prime
dieci banche ucraine. Con quella si è poi allargato alla metallurgia, ai cantieri na-
vali, alla chimica, alla trasformazione alimentare. Come si conviene, possiede an-
che una squadra di calcio, il Vorskla Poltava, che milita in serie A. E come succede
a quasi ogni oligarca che si rispetti, è stato pure arrestato: il 28 dicembre 2022,
dalla polizia francese su richiesta dell’Uffcio anticorruzione dell’Ucraina, mentre
sciava sulle nobili piste di Courchevel. Ma sapeva di avere qualche scheletro nell’ar-
madio. Il 17 dicembre del 2016, infatti, la Banca centrale d’Ucraina aveva annullato
la licenza della Finances and Credit, che poco dopo era stata liquidata. Ževago
veniva accusato di aver intascato 113 milioni di dollari di risparmiatori e investitori.
Ricevuto un avviso di garanzia, il miliardario si era ben guardato dal tornare inCopia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
patria, cosicché a fne 2019 la procura ucraina lo aveva inserito nella lista interna-
zionale dei ricercati. Da qui l’arresto francese e, di conseguenza in conseguenza, la
tangente per Knjazjev, che doveva aggiustargli un po’ di cose.
Tutta la vicenda dimostra, come minimo, che il mondo degli oligarchi non
demorde, non è disposto ad abbandonare senza combattere la presa sull’econo-
mia del paese che ha mantenuto per lunghi anni. E che dispone ancora di ottime
connessioni a tutti i livelli. Dimostra anche che Zelens’kyj, alla fn fne, può fdarsi
davvero solo dei fedelissimi che dirigono le forze dell’ordine, le Forze armate e i
servizi di sicurezza. Quelli che, nel Cremlino di Vladimir Putin, vengono chiamati
siloviki 4.
4. Dal termine russo sila, forza. Sono i ministri i cui dicasteri dispongono di una forza militare o di
42 polizia: Difesa, i servizi segreti interno ed estero, Interno e Situazioni di emergenza, Giustizia.
LEZIONI UCRAINE
storici presso gli elettori ucraini. Il 23 settembre di quell’anno vengono allora ap-
provate le leggi 5599 e 5600, le cosiddette «leggi anti-oligarchi», per escludere dalle
privatizzazioni, dagli appalti pubblici e dal fnanziamento ai partiti tutti coloro che
disponevano di una fortuna di 85 milioni di dollari e oltre e di attività importanti
nel settore dei media. Le due leggi non sono impermeabili a eventuali maneggi ma,
al momento dell’approvazione, costituivano un precedente clamoroso per l’Ucrai-
na post-sovietica. Tant’è vero che, proprio il giorno prima della scontata ratifca
della legge da parte della Verkhovna Rada, Serhij Šefr, primo consigliere, ex socio
e soprattutto grande amico di Zelens’kyj, subì un attentato a colpi di kalashnikov.
E poco dopo l’approvazione della legge, Zelens’kyj denunciò un mai ben chiarito
complotto russo per attentare alla sua vita, dicendo poi pubblicamente che da al-
cune intercettazioni trapelava la possibile complicità, come fnanziatore dei con-
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giurati, dell’oligarca Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco di Ucraina. Cosa a cui Ze-
lens’kyj diceva di non poter credere, però… Insomma, una serie di messaggi da un
fronte all’altro che rivelava tutta l’asprezza della lotta tra la politica e gli affari, tra
coloro che erano stati eletti per guidare il paese e chi l’aveva di fatto controllato
per lungo tempo.
L’invasione russa ha paradossalmente semplifcato le cose per Zelens’kyj e i
suoi. Intanto le leggi d’emergenza sono diventate legge marziale, rendendo assai
più facile colpire gli interessi illegittimi e forse anche quelli legittimi ma non gradi-
ti. Dall’oligarca florusso Viktor Medved0uk a, per esempio, Alena Lebedjeva, fglia
di un ex ministro della Difesa dell’Ucraina e fno a quel momento (ottobre 2022)
titolare dell’Aurum Group, gruppo fnanziario e industriale ben inserito nel settore
della Difesa, di colpo accusata di tradimento. Poi molti oligarchi si sono rifugiati
all’estero, dove sono stati puntualmente raggiunti dalle polizie di diversi paesi, di-
ventate più attente ai loro movimenti. Di Ževago abbiamo detto; Kolomojs’kyj
gioca con i passaporti israeliano e cipriota per stare alla larga dalla giustizia Usa,
che lo accusa di frode e riciclaggio, e mastica amaro perché l’ex pupillo Zelens’kyj
gli ha tolto la cittadinanza ucraina e soprattutto ha nazionalizzato le sue imprese
più redditizie, quelle legate a gas e petrolio, in nome dello sforzo bellico; Dmytro
Firtaš, accusato di aver aiutato il complesso militar-industriale russo, è fnito in
manette in Austria su richiesta dell’Fbi che lo persegue per associazione a delin-
quere, frode e riciclaggio, e combatte una dura battaglia legale per non essere
estradato negli Usa; Porošenko, l’unico degli oligarchi a essere in aperta competi-
zione politica con Zelens’kyj, è stato sistemato con una bella accusa di tradimento,
generata da presunti traffci di carbone con i separatisti del Donbas.
Gli altri, vista l’aggressione putiniana, hanno scelto o si sono sentiti costretti ad
allinearsi a Zelens’kyj in nome dell’interesse patrio. Il caso più emblematico è quel-
lo di Akhmetov, che era stato uno dei critici più feroci delle «leggi anti-oligarchi» e
dall’inizio della guerra è diventato uno dei più generosi sostenitori delle Forze ar-
mate ucraine, cui ha destinato sovvenzioni per decine di milioni. Tutti gli oligarchi,
in ogni caso, hanno inevitabilmente subito pesantissimi danni di guerra. Alla ribal-
ta di nuovo Akhmetov, proprietario tra l’altro delle maggiori acciaierie dell’Ucraina 43
CHI E COME DECIDE IN UCRAINA
Sovietica a quasi tre volte in meno nel 2020, anche a causa del potere politico ed
economico di blocco esercitato dagli oligarchi. E poi è chiaro che Zelens’kyj, che
li conosce bene, sa che gli oligarchi hanno sette vite. Di loro non si fda, nemmeno
nella versione un po’ sbandata e dimessa di questi tempi. E non manca di farglielo
capire. Il 30 giugno del 2022, quando la guerra con la Russia era già in corso da
mesi, ha frmato un decreto per istituire un «registro degli oligarchi», di fatto un
elenco dei ricchi da tenere d’occhio, che secondo dichiarazioni dell’epoca di Olek-
sij Danilov, segretario del Consiglio di sicurezza e di difesa, raccoglieva almeno 86
nomi. E poche settimane fa, un altro decreto presidenziale ha caricato di sanzioni
13 persone fsiche e 28 persone giuridiche associate alla Zaporižstal’ di Akhmetov,
tutte accusate di aver cercato di aiutare i russi a controllare e gestire l’azienda a
danno dell’economia ucraina. Anche in questo caso, come per le migliaia di inda-
gini e destituzioni provocate da imputazioni per «tradimento» o «corruzione», i pro-
cessi e le eventuali condanne sono di là da venire. La legge marziale consente di
agire prima e dimostrare poi, con molta calma. Insomma: li tiene d’occhio, li incal-
za, non vuole che si riorganizzino.
Oltre a quelle individuali, già di per sé importanti, è però in ballo anche la
sorte del paese che uscirà dalla guerra. Veder sequestrare beni importanti ai vari
Ževago e Kolomojs’kyj può dare un’istintiva soddisfazione. Ma quando Ukrnafta,
la più grande compagnia petrolifera ucraina, e Ukrtatnafta, la più grande raffneria,
che erano controllate dal solito Kolomojs’kyj, nel 2022 vengono nazionalizzate,
prende ulteriore slancio la tendenza alla centralizzazione e alla militarizzazione
dell’economia che procede da diversi anni. Secondo dati della Banca centrale
ucraina, la quota della pubblica amministrazione e degli organi di sicurezza nell’e-
conomia ucraina è già passata dal 4,4% del 2013 al 6,5% del 2021. Mancano i dati
aggiornati al 2022 ma si può esser certi che l’incremento generato dallo stato di
guerra e dall’intensifcarsi della lotta contro la corruzione è stato drammatico.
5. Abbiamo tratto questo dato dalle analisi di Mychajlo Minakov nel blog Focus Ukraine che egli tiene
per il Kennan Institute. Al dato su Akhmetov aggiunge quelli su Viktor Pin0uk (da 2,6 miliardi di
dollari a 2), Vadym Novyns’kyj (da 3,5 a 1,4), Hennadij Boholjubov (da 2 a 1,1), Ihor Kolomojs’kyj
44 (da 1,8 a 1), Petro Porošenko ( da 1,6 a 0,7 miliardi di dollari).
LEZIONI UCRAINE
a un solo canale televisivo gestito dallo Stato 6. Sul poco rimasto soprattutto via
Internet ha alzato, nel dicembre 2022, la spada di Damocle di una legge (bloccata
da due anni dalle proteste esterne ed interne e giudicata «liberticida» dalla Federa-
zione europea dei giornalisti) che attribuisce al Consiglio nazionale per la tv e la
radio, una commissione statale, potere totale di intervento sui media, ipotesi con-
creta di censura in un paese dove, per decreto presidenziale, è lecito solo parlare
di «aggressione russa» mentre a dire o scrivere di «confitto civile interno» si rischia-
no tre anni di galera, come se gli ucraini ribelli di Donec’k e Luhans’k non fossero
mai stati ucraini, anzi fossero arrivati da Marte. Non può essere un caso se una
delle famose sette raccomandazioni della Commissione europea 7 del giugno 2022
chiedeva di «adottare una legge sui media che allinei la legislazione dell’Ucraina
alla direttiva sui servizi di media audiovisivi della Ue e conferisca poteri all’autorità
di regolamentazione indipendente dei media».
Il presidente ha messo al bando (maggio 2022) undici partiti politici, dal flo-
russo Piattaforma di opposizione-Per la vita (che era comunque il secondo partito
più rappresentato in parlamento, con 43 seggi, ottenuti in un voto cui non avevano
partecipato gli elettori del Donbas) ai partitini nemmeno presenti nella Verkhovna
Rada, tutti ovviamente accusati d’intesa col nemico. Attraverso Oleksandr Tka0en-
ko, il fdo ministro della Cultura, ha implementato (giugno 2022) due leggi che
vietano la stampa e la diffusione di libri di autori e autrici che dopo il 1991 abbiano
mantenuto la cittadinanza russa e la riproduzione di musiche di autori e autrici
russi post-sovietici. Lo stesso ministro ha poi avviato la campagna per espellere dal
monastero delle Grotte di Kiev (di proprietà dello Stato ucraino, che ha registrato
il suo territorio come parco culturale) i religiosi della Chiesa ortodossa ucraina-pa-
triarcato di Mosca, mentre in parlamento si discute una legge per bandire l’intera
Chiesa, a tutt’oggi riferimento spirituale di milioni di ucraini non certo amici di
6. I tre canali tv (112 Ukraina, Zik Tv e NewsOne Tv) legati a Viktor Medved0uk erano stati chiusi
d’imperio già nel febbraio 2021.
7. «EU Commission’s Recommendations for Ukraine’s EU candidate status»: «(…) adopting a media law
that aligns Ukraine’s legislation with the EU audio-visual media services directive and empowers the
independent media regulator». 45
CHI E COME DECIDE IN UCRAINA
anche se nello stesso tempo «saranno garantito il libero sviluppo, l’uso e la prote-
zione del russo e delle altre lingue delle minoranze nazionali». La costituzione ri-
mandava l’applicazione di quei principi a una legge «Sull’uso delle lingue in Ucrai-
na», ma di fatto per lungo tempo il problema continuò a essere regolato dalla legge
«Sulle lingue nella Repubblica Socialista Sovietica Ucraina» approvata nel 1989 (da
qui in avanti legge 1989, n.d.r.), quindi non molto tempo prima della dichiarazione
d’indipendenza dell’agosto 1991. Il parere comune tra gli studiosi (per esempio
Volodymyr Kulyk dell’Accademia delle Scienze ucraina) è che quella legge fosse
uno dei tentativi tipici della perestrojka di costruire un compromesso tra lo status
quo sovietico e le aspirazioni nazionali degli ucraini. La legge 1989 garantiva pro-
tezione a tutte le lingue delle minoranze nazionali del paese, il cui numero arriva-
va a 130 e paradossalmente prevedeva che la lingua di una minoranza nazionale
potesse diventare la lingua uffciale degli atti pubblici in una determinata unità
amministrativa se in quell’unità la popolazione della detta minoranza avesse supe-
rato il 50% della popolazione totale, caso in pratica impossibile. Dichiarava inoltre
«inalienabile» il diritto a scegliere la lingua in cui studiare. La stessa legge stabiliva
che l’ucraino fosse l’unica lingua uffciale della repubblica ma che il russo godesse
di uno status speciale in quanto «lingua usata per la comunicazione tra i popoli
sovietici», tanto che i documenti d’identità dovevano essere in ucraino e in russo.
A dispetto della costituzione del 1996, fu questa legge a regolare le questioni
della lingua almeno fno al 2006, quando dopo un lungo e polemico iter entrò
infne in vigore 8, all’alba della presidenza Juš0enko, la legge «Sulla ratifca della
Carta europea per le lingue regionali o minoritarie» (da qui Carta europea, n.d.r.).
Questa identifcava tredici lingue per altrettante minoranze nazionali (russi, bielo-
russi, moldavi, tatari di Crimea, bulgari, ungheresi, rumeni, polacchi, ebrei, greci,
tedeschi, gagauzi e slovacchi), non nominava alcuna lingua come lingua di Stato,
assegnava uno status speciale al russo e, per quanto riguardava gli studi, affermava
che i corsi scolastici in una lingua minoritaria potevano essere avviati solo dietro
8. La Carta fu ratifcata una prima volta nel 1999 ma nel 2000 la Corte costituzionale ucraina rigettò la
legge relativa. Dopo un lungo lavoro sugli emendamenti, la Carta fu di nuovo ratifcata per legge nel
46 2003 ed entrò in vigore in Ucraina il 1° gennaio del 2006.
LEZIONI UCRAINE
richiesta delle famiglie e se il numero degli studenti fosse tale da consentire la for-
mazione di una classe.
Siamo così arrivati al 2012, quando il presidente Janukovy0 e il suo Partito
delle regioni fecero approvare alla Verkhovna Rada la legge «Sui princìpi della po-
litica della lingua di Stato» (da qui legge Janukovy0, n.d.r.). Anche questa stabiliva
che l’ucraino fosse l’unica lingua di Stato però allargava la possibilità di usare negli
uffci pubblici (sia a livello centrale sia a livello locale) le lingue minoritarie, a pat-
to che i membri di una minoranza nazionale costituissero almeno il 10% della po-
polazione di una determinata unità amministrativa. In quel caso, anzi, l’uso della
lingua minoritaria veniva reso obbligatorio nei rapporti orali e scritti tra pubblici
uffciali e cittadini, e le amministrazioni locali dovevano pubblicare i loro atti sia in
ucraino sia nella lingua minoritaria. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
9. La legge era stata approvata in prima lettura il 4 ottobre 2018 ma durante l’inverno il testo dovette
48 sottostare ad almeno duemila modifche.
LEZIONI UCRAINE
cui è tecnicamente corretto sostenere che l’uso del russo non è per legge vietato in
Ucraina, ma di fatto la musica è ben diversa e parlarlo è ormai un’attività a rischio.
Anche per i fedelissimi, come ben sa Ihor Terekhov, il coraggioso sindaco di Khar-
kiv che ogni giorno si batte per salvare la città dai bombardamenti russi. È stato
multato per ordine di Taras Kremin’, il commissario per la protezione della lingua
di Stato ucraina, per aver usato il russo nei suoi appelli tv e social per incitare alla
resistenza i concittadini, molti dei quali hanno appunto il russo come lingua madre.
Anche perché, come spiegano gli specialisti, c’è una grande differenza tra pro-
teggere i diritti di una minoranza nazionale e proteggere quelli di una minoranza
linguistica 10. In particolar modo in Ucraina, dove prima della riannessione della
Crimea, della secessione del Donbas nel 2014 e della guerra del 2022 con l’annes-
sione da parte della Russia di territori nelle regioni di Kherson e Zaporižžja, succe-
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deva questo: la minoranza nazionale russa della popolazione, secondo i dati del
primo e ultimo censimento, quello del 2001, ammontava al 17,28% della popola-
zione totale. Una quota a cui, parlando invece di minoranza linguistica, andavano
però aggiunti 5,54 milioni di ucraini che usavano il russo come madrelingua. Cosa
di cui tutti i legislatori si sono nel tempo mostrati ben consci. La legge 1989 (quel-
la ancora sovietica ma che cercava il compromesso con le istanze nazionali ucrai-
ne) si occupava soprattutto delle minoranze nazionali e copriva il 22,18% della
popolazione, mentre la legge Janukovy0 del 2012, di orientamento florusso e at-
tenta alla minoranza linguistica, copriva il 31,77% della popolazione. La legge Po-
rošenko del 2019, elaborata con la crisi del Donbas ormai incancrenita, si occupa
soprattutto di limitare il più possibile l’uso del russo, a prescindere dalle dimensio-
ni della minoranza nazionale russa in Ucraina.
Di nuovo: come si concilia tutto questo con le norme di uno Stato liberalde-
mocratico ed europeo quale l’Ucraina vuole essere?
10. Cfr. I. CSERNICSKO, C. FEDINEC, «Four language Laws of Ukraine», International Journal on Minority
and Group Rights, n. 23/2016. 49
CHI E COME DECIDE IN UCRAINA
1. Il partito è stato fondato nel giugno 2020 per iniziativa dei sindaci di sei grandi città ucraine: Boris
Filatov di Dnipro, Andrij Rajkovy0 di Kropyvnyc’kyj, Oleksij Kaspruk di 9ernivci, Oleksandr Senkevy0
50 di Mykolajiv, Andrij Dja0enko di Kakhovka e Serhij Sukhomlyn di Žytomyr.
LEZIONI UCRAINE
sociologia e li sento spesso dire che sembra di essere tornati agli anni Novanta, che
i ricchi se la godono anche adesso mentre gli altri fniscono nell’esercito a combat-
tere. Una guerra lunga cambia tante cose. Nei quattro anni della prima guerra
mondiale scomparve un impero, quindi…
LIMES Privilegi e disuguaglianze ci riportano a un tema centrale della presidenza
Zelens’kyj: la lotta alla corruzione. Assistiamo a un numero altissimo di arresti e di
epurazioni. Tanto che a volte viene il sospetto che si tratti non tanto o non solo di
una campagna contro il malcostume ma di un sistema per rinnovare i quadri e
piazzare funzionari più fedeli.
MINAKOV Nei primi mesi della presidenza, Zelens’kyj dichiarò davvero guerra agli
oligarchi ma fu sconftto. Tanto che nel marzo del 2020 dovette accettare un incon-
tro con una ventina di oligarchi e siglare una specie di pace. Poi, però, ha cambia-
to passo. Oggi, grazie alle sue riforme e alla guerra, l’oligarchia ucraina è quasi
distrutta. D’altra parte, gli oligarchi post-sovietici erano nati dalle privatizzazioni,
che oggi sono ferme. Solo il bilancio dello Stato, quindi, potrebbe essere usato per
creare ricchezze illecite, ma è un bilancio piccolo, sostanzialmente alimentato dai
fondi e dai prestiti di Usa, Ue e Fondo monetario internazionale. Soldi che è quasi
impossibile rubare. E poi non vedo dove possa esercitarsi tutta questa corruzione.
C’è un solo settore economico ancora attivo, in Ucraina: l’agricoltura, che l’anno
scorso da sola ha fornito quasi il 20% delle entrate dello Stato. Per quest’anno, a
causa anche del blocco alle importazioni di grano deciso dai paesi dell’Europa
orientale, si prevede un calo del fatturato agricolo del 42%. Ecco perché questo
gran parlare di corruzione mi lascia scettico.
LIMES Quindi le «purghe» sono soprattutto un fatto politico?
MINAKOV Sì, politico e di comunicazione. Servono a dare agli ucraini, che tanto
soffrono per la guerra, la sensazione che il governo è attento e non tollera il ma-
laffare. E poi aiutano anche a ridurre il numero dei dipendenti pubblici, alleviando
così il defcit dell’amministrazione pubblica. Nel 2022 il taglio è stato del 12%. E
quando il parlamento ha votato per aumentare gli indennizzi ai soldati feriti e alle
famiglie di quelli uccisi, il primo ministro Šmyhal’ ha detto che per coprire le nuo-
ve spese avrebbe dovuto essere tagliato un altro 10% dei dipendenti pubblici. 51
CHI E COME DECIDE IN UCRAINA
LIMES Zelens’kyj, il presidente della guerra, sarà anche il presidente della pace? Il
leader della futura Ucraina?
MINAKOV In caso di elezioni, non vedo nessuno che possa batterlo. Zelens’kyj non
ha rivali e fa di tutto per non averne. Certo, se la guerra dovesse durare altri due o
tre anni, tutto potrebbe succedere. Jermak e gli altri della cerchia più ristretta sono
molto attenti e sanno leggere i segnali. Qualche tempo fa Zelens’kyj aveva il 92-
93% dei consensi. Ora è all’82-84% ma, cosa che più conta, con solo il 40% che lo
approva totalmente, gli altri lo approvano ma con un punto interrogativo. In ogni
caso è molto probabile che Servo del Popolo, da cui Zelens’kyj è rimasto deluso,
venga sostituito da un partito nuovo, un vero «partito del presidente». I politologi e
gli spin doctor di Kiev già lavorano a questo progetto. Non escono allo scoperto
perché, appunto, la prospettiva delle elezioni non è chiara. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
52
LEZIONI UCRAINE
LA PATRIA UCRAINA
VISTA DA DENTRO
di Mykhajlo PODOLJAK e Dmytro RAZUMKOV
D
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LIMES Pensate che la guerra fnirà nel 2023 o vi state preparando a un confitto
lungo?
PODOLJAK La guerra non è un processo lineare ed è composta da tante dinamiche,
alcune delle quali non dipendono dall’Ucraina. Un esempio è la paura irrazionale
della Russia che esiste in Europa. Il Vecchio Continente possiede un’infrastruttura
di analisi della realtà debole, non capisce cos’è la Russia, e la sua paura verso
quell’incognito che si chiama Mosca ostacola un dialogo costruttivo fra Kiev e le
cancellerie europee. Un secondo elemento che impedisce di fssare chiaramente il
termine della guerra è la riluttanza di molti rappresentanti delle élite politiche oc-
cidentali ad accettare che la pace che esisteva prima del 24 febbraio 2022, ovvero
l’architettura delle relazioni tra gli Stati prima del confitto, non si ricomporrà. In
Europa aleggia una sorta di conservatorismo, non tanto in termini di ideologia
politica, quanto di modus vivendi. Le regole di coesistenza che vigevano nel Vec-
chio Continente prima della guerra in Ucraina sono venute meno. È quindi neces-
sario intraprendere una serie di trasformazioni di carattere valoriale a cui le classi
politiche di tanti Stati non sono ancora preparate. Questo fenomeno, di cui ricono-
sciamo la complessità, oggi rappresenta un problema. 53
LA PATRIA UCRAINA VISTA DA DENTRO
Gruppo
rupp Battaglione Battaglione Battaglio e
Battaglione Legione per Brigata Battaglione
tatticoo
ta Reggimento Džokhar Sheikh Nomann
No Legione ucraino- Brigata Battaglione
Pahonya georgiana la libertà normanna di autodifesa
Bieloruss
Bie ssi
Bielorussia Dudaev Mansur ele
lebicihan
an
Çelebicihan della Russia canadese di Majdan Azov
(ex Battaglione
ceceno)
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GEORGIANI
LIMES Nell’ultima intervista rilasciata da Oleksij Arestovy0 a Limes prima delle sue
dimissioni, l’ex consigliere ci disse che l’Ucraina è disposta a negoziare con chiun-
que altro succederà a Vladimir Putin. È d’accordo?
PODOLJAK No, questa è un’idea incorretta di molti. Il negoziato non si fa con Putin,
ma con l’essenza dello Stato russo. Poco importa chi c’è dall’altra parte del tavolo.
Logicamente quando la Russia sarà costretta a ritirarsi oltre i confni ucraini del
1991, Putin come soggetto politico smetterà di esistere. Ciò non signifca necessa-
riamente che vi sarà un’alternativa, lui stesso potrà continuare a essere formalmen-
te il presidente russo, però non svolgerà più nessun ruolo materiale. La questione
non risiede tanto nel cognome di chi parteciperà al negoziato o che ne comporrà
l’agenda, ma nello status che allora avrà la Federazione. Per questo il presupposto
per una eventuale trattativa deve essere la registrazione di una sconftta di una
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
parte o dell’altra. Il punto chiave da comprendere è che una guerra di tale intensi-
tà non accetta alcuna soluzione di compromesso: uno dei due deve perdere. Altri-
menti da ambo i fronti vi sarà un’aspirazione alla rivincita, col rischio di innescare
un confitto di scala maggiore.
La proposta avanzata da Silvio Berlusconi di una linea demilitarizzata temporanea,
ad esempio, è un invito all’Europa a entrare in guerra fra qualche anno in posizio-
ne di difesa e coinciderebbe con la fne della pace in Italia. Berlusconi non fa che
ripetere quanto dice la Federazione Russa, ma voi non potete fngere di non capi-
re cosa signifchi una proposta del genere. Chi ci suggerisce l’immediato cessa-
te-il-fuoco intende invero un ultimatum secondo i termini posti da Mosca, ovvero
un negoziato a condizione della sconftta di Kiev.
LIMES Anche parte dell’establishment americano propone una soluzione di com-
promesso come quella coreana.
PODOLJAK Non può esistere alcuna soluzione coreana in Ucraina perché i due sce-
nari sono totalmente diversi. L’Unione Sovietica e gli Stati Uniti condussero una
guerra per procura attraverso il Sud e il Nord della Corea senza occupare alcun
territorio. Qui, invece, è in corso un confitto diretto tra Ucraina e Russia dopo
l’invasione di quest’ultima. Non c’è alcuna guerra per procura. Per questo ritengo
che alle élite occidentali manchi una visione complessa della questione. Quando si
pongono condizioni di base errate come queste, si ottiene un risultato altrettanto
sbagliato, ovvero non si consegue la fne della guerra.
LIMES Eppure c’è chi negli apparati del potere americano sostiene l’idea di una li-
nea demilitarizzata tra i territori ucraini liberi e quelli occupati da Mosca in cambio
dell’ingresso di Kiev nell’Unione Europea. Cosa ne pensa?
PODOLJAK Washington non propone questa soluzione direttamente. E soprattutto,
perché ciò dovrebbe impedire alla Russia di continuare a compiere atti terroristici
in Ucraina? Non capisco come questo potrebbe cambiare la flosofa dello Stato
russo. Tanto più Kiev sarà effcace sul campo di battaglia, anche attraverso un’ini-
ziativa militare creativa, tanto meno vi saranno proposte del genere. Non posso
escludere poi che si tratti di insinuazioni della stampa a vantaggio della Federazio-
ne Russa. Il punto dirimente sta nel fatto che la maggior parte dei decisori non 57
LA PATRIA UCRAINA VISTA DA DENTRO
vuole credere che il mondo stia cambiando e resta convinto che si possa rinviare
il problema, evitando di prendere giuste decisioni. La Corea non desta forse oggi
preoccupazione? La questione fu rinviata negli anni Cinquanta del Novecento, ma
resta una situazione precaria potenzialmente esplosiva. E chissà se anche lì avran-
no un leader capace come Volodymyr Zelens’kyj.
LIMES Come vi state preparando alla controffensiva?
PODOLJAK Cercheremo di riprenderci tutti i territori sotto occupazione russa, Crimea
inclusa. In base all’andamento e all’effcacia della nostra iniziativa sul campo assi-
sterete a un cambio nella retorica pubblica degli Stati partner. Lasciamo che tutto
prosegua a tempo debito.
LIMES Non crede che con l’accusa della stampa americana verso l’Ucraina sulla re-
sponsabilità del sabotaggio del gasdotto Nord Stream, Washington abbia voluto
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LIMES A prescindere dall’esito della guerra, l’Ucraina confna con la Russia. Come
immagina il futuro dei rapporti con il governo di Mosca e con la popolazione russa?
RAZUMKOV La prospettiva di una qualsiasi pacifcazione, riconciliazione, compren-
sione o tentativo di contatto con i russi di qualsiasi nazionalità sarà impossibile per
molti anni.
Tragedie come quelle di Kherson, Bu0a e Irpin’ ricordano quello che i nostri non-
ni hanno vissuto durante la seconda guerra mondiale e ci dimostrano che quella in
corso è una guerra di annientamento di un popolo verso un altro. Purtroppo non
possiamo più imputare questo confitto, come si pensava all’inizio, solo a Vladimir
Putin. È contro la comunità russa che stiamo combattendo, i suoi soldati, i suoi
civili. Mio fglio maggiore ha appena compiuto nove anni, il secondo ne compirà
presto sei. Sono bambini piccoli, ma si rendono conto perfettamente che la Russia
sta cercando di ucciderli. Le nostre generazioni future cresceranno con questa co-
scienza, sono compromesse sin da ora.
L’unica possibilità per la sopravvivenza dell’Ucraina è che dopo la vittoria Kiev
entri nell’Unione Europea e nella Nato e che ottenga delle garanzie di sicurezza
58 reali (ovvero non come quelle previste nel Memorandum di Budapest) che le per-
LEZIONI UCRAINE
biamo aiutare le persone che hanno lasciato il paese a rientrare. I giovani che non
combattono se ne sono andati, ma la nazione ha bisogno di forze per potersi rin-
novare e tornare a crescere. All’inizio della guerra la percentuale di ucraini rifugia-
tisi in Polonia che aveva intenzione di rimanere all’estero era il 17%. Ora è già il
33%. Più andiamo avanti, più la gente perderà la speranza di rientrare in patria. Ma
a chi intende tornare lo Stato deve riuscire a garantire almeno cinque cose: un
tetto sopra la testa, un lavoro, scuole e asili per i fgli, ospedali e negozi.
LIMES Perché un privato dovrebbe investire in Ucraina adesso?
RAZUMKOV Quando l’Ucraina vincerà gli investitori potranno stabilire un proprio
feudo qui e chi arriverà per primo guadagnerà di più. Provengo dal mondo dell’im-
presa e una delle regole fondanti del mercato è che se ti muovi in anticipo ti assi-
curi la fetta più grossa. Se un investitore ha intenzione di guadagnare in futuro in
questo paese, è adesso il momento per farlo. Ovviamente non consiglio di concen-
trarsi ora nella zona di Kherson, ma nella regione di Kiev, ad esempio, ci sono
strade e infrastrutture già in fase di ricostruzione.
Lo Stato non sostiene ancora seriamente l’impresa, benché farlo sia dirimente per
dare fducia agli investitori esteri. Dobbiamo volgere i problemi causati dalla guerra
in un trampolino di lancio per ricostruire il paese in senso nuovo. Ad esempio, la
compromissione del nostro apparato di produzione agraria è un’opportunità per
ristrutturarlo secondo altre regole attente alla sostenibilità ambientale. In questa
prospettiva, iniziare a produrre bioetanolo potrebbe essere interessante perché non
creerebbe concorrenza con altri Stati europei produttori di grano o che sono leader
nel settore agrario. L’Ucraina deve diventare un partner fdato e importante per lo
sviluppo economico dell’Europa, non un concorrente. Per quel che riguarda le in-
frastrutture, nel paese rimangono tre centrali nucleari che, se operative, potrebbero
renderlo autonomo dal punto di vista elettrico e idrico. Occorre poi ricostruire le
imprese nell’Ucraina occidentale così come tutte le città che hanno una posizione
geopoliticamente e logisticamente interessante per via dello sbocco sul mare. Tutto
ciò dovrebbe attrarre gli investitori esteri che però hanno bisogno di garanzie sulla
lotta contro la corruzione e sulle tempistiche entro cui potrebbero riacquisire i pro- 59
LA PATRIA UCRAINA VISTA DA DENTRO
pri capitali. È perciò necessaria una riforma nazionale sul sistema di tassazione che
garantisca un rapporto trasparente e pulito tra lo Stato e l’impresa.
LIMES Come valuta il piano di ricostruzione avanzato dal colosso fnanziario
BlackRock?
RAZUMKOV Qualsiasi iniziativa proveniente da una grossa compagnia estera è di
aiuto per l’Ucraina. Non solo è positivo che un’azienda così grande voglia investire
su di noi, ma lo è il segnale di fducia lanciato alle altre imprese minori sul fatto
che si può penetrare e investire nel nostro paese. Il presidente Volodymyr Ze-
lens’kyj non mi sembra troppo reattivo e coinvolto nel processo, benché io com-
prenda che gli sforzi del governo siano attualmente concentrati sulla controffensi-
va. Anche questo effettivamente può dare speranza agli investimenti esteri perché
indica il grande impegno che il paese sta sostenendo per darsi un futuro.
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Uno degli aspetti più critici è la libertà di parola. Io stesso sono stato censurato
dalla maratona televisiva Jedyni novyny inaugurata all’inizio dell’invasione russa.
Ho altri modi per far conoscere alla gente il mio pensiero politico, ma il problema
permane. Non solo l’unico a dirlo. Anche gli americani, l’ambasciatore polacco in
Ucraina e altri commentatori si sono espressi in questo senso. Il punto è che anche
se vinciamo la guerra, non abbiamo il diritto di perdere il nostro paese e se la li-
bertà di parola viene sacrifcata si rischia di ricreare quella verticalità del potere che
assomiglia tanto al funzionamento interno della Russia, ovvero esattamente quello
contro cui stiamo lottando. Dopo la fne della guerra, non vogliamo essere più si-
mili a Mosca di quanto non lo fossimo all’inizio del confitto.
LIMES Quanto è riunita la società civile attorno al presidente adesso?
RAZUMKOV Tra il febbraio e l’aprile del 2022 il 30% degli ucraini non si interessava
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61
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LEZIONI UCRAINE
LA GUERRA
PRESENTA
IL CONTO MARONTA di Fabrizio
Più si combatte, più crescono gli oneri di una ricostruzione che già
eccede di molto il pil ucraino anteguerra. L’inventario, provvisorio,
dei danni. Le implicazioni per Usa e Ue. Il dilemma delle riserve e
il nodo della corruzione. Il ‘piano del grano’ è un bluff.
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Il costo oggi…
Tra gli argomenti che tengono banco nelle cronache belliche c’è il problema
del munizionamento: l’Occidente euroamericano non produce abbastanza armi,
soprattutto munizioni, per rifornire gli ucraini che in media ne usano fno a 6-7
mila al giorno, soprattutto proiettili da 155 mm 1. Armare gli ucraini ha ovviamente
un costo, che si somma a quello del soccorrerli sotto il proflo economico e uma-
nitario. Di quanto parliamo?
Nel primo anno di guerra (al febbraio 2023) Europa e Stati Uniti hanno stan-
ziato oltre 100 miliardi di dollari per l’Ucraina 2. La cifra si riferisce ai fondi pubbli-
ci, escludendo quindi contributi privati e donazioni individuali. Questi soldi sono
stati erogati soprattutto per via bilaterale dai singoli governi allo Stato ucraino e in
1. S. PFEIFER, P. NILSSON, «Ammunition supply chain crisis: Ukraine war tests Europe in race to rearm»,
Financial Times, 7/2/2023.
2. M. SZCZERBA, «Towards the reconstruction of Ukraine», Rapporto preliminare, Nato – Assemblea parla-
mentare, Commissione economia e sicurezza, Sottocommissione transizione e sviluppo, 14/3/2023. 63
LA GUERRA PRESENTA IL CONTO
larga parte (quasi 82 miliardi) sotto forma di crediti a lungo termine, la cui esigibi-
lità è piuttosto aleatoria. Sin qui l’aiuto militare ha fatto premio su quello umanita-
rio, posto però che quest’ultimo annovera anche l’accoglienza dei rifugiati ucraini
(oltre otto milioni) da parte di svariati paesi europei, su tutti Polonia, Germania e
Repubblica Ceca. La parte del leone nell’armare Kiev l’hanno fatta gli Stati Uniti,
che su 48 miliardi di dollari stanziati ne hanno destinati quasi trenta agli armamen-
ti; seguono a distanza i paesi della Ue (poco meno di 4 miliardi di euro) e il Regno
Unito (2,3 miliardi di sterline).
Se gli Usa sono il principale donatore singolo, nel complesso è però l’Europa
ad aver fn qui sostenuto, anche se di poco, l’esborso maggiore. Istituzioni comu-
nitarie e singoli Stati membri – soprattutto Germania, Polonia e Francia in valore
assoluto; ancora Polonia e poi Baltici in rapporto al pil – avevano sborsato quasi
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50 miliardi di euro al febbraio 2023, gran parte dei quali (30 miliardi circa) in fnan-
ziamenti diretti, il resto in aiuti militari e umanitari. Inoltre, il Consiglio europeo ha
temporaneamente sospeso dazi e altre barriere commerciali all’export (soprattutto
alimentare) ucraino. Per il 2023 l’Ue ha già stanziato 18 miliardi di euro, cui si ag-
giunge l’aiuto bilaterale (umanitario e militare) dei singoli Stati membri.
I medesimi paesi usano anche altri canali per convogliare l’aiuto. Fondo mo-
netario internazionale (circa 20 miliardi di dollari al febbraio 2023), Banca mondia-
le (circa 16 miliardi) e Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (circa 2
miliardi) insieme hanno fornito il grosso dell’aiuto multilaterale. Tale nella forma,
perché nella sostanza è sempre aiuto statale sotto diversa specie, di norma in ra-
gione della quota nazionale nel capitale delle suddette istituzioni.
… e cosa ci aspetta
Prima della guerra l’Ucraina era una piccola economia altamente dipendente
dal commercio estero, che alla vigilia dell’invasione generava l’83% del suo prodot-
to interno lordo 3. Stante il blocco del Mar Nero – con parziale eccezione per i
fussi di cereali e altre granaglie rientranti nell’«accordo del grano» – l’interscambio
con l’estero è diminuito in media di circa un terzo (-35% l’export, -24% l’import 4)
e quello con l’Europa è passato dal 40% a oltre il 70% del totale 5, in quanto Ue e
Moldova sono al momento gli unici partner commerciali direttamente accessibili.
I danni materiali fnora arrecati dal confitto alle infrastrutture fsiche del paese
sono stimati in almeno 135 miliardi di dollari 6, il grosso relativo ad abitazioni (38%),
reti di trasporto (26%), impianti di generazione e distribuzione energetica (8%), im-
pianti industriali e commerciali (8%), agricoltura (6%). Stante il carattere relativamen-
te statico assunto dallo scontro dopo il primo, fallimentare tentativo russo d’invasio-
3. «Ukraine Trade to GDP Ratio 1989-2023», Macrotrends (su dati Banca mondiale).
4. S. MATUSZAK, «A year of war in Ukraine’s foreign trade», Osw Commentary, n. 487, 8/2/2023.
5. Y. GORODNICHENKO, I. SOLOGOUB, B. WEDER DI MAURO (a cura di), «Rebuilding Ukraine: Principles and
policies», Centre for Economic Policy Research, Paris Report 1, dicembre 2022.
6. «Ukraine – Rapid Damage and Needs Assessment: February 2022-February 2023», Banca mondiale,
64 marzo 2023.
LEZIONI UCRAINE
Sminamento
Agricoltura (0,5)
(0,5)
Commercio 4% 3%
e industria Trasporti (3,1)
15% 24%
(1,9)
14,1
Interventi Salute, istruzione,
Edifci a uso 14% prioritari, 2023 9% servizi locali
abitativo (1,3)
(2,2) 4%
3% Telecomunicazioni
9% e reti digitali (0,5)
15%
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ne su vasta scala, i danni si concentrano soprattutto nelle oblast’ dove più si com-
batte: Donec’k, Kharkiv, Kherson, Zaporižžja, Luhans’k e Kiev (dove la presenza
della capitale fa lievitare i danni prodotti dai raid russi). Di questi territori, sono i
primi quattro ad aver concentrato il grosso degli scontri e dei danni, il che sinora ha
quantomeno concorso a limitare l’estensione territoriale degli stessi.
Il capitale infrastrutturale perso è però solo un aspetto del danno bellico, per-
tanto il suo ammontare ne è una frazione. Sulla ricostruzione – le cui stime inclu-
dono l’intero territorio ucraino, essendo le annessioni effettuate da Mosca nel set-
tembre 2022 considerate illegali e dunque non riconosciute – pesano infatti altri,
enormi oneri: la rimozione delle macerie, lo sminamento e la bonifca dei terreni,
l’attesa infazione da materie prime, l’aumento dei premi assicurativi, il pregiudizio
economico da mancato guadagno e quello sociale connesso ai danni psicofsici
sofferti dalla popolazione. Questo al netto di oneri più diffcilmente quantifcabili
ma non marginali, come quello demografco (decessi in e per la guerra, mancato
ritorno di una quota della cospicua emigrazione), o quello derivante dalla scarsa
permeabilità per merci e persone dei confni orientale (Russia) e settentrionale
(Bielorussia) dopo la fne delle ostilità.
Tutto considerato, a febbraio 2023 la Banca mondiale quantifcava in oltre 410
miliardi di dollari su dieci anni il costo (in crescita, perdurando il confitto) della ri-
costruzione 7. Una montagna di denaro, pari a 2,6 volte il pil dell’Ucraina anteguerra.
Il grosso dell’esborso è previsto per trasporti (22%), abitazioni (17%), infrastrutture
7. Ibidem. 65
LA GUERRA PRESENTA IL CONTO
energetiche (11%), Stato sociale (10%), sminamento e gestione di altri materiali bel-
lici pericolosi (9%), ripristino dell’agricoltura (suoli, impianti, macchinari: 7%). I soli
costi di demolizione e rimozione macerie superano oggi i 5 miliardi di dollari. Do-
nec’k, Kharkiv, Kherson e Luhans’k le oblast’ dove al momento, se i combattimenti
cessassero domani, si concentrerebbe verosimilmente il grosso degli interventi.
8. «Towards the reconstruction of Ukraine», cit; «Ukraine – Rapid Damage and Needs Assessment», cit. 67
LA GUERRA PRESENTA IL CONTO
ovvero per la durata del comportamento che causa la sanzione. Facile controbat-
tere che l’uso dello strumento sanzionatorio, specie da parte statunitense, è spesso
geopoliticamente motivato e semipermanente: si vedano i casi di Cuba, Corea del
Nord, Iran. Questa evidenza non cancella però una realtà di fondo: anche nella
pratica di una potenza grande e tendenzialmente bellicosa come l’America, la for-
ma è sostanza. Perché ha implicazioni generali che vanno oltre il rapporto sanzio-
natore-sanzionato.
Gli Stati Uniti sono sempre più intenti a contrastare un revisionismo che, con
metodi e fni variegati, ne mette in discussione l’egemonia. Questa, nella veste in
cui si è andata dispiegando dopo la duplice vittoria statunitense del 1945-1989, ha
un punto di forza nella (reale o percepita) convenienza della supremazia america-
na, tanto per l’America quanto per i suoi clientes. Da qui una serie di corollari, tra
cui l’importanza dei legami commerciali, l’accento sulle libertà individuali (il «fron-
te delle democrazie») e il connesso primato dello Stato di diritto a immagine e so-
miglianza del prototipo a stelle e strisce. Ne scaturisce un «ordine internazionale
basato sul diritto», formula che sottende l’esercizio di un’egemonia complessiva-
mente benevola e noncurante (benign neglect) codifcata nel canone giuridico,
economico e culturale del primus, la cui fuorviante universalità dia agli altri la
sensazione di essere pares. In sintesi, il soft power.
Tra gli assiomi dello Stato di diritto che distinguono le democrazie liberali dal-
la restante e più sfortunata umanità spicca l’intangibilità della proprietà, che con-
sente la certa ascrizione dei mezzi di produzione e della ricchezza che generano.
Senza di cui non vi è capitalismo, dunque classe media, dunque democrazia libe-
rale. Siccome il capitalismo, in quanto tale e ancor più nella sua tarda declinazione
statunitense, presuppone il commercio internazionale, la certezza della proprietà
deve valere anche nelle transazioni estere. In caso contrario, viene meno l’«ordine
fondato sul diritto», perché viene meno il diritto. E con esso, cade il presupposto e
un potente mezzo del ruolo internazionale dell’America.
L’illuminante trasposizione giuridica di tutto ciò, su cui al momento si arrovel-
lano gli esperti statunitensi ed europei, è la dottrina delle contromisure (counter-
68 measures), parte delle consuetudini internazionali in materia di responsabilità sta-
LEZIONI UCRAINE
7
38 Gestione dei pericoli legati agli esplosivi
Banche e fnanza
Irrigazione e gestione
9
delle risorse idriche Alloggi 69
23 Commercio
e industria
Istruzione 11
Salute 16
30 Agricoltura
TOTALE
411 Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
7 Approvvigionamento
idrico e servizi igienici
5 Telecomunicazioni
e digitale Cultura e turismo 7
Fonte: RDNA2. Needs relate to total estimated needs covering the period 2023 - 2033.
tale per atti considerati ingiusti (wrongful acts) passibili di produrre conseguenze
sul perpetrante. Le contromisure sono tra le poche circostanze universalmente
ammesse come limite alle conseguenze degli atti «ingiusti». Sono cioè un (tentativo
di) argine all’arbitrarietà e sproporzione della rappresaglia. Rivelatore che tra i re-
quisiti delle contromisure adottabili dalla parte lesa e/o da chi la difende vi siano
proporzionalità e temporaneità (limitazione della rappresaglia alla durata dell’«in-
giustizia») 9. Criteri laschi, ma non del tutto abrogabili senza minare i presupposti
del modus imperandi americano.
Tale circostanza si scontra però con le esigenze della deterrenza. Nell’ottica
statunitense, consentire alla Russia di farla (relativamente) franca dopo una viola-
zione così palese, prolungata e distruttiva della sovranità territoriale di un paese
variamente associato all’Occidente euroamericano, specie dopo il 2014 (annessio-
ne russa della Crimea), è parimenti lesivo dell’altro pilastro su cui poggia la poten-
za americana: la credibilità del suo hard power. Da qui ipotesi fantasiose e vaga-
mente contorte come quella di mantenere requisite le riserve russe dopo la fne
9. C. MILLS, P. BRIEN, P. BUTCHARD, «Post-confict reconstruction assistance to Ukraine», House of Com-
mons Library, Research Briefng n. 9728, 16/2/2023. 69
LA GUERRA PRESENTA IL CONTO
delle ostilità a garanzia che Mosca sovvenzioni parte della ricostruzione. Una sorta
di fdo bancario, che però nel non remoto caso di inadempienza russa riproporreb-
bero il dilemma originario.
Altra soluzione è contemplata dall’Ue, i cui Stati membri già temono i costi
astronomici della ricostruzione ucraina e non paiono granché ansiosi di sostenerli.
Si tratterebbe di impegnare per l’Ucraina non già le riserve sanzionate (requisite),
bensì i cospicui interessi fnanziari che generano 10. Esproprio forse più gentile, ma
non scevro dei suddetti caveat.
lodymyr Zelens’kyj deve in non piccola misura il successivo trionfo elettorale, tre
oligarchi si spartivano il controllo dell’Ucraina bevendo champagne in un grattacie-
lo di Kiev.
Come noto, dopo il collasso dell’Urss l’Ucraina ha seguito una traiettoria non
dissimile da quella russa. Privatizzazioni selvagge e accaparramento di beni pubblici
da parte di soggetti che con un misto di scaltrezza, intimidazione e connessioni po-
litiche si trasformano in «oligarchi» ammassando ricchezze spropositate; corruzione
endemica; pervasività del crimine organizzato; pesante condizionamento di ministe-
ri, tribunali, fnanza, industria, media, servizi di sicurezza e corpi di polizia da parte
del nuovo potere politico-economico. Ancora nel 2017 l’Fmi defniva «eccezional-
mente alto il livello di corruzione in Ucraina. (…) Ridurlo è essenziale per accelerare
il processo di convergenza economica con il resto d’Europa» 11. Una quantifcazione
di «eccezionalmente alto»: tra il 2014 e il 2015 quasi metà delle 180 banche commer-
ciali del paese, pari a circa un terzo degli asset bancari nazionali, risultava insolvente
per 15 miliardi di dollari a causa di pratiche illegali come il falso in bilancio. Valerija
Gontareva, governatrice della Banca centrale ucraina tra il 2014 e il 2017, sovrintese
una riforma bancaria che portò alla chiusura di 103 istituti. Eppure, alla vigilia del
confitto il 74% del superstite portafoglio bancario restava «non performing» 12.
Sempre prima della guerra risultavano in alto mare le riforme giudiziaria e f-
scale, nonché la digitalizzazione delle procedure governative per favorire la traspa-
renza. Nel gennaio 2023 Zelens’kyj ha lanciato una vivida campagna anticorruzio-
ne che ha coinvolto, tra gli altri, fgure di spicco come il ministro della Difesa e un
suo vice, il capo di Stato maggiore e un viceprocuratore generale. La polizia ha
perquisito la casa del miliardario Ihor Kolomojs’kyj, tra i grandi fnanziatori eletto-
rali di Zelens’kyj giudicato fnora intoccabile, anche se sotto sanzioni statunitensi
dal 2021 perché associato a «pratiche signifcative di corruzione». La stretta rientra
10. L. DUBOIS, «EU discusses plan to send profts from €196.6bn of frozen Russian assets to Ukraine»,
Financial Times, 24/3/2023.
11. D. SANDRI, D. AMAGLOBELI, P. MADRID, I. LUÍS DE OLIVEIRA LIMA, «Ukraine», Fmi, Selected Issues, Country
Report n. 17/84, aprile 2017.
12. M. CHAMPION, D. KRASNOLUTSKA, «Ukraine has decimated its oligarchs but now fears new ones», Bloom-
70 berg, 6/4/2023.
LEZIONI UCRAINE
nel percorso intrapreso dal paese per ottemperare, almeno sulla carta, alle prescri-
zioni anticorruzione cui i donatori subordinano l’erogazione degli aiuti presenti,
ma soprattutto futuri. Tuttavia è diffcile che in piena guerra Kiev faccia ciò che non
ha voluto e potuto fare nei vent’anni precedenti (volendo escludere, a titolo di at-
tenuante storica, il decennio nero dei Novanta).
Il problema non è solo di principio, ma pratico. Complice l’inevitabile concen-
trazione nel governo, già dal 2014, di molte competenze e funzioni a causa delle
esigenze belliche – nel 2018-21 la quota di pil in mano pubblica era passata al
6,5%, dal 4,4% del 2010-13 – l’enorme fusso di denaro della ricostruzione sarebbe
giocoforza incamerato e gestito dalle autorità centrali. Con quali procedure, con-
trolli, esiti? Diffcile dirlo. La non peregrina ipotesi di massicce malversazioni fni-
rebbe per vanifcare il proposito geoeconomico della ricostruzione – stabilizzareCopia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
Il nodo energetico
Prima della guerra, l’energia nucleare generava circa il 50% dell’elettricità usa-
ta in Ucraina. Le rinnovabili nel 2020 avevano superato di poco il 10% della gene-
razione elettrica, mentre il gas generava solo il 7% del fabbisogno elettrico ma
pesava per oltre l’80% sui bisogni domestici e di riscaldamento. Il greggio era in
buona misura raffnato da impianti interni mentre ora il paese importa la totalità del
suo fabbisogno di benzine, essendo le raffnerie distrutte. Con 38,5 trilioni (miglia-
ia di miliardi) di metri cubi di gas, a fne 2020 l’Ucraina aveva riserve accertate tra
le maggiori al mondo. Negli ultimi anni, il gas nazionale soddisfaceva circa il 70%
della domanda interna, ma i giacimenti sono concentrati per quattro quinti nell’est
della oblast’ di Donec’k (il restante 20% del gas è ubicato soprattutto nell’area car-
patica e nel Mar Nero), sicché è attualmente indisponibile a Kiev perché in mano
russa 13. Pregiudicata dai bombardamenti è anche la rete interna di gasdotti – oltre
38 mila chilometri, una delle più estese al mondo – che dai giacimenti innerva il
paese, sicché oggi l’Ucraina dipende paradossalmente dalle forniture di Ungheria,
Slovacchia e Polonia. Nel 2022 ha importato da lì un terzo (circa 10 miliardi di
metri cubi) del fabbisogno, coprendo il resto con gas proprio. Esistono margini
ulteriori, perché la capacità d’importazione ucraina da quei tre paesi è di quasi 20
miliardi di metri cubi l’anno. In prospettiva, ulteriore gas potrebbe essere importa-
to in forma liquefatta dalla Lituania e dalla stessa Polonia.
Ma quale gas? Soprattutto mediterraneo (croato, greco, egiziano e cipriota
quando l’offshore dell’East-Med sarà a regime), azerbaigiano o altrui. Non sarà tut-
13. B. CAHILL, L. Palti-GUZMAN, «The Role of Gas in Ukraine’s Energy Future», Csis (Center for Strategic
and International Studies), 13/1/2023. 71
72
B I E L O R U S S I A DOVE LA GUERRA FA PIÙ DANNI
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POLONIA VOLINIA
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Rivne ŽYTOMYR ČERNIHIV
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LA GUERRA PRESENTA IL CONTO
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tavia un gas economico, perché conteso con un’Europa alle prese con l’ammanco
russo. Amara ironia: potrebbe essere anche gas russo se, cessate le ostilità e atte-
nuate le sanzioni – che per parte europea, malgrado gli accesi dibattiti, ad oggi non
coinvolgono il gas – la Turchia dovesse prendere a rivendere la molecola di
Gazprom agli europei. L’Ucraina fnirebbe in tal caso per dipendere dal gas russo
– parte del quale magari espropriatole con la guerra – pagandolo di più e senza
compensarlo con i diritti di transito, dato che tra il 2005 e il 2020 i transiti di gas
russo sul territorio ucraino sono crollati da 136 a 42 miliardi di metri cubi l’anno.
Miracolo del tubo baltico Nord Stream, fuori uso dopo il sabotaggio del settembre
2022. Ma se, come appare verosimile, l’import europeo di gas russo via tubo non
tornerà ai livelli pre-guerra, i fussi trans-ucraini ne uscirebbero quasi azzerati in
modo strutturale. Nel dicembre 2019, una guerra fa, Mosca e Kiev avevano rinno-
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
vato l’accordo di transito per 40 miliardi di metri cubi l’anno, ma nel 2022 i volumi
sono stati meno della metà.
della martoriata Ucraina, sta nei numeri. Come dimostra la crescente insofferenza
di Polonia, Slovacchia, Romania (tre dei principali sostenitori dell’Ucraina), Bulga-
ria e Ungheria verso l’economico grano ucraino che ne ha inondato i mercati per
effetto delle misure di sostegno europee, le quali hanno abbattuto i dazi all’export
di Kiev nell’Unione.
Nominalmente, quel cibo sarebbe destinato all’Africa in base all’accordo me-
diato dalla Turchia e volto a scongiurare crisi alimentari indotte dall’ammanco di
cereali e fertilizzanti di provenienza ucraina, che insieme agli equivalenti russi
sfamano diversi paesi a medio-basso reddito. Di fatto, ha invece benefciato soprat-
tutto aziende europee. Nel 2022 solo il 17% dell’export ucraino di granaglie è fni-
to in Africa. Il 36% è stato assorbito dall’Ue, il 47% da Turchia e Asia. Le principali
destinazioni sono state (in ordine decrescente) Spagna, Cina, Turchia, Italia e Olan-
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
da e il grosso di tale export (44%) non è stato grano bensì mais, acquistato in pre-
cedenza e destinato in gran parte all’alimentazione animale e alla produzione di
biocarburanti 14. Dunque l’«accordo del grano» non ha riguardato principalmente il
grano e non è servito a sfamare Corno d’Africa o Maghreb, ma a stabilizzare un
mercato europeo stretto dall’infazione.
Il copione si ripete: delle circa 25 milioni di tonnellate di granaglie esportate
nei primi mesi del 2023 dall’Ucraina in base all’accordo (appositamente rinnovato),
meno di mezzo milione ha preso la via di Etiopia, Yemen, Gibuti, Somalia o Afgha-
nistan. Il grosso se l’è accaparrato l’Europa. Oltre allo scandalo morale e all’autole-
sionismo strategico – un’Europa che concorre ad affamare l’Africa con spregiudica-
te pratiche commerciali diffcilmente può poi chiederle di riprendersi i migranti
«economici», meno ancora di evitare che partano – la circostanza mette a nudo il
cuore della questione.
L’Ucraina era – e auspicabilmente tornerà – una potenza agricola con terre tra
le più fertili al mondo. Una volta nella Ue, sarebbe anche il paese più povero e tra
i più popolosi (ipotizzando un rientro dei rifugiati che, al netto delle vittime per ora
non quantifcate, riporti il paese vicino ai 43 milioni di abitanti anteguerra). La Pac
(Politica agricola comune) resta il cuore del bilancio europeo, assorbendone da
sola circa un terzo. Una Ue che lucra sulle commodities ucraine in piena emergen-
za e che contempla un parziale, ma clamoroso uso degli asset russi per attenuare
il conto della ricostruzione, sborserebbe in permanenza i miliardi necessari a soste-
nere sine die l’agricoltura di Kiev?
Tutto questo non vuol dire che l’Ucraina non sarà riscostruita. C’è da sperare
che lo sia e anche in tempi non biblici, per scongiurarne un’instabilità foriera di
altri disastri. Affnché la decantata e propagandata rinascita del martoriato paese
non resti però un illeggibile libro dei sogni, occorre anzitutto che la situazione
territoriale si stabilizzi, dato che nessuno (governi, privati) è pronto a investire in
un teatro di guerra. Poi serve parlar chiaro a chi dovrà, in ultima istanza, mettere
mano al portafogli. Cioè a noi tutti, cittadini e contribuenti.
74 14. B. ARIS, «The EU is not ready for Ukraine», Intellinews, Kyiv Blog, 21/4/2023.
LEZIONI UCRAINE
‘L’Ucraina dipende
totalmente dall’estero
per questo la aiutiamo’
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
risultati delle elezioni del 2019, vediamo che i russofli hanno preso circa il 9%. I
giovani non hanno alcuna nostalgia dell’Urss. Il processo di desovietizzazione è
stato molto rapido: vent’anni fa le strade a Kiev avevano nomi russi, oggi hanno
tutte nomi ucraini. Ovviamente, dal 2014 in poi il processo di desovietizzazione ha
conosciuto un’accelerazione. L’Ucraina ha scoperto il pluralismo politico e ha vis-
suto due rivoluzioni, quella «colorata» del 2004 e quella di Majdan. Inoltre, l’entrata
in vigore dell’accordo di associazione e libero scambio tra Kiev e Bruxelles (2017)
con la liberalizzazione dei visti è stato a mio avviso molto importante, insieme an-
che alla nascita della Chiesa ortodossa autocefala d’Ucraina (2018). Con il colpo di
mano in Crimea e l’apertura delle ostilità in Donbas Mosca ha defnitivamente
perso il cuore degli ucraini.
LIMES Si immaginava l’invasione? Come ha vissuto i giorni immediatamente prece-
denti?
ZAZO Gli ucraini hanno sperato fno all’ultimo che la Russia non invadesse. I gio-
vani non volevano nemmeno pensarci. Alla fne i russi erano il «popolo fratello».
Certo, il timore cresceva, ma la maggioranza degli ucraini credeva che un’eventua-
le aggressione russa si sarebbe limitata al Donbas, al massimo a Odessa. I Five Eyes,
in particolare Stati Uniti e Regno Unito, ci avevano avvertito di quello che sarebbe
avvenuto. Anche noi europei abbiamo sperato fno all’ultimo di evitare l’invasione.
Tuttavia eravamo molto preoccupati e, in particolare, speravamo che la guerra non
arrivasse a Kiev. Personalmente avevo delle brutte sensazioni, dovute ai messaggi
di odio veicolati dalla tv russa – che parla alla pancia del paese – e, soprattutto, al
discorso che Putin aveva tenuto nel luglio del 2021, e che ha ripetuto sostanzial-
mente identico prima dell’invasione. Quel discorso verrà studiato dagli storici.
Sentire Putin dire che l’Ucraina non esiste come Stato e che russi, bielorussi e
ucraini sono un unico popolo è stato per me un campanello d’allarme.
LIMES Molti suoi colleghi, in particolare gli inglesi e gli americani, avevano infatti
riparato su Leopoli. C’era l’idea di mettere in campo una sorta di governo in esilio
qualora Mosca fosse arrivata a Kiev?
ZAZO Gli ucraini non sono stati molto contenti del fatto che le ambasciate britanni-
76 che e statunitensi si siano spostate a Leopoli. Abbiamo avuto diversi incontri con
LEZIONI UCRAINE
Mosca sia rimasta vittima della sua stessa sistematica campagna di disinformazione.
Putin era sinceramente persuaso che gli abitanti russofoni dell’Ucraina orientale e
meridionale avrebbero accolto benevolmente i russi. Il presidente russo legge so-
prattutto i rapporti dei servizi e non usa il cellulare: non ha tante fonti d’informa-
zione. L’errore è stato illudersi che i russofoni fossero russofli. Come ho detto
all’inizio, in questi venti anni l’Ucraina è cambiata e si è sviluppato un forte senti-
mento d’identità nazionale, anche tra coloro che parlano russo. Putin disprezza a
tal punto gli ucraini da non aver minimamente immaginato che essi potessero
maturare una propria identità nazionale. Ragiona ancora in termini di sfere d’in-
fuenza. Per lui è inconcepibile che un popolo voglia autodeterminarsi. Inoltre, i
russi hanno da sempre un atteggiamento paternalistico verso gli ucraini, che non a
caso sono defniti «piccoli russi». Questo fatto mi ha sempre molto colpito. L’Ucrai-
na, in fn dei conti, era la seconda repubblica più importante dell’Unione Sovietica.
Era il cuore dell’apparato militare, industriale, spaziale e agricolo. Questo atteggia-
mento di benevolo paternalismo ha portato la Russia a sottovalutare gli ucraini e a
sopravvalutare sé stessa.
È un modo di ragionare tipicamente moscovita: nella capitale russa si respira anco-
ra un’aria imperiale. Inoltre, bisogna sottolineare che la classe dirigente russa è
particolarmente anziana. La gerontocrazia ha impedito alla Russia di comprendere
che l’Ucraina è cambiata. Pensano di essere ancora ai tempi dell’Urss. È una cosa
che Zelens’kyj ci ha detto spesso. Lui essendo russofono è stato eletto con la pro-
messa di migliorare i rapporti con la Russia e, nel suo primo anno di governo, ci
ha effettivamente provato, tentando di instaurare un rapporto paritario con Putin.
Il presidente russo non l’ha mai permesso. L’ha sempre guardato dall’alto verso il
basso, quasi con disprezzo. Per la nomenklatura russa era semplicemente inconce-
pibile impostare un rapporto paritario con un presidente che, fno a qualche anno
prima, faceva il comico.
LIMES Quando ha avuto l’impressione che gli ucraini sarebbero riusciti quantome-
no a contenere l’invasione russa?
ZAZO Ricorderete come, nei giorni precedenti alla guerra, gran parte della popola-
zione delle città ucraine passasse le giornate a produrre bombe Molotov mostrando 77
‘L’UCRAINA DIPENDE TOTALMENTE DALL’ESTERO, PER QUESTO LA AIUTIIAMO’
nizzati con i generatori, proprio perché pensavamo che la Russia avrebbe potuto
far saltare l’elettricità in tutto il paese, così da far scappare all’estero milioni di per-
sone provocando un nuovo esodo, che non c’è stato. Anche i sistemi di difesa
aerea forniti dai paesi occidentali stanno funzionando meglio. Insomma, per la
Russia è stato un disastro completo sul piano militare.
LIMES Quali sono le condizioni dell’Ucraina dal punto di vista interno? Che danni
ha subìto e come può essere ricostruita in tempi brevi?
ZAZO Se le operazioni militari non hanno avuto successo, bisogna dire che la Rus-
sia è riuscita invece a distruggere l’economia ucraina, che dipende ormai intera-
mente dagli aiuti internazionali, siano questi provenienti dagli americani, dagli
istituti fnanziari internazionali o dalla stessa Unione Europea, che contribuisce con
18 miliardi annui. Ci sono otto milioni di rifugiati all’estero e sei milioni di sfollati
interni. Ciò insiste su una strutturale crisi demografca: prima della guerra l’Ucraina
aveva circa 40 milioni di abitanti, oggi – anche se è diffcile fare una stima – sono
forse 30 milioni scarsi. Camminando per Kiev, si vede chiaramente che sono rima-
sti soprattutto uomini. Di donne e bambini ce ne sono ancora pochi. Il paese ha
subito danni enormi, soprattutto a livello infrastrutturale. Tuttavia, mi ha molto
colpito il fatto che la pubblica amministrazione non sia mai crollata, così come il
sistema bancario, ferroviario e informatico. Anche nei giorni peggiori siamo riusci-
ti ad avere un contatto continuo con il ministero degli Esteri ucraino. Magari non
ci rispondevano subito, ma richiamavano. È innegabile però che il paese – pur
avendo indubbie potenzialità in particolare nei settori agroindustriale, minerario,
energetico, metallurgico, militare, aerospaziale, nucleare e digitale, potendo inoltre
contare sul vantaggio di una forza lavoro istruita – sia al momento in grande diff-
coltà. Per questo deve provare in ogni modo a entrare nell’Unione Europea.
LIMES Data la situazione economicamente disastrosa, la guerra è sostenibile per
Kiev? All’Ucraina conviene andarsi a riprendere il Donbas, dove sono rimasti quasi
solo i florussi?
ZAZO Il problema è che è venuta meno qualsiasi fducia nei confronti dei russi. Gli
ucraini credono che il congelamento del confitto non possa avvenire poiché riten-
78 gono che il Cremlino rispetti solo il linguaggio della forza, non rispetti gli accordi
LEZIONI UCRAINE
dell’Alleanza a volerli nella Nato. Del resto quello di Kiev è l’unico esercito europeo
in grado di padroneggiare l’uso di decine di sistemi d’arma sia occidentali sia sovie-
tiche, oltre a essere l’unico ad aver combattuto una guerra su larga scala.
Per quanto riguarda l’ingresso nell’Ue, gli ucraini sono molto più fduciosi. Sono
molto grati all’Italia che, con il presidente Draghi e poi con il presidente Meloni, ha
riconosciuto e perorato le aspirazioni europee dell’Ucraina, sviluppando una decisi-
va opera di convincimento verso Francia e soprattutto Germania nel riconoscimento
a Kiev dello status di paese candidato all’Ue. Confdano pertanto che l’Italia possa
svolgere un ruolo proflato nel facilitare un rapido avvio dei negoziati di adesione
di Kiev all’Unione Europea. Pensano di poter iniziare i negoziati di adesione, ma
sono comunque consapevoli che essi avranno tempi lunghi e che non ci saranno
alternative al prosieguo delle necessarie riforme strutturali. Hanno inoltre puntualiz-
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
zato che non intendono «saltare la fla». Sanno che ci sono anche i paesi balcanici
che sono in attesa da anni di poter avviare i negoziati di adesione all’Ue.
LIMES Che ne pensa dell’incursione di milizie flo-ucraine a Belgorod, in Russia?
L’Ucraina cercherà di prendere dei pezzi di Federazione Russa a fni negoziali?
ZAZO Gli ucraini sono molto bravi a prendere di sorpresa i russi, ma credo che
siano sostanzialmente mosse diversive. Non penso che abbiano alcuna intenzione
di occupare parti di Russia. Per Kiev la vittoria consiste nella liberazione dei terri-
tori occupati. Sanno perfettamente che gli armamenti che ricevono non devono
essere usati per attaccare in territorio russo. Anche perché altrimenti smetterebbe-
ro di riceverli.
81
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LEZIONI UCRAINE
GRAZIE ITALIA
MA È ORA
DI CONOSCERCI MEGLIO PACHLOVSKA di Oxana
1. S
ULLO SFONDO DELL’INVASIONE RUSSA PER
la prima volta nella storia dei rapporti tra Ucraina e Italia vecchi stereotipi negati-
vi vengono scardinati per dar luogo a una riscoperta reciproca. Irrompono nuovi
modelli e manipolazioni che meritano particolare attenzione visto che la prospet-
tiva d’integrazione ucraina nelle strutture occidentali, cioè nell’Unione Europea e
(forse) nella Nato, diventa una reale possibilità. Migliorare la reciproca conoscen-
za e comprensione ha quindi portata politica e storica. L’Ucraina come realtà in-
dipendente dallo spazio russo è meno conosciuta in Italia rispetto al mondo an-
glosassone e a quello germanico. Ma nella sfera degli studi storici e letterari pro-
prio l’Italia, grazie alla sua tradizione umanistica, ha offerto non poche letture ori-
ginali del mondo ucraino. Per esempio, la visione del paese incrocio tra Est e
Ovest europeo – e più precisamente tra Slavia romana e Slavia orthodoxa – non
soltanto come una cultura «ibrida», ma soprattutto come «sintesi paneuropea» 1;
oppure il concetto di «polimorfsmo culturale» ucraino 2.
Si tratta però di complesse proiezioni accademiche. La lettura immediata della
guerra, cioè giornalistica, politica, istituzionale, assume invece una dimensione più
urgente. La realtà richiede risposte veloci, spesso determinanti dal punto di vista
politico e militare. Purtroppo, nonostante diverse analisi rigorose, da entrambe le
parti vediamo generalizzazioni e nuovi stereotipi che vanno analizzati e gestiti con
la massima prudenza data la pericolosità del momento.
1. S. GRACIOTTI, «Ukraïns’ka kul’tura XVII st. i Jevropa» («La cultura ucraina del XVII secolo e l’Europa»),
in O. MYŠANY0 (a cura di), Ukraïna XVII st. miž Zachodom ta Schodom Jevropy (L’Ucraina del XVII
secolo tra Occidente e Oriente d’Europa), Convegno italo-ucraino, 13-16 settembre 1994, Kyiv; ID.,
«L’Ucraina tra due Slavie e due Europe», in G. DE ROSA, F. LOMASTRO (a cura di), L’età di Kiev e la sua
eredità nell’incontro con l’Occidente, Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, atti del Con-
vegno, Vicenza, 11-13 aprile 2002, Roma 2003, Viella, pp. 215-220.
2. G. BROGI, Kul’turnyj polimorfzm ukraïns’koho svitu (Il poliformismo culturale dell’universo ucrai-
no), Kyiv 2022, Duch i Litera. 83
GRAZIE ITALIA, MA È ORA DI CONOSCERCI MEGLIO
Il paradosso più grande sta nel fatto che l’Ucraina, fno a poco tempo fa cono-
sciuta in Europa poco e male, viene riscoperta come una realtà dal potere trasfor-
mativo. In altre parole, la visione dell’Ucraina da parte occidentale corregge sia
l’attuale concetto di Europa e Occidente sia l’attuale concetto di Russia. La ragione
principale sta nel fatto che proprio l’Ucraina costituisce oggi una radicale «faglia
culturale» tra civiltà antagoniste.
Consapevole di questo, Kiev guarda l’Italia con tanta sorpresa. Nel bene e nel
male. In questo senso, il rapporto dell’Ucraina con la Polonia, gli Usa o la Gran
Bretagna riserva meno sorprese rispetto al suo rapporto con l’Italia perché questi
paesi hanno sviluppato da anni strumenti critici e risorse per la reciproca compren-
sione. Nel frattempo, tra Italia e Ucraina si apre un interessantissimo capitolo carico
non solo di questioni politiche, ma anche di quesiti etici. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
2. L’Italia è sempre stata vista nell’Est europeo come uno spazio artistico da
amare incondizionatamente e insieme come realtà politica troppo incoerente e
compromissiva per essere presa seriamente in considerazione. Nel trentennio dopo
la caduta del Muro di Berlino e lo sfaldamento del sistema comunista, l’Italia poli-
tica, sia di destra sia di sinistra, ha rappresentato una sorta di anomalia per tutto
l’Est europeo orientato verso l’Occidente, compresa l’Ucraina. Certamente, anche
qui riscontriamo non poche semplifcazioni. Ma, in linea generale, l’Italia è stata
associata inequivocabilmente con Berlusconi e il berlusconismo come forma di
tradimento della democrazia. Una decina di anni fa questa visione è stata esplicita-
ta da Adam Michnik, storica fgura di Solidarno£©. Michnik vedeva nella «berlusco-
nizzazione» e nella «putinizzazione» dell’Europa due grandi pericoli per la democra-
zia occidentale. L’amore estatico di Berlusconi nei confronti di Putin, la sua convin-
zione che proprio in Russia risiedesse la vera democrazia (tale fu la spiegazione del
suo amico russo 3), hanno rappresentato uno shock per nazioni come Polonia,
Ucraina e baltici.
I paesi dell’Est vedevano con chiarezza come la Russia stesse tornando verso
il suo «congenito» anti-europeismo e come il potere a Mosca stesse inesorabilmente
subendo un processo di criminalizzazione. Ricordiamo quanti oppositori sono stati
brutalmente ammazzati – Politkovskaja, Litvinenko, Nemcov e altri ancora – mentre
le deboli proteste occidentali venivano viste con disprezzo dalle autorità russe. I
paesi dell’Est percepivano con chiarezza la continuità storica del neoimperialismo
russo, dallo stemma zarista dell’aquila bicefala alla falce e martello comunisti. Le
poche voci (ricordiamo Edward Lucas 4) impegnate nella denuncia dei pericoli im-
fosse stata occupata nell’arco di tre giorni secondo il piano originale del Cremlino,
Berlusconi non avrebbe esitato a ricevere con gioia per il suo compleanno bottiglie
di vodka dall’amico Volodja e a spedire in risposta casse di lambrusco 6.
Non meno imbarazzante risulta l’immagine storica della sinistra italiana. Come
la retorica ambigua di Prodi, che ha cercato di reagire all’assassinio della Politko-
vskaja senza compromettere i rapporti con Mosca 7. Un politico chiamato a rappre-
sentare un paese democratico, con tanto di libertà di parola e coscienza, si è impe-
gnato a calibrare prudentemente le parole, imponendosi un’autocensura di fronte
all’assassinio di una delle voci russe più oneste e coraggiose di quel periodo. Una
voce che salvava l’onore della Russia dal totale disonore della guerra contro la Ce-
cenia, come aveva affermato con amarezza André Glucksmann 8. Per non parlare di
Togliatti e della sua guardia veterostalinista viva e vegeta anche oggi in Italia. Insom-
ma, l’Italia di destra e di sinistra ha offerto una realtà politica peggiore persino dei
tempi sovietici, quando i dissidenti venivano in qualche modo difesi e appoggiati
dall’Occidente. Questa cautela ipocrita ha rafforzato la percezione del Cremlino per
cui qualsivoglia sua azione criminale non avrebbe suscitato risposta da parte di un
Occidente pronto a svendere l’Ucraina in cambio di materie prime e denaro facile 9.
solo dell’invio di armi, ma della sua dichiarazione forte e senza equivoci, ribadita
più volte, che l’Italia è parte integrante dell’Occidente e come tale è tenuta a rispet-
tare i patti dell’Ue e della Nato, e dunque i princìpi del diritto internazionale pro-
mossi da queste istituzioni.
Si può dire senza esagerare che la Meloni ha cambiato l’immagine dell’Italia
nell’Est europeo, vista ora come uno Stato forte e coerente. Tantissime persone in
Ucraina seguono con attenzione e ammirazione il governo italiano, e riportano del
suo paese una visione estremamente positiva. Da citare il parallelismo storico tra
le due nazioni fatto dalla premier italiana durante una conferenza stampa a Kiev
all’inizio dell’anno: per secoli l’Italia è stata sminuita a «espressione geografca» così
come l’Ucraina non è stata riconosciuta come spazio politico e culturale autonomo.
Ma grazie al Risorgimento l’Italia «ha dimostrato di essere una nazione», mentre con
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scene pasquali che hanno suscitato clamore in Ucraina: nel 2022 una ragazza ucrai-
na e una russa portarono insieme la croce 14, mentre nel 2023 due adolescenti
commemorarono insieme la morte dei loro padri in guerra 15. Nessuno avrebbe mai
potuto immaginare un bambino ebreo e uno tedesco a braccetto in una Roma
occupata come simbolo di «pace». Tali atti di pacifsmo vuoto suscitano sbigotti-
mento nella società ucraina.
Questo genere teatrale del «pio desiderio» contrasta clamorosamente con il
quadro sociale in Russia dove propagandisti chiamano ad annegare e bruciare vivi
bambini ucraini 16, dove i soldati russi hanno violentato donne e uomini, bambine
e anziane 17, dove il fglio racconta con entusiasmo alla madre delle torture che ha
imparato a infiggere 18, dove in diretta si taglia la gola ai prigionieri 19. Una ricerca
sui social media russi rivela che a voler uccidere, violentare, torturare, annientare
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precipitati ad aiutare gli ucraini, con gli armamenti e con il supporto economico,
ma anche capillarmente, pensando a ogni momento della vita delle persone sfol-
late che hanno perso i loro cari, le abitazioni e il futuro. È diffcile non vedere l’a-
bissale differenza morale tra queste due realtà.
In questo senso l’Italia viene percepita in Ucraina come paese di grande gene-
rosità e di solidarietà umana e cristiana. Ricordo le parole di un mio amico, storico
polacco, quando mi disse che un giorno avrebbe voluto andare in Italia per ringra-
ziare i parrocchiani di ogni chiesa, anche quelli della più piccola sperduta nella
campagna. Quando ai tempi di Solidarno£© i polacchi lottavano contro l’oppressio-
ne del Cremlino, tantissimi cittadini italiani mandarono in Polonia tutto quello che
ai loro occhi potesse risultare utile. Lo stesso sentimento di infnita gratitudine
domina oggi in Ucraina nei confronti dell’Italia, settentrionale e meridionale, laica
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fno alla docenza, si sono mostrati solidali, determinati, ben organizzati, collabora-
tivi e accoglienti.
Anche in questo caso va apprezzato in primis l’aspetto umano, senza dover
per questo sottovalutare gli aspetti logistici e burocratici. Tanti professionisti ucrai-
ni hanno visto distrutta la loro vita nel giro di pochi giorni. Nella parte orientale del
paese, le università che poco prima dell’inizio della guerra festeggiavano allegra-
mente il Natale, erano diventate cumuli di rovine. Kharkiv, per esempio, è una
città intellettuale e giovane, con la maggior concentrazione di università di tutta
l’Ucraina, ventinove per l’esattezza. Bombardate, bruciate, derubate, insieme a mu-
sei, scuole, case editrici e biblioteche 27. Nella parte occupata del paese si distrugge
ogni traccia della cultura ucraina anche attraverso il sistema dell’istruzione 28.
Continui attacchi contro Kharkiv e Mariupol’ hanno portato alla distruzione di
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due importanti centri di italianistica, disciplina che solo negli ultimi decenni ha
visto un processo di sistematizzazione ed espansione. Oggi rimangono quelli di
Kiev, Leopoli e Odessa. Proprio alla vigilia della guerra discutevamo coi colleghi
sulle nuove prospettive dell’indirizzo italianistico grazie all’attività mirata e fruttuo-
sa dell’Istituto di cultura italiana di Kiev. In vari incontri si parlava in ucraino, ita-
liano, russo, inglese. Questo mondo culturale, polifonia di voci e idee, è stato de-
vastato nel giro di pochi giorni. Così i nostri colleghi, italianisti e non, sono diven-
tati profughi senza lavoro. Per cui l’università italiana che pazientemente si è impe-
gnata a integrare studiosi e scienziati ucraini diventati profughi rimane un grande
esempio di umanità.
guerra sia stata scatenata da Zelens’kyj, reo di aver attaccato «le due repubbliche
autonome del Donbas» 32. Per non parlare del fatto che diversi talk show italiani in-
vitano regolarmente persone come Nadana Fridrikhson, giornalista russa di Zvezda,
testata di proprietà del ministero della Difesa, per dare l’illusione di un dibattito ca-
pace di rappresentare «entrambe le parti», fnendo per dare legittimità a messaggi
propagandistici russi 33. Tutto questo viene percepito dalla società ucraina come
espressione di estrema (e pericolosa) superfcialità.
Le continue «marce per la pace» con l’appello a cessare l’invio di armi all’Ucrai-
na, condizione necessaria per una tregua, sono un altro fenomeno tipicamente
italiano e aggiungono sfumature negative a queste polemiche. Una tal presa di
posizione manca di visione strategica sulle sue conseguenze geopolitiche e mette
sullo stesso piano aggressore e aggredito, per cui la violenza russa viene giustifca-
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32. M. LEARDI, «“Torna a casa Zelassie”. “Veterostalinista”. Bufera sulla vignetta anti-Ucraina di Vauro»,
ilgiornale.it, 23/12/2022.
33. H. ROBERTS, «Infowars: Putin’s propaganda permeates Italian media», politico.eu, 20/5/2022; A.
BACCARO, «“Spie siete voi”. Nadana Fridrikhson, chi è la giornalista russa (ospite delle tv italiane) al
centro delle polemiche», corriere.it, 29/4/2022.
34. È stato molto utile il recente corso (23 lezioni) The Making of Modern Ukraine di Timothy Snyder
aperto all’utenza più larga.
35. «Massimo Cacciari: “La Russia non potrà mai essere ridotta a staterello senza colpo ferire”», You-
Tube.
36. S. PLOKHY, «The City of Glory: Sevastopol in Russian Historical Mythology», Journal of Contempo-
90 rary History, luglio 2000, vol. 35, n. 3, pp. 369-383.
LEZIONI UCRAINE
ksimilian Vološin parlava appunto del «paradiso musulmano» calpestato dai russi.
Inoltre, Khruš0ëv non intendeva compensare nulla dato che era, insieme a Stalin,
uno degli artefci della soppressione dell’Ucraina e dello Holodomor, la morte per
fame di milioni di contadini ucraini nel 1932-33. E ha «regalato» la Crimea all’Ucrai-
na per due motivi pratici: perché voleva riaffermare la sottomissione di Kiev, da
sempre ribelle, ricorrendo al mito storico dell’anniversario del trattato di Perejaslav
del 1654 che rese possibile il dominio della Moscovia sulle terre dell’etmanato 37, e
perché la continuità territoriale permetteva di accollare all’Ucraina il compito di
rigenerare l’economica della Crimea, distrutta dopo la deportazione dei tatari nel
1944. L’Ucraina ha rimesso in piedi la Crimea e l’ha resa una perla di villeggiatura.
Oggi è un deposito di armi dove i tatari continuano a venire perseguitati.
Nello stesso discorso Cacciari si mostra comprensivo di fronte al fatto che la
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Russia afferma il suo diritto di occupare le zone russofone, in Ucraina e non solo.
Ora, se qualcuno pensasse che la Russia abbia il diritto di «liberare» e/o «riprendere»
le zone russofone, dovrebbe rispondere perlomeno a una semplice domanda: per-
ché queste aree integrate in Ucraina sono rimaste per anni zone tranquille e foren-
ti, mentre, una volta «liberate» dalla Russia sono oggi cumuli di detriti? Con monta-
gne di cadaveri che i russi non riprendono, cani selvatici che si cibano di corpi di
soldati e civili in decomposizione. Il Russkij Mir si presenta oggi in Ucraina proprio
così. Google Maps ne dà testimonianze dirette 38.
È dunque fondamentale che anche in Italia ci sia un maggiore sforzo per rifu-
tare gli stereotipi che elevano la Russia a entità sacrale, a una «santa madre Russia»
spazio idilliaco di «amicizia tra popoli». La verità è che si tratta di uno Stato incapa-
ce di affrontare le verità storiche della sua «bulimia politica», per dirla con Norman
Davies, intossicato da un neoimperialismo virulento e un senso di vittimismo col-
lettivo di fronte a chiunque rigetti questo modello autoritario ed espansionistico.
Questa guerra ha mostrato con chiarezza che la Russia non è mai stata un
paese europeo. La famosa «europeizzazione» di Pietro il Grande ha avuto carattere
puramente «imitativo», come intuì acutamente Rousseau. Già dai tempi della rivo-
luzione francese, quando era ancora in vita Caterina, è venuta a mancare la gallo-
flia, e con essa l’amore per l’Europa. La storia in Russia è stata statalizzata e scritta
sotto dettame dei sovrani. Gli scrittori russi, con eccezioni davvero esigue, sono
stati portatori dello stesso imperialismo associato principalmente col potere politi-
co russo, che si esprimeva attraverso un profondo odio verso la Polonia, l’Ucraina
e gli ebrei, verso i popoli baltici, la Svezia, il Caucaso e l’Europa in quanto tale. Dai
tempi di Caterina II in poi, come mostra bene Bengt Jangfeldt 39, l’ideologia russa
per più di due secoli non fa che riprodurre in vari modi sempre lo stesso concetto:
37. M. BRAICHEVSKY, Annexation or Reunifcation: Critical Notes on One Conception, Munich 1974,
Ukrainisches Institut; J. BASARAB, Pereiaslav 1654: A Historiographical Study, Edmonton 1982, Cana-
dian Institute of Ukrainian Studies, University of Alberta. Il presidente di Polonia Andrzej Duda non
a caso ha affermato che la vittoria dell’Ucraina sulla Russia dovrà essere festeggiata proprio a Pereja-
slav. Ukrinform, 1/2/2023.
38. Bbc, 11/5/2023.
39. B. JANGFELDT, L’idea russa. Da Dostoevskij a Putin, Milano 2022, Neri Pozza. 91
GRAZIE ITALIA, MA È ORA DI CONOSCERCI MEGLIO
teatro di Mariupol’ – primo rifugio per mille persone, dopo un’ecatombe – trovia-
mo la metafora perfetta della cultura imperialista di Mosca. Il 16 marzo 2022 i
bombardamenti russi hanno causato la morte di seicento persone seppellite dentro
quel teatro, poi le rovine sono state avvolte da uno striscione con i volti di scritto-
ri russi come Puškin, Dostoevskij e Tolstoj. Mancano Bulgakov e Brodskij con il
loro odio viscerale verso l’Ucraina. Mancano anche Limonov e Prilepin, molto
amati da diversi russisti italiani, scrittori di chiaro stampo neonazista che hanno
scritto su come va smembrata, distrutta e annientata l’Ucraina 40. L’«idea russa» si
pone oggi – fnalmente – come un’ideologia visceralmente anti-europea, anti-occi-
dentale e antidemocratica. Sottolineo: fnalmente. In questo modo, l’atto di aggres-
sione e tutta la retorica a favore della guerra sradicano la visione illuministica occi-
dentale (e ingannevole) di lunga data, in cui Russia è stata vista realtà europea di
fatto o aspirante tale.
crisi. Eppure il processo di conoscenza del paese viene aggiornato troppo lenta-
mente, senza coerenza. Per esempio, proprio in questo periodo lo Holodomor è
stato riconosciuto come genocidio del popolo ucraino dai parlamenti italiano, slo-
veno e britannico, dopo decine di anni di estenuanti discussioni. A dicembre 2022
lo ha fatto anche il Parlamento europeo 43. Oggi, quando il bisogno di conoscere
l’Ucraina è cresciuto a dismisura, il volume di pubblicazioni esplode ma le vere
competenze crescono molto più lentamente rispetto alle immediate necessità.
Quindi, per l’Occidente, e per l’Italia in particolare, una delle funzioni princi-
pali dell’Ucraina sarebbe oggi quella di riattualizzare il valore dei concetti e delle
categorie occidentali come dimensione mai suffcientemente protetta, che richiede
nuovi strumenti e metodi di difesa. Si è creata una situazione unica nella storia:
l’Occidente salva l’Ucraina fornendo armi moderne e supporto di ogni tipo, l’Ucrai-
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na salva l’Occidente dall’avanzata dei nuovi barbari. Proprio questo inedito «equi-
librio» in mezzo a un terrifcante squilibrio globale rende la futura integrazione
euroatlantica dell’Ucraina un processo logico e dignitoso per il paese, oltre che
l’inizio di una nuova fase storica per l’Occidente.
La Russia si muove verso un totale isolamento politico e verso un degrado
socioeconomico che potrebbero durare decenni. Di contro, il riavvicinamento
dell’Ucraina all’Occidente accelera su diversi livelli. Per cui in tutti i campi – dalla
slavistica al giornalismo, dalla storia alla flologia, e altro ancora – l’Italia si trova di
fronte a opportunità ed esigenze uniche nel costruire un «nuovo sapere» sull’Ucrai-
na alla luce degli eventi odierni, con l’ausilio di categorie interpretative che costi-
tuiscono i fondamenti dell’idea di Europa.
43. J. DAHM, «Il parlamento dell’Ue riconosce la carestia dell’Holodomor come genocidio», euractiv.it,
16/12/2022. 93
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LEZIONI UCRAINE
1. TUCIDIDE, Guerra del Peloponneso, libro III; cfr. anche D. KAGAN, The Peloponnesian War, London
2003, Penguin Books, p. 109.
2. D. POLANSKY, «Take Realist Argument over Russia in Good Faith», Foreign Policy, 23/6/2022. 95
GEOPOLITICA COME RELAZIONE (APOLOGIA DI DIODOTO)
3. Si veda il particolare il recente intervento di F. HILL, ex consigliere di G.W. Bush e Obama, alla
Lennart Meri Conference 2023; cfr. anche S. FIDLER, M.R. GORDON, «Russia, China Challenge U.S.-Led
World Order», The Wall Street Journal, 21/2/2023.
4. Così il senatore Usa Lindsey Graham: «If you do not understand that success by Putin in Russia
invites aggression by China against Taiwan, then you have seriously miscalculated one of the most
obvious nexuses in the world», in «Graham warns US against turning back on Ukraine: If Putin wins
“more confict is coming”», The Hill, 14/3/2023.
5. T. CIRIACO, «Zelensky apre sulla neutralità di Kiev: “Possibile accordo su Crimea e Donbass”», la
Repubblica, 28/3/2022.
6. «Possibility of talks between Zelenskyy and Putin came to a halt after Johnson’s visit – UP sources»,
Ukrainska Pravda, 5/5/2022; «Johnson’s position was that the collective West, which back in February
had suggested Zelenskyy should surrender and fee, now felt that Putin was not really as powerful as
they had previously imagined, and that here was a chance to “press him”», pravda.com.ua
7. «According to multiple former senior U.S. offcials, (…) in April 2022, Russian and Ukrainian negotiators
appeared to have tentatively agreed on the outlines of a negotiated interim settlement: Russia would with-
draw to its position on February 23, when it controlled part of the Donbas region and all of Crimea, and in
exchange, Ukraine would promise not to seek Nato membership and instead receive security guarantees
from a number of countries», in F. HILL, A. STENT, «The World Putin Wants», Foreign Affairs, 25/8/2022.
8. Si noti che Zelens’kyj abbandonò le trattative subito dopo la visita del primo ministro inglese, il 9
aprile, e non dopo la rivelazione dei crimini di guerra russi a Bu0a. Tant’è che dopo aver visitato la
località di Bu0a, il 4 aprile 2022, Zelens’kyj riaffermò la propria determinazione a proseguire i nego-
ziati. Cfr. I. KATCHANOVSKI, «The Russia-Ukraine War and the Maidan in Ukraine», School of Political
Studies & Confict Studies and Human Rights Program University of Ottawa, 13/10/2022; si veda an-
che R. ROMANIUK, «From Zelenskyy’s “surrender” to Putin’s surrender: how the negotiations with Russia
96 are going», Ukrainska Pravda, 5/5/2022.
LEZIONI UCRAINE
Graham 9. Messaggio poi pudicamente sfumato nel più corretto ritornello, liturgica-
mente ripetuto dai leader Ue, secondo cui l’Ucraina combatte «anche per i nostri
valori». Nell’ottimistica convinzione che il crollo di Mosca, accelerato dalla ghigliotti-
na delle sanzioni economiche, fosse questione di mesi, se non di settimane 10.
to nei confronti di Kiev ogni giorno più disallineata con gli interessi a lungo termine
degli Stati Uniti. Senza contare che l’impegno a sostenere l’Ucraina, ripreso dagli
alleati europei «as long as it takes» è materialmente impossibile, oltre che politica-
mente insostenibile, come dimostrano gli orientamenti (e le proteste) delle opinioni
pubbliche nei maggiori paesi Ue (Italia inclusa 13). La rigida postura assunta dai go-
verni alleati nel tentativo di mantenere la linea anche a costo di infiggere gravi
danni economici ai propri popoli sta crepando le nervature profonde delle società,
disintegrando gradualmente la più preziosa e immateriale delle risorse su cui si fon-
da l’egemonia americana in Europa: la fducia e il sostegno dei suoi clienti. Svuotan-
do dall’interno l’apparenza di quella unità del blocco euroatlantico che si intendeva
rinsaldare. Con il rischio di ridurla – alla lunga – a un guscio vuoto, come il crescen-
te iato tra posizione dei governi e opinioni pubbliche sembra testimoniare 14.
all’espansione della Nato» 16. A un anno e mezzo dal suo irrompere, però, la guerra
ha iniziato a erodere la prontezza militare occidentale, senza che la base industria-
le in ambito militare possa tenere il passo con l’elevatissimo consumo di munizio-
ni ed equipaggiamenti richiesto dell’Ucraina. La guerra sta inoltre infiggendo costi
altissimi all’economia globale (2,8 trilioni di dollari persi nel 2023 secondo l’Oc-
se 17), avendo l’anno scorso determinato in Europa un aumento dei costi dell’ener-
gia con effetti a catena sulla competitività della manifattura europea. Contribuendo
attivamente – nell’allegra spensieratezza dei suoi leader – all’ulteriore desertifca-
zione industriale del continente (con la chiusura e il trasferimento in America o in
Cina degli stabilimenti produttivi) 18.
Soprattutto, la guerra in corso sta pericolosamente polarizzando il sistema inter-
nazionale, spaccandolo in due blocchi geopolitici. Di cui quello occidentale è nume-
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alprincipio di realtà, supremo giudice della vita degli individui come dei popoli,
rende imprescindibile per Washington e i suoi alleati ricollocare la guerra russo-
ucraina in un quadro di riferimento più ampio, avendo sperimentato i limiti di una
politica estera priva di lungimiranza e disancorata da un’effcace visione strategica.
Donde la necessità – come Diodoto suggeriva agli ateniesi – di ampliare il
raggio della visuale geopolitica, fnora ristretto all’evento immediato («la brutale e
ingiustifcata aggressione russa») e appiattito sull’approccio legalistico, quando non
moralistico, alla questione («l’inaccettabile violazione del diritto internazionale»).
Nella consapevolezza che la gestione a lungo termine delle strategie di potenza
americane non può fondarsi su slogan infarciti di «furia e impeto cieco» – mesto
epilogo cui tende il pensiero politico occidentale ai tempi di Twitter. Ma obbliga a
ponderare, bilanciandoli, obiettivi e priorità sullo sfondo degli interessi nazionali a
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7. Anche da una prospettiva ucraina, dunque, diventa ogni giorno più chiaro
che nulla di ciò di cui il suo popolo avrebbe bisogno – pace, sicurezza e ricostru-
zione economica – potrà essere ottenuto prolungando una guerra che non può
essere vinta. Il costo del massimalismo politico abbracciato dalla classa dirigente
post-Majdan si è del resto già rivelato altissimo: anziché traghettare il paese verso
il regno promesso del benessere e della prosperità, la scelta dell’integrazione euro-
atlantica quale unico vettore di sviluppo del paese 30 ha trasformato l’Ucraina da
terra di frontiera in campo di battaglia, e quindi in landa desolata da cui sono fug-
giti oltre 14 milioni di persone, tra rifugiati e sfollati (su una popolazione di 41). Le
forze militari di Kiev hanno pagato un tributo umano spaventoso (il numero dei
caduti, dell’ordine di centinaia di migliaia, è tenuto rigorosamente segreto) perden-
do alcune delle loro migliori truppe nel tentativo di impedire la presa di Bakhmut.
L’anno scorso l’economia ucraina è crollata di quasi il 30% (quella russa solo del
3%) 31. Mentre Mosca rimane largamente autosuffciente sul piano agricolo, energe-
tico e militare, gran parte delle infrastrutture ucraine giace in rovina. Kiev è diven-
tata completamente dipendente dai paesi occidentali sia per le forniture militari sia
per l’assistenza fnanziaria. Il tasso di povertà è vertiginosamente aumentato, in un
paese che già prima della guerra vantava il titolo di più povero d’Europa. E ogni
giorno i bombardamenti russi aumentano la profondità della devastazione e dei
danni collaterali della «guerra giusta» (benché i vertici ucraini, con un pizzico di
29. Non è mai stato molto chiaro «in che modo una nazione con un pil di 200 miliardi di dollari e una
popolazione di 44 milioni (2021) possa infiggere una completa sconftta militare a una nazione con
un pil di 1,8 migliaia di miliardi e una popolazione di 145 milioni di persone (2021)», con uno dei più
grandi arsenali nucleari al mondo, oltre a una non trascurabile industria della difesa. Cfr. D.H. RUN-
DELL, M. GFOELLER, «After Bakhmut: Draining Battle Leaves Ukraine Battered, Russia Rising», Newsweek,
20/4/2023.
30. Ripudiando nel 2019 la neutralità inscritta in costituzione per sancire al contrario «l’irreversibilità
del corso (…) euro-atlantico». Un approccio superfciale al destino di una nazione, e soprattutto, al
destino del suo popolo.
31. Il rublo è forte come lo era a inizio confitto e il Fondo monetario internazionale prevede che nel
2023 la Russia crescerà più di Germania e Gran Bretagna. Chiaramente le sanzioni occidentali non
100 hanno distrutto l’economia russa.
LEZIONI UCRAINE
non potrà infatti vedere la luce senza che sia stato scacciato lo spettro del confitto
latente e la possibilità della ripresa delle ostilità. L’affusso di centinaia di miliardi
di dollari privati presuppone che vengano rimosse alla radice le cause dello scon-
volgimento in corso. Obiettivo che suggerirebbe l’abbandono del massimalismo di
guerra e l’adozione di un più pragmatico realismo.
8. Trovare una via d’uscita dal labirinto ucraino, però, non è facile. Qualsiasi
ipotesi di trattativa è stata fnora soffocata dal prevalere, in Occidente, di una visio-
ne unilaterale e riduttiva delle cause del confitto. Ovvero dall’idea che l’unico re-
sponsabile della carnefcina in atto sia il sanguinario autoritarismo di Putin, la sua
psicologia paranoica, le sue folli ambizioni imperiali. Va da sé, secondo questa vi-
sione «semplicistica e vagamente auto-assolutoria» 34, che la questione della minaccia
posta dall’espansione della Nato nello spazio post-sovietico, più volte evocata dai
leader russi, sia da considerarsi poco più che una foglia di fco per coprire la nuda
volontà di potenza del Cremlino. Animato dal retrogrado e repellente ideale di ri-
pristinare una politica basata sulle «sfere di infuenza» e dal tetro proposito di forgia-
re un mondo in cui «il più forte impone il suo volere». Motivo per cui tentare di
negoziare con quel «macellaio di Putin» sarebbe un errore fatale, analogo all’esiziale
politica di appeasement con Hitler 35. «L’America non riconoscerà nessuna nazione
che abbia una sfera di infuenza», per dirla con le lapidarie parole di Joe Biden 36.
32. «Russian missile stocks reach almost zero, says intelligence chief», The New Voice of Ukraine,
28/22023.
33. R. HAASS, C. KUPCHAN, op. cit.
34. B. SCHWARZ, C. LAYNE, «Why Are We in Ukraine?», Harpers, June 2023.
35. Per dirla con Cleone, «la vostra più salda difesa, ateniesi, è dunque mantenere dura la pena e non
rivelare uno spirito più facco del loro che hanno attaccato, calpestando il diritto [leggi «US-led inter-
national order»].
36. Il rifuto di trattare la pace con Putin, inoltre, «rimanda al mito politico che vuole il male associato
alla realtà individuale di un dittatore (…) tolto di mezzo il quale il bene trionferà; e più in generale
rimanda al mito della modernità secondo cui è possibile cancellare ogni negatività dalla storia (…) e
istituire qui in terra il regno della luce perfetta, il mondo senza dolore né tenebra». La storia suggerisce
però diversamente: l’eliminazione di Saddam Hussein o Muammar Gheddaf non ha prodotto pace,
ma nuovi confitti. «Alla coesione che veniva mantenuta con la forza è seguita la disgregazione, esito
della competizione fra più soggetti dediti all’uso della forza». Cfr. l’eccellente pezzo di R. CASADEI,
«Ucraina. Perché non ci sarà mai una pace giusta», Tempi, 11/11/2022. 101
GEOPOLITICA COME RELAZIONE (APOLOGIA DI DIODOTO)
9. Per uscire dal labirinto della crisi, gli Stati Uniti e i loro alleati saranno chia-
mati a seguire (anche senza conoscerlo) il suggerimento di Diodoto e cambiare
prospettiva – ovvero il modo di concepire la politica internazionale. Recuperando
almeno in parte lo spirito di quella che Morgenthau chiamava la vecchia diplomazia:
«Non siamo infatti in una corte di giustizia, ma in un’assemblea politica; e la questio-
ne non è l’illegalità delle loro azioni, ma la saggezza delle nostre misure» nelle cir-
costanze concrete. Tenendo anzitutto presente come Washington ha storicamente
risposto (e risponderebbe) a situazioni analoghe a quelle in cui si è trovata la Russia.
Solo allora potrà balenare che la ragione dell’aggressione in Ucraina «non è proba-
bilmente la megalomania espansionistica di Putin, ma esattamente quello che Mosca
dice che sia: una reazione difensiva all’espansione dell’infuenza militare di una
potenza rivale in un paese confnante e strategicamente importante» 41. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
esistenza delle grandi potenze): non foss’altro per il fatto di ritenersi «l’unica super-
potenza». Considerando la Russia non più come una potenza con sensibilità politi-
che da prendere in considerazione, ma come dichiarato telos dell’estensione
dell’infuenza americana in Eurasia. Come certifcano, a scanso di equivoci, i piani
del dipartimento di Stato Usa risalenti al 1993 (e recentemente declassifcati 43) che
programmavano entro il 2005 l’ingresso nella Nato di Russia, Ucraina e Bielorussia.
A chi cita l’espansionismo hitleriano come monito per scoraggiare ogni tratta-
tiva con Putin andrebbe dunque ricordato che l’unica espansione nell’area è stata
quella dell’Alleanza Atlantica, non del Cremlino, che nel 1991 si è volontariamente
ritirato dall’Europa centro-orientale, permettendo la riunifcazione tedesca, in base
a precise (benché mai codifcate) assicurazioni americane 44.
L’aver ignorato le ragionevoli preoccupazioni di sicurezza russe, consideran- Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
dole irrilevanti o più semplicemente assurde «alla luce delle benevole dichiarazioni
d’intenti occidentali» 45, ha gettato i semi dell’odierna catastrofe geopolitica, di cui
gli architetti dell’attuale politica estera americana hanno – come aveva preconizza-
to George Kennan – «una responsabilità fondamentale» 46. Come nelle relazioni tra
uomini, infatti, anche in quelle fra Stati ciò che conta non sono tanto (né principal-
mente) le intenzioni di chi agisce, ma il modo in cui tali intenzioni sono interpre-
tate o comprese da chi le subisce. Considerando gli effetti delle incomprensioni tra
Stati (le guerre), c’è una ragione per cui in politica estera le percezioni contano
spesso più della realtà. Continuare a ignorarle non aiuterà a risolvere la crisi, ma al
contrario ad approfondirla.
Se è così, l’inutile strage ai confni d’Europa potrà essere fermata solo tornando
a pensare la politica estera come un’arte che si declina al plurale. Ovvero tenendo
debitamente in conto le prospettive e le percezioni altrui: soprattutto quando non
le si condividono. La diplomazia implica per antonomasia la capacità di compren-
dere gli interessi e le ragioni dell’avversario. E quindi di fare compromessi. Nella
consapevolezza che «confitti tra le società e internamente ad esse si sono verifca-
ti fn dagli albori della civiltà, (…) e non solo tra le società che non si comprendo-
no, ma anche tra quelle che si comprendono fn troppo bene» 47.
Si avvicina il momento in cui non sarà più possibile per l’Occidente continuare
a presentare il confitto in termini dicotomici, come guerra tra barbarie e civiltà. Po-
stura adottando la quale il mondo civilizzato a guida Biden si è autolimitato le op-
zioni diplomatiche, catapultandosi senza troppi pensieri lungo la via dell’escalation
armata. Nella pericolosa illusione di poter rimuovere manu militari la pietra d’in-
ciampo russa dal presunto sentiero che conduce all’inarrestabile trionfo della libertà.
Impianto concettuale che, portato al limite, conduce all’Armageddon nucleare.
43. Memo declassifcato del dipartimento di Stato Usa, «Strategy for NATO’s Expansion and Transfor-
mation», 7/9/1993.
44. Cfr. J. FLORIO, «Pensieri mossi dall’ambizione», Limes, «La Polonia imperiale», n. 2/2023, pp. 141-158.
45. B. ABELOW, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Roma 2023, Fazi Editore, p. 61.
46. G. KENNAN, «A Fateful Error», The New York Times, 5/2/1997.
104 47. H. KISSINGER, Ordine mondiale, Milano 2015, Mondadori, p. 352.
LEZIONI UCRAINE
LE SORPRESE TATTICHE
DEGLI STRATEGHI UCRAINI MUSSETTI
di Mirko
summit del G7. In mezzo tappe in Germania, Francia, Canada, Arabia Saudita (ver-
tice della Lega Araba) e India. In ogni occasione, il «presidente di guerra» ha chiuso
alla possibilità di negoziati con Mosca, rilanciando piuttosto l’idea di poter sconfg-
gere militarmente e defnitivamente lo «Stato terrorista», cioè la Russia, a benefcio
del mondo intero. Tale approccio è stato illustrato persino a papa Francesco, capo
della Chiesa cattolica, che nelle ultime settimane si è speso per un cessate-il-fuoco,
proponendosi anche come mediatore tra le parti belligeranti.
La richiesta di armi sempre più avanzate ha trovato l’apertura del governo
britannico di Rishi Sunak, che ha messo a disposizione del paese invaso un nume-
ro imprecisato di missili aria-superfcie a lungo raggio Scalp («Storm Shadow» nella
denominazione inglese) e la disponibilità della Royal Air Force (Raf) a addestrare i
piloti ucraini all’impiego dei rodati jet militari occidentali F-16, idonei al lancio dei
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2. L’elemento che forse mette più a disagio la Casa Bianca è il fatto che le au-
torità ucraine non abbiano voluto ascoltare il reiterato suggerimento americano di
ripiegare da Bakhmut al fne di salvaguardare la vita di uomini combattenti, meglio
impiegabili su altri fronti. Il segretario di Stato Lloyd Austin era stato piuttosto chia-
ro in tal senso, defnendo l’ormai semidistrutta città del Donbas (oblast’ di Donec’k)
«più simbolica che strategica». Ma lo stesso presidente Zelens’kyj aveva fatto della
108 resistenza nella «città dei vigneti» l’elemento cardine della propria politica di contra-
LEZIONI UCRAINE
INCURSIONE DENTRO
LA FEDERAZIONE RUSSA
Recenti bombardamenti
russi in Ucraina Belgorod
Strade principali
Area riconquistata dall’esercito
di Kiev e oggi sotto il controllo
militare ucraino F E D E R A Z I O N E R U S S A
Dall’Oblast’
di Sumy Vovčans’k
(Ucraina)
Base aerea
ucraina
U C R A I N A
O b l a s t ’ d i K h a r k i v
Belgorod
UCRAINA Kharkiv
Kharkiv
sto all’invasore. Già nel dicembre 2022, in un discorso di fronte al Congresso Usa
riunito in sessione plenaria, il capo di Stato ucraino aveva sostenuto con forza la
crucialità di Bakhmut: «Proprio come la battaglia di Saratoga (nel 1777 durante la
rivoluzione americana, n.d.r.), la lotta per Bakhmut cambierà la traiettoria della
nostra guerra per l’indipendenza e per la libertà».
Il 20 maggio 2023, mentre era all’estero, la città simbolo è caduta defnitiva-
mente in mano ai mercenari della compagnia militare privata Wagner dello «chef
di Putin», Evgenij Prigožin. Una sconftta assai dolorosa, sebbene largamente previ-
sta sia dagli strateghi americani sia dagli alti comandi militari di Kiev. Il comandan-
te delle Forze armate Valerij Zalužnyj aveva espresso in più occasioni il proprio
malumore per la decisione presidenziale di immolare migliaia di uomini a Bakh-
mut. Interi reparti che sarebbero potuti tornare utili per la realizzazione della tanto 109
LE SORPRESE TATTICHE DEGLI STRATEGHI UCRAINI
fsiologico delle acque più a monte del fume Dnepr potrebbe inoltre compromet-
tere il raffreddamento dei sei reattori della più grande centrale nucleare d’Europa,
ubicata nella città di Enerhodar. Il rischio di un seppur contenuto incidente atomi-
co costituisce di per sé un elemento di deterrenza.
Inoltre, se anche avesse successo la creazione di una testa di ponte ucraina
sulla sponda sinistra, la ftta difesa in profondità fatta di trincee e posti di blocco
fno all’istmo di Crimea ostruirebbe una fuida rioccupazione dei territori attigui
alla penisola.
Il lungo segmento di Zaporižžja, che si estende da Vasylivka (cittadina poco
a sud del capoluogo) fno ai sobborghi di Donec’k, è stato diligentemente fortif-
cato dai russi per tutto l’inverno. Trincee e denti di drago (elementi di ostruzioni
dei veicoli pesanti) sono stati disposti spesso su più linee parallele per centinaia
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di chilometri. Una sorta di «linea Maginot» volta a inibire qualsiasi tentativo di af-
fondo ucraino. Il motivo per cui le Forze armate di Mosca abbiano concentrato
qui i più grandi sforzi di fortifcazione è semplice: evitare che un’iniziativa di
successo ucraina possa portare alla spaccatura in due o più tronconi del corridoio
terrestre che collega la Crimea ai distretti occidentali della Federazione e trasforma
di fatto il Mar d’Azov in un «lago russo». Mosca vuole a tutti i costi evitare che le
Forze armate del paese aggredito possano spingersi fno a Melitopol’ (capoluogo
temporaneo dell’amministrazione civile-militare dell’oblast’ occupata) e in seguito
alla città portuale di Berdjans’k o addirittura all’istmo di Crimea. Un’offensiva ori-
ginata nei pressi di Zaporižžja-Vasylivka potrebbe persino portare all’emargina-
zione logistica della centrale nucleare di Enerhodar, forzando il ritiro delle truppe
moscovite di stanza nei pressi dell’impianto. I reparti russi dispiegati non lontano
dalla sponda sinistra del Dnepr rischierebbero inoltre di essere presi tra due fuo-
chi. Su questo segmento, l’offensiva ucraina potrebbe avere successo solo in caso
di forti disattenzioni dell’intelligence militare russa o di vile abbandono delle po-
stazioni fortifcate da parte dei soldati russi al solo affacciarsi all’orizzonte di nu-
trite divisioni ucraine.
L’area di Bakhmut è l’unica zona dell’intero fronte priva di fortifcazioni. Per
ovvie ragioni: la città assediata per mesi è stata defnitivamente conquistata solo a
maggio. Dunque si è rivelato impossibile per le forze occupanti scavare trincee e
dislocare denti di drago a ovest e a nord della città. Ecco perché diversi analisti
militari ritengono probabile una offensiva ucraina proprio attorno alla città recen-
temente perduta. Ivi sono dislocate truppe mercenarie di fanteria esauste da mesi
di combattimento, che poco potrebbero contro una consistente fanteria meccaniz-
zata e brigate di carri armati di produzione occidentale. Ecco perché l’esercito re-
golare russo sta gradualmente prendendo le posizioni lasciate dai combattenti
della compagnia militare privata di Prigožin. L’ovvio avvicendamento è stato persi-
no sfruttato in termini propagandistici dall’oligarca pietroburghese per attaccare i
propri rivali politici interni (il ministro della Difesa Sergej Šojgu e il capo di Stato
maggiore Valerij Gerasimov) e rafforzare la propria infuenza nella sala dei bottoni
di Mosca: prima i wagneriani vincono, poi arrivano gli altri a cose fatte. 111
LE SORPRESE TATTICHE DEGLI STRATEGHI UCRAINI
Casa Bianca, John Kirby, ha riferito che gli Stati Uniti stanno «esaminando i rappor-
ti secondo cui attrezzature e veicoli statunitensi potrebbero essere stati impiegati»
dai sedicenti «partigiani russi anti-Putin», mentre il 24 maggio il portavoce del dipar-
timento di Stato Matthew Miller aveva fatto dichiarazioni simili: «Siamo stati chiari
sul fatto che non supportiamo l’uso di attrezzature di fabbricazione statunitense per
attacchi all’interno della Federazione Russa. Stiamo esaminando i rapporti, sebbene
al momento non siamo giunti a nessuna conclusione».
Ma per l’intransigente capo dei servizi segreti di Kiev Kyrylo Budanov le cose
sono molto più semplici. Ha fatto di recente scalpore una sua intervista rilasciata a
Yahoo! News in cui afferma candidamente: «Abbiamo ucciso russi e continueremo
a uccidere russi ovunque sulla faccia di questo mondo fno alla completa vittoria
dell’Ucraina». Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
113
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LEZIONI UCRAINE
«del miglior caffè e dei critici di cucina più aggressivi al mondo», come riportato
in un video riferito all’Italia e diffuso dal ministero della Difesa ucraino all’inizio
dell’aprile di quest’anno.
Le Forze armate di Kiev non sono più quelle che ho conosciuto quasi trent’anni
fa. Sono decisamente migliorate. Purtroppo per loro, sono state costrette a un
notevole salto di qualità nella scia di una guerra prima subdola e contenuta, poi
drammaticamente violenta e di vasta portata. È paradossale che il morale dei soldati
ucraini nel 1997, quando non erano il bersaglio quotidiano del fuoco nemico,
fosse piuttosto basso, mentre adesso che rischiano ogni giorno di non arrivare
vivi alla sera si battono come leoni e non si sottraggono a nessuno dei compiti
che devono assolvere per la tenuta dei settori ove sono schierati con le loro unità.
La motivazione è semplice ed è nota, ma vale la pena ribadirla. Sono persone,
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ancora prima che militari, convinti della necessità di difendere la Patria, per usare
un termine che ai cosmopoliti (ma non ai russi, attenzione!) suona aberrazione.
Uomini e donne che cercano di non farsi strappare la terra in cui vivono, di non far
distruggere le proprie case più di quanto già non sia accaduto, di non far seppellire
la propria cultura sotto il macigno di un’invasione che, dall’alba al tramonto del
24 febbraio 2022, ha defnitivamente cambiato le loro vite. Valgano le parole del
volontario ucraino che qui seguono.
«Non avevo mai prestato servizio nelle Forze armate. Non avevo nemmeno
svolto il servizio militare obbligatorio. Sono sempre stato un giornalista. Sia
prima del 2014, quando vivevo in Crimea, sia dopo il 2014, quando la Russia
ha annesso la Crimea e ho dovuto trasferirmi a Kiev. Poi nel 2022, il secondo
giorno dell’invasione su vasta scala della Russia, mi sono unito alle Forze armate
dell’Ucraina. Quando nove anni fa la Russia ha sequestrato la penisola di Crimea
all’Ucraina, ho pensato: “La gente non capisce cosa sta succedendo; ha solo
bisogno che le venga spiegato”.Il mondo in generale e Mosca in particolare si
sbagliano se pensano che la Russia sia stata accolta in Crimea. Ho pensato: “Se
faccio solo il mio lavoro di giornalista, la situazione si risolverà da sola”. Così ho
continuato a scrivere e divulgare notizie, ma con scarsi risultati. Poi nel 2022,
il secondo giorno dell’invasione russa sono andato a unirmi alle Forze armate
dell’Ucraina. (…) Mi sono ritrovato in un vero esercito popolare. Comprendeva
lavoratori con mansioni di basso proflo e dirigenti d’azienda, genitori e fgli,
insegnanti, attori teatrali e neolaureati. Ho incontrato una coppia di omosessuali
in coda all’uffcio per il reclutamento. Abbiamo continuato a servire nello stesso
battaglione. Ho visto direttori di cliniche private lasciare i loro studi per guidare
unità mediche in brigate impegnate in prima linea, fotograf di matrimoni dedicarsi
alla fotoricognizione aerea, baristi diventare artiglieri. Le vecchie barriere sono
cadute. Non contano più. “I buoni uomini d’affari diventano buoni comandanti”
è un’espressione che ho sentito tre volte: prima nell’oblast’ di Donec’k da un
comandante di battaglione, poi vicino a Zaporižžja da un sergente comandante
di un plotone di esploratori, infne vicino a Kharkiv da un uomo che nella lista
116 di Forbes dei 100 ucraini più ricchi era il numero 88. Tutti e tre si occupavano di
LEZIONI UCRAINE
affari prima della guerra e tutti e tre erano buoni comandanti. Nell’ultimo anno,
l’esercito ucraino è diventato almeno tre volte più grande. Per ogni militare di
professione ce ne sono due o tre provenienti dalla mobilitazione. Le persone
portano nell’esercito conoscenze e abilità dalle loro professioni civili. Hanno
iniziato a creare nuovi modi per risolvere i problemi, inventando processi e
soluzioni che mostravano come in realtà tutto fosse possibile. (…) Non abbiamo
ancora vinto. Ma in molti modi abbiamo già vinto» 1.
Da queste parole traspare la tipologia del nuovo soldato ucraino. Parole in cui
emerge una forma di ottimismo scaturito dalla disperazione. Questi sono gli uomini
che, con adeguata motivazione, tengono testa alle milizie e ai militari di Mosca. La
motivazione da sola, tuttavia, non basta; è certamente un moltiplicatore di forza,
ma se non sostenuta da armi moderne ed effcaci e da adeguato addestramento Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
2. Tra il 1992 e il 2014 le Forze armate ucraine erano speculari a quelle russe.
Non poteva essere altrimenti, dato che fno al 1991 l’Ucraina era parte integrante
dell’Unione Sovietica, dunque di un unico sistema politico-militare. Come le altre
repubbliche sovietiche, anche l’Ucraina non aveva un proprio comando militare
indipendente, poiché tutte le formazioni militari erano subordinate al comando
centrale delle Forze armate dell’Urss. Nella Repubblica Socialista Sovietica Ucraina
esistevano tre distretti militari: Carpazi, Kiev e Odessa. Sulla costa erano dislocati
tre comandi sovietici dell’Aeronautica militare e la maggior parte delle basi navali
della Flotta del Mar Nero. Nel 1991, con il crollo dell’Unione Sovietica, l’Ucraina
indipendente ereditò uno dei raggruppamenti di forze più potenti in Europa. A
tale proposito, è interessante la descrizione fatta da James Sherr, ricercatore presso
il Confict Studies Research Centre: «I 780 mila militari dislocati nei tre distretti
militari dell’Ucraina nel 1991 non erano un esercito. Erano un raggruppamento
di forze, senza un ministero della Difesa, senza uno Stato maggiore e senza una
struttura centrale di comando e controllo. Inoltre, questo raggruppamento, il suo
equipaggiamento e i suoi uffciali erano programmati per uno scopo: condurre
una guerra offensiva (e nucleare) contro la Nato, all’interno di una coalizione, con
armate combinate, su un fronte esterno e sotto la direzione di Mosca. Non erano
equipaggiati, schierati o addestrati per difendere l’Ucraina. Erano ossa e muscoli
senza cuore né cervello» 2.
Il 24 agosto 1991 il parlamento ucraino emanò la prima di una sequenza di leggi
promulgate quell’anno. Si trattava di una sintetica risoluzione programmaticamente
intitolata «Sulle formazioni militari in Ucraina». Con tale documento il governo di
Kiev affermò la propria giurisdizione su tutte le unità dell’ex Unione Sovietica di
stanza sul suolo ucraino e istituì il ministero della Difesa ucraino. La transizione da
componente di una grande potenza armata a istituzione armata autonoma di un
1. P. KAZARIN, «A year ago I volunteered as a soldier in the Ukrainian army», Nato Review, 16/2/2023.
2. J. SHERR, «Ukraine’s Defense Reform: An Update», Confict Studies Research Centre, July 2002. 117
COME L’ESERCITO UCRAINO È DIVENTATO OCCIDENTALE
Le riforme delle Forze armate ucraine sono iniziate nel dicembre 1996. Uno
degli aspetti presi in esame riguardava la riduzione dell’unità di combattimento
standard dal livello di divisione a quello di brigata, da inquadrare in tre distretti
militari di nuova creazione, che sostituivano quelli indicati in precedenza: il
Comando operativo occidentale, il Comando operativo meridionale e il più grande,
quello operativo/territoriale settentrionale. Lo stesso tipo di ridimensionamento
sarebbe stato attuato con la novyj oblik («nuova forma») avviata in Russia dal
ministro della Difesa Anatolij Serdjukov tra il 2007 e il 2008, in seguito alle diffcoltà
di comando e controllo incontrate dai russi nel breve confitto russo-georgiano. E
come accadde successivamente in Russia, anche in Ucraina si decise di mantenere
il livello divisionale invariato per le truppe aviotrasportate.
La scelta di strutturare le Forze armate su unità più piccole fu dettata da ragioni
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
9. T. KUZIO, Ukraine: Democratization, Corruption, and the New Russian Imperialism, Westport 2015,
Praeger Security International. 119
COME L’ESERCITO UCRAINO È DIVENTATO OCCIDENTALE
3. Nel marzo 2014, in seguito alla «rivoluzione della dignità» (eventi di Jevromajdan)
e all’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa, il governo ucraino
ha istituito nuovamente la Guardia nazionale, già esistente nella sua forma più
moderna tra il 1991 e il 2000, ora posta alle dipendenze del ministero dell’Interno 10.
Inquadrato nella Guardia nazionale ucraina troviamo anche il noto battaglione
Azov. Nei primi mesi del confitto nel Donbas, scoppiato nel marzo 2014, le Forze
armate regolari furono criticate per il loro scarso equipaggiamento e l’inettitudine
mostrata dalla loro leadership. Tali carenze vennero limitate dall’impiego delle
unità della Guardia nazionale e dai battaglioni della Difesa territoriale, che si
assunsero il peso maggiore dei combattimenti nei primi mesi degli scontri con le
forze separatiste florusse. Le Forze armate ucraine erano totalmente impreparate
alle guerra, sia psicologicamente sia materialmente, tanto che il governo dovetteCopia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
lanciare una campagna di raccolta fondi via sms. L’impreparazione dei militari
ucraini indusse gli Stati Uniti a non fornire armi a Kiev, inviando invece aiuti
non letali. Ci vollero almeno quattro anni per compensare queste carenze, grazie
soprattutto alle risorse occidentali.
Nel febbraio 2018 le Forze armate ucraine erano più numerose e meglio
equipaggiate che mai, contando 200 mila militari in servizio attivo 11. La maggior
parte dei volontari appartenenti ai battaglioni di Difesa territoriale fu integrata
nell’esercito regolare ucraino. All’inizio del 2022 sono state istituite, infne, le Forze
di difesa territoriale (Fdt) come componente a sé stante e paritetica rispetto alle
altre Forze armate 12. Le Fdt sono formate da volontari mobilitati per la difesa
locale e rappresentano un’espansione del vecchio sistema di battaglioni di difesa
territoriale istituito nel 2014 13.
Peculiare delle Fdt è l’inquadramento della Legione internazionale, l’unità che
raggruppa la quasi totalità dei volontari stranieri che combattono contro i russi
nel confitto in corso 14 e che recentemente ha accolto nei suoi ranghi la Legione
polacca, costituita prevalentemente da veterani delle forze speciali di Varsavia.
Questo reparto ha compiti essenzialmente di intelligence e sabotaggio dietro le
linee difensive russe. La Polonia a tutt’oggi resta uno dei maggiori contributori in
termini di uomini, mezzi e materiali alla causa dell’Ucraina. Si stima che alla fne del
2022 oltre diecimila polacchi abbiano partecipato al confitto in sostegno agli ucraini
come combattenti o come addestratori 15. Questi aspetti sono rilevabili in un breve
video il cui taglio è evidentemente propagandistico e che, tuttavia, è indicativo del
forte sentimento avverso al Cremlino diffuso in Polonia 16. Sentimento condiviso da
10. N. CRISTADORO, «I mercenari d’Ucraina», Limes, «La Guerra Grande», n. 7/2022, pp. 209-219.
11. V.AKIMENKO, «Ukraine’s Toughest Fight: The Challenge of Military Reform», Carnegie Endowment
for International Peace, 22/2/2018. 9
12. N. CRISTADORO, op. cit.
13. I. PONOMARENKO, «Who can and can’t join Ukraine’s Territorial Defense Force», The Kyiv Indepen-
dent, 7/1/2022.
14. N. CRISTADORO, op. cit.
15. «Over 10,000 Polish nationals fought in Ukraine in 2022, politician says», Tass, 28/12/2022.
16. «The “Polish Legion” will fght for Ukraine: a special-purpose unit of volunteers is being created»,
120 YouTube, 18/2/2023.
LEZIONI UCRAINE
17. «Zelensky instructs Cabinet to develop bill on changing military training system with ending con-
scription into army from Jan 1, 2024», Interfax-Ukraine, 1/2/2022.
18. «Number of Ukrainian military servicemen to increase by 100,000», Ukrinform, 1/2/2022.
19. «Ukraine leader frees convicts with combat skills to fght Russia», Al Jazeera, 28/2/2022.
20. «Che cos’è questa storia dei soldati ucraini addestrati in Italia?», Pagella Politica, 24/3/2023.
21. «British Military Advisory Training Team (Czech Republic)», UK Ministry of Defence, 12/12/2012
(aggiornato il 3/3/2023).
22. «Hungary trains Ukrainian combat medics», Militarnyi, 7/3/2023. 121
COME L’ESERCITO UCRAINO È DIVENTATO OCCIDENTALE
quali l’Australia, con l’impiego di 70 istruttori resi disponibili a partire dal gennaio
2023, e la Cambogia che, sempre nel mese di gennaio, ha accolto 15 ucraini da
addestrare nella bonifca dalle mine e a questo scopo ha inviato in Polonia alcuni
specialisti 23.
Notevole anche il supporto di intelligence fornito in varie forme da diverse
nazioni. Anzitutto dalla Gran Bretagna, che ha operato da prima dell’invasione sia
con le proprie risorse sia in coordinamento con gli Stati Uniti 24. Di rilievo è anche
l’apporto degli assetti Istar francesi, con l’impiego di diversi satelliti quali Ceres,
Cso, Pléiades, Hélios 25, oltre all’attività svolta da decine di agenti della Dgse 26
schierati sul terreno fn dall’inizio della guerra 27.
Quello che conta è constatare che Kiev da un certo momento in avanti ha
deciso di abbandonare completamente le procedure tecnico-tattiche russe in favore
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23. S. CHEANG, «Cambodian experts begin training Ukrainian deminers», Ap News, 17/1/2023.
24. G. FAULCONBRIDGE, «Britain’s spy chief claims intelligence scoop on Putin’s invasion of Ukraine»,
Euronews, 26/2/2022.
25. J.D. MERCHET, «La France a formé des soldats ukrainiens juste avant l’invasion russe», L’Opinion,
12/4/2022.
26. R. VERNER, B. DUBOIS, «Guerre en Ukraine: une “cinquantaine” d’espions français de la Dgse opère
sur le terrain», BfmTv, 6/10/2022.
27. M. PLANQUES, «Guerre en Ukraine: pourquoi le service Action de la DGSE a été déployé sur le
122 terrain», La Dépêche, 5/10/2022.
LEZIONI UCRAINE
tipologia diversifcata (militari, fnanziari e umanitari), mentre gli Stati Uniti hanno
fornito la maggior parte degli aiuti militari 1.
La donazione di aiuti militari è stata coordinata durante le riunioni mensili del
gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina durante tutta la guerra. Un primo in-
contro ha avuto luogo tra 41 paesi il 26 aprile 2022; nell’ultima riunione del 14 feb-
braio 2023, la coalizione comprendeva 54 paesi (tutti i 30 Stati membri della Nato e
altri 24 paesi). Tutti gli Stati membri dell’Ue hanno donato aiuti militari sia indivi-
dualmente come paesi sovrani sia collettivamente tramite le istituzioni dell’Ue, a
eccezione di Ungheria, Cipro e Malta. È rilevante che l’Unione Europea, per la prima
volta nella sua storia, abbia fornito armi letali attraverso le proprie istituzioni.
Vediamo, allora, il contributo offerto da diversi paesi che sostengono l’Ucrai-
na, ponendo la nostra attenzione su determinati sistemi d’armamento pesante par- Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
cia è stata il maggiore esportatore di armamenti in Ucraina tra il 2014 e il 2020, con
oltre 1,6 miliardi di euro di armi fornite 9. Tra queste c’erano elicotteri, droni da rico-
gnizione, armi e attrezzature per la Marina, sistemi di puntamento, munizioni di
vari calibri e sistemi per il controllo del fuoco. Vogliamo, però, evidenziare anche la
cessione a titolo gratuito di una batteria del sistema contraereo Samp/T di produzio-
ne italo-francese, fatta di comune accordo con l’Italia. Nel novembre 2022, la Francia
aveva già consegnato all’Ucraina due batterie per la difesa aerea Crotale Ng.
Arriviamo, dunque, all’Italia, il cui contributo più signifcativo è relativo a siste-
mi di artiglieria. Nel maggio 2022 è stato inviato un lotto di obici a traino meccani-
co Fh-70. Nell’ottobre dello stesso anno, sono stati consegnati 2 sistemi lanciarazzi
multipli (Mlrs) M270A1 e 60 obici semoventi M109L, attorno ai quali si è scatenata
una polemica per la vetustà dei mezzi, in particolare per una ventina di obici della
prima tranche inviata; i successivi, opportunamente ricondizionati, si sono rivelati
idonei al combattimento. A gennaio, poi, l’Ucraina ha ricevuto da Roma sei obici
semoventi PzH 2000.
Obici e lanciarazzi multipli sono anche i principali armamenti forniti dalla Cro-
azia, che ha inviato 40 obici a traino meccanico D-30, ampiamente impiegati anche
dai russi nei loro reiterati bombardamenti alle città e alle linee difese dagli ucraini.
Zagabria ha inviato anche un numero imprecisato di lanciarazzi multipli Ra-
k-Sa-12.
I Paesi Bassi hanno in programma l’invio di 2 sistemi contraerei Patriot, mentre
hanno già consegnato 8 obici semoventi PzH 2000, 196 Apc Ypr-765 e 28 Apc
Bandvagn BvS 10.
In rapporto alle sue possibilità, la Lituania ha offerto il proprio contributo con
62 Apc M113 e M577.
La Lettonia è stata più generosa, fornendo oltre 90 droni donati dalle industrie
locali, unitamente a 2 elicotteri da trasporto Mi-8Mtv-1, 2 elicotteri da trasporto Mi-
2 e prevedendo l’invio di altri 2 elicotteri Mi-17.
gton ha provveduto – a partire dal mese di luglio 2022 – alla consegna di 300 Apc
M113 e, dall’aprile 2023, a quella di 109 Ifv M2A2 Ods Bradley.
Anche la fornitura di velivoli è cospicua. Si pensi ai 20 elicotteri da trasporto
Mi-17V5, sembra prelevati dalla ex Aeronautica afghana e ceduti all’Ucraina nell’a-
prile 2022 12, e soprattutto all’elevato numero di munizioni circuitanti (i cosiddetti
droni kamikaze): 400 Switchblade, di cui 100 del tipo Switchblade-300 nell’aprile
2022, a cui si aggiungeranno 10 Switchblade-600, oltre che 1801 Phoenix Ghosts nel
2023. La prassi consolidata dell’impiego di droni per la sorveglianza del campo di
battaglia e per l’acquisizione di dati per l’intelligence ha indotto gli Stati Uniti a for-
nire droni Rq-20 Puma e a predisporre l’invio di 15 Boeing Insitu ScanEagle, oltre
che di un numero imprecisato di Jump 202, di Altius-600 e di CyberLux K8.
Un aspetto curioso e interessante riguarda le armi di fabbricazione o di con-
trabbando iraniane utilizzate dalle Forze armate ucraine. Si ritiene che siano arma-
menti intercettati e originariamente destinati allo Yemen 13. È risaputo che l’Iran sia
un sostenitore della Russia e, pertanto, data la peculiarità della provenienza delle
armi riportiamo l’intera casistica di quelle individuate: mortai pesanti Hm-16, mor-
tai leggeri Hm-19, fucili d’assalto Type 56-1 (versione cinese dell’Ak-47), razzi
S-8Of He-Frag per lanciarazzi B-8, razzi He-Frag per lanciarazzi Bm-21 Grad, pro-
ietti di artiglieria Of-462 per obici D-30, proietti di artiglieria per obici D-20, colpi
Of-19 per carri armati, bombe M48 per mortai Hm-16.
IL VOLTO NUOVO
DELLA BATTAGLIA BRECCIA
di Gastone
«F ALLIMENTO E ADATTAMENTO». IL
fondamentale primo capitolo del Vom Kriege di Carl von Clausewitz (pubblicato
postumo nel 1832) si chiude con la celebre defnizione della guerra-camaleonte,
mutevole e complessa, composta da tre elementi disarmonici: la «violenza originale»
che appartiene alla sfera dell’istinto, il «gioco delle probabilità e del caso» che sod-
disfa lo spirito e l’immaginazione, e la «natura subordinata di strumento politico» che
«la riconduce alla pura e semplice ragione». Secondo Clausewitz questi tre aspetti
sono sempre presenti, sebbene in diversa misura: non esiste confitto che non sia
almeno in parte espressione di odio tra gli uomini, o che possa sottrarsi al dominio
del caso, o che non debba essere ricondotto alle sue fnalità politiche. La guerra –
attraverso il tempo e lo spazio – mantiene dunque la sua natura di «strano trilatero»
fatto di emozione, immaginazione, ragione; ma al tempo stesso cambia continua-
mente forma «come un camaleonte» perché cambiano le società coinvolte, la loro
cultura, la tecnologia utilizzata, l’organizzazione degli eserciti e l’effcacia delle loro
armi, ed è sempre diffcile coglierne in anticipo i mutamenti. I generali, si dice, «si
preparano a combattere l’ultima guerra» – ovvero ad affrontare la sua ultima forma
conosciuta – e quindi «si fanno sempre trovare impreparati alla prossima».
Il confitto iniziato in Ucraina il 24 febbraio – iniziato, non proseguito, come
vorrebbero alcuni: perché l’invasione russa su vasta scala ha segnato una svolta
anche militare rispetto alla guerra limitata che durava già da otto anni nel Donbas
– non fa eccezione. Sia i protagonisti sia gli osservatori esterni sono rimasti sorpre-
si dalla forma assunta dal camaleonte clausewitziano: se ne discuterà a lungo, so-
prattutto delle scelte politiche e strategiche delle parti in causa, ma possiamo già
dire che sul campo si è mostrato un nuovo «volto della battaglia». Quasi tutti – com-
presi i vertici politici e militari di Washington – si aspettavano che i russi raggiun-
gessero rapidamente i loro obiettivi, ma non è successo: la loro avanzata ha sor- 127
IL VOLTO NUOVO DELLA BATTAGLIA
preso gli ucraini nel sud del paese, dove le forze della Federazione hanno occupa-
to Kherson e isolato Mariupol’, ma l’assalto aviotrasportato all’aeroporto di Hosto-
mel’ – venticinque chilometri a nord-ovest di Kiev – è fallito in poche ore, così
come sono falliti in pochi giorni sia lo sforzo per accerchiare la capitale sia l’attac-
co diretto a conquistare Kharkiv, la seconda città del paese.
Conclusa ingloriosamente l’«operazione speciale» di deep penetration, lanciata
dai russi in una stagione poco favorevole e contro un nemico molto più determi-
nato del previsto, la lotta si è trasformata in una durissima guerra d’attrito dai ritmi
lenti, con minimi vantaggi territoriali; la sola eccezione – enfatizzata da tutti i media
occidentali – è stata la brillante controffensiva ucraina di settembre-ottobre, che si
è comunque esaurita prima di ottenere risultati decisivi. Oggi, dopo più di un anno
di combattimenti, non è prudente fare previsioni sugli sviluppi a medio e lungo
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termine: ma si possono proporre alcune considerazioni sugli aspetti tattici, che non
mancheranno certamente di avere ripercussioni sia sul futuro del confitto sia sul
modo di affrontare altri confitti futuri.
contatto il più estesa possibile, in modo da esercitare un costante attrito sul difen-
sore: allo Schwerpunkt della guerra di manovra andrà sostituito un principio simi-
le a quello enunciato da Clausewitz nei capitoli del suo trattato dedicati alla
Volkskrieg, la «guerra di popolo», nei quali il grande teorico prussiano sostiene
come «l’azione della resistenza si muove sulla superfcie in analogia al processo di
evaporazione in fsica. Quanto maggiore è la sua estensione e il contatto con l’e-
sercito nemico, quanto più quest’ultimo è disperso, tanto maggiore è l’effcacia del
popolo in armi. Come un fuoco che brucia lentamente esso distrugge le basi
dell’esercito nemico».
L’attaccante del XXI secolo, impossibilitato a concentrare forze soverchianti
per ottenere uno sfondamento locale, sarà quindi indotto a trasformare la maggior
estensione possibile di territorio in una «piastra rovente» sulla quale «far evaporare»
le forze (numericamente inferiori) del difensore. Una situazione che somiglia mol-
to a un ritorno al passato, alla Materialschlacht (battaglia di materiali) tristemente
legata alla «inutile strage» del 1914-1918: nell’uno come nell’altro caso la ragione è
da ricercare nel vantaggio acquisito dalla difesa, allora legato alla diffusione delle
mitragliatrici, dei cannoni da campagna a tiro rapido e del flo spinato, oggi a quel-
la della ricognizione a controllo remoto e di nuove micidiali armi controcarro por-
tatili, come i missili spalleggiabili statunitensi Javelin e svedese Nlaw (next genera-
tion light anti-tank weapon).
trarsi al micidiale attrito sulla «piastra rovente» creata dall’attaccante: la migliore op-
zione tattica sembra essere quella di «canalizzare» l’offensiva verso campi di tiro
predisposti in profondità, dove sfruttare al meglio le sofsticate armi disponibili per
causare ingenti perdite all’avversario. Anche durante una battaglia di logoramento,
infatti, è molto diffcile che l’attaccante non ceda alla tentazione di spingersi oltre le
prime linee qualora si renda conto (o si illuda) di aver ottenuto un risultato signif-
cativo spezzando il fronte nemico: come recita uno dei trentasei stratagemmi cinesi,
per poter sconfggere la tigre bisogna «attirarla lontano dalle montagne», costringen-
dola a combattere su un terreno che non conosce e non le è favorevole. In altre
parole la fase di guerra di manovra, nelle condizioni attuali, potrebbe rivelarsi una
trappola per l’attaccante e una risorsa per il difensore, sebbene con rischi altissimi.
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Realtà e prospettive:
ombre e dummies
Fatte queste premesse, e tornando alla nuova situazione creata sul campo di
battaglia dall’uso di droni da ricognizione e missili anticarro portatili, bisogna rifet-
tere sui possibili sviluppi futuri: nulla resta a lungo in equilibrio, soprattutto in
guerra, dove superare le diffcoltà è questione di vita o di morte, e le migliori risor-
se umane e materiali vengono messe al servizio del progresso tecnologico. Lo
sviluppo di opportuni sistemi di accecamento della ricognizione a controllo remo-
to non sembra facile, né imminente. Le soluzioni possibili sono quindi essenzial-
mente due: dispersione e occultamento di truppe e mezzi sul terreno (oltre alla
vecchia Materialschlacht, si avrà quindi un ritorno al campo di battaglia Menschen-
leere, «vuoto di uomini», tipico della Grande guerra); l’uso di dummies, fnti bersagli
in grado di ingannare la ricognizione avversaria, o meglio di moltiplicare le infor-
mazioni disponibili in misura tale da mettere in diffcoltà chi deve utilizzare risorse
limitate per orchestrare una risposta adeguata.
Quest’ultimo stratagemma farà inevitabilmente lievitare i costi di un’operazio-
ne offensiva, ma meno di quanto si potrebbe pensare: per confondere l’osservazio-
ne nemica, infatti, sarà suffciente utilizzare mezzi corrispondenti solo nella forma
esterna ai carri da battaglia (main battle tanks, Mbt) o ai veicoli corazzati da com-
battimento (Afv). Se per ogni Mbt o Afv si schiereranno tre dummies a controllo
remoto, la spesa complessiva aumenterà solo di una piccola percentuale, mentre
diminuiranno drasticamente le probabilità che un mezzo con equipaggio venga
colpito e distrutto. Niente di nuovo sotto il sole: nella primavera del 1944, ad esem-
pio, porti ed aeroporti dell’Inghilterra orientale vennero riempiti di dummies per
convincere i tedeschi che l’obiettivo dell’invasione sarebbe stata la zona del Pas-de-
Calais, e non la Normandia.
In quel caso si trattava di un inganno strategico: oggi c’è invece necessità di
schierare mezzi-civetta sul campo di battaglia, facendoli muovere assieme a quelli
veri, per risolvere il problema tattico della ricognizione a controllo remoto e della
130 micidiale effcacia delle nuove armi portatili. Il campo di battaglia del futuro sarà
LEZIONI UCRAINE
131
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LEZIONI UCRAINE
nello studio di Budanov durante un’intervista (carta a colori 2). La stessa che fnirà
a gennaio sulla torta di compleanno. In entrambe viene assegnato a Pechino l’inte-
ro distretto federale dell’Estremo Oriente e un piccolo pezzo di quello siberiano,
distretto questo che insieme a quello degli Urali, parte del Nord-Occidentale e
parte di quello del Volga formerà una nuova e sterminata Repubblica dell’Asia cen-
trale. La nuova Finlandia comprenderà anche la Repubblica di Carelia e la regione
di Murmansk, la Federazione Russa sarà confnata entro il distretto centrale con
parte del meridionale, Volga e Nord-Occidentale, le contestate isole Curili torneran-
no giapponesi. Ma T§ky§ non sarà certo contenta di ritrovarsi di fronte, più grande
e più ricco, un nemico cinese che andrà anche a sforarsi con gli Stati Uniti, divisi
solo dallo Stretto di Bering. Infne, il distretto del Caucaso del Nord diventerà I0ke-
rija, Kaliningrad tornerà tedesca e l’Ucraina recupererà tutti i suoi territori.
Anzi, forse risulterà più grande. Una delle differenze che si notano tra le due
carte – oltre alla defnizione della futura Kaliningrad, «Königsberg e territori tede-
schi» nella carta a colori 3 e Frg (Repubblica Federale Germania) nella carta a
colori 2 – è infatti quella relativa alle regioni con terre storiche dell’Ucraina. Nella
carta a colori 3 vengono solo tratteggiate, ma sembrano restare entro i confni del
territorio che rimarrà controllato da Mosca, nella carta a colori 2 il pennarello le
assegna direttamente a Kiev: si tratta di territori russi di confne, più specifcamen-
te delle regioni di Brjansk, Kursk, Orel, Belgorod, Voroneå e Rostov, del territorio
di Krasnodar e della Repubblica di Adighezia. Al giornalista che glielo fa notare
Budanov risponde che ognuno vede quel che vuol vedere, è solo il tratto del pen-
narello che forse è troppo ampio. O forse no 6.
Le reazioni di parte della stampa russa si limitano a ricordare chi è il capo del
Hur: un terrorista e assassino, responsabile dell’uccisione di civili russi come Dar’ja
Dugina, dell’attentato al ponte di Ker0’ e dei droni esplosi sul Cremlino – tesi in
5. «Kakie territorii riskuet poterjat’ Rossija posle poraženija v vojne protiv Ukrainy» («Quali territori
rischia di perdere la Russia dopo la sconftta nella guerra contro l’Ucraina»), slovoidilo.ua, 1/11/2022.
6. JU. SMIRNOV, V. KONDRATOVA, «Interv’ju, Kirill Budanov: Naši podrazdelenija zajdut v Krym s oružiem
v rukakh» («Intervista, Kirill Budanov: Le nostre unità entreranno in Crimea armi in pugno»), liga.net,
26/12/2022. 135
PER FARLA FINITA CON LA RUSSIA
7. Adnkronos, 16/5/2023.
8. V. STOJAKIN, «Kto ynušil Ukraine me0ty o “ras0lenenii Rossii”» («Chi ha ispirato i sogni ucraini di
“smembramento della Russia”»), vz.ru, 28/12/2022.
9. «Reznikov predrek skoryj raspad Rossii na sostavljajuš0ie 0asti» («Reznikov ha predetto l’imminente
crollo della Russia nelle sue parti costituenti»), slovoidilo.ua, 11/7/2022.
136 10. J. BUGAJSKI, «Managing Russia’s dissolution», thehill.com, 9/1/2019.
LEZIONI UCRAINE
gonista in Eurasia col duplice obiettivo di attirare a sé anche i paesi dell’Asia cen-
trale, più libera dall’infuenza russa, e frenare la corsa cinese. Inutile aspettarsi che
il post-Putin possa ristabilire le relazioni precedenti il confitto ucraino, o credere
che l’impero russo sia eterno 11.
Al coro si aggiungono in tanti, forum dedicati, stampa, politici ed esperti.
Anche il generale americano Ben Hodges, già a capo dell’esercito statunitense in
Europa prevede il crollo della Federazione, che può però trasformarsi in un even-
to violento e incontrollabile, per cui meglio farsi trovare pronti per parare i pos-
sibili contraccolpi geopolitici e gestire al meglio il problema delle testate nuclea-
ri sotto controllo di Mosca 12. L’ex ministro degli Esteri polacco, Anna Fotyga, si
dice consapevole che la dissoluzione della Russia può comportare dei rischi ma
che saranno meno critici di quelli che si avrebbero lasciando ancora in vita l’im-
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Dal cuore dell’impero si alzano voci a contrasto delle ipotesi di collasso, spes-
so bizzarre, che arrivano da Europa e Stati Uniti. Chi se ne occupa inserisce nella
lista dei responsabili anche i tanti ex compatrioti liberali riparati in campo avversa-
rio e giudica il tutto una macchina di propaganda ben oliata. La Komsomol’skaja
Pravda non ha dubbi: i piani di distruzione della Federazione Russa somigliano a
quelli del Führer e se non contrastati, spiega l’esperto intervistato dal giornale rus-
so, possono determinare una tragedia ben più grave di quella occorsa con la cadu-
ta dell’Unione Sovietica. In fondo, l’Occidente non capisce come funziona da noi,
spiega, dove per sviluppare e tenere insieme il vastissimo territorio, con storia e
cultura comuni, è necessaria una rigida verticale del potere. Si parla di dividere la
Federazione in tante entità dipendenti, ma anche del pericolo che si corre a mina-
re l’integrità di una grande potenza nucleare. Eppure le minacce di dividerci non Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
vanno sottovalutate. Utilizzano quanti sono andati via dopo l’inizio delle ostilità in
Ucraina per logorare il paese dall’interno, e non si fermeranno. Per questo non
possiamo non vincere 17.
Di ben altro tenore l’analisi proposta dalla Novaja Gazeta, non proprio la te-
stata preferita dal capo del Cremlino al quale il giornale russo addossa la respon-
sabilità di una possibile futura disgregazione. Non certo all’Occidente, che non è
interessato al crollo della Federazione proprio come non lo era a quello dell’Unio-
ne Sovietica, visto l’arsenale atomico a disposizione di entrambi. Gli scenari
post-crollo possono risultare terrifcanti, con scontri e confitti e conseguente fuga
in Europa di decine di milioni di persone; nascita di tanti piccoli feudi assegnati ad
altrettanti feroci Putin, con una riunifcazione fnale di certo non democratica. Ep-
pure, si legge, per quanto catastrofci questi scenari sono abbastanza reali vista
l’inadeguatezza del regime putiniano 18.
Visione molto vicina a quella di Mikhail Khodorkovskij, l’oligarca russo in esi-
lio convinto che il mondo non sarebbe un posto migliore senza la Federazione, ma
di certo senza la Russia di Putin. L’ex capo della Jukos si dice contrario a quanti in
Occidente vorrebbero dividere il paese in tanti più piccoli Stati, perché troppo
complicato e di certo violento, e lascerebbe la Siberia, con le sue ricchezze, in
balia di una Cina che poi ci controllerà dalle vette degli Urali. Dunque nessun crol-
lo, solo una Federazione unita, formata da entità con alto grado di indipendenza
dal centro 19.
ci vivono circa l’80% è russo. E delle 21 repubbliche etniche solo 6 contano una
maggioranza della nazionalità titolare 20. In alcune, invece, quella russa è schiac-
ciante, come ad esempio nella lontana Buriazia, spesso citata dai più accaniti so-
stenitori della disgregazione russa tra le prime a voler strappare il contratto con
Mosca. Inoltre i confni che delineano le entità dell’attuale Federazione sono spes-
so frutto di divisioni di sovietica memoria. E possono dunque ingannare sul poten-
ziale di autonomia che contengono – come per la repubblica di Carelia, spostata
in Finlandia nella mappa del generale Budanov e da molti altri data per sicura
«partente», dove in realtà l’82% degli abitanti è russo col solo 7% di careliani relega-
ti in 3 dei 17 distretti in cui è spartita 21.
Il pugno di ferro col quale Putin ha riportato sotto lo stretto controllo di Mosca
tutte le entità federate, a partire dalla tragica esperienza vissuta dai ceceni, ha di
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certo creato malumori in periferia. La scelta guidata dei governatori, il giro di vite
sulla lingua, le persistenti disparità economiche tra regioni e centro, oltre all’avven-
tura bellica e il conseguente alto tributo di soldati uccisi provenienti dalle lande più
lontane e/o più povere del paese, spianano la strada a nuove tensioni e probabili
richieste di decentramento e autogoverno. Ma, chiarisce ancora Laruelle, le mino-
ranze etniche non si battono per la secessione e nelle loro repubbliche si registra
un forte senso di attaccamento alla Federazione Russa, dunque è probabile che
alla lotta per l’indipendenza preferiscano maggiore autonomia culturale e politica.
Anche perché non amano più dei russi democrazia e valori occidentali 22. Inoltre,
nel ventennio putiniano è stato sviluppato un sistema di dipendenza fnanziaria
delle periferie dal centro diffcile da scardinare, che epidemia e guerra hanno reso
ancor più rigido, con i debiti delle entità federate verso Mosca cresciuti del 32%
dall’inizio del 2020 23.
Gli scenari che possono seguire a una dissoluzione della Russia restano per lo
più catastrofci. Oltre all’incerto destino delle migliaia di ordigni nucleari, diffcil-
mente l’élite al potere permetterà senza combattere di veder smembrare il paese.
Dopo averne ripreso le redini a inizio millennio e stoppato col sangue le ultime
velleità caucasiche d’indipendenza Putin, o chi tra la cerchia keghebista ne pren-
derà il posto, non rinuncerà alla vastità del paese, come non vorrà farlo la stragran-
de maggioranza della popolazione. Sperare nell’allestimento di un’autentica forma
federativa di governo con ampie autonomia per le regioni è al momento cosa vana.
Pochi i segnali che arrivano dalle periferie sovrastati dal rumore assodante dei
tamburi di guerra.
20. P. RUTLAND, «Why pushing for the break up of Russia is absolute folly», responsiblestatecraft.org,
24/3/2023.
21. A. GUSEV, «Why Russia Won’t Disintegrate Along Its Regional Borders», carnegieendowment.org,
20/4/2023.
22. M. LARUELLE, op. cit.
23. A. BAŠKATOVA, «Regiony okazalis’ ve0nymi zaemš0ikami» («Le regioni sono mutuatarie eterne»),
ng.ru, 21/3/2023. 139
PER FARLA FINITA CON LA RUSSIA
Il caso del Forum delle libere nazioni della post-Russia 1, il principale progetto
di partizione della Federazione su base etnica oggi attivo, va letto nel quadro delle
precedenti considerazioni. Soprattutto, la relativa risonanza acquisita dalla piatta-
forma va compresa alla luce della combinazione tra congiuntura bellica e «fattore
Ucraina».
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1. Si vedano anche le schede in appendice all’editoriale di Limes, «L’ombra della Bomba», n. 9/2022 e
«La guerra continua», n. 1/2023.
2. Intervista con A. VOL’SKIJ, «9etyre genseka» («Quattro segretari generali»), Kommersant, 12/9/2006.
Per il contesto si veda V.M. ZUBOK, Collapse. The Fall of the Soviet Union, New Haven 2021, Yale Uni-
140 versity Press, pp. 51-60.
LEZIONI UCRAINE
annidati nelle repubbliche sovietiche, che considerava una minaccia per l’integrità
dell’Urss. Per sradicare il fenomeno sarebbe servito, credeva, ripensare i confni
federali interni secondo criteri di produttività economica, in modo da privare l’et-
nonazionalismo della sua base territoriale. «Alla fne arrivammo a 41 Stati», continua
Vol’skij. Il progetto, una volta fnito, «aveva tutte le carte in regola, ma a quel pun-
to Andropov si ammalò gravemente». Vol’skij è convinto che se Andropov avesse
avuto il tempo di approvare il piano, «il paese non sarebbe caduto nel pasticcio in
cui si è trovato pochi anni dopo».
Una Russia divisa in 41 Stati (carta a colori 4) è anche il progetto avanzato dal
Forum. Si tratta del rovescio speculare del piano di Andropov: i suoi attivisti pro-
pongono di sciogliere il paese in una moltitudine di nazioni indipendenti, i cui
confni sono stabiliti in osservanza di diritti storici e criteri etnolinguistici. Nel Fo-
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3. www.freenationsrf.org
4. A. LIEVEN, «The Rise and Role of Ukrainian Ethnic Nationalism», The Nation, 17/5/2023. 141
PER FARLA FINITA CON LA RUSSIA
tamento identitario del paese, che ha coinciso con una progressiva epurazione degli
elementi storici, linguistici e culturali di matrice russa e soprattutto sovietica.
Segue un’intervista a un organizzatore ucraino del Forum, Oleg Magaletsky,
convinto che la presente congiuntura storica starebbe inverando il detto per cui la
Russia non solo non può vivere senza l’Ucraina, ma senza di essa non può nem-
meno crollare. Dello stesso avviso sembrano essere i think tank americani che
hanno ospitato la sesta edizione del Forum, riunitosi a fne aprile per la prima
volta fuori dal continente europeo. Fra questi c’è l’Hudson Institute con base a
Washington (fondato negli anni Sessanta da alcuni componenti della Rand Corpo-
ration) e l’Ukrainian Institute of America di New York. Agli incontri ha preso parte
anche l’analista Janusz Bugajski, ricordato poco sopra per il suo Failed State: A
Guide to Russia’s Rupture, libro da poco tradotto in ucraino ed esposto in bella Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
vista sulla scrivania di Mykhajlo Podoljak, consigliere del presidente ucraino Volo-
dymyr Zelens’kyj 5. La carta a colori 4 pubblicata in occasione di questa edizione
non presenta signifcative variazioni nei confni rispetto alla versione precedente 6.
È però interessante proprio lo spostamento del focus, ricentrato in vista dell’appun-
tamento statunitense sull’«Eurasia settentrionale», il quadrante che con tutta proba-
bilità un pubblico americano avrebbe ritenuto più strategico.
Nell’intervista che segue Magaletsky – residente a Kiev e coinvolto dei lavori
del Forum fn dalle origini – spiega perché la lotta per la vittoria dell’Ucraina e
quella per la decolonizzazione dell’impero facciano tutt’uno e di come la guerra
in corso stia potenzialmente accelerando la rottura del patto imperiale fra centro e
province.
LIMES Come e con quale obiettivo è nato il Forum delle libere nazioni della
post-Russia?
MAGALETSKY Il progetto è nato un anno fa allo scopo di immaginare delle strategie
non solo per la decolonizzazione della Federazione, ma anche per la costruzione
di ciò che verrà dopo. In questo senso parliamo di post-Russia, proiettandoci non
nel domani ma nel dopodomani. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, io e i co-
fondatori del Forum abbiamo subito capito che per trovare una soluzione al con-
5. Intervista di D. ROCHEBIN a M. PODOLJAK per l’emittente francese Tf1-Lci, 25/2/2023.
142 6. Pubblicata in Limes, «La guerra continua», n. 1/2023.
LEZIONI UCRAINE
fitto avremmo dovuto guardare non alla Crimea, non al Donbas né a Kiev, ma al
luogo da cui tutto era scaturito: Mosca. In Russia non c’è una vera opposizione
politica. Solitamente gli oppositori del Cremlino muoiono in carcere oppure sono
costretti a scappare dal territorio federale. In quest’ultimo caso però raramente
entrano in contatto con altri dissidenti provenienti dalle regioni russe oppresse dal
potere centrale. Con il Forum abbiamo voluto creare una piattaforma che facili-
tasse la costruzione di queste interazioni orizzontali, per mostrare che esisteva
un’alternativa all’imperialismo di Mosca. Gli attivisti del Forum sono in gran parte
russi, ma non solo. Molti provengono anche dall’Ucraina, come nel mio caso, e
da paesi dell’Europa centro-orientale (Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia), come
pure da Regno Unito e Stati Uniti. Il successo della piattaforma risiede in questa
combinazione, ovvero nel fatto che i regionalismi russi hanno cercato e trovato il
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di come esse vengono gestite. Pensiamo alla Corea del Sud e alla Corea del Nord.
A partire da una simile disponibilità di risorse, i due Stati hanno sviluppato model-
li politici ed economici molto diversi perché rispondono a necessità geopolitiche
differenti. Non conta solo la ricchezza di un territorio, ma il sistema politico che lo
amministra. Durante la guerra fredda nessuno avrebbe sostenuto che l’Estonia po-
tesse diventare un paese di successo. I vertici sovietici hanno cercato di terrorizzar-
ne la popolazione dicendo che Tallinn non sarebbe durata un giorno da repubbli-
ca indipendente. La storia ha dimostrato il contrario.
LIMES Da dove inizierà la fne della Russia? Quali regioni potrebbero innescare il
processo disgregativo?
MAGALETSKY È impossibile dirlo con certezza. È probabile che il processo prenda
inizio da una sola regione e che poi si produca un effetto a cascata. Sicuramente ci
sono delle regioni che sono più pronte delle altre. Se dovessi fare una previsione,
direi che la miccia potrebbe essere per esempio l’Ingria, ovvero la regione di San
Pietroburgo. L’Ingria è una regione dall’anima europea e baltica, mediamente ricca.
Si sente più vicina a Tallinn o a Helsinki che a Mosca. I suoi abitanti hanno una
mentalità occidentale ed è più facile che percepiscano l’oppressione del sistema
imperialistico di Mosca. Come nel 1991, tutto inizierà nelle grandi città. Un’altra
probabile candidata è Ekaterinburg, la futura capitale della Repubblica degli Urali,
che cova sentimenti molto negativi nei confronti di Mosca. A ogni modo, non cre-
do che ad avviare la decolonizzazione saranno il Tatarstan o la Baschiria. Le repub-
bliche con importanti gruppi etnici seguiranno a stretto giro.
LIMES Eppure le minoranze etniche, soprattutto dopo un anno di guerra, apparen-
temente avrebbero più motivi per insorgere.
MAGALETSKY Sì, ma è più probabile che a insorgere siano dei russi stanchi dell’im-
perialismo di Mosca. È come nel caso degli inglesi nelle colonie americane. I primi
a ribellarsi all’impero britannico non sono stati India, Sudafrica o Nigeria, ma quel-
li che poi sarebbero diventati gli Stati Uniti.
LIMES Come saranno gestite le 6 mila testate nucleari presenti sul territorio russo?
MAGALETSKY Nessuna delle nazioni ora imprigionate nell’impero russo aspira a es-
144 sere una potenza nucleare. La priorità è raggiungere un nuovo assetto istituziona-
1 - L’EURASIA DOPO LA RUSSIA
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4 - CORIANDOLI DI RUSSIA - EURASIA
SETTENTRIONALE
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5 - 82+3 SOGGETTI IN 8 DISTRETTI
Distretto Federale
SIBERIANO
Distretto Federale
NORD-OCCIDENTALE 6
10 Distretto Federale
degli URALI 75
Distretto Federale 5
CENTRALE
83
1 2 3 4 11
10
8 9
7 18
84 15
12 13 14 16
Crimea 21 25 26
(REPUBBLICA)
61 77
19 20 24 27
23 17
82 22 29 31 32 33 41 42 73
28 30 39 40 44 66 76
85 43
37 38 49
34 36 51 52 54
50 53 Distretto Federale
35 47 62 ESTREMO-ORIENTE
45 46 48 55
56
57 Distretto Federale 63
58 MERIDIONALE
60 Distretto Federale 67 70
59 74 79
Distretto Federale del VOLGA 71
64 68 78
CAUCASO DEL NORD
72
65 69
80
1 Kaliningrad (REGIONE) 19 Kursk (REGIONE) 70 Irkutsk (REGIONE)
2 Pskov (REGIONE) 20 Orël (REGIONE) 37 Volgograd (REGIONE) 81 71 Buriazia (REPUBBLICA)
3 Novgorod (REGIONE) 21 Tula (REGIONE) 38 Saratov (REGIONE) 54 Tjumen’ (REGIONE) 72 Zabajkal (TERRITORIO)
4 Leningrado (REGIONE) 22 Belgorod (REGIONE) 39 Ul’janovsk (REGIONE) 55 Omsk (REGIONE) 73 Jacuzia-Sakha (REPUBBLICA)
5 Carelia (REPUBBLICA) 23 Lipeck (REGIONE) 40 Tatarstan (REPUBBLICA) 56 Cabardino-Balcaria (REPUBBLICA) 74 Amur (REGIONE)
6 Murmansk (REGIONE) 24 Rjazan’ (REGIONE) 41 Udmurti (REPUBBLICA) 57 Ossezia del Nord (REPUBBLICA) 75 Čukotka (CIRC. AUTON.)
7 Smolensk (REGIONE) 25 Vladimir (REGIONE) 42 Perm’ (TERRITORIO) 58 Inguscezia (REPUBBLICA) 76 Kamčatka (TERRITORIO)
8 Tver’ (REGIONE) 26 Ivanovo (REGIONE) 43 Sverdlovsk (REGIONE) 59 Cecenia (REPUBBLICA) 77 Magadan (REGIONE)
(REGIONE) (REGIONE) 44 Khanty-Mansijsk (CIRC. AUTON.)
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
LIMES Quale funzione ha l’Ucraina nella realizzazione dei progetti del Forum?
MAGALETSKY La sfda principale per il nostro paese è diventare un soggetto geopo-
litico. Per farlo dobbiamo avvicinarci al campo euroatlantico, seguendo il percorso
dei paesi che hanno un passato simile al nostro. Se l’Ucraina non avrà a che fare
con lo spazio europeo, anche il futuro dello spazio post-russo sarà incerto e con
tutta probabilità dopo la guerra si avvierà verso l’ennesima svolta autoritaria. Se
invece l’Ucraina diventerà un soggetto geopolitico ben integrato nell’ambiente eu-
roatlantico allora potrà proporsi come paese di riferimento per le nazioni che na-
sceranno dalla decolonizzazione della Russia.
LIMES Oggi è diffcile pensare l’Ucraina come soggetto geopolitico compiuto. An-
che immaginando la fne della guerra, il paese dovrà attraversare un pesante pro-
cesso di ricostruzione. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
147
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LEZIONI UCRAINE
VINCERE LA PACE È
PIÙ IMPORTANTE CHE
VINCERE LA GUERRA di Taras SEMENJUK
Cremlino ha bisogno di una pausa per riprendersi, per rivendicare come propri i
territori appena occupati e per giustifcare ai russi le numerose vittime della guerra.
Per l’Ucraina, la restituzione dei territori occupati è una questione esistenziale: se
la Russia la spunta con l’attuale occupazione, è possibile che la guerra ricominci
visto che l’Occidente non ha reagito alle precedenti sortite di Mosca (Transnistria,
Georgia nel 2008, Crimea e Donbas nel 2014).
Questa guerra è anche un banco di prova per i valori affermatisi dopo la se-
conda guerra mondiale che hanno scongiurato nuove catastrof. Il diritto interna-
zionale e l’inviolabilità dei confni sono fondamentali per creare uno spazio di
pace permanente, tanto che è diffcile immaginare oggi una guerra tra Francia e
Germania. Le guerre possono tuttavia non fnire, trasformandosi in zone congelate
di confitto permanente, come avvenuto in Corea. In questi casi, di solito gli accor-
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
3. L’Ucraina e i suoi alleati vedono una soluzione pacifca nel ritorno ai conf-
ni del 1991. La Russia, invece, considera le zone occupate nelle regioni di Donec’k,
Luhans’k, Zaporižžja, Kherson e Crimea come suoi territori e li ha inscritti in costi-
tuzione, fatto che le consente di usare armi nucleari in caso di attacco. Conquistare
però è un conto, mantenere è un altro. Lo dimostrano le azioni di controffensiva
condotte con successo dagli ucraini nel 2022 nelle oblast’ di Kharkiv e Kherson. Il 151
VINCERE LA PACE È PIÙ IMPORTANTE CHE VINCERE LA GUERRA
ri entro i confni del 1991 e la Russia riconosce l’Ucraina come Stato indipendente
rinunciando a future rivendicazioni territoriali, perché questa è la radice della guer-
ra che Mosca ha scatenato. Jerzy Giedroyc, politico polacco e direttore della nota
rivista Kultura, una volta disse che per il bene della Polonia i polacchi avrebbero
dovuto riconoscere Leopoli come città ucraina e Vilnius come città lituana. La Rus-
sia ha bisogno di gente come Giedroyc con il coraggio di liberare lo Stato russo
dalle pretese imperiali che lo spingono continuamente nel passato. Con Putin que-
sto è impossibile, pertanto la palla torna ai militari e alle loro armi.
152
LEZIONI UCRAINE
v0uk, responsabile per l’ideologia del Partito comunista ucraino divenuto il primo
presidente dell’Ucraina indipendente. Secondariamente, il compito di costruzione
di un’identità ucraina moderna basata sull’omogeneizzazione culturale, ha trovato
un ostacolo nelle divisioni regionali – risultato delle diverse esperienze storiche
nei territori che compongono l’Ucraina nata nel 1991 – spesso coltivate e mani-
polate dalle élite politiche e amministrative locali. Ne sono risultate narrazioni
contrapposte e configgenti nel campo della memoria storica e della storia stessa.
La cosiddetta «memoria divisa» ha conosciuto evoluzioni lungo linee di faglia re-
gionali e ideologiche, in termini di diverse rappresentazioni del passato trasmesse
da mass media, studiosi e politici, «gruppi politicamente attivi al potere o in lotta
per la redistribuzione del potere». In alcuni casi i due fattori, territoriale e ideolo-
gico, si saldarono, prestando il fanco a strumentalizzazioni politiche in cui me-
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1. G. KASIANOV, «History, Politics and Memory (Ukraine 1990s- 2000s)», in M. PAKIER, J. WAWRZYNIAK (a
cura di), Memory and Change in Europe. Eastern Perspectives, New York-Oxford 2016, Berghahn, pp.
193-194.
2. M. HRUŠEVS’KYJ, Istorija Ukraïny-Rusy (Storia della Rus’-Ucraina), 10 voll., L’viv-Kyïv-Moskva-Wien
154 1898-1936, Bars’kyj-Deržavne vydavnyctvo Ukraïny-Proletar.
LEZIONI UCRAINE
3. V. PUTIN, «Ob istori0eskom edinstve russkikh i ukraincev» («Sull’unità storica di russi e ucraini»),
kremlin.ru, 12/7/2021. 155
GLI USI UCRAINI DELLA STORIA OVVERO LA RUS’ SIAMO NOI
eredi. Cugini e parenti molto lontani non devono cercare di appropriarsi della sua
eredità né tentare di dimostrare il proprio coinvolgimento in una storia di miglia-
ia di anni e di migliaia di eventi, trovandosi a migliaia di chilometri di distanza dai
luoghi in cui si sono svolti» 4.
Conseguentemente Zelens’kyj, con un decreto presidenziale emanato durante
le celebrazioni per il trentennale dell’indipendenza, ha stabilito che la ricorrenza
della cristianizzazione della Rus’ fosse proclamata Giorno della statualità ucraina,
una nuova festività introdotta nel calendario nazionale con approvazione del par-
lamento il 31 maggio 2022 e commemorata per la prima volta il 28 luglio successi-
vo, a guerra iniziata.
La questione dell’eredità della Rus’ è soltanto uno dei tanti paradossi della vi-
cenda russo-ucraina e delle rispettive contrapposte letture storiche. Ne costituisco-
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
no altri due casi paradigmatici le valutazioni contrastanti circa due personalità del
passato quali gli etmani cosacchi Bohdan Khmel’nyc’kyj e Ivan Mazepa. Il primo è
considerato un eroe nazionale dagli ucraini, simbolo dell’epopea cosacca posta tra
gli elementi fondanti dell’etnogenesi ucraina, ma nel contempo è esaltato dai russi
quale artefce dell’alleanza inscindibile tra russi e ucraini per avere sottoscritto il
trattato di Perejaslav, il patto con cui nel 1654 i cosacchi ortodossi si schierarono a
fanco della Moscovia nella lotta contro la Confederazione polacco-lituana di im-
pronta cattolica. In realtà, il capo cosacco era anche membro della nobiltà polacca
e parlava diverse lingue, tra cui il latino, imparato dai gesuiti. Il suo proflo rappre-
senta piuttosto un esempio rivelatore di come il concetto romantico ottocentesco
di nazione sia anacronistico se applicato a epoche differenti da quella in cui esso
ha avuto origine, ma pure inadeguato a defnire una realtà alla frontiera di culture
differenti qual era – e resta – l’attuale Ucraina. Totalmente divergente è pure il
giudizio espresso da russi e ucraini rispetto alla fgura di Mazepa, che abbandonò
l’alleanza con la Russia per unirsi al re svedese Carlo XII, poi sconftto da Pietro il
Grande nella battaglia di Poltava del 1709. Per i primi l’etmano raffgura l’archetipo
del traditore, al punto che l’anatema che contro di lui lanciò a quel tempo il me-
tropolita ortodosso di Kiev non è stato revocato fno a oggi e «mazepista» resta un
epiteto anti-ucraino; per i secondi, al contrario, Mazepa è un paladino della causa
nazionale che tentò di liberare l’Ucraina dal giogo russo per realizzare uno Stato
ucraino indipendente 5.
Si potrebbe continuare a discutere su come la storiografa sia entrata a pieno
titolo nel confitto in atto non da oggi tra Russia e Ucraina. Tuttavia, la questione è
ulteriormente complicata dal fatto che la storia – come per altri versi la lingua – ha
costituito all’interno della stessa Ucraina indipendente uno dei principali terreni del-
lo scontro ideologico incentrato sull’eredità russo-sovietica, un aspetto rilevante del-
la lotta politica tra i sostenitori e gli oppositori della rottura radicale con il passato.
4. «Ukraine. Kyivan Rus’. 1033». Address by President Volodymyr Zelenskyy on the occasion of the
Day of Christianization of Kyivan Rus’-Ukraine, president.gov.ua, 28/7/2021.
5. A. KAPPELER, «Ukraine and Russia: Legacies of the Imperial Past and Competing Memories», Journal
156 of Eurasian Studies, vol. 5, n. 2, 2014, pp. 112-113.
LEZIONI UCRAINE
6. K. WOLCZUK, «History, Europe and the “national idea”: the “offcial” narrative of national identity in
Ukraine», Nationalities Papers, vol. 28, n. 4, 2000, pp. 678- 680.
7. Ivi, pp. 680-683; A. PORTNOV, «Memory wars in post-Soviet Ukraine (1991–2010)», in U. BLACKER, A.
ETKIND, J. FEDOR (a cura di), Memory and theory in Eastern Europe, New York 2013, Palgrave Macmil-
lan, p. 239.
8. JA. HRYCAK, «Istorija i pam’jat’: Amnezija, Ambivalentnist’, Aktyvizacija» («Storia e memoria: amnesia,
ambivalenza, attivazione»), in A. KAPPELER (a cura di), Ukraïna. Procesy naciotvorennja (Ucraina. Pro-
cessi di costruzione della nazione), Kyjiv 2011, Kis (ed. originale in tedesco, Die Ukraine. Prozesse der
Nationsbildung, Köln-Weimar-Wien, Böhlau), p. 370. 157
GLI USI UCRAINI DELLA STORIA OVVERO LA RUS’ SIAMO NOI
del secolo scorso. In Ucraina tale mito è stato gradualmente sostituito con quello
della guerra di liberazione nazionale contro il potere sovietico condotta nelle re-
gioni occidentali dall’Esercito insurrezionale ucraino (Upa) di Stepan Bandera,
emanazione dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Oun), il movimento flo-
fascista e antisemita nato alla fne degli anni Venti. Tale versione della storia non è
stata però condivisa da una parte della popolazione – soprattutto nelle regioni
orientali e meridionali del paese – che conservava nel proprio bagaglio culturale la
memoria dell’Urss trionfante nella Grande guerra patriottica.
Ha scritto a tale proposito Andreas Kappeler: «Le memorie divise sulla seconda
guerra mondiale mostrano che le cose non sono così semplici. Russi e ucraini non
soltanto non hanno una sola storia e una sola narrazione, e neppure una sola me-
moria, ma molte storie, narrazioni e memorie. La memoria storica è divisa non
solo tra russi e ucraini, ma ci sono diverse memorie all’interno della Russia e dell’U-
craina. Questo è più importante per l’Ucraina, dove le narrazioni russe e sovietiche
sono profondamente radicate nelle menti di molti cittadini ucraini, che per la Rus-
sia. Ciò riguarda molti ucraini nelle parti orientali e meridionali del paese, mentre
la narrazione nazionale sostenuta dagli ucraini a Occidente e al centro [del paese]
si distingue fondamentalmente da quella russa. Quindi le questioni delle narrazio-
ni nazionali e della memoria storica sono contese non solo tra Ucraina e Russia, ma
anche all’interno dell’Ucraina» 10.
La «rivoluzione arancione» del 2004-2005, quando le proteste di piazza contro
i brogli elettorali del florusso Viktor Janukovy0 riuscirono a portare alla presidenza
il flo-occidentale Viktor Juš0enko, fece emergere prepotentemente l’immagine di
una profonda spaccatura regionale. Tornò allora in auge la formula delle «due
Ucraine», che grande successo aveva riscosso nella prima metà degli anni Novanta,
unanimemente accolta sia all’interno dell’arena politica ucraina sia a livello interna-
zionale. «Un’Ucraina (occidentale) consapevole della nazione e un’Ucraina (orien-
tale) “creola”, con la prima a rappresentare l’ideale desiderato». La realtà – cultura-
le, sociale, politica, religiosa – era più complessa di tale rappresentazione bipolare
che, tuttavia, esercitava il fascino delle spiegazioni semplici. Come ha osservato
Andrij Portnov, «tale formula binaria servì da meccanismo esplicativo universale»,
che «riduceva il repertorio di scelte e identifcazioni politiche a uno schema sem-
plifcato», producendo «un’idea esclusiva di norma ed eccezione» 11. La presidenza
di Viktor Juš0enko (2005-2010), scaturita dalla «rivoluzione», fu sfdata da tale rap-
presentazione di un paese spezzato in due, che spinse in direzione dell’elaborazio-
ne di una retorica orientata sulla riconciliazione e sull’unità nazionale, soprattutto
in riferimento alla memoria della seconda guerra mondiale. L’idea di fondo postu-
lata dal presidente era che, benché milioni di ucraini avessero combattuto su lati
diversi del fronte, tutti «amavano il loro Stato, la loro Ucraina. (…) L’intera nazione
ucraina lottò per il suo Stato in un’unica offensiva» 12. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
2010, quando era ormai certo che non sarebbe stato rieletto avendo ricevuto sol-
tanto il 5,45% delle preferenze, il presidente decise di assegnare a Bandera il titolo
di «Eroe dell’Ucraina», un’onorifcenza – peraltro ricalcata dalla tradizione sovietica
– introdotta da Ku0ma nel 1998. Juš0enko fu il primo presidente a elevare il mito
di Bandera, fno ad allora a diffusione regionale in Ucraina occidentale, a culto
nazionale. Per reazione, in linea con la tradizione sovietica, Bandera tornò a essere
utilizzato dal discorso pubblico russo come il simbolo negativo del (talvolta pre-
supposto) nazionalismo ucraino, mentre il termine banderovcy, «seguaci di Bande-
ra», servi a stigmatizzare ogni presa di distanza dell’Ucraina dalla Russia 16.
La promozione di una lettura non unitiva della storia dell’Ucraina fu una scel-
ta problematica in un paese al plurale e portatore di eredità contrastanti. Decisione
che peraltro non pagò in termini di consenso: alle elezioni presidenziali del 2010
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
voti 18. Approvata la legge sulla decomunistizzazione, il Partito comunista non poté
concorrere alle elezioni presidenziali del 2019.
Altre tre leggi, approvate da Porošenko alla metà del maggio 2015, completa-
vano il quadro: la legge «sullo status giuridico e sull’onore alla memoria dei com-
battenti per l’indipendenza dell’Ucraina nel XX secolo»; quella sulla memoria della
vittoria sul nazismo nella seconda guerra mondiale e, infne, quella sull’accesso
agli archivi comunisti e sul loro assoggettamento al controllo dell’Istituto della
memoria nazionale. In particolare, fu la seconda legge, che portava alle estreme
conseguenze il processo di riabilitazione di Oun e Upa avviato in precedenza, ad
avere l’impatto maggiore non soltanto sull’opinione pubblica, ma anche a livello
internazionale per i limiti che poneva alla libertà di espressione e alla ricerca sto-
rica. Poteva, infatti, essere perseguito penalmente chiunque calunniasse i «combat-
tenti per l’indipendenza dell’Ucraina nel XX secolo», quindi anche chi criticasse
fgure come Stepan Bandera o Roman Šukhevy0 (il cui fglio Jurij-Bohdan, leader
della formazione nazionalista di estrema destra Una-Unso, fu il deputato propo-
nente la legge) e organizzazioni come l’Oun e l’Upa 19. La legge non soltanto pri-
vava i cittadini ucraini di libertà fondamentali, ma era anche lesiva degli studiosi
non in linea con la versione uffciale della storia, che potevano essere accusati di
attacchi all’«onore» di tali fgure o enti e quindi, almeno in linea di principio, di
reati punibili con l’arresto.
Prima che la legge entrasse in vigore alcuni storici stranieri scrissero una lunga
lettera aperta al presidente Porošenko e al primo ministro Volodymyr Hrojsman –
poi sottoscritta da decine di studiosi di fama internazionale – chiedendo loro di
non frmare il progetto di legge, un appello ignorato dalla dirigenza ucraina e og-
getto di duri attacchi da parte di V’jatrovy0 e Šukhevy0, che accusarono i frmatari
di essere «agenti di Mosca» 20. Se diveniva reato parlare positivamente dei due regi-
18. A. LIUBARETS, «The Politics of Memory in Ukraine in 2014: Removal of the Soviet Cultural legacy and
Euromaidan Commemorations», Kyiv Mohyla Humanities Journal, n. 3, 2016, p. 197.
19. P.A. RUDLING, «The Cult of Roman Shukhevych in Ukraine: Myth Making with Complications», Fa-
scism. Journal of Comparative Fascist Studies, vol. 5, n. 1, 2016, pp. 26-65.
162 20. D.R. MARPLES, op. cit., pp. 143-146.
LEZIONI UCRAINE
163
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LEZIONI UCRAINE
NON È UN PAESE
PER PUŠKIN GIRONI di Camilla
1. S
« TIAMO DIFENDENDO IL NOSTRO PAESE ANCHE
sul fronte culturale». Con queste icastiche parole si è espresso il vicesindaco di
Leopoli Andrij Moskalenko in riferimento alle ostilità che dal 24 febbraio dello
scorso anno coinvolgono l’Ucraina 1. In parallelo allo scontro militare, il confitto si
muove su altri piani. Una «guerra di civiltà» tra due visioni divergenti della storia e
del presente, con la Russia impegnata nel prometeico tentativo di autoconvincersi
e proiettarsi in un futuro prossimo come eterno impero e l’Ucraina che intende
rinascere dalle ceneri non più Stato «sul confne», ma compiuto Stato nazionale. Di
fronte a quel «banco da macellaio» che è la storia – volendo scomodare Hegel – la
rimemorializzazione degli spazi urbani in Ucraina si inserisce nel contesto di una
guerra più ampia contro un passato che si ostina a non passare.
Agli albori dell’età post-sovietica, a differenza di altre repubbliche ex sorelle,
in Ucraina la desovietizzazione procedette almeno inizialmente non come proces-
so frutto di una precisa volontà politica, ma quale espressione di un affato indi-
pendentista incardinato nello spirito del tempo di quelle periferie riaffacciatesi nel
concerto delle nazioni. La prima ondata di desovietizzazione fece capolino già tra
1989 e 1990, quando ebbe inizio il processo di maquillage della toponomastica.
L’Ucraina si affacciava all’ultimo decennio novecentesco con una veste rinnovata.
Ždanov diveniva Mariupol’ e Vorošilovgrad si palesava sulle nuove carte politiche
sotto il nome di Luhans’k 2.
A imprimere carattere sistematico a un processo che fno a quel momento si
era manifestato in maniera del tutto spontanea furono le manifestazioni di piazza
1. E. SOLOMON, «Goodbye, Tchaikovsky and Tolstoy: Ukrainians look to “decolonize” their streets», The
New York Times, 7/6/2022.
2. A. KUCZABSKI, A. BOYCHUK, «Decommunization of urban toponymy in Ukraine: causes and conse-
quences», 2020, Journal of Geography, Politics and Society, vol. 10, n. 4, 2020, p. 11. 165
NON È UN PAESE PER PUŠKIN
che coinvolsero l’Ucraina tra fne 2013 e inizio 2014 a seguito del ripensamento
da parte della presidenza Janukovy0 su un accordo di associazione con la vicina
Unione Europea. Così, all’imbrunire di una domenica del mese di dicembre del
2013 una colonna di manifestanti si diresse dal mercato centrale della Besarabka
di Kiev verso il centralissimo viale Šev0enko reclamando fgurativamente la testa
di Lenin apposta nel centro della capitale ucraina nel lontano 1946, quando in
seguito alla vittoria della «Grande guerra patriottica» le autorità sovietiche si ado-
perarono per riappropriarsi degli spazi dominati fno a poco prima dall’armata
nazista 3.
Si andava delineando un processo di mobilitazione popolare corollario della
«rivoluzione della dignità»: la demolizione capillare di monumenti eretti in onore
di Vladimir Il’i0 Ul’janov, tale Lenin, in quella che sarebbe passata alla storia come
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
Leninopad (letteralmente «la caduta di Lenin»). Tali istanze di piazza vennero pron-
tamente raccolte da Kiev e inquadrate nelle cosiddette leggi sulla decomunistizza-
zione del 2015.
Il 24 febbraio 2022 ha ulteriormente scompaginato le carte. Se fno al 2022
il processo di derussifcazione si era tradotto in «mera» decomunistizzazione, il
confitto si è inevitabilmente trasformato in utile pretesto escludendo ogni residua
remora per trasformare una timida velleità iconoclasta in iniziativa patrocinata dagli
apparati. Quella che era una direzione popolare in feri ha trovato terreno fertile
nella classe dirigente oramai in piena comunione di interessi con i destini europei.
Così è tramontato l’imponente Arco dell’amicizia dei popoli russo-ucraini di Kiev,
mentre a Vinnycja una scultura dedicata ai combattenti sovietici è stata sradicata da
una piazza ora dedicata all’Europa 4.
Con l’incedere di un confitto che ha defnitivamente assestato l’Ucraina nel
campo flo-occidentale l’establishment ha saputo capitalizzare l’ingresso dei car-
ri armati russi sul territorio ucraino. Con la polverizzazione di ogni opposizione
sociopolitica compiacente nei confronti di Mosca, si è passati dal tagliare la testa
di Lenin a quella di Puškin. Tale processo ha infatti assunto caratteristiche che
non possono essere assimilate come parte dello stesso fenomeno che ha investito
l’Europa centro-orientale nell’èra post-sovietica. Nonostante una parte dell’Ucraina
guardasse alla decomunistizzazione come a un processo volto alla costruzione di
un’identità nettamente separata dalla Russia, l’idea di un’effettiva derussifcazione
che andasse oltre il settantennio sovietico rimaneva un fenomeno ancora solamen-
te abbozzato. Fenomeno che senza il 24 febbraio 2022 probabilmente avrebbe co-
munque avuto il proprio corso naturale, ma in maniera più lenta e meno sistema-
tica. Nell’Europa del 2023, l’Ucraina infatti non può pensarsi come Stato nazionale
se non recidendo il cordone ombelicale con la vicina Federazione Russa.
3. S. PLOKHII, «Goodbye Lenin: A Memory Shift in Revolutionary Ukraine», Digital Atlas of Ukraine,
2017, pp. 1-27.
4. «U Vinnyci demontuvaly skul’pturu, prysvja0enu borcjam za vlast’ sovjetov» («A Vinnycja è stata
smantellata una scultura dedicata ai combattenti per il potere dei Soviet»), Istituto ucraino per la me-
166 moria nazionale, 5/5/2022.
LEZIONI UCRAINE
Carlo XII del 1709 in quanto concepiti per «enfatizzare lo status coloniale dell’U-
craina, glorifcare l’esercito e la grandezza russa e contribuire a una visione russa
dell’Ucraina» 5.
Nell’alveo dei gloriosi eventi costitutivi della mitologia putiniana, la battaglia
di Poltava rappresenta oggi motivo di sconfnato orgoglio per le autorità russe e
fonte di legittimazione grazie alle evidenti analogie con il presente che ne deri-
vano. Nell’ottica russa, oggi come allora, sui campi dell’Ucraina Mosca difende la
propria eredità storica di fronte all’ennesimo tentativo di sovversione occidentale.
Non è casuale la menzione sulla demolizione di un monumento al generale russo
Aleksandr Vasil’evi0 Suvorov a Poltava all’interno di un lungo discorso tenuto da
Vladimir Putin alla vigilia dell’invasione russa 6.
Poiché il ricordo di Poltava nutre le ambizioni imperiali per riaffermare la posi-
zione russa nel mondo, sradicare la memoria della vittoria russa dagli spazi urbani
ucraini non signifca esclusivamente riprendere possesso dei propri spazi e della
propria identità, ma porre una sfda esistenziale ai miti fondativi della Russia di
Putin. Signifca insomma privare il Cremlino di un mezzo per legittimare sé stesso
e la propria politica estera aggressiva sullo scacchiere internazionale.
Emblematico è il caso di un monumento smantellato durante il corso della
guerra, quello a Caterina la Grande che sovrastava una delle principali piazze della
città di Odessa. Città portuale, incarnazione plastica dell’espansionismo russo in
quanto concepita come avamposto della Novorossija (Nuova Russia), creazione
statuale conseguenza della guerra russo-turca, Odessa è la manifestazione di un’i-
dentità imperialista che deve essere rifutata avendo incarnato un’Ucraina che oggi
non deve più esistere 7. Così i suoi abitanti sono arrivati al punto di rifutare persino
la propria fondatrice. Peraltro, più pragmaticamente, in un momento in cui l’oc-
cupazione russa ha sottratto all’Ucraina la maggior parte degli accessi al mare, per
5. «Rekomendaciji Ekspertnoji rady š0odo demontažu rosijs’kykh impers’kykh pam’jatnykiv u Poltavi»
(«Raccomandazioni del Consiglio degli esperti sullo smantellamento dei monumenti imperiali russi a
Poltava»), Istituto ucraino per la memoria nazionale, 2023.
6. V.V. PUTIN, «Address by the President of the Russian Federation», kremlin.ru, 21/2/2022.
7. O. DURAND, «Monument to Catherine II – Monument to the founders of Odesa», Contested Histories,
n. 2, 2021, pp. 1-14. 167
NON È UN PAESE PER PUŠKIN
ciò che è russo. Insieme al padre di Il cavaliere di bronzo anche Jurij Gagarin, Mikhail
Lermontov, Vladimir Majakovskij e Maksim Gor’kij. Nomi che il Consiglio ha sancito
dovranno scomparire dalla toponomastica per «ridurre l’infuenza della narrazione
russo-sovietica, rendere giustizia storica e ripristinare i toponimi ucraini originali» 8.
Soprattutto quando a cadere sono state le teste di Puškin e Lermontov si è im-
putata a Kiev l’accusa di proporre una forma di cancel culture. Demolire monumen-
ti può talvolta signifcare persino rifutare l’idea che certi periodi storici siano degni
di essere oggetto di studio e analisi. Rinunciare a una ricostruzione storica critica del
passato può di fatto portare a ulteriori manipolazioni dello stesso. Ma in merito alla
questione il ministro della Cultura ucraino Oleksandr Tka0enko ha puntualmente
rifutato ogni facile similitudine con la cancel culture, poiché «decolonizzazione
non signifca distruzione dei monumenti» 9. Le statue dunque saranno spostate dagli
spazi urbani per essere ricollocate in quelli museali e dar loro una nuova vita. Sarà
dunque interessante capire se e come verranno contestualizzati i busti di Lenin e
Suvorov alla luce della volontà di superare quei giorni.
Al di là dell’eco mediatico incentrato principalmente sulla demolizione di sin-
goli monumenti simbolici, i mutamenti in termini di toponomastica hanno assunto
un carattere decisamente più pervasivo in termini di numero e spazialità. Le statue,
in quanto reifcazione di una chiara narrazione storica, rendono più visibile l’idea
di appartenenza quotidiana di uno specifco spazio urbano a un determinato con-
testo sociopolitico. Rimuovere il volto e il corpo di Caterina la Grande è molto più
visibilmente effcace che cambiare il nome di una via.
Ma per quanto a un comune cittadino possa non apparire immediato il fne
memorialistico di un toponimo, l’apparente ordinarietà dello stesso contribuisce a
rendere familiare una determinata versione della storia. Un processo di pedagogia
nazionale teso a indottrinare cuori e menti in maniera del tutto spontanea che
collega la familiarità di taluni luoghi a una particolare selezione di eventi o fgure
storiche. E così Aleksandr Blok o Nikolaj Nekrasov (per altro nativo di Nemyriv
nell’oblast’ di Vinnycja) scompaiono per lasciare spazio a insigni personalità ucrai-
ne quali Ostap Vyšnja, Lesja Ukrajinka, il cantautore e poeta Volodymyr Ivasjuk e
il poeta e folosofo cosacco Hryhorij Skovoroda 10.
Proprio lo scorso 21 aprile il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj con un
tratto di penna ha voluto imprimere su carta il divieto di utilizzare toponimi che
glorifcano, perpetuano, promuovono o simboleggiano la Russia o che ricordano
luoghi ed eventi legati alla storia russa, ma anche fgure responsabili di aggressioni
militari contro l’Ucraina e altri paesi sovrani. Una spinta legislativa con la quale
l’Ucraina di Zelen’skyj intende liberarsi del retaggio russo nei propri spazi urbaniCopia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, intestando così una battaglia che va addi-
rittura oltre la derussifcazione per farsi portavoce di una crociata delle democrazie
contro l’autoritarismo.
Il criterio utilizzato negli ultimi mesi per la sostituzione dei toponimi pur se-
guendo una direttiva precisa, quella della promozione di personaggi relativi al
retaggio tipicamente ucraino, procede seguendo un approccio sperimentale. In
alcuni casi, si è andati alla ricerca dei nomi ucraini originali perduti o soppiantati da
quelli russi o sovietici. È il caso di piazza della Vittoria nella capitale ucraina, oggi
ribattezzata con il suo primigenio nome piazza Halyc’ka che le era stato assegna-
to nel 1869 poiché proprio da quella piazza principiava la strada che conduceva
verso la Galizia 11.
Diverse strade e piazze oggi portano il nome di città europee, al contempo
segno di gratitudine per il prezioso aiuto fornito e di catechizzazione sulla precisa
direzione che sta prendendo il paese. La toponomastica può tramutarsi in aperta
sfda nei confronti della Russia stessa, arrivando a glorifcare il separatismo nella
turbolenta regione del Caucaso russo. È il caso di una via intitolata al primo presi-
dente della Repubblica Cecena di I0kerija Džokhar Dudaev 12.
Nel corso della storia i processi di memorializzazione si sono solitamente de-
lineati su eventi passati, in quanto la storia diventa oggetto privilegiato di continue
reinterpretazioni dettate dagli imperativi sociopolitici del presente. In Ucraina sta
accadendo qualcosa di singolare, in grado di sovvertire la teoria della politica della
memoria. Nel settembre dello scorso anno, l’ex ministro dell’Interno Denys Mo-
nastyrs’kyj ha sottolineato l’importanza di non consegnare all’oblio la memoria di
10. «Prospektu Peremohy ta nyzci kyjivs’kykh vulyc’ povernuly istory0ni nazvy» («“Memoria locale”:
derussifcazione nelle regioni di Kharkiv e Poltava e altre news regionali»), Istituto ucraino per la
Memoria nazionale, 16/9/2022.
11. «“Lokal’na pam’jat’”: derusyfkacija na Kharkivš0yni ta Poltavš0yni j inši novyny rehioniv» («Piazza
della Vittoria e altre strade di Kiev ritornate ai loro nomi storici»), Istituto ucraino per la memoria
nazionale, 10/2/2023.
12. «“Lokal’na pam’jat’”: derusyfkacija na Kharkivš0yni ta Poltavš0yni j inši novyny rehioniv» («“Memo-
ria locale”: eventi dedicati al Giorno dei difensori dell’Ucraina e altre news regionali»), Istituto ucraino
per la Memoria nazionale, 28/10/2022. 169
NON È UN PAESE PER PUŠKIN
coloro che ogni giorno combattono per la madrepatria. Così, l’Istituto ucraino di
memoria nazionale e il ministero dell’Interno hanno sottoscritto un memorandum
per preservare la memoria dei nuovi martiri vittime dell’invasione 13. Essendo infatti
oggi percepito come un evento capitale nella storia nazionale contemporanea, l’at-
tuale confitto è già fondamento della nuova ondata di memorializzazione. Dalla
guerra di memoria alla memoria di guerra.
Diverse strade sono già state rinominate in onore dei nuovi eroi di guerra.
A Myrhorod, nell’oblast’ di Poltava, una strada è stata intestata a Oleksandr Ok-
san0enko, pilota perito durante la feroce battaglia di Kiev nel febbraio 2022 14. A
Kremen0uk quella che prima era nota come via Nikolaj Vatutin oggi è dedicata a
Ihor Puha0, maggiore della Guardia nazionale ucraina caduto difendendo Kharkiv,
mentre un viale è stato consacrato ai controversi difensori dell’impianto Azovstal 15.
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
oggi intitolata agli eroi della battaglia di Kruti tra la Repubblica Popolare Ucraina
e le guardie rosse 18. A Kremen0uk sono apparse nuove strade che onorano fgure
legate all’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (Oun) come Kateryna Myironi-
vna Zaric’ka, l’attivista e poetessa Olena Teliha 19 o il controverso leader militare
dell’Esercito insurrezionale ucraino (Upa) Roman-Taras Osypovy0 Šukhevy0, mac-
chiatosi di collaborazionismo con l’occupante nazista e del massacro dei polacchi
di Volinia e Galizia orientale.
Diverse strade nel paese sono oggi dedicate agli oppositori ucraini in epoca
sovietica come Levko Hryhorovy0 Luk’janenko, autore della Dichiarazione di in-
dipendenza e tra i padri del gruppo ucraino di Helsinki, e V’ja0eslav Maksymovy0
9ornovil, dissidente in esilio tra i leader del primo partito di opposizione nell’U-
craina post-sovietica, Rukh. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
18. «“Lokal’na pam’jat’”: perejmenuvannja vulyc’ u Kremen0uci ta inši novyny rehioniv» («“Memoria
locale”: ridenominazione delle strade a Kremen0uk e altre news regionali»), Istituto ucraino per la
Memoria nazionale, 19/8/2022.
19. «Lokal’na pam’jat’”: zakhody do Dnja zakhysnykiv ta zakhyznyc’ Ukrajiny ta inši novyny rehioniv»
(«“Memoria locale”: eventi dedicati al Giorno dei difensori dell’Ucraina e altre news regionali»), Istituto
ucraino per la Memoria nazionale, 28/10/2022.
20. V.O. ZELENS’KYJ, «All Stages of the History of Ukrainian Statehood Can Be Described in one Senten-
ce: We Existed, Exist and Will Exist – Address by President Volodymyr Zelenskyy on the Occasion of
Ukrainian Statehood Day», president.gov.ua, 28/7/2022.
21. S. PLOKHII, «The gates of Europe: a history of Ukraine», London 2015, Penguin Random House, p. 29. 171
NON È UN PAESE PER PUŠKIN
nostro popolo» 23. Il presidente ha più volte elogiato la postura difensiva di stampo
cosacco del popolo ucraino sia in indirizzi informali sui social sia in occasione di
eventi istituzionali come il Giorno dei difensori dell’Ucraina 24.
Anche l’elenco delle date signifcative nel 2023 all’interno di una risoluzione
approvata dalla Verkhovna Rada rappresenta l’ennesima conferma dalla direzione
intrapresa dalla politica della memoria ucraina. Tra gli eventi chiave del calendario
memorialistico troviamo il 1040° anniversario della nascita di Jaroslav il Saggio, il
970° anniversario della nascita di Volodymyr il Monomaco e il 150° anniversario
della nascita dell’attivista Mykola Mikhnovs’kyj 25.
Funzionale al perseguimento sistematico di questa rivoluzione toponomastica
è il coinvolgimento delle comunità e delle autorità locali. Ne sono la conferma le
dichiarazioni della deputata del Consiglio comunale di Lubny Alina Savka o del
sindaco di Kremen0uk Vitalij Malec’kyj, strenui sostenitori della cooptazione delle
realtà locali 26. In ottica di superamento dell’imposizione della toponomastica rus-
sa e sovietica negli spazi civici, questo fenomeno ricerca ed effettivamente trova
un consenso popolare corale espresso attraverso meccanismi quali referendum e
sondaggi online. Nel giugno dello scorso anno più di 6,5 milioni di cittadini hanno
votato tramite piattaforma elettronica per rinominare 296 tra piazze, strade e vicoli
nella capitale. Si è passati da via Tolstoj a via degli Eroi ucraini, da via Tula a via
degli Eroi dell’Upa.
Per un’Europa post-storica che ha accantonato monumenti e toponimi quali
strumenti di pedagogia nazionale, l’entusiasmo ucraino sul fronte memorialisti-
co può apparire intempestivo o persino paradossale. Dal punto di vista europeo
che l’Ucraina intende rinascere araba fenice come Stato nazionale dalla chiara tra-
iettoria geopolitica antirussa. Monumenti e piazze saranno i primi alferi di questa
rivoluzione d’intenti.
173
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LEZIONI UCRAINE
POCHI MA INFLUENTI
GLI ULTRANAZIONALISTI
TRA MAJDAN E RESISTENZA di Fulvio SCAGLIONE
presenza e l’attivismo della galassia destrorsa ma, a diversi livelli di analisi e di re-
alismo, sottolineano la sua quasi cronica mancanza di consenso politico e peso
parlamentare.
Nel caso in questione, possiamo però tranquillamente dire che la verità non
sta nemmeno nel mezzo. È innegabile che i risultati elettorali della destra radicale
estrema, fascista o neonazista ucraina sono sempre stati a dir poco modesti. Tra
partecipazioni mancate e presenze per lo più simboliche, stiamo parlando di bri-
ciole o poco più. Segue breve cronologia.
Elezioni parlamentari 1998: 2,71% per il blocco Fronte nazionale, alleanza di
cinque partiti tra cui gli ormai scomparsi Partito repubblicano ucraino e Partito
repubblicano conservatore ucraino; 0,39% per Una (vedi legenda); 0,16% per il
blocco Meno parole di cui faceva parte anche l’Snpu. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
guito dei nazisti, a pogrom di ebrei ucraini e di polacchi. Entrambi furono insigni-
ti del titolo postumo di Eroe dell’Ucraina, la massima onorefcenza nazionale.
Bandera e i suoi saranno anche stati, agli occhi di molti ucraini, i fautori dell’indi-
pendenza nazionale e della lotta contro l’occupante sovietico, ma il loro curriculum
di collaboratori dei nazisti non pare esattamente quello degli «Eroi». A maggior ra-
gione considerando che tra gli Eroi fgurano scienziati come Borys Paton (il primo
a essere onorato, nel 1998), sportivi come il pugile Vitalij Kly0ko, la nuotatrice Jana
Klo0kova e il calciatore Andrij Šev0enko, compositori come Oleksandr Bilaš, o
personaggi della società civile come Georgij Gongadze, il giornalista investigativo
rapito e ucciso nel 2000. Di politici e combattenti solo i già detti Bandera e
Šukhevy0. Ad affancarli è arrivato in seguito, e non pare un caso, un altro Eroe
proveniente dai ranghi della destra estrema, quella di Pravyj Sektor: Dmytro Kocu-
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bajlo detto «Da Vinci», il più giovane comandante di battaglione nella storia delle
Forze armate ucraine, morto nel marzo del 2023 combattendo i russi a Bakhmut
ma già prima scelto dal presidente Zelens’kyj per il pantheon ucraino.
A proposito della decisione di Juš0enko e delle sue implicazioni, va ricordato
un episodio che riguarda Oleh Tjahnybok, il leader di Svoboda che nel 2005 face-
va campagna elettorale per l’aspirante presidente. Durante un discorso alla Monta-
gna di Javoryna, davanti a veterani dell’Upa e attivisti del partito, Tjahnybok disse
che proprio la combinazione di vecchi militanti e giovani attivisti «è ciò che la
mafa moscovita, ebraica e comunista teme di più». Gli avversari cercarono di ap-
profttare della sortita razzista e antisemita, accusando addirittura Juš0enko di sim-
patie per il nazismo, proprio lui che aveva un padre che aveva combattuto contro
le truppe del Terzo Reich ed era stato persino internato ad Auschwitz. Così Tjahny-
bok fu costretto a lasciare la coalizione juscenkiana Nostra Ucraina mentre il suo
partito, Svoboda, continuava a farne parte e a battersi per il candidato. Resta però
il fatto che come parlamentare Tjahnybok presentò 36 proposte di legge di cui
solo quattro accolte e discusse. Tra le respinte, anche quella di riabilitare uffcial-
mente Bandera e i capi del vecchio Oun-Upa. Ci pensò poi il presidente Juš0enko
nel 2010.
Sconftto Juš0enko, alla presidenza arrivò Viktor Janukovy0, il presidente flo-
russo che aveva criticato perché «divisiva» la decisione di riportare in auge Bandera
e Šukhevy0. Ma l’atteggiamento non cambiò. Anzi. Nel periodo 2007-2009 uno dei
consiglieri di Janukovy0 era stato Paul Manafort, poi capo della campagna presi-
denziale di Donald Trump nel 2016. La somma delle rivelazioni americane dopo la
vittoria di Trump e di quelle ucraine dopo la fuga di Janukovy0 ha portato a con-
cludere che fosse stato proprio Manafort a suggerire ai dirigenti del Partito delle
regioni di Janukovy0 di «aiutare» gli ultranazionalisti di Svoboda, in modo da agita-
re uno spettro radicale e violento che dividesse gli avversari e mobilitasse l’eletto-
rato ucraino moderato e/o russoflo. Diverse fonti, dopo la vittoria alle presidenzia-
li di Janukovy0, cominciarono a denunciare questa alleanza in apparenza contro
natura e a portare alla luce strani giri di soldi. Dopo Jevromajdan Serhij Leš0enko,
uno dei più noti giornalisti investigativi ucraini, pubblicò dei rendiconti segreti, 177
POCHI MA INFLUENTI, GLI ULTRANAZIONALISTI TRA MAJDAN E RESISTENZA
meno l’ultimo a praticarla. Persino Viktor Medved0uk, capo del partito Piattaforma
di opposizione – Per la vita poi bandito da Zelens’kyj, nonché amico personale di
Vladimir Putin, aveva una certa inclinazione per l’Azov. Utilizzò più volte le sue
squadre per la «protezione» delle proprie emittenti televisive e gli uomini dell’Azov
furono ospiti frequenti e graditi di Zik, 112.ua e NewsOne, anche loro chiuse per
decreto di Zelens’kyj nel 2021.
Per Jevromajdan possiamo citare, a mo’ di esempio, altri due fatti. Diventato
governatore della regione di Donec’k nel 2014, l’oligarca Ihor Kolomojs’kyj, il se-
condo uomo più ricco d’Ucraina, si affrettò a fnanziare generosamente il battaglio-
ne Azov. E sempre nel 2014, per il primo governo dopo la cacciata di Janukovy0,
il presidente ad interim Oleksandr Tur0ynov2 decise di nominare Oleksandr Sy0
alla carica di vicepremier, Ihor Švajka a quella di ministro dell’Agricoltura e Andrij
Mokhnyk a quella di ministro dell’Ambiente. Tutti esponenti di spicco di Svoboda,
come Andrij Parubij, uno dei fondatori del partito, che divenne segretario del Con-
siglio di sicurezza nazionale, o Oleh Makhnic’kyj, nominato procuratore generale.
A Svoboda appartenevano anche i governatori delle regioni di Rivne, Poltava e
Ternopil’. Non male per un partito che in effetti era stato in prima fla nei giorni di
Jevromajdan ma che alle elezioni parlamentari, di lì a pochissimo, avrebbe raccol-
to il 4,71% dei voti.
L’attrazione fatale della politica istituzionale per quella dura e movimentista
dell’ultradestra ha quindi una storia lunga e documentata. E dipende anche da una
caratteristica precipua di questi movimenti: l’assoluta fessibilità, l’irriducibile spirito
di autonomia, la disponibilità a sfruttare qualunque situazione per affermare e di-
fendere le proprie posizioni. E non si tratta solo degli esempi che abbiamo fatto
prima, che confermano la regola per cui se c’è qualcuno disposto a dare dev’esser-
ci anche qualcuno disposto a prendere. I primi militanti di quel che sarebbe stato
l’Una-Unso erano stati avvistati a Vilnius nel 1991, mentre difendevano la torre
2. Oleksandr Tur0ynov, nato a Dnipro nel 1964, è stato capo dei servizi segreti (il primo civile in
Ucraina a occupare tale carica), primo ministro e presidente del Parlamento. Dopo Jevromajdan è
stato eletto presidente e primo ministro ad interim. Lasciate queste cariche nel dicembre del 2014, è
178 diventato (fno al 2019) segretario del Consiglio di sicurezza dell’Ucraina.
LEZIONI UCRAINE
della tv dai carri armati sovietici e poi a Mosca, mesi dopo, per ribattere al golpe
dei nostalgici. E poi nel 1992, durante la guerra di separazione in Transnistria, per
proteggere la comunità ucraina, fnendo per combattere accanto ai separatisti russi
contro le truppe moldave, salvo poi combattere contro il separatismo florusso in
Abkhazia. I gruppi paramilitari di Svoboda hanno fatto anche da servizio di sicu-
rezza della Chiesa ortodossa ucraina – patriarcato di Kiev del vecchio metropolita
Filaret, poi confuita nella Chiesa ortodossa dell’Ucraina nata sotto gli auspici del
presidente Porošenko. Quelli dell’Azov non hanno esitato a traffcare con il famoso
Arsen Avakov, ministro dell’Interno dal 2014 al 2021, e molti di loro si sono siste-
mati presso il ministero degli Affari dei veterani, uno snodo importantissimo per il
loro modo di agire nella società. Gli stessi azoviani che nel 2018 avevano garantito,
certo non gratis, protezione alle televisioni di Medved0uk, nel 2020 attaccavano a
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Pravyj Sektor scrivendo per Open Democracy. Era il 2012, fu buon profeta. Per il
seguito, lasciamo la parola direttamente a Katchanovski.
3. Cfr. I. KATCHANOVSKI, «Six years after killings in Ukraine, justice remains elusive», ucraine.un.org,
21/2/2020.
4. Cfr. Id., «7 years with no answers. What is lacking in the investigations of the events in Odesa on
180 2 May 2014?», ucraine.un.org, 30/4/2021.
LEZIONI UCRAINE
tratte dall’indagine uffciale di Kiev: almeno 52 feriti raccontano di essere stati col-
piti non di fronte, dove stavano i Berkut, ma alle spalle. Dove, in teoria, stavano i
«loro».
LIMES E poi?
KATCHANOVSKI Poi tutto venne messo a tacere. Jevromajdan aveva vinto, nessuno
voleva sollevare problemi. Diversi esponenti di Svoboda divennero ministri del
primo governo post-Jevromajdan, nominati dall’ex capo dei servizi segreti Tur0y-
nov. Ma soprattutto furono assegnati a nomi di peso di Svoboda due posti da dove
si potevano controllare le indagini: Parubij divenne segretario del Consiglio di si-
curezza e Makhnic’kyj procuratore generale. In più, un consigliere della Ty-
mošenko, Serhij Pašyns’kyj, capo dell’amministrazione presidenziale. In sostanza,
le persone che avevano organizzato e diretto le violenze erano ora incaricate di
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giudicarle. Chi può stupirsi se, a dispetto delle prove e delle testimonianze, il pro-
cesso, le cui indagini preliminari furono dichiarate concluse nel 2019, dopo anni si
è risolto in nulla?
LIMES La Russia proprio per questo dice che l’Ucraina è uno Stato fascista. Che ne
pensa?
KATCHANOVSKI È una grossolana sciocchezza della propaganda russa. L’Ucraina non
è un paese fascista o nazista, come non lo sono i suoi leader passati e presenti, per
esempio Porošenko e Zelens’kyj. Ma è certo che la destra fascista o neonazista,
proprio mostrando durante Jevromajdan di saper esercitare un’alta dose di violen-
za, e quindi di poter anche minacciare il governo e il parlamento, si è guadagnata
una sorta di perpetua immunità e un consistente potere. A partire dal 2014, per
esempio, i suoi militanti hanno cominciato a essere integrati nelle Forze armate e
nelle forze di polizia e di sicurezza. La destra estrema è stata in grado di battersi
con successo contro qualunque prospettiva di accordo o di pace con la Russia,
tanto da far diventare questa posizione la scelta di una larga parte del fronte poli-
tico, anche prima dell’invasione russa. L’Occidente europeo, che ha partiti di destra
molto grandi e molto presenti nelle istituzioni, vede che questi gruppi ucraini sono
piccoli o addirittura non rappresentati in parlamento e quindi pensa che abbiano
scarso rilievo. Ma a quelli della destra ucraina dei seggi e dei deputati importa po-
co, visto che sono in grado di bruciarlo, il parlamento, sapendo che la polizia fa-
rebbe poco o nulla per impedirglielo.
LIMES Quali sono stati i rapporti tra Petro Porošenko e l’estrema destra?
KATCHANOVSKI Porošenko è il tipico politico disposto ad abbracciare o cambiare
qualunque idea pur di ottenere o conservare il potere. Basti pensare che era stato
con Janukovy0 tra i fondatori del Partito delle Regioni per diventare poi un grande
fnanziatore della campagna presidenziale di Viktor Juš0enko, che è anche padrino
delle sue fglie. Con Juš0enko presidente, Porošenko fece il segretario del Consi-
glio di sicurezza e il ministro degli Esteri. Con Janukovy0 il ministro del Commercio
e dello Sviluppo economico. Al vertice dello Stato Porošenko è arrivato grazie a un
accordo stipulato a Vienna e mediato dal solito L’ovo0kin, il rappresentante degli
182 oligarchi: lui presidente e Vitalij Kly0ko, l’ex campione di pugilato che dopo Jevro-
LEZIONI UCRAINE
majdan era stato a lungo il politico più popolare in Ucraina, sindaco di Kiev. E così
fu. Ottenuta la presidenza, Porošenko ha proseguito la politica del suo predeces-
sore Tur0ynov, integrando la destra estrema nelle istituzioni. A essa Porošenko
chiedeva non solo di appoggiarlo ma anche di intimidire le opposizioni, in cambio
della solita immunità. L’ultradestra gli fu molto utile per combattere la causa del
secessionismo nel Donbas, quando il potere centrale ucraino non era ancora pron-
to a gestire la sfda. La strage di Odessa, come sappiamo, è rimasta totalmente
impunita, nonostante si sia svolta alla luce del sole e sotto l’occhio delle telecame-
re. E i militanti di Svoboda e dell’Azov sono stati i primi a battersi contro i militan-
ti delle Repubbliche di Donec’k e Luhans’k. Anche Porošenko, però, ha subito la
sua pena del contrappasso. Il potente ministro degli Interni Avakov, che con oli-
garchi come Kolomojs’kyj era il grande protettore dell’Azov, nel 2019 cambiò ban-
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diera e decise di schierarsi con Zelens’kyj, portandogli in dote i voti delle destre.
Uno dei segnali che dimostrano come l’estrema destra ucraina non può essere
usata a piacimento. È piuttosto essa a usare i politici.
LIMES E Zelens’kyj? Nel suo caso, chi controlla chi?
KATCHANOVSKI Con lui si ripete l’esperienza di Porošenko. Zelens’kyj aveva ottenu-
to molti voti nell’Est e nel Sud dell’Ucraina promettendo di tentare un dialogo più
aperto con la Russia, di essere più deciso nel cercare la pace o almeno la fne dei
combattimenti nel Donbas. Nella serie tv che l’aveva reso molto popolare, Servo del
popolo, il protagonista da lui interpretato si trovava alle prese con la destra estrema
e si rivelava capace di sconfggerla. Ironia della sorte, la serie era prodotta e tra-
smessa dal canale televisivo di Kolomojs’kyj, che poi fu uno dei primi fnanziatori
dell’Azov. Quando Zelens’kyj smise di fare l’attore e divenne presidente la destra
gli indicò chiaramente alcune linee rosse che non dovevano essere superate.
Dmytro Jaroš, che fno al 2015 era stato il leader di Pravyj Sektor e che in quello
stesso periodo sarebbe diventato aiutante di Viktor Muženko, fno al 2019 coman-
dante in capo delle Forze armate ucraine, lo ammonì pubblicamente a non cercare
un compromesso con la Russia. Nel 2019, all’epoca dell’incontro con Putin a Parigi
e della mediazione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron, i capi del battaglione
Azov si espressero apertamente contro qualunque forma di esecuzione degli accor-
di di Minsk. Ci fu anche una grande manifestazione a Kiev contro quella che veni-
va defnita la «capitolazione», ovvero un’ipotesi di accordo con Putin e i separatisti,
che vide scendere in strada i gruppi della destra e i seguaci di Porošenko. I mani-
festanti arrivarono indisturbati fno al palazzo presidenziale e disegnarono svasti-
che sui muri mentre la polizia stava benevolmente a guardare. Zelens’kyj dovette
andare di persona nel Donbas per trattare con i capi militari dell’Azov, senza otte-
nere nulla. Gli esponenti della destra estrema si succedevano nelle diverse televi-
sioni per insultarlo e diffdarlo dal proseguire su quella strada: chiaramente, non
volevano perdere ciò che avevano guadagnato con Jevromajdan. A Zelens’kyj non
rimase altro che cercare di placarli. Cominciò a incontrare i loro leader, decorare i
comandanti, offrire ai militanti posizioni interessanti nelle strutture di sicurezza
dello Stato. E, soprattutto, a modifcare le sue posizioni, rinunciando a qualunque 183
POCHI MA INFLUENTI, GLI ULTRANAZIONALISTI TRA MAJDAN E RESISTENZA
lui in termini di consenso sarebbe Porošenko, che però è stato azzoppato con
l’accusa di aver fatto affari con i separatisti e con i russi. Intanto i partiti di opposi-
zione sono stati eliminati, l’informazione è stata accentrata nelle mani dello Stato e
uniformata. Zelens’kyj non può perdere. Gli estremisti di destra, secondo i miei
studi, rappresentano circa l’1% degli ucraini. I gruppi che li inquadrano, approft-
tando della nomea di eroi che si sono conquistati, in caso di elezioni potranno
forse ottenere qualche seggio parlamentare ma questo non è molto importante.
Conta assai più, per loro, lo status sociale e la leva che possono esercitare sul po-
tere politico, che non dipende dal numero dei deputati in parlamento.
184
LEZIONI UCRAINE
Mel’nyk) e ala radicale (Upa, guidato da Bandera appunto), nel 2014 l’Una formò un’alle-
anza con Pravyj Sektor, mentre l’Unso continuò a operare in modo autonomo. Il primo
leader dell’Una-Unso fu Jurij-Bohdan Šukhevy0, fglio di Roman Šukhevy0, leggendario
leader dell’Upa che morì nel 1950 combattendo i sovietici.
Svoboda
Il partito fu fondato nell’ottobre del 1991 a L’viv con il nome di Partito social-naziona-
le d’Ucraina (Snpu), come unione dei militanti dell’Organizzazione dei veterani dell’Afgha-
nistan, del gruppo giovanile nazionalista Spadš0yna (Eredità) guidato da Andrij Parubij
(destinato a diventare segretario del Consiglio di sicurezza dell’Ucraina e presidente del
Parlamento dal 2016 al 2019), dell’Unione studentesca presieduta da Oleh Tjahnybok (poi
tra i leader di Jevromajdan e in seguito parlamentare) e del gruppo paramilitare Varta
Rukhu comandato da Jurij Kryvoru0ko (in seguito parlamentare e presidente del Forum
ucraino delle organizzazioni giovanili) e Jaroslav Andruškiv, che divenne anche il leader
del neonato partito. Come molti altri partiti e movimenti, anche l’Snpu aveva una propria
«ala militare» nel gruppo Patrioti dell’Ucraina, che fu sciolto nel 2004 quando il partito, ac-
cusato di inclinazioni neonaziste, decise di darsi una nuova immagine ribattezzandosi
Svoboda (Libertà) e scegliendo come nuovo leader Tjahnybok.
Azov
Le origini del movimento ultranazionalista e neonazista Azov, forse il più infuente
della scena ucraina, vanno rintracciate tra i reduci della fliale di Kharkiv dei Patrioti dell’U-
craina (vedi la voce Svoboda), sciolta nel 2004 quando l’Snpu decise di ribattezzarsi Svobo-
da. Il loro leader era Andrij Bilec’kyj (rampollo di un’antica famiglia cosacca per parte di
padre e di una famiglia nobile per parte di madre; più avanti sarà anche parlamentare), che
nel 2011 venne ferito con due colpi d’arma da fuoco e in seguito, con altri compagni, fnì
in carcere con accuse per rapina, furto e aggressione, forse politicamente motivate. Tutti
furono liberati dopo la caduta del presidente Viktor Janukovy0 a seguito di Jevromajdan
del 2014. Nella primavera dello stesso 2014 Bilec’kyj organizzò le prime piccole unità pa-
ramilitari che s’impegnarono in scontri con i separatisti florussi nel Donbas e nella regione
di Kharkiv. Pochi mesi dopo tali gruppi armati di volontari furono organizzati in un batta-
glione più o meno regolare sotto l’egida del ministero dell’Interno e, dopo aver combattu-
to con effcacia a Mariupol’, inquadrate in una vera unità militare della Guardia nazionale,
diventata una delle più agguerrite dell’intero esercito ucraino. Dal battaglione germogliaro-
185
POCHI MA INFLUENTI, GLI ULTRANAZIONALISTI TRA MAJDAN E RESISTENZA
no poi i Corpi civili Azov e infne, nel 2016, il partito Patrioti ucraini, ribattezzato subito
dopo Corpi nazionali.
L’Azov è una galassia destrorsa a sé stante, che comprende anche un club culturale
(Plomin, Fiamma), un movimento cosacco (Kozac’kyy Dim, Casa cosacca), circoli giovani-
li, un corpo del genio, l’Intermarium Support Group e altre varie organizzazioni. Un’auto-
nomia custodita con attenzione, tanto che il primo vero tentativo di cooperare con altri
movimenti e partiti dello stesso orientamento è arrivato per l’Azov solo con le elezioni
parlamentari anticipate del 2019, quelle convocate dall’appena eletto presidente Zelens’kyj,
in un raggruppamento guidato dall’organizzazione di Svoboda: i risultati sono stati delu-
denti. Nel 2020 i veterani dell’Azov, insieme con attivisti dei movimenti studenteschi della
destra, hanno generato un’altra organizzazione paramilitare, Centuria, che si defnisce «un
gruppo di guerrieri della Luce e dell’Ordine che combatte il nemico interno». Dalla fonda-
zione all’invasione russa, e nel pieno rispetto dei suoi slogan, Centuria si è soprattutto se-
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
Bratstvo (Fratellanza)
Dopo essere stato tra i fondatori e i leader dell’Una-Unso (vedi voce), Dmytro Kor0yns’kyj
nel 1997 lasciò l’organizzazione e nel 1999 varò un proprio gruppo chiamato Bratstvo, da lui
stesso defnito «Õizbullåh cristiano». Fu uno dei pochi movimenti della destra estrema a non
sostenere la candidatura di Viktor Juš0enko. Nel 2013-2014 Bratstvo fu uno dei movimenti
più attivi in Jevromajdan, sempre in prima linea negli scontri più accesi. Nelle elezioni segui-
te ai rivolgimenti del 2014, la moglie di Kor0yns’kyj, Oksana, fu eletta al parlamento.
186
LEZIONI UCRAINE
vano alle autorità di sospendere certi provvedimenti, come l’espulsione dal monastero delle
Grotte di Kiev dei religiosi della Cou-Pm che lo gestiscono da moltissimi anni. È un’evidente
discriminazione in base alle convinzioni religiose di una parte dei cittadini ucraini. Per
realizzarla, però, è bastato sostenere che proprio i religiosi e le organizzazioni della Cou-
Pm svolgono «azioni intenzionali» volte a seminare contrasti sociali.
Lo stesso vale per il terzo emendamento, quello che riguarda «l’aggressione armata
della Federazione Russa contro l’Ucraina, iniziata nel 2014» e ogni tentativo di negarla,
giustifcarla o riconoscerla come legittima. Tutto questo è più che comprensibile. Non lo è,
invece, la parte dell’emendamento che punisce (si arriva fno a cinque anni di carcere, con
o senza confsca dei beni) anche coloro che provino a presentare «l’aggressione armata
della Federazione Russa contro l’Ucraina come un confitto civile interno». Questa è una
tipica verità di Stato: non può e non deve essere detto che nell’Ucraina dell’Est c’erano e ci
sono anche dei cittadini ucraini separatisti. Come se dal 2014, contro le autorità di Kiev,
combattessero solo soldati russi. (Fulvio Scaglione)
LEGGE DELL’UCRAINA
3 marzo 2022, n. 2110-IX
1) all’articolo 161:
il titolo e la prima parte vanno scritti come segue:
«Articolo 161. Violazione della parità dei diritti dei cittadini a seconda della loro appar-
tenenza razziale, nazionale, regionale, credenze religiose, disabilità e altri motivi 187
POCHI MA INFLUENTI, GLI ULTRANAZIONALISTI TRA MAJDAN E RESISTENZA
zione di occupazione della Federazione Russa, che è costituita dai suoi organi statali fun-
zionalmente responsabili della gestione dei territori temporaneamente occupati dell’Ucrai-
na e rappresentanti di organismi autoproclamati sotto il controllo della Federazione Russa,
che hanno usurpato lo svolgimento delle funzioni di potere nei territori temporaneamente
occupati dell’Ucraina, è punibile con la restrizione della libertà fno a cinque anni o con la
privazione della libertà per lo stesso periodo, con o senza confsca dei beni.
3. Atti previsti dalla prima o dalla seconda parte del presente articolo, commessi da un
funzionario, o commessi ripetutamente, o da un gruppo organizzato, o con l’uso di mezzi
di comunicazione di massa, è punibile con la privazione della libertà per un periodo da
cinque a otto anni con o senza confsca dei beni».
2. Il primo paragrafo della seconda parte dell’articolo 216 del codice di procedura
penale dell’Ucraina (Vidomosti Verkhovna Rada dell’Ucraina, 2013, n. 9-13, articolo 88) è
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
«2. Gli organi investigativi per la sicurezza svolgono le indagini preliminari sui reati
previsti dagli articoli 109, 110, 110-2, 111, 112, 113, 114, 114-1, 201, 201-1, 258-258-5 , 265-
1, 305, 328, 329, 330, 332-1, 332-2, 333, 334, 359, 422, 435-1, 436, 436-2, 437, 438, 439, 440,
441, 442, 443, 444, 446, 447 del codice penale dell’Ucraina».
2. Il Gabinetto dei ministri dell’Ucraina entro due mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge deve:
– adottare gli atti normativi necessari per l’attuazione delle disposizioni della presente
legge;
– adeguare i propri atti giuridici normativi alla presente legge;
– assicurare che i ministeri e gli altri organi centrali del potere esecutivo adeguino i
loro atti normativi alla presente legge.
Presidente dell’Ucraina
V. ZELENS’KYJ
189
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
LEZIONI UCRAINE
LA PARTITA
DELLE MINORANZE
NAZIONALI DRAPAK
di Mykhajlo
1. Cfr. «As it happened: EU’s Von der Leyen promises to speed up Ukraine membership process»,
France24, 8/4/2022; J. IRISH, «France reassures Ukraine it will be part of European Union», Reuters,
24/5/2022.
2. «European Council meeting – Conclusions», Council of the European Union, 24/6/2022. 191
LA PARTITA DELLE MINORANZE NAZIONALI
chiarazione del vertice del partenariato orientale del 2021 e dalle valutazioni sulla
sospensione dei visti 3.
Nell’estate 2022, la Commissione europea ha raccomandato di concedere
all’Ucraina lo status di candidato e ha stabilito sette stadi di riforme per il paese 4.
Tre di esse erano strettamente collegate allo Stato di diritto e alla lotta alla corru-
zione. Due lo erano soltanto indirettamente e riguardavano il riciclaggio di denaro
e l’infuenza degli oligarchi. Una richiesta si riferiva alla creazione di uno spazio
mediatico indipendente ed equilibrato, utile a rafforzare un’emittente pubblica au-
tonoma. Veniva infne menzionato un tema inedito nei rapporti tra Kiev e le istitu-
zioni europee. Nell’accordo di associazione del 2017 l’Ucraina si era impegnata a
proteggere le minoranze nazionali, le loro culture, le diversità linguistiche e il dia-
logo interculturale. Eppure da Bruxelles non era mai giunta alcuna richiesta di ri-Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
Kiev è riuscita man mano a rassicurare i partner bulgari, greci, moldovi e po-
lacchi, ma non quelli ungheresi e romeni. Per questo motivo Budapest ha bloccato
le riunioni della Commissione Ucraina-Nato e qualsiasi avvicinamento formale
all’Alleanza Atlantica. Bucarest ha invece scelto un approccio meno confittuale per
rispondere alla controversia. I funzionari romeni hanno tenuto consultazioni bila-
terali con quelli ucraini senza ostacolare il processo di integrazione di Kiev nel si-
stema euroatlantico 6.
Col tempo l’Ucraina ha adottato alcune norme che hanno chiarito le modalità di
utilizzo degli idiomi nell’istruzione e nella vita pubblica. Le più importanti sono «Sul-
la protezione della funzione della lingua ucraina come lingua di Stato» (2019) e
«Sull’istruzione secondaria» (2020). La prima garantisce l’uso delle lingue delle mino-
ranze nazionali nell’educazione, nell’editoria, nei media, nella pubblicità e negli Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
eventi culturali, specifcando però che condizioni più chiare dovranno essere preci-
sate in leggi speciali successive. La seconda stabilisce le modalità del loro insegna-
mento. Nella scuola primaria i rappresentanti delle minoranze nazionali possono
studiare interamente nel loro idioma d’origine. A partire dalla quinta classe, la quota
obbligatoria di materie in lingua ucraina sale al 20%, incrementando poi fno al 40%
per la nona classe e al 60% a partire dalla decima. Tale distribuzione vale però sol-
tanto per le lingue dei paesi dell’Ue. Per le altre minoranze nazionali, l’80% dell’istru-
zione deve essere svolto in ucraino dopo l’ingresso nell’istruzione secondaria.
Inoltre, queste leggi non si applicano ai popoli indigeni dell’Ucraina, comuni-
tà etniche autoctone prive di riferimenti statali al di fuori del paese. Nel 2021, la
Verkhovna Rada ha infatti riconosciuto i tatari di Crimea, i caraiti e i krym0ak 7. La
loro cultura è protetta da norme speciali, tra cui fgura la garanzia di poter fruire
dell’intero ciclo di istruzione nell’idioma di riferimento.
Attraverso le leggi sulla lingua dello Stato e sull’istruzione secondaria, Kiev ha
specifcato cosa sia il piano formativo per le minoranze nazionali, con un occhio
di riguardo per il romeno e l’ungherese. Le consultazioni con Bucarest e Budapest
hanno anche infuito sull’estensione del periodo di transizione, predisposto dalla
Verkhovna Rada nell’aprile 2019. Così, l’applicazione delle leggi alle lingue dei
paesi dell’Ue è stata rinviata al 1° settembre 2023 8. E nel frattempo i parlamentari
ucraini hanno iniziato a elaborare la promessa legge speciale, fnalizzata a garanti-
re i diritti delle minoranze nell’istruzione e in altri ambiti.
I progressi nei negoziati tra Kiev e Budapest sono essenzialmente legati a que-
sto documento. Il ministro degli Esteri dell’Ungheria Péter Szijjártó ha dichiarato che
l’adozione della legge dovrà avvenire in consultazione con la minoranza ungherese.
Il dialogo procede e le parti mostrano un cauto ottimismo. Inoltre, nel 2021 il presi-
6. Cfr. «Ukraine and Romania share the same view on establishing a possible UN peacekeeping mis-
sion in Donbas», Ministry of Foreign Affairs of Ukraine, 20/9/2017; «Ukrainian, Romanian foreign mi-
nisters meet in Chernivtsi», Ukrainian Radio, 11/1/2018.
7. «Zakon Ukrajiny “Pro korinni narody Ukrajiny”» («Legge dell’Ucraina “Sui popoli indigeni dell’Ucrai-
na”»), Verkhovna Rada, luglio 2021.
8. «Zakonom pro movu Rada prodovžyla do 2023 roku perekhidnyj period implementaciji movnoji stat-
ti v zakoni pro osvitu» («Con la legge sulla lingua la Rada ha prolungato fno al 23 il periodo di adatta-
mento per l’attuazione dell’articolo sulla lingua nella legge sull’istruzione»), Interfaks-Ukrajina, 24/4/2019. 193
194
LO PSEUDOREFERENDUM RUSSO IN UCRAINA
La carta rifette la situazione sul campo al 2 ottobre 2022
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LA PARTITA DELLE MINORANZE NAZIONALI
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Odessa Kakhovka Percentuale del territorio
Mariupol’ dell’oblast’
Kherson KHERSON occupata dai russi
I primi quattro seggi, uno per ogni entità territoriale del
referendum, sono stati aperti in Russia nella Kamčatka, dove 91% Berdjans’k
sono dislocati molti sfollati provenienti da quelle regioni A
Percentuale voti pro annessione M ar S
S
98,42% nella Repubblica Popolare di Luhans'k d ’A z ov U
R
99,23% nella Repubblica Popolare di Donec'k CRIMEA E
O N
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
3. Date queste premesse, tutto dipenderà dalla rapidità con cui le autorità ucrai-
ne adotteranno la legge speciale e dal suo contenuto. Prima di esaminarla nello
specifco, è però necessario spiegare come le riforme sulla lingua e sull’istruzione
tra 2017 e 2020 abbiano di fatto modifcato il sistema educativo delle minoranze
nazionali in Ucraina.
Nell’ultimo censimento interno, realizzato nel 2001 9, il 77,8% della popolazio-
ne si identifcava come ucraina e il 67,5% indicava l’ucraino come madrelingua. Il
russo era sia il principale gruppo etnico tra le minoranze nazionali (17,3%) sia l’i-
dioma non dominante più diffuso (29,6%). Questi dati rifettono in particolare la
storia secolare dell’Ucraina come parte prima dell’impero zarista e poi dell’Unione
Sovietica, che di quell’impero non era altro che una reincarnazione, come compro-
vato dalla distribuzione del capitale politico, delle risorse economiche e della
cultura al suo interno. Il passato dell’Ucraina sotto il dominio russo è anche una
storia di russifcazione, di messa al bando e umiliazione della lingua ucraina.
Il censimento del 2001 rilevava che gli ungheresi nel paese erano 156 mila. La
maggior parte viveva nel territorio dell’oblast’ della Transcarpazia, la provincia più
occidentale del paese. Il 95,4% riconosceva l’ungherese come madrelingua. Invece,
i cittadini romeni erano 151 mila e vivevano prevalentemente nel Sud-Ovest, nelle
regioni di 9ernivci e della Transcarpazia. Il 91,7% di loro parlava la lingua d’origi-
ne. Bisogna inoltre notare che 258 mila cittadini ucraini si riconoscevano come
moldovi e risiedevano principalmente nelle oblast’ di Odessa e 9ernivci, tra il Sud
e il Sud-Ovest dello Stato. Il 70% parlava il moldovo come madrelingua.
9. «All-Ukrainian Population Census», State Statistics Service of Ukraine, dicembre 2001. Secondo gli
obblighi internazionali e la legislazione interna, il censimento della popolazione ucraina deve essere
condotto ogni dieci anni. Tuttavia nel 2011, quando Viktor Janukovy0 e il suo Partito delle regioni
erano al potere, non è stato condotto. Era conveniente per le autorità non ricevere nuovi dati sulla
popolazione ucraina, perché ciò consentiva di falsifcare o manipolare i risultati delle elezioni. Anche
le autorità successive si sono mostrate riluttanti all’idea di condurre un censimento, in particolare per
le diffcoltà dovute all’inizio dell’aggressione russa nel 2014. Il nuovo era previsto per il 2023, ma è
impossibile condurlo a causa dell’invasione russa. 195
LA PARTITA DELLE MINORANZE NAZIONALI
Emerge così un problema di calcolo. Da decenni Bucarest insiste sul fatto che
la lingua moldova sia identica a quella romena. In effetti, il concetto stesso di un
idioma moldovo indipendente nacque da un piano di Josif Stalin, che in epoca
sovietica utilizzò la linguistica per frammentare quella che a tutti gli effetti era una
medesima comunità. Nel marzo 2023, il parlamento della Repubblica Moldova ha
riconosciuto questa eredità, dichiarando il romeno lingua uffciale dello Stato, mal-
grado ciò non sia ancora rispecchiato nella costituzione del paese. Si può quindi
affermare che le comunità romene e moldove utilizzano un’unica lingua.
All’inizio dell’anno scolastico 2017-18, in Ucraina c’erano 72 scuole in cui l’in-
segnamento veniva condotto interamente in lingua ungherese e 25 in cui questa
veniva alternata all’ucraino. Gli alunni di tali istituti avevano la possibilità di studia-
re solo nell’idioma della propria minoranza nazionale dalla prima all’ultima classe,Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
10. «Vidomosti pro movu nav0annja ta vyv0ennja movy jak predmet u dennykh zahal’noosvitnikh
nav0al’nykh zakladakh», Ministerstva osvity j nauky Ukrajiny, inšykh ministerstvach i vidomstvakh ta
pryvatnykh zakladakh (2016-2017 n.r. ta 2017-2018 n.r.), («Notizie a proposito della lingua di appren-
dimento e di studio in quanto materia negli istituti scolastici diurni del ministero dell’Istruzione e
della Ricerca dell’Ucraina, negli altri ministeri ed enti pubblici e privati, a.s. 2016-2017 e 2017-2018»),
Istituto per il monitoraggio dell’istruzione; ministero dell’Istruzione e della Ricerca dell’Ucraina.
11. «Vidomosti pro movy nav0annja ta vyv0ennja movy jak predmeta u zakladakh zahal’noji seredn’oji
osvity (bez special’nykh ZZSO)», Ministerstva osvity i nauky Ukrajiny, inšykh ministerstvach ta pryva-
tnykh zakladakh (2022-2023 n. r.), («Notizie a proposito delle lingue di apprendimento e di studio in
196 quanto materie negli istituti scolastici (non speciali)», ministero dell’Istruzione e della Ricerca dell’U-
craina, degli altri ministeri e degli istituti privati (a.s. 2022-2023).
LEZIONI UCRAINE
padroneggiare la lingua dello Stato e quindi meno competitivi nell’accesso agli isti-
tuti tecnici e alle università. La legge dovrebbe quindi contribuire a risolvere il pro-
blema, generando maggiori opportunità professionali 12. Peraltro, Kiev si è rivolta
alla Commissione di Venezia, organo consultivo composto da esperti indipendenti
nel campo del diritto costituzionale, per valutare la nuova legge. E l’istituzione è
giunta alla conclusione che l’obiettivo di rafforzare la lingua dello Stato e la sua co-
noscenza da parte di tutti i cittadini è «legittimo e lodevole». La Commissione di Ve-
nezia ha inoltre indicato la necessità di preservare le lingue delle minoranze nazio-
nali anche nell’istruzione secondaria, affnché sia garantita la protezione del patrimo-
nio culturale 13. Per questa ragione Kiev ha introdotto leggi in cui stabiliva quote
delle lingue d’insegnamento sia per l’ucraino sia per gli idiomi delle minoranze.
I chiarimenti presentati tra 2019 e 2020 non hanno soddisfatto Budapest e Bu-
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
12. «Pozycija MON š0odo opublikovanoho vysnovku Venecijs’koji komisiji: Ministerstvo djakuje za
robotu Komisiji ta hotove implementuvaty rekomendaciji», («Posizione del ministero dell’Istruzione e
della Ricerca a proposito della pubblicazione della valutazione della Commissione di Venezia: il mi-
nistero ringrazia la Commissione ed è pronto a implementare le raccomandazioni (11 dicembre
2017)», ministero dell’Istruzione e della Ricerca dell’Ucraina.
13. «Ukraine – Opinion on the provisions of the Law on Education of 5 September 2017, which con-
cern the use of the State Language and Minority and other Languages in Education, adopted by the
Commission at its 113th Plenary Session», Council of Europe, Venice Commission, 11/12/2017.
14. «Pro nacional’ni menšyny (spil’noty) Ukrajiny» («Sulle minoranze nazionali (comunità) dell’Ucrai-
na»), Verkhovna Rada, 13/12/2022.
15. «Government calls for protection of rights of ethnic Hungarians in Transcarpathia», About Hun- 197
gary, 16/2/2023.
LA PARTITA DELLE MINORANZE NAZIONALI
5. Da un punto di vista formale, la valutazione della riforma del sistema deiCopia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
16. «“Obmežujut’ prava menšyn”: Uhorš0yna zajavyla, š0o ne pidtrymaje vstup Ukrajiny do NATO ta
JeS» («“Limitano i diritti delle minoranze”: l’Ungheria ha annunciato che non sosterrà l’ingresso dell’U-
198 craina nella Nato e nella Ue»), Suspil’ne, 25/3/2023.
LEZIONI UCRAINE
a Kiev, sostenendo di non avere nulla a che fare con gli insorti. Sergej Lavrov, il
ministro degli Esteri russo, lo ripeteva in ogni occasione: Kiev deve parlare diretta-
mente con i separatisti. Dietro la rivendicazione del riconoscimento ai separatisti
dello status giuridico pari a quello del governo ucraino c’era la volontà di conferire
alle autorità autoproclamate del Donbas il potere di interferire nelle decisioni poli-
tiche di portata nazionale dell’Ucraina. Non venne mai usata la parola «veto» ma il
senso era quello. L’Ucraina che aveva appena perso la Crimea e che aveva eletto
un nuovo presidente dopo un periodo di drammatiche turbolenze politiche voleva
evitare a ogni costo di vedersi coinvolta oltremisura in un altro confitto non pro-
vocato. Questo sarebbe stato grave perché avrebbe permesso alla Russia di deter-
minare la vita politica di Kiev attraverso i separatisti che controllava.
LIMES Per arrivare fno a dove? Qual era la visione che la Russia aveva dell’Ucraina
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
del futuro?
TAGLIAVINI Man mano che il processo di Minsk entrava in fase di stallo – e la Russia
aveva delle responsabilità per questo – vedevamo afforare sempre più certe ambi-
zioni imperiali di Mosca. Fin dall’inizio si capiva che il Cremlino aveva vari obiettivi
che possono essere divisi in due categorie – nazionali e a breve termine – in riferi-
mento all’Ucraina; internazionali e a più lungo termine, in riferimento all’Occidente,
agli Usa e in particolare all’Unione Europea. Sul piano ucraino voleva prima di
tutto cacciare la «giunta fascista di Kiev», quindi indebolire il presidente Porošenko
appena eletto per sostituirlo con un esponente pro russo. Un altro obiettivo era il
controllo dei territori ucraini sul lato orientale del fume Dnipro e gli oblast’ meri-
dionali del paese. Partendo da Mariupol’, che era l’obiettivo minimo, ambiva a
prendere il controllo del passaggio terrestre che la collega con la Crimea per poi
proseguire fno a Odessa e arrivare infne a Tiraspol’, capoluogo della regione se-
paratista della Transnistria, in Moldova, quindi tagliare all’Ucraina l’accesso al Mar
Nero. In fondo, però, l’obiettivo di Mosca era principalmente volto contro l’Occi-
dente e contro l’Unione Europea. Penso che la Russia ce l’avesse con l’Ue, percepi-
ta come un’entità che, seppur precaria e ricca di momenti di crisi, continuava a
esistere e ad attrarre molti paesi dello spazio post-sovietico. Come alternativa Mosca
promuoveva l’Unione Eurasiatica, che senza l’Ucraina non avrebbe avuto successo.
Gli altri paesi che ne fanno parte, dal Kirghizistan alla Bielorussia all’Armenia, non
sono produttori industriali come l’Ucraina, che fra l’altro fornisce materie prime e
prodotti elaborati, tecnologia e armamenti. Senza l’Ucraina il partner più importante
sarebbe venuto meno e il progetto di Unione Eurasiatica non si sarebbe sviluppato
secondo i piani. C’era da parte russa del rancore verso la Ue, che nonostante le
tante crisi continuava a esistere e ad attrarre paesi che Mosca vorrebbe parte del suo
spazio geopolitico. Dopo il 2014 il rancore contro la Ue faceva parte dell’argomen-
tazione anti-occidentale della Russia. Si capiva molto bene che Mosca accusava l’Ue
di sostenere l’Ucraina e di avere fomentato le proteste di Jevromajdan.
LIMES Da quanto la Russia preparava questa guerra?
TAGLIAVINI Non sono azioni che si preparano in poco tempo. La guerra dei cinque
200 giorni in Georgia nel 2008, sulla quale avevo fatto un’indagine per conto del Con-
LEZIONI UCRAINE
siglio dei ministri dell’Ue, può essere considerata una prova generale di quello che
sarebbe avvenuto anni dopo altrove, per esempio in Ucraina. Nell’indagine mostra-
vo le violazioni del diritto internazionale messe in atto non solo dai georgiani ma
anche dai russi: il sostegno ai separatisti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, l’in-
vio di militari sotto il pretesto di una missione di pace e soprattutto la distribuzione
massiccia di passaporti russi ai cittadini delle zone occupate in parallelo all’appro-
vazione di una legge che autorizzava la Russia a intervenire all’estero per proteg-
gere «i suoi cittadini in pericolo». Mosca studiò questa mia indagine e nel 2014
evitò di compiere alcuni errori fatti in precedenza che mettevano in luce le sue
violazioni del diritto internazionale. La Crimea, per esempio, non venne occupata
apertamente dai militari russi ma dai cosiddetti uomini verdi senza insegne, anche
se era chiaro chi ci fosse dietro. Nel 2008 le conclusioni della mia indagine venne-
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
ro valutate attentamente dai cechi e dai polacchi che si chiedevano «who is next?»,
mentre l’Unione Europea sembrava voler al più presto tornare alla normalità nelle
sue relazioni con la Russia. Più passava il tempo, più Mosca mostrava apertamente
le sue intenzioni. In Ucraina, nel 2019 iniziò a distribuire massicciamente passapor-
ti russi ai cittadini del Donbas. Nel 2021 Vladimir Putin scrisse un articolo sull’U-
craina e la Russia come unica nazione, un solo e unico popolo. Chi sapeva legge-
re i segnali, non si faceva tante illusioni.
LIMES Partiamo allora dall’inizio. Cosa scatenò gli eventi di Jevromajdan nel 2014?
E perché in quell’occasione la violenza raggiunse un livello così alto a differenza
della rivoluzione arancione del 2004?
TAGLIAVINI Per arrivare a Jevromajdan bisogna partire da più indietro. Già con la
crisi in Georgia nel 2003-4 che portò al potere Mikheil Saakashvili vi era stata una
svolta importante, perché un paese dell’area post-sovietica mostrava di volersi
emancipare dall’orbita di Mosca. Quando poi nel 2004 ciò si ripeté in Ucraina, ov-
vero quando con la «rivoluzione arancione» la maggior parte del popolo ucraino
mostrò un orientamento flo-ccidentale, la Russia si preoccupò molto. Poteva tutto
ciò ripetersi a Mosca? Dieci anni dopo, la violenza di Jevromajdan non fu causata
dai manifestanti ma dalle forze di sicurezza ucraine, forse sostenute da agenti stra-
nieri, che attaccarono i manifestanti e causarono la morte di almeno cento persone.
Sembra strano, ma il personale ucraino coinvolto in quelle violenze venne succes-
sivamente invitato dagli omologhi russi a riposarsi in una località presso San Pie-
troburgo. Non è escluso che in quel periodo l’allora presidente Janukovy0 abbia
chiesto l’aiuto del Cremlino, anche se l’inchiesta su quell’affare a quanto ne so non
è mai stata portata a termine.
Le manifestazioni di Jevromajdan erano pacifche. Ma da diplomatica direi che la
massiccia presenza di politici e dignitari occidentali che in quell’occasione scesero
in piazza con i manifestanti fu un errore. Lo fece tra gli altri l’allora ministro degli
Esteri tedesco Guido Westerwelle, mostrando apertamente il suo sostegno per chi
protestava. Considero la solidarizzazione palese come problematica, perché può
essere usata contro un dato paese o gruppo di paesi. Posso capire che un politico
si senta emotivamente impegnato ma una cosa è la propria opinione e la testimo- 201
‘COME HO TRATTATO CON RUSSI, UCRAINI E SEPARATISTI’
nianza di quell’opinione nel proprio paese, un’altra è farlo in un altro paese. Ciò
viene facilmente considerato ingerenza negli affari interni di quelo Stato. Gli alti
rappresentanti politici europei e americani si facevano riprendere dalle telecamere
sostenendo apertamente i manifestanti, cosa che era inevitabilmente irritante per
Mosca, la quale mentre sosteneva il governo ucraino di Janukovy0 vedeva l’Occi-
dente appoggiare apertamente una svolta antirussa in un territorio che considerava
parte della sua area di infuenza. È probabilmente per ritorsione che i servizi segre-
ti russi resero pubbliche le intercettazioni di Victoria Nuland, sottosegretaria di
Stato americana, mentre esclamava «Fuck the EU!». Così volevano molto probabil-
mente creare una spaccatura tra le posizioni americane e quelle dei paesi dell’U-
nione Europea perché questi si distinguessero da Washington.
LIMES Quanto era spontaneo il separatismo florusso e quanto invece era alimenta-
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to dalla Russia?
TAGLIAVINI Credo si possa dire che prima del 2014 non ci fosse un sentimento se-
paratista vero e proprio. Ma già nel 2005, dopo la «rivoluzione arancione» del 2004,
un certo Andrej Purgin, che poi sarà uno dei primi leader separatisti, fondò a Do-
nec’k un’ong chiamata Donec’kaja Narodnaja Respublika, ovvero Repubblica Po-
polare di Donec’k, non senza il sostegno di Mosca. Tale organizzazione ambiva a
creare un nucleo di militanti florussi nell’Ucraina orientale. Prima del 2014 questa
ong aveva dal 3 al 5% di sostegno nella popolazione, non di più. Senz’altro nel
Donbas la maggioranza parlava russo ed era etnicamente russa ma diceva: noi vi-
viamo in Ucraina, siamo ucraini. Dal 2014 a oggi dei sette milioni di abitanti del
Donbas ne sono emigrati più o meno la metà per andare in parte in Russia, in gran
parte nel resto dell’Ucraina. Ad andarsene sono stati soprattutto coloro che non
volevano vivere sotto controllo russo. Chi è rimasto non è per forza florusso, ma
ha dovuto accettare le regole imposte dai nuovi governanti, che hanno rimpiazza-
to le autorità ucraine molto velocemente. Molte persone sono rimaste perché non
sapevano dove andare. Ricordo la grande precarietà in cui vivevano all’inizio del
confitto gli sfollati in Ucraina. Alcuni avevano dei parenti in altre parti del paese
che potevano ospitarli, ma non tutti. Chi rimaneva erano spesso gli anziani o nuclei
familiari con una o più persone handicappate o malate a carico. Tra questi è diff-
cile stabilire quanti fossero florussi per convinzione, quanti per convenienza,
quanti non lo fossero affatto o quanti si dovettero piegare al volere della nuova
amministrazione florussa. Non dimentichiamo che in quella regione sono nove
anni che non c’è più accesso a una televisione indipendente, che lì i canali ucraini
non possono più trasmettere e che ci sono soltanto i canali russi.
LIMES Sta di fatto che i separatisti florussi riuscirono a prendere il controllo di in-
tere regioni dell’Ucraina orientale, dove si infammarono gli scontri armati che di-
lagarono nella guerra. Come si arrivò all’avvio delle trattative di pace a cui lei
partecipò?
TAGLIAVINI La presa della Crimea e la sua annessione alla Russia nel marzo del 2014
hanno colto il mondo di sorpresa. L’indignazione in Occidente era grande. Le pro-
202 teste contro quella violazione fagrante del diritto internazionale incessanti. Ma
LEZIONI UCRAINE
come reagire adeguatamente, da Stati democratici? Fu allora che gli Usa e l’Ue
decisero di varare sanzioni contro la Russia – una delle poche misure democratiche
contro simile violazione. Ma quando ad aprile e a maggio nell’Est dell’Ucraina
scoppiarono disordini e mentre Kiev stava perdendo il controllo di intere regioni,
la comunità internazionale decise di reagire. In quel periodo tutto avveniva molto
rapidamente. I separatisti occuparono gli edifci dell’amministrazione di Donec’k e
di Luhans’k e a maggio autoproclamarono la Repubblica Popolare di Donec’k e la
Repubblica Popolare di Luhans’k attraverso referendum sullo stesso modello di
quello già usato in Crimea. La rapidità dell’organizzazione di quei referendum era
eccessiva. Dal punto di vista degli standard internazionali quelle votazioni furono
totalmente illegali. Le truppe separatiste, rafforzate da elementi russi, conquistaro-
no poi sempre più territorio nel Donbas e occuparono Slov’jans’k e Kramators’k.
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L’esercito ucraino era totalmente allo sbando, di fatto non esisteva più. A combat-
tere i separatisti erano soprattutto i battaglioni di volontari come l’Azov, fnanziati
dagli oligarchi e spesso portatori di ideologie problematiche.
Fu grazie allo straordinario sforzo di Angela Merkel che in quel momento si riuscì
a sbloccare la situazione. A inizio giugno cadeva il settantesimo l’anniversario
dello sbarco alleato in Normandia, prima occasione per incontrare il presidente
russo ormai già abbastanza isolato. Angela Merkel, che sarebbe andata in Nor-
mandia insieme al presidente francese Hollande, spinse perché il neoeletto presi-
dente ucraino Porošenko fosse anche lui della partita. La cancelliera riuscì a
convincere Vladimir Putin a incontrare Porošenko in quell’occasione e a dare il
suo consenso per l’inizio di una trattativa di pace coordinata dall’Osce che avreb-
be coinvolto Russia e Ucraina. Si stabiliva per la prima volta un mandato politico
condiviso dai principali attori per trovare una soluzione pacifca al confitto. Il
quartetto composto da Russia, Ucraina, Germania e Francia venne allora battezza-
to «Formato Normandia».
La volontà politica al più alto livello internazionale doveva però essere affancata
da una squadra operativa che lavorasse nella direzione indicata dal piano politico
sovraordinato. In quanto rappresentante dell’Osce dovevo occuparmi di formarla.
Ricordo che venni chiamata durante la stessa notte dell’incontro in Normandia. Mi
venne detto che dovevo partire immediatamente per Kiev e incontrarvi i miei nuo-
vi colleghi, un rappresentante russo e uno ucraino, per trovare una soluzione al
confitto. Il primo era l’allora l’ambasciatore russo in Ucraina Mikhail Zurabov; il
secondo l’allora ambasciatore ucraino a Berlino Pavlo Klimkin. Insieme avemmo
un primo incontro con Porošenko, appena inaugurato presidente, che ci disse:
dovete elaborare un piano di pace. Così noi tre formammo una squadra che chia-
mammo Gruppo trilaterale di contatto, braccio operativo delle decisioni politiche
prese al piano più alto da leader politici: Merkel, Putin, Hollande e Porošenko.
Dopo poco tempo Klimkin divenne ministro degli Esteri e il suo posto venne pre-
so dall’ex presidente ucraino Leonid Ku0ma. Insieme sviluppammo un primo pia-
no di pace su cui poi si basarono i futuri accordi di Minsk. Esso si fondava su tre
punti principali: un cessate-il-fuoco sorvegliato dall’Osce con il ritiro dell’esercito e 203
‘COME HO TRATTATO CON RUSSI, UCRAINI E SEPARATISTI’
dei gruppi armati di entrambe le fazioni; la soluzione dei problemi politici; la ge-
stione dei problemi umanitari, come la liberazione degli ostaggi, e dei problemi
sociali, come fra l’altro il pagamento delle pensioni.
Restava un punto irrisolto. Come fare a intavolare un dialogo con i separatisti per
convincerli a garantire il cessate-il-fuoco per poi attuare il piano di pace? In quel
momento la posizione ucraina era di non trattare con loro direttamente – le deci-
sioni erano prese con la Russia – ma di farlo attraverso le consultazioni tra il Grup-
po trilaterale di contatto e i separatisti, così da sottolineare che giuridicamente non
erano allo stesso livello del governo di Kiev. Porošenko diede la sua disponibilità
a un cessate-il-fuoco per una settimana. Con questa proposta ci recammo a Do-
nec’k, dove si erano stabiliti la maggior parte dei leader separatisti, per far loro
accettare questo piano. Quel viaggio fu un’avventura. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
LIMES Ce la racconti.
TAGLIAVINI Fu tutto organizzato molto velocemente. Io, Leonid Ku0ma e Mikhail
Zurabov partimmo su un aereo privato da Kiev fno a Dnipro, perché per ragioni
di sicurezza non si poteva più atterrare a Donec’k. Da lì prendemmo una macchina
e viaggiammo per tre ore attraverso un territorio in guerra per arrivare a Donec’k
in giornata senza sapere di preciso chi avremmo incontrato. Arrivammo nell’edif-
cio dell’amministrazione nel cuore della città, uno di quei tipici palazzoni ammini-
strativi sovietici grigi con l’ascensore fuori servizio. Salimmo a piedi fno al dodice-
simo e ultimo piano e ci sedemmo in una grande sala con un tavolo a U dove fno
a una settimana prima si erano tenute le riunioni dell’amministrazione locale ma
dove ora campeggiava una grande bandiera della Repubblica Popolare di Donec’k,
ispirata alla bandiera russa, ma con un’aquila nel mezzo. A un certo punto irrup-
pero nella sala un gruppo di giovani in parte in abiti civili, in parte in tenuta mili-
tare raffazzonata – si atteggiavano a soldati, abbastanza improvvisati. Erano i leader
separatisti.
Quando li vidi rimasi meravigliata. Di fronte a noi, dall’altra parte del tavolo, si
sedettero alcune persone non originarie del Donbas. Erano russi con una lunga
esperienza di guerra. Avevano partecipato a tutti i confitti regionali in Europa dagli
anni Novanta in poi: ex Jugoslavia, Moldova, Georgia e resto del Caucaso. Alcuni
di loro li avevo già conosciuti addirittura nel 1995 ai tempi della guerra in Cecenia.
Il loro capo era Aleksandr Borodaj, un russo che era in quel momento l’autopro-
clamato primo ministro dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donec’k. Poi
c’era anche qualche persona originaria del Donbas come Andrej Purgin o Aleksan-
dr Khodakovskij. Ma era soprattutto Borodaj a parlare. A quei tempi era infuente
anche Igor’ Girkin, detto Strelkov, che non era seduto a quel tavolo perché impe-
gnato a coordinare le attività militari a Slov’jans’k. Erano tutti personaggi con
vent’anni di esperienza bellica alle spalle, molti dei quali agenti dei servizi segreti
della Russia. Si capiva chi stesse dietro a questa insorgenza.
LIMES Erano legati a uno specifco gruppo di potere russo?
TAGLIAVINI Non saprei dire. Ma mi sembra diffcile che possano esserci queste ini-
204 ziative senza l’appoggio dei piani più alti.
LEZIONI UCRAINE
spese il cessate-il-fuoco e lanciò una nuova offensiva chiamata Ato, ovvero opera-
zione antiterrorismo. È una modalità di intervento militare che conoscevamo già
dalla seconda guerra di Cecenia: Mosca non parlava di guerra, ma di operazione
antiterrorismo in modo da permettere alle forze di sicurezza di sospendere certi
obblighi di diritto civile. I combattimenti ripresero. Da una parte i battaglioni ucrai-
ni, in parte nazionalisti, dall’altra un grande numero di gruppi separatisti ognuno
dei quali aveva i propri interessi specifci e i propri contatti con Mosca.
Dall’inizio di luglio gli ucraini si ripresero diversi territori, tra cui Slov’jans’k e Kra-
mators’k, con l’effetto che tutti i principali comandanti militari separatisti fuggirono
e si rifugiarono a Donec’k. Dato che Leonid Ku0ma già la prima volta aveva rischia-
to di essere sequestrato per noi diventava troppo pericoloso andare a Donec’k. Per
tre settimane non trovammo più la possibilità di parlare direttamente con i separa-
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tisti, il che è sempre male quando c’è un confitto. Io proposi di ricorrere a una
videoconferenza con i rappresentanti della Repubblica Popolare di Donec’k e
quelli di Luhans’k, che riuscimmo fnalmente a fssare per il 17 luglio alle 5 del
pomeriggio. Un’ora prima che iniziasse questa riunione virtuale sopra i cieli del
Donbas venne abbattuto il volo MH17. Fu un evento talmente drammatico che
mandò in fumo i nostri progetti di pace.
LIMES In che modo?
TAGLIAVINI Noi ci collegammo con i separatisti di Donec’k avendo già ricevuto in-
formazioni generiche sull’abbattimento dell’aereo. Nei monitor vedevamo collega-
ti i leader separatisti che non sapevano cosa dire perché nemmeno loro avevano
molte informazioni. Si sapeva solo che un volo civile era stato abbattuto a 10.500
metri di quota. Quasi duecento i morti. I resti erano sparsi ovunque per diversi
chilometri quadrati. Fu un evento così scioccante che rese diffcile se non impossi-
bile parlare di pace.
Quella sera la tv ucraina diede conto di una intercettazione telefonica tra un co-
mandante russo e uno locale e quello locale diceva: «Credo che abbiamo abbattuto
l’uccello sbagliato». La situazione rischiava di degenerare completamente. Come
sarebbe stato possibile arrivare in un territorio occupato militarmente e organizza-
re i lavori di ricupero delle spoglie mortali? Durante queste prime ore organizzam-
mo una task force del nostro Gruppo trilaterale di contatto per provvedere alle
misure urgenti. Missione diffcilissima che ci occupò per oltre due settimane. Di-
ventò chiaro che per motivi di sicurezza non potevamo più andare a Donec’k. Fu
allora che un deputato ucraino ci fece presente che Minsk sarebbe stata disposta a
offrirci l’ospitalità per i futuri incontri con i separatisti, che potevamo raggiungerla
passando dalla Russia e non dall’Ucraina, cosa che volevano evitare a tutti costi.
Nel mese di luglio gli ucraini fecero diversi progressi militari respingendo i nemici
dietro le linee che avevano occupato fno ad allora. Ma ad agosto i separatisti riu-
scirono nuovamente a infiggere grosse perdite alle forze ucraine. Ci fu una batta-
glia terribile a Ilovajs’k proprio alla vigilia dell’anniversario dell’indipendenza ucrai-
na. Vennero uccisi oltre un migliaio di ucraini. Da quel momento i separatisti,
206 aiutati dalle forze russe, tornarono ad avanzare arrivando fno alle porte di Mariu-
LEZIONI UCRAINE
blica l’intesa. Il punto più caldo era la defnizione dei 450 chilometri di linea del
fronte, che come gesto di buona volontà i separatisti chiamavano «linea di contat-
to». Su quattro punti non c’era accordo: sulla città di Mariupol’, sull’aeroporto di
Donec’k, sull’importante nodo ferroviario di Debal’ceve e su una centrale elettrica
nei pressi di Luhans’k, località che i separatisti reclamavano. Quei quattro punti
sono rimasti contestati per tutti gli anni successivi. Ma a poco a poco i separatisti li
hanno conquistati. Comunque, quella notte riuscimmo a metterci d’accordo per
presentare al mondo il famoso primo accordo di Minsk, frmato dal nostro Gruppo
trilaterale di contatto e dai separatisti, che incarnava il mandato ricevuto dal piano
politico più alto: i quattro leader del «Formato Normandia».
Per sancire una distanza politica tra noi, rappresentanti uffciali di paesi riconosciu-
ti, e loro, autoproclamati, nel documento ci presentammo con i titoli mentre i fr-
matari separatisti senza – e con uno spazio fra noi e loro. Volevamo fare vedere
che c’era una differenza di livello che aveva un’importanza giuridica. L’accordo
comprendeva 12 punti che sancivano l’accordo di reintegrare i territori occupati dai
separatisti nell’Ucraina, il conferimento di uno statuto speciale al Donbas e la mo-
difca della costituzione ucraina in senso federale. Fra il 5 e il 19 settembre venne-
ro defnite le modalità del cessate-il-fuoco. In quelle due settimane Porošenko
dovette fare un lavoro molto diffcile per convincere il suo parlamento ad accorda-
re uno statuto speciale al Donbas che implicava una modifca della costituzione.
Ciò gli costò la maggioranza alle elezioni parlamentari di ottobre.
LIMES Che cosa impedì l’esecuzione degli accordi raggiunti?
TAGLIAVINI Dopo la frma del primo accordo di Minsk a settembre il primo passo
importante verso la distensione avrebbero dovuto essere le elezioni parlamentari
nel mese di ottobre, che avrebbero dovuto tenersi anche nel Donbas. I leader sepa-
ratisti non solo le posticiparono a novembre ma si opposero al fatto che esse si te-
nessero sotto la legge ucraina, cioè anche con il monitoraggio dell’Osce. Per di più,
le trasformarono da elezioni parlamentari in elezioni presidenziali nelle autoprocla-
mate repubbliche separatiste. Attraverso un voto che secondo il diritto internazio-
nale era totalmente illegale, a Donec’k venne eletto Aleksandr Zakhar0enko, leader
militare originario del Donbas. L’autoproclamato primo ministro Borodaj era stato 207
‘COME HO TRATTATO CON RUSSI, UCRAINI E SEPARATISTI’
messo da parte da Mosca già prima di Minsk dopo che nelle capitali europee, so-
prattutto in Germania, si era venuto a sapere che nel Donbas operavano gli stessi
agenti russi che avevano già preso la Crimea e che ora erano nell’Ucraina orientale.
Borodaj, inoltre, aveva iniziato a sentirsi troppo importante agli occhi del Cremlino.
Era sempre su Euronews a dare interviste. Di qui l’irritazione di Mosca, che lo sosti-
tuì come fece anche con la maggior parte dei vertici del Donbas, rimpiazzati da
locali sempre leali alla Russia. Oltre a Zakhar0enko, iniziarono ad affermarsi nuove
fgure, come Denis Pušilin. In parte era calcolo mediatico. Mosca voleva dare l’idea
di un movimento separatista autentico, il che non era per niente vero. In Cecenia
c’era un movimento separatista autentico, in Abkhazia anche, contro la Georgia. Ma
non nel Donbas.
LIMES E da lì alla ripresa dei combattimenti il passo fu breve. Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
mai chiarite. Lo stesso Zakhar0enko venne ucciso nel 2018. La Russia ha sempre
accusato l’Ucraina ma molte voci sostengono che si sia trattato di rese di conti in-
terne al mondo russo. Lei cosa ne pensa?
TAGLIAVINI C’è chi dice che la Russia abbia ammazzato Zakhar0enko perché era
diventato troppo scomodo, come avvenuto con altri che vennero a loro volta eli-
minati e messi da parte. Non dobbiamo dimenticare due cose: innanzitutto chi dice
confitto, guerra, dice rivalità e criminalità; quindi, per noi sarà sempre diffcile
conoscere i veri fatti. Inoltre, mi guarderei bene dall’attribuire questi avvenimenti
al Cremlino. Nel contesto di un sistema autoritario c’è qualcosa che si chiama ob-
bedienza anticipatoria. Un contesto che invita a interpretare l’irritazione momenta-
nea come via libera per ammazzare qualcuno. È tutto molto poco trasparente. Ci
sono tantissime gelosie anche all’interno del Donbas. La fgura di Denis Pušilin,
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Hollande che si era unito a lei per mostrare di stare agendo nel nome dell’Unione
Europea e non della sola Germania. Ma era chiaramente lei il motore del processo
di pace. Fece tutto quello che era possibile fare. Riuscì a coinvolgere Vladimir Pu-
tin in quelle trattative anche se lui aveva altre ambizioni e a mantenerlo nella di-
scussione fnché è rimasta al potere. Ricordo le sue decine, se non centinaia di
lunghe telefonate notturne e nei fne settimana con Vladimir Putin e Petro Po-
rošenko. Si è sempre impegnata molto. Era stata lei a convincere Putin della neces-
sità di dialogare e a riprendere la situazione in mano dopo il deterioramento di
Minsk-1. Ricordo quando le parlai poco prima che terminasse il mio mandato
nell’Osce. Le dissi che il problema di Minsk-2 era che l’Ucraina avrebbe potuto ri-
prendere il controllo dei circa 450 chilometri di frontiera con la Russia solo una
volta che tutte le rivendicazioni politiche dei separatisti fossero state soddisfatte e
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sapevamo che questo non sarebbe avvenuto in un futuro prossimo. Lei mi rispose:
«Allora non toglieremo le sanzioni», riferendosi a tutto il pacchetto di sanzioni che
l’Ue aveva inserito dopo l’abbattimento dell’MH17.
LIMES Ritiene che nel 2014 Putin abbia accettato di partecipare ai negoziati di Min-
sk perché nello stesso tempo stava studiando con la Germania il raddoppio del
Nord Stream?
TAGLIAVINI Non escludo una tale ipotesi, ma non ne ho nessuna conferma.
LIMES Come ricorda il rapporto tra Merkel e Putin?
TAGLIAVINI Si capiva che Putin non poteva non avere riguardo per lei. Ma allo stes-
so tempo non si poteva certo parlare di grande simpatia. Ricordo quando ci incon-
trammo per negoziare e poi frmare l’accordo di Minsk-2. I separatisti opponevano
resistenza perché in quelle ore i loro soldati, appoggiati da forze russe, stavano
assaltando il nodo ferroviario di Debal’ceve. Quando stavamo per frmare l’accordo
Zakhar0enko disse di colpo: noi non frmiamo nulla se non abbiamo nel prologo
il via libera per potere conquistare Debal’ceve. Ci fu quindi una ultima trattativa,
questa volta al più alto livello politico. Lasciai il nostro palazzo e mi recai in quello
in cui erano riuniti i presidenti, primi ministri e ministri degli Esteri e ne parlai con
la signora Merkel. Lei allora parlò con Putin e riuscì a convincerlo e a raggiungere
un cessate-il-fuoco. Esso sarebbe dovuto entrare in vigore 24 ore dopo la frma
dell’accordo. Il leader russo però ottenne che fossero invece 60 ore così da dare il
tempo ai separatisti di prendere Debal’ceve, che venne attaccato massicciamente
con l’aiuto di militari russi e cadde sotto il loro controllo.
LIMES Di Vladimir Putin che ricordo ha?
TAGLIAVINI Quello di persona imprevedibile. Le trattative di pace sono sempre im-
prevedibili, ma quelle di Minsk lo erano in particolar modo. Quel confitto nell’Est
dell’Ucraina era la cosa più imprevedibile della mia carriera diplomatica. Non si
sapeva mai cosa sarebbe successo un’ora dopo, mezza giornata dopo, il giorno
dopo. Per mesi non sapevamo cosa stesse succedendo nelle zone dei separatisti,
avevamo solo qualche informazione dagli ucraini ma il quadro non era mai chiaro.
Putin è qualcuno che osserva molto bene chi ha di fronte e capisce subito di che
tipo di personalità si tratti. Ricordo una conversazione privata che ebbi con lui a 211
‘COME HO TRATTATO CON RUSSI, UCRAINI E SEPARATISTI’
Minsk. Era fattuale, voleva solo avere informazioni, non faceva commenti. Gli rac-
contavo cose che lui sapeva già benissimo ma fngeva di non saperle anche se era
chiaro che conosceva esattamente quello che gli avrei detto. Non aveva espressio-
ne. È una persona che dal 2000, quando è stato eletto presidente, almeno esterior-
mente è cambiato molto, soprattutto nel 2007-8, periodo di grandi tensioni fra
Mosca e l’Occidente, dopo la Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007 e il
riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte di un gran numero di pae-
si, nel febbraio 2008. Quello è stato un anno chiave. Ci fu il summit della Nato a
Bucarest, dove Putin fece capire a Merkel che la prospettiva di adesione della Ge-
orgia e dell’Ucraina nella Nato era una linea rossa da non varcare.
LIMES Quando Zelens’kyj venne eletto presidente dell’Ucraina nel 2019 mostrò
subito una grande voglia di sbloccare la situazione. Manifestò la volontà di incon-
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trare Putin, che vide infatti dopo poco tempo a Parigi. Poi che cosa è cambiato?
TAGLIAVINI Forse ha preso coscienza della realtà. Lui, come prima di lui Porošenko,
all’inizio pareva entusiasta nel cercare una soluzione, salvo rimanerne deluso. For-
se comprese che non si poteva ottenere di più di quanto ottenuto attraverso Min-
sk-1 e 2. Quindi la rassegnazione. Tutti eravamo ormai rassegnati, ma l’invasione
russa del febbraio 2022 ha comunque stupito tanti politici che avrebbero dovuto
sapere. La signora Merkel, però, senz’altro non è stata sorpresa. Ci era ormai chia-
ro da tempo che l’obiettivo di Mosca era e restava quello di riuscire a interferire
nella vita politica di Kiev. Qualunque presidente dell’Ucraina di allora doveva pie-
garsi all’evidenza della superiorità militare numerica e logistica della Russia, spesa
in sostegno ai separatisti. Non dimentichiamo che l’Ucraina nel 2014 non aveva un
vero e proprio esercito.
LIMES Nel corso degli anni si è parlato a più riprese di Viktor Medved0uk come
possibile presidente ucraino florusso imposto da Putin. Sono solo voci?
TAGLIAVINI Dal 2014 Medved0uk ha sempre cercato di ritagliarsi un ruolo politico
riconosciuto dal governo e dal presidente ucraino e di ricevere un mandato con il
titolo uffciale di mediatore tra il Gruppo trilaterale di contatto e i separatisti. Po-
rošenko si opponeva. I suoi legami stretti con Vladimir Putin e un passato che lo
rendeva non eleggibile a tale posizione impedivano a Medved0uk di poter rappre-
sentare l’Ucraina. È indubbiamente una persona colta, che aveva concepito la co-
stituzione dell’Ucraina. In questa guerra ha però giocato un ruolo molto ambiva-
lente e nel tempo si è screditato. Poi ha creato un suo partito di opposizione. In
qualche maniera è stato coinvolto nelle nostre trattative. Ogni tanto negoziò degli
scambi di prigionieri. A vederlo non era una persona che ispirasse fducia.
LIMES Come vede il futuro?
TAGLIAVINI La situazione è seria. Non dovremo fare l’errore di dimenticarci di quel-
lo che sta avvenendo in Ucraina perché oggi, nel 2023, noi occidentali siamo stati
dichiarati nemici esistenziali della Russia. C’è un cambiamento nella politica estera
russa. Il ministro degli Esteri Lavrov ha dichiarato recentemente che l’Occidente
rappresenta un pericolo esistenziale per Mosca, cosa che a mia conoscenza non
212 era mai successa dopo la guerra fredda. Nel 2022, all’inizio della guerra in Ucraina,
LEZIONI UCRAINE
la Russia aveva detto: noi non attaccheremo nessun paese a meno che non diven-
ti per noi un pericolo esistenziale. Bisogna badare a queste dichiarazioni. Sembra
che i russi stiano disegnando uno scenario per giustifcare certi atti che ora non
possiamo nemmeno immaginare.
LIMES Vede possibile l’estensione di questa guerra ad altri paesi?
TAGLIAVINI Purtroppo non sappiamo come questa guerra terminerà. Come tutti i
confitti che coinvolgono grandi potenze può sviluppare una dinamica poco con-
trollabile, che potrebbe eccedere la dimensione territoriale dell’Ucraina. Già adesso
ci rendiamo conto che il mondo sta cambiando in maniera drammatica. Questa
guerra non è soltanto una grande sfda per l’insieme dell’ordinamento giuridico
mondiale. Si sono formate nuove alleanze, le democrazie occidentali vengono an-
tagonizzate, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite prova enormi diffcoltà a
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mettersi d’accordo su qualunque cosa. C’è una dinamica di cui un anno e mezzo
fa non avremmo sospettato: la riconquista da parte dell’Ucraina di certi territori, la
determinazione del suo esercito, la poca familiarità con i russi di fette di popola-
zione ucraina di lingua e cultura russa. Poi in ogni guerra ci sono avvenimenti che
di colpo cambiano tutta la situazione. Se pensiamo alla prima guerra mondiale,
ricordiamo che gli Stati Uniti avrebbero voluto stare fuori dalla guerra ma che do-
vettero entrarvi perché la loro fotta commerciale veniva decimata. Oppure, ricor-
diamoci di come Pearl Harbor cambiò il corso della seconda guerra mondiale, con
l’intervento degli Usa al fanco degli alleati. Ci sono avvenimenti che cambiano la
storia e che portano verso confitti più estesi. Vorrei avere torto, ma questa guerra
ha il potenziale di essere una di queste anche a causa del possibile errore umano.
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LEZIONI UCRAINE
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Parte II
dal FRONTE RUSSO
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LEZIONI UCRAINE
RUSSIA-EUROPA
UN DIVORZIO DEFINITIVO? di Fëdor LUK’JANOV
Noi russi siamo parte della storia europea per il semplice fatto che
lo siamo. Ma che cosa significa esserlo in un mondo in cui gli europei
contano sempre di meno? Oggi gli Stati Uniti non dominano più, altri
centri di potere (ri)sorgono, tra cui la Turchia. .
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2. Se noi russi vogliamo essere onesti con noi stessi, dobbiamo riconoscere che
nessuno ci ha costretti a adempiere a norme o richieste, a direttive o a ordini impe-
rativi dettati dall’Unione Europea o dall’«Occidente collettivo». La Russia da sola ha
deciso di farlo. A partire dagli ultimi anni di esistenza dell’Urss, il paese si è rispar-
miato quel processo in parte politico-culturale, in parte psicologico che in una
forma esagerata e accelerata (come un nastro riavvolto in fretta) avrebbe ripercorso
i tormenti che avevano arrovellato l’intelligencija russa per secoli di fronte all’Euro-
pa e l’Europa di fronte alla Russia. Tuttavia, man mano che l’Europa andava forma-
lizzandosi entro un determinato insieme di valori politici e amministrativi, il proces-
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parte, ha partecipato attivamente alla politica europea nel corso dei secoli e ha
sempre compreso di non essere membro di questo club ristretto.
La rottura che si è materializzata ora tra Russia ed Europa riguarda in primo
luogo la comprensione etico-morale di quanto sta accadendo. Una comprensione
che è diametralmente opposta presso le due parti. Il fatto che ci accusiamo l’un
l’altro di fascismo la dice lunga sul fatto che ci troviamo su poli opposti. In questo
senso, il distacco dall’Europa, l’assenza di una qualunque possibilità di riavvicina-
mento a essa all’interno di un nuovo contesto e, in aggiunta a ciò, l’estraneità alla
cultura e alla civiltà asiatica pongono per la Russia una questione di autosuffcien-
za come modello di civiltà. Infatti, a Mosca se ne dibatte: questa primavera è stata
approvato il Concetto di politica estera della Federazione Russa, dove la Russia
viene defnita come uno «Stato-civiltà a sé stante». Non era mai stata prima codif-
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anni Novanta e l’inizio degli anni Dieci, per poi venire meno.
Da quando il vecchio sistema si è esaurito con la fne della guerra fredda, il
sistema che lo ha sostituito è durato tanto quanto i suoi ideologi avevano previ-
sto. Charles Krauthammer è stato il primo a scrivere nel 1990 del «momento uni-
polare americano», ovvero l’inizio di un periodo in cui gli Stati Uniti sarebbero
stati in grado di fare tutto ciò che volevano nel mondo. Nello stesso articolo egli
osservava che questo momento unico nella storia non sarebbe durato per sem-
pre: gli assegnava venticinque-trent’anni e quasi ci azzeccava, dato che così più
o meno è stato. Tuttavia, per quanto riguarda il futuro dell’Europa c’è da chieder-
si se quest’ultima costituirà ancora una parte del mondo a sé stante o diverrà
davvero, come alcuni di noi invocano, un’«appendice occidentale» dell’Eurasia.
Occidentale, ma pur sempre periferica. Ora non è possibile dirlo, può essere
anche che sarà così. Ma la domanda successiva è: questa Eurasia, la cui appendi-
ce periferica sarà l’Europa, a chi apparterrà? Sarà cinese? Sarà sotto controllo
congiunto? Sarà russa? Qui si apre una sequenza di domande per rispondere alla
quali occorrerà molto tempo.
4. Quali che siano le radici culturali dei popoli che abitano la Federazione
Russa, noi russi ci siamo formati all’interno della tradizione europea. Anche i rap-
presentanti della civiltà asiatica presenti in Russia sono cresciuti in essa. Il contesto
di base è dunque condiviso, nonostante esistano svariate questioni aperte legate
alla composizione nazionale, culturale ed etnica della Russia. Si tratta in ogni caso
di questioni che non hanno ora e non avranno nel prossimo futuro il potenziale
per trasformarsi in tendenze disgreganti e devastanti che possano minacciare diret-
tamente l’integrità dello Stato. Le società omogenee stanno scomparendo ovunque
e gli effetti si possono osservare in varie zone del mondo.
La Russia vanta un certo vantaggio perché a questa eterogeneità interna è abi-
tuata. Nonostante tutti gli incredibili smottamenti della storia russa, nonostante le
manifestazioni nazionaliste e xenofobe su un fronte e separatiste sull’altro, con
tutto ciò conviviamo da tempo. Quando la Russia, alla luce di varie circostanze
222 oggettive, dovrà rivedere le proprie posizioni tanto all’Ovest quanto al Sud e all’Est,
LEZIONI UCRAINE
raggiunti, allora quell’«anti-Russia» contro cui abbiamo lottato sarà stata annientata
e questo spazio sarà diventato o Russia o qualcosa di accomodante per Mosca.
Quanto tempo, a quel punto, sarà dedicato al riassesto di questo spazio? Per usare
un eufemismo, molto. Allora, di quale «svolta a est» parliamo? Quando e come svol-
terà la Russia? Non ci sono ancora le basi per parlare dei rischi di una «svolta a est»,
come alcuni sostengono prontamente; stanno solo iniziando a emergere.
Tuttavia, è un incentivo il fatto che, soprattutto a causa della rottura delle rela-
zioni economiche e logistiche con l’Unione Europea e l’Occidente, le vie che por-
tavano a ovest ora conducano a un muro. Si possono immaginare modi alternativi
per aggirare questo muro, modi invisibili a occhi indiscreti, ma realizzarli è un
processo molto complicato e fliforme. Le relazioni con i paesi del Sud e dell’Est
sono più comode per la Russia, nonostante ostacoli vengano creati dagli Stati Uni-
ti che seguono da vicino le dinamiche e cercano di garantirsi che questi paesi non
collaborino con la Russia. Ma l’acqua sa come infltrarsi. In primo luogo, l’econo-
mia di mercato è molto più fessibile dell’economia pianifcata sovietica; si adatta a
molte cose. In secondo luogo, e questo è un fenomeno interessante dell’ultimo
anno, gli americani non sono riusciti ad attrarre nessun paese nella coalizione an-
tirussa, eccetto coloro che sono formalmente legati a loro, ovvero i membri della
Nato e i partecipanti a diversi tipi di alleanze di sicurezza. Il resto del mondo evita
questa coalizione. Ciò non signifca che tutti sostengano la Russia, tutt’altro, ma
testimonia del fatto che non sono assolutamente disposti a fare ciò che gli Stati
Uniti dicono loro di fare. E in generale gli Stati Uniti non possono farci molto.
Questo è un segnale importante di come il mondo stia cambiando.
Visti i cambiamenti che ci saranno in futuro (e che non saranno rapidi), la
Russia dovrebbe dotarsi di un’infrastruttura effciente e sviluppata di relazioni con
il resto del mondo, soprattutto con l’Oriente e la crescente Asia. È necessario a
prescindere da ciò che accadrà in Ucraina o in Europa. È essenziale per la Russia
in un’epoca in cui l’Asia è il centro dello sviluppo mondiale. Purtroppo, tutti i pre-
cedenti sforzi fatti per rivolgersi a oriente hanno dato risultati minimi; con la testa
restiamo fermamente girati dall’altra parte. L’occidentalismo non è necessariamente
flo-occidentale, ma anche anti-occidentale. Sono due facce dello stesso processo. 223
224
LA LINGUA RUSSA NELL’ESTERO VICINO
LO RU SSI A
IE
B
Quale lingua preferiscono usare
i cittadini dei paesi ex sovietici
8% 92%
Russo
MOSCA Lingua ufciale locale
Altro
F E D E R A Z I O N E R U S S A
R A I NA
UC
RUSSIA-EUROPA: UN DIVORZIO DEFINITIVO?
17%
DO VA
OL
M 83%
23%
AK I STAN
77% AZ
K 32%
CRIMEA 68%
Annessa dalla Russia
il 21 marzo 2014 ORGIA
GE
Mar 1%
Nero H IZISTA
92% 7% RG
N
Lago
KI
d’Aral 38%
10%
RBAIGIA N
ZE UZBEKISTAN 52%
A
N
TURCHIA A RME IA
94% 6%
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3% I KI ST AN
97% AG
T
3%
Mar TURKMENISTAN 14% 83%
SIRIA Caspio
Russia. In un contesto simile, Mosca ha svariati vantaggi perché è per molti versi
autosuffciente ed è molto diffcile da aggirare. Dispone di risorse suffcienti e dopo
un po’ tutto andrà al suo posto: il mondo può anche fare a meno delle materie
prime o dello spazio aereo russo, ma non gli conviene, sarebbe una scelta irrazio-
nale. In generale, ci si renderà conto che senza la quota di risorse mondiali che la
Russia controlla, non ci si trova particolarmente bene. Di conseguenza, sarà neces-
sario stabilire un nuovo tipo di relazioni per poter continuare lo scambio commer-
ciale. Se i russi, per dirla in parole povere, si dessero una calmata e smettessero di
agitarsi pensando che tutto il mondo cerchi di mettergli i bastoni fra le ruote, de-
rubarli e così via... Ciò che percepiamo come una sorta di russofobia globale siste-
mica è in realtà la norma nelle relazioni internazionali, dove naturalmente ognuno
si batte per realizzare i propri interessi, spesso a spese di qualcun altro. Dall’ester-
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no è diffcile capire perché la Russia sia così nervosa, dato che sembra avere tutto,
armi nucleari comprese; chi può farle qualcosa? Qui però entrano in gioco altri
fattori e il senso di insicurezza che storicamente abbiamo sviluppato determina
molte reazioni esteriori; la profezia si autoavvera, come spesso accade. E poi ci
sono le rifessioni interne, spesso autodistruttive.
Nel nuovo assetto globale, se assisteremo a un minore consolidamento del
mondo intorno a noi, la Russia si calmerà, perché la paura che tutti gli altri si coa-
lizzino contro di essa determina in gran parte le sue reazioni. Sarà anche chiaro
che, se anche si coalizzeranno, lo faranno solo per un periodo breve e per una
necessità specifca. È probabile che questo sarà un mondo in cui tutte le alleanze
e i partenariati saranno contestuali. In altre parole, la Nato non farà da esempio: si
tratta di un’alleanza unica nel suo genere, nata in un periodo unico, dato che sol-
tanto durante la guerra fredda poteva nascere. Tuttavia, poiché viviamo nella scia
della guerra fredda, per ora sopravvive. In futuro però le cose cambieranno. Per un
verso stiamo assistendo a un suo consolidamento senza precedenti, ma dall’altro i
costi e i benefci di questo confitto all’interno dell’Occidente sono distribuiti in
modo così disomogeneo che prima o poi causeranno gravi attriti interni.
La Russia potrebbe trovarsi ad assumere il ruolo di importante intermediario,
che non defnisce il mondo, ma ne è parte integrante. Si tratta di un ruolo che il
paese ha svolto in maniera piuttosto effcace in Medio Oriente negli ultimi tempi,
come nel caso dell’operazione in Siria; ora sono semplicemente subentrate altre
priorità. Tuttavia, molti sono stupiti del fatto che la Russia senza grossi sforzi riesca
ad avere un rapporto costruttivo con tutti, compreso chi non accetta nemmeno di
sedersi al tavolo con gli altri. In qualche modo la sua strategia ha funzionato e
idealmente potrebbe essere un modello di comportamento per la Russia stessa.
Mosca dovrebbe puntare non a essere il leader mondiale, ma quello che Madeleine
Albright ha defnito (parlando degli Stati Uniti negli anni Novanta) una «potenza (o
nazione) indispensabile», un indispensable power senza il quale non si va da nes-
suna parte. Peccato che Albright intendeva dire che l’America avrebbe infuito atti-
vamente su ogni cosa e per questo tutti avrebbero avuto bisogno del suo aiuto. A
226 nostro modo di vedere, invece, questa «indispensabilità» dovrebbe essere costituita
LEZIONI UCRAINE
dall’esistenza stessa della Russia e dalla garanzia della sua solidità nel tempo, che
obbligherebbe gli altri a farci i conti in ogni caso. In un certo senso, è in questo
modo che l’India si sta posizionando ora, non perché lo voglia, ma perché va così.
Parlare di qualche messianismo o del fatto che la Russia ha bisogno di una
grande idea che la conduca di nuovo verso una direzione non ha francamente
senso. Anche nel periodo in cui eravamo guidati da una grande idea, questa era
stata presa in prestito dall’Europa (il comunismo, che venne molto «addomesticato»,
assunse nuove forme, pur essendo in origine europeo). Ma il punto non è questo.
Il punto è che il mondo non avrà bisogno di una grande idea unifcante, di chiun-
que essa sia, per gli anni e i decenni a venire, anzi: le idee che ci sono bastano e
avanzano. Nessuno si aspetta che la Cina venga a proporre la sua idea e il suo
modello perché tutti la imitino. Anche gli Stati Uniti, con il loro messianismo, han-
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no stancato molte persone. L’Europa, pronta a insegnare a tutti come si vive, non
sta ottenendo gli stessi riscontri di un tempo. Pertanto, nessuno ha bisogno del
messianismo russo nel mondo. Invece, una Russia come paese di buon senso,
garante di un certo equilibrio nel mondo, che ha molto da dare a coloro che si
rapportano a essa con rispetto, non sarebbe affatto male. Questa è però una di
quelle folli fantasie che fnora trovano posto solo tra i miei desideri.
227
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LEZIONI UCRAINE
MOSCA
TACE MOSCATELLI
di Orietta
Il silenzio selettivo del patriarca viene interpretato in diversi modi tra le élite
russe. L’eventualità che la Russia soccomba a fronte di un crescente impegno della
Nato è da tempo evocata dagli oltranzisti della guerra per chiedere un cambio di
passo ed è il flo sotterraneo dello scontro aperto tra le varie componenti militari
in azione, oltre che della più soffusa lotta tra i diversi corpi di intelligence. Per il
capo del Cremlino, invece, lo spettro di un esito fatale – implicito nell’appello alla
coesione lanciato dallo stesso Putin il 9 maggio – serve per mobilitare un poco
alla volta la popolazione.
Il numero uno, dicono i consiglieri addetti a scenari dove la sconftta non è
prevista, resta convinto che il logoramento ucraino e occidentale sia inevitabile. Sarà
un processo doloroso e potrà essere molto lungo, ma è la chiave per prevalere. «Non
riusciranno a fare niente. Li stritoleremo», ha dichiarato il presidente lo scorso marzo
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dopo il primo attacco con vittime sulla regione di Brjansk, al confne con l’Ucraina,
catalogato come «atto terroristico». Il verbo usato, spesso anche in privato, è rivelato-
rio: sžymat’ signifca stringere, premere, evoca la presa di due lottatori in una gara
di wrestling, fno al punto in cui uno cede. Chi ha sentito Putin su questo concetto
riferisce un senso di missione generazionale, ancora prima che epocale: «I giovani
poi non potranno farlo, non hanno vissuto quello che abbiamo vissuto noi, non
saranno in grado». Il problema è che il timore di un tracollo – militare o economico,
o entrambi – si fa spazio nei gironi del potere russo. Il sistema ancora non vacilla,
ma è esposto alle intemperie: defezioni, faide tra gruppi, stracci che volano tra la
linea del fronte e i ministeri moscoviti. Non ultimo, timori e sconforto, anche rabbia,
che serpeggiano sotto la superfcie di un’opinione pubblica apparentemente com-
patta o quantomeno assopita, versione 2.0 del popolo russo pronto a delegare e
obbedire all’autocrate. Ma solo fnché lo sente saldamente al controllo.
portare discreti risultati, salvo poi scontrarsi con il nuovo esodo innescato dalla
guerra, che ha visto defuire dalla Federazione 1,1 milioni di persone secondo un
rapporto dello scorso dicembre: circa l’1,1% della forza lavoro e una percentuale
molto più alta di specialisti dei settori tecnologici, che in parte continuano a lavo-
rare a debita distanza 2. Salendo di reddito, dei 100 russi più ricchi, ovvero capitali
per 339 miliardi di dollari in base a dati tracciabili, 40 hanno cittadinanza straniera
e 60 vivono essenzialmente all’estero con le loro famiglie. Almeno sei ultramiliar-
dari hanno rinunciato alla cittadinanza russa, compreso Vasilij Anisimov, ammesso
alla cerchia presidenziale sino allo scorso ottobre, quando per decreto è stato insi-
gnito dell’ordine «Per i meriti al cospetto della patria» 3. Due settimane dopo era in
Svizzera con armi, bagagli e passaporto croato. L’espatrio del – ricchissimo – padre
delle privatizzazioni post-sovietiche Anatolij 9ubajs oltre a fare scalpore ha invece
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segnalato la fne reale di un’epoca, quella della continuità tra il ventennio putinia-
no e la fase liberal che ho preceduto. Ha poi dato molto fastidio la fuga del ban-
chiere Oleg Tin’kov, uomo di interessi tentacolari e secondo alcuni il cervello
della proposta che gli Usa starebbero valutando di fare agli oligarchi russi sotto
sanzioni: parziale scongelamento dei beni in cambio di un taglio defnitivo con il
regime russo, da certifcare con un contributo per la causa ucraina. Di lì a spingere
il cuore oltre l’ostacolo putiniano non mancherebbe molto.
Anche chi resta in Russia è agitato. Calibri degni di nota come il coproprietario
di Lukoil Leonid Fedun e il tetragono Ališer Usmanov hanno lasciato l’Unione in-
dustriali e imprenditori alla vigilia del congresso annuale, tenutosi il 16 marzo alla
presenza di Putin. In tutto, oltre 15 defezioni illustri e molto nervosismo per il
crescente ruolo dello Stato nell’economia. Ad aprile il direttore della Banca Vtb,
Andrej Kostin, ha suggerito nuove privatizzazioni per ridare dinamismo a un’eco-
nomia a dir poco disorientata. Il mese dopo la proposta di nazionalizzare «i princi-
pali settori della nostra economia» è stata lanciata dal capo del Comitato d’Inchiesta
Aleksandr Bastrykin, falco tra i falchi, da sempre. La posta in gioco tra le due idee
va ben oltre le sorti di decine di singoli patrimoni, per quanto ingenti. Il Cremlino
si è limitato a far sapere che lo Stato non intende cedere asset ai privati e rimane
ancora più vago sulle nazionalizzazioni.
La dinamica non è nuova, ma appare anomala in un quadro emergenziale.
Quando ha potuto, Putin ha sempre giocato al rinvio, funzionale al suo ruolo di
giudice di ultima istanza e quindi garante della tenuta del sistema. Nella costante
ricerca di ispirazioni storiche per le tattiche presidenziali, si cita Ivan il Terribile: nel
1564 avrebbe abbandonato Mosca non perché terrorizzato dal pericolo di congiu-
re, bensì per farsi pregare dai riottosi boiardi di tornare a riportare l’ordine, antesi-
gnano del rendersi indispensabile per bloccare qualsiasi insubordinazione. Nel suo
2. «Užasajuš0ie cifry», bol’še milliona 0elovek uekhali iz Rossii posle na0ala vojny» («Cifre terrifcanti,
oltre un milione di persone sono andate via dalla Russia dopo l’inizio della guerra»), moscowtimes.ru,
6/12/2022.
3. «Šestërki Zapada: što nam delat’ s imuš0estvom šesti oligarkhov» («La sestina dell’Occidente: cosa
232 fare con le proprietà di sei oligarchi»), dzen.ru, 2/12/2022.
LEZIONI UCRAINE
IL POTERE DI PUTIN
Putin
Singolo Presidenziali
2024
Elezioni
2023
IN FUGA
Oleg Tinkov Banchiere
Anatolij Čubais Padre delle privatizzazioni
Vasilij Anisimov Magnate
OLIGARCHI PATRIOTTICI
Imprenditore Konstantin Malofeev
Battaglione Ural Igor’ Altuškin
233
MOSCA TACE
3. Per i liberali da tempo esclusi dalle stanze dei bottoni, come per chi ha
grossi interessi economici in ballo, l’invio di carri armati a Kiev è stata una follia,
aggravata dalla convinzione che a questo punto una lunga guerra di logoramento
convenga alla Russia. Questo gruppo – che non agisce però come tale – è defnito
dei tecnocrati, dei pragmatici esecutori. La comunanza sta nelle opinioni e nella
visione, non (ancora) nell’azione. I tecnocrati considerano lo scivolamento verso la
Cina una disgrazia, a loro avviso ogni mese di guerra in più sarà quantifcato in
perdita di potenziale di sviluppo tecnologico e industriale. Nel complesso, si ade-
guano e aspettano. Tra questi dissenzienti (ancora) collaborativi fgurano anche
ministri e burocrati, in particolare del blocco economico. Il premier Mikhail Mišus-
tin e la governatrice della Banca centrale El’vira Nabiullina sono i più evidenti
esempi di chi è sceso in trincea senza alzare un dito, seppur contrario all’azzardo
bellico. Molti governatori delle regioni si ritrovano in questa compagine: sono pri-
vi di strumenti per far leva sulle politiche centrali e per giunta in autunno si terran-
no le più grandi elezioni regionali del ciclo politico quinquennale, anticamera
delle presidenziali di marzo 2024.
I pragmatici sostanzialmente tacciono, più di Putin e soprattutto se c’è Putin
nei dintorni. In totale contrasto con il gran vociare dei «falchi patrioti», altro insieme
eterogeneo ma in sintonia nell’evocare misure radicali, sino all’estrema ratio nucle-
are diventata refrain delle esaltate invettive dell’ex presidente Dmitrij Medvedev 4
o delle sfuriate mediatiche dei voenkory 5. Questi sono pronti a capitalizzare, a
confitto in corso e soprattutto a guerra fnita o congelata. Si discute molto anche
4. Tra i difensori della patria a qualsiasi costo spiccano il presidente della Duma Vja0eslav Volodin,
il segretario del Consiglio di sicurezza Nikolaj Patrušev, lo stesso Bastrykin, ma anche tutta una
galassia mediatica organizzata su piattaforme social e in particolare su Telegram che mischia infor-
mazione, disinformazione e politica e che infuisce su ampie porzioni dell’opinione pubblica. Come
nel caso di Igor’ Girkin in arte di guerra Strelkov, ex funzionario dell’intelligence russa, veterano di
più confitti diventato implacabile critico della linea del Cremlino in Ucraina, giudicata remissiva e
fallimentare.
5. I voennye korrespondenty, corrispondenti di guerra, sono fgure ibride tra il giornalista e l’agitatore
234 politico, versione moderna dei voenkory dai vari fronti della rivoluzione bolscevica.
LEZIONI UCRAINE
di portare in politica chi oggi combatte, chi ha posizioni dirigenziali nei territori
dichiarati annessi, ma l’idea piace ad alcuni e dispiace a molti altri. Presentati oggi
come eroi a una popolazione recalcitrante e spaventata dalla prospettiva di una
nuova mobilitazione, c’è buona possibilità che nella Russia di domani i reduci di-
ventino un problema.
Le forze impiegate nell’operazione militare sempre defnita speciale sono il ful-
cro del teatrale scontro tra Evgenij Prigožin e vertici della Difesa. Quando il capo
della compagnia militare privata Wagner ha ottenuto il nulla osta presidenziale per
l’arruolamento dei carcerati, la prospettiva di migliaia di fedine molto sporche so-
pravvissute al tritacarne ucraino e rispedite in patria ha allarmato ministeri, servizi,
procura. Il canale di mobilitazione carceraria è stato allora trasferito alla Difesa: uno
dei tanti motivi del malanimo del signor Prigožin, le cui esternazioni sono salite di
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tono di settimana in settimana, sino a dare l’impressione di essere fuori controllo. Gli
attacchi senza veli al ministro della Difesa Sergej Šoigu e al capo di Stato maggiore
Valerij Gerasimov, in mancanza di rivoluzioni ai vertici sono traducibili in critiche
all’apice dello Stato, anche senza le allusioni al «nonnetto contento» ingannato dai
suoi collaboratori. Considerate le denunce per diffamazione delle Forze armate che
scattano per un post o una battuta in pubblico, l’impunità di Prigožin è stupefacente
e di diffcile lettura. Putin non è intervenuto pubblicamente nella contesa, lasciando
forire ipotesi sulle motivazioni del silenzio. Si può sostenere che non reagisce per-
ché gli fa comodo una spina nel fanco degli alti gradi dell’esercito e quindi si tratta
di una commedia concordata, per quanto sguaiata. Oppure che in fondo considera
il capo dei mercenari un sincero patriota, che si sporca le mani al fronte e per questo
lo sopporta. E ancora: Prigožin non è sostituibile in corso d’opera e i conti si faranno
quando i cannoni taceranno. Insomma, o Putin non vuole, o non può.
Gode di una certa fortuna la tesi per cui l’assedio di Bakhmut è stato un gran-
de diversivo organizzato per impegnare e decimare le truppe ucraine. E l’inveire
del capo Wagner è servito a confondere ulteriormente il nemico. Il pubblico rin-
graziamento da parte di Putin per la presa della città dopo sette mesi sembra avva-
lorare questa versione. Un fattore da non tralasciare è che Prigožin è legato anche
alla Internet Research Agency, la cosiddetta fabbrica dei troll che ha portato scom-
piglio nella campagna elettorale americana del 2016. Lui stesso adora agire da di-
sturbatore sulle piattaforme social e mischia con sapienza mediatica i toni seri e
ironici, sempre pronto a invertirne il signifcato. Una vocazione trasformata in
missione dalla guerra.
Nell’attesa di scoprire il vero gioco di gospodin Wagner, un suo alleato nella
crociata contro il ministero della Difesa si è smarcato: Ramzan Kadyrov si è trasfor-
mato in colomba o perlomeno in consigliere di moderati propositi. All’indomani
dei droni sul Cremlino il leader ceceno ha chiesto di evitare una reazione eccessiva
e si è detto certo che i fatti sarebbero arrivati al momento opportuno, nelle dovute
proporzioni, individuate poi nella rinnovata pioggia di missili su Kiev. Nessuno
crede alla conversione di Ramzan, tutti ritengono che sia stata concordata e porterà
dividendi. In particolare, il dirigente ceceno rifette ad alta voce sulla formazione di 235
MOSCA TACE
4. Se c’è una regia di tutto questo, il regista appare indeciso sul genere del flm
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militare speciale inclusa 7 sino «al punto in cui si è arrivati» al momento della stam-
pa, ha precisato Vladimir Medinskij, l’ex ministro a cui l’anno scorso era stato aff-
dato un accenno negoziale con l’Ucraina. Da alcuni anni consigliere presidenziale,
ai colloqui era arrivato con richieste tanto inaccettabili per Kiev quanto persistenti
nelle idee russe: «smilitarizzazione e status neutrale» per l’Ucraina. Infatti, a Mosca
si continua a parlarne come base di una possibile futura trattativa. Medinskij è con-
siderato tra i più fattivi ideologi del putinismo, inteso come unione tra i cosiddetti
valori tradizionali e una narrazione storica incentrata sulla continuità millenaria che
avrebbe trasformato la Russia in una civilizzazione a sé stante. Putin ha sempre
condannato la dimensione ideologica sovietica come vulnus da non ripetere e uf-
fcialmente ripudia l’idea di una dottrina di Stato. Tuttavia, di fatto, ha sovrainteso
all’assemblamento di qualcosa di molto simile e ora sembra avvicinarsi al grande
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7. «V Minprosveš0enija nazvali srok zapuska u0ebnika istorij co specoperaciej» («Dal ministero della
Cultura hanno indicato i tempi della distribuzione del manuale di storia con l’operazione speciale»),
rbc.ru, 31/1/2023. 237
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LEZIONI UCRAINE
LIMES Cosa ne pensa di Prigožin? Perché le Forze armate russe si affdano ai mer-
cenari?
TRENIN Non ho mai incontrato Evgenij Progožin e posso solo osservare ciò che fa.
Ha fondato la prima compagnia militare privata della Federazione Russa ed è riu-
scito a renderla una forza da non sottovalutare. Nel Donbas, il gruppo Wagner ha
lottato duramente per sostenere lo sforzo della Russia. Mercenario è termine che
si usa per screditare i propri nemici. La pratica degli Stati Uniti in questo campo
ha dimostrato l’effcacia delle formazioni militari private in vari contesti, come Iraq
e Afghanistan. La Russia sta usando i professionisti della Wagner per un motivo
preciso: il Cremlino non vuole schierare soldati di leva in battaglia e rimpinguare
le schiere dei volontari richiede tempo.
LIMES Qual è l’obiettivo attuale? Contro chi state combattendo?
TRENIN L’obiettivo immediato è cacciare le forze ucraine dalle regioni del Donbas,
di Zaporižžja e di Kherson, oblast’ che la Russia considera ormai formalmente
parte del proprio territorio. Altro obiettivo dichiarato è quello di «smilitarizzare e
denazifcare» l’Ucraina per impedirne un futuro utilizzo da parte occidentale contro
la Russia, sostituendone l’attuale regime con uno favorevole a Mosca. La maggior
parte dei russi, non solo tra la leadership, vede la guerra in corso come un confitto
tra il proprio paese e l’Occidente collettivo che usa l’Ucraina come punta di lancia
per colpire la Federazione.
LIMES Come defnire la vittoria o la sconftta?
TRENIN La vittoria militare può essere defnita in termini di raggiungimento dei sud-
detti obiettivi, ma il principale campo di battaglia per la Russia è interno: occorre
costruire una nuova economia, sviluppare tecnologie chiave, rinvigorire lo spirito
della nazione russa e rendere la società più coerente in base a valori condivisi.
La sconftta signifcherebbe capitolazione all’esterno e disintegrazione interna. Ma
non credo che questo accadrà.
LIMES Perché vi siete fdati della Cina, o siete interessati a diventarne il junior
partner?
TRENIN Cina e Russia condividono degli interessi, tra cui la sostituzione dell’attuale
240 ordine mondiale basato sull’egemonia statunitense con un assetto più inclusivo.
LEZIONI UCRAINE
6 16
7
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10
Kiev
2 24
8 18
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12 25
3 9
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LIMES Quale sarà il destino delle persone che rifutano i passaporti russi?
TRENIN Penso che alcuni di loro possano prendere la decisione di andarsene. Rifu-
tare il passaporto russo signifcherà perdere molte opportunità.
LIMES La Russia sarà in grado di avviare una vera ricostruzione?
TRENIN È già iniziata, come si può vedere a Mariupol’, ma sarà più incisiva quando
il confitto sarà fnito. La ricostruzione postbellica su larga scala sarà un enorme
vantaggio per l’economia.
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LEZIONI UCRAINE
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Parte III
GRANDI MANOVRE
nella
GUERRA GRANDE
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LEZIONI UCRAINE
Conversazione con Jeffrey MANKOFF, ricercatore del Center for Strategic Research
alla National Defense University, a cura di Federico PETRONI
russi sia gli ucraini non lo contemplano. Kiev sta pianifcando una controffensiva,
ma non sappiamo quanto quest’ultima inciderà concretamente sull’esito del confit-
to. Nel frattempo, Stati Uniti e alleati hanno chiarito che il sostegno militare all’U-
craina continuerà a prescindere dal risultato della controffensiva. Come disse Chur-
chill nel 1942, non è la fne, non è l’inizio della fne, è la fne dell’inizio.
LIMES È possibile sconfggere militarmente la Russia in Ucraina?
MANKOFF Il nostro obiettivo è espellere le forze russe dai territori ucraini. Ci sono
modi diversi per farlo. Uno è infiggere loro una sconftta militare sul campo ed è
quello che stanno provando a fare gli ucraini. Hanno avuto qualche successo, ma la
Russia ha un esercito più grande, un’economia più grande e un complesso milita-
re-industriale tecnologicamente più avanzato rispetto a Kiev. Gli ucraini hanno altri
vantaggi, in termini di morale e di supporto esterno, ma l’esito dei combattimenti è
al meglio incerto. L’altro modo per scacciare le truppe russe è politico: forzare la
dirigenza moscovita a cambiare il proprio calcolo costi-benefci, fno a riconoscere
che continuare a occupare territori ucraini è meno vantaggioso che andarsene.
LIMES Per voi è meglio una sconftta ucraina o una guerra alla Russia?
MANKOFF La priorità numero uno dell’amministrazione Biden è evitare una guerra
con la Russia, cioè impedire attacchi russi contro territori di paesi della Nato. Riten-
go che sia l’approccio giusto, perché il primo obiettivo di ogni presidenza è garan-
tire la sicurezza degli Stati Uniti e degli alleati che siamo obbligati a difendere per
trattato. Deve restare la nostra priorità anche in futuro. Abbiamo stanziato risorse
incredibili per gli ucraini, ma siamo anche stati chiari che non vogliamo superare
certi limiti. Non combatteremo per conto di Kiev. Se gli ucraini non avranno suc-
cesso sul campo di battaglia, gli Stati Uniti continueranno ad assicurarsi di non
avviare un’escalation verso uno scontro diretto con la Russia.
LIMES Questo signifca che giocate per lo stallo?
MANKOFF No, l’obiettivo è fornire agli ucraini i mezzi per vincere da soli, ma visto
che la priorità è evitare una guerra diretta Nato-Russia, ci sono limiti a questa assi-
stenza. E a Washington e nelle capitali alleate è in corso un dibattito continuo su
quanto in là spingere questo supporto – lo si è visto su artiglieria a lungo raggio,
248 carri armati e aerei da caccia – per evitare di innescare un’escalation.
LEZIONI UCRAINE
MANKOFF Questo è il problema. In molti a Kiev sono preoccupati. Nel lungo perio-
do, la produzione bellica occidentale potrebbe non essere un pericolo. Ma è nel
breve che l’Ucraina deve sopravvivere. Il suo esercito ha dovuto razionare le mu-
nizioni da sparare perché non ha riserve suffcienti, mentre la Russia ha maggiori
capacità sia di stoccaggio sia di produzione. Nei prossimi sei-dodici mesi questo
sarà un limite vero alle possibilità dell’Ucraina di riprendere i territori perduti. Tut-
tavia, più a lungo dura la guerra, più l’equilibrio delle risorse industriali pende in
favore degli ucraini, grazie al riorientamento in corso in Occidente.
LIMES A patto che resti invariato il sostegno politico negli Stati Uniti.
MANKOFF Questo è l’altro grande punto interrogativo.
Il supporto popolare in America per la guerra resta relativamente saldo, al netto di
oppositori sulle ali estreme, in particolare del Partito repubblicano. Questo Con-
gresso non ha imposto molti vincoli all’esecutivo in termini di assistenza militare
all’Ucraina. Lo speaker della Camera Kevin McCarthy è stato molto chiaro nel dire
che crede nel diritto degli ucraini di difendersi.
Però nel novembre 2024 si vota. E la campagna elettorale è già iniziata. Il candida-
to alla nomina repubblicana Ron DeSantis ha provato a fare dell’Ucraina una que-
stione elettorale, descrivendo la guerra come «disputa territoriale». Ma ha ricevuto
grandi critiche, anche dagli stessi repubblicani al Congresso. Quindi non penso gli
convenga continuare a martellare su questo.
Tuttavia, il supporto militare all’Ucraina sarà uno dei modi con cui i contendenti si
differenzieranno da Biden. Ne faranno una questione di America First e conteran-
no sulla stramba affnità per la Russia di Putin di alcuni segmenti dell’elettorato
repubblicano. Insomma, il dibattito diverrà più robusto man mano che ci si avvici-
na alle elezioni.
Gli Stati Uniti non stravolgeranno drammaticamente il loro approccio all’Ucraina.
Però se si ripetessero le tensioni avvenute nella transizione presidenziale del 2020-
21, l’instabilità del sistema politico americano ci porterebbe a concentrarci talmen-
te tanto sui problemi interni da far crollare l’Ucraina nella lista delle priorità.
Il timore di un calo del sostegno politico a Kiev è uno dei motivi per cui l’ammini-
strazione Biden è ora più propensa a mandare nuove capacità militari agli ucraini. 249
‘NOI AMERICANI NON COMBATTEREMO AL POSTO DEGLI UCRAINI’
Nella speranza che questi ultimi raggiungano un risultato favorevole sul campo nel
2024. Così da arrivare a una posizione di forza da cui aprire i negoziati. E da non
discutere di queste cose durante la campagna elettorale autunnale o, peggio, du-
rante una transizione presidenziale.
LIMES Quindi il piano è dare agli ucraini le capacità per congelare il confitto nel
giro di un anno e spiccioli?
MANKOFF La posizione uffciale è che gli ucraini decideranno se e quando si nego-
zierà. Ma se la controffensiva non otterrà successi signifcativi e si diffonderà l’im-
pressione di uno stallo, aumenteranno gli inviti a trattare. Non solo dagli occiden-
tali (in privato). Anche dalla Cina e da altri paesi del cosiddetto Sud globale. Noi
americani non potremmo completamente ignorare quelle voci. Se l’Ucraina non
conseguirà progressi concreti, le dirigenze di Stati Uniti ed europei incoraggeranno
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
del Nord. Al massimo possono causare disordini. Il loro obiettivo è portare qualche
effetto della guerra in Russia.
LIMES L’Ucraina attacca il territorio russo. Non le avevate detto di non farlo?
MANKOFF Le abbiamo detto di non farlo con le nostre armi. La condizione era non
attaccare territori non disputati con i nostri sistemi. Quindi la Crimea e le quattro
oblast’ occupate vanno bene, non le consideriamo Russia. Su quello che gli ucraini
fanno con le armi loro e di altri, alziamo le mani.
LIMES Tollerate dunque questi attacchi?
MANKOFF Noi non chiediamo e loro non dicono.
LIMES Gli ucraini vi usano più di quanto voi usate loro?
MANKOFF Qualche forma di controllo su di loro l’abbiamo. Per esempio, abbiamo
limitato a ottanta chilometri il raggio dell’artiglieria, per evitare di colpire territori
russi. Oppure non diamo loro missili come gli Atacms, per lo stesso motivo. È un
rapporto che benefcia entrambi. Gli ucraini hanno supporto militare che consente
di difendersi e recuperare territori. Gli americani difendono il loro sistema interna-
zionale e impongono costi enormi ai russi, un loro rivale diretto. La guerra termi-
nerà con una Russia signifcativamente indebolita.
LIMES La guerra può terminare con la disintegrazione della Federazione Russa?
MANKOFF Il punto è la stabilità politica a Mosca. Il sistema è fortemente centralizzato,
le varie regioni interagiscono più con il centro che l’una con l’altra. È una classica
costruzione imperiale. Il Cremlino tiene assieme questi pezzi. Se c’è un vuoto al
centro, diffcile dire che cosa può succedere nelle periferie. In altri momenti in cui il
potere è collassato, le aree periferiche hanno cercato di staccarsi dall’impero. L’esem-
pio migliore non è quello delle Repubbliche Socialiste Sovietiche come Georgia o
Bielorussia, che avevano una coerenza interna assai superiore a quella odierna di
regioni come Tatarstan e Ciuvascia. È più calzante il 1917: il potere crolla e vari mo-
vimenti combattono per cause molteplici in diverse periferie, seminando caos e
guerra civile. Se oggi il centro collassasse, quello scenario non sarebbe escluso.
LIMES Quello scenario andrebbe a vantaggio degli Stati Uniti?
MANKOFF [Ride] Non necessariamente. La Russia è una grande potenza nucleare e
per gli Stati Uniti la preoccupazione numero uno è impedire il caos degli armamen- 251
‘NOI AMERICANI NON COMBATTEREMO AL POSTO DEGLI UCRAINI’
per garantire la sopravvivenza del regime. È per questo che abbiamo chiarito di
non volere un cambio di regime a Mosca e non vogliamo che le nostre armi siano
impiegate contro il territorio russo. In questo senso, gli F-16 aumentano il rischio
di colpire dentro la Federazione, anche se gli ucraini ci hanno assicurato che non
lo faranno. Di fatto, sta ai russi decidere se fare l’escalation. Perciò l’amministrazio-
ne Biden e le sue controparti europee hanno sistematicamente mandato un mes-
saggio a Mosca: qualunque forma di escalation comporterà enormi conseguenze
anche per voi. Se colpirete la Polonia o userete armi di distruzione di massa in
Ucraina, entreremo in un mondo completamente diverso. Un mondo in cui le con-
seguenze dirette per la Russia stessa saranno catastrofche.
LIMES Considera probabile una guerra con la Cina?
MANKOFF Non nel breve-medio termine. Il dibattito in America su una possibile
invasione cinese di Taiwan nel 2027 mi sembra molto speculativo. Gli ostacoli a
questa operazione continuano a essere signifcativi. La disavventura russa in Ucrai-
na dovrebbe dare ai dirigenti cinesi una bella dose di realismo. Taiwan potrebbe
essere un bersaglio ancora più diffcile: è un’isola, è montagnosa, viene armata da
più tempo rispetto all’Ucraina. Le simulazioni dicono che un successo militare sa-
rebbe estremamente diffcile.
Non vuol dire che i cinesi non ci proveranno, gli scenari in tal senso non mancano,
per esempio se Taipei dichiarasse l’indipendenza. Ma ritengo più probabile che
Pechino voglia infuenzare indirettamente gli sviluppi interni all’isola per far sì che
emerga una dirigenza più flocinese, per dissuadere ogni progetto indipendentista
e per rallentare la fornitura americana di assistenza militare. L’ironia è che un de-
cennio fa la Cina stava facendo un buon lavoro in tal senso, grazie all’integrazione
economica. Ma il revisionismo di Xi Jinping ha incoraggiato a Taiwan un senso di
identità nazionale e rapporti militari con Washington.
LIMES Una guerra con la Cina sarebbe anche una guerra con la Russia?
MANKOFF Dipende. La relazione sino-russa non è un’alleanza. Pechino non è inter-
venuta nella guerra d’Ucraina, nemmeno con un signifcativo supporto militare,
che è fondamentalmente quello che uno si aspetta da un alleato. Non ha sposato
252 gli obiettivi strategici dei russi nel confitto. Ha adottato una posizione cauta: ha
LEZIONI UCRAINE
ti sarà visto come illegittimo e darà luogo ad altre sfde rivoluzionarie. Fare della
Cina un attore responsabile dell’ordine internazionale deve continuare a essere il
nostro obiettivo nel lungo periodo. Senza sognare di smembrare la Repubblica
Popolare in più Cine o cambi di regime a Pechino. Sono idee molto pericolose.
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254
LEZIONI UCRAINE
L’IMPROBABILE
PACIERE CINESE CUSCITO
di Giorgio
Tuttavia, non è escluso che quanto asserito da Lu sia anche il prodotto di un dibat-
tito interno ai circoli strategici cinesi sull’utilizzo delle radici storiche del confitto in
corso a benefcio della Russia. Per dimostrare che l’invasione dell’Ucraina è dovuta
anche all’eccessiva espansione a est della Nato e mettere in guardia quest’ultima
dal fare altrettanto nell’Indo-Pacifco.
A smussare l’impatto del caso Lu ha contribuito l’apertura del segretario di
Stato Antony Blinken a una mediazione diplomatica cinese. Riconoscimento dell’a-
scendente di Pechino sulla Russia, dell’impossibilità americana di sostenere militar-
mente l’Ucraina nel lungo periodo e magari segno del desiderio della Casa Bianca
di imbrigliare Xi nelle faglie geopolitiche europee.
dentità nazionale ucraina. Nel frattempo, opere cinesi come il famoso trattato di
strategia militare I trentasei stratagemmi sono state tradotte in ucraino. Kiev ha
battezzato il 2019 quale «anno della Cina» e due anni dopo Olena Zelens’ka (moglie
di Zelens’kyj) ha partecipato in teleconferenza alla cerimonia di apertura del Bei-
jing International Film Festival in qualità di ospite d’onore. I due governi pensava-
no di sviluppare una collaborazione cinematografca di lungo periodo, per produr-
re pellicole che esaltassero cultura ed eredità dei rispettivi paesi 1. Tuttora Kiev,
Luhans’k, Kharkiv e Odessa ospitano quattro sedi dell’Istituto Confucio, ente che
promuove la diffusione della lingua cinese all’estero.
Pure le collaborazioni infrastrutturali erano intense. Nel 2018 China Railway
International Group ha completato lo studio di fattibilità per la costruzione della
quarta linea metropolitana di Kiev, con un valore stimato di due miliardi di dollari.
Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
1. «Cultural cooperation between Ukraine and China», Ambasciata d’Ucraina presso la Repubblica
Popolare Cinese, 18/5/2022.
2. «Cofco around the world: Ukraine - a solid partnership with potential to grow», cofcointernational.
com, 5/8/2021. 257
258
LA CINA IN UCRAINA
B I E L O R U S S I A F E D . R U S S A
Donbas florusso
Sedi Istituto Confucio
ČERNIHIV Xi’an-
Kiev
Porti K i e v e
RIVNE uhan-
Porti con investimenti cinesi VOLINIA rroviaria W
ŽYTOMYR fe
Progetti e investimenti cinesi Progetto di transito del Rotta
L’IMPROBABILE PACIERE CINESE
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ZI A Impianto eolico costruito e operato da DONEC’K Luhans’k
ČERNIVCI China Longyuan Power Group Corporation I P R O P E T R O V S’ K
DN Zaporižžja Donec’k
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Fondali dragati da China Terminal per il Mariupol’
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Seimila cinesi in Ucraina prima dello scoppio Harbor Engineering grano di Cofco
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della guerra Company ZAPORIŽŽJA
MYKOLAJIV
Ucraina terzo esportatore di armi verso la Cina tra Mykolajiv Melitopol’
O V
2016 e 2021. Vendite per 457 milioni di dollari Odessa
KHERSON Berdjans’k SA
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8 miliardi di dollari
ODESSA
D.
Nel 2021, circa il 30% del mais importato dalla Cina Južne Mar d’Azov
proveniva dall’Ucraina
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Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
Čornomors’k
Importazione di beni cinesi da parte dell’Ucraina
nel 2021: 11 miliardi di dollari Crimea Investimento annunciato nel
Investimenti cinesi in Ucraina nel 2021: 2019 da Cofco del valore di
111 milioni di dollari ROMANIA
50 milioni di dollari
Cofco: China National Cereals Oils and Foodstufs Sebastopoli Impianto lavorazione dei
Corporation M a r N e r o Jalta semi di girasole di Cofco
Fonti: Sipri e Ambasciata Ucraina nella Repubblica Popolare Cinese
LEZIONI UCRAINE
3. F. TANG, «Russia-Ukraine crisis: China urged to weigh economic costs of Moscow coalition as san-
ction threats mount», South China Morning Post, 11/2/2022.
4. «Xi Jinping zai Zhongguo-Zhongya fenghui shang de zhuzhi jianghua» («Discorso di Xi Jinping du-
rante il summit Cina-Asia centrale»), gov.cn, 19/5/2023.
5. LI R., LU Z., «China-Russia trade dominates European rail freight as Ukraine war drags on», caixn-
global.com, 20/5/2023. 259
L’IMPROBABILE PACIERE CINESE
6. LING X., «Senior Ukrainian ocean scientist “joins” China’s leading naval defence university», South
China Morning Post, 15/2/2023.
7. B. PANCEVSKI, L. NORMAN, V. SALAMA, «U.S. and Allies Look at Potential China Role in Ending Ukraine
260 War», The Wall Street Journal, 7/5/2023.
LEZIONI UCRAINE
8. «China’s position on the political settlement of the Ukraine crisis», Xinhua, 24/2/2023. 261
L’IMPROBABILE PACIERE CINESE
In pratica, l’America è nella condizione di poter tendere la mano alla Cina sul
piano diplomatico senza cambiare strategia. Inoltre, recuperare un briciolo di rap-
porto sul fronte economico consentirebbe a Xi di stabilizzare il paese. Quindi di
evitare lo scenario in cui questi opti per l’invasione di Taiwan su pressione delle
frange più nazionaliste interne al Partito comunista, al fne di distogliere l’attenzio-
ne dei connazionali dai problemi domestici.
Infne, le doti negoziali cinesi sono tutte da appurare. Il disgelo tra Iran e Ara-
bia Saudita non è ancora completo. Gli «incontri a sei» (six party talks) con le due
Coree, Giappone, Stati Uniti e Russia sulle armi nucleari di P’y$ngyang non hanno
dato esito positivo. Lo stesso vale per il tentativo di mediazione tra Israele e Pale-
stina del 2017. Il governo cinese potrebbe anche convincere Putin e Zelens’kyj a
sedersi allo stesso tavolo ma dire loro uffcialmente come risolvere la disputa è più
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complesso. Figurarsi stabilire dove e come sancire una linea di frontiera. Peraltro
una mossa del genere potrebbe nuocere alla politica domestica ed estera di Pechi-
no. La quale sulla carta esclude l’ingerenza negli affari di altri paesi per via delle
invasioni che la Cina subì tra le guerre dell’oppio e la fondazione della Repubblica
Popolare nel 1949. Inoltre, l’assegnazione di una fetta di territorio ucraino a Mosca
mostrerebbe più palesemente la parzialità di Xi nella vicenda. Su questi fattori Wa-
shington potrebbe puntare per mettere in cattiva luce la coppia sino-russa.
Pechino cammina su un terreno scivoloso. Xi ha detto a Zelens’kyj che la Cina
non ha scatenato la crisi ucraina e che non è parte in causa, ma che allo stesso
tempo non può attendere passivamente che la guerra degeneri 9. Giacché così
scompaginerebbe il «risorgimento cinese» più di quanto abbia già fatto. Insomma,
la Repubblica Popolare ha molte ragioni per imprimere il proprio marchio sui pos-
sibili negoziati. Ma non potrà essere l’unica forza a determinarne l’esito.
QUANTO COSTA
LA GUERRA
AI TEDESCHI DIETER di Heribert
di Sicurezza dell’Onu. Per quella missione la Germania spese lo 0,5% del proprio
pil, mentre fnora il totale dell’aiuto erogato all’Ucraina è pari a circa un terzo di
quell’ammontare 3.
Questi costi si sommano però a quelli indiretti, molto più ingenti. La crisi
energetica sta costando cara ai tedeschi. Per schermare cittadini e imprese dalla
conseguente infazione, solo nel 2022 il governo federale ha speso ben 264 miliar-
di di euro 4: venti volte l’aiuto bilaterale a Kiev nello stesso periodo. Il paragone
lascia peraltro il tempo che trova, in quanto l’aiuto all’Ucraina è a fondo perduto
mentre i trasferimenti pubblici ai cittadini tedeschi verranno ripagati da questi in
futuro con le tasse. In tal modo, i veri costi della crisi energetica vengono camuf-
fati, ma restano.
Così come resta un certo nervosismo tra le imprese tedesche: al momento Copia di f41c7efe3dac9850479ef0d4d02e836f
elevati dato che anche l’accoglienza in grandi strutture – come le scuole – costa
molto (4 mila euro nel primo mese di guerra in una struttura per 100 persone 8).
Questi esborsi sono sostenuti dalle comunità locali, ricche o meno, cui il governo
federale rimborsa circa il 20%.
Al proseguire della guerra lo status legale dei rifugiati cambia: non ricevono
più i benefci dei richiedenti asilo, ma quelli di disoccupazione che vedono il
governo centrale concorrere per il 68,4% alle spese di alloggio e riscaldamento 9.
Se tutti i rifugiati ucraini ricevessero il massimo dei benefci il contribuente tede-
sco spenderebbe ogni anno 51 miliardi di euro solo per dar loro una casa ben
riscaldata. Molti di essi lavorano, quindi l’esborso effettivo è inferiore, ma resta
comunque elevato.
A questo si aggiungono le spese sanitarie. Nel sistema tedesco, basato sulle as-
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sicurazioni, il governo non copre il costo totale del premio ma versa ogni mese alle
compagnie una somma fssa di 190 euro per assistito. La differenza, che ammonta
a decine di miliardi di euro l’anno, è coperta dal lavoratore e/o dal datore di lavo-
ro 10. A dispetto del mito, duro a morire, di un welfare tedesco iper-generoso, nel
quotidiano i tedeschi scontano il carattere spesso defcitario dell’offerta pubblica di
alloggi e di servizi medici. A questo defcit concorre l’immigrazione: nel 2022 sono
immigrate in Germania 2,1 milioni di persone, a fronte di 1,2 milioni che hanno
lasciato il paese 11. Il saldo netto – 1,5 milioni di residenti aggiuntivi – ha acuito la
scarsità di alloggi: il paese non riesce a costruire nuove case in numero suffciente
a soddisfare la domanda di una popolazione in crescita.
La concomitanza di due crisi solleva un dilemma per la politica tedesca. La
prima è il cambiamento climatico, o meglio se la lotta allo stesso sia opportuna o
meno. I politici tedeschi sono riluttanti ad allentare i criteri per la costruzione di
nuovi edifci e dal momento che gli standard vigenti sono estremamente onerosi,
specie in termini di effcienza energetica, le nuove abitazioni costruite sono poche
perché il loro prezzo di mercato risulta eccessivo. La seconda crisi discende dal
confitto in Ucraina e dall’aumento della confittualità altrove, che accresce i fussi
migratori in ingresso e pertanto la domanda di servizi, a cominciare dalle case. Il
governo tedesco non è in grado di fssare delle priorità e pretende di combattere
entrambi i problemi simultaneamente, conciliando l’inconciliabile.
Nel valutare il livello d’accettazione della diaspora ucraina da parte dell’opi-
nione pubblica tedesca può tornare utile un paragone con gli Stati Uniti, attore
importante in questa guerra. A un anno dallo scoppio del confitto, gli Usa aveva-
no accolto 270 mila rifugiati ucraini: un numero signifcativo. Due quinti di questi
sono giunti nel paese attraverso il programma Uniting for Ukraine, che consente ai
cittadini statunitensi di sponsorizzare direttamente uno o più rifugiati sostenendo
8. «Kosten pro Flüchtling: 4000 Euro – Erstattung: 875 Euro», WirtschaftsWoche, 1/4/2022.
9. G. WÜLLNER-ADOMAKO, «Gelsenkirchen: So teuer ist die Hilfe für Ukraine-Flüchtlinge», Westdeutsche
Allgemeine Zeitung (WAZ), 8/8/2022.
10. «Bund erstattet Krankenkassen Milliarden zu wenig», Frankfurter Allgemeine Zeitung, 14/12/2017.
11. Statistisches Bundesamt, cit. 265
QUANTO COSTA LA GUERRA AI TEDESCHI
l’onere della loro accoglienza, specie quello abitativo 12. Di conseguenza il costo
dell’assistenza ai rifugiati è una quota trascurabile dell’aiuto americano all’Ucraina,
che infatti si concentra sugli armamenti. Viceversa, l’accoglienza assorbe oltre metà
dell’aiuto tedesco 13.
3. Tra i benefciari della guerra in Ucraina c’è AfD, unico partito presente nel
parlamento federale che avversa le sanzioni alla Russia. Lo fa sulla base del fatto
che le sanzioni stanno colpendo duro la Germania, specie sotto forma di infazio-
ne energetica. Secondo una rilevazione di fne maggio 2023, se oggi si votasse a
livello federale AfD prenderebbe il 17% dei voti, quasi quanto i socialdemocratici
del cancelliere Olaf Scholz accreditati al 20%. In Turingia, Sassonia e Brandeburgo
AfD è stimata al 28%: rosea prospettiva guardando alle elezioni in calendario nei
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12. «U.S. has admitted 271,000 Ukrainian refugees since Russian invasion, far above Biden’s goal of
100,000», Nbc News, 24/2/2023.
13. «The Ukraine Support Tracker», cit., p. 30.
266 14. N. DIEKMANN, «Warum befndet sich die AfD im Höhenfug?», ZDF Politbarometer, 26/5/2023.
LEZIONI UCRAINE
I RISCHIOSI
DOPPI GIOCHI
DELL’INDIA DI MURO
di Lorenzo
nale che non si traduca in un ordine imperniato sulla Cina, intenta a estrofettersi
nell’Indo-Pacifco e sempre più assertiva lungo gli oltre tremila chilometri di con-
fni contesi.
Per questo Delhi ha bisogno dell’Occidente, fonte di capitali e tecnologia
nonché deterrente contro l’espansionismo cinese. Come pure della Russia, con-
trappeso all’ingombrante vicino cinese, tradizionale fornitrice di armamenti, di
copertura diplomatica e oggi di materie prime a prezzi vantaggiosi. I margini di
manovra dell’India sono insomma limitati. Ecco perché spera in una cessazione
delle ostilità tra Kiev e Mosca che non comporti lo schiacciamento della seconda
su Pechino.
2. I legami con la Russia sono al centro del dibattito strategico indiano. L’U-
nione Sovietica e la Federazione Russa non solo hanno infuenzato il pensiero
economico-ideologico dell’India indipendente, ma hanno anche costituito una
fonte indispensabile di armamenti e tecnologia a uso civile e militare, nucleare e
Spazio compresi. Offrendo peraltro un comodo ombrello diplomatico al Consiglio
di Sicurezza dell’Onu.
Soprattutto, nell’asse col Cremlino l’India vede(va) una leva imprescindibile
nel rapporto con il rivale cinese. Con il collasso dell’Urss, il «momento unipolare»
e l’ascesa di Pechino, i decisori indiani hanno progressivamente diversifcato le
proprie relazioni strategiche avvicinandosi agli Stati Uniti e ai loro sodali. Il ridi-
mensionamento della liaison con Mosca, apprezzabile innanzitutto sul piano del-
le forniture militari, precede dunque il 24 febbraio 2022. Eppure è stato incentiva-
to dall’aggressione all’Ucraina, così come dalla spinta all’indigenizzazione dell’in-
dustria degli armamenti e dai timori legati alla crescente «amicizia senza limiti»
sino-russa.
Gli strateghi indiani temono diversi scenari. Una Russia obbligata a schierarsi
con Pechino nel caso di escalation sino-indiana, tanto sul piano delle forniture
militari quanto su quello diplomatico. Mosca costretta a opporsi più direttamente
alla strategia per un Indo-Pacifco «libero e aperto» (leggi: anticinese) di cui India
268 e Stati Uniti sono fra i promotori. O ancora armi russe che integrino alta tecnolo-
LEZIONI UCRAINE
gia made in China, in ragione delle restrizioni americane sull’export di beni stra-
tegici verso i rivali. Quindi, assetti militari in dotazione alle proprie Forze armate
non al passo dello stato dell’arte cinese. Infne, una cooperazione triangolare di
Pechino e Mosca con il nemico esistenziale pakistano che riduca il divario milita-
re con Islamabad.
A questi incubi se ne sommano altri, di cui alcuni materializzatisi nell’ultimo
anno. Per esempio, i ritardi nella consegna del sistema di difesa aerea S-400 e di
altri assetti vitali per la difesa nazionale, come ha ammesso a fne marzo 2023
l’Aeronautica indiana. Riedizione di quanto avvenuto nel 1962 quando, per via
della crisi di Cuba, Mosca bloccò la consegna di Mig-21 mentre crescevano le
tensioni alle frontiere con la Cina, poi sfociate nel breve confitto fnito con una
bruciante umiliazione per l’India. Senza contare le tendenze infattive causate
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dalla guerra d’Ucraina, che si scaricano sui prezzi di materie prime quali cibo,
carburante, fertilizzanti, minando un’economia già messa alla prova dall’epidemia
di coronavirus.
Ciononostante, Delhi non intende rompere con Mosca né contribuire al suo
isolamento, che alimenterebbe l’ascendente di Pechino. Anche perché gli indiani
sono consapevoli che il collante della strana coppia sino-russa è il combinato di-
sposto della pressione occidentale e di interessi commerciali convergenti, a co-
minciare dal fronte energetico. Russi e cinesi diffdano gli uni degli altri e compe-
tono per l’infuenza nell’Asia centrale ex sovietica e nell’Estremo Oriente russo.
Inoltre, la Russia resta per l’India la prima fornitrice di armamenti, disposta a co-
sviluppare e coprodurre assetti come i missili supersonici Brahmos, sui quali
Delhi punta per diventare esportatrice di armi, anche in funzione anticinese. Gli
armamenti di fabbricazione russa importati dall’India coprono l’intero spettro ope-
rativo e rappresentano circa il 60% di quelli attualmente in dotazione all’Esercito.
Dipendenza non superabile nel breve-medio termine.
Inoltre, gli indiani capitalizzano le conseguenze della reazione occidentale
all’invasione dell’Ucraina: le sanzioni hanno obbligato il Cremlino a offrire i propri
idrocarburi a prezzi di favore. E l’India – paese energivoro, destinato a trainare
l’aumento della domanda globale di energia nel prossimo quindicennio – non si
è fatta pregare. Ha aumentato esponenzialmente l’acquisto di petrolio russo, pas-
sando da una media di 50 mila barili al giorno nel 2021 ai 2 milioni circa dell’a-
prile 2023. Ciò che ha reso la Russia il primo fornitore di greggio dell’India e
quest’ultima il primo fornitore di greggio raffnato in Europa. Così le aziende in-
diane incrementano gli utili mentre il paese fa incetta di oro nero a costi quasi
irrisori. Meccanismo che a metà maggio è stato al centro degli strali del capo
della diplomazia brussellese Josep Borell.
Ma non è tutto rose e fori. Gli indiani lamentano l’ampliarsi del defcit com-
merciale, i russi l’inutilità – Lavrov dixit – dei miliardi di rupie incassati. Il Crem-
lino spinge per usare lo yuan, sviluppo che sosterrebbe l’internazionalizzazione
della valuta cinese, fumo negli occhi per Delhi. Non è un caso che fnora non ci
sia stato alcun progresso nelle trattative per formalizzare un sistema di pagamen- 269
I RISCHIOSI DOPPI GIOCHI DELL’INDIA
metà 2020 e dalle successive, ricorrenti tensioni lungo il confne conteso più
esteso al mondo. La doccia fredda di Galwan, nel bel mezzo dell’epidemia di
Covid, ha fugato ogni dubbio sulla minaccia posta dalla Repubblica Popolare,
che nel concreto ha espulso l’India da mille chilometri quadrati nel Ladakh
orientale. Tanto che i 18 incontri negoziali a livello militare, il riavvio nel febbra-
io 2023 del Working Mechanism for Consultation & Coordination on India-China
Border Affairs e l’incontro dello scorso aprile tra i rispettivi ministri della Difesa
a Goa non hanno portato in dote alcuna normalizzazione. I cinesi continuano a
defnire la situazione al confne «stabile», invitando la controparte ad accantonare
la diatriba – dunque a riconoscere l’alterazione dello status quo – per concentrar-
si sui rapporti indo-cinesi nel loro insieme. Gli indiani hanno invece ribadito che
la violazione da parte cinese degli accordi esistenti ha «eroso l’intera base delle
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relazioni bilaterali».
Rebus sic stantibus, lo stallo è destinato a perdurare, anche in ragione della
percepita aggressività della Repubblica Popolare nel resto dell’intorno strategico
indiano. Sentendosi le spalle coperte, Pechino potrebbe per giunta incentivare la
pressione al confne himalayano e nelle altre aree dell’Indo-Pacifco in cui si so-
vrappone l’infuenza dei due colossi asiatici.
Ecco perché il ministro degli Esteri Jaishankar ha ricordato che la relazione
russo-indiana è tra le più stabili del mondo contemporaneo e che però ciò non è
di per sé suffciente. Se Delhi e Mosca puntano a un mondo multipolare, questo
«signifca anche un’Asia multipolare». Ossia un’Asia in cui non sia Pechino a det-
tare legge. Perciò gli indiani al momento si guardano bene dal voltare le spalle ai
russi. Molto più delle rappresaglie americane per il mancato allineamento sull’U-
craina, temono la crescente infuenza di Pechino su Mosca, comprovata anche
dall’opposizione del Cremlino a iniziative come Quad e Aukus reiterata durante
l’ultima riunione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Motivo per
cui Delhi spera che gli Stati Uniti tengano in considerazione le conseguenze stra-
tegiche dell’ostracizzazione di Mosca e che la Federazione preservi il più ampio
margine di manovra possibile.
L’India ha un’alta idea di sé e altrettanto alte ambizioni, che poggiano su
enormi potenzialità cui fanno da contraltare croniche faglie interne e ritardi strut-
turali che la destabilizzano sul piano domestico. Il prossimo anno si celebreranno
elezioni decisive per la continuità del progetto geopolitico di Modi, imperniato
sullo sviluppo socioeconomico e sulla costruzione di un’identità nazionale panin-
diana basata sul nazionalismo indù.
In questa cornice, per metterla nei termini di Jaishankar, la politica estera
indiana è improntata alla «incessante scalata (delle gerarchie, n.d.a.) dell’ordine
internazionale». A tal fne, l’anelato «multipolarismo» signifca della prospettiva
indiana la possibilità di fare perno su centri di potere in competizione a seconda
del proprio interesse contingente. Senza legarsi in alleanze formali che minereb-
bero la pretesa «autonomia strategica» imprescindibile per evitare di doversi pie-
gare ai desiderata altrui. L’obiettivo, anche per affrontare la minaccia cinese, è 273
I RISCHIOSI DOPPI GIOCHI DELL’INDIA
fare leva sui russi, sugli americani e sugli altri attori indo-pacifci sottoposti alla
pressione di Pechino. Quand’anche il confne con la Repubblica Popolare tor-
nasse a surriscaldarsi, Delhi non cerca interventi americani. Ma si aspetta aiuti
concreti, sotto forma di forniture militari e di intelligence, come avvenuto negli
ultimi tre anni.
Delhi non sa se i suoi doppi giochi pagheranno. Se concorreranno a impedi-
re il defnitivo abbraccio sino-russo. Specie se l’Occidente continuerà a trattare la
Federazione come paria. Tattica che potrebbe rivelarsi insostenibile e persino
deleteria qualora Washington adottasse misure punitive o Mosca fosse indotta a
schiacciarsi su Pechino. Per ora, l’India confda nella propria rilevanza per la stra-
tegia anticinese degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifco, teatro primario della Guerra
Grande. Convinta che gli americani proseguiranno nel loro corteggiamento e che
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274
LEZIONI UCRAINE
CAPPELLANO DI PUTIN
O CAPPELLANO DEL MONDO di Piero SCHIAVAZZI
periferie quanto introdotto nelle cancellerie. Matteo Maria Zuppi, negoziatore del
processo di pace in Mozambico ed esponente di punta della diplomazia parallela di
Sant’Egidio. Ma soprattutto capo della Conferenza episcopale italiana, che con l’in-
carico al suo presidente istituzionalizza e internazionalizza le distanze dal governo.
Diversamente dalla Cei del flo-atlantico Camillo Ruini, che al tempo delle guerre del
Golfo e delle tensioni fra Giovanni Paolo II e la Nato assolveva una funzione di
contrappeso e riequilibrava con abile, percepibile distinguo la posizione, in favore
dell’appartenenza e ancoraggio all’Occidente.
L’excursus e spaccato temporale di nostro riferimento si distende cronologica-
mente tra i punti estremi di due sortite divaricate: quella del papa, che il 25 febbra-
io 2022, a poche ore dall’inizio della «operazione militare speciale» russa, esce dal
Vaticano e dal protocollo per bussare alla porta dell’ambasciatore di Putin, Alek-
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antica data per i trascorsi comuni a Buenos Aires. Insieme di atteggiamenti che ha
indotto la valutazione positiva del Cremlino per il suo «desiderio, sincero, di pro-
muovere il processo di pace».
tezza, come si evince dalla succitata professione di fede nell’Onu, ritrattata o quan-
to meno bruscamente ridimensionata nel discorso emblematico di Vladimir Putin
dell’ottobre 2021 al Forum Valdai, mentre si preparava l’invasione dell’Ucraina: «Le
istituzioni di governance globale non sono sempre effcaci. Solo gli Stati sovrani
possono rispondere alle sfde dei tempi».
L’avversione di Francesco, quasi autentica idiosincrasia, per il messianismo di
qualunque sorta, che aleggia all’Est e all’Ovest sotto l’egida dell’aquila calva o
dell’aquila bicipite, riduce psicologicamente, ancor prima che ideologicamente,
l’odierno margine di reciproca comprensione, ergo diplomatica mediazione, con
Casa Bianca (nella duplice accezione, e accentuazione, obamiana o trumpiana,
democratica o repubblicana) e con il Cremlino (con annessa dépendance cesaro-
papista del patriarcato).
Pregiudiziale che nel 2013 ancora non si era però manifestata nei confronti di
Mosca, spingendo quindi Putin a verifcare direttamente in Urbe, da esperto di arti
marziali, nel vis-à-vis (il primo di tre, seguito da quelli del 2015 e 2019) del succes-
sivo 25 novembre con Bergoglio, la complementarità tra soft e hard power, o se
vogliamo tra lo sguardo più penetrante del pianeta e quello più impenetrabile del
globo, congiuntamente alla proiezione in Orbe di un’alleanza ove ciascuno fa con-
venientemente leva, come nel judo, sulla forza dell’altro.
Se non fosse che lo stesso giorno a pochi metri da loro, nella basilica di San
Pietro, sulla tomba del vescovo martire san Giosafat si materializzava con tempi-
smo da premonizione il principale ostacolo all’incipiente feeling tra i due leader:
un pellegrinaggio di tremila uniati, cioè fedeli cattolici provenienti da Kiev e di-
scendenti degli ucraini dell’Ovest, i più contigui culturalmente all’Occidente, che
lasciarono nel 1596 l’ortodossia per tornare all’unità con la Sede apostolica e sot-
trarsi a un declassamento di status sotto il dominio delle cattoliche Polonia e Au-
stria, senza tuttavia rinunciare al cerimoniale bizantino-slavo e accettare la regola
del celibato ecclesiastico. Allo stesso modo in cui quattro secoli dopo, in un trasla-
to epocale, il paese era propenso nel 2014 a integrarsi nel mercato europeo, ma
senza offciare i riti burocratici di Bruxelles e, soprattutto, praticare la castità mo-
278 netaria imposta da Berlino.
LEZIONI UCRAINE
ecumenico, dove Kirill occupa il posto di convitato di pietra, e di Pietro, nei rap-
porti del pontefce con Putin.
In geopolitica infatti non è suffciente sapere cosa si vuole (sebbene di per sé
non sia poco) ed essere disposti a sostenerne i costi, ma occorre altresì avere chia-
ro ciò che desidera e progetta l’interlocutore: nel quale contrariamente agli auspi-
ci di Bergoglio la determinazione di riunire i russi dal Donbas al Dnepr ha preval-
so, appena se ne è presentata l’opportunità, sulla missione di proteggere i cristiani
da Betlemme a Ninive. Il magnetismo dell’estero interno (come viene considerata
l’Ucraina e non solo) si è dimostrato segnatamente più attrattivo, al dunque, del
richiamo dell’Oriente esterno.
in guerra, sia pure l’aggressore. (…) A volte il dialogo “puzza” ma si deve fare.
Perché altrimenti chiudiamo l’unica porta per una soluzione pacifca».
E se la relazione con Vladimir Putin si evolve-involve nell’orizzonte di dieci
anni, tra provvidenziale genesi ed esiziale nemesi (quando colui che avrebbe do-
vuto rappresentare per la Chiesa il partner del futuro si palesa prigioniero del
passato) la posizione sulla guerra prende consistenza invece in 10 giorni, da gio-
vedì 24 febbraio all’Angelus del 6 marzo: un avvio al rallentatore in cui Francesco
è sembrato restio ad assecondare l’onda gravitazionale dei media occidentali, in
fremito per una guerra vicina, intra moenia, e indifferente a quelle lontane, pro-
dotto dei tanti buchi neri che costellano le periferie dell’Orbe.
Salvo poi assumere cognizione, mediante il discernimento, della sua unicità e
sciogliere il nodo di un’apparente contraddizione. Diversamente non si spieghe-
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rebbe che il papa delle guerre dimenticate, dallo Yemen al Sud Sudan, smentisca
sé stesso e ricordi ostensivamente, ossessivamente ogni domenica il Donbas, Ba-
khmut, Zaporižžja, Mariupol’… A meno di essersi nel frattempo interiormente per-
suaso e ritenere che quell’onda gravitazionale sia realmente in grado di alterare lo
spazio-tempo e anticipare il fnale: degli spazi e dei tempi.
Così, dopo avere bussato inutilmente alla porta di un incontro con Putin e ri-
nunciato all’uopo a pronunziare giudizi a lui sgraditi, recandosi personalmente,
platealmente in cancelleria per chiedere il «visto», Francesco ha ritenuto di passare
«dalla fnestra» e alzare il tiro, inserendo e indirizzando al Cremlino, fra le righe di
altrettanti Angelus quaresimali, le tre parole penitenziali che lo zar non voleva sen-
tirsi dire: «guerra», in luogo di «operazione militare speciale» (il 6 marzo 2022, prima
domenica di Quaresima), con l’aggravante di «aggressione» (il 13 come pure il 20
marzo) e «invasione», ossia violazione dell’altrui sovranità, il 27 marzo.
Affermazioni che rispecchiano il meccanismo e la dinamica di certi missili di
ultima generazione, difensivi ma diversivi. Ragionamenti apparentemente diretti
altrove, in alto, nel cielo dei concetti e dei precetti, dove una volta in quota però
assumono traiettorie orizzontali e localizzano i bersagli, agganciandoli e neutra-
lizzandoli, come accaduto per la trilogia di vocaboli (guerra di aggressione-inva-
sione) proibiti dalla propaganda putiniana. E come è successo, ascendendo a un
livello più elevato, nell’empireo della teologia, con il binomio della «guerra giu-
sta», esaltato da Kirill ed esecrato da Bergoglio, durante il confronto in videochia-
mata con il patriarca e l’affronto, a seguire, dell’intervista sul Corriere, degradan-
dolo a ministrante di regime: «Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto
di Putin».
Un affondo a effetto che rimanda indietro e fa riavvolgere il flm dell’ecume-
nismo, culminato nella scena clou del meeting a Cuba del 2016, convertendo in
occasione mancata il gesto e l’icona televisiva dei due vegliardi che sette anni fa si
erano abbracciati e adesso si scrutano e scambiano colpi a distanza: «È deplorevo-
le. (…) Improbabile che tali dichiarazioni possano contribuire all’instaurazione di
280 un dialogo costruttivo», è stato il commento del patriarcato.
LEZIONI UCRAINE
do. Ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano»), ma non inse-
guendo l’esempio e l’orma di Leone Magno, nell’ergersi a simbolo e deterrente
incontro ai barbari.
Chiamato a optare tra l’Ovest e il resto del pianeta il Vaticano ha scelto l’Or-
be, lungo uno spartiacque che dal Dnepr al Tevere lo separa contestualmente
dalla riva italiana dell’Urbe, sonoramente schierata con la Nato, e proietta l’impe-
ro della Chiesa nella partita, testé iniziata, dei nuovi equilibri del soft power, con
ambizioni globali.
Mentre da «cappellano» rinunciatario «dell’Occidente» Bergoglio medita sul
ruolo che Joseph Ratzinger, suo predecessore, interpretò magistralmente come
nessun altro e che lui, al contrario, subentrandogli non ha voluto esercitare: con
uno storico, drammatico diniego. Nella speranza che il proprio successore possa
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riscuotere i dividendi del gran rifuto ed essere considerato, nel futuro, «cappella-
no del mondo».
282
LEZIONI UCRAINE
ALLARGARE IL TRIMARIUM
PER ALLARGARE LA PACE CORDES
di Miłosz J.
SL
SLOVACCHIA Lussemburgo, Paesi Bassi
1.100 militari Nato UNGHERIA e Norvegia
Comando ceco
13.500 militari slovacchi ROMANIA
ROMANIA
Truppe da: Germania, Paesi Bassi 4.700 militari Nato
e Slovenia Comando francese
UNGHERIA BULGARIA 75.000 militari romeni
900 militari Nato Truppe da: Paesi Bassi, Polonia, Usa,
Comando ungherese Macedonia del Nord e Portogallo
21.400 militari ungheresi BULGARIA
Sul fanco nord-orientale le Forze armate Truppe da: Croazia, Italia, 1.650 militari Nato
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della Nato sono composte da 8 gruppi Montenegro, Turchia e Usa Comando italiano
da battaglia 27.400 militari bulgari
40 mila soldati sotto il diretto comando della Nato Truppe da: Albania, Grecia,
100 mila militari statunitensi schierati in Europa Macedonia del Nord, Turchia e Usa
130 aerei in stato di allerta
140 navi in mare Mar Mediterraneo
Pattuglie permanenti di ricognizione e vigilanza
Fonte: Nato
LEZIONI UCRAINE
Qui sta un punto importante: lo status generalmente inferiore dei paesi cen-
tro-orientali europei già nella Ue (rispetto ai «vecchi» Stati membri) e l’incompletez-
za del processo volto a integrare l’intera Europa centro-orientale nelle istituzioni
occidentali. Mentre la prima circostanza è spesso, ma non completamente l’esito di
politiche nazionali (i governi dell’Europa centrale hanno scientemente contestato
alcuni canoni comunitari), la seconda confgura una sfda geopolitica. Bielorussia,
Moldova e Ucraina vedono minacciate la loro sovranità e la loro indipendenza.
Data la loro esperienza storica con l’imperialismo russo, decisori, diplomatici e
accademici a Vilnius, Varsavia o Bucarest hanno visto prima e meglio delle loro
controparti a Berlino, Parigi o Roma cosa si andava delineando. Mosca è stata una
grande, se non la principale avversaria dell’Europa centro-orientale per secoli.
2. Nella Polonia del dopo-guerra fredda la messa in sicurezza del fanco orien-
tale è sempre stata di cruciale importanza. Mentre intensifcava gli sforzi per anco-
rarsi all’Occidente, Varsavia non perdeva di vista i suoi vicini ex sovietici secon-
do la cosiddetta dottrina Ulb (Ucraina, Lituania e Bielorussia) 1. Attribuita a Jerzy
Giedroyc, rifugiato politico vissuto a Roma e poi a Parigi, tale dottrina prevedeva
che la Polonia postcomunista stabilisse e mantenesse buone relazioni di vicinato
con Ucraina, Lituania e Bielorussia una volta che queste avessero reciso del tutto i
loro legami con Mosca. Ciò, sosteneva Giedroyc, sarebbe stato fondamentale per
la sicurezza polacca.
L’idea permeò le élite di Varsavia e divenne un assioma della politica orien-
tale del paese. Per la Polonia, la dottrina Ulb rappresenta quella garanzia contro
rinnovate tentazioni imperiali di Mosca che l’Ungheria, con il suo fantasma del
Trianon, non fornisce. In altre parole, Varsavia non intende perseguire con il
Trimarium intenti neoimperiali, perché da oltre trent’anni – e oggi più che mai
– sostiene l’indipendenza dei suoi vicini orientali, anche e soprattutto in chiave
anti-imperialistica.
1. Cfr. M.J. CORDES, «Polonia e Ucraina, storie contro», Limes, «La Russia cambia il mondo», n. 2/2022,
pp. 129-138. 285
ALLARGARE IL TRIMARIUM PER ALLARGARE LA PACE
TERRE POLACCHE
Confne polacco nel
1939
Massima espansione
della Polonia (1634)
La Polonia oggi
Confne polacco nel
1018
Minsk
Stettino
Varsavia
Breslavia
Lublino
Kiev
Cracovia
Leopoli
Bratislava
Zaporizzja
a quello dell’Ucraina e anche i loro pil erano simili. Ora il divario di sviluppo va
aumentando a causa della guerra.
Oggi l’Ucraina ha bisogno di legami orizzontali e verticali. I secondi afferisco-
no all’Occidente inteso come comunità di valori e punto di riferimento per una
profonda riconfgurazione delle istituzioni e dell’economia ucraine. Entrambe ne-
cessitano di una stabilità collettivamente garantita. Con la Russia intenta a usare gli
idrocarburi quale arma, solo l’interconnessione con i partner centro-europei può
assicurare all’Ucraina un fusso stabile di gas, petrolio ed elettricità.
Lo stesso vale per lo sviluppo economico. Negli ultimi trent’anni i fondi eu-
ropei hanno consentito ai paesi della regione di costruire una rete nord-sud di
autostrade e ferrovie, recentemente integrata da connessioni nordest-sudovest che
consentono la creazione di un asse Baltico-Mar Nero. L’Ucraina ha bisogno di
entrambi, dato che diffcilmente potrà tornare a usare liberamente il suo affaccio
costiero a causa delle azioni russe. A conti fatti, i porti polacchi di Danzica, Gdynia
e Stettino non distano così tanto dalla metà occidentale del territorio ucraino.
Garantire la sicurezza energetica e colmare il divario infrastrutturale sono da
sempre priorità del Trimarium, il cui peccato originale è stato rimanere confnato
alla Ue. Travalicando questo ambito istituzionale e geopolitico, il Trimarium può
svolgere meglio il suo ruolo di raggruppamento ancora lasco e informale di pae-
si, creando migliori opportunità di sviluppo nel continente europeo. L’iniziativa si
estende infatti dall’Estonia a nord a Slovenia e Croazia a sud-ovest: paesi, questi ulti- 287
ALLARGARE IL TRIMARIUM PER ALLARGARE LA PACE
Germania e Russia quali attori chiave della regione. Gli Stati nazionali indipendenti
erano fenomeni stagionali. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, Berlino e
Mosca tornarono a questa logica. Dopo aver sconftto Hitler, Stalin passò all’incasso
creando una sua zona d’infuenza che per via della guerra fredda fu nuovamente
privata del diritto all’autodeterminazione. L’Europa dell’Est era un’oscura terra di
mezzo, contrapposta all’Occidente liberaldemocratico.
La transizione del 1989-1991 non ha rimosso del tutto questo stigma, lasciando
ampio spazio a quanti erano pronti a riconoscere le rivendicazioni della Russia
sul suo «estero vicino». Corruzione, disordini politici e perduranti guasti economici
alimentarono tale visione. Un semplice esercizio mostra quanto l’ottica russa sulla
regione sia radicata: chi usa la dizione ucraina della capitale del paese? Il grosso di
noi dice Kiev, non Kyiv. Termini come Russia Bianca continuano a condizionare la
nostra visione della Bielorussia, che storicamente ha tradizioni politiche più antiche
e forti della Russia.
L’invasione russa offre suo malgrado l’opportunità di un cambiamento radi-
cale. Gli sforzi sin qui graduali di ucraini e moldovi volti ad affrancarsi defnitiva-
mente dall’impero russo ne sono stati accelerati e hanno coinciso con gli sforzi
degli Stati centro-europei per creare un perimetro di paesi amici, capaci di resistere
all’aggressività di Mosca. Iniziative come il Trimarium possono concorrere a deco-
lonizzare l’Europa orientale, in termini pratici e simbolici.
L’appartenenza di un’Ucraina corrotta e semi-autoritaria a Nato e Ue non con-
tribuirà però a questo obiettivo, né alla sicurezza europea. Oggi gli ucraini si
percepiscono sempre più come i difensori dell’Europa e dei paesi europei contro
l’imperialismo russo, ed è qui che il Trimarium può rivelarsi utile, ridimensionando
le aspettative ma fornendo un’agenda chiara e realistica. Ricostruzione e riforme
devono andare di pari passo in Ucraina affnché la prospettiva di un’adesione alla
Ue volga da speculazione a processo concreto. Diverso il discorso per la Nato, in
quanto chi aspira a entrarvi deve avere il pieno controllo del proprio territorio. Ma
è anche per questo che gli ucraini combattono e che noi li sosteniamo.
BAYERN MONACO Mr. Kissinger, lei è membro del Bayern Monaco dal 1989 e ha
da sempre una relazione speciale con Franz Beckenbauer. Come è nata?
KISSINGER La prima volta che ho visto giocare Beckenbauer è stata quando ha
guidato la Germania dell’Ovest alla vittoria della Coppa del Mondo del 1974,
vincendo in fnale contro un’Olanda tecnicamente superiore. Giocava da li-
bero. Era il comandante della difesa e chiudeva ogni spazio aperto dagli at-
taccanti avversari. Il Kaiser ha rivoluzionato questo ruolo, dotandolo anche
di una dimensione offensiva. Infatti, quando la Germania attaccava, era lui a
fare il regista e a innescare i compagni con passaggi estremamente intelligen-
ti. Beckenbauer era straordinario a muovere la palla in modi inconcepibili in
astratto ma che, una volta eseguiti, sembravano la cosa più ovvia del mondo.
Rimasi affascinato.
BAYERN MONACO Ci sono anche delle fotografe di quando lei e il Kaiser vi sie-
te incontrati nei primi anni Ottanta dopo una partita dei Cosmos a New York.
Lui se ne sta tranquillamente sdraiato in una vasca piena di ghiaccio…
KISSINGER Già, il Kaiser… vede: gli eroi compiono la loro missione da soli, ma
diventano miti quando arricchiscono la vita di tutti noi, toccando i nostri cuo-
ri. Beckenbauer, il Kaiser, è diventato un mito. Sicuramente si è ispirato alle
sue doti tecniche e alla sua visione strategica, ma anche alla sua granitica
forza di volontà. Ricorderete che ha giocato la famosa «partita del secolo» –
Italia-Germania del 1970 – con un braccio al collo. Dato che viviamo in tem-
pi spesso privi di fonti d’ispirazione, lo apprezzo oggi più che allora. Più
tardi è anche diventato un allenatore straordinario, sfruttando le sue abilità in
una maniera preclusa ai più. Ha guidato la Germania alla vittoria della Coppa
del Mondo del 1990. Con il Bayern ha vinto la Bundesliga e la Coppa Uefa.
In più, quando ha fatto sì che i Mondiali del 2006 si svolgessero in Germania, 291
‘IL CALCIO È L’INCARNAZIONE DELL’ESPERIENZA UMANA’
ha cementato ancora di più il suo status nel calcio. Ai miei occhi, il Kaiser è
stata la fgura più importante della storia del calcio tedesco.
BAYERN MONACO Ha cento anni di esperienza di vita e ha incontrato le persone
più importanti del mondo. Cosa rappresenta per lei il calcio? È una nota a piè
di pagina della vita, oppure dà alle persone più di quanto immaginino?
KISSINGER Il calcio al suo massimo livello è complessità mascherata da sempli-
cità. È uno sport diverso da quelli a cui gli americani sono abituati, in partico-
lare dal baseball e dal football americano. Nel calcio, tutti gli undici giocatori
devono avere le stesse capacità tecniche. Soprattutto nel calcio moderno, dove
la differenza tra attacco e difesa si fa sempre più sfumata. Essendo un gioco
continuo, non può essere spezzettato in una serie di giocate che si possono
allenare singolarmente, cosa che invece avviene nel baseball e nel football.
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Questi sport si basano sulla perfezione delle ripetizioni. Nel calcio, invece,
bisogna costantemente trovare soluzioni improvvisate per risolvere degli sce-
nari in cui gli imperativi strategici cambiano continuamente. Il calcio, poi, non
ha bisogno di particolare materiale. Bastano due scarpini. Tutti credono di
poter giocare a calcio. E tutti possono farlo spontaneamente. Sempre e ovun-
que. Per questo il calcio è un gioco straordinario per le masse, che possono
identifcarsi con le loro passioni. Con i trionf e le inevitabili delusioni.
BAYERN MONACO Cosa le ha dato il calcio?
KISSINGER Un’insuperabile dipendenza nei confronti di un sentimento compo-
sto da speranza, tristezza ed euforia, che nasce ogni volta che le aspettative
vengono stabilite, soddisfatte o superate. Ho vissuto questa esperienza, così
come molti altri. Sono stato fortunato a essere associato con il gioco della mia
vita. Io, Beckenbauer e Pelé abbiamo anche cercato di portare la Coppa del
Mondo in America nel 1986, ma non ci siamo riusciti. Per fortuna quel pro-
getto è stato realizzato nel 1994. Per me è stata una grande gioia.
BAYERN MONACO Ci sono partite o giocatori che ricorda in modo particolare?
KISSINGER Ci sono alcune partite che sono state risolte proprio da alcuni gio-
catori, specie ai Mondiali. Pelé nel 1970, Maradona nel 1986, Zidane nel 1998.
La già citata «partita del secolo» dei Mondiali del 1970 non la dimenticherò
mai. Anche la fnale dell’ultima Coppa del Mondo è stata una grande partita,
una straordinaria summa di creatività calcistica. Tuttavia, mi piace ricordare
il calcio di una volta, quando si attaccava di più e le partite non erano decise
dai rigori. In generale amo lo sport. Il football americano e il baseball sono
una glorifcazione dell’esperienza umana, ma il calcio ne è l’incarnazione. Per
questo dà tanto ai tifosi. Il calcio moltiplica le situazioni in cui è possibile
avvertire la grandezza della condizione umana.
292
EDOARDO BORIA - Geografo al dipartimento di Scienze politiche dell’Università La
Sapienza di Roma, è titolare degli insegnamenti di Teorie e storia della geopoli-
tica e di Metodologia per l’analisi geopolitica. Consigliere scientifco di Limes.
GASTONE BRECCIA - Università di Pavia.
MIŁOSZ J. CORDES - Post-doctoral researcher alla Lund University e lecturer al Dis
Copenhagen. Research fellow alla Danish Foreign Policy Society e policy fellow
alla Casimir Pulaski Foundation. Ha lavorato per il servizio diplomatico polacco
a Varsavia, Bruxelles, Malta e Kaliningrad.
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294
La storia in carte
a cura di Edoardo BORIA
1. Il sentimento ammette due ragioni alla base del comportamento di chi chiede
la pace: la paura o lo scrupolo di coscienza. La geopolitica, cinica, ne suggerisce
invece una terza: la convenienza. Ce lo dice anche chi per mestiere studia le nostre
pulsioni profonde: «Dall’insieme dei determinanti del comportamento umano non
si può isolare un “istinto alla pace”, mentre invece è possibile individuare un “istinto
alimentare”, un “istinto sessuale”. (…) Anzi, direi che l’essere umano non desidera
la pace, bensì la pacifcazione dei propri bisogni» (Hans-Ulrich Wintsch in Mythos
vom Aggressionstrieb a cura di Arno Plack, Berlin 1973, List Verlag, p. 288). Tradotto
sul campo, «sono fondamentali per il principio territoriale due impulsi contrastanti:
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c’è la spinta a introdursi sul territorio del tuo vicino, e la spinta a evitarlo» (Robert
Ardrey, L’imperativo territoriale, Milano 1984, Giuffrè, p. 299). Più che su belle ma
vane spinte ideali, si può realisticamente sperare che il secondo termine sia superio-
re al primo. Ma la storia ci insegna che le condizioni che creano un tale saldo posi-
tivo non sono sentimentali bensì oggettive, andando dalla solidità delle strutture
difensive alle ritorsioni degli alleati dell’invaso. Invece, le remore ideali da sole non
bastano né a scoraggiare l’aggressore né a spingere alla resa l’aggredito per il sem-
plice fatto che differenti interpretazioni della situazione possono indurli a ritenere
di essere entrambi nel giusto e soprattutto di poter prevalere.
I morti della guerra in Ucraina aumentano ma crescono a un ritmo ancora più
alto i danneggiati nei loro averi personali, oligarchi o poveri cristi, dentro o fuori il
paese. Mentre anche varie potenze, grandi e medie, vanno convincendosi che ti-
rarla troppo per le lunghe non conviene neanche a loro. Le ragioni della conve-
nienza si fanno dunque sempre più forti. Quando supereranno quelle della guerra
non si può prevedere. Ma crescono, e questo fa ben sperare che si possa arrivare
prima o poi a una pace. Sempre sapendo però che, come testimonia la fgura 1 con
la provvisoria sistemazione dell’Europa dopo Waterloo, un trattato internazionale
non è niente di più di un temporaneo punto di equilibrio tra due poteri che hanno
trovato in quel momento più conveniente stipulare un accordo ma che saranno
pronti a romperlo non appena uno dei due si sarà convinto di potersi imporre.
La cruda logica che sta dietro quest’ultima considerazione costa alla geopoli-
tica l’accusa di bellicismo. Pensare la confittualità internazionale come endemica,
anche solo allo stato latente, la rende disciplina sinistra al servizio di guerrafondai
senza scrupoli.
Tutto il dibattito sulla legittimità scientifca della geopolitica è viziato da un equi-
voco. A differenza di altre discipline la geopolitica non si pone sul piano normativi-
stico e astratto delle regole, delle convenzioni e degli accordi internazionali, ma su un
piano completamente differente e sganciato da quegli atti giuridici: quello molto più
concreto della progettualità politica e della loro realizzabilità, delle azioni, dei rap-
porti di forza tra poteri. Sono questi gli strumenti euristici dell’analisi geopolitica.
Fonte: William Faden, Map of the Central States of Europe Situate between France 295
and Russia, describing their New Limits conformably with the Defnitive Treaty of Peace,
signed at Paris, November 20th 1815, London 1816 (Rumsey collection).
3. Le rappresentazioni ci rivelano più cose dei loro autori che dei soggetti rap-
presentati. Ogni popolo sviluppa nel proprio immaginario una personalissima visio-
ne degli altri. Ad esempio, è proverbiale la russofobia degli americani, che si trasci-
na ben oltre la guerra fredda. La copertina della popolare rivista Collier’s Weekly
nella fgura 3 scrive (in alto a destra) della sconftta e occupazione della Russia tra il
1952 e il 1960 precisando sotto con caratteri ben evidenti che si è trattato di una
guerra che gli americani non avrebbero voluto fare. La pubblicazione è del 1951.
Fantageopolitica, quindi. All’interno fgurano articoli e addirittura una dettagliata
cronologia (p. 14) di questa immaginaria terza guerra mondiale, avviata con un
colpo di Stato in Jugoslavia orchestrato dal Cominform per rovesciare Tito. Fonte:
Richard Deane Taylor, copertina della rivista Collier’s Weekly, 27/10/1951.
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RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA
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RIVISTA MENSILE - 10/6/2023 - POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, C. 1, DCB, ROMA