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2/2023 • mensile
edi67
CONSIGLIO SCIENTIFICO
Rosario AITALA - Geminello ALVI - Marco ANSALDO - Alessandro ARESU - Giorgio ARFARAS
Angelo BOLAFFI - Aldo BONOMI - Edoardo BORIA - Mauro BUSSANI - Mario CALIGIURI - Vincenzo
CAMPORINI - Luciano CANFORA - Antonella CARUSO - Claudio CERRETI - Gabriele CIAMPI - Furio
COLOMBO - Giuseppe CUCCHI - Marta DASSÙ - Ilvo DIAMANTI - Germano DOTTORI - Dario FABBRI
Luigi Vittorio FERRARIS - Marco FILONI - Federico FUBINI - Ernesto GALLI della LOGGIA - Laris
GAISER - Carlo JEAN - Enrico LETTA - Ricardo Franco LEVI - Mario G. LOSANO - Didier LUCAS
Francesco MARGIOTTA BROGLIO - Fabrizio MARONTA - Maurizio MARTELLINI - Fabio MINI
Luca MUSCARÀ - Massimo NICOLAZZI - Vincenzo PAGLIA - Maria Paola PAGNINI - Angelo
PANEBIANCO - Margherita PAOLINI - Giandomenico PICCO - Lapo PISTELLI - Romano PRODI
Federico RAMPINI - Bernardino REGAZZONI - Andrea RICCARDI - Adriano ROCCUCCI - Sergio
ROMANO - Gian Enrico RUSCONI - Giuseppe SACCO - Franco SALVATORI - Stefano SILVESTRI
Francesco SISCI - Marcello SPAGNULO - Mattia TOALDO - Roberto TOSCANO - Giulio TREMONTI
Marco VIGEVANI - Maurizio VIROLI - Antonio ZANARDI LANDI - Luigi ZANDA
CONSIGLIO REDAZIONALE
Flavio ALIVERNINI - Luciano ANTONETTI - Marco ANTONSICH - Federigo ARGENTIERI - Andrée BACHOUD
Guido BARENDSON - Pierluigi BATTISTA - Andrea BIANCHI - Stefano BIANCHINI - Nicolò CARNIMEO
Roberto CARPANO - Giorgio CUSCITO - Andrea DAMASCELLI - Federico D’AGOSTINO - Emanuela C. DEL RE
Alberto DE SANCTIS - Alfonso DESIDERIO - Lorenzo DI MURO - Federico EICHBERG - Ezio FERRANTE
Włodek GOLDKORN - Franz GUSTINCICH - Virgilio ILARI - Arjan KONOMI - Niccolò LOCATELLI - Marco MAGNANI
Francesco MAIELLO - Luca MAINOLDI - Roberto MENOTTI - Paolo MORAWSKI - Roberto NOCELLA - Lorenzo NOTO
Giovanni ORFEI - Federico PETRONI - David POLANSKY - Alessandro POLITI - Sandra PUCCINI - Benedetta RIZZO
Angelantonio ROSATO - Enzo TRAVERSO - Fabio TURATO - Charles URJEWICZ - Pietro VERONESE
Livio ZACCAGNINI
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EDITORIALE
7 Varsavia non è sulla Luna
AUTORI
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LA POLONIA IMPERIALE
1. S. ZABIEROWSKI, «“He was one of us” – Joseph Conrad as a Home Army Author», Yearbook
of Conrad Studies (Poland), vol. 13, 2018, pp. 17-29.
2. Cit. in M.B. BISKUPSKI, «Conrad and the International Politics of the Polish Question, 1914-
1918: Diplomacy, “Under Western Eyes”, or almost “The Secret Agent”», Conradiana, vol.
31, n. 2, Summer 1999, p. 95, nota 36.
3. J. CONRAD, «A Note on the Polish Problem», in Notes on Life and Letters, The Literature
8 Network, www.online-literature.com
LA POLONIA IMPERIALE
Canada
EUROPA
Georgia
Usa Armenia
CUORE DELL’OCCIDENTE
SECONDO LA POLONIA
Francia
Regno Unito Australia
Usa Italia
2 - INTERMARIUM
MASSIMA ESTENSIONE
INTERMARIUM
(del maresciallo Józef Piłsudski)
Acquisizioni territoriali dell’Urss (1945)
Ex cortina di ferro
NORVEGIA
Leningrado
Tallinn
ESTONIA
o
M a r e i c
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N o r d Riga Mosca
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B
DANIMARCA LIT.
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REGNO M U N I O N E
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FRANCIA
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SVIZZERA AUSTRIA
UNGHERIA
ROMANIA
Belgrado Bucarest
M a r N e r o
JUGOSLAVIA
ITALIA
BULGARIA
ALB. TURCHIA
GRECIA
Norvegia
Finlandia 3 - LA POLONIA JAGELLONICA
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NOVGOROD Principato
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IMPERO RE GN O DI
Breslavia PO LO N I A Vladimir Kiev
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PRINCIPATO DI
Graz R E G N O D ’ U N G H E R I A
Brasov MOLDAVIA Moncastro Crimea Cafa
Pécs Seghedino
Slavonia PRINCIPATO DI
Croazia Belgrado Tirgoviște
Zara Erzegovina VALACCHIA Ma r N ero
Spalato Serbia
Georgia
Ragusa I M Tracia Costantinopoli O
Cattaro P E R A N
Scutari O O T T O M S. dei Mamelucchi
sca, metta piede in quel porto tedesco sulla riva sinistra dell’Oder – escur-
sione sul cadavere del Reich giacché devia pro Polonia dalla linea fu-
viale di confne con la Germania – fnalmente dotandosi di largo affac-
cio baltico (carta 4). Decente piattaforma marittima per ciò che restava
delle terre jagelloniche centocinquant’anni dopo il funerale del colosso
polacco-lituano spartito fra russi, prussiani e austriaci.
Il rito di Haller s’intende prologo all’Intermarium. Fra sogni, nostal-
gie e concreti progetti, l’Idea jagellonica ha percorso vie carsiche e tortuo-
se. Ed è sopravvissuta. Oggi è più attiva che mai. Ripercorrendone le de-
clinazioni, penetriamo nel sancta sanctorum della geopolitica polacca. 15
VARSAVIA NON È SULLA LUNA
10. Riprendiamo qui alcuni tratti della meticolosa indagine di M. LARUELLE, E. RIVERA, Imag-
ined Geographies of Central and Eastern Europe: The Concept of Intermarium, Institute for
European, Russian, and Eurasian Studies, The George Washington University, Ieres Occa-
16 sional Papers, n. 1, March 2019. Transnational History of the Far Right Series.
1 - LA NATO BALTICA Sfera Russia
Russia
FINLANDIA Paese florusso inquieto
NORVEGIA (Bielorussia)
Incursioni sulla Svezia
Oslo Helsinki di aerei russi
SVEZIA Base militare russa
Esercitazioni militari russe
Stoccolma Narva (2015-2017)
Ämari ESTONIA
Esercitazioni militari russe
(Febbraio 2022)
co
DANIMARCA Öland LETTONIA Riga Mosca
alti
3 Šiauliai
B
Copenaghen r LITUANIA
Ma
Bornholm BIELORUSSIA
(Danimarca) Kaliningrad
Sfera Nato
Paesi Nato
Redzikowo Minsk
Paesi in procinto di entrare
nella Nato Malbork Klincy
Principali basi dove Stettino
avviene la rotazione di truppe Paese in guerra (Ucraina)
e mezzi militari Berlino Intermarium
4 battaglioni ognuno dei quali Varsavia Punti caldi:
guidato da Canada, Germania, Narva (Estonia)
Regno Unito, Usa Łask
Isole svedesi (Gotland, Öland)
Base aerea svedese GERMANIA POLONIA Isola di Bornholm (Danimarca)
UCRAINA Kaliningrad (Russia)
Numero delle principali
esercitazioni Nato o tra alleati, Breccia di Suwałki
anche navali (2021) Praga Kiev Isole Åland (provincia
autonoma fnlandese)
GERMANIA OVEST
GERMANIA EST
2 - L’ESPANSIONE VERSO EST DELLA NATO
REP. CECA ISLANDA 1949 2017
SLOVACCHIA Mar di Norvegia
1952 2020
UNGHERIA
ROMANIA 1955 Possibile
BULGARIA NORVEGIA integrazione
1982 nella Nato in stallo
SLOVENIA
ALBANIA FINLANDIA 1990 In procinto di
10 IRLANDA entrare nella Nato
1999
11 SVIZZERA Oceano A SERBIA
SVEZIA 2004
12 AUSTRIA Atlantico B BOSNIA-ERZEGOVINA
13 FEDERAZIONE RUSSA REGNO ESTONIA
2009 C MONTENEGRO
UNITO
LETTONIA FEDERAZIONE RUSSA D KOSOVO
10
DANIMARCA E MACEDONIA DEL
LITUANIA NORD
PAESI BASSI 13
BELGIO
LUSSEMBURGO BIELORUSSIA
POLONIA
UCRAINA
(paese in guerra)
PORTOGALLO
FRANCIA 12
11
Mar
Caspio
ITALIA
CROAZIA
A Mar Nero GEORGIA
B
SPAGNA
D
C E
TURCHIA
Mar Mediterraneo
GRECIA
ISLANDA Paesi Nato
Paesi presto atlantici
TRUPPE - Fianco Est della Nato Anno d’ingresso nella Nato
(giugno 2022) Fianco Est della Nato
Militari dei
Fonte: Nato Nato rispettivi paesi
ESTONIA 2.200 10.500 FEDERAZIONE RUSSA
LETTONIA 4.000 7.500 + difesa aerea NORVEGIA
LITUANIA 3.700 17.200 SVEZIA
POLONIA 12.600 122.500 + difesa aerea FINLANDIA
SLOVACCHIA 1.100 13.500 + difesa aerea
UNGHERIA 900 21.400
ROMANIA 4.500 75.000 + difesa aerea Sostegno limitato
PAESI BASSI °1 1 dalla Cina alla Fed. Russa
BULGARIA 1.650 27.400 BELGIO
on
tic
LUSS. 2 Mosca Kaliningrad (Fed. Russa)
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Transnistria (florussa)
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3 Russia e Bielorussia
o
un solo esercito Crimea (Fed. Russa)
La g
REGNO Minsk Abkhazia (florussa)
UNITO BIELORUSSIA Ossezia del Sud (florussa)
POLONIA
Cortina di ferro
(Guerra fredda 1949-89)
FRANCIA REP. CECA UCRAINA Cortina di acciaio
GERMANIA 4 b (Nato vs Russia oggi)
b Cortina di fuoco
5 b (Fronte russo e bielorusso-ucraino)
6 7 ROMANIA
ITALIA
PORTOGALLO
La
Lago turco-russo
SPAGNA
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(Domani atlantico?)
a
17 BULGARIA
tla
8 b
n
9
tic
ESTONIA-1 SLOVENIA-6 on°
GRECIA TURCHIA
2
LETTONIA-2 CROAZIA-7 Triangolo di Lublino
LITUANIA-3 MONTENEGRO-8 Gruppi di battaglia
SLOVACCHIA-4 ALBANIA-9 b Gruppi di battaglia in formazione
UNGHERIA-5
Territorio ucraino
3 - LA NATO AMERICANA È MOLTO POLACCA occupato dalla Russia
Groenlandia Isole Svalbard Basi di sottomarini nucleari
(DANIMARCA) (NORVEGIA) Mare di Deposito di armi nucleari
Barents Basi navali
Basi aeree
Incursioni
aeronavali russe
Vardø
ISLANDA Ci
rco Evenes Murmansk
lo
Pol
are Penisola di Kola
Artico
OCEANO
Basi strategiche
baltiche a uso
AT L A N T I C O della Nato
SVEZIA
s Vilnius
i
Łask
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Lublino Gancavičy
(Stazione radar Volga)
BIELORUSSIA
SLOVACCHIA
Košice Linea rossa
Yavoriv
(Centro Leopoli Fed. Russa
addestramento)
Paese nell’orbita russa
F. Dn
UNGHERIA (Bielorussia)
Rep. separatiste florusse
stre
(Donbas)
Oradea
Câmpia Turzii Transnistria
(Base aerea
Romania-Usa) U C R A I N A
Muro elettromagnetico
F. Pr ut
REP. MOLDOVA
Asse euro-atlantico
ROMANIA Danzica-Costanza
Craiova
(Base Nato con
2a Divisione Rail2Sea
fanteria Romania) Bacău Paesi Nato
Deveselu
(Base Tiraspol Paese in guerra
missilistica)
Bucarest Moldova
Mihail (neutrale)
Kogălniceanu Zone cuscinetto
(Base aerea)
BULGARIA semi-smilitarizzate
Isola
Costanza dei Serpenti
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FRANK. POLTAVA
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Kropyvnyc’kyj
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Ucraina del Sud DNIPROPETROVS'K
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ROMANIA
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Kryvyj Rih Luhans’k
TRANSNISTRIA Zaporižžja DONEC'K Kamensk-Shakhtynsky
rut
MYKOLAJIV Donec’k
ODESSA
DOV
A
Mykolajiv Kuzminsky
Esplosioni e bombardamenti Tiraspol Zaporižžja ZAPORIŽŽJA Kadamovsky
Odessa Kherson
Battaglia d’attrito per Bakhmut Melitopol’ Centrali nucleari operative
a kiv N. Kakhovka Mariupol’
e Vuhledar O č Berdjans’k Centrale nucleare dismessa
KHERSON
Kučurgan - Le forze armate ucraine Territorio controllato dalla Russia
si stanno concentrando al confne M ar
d ’A z ov Obiettivi strategici della campagna
con la Transnistria Delta del Isola Novoozerne 1 e 2 CRIMEA militare russa
Danubio dei Serpenti
Riconquista ucraina Opuk Territori russi e florussi
Fiolent
Possibile penetrazione Krug Cdaa Rep. Popolare di Luhans’k
di Russia e Bielorussia Sebastopoli
verso Kiev Rep. Popolare di Donec’k
M a r N e r o Crimea
6 - IL FRONTE UCRAINO Transnistria (regione moldova florussa)
Fonti: Liveuamap e autori di Limes, aggiornata al 1° marzo 2023 ore 17
7 - PROGETTI PRIORITARI DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI
FI N L AN D I A Autostrade in progetto
Helsinki e da potenziare
Corridoio Adriatico-Baltico
Progetto dell’Ue per la realizzazione Via Carpatia
di un corridoio di connessione Paldiski Tallinn
tra il porto di Trieste e quello Via Baltica
di Gdynia (presso Danzica), fno a Riga. ESTONIA Strada europea E65
Progetti italiani di alta velocità Autostrada completata
tra i porti adriatici
t i c o
A1 (Amber Highway)
SVEZIA Skulte Vie d’acqua
Baltic pipeline
Canale Danubio-Oder-Elba
Riga
B a l LETTONIA FAIRway Danubio
Monitoraggio del Danubio
(Sotto l’egida dell’Ue)
DA NI M AR C A Klaipėda LITUANIA Ferrovie
Malmö
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as
Gas dalla Baltica
un
Ka
Norvegia (Progetto di infrastruttura)
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Kaliningrad
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Vilnius
(FED. RUSSA)
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Rail2Sea
Świnoujście (Ammodernamento e
BIE sviluppo rete esistente)
91 PROGETTI TOTALI L
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Valore complessivo
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Ramo settentrionale
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Digitale
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Ferrovia di raccordo
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49%
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37%
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Trasporti
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Energia
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1 Passo di Petrohan
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(lavori di ampliamento
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Verso stradale)
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Danzica
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Costanza
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Sp
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je
Plo
KOS.
ile
Sv
vn
terminal container e
bro
TURCHIA
Du
Rigassifcatore proposto
Sa
Fonte: Iniziativa dei tre mari, Comune di Trieste, OilGasNews, Fairway Danube.
0 50 mn
8 - EX NORD STREAM 1 E 2
0 100 mn FINLANDIA
1 miglio nautico
equivale a 1.852 metri
Kotka Vyborg
NORVEGIA Turku
Helsinki
Oslo
SVEZIA
Ust-Luga
San
Pietroburgo
Stoccolma Tallinn
FED. RUSSA
ESTONIA
Norrköping Gotska S.
(SVEZIA) Pärnu Fuoriuscita di gas
Nord Stream 1
Göteborg Nord Stream 2
Esplosioni Gotland
sottomarine (SVEZIA) Limite delle acque
registrate territoriali (12 mn)
LETTONIA
nei pressi di Corridoio di 3 mn
Ålborg Bornholm Öland Riga per la navigazione
(26 settembre 2022) (SVEZIA) Liepaja internazionale
DANIMARCA
Nord
Stream 2
NORVEGIA
Stati
Norvegia RUSSIA
(DAN.) ESTONIA
Baltic Pip
e Kaliningrad Vilnius LETTONIA
FED. RUSSA
Stati
Rügen LITUANIA
Acque
Danzica POLONIA
territoriali
GERMANIA
Greifswald POLONIA DANIMARCA
GERMANIA
LA POLONIA IMPERIALE
SVEZIA
4 - LE PERDITE E LE
Copenaghen
CONQUISTE TERRITORIALI
Malmö Klaipėda LITUANIA
POLACCHE DOPO IL 1945
Mar Baltico
Vilnius
Kaunas
B I E LORUSSIA
Kaliningrad
FEDERAZ. RUSSA
Danzica
Prussia
Pomerania Orientale Grodno
G E R M A N IA Stettino
Bydgoszcz
Bialystok
Berlino
m Poznań POLONIA
Varsavia
Praga
UCRAINA
Cracovia Prezmysl
Katowice VOL
INIA
REPUBBLICA CECA
GA
LIZ
Confni della Polonia nel 1945 IA
Confni della Polonia nel 1933
Territori ceduti all’Unione S LO VACC H I A
Sovietica
Territori annessi alla Polonia
dalla Germania UNGHERIA
tica e anticomunista. Nel nome del titano ribelle che osò rubare il fuoco
a Zeus, nasce una rete semisegreta impegnata a disarticolare l’impero
sovietico. Piłsudski recluta alla sua idea i nazionalisti ucraini, che ne
diventano l’anima insieme a confratelli romeni, croati, sloveni assecon-
dati dalle intelligence di Parigi e di Londra, oltre che dalla Santa Sede.
Finché il nazismo dilagante in Europa centrorientale non stronca l’or-
ganizzazione e ne seleziona agenti. Cabala cui in tempo di guerra fred-
da attingeranno i servizi segreti occidentali per le operazioni coperte
volte a destabilizzare il blocco sovietico.
Federalisti alla romana e separatisti antisovietici. Nell’appartamento
di via Giuseppe Mercalli 11e interno 7, ai Parioli, si stabilisce dal 1945 17
VARSAVIA NON È SULLA LUNA
una delle sedi del Club per la Federazione dell’Europa Centrale. Riuni-
sce evangelisti del credo intramarino fnanziati dall’MI6 e dall’intelli-
gence Usa, con uffci anche a Londra, New York, Chicago, Parigi, Geru-
salemme e Beirut. Tutti d’inconcussa fede antibolscevica, fra cui espo-
nenti di governi in esilio sfuggiti alla presa sovietica, alcuni reclutati fra
collaborazionisti già adoratori di Hitler, protetti da settori del Vaticano.
Nei palazzi apostolici si annidano i gestori della ratline, rete di esfltra-
zione di criminali nazisti verso sicuri approdi sudamericani allestita in
collaborazione con i servizi segreti alleati.
Il club di Roma è fliazione del governo polacco in esilio a Londra. Retto
dall’avvocato sloveno e agente britannico Miha Krek con al fanco Juliusz
Poniatowski, già ministro dell’Agricoltura polacco, pubblica e diffonde il
Biuletyn Informacyjny Intermarium 11. La copertina spiega tutto. Sopra al
motto «INTERMARIUM, il destino di 160 milioni di europei!» spicca la carta
dell’Europa intramarina (foto). Intermarium plus si estende su quattro
mari, dal Baltico all’Egeo, dall’Adriatico al Nero. In questo circuito imper-
niato su Varsavia la mappa segnala Tirana e Tallinn, Kharkiv e Stettino,
Praga e Leopoli, Sofa e Bucarest. Dalle coste del Golfo di Finlandia al Pe-
loponneso, dalla Venezia Giulia al Donbas, ecco l’Europa potenzialmente
antisovietica, provvisoriamente sottomessa a Stalin. Costruzione duale: im-
pero centro-europeo di tono polacco per i suoi massimi promotori, bastione
antimoscovita per gli sponsor occidentali, con gli esuli di altri paesi inghiot-
titi dall’Orso a cospirare per fare più grandi le loro piccole patrie.
Il secondo Intermarium si identifca con il Blocco popolare antibolsce-
vico. Vi dominano esponenti della resistenza ucraina, specie separatisti
galiziani, ma anche ustascia croati, seguaci della Guardia di ferro rome-
na e della slovacca Guardia di Hlinka. Secondo un rapporto del Central
Intelligence Group (precursore della Cia) datato 10 dicembre 1946, questo
lo scopo «principale e immediato»: «Distruzione della Russia in generale, in
quanto impero». Lo stesso documento sostiene che agenti sovietici hanno
infltrato i federalisti intramarini per dividere gli ultracattolici polacchi
dagli ortodossi balcanici e ucraini. L’intelligence americana teme che la
propaganda separatista produrrà «una nuova ondata patriottica nell’Urss»,
giacché «l’ultima guerra ha chiaramente dimostrato a Stalin e alla sua
cricca che solo un’ondata di patriottismo (e non slogan internazionalisti)
può assicurare la vittoria» 12. Lezione per il presente.
11. Dal 1948 la testata evolverà in Intermarium Biuletyn, nella nuova sede di Piazzale Fla-
minio 9, interno 3.
12. «Soviet Penetration and Use of the ABN and Central European Club», Central Intelli-
18 gence Group, Secret, 10/12/1946.
LA POLONIA IMPERIALE
14. M.J. CHODAKIEWICZ, Intermarium. The Land between the Black and Baltic Seas, New
Brunswick-London 2016 (prima edizione 2012), Transaction Publishers.
15. Ivi, p. 531.
16. «Lecture by George Friedman, “Beyond the European Union: Europe in the Middle of
20 the 21st century”», YouTube, 25/10/2012.
LA POLONIA IMPERIALE
17. G. FRIEDMAN, «From the Intermarium to the Three Seas», Geopolitical Futures, 7/7/2017.
18. A. STARZYNSKY, «Friedman: Central Europeans Can Deter Russian Aggression», 3 Seas Eu-
rope, 21/9/2022.
19. «Emmanuel Macron in his own words (French)», The Economist, 7/11/2019. L’intervista
si svolse all’Eliseo il 21/10/2019. 21
VARSAVIA NON È SULLA LUNA
22. Cit. in D. REMNICK, «How the War in Ukraine Ends», The New Yorker, 17/2/2023. 23
VARSAVIA NON È SULLA LUNA
23. Cfr. «Leaks reveal Polish doubts about US relationship», Euractiv, 23/6/2014. 25
VARSAVIA NON È SULLA LUNA
Varsavia P O L ES I A
Poznań
Sacro
Romano Lublino
Impero P OLO NI A VO L I N IA Kiev
Mar
VA L ACC H IA Nero
7. Vista da Roma, questa nuova Nato che con la vecchia c’entra po-
co è problema serio. Intanto perché soggiacere alla regola della bad com-
pany cui noi euroccidentali saremmo relegati per la maggior gloria del-
la good company polacco-baltica sarà pure l’unico modo per evitare la 27
VARSAVIA NON È SULLA LUNA
31
LA POLONIA IMPERIALE
Parte I
VARSAVIA-BERLINO-
MOSCA-WASHINGTON:
SGUARDI INCROCIATI
LA POLONIA IMPERIALE
LA DIFFIDENZA DI VARSAVIA
PER BERLINO PASSA DA MOSCA Wojtyło
di Michał
1. L A GUERRA RUSSO-UCRAINA
sembrava l’occasione per risolvere le controversie fra Germania e Polonia, per ab-
bandonare il carattere asimmetrico del loro rapporto e per volgerlo in partenariato.
Non è andata così.
La visione strategica polacca del vicino occidentale è radicata nella storia. La
Polonia ha la sfortuna di trovarsi tra Russia e Germania, due Stati forti con un
passato imperialista e che rivendicano come propri alcuni dei suoi territori. Nei
secoli, fu quando Mosca e Berlino strinsero un’intesa strategica che Varsavia
corse pericoli esistenziali, fno a essere cancellata dalla mappa dell’Europa per
123 anni. Così, fra le due guerre mondiali, nel dibattito pubblico presero piede
due princìpi alla base della diplomazia polacca. Primo, sostenere la lotta per
l’indipendenza e per la sovranità delle nazioni collocate tra Russia e Germania,
ad esempio con l’iniziativa del Trimarium. Secondo, impedire una stretta coope-
razione russo-tedesca spesso rivelatasi di impronta antipolacca. Al tempo molti
pubblicisti come Stanisław Mackiewicz, Adolf Boche8ski e Władysław Studnicki
sottolinearono che il riavvicinamento fra Russia e Germania costituiva una mi-
naccia esistenziale per la nazione e che fra le due insidie quella russa era la più
temibile. Una cooperazione con i tedeschi poteva infatti signifcare per i polacchi
crescita economica e maggiore sicurezza (per via dell’allontanamento dalla Rus-
sia). Questa idea non si concretizzò mai perché la Germania imboccò la strada
del nazismo e durante il secondo confitto mondiale uccise oltre cinque milioni
di cittadini polacchi (di cui tre milioni ebrei), lasciando una ferita ancora sangui-
nante. Cinquant’anni dopo, in seguito al collasso dell’Urss, la Polonia riconquistò
la sovranità. Si schiuse allora l’opportunità di un nuovo capitolo nelle relazioni
con la vicina Germania. Attorno al 1989 il confne polacco-tedesco, fonte di con-
tesa ancestrale, venne fssato permanentemente. Berlino poi sostenne pienamen- 35
LA DIFFIDENZA DI VARSAVIA PER BERLINO PASSA DA MOSCA
nienti da est. Fedele alla sua Ostpolitik, trascurò così le preoccupazioni securitarie
avanzate da paesi come la Polonia e aumentò la dipendenza economica dalla
Russia, specie con la costruzione dei due Nord Stream. Decise infatti di avviare il
primo gasdotto dopo l’aggressione russa all’Ucraina nel 2014, rivelando un orien-
tamento completamente opposto alle aspettative polacche. Varsavia aveva infatti
iniziato un processo di diversifcazione dalle importazioni di gas russo già nel 2006
attraverso la costruzione di un terminale di gas naturale liquefatto. Successivamen-
te, si è impegnata a realizzare numerosi progetti infrastrutturali per rafforzare la
resilienza del sistema del gas polacco e per divenire un perno strategico per l’inte-
ra regione. Un processo iniziato nel 2016 con l’Iniziativa dei Tre Mari e che ha poi
ricevuto un impulso signifcativo nel 2022 con l’inaugurazione del gasdotto Baltic
Pipe (che pompa gas direttamente dalla Norvegia), di quello Gipl verso la Lituania
e dell’interconnettore con la Slovacchia.
Un’altra contesa decisiva concerne la chiusura col passato tragico condiviso
dai due paesi. Molto spesso, Berlino ha dolosamente trascurato l’argomento spo-
stando l’attenzione sulla costruzione di un futuro comune attraverso il fnanzia-
mento di progetti culturali. Dimenticando però che la memoria è dirimente per
formare le simpatie e le antipatie dell’opinione pubblica. Non a caso, secondo
un sondaggio condotto da Cbos nel settembre 2022 il 57% dei polacchi è favo-
revole alla richiesta di risarcimento avanzata dal governo di Varsavia per l’occu-
pazione nazista della Polonia durante la seconda guerra mondiale, a fronte del
33% di contrari. Allo stesso tempo, il 49% degli intervistati ritiene che l’istanza
non avrà successo.
Come ha scritto Sławomir D™bski, direttore dell’Istituto polacco per gli affa-
ri internazionali, i fatti, non le parole, favoriranno la riconciliazione: «I governi di
Berlino che si sono succeduti hanno scelto di ignorare le proprie responsabilità
e non hanno mai supportato le loro nobili affermazioni con le dovute azioni» 2.
Tale è il sentimento predominante in Polonia, come alcuni sondaggi dello scorso
anno evidenziano registrando un complessivo peggioramento nel rapporto bila-
terale. Il 31% degli intervistati da Cbos considera le attuali relazioni polacco-te-
desche negative, il 49% né positive né negative, solo il 13% positive. Anche l’I-
stituto polacco per la ricerca sociale e il mercato (Ibris) ha rilevato tendenze si-
mili. Secondo il 51,8% degli intervistati la cooperazione polacco-tedesca è attual-
mente negativa e perfno fra l’elettorato dell’opposizione, solitamente più bene-
volo verso la Germania, il 53% è della medesima opinione. Giudizi alimentati
dalla storia, dall’attualità, da un dibattito pubblico sempre più polarizzato e dalla
reazione tedesca alla guerra d’Ucraina.
2. S. DęBSKI, «Poland to Germany: Deeds, not words, will foster reconciliation», Politico, 3/11/2022. 37
LA DIFFIDENZA DI VARSAVIA PER BERLINO PASSA DA MOSCA
tura vittoria di Kiev renda l’Unione più aperta a includere le prospettive delle
nazioni della nostra regione. Invero, c’è chi parla di un possibile spostamento a
est dell’equilibrio di potere in Europa. Negli ultimi mesi il motore franco-tedesco
ha effettivamente subìto qualche battuta d’arresto e nel suo tour europeo il pre-
sidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha visitato Londra, Parigi e Bruxelles, ma
non Berlino. Grazie alle dimensioni del suo territorio e della sua popolazione
nonché a una visione securitaria spesso comune alla Polonia, l’Ucraina dentro
l’Ue potrebbe essere un potente alleato per l’intera Europa centro-orientale al
tavolo delle trattative brussellesi. Secondo l’élite di Berlino, però, l’allargamento
potrebbe complicare l’infuenza tedesca sull’Unione e frenare i suoi interessi
economici nazionali. Pertanto, nell’agosto 2022 il cancelliere tedesco Olaf Scholz
ha proposto di abolire il requisito dell’unanimità in alcuni processi decisionali
europei come quelli relativi alla politica fscale e agli affari esteri e ha sostenuto
che le adesioni di Ucraina, Balcani occidentali, Moldova e Georgia saranno pos-
sibili solo dopo le dovute riforme interne all’Unione Europea. Ad esempio, se-
condo Scholz il numero dei parlamentari e dei commissari europei non dovreb-
be aumentare. Queste modifche permetterebbero alla Germania di limitare alte-
razioni negli equilibri europei perché le nuove regole manterrebbero i centri del
processo decisionale a Berlino e a Parigi e proseguirebbero la tradizionale esclu-
sione della prospettiva dell’Europa centro-orientale.
La reazione tedesca sottovaluta che l’apertura ad altri punti di vista che accom-
pagnerebbe l’allargamento dell’Ue può condurre a enormi vantaggi, tra cui un si-
gnifcativo aumento della resilienza alle crisi future, siano esse economiche o di-
plomatiche. La guerra in corso rappresenta una minaccia molto più reale e vicina
per Varsavia, Vilnius, Tallinn, Praga, Bratislava e Bucarest che per Berlino. Se la
Germania cercasse di negoziare con Putin alle spalle dell’Ucraina e dell’Europa
centro-orientale, nuocerebbe seriamente a qualsiasi ipotesi di avvicinamento a Var-
savia. Nessuna forma di amicizia polacco-tedesca è concepibile se l’Europa cen-
tro-orientale non viene trattata come un vero partner.
Naturalmente anche la Polonia deve essere disposta a una cooperazione,
anche politica, più stretta. Quanto negli ultimi mesi ha rappresentato un proble-
ma poiché alcune iniziative di pressione su Berlino relative alla questione russa
potevano essere interpretate come un gesto di malafede di Varsavia. Inoltre, il
dibattito interno in Polonia è stato talvolta tossico. Per limitare questi malintesi,
la comunicazione tra i due governi deve essere intensa come lo è stata in passa-
to. Le prospettive strategiche di Polonia e Germania differiscono in molti conte-
sti, indipendentemente da chi è al potere. Per instaurare un dialogo più costrut-
tivo, non si può quindi attendere semplicemente un cambio di governo. Diritto
e giustizia (PiS) non dovrebbe aspettare che i cristiano-democratici della CDU,
più conservatori e flo-ucraini, tornino al potere in Germania, così come i social-
democratici della SPD non dovrebbero aspettare che i liberali di Piattaforma ci-
vica (Po) tornino al potere in Polonia. Secondo D™bski, «la guerra della Russia
contro l’Ucraina dovrebbe servire da impulso per abbandonare la cattiva politica, 39
LA DIFFIDENZA DI VARSAVIA PER BERLINO PASSA DA MOSCA
40 3. Ibidem.
LA POLONIA IMPERIALE
PERCHÉ LA POLONIA
CHIEDE RIPARAZIONI
DI GUERRA ALLA GERMANIA di Agnese ROSSI
Traduciamo e pubblichiamo alcuni estratti dal documento
con cui Varsavia ha formalmente chiesto a Berlino 1.300
miliardi di euro come risarcimento per le perdite subite a causa
dell’occupazione nazista. Richiesta respinta dai tedeschi.
1. «Raport o stratach poniesionych przez Polsk™ w wyniku agresji i okupacji niemieckiej w czasie II
wojny £wiatowej 1939-1945», 1/9/2023, straty-wojenne.pl, consultabile anche in inglese sullo stesso
sito.
2. «75 proc. Niemców nie chce, żeby ich kraj płacił Polsce reparacje wojenne – Sondaż» («Il 75 per
cento dei tedeschi non vuole che il proprio paese paghi le riparazioni di guerra alla Polonia – Son-
daggio»), Oko.press, 31/12/2022. Secondo il sondaggio, il 66% dei polacchi ritiene che il proprio pae-
se debba ricevere le riparazioni di guerra dalla Germania. 41
PERCHÉ LA POLONIA CHIEDE RIPARAZIONI DI GUERRA ALLA GERMANIA
nale», come ha ribadito il cancelliere tedesco Olaf Scholz nel respingere la richie-
sta 3. Il tema delle riparazioni è in effetti affrontato in diversi trattati e a più riprese
nella seconda metà del secolo scorso. Ma Varsavia intende contestare esiti e validità
di tali risoluzioni. A partire dagli accordi di Jalta e di Potsdam (1945), in cui le tre
potenze vincitrici quantifcarono i debiti di guerra tedeschi in 20 miliardi di dolla-
ri e stabilirono lo spostamento verso ovest dei confni polacchi.
Secondo quanto pattuito, le parti lese avrebbero ricevuto riparazioni materiali
piuttosto che monetarie. Le richieste di danni della Polonia, ormai entrata nella
sfera di infuenza sovietica, dipendevano quindi dall’intermediazione dell’Urss,
che avrebbe attinto alle risorse della Germania Est (DDR) e trasferito a Varsavia il
15% del valore estratto. Nella pratica, tuttavia, Mosca onorò i termini dell’accordo
in modo saltuario nonché fantasioso: una parte delle riparazioni fu corrisposta
sotto forma di 6 milioni di copie delle opere di Marx, Lenin e Stalin tradotte in po-
lacco. Nel 1953, con l’economia della DDR ormai allo stremo, l’Unione Sovietica
rinunciò al diritto di riscatto. Il governo comunista polacco di Bolesław Bierut si
adeguò, facendo a propria volta rinuncia in una dichiarazione del Consiglio dei
ministri del 23 agosto 1953.
Nel Rapporto non si riconosce però validità giuridica al provvedimento: intanto
perché non fu mai tradotto in legge, ma soprattutto perché non sarebbe stato frutto
della libera decisione di uno Stato sovrano bensì delle pressioni dell’Urss. Nella rico-
struzione di Varsavia, neanche la cessione dei territori tedeschi orientali può essere
considerata una forma di risarcimento: si tratterebbe invece solo di una compensa-
zione delle terre perse a est in favore dell’Urss, «una decisione presa dalle potenze
vincitrici a prescindere dalla questione delle riparazioni» 4. Il Rapporto stima peral-
tro che i territori «recuperati» siano di valore complessivamente inferiore a quelli
persi, tanto in termini di superfcie quanto di risorse, drasticamente ridimensionate
in seguito delle ostilità. In appendice (v. infra) vengono ricostruiti nel dettaglio i
danni subiti nel periodo bellico dalle regioni tedesche poi ricomprese nei confni
polacchi, misurabili anche in quantità precise di cavalli, mucche e maiali persi.
Simili calcoli e argomentazioni affollano i tre volumi (per un totale di mille
pagine) del Rapporto. Il conto viene presentato nei dettagli. Vengono quantifcati i
danni materiali e immateriali subiti nel periodo di occupazione ma anche il loro
impatto sullo sviluppo della nazione polacca nel dopoguerra fno a oggi, in termini
di crescita economica, demografca, culturale. L’intento è rappresentare il presente
come prodotto di quel passato drammatico e raccontare l’aggressione tedesca come
episodio i cui effetti si irradiano ben oltre il periodo 1939-45: «Oggi lo status della
Polonia in Europa e nel mondo sarebbe radicalmente diverso se non fosse per gli
effetti del secondo confitto mondiale» 5. Ogni danno viene valutato non solo in sé,
ma anche in base al suo potere di sottrarre futuro.
3. «Wenn wir als Land zusammenhalten, werden wir durch diese Zeit kommen» («Se restiamo uniti
come paese supereremo questo momento»), intervista del cancelliere Olaf Scholz alla Faz, Bundesre-
gierung.de, 7/9/2022.
4. «Raport…», vol. 1, cit., p. 28.
42 5. Ivi, p. 19.
LA POLONIA IMPERIALE
Per questa ragione, nel computo delle perdite demografche confuiscono tanto
le vittime dirette dei tedeschi quanto i non nati: rimaste immutate le condizioni di
vita nel paese, il «potenziale demografco disperso» dal 1940 al 2020 è di 5,269 mi-
lioni di bambini – bambini che avrebbero potuto vedere la luce in Polonia e quindi
contribuire al benessere della nazione. Analogamente, un calcolo apposito misura
l’entità di ciò che viene defnito lo «sterminio premeditato» dell’élite politica e intel-
lettuale polacca, pianifcato dai nazisti per inibire lo sviluppo della cultura statua-
le del paese nel dopoguerra e mantenerlo in uno stato diminuito rispetto alle sue
potenzialità. Il medesimo criterio viene applicato alla minuziosa ricostruzione del-
le perdite culturali: dalle grandi opere pittoriche ai costumi di scena dei teatri mu-
nicipali 6, tutto viene inventariato perché tutto è potenziale rubato al presente.
Il tentativo di costringere in cifre il valore immateriale di una cultura e di una
storia cancellate porta in luce il carattere paradossalmente anti-economico (e, se-
condo i suoi detrattori, arbitrario) di tutto il progetto. L’immensa operazione di
calcolo serve in realtà a ricordare che «la Germania non ha ancora concluso un
trattato di pace con la Polonia» 7. Poco meno che una dichiarazione di guerra, se
non si trattasse di due paesi afferenti allo stesso campo di alleanze. Escluso il ricor-
so alle armi, a Varsavia restano i numeri, rigorosamente impiegati a discrezione
degli autori.
Il Rapporto «non è una pubblicazione accademica» 8 poiché al suo interno la
storia è recuperata a fni pratici, ovvero geopolitici. Dimostrazione ne sia che nel
Rapporto le responsabilità di Mosca, prima nella guerra (con il patto Molotov-Rib-
bentrop l’Urss si accordò con la Germania per la spartizione della Polonia) e poi nel
dopoguerra (l’Urss ha di fatto privato Varsavia delle riparazioni tedesche che le
spettavano secondo gli accordi post-bellici), vengono derubricate in un’appendice,
in cui comunque non si presenta alcun conto da saldare. Non è una dimentican-
za. Risponde alla stessa logica per cui il Rapporto addossa alla Germania anche la
responsabilità del massacro di Volinia, regione ucraina all’epoca occupata dai te-
deschi, in cui circa 100 mila polacchi persero la vita per mano dei nazionalisti
ucraini: «Secondo il diritto internazionale, la sicurezza della popolazione in un’a-
rea occupata è responsabilità della potenza occupante» 9.
Oggi la Polonia cerca di combattere contemporaneamente contro le due poten-
ze che tradizionalmente hanno cercato di farla sparire: non solo l’atavico nemico
russo – bersaglio legittimato dall’inizio della guerra d’Ucraina – ma anche il suo
storico antagonista occidentale, la Germania. Il confitto tra Varsavia e Berlino, da
quando entrambe appartengono alla sfera euroatlantica, ha preso forme diverse
ma non è mai scomparso. La richiesta polacca di riparazioni di guerra è anacro-
nistica solo per chi non ne guardi il senso geopolitico: in tre volumi la Polonia rie-
voca e al contempo riscrive (ai propri fni) la storia dei rapporti post-bellici tra i due
6. Ivi, pp. 266-270.
7. Ivi, p. 28.
8. Ivi, p. 7.
9. Ivi, p. 24. 43
PERCHÉ LA POLONIA CHIEDE RIPARAZIONI DI GUERRA ALLA GERMANIA
PREFAZIONE
di Jarosław Kaczy8ski
La redazione e la pubblicazione di questo Rapporto è il primo e indispensabi-
le passo per ottenere i risarcimenti cui la Polonia ha diritto. Lo Stato polacco è
stato la prima vittima dell’aggressione tedesca e quello che fra tutti ha subìto le
perdite umane e materiali più grandi per mano della Germania nazista. Il nostro
paese dovrebbe essere risarcito in nome di un elementare senso di giustizia e di
44 verità storica, nonché nell’interesse di una genuina riconciliazione le due nazioni.
LA POLONIA IMPERIALE
INTRODUZIONE
di Arkadiusz Mularczyk
Il progetto nasce da un’iniziativa politica di Jarosław Kaczy8ski, presidente di
Prawo i Sprawiedliwo£© (PiS, partito Diritto e giustizia), e muove dalla convinzione
che il perseguimento di relazioni amichevoli tra Varsavia e Berlino deve potersi
fondare su un principio di verità storica e perciò su un equo risarcimento per i
crimini di guerra commessi dalla Germania ai danni della popolazione polacca. Lo
Stato tedesco non si è mai impegnato in una vera valutazione legale volta a rime-
diare alla propria politica di distruzione totale della Repubblica di Polonia e allo
sterminio dei suoi cittadini.
In rapporto alla popolazione totale e all’estensione del territorio nazionale, la
Polonia ha subìto più perdite umane e materiali di ogni altro paese europeo. Tali
danni furono causati non solo dalle operazioni militari ma anche e soprattutto da
una politica di occupazione animata dalla convinzione dell’inferiorità razziale dei 45
PERCHÉ LA POLONIA CHIEDE RIPARAZIONI DI GUERRA ALLA GERMANIA
10. R. LEMKIN, Axis Rule in Occupied Europe: Laws of Occupation, Analysis of Government, Proposals
46 for Redress, New York 1944, Carnegie Endowment for International Peace.
LA POLONIA IMPERIALE
Il valore totale stimato al 31 dicembre 2021 per le perdite belliche subite dalla Polonia è di:
6.220.609 milioni di złoty (= 6.220 miliardi zł)
1.352.483 milioni di euro (= 1.352 miliardi €)
1.532.170 milioni di dollari (= 1.532 miliardi $)
Fonte: Raport o stratach poniesionych przez Polskę w wyniku agresji i okupacji niemieckiej w czasie II wojny światowej 1939-1945
in modo completo e chiudere tutte le questioni legate alla seconda guerra mon-
diale (tabella 1) 11.
11. Ogni capitolo del volume è dedicato al calcolo di una tipologia di danni subiti, il cui risultato f-
nale è esposto in forma sinottica. La tabella 1 presenta il valore stimato (totale e per tipologia) delle
perdite subite dalla Polonia. Le cifre sono espresse in miliardi di złoty, euro e dollari statunitensi, ai
50 tassi di cambio della Banca nazionale di Polonia a fne 2021 (n.d.t.).
LA POLONIA IMPERIALE
PERDITE UMANE
(dal capitolo 2, a cura di Konrad Wn™k)
Conclusione sulle perdite demografiche complessive
In conseguenza delle politiche naziste furono uccisi 5.219.053 polacchi (tabel-
la 2). Alla fne della guerra la Polonia aveva perso 11,4 milioni di cittadini. La per-
dita demografca subita dalla classe istruita polacca varia dal 10 al 30% o anche più
per i diversi gruppi professionali. Il calo demografco fu dovuto non solo alle siste-
matiche uccisioni ma anche alle misure politiche e legali applicate dalle autorità
tedesche: l’imposizione di condizioni di vita pessime e la privazione di un’alimen-
tazione adeguata favorirono l’aumento del tasso di mortalità, destinato in primo 51
PERCHÉ LA POLONIA CHIEDE RIPARAZIONI DI GUERRA ALLA GERMANIA
luogo a colpire i bambini, circa 169 mila dei quali furono uccisi in questo modo,
intenzionalmente e con precisione scientifca. Altri 196 mila bambini furono rapiti
ai genitori e deportati in Germania per essere germanizzati. Solo il 15-20% di loro
fece ritorno in Polonia. Soltanto nelle Terre centrali (il nucleo geografco sotto il
controllo della Polonia prima e dopo la guerra, n.d.t.) persero la vita 1,272 milioni
di giovani polacchi (sotto i 18 anni), 708 mila dei quali erano ebrei. Uno degli ef-
fetti del piano di sterminio tedesco fu una massiccia orfanizzazione. Solo il 77% dei
bambini polacchi aveva ancora entrambi i genitori in vita dopo la guerra. La perdi-
ta di popolazione potenziale della Polonia nel 1940-1944 in termini di bambini mai
nati è stata di 1,029 milioni, con un defcit di 4,230 milioni nel periodo dal 1946 al
2020 e un defcit complessivo dal 1940 al 2020 di 5,259 milioni. Circa 217 mila
persone sono state gravemente ferite e circa 151 mila hanno contratto malattie in-
curabili nelle sole Terre centrali della Polonia, con un indebolimento permanente
e signifcativo della salute della popolazione. Circa 590 mila persone rimasero in-
valide. (…) Gli effetti demografci della seconda guerra mondiale e dei cinque
anni di occupazione tedesca sono stati e sono tuttora un ostacolo alla crescita
economica della Polonia, nonostante i molti anni passati.
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Avvocati
Procuratori
Altri insegnanti
Medici
Personale accademico
Preti (rito cattolico latino)
Impiegati/e statali
Maestri/e d’asilo
Personale del servizio sanitario
Fonte: Raport o stratach poniesionych przez Polskę w wyniku agresji i okupacji niemieckiej w czasie II wojny światowej 1939-1945
minaccia più grande in quanto unico gruppo in grado di organizzare una resisten-
za contro le forze di occupazione. Non solo nei termini di resistenza armata, di
azioni militari clandestine o di atti di sabotaggio: i tedeschi intendevano sopprime-
re ogni possibilità di resistenza intellettuale e culturale. Per questo motivo cercaro-
no di eliminare scienziati, accademici, medici, insegnanti, artisti, ecclesiastici, atti-
visti politici: in altre parole, l’élite della società polacca (grafco 1). La Polonia fu
così privata di una percentuale signifcativa della propria intelligencija. (…) La
scomparsa dell’élite polacca ha interrotto il naturale processo di riproduzione dei
gruppi professionali del paese, facilitando poi l’insediamento e l’affermazione del
regime comunista. La Polonia non è ancora riuscita a ricostruire del tutto l’élite
annientata dalla Germania durante la seconda guerra mondiale.
800
700
600
migliaia
500
400
300
1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015
Fonte: Raport o stratach poniesionych przez Polskę w wyniku agresji i okupacji niemieckiej w czasie II wojny światowej 1939-1945
paese sconta anche effetti collaterali di vasta portata nei termini di una riduzione del
potenziale demografco. Dopo l’occupazione tedesca, il calo della popolazione por-
tò a una contrazione nel numero dei matrimoni e nella nascita di bambini. Lo scarto
tra la proiezione demografca (simulazione della crescita della popolazione basata
su dati prebellici) e le cifre effettive per il 1950 ammonta a 12,83 milioni di persone
(grafco 2). La Polonia ha impiegato più di cinquant’anni per colmare questo diva-
rio: solo intorno al 2000 la sua popolazione ha raggiunto una cifra paragonabile a
quella che avrebbe avuto nel 1950 se non ci fosse stata la seconda guerra mondiale.
Il defcit è particolarmente evidente nel numero di nascite. Nel periodo 1946-2020
sono nati in Polonia 41,616 milioni di bambini, mentre secondo le proiezioni demo-
grafche il numero di nascite avrebbe dovuto essere di 52,061 milioni, ovvero 10,445
milioni in più rispetto al dato reale. Ciò è dovuto a tre ragioni fondamentali: l’ucci-
sione della generazione di potenziali genitori che avrebbero potuto avere fgli du-
rante e dopo la guerra, una minore quantità di donne nate tra il 1940-1945 e la
sottrazione dei cittadini polacchi che si sono trovati tagliati fuori dai confni del pa-
ese nel 1945. A queste si aggiunge un forte fenomeno di emigrazione, ma anche
54 ipotizzando che quest’ultimo abbia causato la maggior parte del defcit nelle nascite,
LA POLONIA IMPERIALE
Metodologia
Il nostro studio si limita alle perdite artistiche e culturali subite dalla Polonia
durante la seconda guerra mondiale nelle parti del suo territorio prebellico che ri-
entrano nei confni attuali. Siamo pienamente consapevoli della natura specifca
delle perdite culturali presentate in questo studio (tabella 4), che sono problema-
tiche per due motivi principali.
1) La diffcoltà di operare una distinzione rigida tra le due componenti della
cultura: le arti e le scienze (accademia). Per «perdite culturali» intendiamo i seguenti
tipi di perdita: a. oggetti che erano il prodotto o il risultato materiale dell’attività e
della creatività culturale (questo gruppo comprende singoli oggetti e gruppi di og-
getti, come le collezioni dei musei, delle biblioteche e degli archivi); b. oggetti ma-
teriali, strumenti e apparecchiature che erano utilizzati per svolgere attività culturali
(inclusi gli edifci, i loro arredi, le attrezzature e le decorazioni interne, gli atelier, i
laboratori e i materiali ausiliari come strumenti musicali, i colori dei pittori e così via).
Non è stato possibile fare una chiara distinzione tra questi due ambiti in tutti i casi
esaminati. Spesso ci siamo trovati di fronte a situazioni di sovrapposizione, che han-
no reso diffcile classifcare gli oggetti secondo una serie di regole rigide.
2) L’impossibilità di ottenere una valutazione anche approssimativa di molte
perdite culturali in termini monetari. È impossibile stimare il valore fnanziario di
un’eredità culturale perduta, costruita nel corso dei molti secoli di sviluppo di una
nazione. Un’eredità culturale è molto più di una semplice collezione materiale di
oggetti: implica anche il fatto che una determinata società ha raggiunto un partico-
lare stadio nel suo sviluppo spirituale e intellettuale. Le capacità e i mezzi di svi-
luppo di una società sono la conditio sine qua non del suo potenziale di creare
oggetti culturali. (…) Nella maggior parte dei casi una stima del loro valore pura-
mente fnanziario sarebbe soltanto una piccola frazione del loro valore assoluto o
ideale. Sarebbe quindi sbagliato trattare le perdite della Polonia in campo artistico
e accademico dovute all’aggressione militare tedesca esclusivamente in termini di
56 valore monetario.
LA POLONIA IMPERIALE
APPENDICE
(a cura di Marek Wierzbicki e Paweł Olechowski)
A.4 Danni di guerra nelle cosiddette Terre recuperate’
di Mirosław Kłusek
Benché facesse parte dell’alleanza dei paesi vincitori, al termine della seconda
guerra mondiale la Polonia perse 180 mila chilometri quadrati (il 46% del suo ter-
ritorio prebellico) a favore dell’Unione Sovietica (carte 1 e 2). La perdita territoriale
doveva essere compensata dall’incorporazione di regioni situate a nord e a ovest
– note come Ziemie Odzyskane (Terre recuperate) – per un’area totale di 102.855
chilometri quadrati. Il risultato fu una perdita territoriale di circa 77.200 chilometri
quadrati, quasi il 20% dell’area polacca prebellica. Spesso si sostiene che la perdita
territoriale a est fu compensata dal fatto che le Terre recuperate erano molto più
progredite dei territori persi. (…) Ma questa valutazione non tiene conto della si-
tuazione reale in cui versavano queste regioni, il cui valore risentì in modo sostan-
ziale della devastazione bellica.
Nel 1974 Hanna J™druszczak pubblicò una tabella che presentava per la prima
volta i danni bellici complessivi subiti dalle Terre recuperate (tabella 5) 12. (…) Con
12. H. J(ÞDRUSZCZAK, «Miasta i przemysł w okresie odbudowy» («Le città e l’industria ai tempi della ricostruzio-
ne»), in Polska Ludowa 1944-1955. Przemiany społeczne (La Repubblica popolare di Polonia negli anni
1944-1955. Trasformazioni sociali), a cura di F. RYSZKA, Wrocław-Warsaw 1974, Ossolineum, p. 286. 57
PERCHÉ LA POLONIA CHIEDE RIPARAZIONI DI GUERRA ALLA GERMANIA
la deduzione di tali perdite dal valore dei nuovi territori, il valore del contributo
delle Terre recuperate al patrimonio nazionale risultava inferiore a quello delle
stime uffciali: 37,4 miliardi di złoty prebellici, cioè 21,6 miliardi in meno rispetto
alle stime precedenti. Quindi, secondo queste cifre, la differenza reale tra il valore
delle Terre perse e le Terre recuperate era di 6,3 miliardi di złoty, non di 27,9 come
voluto dai dati uffciali. (…) In questo capitolo si verifca l’attendibilità di questa
valutazione attraverso nuovi calcoli sulla natura e l’entità delle devastazioni subite
dalle Terre recuperate a seguito della guerra.
(…) In base all’indagine condotta, i dati relativi alle perdite di guerra riportate
dal patrimonio nazionale polacco nelle Terre recuperate presentati nella tabella
non devono essere considerati una sovrastima, anzi. Il valore dei danni bellici ai
trasporti e alle comunicazioni nelle Terre recuperate ammonta a 6,3 miliardi di
złoty, in accordo con la cifra stimata in precedenza, mentre i danni agli edifci nel-
le municipalità sono superiori di 746 milioni. Sono stati invece sottostimati i dati
relativi alle perdite nell’agricoltura e nell’industria.
(…) In sintesi, il guadagno reale derivante dalla differenza tra il valore dei
beni nazionali persi a favore dell’Urss e il valore di quelli guadagnati nelle Terre
recuperate fu al massimo di 6,3 miliardi di złoty ai tassi prebellici. Ma i dati presen-
tati non tengono conto dei costi della perdita di popolazione. I territori che passa-
rono all’Urss erano stabilmente popolati, mentre le Terre recuperate erano presso-
58 ché abbandonate. Così come non si è tenuto conto degli effetti dell’interruzione
LA POLONIA IMPERIALE
UK 31,5%
FR 12,8% AT 91,6%
ES 15,2%
della rete logistica locale e regionale, né delle conseguenze sociali del reinsedia-
mento per aspetti quali la riduzione della produttività. Sarà quindi perfettamente
ragionevole affermare che, alla luce delle cifre presentate e discusse, i territori
persi dalla Polonia valevano più di quelli ricevuti nel 1945.
59
LA POLONIA IMPERIALE
forma di aiuti umanitari, delle «vittime della persecuzione nazista» da parte della
Fondazione per la riconciliazione polacco-tedesca istituita a tal fne. Nonostante il
trattato sui confni e quello di buon vicinato con la Polonia, siglati rispettivamente
nel 1990 e nel 1991, la riunifcazione della Germania non comportò insomma una
soluzione defnitiva delle questioni in sospeso, sebbene fossero trascorsi 46 anni
dalla fne della guerra.
3. Nei primi anni Novanta, la Polonia uscita dal comunismo si trovava in una
situazione economica disastrosa e necessitava a tal punto del sostegno economico
occidentale – in particolare tedesco – e della remissione del debito, che a Varsavia
molti politici convennero di rinviare, se non di abbandonare del tutto, la questione
dei risarcimenti tedeschi. All’indomani della guerra fredda si venne così a creare
nei rapporti polacco-tedeschi una situazione particolare. Sotto l’aspetto economico
le prospettive di crescita della Polonia e la sua europeizzazione erano divenute
sempre più subordinate agli investimenti tedeschi e agli scambi commerciali con la
Germania 6. In ambito politico, Berlino e Varsavia dichiararono prioritari la riconci-
liazione tra le due nazioni. Ma per quanto riguarda il tema in esame, ogni richiesta
da parte polacca fu considerata irricevibile e ciò mise in discussione l’idea di una
ritrovata armonia 7. Sta qui la risposta alla domanda, spesso sollevata nei dibattiti
pubblici, sul perché tra Polonia e Germania non potesse esserci una riconciliazione
sul modello franco-tedesco.
Si è tornati a parlare del problema nel 2004, con l’ingresso della Polonia
nell’Ue, in seguito alla risoluzione approvata all’unanimità dal parlamento polac-
co in cui è stato chiesto al governo federale di risolvere defnitivamente la que-
stione. Si trattò all’epoca di una posizione trasversale, divenuta dal 2005 un
punto fermo nella politica dei successivi governi del PiS e sfociata nella compi-
lazione di un rapporto uffciale sull’entità delle perdite subite dalla Polonia du-
rante la guerra 8. Da ultimo è giunta la presentazione della nota diplomatica uf-
fciale del 2022 con cui si invita il governo tedesco a intraprendere negoziati per
i relativi risarcimenti.
L’aspetto morale si colloca in un più ampio contesto geopolitico. Il governo
polacco, oltre ai risarcimenti in sé (per adesso piuttosto improbabili), intende rag-
giungere almeno altri due risultati di tipo politico. In primo luogo, visto l’atteggia-
mento inequivocabile dell’opinione pubblica – il 66% dei polacchi ritiene che alla
Polonia spettino risarcimenti non ancora concessi – considera il tema centrale per
la campagna elettorale. In questo contesto si collocano le accuse mosse alla destra
polacca (sia dall’interno che dall’esterno del paese) di strumentalizzare la questio-
ne a fni politici. In una politica democratica il primato degli obiettivi interni su
quelli esteri non è però straordinario.
6. H. KUNDNANI, The Paradox of German Power, Oxford 2015, Oxford University Press, p. 110.
7. K. BACHMANN, «Die Versöhnung muss von Polen ausgehen«, TAZ, 5/8/1994.
8. «The Report on the Losses Sustained by Poland as a Result of German Aggression and Occupation
64 During the Second World War, 1939-1945», 1/9/2022, gov.pl.
LA POLONIA IMPERIALE
9. N. FREI, 1945 und wir. Das Dritte Reich im Bewußtsein der Deutschen, München 2005, Beck; B.
CRAWFORD, «The Normative Power of a Normal State: Power and Revolutionary Vision in Germany’s
Post-Wall Foreign Policy», German Politics and Society, vol. 28, n. 2, 2010; B. CRAWFORD, K.B. OLSEN,
«The Puzzle of Persistence and Power: Explaining Germany’s Normative Foreign Policy», German
Politics, vol. 26, n. 4, 2017, pp. 591-608.
10. «Kanzlerrede: Schröder: Die Welt stellt hohe Erwartungen an uns als Mittelmacht», Frankfurter
Allgemeine Zeitung, 4/3/2005.
11. «Speech by Federal Chancellor Gerhard Schröder at the opening of the 41st Munich Conference on
Security Policy», 12/2/2015. 65
QUEL CHE I SOLDI NON COMPRANO
12. G. SCHÖLLGEN, Der Auftritt. Deutschlands Rückkehr auf die Weltbühne, München 2003, Propyläen
Verlag.
13. M. OVERHAUS, «German Foreign Policy and the Shadow of the Past», The Sais Review of Internatio-
nal Affairs, vol. 25, n. 2, 2005, pp. 27-41.
14. W.E. PATERSON, «The Reluctant Hegemon? Germany Moves Centre Stage in The European Union»,
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15. T. GARTON ASH, «The New German Question», The New York Review of Books, 15/08/2013; H. MÜNK-
LER, «Wir sind der Hegemon», FAZ, 21/08/2015.
16. S.F. SZABO, Germany, Russia and the Rise of Geo-Economics, London 2015, Bloomsbury, pp. 122-129.
17. R. BECKMANN, «Deutschland und Polen in der Nato: Gemeinsame Mitgliedschaft – unterschiedliche
Interessen», in T. JÄGER, D.W. DYLLA, Deutschland und Polen. Die europäische und internationale Po-
66 litik, Wiesbaden 2008, VS, pp. 161-186.
LA POLONIA IMPERIALE
scontro aperto tra queste due opposte strategie si è verifcato per la prima volta nel
2008 al vertice Nato di Bucarest, quando è stata sollevata la questione di una possi-
bile adesione di Ucraina e Georgia all’Alleanza Atlantica.
L’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 ha messo defnitivamente in
mostra l’entità delle differenze tra Berlino e Varsavia negli approcci strategici alla
politica di sicurezza e all’assetto europeo. Al contempo, sullo sfondo della politica
attuata dalla Germania dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014, ha messo
in discussione la leadership tedesca in Europa, evidenziandone le conseguenze
negative.
La Polonia non è l’unico paese dell’Ue ad aver sollevato la questione dei risar-
cimenti di guerra. Una politica simile è stata avviata nel 2019 in Grecia dal governo
di sinistra di Alexis Tsipras. Stante la portata del tutto diversa dei danni subiti da
Polonia e Grecia, l’impatto potenziale delle rivendicazioni polacche sulla politica
europea è di gran lunga maggiore.
Oggi questi temi stanno assumendo un signifcato completamente nuovo. I
drammatici impatti sulla sicurezza dell’Europa in seguito all’invasione russa dell’U-
craina mettono in luce l’importanza dell’unità della Ue e richiamano l’attenzione
sulle profonde divisioni tra i suoi Stati. Le relazioni tra Polonia e Germania giocano
un ruolo centrale. Quasi trent’anni fa Zbigniew Brzezinski ha avanzato una tesi che
all’inizio degli anni Novanta poteva suonare sbalorditiva, in base alla quale i quat-
tro i paesi fulcro della sicurezza europea sono Francia, Germania, Polonia e Ucrai-
na18. Questa idea sta diventando realtà, ma affnché possa prendere forma concre-
ta è necessario che vengano soddisfatte delle condizioni. Tra queste vi è la soluzio-
ne delle dispute in sospeso tra Germania e Polonia.
18. Z. BRZEZINSKI, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, New
York 1997, Basic Books. 67
LA POLONIA IMPERIALE
L’ASCESA DI VARSAVIA
INQUIETA BERLINO di Kai-Olaf LANG
confni nel 1990 e sottoscritto un apposito trattato nel 1992, tra i due paesi iniziò
infatti un periodo di riconciliazione e intensifcazione della cooperazione. Il noccio-
lo duro di questo interesse comune era rappresentato dall’impegno congiunto a fa-
vore di un allargamento dell’Unione Europea e della Nato.
Dal punto di vista tedesco, la Polonia e altri paesi dell’Europa centro-orientale
andavano inclusi nella Nato e nell’Ue affnché la Repubblica Federale non si tro-
vasse ai margini del processo d’integrazione e ai confni della zona di sicurezza
dell’Occidente. D’altra parte, Varsavia desiderava essere inclusa nelle organizzazio-
ni europee e transatlantiche. Berlino svolse il ruolo di motore dell’espansione a est,
accelerando la ripresa dei rapporti polacco-tedeschi. La Francia, storica garante di
Varsavia, mostrava scarso entusiasmo per l’ingresso di quest’ultima nella Ue. La
Germania la vedeva invece potenziale «Parigi dell’Est» e si mobilitò per sostituirsi
alla Francia come fulcro delle relazioni tra Polonia e blocco occidentale.
Ben presto emerse però il carattere ambivalente di questo processo, che costi-
tuiva un fattore di stabilità ma anche una fonte di confitto. Durante i negoziati di
adesione Berlino spinse per fssare periodi transitori nella libera circolazione dei
lavoratori, al fne di proteggere il proprio mercato del lavoro dall’immigrazione
polacca. La Polonia impose lunghi tempi d’attesa per l’acquisto di terreni agricoli
da parte degli investitori europei, poiché temeva che (soprattutto) i tedeschi acqui-
stassero grandi appezzamenti a danno degli agricoltori polacchi.
Altra questione di peso fu la riforma del processo decisionale nella nuova Eu-
ropa allargata. Berlino e Parigi spinsero per introdurre il sistema a doppia maggio-
ranza, Varsavia si oppose poiché pensava di potersi garantire migliori possibilità di
blocco attraverso il vecchio sistema del trattato di Nizza. Le resistenze polacche e
di altri ritardarono per anni le riforme e mostrarono ai tedeschi che la Polonia sa-
peva dire no, perfno su questioni rilevanti per la Germania.
Un ulteriore punto di attrito sorse nel 2003 con la guerra in Iraq. La Polonia si
schierò prontamente con gli Stati Uniti e partecipò all’intervento militare, mentre la
Germania vi si oppose insieme alla Francia. Nel dibattito interno tedesco non si
esitò a defnire la Polonia «cavallo di Troia» degli americani. I polacchi criticarono
invece la formazione di un asse anti-americano composto da Francia, Germania e
Russia. Emersero presto visioni differenti anche sull’Ostpolitik. La «rivoluzione aran-
cione» del 2004 in Ucraina rese evidente che Varsavia perorava la causa di Kiev.
Nelle dispute territoriali tra Occidente e Russia, i polacchi hanno sempre sostenuto
per l’Ucraina una prospettiva occidentale. Non si può dire lo stesso di Berlino, più
cauta e maldisposta a compromettere i rapporti con Mosca.
Le relazioni con la Russia hanno sempre rappresentato un fattore problematico
nelle relazioni polacco-tedesche. Su questo tema si scontrano due approcci. Quel-
lo pragmatico della Germania è centrato sulla cooperazione economico-energetica
e sull’integrazione della Russia nell’ordine di sicurezza europeo; quello polacco,
basato su valori morali, è motivato principalmente da questioni strategiche di sicu-
rezza nazionale. I traumi storici hanno giocato un ruolo importante. Nel 2006 l’al-
70 lora ministro della Difesa polacco Radek Sikorski paragonò il progetto russo-tede-
LA POLONIA IMPERIALE
RUHR Berlino
POLONIA
ANIA Breslavia PERDITE TERRITORIALI
M NEL 1919-1920
R
Weimar (TRATTATO DI VERSAILLES, 1919)
E
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C E C O S L O VA C C
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FR. NEL 1937
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1945-1990
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MASURIA U.R.S.S. GERMANIA, SETT. 1949
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(Szczecin) POLONIA
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RUHR (Wroclaw) TERRITORI SOTTO REP. DEMOCRATICA
Bonn R.D.T. SLE AMMINISTRAZIONE: TEDESCA, OTT. 1949
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Sovietica
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R.F.G. VA C C H
SAAR IA dal 1945 fno ai trattati IN BERLINO OVEST
1957 Monaco tedesco-sovietico E BERLINO EST
e tedesco-polacco
UNGHERIA 71
L’ASCESA DI VARSAVIA INQUIETA BERLINO
2. Il 2015 ha segnato una cesura nelle relazioni tra Germania e Polonia. Non
tanto per la crisi migratoria di quell’anno, ma perché il PiS ha vinto due tornate elet-
torali. Andrzej Duda è diventato capo di Stato e il suo partito si è imposto alle parla-
mentari ottenendo la maggioranza assoluta. Come tutti i governi polacchi successivi
al 1989, anche quello del PiS aveva orientamento chiaramente flo-atlantico, critico
verso la Russia e favorevole all’Ucraina. Ma diversamente dalla sinistra polacca e dai
liberal-conservatori, il PiS rifutava un ulteriore rafforzamento dell’infuenza comuni-
taria negli affari interni. La ristrutturazione del sistema giudiziario ha portato il paese
allo scontro con Bruxelles. Nella politica identitaria del partito la memoria collettiva,
soprattutto la tragedia della seconda guerra mondiale, rappresentava un pilastro. Per
questo il PiS, a differenza dei governi precedenti, nutriva una sfducia abissale nei
confronti di Berlino. Ciò non ha fatto che inasprire le vecchie tensioni.
La guerra in Ucraina ha rinvigorito la posizione strategica di Varsavia e mostra-
to tutte le debolezze di Berlino. Come risultato si sono prodotti numerosi attriti, sia
nel rapporto bilaterale sia nei contesti più ampi della politica europea e atlantica.
Oggi nell’Unione Europea si può osservare una chiara divergenza nel posiziona-
mento strategico di Germania e Polonia. Ciò deriva innanzitutto dal loro approccio
diverso al processo di integrazione e alla direzione dell’Ue. I funzionari tedeschi
hanno in mente un modello federale e nell’ottica di una futura estensione solleci-
tano riforme per rafforzare il sistema decisionale a maggioranza. Una visione in
stridente contrasto con le idee del PiS, il cui obiettivo è preservare o rafforzare le
sovranità nazionali. Nella prospettiva polacca l’unanimità rappresenta quindi una
protezione contro la politica di dominio franco-tedesca.
Berlino e Varsavia hanno idee opposte anche sullo Stato di diritto. La Polonia
72 rifuta qualsiasi intervento della Corte di giustizia europea nelle riforme giuridiche
LA POLONIA IMPERIALE
interessi polacchi. Per il primo ministro Mateusz Morawiecki, il rapporto sui danni
infitti alla Polonia serve a promuovere una «vera riconciliazione polacco-tedesca»,
perché senza «verità, riparazione e risarcimento» non ci possono essere «relazioni
normali» con la Germania. Nemmeno il progetto di un luogo della memoria (Erin-
nerungsortes) a Berlino che commemori le sofferenze polacche, pur apprezzato
dal PiS, è considerato un valido sostituto del risarcimento materiale. Osserviamo
dunque una ristoricizzazione delle relazioni polacco-tedesche: la seconda guerra
mondiale e le sue conseguenze sono tornate all’ordine del giorno.
14
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Amburgo POMERANIA
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Sps
(da Marsiglia) Ingolstadt
BADEN-WÜRTTEMBERG
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FRANCIA Monaco
220 kb/d
AUSTRIA
SVIZZERA
Tal 8
Il profondo scetticismo del PiS verso la Germania non è la causa principale del
deterioramento nei rapporti bilaterali, però ha contribuito. Se il partito dovesse ri-
vincere le elezioni in autunno, Berlino dovrà continuare a fare i conti con una
Polonia sicura di sé, fortemente sostenuta dagli Stati Uniti e avversa alla presunta
egemonia franco-tedesca in Europa. Se invece avesse la meglio l’opposizione, le
relazioni bilaterali migliorerebbero sensibilmente. Si aprirebbero nuove opportuni-
tà di cooperazione, specie in politica europea. Ciò non comporterebbe, tuttavia,
una riconciliazione totale. Nel settore energetico e nella politica climatica Varsavia
ha intrapreso una strada ben diversa rispetto a Berlino, che si prepara alla transi-
zione verso fonti di energia rinnovabili mentre la Polonia – ancora dipendente dal
carbone – punta sul nucleare.
Il vero pomo della discordia rimarrà, in ogni caso, il rapporto con Mosca. Resta
da vedere se i due paesi saranno in grado di raggiungere il loro più grande obiet-
tivo dal 1989: essere complici e non soltanto vicini di casa.
77
LA POLONIA IMPERIALE
COME I POLACCHI
LEGGONO LA RUSSIA WYCISZKIEWICZ
di Ernest
bolico tra la visione polacca e quella russa della regione avvenne nel 2004 quan-
do la Polonia supportò apertamente la «rivoluzione arancione» in Ucraina, primo
serio tentativo di Kiev di emanciparsi dalle infuenze russe. Gli anni successivi
sono costellati di attriti nelle relazioni polacco-russe, che infuiscono sull’approc-
cio sempre più rigoroso della Polonia alla Russia. Brevi momenti di distensione
cedono rapidamente il passo a tensioni politiche, economiche, sociali, storiche e
militari.
Un esempio dei primi tentativi di quantifcare e cartografare gli eccidi sovietici e le sorti dei de-
portati polacchi, tratto da una pubblicazione dell’emigrazione polacca a Londra nel 1948 (in Z.
STAHL, Zbrodnia Katynśka w świetle dokumentów, Londra 1989, Edizioni Gryf, p. 257). L’ordine
di uccidere circa 25.700 prigionieri polacchi fu redatto il 5 marzo 1940 da Berija e controfrmato
dal Comitato centrale del Partito composto da Stalin, Vorošilov, Molotov, Mikojan, Kalinin e Ka-
ganovič. Finora si dà per certa l’eliminazione di circa 22 mila prigionieri di guerra polacchi: 4.410
uccisi a Katyń (regione di Smolensk), 3.739 uccisi vicino a Kharkiv dal campo di Starobil’s’k,
6.314 a Ostakov (nella regione del Valdaj), 7.305 in altri campi e prigioni dell’Ucraina e Bielorus-
sia occidentali. Le autorità russe, che rifutano di qualifcare il massacro come «genocidio» (come
fa invece la giustizia polacca), hanno dichiarato nell’agosto 2004 che tutti i dossier con i nomi
delle vittime polacche furono distrutti nel 1959. Sono ancora circa 7 mila i soldati polacchi scom-
parsi in circostanze sconosciute. Si capisce perché la sigla della polizia politica segreta sovietica
Nkvd (Narodnyj Komissariat Vnutrennikh Del’) sia stata tradotta in polacco come «Nie wiadomo
kiedy wroce do domu» («Impossibile sapere quando tornerò a casa»).
(Da A. e P. MORAWSKI, Polonia mon amour, Roma 2006, Ediesse, p. 308).
83
COME I POLACCHI LEGGONO LA RUSSIA
3. C’è poi il mito dell’economia. Il dibattito polacco sui rapporti economici con
la Russia si è sviluppato per anni intorno a due temi: l’eccessiva ma apparentemen-
te inevitabile dipendenza dagli approvvigionamenti di energia, soprattutto petrolio
e gas naturale, e la fantomatica ricettività del mercato russo in perenne attesa di
prodotti e capitali polacchi.
A cadere per primo è stato il mito della dipendenza da materie prime impos-
sibile da rimpiazzare. Il processo ha avuto seriamente inizio dopo il tentativo russo
di scatenare diverse crisi sul mercato del gas manipolando le forniture alla Polonia,
fatto che ha annullato la credibilità di Gazprom quale fornitore. Per anni il mono-
polista russo ha sfruttato la sua posizione per far lievitare i prezzi in Europa centra-
le ben al di sopra della media Ue. Le società russe hanno anche tentato di infettare
il mercato polacco con pratiche dell’area ex sovietica: uso di rappresentanti ambi-
gui, pressioni politiche, controllo di infrastrutture e industrie strategiche. Quelle
che a prima vista sembravano offerte di mercato si rivelavano mosse politiche
volte a creare avamposti economico-fnanziari per esercitare infuenza sulla Polo-
nia e sulla Ue. I governi polacchi hanno ritenuto che andare incontro alle idee
russe avrebbe rappresentato un rischio troppo elevato, pertanto hanno rifutato di
aprire il mercato interno agli investimenti russi considerandoli una leva d’infuenza,
non un’opportunità di sviluppo. Contestualmente iniziavano a ridurre la dipenden-
za da Gazprom e tentavano di indirizzare la politica energetica dell’Ue in questa
direzione, anche se con scarso successo.
Il secondo mito è crollato con la prima ondata di sanzioni e controsanzioni
del 2014. In risposta alle restrizioni settoriali europee la Russia ha colpito il mer-
cato alimentare e agricolo polacco, contando di scatenare disordini sociali. L’ope-
razione non ha avuto successo, l’interscambio con la Russia è stato surrogato. Chi
fno a quel momento aveva creduto nell’Eldorado russo ha preso a diversifcare
le proprie attività e a limitare l’esposizione al vicino orientale. Fine dei racconti
sulle incredibili possibilità di espansione nel mercato russo. A titolo illustrativo, le
esportazioni polacche verso la Repubblica Ceca (10 milioni di abitanti) da qualche
anno sono oltre il doppio di quelle verso la Russia (140 milioni di abitanti); nel
2021 il valore dell’export verso la Germania era oltre il decuplo di quello verso la
Russia. L’aggressione all’Ucraina ha confermato la bontà della scelta: la politiciz-
zazione delle relazioni energetiche, commerciali e fnanziarie da parte del Crem-
lino ha fatto crollare l’interscambio russo con l’Unione Europea. Ricostituirlo nei
prossimi anni è assai poco probabile: stiamo assistendo a un decoupling senza
precedenti che, nel caso della Polonia, ha portato al totale rimpiazzo del gas rus-
so con altre forniture.
Entrambi i processi – indipendenza dagli approvvigionamenti di energia e in-
84 debolimento dei legami commerciali – hanno fatto sì che in Polonia siano venuti
LA POLONIA IMPERIALE
86
LA POLONIA IMPERIALE
LA POLONIA AMERICANA
È IL CUNEO TRA NOI RUSSI
E L’EUROPA di Dmitrij OFICEROV-BEL’SKIJ
smo e la teoria di Roman Dmowski sulla comunanza storica dei popoli slavi. En-
trambi ignoravano la realtà contingente. Il primo si basava infatti sulla presunta
inevitabilità di un’ulteriore disgregazione dello spazio già zarista e assegnava un
ruolo chiave alle aspirazioni indipendentiste di ucraini e caucasici. Il secondo ve-
deva nell’Urss la prosecuzione naturale della Russia storica e nel germanismo il
nemico naturale del mondo slavo. Tali rappresentazioni mistifcavano la realtà, ma
rispondevano a due esigenze ideologiche: accreditare l’idea degli opposti storici e
la conseguente necessità per la Polonia di perseguire una propria sicurezza.
Dopo la seconda guerra mondiale, quando la politica estera polacca era in gran
parte decisa a Mosca, questi concetti dovettero essere accantonati. Tra la diaspora
polacca, tuttavia, il prometeismo prosperò con Jerzy Giedroyc che all’apice della
potenza sovietica teorizzava la futura indipendenza di Ucraina e Bielorussia, dunque
la necessità di instaurarvi relazioni in chiave antirussa e anti-imperiale. La fne
dell’Urss conferì a quella teoria un’aura profetica e contribuì a farne la base dell’at-
tuale geopolitica polacca. Il pensiero di Giedroyc fu pubblicizzato dall’ex ministro
degli Esteri e infuente intellettuale Adam Daniel Rotfeld e a metà degli anni Duemi-
la fece la sua comparsa nei documenti uffciali. Per molti divenne una spiegazione
semplice e quasi universale degli scopi e dei metodi della politica estera polacca:
una trappola analitica in quanto antistorica, come la sua concezione originaria.
Dopo il crollo dell’Urss, ma soprattutto dopo l’ingresso nella Nato, i politici
polacchi hanno preso a considerare lo spazio ex sovietico come sfera di loro com-
petenza. La Polonia è divenuta instancabile fautrice dell’integrazione euroatlantica
delle repubbliche ex sovietiche, partecipando attivamente a diversi schemi di coo-
perazione che escludevano la Russia. In tal modo i leader polacchi intendevano
posizionarsi favorevolmente nelle relazioni con i partner euroatlantici portando in
dote capacità e una propria sfera d’infuenza, il che avrebbe reso Varsavia attore
indispensabile nella politica orientale di Nato e Unione Europea. Questo schiuse la
porta a fnanziamenti e cogestione dei dossier, creò rapporti speciali tra le élite ex
sovietiche e assicurò trattamenti preferenziali. Un simile approccio, però, era pos-
sibile solo se nello spazio ex sovietico le relazioni tra Russia e Occidente fossero
confittuali o quantomeno competitive. In caso contrario la posizione polacca sa-
rebbe stata erosa, mentre le maggiori potenze europee avrebbero benefciato dei
rapporti con Mosca.
2. Nella storia delle relazioni russo-polacche fgura una breve fase di norma-
lizzazione, o almeno di fnta spinta a cooperare. Questa fase segue la prima gran-
de crisi bilaterale dal termine della guerra fredda: l’intervento Nato in Jugoslavia
a fne anni Novanta. L’arrivo al potere di Vladimir Putin cambiò infatti la situazio-
ne. Il leader russo era visto con favore in Occidente e per non farsi eclissare dal
premier britannico Tony Blair e dal cancelliere tedesco Gerhard Schröder il presi-
dente polacco Aleksander Kwa£niewski provò a instaurare una buona relazione
personale con Putin. Il contatto diretto tra i due viene stabilito in un vertice nell’e-
88 state 2000, ma la normalizzazione delle relazioni sarà discussa successivamente.
LA POLONIA IMPERIALE
3. Per molti anni l’opinione pubblica polacca è rimasta fssa sul tema delle
colpe storiche della Russia. Sperando in una svolta, Putin fece un piccolo passo
avanti: «Devo dire onestamente che l’Unione Sovietica provò a dominare l’Europa
orientale e altri territori», dichiarò. «Ciò non benefciò il nostro paese, né i riluttanti
partner. Ma c’è un tempo per tutto, e questo è il tempo di reimpostare le relazioni
russo-polacche».
Il lavoro del Gruppo russo-polacco sulle questioni complesse avrebbe dovuto
concorrere a plasmare una visione consensuale sul passato storico. Stabilito nel
2002, era integrato da storici e politologi dei due paesi. Tuttavia lavorò solo spora-
dicamente, quando stimolato dai due governi e alla fne la parte russa maturò
l’impressione che l’obiettivo del ministro degli Esteri polacco Rotfeld, da cui era
partita l’iniziativa, fosse creare le condizioni per formulare e pubblicizzare critiche
a Mosca in modo permanente. Che fosse effettivamente così o meno, il risultato
fnale fu questo. Le opportunità di avanzare un’agenda positiva non furono sfrutta-
te, sebbene la modernizzazione della Polonia nei secoli XIX e XX fosse dipesa in
gran parte dalle strette relazioni con la Russia. La vicenda mostra chiaramente che
è meglio dialogare sul futuro che sul passato, perché ogni occasione di formulare
recriminazioni storiche verrà sicuramente usata.
Resta il quesito: perché, dopo una breve fase di normalizzazione, i rapporti
con la Polonia tornano a guastarsi? Anzitutto perché sono andate deteriorandosi le
relazioni Russia-Stati Uniti, inizialmente a causa della posizione del Cremlino sulla
guerra in Iraq. Poi ci furono le tensioni create dal sostegno occidentale alle «rivolu-
zioni colorate», cui seguirono gli attriti sul dispiegamento in Polonia e Repubblica
Ceca dei sistemi di difesa missilistica americani. La scarsa consistenza dei legami
russo-polacchi faceva dunque sì che questi dipendessero dai rapporti con paesi
terzi. La crescente integrazione della Polonia nella rete americana di alleanze (Na-
to) e nell’Unione Europea, con i relativi vincoli, condizionava Varsavia infuendo
negativamente sui suoi rapporti con Mosca.
Da allora Russia e Polonia non hanno più avuto un’agenda pragmatica su cui
intessere legami bilaterali. La dirigenza russa ha pertanto trovato più conveniente
sciogliere i nodi relativi alla Polonia e agli altri paesi della regione con gli Stati
Uniti e con l’Europa occidentale, piuttosto che con i diretti interessati. Così negli
anni Novanta, quando fu pianifcato l’allargamento della Nato; idem dieci anni
dopo, quando fu discussa l’installazione del sistema missilistico statunitense in Po-
lonia e in Repubblica Ceca; così anche più tardi, quando Russia e Germania deci-
sero di costruire il gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico. La dirigenza russa perce-
piva che le decisioni importanti fossero prese a Washington e che l’élite polacca
fosse iper-atlantista, più degli stessi americani. Questa idea era probabilmente cor-
retta, ma non è sempre opportuno agire unicamente sulla base di un’intuizione
giusta. Rifuggendo il poco promettente contatto con Varsavia, Mosca si è infatti
preclusa la possibilità di stabilire un dialogo diretto con la società polacca.
La trasformazione del mito polacco sui processi e sui problemi dello spazio
90 post-sovietico in tangibile infuenza ebbe luogo nel 2008. Al tempo il ministro degli
LA POLONIA IMPERIALE
IL POTERE DI PUTIN
Putin Presidenziali
Singolo 2024
Elezioni
2023
DI STATO (ALLINEATI/SILENTI)
LLINEATI/SILENTI) PRIVATI (IN BILICO)
Aleksej Miller Gazprom Oleg Deripaska Basic Element,
Element magnate
ma dell’alluminio
Igor’ Sečin Rosneft Mikhail Friedman Alfa Group, Alfa-Bank, di origini ucraine
German Gref Sberbank Roman Abramovič Agente di collegamento/negoziatore
Sergej Čemezov Rostech
4. Dai primi anni Dieci di questo secolo i legami tra Russia e Occidente sono
andate deteriorandosi dopo il tentativo di reset. In parte per la reazione occidenta-
le al ritorno di Putin alla presidenza e per la scarsa sostanza del tentato riavvicina-
mento. A prescindere dalle ragioni, l’indebolimento dei rapporti Russia-Occidente
va inquadrato nella tendenza di più lungo periodo al distanziamento tra Russia ed
Europa. Questo processo ha occupato gran parte del XX secolo, si è accelerato nel
1989 con le «rivoluzioni di velluto» nei paesi dell’ex blocco socialista e ha raggiun-
to l’apice nel confronto tra Russia e Occidente sull’Ucraina.
La perdita d’interesse per le relazioni con l’Europa da parte russa è stata gra-
duale e a lungo impercettibile. Questo processo riposa su presupposti oggettivi:
il declino delle potenze europee dopo la seconda guerra mondiale e la decolo-
nizzazione, la diminuzione del loro peso economico e demografco a livello mon-
diale, la parallela riduzione della loro impronta militare. Nel novembre 2003,
quando le relazioni russo-polacche erano forse al loro punto più alto, il presiden-
te polacco Kwa£niewski dichiarò al quotidiano russo Izvestija: «Se immagino la
Russia nella Ue? Certo. Ma la domanda è se i leader russi immaginano il loro pa-
ese in un’Europa unita. Non conosco la risposta». Il problema non stava solo nel
ripensamento delle relazioni con l’Europa; era più profondo. In linea di principio,
è infatti molto diffcile per la Russia pensarsi parte di qualcosa che non sia globa-
le. Questa visione non è frutto di megalomania, ma della combinazione tra di-
mensioni e percepite vulnerabilità, di un mutamento della scala di priorità e valo-
ri in un mondo che cambia.
È comunque diffcile sottostimare il ruolo dell’atlantismo, dell’America e dei
suoi più stretti alleati in Europa nel deterioramento dei rapporti. Un conto è pren-
dere atto che «un’Europa da Brėst a Vladivostok», per dirla con de Gaulle, è impos-
92 sibile; altro è la distruzione dei legami, inclusi i canali di comunicazione. La Polonia
LA POLONIA IMPERIALE
ha percorso questo sentiero ben prima di altri paesi e ha fatto molto affnché le
relazioni russo-europee fossero ridotte al minimo.
La politica polacca presenta delle sfumature. Mentre il presidente Lech
Kaczy8ski era più antirusso degli americani, dopo la sua morte il duo formato dal
premier Donald Tusk e dal presidente Bronisław Komorowski era concentrato
sugli interessi europei della Polonia e incline a un certo pragmatismo nelle relazio-
ni con Mosca. È noto che il ministro degli Esteri polacco del tempo, Radosław
Sikorski, non teneva in gran considerazione le relazioni con gli Stati Uniti, ritenen-
do la Polonia umiliata e bistrattata. Ciò produsse politiche più leali a Bruxelles e a
Berlino, con maggior diversifcazione dei legami.
A metà dello scorso decennio, le dinamiche geopolitiche dello spazio post-so-
vietico subiscono però un’accelerazione. Dopo il colpo di Stato a Kiev inizia una
guerra civile in Ucraina e la Russia si schiera. Il desiderio russo d’intrattenere un
rapporto consensuale con l’Occidente non svanisce, ma smette di essere un fne in
sé. Nel marzo 2014 la Crimea diventa parte della Russia e a maggio viene creata
l’Unione economica eurasiatica (Uee). Ciò non va visto come espansionismo, ma
come tentativo di arrestare la disintegrazione dello spazio ex sovietico salvaguar-
dando almeno alcuni interessi nazionali russi.
Quasi contemporaneamente, nel 2015 il partito Diritto e giustizia capeggiato
da Jarosław Kaczy8ski va al governo in Polonia. Per molti aspetti la nuova dirigen-
za polacca è molto simile a quella russa: entrambe perorano la salvaguardia dei
valori tradizionali e assegnano un posto centrale alla religione nella società, dun-
que adottano provvedimenti che tendono ad assomigliarsi. La grande, macrosco-
pica differenza è il rapporto con gli Stati Uniti. Eppure durante la presidenza di
Donald Trump, almeno inizialmente, alcuni analisti russi non scartano la possibi-
lità di una normalizzazione russo-polacca sulla scorta della presunta distensione
dei rapporti tra Mosca e Washington. Un esito non privo di paradossi, data la
russofobia dell’esecutivo polacco.
Negli anni successivi Varsavia, insieme ad alcuni dei più stretti alleati di Wa-
shington in Europa, assume una posizione del tutto intransigente verso la Russia:
una posizione che mira a recidere tutti i canali di comunicazione. Con il passare
del tempo lo sforzo non diviene tanto isolare la Russia, cosa impossibile, quanto
isolare l’Europa e non solo da Mosca. Si prenda la dichiarazione congiunta del
settembre 2019 sulla sicurezza delle reti 5G frmata dal vicepresidente americano
Michael Pence e dal premier polacco Mateusz Morawiecki, che bandiva la cinese
Huawei. Secondo Pence, il documento doveva essere «di vitale esempio per il re-
sto d’Europa».
Con la stessa logica Varsavia ha affossato ulteriori forniture di gas russo all’Eu-
ropa, contribuendo alla crescente ingerenza statunitense negli affari energetici eu-
ropei. Il danneggiamento di Nord Stream nel settembre 2022 è stato percepito in
modo diverso nei vari paesi europei, ma solo in Polonia è stato motivo di giubilo.
L’ex primo ministro – oggi parlamentare – Sikorski si è spinto a ringraziare pubbli-
camente gli Stati Uniti per il sabotaggio. 93
LA POLONIA AMERICANA È IL CUNEO TRA NOI RUSSI E L’EUROPA
Le richieste polacche di sanzioni alla Russia sono state molto più dure rispetto
a quelle di altri governi europei. Ciò ovviamente non ha benefciato l’Europa, con-
tribuendo alla sua cannibalizzazione da parte di Washington. I benefci per la Po-
lonia sono invece evidenti: dopo il Brexit essa è forse il partner più importante
degli Stati Uniti nella Ue, o comunque il più affdabile. Può dunque sfruttare la
debolezza del processo decisionale europeo per rallentarne i processi, specie nel
settore militare dove punta ad accrescere la cooperazione con l’America.
In cambio Varsavia ha l’opportunità di giocare un ruolo maggiore di quanto la
sua taglia le consentirebbe, restando pienamente sovrana pur continuando a gio-
varsi dell’integrazione europea e senza il timore che i propri interessi siano com-
promessi da Bruxelles. Anche nell’attuale situazione è la storia europea, più di
quella russa, che importa davvero alla Polonia, la quale continua a operare in base
alla logica descritta dal primo segretario generale della Nato, il britannico Hastings
Ismay: «Tenere i russi fuori, gli americani dentro e i tedeschi sotto».
A questa circostanza, percepita dalla Russia come minaccia assoluta ai propri
interessi, se ne aggiunge un’altra: Mosca sa che la Polonia continua a temere forte-
mente un confronto militare diretto con la Russia. Anche per questo il futuro
dell’Ucraina diviene fondamentale. Secondo Sikorski, all’inizio dell’operazione mi-
litare russa in Ucraina la dirigenza polacca esitava sulla possibile divisione del pa-
ese se la statualità dello stesso non potesse essere garantita. Ammesso che questa
opzione sia umana e accettabile, ambo le parti potrebbero provare a trovare un
punto d’incontro sul futuro del territorio ucraino.
94
LA POLONIA IMPERIALE
È PERCHÉ CONOSCIAMO
LA RUSSIA CHE LA TEMIAMO CORDES
di Miłosz J.
2. Quando il Regno di Polonia formò una blanda unione con la Lituania nel
XIV secolo, si era già espanso a est. Le propaggini occidentali della Rutenia (attua-
li Bielorussia e Ucraina) apparivano territori attraenti: politicamente deboli, proft-
tavano delle nuove rotte commerciali verso il Baltico e oltre, in direzione dei Paesi
Bassi e delle Isole britanniche. Gli insediamenti di Leopoli e Haly0 divennero in
pochi decenni importanti snodi commerciali. Anche la Lituania era interessata a
controllare quest’area, dunque l’unione con la Polonia placò la relativa contesa.
La nobiltà di Vilnius necessitava di un alleato forte per rintuzzare due minacce:
a ovest i cavalieri teutonici che insidiavano la regione lituana della Samogizia, a est
il Principato di Moscovia che cominciava ad affermare la propria supremazia sulla
periferia rutena. Questi due soggetti erano tanto ambiziosi quanto spietati e l’Unio-
ne polacco-lituana divenne presto il loro maggior rivale.
I successivi trecento anni furono costellati di guerre per Smolensk e Kiev. A
volte i moscoviti furono sull’orlo del collasso, come nel 1612 quando le truppe
polacco-lituane entrarono a Mosca. Altre volte fu la Confederazione a rasentare la
catastrofe, come tra i tardi anni Quaranta e i primi anni Cinquanta del Seicento
quando Varsavia e Vilnius dovettero fronteggiare più nemici insieme: svedesi, mo-
scoviti, cosacchi, tatari.
La lotta per Kiev fu la più intensa. Ambo le parti erano ben coscienti del suo
ruolo di fulcro dell’ortodossia orientale in Rutenia, da cui il grande valore simboli-
co. Aspirando a essere la Terza Roma, Mosca bramava il vantaggio della sacralità
per innalzare il proprio status e divenire un centro di potere per milioni di fedeli,
specie dopo che Costantinopoli era capitolata ai turchi. Ciò avrebbe anche potuto
aiutare ad attrarre i cosacchi ucraini, una forza potente ma quasi del tutto disorga-
nizzata utilizzabile da Mosca per i suoi scopi.
L’espansione a est fu forse il maggiore errore strategico compiuto dall’élite
polacca nel tardo medioevo e al principio dell’èra moderna. Spinse infatti il paese
lontano dal Mar Baltico, fonte di prosperità e sicurezza se il Regno polacco avesse
guadagnato un saldo accesso alle sue coste. Avendo invece scelto di espandersi in
Rutenia, l’inevitabile scontro con Mosca avrebbe richiesto un’affdabile alleanza con
i ruteni, cioè con i popoli che oggi chiamiamo bielorusso e ucraino. Questa allean-
za tuttavia mancò, in gran parte per l’avidità dei proprietari terrieri e per la bigotte-
ria dei controriformisti cattolici, ciechi alla realtà multiconfessionale della regione e
dei suoi abitanti. Ciò espose la Confederazione polacco-lituana a una progressiva
erosione e aiutò Mosca a costruire la Russia, principale artefce dell’indebolimento
e poi, sul fnire del Settecento, della caduta della stessa Confederazione.
Le spartizioni della Confederazione avvennero in una fase dove gli ideali della
Rivoluzione francese e l’incipiente industrializzazione aprivano un nuovo capitolo
96 per gli imperi e gli Stati nazionali. La Polonia non poté coglierne i frutti e agli occhi
LA POLONIA IMPERIALE
Stettino
Bydgoszcz Białystok
Kalisz Parczew
Łódź
Legnica Lublino
Breslavia
Wałbrzych
Dierżoniów Kielce Przemyśl
Centro spirituale
Bielawa Opole della Chiesa
Kolbuszowa grecocattolica
VERSO L’EUROPA Cracovia
OCCIDENTALE Rzeszów
Tarnów
Frontiera polacca nel 1939 Bytom
Frontiera polacca nel 1945 Katowice
Significative comunità ebraiche,
estate 1946 (216-250 mila persone) Bielsko-Biała VERSO LA
Violenze anti-ebraiche PALESTINA
Jaworzno ISRAELE
(700-1.500 vittime nel 1945-1948) Campo di
Pogrom (luglio 1946, 42 vittime) concentramento
Centri spirituali Chiesa ortodossa
Presenza tedesca nel 1948-49
Insediamenti ucraini dopo
l’Operazione Vistola (Akcja “Wisła”)
di molti polacchi del tempo il principale colpevole era lo zar russo. La Russia di-
venne sinonimo di schiavitù e tirannia; i polacchi, grazie all’infuenza del romanti-
cismo, si proclamarono paladini delle nazioni, sempre pronti a combattere per la
propria e l’altrui libertà.
Fu sempre nel XIX secolo che le élite russe cominciarono a percepire i polacchi
come cospiratori contro l’essenza del sistema politico. Furono i polacchi che briga-
rono con i decabristi e poi diedero avvio ai moti del novembre 1831, nonché a
quelli del gennaio 1863. Si dice che lo zar Nicola I abbia sentenziato: «Conosco solo 97
È PERCHÉ CONOSCIAMO LA RUSSIA CHE LA TEMIAMO
due tipi di polacchi: quelli che mi si sono ribellati contro e quelli che mi sono rima-
sti fedeli. I primi li odio, i secondi li detesto». Questa immagine si rafforzò negli
anni seguenti. Fu un polacco ad assassinare lo zar Alessandro II nel 1881; i socialisti
polacchi minacciavano le autorità russe nelle regioni occidentali dell’impero, sabo-
tando ferrovie e rubando l’oro dai convogli. Molti di essi furono spediti in Siberia,
il che rafforzò le convinzioni sulla natura oppressiva dell’imperialismo russo.
Allo stesso tempo, i membri dell’élite polacca svilupparono un senso di su-
periorità morale e culturale rispetto alla Russia e ai russi. È per questo che alcuni
di essi, soprattutto negli ambienti della destra nazionalista, sostennero San Pietro-
burgo nella sua lotta per guadagnare maggiore autonomia alle terre polacche
durante la prima guerra mondiale. Ai loro occhi la vera minaccia erano la Germa-
nia e i tedeschi, con la cultura tetragona e le buone doti organizzative che li di-
stinguevano. La Russia era invece associata al disordine, alla corruzione e all’op-
pressione insensata.
3. Tutto questo spiega perché gran parte degli intellettuali polacchi nutrisse
forti sospetti verso le due rivoluzioni che scossero la Russia nel 1917. L’abolizione
dello zarismo non era garanzia del fatto che le élite russe abbandonassero la poli-
tica imperialista e antipolacca. E i bolscevichi non erano meglio: vi era una forte,
intuitiva comprensione della natura del leninismo e del suo carattere distruttivo.
Quando i bolscevichi frmarono un trattato di pace con la Germania nel marzo
1918 a Brest, era chiaro che volessero solo guadagnare tempo per rafforzarsi e
colpire in un secondo momento.
La guerra polacco-bolscevica fu il culmine di questo pensiero. Non fu solo un
confitto ideologico, ma anche lotta per una nuova forma di dominio russo sull’Eu-
ropa centro-orientale iniziata sulla scia della Grande guerra e della caduta di Au-
stria-Ungheria e Germania. Il tentativo dei bolscevichi naufragò quando persero la
battaglia di Varsavia dell’agosto 1920, che secondo alcuni impedì loro di prosegui-
re per la Germania e l’Europa occidentale.
Ciò che le élite polacche potevano proporre in alternativa al sistema sovietico
era una blanda federazione di Stati nazionali in grado di sostenere la pressione
russa e quella tedesca. Nota come Intermarium, fallì a causa del confitto tra i suoi
membri sui confni, sull’infuenza politica e sulle identità nazionali. Soprattutto,
non valse ad arrestare il movimento verso una nuova guerra. Già prima del 1939 i
circoli militari e d’intelligence polacchi erano infatti al corrente di alcuni sviluppi
nell’Unione Sovietica innescati da Stalin: le purghe, gli arresti e la crescente rete di
campi d’internamento sono le prove generali delle politiche che la dirigenza sovie-
tica applicherà nell’Europa centro-orientale. I timori si rivelarono corretti: poche
settimane dopo la comunicazione di Molotov a Grzybowski, l’Nkvd (Commissaria-
to del popolo per gli affari interni, la polizia politica dell’Urss) iniziò gli arresti di
massa nei territori di recente acquisizione.
In Polonia i rastrellamenti culminarono nell’eccidio di 21 mila tra uffciali dell’e-
98 sercito, poliziotti e preti: un tentativo di annichilire l’élite intellettuale del paese per
LA POLONIA IMPERIALE
4. Gli accordi della tavola rotonda del 1988-89 crearono le premesse di una
pacifca transizione democratica che scrollasse di dosso al paese l’estranea domi-
nazione russo-sovietica. Indicativo che gli ultimi soldati russi abbiano lasciato la
Polonia il 17 settembre 1993, a 54 anni esatti dall’invasione del 1939. La Russia,
tuttavia, rimase argomento importante nel dibattito politico polacco. Le forze che
si opponevano alla politica del colpo di spugna – e che dunque si battevano per-
ché i funzionari comunisti fossero processati – accusavano i rivali di essere collusi
con i servizi russi.
Abbondavano i riferimenti al modo in cui si andava dispiegando la transizione
politico-economica oltre il confne orientale, anche in relazione ai problemi che la
Polonia affrontava in quel frangente. Il messaggio era: gli ostacoli non mancano,
ma nel complesso noi polacchi stiamo facendo bene, al contrario di altri. L’altro era
la Russia: il paese del crimine organizzato, dei traffci illeciti e della corruzione
endemica. Un riferimento negativo per spronare il paese all’occidentalizzazione
istituzionale.
La Russia era anche il paese teoricamente in grado di bloccare l’integrazione
con l’Occidente. Molti politici e intellettuali polacchi erano irritati dall’alta «sensibi- 99
È PERCHÉ CONOSCIAMO LA RUSSIA CHE LA TEMIAMO
lità per la Russia» delle loro controparti occidentali. Il vertice Nato-Russia del 2002
fu forse il boccone più amaro da ingoiare: ricordava all’Europa centrale e orienta-
le di non essersi totalmente affrancata dalla condizione di terra di mezzo tra due
attori globali. Ci sono voluti molti anni ancora per disfarsi di questo fardello e
convincere i partner euroatlantici della Polonia che gli sviluppi in Russia confgu-
ravano una minaccia sostanziale all’assetto di sicurezza post guerra fredda. Le
prese di posizione di Vladimir Putin, la guerra in Georgia del 2008, l’annessione
della Crimea e il confitto nel Donbas dimostravano che la Polonia e i suoi soci
regionali non erano mossi da irrazionale russofobia quando avvertivano circa i
veri scopi del Cremlino.
La tessera fnale del mosaico è stata posata il 24 febbraio 2022 con l’invasione
su vasta scala dell’Ucraina. Solo allora l’etichetta di russofobi è stata defnitivamen-
te tolta a quanti avevano percepito le azioni dello Stato russo in modo realistico,
forti di decenni se non secoli d’esperienza. Signifca che la Polonia e altre nazioni
dell’Europa centro-orientale resteranno antirusse? Non necessariamente. O che lo
sono per loro stessa natura? Nemmeno.
Il sistema politico russo ha stampato un’impronta dolorosa sulla regione, ma
le interazioni non sono state solo politiche e militari. Gli abitanti dell’area hanno
sempre intrattenuto un intenso dialogo culturale. In particolare, in Polonia e in
Russia la «gente comune» ha subìto un destino simile, vittima delle oppressive po-
litiche zariste e sovietiche che hanno spesso creato un senso di vicinanza e cordia-
lità a livello interpersonale. Ne sono scaturite storie e vicende condivise da scritto-
ri, poeti, giornalisti, attori e registi di lingua polacca e russa, come Krzysztof Zanus-
si, Aleksandr Domogarov o Viktor Erofeev.
La dimensione dei contatti bilaterali ha sempre apportato una misura di nor-
malità a una relazione altrimenti turbolenta e violenta. È anche la base di qualsiasi
cooperazione futura quando l’aggressione russa all’Ucraina dovesse fnire e il clima
politico generale consentisse una nuova coesistenza delle nazioni centro-esteuro-
pee basata sulla sovranità, sull’integrità territoriale e sulla libertà di scegliere il
proprio percorso di sviluppo.
100
LA POLONIA IMPERIALE
QUANTO CONTA
LA POLONIA
IN AMERICA di Federico PETRONI
Varsavia punta più sull’alleanza con la casta imperiale
washingtoniana che sugli 8 milioni di polacco-americani. L’eredità
di Brzezinski. Dove divergono gli interessi su Russia e Ucraina.
Rubinstein e la contestazione dell’ordine di Jalta.
Qui siamo liberi di lottare per la terra dei padri
Qui la crudeltà dei tiranni non ci raggiungerà
Qui le ferite infitteci si rimargineranno
T. Samolinska, Do rodaków, 1870
bili. Secoli di immigrazione hanno reso la Polonia parte della storia d’America. Ben
8,2 milioni di cittadini statunitensi richiamano una discendenza polacca. La loro
concentrazione in Stati chiave del Nord-Est e del Midwest li rende rilevanti nel
processo elettorale. Le associazioni della diaspora si propongono di difendere gli
interessi di Varsavia. Potenti congressisti hanno un’origine e un’affnità elettiva po-
lacca. Decenni di contatti tra i rispettivi apparati hanno creato una certa intimità, in
particolare nella difesa e nell’intelligence. E molte fazioni dell’élite della politica
estera esprimono una visione del mondo compatibile con gli interessi polacchi.
Nel corso del tempo, insomma, la Polonia ha sviluppato ramifcate reti di pres-
sione. Ma quanto sono effcaci? A cosa servono i polacchi d’America? Di quanti
gradi possono deviare la traiettoria statunitense a favore di Varsavia? Per risponde-
re, dobbiamo partire da una ventosa campagna della Pennsylvania.
chi d’America a vigilare sul governo degli Stati Uniti. A battersi affnché difenda la
terra dei padri. A non fdarsi del tutto.
1. M. BISKUPSKI, «The Origins of a Relationship: The United States and Poland, 1914-1921», The Polish
104 Review, vol. 54, n. 2, 2009, pp. 147-158.
LA POLONIA IMPERIALE
2. R. LUKAS, Bitter Legacy: Polish-American Relations in the Wake of World, Lexington 2010, University
Press of Kentucky. 105
QUANTO CONTA LA POLONIA IN AMERICA
3. P.G. VAUGHAN, «Beyond Benign Neglect: Zbigniew Brzezinski and The Polish Crisis Of 1980», The
Polish Review, vol. 44, n. 1, 1999, pp. 3-28.
4. J. POMFRET, From Warsaw with Love: Polish Spies, the CIA, and the Forging of an Unlikely Alliance,
106 New York 2021, Henry Holt.
LA POLONIA IMPERIALE
tale da impedire loro di costringere altri paesi nella loro orbita con la forza militare.
Sanno di non poter incidere sul cambio di regime al Cremlino. Tuttavia confdano
che la quarantena dall’Occidente crei una pressione interna suffciente a destabiliz-
zare il sistema. La fne della mentalità imperiale russa non è un progetto per l’im-
mediato, almeno non come i piani e le mappe polacco-ucraine di frammentazione
e decolonizzazione della Federazione, diffuse anche in qualche ambiente statuni-
tense. Tuttavia, Washington lo vede come unico orizzonte. A prescindere da quel
che accada in mezzo.
Chiudere defnitivamente la via di espansione russa verso Kiev equivale alla
fne della Russia come impero. Raccolta ora dall’attuale classe dirigente bideniana
(la vicesegretario di Stato Victoria Nuland in particolare), è la tesi di vita di Brzezin-
ski 5. Una vita dedicata, sin da quando ventenne annunciava al padre di volersi
iscrivere all’università, alla liberazione della Polonia dall’occupazione sovietica 6.
Brzezinski ha istituzionalizzato il punto di vista polacco a Washington.
delle associazioni etniche? Il legame con la terra degli avi è ancora così forte da
determinare il voto?
Anzitutto, la diaspora polacca è sempre stata male organizzata. Il primo mem-
bro del Congresso di queste origini risale agli anni Cinquanta. Chicago, chiamata la
Varsavia d’America, non ha mai avuto un sindaco polacco-americano. La comunità
irlandese è stata immensamente più compatta e in grado di esprimere politicamen-
te le proprie preferenze. A diluire la disciplina etnica è stata anche la distanza tra la
classe alta e i ceti bassi, anche per via dei diversi momenti dell’emigrazione, dunque
dell’assimilazione, negli Stati Uniti. Gli intellettuali hanno sempre esortato le masse
a sostenere la Polonia, come raccontano i versi poetici citati in apertura o il Santua-
rio della Madonna Nera. I loro sforzi sono spesso rimasti frustrati.
Inoltre, i polacchi d’America hanno votato secondo i propri interessi economi-
ci più che per l’approccio del governo alla patria ancestrale. Ai tempi di Roosevelt
votavano compatti (al 90% per il presidente democratico in tutte e quattro le sue
vittorie), ma perché rigidamente inquadrati in sindacati, cruciali per la coalizione
del New Deal. Oppure secondo la loro morale, più per la fede cattolica e un netto
conservatorismo sociale che per l’amor di (madre)patria.
La maggior parte di loro si è completamente americanizzata: secondo recenti
stime, soltanto un quarto (circa due milioni di persone) vota in quanto polacco-
americano 8. Ma anche in questo caso non vuol dire necessariamente solidarietà a
Varsavia. Polish American è una categoria etnica a sé. In pochi ancora disprezzano
i democratici «perché hanno svenduto la Polonia ai comunisti». L’ultima volta che
hanno giocato un ruolo di peso è stato negli anni Novanta e nel dibattito sull’al-
largamento della Nato a Varsavia. Il Pac e Brzezinski lanciarono una campagna di
pressione senza quartiere su stampa e istituzioni: si calcola che la Casa Bianca
abbia ricevuto nove milioni di petizioni in poche settimane nel 1993 9. La vittoria
dei repubblicani alle midterm del 1994 aiutò la fazione del governo Clinton a dare
al presidente una spinta decisiva a espandere la Nato, contro il parere del Penta-
gono, nella speranza di recuperare i suffragi delle diaspore centroeuropee 10.
Da allora, la solidarietà nazionale è scemata. Nel 2016, delle 27 contee più
polacche degli Stati Uniti, 22 hanno votato Trump perché situate in regioni econo-
micamente depresse. Per esempio la contea di Luzerne, Pennsylvania, l’unica d’A-
merica a maggioranza polacca, abitata da ex minatori, decisiva nella vittoria del
magnate newyorkese e attirata più dai suoi attacchi alla globalizzazione che per la
descrizione della Polonia come alleato modello in una Nato scroccona 11. Nel 2020
i polacchi hanno abbandonato Trump per le promesse di Biden di dare assistenza
sociale ai ceti dimenticati.
fo) o funzionari per periodi di studio (il Giappone). Per la Polonia queste sono
attività secondarie. L’Intermarium lo illustra bene. Pochi i ricercatori di nazionalità
polacca se ne occupano in America. Sono gli stessi think tank a ritenere strategico
per gli Stati Uniti federare diversi paesi attorno a Varsavia. Il più attivo è l’Atlantic
Council, sin dal suo famoso rapporto del 2014 Completing Europe, fra i cui autori
fgura Ian, il fglio di Brzezinski. Nel 2022, appena scoppiata la guerra, ha riaperto
un uffcio di collegamento a Varsavia, diretto da Daniel Fried, già nel Consiglio di
sicurezza nazionale sotto Clinton, tra i più entusiasti estensori della Nato a est,
parte della «trojka dell’allargamento». A diffondere il progetto hanno contribuito
Stratfor con George Friedman, il Center for a New American Security con Robert
Kaplan, il Center for European Policy Analysis con l’ex comandante dello U.S. Ar-
my in Europa Ben Hodges, l’Institute for World Politics con lo storico polacco-a-
mericano Marek Jan Chodakiewicz, vicino all’amministrazione Trump.
Il sostegno a queste iniziative è politicamente trasversale. Anche perché la
storia dell’Intermarium in America non è recente, ma quasi secolare. Nel corso dei
decenni sono arrivate correnti come il prometeismo (portato fra gli altri dal padre
dell’ex capo degli Stati maggiori riuniti John Shalikashvili) o come la Terza Europa
(promossa da intellettuali come Oskar Halecki o Feliks Gross) 12.
La popolarità dell’Intermarium negli Stati Uniti rivela una saldatura di interessi
tra americani (presidiare l’Europa in mezzo in funzione antirussa e antitedesca) e
polacchi (incardinarsi nell’Occidente recuperando antiche infuenze). E dimostra
plasticamente come si sia sviluppata nella classe dirigente una corposa nicchia
sensibile ai progetti geopolitici polacchi.
14. «Speech by Radosław Sikorski, Minister of Foreign Affairs of the Republic of Poland, Un Human
Rights Council», Ministero degli Esteri della Repubblica di Polonia, 25/2/ 2013. Rubinstein raccontò in
prima persona il fatto nella sua ultima intervista, rilasciata a Jan Tyskiewicz di Radio Free Europe a
Ginevra nel febbraio 1982. Morì il 20 dicembre dello stesso anno. 113
LA POLONIA IMPERIALE
USA-POLONIA
DUE CUORI E
UNA CASERMA di Reuben F. JOHNSON
1. Q
UANDO L’EX CONSIGLIERE PER LA
Sicurezza nazionale americano Zbigniew Brzezinski era vivo, non c’era maggior
sostenitore di una stretta relazione di difesa e sicurezza tra Stati Uniti e Polonia. Lui
e altri esponenti della diaspora polacca in America furono determinanti nel convin-
cere Washington a fare della Polonia uno dei tre ex membri del patto di Varsavia
a essere ammessi per primi nella Nato 1. Cementare quella relazione in qualcosa di
più permanente e indelebile era considerato il passo successivo.
Gli stessi ambienti polacco-americani spingono ora affnché Varsavia acquisti
sistemi d’arma statunitensi nella sua transizione dagli armamenti di èra sovietica a
quelli occidentali. Mentre gli altri due paesi est-europei del terzetto iniziale, Unghe-
ria e Repubblica Ceca, sceglievano di acquistare i caccia svedesi Saab Jas-39C e D,
già nel 2002 la Polonia puntava sugli F-16C e D in uso all’Aeronautica statunitense.
«Avevamo ragioni molto pratiche per scegliere quegli aerei», afferma un ex
funzionario dell’Inspektorat Uzbrojenia, l’Uffcio acquisti del ministero della Difesa
polacco (dal 1° gennaio 2022 ridenominato Agenzia degli armamenti). Eppure, per
diverse ragioni gli F-16 non erano l’opzione più attraente 2. Altri velivoli erano me-
no cari, avevano costi d’esercizio più bassi, o (come i Gripen) erano maggiormen-
te compatibili con i modelli di Budapest e Praga. Gli svedesi per i loro Saab offri-
vano un cofnanziamento statale e collaborazioni con industrie locali, il che avreb-
be benefciato alcune delle regioni polacche più povere, al tempo affamate di in-
vestimenti. Alla fne però la scelta cadde sugli F-16 americani perché, spiega la
1. R. ZIęBA, «The 20th Anniversary of Poland’s Accession to NATO», in D.S. HAMILTON, K. SPOHR (a cura
di), Open Door: NATO and Euro-Atlantic Security After the Cold War, Washington, D.C. 2019, Bro-
okings Institution Press, 2019, cap. 9.
2. B.R. SEGUIN, «Why did Poland Choose the F-16?», George C. Marshall European Center for Security
Studies, giugno 2017. 115
USA-POLONIA, DUE CUORI E UNA CASERMA
3. «US pledges to make Polish army «one of the most capable in Europe» amid talks on new arms
116 deals», Nfp (Notes from Poland), 21/4/2022.
LA POLONIA IMPERIALE
rati di sicurezza polacchi si è palesato. Gli Stati Uniti si sono mossi rapidamente per
fornire a Kiev quantità colossali di armi 4 e la Polonia è stata fn dall’inizio un ele-
mento cruciale di questo sforzo: ha fornito aeroporti e infrastrutture necessarie al
recapito di tali armamenti e ha aiutato a trasportarli via terra attraverso il confne
con l’Ucraina.
Il valore della Polonia per gli interessi di sicurezza statunitensi in Europa, tut-
tavia, non inizia e non si esaurisce con questa guerra. Un rapporto 5 pubblicato
dall’Atlantic Council nell’ottobre 2022 evidenzia che dal suo ingresso nella Nato,
nel 1999, «la Polonia si è affermata come bastione dell’alleanza sul fanco orientale.
Ciò è stato possibile grazie alla sua collocazione strategica e alla notevole crescita
economica, che le ha consentito di fnanziare la rapida espansione e modernizza-
zione delle sue Forze armate. L’esercito polacco è classifcato oggi il 20° più poten-
te al mondo» 6.
La Polonia è stata anche tra i pochi paesi europei a riprendere l’allarme ame-
ricano per l’eccessivo legame tra Russia e Germania, sposando appieno l’idea che
quell’interdipendenza fosse troppo pericolosa perché creava un confitto a Berli-
no tra gli obblighi insiti nell’appartenenza alla Nato e la ricattabilità da parte
russa attraverso la leva energetica. Da quando nel 2004 Varsavia è entrata nell’U-
nione Europea, i suoi governi hanno messo in guardia sulla crescente belligeran-
za di una Russia che usava il revisionismo storico e la presunta aggressività della
Nato per giustifcare il proprio rinnovato espansionismo. Da allora e soprattutto
dall’invasione russa della Georgia nel 2008, gli Stati Uniti sono divenuti sempre
più scettici sul valore dell’interazione con Putin, trovando piena sintonia con i
polacchi.
È in questa fase che l’allora presidente George W. Bush, il quale aveva intra-
preso un dialogo con Putin all’insegna della cooperazione e degli interessi condi-
visi, si volse contro l’ex agente del Kgb. Durante una riunione con i suoi consiglie-
ri di politica estera chiese loro di illustrargli quali potessero essere gli obiettivi fna-
li del dittatore russo. «Qual è la traiettoria di Putin?», fu la sua famosa domanda.
Particolare attenzione venne posta al gasdotto russo-tedesco Nord Stream. I polac-
chi presero, comprensibilmente dal loro punto di vista, a tracciare paralleli tra l’e-
norme infrastruttura e il patto Molotov-Ribbentrop del 1939 con cui russi e tedeschi
si accordarono segretamente per spartirsi la Polonia. Il gasdotto avrebbe infatti
consentito a Putin di aggirare le reti ucraine, esponendo così l’Ucraina e la stessa
Polonia al ricatto, potenzialmente anche a un atto di forza. Frattanto, anche il resto
dell’Europa sarebbe stata esposta al ricatto energetico russo. Di nuovo, gli Stati
Uniti furono tra i pochi Stati membri della Nato – insieme ai baltici – a spalleggiare
la Polonia nel sottolineare la pericolosità di un leader russo sempre più propenso
a risolvere i suoi problemi con l’aggressione esterna.
4. J. WILLIAMS, «Here’s every weapon US has supplied to Ukraine with $13 billion», The Hill, 26/8/2022.
5. D. FRANCIS, «Poland is leading Europe’s response to the Russian invasion of Ukraine», Atlantic Coun-
cil, 28/1/2023.
6. «2023 Poland Military Strength», globalfrepower.com 117
118
EST!EST!EST! - LA NATO RAFFORZA ESTONIA
2.200 militari Nato
IL FRONTE ANTIRUSSO Comando britannico
10.500 militari estoni
Quartier generale Truppe da: Danimarca, Francia
dei battaglioni Nato e Islanda
in Polonia, Estonia, EST.
Lettonia, Lituania LETTONIA
Mare 4.000 militari Nato
del Nord LETT. Comando canadese
Sorveglianza 7.500 militari lettoni
e pattugliamento LITUANIA Truppe da: Albania, Cechia, Italia,
costante Nato dei cieli Montenegro, Macedonia del Nord,
USA-POLONIA, DUE CUORI E UNA CASERMA
SL
SLOVACCHIA Lussemburgo, Paesi Bassi
1.100 militari Nato UNGHERIA e Norvegia
Comando ceco
13.500 militari slovacchi ROMANIA
ROMANIA
Truppe da: Germania, Paesi Bassi 4.700 militari Nato
e Slovenia Comando francese
UNGHERIA BULGARIA 75.000 militari romeni
900 militari Nato Truppe da: Paesi Bassi, Polonia, Usa,
Comando ungherese Macedonia del Nord e Portogallo
21.400 militari ungheresi BULGARIA
Sul fanco nord-orientale le Forze armate Truppe da: Croazia, Italia, 1.650 militari Nato
della Nato sono composte da 8 gruppi Montenegro, Turchia e Usa Comando italiano
da battaglia 27.400 militari bulgari
40 mila soldati sotto il diretto comando della Nato Truppe da: Albania, Grecia,
100 mila militari statunitensi schierati in Europa Macedonia del Nord, Turchia e Usa
130 aerei in stato di allerta
140 navi in mare Mar Mediterraneo
Pattuglie permanenti di ricognizione e vigilanza
Fonte: Nato
LA POLONIA IMPERIALE
del presidente Andrzej Duda cosa questi pensasse delle accuse tedesche, mi hanno
detto che la sua risposta era: «Sì, certo, è dal XVI secolo che esageriamo».
I moniti polacchi sono caduti nel vuoto. La Germania, dicono a Varsavia, «ha
scelto di ignorarli fno alla vigilia dell’invasione russa». Anche l’amministrazione Tru-
mp criticava la postura tedesca verso Mosca e sanzionò Nord Stream 2, misure poi
revocate da Biden. Le sanzioni di Trump alla Russia contribuirono però ad avvicina-
re l’America alla Polonia, il cui risentimento per il desiderio tedesco di «fare più affa-
ri possibili con i russi e preoccuparsi solo dopo della sicurezza» era già sensibilmen-
te cresciuto dopo il 2014. In quell’anno il maggiore produttore tedesco di armi,
Rheinmetall, costruì uno dei più moderni centri di addestramento dell’esercito russo.
Proprio mentre la Russia annetteva la Crimea e iniziava la guerra nel Donbas.
Situato a Mulino, vicino a Nižnij-Novgorod, il centro è costato circa 250 milio-
ni di euro e occupa una superfcie di circa 450 km2. Attualmente vi si addestrano
15 mila soldati, molti dei quali sarebbero destinati alla prossima offensiva russa. Un
comunicato stampa di Rheinmetall presentava l’infrastruttura come «un centro allo
stato dell’arte pensato per addestrare una fanteria meccanizzata rinforzata o una
brigata corazzata». Partner dell’azienda nel progetto era la compagnia di Stato russa
Oboronservis, sussidiaria del monopolista russo (sempre statale) dell’export bellico
Rosoboroneksport.
Intervistato nel luglio 2022 dal canale televisivo polacco Tvp, Piotr Grochmal-
ski del Centro polacco per lo studio della guerra ha descritto la base come «il più
moderno centro d’addestramento della Russia. La struttura è piena di elettronica
tedesca e francese fnalizzata ad addestrare fanteria e truppe corazzate. Formal-
mente il contratto è stato sospeso nel 2014, ma fno a poco tempo fa [cioè al 24
febbraio 2022] svariati subappaltatori tedeschi vi lavoravano» 7. Il centro riprende il
modello di un’infrastruttura usata dalla Bundeswehr ed era progettato per essere «il
più avanzato poligono d’addestramento del mondo». Secondo Grochmalski, Rhein-
metall lo aveva concepito come modello per altri progetti simili in Russia «nell’am-
bito dei piani di ammodernamento militare del Cremlino».
«È un peccato che aziende tedesche sostenessero e addestrassero direttamente
le Forze armate russe anche nel pieno dell’attacco all’Ucraina», constatava 8 un alto
consigliere del Senato statunitense subito dopo i fatti del 2014. La medesima fgura
ha affermato che la struttura consentiva all’esercito russo e alle unità specnaz del
Gru (l’intelligence militare russa) di aggiornare tecniche ed equipaggiamenti. Rap-
porti 9 mostrano le unità militari russe presenti nel Donbas, in Crimea e ai confni
dell’Ucraina alla vigilia dell’invasione sfoggiare nuove attrezzature di comunicazio-
ne, protezioni antiproiettile, armi e munizioni che hanno dato loro un notevole
vantaggio tattico nelle primissime fasi di guerra.
7. «Russian soldiers train at training ground built by German company», TVP World, 7/7/2022.
8. J. ROGIN, «Germany Helped Prep Russia for War, U.S. Sources Say», The Daily Beast, 22/4/2014 (agg.
il 12/7/2017).
9. R. SCARBOROUGH, «Tactical advantage: Russian military shows off impressive new gear», The Washin-
120 gton Times, 20/4/2014.
LA POLONIA IMPERIALE
Per lungo tempo politici polacchi come l’ex premier e ministro della Difesa
Radosław Sikorski hanno sostenuto che Berlino fosse pericolosamente cieca. Que-
sta cecità ha precipitato l’Europa nella peggiore guerra degli ultimi ottant’anni. In
un forum tenutosi nell’ottobre 2022 e sponsorizzato dal German Council on Forei-
gn Relations, Sikorski ha detto senza mezzi termini all’uditorio tedesco: «Questo
confitto disastroso è stato reso possibile dal fatto che voi non consideravate la
Polonia un paese Nato in prima linea, né la Russia una minaccia».
4. Questo e altri attriti con la Germania hanno spinto la Polona a forgiare una
relazione strettissima con l’America e a propugnare con forza una maggior presen-
za statunitense in Europa, invertendo la riduzione di truppe in corso dalla fne
della guerra fredda. In un’intervista del settembre 2022 al settimanale tedesco Der
Spiegel, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha affermato: «La crisi ucrai-
na dimostra che gli Stati Uniti sono il principale garante della sicurezza».
La Polonia ha anche sposato la linea statunitense sui pericoli insiti in una qual-
che forma di vittoria russa in questo confitto, foss’anche limitata al mantenimento
dei territori occupati nel 2014. Lasciare a Putin un trofeo da esibire al pubblico
potrebbe avere in prospettiva conseguenze disastrose, è il ragionamento. «Questo
non è un confitto regionale», ha detto il presidente polacco Duda all’Assemblea
Generale dell’Onu nel settembre 2022 10. «L’aggressione russa all’Ucraina rischia di
provocare una confagrazione globale. Questa guerra investirà direttamente o me-
no tutti i paesi – anche il vostro, se non l’ha già fatto».
Con ogni probabilità Washington seguiterà a rafforzare la relazione con la
Polonia. Nei prossimi due o tre anni il paese ospiterà verosimilmente basi america-
ne permanenti, sviluppo dell’attuale presenza sul territorio polacco. La dirigenza
ucraina ha detto che intende rafforzare il proprio esercito al punto da essere tal-
mente armato e addestrato da fungere da effcace deterrente contro ulteriori, futu-
re intenzioni aggressive della Russia. È questo un disegno che Washington e Var-
savia sostengono e che richiederà una maggiore presenza statunitense.
Al contempo, sottolinea l’Atlantic Council, la Polonia vede l’opportunità di
«riempire un vuoto geopolitico creato dalla declinante infuenza delle tradiziona-
li potenze europee». Dal 2016, con il Brexit, l’ascendente britannico sulla politica
estera del continente europeo è scemato; i fatti hanno mostrato che l’infuenza
russa può frustrare i migliori propositi della Francia di tenere testa a Putin; poli-
tica e aziende tedesche possono essere comprate con appalti, gasdotti e altri
incentivi. Pertanto, conclude il Council, «non è un caso che nel 2014 il dittatore
russo abbia scelto Germania e Francia per partecipare al formato Normandia, i
colloqui che avrebbero dovuto porre fne alla guerra iniziata da Mosca nell’Est
ucraino. Questo accordo è sfociato nei fallimentari accordi di Minsk, premessa
dell’invasione del 2022».
10. «Russia’s war in Ukraine should not be seen as regional confict, Polish president tells UN», Nfp,
21/9/2022. 121
USA-POLONIA, DUE CUORI E UNA CASERMA
122
LA POLONIA IMPERIALE
Parte II
la POLONIA
e la GUERRA in UCRAINA
LA POLONIA IMPERIALE
CENTRO DI GRAVITÀ
PERMANENTE MORAWSKI
di Paolo
1980-81 dall’elettricista Lech Wał™sa; poi sulla seconda Solidarno£©, forza clandesti-
na e combattente in una Polonia dominata dal generale Jaruzelski; quindi sulla
Solidarno£© di fne anni Ottanta, che cercava una propria via diversa da quella
della «vecchia guardia»; ancora sulla quarta Solidarno£© vincitrice a sorpresa delle
prime elezioni semilibere del 1989; subito dopo sulla quinta Solidarno£©, diventata
post-Solidarno£© e ascesa al governo del paese con il premier Tadeusz Mazowiecki
e il presidente Lech Wał™sa; infne sulle molte Solidarno£© nate dai partiti da essa
derivati che ancora oggi si contendono l’eredità dell’«originale».
Come risultato di queste sovrapposizioni, la solidarietà è diventata caposaldo
ideale della società polacca. Lo Stato polacco più di altri ha incorporato l’idea della
solidarietà nella propria costruzione e narrazione pubblica, anche a livello ideologi-
co e di programmazione politica. Come precisa però Basil Kerski, direttore dell’Ecs
(Europejskie Centrum Solidarno£ci) di Danzica, la solidarietà incorporata nella sfera
pubblica dovrebbe corrispondere a «uno Stato ben funzionante con un sistema po-
litico che garantisca sicurezza, istruzione universale, un servizio sanitario funzionan-
te, giustizia sociale, protezione dell’ambiente, libertà di religione e di opinione. Non
può quindi esistere solidarietà nella dimensione dello Stato nazionale senza plurali-
smo democratico, Stato di diritto e rispetto dei diritti delle minoranze. La solidarietà
non può essere il privilegio della maggioranza in uno Stato nazionale, (…) privilegio
di un gruppo selezionato – etnico, religioso – o di una qualche autorità» 2.
Oggi in Polonia la battaglia politica si svolge nell’ambito della defnizione e
dell’applicazione di quella che dovrebbe essere la solidarietà «alla polacca». C’è chi
la intende in maniera selettiva, mirata per esempio al proprio elettorato; e chi vuo-
le applicarla alla pluralità dell’ampio spettro socioculturale nazionale, includendo
tutte le minoranze e componenti.
In una retorica e problematica permanenza della solidarietà si è innestato dal
febbraio 2022 il fortissimo appoggio polacco a governo e popolo ucraini traftti
dalla guerra. La parola solidarietà «ha acquisito nuova credibilità e nuova luce nel-
la lingua polacca», annota ancora Kerski. L’aiuto spontaneo, generoso, capillare e
diffuso agli ucraini aggrediti dalla Federazione Russa «è gratifcante, perché dimo-
stra la forza sociale e umanitaria dei polacchi». Da una parte armi, munizioni, for-
mazione militare: tipologie di aiuti pertinenti alla sfera dello Stato. Dall’altra, i po-
lacchi (le persone) inviano in Ucraina generi alimentari, vestiti, medicinali,
attrezzature e quanto può essere utile laggiù; accolgono i rifugiati in casa propria,
nelle seconde case e negli immobili sftti, sovvenzionandoli con collette presso
amici e parenti.
I dati riferiscono di circa 9,9 milioni di ucraini entrati in Polonia dall’inizio del-
la guerra (2 milioni nel solo marzo 2022) e di circa 1,6 milioni di ucraini registrati
come rifugiati 3. Ma non è semplice stabilire quanti siano veramente. Il quadro è
complesso, essendo l’ondata migratoria ucraina verso la Polonia decollata a partire
2. B. KERSKI, «Za waszº i naszº wolno£©» («Per la vostra e la nostra libertà»)», Solidarno£© europejska w
czasach wojny (La solidarietà europea in tempo di guerra), Forum dialogu, 17/10/2022.
126 3. Dati Unhcr al 21/2/2023 e Straż Graniczna al 13/2/2023.
LA POLONIA IMPERIALE
dal 2014 in seguito all’esenzione del visto e all’apertura del mercato del lavoro
polacco. A fne 2021 c’erano in Polonia oltre 300 mila ucraini con regolare permes-
so di soggiorno: l’80% per motivi di lavoro, il 60% nella fascia d’età 18-40 anni e il
54% uomini, con la maggiore concentrazione nel quadrilatero Varsavia-Craco-
via-Wrocław-Pozna8 e con un graduale aumento della permanenza a lungo termi-
ne 4. Gli ucraini in Polonia prima della guerra lavoravano soprattutto nei servizi
domestici, nei negozi, negli alberghi, nei cantieri. Senza dimenticare il fenomeno
dei transfrontalieri che lavorano in Polonia e dormono in Ucraina. Dal 24 febbraio
2022 milioni di ucraini hanno attraversato i 535 chilometri della frontiera ucrai-
no-polacca facendo saltare qualsiasi sistema di registrazione e censimento. A scap-
pare soprattutto donne, bambini, anziani. Si ripara in Polonia a titolo precauziona-
le o per fuggire dalle aree di combattimento e dalle città bombardate.
Gli ucraini già presenti in Polonia hanno attratto familiari, parenti, conoscenti
e amici di amici, agevolando l’inserimento dei nuovi arrivati e facilitando ai polac-
chi lo slancio di ospitalità. Parte dei rifugiati ha attraversato la Polonia dirigendosi
verso altri paesi, europei e non. Taluni sono rimasti per qualche tempo e poi sono
tornati in Ucraina. I dati indicano nell’anno di guerra circa 7,9 milioni di attraversa-
menti della frontiera in direzione dell’Ucraina 5. Altri fuggendo sono passati dalla
Moldova e da lì in Romania. Chi non è rimasto in Romania o non è emigrato più a
ovest, è passato in Bulgaria (spesso i più ricchi si sono comprati casa lì) o si è di-
retto in Polonia.
La società polacca ha retto l’urto e si è prodigata nell’accoglienza aprendo
appartamenti, stringendosi nelle stanze, tirando la cinta. Circa 2 milioni di persone
hanno trovato tetto e letto, 160 mila solo a Varsavia (un numero di nuovi abitanti
pari alla popolazione di Perugia, o di Ravenna). Il governo per mesi è stato supe-
rato dagli eventi: la stragrande maggioranza dell’accoglienza è avvenuta «dal bas-
so», a livello di famiglie e di singoli individui, di volontari, associazioni, ong, par-
rocchie e comunità religiose. L’Ucraina è così entrata nella dimensione immediata
e quotidiana dei polacchi. Poi si sono mosse le istituzioni, le amministrazioni loca-
li. Il governo ha introdotto il Pesel (numero di identifcazione) che ha consentito ai
rifugiati ucraini di rimanere in Polonia sei mesi senza visto, di lavorare, di compra-
re beni e proprietà, di accedere ai servizi sanitari sullo stesso piano dei cittadini
polacchi, di ricevere soldi dallo Stato. Persino nelle scuole ci si è preoccupati di
garantire un minimo di bilinguismo per venire incontro ai bambini ucraini. Oggi i
punkty pomocy, gli sportelli di aiuto attivi sul territorio polacco, restano oltre mille.
Non si è dovuto creare nemmeno un campo profughi.
In un anno si sono accumulati molti effetti imprevisti. È saltato ogni equilibrio
nel mercato immobiliare: essendo le case occupate da ucraini, affttare per un cit-
tadino polacco (si pensi agli studenti) è diventato impossibile. Anche sul mercato
4. Obywatele Ukrainy w Polsce – Raport (Cittadini ucraini in Polonia), Urzºd do Spraw Cudzo-
ziemców (Uffcio per gli stranieri), 14/12/2021; Statystyka migracji na mapie Polski (Statistiche sulla
migrazione sulla mappa della Polonia), migracje.gov.pl. Grazie a Lucia Pascale per la segnalazione.
5. Dati: Unhcr al 21/2/2023, «Ukrainian in Poland» al 21/2/2023, Straż Graniczna al 13/2/2023. 127
CENTRO DI GRAVITÀ PERMANENTE
2. Gli inni «ai veri polacchi che lottano contro la ucrainizzazione della Polonia»
trovano terreno fertile nel sostrato di odio e nel desiderio di vendetta per i crimini
commessi dagli ucraini contro i polacchi in Volinia (tra Podolia e Polessia) durante
la seconda guerra mondiale. Tenuto conto del peso delle memorie storiche in Po-
lonia, dell’uso politico e dell’abuso intellettuale fn troppo diffuso delle vicende
storiche 9, delle precarietà del welfare nazionale e della scarsità di certi impieghi,
l’affusso di milioni di ucraini nell’arco di poco tempo ha creato – soprattutto nelle
grandi città – le premesse di una possibile guerra tra poveri e forse di tensioni et-
niche. Capita di ascoltare polacchi che dicono: «Appoggio l’Ucraina ma non sop-
porto gli ucraini». Tuttavia fnora niente di grave è accaduto, non c’è reale confitto.
Come si spiega?
A favore della pacifca coabitazione gioca forse il fatto che la massiccia presen-
za ucraina non ha acuito la crisi della classe media polacca, la quale proftta dei
settori insediati dagli ucraini nonostante in Polonia si assista a un notevole rallen-
tamento dell’economia 10. Infazione (tra le più alte in Europa) e forte rincaro dell’e-
nergia complicano non poco la vita di ampi strati della popolazione. Cresce il nu-
mero dei poveri, aumenta il lavoro nero, si estende la zona grigia tra attività legali
(tassabili) e non. Si moltiplicano intanto gli scandali, gli episodi di corruzione, le
6. Grazie a Kasia Morawska per la segnalazione.
7. «Marsz Narodowców przeszedł ulicami Wrocławia. Hasła – antyukrai8skie i antyeuropejskie» («La
marcia dei nazionalisti ha attraversato le strade di Breslavia. Slogan anti-ucraini e anti-europei»),
Echo24, 11/11/2022; «Marsz niepodległo£ci 11 listopada 2022! Jak cała Polska obchodziła £wi™to w
Warszawie?» Życie to flm («Marcia dell’indipendenza 2022! In che modo la Polonia ha celebrato la
festa a Varsavia?)», blog La vita è un flm, 13/11/2022; «Marsz Niepodległo£ci 2022» («Indipendenza
marzo 2022»), Pyta.pl, 12/11/2022; «Konfederacja: Stop ukrainizacji Polski – konferencja prasowa»
(«Konfederacja: Stop all’ucrainizzazione della Polonia – conferenza stampa»), 3/8/2022; Stop ukraini-
zacji Polski (Stop all’ucrainizzazione della Polonia), Konfederacja Korony Polskiej, luglio 2022.
8. «Wywiad Prezydenta dla Le Figaro» (Intervista del presidente a Le Figaro), presidenza della Repub-
blica di Polonia, 11/2/2023.
9. G. CRAINZ, Ombre d’Europa. Nazionalismi, memorie, usi politici della storia, Roma 2022, Donzelli,
in particolare pp. 135-154.
10. «Polska gospodarka mocno wyhamowała. GUS podał nowe dane» («L’economia polacca ha forte-
128 mente frenato. GUS-Istituto centrale di statistica ha diffuso nuovi dati»), Rzeczpospolita, 28/2/2023.
LA POLONIA IMPERIALE
15. A. GRAZIOSI, L’Ucraina e Putin tra storia e ideologia, Roma-Bari 2022, Laterza.
16. B. KERSKI, «Renewing the promise of European solidarity», New Eastern Europe, n. 1, 2023, genna-
130 io-marzo, p. 12.
LA POLONIA IMPERIALE
17. M. NOWICKI, «P™kanie Rosji b™dzie coraz bardziej gwałtowne. Amerykanie przerażeni» («Il crack
della Russia sarà sempre più violento. Americani terrorizzati»), Newsweek Polska, 18/2/2023; P. MAZUR,
«Rozpad Rosji jest realny. Amerykanie poczuli krew» («Il crollo della Russia è reale. Gli americani
hanno sentito l’odore del sangue»), Newsweek Polska, 17/2/2023; «Rosja rozpadnie si™ na mniejsze
pa8stwa? Ameryka8ski politolog kre£li możliwe scenariusze» («La Russia si frantumerà in Stati più
piccoli? Un politologo americano delinea possibili scenari»), Dziennik Gazeta Prawna, 8/1/2023.
18. «Speech by President of Ukraine Volodymyr Zelenskyy during the joint participation with Presi-
dent of the Republic of Poland Andrzej Duda in the plenary session of the Verkhovna Rada», parla-
mento della Repubblica di Ucraina, 22/5/2022. 131
CENTRO DI GRAVITÀ PERMANENTE
nuovo millennio richiede che ucraini e polacchi non rimangano schiavi di tristi
ricordi del passato») e che affermi: «L’unità delle nostre nazioni deve durare per
sempre. Non deve mai più essere disonorata dall’inimicizia». Va messo in relazio-
ne al contesto di fondo. Ad avvelenare i rapporti tra polacchi e ucraini sono an-
cora gli spettri della seconda guerra mondiale. Per Grzegorz Motyka, tra i massimi
storici polacchi sul tema, il numero più probabile di polacchi uccisi dagli ucraini
nel 1943-44 fu di circa 100 mila: 60 mila in Volinia e 40 mila in Galizia orientale.
Si trattò di «pulizia etnica a carattere genocida» pianifcata ed eseguita con freddez-
za su civili per lo più inermi 19. Circa 10-15 mila ucraini furono uccisi nelle azioni
di rappresaglia polacche, anch’essi in gran parte civili. Altri da ambo le parti avan-
zano cifre molto più alte.
Nel luglio 2018, per il 75° anniversario dei massacri in Volinia, Andrzej Duda
si recò in Ucraina, a Olyka. Usò il termine «genocidio» (ludobójstwo) per defnire le
stragi di polacchi 20: «Non soldati, gente comune, contadini che coltivavano la terra,
intere famiglie, donne, bambini, anziani». Non era una «guerra tra Polonia e Ucrai-
na», affermò il presidente polemizzando con la narrazione ucraina dominante. «Fu
pulizia etnica». I nazionalisti ucraini, spiegò, volevano allontanare i polacchi dalle
zone a maggioranza ucraine che tra le due guerre appartenevano alla Polonia. A
deciderlo fu l’organizzazione ucraina Oun-B, fazione di Bandera, disse; a eseguire
i massacri fu l’Esercito insurrezionale ucraino (Upa). Le successive rappresaglie
polacche furono compiute di conseguenza. Anch’esse uccisero soprattutto civili:
«persone comuni, ucraini comuni, contadini comuni dell’altra parte, dell’altra nazio-
ne». Ma con «sproporzione evidente», chiosò, in polemica con la versione ucraina
che equipara l’azione dell’Upa e le vendette polacche, inaccettabile per Varsavia.
Poi, appellandosi alla «verità storica» e all’«amicizia tra i nostri popoli» che «deve
essere basata sulla verità», Duda fece la seguente richiesta: «Vorrei che a ognuno di
quei polacchi uccisi e sepolti in questa terra [ieri polacca, oggi ucraina] venissero
restituiti nome e cognome, che venissero contrassegnati i luoghi in cui riposano,
cosicché i familiari possano venire, deporre fori, pregare, accendere una candela,
(…) versare una lacrima sulla tomba del proprio caro. (…) Vorrei che le autorità
ucraine lo permettessero» e che le istituzioni polacche possano svolgere ogni ne-
cessaria verifca sul campo 21.
Era il 2018 e i rapporti polacco-ucraini, racconta l’esperta Bogumiła Ber-
dychowska, «erano complicati. La colpa era di entrambe le parti, venne a mancare
la sensibilità. (…) In particolare gli anni che hanno preceduto la guerra in Ucraina
sono stati snervanti. Sembrava che stessimo vagando, polacchi e ucraini, in un vi-
19. G. MOTYKA, Woły8 ‚43 (Volinia ’43), Kraków 2016, Wydawnictwo Literackie; G. MOTYKA, Od rzezi
woły8skiej do akcji «Wisła». Konfikt polsko-ukrai8ski 1943-1947 («Dal massacro della Volinia all’O-
perazione Vistola. Confitto polacco-ucraino 1943-1947»), Kraków 2014, Wydawnictwo Literackie.
20. «Wystºpienie Prezydenta RP podczas wizyty na Wołyniu» («Discorso del presidente della Repub-
blica di Polonia durante la sua visita in Volinia»), Presidenza della Repubblica di Polonia, 8/7/2018.
21. A fne 2021 l’Ucraina ha dato segni di disponibilità in tal senso, cfr. «Dworczyk: władze Ukrainy
chcº rozwiºza© trudne sprawy w relacjach polsko-ukrai8skich» («Dworczyk: le autorità ucraine voglio-
132 no risolvere questioni diffcili nelle relazioni polacco-ucraine»), Polskie Radio24, 11/11/2022.
LA POLONIA IMPERIALE
colo cieco» 22. Le maggiori controversie riguardano ancora oggi il giudizio sull’Upa.
Per la parte polacca è il male, i suoi guerriglieri dei criminali. Per la parte ucraina
ci fu qualche pecora nera, ma quei combattenti restano eroi della lotta per l’indi-
pendenza ucraina: prima contro i tedeschi, poi contro l’Armata Rossa, gli occupan-
ti sovietici e l’Nkvd. I polacchi vorrebbero esumare i corpi delle vittime e costruire
cimiteri polacchi nei luoghi simbolici, gli ucraini chiedono di ricostruire in Polonia
i monumenti ucraini distrutti nel 2016. I polacchi difendono il loro operato nel
ventennio 1918-39 e la costituzione della seconda Rzeczpospolita polacca che ga-
rantiva a tutte le minoranze uguali diritti; gli ucraini accusano i polacchi di averli
trattati come cittadini di serie B, di aver cercato di assimilarli con la forza, di non
aver concesso alcuna autonomia alle province orientali nelle quali erano maggio-
ranza, di aver represso ogni loro aspirazione nazionale, di averli imprigionati negli
anni Trenta in campi di concentramento e poi di averli brutalmente sfollati nel 1947
(Operazione Vistola).
La parte ucraina rinfaccia insomma alla parte polacca di non riconoscere che
la Confederazione polacco-lituana non fu uno Stato «nazionale», bensì un paese
composito con molti eredi (lituani, bielorussi, ucraini), non solo polacchi. Questi
ultimi sono criticati per aver cavalcato dal 1848 l’idea che la nazione ucraina non
esista e non abbia diritto di esistere, a differenza di quella polacca. Riassume
Grzegorz Motyka: «La Galizia orientale era abitata principalmente da ucraini gre-
co-cattolici, polacchi romano-cattolici ed ebrei. Ucraini e polacchi ritenevano che
la Galizia orientale dovesse appartenere esclusivamente a loro. A peggiorare le
cose, negavano agli altri gruppi nazionali il diritto di cogestire quel territorio» 23. I
polacchi accusano invece i nazionalisti ucraini di volere un’Ucraina indipendente
estesa all’intero «territorio etnografco ucraino», dal medioevo passato più volte di
mano, anche ai polacchi. I contrasti riguardano anche l’uso delle parole: pulizia
etnica, genocidio. I polacchi furono uccisi in quanto tali (gruppo etnico) o in
quanto contadini, proprietari (gruppo sociale)? Ciò che è accaduto in Volinia,
infne, non può essere disgiunto dalla presenza e dalla sorte delle comunità
ebraiche 24.
Secondo lo storico ucraino Ihor Iljuszyn, «un compromesso [ucraino-polacco]
sarebbe possibile solo se, nel valutare ciò che accadde sul territorio di residenza
comune di polacchi e ucraini durante la seconda guerra mondiale, storici e poli-
tici di entrambi i paesi cominciassero a prendere in considerazione criteri non
nazionali, ma puramente umani. Dio ci ha creati tutti come esseri umani e siamo
diventati polacchi, ucraini, ebrei o russi solo in un secondo momento. Se non
guardiamo ai tragici eventi da questa prospettiva, non ci sarà mai reciproca com-
prensione» 25. Per Bogumiła Berdychowska, «il consiglio è uno solo: parlare con
rispetto del partner e della sua sensibilità. Non arriveremo a una valutazione iden-
tica in tutto, l’interpretazione di quanto accaduto rimarrà in certa misura diversa.
Dovremmo essere pronti ad accettare di non essere pienamente in accordo. Sono
convinta che l’attuale qualità delle relazioni polacco-ucraine sia tale da rendere
possibile questo approccio» 26.
Questi cenni bastano a evocare l’estrema complessità del dialogo polacco-
ucraino, che volenterosi studiosi e politici dei due paesi hanno impostato dopo
il 1991 riprendendo le fla del discorso avviato dall’emigrazione polacca nella
seconda metà del Novecento. Storici polacchi e ucraini hanno animato i semina-
ri del ciclo «Polonia-Ucraina: questioni diffcili», che hanno affrontato tutte le
questioni più controverse instaurando una piattaforma di reciproche conoscen-
ze, scambi documentali, confronti su una trentina di temi spinosi 27. Nel 2003, in
occasione del 60° anniversario dei massacri in Volinia, ha avuto luogo uno dei
più importanti dibattiti storici tra polacchi e ucraini. È stato allora che per la pri-
ma volta in Ucraina si è discusso dei crimini ucraini con ampia risonanza nei
media. Negli ultimi trent’anni non si contano i gesti simbolici di riconciliazione a
livello istituzionale, che hanno stimolato piccoli passi in avanti. Il culmine è av-
venuto quando Polonia e Ucraina hanno organizzato insieme gli Europei di
calcio 2012.
Nel frattempo però, il dialogo sulla «storia che divide» tendeva a spegnersi in
Polonia, soprattutto con i governi del PiS. Nel 2017 il Forum di dialogo polacco-u-
craino è stato sospeso. Oggi la priorità è aiutare l’Ucraina a difendersi dalla Russia.
Ogni richiesta e aspettativa polacca è accantonata. La solidarietà polacca agli ucrai-
ni in guerra aiuta a far passare il messaggio che «la verità va detta con forza e chia-
rezza», ma per parte polacca «non si tratta di vendetta né di ritorsione, (…) non di
perseguitare, né di togliere». Forse i polacchi dovrebbero capire le diffcoltà degli
ucraini ad ammettere le proprie colpe 28. I recenti gesti e sforzi sono evidenti, l’at-
25. «Wywiad: Trudne tematy polsko-ukrai8skie. O percepcji wydarze8 na Wołyniu w latach 1942-
1944 z prof. Ihorem Iljuszynem rozmawia Roman Romantso» («Intervista: argomenti diffcili polac-
chi-ucraini. Sulla percezione degli eventi in Volinia nel 1942-44. Roman Romantso parla con il profes-
sor Ihor Ilyushin»), Ohistorie, 10/10/2019.
26. Si veda nota 21.
27. R. NIEDZIELKO (a cura di), Polska-Ukraina: trudne pytania (Polonia-Ucraina: domande diffcili),
vol. 1-10, Varsavia 1998-2006, O£rodek Karta; Polska-Ukraina: trudna odpowied} (Polonia-Ucraina:
una risposta diffcile), Naczelna Dyrekcja Archiwów Pa8stwowych-O£rodek Karta, Warszawa 2003:
«Le domande che polacchi e ucraini si erano posti a vicenda (…) hanno fnalmente trovato una rispo-
sta. Dopo decenni di silenzio, nel corso di nove anni (1993-2003) si è svolto un notevole processo di
collaborazione per scoprire la verità sul crimine di massa che ci aveva “separati per sempre”. (…)
L’accordo raggiunto, tuttavia, non sembra suffcientemente diffuso e duraturo».
28. «Fu genocidio, perché lo scopo era effettuare una pulizia etnica uccidendo i polacchi, per ripulire
quella terra dalla minoranza polacca. (…) Tema diffcile, per noi immensamente doloroso, che richiede
che la verità sia detta con fermezza. Per gli ucraini è diffcile perché è estremamente imbarazzante. (…)
Anche noi polacchi dovremmo capire che coloro che sappiamo essere stati assassini, erano allo stesso
tempo, per l’Ucraina, in altri luoghi, in altri tempi e con un nemico diverso, eroi morti spesso per mano
dei sovietici combattendo (…) per un’Ucraina indipendente, libera». Così Duda citato in «Prezydent:
prawda o rzezi woły8skiej musi by© mocno wypowiedziana, ale nie chodzi o odwet» («Presidente: la
134 verità sulla strage di Volinia va detta con fermezza, ma non si tratta di ritorsioni»), Dzieje, 11/7/2022.
LA POLONIA IMPERIALE
mosfera è cambiata in positivo. Ma la Volinia resta la grande ferita aperta che può
ancora inasprire le relazioni bilaterali.
agli ucraini. Per porre fne alle rivalità reciproche, si asseriva, nessuna nazione de-
v’essere più pedina di un’altra e a tal fne si considerava decisiva la collaborazione
tra tutte le popolazioni interessate.
Questi ragionamenti erano il frutto di una visione politica ampia dell’Europa,
comprendente sia l’Europa centro-orientale sia l’Urss che allora la dominava al ripa-
ro della cortina di ferro. Colpisce la loro incredibile attualità. La logica dell’appello
ha fatto strada nelle classi dirigenti esteuropee, per vie carsiche ha impregnato il
processo di «pensare l’Est a est». Siamo per molti versi ancora in quel paradigma.
Signifcative al riguardo le recenti dichiarazioni di Duda: «Nonostante il passato diff-
cile, siamo oggi consapevoli che il buon vicinato può essere elaborato. O siamo
insieme in quest’ora decisiva e ci sosteniamo a vicenda, o perdiamo la nostra libertà.
I polacchi lo capiscono perfettamente. (…) L’Europa centrale ha messo in guardia
da Vladimir Putin per anni. Nel 2008, quando la Russia attaccò la Georgia, il presi-
dente polacco Lech Kaczy8ski insieme ai leader dell’Ucraina e degli Stati baltici, si
recò a Tblisi 35. Di fronte a una folla di georgiani riuniti nel centro della città, pronun-
ciò parole memorabili, avvertendo che se la Russia non si fosse fermata, “oggi la
Georgia, domani l’Ucraina, dopodomani gli Stati baltici e poi forse verrà il tempo per
il mio paese, la Polonia”. (…) In Polonia capiamo che l’imperialismo russo è un
fatto. (…) I russi hanno lasciato la Polonia nel 1993! (…) La prospettiva dei paesi
baltici è ancora peggiore, perché sotto le repubbliche sovietiche hanno vissuto un
vero inferno. Mentre l’Europa festeggiava la vittoria su Hitler, noi in Polonia ci siamo
trovati sotto un’altra occupazione guidata dall’esercito di Stalin. Ancora oggi stiamo
cercando i corpi dei soldati polacchi uccisi dalle autorità comuniste e sovietiche in
Polonia. Grazie a questa esperienza comune, i paesi dell’Europa orientale sono soli-
dali. (…) Ai presidenti degli Stati baltici dico sempre: quando siamo stati capaci di
stare insieme qualche secolo fa, abbiamo resistito alla Russia» 36.
Sulle élite russe Duda afferma: «Non è cambiato nulla dai tempi dello zarismo.
Durante il comunismo era tutto uguale, solo l’ideologia era diversa. Ciò che acco-
muna tutte le generazioni è (…) l’imperialismo o il colonialismo à la russe. Molti
paesi dell’Europa centrale e dell’Asia centrale sono stati colonizzati da Mosca» 37.
«Ciò che è importante per noi è garantire che (…) l’imperialismo russo, risorto,
venga fermato» 38. «Oggi gli ucraini che difendono la loro patria, che difendono
l’Europa, difendono anche la Polonia contro l’imperialismo russo. Sostenendo l’U-
craina e sostenendo gli ucraini, sono pienamente consapevole di agire nell’interes-
se del mio paese e dei miei compatrioti» 39.
35. P. MORAWSKI, «La Polonia tra America ed Europa», Limes, Quaderno speciale «Russia contro Ameri-
ca», 2008, pp. 177-183.
36. «Dzi£ Gruzja, jutro Ukraina, a pó}niej może Polska. Lech Kaczy8ski to przewidział» («Oggi la Georgia,
domani l’Ucraina e poi forse la Polonia. Lech Kaczy8ski lo aveva previsto»), Wybierzpolske, 2/3/2014.
37. «Wywiad Prezydenta dla Le Figaro», cit.
38. «Prezydent w BBC: Decyzja o przekazaniu Ukrainie F-16 musi by© podj™ta wspólnie» («Presidente
alla Bbc: La decisione di consegnare gli F-16 all’Ucraina deve essere presa congiuntamente»), Presi-
denza della Repubblica di Polonia, 12/2/2023.
39. «Wywiad dla Agencji Ukrinform» («Intervista all’agenzia di stampa Ukrinform»), 18/2/2023. 137
CENTRO DI GRAVITÀ PERMANENTE
Boemia, Bulgaria, Moldova, Serbia e Croazia vennero inghiottite dagli imperi del
tempo. Inglobate da altre entità, private di una propria distinta statualità, per tutto
l’Ottocento e parte del Novecento le popolazioni di quelle terre «vinte» divennero
culturalmente invisibili, rimosse. Oggetto e non più soggetto di narrazioni.
L’Europa occidentale ha ereditato dalle esperienze imperiali degli ultimi secoli
un quadro deformato delle realtà umane dell’Europa centro-orientale non germani-
ca. Dalla fne del Settecento in poi sono state le grandi potenze vincitrici a plasmare,
fltrare, trasmettere informazioni e conoscenze su quell’area, orientandone a proprio
piacere e vantaggio storia, punti di vista, sensibilità. L’effetto è una visione estrema-
mente semplifcata del nostro continente, che i nazionalismi tra XIX e XX secolo
hanno cristallizzato. Così, a noi europei occidentali ci fanno difetto adeguate chiavi
di lettura e l’empatia verso gli Stati più piccoli e deboli, verso le comunità minorita-
rie. Se parlano, rinfacciamo ancora loro di «perdere l’occasione per tacere» (così il
presidente francese Jacques Chirac nel 2003 42). Ribadire che la Russia conduce in
Ucraina una guerra neocoloniale non è allora svolazzo letterario o concessione alla
moda dei post-colonial studies; prendere atto che ucraini, baltici o polacchi vedono
nella Russia post-sovietica la minaccia persistente di una potenza sempre tentata
dalla soluzione imperiale, dal primato della forza bruta, non è russofobia a priori. È
la loro voce, la loro esperienza storica. Va ascoltata, soppesata, valutata.
La guerra ucraina accentua la necessità di innovare la defnizione della regio-
ne. Serve una nuova qualifcazione che non echeggi il signifcato fnora attribuito
alle categorie di Est e Ovest, dove l’Est si defnisce in relazione all’Ovest cuore del
continente. Occorre tener conto della nuova consapevolezza che i paesi europei
hanno di sé e del nuovo contesto nel quale vivono. L’Est di ieri oggi si pensa Cen-
tro, come se l’allargamento dell’Ue a Ucraina e Moldova fosse già avvenuto. Nelle
teste polacche è già avvenuto, oltre c’è già un nuovo Est: la Bielorussia, la Russia
e forse la Georgia, l’Azerbaigian, l’Armenia. Intanto il nuovo Centro rivendica un
ruolo, sprona gli altri europei a fare di più per l’Ucraina, s’indigna contro chi «cala
le braghe» davanti a Putin.
Il nuovo Centro situato tra Mar Baltico e Mar Nero occupa un’area che si po-
trebbe defnire in polacco Mi™dzymorze, in latino Intermarium: tra i mari, appunto.
Concetto che si potrebbe intendere in senso neutro, geografco, senza alcuna vel-
leità di rigenerare la Confederazione polacco-lituana pre-spartizioni, né di rispolve-
rare il piano federativo sotto egemonia polacca di Józef Piłsudski 43. Osservava un
decennio fa lo studioso polacco Jan Kieniewicz: «Avevo proposto di tornare al
termine Inter-Mari per la nostra parte di continente, ma le connotazioni geopoliti-
che lo hanno impedito» 44. Si potrebbe pensare che il vecchio termine pogranicze
42. N. NOUGAYRÈDE, «Jacques Chirac et la “Nouvelle Europe”», Le Monde, 11/12/2006.
43. M.J. CHODAKIEWICZ, Intermarium: The Land between the Black and Baltic Seas, Routledge 2016; H.
HORTA, «Poland’s role in the Intermarium idea», Blue Europe, 11/1/2023; A. TYCNER, «Intermarium in the
21st Century», Institute of World Politics, 23/12/2020.
44. J. KIENIEWICZ, «Eurosarmacja. O Europie £rodkowej z perspektywy cywilizacyjnej» («Eurosarmazia.
L’Europa centrale in un’ottica di civiltà»), Kwartalnik Historyczny, annuario CXX, 2013, pp. 817-823. 139
CENTRO DI GRAVITÀ PERMANENTE
(terra di frontiera) sia datato, ma per lo storico Egidio Ivetic «viviamo un ritorno
drammatico della frattura in seno all’Europa tra il suo Est e il suo Ovest (…) lungo
l’antica faglia, quasi dimenticata, che delimitava le due tradizioni storiche europee,
quella latina occidentale e quella post-bizantina» 45.
C’è un’ulteriore realtà che la guerra della Russia contro l’Ucraina alimenta: la
Polonia è oggi atlantista quanto l’Italia nel secondo dopoguerra. Nel suo ancorag-
gio mentale la Polonia persegue due fondamentali direttrici, atlantismo ed europei-
smo. Tuttavia per Varsavia l’atlantismo appare sempre più «identitario» dell’europei-
smo, come se far parte della Nato fosse cento volte più importante di far parte
dell’Ue. Certamente lo è dal punto di vista della sicurezza. Ecco perché c’è chi ri-
spolvera l’antica idea dell’antemurale: secoli fa antemurale Christianitatis, oggi
baluardo tra Baltico e Nero per arginare il ritorno russo. Con la guerra non si è
spostato verso est solo il baricentro dell’Ue, ma anche la vecchia cortina di ferro.
Oggi fronte di guerra.
140 45. E. IVETIC, Est/Ovest. Il confne dentro l’Europa, Bologna 2022, il Mulino.
LA POLONIA IMPERIALE
1. «NATO’s ongoing enlargement process poses no threat to any country. It is aimed at promoting
stability and cooperation, at building a Europe whole and free, united in peace, democracy, and
common values», Nato.int, 6/7/2022.
2. D. POLANSKY, L’impero che non c’è. Geopolitica degli Stati Uniti d’America, Milano 2005, Guerini e
Associati, p. 219. 141
PENSIERI MOSSI DALL’AMBIZIONE. L’OCCIDENTE E LA GUERRA IN UCRAINA
3. C. SCHMITT, La tirannia dei valori, Milano 2008, Adelphi, p. 51. Le sconclusionate avventure occi-
dentali in Medio e Vicino Oriente, che hanno lasciato dietro di sé distruzione e morte, non certo
stabilità e pace, né tantomeno giustizia e democrazia, dovrebbero averci messo in guardia dai peri-
142 coli di applicare alla geopolitica categorie morali assolute.
LA POLONIA IMPERIALE
5. Tali condizionamenti non sono una scelta ma una realtà, che si può ignora-
re solo a proprio rischio e pericolo. È questa realtà che la classe dirigente ucraina
stenta a comprendere, incoraggiata al contrario dai suoi alleati a giustifcare le
proprie politiche (racchiuse nel motto prebellico di «irreversibilità dell’integrazione
4. Il principio di autodeterminazione dei popoli è un concetto limite, che va maneggiato con cura.
Imposto semplicisticamente da Wilson all’Europa dopo la prima guerra mondiale, esso ha destabiliz-
zato il continente, smembrando imperi multietnici ed evocando le devastanti forze che avrebbero
condotto alla seconda guerra mondiale.
5. Cfr. G.W. HEGEL, Lineamenti di flosofa del diritto, Roma-Bari 1999, Laterza, § 124 (aggiunta), p. 320.
6. La massima greca (Strabone) secondo cui «la geografa è un destino», motivo per cui la storia non
si può fare a tavolino, coglie dunque un aspetto del vero. Per dirla con Napoleone, «la storia di un
popolo risiede nella sua geografa». Cfr. T. MARSHALL, Prisoners of Geography: Ten Maps That Tell You
Everything You Need to Know About Global Politics, New York 2016, Scribner.
143
PENSIERI MOSSI DALL’AMBIZIONE. L’OCCIDENTE E LA GUERRA IN UCRAINA
6. È quindi fondamentale, per immaginare una possibile via d’uscita dal con-
fitto in corso, far emergere dalle cose stesse il sostanziale confitto di interessi tra
le parti in causa, al di là delle ideologie che lo mascherano o lo alimentano. Impre-
sa possibile solo abbandonando ogni sterile approccio ideologico – per defnizione
unilaterale, poiché autocentrato sulla comprensione che chi lo propone ha di sé e
del mondo. Futile giudicare la storia in base ai propri valori, nell’infantile presun-
zione che la proiezione delle proprie convinzioni possa kantianamente valere co-
me principio di una legislazione universale – e così spiegare l’altrui modo di stare
nel mondo e nella storia. Utile invece tentare di comprendere le cause degli even-
ti, guerre comprese, che accadono sempre per qualche motivo («il reale è raziona-
le», e come tale mai «ingiustifcato»). Essenziale, per liberarsi dagli schemi ideologi-
ci oggi dominanti, ribadire che l’uomo si innalza veramente al rango di animale
(geo)politico solo quando è capace di misurarsi con la potenza del negativo, ov-
vero con l’altro da sé, cui del resto è costitutivamente consegnato e destinato:
esercizio refrattario a ogni dialettico superamento o scioglimento dell’alterità nella
pura identità 8. Problema, per chi tende a considerare l’altro come un sé stesso in
potenza, ovvero illusione di alterità. L’esperienza, però, dimostra che la storia degli
uomini e dei popoli è distillatrice di singolarità. Nelle «cose stesse» va dunque ricer-
cato il bandolo del presente, la chiave ermeneutica per comprendere il cruciale
passaggio storico che stiamo attraversando. Riavvolgendo il nastro all’alba del mo-
mento unipolare, all’inizio degli anni Novanta. Quando i consiglieri di Clinton si
trovarono, loro malgrado, a dover aggiornare la politica del contenimento, archi-
viata causa implosione dell’impero del Male 9.
7. Questa in nuce l’acquisizione fondamentale emersa dalla pace di Vestfalia e lo scopo della ricerca
dell’equilibrio di potere, il cui fne primario è anzitutto la preservazione del sistema di Stati, garanten-
do la coesistenza di entità sovrane.
8. Sforzo cui è esentato chi, ricorrendo al potere semplifcatorio dell’ideologia, si assolve dall’esercizio
del logos (ovvero dalla fatica del concetto).
9. J.M. GOLDGEIER, «A complex man with a simple idea», in M. KIMMAGE, M. ROJANSKY (a cura di), A Ken-
nan for our times: Revisiting America’s Greatest 20th Century Diplomat in the 21st Century, Kennan
144 Institute, Washington 2009, Wilson Center, p. 28.
LA POLONIA IMPERIALE
10. G.H.W. BUSH, B. SCOWCROFT, A World Transformed, Vintage, 1999, citato in A. DE’ ROBERTIS, «La Na-
to e la sfda della Russia», Quaderni del Dipartimento di Scienze Politiche, Università Cattolica del
Sacro Cuore, n. 8/2015, p. 66.
11. H. KISSINGER, «Reversing Yalta», The Washington Post, 16/4/1989.
12. Cfr. A. DE’ ROBERTIS, «La Nato e la sfda della Russia», Quaderni del Dipartimento di Scienze Politi-
che, Università Cattolica del Sacro Cuore, n. 8/2015, p. 67.
13. H. KISSINGER, Ordine Mondiale, Milano 2015, Mondadori 2015. Si veda ad esempio cosa disse Baker
a Gorba0ëv durante il loro incontro a Mosca nel febbraio del 1990: «Neither the President nor I intend
to extract any unilateral advantages from the processes that are taking place».
14. «If we maintain a presence in a Germany that is a part of NATO, there would be no extension of
NATO’s jurisdiction for forces of NATO one inch to the east». Così si legge, inter alia, nel Memorandum
della conversazione tra Gorba0ëv e Baker del 9 febbraio del 1990, recentemente declassifcato dal
dipartimento di Stato Usa: Memorandum of conversation between Mikhail Gorbachev and James Ba-
ker in Moscow, February 9, 1990. Analoga formulazione si legge nella trascrizione sovietica dello
stesso incontro: bit.ly/3lxSLmA
15. Il 12 dicembre 2017 il National Security Archive presso la George Washington University ha de-
classifcato e pubblicato 30 documenti statunitensi, sovietici, tedeschi, britannici e francesi che rivela-
no le assicurazioni relative alla sicurezza sovietica e al non allargamento a est della Nato fornite dai
leader occidentali a Gorba0ëv (e altri funzionari sovietici) durante il processo di unifcazione tedesca,
tra il 1990 e il 1991, bit.ly/2N7t2KO 145
PENSIERI MOSSI DALL’AMBIZIONE. L’OCCIDENTE E LA GUERRA IN UCRAINA
ma «per conferire solide basi all’accordo» che avrebbe portato all’unifcazione tede-
sca erano pronti anche «a fornire garanzie scritte in proposito e chiedevano solo di
conoscere le richieste sovietiche» 16. In quel momento, benché il Muro fosse caduto,
le strutture della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) erano ancora integre e
l’Urss manteneva dispiegati in Germania Est oltre 350 mila militari: nessuno inten-
deva rischiare lo scontro.
Gli incontri successivi, a cominciare da quello di Mosca del febbraio del 1990,
confermarono però a Baker (e a un incredulo Bush) che Gorba0ëv e il suo ministro
degli Esteri non intendevano chiedere alcuna garanzia formale: l’Unione Sovietica
cedeva unilateralmente tutte le sue posizioni in Europa centrale in base al principio
per cui «con gli amici non si mercanteggia» (secondo la testuale formula usata in
quell’occasione dal ministro degli Esteri sovietico e futuro presidente della Georgia-
Shevardnadze) 17. In nome di quello che chiamava «nuovo pensiero», «Gorba0ëv
aveva accettato senza sostanziali contropartite di rinunziare agli assetti europei otte-
nuti dall’Urss con la seconda guerra mondiale e rimasti immutati per tutta la guerra
fredda» 18. Gorba0ëv forse ignorava la lezione di Lord Palmerston (per cui «non ab-
biamo né alleati eterni né nemici eterni, ma solo eterni interessi, e il nostro dovere è
perseguirli»), ma in ogni caso trascurò l’ovvia constatazione che gli amici di ieri
possono facilmente diventare i nemici di domani, e viceversa 19.
L’amministrazione Bush, compatibilmente con il quadro allora esistente, per-
seguì tuttavia con coerenza l’obiettivo di dare vita a un ordine internazionale coo-
perativo con l’Urss, benché proprio la crescente debolezza del governo sovietico
lo rendesse ogni giorno meno plausibile. Prova ne è il viaggio che Bush compì a
Kiev il 1° agosto 1991, dopo aver ribadito il giorno prima a Gorba0ëv che il collas-
so dell’Urss non sarebbe stato «nell’interesse americano». In quell’occasione Bush
delineò davanti al Soviet supremo dell’Ucraina (oggi sede della Verkhovna Rada, il
parlamento) l’approccio statunitense, in un momento in cui il vento separatista
soffava sempre più forte su un’Unione Sovietica indebolita dall’erratica politica dei
suoi vertici: «L’America sostiene chi nel centro e nelle repubbliche persegue la li-
bertà, la democrazia, la libertà economica», ma non «coloro che cercano l’indipen-
denza per sostituire una tirannia lontana con un dispotismo locale». Richiamando
la natura multietnica e federale degli Stati Uniti d’America, Bush spiegò che «libertà
16. A. PUŠKOV, Da Gorba0ëv a Putin. Geopolitica della Russia, Milano 2022, Sandro Teti Editore, p. 36.
17. Ivi, p. 37. Benché del commento del ministro sovietico, che assistette all’incontro, non vi sia trac-
cia nei documenti disponibili , si può comunque notare dalle trascrizioni americane e sovietiche (si
prenda ad esempio quella del 9 febbraio 1990) come le risposte di Gorba0ëv alle reiterate proposte
di Baker di non espansione della Nato siano per lo più sbrigative e superfciali («Condivido la tua li-
nea di pensiero», «L’approccio che hai delineato è altamente plausibile»), senza mai ribattere alluden-
do alla stipula di qualche forma di garanzia o accordo scritto.
18. A de’ ROBERTIS, «Il ruolo di stabilizzazione della Nato dai Balcani ai confni dell’Europa», in M. DE
LEONARDIS , G. PASTORI (a cura di), Le nuove sfde per la forza militare e la diplomazia. Il ruolo della
Nato, Milano 2014, Monguzzi, pp. 168-70.
19. Avrebbe dovuto sapere che, fra Stati, i rapporti di forza contano molto più delle dichiarazioni di
principio e che compiere passi unilaterali in favore dell’avversario in nome delle buone intenzioni
può far guadagnare riconoscimenti morali e perfno simpatie personali, ma a costo di far scivolare il
146 proprio paese nella spirale dell’impotenza.
LA POLONIA IMPERIALE
Dn
BIELORUSSIA
epr
FED. RUSSA
POLONIA
VOLINIA
Kiev
Kharkiv
Leopoli PODOLIA Dn
epr
DONBAS
SLOV. GALIZIA U C R A I N A
Užhorod Dnipropetrovs’k
UNGH.
Donec’k
MOLDOVA
PENSIERI MOSSI DALL’AMBIZIONE. L’OCCIDENTE E LA GUERRA IN UCRAINA
ROMANIA
epr
Dn
24. R. KAGAN, Paradiso e potere. America ed Europa nel nuovo ordine mondiale, Milano 2008, Monda-
dori, p. 97. «La storia dell’America, al di là di ogni mito isolazionista, è una storia di espansione terri-
toriale e di infuenza tutt’altro che inconsapevoli. L’ambizione a svolgere un ruolo da protagonista
sulla scena mondiale è profondamente radicata nel carattere americano», ibidem.
25. Cfr. 1992 Defence Planning Guidance, cit.
26. Per usare le parole di Baker: «The mechanism by which we have a US military presence in Euro-
pe is NATO. If you abolish NATO, there will be no more US presence», Memorandum of conversation
between Mikhail Gorbachev and James Baker in Moscow, cit., p. 6.
27. J.L. GADDIS, Surprise, Security, and the American Experience, Cambridge MA 2004, Harvard Uni-
versity Press, p. 77.
28. Memo declassifcato del dipartimento di Stato Usa, «Strategy for NATO’s Expansion and Transfor-
mation», 7/9/1993, bit.ly/3Z0XRWX 149
PENSIERI MOSSI DALL’AMBIZIONE. L’OCCIDENTE E LA GUERRA IN UCRAINA
mercato» 29) che avrebbe impedito il risorgere della politica di potenza, creato una
«vasta area di pace» sotto la naturale egemonia americana e realizzato il sogno di
costruire un grande «impero della libertà» con Washington sua capitale. Pacifca-
zione mediante liquidazione del sistema multipolare, ovvero unipolarismo ma-
scherato da multilateralismo: giacché, come ricordava uno dei Padri fondatori
degli Stati Uniti, «gli imperi non hanno interesse a operare all’interno di un sistema
internazionale, ma aspirano a essere il sistema internazionale. Gli imperi non han-
no bisogno di un equilibrio di potere. Questa è la politica degli Stati Uniti nelle
Americhe» 30. Ora lo era uffcialmente anche in Europa.
29. «Il nostro scopo primario deve essere espandere e rafforzare la comunità mondiale delle demo-
crazie basate sul mercato», «Confronting the Challenges of a Broader World», discorso di Clinton
all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York, 27/9/1993, in Department of State Dispatch,
IV, 39, 27/9/1997.
30. Cfr. D. POLANSKY, op. cit.; S. WERTHEIM, Tomorrow, the World: The Birth of U.S. Global Supremacy,
Cambridge MA 2020, Harvard University Press.
31. J,M. GOLDGEIER, «The U.S. Decision to Enlarge NATO», Brookings Review, Summer 1999, p. 19.
32. M. ALBRIGHT, Madam Secretary: A Memoir, New York City 2005, Miramax p. 324.
33. Your October 21-23 visit to Moscow – Key foreign policy issues, U.S. Department of State, 20/10/1993,
p. 4, bit.ly/3xdusg8. Nelle sue memorie, Christopher affermerà più tardi che El’cin fraintese – «forse
perché ubriaco» – che lo strumento della Partnership per la Pace (un programma di cooperazione
militare concepito nell’ottobre del 1993 come compromesso risultante dalle divergenze tra il Pentago-
no e l’amministrazione Clinton su come rispondere alle richieste dei paesi del Centro e dell’Est Euro-
pa di aderire all’Alleanza) non era alternativo, ma precursore dell’espansione della Nato, come Clin-
ton confermerà ai leader di Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia in occasione del suo
viaggio a Praga, nel gennaio del 1994 («The question is no longer whether Nato will take on new
150 members, but when and how»).
LA POLONIA IMPERIALE
Pochi giorni più tardi, alla Conferenza di riesame dell’Osce a Budapest (dicembre
1994), El’cin si rivolse platealmente a Clinton chiedendogli: «Perché stai piantando i
semi della sfducia? L’Europa rischia di sprofondare in una pace fredda. (…) La storia
dimostra che è una pericolosa illusione pensare che i destini dei continenti e della
comunità mondiale in generale possano essere gestiti da una sola capitale» 38.
Nel 1994 era dunque chiaro a Washington che l’allargamento della Nato non
sarebbe stato affatto accolto con acquiescenza da Mosca, ma anzi interpretato –
correttamente – come la volontà di escludere la Russia dal sistema di sicurezza
europeo, dunque come tradimento della promessa di cooperazione in nome della
quale Gorba0ëv aveva smantellato pezzo dopo pezzo l’Unione Sovietica 39. I tenta-
tivi (simbolici) di correggere l’impressione russa che l’obiettivo dell’allargamento
della Nato fosse quello di paralizzare il potenziale strategico di Mosca, ad esempio
con la creazione del Consiglio Nato-Russia nel 2002, erano destinati al fallimento,
poiché gli Stati Uniti non avevano – né mai nutrirono – alcuna reale intenzione di
lasciare che il Cremlino acquisisse un reale potere decisionale (o di veto) in seno
all’Alleanza o al comando militare integrato, alterando gli equilibri interni alla Nato,
«strumento della presenza americana in Europa» (Baker).
Se dunque l’alleanza strategica russo-americana immaginata da El’cin era una
chimera, il grand design statunitense – creare una vasta area di pace e stabilità
tramite l’allargamento della Nato – era contradditorio e in defnitiva irrealizzabile se
non a prezzo del confitto, come dimostra l’esito ultimo di tale politica (la guerra
in corso da oltre un anno nel cuore dell’Europa). Era ingenuo pensare che un
grande paese con una profondità storica come la Russia, per quanto umiliato e
offeso, potesse semplicemente autodestituirsi, rinunciando all’idea di avere una
propria autonomia politica e strategica, al pari di una Polonia o Slovacchia qualsi-
asi. Esattamente quello che esigeva il disegno americano: l’incorporamento della
Russia come appendice del blocco atlantico. Una prospettiva altrettanto irrealistica
di quella di Mosca, la cui classe dirigente aveva immaginato di poter condividere
lo scettro del potere mondiale con l’America in nome della buona volontà dimo-
strata nel porre fne alla guerra fredda.
Ma il cammino era ormai già tracciato. Gli americani sapevano bene che la
Russia non avrebbe in ogni caso potuto fermare il processo, un concetto che Clin-
ton fece arrivare forte e chiaro a El’cin durante il suo viaggio a Mosca nel 1995:
«Non continuare a chiedermi di rallentare (il processo di allargamento, n.d.a.) o noi
dovremo continuare a dirti no». El’cin ne divenne, a sue spese, ugualmente consa-
pevole: l’impotenza in cui era sprofondato il suo paese, impoverito dalle privatiz-
zazioni selvagge prescritte dal Washington Consensus e militarmente in disfaci-
38. «Yeltsin Says NATO Is Trying to Split Continent Again», The New York Times, 6/12/1994.
39. Fr. December 21 1994 – NAC: Guidance for Discussion of the Vice President’s Visit to Russia, U.S.
Department of State, bit.ly/3lkjL8K. Dai documenti declassifcati russi degli anni Novanta, inclusi quelli
delle sessioni a porte chiuse della Duma, si evince come le ragioni russe dell’opposizione all’espansione
della Nato vertessero su tre preoccupazioni fondamentali: che l’espansione minacciasse la sicurezza
russa; che minasse l’ideale di una sicurezza europea inclusiva; e infne che tracciasse una nuova linea
152 divisoria in Europa.
LA POLONIA IMPERIALE
mento, limitava la sua protesta al fatus vocis, ma prefgurava già l’inevitabilità del
confitto che ne sarebbe derivato: «Non vedo altro che umiliazione per la Russia se
procedi. (…) Perché vuoi fare questo? È una forma di accerchiamento se il blocco
superstite della guerra fredda si espande fno ai confni della Russia. Molti russi
provano un senso di paura. Cosa volete raggiungere con questo, se la Russia è
vostro partner?. (…) Abbiamo bisogno di una nuova struttura per la sicurezza pa-
neuropea, non delle vecchie strutture (…) non di creare blocchi. Per me accettare
che i confni della Nato si espandano verso quelli della Russia costituirebbe un
tradimento del popolo russo» 40.
12. Le vicende che ha conosciuto l’Ucraina dal 1991 a oggi non possono esse-
re comprese se non all’interno del Grande Gioco di cui abbiamo sommariamente
indicato i termini e defnito la scacchiera. Ogni tentativo di separare l’aggressione
russa dal contesto geopolitico in cui si inserisce, o di spiegarla insistendo su aspet-
ti marginali e parziali, come la volontà di autodeterminazione degli ucraini, signif-
ca «isolare la crisi ucraina dalla complessità geostrategica in cui essa ha preso origi-
ne e dove si è sviluppata e, quindi, mistifcarne capziosamente la portata storica e
politica» 41. La parabola geopolitica ucraina, dalle vertigini dell’indipendenza agli
abissi della guerra, è stata condizionata fn dall’inizio da direttrici in larga parte
«esterne» al paese, comparendo nei piani americani di allargamento della Nato sin
dal 1993, pur essendo l’Ucraina geostoricamente prossima alla Russia, di cui per
secoli aveva fatto organicamente parte (prima sotto l’impero zarista, poi sotto quel-
lo sovietico). Fin dalla sua indipendenza, dunque, essa è stata un campo attraver-
sato da fortissime tensioni geopolitiche, che hanno inciso profondamente sulle sue
dinamiche interne. Che da ultimo hanno portato alla guerra scoppiata il 24 febbra-
io 2022, esito fnale della maturazione dello scontro geopolitico tra America e Rus-
sia. Di cui l’Ucraina, «terra di frontiera», è diventata per volontà dell’Occidente – e
complicità della classe dirigente locale – «terreno di scontro».
La guerra è plastica rappresentazione dell’effetto destabilizzante della geopoli-
tica americana di «allargamento democratico» sull’architettura di sicurezza europea.
Analogamente alla Germania guglielmina dopo il congedo di Bismarck, la ricerca
di sicurezza assoluta dell’Occidente dopo il 1991 attraverso l’espansione della Nato
ha prodotto in Russia la minaccia di insicurezza assoluta, scatenando processi di-
struttivi dell’ordine, della stabilità e in defnitiva della pace. Esattamente il contrario
di quello che si voleva ottenere con l’allargamento democratico, uno slogan che
nasconde un vuoto intellettuale speculare al provincialismo politico di cui è espres-
sione. Una pace durevole, come quella che avrebbe potuto vedere la luce dopo la
dissoluzione (e quindi la sconftta) dell’Urss, avrebbe infatti richiesto che la poten-
za vincitrice tenesse in conto gli interessi fondamentali dello sconftto: ciò fu fatto
40. Summary report on One-on-One meeting between Presidents Clinton and Yeltsin, Kremlin, May
10, 1995.
41. E. DI RIENZO, Il confitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, Soveria Man-
nelli 2015, Rubbettino, p. 18. 153
PENSIERI MOSSI DALL’AMBIZIONE. L’OCCIDENTE E LA GUERRA IN UCRAINA
a Vienna nel 1814-15 con la Francia, ma non a Parigi nel 1919 con la Germania (un
errore che generazioni di europei dissero di non voler mai più ripetere) 42. Solo così
sarebbe stato possibile trasformare il sistema internazionale emerso dalla fne della
guerra fredda in autentico ordine internazionale («world order»), concetto che im-
plica stabilità e presuppone equilibrio, ovvero la legittimità che solo gli Stati che
interagiscono sullo scacchiere internazionale possono riconoscergli (o negargli).
Ma affnché possa darsi consenso sulla legittimità dell’ordine esistente, riducendo
l’attrito tra configgenti volontà statuali, è necessario che siano riconosciuti (e presi
in dovuta considerazione) gli interessi fondamentali (o «minimi») dei principali po-
li del sistema, in un delicato equilibrio tra potere e legittimità.
Complice la smisurata hybris derivante dalla «certezza dell’assoluta superiorità
dei princìpi e degli ideali fondativi degli Stati Uniti rispetto (…) a quelli delle na-
zioni e dei governi di tutta la storia» 43, la potenza vincitrice dalla guerra fredda –
l’America – non ha saputo distillare dallo straordinario potere consegnatole dall’im-
plosione dell’Urss un ordine legittimo, ma solo una visione autocentrata e unilate-
rale, incurante di ogni considerazione geopolitica e priva di coscienza storica.
L’America non è stata capace così di riconoscere alla Russia quello che riconosce a
sé stessa: il diritto di tutelare la propria sicurezza nazionale, come orgogliosamente
rivendicato dalla dottrina Monroe («considereremo pericoloso per la nostra pace e
la nostra sicurezza ogni tentativo di estendere i loro sistemi (delle potenze euro-
pee, n.d.a.) a qualsiasi area del nostro emisfero»). Al contrario, Washington ha
esteso la propria alleanza politico-militare ai paesi del dissolto impero sovietico in
nome di un impossibile approccio unipolare all’ordine, privo com’è di profondità
storica, con l’esplicito intento di rimuovere alla radice ogni possibilità che la Russia
esprimesse un ruolo autonomo nel sistema internazionale. Impedendo (anche a
costo di farla saltare in aria) ogni «pericolosa» integrazione di Mosca all’interno di
un sistema di relazioni non confittuali con i paesi europei, Germania in primis, nel
timore che ciò potesse favorire l’agglomerarsi di un polo di potenza geoeconomico
con proiezione eurasiatica, tale da minacciare l’egemonia assoluta americana
sull’Europa, provincia più pregiata dell’impero.
Impiegando tattiche brutalmente realiste in nome di un disegno profonda-
mento idealistico, in un rovesciamento dialettico connaturato all’intrinseca ag-
gressività di una politica estera che annulla la differenza tra interessi e valori 44, la
teoria dell’allargamento democratico si è inevitabilmente tradotta in crescenti e
sempre più invasive pressioni americane sulla classe dirigente ucraina perché
scivolasse verso la Nato, recidendo una volta per tutte i suoi legami politici, eco-
nomici e culturali con la Russia. Pressioni culminate nel 2014 con la destituzione
42. M. DE LEONARDIS, «Da Erodoto a Kissinger: l’eredità della storia e il peso della geopolitica», p. 15, in
G. CELLA, Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi, Roma 2021, Carocci.
43. R. KAGAN, op. cit., p. 98.
44. L’aggressività è intrinseca alla struttura tetico-ponente del valore (sostenere un valore vuol dire
farlo valere, cioè imporlo, dando vita a una guerra tra visioni del mondo che travolge, per defnizione,
154 ogni valore).
LA POLONIA IMPERIALE
45. Politica racchiusa nella battuta «Vogliamo andare verso l’Ovest, ma il modo migliore di farlo è con
il gas dell’Est». All’Onu, nel settembre del 2013, Janukovy0 ribadì che le «aspirazioni europeiste dell’U-
craina sono il pilastro dello sviluppo del nostro paese» insistendo però sulla prospettiva trilaterale dei
rapporti tra Ucraina, Ue e Russia. «L’Ucraina è un ponte tra Russia e Ue, ed è molto importante assi-
curare che questo ponte rimanga saldo e affdabile. Il dialogo tra Ucraina, Russia e Ue sulle questioni
commerciali è possibile nel prossimo futuro», «Between two stools: Ukraine says EU trade deal certain,
Russia – led union also an option», Reuters, 25/9/2013.
46. G. COLONNA, Ucraina tra Russia e Occidente. Un’identità contesa, Milano 2022, Edilibri, p. 84.
47. L’Ucraina (che nella sua confgurazione unitaria ha cessato di esistere il 24 febbraio 2022) è noto-
riamente una terra dalla storia complessa, in cui convivono popolazioni vissute per secoli (dal XVIII
secolo fno al 1918) sotto l’impero austro-ungarico (Leopoli e la Galizia) e altre sotto gli zar (le regio-
ni orientali, meridionali, la Crimea e Kiev). Cfr. H. KISSINGER, «To settle the Ukraine crisis, start at the
end», The Washington Post, 5/3/2014.
48. «Leaked audio reveals embarrassing U.S. exchange on Ukraine, EU», Reuters, 7/2/2014. Victoria
Nuland è la moglie di Robert Kagan, teorico neocon che ha teorizzato il destino manifesto degli Usa
a espandersi nel mondo.
49. E. DI RIENZO, op. cit., p. 31. Internamente, infatti, la classe dirigente post-Majdan si dedicava inter-
namente a una spensierata opera di pulizia culturale e linguistica, perseguendo oltre all’obiettivo di
ingresso nella Nato (che Zelens’kyj nel 2019 inserì in costituzione, nonostante l’ampia opposizione
popolare), quello di una forzata politica di omogeneizzazione (vietando quindi l’uso e l’insegnamen-
to del russo nelle scuole). Una politica che alla vigilia della guerra aveva portato la popolarità di
Zelens’kyj, eletto per ricucire i rapporti con la Russia, ai minimi storici.
50. Ibidem. 155
PENSIERI MOSSI DALL’AMBIZIONE. L’OCCIDENTE E LA GUERRA IN UCRAINA
poi alla Russia, e la guerra civile tra ucraini florussi e ucraini flo-occidentali, co-
stata secondo i dati delle Nazioni Unite oltre 14 mila morti tra 2014 e 2021 51.
All’epoca Kissinger ammonì (Washington, prima che Kiev) che «se il destino
dell’Ucraina è sopravvivere e prosperare, essa non può diventare l’avamposto
militare dell’uno o dell’altro schieramento, ma deve invece trasformarsi in un pon-
te capace di unire, e non in un fossato creato per dividere. (…) Considerare l’U-
craina come parte del confronto Est-Ovest, spingendola a far parte della Nato,
equivarrebbe ad affossare per decenni ogni prospettiva d’integrare la Russia e
l’Occidente, e in particolare la Russia e l’Europa, in un sistema di cooperazione
internazionale». Parole nel vuoto, avrebbe detto Adolf Loos, poiché l’intensità
delle pressioni americane non si è fermata, anzi è cresciuta appellandosi patetica-
mente e irresponsabilmente al principio della «porta aperta», anche di fronte all’e-
vidente rafforzamento della postura geopolitica della Russia di Putin, decisa ad
arrestare la parabola verso l’irrilevanza strategica a cui Washington immaginava di
poterla unilateralmente relegare. Rendendo non solo prevedibile, ma inevitabile
il confitto, largamente previsto da autorevoli politologi americani, tra cui lo stesso
Kissinger (2014), Mearsheimer (2014) e Merry (2017).
13. Di fronte alla sorda insensibilità dell’Occidente per le ragioni della geopo-
litica, la classe dirigente russa ha reagito nel 2022 attaccando militarmente l’Ucrai-
na, considerando tale azione extrema ratio per fermare un processo geopolitico
ritenuto esiziale per la propria sopravvivenza e per il ruolo della Russia. Riaffer-
mando disperatamente nell’attacco una vivacità storica che, pur nei limiti emersi
durante la campagna militare ucraina, ha comunque ribaltato una passività geopo-
litica che aveva preservato per inerzia il mito della sua superpotenza. Potendo
comunque disporre di risorse umane e militari imparagonabili a quelle ucraine,
rendendo tutt’altro che scritto l’esito del confitto, nonostante l’ininterrotta fornitura
di armi da parte dalla Nato e dagli «alleati».
L’Occidente, ancora una volta, sperimenta così le contraddizioni che scaturi-
scono dalla sistematica disapplicazione delle regole elementari della geopolitica, di
cui l’America non pratica la grammatica e di cui gli europei hanno dimenticato la
prassi. Ma una strategia che si traduce inesorabilmente in azioni inconcludenti e
contradditorie rispetto ai propri stessi presupposti appare alla lunga destinata a
scalfre, e in prospettiva a sgretolare, la scintillante teca dell’egemonia. È diffcile,
del resto, mantenere la convinzione della superiorità dei propri valori, sui quali
poggia l’identità di una collettività come di un individuo, se la loro attuazione pro-
duce conseguenze che li contraddicono, traducendosi sistematicamente nel pro-
prio opposto (pace in guerra, stabilità in disordine, prosperità in miseria), rivelan-
dosi meri slogan propagandistici.
51. H. KISSINGER, «To settle the Ukraine crisis», cit.; J. MEARSHEIMER, «Why the Ukraine Crisis Is the West’s
Fault», Foreign Affairs, settembre-ottobre 2014; R. MERRY, «The Demonization of Putin by American
156 Intelligentsia», The National Interest, settembre-ottobre 2017.
LA POLONIA IMPERIALE
Gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero ricordare che «ogni regno diviso contro
sé stesso va in rovina, e ogni città o casa divisa contro sé stessa non potrà reggere».
L’Europa (o impero europeo dell’America) non si riduce all’Occidente inteso come
un granitico blocco identitario. Al contrario, l’Europa è un continuum culturale,
storico e geografco che racchiude una molteplicità di identità, lingue e tradizioni
(motivo per cui non esiste un demos europeo o l’europeitas 52); identità riconducibi-
li, a un elevato livello di astrazione, a tre elementi fondamentali: neolatino, germa-
nico e slavo, che a loro volta si rifettono nelle tre grandi espressioni evolutive del
cristianesimo: cattolica, protestante e ortodossa 53. Il tentativo della potenza ameri-
cana di isolare e sradicare la Russia da questo prodigioso mondo storico-culturale,
di cui fanno parte anche l’Ucraina e la sua complessa identità etnico-culturale
(specchio perfetto del multiforme tessuto culturale del nostro continente), potrà
forse impedire il risorgere di un’autentica autocoscienza e potenza europea, ma è
destinato inesorabilmente a indebolire l’Occidente proprio nel momento in cui esso
è chiamato a misurarsi con l’ascesa di potenze culturalmente e storicamente «estra-
nee» – a differenza della Russia – alla società internazionale europea. L’applicazione
di un modo astratto di esercitare il potere sulla storia è il tarlo che corrode da den-
tro l’egemonia americana, generando divisione e disordine al posto della stabilità e
della pace, povertà anziché prosperità.
Prima però che la guerra in corso trascenda i limiti di un conftto per (semi)
procura fra superpotenze, generando conseguenze irreversibili per l’Europa, le élite
degli Stati Uniti e dell’Ue dovrebbero avere il coraggio di fare i conti con le cause
«strutturali» del confitto, tentando di porvi rimedio, invece di procedere allegramen-
te verso l’abisso in nome del diritto e di assolutismi morali: esercizio stucchevole da
parte di chi rappresenta un’alleanza di Stati non certo esenti da sanguinose e con-
troverse (in molti casi fallimentari) iniziative militari (Kosovo, Iraq, Afghanistan,
Libia, Siria, solo per citare le più recenti). La demonizzazione a oltranza della Russia
– oltre a non essere una politica, ma l’alibi per non averne una – non porrà fne
alla guerra, ma la aggraverà. Il confitto in Europa dimostra che la geopolitica (e
dunque la necessità della coesistenza tra entità statuali e culturali diverse) non è
una scelta: è una realtà che i leader occidentali possono ignorare solo a spese dei
loro popoli. La questione ucraina dovrebbe trovare soluzione fuori dall’astrattezza
giuridica dell’autodeterminazione, spesso strumento del divide et impera (vedi alla
voce Mitteleuropa) più che espressione di genuino amore per i popoli. Ricordando
agli ucraini che l’ordine internazionale – ovvero la stabilità e la pace – sono la con-
dizione stessa per il perseguimento di tutti gli altri valori: «Se non è garantito un li-
vello minimo di sicurezza, gli scopi della giustizia politica, sociale ed economica
non possono avere alcun signifcato» 54. Motivo per cui l’ordine (e la sua ricerca)
nella politica mondiale non solo è degno di valore, ma è «prioritario» rispetto ad
52. J. FLORIO, «L’ombra di un sogno. Perché l’europeismo è antieuropeo» Limes, «Il muro portante», n.
10/2019.
53. Cfr. l’eccellente studio di G. COLONNA, op. cit., in particolare pp. 125-133.
54. H. BULL, «La società anarchica. L’ordine nella politica mondiale», Vita e Pensiero, 2005, p. 114. 157
PENSIERI MOSSI DALL’AMBIZIONE. L’OCCIDENTE E LA GUERRA IN UCRAINA
altri scopi, come quello della «giustizia» o dell’autodeterminazione, con buona pace
delle anime belle (e vuote) che propugnano l’etica dell’irresponsabilità.
Proseguendo sulla via della contrapposizione ideologica e dell’escalation mi-
litare, il risultato non potrà che condurre l’Europa nell’abisso in cui la sua classe
dirigente ripeteva di non voler mai più precipitare, edifcando «l’Europa unita» per
creare la pace, salvo poi fare la guerra in nome dell’idea di nazione. A quali latitu-
dini l’attuale confitto ci condurrà, dunque, dipenderà anche dalla lungimiranza e
dalla saggezza delle classi dirigenti europee, posto che sappiano dimostrarsi capa-
ci di discostarsi dalla semplifcazione ideologica sulla quale si fonda l’attuale stra-
tegia di dominio unipolare a stelle e strisce. Un’Europa appiattita sull’interpretazio-
ne solipsistica dell’egemonia americana e accecata dal conformismo ideologico
rappresenterebbe il rovesciamento di una delle etimologie del suo stesso nome:
essere «terra dall’ampio sguardo». Come scriveva Otto Hintze in un saggio del 1916,
«non vogliamo la desolante supremazia mondiale di un popolo, ma una conviven-
za piena di vita di popoli e Stati liberi. (…) L’ideale che ci prospettiamo per il fu-
turo è un sistema di potenze mondiali che si riconoscono e si rispettano vicende-
volmente, come facevano prima le grandi potenze del concerto europeo» 55.
55. O. HINTZE, Deutschland und der Weltkrieg, Leipzig-Berlin 1916, Teubner, cit. in D. GROH, La Russia
158 e l’autocoscienza d’Europa. Saggio sulla storia intellettuale d’Europa, Torino 1980, Einaudi, p. 382.
LA POLONIA IMPERIALE
e gli altri paesi della Nato, indipendentemente dall’esito del confitto. Se Mosca
avesse l’impressione di aver vinto e constatasse che i partner di Kiev non sono ri-
usciti a garantirle il sostegno necessario, dirigerebbe presto ogni suo sforzo per
cacciare gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica dall’Europa centro-orientale. Se invece
fallisse nei suoi intenti, intensifcherebbe comunque le sue iniziative revansciste
per smantellare l’Ucraina e le organizzazioni occidentali che ostacolano la forma-
zione di una nuova sfera d’infuenza russa.
Secondo i funzionari polacchi, gli obiettivi strategici della Russia non cambie-
rebbero nemmeno a fronte di un successo limitato, come la messa a punto del
controllo sulla sola regione del Donbas. È evidente che Mosca non intraprendereb-
be i negoziati di pace in buona fede, ma con l’intento di garantirsi una boccata
d’ossigeno per ripristinare le proprie capacità militari e attenuare i costi del confit-
to. In futuro potrebbe anche approfttare di un eventuale intervento americano
nell’Indo-Pacifco e tentare nuovamente un attacco, magari contro un paese della
Nato per minare la coesione dell’Alleanza.
Il calcolo della Polonia si basa su un presupposto preciso. Washington consi-
dera Pechino il suo principale rivale. Intende inoltre sviluppare le capacità per
combattere simultaneamente una guerra su larga scala in modo autonomo e un’al-
tra con il sostegno dei propri alleati. Se si trovasse direttamente coinvolta in Estre-
mo Oriente, non sarebbe in grado di offrire la leadership necessaria ai suoi alleati
europei. E secondo diversi analisti un confitto su Taiwan potrebbe avvenire già nei
prossimi anni. Per questo motivo Varsavia ha l’imperativo di rafforzare al più presto
il proprio potenziale bellico.
La strategia della Polonia è condizionata dall’esperienza della seconda guerra
mondiale, quando venne aggredita prima dalla Germania nazista e poi dall’Unione
Sovietica. La presenza di minacce superiori da tutte le direzioni geografche e il
mancato rispetto degli obblighi di difesa da parte di francesi e britannici decretaro-
no la sua sconftta sul campo. I soldati polacchi combatterono a fanco degli allea-
ti per tutta la durata della guerra, ma dopo la conferenza di Jalta il loro paese fu
abbandonato nella sfera d’infuenza sovietica. Oggi l’obiettivo è impedire il ripeter-
si di tale scenario. Varsavia è decisa a offrire all’Ucraina tutto il sostegno possibile
per rafforzarne le capacità difensive e prevenirne l’assoggettamento. È infatti tra i
suoi principali fornitori di armamenti. Ha consegnato oltre 200 carri armati T-72 e
diversi obici semoventi da 155 mm. Si è già detta disponibile a trasferire anche i
caccia MiG-29. I funzionari polacchi puntano inoltre a sviluppare un potenziale
bellico suffciente a difendere il territorio nazionale e a dissuadere un’eventuale
aggressione russa. Lo scopo è permettere alla Polonia di combattere per l’arco di
tempo necessario all’attivazione dei meccanismi atlantici di difesa collettiva, in at-
tesa di un intervento effettivo degli alleati.
Varsavia monitora con estrema attenzione l’andamento della guerra. Ne ha
tratto fnora insegnamenti preziosi e alcune conferme, tra cui la necessità di posse-
dere una solida forza di terra equipaggiata con armamenti pesanti e lanciamissili in
160 grado di interrompere la logistica del nemico. I sistemi elettronici e quelli senza
LA POLONIA IMPERIALE
dei nuovi Stati membri. La Nato è un patto difensivo, non una minaccia militare. Il
suo allargamento non ha provocato la Russia, ma ne ha certamente complicato la
politica revisionista fnalizzata a ricostruire la perduta sfera d’infuenza.
Pertanto, Varsavia sostiene la politica della porta aperta (open door policy)
della Nato e lavora per migliorare la sua capacità di deterrenza alla luce del nuovo
contesto di sicurezza. Fin dalla formalizzazione della sua adesione nel 1997, la
Polonia ha sostenuto l’ammodernamento dei piani di difesa dell’Alleanza, lo svol-
gimento periodico di esercitazioni, l’incremento delle forze necessarie, lo sviluppo
di nuove infrastrutture e della struttura di comando. Nella convinzione che ciò non
costituisse una violazione degli obblighi contenuti nell’atto fondatore. Agli occhi
dei funzionari polacchi la credibilità della difesa collettiva atlantica si è sempre
basata sulle garanzie di sicurezza statunitensi. Garanzie che Washington corrobora
attraverso la propria postura militare nel Vecchio Continente e la disponibilità a
dispiegare unità aggiuntive in caso di crisi. La presenza di truppe americane sul
suolo polacco è decisiva. Si tratta infatti di un segnale che gli Stati Uniti non riten-
gono l’Europa centro-orientale una zona cuscinetto dallo status negoziabile.
Fintanto che la Nato ha considerato il terrorismo come minaccia prioritaria e
la Russia come potenziale partner strategico, le sollecitazioni polacche hanno sor-
tito un effetto limitato. È per questo che nel 2008 Varsavia ha accettato di ospitare
sistemi di difesa missilistica americani. Secondo il calcolo dei decisori di allora, ciò
avrebbe aumentato l’importanza della Polonia agli occhi degli Stati Uniti. Quindi,
nel 2014, l’annessione russa della Crimea e lo scoppio del confitto nel Donbas
hanno portato l’Alleanza a rafforzare i propri meccanismi di difesa in linea con le
aspettative polacche. A partire da quel momento Mosca ha intensifcato le sue
azioni aggressive e la frequenza delle esercitazioni non preannunciate ai suoi con-
fni. In risposta, la Nato ha schierato battaglioni multinazionali negli Stati baltici e
in Polonia. Nell’ambito di tale iniziativa Varsavia ha potuto benefciare della rela-
zione speciale con la superpotenza a stelle e strisce. Si è infatti assicurata che l’u-
nità sul proprio territorio fosse guidata dagli Stati Uniti, che tramite un meccanismo
a rotazione con turni di nove mesi assicurano il dispiegamento costante di una
brigata corrazzata. Nell’attuale contesto di crescente insicurezza, questa presenza
viene periodicamente aumentata.
Con il sostegno fnanziario della Nato, Washington ha istituito a Powidz, nella
contea di Słupca, una scorta preposizionata dell’esercito (Army pre-positioned
stock, Aps) progettata per rispondere più rapidamente a un eventuale confitto re-
gionale. Nel 2020 Polonia e Stati Uniti hanno quindi stipulato l’Enhanced Defense
Cooperation Agreement (Edca). L’accordo richiede a Varsavia di sviluppare infra-
strutture per ospitare circa 20 mila truppe americane ed è volto a superare alcuni
ostacoli legali che potrebbero inibire tale dispiegamento. Dall’inizio della guerra, il
presidente americano Joe Biden ha trasferito sul suolo polacco il quartier generale
permanente del 5° corpo d’armata degli Stati Uniti e due batterie missilistiche ter-
ra-aria Mim-104 Patriot, poste a protezione di Rzeszów, fulcro precarpatico del 163
COSÌ VARSAVIA SI PREPARA A COMBATTERE LA GUERRA VERA
LA POLONIA IN ARMI
a cura di Mirko CAMPOCHIARI
PRESENZA
SVEZIA MILITARE NATO/USA IN POLONIA Presenza militare Nato
1 Corpo multinazionale
LITUANIA Nord-Est (Mnc Ne)
M ar B alt ico Comando alleato
controspionaggio (Acci)
2 Divisione multinazionale
Nord-Est (Mnd Ne) dal 2017
FED. RUSSA
6 Kaliningrad 3 Centro di addestramento
Redzikowo interforze della Nato (Jftc)
2 Elbląg Suwałki Unità di integrazione della
4 forza Nato
1 Stettino
Orzysz 3° battaglione di
14 Mirosławiec segnalazione (3Nsb)
Bydgoszcz 3 4 Gruppo tattico con presenza
Skwierzyna F. V avanzata potenziata (eFP)
isto 5 Centro di eccellenza di
8 la
GERMANIA 12 11 Powidz controspionaggio Nato
Poznań Varsavia
P O L O N I A
7 Żagań
9 Świętoszów 13 Łask
10 Bolesławiec
GE RM ANIA P O L O N I A
VARSAVIA
1 brigata corazzata Mińsk
Mazowiecki
Powidz Reparti Grom Mig-29
(folgore)
COSÌ VARSAVIA SI PREPARA A COMBATTERE LA GUERRA VERA
C-130
Poznań
F-16 blocco 52
Berlino
Łódź
Zielona Góra
Łask
1 divisione corazzata (Leopard 2), F-16 blocco 52 Lublino
2 brigate corazzate,
1 brigata meccanizzata Żagań
Kielce
Częstochowa
Breslavia
Lubliniec
Opole UCR A I NA
Katowice Rzeszów
Casa/Eads C-295
Gliwice Cracovia Comando
Reparti Agat centrale Forze speciali
e reparti Nil
RE P. C E C A Truppe alpine
Praga
SLOVACCH IA
LA POLONIA IMPERIALE
afferenti al Patto di Varsavia. Non per quelli composti da professionisti, la cui vita e
il cui addestramento sono valutati più importanti delle armi che usano.
Il governo polacco è giunto alla conclusione che per proteggere il proprio paese
non ha bisogno di soldati di fanteria e coscritti ma di forze altamente corazzate
e motorizzate, in grado di congiungersi e intervenire rapidamente su tutto il
territorio. In linea con la strategia di base che guida la forza di intervento rapido
della Nato.
In questo ambito quattro divisioni polacche hanno un ruolo cruciale. L’undicesima
divisione di cavalleria corazzata Lubuska, ubicata a Żagań, presidia la parte
meridionale del paese. La diciottesima meccanizzata Zelazna («la divisione di
ferro») ha il quartier generale a Siedlce, in corrispondenza del conƓne con la
Bielorussia. Da Elbląg, la Pomeranian (sedicesima) monitora il Corridoio di Suwałki
e l’exclave russa di Kaliningrad. La Sczecin (dodicesima), di stanza nell’omonima
città, pattuglia la frontiera con la Germania.
Ora Varsavia non vuole solo comprare sistemi d’arma altrui ma anche produrre
in totale autonomia i relativi aggiornamenti. Ciò le consentirebbe di recidere i
difƓcili rapporti di dipendenza da attori come la Germania, di dare nuovo impulso
all’industria bellica locale e di sviluppare sistemi ex novo avvalendosi della tecnologia
straniera. Infatti, il contemporaneo utilizzo di dispositivi di provenienza Nato e Urss
obbliga la Polonia a un doppio sforzo logistico. Senza contare che i russi non sono
inclini ad aggiornare mezzi d’epoca sovietica e ora in mano ai paesi dell’Alleanza
Atlantica. Pertanto, la Polonia riceverà una parte dei sistemi d’arma direttamente da
produttori come Stati Uniti, Corea del Sud e Germania. L’altra parte sarà fabbricata
sul posto, così da ammodernarla autonomamente in futuro.
Nella lista della spesa polacca saltano all’occhio i mille carri armati K2 Black Panther.
Di questi solo 180 saranno costruiti in Corea del Sud. Il resto probabilmente
sarà realizzato in Polonia. A ogni modo i K2 sono stati pensati per il terreno
montagnoso della penisola coreana e Varsavia non ha avuto modo di valutarli e
testarli propriamente. Insomma, si tratta di un acquisto al buio e infatti la variante
polacca K2pl non è stata ancora ufƓcializzata. È bene sottolineare che questo
genere di ordini non sempre viene soddisfatto interamente. Anzi nel tempo può
essere ridimensionato, magari dopo che il numero iniziale ha generato un certo
effetto propagandistico.
Una vicenda simile concerne la commissione di 600 obici semoventi K9 Thunder.
Hanwha Defense ne ha già consegnate alla Polonia 24 unità lo scorso ottobre. Le
rimanenti saranno realizzate nella versione polacca K9pl e includeranno nuovi sistemi
avanzati di puntamento, visione notturna eccetera. Il veicolo da combattimento di
fanteria Borsuk costruito da Huta Stalowa Wola (Hsw) dispone di un motore diesel
della tedesca Gmbh e di un cannone da 30mm Mk44S Bushmaster II prodotto dalla
statunitense Northrop Grumman. L’obice semovente polacco Krab è una variante
del K9, con torretta As-90m inglese e cannone di produzione francese da 155mm,
in linea con gli standard Nato. Solo il sistema di controllo di tiro è made in Poland.
Varsavia ha ottenuto dagli Stati Uniti 18 lanciarazzi Himars come parte di un accordo
del valore di dieci miliardi di dollari che include 468 kit di caricamento e lancio. 167
COSÌ VARSAVIA SI PREPARA A COMBATTERE LA GUERRA VERA
Gołdap Suwałski L I T U A N I A
Park Krajobrazowy
Veisiejų
Sejny Regioninis
P O L O N I A
Parkas Druskininkai
SUWAŁKI
Wigierski
Orzysz Park Nar.
Olecko
Mikaszówka
Il battaglione multinazionale è composto da:
▪ un battaglione ad armi combinate degli Stati Uniti Rudawka BIELORUSSIA
▪ uno squadrone Sabre delle Royal Scots Dragoon Guards
▪ una batteria di artiglieria missilistica croata
▪ una compagnia
Elk Ada dell'Esercito romeno
Il Battle Group è assegnato alla 15a brigata meccanizzata Lipsk Hrodna
dell'Esercito polacco
169
LA POLONIA IMPERIALE
Non se ne parla molto, ma sono in corso intensi negoziati in vista del vertice
Nato di Vilnius dell’11-12 luglio 2023. Per Varsavia il risultato più importante sareb-
be la trasformazione della presenza militare Nato sul fanco Est da segnaletica
(tripwire) a difensiva (denial). I precedenti piani di difesa per la parte Nord del
fanco orientale prevedevano la possibilità di far arretrare le truppe Nato fno alla
Vistola. L’esperienza ucraina suggerisce che i costi dell’occupazione russa sono
troppo elevati per permettersi tali concessioni, visto che la prospettiva di riconqui-
stare i territori perduti è incerta. Occorre quindi ammassare forze tali da impedire
a Mosca di occupare qualsiasi parte del territorio Nato. Per la Polonia ciò implica
ampliare signifcativamente le proprie forze corazzate – da qui l’acquisto di quasi
mille carri K2 e cannoni semoventi K9 di fabbricazione coreana, oltre a circa 200
Abrams – e l’artiglieria, compresi i sistemi Himars e i loro omologhi coreani K239
Chunmoo. Sarebbe bene che queste forze fossero integrate dalla presenza di asset-
ti corazzati alleati, specie statunitensi.
Un altro evento importante per la Polonia saranno le elezioni parlamentari di
ottobre, decisive per le relazioni con il suo principale alleato europeo, la Germania.
La vittoria dell’opposizione liberale creerebbe un’opportunità di distensione parti-
colarmente rilevante sul piano securitario, in quanto Polonia e Germania potrebbe-
ro diventare un campo di battaglia in caso di scontro diretto tra Nato e Russia. Il
potenziale dell’economia tedesca offre anche l’occasione di costruire una forza di
difesa credibile per l’Europa contro la minaccia russa, soprattutto in considerazione
della palese ritrosia di Francia e Italia a espandere le proprie forze terrestri e della
signifcativa lontananza di Londra. Il rischio connesso a una vittoria dell’opposizio-
ne sarebbe invece un’eccessiva indulgenza verso il governo Scholz, riluttante ad
attuare la sbandierata Zeitenwende (svolta). Se invece dalle urne uscisse un altro
mandato dell’attuale partito di governo Diritto e giustizia, gli attriti con la Germania
costituiranno un elemento di mobilitazione patriottica dell’elettorato. La coopera-
zione nel settore della difesa si svilupperebbe principalmente con Regno Unito e
Stati Uniti, mentre si cercherebbe di rafforzare le relazioni con i paesi scandinavi e
i vicini meridionali. Tuttavia, la credibilità della Polonia nella regione sarebbe inde-
bolita da azioni controverse in politica interna (la questione dello Stato di diritto) e
da dispute teatrali con la Germania che non suscitano simpatia a Washington,
Stoccolma o Praga.
troburgo e l’accesso russo al Baltico. Ciò non implica alcun piano aggressivo da
parte di Polonia e Finlandia, ma solo un aumento della deterrenza verso un’aggres-
sione russa ai paesi Nato.
Altrettanto importante è che la Polonia sproni i paesi Nato e Ue ad assistere
l’Ucraina. La situazione indica che Putin non è intenzionato a fermare l’offensiva:
la mancata conquista di Kiev «in tre giorni» lo ha messo in diffcoltà con il suo en-
tourage e l’elettorato più imperialista. Putin, per quanto sorprendente, è considera-
to dagli ultranazionalisti russi come un elemento estraneo; era accettabile fntanto
che sapeva condurre una politica imperiale con i guanti bianchi, riconquistando
infuenza nello spazio ex sovietico ma mantenendo la cooperazione con l’Occiden-
te. Ora che resistenza ucraina e sanzioni hanno dissolto il mito del «mago del
Cremlino», il presidente russo non ha altra scelta che usare il vantaggio quantitativo
e il potenziale della Federazione per schiacciare l’Ucraina, poiché il possibile falli-
mento potrebbe costargli la vita.
L’obiettivo di Polonia, Stati baltici e paesi nordici è convincere gli alleati a incre-
mentare gli aiuti militari all’Ucraina affnché il crollo di Putin diventi scenario plausi-
bile. La scomparsa (o la morte) del dittatore non sanerebbe i guasti di un sistema
politico basato sulla simbiosi tra servizi segreti e criminalità organizzata, ma consen-
tirebbe all’establishment di addossare le colpe a Putin, intraprendendo una politica
più pacifca. L’esercito russo, nonostante la mobilitazione, non è preparato a nuove
offensive anche se queste provocheranno bagni di sangue da ambo le parti. Per
sopravvivere, l’Ucraina deve essere dotata di mezzi per infiggere alla Russia perdite
di gran lunga superiori alle proprie, anche attaccando obiettivi in territorio nemico.
Altrettanto importante è il continuo rafforzamento delle sue capacità anti-aeree e
anti-missile del paese. Non va inoltre dimenticato che l’economia ucraina è in grave
diffcoltà ed è giunto il momento di attingere alle riserve della Banca centrale russa
confscate dall’Occidente per sostenerla. Ue e Stati Uniti dovrebbero anche iniziare
a sanzionare i paesi che permettono a Mosca di proseguire lo sforzo bellico.
Una sfda importante per la Polonia potrebbe derivare dalle futtuazioni politi-
che negli Stati Uniti in relazione all’imminente campagna presidenziale. Un vantag-
gio dell’attuale governo polacco sono i buoni contatti con i repubblicani, compre-
si quelli scettici verso l’impegno statunitense in Europa. La presidenza Trump è
stata un esempio di come la retorica isolazionista possa convivere con una politica
realista nei confronti della Russia, tradottasi nell’aumento delle forze statunitensi in
Europa centrale. Purtroppo, molto peggiore è stato l’approccio di Trump all’Ucrai-
na: gli Stati Uniti hanno perso molto tempo non fornendole armamenti capaci di
scoraggiare l’aggressione russa. Anche in campo democratico aumenteranno le
voci «pacifste» che chiedono una riduzione della spesa militare e del sostegno
all’Ucraina e che potranno contare sulla simpatia di parte della stampa. Fortunata-
mente, la Polonia può contare su amici leali pure tra i democratici. Indipendente-
mente dall’esito delle parlamentari in Polonia, Varsavia non deve dare l’impressio-
ne di tifare per una parte politica americana; l’alleanza con gli Stati Uniti fonda la
raison d’état polacca, a prescindere da chi governi a Varsavia e a Washington. 173
RUSSI FUORI, UCRAINI DENTRO, FRANCESI SOTTO E TEDESCHI AFFIANCO. LEUROPA SECONDO VARSAVIA
sulla base di un ampio accordo quadro, all’insegna del friendshoring citato anche
da Giorgia Meloni nel discorso d’investitura al parlamento. La crescente assertività
della Cina e l’aggressività della Russia condannano Ue e Usa a una stretta coope-
razione politica, economica e tecnologica. La sua assenza indebolirebbe l’America,
ma per la sicurezza dell’Europa si rivelerebbe letale.
La Polonia vuole inoltre partecipare attivamente alle discussioni in corso nella
Nato e nell’Ue sul futuro delle relazioni con la Russia. La cosa peggiore sarebbe
inviare segnali di disponibilità a riallacciare dette relazioni quando le truppe russe
stanno ancora conducendo un’offensiva sul territorio ucraino. È tuttavia necessario
intensifcare i contatti con le fazioni dell’opposizione russa per le quali la sconftta
militare è l’unica possibilità di rovesciare Putin e introdurre lo Stato di diritto in
Russia. Una Federazione stabile, pacifca e decentralizzata con cui mantenere nor-
mali relazioni economiche e politiche è nell’interesse a lungo termine della Polo-
nia. Uno scenario simile, tuttavia, è oggi impossibile perché la maggioranza della
società russa accetta una dittatura ormai votata alla guerra permanente. Finché
esisterà il regime di Putin, nessuno in Europa potrà sentirsi al sicuro.
Date le perdite subite e specie se la nuova offensiva fallisse, nei prossimi me-
si Putin potrebbe segnalare la volontà di concordare un cessate-il-fuoco. I segnali
saranno diretti ai paesi che non applicano sanzioni (Turchia, India) o a quelli della
Ue in cui le simpatie florusse sono più forti (come l’Italia). I destinatari dovrebbe-
ro però essere consapevoli che per Putin l’unica ragione di una pausa strategica è
preparare un’altra guerra, con l’Ucraina o con l’Occidente. Assecondarlo signifca
creare le premesse per problemi ulteriori e peggiori nei prossimi anni. L’unico fat-
tore che potrebbe rendere accettabile una tregua sarebbe la volontà del popolo
ucraino.
Una situazione diversa potrebbe verifcarsi in caso di estromissione di Putin.
Eventuali negoziati con i suoi successori potrebbero avere senso se fnalizzati in
primo luogo al ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina (Crimea inclusa), del-
la Georgia e della Moldova.
175
LA POLONIA IMPERIALE
LA POLONIA ALZA
LA CORTINA D’ACCIAIO WA7CZYK
di Kacper
La grande protettrice
In Polonia il dibattito sulla sicurezza ha carattere prevalentemente conservati-
vo e, come in ogni altro paese del mondo, affonda le sue radici nei miti storici. Uno
di essi è riassumibile nel concetto di «baluardo della cristianità». La sua origine è la
formula latina di antemurale Christianitatis, utilizzata nel XVI secolo dalle autorità
cattoliche per descrivere i paesi che si ergevano a scudi del cristianesimo contro
l’espansione militare dell’islam promossa dall’impero ottomano. Secondo alcuni
storici polacchi, tuttavia, la nozione di Polonia come protettrice della cristianità va
fatta risalire addirittura al XIV secolo. Tra i sostenitori di questa tesi c’era anche
Janusz Tazbir, esperto di cultura e religione polacche deceduto nel 2016, che scris-
se di uno scambio epistolare tra Władysław il Breve e papa Giovanni XXII in cui si 177
LA POLONIA ALZA LA CORTINA D’ACCIAIO
defnì l’allora principato di Galizia-Volinia uno «scudo» contro i tatari, un’altra co-
munità nazionale musulmana.
Questo mito passivo si mescolava con l’idea di dover diffondere attivamente
la civiltà occidentale a est. I polacchi che avanzavano nelle terre di confne orien-
tali (Kresy Wschodnie, nel gergo della storiografa nazionale) si consideravano,
come nel caso di tutti i colonizzatori della storia, vettori di cultura e ordine in luo-
ghi altrimenti selvaggi. La loro principale concorrente era, chiaramente, la Russia.
Nel XIX secolo, dopo che la Polonia venne spartita tra Austria-Ungheria, Prus-
sia e Russia, il concetto di «protettrice d’Europa» tornò in voga tra alcuni gruppi
conservatori. Il loro obiettivo era dimostrare la necessità dell’indipendenza polacca
per stabilire un cuscinetto in Europa contro l’espansionismo culturale e militare
russo. Quel sogno si avverò soltanto nel secolo successivo. E intorno al 1920 l’idea
di Polonia «protettrice» riapparve per illustrare l’importanza della vittoria contro la
Russia bolscevica. Varsavia si presentava come baluardo dell’Europa occidentale
volto ad arginare le aggressioni politiche e militari, l’avanzamento dello spirito ri-
voluzionario e la diffusione dell’ateismo. Nel periodo dell’indipendenza tra 1918 e
1939 non mancò di farsi vivo anche l’aspetto attivo del mito polacco. Era infatti
pratica comune prendere a esempio l’unicità della Polonia per giustifcare la colo-
nizzazione dei territori che oggi compongono la Bielorussia occidentale e soprat-
tutto l’Ucraina. In tale prospettiva, Varsavia era portatrice di civiltà nei confronti di
quelle popolazioni «arretrate».
Secondo alcuni autori, altri eventi storici confermano lo status della Polonia
quale protettrice dei valori europei e cristiani. Un’alta funzione simbolica è sicura-
mente ricoperta dalla rivolta di Varsavia nel 1944 e dalla storia del sindacato Soli-
darno£© alla fne degli anni Ottanta. Ma l’aspetto più importante è che tale mito è
oggi diffuso tra tutti i principali esponenti politici polacchi, siano essi di sinistra, di
destra o centristi. Si tratta di una tradizione che può assumere due sembianze di-
verse. La prima presuppone che la Polonia, in quanto espressione della cultura
occidentale, debba diffondere i propri valori a oriente. La seconda si concentra
invece sull’allestimento di quante più barriere possibili tra la propria civiltà e quel-
le che sono percepite come minacce esterne.
KALININGRAD
L IT UA N IA
Stoccaggio
armi nucleari Gorodkovo
Sovetsk Neman
Donskoe
Khrabrovo Kaliningrad Dobrovol’sk
Krasnotorovka
Čkalovsk (RUSSIA)
Gvardejsk Černjachovsk
Baltijsk
Flotta del Baltico
Svetlyj Kaliningrad
Gusev
Laduškin Znamensk
Pravdinsk Ozërsk
Mamonovo
Missili balistici
Elblag Iskander-M
PRINCIPALI FORZE RUSSE A KALININGRAD
Flotta del Baltico
Baltijsk, Kronštadt (San Pietroburgo): 2 sottomarini diesel e 56 navi
POLON IA
11° Corpo d’Armata, Kaliningrad
7° reggimento motorizzato della Guardia: Kaliningrad
79a brigata motorizzata della Guardia: Gusev
244a brigata d’artiglieria della Guardia: Kaliningrad
152a brigata missilistica della Guardia: Černjakhovsk Reggimento missili (difesa aerea)
22° reggimento antiaereo della Guardia: Kaliningrad
336° brigata di fanteria di Marina, Baltijsk Basi militari aeree
Kaunas
Mar Kaliningrad Kaliningrad
Baltico
(FED. RUSSA)
L I T U A N I A
Mamonovo Bagrationovsk
Grzechotki Bezledy 1
Suwałki
P O L O N I A
Hrodna
Voivo d ato
B I
della 2
Po dlachia
E L
O R U S S I A
Fiu
m e Vi stola
Varsavia
Kukuryki Brest
Fortificazioni polacche Terespol
Valichi di frontiera aperti
Łódź 1 Barriera di filo spinato. In progetto muro
permanente in acciaio
2 Muro di acciaio alto 5,5 metri con sensori
di movimento, rete di telecamere UCRAINA
I MURI POLACCHI e torri di osservazione
Entrambi i casi sono però il risultato dell’invasione russa dell’Ucraina del feb-
braio 2022. La Bielorussia l’ha infatti attivamente sostenuta. Un altro elemento co-
mune è la narrazione scelta dalle autorità polacche, che hanno presentato le bar-
riere come uno strumento per proteggere il paese dall’immigrazione irregolare.
Questa retorica è in parte indirizzata all’Unione Europea e ambisce a giustifcare la
mancanza di impegno di Varsavia nella crisi migratoria. Ma è anche pensata per la
scena politica interna, poiché utile a presentare all’elettorato polacco lo spettro di
un’ondata di migranti non bianchi. Elemento che potrebbe fruttare voti.
Un altro aspetto, più generale, lega le due decisioni. I termini che ho usato per
descrivere le ragioni alla base della costruzione delle barriere non sono casuali. Le
tensioni tra la Polonia e i suoi vicini orientali sono reali, ma le decisioni delle au-
torità polacche sono il frutto di convinzioni profondamente radicate. Non la con-
seguenza di uno studio approfondito e basato su prove oggettive. Sembra allora
paradossale che Varsavia, pur fondando la propria politica di protezione dei con-
fni sul mito del sentimento anti-islamico, consideri oggi la Turchia uno dei suoi
alleati più importanti. Insomma, il processo decisionale polacco poteva essere più
ponderato, razionale. Ma quando si parla di politica estera in Polonia, purtroppo,
ciò sembra impossibile.
(traduzione di Giacomo Mariotto)
184
LA POLONIA IMPERIALE
LA POLITICA POLACCA
NON È QUEL CHE SEMBRA di Marceli SOMMER
negli anni Novanta per una terapia shock nella sua variante più estrema. L’assetto
si è cristallizzato con i governi post-Solidarno40 (1997-2001), nei quali il partner
minore dell’intelligencija, l’Unione della libertà (Uw), ricopriva gli incarichi chiave
nei ministeri economici. Il raffreddamento dell’economia in nome della lotta all’in-
fazione e la privatizzazione delle imprese statali generarono il record nazionale di
disoccupazione: oltre il 20%.
svolta in cui la sovranità diventa, per la prima volta dopo oltre trent’anni, elemento
cardine della nostra politica.
4. Questa volta però la destra si è spinta troppo oltre, come attestano i sondag-
gi. La maggioranza dei polacchi critica l’Ue, ma ciò non implica che voglia un
confitto aperto con Bruxelles dalle incerte conseguenze, specie nel contesto delle
crisi innescate dall’aggressione russa all’Ucraina. Il tentativo di creare un nuovo
paradigma della politica polacca facendo perno sulle tensioni con l’Ue giunge dun-
que fuori tempo. La seconda debolezza dell’offensiva sovranista del PiS sta nel suo
principale pretesto, la magistratura. Tribunali e giudici non godono di particolare
stima in Polonia, ma i settori sociali che ne ritengono prioritaria la riforma sono
esigui. E in ogni caso il PiS non può vantare successi tangibili in materia. Il braccio
di ferro tra governo e magistratura continua, generando crescente incertezza sulla
stabilità e sull’integrità dell’assetto giuridico nazionale.
I soldi del Recovery Fund non saranno questione di vita o di morte per i po-
lacchi, ma davanti all’infazione galoppante e alle limitate risorse statali farebbero
certamente comodo. Di conseguenza, più lunga è la disputa con l’Ue, più il gruppo
dei difensori intransigenti della sovranità si restringe e aumentano i compromessi
cui è pronto a scendere il governo. Una parte delle forze al potere sta tentando di
rendere il carbone polacco e i crescenti costi di adeguamento alle normative clima-
tiche l’ennesima posta in gioco contro «i dettami di Berlino e Bruxelles», ma anche
in questo caso con prospettive dubbie. Per una parte crescente della società non
vale la pena salvare il carbone e pur volendo non sarebbe possibile.
Molti polacchi si rendono conto che il modo in cui la sovranità viene defnita
dal PiS è anacronistico e mal si addice alle sfde dei prossimi anni. A fronte della
regionalizzazione dell’economia mondiale, delle grandi mutazioni nelle catene di
approvvigionamento energetico, dell’inasprirsi della competizione geopolitica
avremo più che mai bisogno delle risorse e dell’appoggio di un’Europa integra. La
mobilitazione degli elettori all’insegna della dignità non è favorita dal fatto che i
sovranisti radicali si stiano rivelando privi di artigli. In una società che rimane tra le
più favorevoli all’integrazione europea, un gioco del genere può rivelarsi una farsa.
In vista delle elezioni in calendario per l’autunno 2023, i gruppi autenticamen-
te europeisti dovrebbero far tesoro delle riforme sociali del PiS e valorizzarne i
benefciari. Una buona occasione di riappacifcazione con Bruxelles è offerta dal
ruolo della Polonia e della sua classe politica nel contesto della guerra d’Ucraina.
L’aggressione russa, preconizzata nel 2008 da Lech Kaczy8ski – il presidente po-
lacco morto nell’incidente aereo di Smolensk del 2010 – potrebbe spingere l’Euro-
pa a vedere sotto un’altra luce i populisti polacchi, i più decisi nel mettere in
guardia dal neoimperialismo russo. Togliendo così ossigeno ai ben più radicali
sovranisti.
Parte III
RADICI POLACCHE
LA POLONIA IMPERIALE
ATLANTE STORICO-GEOPOLITICO
DELLA GRANDE MARTIRE D’EUROPA
Varsavia riscopre la sua storia. La Polonia jagellonica come mito
fondativo. Il trauma delle tre spartizioni settecentesche. Il nazionalismo
antitedesco di Dmowski e il progetto imperiale di Piłsudski. La quarta
spartizione (1939-45), il dominio sovietico e la fase risorgimentale.
di Giuseppe DE RUVO e Giulia GIGANTE
2. La prawdziwa Polska (la vera Polonia) nacque nel 1569 dall’Unione di Lu-
blino, per volontà del Regno di Polonia e del Granducato di Lituania, dando vita
alla Rzeczpospolita Obojga Narodów. In realtà, l’unione era già stata sancita nel
1385 a Krzewo, con le nozze tra Edvige di Polonia e il granduca di Lituania Jagel-
lone. Tuttavia, la formalizzazione che avvenne a Lublino nel 1569 è fondamentale
da un punto di vista geostrategico, data la natura esplicitamente antirussa e antiteu-
tonica dell’Unione.
Battezzata «la Serenissima» dalla nobiltà (szlachta) sarmatica, la Polonia «jagel-
lonica» ebbe un’esistenza pienamente geopolitica. Essa si estendeva per un milione
di chilometri quadrati: da Danzica a Smolensk, dal ducato della Curlandia fno
all’Ucraina meridionale (carta a colori 1).
Potenza iscritta nel cuore dell’Europa centro-orientale, la Confederazione po-
lacco-lituana aveva ampia considerazione di sé. «Si Deus nobiscum, quis contra
nos?», si chiedevano i nobili in zupan e gli ussari alati armati di lancia e sciabola.
In realtà, molti furono i nemici della prima Rzeczpospolita, che però combatteva (e
vinceva) «con Dio al suo fanco». L’esercito della Confederazione riuscì infatti a
3. P. MORAWSKI, «Atlante geopolitico della Polonia. La storia divora la geografa», Limes, «Polonia. L’Eu-
ropa senza euro», n. 1/2014, pp. 7-22.
4. R. DMOWSKI, Przewrót, New York 2006, Norton Reprint, p. 240.
5. I riferimenti sono a I. BIBÓ, Misère des petits Etats d’Europe de l’Est, Paris 1986, Harmattan e a T.
SNYDER, Bloodlands, New York 2011, Vintage.
6. W. CHURCHILL, Address to the House of Commons, 1/10/1939.
194 7. GIOVANNI PAOLO II, Memoria e Identità, Milano 2005, Rizzoli, p. 109.
LA POLONIA IMPERIALE
U N GH E R I A M OL D OVA U N G H ER IA Buda
Buda Buda
IMPERO IMPERO
OTTOMANO OTTOMANO
17 72 1793 1795
LA POLONIA IMPERIALE
Oltre alla questione istituzionale, già dal 1648 la Repubblica dei due popoli si
trovò a fronteggiare problematiche esterne, diffcili da gestire a causa della pressoc-
ché totale assenza di Stato. Lo scoppio della rivolta di Khmel’nyc’kyj (1648), che
portò alla nascita dell’etmanato cosacco, inaugurò il graduale tramonto dell’in-
fuenza polacca nella regione sud-orientale della Confederazione. I cosacchi rico-
nobbero la supremazia della corona di Moscovia che pontifcava dal cranio di
Alessio I, insorsero contro il dominio polacco nella Rus’ occidentale e obbligarono
la Confederazione a preparare un proporzionato contrattacco in risposta alle pre-
tenziose rivendicazioni esposte nel trattato di Perejaslav (1654).
Da allora, iniziò il «diluvio universale». Le potenze limitrofe si tuffarono nella
mischia innescando una reazione a catena. Nel 1655 la Svezia, galvanizzata dall’a-
vanzata di russi e cosacchi, invase la Polonia, portando in dote la seconda guerra
del Nord (1655-1660). La regione era entrata nel caos e, alla fne delle ostilità, la
popolazione di Varsavia era passata da 20 mila a 2 mila abitanti. La Polonia esiste-
va ancora, ma la prawdziwa Polska era prossima alla morte.
Oltre alle mire straniere, rimanevano i soliti problemi interni. Con la costituzio-
ne del 3 maggio 1791, infatti, la Polonia stava compiendo passi avanti verso la
modernizzazione politica e istituzionale. La Carta eliminava il liberum veto, intro-
duceva alcuni diritti politici per la classe borghese e soddisfaceva anche la classe
contadina. Era però troppo tardi. Russia, Prussia e Austria non potevano accettare
uno Stato polacco forte ai loro confni. E la costituzione, peraltro molto avanzata
dal punto di vista politico e sociale, fu bollata da Caterina di Russia «un guazzabu-
glio di idee giacobine».
A questo punto, la zarina sovvenzionò coloro che si opponevano alla riforma
della Repubblica dei due popoli, ovvero i magnati polacco-lituani aderenti alla
Confederazione di Targowica. Esauritosi il confitto contro gli ottomani, le truppe
russe invasero il territorio della Serenissima costringendo Varsavia alla resa. Il ban-
chetto venne riaperto. Caterina ebbe in premio l’intera Bielorussia, notevoli territo-
ri della Lituania e dell’Ucraina, mentre i prussiani si insediarono nelle bramate città
di Danzica, Torún e in alcune zone della Masovia. Fu la seconda spartizione della
Polonia (1793), che ridusse drasticamente l’estensione territoriale della Rzeczpospo-
lita (carta 1).
Lo Stato polacco non era tuttavia defnitivamente fallito. In particolare, le Forze
armate erano ancora mobilitabili, anche se non vi era una chiara leadership politica.
In questo contesto, il generale Ko8ciuszko – esule nella Francia rivoluzionaria – ri-
tornò in patria e fu accolto come un eroe: suo compito era quello di ripristinare la
gloria della Rzeczpospolita e di importare gli ideali della Rivoluzione francese. Gli
ostacoli, però, erano insormontabili. Intanto, era chiarissimo che per unire il popolo
polacco il generale avrebbe dovuto armonizzare gli interessi della borghesia e delle
classi contadine con quelli dell’aristocrazia. Ma la coperta era corta: negare le riforme
a contadini e borghesi avrebbe signifcato combattere una guerra potendo contare
solo su quella parte di nobiltà rimasta fedele alla Serenissima. L’unico modo per ot-
tenere l’appoggio delle classi rurali e della borghesia era privare quella stessa nobil-
tà di privilegi secolari, per i quali peraltro combatteva.
Questo lunghissimo dibattito durò fno ai primi mesi del 1794 e, sebbene Ko-
8ciuszko raggiungesse rapidamente Varsavia, l’occasione di rispondere militarmen-
te era ormai sprecata. Le truppe russe, infatti, avevano avuto il tempo di riposizio-
narsi in modo da bloccare i colli di bottiglia attraverso i quali i diversi reggimenti
dell’esercito polacco sarebbero dovuti passare per riunirsi e lanciare una controf-
fensiva organizzata.
Ciononostante, i polacchi si ribellarono. Ko8ciuszko ottenne una vittoria
Racławice nell’aprile 1794 e nei giorni successivi insorsero Varsavia e Vilnius. L’en-
tusiasmo durò pochissimo: Caterina di Russia si riorganizzò con austriaci e prussiani.
Le città insorte caddero l’una dopo l’altra. Ko8ciuszko fu defnitivamente sconftto a
Maciejowice il 10 ottobre 1795, ma la Polonia già non esisteva più. Dal gennaio di
quell’anno, infatti, erano già iniziati i negoziati per la terza spartizione di quel che
rimaneva della Confederazione polacco-lituana, che avrebbero condotto alla cancel-
198 lazione della Rzeczpospolita dalla carta geografca. Terminati nel gennaio 1796, i
LA POLONIA IMPERIALE
4. Dopo la spartizione del 1795 la Polonia non esisteva più come entità spa-
ziale, ma resisteva come entità spirituale. Il periodo che va dalla seconda metà
dell’Ottocento allo scoppio della prima guerra mondiale è infatti caratterizzato da
un acceso dibattito sul ruolo della Polonia, sulla necessità di un suo ritorno sulla
scena europea. La voce più autorevole fu quella di Roman Dmowski. Sostenitore
del nazionalismo etico, il leader di Endecja (Democrazia nazionale) vedeva nella
crisi della dinastia dei Romanov, esplosa nella rivoluzione del 1905, una grande
occasione per riportare la questione polacca al centro del dibattito europeo. La
prospettiva dmowskiana si basava su un duplice presupposto: uno culturale-floso-
fco e uno geopolitico. Sotto il primo aspetto, egli considerava la Polonia un «og-
getto morale assoluto»: l’esistenza dello Spirito polacco non dipendeva esclusiva-
mente dalla sua concreta esistenza spaziale. La Polonia era un’entità trascendente,
che doveva certamente incarnarsi in uno Stato, ma non poteva ridursi a esso. Anzi,
Dmowski riteneva inevitabile e necessaria la creazione di uno Stato polacco pro-
prio per evitare che altre potenze, in particolare la Germania, potessero distrugge-
re l’identità culturale della Polonia. Lo Stato doveva essere totalmente al servizio
della nazione: «patriottismo» non signifcava difesa dei confni, ma dell’identità na-
zionale. Su queste basi culturali e flosofche Dmowski sosteneva che lo spirito
polacco dovesse, per incarnarsi in un’entità statuale e proteggere l’identità nazio-
nale, ricercare un accordo con la Russia. Diagnosticata la crisi della dinastia Roma-
nov, egli credeva che fosse possibile iscrivere uno Stato polacco, più o meno au-
tonomo, all’interno dell’impero russo, considerato più debole della Germania e
meno incline a cancellare l’identità nazionale della Matka Polka. Dmowski temeva
la germanizzazione delle terre polacche più di qualsiasi altra minaccia. Per evitarla,
era pronto anche ad allearsi col nemico di sempre. Secondo lui, infatti, non c’erano
dubbi che la Germania guglielmina avrebbe portato avanti un radicale processo di
germanizzazione, in grado di distruggere la rocciosa anima polacca.
Gli esiti della prima guerra mondiale, sanciti dal trattato di Versailles e dalla
Pace di Brest, scompaginarono però tutti gli equilibri e liquidarono la prospettiva
geopolitica di Dmowski (ma non quella culturale). La Polonia, nel 1918, tornò sul-
la carta geografca con una dimensione inferiore a quella della Confederazione
polacco-lituana ma assolutamente non trascurabile. Sicuramente maggiore di quel-
la immaginata dal leader di Endecja. 199
ATLANTE STORICO-GEOPOLITICO DELLA GRANDE MARTIRE D’EUROPA
Estendendosi da Pozna8 alla Volinia, dal Baltico (con Danzica città libera) a
Cracovia, oltre che da Vilnius alla Galizia, la seconda Rzeczpospolita (carta a colo-
ri 2) era considerata un attore fondamentale nell’equilibro post-bellico. Con il ridi-
mensionamento austro-tedesco e lo scoppio della rivoluzione d’Ottobre, l’assetto
dell’Europa orientale era sconvolto. Le potenze vincitrici avevano bisogno di uno
Stato polacco forte, in grado di contenere il revanscismo tedesco e di fungere da
antemurale occidentale contro la Russia comunista. È in questo contesto che entra
in scena Joseph Piłsudski. Da sempre avverso all’approccio aperto nei confronti di
Mosca, il Maresciallo riteneva possibile approfttare della guerra civile tra rossi e
bianchi in Russia per allargare la sfera d’infuenza della Rzeczpospolita verso est,
arrivando fno a Kiev e a Minsk. Il progetto di Piłsudski era a tutti gli effetti impe-
riale. Egli intendeva creare una confederazione (Konfederacja, con chiaro riferi-
mento all’Unione di Lublino) di Stati indipendenti con Bielorussia e Lituania (allar-
gabile alla Finlandia e al Caucaso 8), in modo da donare profondità strategica alla
Polonia a est, isolando la Russia e imponendosi come principale attore dell’Europa
centro-orientale. Così sostituendo Germania e Austria-Ungheria nel ruolo di ege-
mone regionale. Da qui anche il progetto, che però rimase tale, dell’Intermarium
– una Polonia estesa dal Baltico al Nero (carta 2 dell’editoriale).
Il progetto di Piłsudski era ambizioso e trovava grande approvazione nell’opi-
nione pubblica polacca. Era infatti un ritorno alla postura jagellonica: la prawdziwa
Polska stava rinascendo dopo 123 anni di umiliazioni.
Tuttavia, il maresciallo dovette scontrarsi con una realtà interna estremamente
complessa. La seconda Rzeczpospolita si presentava infatti come un mosaico etni-
co-culturale diffcile da comporre. Ad esempio, la minoranza bielorussa – che in
alcune aree nord-orientali era tutt’altro che minoritaria – non si fdava di Piłsudski
e mal sopportava l’idea di diventare mero cuscinetto a difesa della nuova Konfede-
racja; la questione di Vilnius, entrata in territorio polacco, rendeva inoltre estrema-
mente complessi i rapporti con la neonata Repubblica di Lituania; infne, il nazio-
nalismo ucraino iniziava a svilupparsi fortemente nel Sud-Est del paese. Nel 1920
Piłsudski dovette riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina decisa a Brest, rinuncian-
do alle pretese d’infuenza su Kiev.
A questi fattori si aggiunse la guerra contro la Russia comunista (1919-1920),
che per un momento penetrò largamente in territorio polacco, arrivando a minac-
ciare Varsavia. Grazie alle sollevazioni delle città e al concorso unanime di tutte le
classi sociali, la controffensiva polacca ebbe successo e i russi furono respinti.
Tuttavia, era ormai impensabile per Piłsudski procedere con l’offensiva verso est.
La Polonia, appena risorta, era allo stremo delle forze.
Nessuno vinceva davvero: l’idea di Lenin secondo cui le classi operaie polac-
che si sarebbero unite all’Armata Rossa si rivelò infondata e il sogno piłsudskiano
di riportare alla luce la Confederazione polacco-lituana subì una battuta d’arresto.
La Pace di Riga (1921) cristallizzò allora i confni tra Urss e Polonia, in un clima
diplomatico surreale. Come riporta lo storico Norman Davies nella sua monumen-
tale storia della guerra russo-polacca, entrambe le delegazioni si presentarono ai
negoziati convinte in cuor loro di essere la parte sconftta 9.
Nonostante questo sentimento, però, la Polonia era tornata sulla carta geogra-
fca, con un’estensione territoriale assolutamente non indifferente e con un ruolo
perfettamente congeniale alla sua storia. Guardiana del revanscismo tedesco e
antemurale contro l’Unione Sovietica, Varsavia poteva fnalmente nuotare nel suo
mare. Se solo avesse saputo farlo.
9. Su questo, N. DAVIES, White Eagle, Red Star, London 2003, Pimlico. 201
ATLANTE STORICO-GEOPOLITICO DELLA GRANDE MARTIRE D’EUROPA
2 - LA QUARTA SPARTIZIONE
DELLA POLONIA (1939-1941) 203
ATLANTE STORICO-GEOPOLITICO DELLA GRANDE MARTIRE D’EUROPA
7. La storia che porta Varsavia a svincolarsi dal dominio sovietico 11 non gene-
ra modifche territoriali: i confni della Polonia post-1989 sono gli stessi della Polska
Rzeczpospolita Ludowa. Quel che cambia è la prospettiva storico-geopolitica. L’e-
lezione di Wojtiła al soglio pontifcio, lo sviluppo del movimento Solidarno£© e la
disgregazione dell’Unione Sovietica inseriscono infatti Varsavia in uno spaziotem-
po risorgimentale tuttora vigente. Dopo quattro spartizioni, due sparizioni dalla
carta geografca e quarantacinque anni di vassallaggio sovietico, la rocciosa anima
polacca non vuole più rivivere i traumi del passato. La nazione deve essere protet-
ta con ogni mezzo. La ricerca di sicurezza passa per l’ingresso nella Nato (1999) e
quella di sviluppo economico per l’ingresso nell’Unione Europea (2005). Questa
duplice operazione è per i polacchi in realtà unica: si tratta di entrare nell’Impero
europeo americano (Iea), nella consapevolezza che esso è pensato per tenere i
russi fuori e i tedeschi sotto. Polish dream per antonomasia. I quarantacinque anni
di dominio sovietico, infatti, non hanno sopito la germanofobia polacca. Al contra-
rio, l’hanno esacerbata. La propaganda sovietica, in particolare dopo l’ingresso
della Repubblica Federale Germania nella Nato, batteva infatti moltissimo sul «pe-
ricolo tedesco». Narrazione assolutamente strumentale, che però trovava terreno
fertile in Polonia.
Il rapporto con l’Unione Europea risente moltissimo dell’atteggiamento risor-
gimentale polacco ed è informato dalla dimensione culturale della prospettiva di
Dmowski, epurata però da qualsiasi tendenza florussa. La nazione polacca, a
maggior ragione dopo il 1991, si presenta come oggetto morale assoluto, irriduci-
bile in strutture sovranazionali e dotata di capacità di decidere autonomamente
sulla base della «sua» tradizione. In questo contesto, il cattolicesimo gioca un ruolo
fondamentale nella defnizione dell’identità nazionale e assurge a punto di riferi-
mento identitario in grado di offrire legittimità politica. È da questo atteggiamento
che sgorgano i confitti con l’Unione Europea, organizzazione che Varsavia consi-
dera utile per ottenere fondi da destinare allo sviluppo, ma alla quale non ricono-
sce autorità in ambito legislativo. Nel 2021, infatti, la Corte costituzionale polacca
ha addirittura defnito incostituzionali gli articoli 1, 2 e 19 del Tfue, che sanciscono
11. Per cui si rimanda a R. MOROZZO DELLA ROCCA, Le Nazioni non muoiono. Russia rivoluzionaria,
204 Polonia indipendente e Santa Sede, Bologna 1992, il Mulino.
LA POLONIA IMPERIALE
3 - TERRE POLACCHE
Confne polacco nel
1939
Massima espansione
della Polonia (1634)
La Polonia oggi
Confne polacco nel
1018
Minsk
Stettino
Poznań Brėst
Varsavia
Breslavia
Lublino
Kiev
Cracovia
Leopoli
Bratislava
Zaporizzja
Quel che Varsavia non è riuscita a ottenere e che Washington non ha potuto
(o voluto) concedere, l’ha generato la guerra d’Ucraina. Dopo il 24 febbraio, la
Polonia è diventata il perno della Nato baltica, antemurale strategico e formidabile
hub logistico-militare incaricato di gestire, con il supporto americano e britannico,
la difesa di Kiev. Posta a guardia dell’Istmo d’Europa (carta a colori 5 dell’editoria-
le), la «nuova superpotenza militare europea» 12 gode di un’autonomia strategica e
di una centralità geopolitica senza precedenti, né rinuncia alla sua assertività.
In questa congiuntura, vecchi miti tornano ad albergare nella mente della
Grande Martire. Che tale non vuole più essere.
12. M. KARNITSCHNIG, W. KO£©, «Meet Europe’s coming military superpower: Poland», Politico,
21/11/2022.
13. A. ROSSI, «Spezzatini di Russia in salsa ucraina, polacca e americana», Limes, «La guerra continua»,
n. 1/2023, pp. 31-32.
14. V. GERA, «Pole killed fghting in Ukraine buried as hero of 2 nations», Ap News, 20/12/2022.
15. «Partitioning Ukraine was an option earlier in war: Former Polish FM», Al Mayadeen, 23/1/2023.
16. Si veda in questo volume l’articolo di A. ROSSI, «Perché la Polonia chiede riparazioni di guerra alla
206 Germania», pp. 41-60.
LA POLONIA IMPERIALE
Anche per questi motivi il primo ministro Mateusz Morawiecki, che punta tut-
to sul sentimento antirusso, ha affermato che non è il caso di ingaggiare un’inutile
guerra contro l’Ue 17. Il presidente Andrzej Duda ha però confermato la superiorità
dell’ordinamento polacco su quello europeo, specifcando che nessuno può intro-
mettersi negli affari e nelle tradizioni polacche.
Siamo ancora qui: il nazionalismo etico à la Dmowski, rappresentato da Duda,
contro la Realpolitik jagellonico-piłsudskiana incarnata da Morawiecki, con Russia
e Germania a fare da sfondo.
208 17. W. KO£©, «Poland waves white fag in EU rule of law dispute», Politico, 14/12/2022.
L I V O N I A
1 - LA CONFEDERAZIONE POLACCO-LITUANA (XVI-XVII SEC.)
Mosca
Mar Baltico
Vilnius Smolensk
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(Vilnius)
Lituani
R U S S I A Bielorussi
Minsk
Grodno Ruteni/ucraini
A Bydgoszcz Slovacchi
Białystok
C Cechi
Poznań C Frontiera della
Homel’ Polonia 1921-1938
C Frontiere delle tre
VARSAVIA Pińsk potenze spartitrici
Brześć fno al 1914
A Frontiera etnica
Łódź P O L O N I A ucraina per gli ucraini
Territorio conteso tra
Radom Polonia e Lituania
C Lublino Territorio conteso tra
Czestochowa C Polonia e Russia
Równe bolscevica (1920)
Tensioni alle frontiere
B Kiev Area a forte presenza
Sosnowiec B bielorussa
Cracovia Area a forte minoranza
Katowice Lwów (Leopoli) polacca
B
Aree polacche già
appartenute a:
B (Prussia
A Prussia
occidentale, Posnania)
Impero austro-ungarico
Stanisławów B (Galizia, Rutenia Rossa)
Impero russo (Regno
Polonia, Polesia,
C di
Volinia, Rutenia Nera
e Bianca)
Frontiera polacca
nel 1939
Mar
Territorio già polacco
Baltico annesso all’Urss
nel 1945
Polonia nel 1945
Terre “recuperate”
Vil’njus alla Germania
Danzica
nel 1945
Tedeschi fuggiti,
Stettino Olsztyn evacuati o espulsi
Grodno
dalla Polonia
Novogrudok Polacchi trasferiti
in Polonia da
GERMANIA Toruń Lituania, Bielorussia
e Ucraina sovietiche
Poznań
Trasferimento della
VARSAVIA popolazione
Pinsk URSS ucraina verso l’Urss
P O L O N I A Trasferimento delle
popolazioni bielorusse
Łódź e lituane verso l’Urss
Trasferimento di 7 mila
Wrocław cechi dalla Polonia in
Cecoslovacchia
Migrazione interna
Luck dei polacchi verso
Kielce gli ex territori tedeschi
Polacchi di ritorno
C E CO S LO VACC H I A Katowice dall’Urss
Cracovia
Polacchi di ritorno
(L’vov) Leopoli dai campi in Germania
Ternopol’ Tedeschi deportati
in Urss
Resistenti polacchi
Stanislav deportati in Urss
AUSTRIA Ritorni in Polonia
da varie parti d’Europa
UNGH
3 - LO SPOSTAMENTO DELLA ERIA
POLONIA MANIA
VERSO OVEST NELR O1945
Management of Difference: Borders and Multiethnic Regions in Contemporary Central Europe
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*After reinforceE borEer barriers built planneE
Other cities BorEers of autonoNous regions on the E6hs frontier Xith Russia anE Belarus
La carta Historya (Storia) del geografo Eugeniusz Romer, pubblicata nel 1916
all’interno dell’Atlante geograƂco e statistico della Polonia, rappresenta
le variazioni dei conwni polacchi tra 1772 e 1815. L’accento è posto sulle
tre partizioni della Polonia (1772, 1793 e 1795) da parte di Russia, Prussia
e Austria-Ungheria, che si conclusero con il suo totale smembramento. Tra
1807 e 1815, prima sotto forma di Ducato di Varsavia e poi di Regno di
Polonia, il paese tornò a wgurare sulle carte geograwche, benché su scala
notevolmente ridotta.
Dopo la pubblicazione, le autorità tedesche conwscarono la maggior
parte delle copie dell’Atlante. Tuttavia, due stampe furono segretamente
trasportate negli Stati Uniti e quindi a Parigi, dove nel 1919 vennero distribuite
ai partecipanti della Conferenza di pace.
209
LA POLONIA IMPERIALE
JOSEPH CONRAD
SCRITTORE
DEL LIMES POLACCO AMBROSINI di Richard
1. The Collected Letters of Joseph Conrad, vol. 2: 1898-1902, a cura di F. KARL e L. DAVIES, Cambridge
1986, Cambridge University Press, p. 244. 211
JOSEPH CONRAD, SCRITTORE DEL LIMES POLACCO
2. J. KOLBUSZEWSKI, «Legenda Kresów w literaturze XIX wieku» («La leggenda dei Kresy nella letteratu-
ra del XIX secolo»), Odra, vol. 12, n. 12, 1982, p. 42, e J. KOLBUSZEWSKI, Kresy (I Kresy), Wrocław
2002, Wydawnictwo Dolno£lºskie, pp. 35-37. Citato in J. SKOLIK, «Conrad’s Mythical World of the
Borderland», a cura di W. KRAJKA , From Szlachta Culture to the Twenty-first Century: New Essays on
Joseph Conrad’s Polishness, Lublin 2013, Marie Curie Skłodowska University Press, p. 147.
3. Z. NAJDER, Joseph Conrad: A Life, Rochester N.Y. 2007, Camden House, p. 13.
212 4. ID., Joseph Conrad: Under Familial Eyes, Cambridge 1983, Cambridge University Press, p. 102.
LA POLONIA IMPERIALE
il ragazzino di quel giorno che seguiva un carro funebre; uno spazio tenuto
libero in cui camminavo da solo, consapevole di un enorme seguito; il goffo
ondeggiare dell’alto carro nero, la cantilena del clero in cotta davanti, le fam-
me dei ceri che passavano sotto il basso arco della porta, le fle di teste sco-
perte sul marciapiede con gli occhi fssi e seri. Metà della popolazione era
uscita dalle case in quel bel pomeriggio di maggio. Non erano venuti a onora-
re un grande successo, e neppure qualche splendido fallimento. Il morto e
loro erano del pari vittime di un destino inesorabile che li escludeva da un
qualsiasi cammino di merito e di gloria. Erano venuti soltanto a rendere omag-
gio all’ardente fedeltà dell’uomo la cui vita era stata nelle parole e nelle azioni
una confessione intrepida di una fede che anche il cuore più semplice in
quella folla sentiva e capiva 6.
5. ID., «Conrad and the idea of honour», in Conrad in Perspective. Essays on Art and Fidelity, Cam-
bridge 1997, Cambridge University Press, pp. 153-164. Lord Jim è la tragedia di un giovane inglese
che, perduto l’onore, si illude di poter continuare a portarsi in giro una visione esaltata di sé: basta
stare alla larga dagli uomini bianchi.
6. J. CONRAD, «La Polonia rivisitata», in Opere varie, cit., p. 494. «When in 1914 I returned to] the old
town of glorious tombs and tragic memories, I could see again the small boy of that day following a
hearse; a space kept clear in which I walked alone, conscious of an enormous following, the clumsy
swaying of the tall black machine, the chanting of the surpliced clergy at the head, the flames of ta-
pers passing under the low archway of the gate, the rows of bared heads on the pavements with
fixed, serious eyes. Half the population had turned out on that fine May afternoon. They had not
come to honour a great achievement, or even some splendid failure. The dead and they were victims
alike of an unrelenting destiny which cut them off from every path of merit and glory. They had come
only to render homage to the ardent fidelity of the man whose life had been a fearless confession in
word and deed of a creed which the simplest heart in that crowd could feel and understand», J. CON-
RAD, «Poland Revisited» (1915), in Notes on Life and Letters (1921), London 1973, Dent, p. 169. 213
JOSEPH CONRAD, SCRITTORE DEL LIMES POLACCO
Da quando era partito nell’ottobre 1874 e per tutti i primi venticinque anni
della sua carriera di scrittore, la Polonia – «The Country of Remembrances» 11 – a
10. J. CONRAD, Una cronaca personale, in Opere varie, cit., p. 194. «Pro patria! Looked at in that light,
it appears a sweet and decorous meal. (…) why should I, the son of a land which such men as
these have turned up with their plowshares and bedewed with their blood, undertake the pursuit of
fantastic meals of salt junk and hardtack upon the wide seas? On the kindest view it seems an un-
answerable question. Alas! I have the conviction that there are men of unstained rectitude who are
ready to murmur scornfully the word desertion. Thus the taste of innocent adventure may be made
bitter to the palate. The part of the inexplicable should be allowed for in appraising the conduct of
men in a world where no explanation is final. No charge of faithlessness ought to be lightly uttered.
The appearances of this perishable life are deceptive, like everything that falls under the judgment
of our imperfect senses. The inner voice may remain true enough in its secret counsel. The fidelity
to a special tradition may last through the events of an unrelated existence, following faithfully, too,
the traced way of an inexplicable impulse.
It would take too long to explain the intimate alliance of contradictions in human nature which
makes love itself wear at times the desperate shape of betrayal», J. CONRAD, «A Personal Record», in
The Mirror of the Sea and A Personal Record, London 1975, Dent, pp. 35-36.
11. The Collected Letters of Joseph Conrad, vol. 1: 1861-1897, a cura di F. KARL e L. DAVIES, Cam-
bridge 1983, Cambridge University Press, p. 359. 215
JOSEPH CONRAD, SCRITTORE DEL LIMES POLACCO
partire dalla spartizione del 1795 era rimasta «privata delle propria indipendenza,
della propria continuità storica, con la sua religione e la sua lingua perseguitate e
represse, [divenendo] una semplice espressione geografca» 12. L’unica maniera per
rimanere fedeli all’idea nazionale – per un uomo della sua classe, strappato alle sue
radici – era svolgere con onore il compito che si era assunto, nei mestieri che ave-
va scelto di seguire.
Un parlamentare radicale, Robert B. Cunningham Grahame, aveva confuso
l’antimperialismo di Cuore di tenebra per un’adesione al sol dell’avvenir e nel feb-
braio 1899 lo invitò a un convegno pacifsta organizzato dalla Social Democratic
Federation. Conrad si rifutò: l’idea di democrazia gli sembrava un «bel fantasma»,
gli scrisse e spiegò:
In quanto al mio slavismo, quando l’ha scritto sono sicuro che lei fosse del
tutto sincero, come lo erano molti critici inglesi che sollevavano la questione
anni fa, per poi smettere negli ultimi tempi. (…) Più volte mi è capitato di
domandarmi cosa sarebbe avvenuto se avessi mantenuto il segreto sulle mie
origini dietro lo pseudonimo neutro di «Joseph Conrad»: magari nessuno avreb-
be ipotizzato una tale similitudine caratteriale. Personalmente, non ne sono
convinto. Credo che, almeno qui [in Inghilterra], ciò che era personale è stato
addebitato ad affnità razziali. I critici hanno riconosciuto in me una nota di
novità, e poiché quando cominciai a scrivere avevano appena scoperto l’esi-
stenza degli scrittori russi, mi hanno appiccicato questa etichetta col nome di
12. J. CONRAD, «Il crimine della spartizione, in Opere varie, cit., p. 448. «Poland deprived of its inde-
pendence, of its historical continuity, with its religion and language persecuted and repressed, be-
came a mere geographical expression», J. CONRAD, «The Crime of Partition», in Notes, cit., p. 118.
13. J. CONRAD, Epistolario, a cura di A. SERPIERI, Milano 1966, Bompiani, pp. 112-114. «L’idée démocrat-
ique est un très beau phantôme. (…) Moi je regarde l’avenir du fond d’un passé très noir et je trouve
que rien ne m’est permis hormis la fidélité a une cause absolument perdue, a une idée sans avénir,
(…) vous comprendrez sans doute pourquoi je dois – j’ai besoin – de garder ma pensée intacte com-
me dernier hommage de fidelité a une cause qui est perdue. C’est tout ce que je peux faire. J’ai jété
216 ma vie a tous les vents du ciel mais j’ai gardée ma pensée», Letters, vol. 2, cit., pp. 158-160.
LA POLONIA IMPERIALE
slavismo. Mi permetto di dire che sarebbe stato più giusto da parte loro di
accusarmi almeno di «polonismo» 14.
Il prezzo da pagare per difendere l’originalità della sua arte era il silenzio sulle
sue origini. Ma giunse il momento in cui non fu più possibile.
Accadde nel mese successivo all’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914, quan-
do decise di portare la famiglia a Cracovia, la città che aveva lasciato quarant’anni
prima col miraggio di una vita da marinaio. Finì per ritrovarsi nelle retrovie del fron-
te orientale, dove le legioni polacche del maresciallo Piłsudski combattevano al
fanco delle truppe austro-ungariche contro i russi, alleati dell’Inghilterra. Per fortuna
intervenne l’ambasciatore americano a Vienna e riuscì a riportare i Conrad a casa.
Il romanziere che in Cuore di tenebra e Nostromo aveva riconosciuto in anticipo
le forme del neocolonialismo del Novecento stavolta non aveva saputo leggere i
segni dell’imminente catastrofe. Il perché, Conrad lo spiegò in un resoconto del
viaggio:
Mentre eravamo seduti insieme nella stessa carrozza ferroviaria, essi avevano
in vista un viaggio nello spazio, mentre io sentivo in modo sempre più chiaro
che quello che avevo intrapreso era un viaggio nel tempo, nel passato; pro-
spettiva già assai paurosa per le persone più costanti, ma per colui che non
aveva saputo preservare dai propri impulsi l’ordine e la continuità della sua
vita – cosicché a volte questa si presentava alla sua coscienza come una serie
di tradimenti – ancora più temibile 15.
Accanto a lui su quel treno che lo trasportava indietro nel tempo, inseguendo
i fantasmi che sentiva di aver tradito, vi era un giovane avvocato polacco, Józef
Hieronim Retinger (1888-1960), che si era spacciato per emissario di chissà quale
organizzazione irredentista e si era offerto di organizzare lui l’intero viaggio e ospi-
tarli nella tenuta della suocera fuori Cracovia (in territorio russo). Impossibile dipa-
nare i fli che per mezzo secolo hanno legato questo personaggio, servo sotto
copertura di più padroni su entrambe le sponde dell’Atlantico, che si ricavò un
14. «As to my Slavonism, I am certain you wrote in all sincerity, like many English critics who had
been raising the same point some years ago, but not so much lately. I have asked myself more than
once whether if I had preserved the secret of my origins under the neutral pseudonym of “Joseph
Conrad” that temperamental similitude would have been put forward at all. As to myself, I have my
doubt. I believe that, here at any rate, what is personal has been put to the account of racial affini-
ties. The critics detected in me a new note and as, just when I began to write, they had discovered
the existence of Russian authors, they stuck that label on me under the name of Slavonism. What I
venture to say is that it would have been more just to charge me at most with “Polonism”», 31 gen-
naio 1924; The Collected Letters of Joseph Conrad, vol. 8: 1923-1924, a cura di L. DAVIES e G. M.
MOORE, Cambridge 2008, Cambridge University Press, pp. 290-291.
15. CONRAD, «La Polonia rivisitata», in Opere varie, cit., p. 393; «as we sat together in the same railway
carriage, they were looking forward to a voyage in space, whereas I felt more and more plainly,
that what I had started on was a journey in time, into the past; a fearful enough prospect for the
most consistent, but to him who had not known how to preserve against his impulses the order
and continuity of his life – so that at times it presented itself to his conscience as a series of betray-
als – still more dreadful», J. CONRAD, «Poland Revisited”, cit., p. 149. 217
JOSEPH CONRAD, SCRITTORE DEL LIMES POLACCO
ruolo in tante vicende europee (tra cui la fondazione del Consiglio d’Europa) ma
viene ricordato oggi soprattutto come ideatore nel 1954 del Gruppo Bilderberg.
Frequentò per un anno anche l’Università di Monaco, dove studiò psicologia com-
parata; certo, la sua «sottile capacità manipolatoria» 16. Conrad era fnito tra le spire
di un giovane serpente.
Nell’agosto 1916 Retinger tornò a farsi vivo, con la proposta che Conrad rica-
vasse da un suo memorandum sulla questione polacca un documento da conse-
gnare di persona a un funzionario del Foreign Offce. Nella versione uscita in vo-
lume nel 1921, Nota sul problema polacco, avrebbe omesso alcune delle idee del
suo amico (ad esempio, la restaurazione della monarchia in Polonia); ma l’atteggia-
mento flo-austriaco che ispirava il testo è ancora evidente. Il governo inglese ov-
viamente non apprezzò, anche perché il controspionaggio ben sapeva che Retin-
ger in realtà era (tra le altre cose) una spia austriaca. Di lì a poco venne espulso da
tutti i territori delle potenze alleate.
Sarà un caso, ma due settimane più tardi all’autore venne offerta l’occasione
per dimostrarsi suddito leale alla Corona, in un’operazione propagandistica per
conto dell’Ammiragliato. Da un giro di ispezione delle basi navali lungo le coste di
Scozia e Inghilterra ricavò una serie di articoli e si imbarcò, pure, per un viaggio di
due giorni, a bordo del dragamine Brigadier 17.
Prima di tornare alla sua azione a favore della Polonia attese la frma dell’ar-
mistizio, nel novembre 1918. Un mese dopo, cominciò a scrivere «Il crimine della
spartizione» («The Crime of Partition»), in cui ricostruì con grande effcacia – e con
più puntatine polemiche nei confronti delle potenze occidentali – la tragica sparti-
zione della Polonia tra Russia, Prussia e Austria. L’intento era di rassicurare i lettori
occidentali (e stavolta ha l’accortezza di rivolgersi primariamente ai suoi lettori
americani) sull’idealità che aveva informato il passato della Polonia e quindi, sicu-
ramente, avrebbe guidato la Repubblica Polacca nella defnizione dei suoi confni
orientali. «Lo spirito dell’aggressività», scrive:
L’articolo uscì nel maggio 1919. A quel punto soldati polacchi avevano già oc-
cupato Vilnius e stavano combattendo nella Galizia orientale, dove a luglio sarebbe-
ro riusciti a respingere il tentativo delle forze ucraine di impossessarsi di Leopoli.
Ma Conrad non era fuori della storia. In quei mesi il maresciallo Piłsudski –
anche lui uno szlachcic del limes polacco (era nato in Lituania) – stava tentando di
federare polacchi, lituani, bielorussi e ucraini nella speranza di riportare in vita la
18. J. CONRAD, «Il crimine della spartizione», in Opere varie, cit., pp. 448-449. «The spirit of aggressive-
ness was absolutely foreign to the Polish temperament, to which the preservation of its institutions
and its liberties was much more precious than any ideas of conquest. (…) Territorial expansion was
never the master-thought of Polish statesmen. The consolidation of the territories of the sérénissime
Republic, which made of it a Power of the first rank for a time, was not accomplished by force. It was
not the consequence of successful aggression, but of a long and successful defence against the raiding
neighbours from the East. The lands of Lithuanian and Ruthenian speech were never conquered by
Poland. These peoples were not compelled by a series of exhausting wars to seek safety in annex-
ation. (…) The slowly-matured view of the economical and social necessities and, before all, the rip-
ening moral sense of the masses were the motives that induced the forty three representatives of Lith-
uanian and Ruthenian provinces, led by their paramount prince, to enter into a political combination
unique in the history of the world, a spontaneous and complete union of sovereign States choosing
deliberately the way of peace. Never was strict truth better expressed in a political instrument than in
the preamble of the first Union Treaty (1413). It begins with the words: “This Union, being the out-
come not of hatred, but of love”», J. CONRAD, «The Crime of Partition», in Notes, cit., pp. 119-120.
19. J. CONRAD, Ivi, pp. 456-457. «Already there are innuendoes, threats, hints thrown out, and even
awful instances fabricated out of inadequate materials, but it is historically unthinkable that the Po-
land of the future, with its sacred tradition of freedom and its hereditary sense of respect for the
rights of individuals and States, should seek its prosperity in aggressive action or in moral violence 219
JOSEPH CONRAD, SCRITTORE DEL LIMES POLACCO
Retinger non l’avrebbe più visto. Le notizie dai Kresy cominciarono a fltrare e
Conrad, liberato dal peso del rimorso, trovò le parole giuste recuperando la sua
against that part of its once fellow-citizens who are Ruthenians or Lithuanians. (…) There can be no
doubt that the moral impulses and the material interests of the new nationalities (…) will in the end
bring them nearer to the Poland of this war’s creation, will unite them sooner or later by a sponta-
neous movement towards the State which had adopted and brought them up in the development of
its own humane culture – the offspring of the West», ivi, p. 133.
20. J. LUKOWSKI, H. ZAWADZKI, op. cit., pp. 289-296.
21. «I belong to a generation which still knew Conrad’s peers, but it is not age that matters here.
Historical changes always push aside one civilisational group, replacing it with a new one. (…) This
is what took place in the area where I spent my school years, i.e. in Vilnius and in Lithuania, un-
derstood as both the territory of the former Grand Duchy and one of the Baltic states. The type of
the old nobleman, faithful to the style of his youth, survived there longer than anywhere else. (…)
Thanks to his conservatism, this borderland szlachcic preserved the 19th century mode of thinking,
and thus constituted a valuable specimen for someone who wanted to learn about living, not writ-
ten, tradition. (…) This nobleman represented the fundamental “leitmotifs” of the Polish, if I may
say so, political sentiment, harking back to the former Polish Commonwealth», C. MIŁOSZ. «Stereotyp
u Conrada» («Lo stereotipo in Conrad»), in W. TARNAWSKI, a cura di, Conrad żywy (Conrad vivo), Lon-
don 1957, B. ¢widerski, pp. 92-93, 95; cit. in S. ZABIEROWSKI, «Conrad’s Noble Heritage», Yearbook of
Conrad Studies (Poland), vol. 4: 2008-2009, p. 106.
22. «Conrad spoke Polish fluently, but his accent, his manner of expression were such as I observed
among the inhabitants of the south-eastern Polish borderlands. One felt clearly that when he
thought of Poland it was a Poland of half-century ago. When I listened to him, I could not evade
the impression that I am being carried back in time and talk to one of the people of long ago» (S.
220 KOZICKI, Pami™tniki (Diari), MS, vol. 2, pp. 324-326, cit. in Z. NAJDER, op. cit., p. 507, nota.
LA POLONIA IMPERIALE
voce più individuale: quella del romanziere che aveva difeso la sua arte contro chi
voleva liquidarla come espressione dell’anima slava. Ora che aveva parlato in
quanto polacco al pubblico inglese, era tempo di affrontare in pubblico le cautele
di una vita preservata nel silenzio.
L’occasione giunge con la «Nota dell’autore» a Una cronaca personale, che
fnisce di scrivere l’8 settembre 1919, molti mesi dopo «Il crimine della spartizio-
ne». Verso la fne, torna a rivolgersi ai critici inglesi che l’avevano etichettato et-
nicamente:
Non sta a me criticare i miei giudici, tanto più che ho sempre ritenuto di rice-
vere più che giustizia per mano loro. Mi sembra però che la simpatia del loro
immancabile interessamento abbia ascritto a infussi razziali e storici molta
parte che io credo appartenga semplicemente all’individuo. Nulla più della
cosa che nell’ambiente letterario viene chiamata slavismo risulta aliena dal
temperamento polacco con la sua tradizione di autogoverno, la sua visione
cavalleresca dei freni morali e il supremo rispetto per i diritti dell’individuo:
tacendo poi del fatto rilevante che la formazione della mentalità polacca, d’im-
pronta interamente occidentale, venne dall’Italia e dalla Francia, e che, storica-
mente, essa rimase sempre, anche in materia di religione, in armonia con le
correnti più liberali del pensiero europeo.
Una imparziale visione del genere umano in ogni suo grado di splendore o
miseria, insieme con una speciale considerazione per i diritti dei diseredati di
questa terra, non già su base mistica bensì in base alla semplice solidarietà e
all’onorevole reciprocità di servizi, costituiva, nelle case che diedero asilo alla
mia fortunosa infanzia, la caratteristica preminente della loro atmosfera men-
tale e morale: cose pertinenti a una calma e profonda convinzione non meno
durevole che coerente, e quanto mai lontana da quell’umanitarismo che sem-
bra solo pertinente a nervi instabili e a una coscienza morbosa 23.
23. J. CONRAD, «Nota dell’autore» a Una cronaca personale, in Opere varie, cit., p. 713. «It is not for
me to criticize my judges, the more so because I always felt that I was receiving more than justice
at their hands. But it seems to me that their unfailingly interested sympathy has ascribed to racial
and historical influences much, of what, I believe, appertains simply to the individual. Nothing is
more foreign than what in the literary world is called Sclavonism, to the Polish temperament with
its tradition of self-government, its chivalrous view of moral restraints and an exaggerated respect
for individual rights: not to mention the important fact that the whole Polish mentality, Western in
complexion, had received its training from Italy and France and, historically, had always remained,
even in religious matters, in sympathy with the most liberal currents of European thought. An im-
partial view of humanity in all its degrees of splendour and misery together with a special regard
for the rights of the unprivileged of this earth, not on any mystic ground but on the ground of sim-
ple fellowship and honourable reciprocity of services, was the dominant characteristic of the mental
and moral atmosphere of the houses which sheltered my hazardous childhood:--matters of calm
and deep conviction both lasting and consistent, and removed as far as possible from that humani-
tarianism that seems to be merely a matter of crazy nerves or a morbid conscience», A Personal Re-
cord, cit., pp. vi-vii. 221
JOSEPH CONRAD, SCRITTORE DEL LIMES POLACCO
Le «case che diedero asilo alla mia fortunosa infanzia»: il viaggio a ritroso nel
tempo, iniziato nel 1914, era giunto alla sua meta. Finalmente egli rivela il nucleo
emotivo e ideale cui si era serbato fedele. Il retaggio delle famiglie Korzeniowski e
Bobrowski era qualcosa di più grande e di più personale della Polonia: l’aveva
trasformato in un ideale artistico.
Era possibile legare insieme quell’ideale e la visione del mondo nata in quelle
case sparse nel limes polacco? Cercò di spiegarlo in una lettera a un ammiratore
americano, George T. Keating. A proposito di un articolo del giornalista Louis Men-
cken, grande estimatore di Conrad, lo scrittore si stupisce che una persona così
intelligente e genuina debba ogni tanto «condiscendere alle ciance pappagallesche;
ché tali sono i suoi arpeggi sul mio slavismo». Che signifcato dà alla parola?
Intende per essa delle nature primitive modellate da una concezione teologica
bizantina della vita, con un’inclinazione ad un perverso misticismo? In tal caso
non mi può assolutamente essere applicata. Per razza appartengo ad un grup-
po che ha, storicamente, un passato politico, con una cultura romano-occiden-
tale derivata dapprima dall’Italia e poi dalla Francia; e un temperamento piut-
tosto meridionale; un avamposto dell’Occidentalità con una tradizione roma-
na, situato fra le barbarie slavo-tartaro-bizantina da una parte e le tribù tede-
sche dall’altra, e che ha resistito ad entrambe le infuenze ed è rimasto fedele
a sé stesso fno ad oggi.
Fiero della sua identità, ma liberato dai complessi di colpa, conclude con pa-
role che non avrebbe scritto in un articolo, ma mirate in questo caso all’appassio-
nato collezionista che avrebbe creato la Conrad Memorial Library, oggi presso
l’Università di Yale: «Naturalmente me ne andai via presto», ammette.
Purtroppo, quella «superstizione» è più viva che mai, oggi nell’età della identi-
ty politics e del suo Doppelgänger, la cancel culture.
24. J. CONRAD, Epistolario, cit., pp. 304-305. «What, however, surprises me is that a personality as
genuine and with a mind so intensely alive, so independent in judgment, should now and then
condescend to mere parrot talk, for his harping on my Slavonism is only that. I wonder what mean-
ing he attaches to the word? Does he mean by it primitive natures fashioned by a Byzantine theo-
logical conception of life, with an inclination to perverted mysticism? Then it cannot possibly apply
to me. Racially I belong to a group which has historically a political past, with a Western Roman
culture derived at first from Italy and then from France; and a rather Southern temperament; an out-
post of Westernism with a Roman tradition, situated between Slavo-Tartar Byzantine barbarism on
one side and the German tribes on the other; resisting both influences desperately and still remain-
ing true to itself to this very day. I went out into the world before I was seventeen, to France and
England, and in neither country did I feel myself a stranger for a moment: neither as regards ideas,
sentiments, nor institutions. If he means that I have been influenced by so-called Slavonic literature
then he is utterly wrong. I suppose he means Russian; but as a matter of fact I never knew Russian.
The few novels I have read I have read in translation. Their mentality and their emotionalism have
been always repugnant to me, hereditarily and individually. (…) I am a child, not of a savage but
of a chivalrous tradition. (…) Of course I broke away early. Excess of individualism perhaps? But
that, and other things, I have settled a long time ago with my conscience. (…) In whatever I have
achieved afterwards I have simply followed my instinct: the voice from inside. Mencken might have
given me the credit of being just an individual somewhat out of the common, instead of ramming
me into a category, which proceeding, anyhow, is an exploded superstition», 14 dicembre 1922, The
Collected Letters of Joseph Conrad, vol. 7: 1923-1924, a cura di L. DAVIES e J. STAPE, Cambridge 2005,
Cambridge University Press, pp. 615-616. 223
LA POLONIA IMPERIALE
L’EUROPA CENTRALE
VUOLE LO STATO ETNICO KAMUSELLA
di Tomasz
dell’Europa centrale nel periodo interbellico. Stante la sopravvivenza del latino co-
me lingua uffciale nell’area centro-europea fno a metà Ottocento, gli abitanti della
regione amano citare detti come la famosa frase di Cicerone «la storia è maestra di
vita». Sfortunatamente, gli sviluppi attuali dimostrano che la storia non insegna nulla,
che la maggioranza dei centro-europei preferisce l’illusione di un glorioso passato
patriottico mai esistito alle politiche sensate e al benessere qui e ora, o a un contesto
politico-economico sicuro e stabile per i loro fgli nel prossimo futuro.
Da qui l’esigenza di una mappa 1 che storicizzi l’uso delle differenze culturali
ai fni della creazione, della legittimazione e della conservazione degli Stati nazio-
nali etnolinguistici. Resta da capire se e come la dimensione digitale possa stem-
perare il nazionalismo centro-europeo. O se gli Stati nazionali etnolinguistici della
regione vogliano e riescano invece a territorializzare il ciberspazio, riproducendo
e difendendo l’omogeneità etnolinguistica su Internet. La Cina ha scelto da tempo
quest’ultima opzione, sempre più popolare nel globo grazie al successo economi-
co e forse sociale del paese. Nell’ultimo decennio il «modello cinese» è stato invo-
cato a più riprese da vari leader nel mondo, compresi quelli dell’Europa centrale.
Nel 2017 l’Ue prese a criticare con forza il governo polacco per gli attacchi allo
Stato di diritto; Bruxelles minacciò Varsavia di ridurre o bloccare il fusso di aiuti
strutturali se la Polonia non avesse osservato i termini del trattato di adesione
all’Unione. Per tutta risposta, il premier polacco annunciò che il paese avrebbe
ricevuto altrettanto se non di più dalla Cina – dunque che le autorità europee fa-
cessero pure.
La mappa mostra quando una data frontiera internazionale è stata creata e
quali confni di Stato coincidono con frontiere etnolinguistiche che separano zone
idiomatiche o religiose. Maggiore la coincidenza, più etnolinguisticamente omoge-
neo e distinto dai vicini è di norma lo Stato nazionale delimitato. Viceversa, dove i
confni politici intersecano le frontiere linguistiche e religiose si osserva una mag-
giore propensione alla multietnicità e all’interazione pacifca con gli abitanti degli
Stati vicini. In alcuni casi il confne ricalca una frontiera etnolinguistica, sebbene
nello Stato la presenza di gruppi che parlano una lingua diversa da quella princi-
pale sia marcata, come nel caso della minoranza di lingua ungherese nel Sud della
Slovacchia o dei russofoni (e altri gruppi di lingua slava) nella Lituania orientale.
Questa discrepanza deriva dall’impiego dell’idioma uffciale (nazionale) di uno
Stato per accomunarlo a una determinata area linguistica.
La mappa evidenzia inoltre i paesi dove ateismo e secolarismo sono partico-
larmente radicati. Questi fenomeni paiono correlati a esperienze di alta industria-
lizzazione e intenso sviluppo economico fn dall’Ottocento – come nelle odierne
Repubblica Ceca e Germania – o alla longevità di regimi comunisti fortemente re-
pressivi e ortodossi, come in Russia o in Albania. Quando le circostanze sono en-
1. Si veda in questo volume la carta «Management of Difference: Borders and Multiethnic Regions in
Contemporary Central Europe», in G. DE RUVO e G. GIGANTE, «Atlante storico-geopoltico della Grande
226 Martire d’Europa», pp. 193-210.
LA POLONIA IMPERIALE
Pochi presero nota del fatto che la barriera tra la fu Unione Sovietica e gli altri
ex membri del blocco orientale rimase intatta con i suoi doppi o tripli sbarramenti
e le strisce di terra di nessuno costantemente arate. In ossequio agli storici cambia-
menti in corso l’elettrifcazione delle reti fu spenta, le torri d’avvistamento furono
rimosse e con esse le guardie armate di mitragliatrici che vigilavano il confne.
Quella barriera resta oggi in gran parte intatta al confne della Polonia con Russia,
Lituania, Bielorussia e Ucraina; e alla frontiera di Slovacchia, Ungheria e Romania
con Ucraina e Moldova. Dopo l’allargamento a est dell’Unione Europea tra il 2004
e il 2007, la porzione polacco-lituana fu smantellata (2007), seguita poco dopo
(2010) da quella romeno-moldova. Intanto venivano rimosse le barriere ai confni
con la Grecia (1998), gli attuali Serbia e Montenegro (2003) e la Turchia (2005).
La guerra combattuta nel 1998-99 tra la Serbia e gli albanesi del Kosovo, sfo-
ciata quasi dieci anni dopo (2008) nell’indipendenza kosovara, portò alla costruzio-
ne di una barriera tra i due paesi già nel 1999. Negli anni Novanta la Russia eresse
inoltre nuove fortifcazioni al confne con la Lituania ex sovietica, sicché oggi
l’exclave russa di Kaliningrad è circondata dal «muro» che la separa dal territorio
dell’Ue. Nel 2018 la Russia vi ha installato missili balistici in grado di trasportare
testate nucleari: per la prima volta dalla fne della guerra fredda e del comunismo
questo tipo di armi riappariva in Europa centrale.
dopo (2016) altri 1,6. Sebbene i migranti costituiscano lo 0,5% della popolazione
europea, il loro arrivo fu usato dai partiti populisti per acquisire visibilità in parla-
mento e per andare al governo negli Stati dell’Europa centrale. Questi partiti ali-
mentavano la retorica xenofoba e razzista per guadagnare consensi ai loro pro-
grammi dirimenti, illiberali ed esclusivisti che riecheggiavano gli autoritarismi degli
anni Trenta.
Nessuno sembra ricordare che dopo il 1945 l’Europa occidentale, devastata
dalla guerra, fu in grado di assorbire decine di milioni di rifugiati e di farne la base
del successivo «miracolo economico». A differenza della seconda metà degli anni
Quaranta, nella seconda metà degli anni Dieci del XXI secolo Austria, Bulgaria,
Croazia, Grecia, Ungheria e Slovenia hanno reagito con una nuova ondata di bar-
riere confnarie per impedire ai rifugiati di risalire la «rotta balcanica». Intanto l’Italia
fermava le ong operanti nel Mediterraneo, che lì avevano recuperato zattere e
barche salvando migliaia di vite.
Gli Stati europei con tendenze sempre più autoritarie e xenofobe sono riusciti
a trasformare l’Europa in una fortezza. Il quarto di secolo senza barriere non sem-
bra aver prodotto un’Europa migliore e più inclusiva, rivelandosi invece una paren-
tesi. Ciò vale in particolare per l’Europa centrale, i cui Stati continuano a scegliere
con convinzione egoismo nazionale, autoritarismo e xenofobia invece di democra-
zia, cooperazione e società aperte. L’elezione di Donald Trump e il Brexit hanno
aggiunto, prima di Covid-19 e guerra ucraina, nuovi elementi di insicurezza e de-
stabilizzazione al già volatile quadro geopolitico. L’Europa è al bivio più diffcile
della sua storia postbellica: l’attuale decennio deciderà con ogni probabilità la di-
rezione della Ue e dell’Europa centrale.
Le fortifcazioni erette dagli Stati centro-europei dopo il 2015 ricalcano curio-
samente, per molti versi, l’esempio di Israele. Nel 1994 il paese costruì una barrie-
ra fortifcata al confne con la Striscia di Gaza, seguita tra il 2000 e il 2014 da un
muro in stile berlinese alla frontiera con la Cisgiordania. Al tempo queste opere
suscitarono riprovazione nel mondo, mentre oggi sono realtà sempre più accettate
in Europa e negli Stati Uniti. Come molti Stati centro-europei, quello israeliano
scaturì dalla guerra e da un atto di pulizia etnica che scacciò i musulmani arabofo-
ni (oggi palestinesi) vietando loro il ritorno. Furono rimpiazzati da ebrei sopravvis-
suti all’Olocausto o espulsi dalle loro terre, specie dell’Europa centro-orientale
dove i pogrom si susseguirono regolari nel blocco comunista (Unione Sovietica e
paesi del Patto di Varsavia) dopo la guerra.
A differenza degli Stati nazionali etnolinguistici dell’Europa centrale, Israele è
divenuto una democrazia che ha a lungo resistito alla tentazione del nazionalismo
etnolinguistico ed etnoreligioso. A musulmani e cristiani arabofoni rimasti nel pe-
rimetro dello Stato furono garantite la cittadinanza israeliana e l’uffcialità della loro
lingua madre accanto all’ebraico, mentre inglese e russo sono ampiamente usati.
Oggi Israele è l’unica democrazia mediorientale, malgrado i suoi molti difetti. Ri-
spetto all’Europa centrale, il paese ha conservato più a lungo un’ininterrotta tradi-
zione democratica che data ormai oltre settant’anni, dalla sua fondazione nel 1948. 229
L’EUROPA CENTRALE VUOLE LO STATO ETNICO
La Germania Est è tornata alla democrazia solo nel 1990, quando è stata riassorbita
dalla Repubblica Federale; la Polonia nel 1989 ma è in dubbio che la conservi pie-
namente dall’avvento del PiS (l’attuale partito di governo); idem dicasi per l’Unghe-
ria, che dal 2010 conosce il fenomeno Orbán. In ambo i casi, l’inizio del periodo
democratico sono le prime elezioni parlamentari postcomuniste, mentre la fne (o
l’inizio della fne) è l’avvento di governi illiberali.
Ma anche la democrazia israeliana ha perso colpi dal 2018, quando la Knesset
ha approvato una legge esclusivista che defnisce Israele «Stato nazionale degli
ebrei». In questo modo il paese ha virato con decisione verso un modello cen-
tro-europeo di Stato nazionale etnolinguistico, mentre la politica israeliana ha as-
sunto i tratti populisti di un Trump o di un Orbán.*
* Questo articolo è una versione leggermente rivista di T. KAMUSELLA, Words in Space and Time: A
Historical Atlas of Language Politics in Modern Central Europe, Budapest 2021, Central European
230 University Press, 1a ed., cap. 37.
LA POLONIA IMPERIALE
LA CHIESA
POLACCA
AFFONDA OBIREK di Stanisław
1. C. CURRAN, «Humanae Vitae. Fifty Years Later», Theological Studies, vol. 79, n. 3, 2018, pp. 520-542. 231
LA CHIESA POLACCA AFFONDA
2. P. HOLLANDER, Political Will, and Personal Belief. The Decline and Fall of Soviet Communism, New
Haven 1999, Yale University Press.
3. M. ZAREMBA, Wielkie rozczarowanie. Geneza rewolucji Solidarno£ci (La grande delusione. La genesi
della rivoluzione di Solidarno£©), Warszawa 2023.
4. G. WEIGEL, Witness to Hope: The Biography of Pope John Paul II, New York 1999, HarperCollins
Publisher.
5. J. CASANOVA, Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla riconquista della sfera pubblica, Bologna
2000, il Mulino.
6. Ivi, p. 174.
232 7. Ivi, p. 187.
LA POLONIA IMPERIALE
lista» 8. Così è stato al principio del XXI secolo, soprattutto dopo l’ascesa al potere
della destra vicina alla Chiesa nel 2015. Da allora osserviamo la rapida secolarizza-
zione e la perdita d’autorità del clero cattolico.
Il processo ricorda i cambiamenti degli ultimi decenni in Irlanda, dove la Chie-
sa ha perso il monopolio sulla morale e ha visto scemare la propria infuenza 9.
Naturalmente bisogna ricordare le grandi differenze tra i due paesi, ma la tendenza
generale è simile. Alla luce delle scandalose negligenze della gerarchia locale in
merito ai casi di pedoflia del clero irlandese, possiamo persino parlare di decaden-
za morale e religiosa della Chiesa. Questo tema è al centro di un acceso dibattito
in entrambi i paesi e a Hugh Turpin dobbiamo un’analisi accurata dell’ipocrisia
degli uomini di fede 10. Forti segnali indicano come la società polacca stia seguendo
le orme di quella irlandese, che sta plasmando la sua identità in opposizione all’i-
stituzione ormai compromessa della Chiesa cattolica. Per capire come ciò sia avve-
nuto dobbiamo dare uno sguardo all’ambigua eredità di due icone del cattolicesi-
mo polacco: Stefan Wyszy8ski e Giovanni Paolo II. La loro biografa ci permette di
comprendere meglio anche la specifcità del cattolicesimo polacco.
cariato nella parrocchia della cattedrale, lavoro cui affancò quello di redattore del
quotidiano diocesano Słowo Kujawskie, fu inviato all’Università cattolica di Lublino
dove nel 1929 conseguì il dottorato in diritto canonico. Negli ultimi anni prima
della guerra (1931-39) insegnò diritto canonico al seminario di Włocławek e dires-
se il mensile Ateneum Kapła8skie. Per questo Wyszy8ski è stato giustamente accu-
sato di antisemitismo, piaga comune a tutta la stampa cattolica tra le due guerre.
Sappiamo infatti che il clero cattolico non fu solo spettatore passivo dell’antisemi-
tismo che investì la Polonia nella seconda metà degli anni Trenta, ne fu parte inte-
grante insieme alla Democrazia nazionale 12.
Durante la guerra Wyszy8ski si nascose e s’impegnò in varie forme di aiuto:
negli anni 1942-45 lavorò come cappellano nell’istituto per ciechi di Laski. Subito
dopo la guerra tornò a Włocławek, dove assunse l’incarico di rettore e l’anno suc-
cessivo divenne vescovo di Lublino e docente di diritto canonico all’Università cat-
tolica. Due anni dopo, su richiesta del primate Hlond, subentrò a questi nella carica
di arcivescovo di Gniezno e di Varsavia, che ricoprì fno alla morte nel 1981 con
un’interruzione negli anni 1953-56, quando venne incarcerato. Questo è il periodo
meglio documentato – nelle fonti ecclesiastiche e in quelle dei servizi segreti – ma
anche il più mitizzato. Dopo essere uscito dal carcere nell’ottobre 1956, Wyszy8ski
appoggiò Gomułka e nel gennaio 1957 lo convinse a partecipare alle elezioni.
Nel 1968 la Chiesa mantenne «un atteggiamento moderato nei confronti degli
eventi di marzo» – in Polonia non si trattò di una rivolta studentesca, ma di epurazio-
ni antisemite ordinate da Gomułka – come sostengono Antoni Dudek e Ryszard
Gryz. Negli anni Settanta Wyszy8ski accusò di ingenuità Paolo VI e il suo consiglie-
re per l’Europa orientale Agostino Casaroli riguardo alla politica del Vaticano verso
l’Unione Sovietica. Ancora oggi molti attivisti di Solidarno£© perdonano a Wyszy8ski
il sermone con cui incitò gli operai a interrompere gli scioperi nell’agosto 1980. Non
ci sono dubbi, insomma, che il volto odierno del cattolicesimo polacco si spieghi
con le strategie di sopravvivenza di allora, che videro protagonista Wyszy8ski.
Dal 1947 al 1979 questi nominò cinquanta vescovi, tra cui fgure pittoresche
come Bogdan Sikorski (1964) o Henryk Gulbinowicz (1970). Il primo fu privato
con discrezione dell’incarico nel 1984, a sessantaquattro anni, dopo essere divenu-
to famoso per essere stato uno zelante collaboratore dei servizi segreti e per aver
organizzato le nozze in pompa magna del fglio nel palazzo vescovile di Płock. Il
secondo morì in disgrazia in tarda età dopo essere stato accusato di abusi su mi-
nori. L’ultimo dei vescovi ordinati da Wyszy8ski fu Józef Glemp nel 1979, il suo
successore. Ultimamente sono emerse molte voci critiche sulla sfortuna di Giovan-
ni Paolo II in materia di nomine episcopali; discussione analoga andrebbe avviata
in merito ai vescovi ordinati da Wyszy8ski.
Le nomine episcopali sono solo una piccola parte dell’infuenza esercitata da
Wyszy8ski. Altrettanto importanti sono la sua devozione mariana e l’ostilità verso
gli intellettuali, inclusi gli ambienti cattolici delle riviste Tygodnik Powszechny,
12. R. MODRAS, Ko£ciół katolicki i antysemityzm w Polsce w latach 1933-1939 (La Chiesa cattolica e
234 l’antisemitismo in Polonia negli anni 1933-1939), Kraków 2004, Wydawnictwo Homini.
LA POLONIA IMPERIALE
Znak e Wi™}. Si fdava solo di collaboratori e sacerdoti scelti con cura, nonché
dell’Istituto secolare delle ausiliarie della Madonna di Jasna Góra Madre della Chie-
sa, fondato con Maria Oko8ska nel 1942 e che oggi ha il compito di diffondere la
sua dottrina (dal 1993 opera con il nome di Istituto del primate cardinale Stefan
Wyszy8ski). Altrettanto interessanti sono l’anti-intellettualismo e l’atteggiamento
critico verso il Concilio Vaticano II.
Il primo è descritto con precisione da Stanisława Grabska che, ricordando
l’incontro di Wyszy8ski con il Club degli intellettuali cattolici di Varsavia, afferma:
«Iniziammo (…) a discutere con lui sul fatto che la devozione mariana era troppo
superfciale, che l’importanza data all’aspetto esteriore dei cerimoniali era un’idio-
zia, che l’idea di riportare il popolo in schiavitù era scandalosa. Il primate rispose:
“È così che si fa, e basta. Se qualcuno mi ostacolerà, lo distruggerò”». Stefan Wilka-
nowicz ha descritto così il rapporto degli intellettuali con l’eredità di Wyszy8ski: «Ci
aspetta una fase di diffcile rimozione di queste infuenze pagane sul cristianesimo
polacco». Questa fase deve ancora venire 13.
La recezione del Vaticano II in Polonia, invece, è illustrata dalla minuziosa
analisi delle lettere dei vescovi polacchi fatta da Katarzyna Skowronek 14. Le con-
clusioni sono inequivocabili: «Si tratta di una visione selettiva, ristretta, chiaramente
inserita nel quadro della Chiesa locale polacca e a essa subordinata» 15. Così è an-
cora oggi. Tra i motivi per cui la Chiesa ha perso credibilità vi è l’essere rimasta
aggrappata a una religiosità arcaica, che forse andava bene ai tempi del comuni-
smo ma che ora è avulsa dalla realtà. Dopo la svolta politica del 1989 la società
polacca ha iniziato a recuperare la propria identità ed è consapevole di poter infu-
ire sulla realtà sociopolitica. Il clero polacco questo cambiamento non l’ha notato,
cerca ancora di tenere i cattolici in una totale dipendenza e non vede alcun posto
per i cattolici laici nella Chiesa, soprattutto se donne. Dopo aver vinto la lotta con-
tro il totalitarismo comunista, sta perdendo quella contro una società pluralista e
democratica. Sicuramente i casi di pedoflia nel clero e i tentativi di insabbiamento
da parte dei vescovi non contribuiscono ad aumentare la fducia verso la Chiesa.
vanni Paolo II non si limita ai suoi rapporti con la Polonia, dove si è espresso
chiaramente in favore di Solidarno£©. Negli Stati Uniti il suo pontifcato è stato re-
cepito come un sostegno alla politica di Ronald Reagan e dei neoconservatori
cattolici, portando alla polarizzazione dei cattolici americani. Anche in America
Latina il rifuto della teologia della liberazione è stato un atto politico.
Barto£, come accennato, collega questa politicizzazione alle lacune nella for-
mazione teologica di Wojtyła: «La sua ostilità a collaborare con importanti teologici
contemporanei e, a quanto pare, la sua preparazione insuffciente hanno costituito
mancanze fondamentali per cui il cattolicesimo mondiale ha guadagnato una chia-
ra posizione politica e sociale, ma uno status religioso indistinto» 17. Queste lacune
sono legate alla biografa intellettuale di Wojtyła, più interessato alla letteratura
(all’università aveva studiato letteratura polacca e aveva scritto numerosi poemi e
drammi) e alla mistica (conseguendo un dottorato su San Giovanni della Croce)
che a una sistematica rifessione teologica.
La sua carriera accademica era legata alla flosofa, non alla teologia. Coltiva-
va un tipo sincretico di flosofa tomista; la sua abilitazione era un connubio non
particolarmente riuscito tra la fenomenologia di Max Scheler e il tomismo. Alla
fne si dedicò all’etica, soprattutto sessuale. La sua principale consigliera in mate-
ria era Wanda Półtawska. Non fu una consulenza particolarmente felice se pen-
siamo alla controversa enciclica Humanae vitae di Paolo VI. Dal 1958, quando fu
nominato vescovo, affancò l’insegnamento a obblighi pastorali sempre maggiori.
Tra i suoi libri più importanti di quel periodo troviamo Amore e responsabilità,
pubblicato nel 1960 e aspramente criticato nel suo ambiente di provenienza – l’U-
niversità cattolica di Lublino – per l’assenza di una chiara metodologia scientifca
e la netta propensione per una determinata flosofa (il suo principale detrattore
fu il famoso tomista domenicano Mieczysław Krºpiec). Come cardinale e arcive-
scovo di Cracovia pubblicò nel 1969 il suo libro di flosofa più importante, Per-
sona e atto, e nel 1972 un bilancio delle esperienze legate al Concilio Vaticano II,
Alle fonti del rinnovamento. Studio sull’attuazione del Concilio vaticano secondo.
Non erano libri di facile lettura: tra i sacerdoti di Cracovia circolava un aneddoto
sul fatto che in purgatorio sarebbero stati costretti a leggere le opere del loro ve-
scovo come penitenza.
Wojtyła era una personalità di spicco e fu notato già durante il concilio come
partecipante attivo ai lavori sulla costituzione relativa alla Chiesa nel mondo con-
temporaneo (Gaudium et spes) e sulla dichiarazione in merito alla libertà religiosa
(Dignitatis humanae), i più importanti documenti accanto alla dichiarazione
sull’atteggiamento del cattolicesimo verso le altre religioni (Nostra aetate). Il prin-
cipale artefce della Dignitatis humanae fu il gesuita americano John Courtney
Murray, che prima del concilio aveva il divieto di pubblicare. Murray difendeva la
democrazia americana dai fondamentalisti vaticani, soprattutto il cardinale Alfredo
Ottaviani (1890-1979), mentre Wojtyła rappresentava gli interessi dei cattolici
236 17. Ivi, p. 146.
LA POLONIA IMPERIALE
dall’altra parte della cortina di ferro. Entrambi esigevano rispetto per la libertà di
coscienza dell’individuo.
È sorprendente che dopo le trasformazioni del sistema politico in Europa cen-
trale, soprattutto in Polonia, Giovanni Paolo II abbia cambiato radicalmente punto
di vista sulla libertà di coscienza. Nel momento in cui il cattolicesimo ottenne una
posizione dominante, il papa polacco e il clero cattolico identifcarono la libertà
con la sottomissione alla dottrina cattolica. Ciò derivava dall’idea di papato che
Wojtyła aveva portato a Roma da Cracovia. Benché la sua nomina a pontefce nel
1978 avesse colto tutti di sorpresa, si fece riconoscere abbastanza presto come
grande visionario dotato di un’idea assai precisa sul papato. Si comportava come
se fosse convinto che la Provvidenza lo avesse messo sul soglio pontifcio allo
scopo di realizzare quest’idea.
Fin dall’inizio la sua concezione ebbe molti oppositori e la sua realizzazione
portò uno degli storici della Chiesa, il gesuita americano John O’Malley, a defnirne
il pontifcato uno dei peggiori nella storia del cattolicesimo. Ecco cosa mi ha scritto
O’Malley quando gli ho chiesto un’opinione su Giovanni Paolo II: «Si è fatto spesso
riferimento alla mia affermazione sul fatto che Giovanni Paolo II sia stato il peggior
papa nella storia della Chiesa. Giustamente, perché ciò che ha fatto con i vescovi
in tutto il mondo ha avuto conseguenze devastanti sui seminari e sul clero. Nel
1960 i sacerdoti erano i più istruiti della storia, da cui l’entusiasmo per il Vaticano
II. Dio mio! Come sono cambiate le cose!». È l’opinione di un esperto consapevole
delle occasioni sprecate dal papa polacco dopo che Giovanni XXIII aveva aperto
il cattolicesimo al mondo contemporaneo.
La tragedia consiste nel fatto che lo stesso Karol Wojtyła, quando era un gio-
vane sacerdote, un vescovo e un docente, aveva preso parte in prima persona a
questa apertura verso le moderne correnti umanistiche. Inoltre veniva ricordato dai
suoi studenti come un insegnante capace di ascoltare e affrontare argomenti diff-
cili legati alla presenza della religione nello spazio pubblico. Ma quando divenne
papa fallì miseramente e solo oggi ci stiamo rendendo conto della portata di questo
fallimento. Nel 2012, qualche giorno prima di morire, il cardinale Carlo Maria Mar-
tini rilasciò una breve intervista pubblicata sul Corriere della Sera solo dopo la sua
scomparsa in cui formulava una diagnosi che da allora viene citata spesso. Secon-
do lui «la Chiesa è rimasta indietro di 200 anni» 18. Martini poneva anche alcune
domande drammatiche sulla Chiesa: «Come mai non si scuote? Abbiamo paura?
Paura invece di coraggio?» 19. La sua diagnosi e le sue domande possono essere
collegate al pontifcato di Giovanni Paolo II e del suo successore Benedetto XVI.
Il cattolicesimo polacco, dal 1978 provvisto di un «proprio» papa, aveva fatto
suo quel modello conservatore. La scomparsa di Giovanni Paolo II nel 2005 non
ha cambiato niente. Forse la sua infuenza è persino aumentata dopo la beatifca-
zione formale del 2011 e la canonizzazione del 2014. Tuttavia negli ultimi anni
18. G. SPORSCHILL SJ, F. RADICE FOSSATI CONFALONIERI, «Chiesa indietro di 200 anni», Corriere della Sera,
1/9/2012.
19. Ibidem. 237
LA CHIESA POLACCA AFFONDA
hanno iniziato a comparire delle crepe profonde nel monumento di bronzo del
papa polacco. Una delle «scoperte» più sofferte fatte dai giornalisti è che Giovanni
Paolo II non solo sapeva dei casi di pedoflia all’interno della Chiesa, ma li aveva
attivamente insabbiati premiando i vescovi che, in suo nome, lo avevano fatto per
tutta la durata del suo pontifcato.
20. A. NOWAK, S. OBIREK, Gomora. Władza, strach i pieniºdze w polskim Ko£ciele (Gomorra. Potere,
paura e soldi nella Chiesa polacca), Warszawa 2021, Wydawnictwo Agora.
21. M. GUTOWSKI, Bielmo. Co wiedział Jan Paweł II (Il leucoma. Cosa sapeva Giovanni Paolo II), War-
szawa 2022, Wydawnictwo Agora.
22. E. OVERBEEK, Maxima Culpa. Jan Paweł II wiedział (Maxima Culpa. Giovanni Paolo II sapeva),
Warszawa 2023, Wydawnictwo Agora.
23. A. GRAFF, E. KOROLCZUK, Kto boi si™ gender? Prawica, populizm i feministyczne strategie oporu (Chi
ha paura del gender? Destra, populismo e strategie femministe di resistenza), Warszawa 2022, Wydaw-
238 nictwo Krytyki Politycznej.
LA POLONIA IMPERIALE
2. P. OMELIAN, J.S. RESHETAR JR., «Ukraine and the Dialectics of Nation Building», Slavic Review , vol. 22,
n. 2, 1963, p. 227.
3. Cfr. D. GROH, La Russia e l’autocoscienza d’Europa. Saggio sulla storia intellettuale d’Europa, Tori-
240 no 1980, Einaudi.
LA POLONIA IMPERIALE
Quella che per Geremek, con l’ingresso del suo paese nella Ue e la preceden-
te ammissione nella Nato (1999), era una ferita politica rimarginata (ma le cui cica-
trici si vedono bene ancora oggi), per Maver nel 1946, con la bipartizione dell’Eu-
ropa nelle due macroaree d’interesse e di controllo Usa e Urss, veniva indiretta-
mente a costituire una grave lesione di quello spirito europeistico «unitario» che fn
lì aveva caratterizzato gli studi slavi, inevitabilmente condizionati da quella lesione
lungo i decenni successivi.
Anche se nel suo articolo Maver tendeva a occuparsi più di ciò che univa gli
slavi, sottolineando che «la barriera tra gli uni e gli altri non è stata mai insuperabi-
le», non poteva tuttavia esimersi dal constatare che «l’urto secolare fra russi e polac-
chi è l’espressione più evidente di questa bipartizione; quello ricorrente fra due
popoli così vicini quali sono i serbi e i croati – che oltre alla stessa lingua letteraria
hanno in comune molte e fondamentali tradizioni – ne è la manifestazione più
sconcertante» 6. Sappiamo bene a quante e quali distruzioni e atrocità avrebbe por-
tato l’antagonismo croato-serbo mezzo secolo dopo. La divisione della Slavia in
due «sfere d’infuenza culturale» – latina e greca – è tra l’altro ulteriormente compli-
cata dalle vicende che portarono parte o quasi tutta l’Europa bizantina, e quindi la
Slavia ortodossa, a subire due gravi sconvolgimenti dall’esterno, i quali, rispetto
all’evoluzione dell’Europa romano-barbarica, ne condizionarono vastamente lo svi-
luppo successivo, con un’ulteriore spaccatura interna: l’invasione e dominazione
tataro-mongola delle terre russe per quasi due secoli e mezzo; l’invasione e domi-
nazione turca nei Balcani per cinque secoli. Una simile circostanza (soggiogamen-
to e sdoppiamento) non avviene invece nell’area slava occidentale (o Slavia roma-
na, latina o perfno cattolica, con qualche enclave protestantica, che dir si voglia)
che, partecipando variamente – e sia pure ai margini – della storia geopolitica e
culturale dell’Europa latino-germanica, rimane fn dal medioevo più variegata o, se
si preferisce, frammentata, politicamente e culturalmente.
Nel contesto di questa separazione, Russia e Polonia hanno sempre rivendica-
to un loro primato all’interno delle «due Slavie» 7: il colosso russo, per la sua conna-
turata propensione imperiale, spesso nelle forme aggressive che conosciamo e
oggi vediamo lampeggiare sugli schermi dei nostri televisori; la Polonia, ridotta a
piccola potenza «centro-orientale», soprattutto nelle forme ideologiche e culturali
che le sono state via via concesse (o imposte) dalla storia.
Nel 2008 cercai di sintetizzare certe questioni di quell’«urto secolare fra russi e
polacchi» in uno sparuto libretto intitolato Fra Oriente europeo e Occidente slavo.
Russia e Polonia (Roma, Lithos Editrice), un tema formidabile, sempre attuale oggi
come ieri, sul quale si erano cimentati molti altri prima e meglio di me (e ai quali
senz’altro rimando): dal Mickiewicz delle Lezioni parigine (L’idée polonaise et l’idée
6. G. MAVER, op. cit., p. 4.
7. La discussione sul tema delle «due Slavie», derivata anch’essa dal magistero di Giovanni Maver, è
stata per decenni una di quelle portanti all’interno della slavistica italiana prima che altrove, con fon-
damentali contributi, a volte fra loro polemici, del suo iniziatore Riccardo Picchio e di Sante Graciot-
242 ti, Roland Marti, Hans Rothe, N.I. Tolstoj, Aleksander Naumow e altri.
LA POLONIA IMPERIALE
russe, 1844) al Michelet di Pologne et Russie (1852), dal Wojciech Karpi8ski di «La
disputa slava» (1975) al Klaus Zernak di Polen und Russland. Zwei Wege in der
europäischen Geschichte (1994), Maria Janion, Niesamowita słowia8szczyzna (La
Slavia perturbante) 8 (2007) eccetera. Fra i polacchi, le più importanti opere sulla
Russia di alcuni scrittori del secolo scorso, come Gustaw Herling (Un mondo a
parte), Aleksander Wat (Il mio secolo), Józef Czapski (La terra disumana, appena
tradotto anche in italiano), tanto più in quanto scritte da vittime dell’oppressione
sovietica, quanto all’amore e all’interesse degli uni e degli altri verso le rispettive
genti e culture non trovano molti corrispondenti nei grandi scrittori russi. Per cui
forse davvero nessuno meglio dei polacchi conosce i russi 9. Per questi ultimi, anzi,
rimane netto il marchio nefando lasciato nelle parole del Diario di uno scrittore di
Dostoevskij, che spiegava con lucida crudezza le motivazioni storiche e politiche
dell’antipolonismo panslavista russo: «Sappiate che non ci sarà mai una Vecchia
Polonia. C’è una Nuova Polonia, la Polonia liberata dallo zar, la Polonia che si
rinnova e può senza dubbio aspettare nel futuro un destino eguale a quello di
tutte le stirpi slave, quando il mondo slavo si libererà e rinascerà in Europa. Ma la
Vecchia Polonia non ci sarà mai, perché non può esistere accanto alla Russia. Il suo
ideale è di mettersi al posto della Russia nel mondo slavo. Il suo motto rivolto alla
Russia: Ôte-toi de là, que je m’y mette» 10.
Prendendo così esplicitamente le parti dell’imperialismo russo (e – si noti – in
un’epoca in cui lo Stato polacco neanche esisteva!) Dostoevskij non faceva altro
che confermare una sorta di «complesso polacco» dei russi. Va peraltro da sé, come
dicevamo, che in origine e sullo sfondo di tutta la vicenda delle sofferte interrela-
zioni russo-polacche c’è stata una lotta per la supremazia in tutta l’area, essendo
ovviamente il territorio ucraino una delle principali poste in gioco. Si doveva trat-
tare di una supremazia «geopolitica», e non culturale, visto che – non del tutto pa-
radossalmente (Graecia capta…) – il periodo del maggior infusso della cultura
polacca su quella russa fu proprio tra Seicento e Settecento, cioè l’epoca in cui la
Polonia, nazione sempre più «debole» e disordinata (Nierzºdem Polska stoi, «la Po-
lonia si regge sul disordine» fu un motto prediletto della szlachta sei-settecentesca),
perse via via la sua posizione dominante, a motivo della rifeudalizzazione e di una
progressiva, grave recessione economica perdurata più di due secoli, nonché a
causa della tendenza «libertaria» e anarcoide insita nel suo bizzarro sistema monar-
co-repubblicano (nation foutue, la chiamerà Friedrich Engels in una lettera a Marx,
non condividendone fno in fondo le simpatie flopolacche 11). E viceversa, una
lotta che la Russia non poteva non vincere, a motivo dell’opposta scelta di un re-
8. Su pl.it / rassegna italiana di argomenti polacchi n. 1/2007 ne è stato pubblicato il capitolo «La
Polonia tra Oriente e Occidente», in traduzione di L. Masi.
9. I. KOBRINSKAJA, B. FRUMKIN, «Nessuno conosce noi russi meglio dei polacchi», Limes, «Polonia. L’Euro-
pa senza euro», n. 1/2014, pp. 139-150.
10. F.M. DOSTOEVSKIJ, Diario di uno scrittore, Milano 2007, Bompiani, p. 1132.
11. Lettera di Engels a Marx del 23 maggio1851, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, vol. 38: Car-
teggio 1844-185, Roma 1972, Editori Riuniti, p. 290. Su Marx e Engels e la «questione polacca» cfr. K.
MARX, Manoscritti sulla questione polacca (1863-1864), Firenze 1981, La Nuova Italia. 243
POLONIA, UCRAINA, RUSSIA E L’AUTOCOSCIENZA D’EUROPA
gime forte e «ordinato» decisamente operata già in età cinquecentesca 12: non a caso
il maggiore (o forse unico) antagonista di Ivan il Terribile, il principe Andrej Kurb-
skij, nel 1564 chiese alla fne asilo e trovò rifugio presso il re di Polonia Sigismondo
Augusto. Nelle lettere di Ivan, primo a fregiarsi del titolo di zar, si confgura molto
della successiva concezione del potere in Russia: chiama tutti i suoi sudditi sempli-
cemente «schiavi» e, proprio in una missiva agli ambasciatori polacchi, esprime
chiaramente la sua netta visione del mondo: «Colui che picchia, quello è il migliore,
e chi viene picchiato e legato, quello è il peggiore» 13. A tal proposito, in un loro
studio fondamentale intitolato «Zar e Dio», Boris Uspenskij e Viktor Živov spiega-
vano che, direttamente connessa con l’ideologema teocratico di «Mosca Terza Ro-
ma», l’ormai avvenuta sacralizzazione della fgura dello zar all’epoca di Ivan IV
avrebbe portato all’annessione dell’«arbitrio totale» e degli stessi «atti di crudeltà» fra
i segni del carisma divino del sovrano 14.
Sarà stato anche questo a spingere il citato Karl Marx, il quale provò una sim-
patia verso la Polonia forse strumentale – cioè intesa contro i tre imperi che l’ave-
vano spartita – ma sincera, a scrivere sulla Russia pagine fra le più violente che si
possano ricordare. Vale la pena di citarne qualche brano: «La potenza moscovita
nacque e crebbe a quella scuola di abiezione che fu la terribile schiavitù imposta
dai mongoli. Questa forza venne accumulata da prìncipi che diedero prova di vir-
tuosismo nell’arte del servaggio. Anche dopo l’emancipazione, la Moscovia seguitò
a giocare il proprio ruolo di schiava padrona. Alla fne Pietro il Grande ha cemen-
tato insieme l’acume politico del vecchio schiavo al servizio dei mongoli con le
orgogliose aspirazioni del capo tartaro al quale Genghiz Khan aveva trasmesso il
compito di conquistare il mondo. (…) Ai fni di una semplice espansione territoria-
le sarebbe bastata l’acquisizione di qualche nuova provincia da aggiungere al re-
gno moscovita, ma soltanto il dominio sul mare gli appariva indispensabile per
realizzare il suo progetto di aggressione universale; e soltanto la trasformazione di
una potenza esclusivamente continentale come la Moscovia in un impero attestato
saldamente sui mari gli offriva l’opportunità di superare i limiti tradizionali della
politica russa e imporre al mondo quella audace sintesi elaborata mediante la fu-
12. Con la sua illuministica clarté l’aveva già perfettamente capito Francesco Algarotti, nei suoi Viag-
gi di Russia (1760) inventore della fortunatissima formula di Pietroburgo «fnestra sull’Europa», per il
quale – spiegava lo slavista veneziano Gianfranco Giraudo – «Russia e Polonia fanno indubbiamente
parte dell’Europa, ma alla prima, identifcata con il «Norte ordinato», spetta[va]no destini imperiali,
alla seconda, per il suo disordine istituzionale, il ruolo di vittima dell’ordine altrui»; cfr. F. ALGAROTTI,
Opere scelte, 3 voll., Milano 1823, p.109 citato in G. GIRAUDO, «Marx e Engels, la Polonia ed il problema
dei confni dell’Europa», in S. GRACIOTTI (a cura di), La nascita dell’Europa. Per una storia delle idee
fra Italia e Polonia, Firenze 1995, Olschki, p. 314.
13. Riportato in G. BROGI BERCOFF, «Chiesa, Stato, società», in M. COLUCCI, R. PICCHIO (a cura di), Storia
della civiltà letteraria russa, vol. 1, Torino 1997, Utet, p. 157. Per il carteggio cfr. JA.S. LUR’E, «Il pen-
siero sociopolitico della Moscovia cinquecentesca nella corrispondenza tra Ivan il Terribile e Andrej
Kurbskij», postfazione a P. PERA (a cura di), Un buon governo nel regno. Il carteggio con Andrej Kurb-
skij, Milano 2000, Adelphi, p. 228.
14. Cf. B.A. USPENSKIJ, V.M. ŽIVOV, «Car’ i Bog Semioti0eskie aspekty sakralizacii monarkha v Rossii»
(«Zar e Dio. Aspetti semiotici della sacralizzazione del monarca in Russia»), in B.A. USPENSKIJ, Izbran-
244 nye trudy (Opere scelte), Moskva-Napoli 1996, Istituto Universitario Orientale, vol. 1, pp. 215-216.
LA POLONIA IMPERIALE
sione della atavica perizia nell’arte dell’intrigo ereditata dagli schiavi dei mongoli
con la tendenza del padrone mongolo alla conquista del mondo che costituisce
tuttora la linfa vitale della diplomazia russa» 15.
Uno degli ultimi bellissimi lavori di Mauro Martini prendeva le mosse dal ro-
manzo di Vladimir Makanin dal lermontoviano titolo Underground, ovvero un eroe
del nostro tempo (1997), e notava come il suo protagonista, il quasi anonimo eroe
russo del nostro tempo, vero emblema dell’homo post-sovieticus, sempre più spo-
gliato di ogni possibile identità, non abbia neanche un nome, ma solo un patroni-
mico, Petrovi0, «fglio di Pietro»; più avanti, nel paragrafo intitolato Putin, un padre
piccolo piccolo, Martini si riferiva alle suggestioni ampiamente circolate in Russia
all’inizio del mandato dell’allora semisconosciuto pietroburghese, anzi, leningra-
dese Vladimir Putin quale post-sovietica e post-moderna «reincarnazione di Pietro
il Grande» 16.
Ma a questo punto non vorrei andar oltre in ragionamenti che sforano lo sto-
riosofco (e che però temo stiano molto a fondamento del pensiero «politico» di
Putin nel contesto del suo sistema clepto-autocratico). Non è neanche mia inten-
zione approfondire qui un tema come quello della concezione del potere, che
pure è uno dei temi portanti della storia delle idee in Russia e, giocoforza, in tutto
il mondo slavo, forse il tema cardinale col quale si sono dovuti confrontare negli
ultimi due secoli tutti quelli che abbiano voluto o dovuto occuparsi del rapporto
fra la Russia, le altre nazioni slave (in particolare Polonia e Ucraina) e l’Europa. Se
mi sono riferito alle posizioni di Marx è anche perché esse non erano affatto isola-
te, e anzi direi piuttosto rappresentative di una corrente di pensiero, non necessa-
riamente «di sinistra» né «germanocentrica», nell’Europa di metà Ottocento: penso
fra altri al Tommaseo, o a Henri Martin, professore di storia moderna alla Sorbona,
repubblicano liberale e moderato che denunciava l’«aggressione turanica all’Euro-
pa» di cui i primi campioni sarebbero stati Aleksandr Nevskij e Ivan III, l’«unifcato-
re delle terre russe», il quale fu il primo ad annettere alla Moscovia con le armi
pezzi del territorio ucraino fn lì facenti parte della corona lituano-polacca, e du-
rante il cui regno si consolidò l’idea imperiale di «Mosca Terza Roma» 17.
Per concludere, sarebbe assai poco prudente sostenere tout court che le idee
di Marx sulla Russia restino ancora oggi attuali. Tuttavia, se senza troppe cautele
dovessi dire quello che penso sull’attuale guerra di aggressione della Russia, a me
pare che l’Ucraina rappresenti oggi quello che la Polonia per due secoli (col solo
intermezzo abortito della Seconda Repubblica fra 1918 e 1939) fu per la Russia (e
per l’Europa). E per esprimerlo meglio, riprenderei ancora una volta delle frasi
proprio di Marx, traendole da un suo discorso del 1867 sulla questione polacca, ma
sostituendo la parola «Polonia» con «Ucraina» (che per questo metto in corsivo): «Fu
15. K. Marx, Rivelazioni sulla storia diplomatica segreta del XVIII secolo (escluse dalle edizioni cano-
niche di Marx), a cura di B. BONGIOVANNI, Milano 1978, L’erba voglio, p. 173 e pp. 175-176.
16. Cfr. M. MARTINI, L’utopia spodestata. Le trasformazioni culturali della Russia dopo il crollo dell’URSS,
Torino 2005, Einaudi, pp. 3-5 e p. 106.
17. H. MARTIN, La Russie et l’Europe, Paris 1866, Fourne, Jouvet et Cie., pp. 11-12 e 49-51. 245
POLONIA, UCRAINA, RUSSIA E L’AUTOCOSCIENZA D’EUROPA
ancora una volta l’Ucraina – l’immortale cavaliere d’Europa – che seppe tenere
lontano il Mongolo! (…) Non resta all’Europa che una sola alternativa. O la barba-
rie asiatica dietro il comando moscovita si rovescerà su di lei come una valanga, o
l’Europa s’impegnerà a restaurare l’integrità della Ucraina, ponendo così fra sé
stessa e l’Asia 20 milioni di eroi e guadagnando inoltre tempo per riprendere fato
e compiere il suo processo di rigenerazione sociale» 18.
Pur senza mai riferirsi a queste inequivocabili opinioni di Marx, mi pare che
uno degli ultimi libri di Tymothy Snyder esprima idee non molto dissimili e non
meno inquietanti. Il titolo italiano La paura e la ragione. Il collasso della democra-
zia in Russia, Europa e America, mentre nell’originale era The road to unfreedom.
Russia, Europe, America, è piuttosto fuorviante, perché sembra suggerire che an-
che in Russia vi sia stata una qualche fase democratica. Forse sì. Ma quello che
conta davvero è la tesi generale, per l’appunto molto «marxiana» nel senso di cui
sopra, e cioè che «dalla Russia di Putin, l’autoritarismo si sta espandendo in Europa
e in America e, oggi, l’Occidente assiste a un impensabile ritorno di tendenze na-
zionaliste e populiste la cui origine è da ricercarsi nel collasso delle istituzioni de-
mocratiche». Lo si è visto ampiamente in Europa, e proprio a cominciare da certi
paesi dell’ex blocco sovietico, fra cui la Polonia. Snyder mostra quindi «come Putin
non solo abbia ripreso e adattato idee fasciste, ma sia riuscito a esportarle in Occi-
dente. Nell’epoca dei social network e delle fake news non è stato diffcile per bot
e troll pilotati da Mosca infuenzare le opinioni pubbliche facendo leva sul males-
sere serpeggiante in una società disillusa dall’economia in crisi. Dall’invasione
dell’Ucraina (del 2014) all’annessione della Crimea, dal Brexit alla manipolazione
delle elezioni americane ai bombardamenti in Siria» 19 e ora sulle città, le infrastrut-
ture e le centrali energetiche ucraine.
Credo che ormai siano sempre meno quelli che possono genericamente taccia-
re di «russofobia» o defnire «visionarie» idee come quelle allora di Marx o queste ora
di Snyder. Gli studi slavi ci illustrano bene come storia e contemporaneità (purtrop-
po) abbiano molto in comune. Ma in simili casi le ripetizioni non giovano a nessuno.
18. Citato in B. BONGIOVANNI, «Introduzione a K. MARX», Manoscritti sulla questione polacca, cit., pp. IX e XI.
246 19. Riprendo questa sintesi dalla bandella in copertina del citato libro di T. Snyder (Milano 2018, Rizzoli).
LA POLONIA IMPERIALE
LEOPOLI
È OVUNQUE di Stefan BIELA7SKI
L’antica capitale galiziana come archetipo di identità e
indipendenza polacche, simbolo di resistenza e àncora per la
diaspora. Il passato vivace e multietnico. Il destino nelle spartizioni.
La sovietizzazione fallita e i ‘turbamenti’ post-1991.
Per me la Polonia senza ebrei,
senza ucraini, senza armeni,
così com’era a Leopoli, senza valacchi,
senza le famiglie d’origine italiana,
ha smesso di essere la Polonia.
Zbigniew Herbert, 1988
lo storico che dedicò le sue ricerche alla questione dei Kresy Wschodnie (territori
dei confni orientali).
Leopoli venne fondata nel 1256 da Danilo, il principe di Galizia, che la chia-
mò così in onore di suo fglio Lev. Il leone diverrà l’elemento più importante dello
stemma cittadino. Come scrive Bożena Myciek 1, «la favorevole posizione geogra-
fca della città, posta all’incrocio di due importanti vie commerciali che portavano
attraverso i Balcani fno alla Grecia, la prima, e dal Nord fno alla Persia, la secon-
da, diede luogo a intensi scambi che fecero arrivare da molte parti, anche lontane,
diversi gruppi nazionali ed etnici: polacchi, tedeschi, cechi, ungheresi, romeni,
armeni, caraiti, ebrei, italiani, greci, lituani e turchi. Alcuni di loro si stabilirono
defnitivamente, contribuendo al suo sviluppo e conferendole un carattere di città
multinazionale e multietnica. Le differenze tra questi popoli diedero a Leopoli un
clima specifco e una cultura irrepetibile e portarono alla creazione della sua stra-
ordinaria singolarità. (…) Le diverse popolazioni che vi si stabilirono lasciarono
nella città la loro impronta in tutti i campi, cominciando da quello religioso. Fu-
rono eretti molti edifci per i diversi culti: il duomo armeno e quello latino, chiese
per il culto dei cattolici, degli ortodossi e degli evangelisti, sinagoghe. La diversità
religiosa costituì la caratteristica non della sola Leopoli, ma di tutto il territorio
della Galizia».
Leopoli fu legata alla Polonia dal 1340 al 1945, anche durante l’occupazione
austriaca (con il nome di Lemberg) e il periodo di autonomia della Galizia polacca
(1867-1918). Con Cracovia, Varsavia e Danzica era tra le più importanti città polac-
che. Si trattava di una città règia, ricca e infuente anche nella vita politica della
Rzeczpospolita polacco-lituana. Dal 1772, con l’inizio delle spartizioni, divenne
capitale del Regno di Galizia e Lodomeria all’interno dell’impero austriaco (succes-
sivamente austro-ungarico) e tale rimase fno al 1918. Da quell’anno e fno al 1939
fu uno dei più importanti centri culturali e scientifci della Seconda Repubblica di
Polonia, mentre dal 1945 – come deciso a Jalta e a Potsdam – fece parte prima
dell’Urss (nell’ambito dell’Ucraina sovietica) e poi, dopo il 1991, dell’Ucraina indi-
pendente.
1. B. MYCIEK, «Il viaggio sentimentale dei polacchi a Leopoli», in M.G. BARTOLINI e G. BROGI BERCOFF (a
cura di), Kiev e Leopoli: il ‘testo’ culturale, Firenze 2007, Firenze University Press.
248 2. Ibidem.
LA POLONIA IMPERIALE
MASSACRI IN VOLINIA E IN
GALIZIA ORIENTALE (1943-44)
Sarny
Luboml
Kowel
Lublino
37.083
Chełm Kostopol
1.800
V O L I N I A
Włodzimierz
Łuck
Równe
Horochów
Dubno
Rzeszów Leopoli
Tarnopol
Drohobycz
G A L I Z I A O R I E N T A L E
Stanisławów
10.050
Kołomyja
Frontiera del 1945
Frontiera del 1939
3. Nel 1939 la doppia invasione tedesco-sovietica portò alla divisione del ter-
ritorio polacco tra gli invasori. Leopoli si difese fno al 22 settembre in modo eff-
cace contro la Wehrmacht e dopo il 17 settembre anche contro l’Armata Rossa, ma
illusa dalle false promesse sovietiche di condizioni di resa migliori rispetto a quelle
tedesche, infne si arrese. In base agli accordi fra il Terzo Reich e l’Urss, Leopoli e
la Galizia furono annesse alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina. La sorte dei
polacchi di Leopoli fu tragica: repressioni dell’apparato di sicurezza staliniano
(Nkvd), deportazioni in Kazakistan e in Siberia. Nella memoria locale resta indele-
bile il ricordo del durissimo inverno 1939-40, quando la Nkvd realizzava le sue
«operazioni».
La situazione militare e politica in tutto l’Est europeo cambiò radicalmente
dopo l’invasione tedesca dell’Urss, il 22 giugno 1941. Tutto il territorio polacco,
Leopoli compresa, si ritrovò sotto l’occupazione tedesca. Continuavano le repres-
sioni ai danni della popolazione polacca, ora estese con accanimento agli ebrei.
Anche a Leopoli la popolazione ebraica fu annientata, complice il collaborazioni-
smo degli ultranazionalisti ucraini.
Con la controffensiva sovietica del 1944-45 a Leopoli tornarono l’Armata Rossa
e l’Nkvd. Scrive lo storico Krzysztof Jasiewicz: «Sotto la seconda occupazione so-
vietica Leopoli divenne una città completamente diversa. Non vi era più la popo-
lazione ebraica, di colpo diminuì il numero dei polacchi che per paura di essere
arrestati o deportati optarono in massa per la fuga, lasciando la loro amata città.
Molti vecchi abitanti di Leopoli, compresi gli ucraini, erano partiti prima dell’arrivo
dei sovietici. Dal profondo dell’Unione Sovietica cominciarono ad affuire in questa
bella città ondate di nuovi insediati che, per civiltà e cultura, le erano estranei.
Aumentò il degrado sociale. Le scuole polacche vennero trasformate in russe» 3.
Dal 1945 non si poté più parlare liberamente delle vicende storiche antiche e
recenti. Il controllo da parte del Partito comunista sovietico (Pcus) e dei servizi
segreti (Kgb) era capillare. Leopoli doveva diventare una città sovietica come tante.
Il centro storico, che con i suoi palazzi e monumenti (come quello dedicato al
sommo poeta polacco-lituano Adam Mickiewicz) testimoniava un passato certo
non russo, rimase intatto ma sparirono le insegne in lingua polacca. Sorsero nuovi
quartieri uguali a quelli della Germania orientale o di Vladivostok, le giovani gene-
razioni venivano educate alla stessa ideologia marxista del resto dell’Urss e dei
paesi satelliti. Osserva Olena Ponomareva: «La russifcazione fu lo strumento della
3. Ibidem. 251
LEOPOLI È OVUNQUE
4. O. PONOMAREVA, «Kiev, Leopoli e Donec’k nel discorso politologico moderno: alcuni aspetti del re-
gionalismo ucraino», in M.G. BARTOLINI e G. BROGI BERCOFF (a cura di), op. cit.
5. L. BERNARDINI, «“Leopoli è ovunque”: alcune considerazioni su “Due città” di Adam Zagajewski», in
M.G. BARTOLINI e G. BROGI BERCOFF (a cura di), op. cit.
6. Ibidem.
7. S. BIELA7SKI, «L’evoluzione della situazione politica e della posizione della Polonia in relazione ai
252 suoi vicini dell’Est: Paesi Baltici, Bielorussia, Ucraina e Russia», Ispi, Working Papers, 2000.
LA POLONIA IMPERIALE
struzione. Venne riaperto in modo solenne solo nel 2005 e all’esito non fu estraneo
l’appoggio della Polonia all’Ucraina durante la «rivoluzione arancione» del 2004.
Negli ultimi vent’anni Leopoli era diventata una meta turistica molto in voga,
anche per l’intensifcazione della collaborazione interregionale. A ciò si aggiungeva
l’immigrazione ucraina in Polonia, molto numerosa già prima della guerra. Il turba-
mento però restava, specie per la sordità ucraina alle proteste polacche relative al
culto dei capi dell’Upa (Esercito insurrezionale ucraino) Stepan Bandera e Roman
Szuchewycz, considerati da Varsavia responsabili dei massacri della popolazione
polacca negli anni 1943-45. Questi personaggi sono ancora trattati da eroi naziona-
li in Ucraina.
Malgrado ciò l’appoggio polacco all’Ucraina indipendente non si è mai inter-
rotto, in primo luogo per la minaccia russa che accomuna i due paesi. Da tempo
la propaganda di Mosca cercava di sfruttare le ruggini polacco-ucraine, oscillando
tra ammiccamenti a una «spartizione» dell’Ucraina e accuse alla Polonia di neoim-
perialismo per le presunte mire su Leopoli. Non esiste tuttavia in Polonia un parti-
to politico o un sentimento popolare che propugni simili disegni.
Le reali intenzioni di autorità e popolazione polacche si sono palesate il 24
febbraio 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Da allora e per mesi la Polonia
ha spalancato le frontiere a circa sette milioni di rifugiati ucraini: i polacchi hanno
aperto le loro case accogliendo le famiglie in fuga dalle bombe russe. Di nuovo si
è rivelata l’importanza strategica di Leopoli, città da cui è transitato il grosso di
questi rifugiati. Parafrasando Zagajewski, oggi come ieri Leopoli è ovunque.
253
LA POLONIA IMPERIALE
LA STORIA
SECONDO
LUKAŠĖNKA FIGUERAdi Pietro
1. A. SAVCHENKO, Belarus: A Perpetual Borderland, Leiden 2009, Brill Academic Pub, p. 99. 255
LA STORIA SECONDO LUKAŠĖNKA
Aljaksandr Lukašėnka, la
cui ultima versione è im-
prontata a un crescente
recupero dell’eredità so-
vietica e intrisa di toni
antipolacchi. Per Minsk
una strada quasi obbliga-
ta, anche se non l’unica;
di certo la più sicura in
una fase di estrema tur-
bolenza, di pressioni in-
terne ed esterne. A pesa-
re non è solo la guerra
ucraina, ma anche e so-
Abbasso la vergognosa divisione di Riga!
prattutto lo shock delle
Viva la Bielorussia contadina libera e indivisibile!
proteste antiregime che
Caricatura per la pace di Riga 1921. Mostra un polacco dal 2020 ripropongono i
in uniforme da ufficiale vecchio stile e cintura con spada, simboli di un nazionali-
e un soldato dell’Armata rossa con le munizioni e la faccia
da teschio, che insieme lacerano in due la Bielorussia,
smo carsico, mai davvero
mentre calpestano l’Ucraina. scomparso e che si giova
di appoggi occidentali,
spesso polacchi. Tutto
questo chiude il cerchio ideologico di un regime sulla difensiva.
Il 1° settembre 2022 gli studenti di scuole e università bielorusse hanno in-
contrato Lukašėnka. In ossequio a un suo decreto 2 che proclamava il 2022 «anno
della memoria storica», il presidente ha intrattenuto i giovani per quasi quattro
ore con una lezione di storia bielorussa 3. Un tempo suffciente a ripercorrere
l’intero arco storico del paese, soffermandosi sugli elementi congeniali alla visio-
ne del bat’ka 4.
Si parte dalla mitica Rus’, di cui gli antenati dei bielorussi fecero parte con il
principato di Polock. Assieme a Novgorod e Kiev, nucleo mitico fondante – anche
se storicamente non molto appropriato – di una Russia una e trina che ritrovere-
mo più avanti. Con la fne della Rus’ kieviana il basso medioevo si fa «complicato»,
ma gli antenati dei bielorussi riescono a uscirne attraverso «l’unità e la fratellanza
slava», ossia «una chiara comprensione di chi fosse il nemico e chi il fratello».
Quanto mai attuale.
Poi Lukašėnka si addentra nelle entità geopolitiche di cui ha fatto parte il
territorio nazionale, a partire dal Granducato di Lituania. Entità straniera già dal
nome, eppure dominata dai bielorussi. Parola del presidente: «La lingua era no-
2. Molto di quanto sopra gli studenti bielorussi lo avevano già appreso dai libri
di testo. Dal 1995 i manuali scolastici bielorussi passano una rigorosa selezione 257
LA STORIA SECONDO LUKAŠĖNKA
Kaunas
Kaliningrad Vilnius
Danzica
Stettino Minsk
Baranowicze
Bialystok
URSS
Poznan
Varsavia
Bereza-Kartuzskaya
Brest
Lódź LINEA CURZON
Breslavia Lublino
P O L O N I A Kiev
Cracovia
CECOSLOVACCHIA
Leopoli
Vienna Stanislawów
Bratislava
Linea Curzon
Linea Curzon B
Budapest Confini nel 1947 Campo di concentramento polacco
larme per la tenuta interna del regime. Segnano anche una svolta geopolitica.
Dopo alcune settimane d’incertezza in cui l’opposizione tenta anche qualche ab-
boccamento con il Cremlino e Lukašėnka sembra rischiare anche per i suoi passa-
ti screzi con Mosca, tutto rientra. Putin concede il suo appoggio al vicino, permet-
tendogli di resistere alle proteste. La contropartita, altissima, è l’odierno sostegno
bielorusso alla guerra di Putin in Ucraina, che annulla i (pochi) crediti di Lukašėnka
con gli euroamericani e naturalmente con Kiev, dove fno a poco tempo fa godeva
di qualche simpatia.
Le cautele di Lukašėnka vengono meno anche nei confronti della Polonia, che
assieme alla Lituania ha sostenuto le forze d’opposizione. L’Europa se ne accorge
nel 2021 con la crisi dei migranti, che evidenzia gli attriti fra i due vicini. Ma tanti
altri gesti ne danno prova e molti investono la memoria storica. Come la demoli-
zione di tombe e monumenti dedicati alla resistenza polacca dell’Armia Krajowa 259
260
L’AREA DI INSEDIAMENTO BIELORUSSO
Riga
LETTONIA
Mosca
Mar Daugavpils
Baltico
LA STORIA SECONDO LUKAŠĖNKA
LITUANIA
Navapolack
Viciebsk Smolensk
Kaliningrad
FEDERAZ. RUSSA Vilnius
FEDERAZIONE
BI ELORU SSI A
RUSSA
Minsk Mahilëŭ
POLONIA Hrodna
Bialystok
Baranavičy
Babrujsk
Confine politico attuale
Bielorussia oggi
Area secondo
Varsavia Homel’ E. T. Karski (1903)
Brėst Pinsk Area secondo
V. Stankievitch (1921)
Area secondo
A.F. Rittich
UCRAINA Area secondo la
Commissione dei
dialetti, Mosca (1915)
Fonte: Y. Richard, La Biélorussie, L’Harmattan 2002
LA POLONIA IMPERIALE
7. «Białoru£. Kolejny polski cmentarz żołnierzy Armii Krajowej zniszczony» («Bielorussia. Distrutto un
altro cimitero polacco dei soldati dell’Esercito nazionale»), Polsat News, 12/9/2022.
8. «Year of People’s Unity – Belarusian parliament to hold hearings about territorial integrity and na-
tional unity on 29 April», Belarus, 2/4/2021.
9. «MFA statement on establishing by Belarus a new holiday – Day of People’s Unity», gov.pl, 8/6/2021.
10. «Komentarz Instytutu Pami™ci Narodowej w odniesieniu do ogłoszenia przez władze białoruskie
nowego £wi™ta w rocznic™ 17 wrze£nia 1939» («Commento dell’Istituto della memoria nazionale all’an-
nuncio delle autorità bielorusse di una nuova festività nell’anniversario del 17 settembre 1939»), ipn.
gov.pl, 8/6/2021.
11. Nell’anno accademico 2021-22 è stato completato il passaggio ai curriculum aggiornati, effettuato
in più fasi dal 2015. Per l’anno accademico 2022-23 non ci sono stati cambiamenti sostanziali nei
programmi. «Peršy urok u školakh Belarusi u Dzen’ vedau budze prysve0any histary0naj pamjaci» («La
prima lezione nelle scuole bielorusse nel Giorno della conoscenza sarà dedicata alla memoria stori-
ca»), Belta, 29/8/2022.
12. I seguenti passi provengono dal manuale citato: A.V. KASOVI0, A.P. SOLOV’JANOV ET AL., Istorija Bela-
rusi XIX – na0alo XXI v., (Storia della Bielorussia – dal XIX all’inizio del XXI secolo), Minsk 2021,
Izdatel’skij centr Bgu. 261
LA STORIA SECONDO LUKAŠĖNKA
13. A. WIERZBICKI, Polish-Belarusian Relations: Between a Common Past and the Future, Warsaw 2018,
262 Poland’s Foreign Policy Library, p. 45.
LA POLONIA IMPERIALE
Gruppo di Pskov
Dialetti settentrionali
ESTONIA
Golfo Dialetti meridionali
di Gruppo di transizione con
Riga i dialetti ucraini
LETTONIA
Riga
FEDER.
Daugavpils RUSSA
LITUANIA
Navapolack
Viciebsk Smolensk
FEDER. Vilnius
RUSSA
Minsk
Hrodna Mahilëu
B I E LO R U S S I A Brjansk
Bialystok Baranavičy
Babrujsk
Homel’
Brest Pinsk
Lublino Černihiv
POLONIA UCRAINA
Kiev
LE FAMIGLIE DIALETTALI BIELORUSSE
Fonte: Y. Richard, 2002
Infne gli autori si concentrano sulla guerra patriottica, che comincia nel 1941
con l’Operazione Barbarossa. Le dedicano grande spazio, enfatizzando il ruolo dei
bielorussi nella resistenza all’avanzata dei tedeschi, nell’attività partigiana durante
l’occupazione e nella controffensiva fnale (Operazione Bagration del 1944) che
proprio sul suolo bielorusso diede una svolta decisiva al confitto. Uno dei paragra-
f dedicati ai collaborazionisti bielorussi è seguito da un elenco sommario dei loro
crimini, tra cui: «I poliziotti indossavano bracciali bianco-rosso-bianchi o strisce a
forma di bandiera bianco-rosso-bianca sulla manica sinistra dell’uniforme; sui loro
copricapi una fascia bianco-rosso-bianca e una coccarda. (…) Durante i festeggia-
menti venivano utilizzate bandiere bianco-rosse-bianche». I colori sono gli stessi
della bandiera esposta con orgoglio dall’attuale opposizione bielorussa.
4. Fino agli eventi del 2020 la Bielorussia aveva una legislazione sulla memoria
storica relativamente scarna rispetto ad altri paesi dell’area (ex sovietici e non) 14.
Fin dal suo avvento Lukašėnka aveva mostrato attenzione agli usi della storia con
gli interventi sull’editoria scolastica, sulla ricerca accademica, sui simboli nazionali
e sulle ricorrenze, ma ciò non era motivato dalla sopravvivenza del regime e non
rientrava in un preciso indirizzo geopolitico. Lasciava anzi qualche spiraglio a un
futuro europeo per una Bielorussia attenta a non accentuare troppo il signifcato
del suo confne occidentale.
Le rivolte contro la permanenza del bat’ka al potere hanno cambiato radical-
mente lo scenario, trasformando il presidente bielorusso in attivo fautore del recu-
pero di un’eredità funzionale a conservarne il potere con il sostegno di Mosca. An-
che attraverso una «costituzionalizzazione» della memoria storica 15. Se Lukašėnka si
è mosso in tale direzione è in parte per l’avvicinamento alla Russia, in parte per la
reazione alle percepite ingerenze esterne i cui asseriti responsabili (Polonia e baltici)
sono appena oltreconfne. La principale novità degli ultimi due anni non riguarda
però il recupero di simbologia ed eredità – anche culturali e linguistiche – sovieti-
che, già in corso da tempo, bensì l’introduzione di un’aspra retorica antipolacca
perfno in ambiti su cui la leadership di Minsk aveva mostrato una certa cautela. Il
passato controverso fa sì che la Polonia si presti al ruolo di nemico, di altro da sé
funzionale a puntellare il regime. Anche perché reagisce in modo muscolare alle
provocazioni e non fa mistero dei suoi appoggi agli oppositori di Lukašėnka.
Non vanno però dimenticati i paradossi del nazionalismo bielorusso, al tempo
auspicato e temuto dai vicini. La Polonia non ha forse desiderio più grande, dopo
la disgregazione della Russia, che la Bielorussia resti indipendente. Diffcile però
che lo sia in funzione antirussa. Altrettanto, se non più diffcile, che sia Varsavia a
convincerla. Servirebbe una lunga e complessa opera di persuasione, ma non è
questo il tempo del soft power.
14. U. BELAVUSAU, «The “Year of Historical Memory” and Mnemonic Constitutionalism in Belarus», Ver-
fassungsblog, 8 /9/2022.
15. Si veda al riguardo anche la legge sul genocidio del popolo bielorusso. Cfr. «Lukashenko signs
264 Belarusian genocide recognition bill into law», Belta, 6/1/2022.
LA POLONIA IMPERIALE
Parte IV
il TRIMARIUM
e NOI
LA POLONIA IMPERIALE
1. « I
FIGLI DEL LEONE SARANNO TRASFORMATI
in pesci del mare». Si tratta di un’antica profezia inglese risalente al XIII secolo e
incastonata da Carl Schmitt nel suo Terra e mare 1 per descrivere il passaggio di un
popolo da un’esistenza terragna a un’impresa marittima. Ebbene, attraverso il Tri-
marium la Polonia intende defnire il proprio ruolo all’interno del Großraum occi-
dentale, ergo a guida statunitense, assurto (di nuovo) a centro geopolitico del
mondo, anche a seguito del confitto russo-ucraino.
In Europa sono molti a sostenere che l’Iniziativa dei Tre Mari (Tsi, nell’acroni-
mo inglese) sia il progetto più ambizioso mai escogitato da un «vecchio e arretrato
residuo dell’impero staliniano». Un esercizio emancipatorio che ha individuato la
sua formula di riscatto in un elemento primordiale: l’acqua. Fin dal basso medioe-
vo, infatti, l’affaccio sul Baltico ha rappresentato per la Matka Polka un groviglio di
aspirazioni egemoniche e contese sanguinarie.
L’accesso al mare, allora sbocco cruciale per il commercio del grano polacco
con i Paesi Bassi e l’Inghilterra, non è solo un punto prospettico a partire dal qua-
le è possibile edifcare una nuova Realpolitik, ma un corridoio che porta a raffor-
zare l’Ortung, ovvero la propria localizzazione sullo spazio terrestre. In questo
caso, sullo scacchiere europeo e occidentale.
Al centro del Trimarium, collegati in una sorta di triangolo scaleno, troviamo
il Mar Baltico, il Mar Adriatico e il Mar Nero. Pur agendo in uno scenario comple-
tamente diverso e connotato da condizioni storiche più fessibili, il suo slancio
ideologico è fglio dell’aborto pilsudskiano conosciuto come Intermarium. Stessi
fni (la costruzione di un protagonismo polacco nell’Europa orientale e lo svezza-
mento dalle risorse tedesche e russe), stessi nemici (con l’ingresso della Cina nella
DIALETTI POLACCHI
Mar Gdynia
Danzica
Baltico
5 Elbląg
Bytów URSS
Malbork
Koszalin
Białystok
7
3
Stettino Bydgoszcz
VARSAVIA
P O L O N I A Siedlce 6
Poznań 4
Łódź
Zielona Góra
Lublino
Kielce
GERMANIA Częstochowa
Wrocław
1
Opole
2 Katowice Rzeszów
I dialetti
Cracovia
1 Małopolski 2 Śląski 3 Mazowiecki
4 Wielkopolski 5 Kaszubski
6 Dialetti mischiatiCECOSLOVACCHIA
7 Nuovi dialetti mischiati
ziare e incanalare gli investimenti strutturali del Trimarium verso l’asse Nord-Sud
(Via Carpathia) sono le sentinelle del «blocco americano», mentre i patrocinatori
della linea Ovest-Est sono gli ambigui vicini, Berlino über alles, che appaiono più
inclini a tessere partnership economiche con Mosca e Pechino.
Fin dall’inaugurazione della Tsi, gli Stati Uniti, maestri indiscussi della talasso-
politica che orienta e costituisce la politica estera dell’Anglosfera, hanno accolto il
Trimarium come un corridoio per espandere i collegamenti tra la zona euroatlan-
tica e il Nord Africa, oggi terra di conquista per i colossi cinesi e russi. E come
un’opportunità per garantire agli Stati dell’Est europeo un primo assaggio di indi-
pendenza economica grazie alla diversifcazione energetica.
Durante il secondo summit della Tsi, svoltosi a Varsavia nel 2017 alla presen-
za di Donald Trump, l’allora segretario di Stato Mike Pompeo assicurò infatti l’e-
rogazione di 850 milioni di euro per rimpinguare il fondo del Trimarium, registra-
to il 29 maggio 2019 e sostenuto inizialmente dalla banca polacca Gospodarstwa
Krajowego e dalla romena Exim Bank. Quattro anni dopo, il nuovo presidente
americano Joe Biden ha confermato la linea del suo predecessore, omologando il 269
IL TRIMARIUM SERVE A VARSAVIA PER CONTARE A WASHINGTON
4. Per polacchi e romeni non è stato diffcile optare per Mamma America, no-
nostante per i primi sia in ballo la costruzione del Solidarity Transport Hub, che si
annuncia come il più grande aeroporto della regione e che ha ragionevolmente
stuzzicato l’appetito economico dell’Impero del Centro. L’Ungheria di Orbán, al
contrario, sembra propendere per la linea adottata nel 2014, quando Budapest si
dichiarò contraria alle sanzioni contro il Cremlino. Senza contare che la capitale
magiara ospita il più grande centro logistico di Huawei fuori dalla Cina e che il 70%
dei suoi abitanti usufruisce dei relativi servizi.
Ma all’interno del Trimarium navigano anche paesi come l’Austria, che po-
tremmo defnire, approfttando dell’occhio profetico di San Giovanni, «un cuore
tiepido». Sebbene sia pienamente coinvolta nella progettazione del gasdotto Brua,
con l’intento di ridurre la dipendenza della regione dall’energia russa e di fornire
una nuova rotta di esportazione per il futuro sfruttamento del gas naturale nel Mar
Nero, Vienna non è interessata a iscriversi a una zona d’infuenza. Per l’Austria,
battitore libero dai vincoli di Visegrád e dagli intrecci del B9, contano i potenziali
vantaggi che può trarre dal mercato del Trimarium, come il corridoio Baltico-Adria-
tico da 80 miliardi di dollari, che si estende dai porti di Danzica, Gdynia, Stettino e
¢winouj£cie a nord fno ai porti adriatici di Capodistria, Trieste, Venezia e Ravenna
a sud, passando per Varsavia, Wrokłav, Vienna e Bratislava.
In buona sostanza, il Trimarium è la proiezione del sogno polacco di abban-
donare il ruolo di satellite per giocare da playmaker sul suolo europeo e per rista-
bilire la gloria perduta col dissolversi della Confederazione polacco-lituana, pur
sapendo che per gli Stati Uniti la grigia e nostalgica Parigi dell’Est rimarrà sempre
un cuscinetto pronto ad assorbire le minacce provenienti da Oriente. Niente di più
e niente di meno. Ma, soprattutto, niente di più. Mentre Varsavia, in un affato di
atlantismo, pare rifutare qualsiasi legame storico con le potenze orientali, prefe-
rendo muoversi e rintanarsi «sotto la maestosa cappa del cielo latino».
4. La cintura longitudinale dei dodici paesi del Tsi è una regione vitale per la
politica estera statunitense. Washington sa bene che la Cina non è certo l’Unione
Sovietica. Xi Jinping guida una civiltà millenaria che oggi guadagna terreno nel
settore dell’intelligenza artifciale, della transizione digitale e della cibersicurezza e
che detiene il monopolio della tecnologia 5G. Dopotutto, in un mondo anomico e
sclerotizzato dalla tecnica scatenata, l’equilibrio e la portata del sistema internazio-
nale dipendono anche dal progresso tecnologico. E sebbene gli Stati Uniti riescano
a mantenere il proprio primato in merito (oltre alla paternità del Global Positioning
System, in virtù del quale ogni router venduto potrebbero mappare un singolo
nodo della rete globale interrompendo la comunicazione in una regione), Pechino
pare tuttavia in grado di tenere il passo.
La formidabile ascesa di aziende come Zte e Huawei, anche grazie al conve-
niente rapporto qualità-prezzo, allarma lo Zio Sam e inasprisce la competizione
per la gestione esclusiva del 5G nell’area del Trimarium. Gli americani hanno au-
mentato la pressione diplomatica, rimarcando la scarsa affdabilità dell’infrastruttu- 271
IL TRIMARIUM SERVE A VARSAVIA PER CONTARE A WASHINGTON
ra cinese che potrebbe essere impiegata per scopi di intelligence. Difatti nel gen-
naio 2019 la polizia polacca arrestò un dipendente del colosso di Shenzhen con
l’accusa di spionaggio.
Ma, tralasciando i piccoli episodi degni di una pellicola di Paweł Pawlikowski,
il punto è che l’infrastruttura digitale non solo integra ma diviene una condizione
imprescindibile per creare moderni collegamenti di trasporto, specialmente ora che
le sperimentazioni sui veicoli autonomi sono in fase avanzata.
Per quanto concerne l’ossatura fnanziaria che sorregge i progetti di svilup-
po energetico, logistico e digitale, è facile notare come i bilanci dei singoli Stati
membri siano arricchiti dalle erogazioni europee. Un esempio è il Fondo euro-
peo di coesione, destinato ai paesi con un reddito inferiore al 90% della media
Ue e che dal 2014 al 2020 ha sovvenzionato i protagonisti del Trimarium con la
«modica» cifra di 35 miliardi di euro. Ancora, nello stesso periodo, il Fondo eu-
ropeo di sviluppo regionale, che mira a diminuire le sproporzioni economiche
tra le diverse aree del continente, ha sborsato 28 miliardi per potenziare l’agenda
digitale della Tsi.
272
LA POLONIA IMPERIALE
1. Fin da subito la Croazia ha dato una forte spinta all’Iniziativa dei Tre Mari.
A partire dalla rete di collegamenti e di infrastrutture con l’Europa centrale
Ɠno ad arrivare all’attrattività del porto di Fiume, che è riuscito a dragare
i propri fondali e a renderli simili a quelli dello scalo di Trieste. Un ruolo
di primo piano è svolto dal primo ministro croato Andrej Plenković, leader
dei conservatori di Hdz, vicini al Partito popolare europeo, fondamentale
per l’insediamento di Ursula von der Leyen nella carica di presidente della
Commissione europea. Tuttavia, anche la Croazia ha dovuto fare i conti con
l’invasione russa dell’Ucraina, con le sanzioni contro Mosca e soprattutto
con la crisi energetica legata, più che al tema dei costi, a quello concreto
degli approvvigionamenti.
E qui Plenković ha tirato fuori la carta vincente: il rigassiƓcatore – o impianto
gnl – ubicato sull’isola di Veglia. Struttura offshore realizzata in tempi record
e ben lontani dall’invasione russa.
3. L’Iniziativa dei Tre Mari si snoda in una regione che registra un tasso di
crescita più alto del resto d’Europa. Questo la rende particolarmente attra-
ente per investimenti e proƓtti. Il governo albanese sta anche lavorando per
guidare il processo di ingresso dei paesi non Ue nell’Iniziativa – gli attuali 12
«trimaristi» sono tutti membri dell’Unione Europea.
L’importanza del progetto, come sostiene Raimondo Fabbri, risiede nella
creazione di un’unione strategica che dal Mar Baltico si snodi Ɠno all’Adria-
tico e al Mar Nero. Attraverso tale intesa, si è data vita a una «cintura» che
tiene la Russia fuori dall’Europa orientale e che si radica nell’area dell’in-
Ŵuenza economico-politica tedesca.
Il vertice annuale del 2022 si è tenuto a Riga e ha dimostrato che il pro-
getto continua a sviluppare le sue potenzialità economiche, energetiche
e securitarie. Eppure i suoi progressi sul terreno sono stati Ɠnora modesti,
per via soprattutto delle molteplici sƓde regionali e dello scarso impegno
degli Stati Uniti di Biden. Sebbene l’iniziativa rimanga viva e vegeta, anche
alla luce dell’evoluzione della guerra d’Ucraina, è poco probabile che rea-
lizzerà il suo pieno potenziale a breve termine. Uno dei motivi è la crescente
preoccupazione per gli investimenti cinesi in Europa centro-orientale. La
Repubblica Popolare ha fortemente promosso la cooperazione con l’area
attraverso il formato «17+1» e le nuove vie della seta. Pochi programmi ri-
levanti, però, si sono concretizzati. Sia per i problemi di sicurezza legati alle
infrastrutture e allo sviluppo della rete 5G, sia per la mancata condanna ci-
274
LA POLONIA IMPERIALE
275
LA POLONIA IMPERIALE
La fducia nei confronti della Bundesrepublik all’interno del contesto bellico sta per
essere dimezzata in tutta la regione e dubito che i tre Stati baltici sosterrebbero Ber-
lino. Riteniamo che se la Germania dovesse entrare nel Trimarium come membro a
pieno titolo, l’intera iniziativa morirebbe. Dopotutto, i tedeschi si limitano a fare il
loro gioco. Avete notato come durante la pandemia hanno cercato di innescare una
competizione tra Polonia e Italia per i fondi di ripresa dell’Unione Europea? Nel
corso della prima ondata, i fondi regionali potevano essere utilizzati per fronteggia-
re i problemi economici causati dal coronavirus, ma questi erano già stati distribuiti
e le amministrazioni potevano solo limitarsi a impegnarli e a spenderli per scopi
diversi da quelli inerenti alla politica e alla dimensione regionale. Il risultato è stato
che l’Italia, paese che ha sofferto di più, ha ricevuto dei sostegni irrisori.
Berlino intendeva entrare a gamba tesa con i paladini del Nord – come Austria,
Paesi Bassi e altri – per applicare la sua strategia del divide et impera contro i
«pigri meridionali» e gli «arretrati orientali» che sfornano rivendicazioni a scapito
dei «contribuenti tedeschi che lavorano sodo». Fortunatamente abbiamo evitato
quello scenario. La Sinergia del Mar Nero, il forum che rientra nella politica euro-
pea di vicinato, non si occupa del confitto russo-ucraino e venne progettato
senza prevedere la partecipazione della Polonia nella fase gestionale della strut-
tura, il che avrebbe potuto provocare una competizione polacco-rumena nella
politica orientale dell’Ue. Ecco, non vogliamo che giochi del genere vengano ri-
proposti dalla Germania nell’ambito del Trimarium.
LIMES E per quanto riguarda il Fondo?
Z˙URAWSKI Questo è stato creato dalla Banca di Polonia in accordo con quella di
Romania, poi altri paesi hanno contribuito proporzionalmente in base alle dispo-
nibilità delle proprie economie nazionali. Alcuni di essi, come Repubblica Ceca e
Austria contribuiscono relativamente poco. Tengo a precisare che il Fondo Trima-
rium non è paragonabile a quello europeo, il nostro è un meccanismo di start-up.
Abbiamo raggiunto eccellenti risultati nell’attrarre investitori, partner americani
hanno investito due miliardi di dollari, perciò abbiamo motivo di sperare di poter
attirare anche investitori coreani, giapponesi eccetera. Attualmente, siamo ancora
sotto le aspettative.
Il Fondo non è abbastanza grande per coprire la necessità di infrastrutture nella
regione. Servono 600 miliardi di euro e adesso ne abbiamo meno di 4. L’idea è di
costruire le infrastrutture sull’asse Nord-Sud piuttosto che su quello Est-Ovest,
come preteso dalla leadership tedesca nell’ottica di rafforzare le relazioni con la
Russia. Questo spiega perché molte infrastrutture in Polonia seguono la direttrice
Est-Ovest, mentre noi vorremmo svilupparle in direzione opposta, tra il Baltico e
il Mar Nero, superando i Carpazi.
LIMES Stati Uniti e Polonia hanno interessi convergenti in merito al Trimarium. È
un progetto polacco o americano?
ŻURAWSKI È un progetto polacco, senza ombra di dubbio, ma non è un progetto
geopolitico. Molti sono portati a percepirlo tale a causa dell’Intermarium. Un pia-
no geopolitico architettato a cavallo delle due guerre tra Ucraina e Polonia, tra 279
‘CONTRO MOSCA E PECHINO, IL NOSTRO TRIMARIUM NON PUÒ PRESCINDERE DA WASHINGTON’
Mar Nero e Mar Baltico. Solo pianifcato in realtà, in quanto Varsavia non fu ab-
bastanza forte da difendere l’indipendenza ucraina. Il punto era: come sopravvi-
vere alla pressione dei due nemici storici, ovvero Russia e Germania? Ma le due
esperienze non sono comparabili. Sono gli avversari del Trimarium a classifcarlo
come un progetto geopolitico. Volutamente i detrattori confondono le due cose
per futili ragioni propagandistiche.
Ciò nonostante, è innegabile che all’interno del Trimarium ci siano numerose di-
vergenze politiche. Non possiamo aspettarci la stessa postura tra Estonia e Austria,
e via dicendo. Le iniziative che per alcuni paesi sono importanti o addirittura vi-
tali non lo sono per altri. La Polonia è il paese demografcamente più forte, men-
tre i nostri vicini sono comunità nazionali più piccole. Eppure, diversamente da
quel che accade nei cortili dell’Unione Europea, noi abbiamo un grande rispetto
anche verso i partner più vulnerabili. Seguendo l’insegnamento di Giovanni Pao-
lo II, «ci faremo carico delle pene altrui perché questo è il miglior modo di agire».
LIMES È interessante ripercorrere genesi e sviluppo della relazione con Pechino.
Dal 16+1 al graduale isolamento della Cina dal Trimarium.
ŻURAWSKI Per la maggior parte dei nostri paesi la relazione con la Cina è stretta-
mente intrecciata al rapporto col Cremlino. Il confronto con la Russia rappresenta
una sfda enorme, quasi apocalittica, per la quale abbiamo bisogno degli Stati
Uniti. Pertanto, non possiamo adottare politiche che non siano ben viste da Wa-
shington. Di conseguenza, qualsiasi sia l’offerta di Pechino va considerata da
questa prospettiva. Noi polacchi abbiamo collezionato un’esperienza negativa in
merito agli investimenti cinesi: quando hanno provato a penetrare il mercato edi-
lizio, il nostro paese ha assistito a una lunga sequela di corruzioni e pratiche
scorrette. Nel periodo 2007-15, con l’esecutivo trainato da Piattaforma civica, al-
cune aziende statali cinesi sono state invitate a sviluppare la rete autostradale in
Polonia. Il risultato? Un massiccio fallimento delle società polacche subappaltatri-
ci. Dubito che qualcuno voglia ripetere quell’esperienza.
Anche i fattori politici sono importanti, come la natura non democratica del gover-
no di Pechino. È bene ricordare che i tre Stati baltici, nostri fedeli alleati nel con-
fronto con l’Orso russo, si sono appena ritirati dalla cooperazione con la Cina e la
Repubblica Ceca sta per fare lo stesso. D’altra parte, Pechino occupa una posizione
poco chiara nel confitto russo-ucraino. A maggior ragione, non ho nessun proble-
ma ad affermare che le nostre priorità sono la salvaguardia e il potenziamento
delle relazioni bilaterali con gli Stati Uniti. In fondo, la presidenza tedesca alla fne
del 2020, nel pieno della crisi per l’avvicendamento alla presidenza americana tra
Trump e Biden, ha approfttato della situazione di debolezza per spingere sull’ac-
cordo Ue-Cina, e devo ammettere con successo. Il nostro ministro degli Esteri
protestò contro questo patto commerciale, ma l’amministrazione Biden iniziò a
supportarlo o, per essere più clementi, smise di contrastarlo. Oggi, gli Stati Uniti
sono il principale fornitore di armi all’Ucraina, per cui fnché saranno il principale
280 deterrente e katéchon contro la Russia nella regione noi saremo leali e allineati.
LA POLONIA IMPERIALE
S V E Z I A
M a r B a l t i c o
Copenaghen
Malmö
dalla
Norvegia
G o lf o
Fakse Bugt BORNHOLM di
D a n zi ca
DA N I M A R C A
Danzica
Golfo di
P o m er a n i a
Niechorze-Pogorzelica
Greifswald
G E R M A N I A
Lubecca
Stettino
Copenaghen Malmö
P O L O N I A
Niechorze
Greifswald Pogorzelica
LIMES Qualora l’Italia fosse interessata a entrare nel Trimarium, la Polonia come
reagirebbe?
Z˙URAWSKI Penso che specialmente dopo le ultime elezioni, da quando il primo
ministro italiano proviene dalle fle di un partito come Fratelli d’Italia, i nostri pa-
esi condividano una visione simile. Un’eventualità di questo tipo riserverebbe
delle prospettive senz’altro positive e un potenziale ingresso dell’Italia nel Trima-
rium verrebbe accolto con entusiasmo da Varsavia. Non posso dire lo stesso per
i nostri partner. La Croazia, paese fondatore, è ad esempio riluttante dopo il re-
cente cambio di premier, e le differenze di vedute tra Zagabria e Roma potrebbe-
ro rivelarsi una scusa per osteggiare una cooperazione del genere.
Andando avanti, perdonate il gioco di parole, l’Adriatico è uno degli angoli del
triangolo, il secondo per importanza dopo quello polacco nel terminale gnl di
¢winouj£cie. Il terminale croato di Krk esiste già, a differenza di quello rumeno di 281
‘CONTRO MOSCA E PECHINO, IL NOSTRO TRIMARIUM NON PUÒ PRESCINDERE DA WASHINGTON’
Costanza che dovrebbe essere completato entro il 2029. Le rotte del Mar Nero
sono molto più rischiose, poiché minacciate dalla Russia, rispetto a quelle adria-
tiche e mediterranee, che si rivelano più sicure perfno delle rotte baltiche. Ciò è
importante per il transito delle materie prime energetiche in tutta la regione del
Trimarium, posta fuori dal controllo russo.
Inoltre, bisognerebbe costruire un’infrastruttura di trasporto e di comunicazione
tra il Mar Baltico e l’Adriatico per collegare l’Europa meridionale con quella nor-
dorientale. Di fatto signifcherebbe connettere la Polonia al mercato balcanico e a
quello italiano. L’Italia è una grande economia con la quale dobbiamo confrontar-
ci e sviluppare sinergie, basti pensare all’agricoltura. Pur vantando un settore
primario forte, i beni alimentari prodotti in Polonia sono diversi da quelli prodot-
ti in Italia: non abbiamo vino, agrumi, olive, alimenti mediterranei.
Quest’ipotesi, per il momento, non è stata mai avanzata da Roma, eppure sono
sicuro che se l’Italia manifestasse il minimo interesse verso il Trimarium la Polonia
lo supporterebbe appieno. D’altro canto, si tratterebbe dell’ingresso di una grande
potenza europea che una volta inclusa nell’iniziativa non oserebbe sconvolgerla.
Tenete conto che una delle nostre iniziative principali è la ricostruzione dell’anti-
ca via romana che univa l’Italia ai paesi baltici - la via dell’ambra, così denomina-
ta in virtù dell’usanza dei romani di importare ambra dalla regione baltica. In
parte questo collegamento esiste già, un tragitto che ci congiunge con la Repub-
blica Ceca e la Moravia, passando per i Sudeti fno al confne italiano con la Slo-
venia. Del resto, l’epoca d’oro della Polonia, il XVI secolo, è strettamente legato
al Rinascimento italiano. Bona Sforza a Cracovia è un esempio di come i mecena-
ti italiani investissero nella cultura, dall’architettura dei palazzi signorili alla pittura.
I leader del nostro paese studiavano a Bologna, Padova e Roma.
LIMES Qual è il ruolo di Londra in tutto questo?
Z˙URAWSKI Domanda complessa e interessante. Le relazioni tra Varsavia e Londra
sono ottime, consolidatesi grazie alla comune avversione verso l’invasore russo. Gli
Stati Uniti, come abbiamo ricordato, sono i primi fornitori di armi all’Ucraina, gli
inglesi i secondi e i polacchi terzi, i rispettivi interessi nazionali non collidono e
neanche la linea adottata in politica estera. Inutile dire che il coinvolgimento bri-
tannico nel Fondo Trimarium sarebbe una manna dal cielo, ma non ho sentito
nulla al riguardo. Certo, dopo la guerra avremo un paese diviso. Il Regno Unito è
uno dei pochi paesi che vuole confscare gli asset russi e avere la possibilità fsica
di farlo. In Polonia c’è la volontà di agire in tal senso ma non abbiamo gli asset,
viceversa in molti paesi ci sono gli asset ma non la volontà. In Gran Bretagna vige
una combinazione delle due cose. Durante la ricostruzione dell’Ucraina – che l’an-
no scorso è stata nominata active partner del Trimarium e inclusa in alcune inizia-
tive come la Via Carpathia – penso che la cooperazione sarà naturale.
Serve una quantità di denaro enorme per ricostruire il territorio ucraino, circa il
75% del budget settennale dell’Unione Europea, quindi, chiunque possa e voglia
282 contribuire al progetto è il benvenuto. Considerato il supporto militare fornito
LA POLONIA IMPERIALE
all’esercito di Kiev, penso che Londra sarà uno degli attori principali nella fase
della ricostruzione e nel futuro prossimo. Un futuro che spero (in) comune.
LIMES Ma a che punto è il Trimarium?
Z˙URAWSKI È un progetto dinamico. Dalla sua fondazione ha avuto una crescita
rapida, poi c’è stato un cambio di amministrazione negli Stati Uniti, dopodiché
l’opinione pubblica si è focalizzata sulla guerra, non sulle infrastrutture. Nell’ulti-
mo anno, il cambiamento più importante è stato la posizione della Repubblica
Ceca. Con Babiš erano un po’riluttanti. Ma il governo ceco di Fiala si basa sulla
coalizione retta da Ods, partito alleato di Diritto e giustizia nel gruppo Ecr al
parlamento europeo, ed è stato sostenuto proprio da Ods. Perciò immagino che
proseguirà sull’indirizzo politico precedente. Poi, abbiamo un problema per via
degli ungheresi e della loro posizione timida e ambigua nei confronti della Rus-
sia. L’altro fattore signifcativo è l’ingresso della Finlandia e della Svezia nella
Nato, che potrebbe aiutarci a rafforzare i rapporti con i paesi scandinavi. Ma
queste sono solo supposizioni. Invece, lo sviluppo delle infrastrutture sta pren-
dendo piede soprattutto in Polonia, anche se abbiamo dei problemi con la Slo-
vacchia, che non è particolarmente attiva nella costruzione della Via Carpathia. E
senza di loro diventa tutto più diffcile. Ciononostante, contiamo sull’infuenza
ceca. I cechi sono molto effcaci nel condizionare la Slovacchia.
LIMES In sintesi, cosa rappresenta il Trimarium per il futuro geopolitico della
Polonia?
ŻURAWSKI Ci sono vari fattori da prendere in considerazione. Il primo è quello
delle infrastrutture, che non va né sottovalutato né sopravvalutato, il secondo
riguarda la realtà militare. Quindi, speriamo che sia una delle arene di coopera-
zione più importanti tra Stati baltici, con l’aiuto della Repubblica Ceca e della
Romania. Quest’ultima dipende dalle attitudini americane, però è uno dei paesi
fondatori del Fondo e sarà l’organizzatrice del prossimo summit. Contiamo an-
che sulla Croazia, che però ha cambiato la sua politica in modo negativo. Anche
il cambio di presidenza in Slovenia dal punto di vista polacco non è uno svilup-
po positivo. Comunque, la pressione esercitata dalla realtà, come la crisi energe-
tica, spinge verso una maggiore collaborazione, e ciò che verrà realizzato in
termini di collegamenti marittimi tra Polonia, paesi baltici e Finlandia è un ulte-
riore punto di lavoro. Possiamo dire che il piano infrastrutturale è una delle aree
più importanti, assieme ad altre strutture come il B9, l’accordo polacco-ucrai-
no-britannico del 2022 e diverse piattaforme che potrebbero essere impiegate
anche a scopo militare.
283
LA POLONIA IMPERIALE
SE IL TRIMARIUM
EMARGINA L’ITALIA CALLIGARO di Rudy
Lo squilibrio a est delle reti Ten-T per effetto della guerra ucraina
mette al centro Polonia e Stati limitrofi, penalizzando il nostro
Nord. Rischi e opportunità del corridoio Baltico-Nero-Egeo.
L’urgenza di una strategia nazionale per l’Adriatico.
1. E
RA IL 2004, POCO PIÙ DI 10 ANNI DAL
crollo dell’Unione Sovietica. L’Unione Europea si apprestava a incorporare i paesi
dell’ex Patto di Varsavia. Per questo l’allora presidente della Commissione europea
Romano Prodi propose di estendere a tale spazio il sistema di collegamenti ferro-
viari, marittimi e fuviali – noto come Trans-European Transport Network, o Ten-T
– pensato per connettere tra loro i paesi dell’Ue. Nacque così l’iniziativa Wider
Europe 1, prima grande modifca delle reti Ten-T.
Il progetto ha subìto diverse revisioni negli anni. La più importante nel 2013,
quando le reti in questione vennero articolate su due livelli: il Comprehensive
Network, da completare entro il 2050 con la piena copertura di tutte le regioni
europee, e il Core Network, la rete centrale da ultimare nel 2030 e comprendente
le parti del Comprehensive Network di più alto valore strategico (i corridoi dall’1
al 9). Il Core Network individua una rete equilibrata nelle sue proiezioni, con due
assi nord-sud ed est-ovest rappresentati grossomodo i corridoi Scandinavia-Medi-
terraneo e Mediterraneo. Il punto d’incontro dei due assi si situa nell’Italia setten-
trionale, attraversata longitudinalmente dal corridoio 5: una dorsale strategica per
il nostro paese nel contesto nazionale ed europeo, che nella sua versione comple-
ta concorrerebbe al necessario ammodernamento infrastrutturale del Nord-Est 2.
Il 14 dicembre 2021 la Commissione ha presentato una proposta legislativa
sugli orientamenti dell’Ue per lo sviluppo delle reti Ten-T 3, che dovrà essere ap-
1. «Wider Europe-Neighbourhood: A New Framework for Relations with our Eastern and Southern
Neighbours», Communication from the Commission to the Council and the European Parliament,
Bruxelles, 11/3/2003.
2. F. MIGLIORINI, «Un corridoio per salvare l’Italia», Limes, «L’Italia presa sul serio», n. 2/2006, pp. 33-44.
3. «Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli orientamenti dell’Unione per lo
sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, che modifca il regolamento Ue 1153/2021 e il regolamento
Ue 913/2010 e abroga il regolamento Ue 1315/2013 – Orientamento generale», Bruxelles, 1/12/2022. 285
SE IL TRIMARIUM EMARGINA L’ITALIA
di hub energetico che il Mezzogiorno pare destinato a svolgere nei prossimi anni
data l’impellente necessità di rifornire la penisola e il continente di gas alternativo
a quello russo.
Sarebbe un bene anche per Trieste, il cui porto franco e i collegamenti ferro-
viari con la Mitteleuropa sono un generoso lascito della storia. La città si appresta
a estendere ulteriormente lo sguardo verso la regione balcanica, che grazie all’ide-
azione di un apposito corridoio verrebbe maggiormente collegata alla Ue. Il nuovo
corridoio Balcani occidentali estende infatti le Ten-T a paesi già allineati al corrido-
io paneuropeo Trieste-Zagabria-Belgrado e alle relative connessioni con i porti
adriatici della Croazia e del Mar Nero (Costanza, Varna e Burgas). Facile immagi-
nare per lo scalo giuliano ulteriori opportunità di crescita in aree storicamente di
sua afferenza, ravvivando il sogno che sembrava tramontato di divenire perno del
sistema centro-europeo 4.
Ora le note dolenti. Lo spostamento di baricentro a est porta i corridoi Scandi-
navia-Mediterraneo e Mediterraneo, gli assi portanti Nord-Sud ed Est-Ovest prima
della modifca, a perdere la loro funzione strutturale nel Core Network. Per quanto
riguarda l’asse Nord-Sud, il nuovo corridoio Baltico-Nero-Egeo – mirante a unire i
porti del Pireo e di Limisso (a Cipro) con quelli del Nord Europa – risulta infatti
concorrenziale rispetto al corridoio Scandinavia-Mediterraneo. A uscire penalizzati
sarebbero i porti tirrenici dell’Italia – Napoli, Gioia Tauro, Palermo 5 – oltre a quel-
li spagnoli e francesi già integrati nel corridoio Mediterraneo.
Il declassamento di quest’ultimo, inoltre, posticiperebbe ancora l’adeguamento
delle relative strozzature infrastrutturali. Parliamo della nota tratta Torino-Lione, le
cui diffcoltà di completamento sono perlopiù dovute ai notevoli ostacoli tecnici
amplifcati mediaticamente dalle proteste dei residenti, e della meno dibattuta ma
non meno importante tratta Venezia-Trieste, ancora priva di un collegamento ad
alta velocità e soggetta a continui guasti nei pressi di Venezia-Mestre e del bivio
d’Aurisina 6, dove inizia il territorio carsico. L’Italia rimarrebbe così mal collegata a
Trieste, sul punto di diventare un nodo logistico, infrastrutturale ed economico di
primo piano nel contesto regionale.
Lo sviluppo del capoluogo giuliano non sarebbe però fne a sé stesso, dal
momento che tutto il Nord-Est potrebbe benefciarne. Il corridoio 5, se realizzato,
potrebbe connettere in modo più effciente un’area geografca che tra Verona e
Trieste comprende tre aeroporti (Verona, Venezia, Trieste), tre interporti (Verona,
Padova, Cervignano) e due porti di rango (Venezia, Trieste). Porti che diventano
quattro (Capodistria, Fiume) se consideriamo anche la proiezione del corridoio in
prossimità del nostro confne orientale. Recenti accenni a Trieste come porto di
riferimento – assieme a Venezia – per l’Ucraina danno la misura delle potenzialità
attuali e future dello scalo 7.
4. A. SEMA, «Naufraga a Trieste il sogno del baricentro», Limes, «Il nostro Oriente», 6/2003, pp. 103-111.
5. «Grandi reti europee di trasporto TEN-T: Italia penalizzata dalle nuove strategie», Eurispes, 18/11/2022.
6. M. DELLE CASE, «Treni ad alta velocità tra Venezia e Trieste: il sogno scivola di altri due anni», Nor-
desteconomia, 6/9/2022.
7. «Ucraina: Urso, Venezia e Trieste saranno i porti di Kiev», Ansa, 13/1/2023. 287
SE IL TRIMARIUM EMARGINA L’ITALIA
3. Lo sbilanciamento a est delle reti Ten-T giova nel complesso al lato orienta-
le dell’Italia. Il potenziamento delle infrastrutture costiere adriatiche del nostro
Centro-Sud assieme a quelle dei Balcani occidentali, in una prospettiva d’integra-
zione comunitaria, potrebbe consentire al nostro paese di stringere importanti le-
gami con la regione, creando magari un sistema integrato dell’Adriatico che colle-
ghi i porti sulle due sponde di questo mare semichiuso. Una simile prospettiva va
vista positivamente, dal momento che un’integrazione della regione balcanica nel
sistema europeo potrebbe dare stabilità a un’area importante per la nostra strategia
nazionale 11 e per gli equilibri comunitari.
Serve però impegno, soprattutto da parte italiana. Qualcosa di positivo è stato
fatto con Slovenia e Croazia, già inserite nel sistema comunitario e con le quali, in
tempi recenti, si è iniziato a parlare di integrazione tra le autorità portuali di Trieste,
Fiume e Capodistria in una sorta di consorzio dell’Alto Adriatico mirante a creare
«un sistema virtuoso, in grado di lavorare unito anche in sede europea per raggiun-
gere l’obiettivo comune di porti smart, green e sempre più interconnessi» 12. L’Italia
dovrebbe fare altrettanto con Montenegro e Albania potenziando i collegamenti
Bari-Bar-Valona, che costituirebbero un prolungamento del corridoio Balcani occi-
dentali come pensato nella nuova proposta. Si tratta di due paesi con cui l’Italia ha
avuto quasi sempre buoni rapporti ma che negli ultimi decenni ha trascurato, la-
sciando ad altri – specie alla Turchia in Albania – campo libero 13. Ankara è una
presenza ingombrante, una potenza ambigua già presente nelle Libie e che com-
pete per lo spazio mediterraneo 14. Occorre quindi un qualche coordinamento con
i turchi, sperando che la Germania ci aiuti facendo valere il suo ascendente e che
la Francia non sia troppo d’intralcio. Più facile a dirsi che a farsi, ma non impossi-
bile.
Bosnia e Serbia albergano invece confitti congelati dagli accordi di Dayton,
sorta di semicostituzione che impedisce lo sviluppo della Bosnia-Erzegovina come
15. A. POLITI, «Non isoliamo i Balcani», Limes, «La guerra continua», n. 1/2023, pp. 217-224. 289
LA POLONIA IMPERIALE
POLACCHI D’ITALIA
L’ITALIA S’È DESTA di Lorenzo NOTO
Dal Risorgimento alla Liberazione, la ‘fratellanza d’armi’
polacco-italiana cantata anche da Mameli è storia intensa ma
dimenticata. I legionari di Dºbrowski. Il contributo ai moti
mazziniani. Il mito di Nullo e le imprese di Anders nel 1944-45.
1. T
RA LE TANTE STORIE DI ORMAI NEBULOSA
memoria che riempiono la nascita dell’Italia, una su tutte è scivolata, o da sempre
giace, nel dimenticatoio: quella del legame tra italiani e polacchi per la conquista,
o riconquista nel secondo caso, dello Stato nazionale. Incrocio di destini che per-
corre centocinquant’anni di storia tra XVIII e XX secolo. Le vicende risorgimentali
italiane sono infatti legate ad analoghe lotte nazionali, dall’Ungheria alla Boemia,
dalla Serbia alla Valacchia, dunque alla Polonia. Un’amicizia naturale nella logica
dello State building, ovvero di quei processi che metteranno a dura prova gli equi-
libri europei post-rivoluzione francese. Eppure, la solidarietà che intercorse tra
questi due popoli resta fenomeno misconosciuto, quantomeno nel Belpaese.
Solo in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario della proclamazio-
ne del Regno d’Italia fu dedicata a Torino 1 una mostra ai polacchi che presero
parte ai moti italiani, curata dalla polonista Krystyna Jaworska, che al tema dedicò
un approfondito saggio 2 ripercorrendone i passaggi più rilevanti.
Benché vi fossero stati contatti di stampo culturale tra medioevo e Rinascimen-
to, con un intenso interscambio di artisti e intellettuali, l’amicizia tra italiani e po-
lacchi è vicenda che acquisisce vigore tra le guerre napoleoniche e le due guerre
mondiali, debordando sul piano politico-militare. Dopo la seconda spartizione
della Confederazione polacco-lituana (1793), in difesa della costituzione emanata
il 3 maggio 1791 l’uffciale polacco Tadeusz Ko£ciuszko, già combattente nella
guerra d’indipendenza americana, aveva diretto una cospirazione contro l’esercito
russo alla quale presero parte quasi 40 mila uomini tra uffciali e soldati e 100 mila
reclute. Ko£ciuszko aveva persino provato ad aizzare un principio di guerra parti-
1. «I polacchi nel Risorgimento italiano. Mostra storica», Camera dei deputati, camera.it
2. K. JAWORSKA, Poeti e patrioti polacchi nell’Italia risorgimentale, Torino 2012, Biblioteca del viaggio. 291
POLACCHI D’ITALIA, L’ITALIA S’È DESTA
giana in Lituania, ma fu presto sconftto dalle forze del generale Suvorov 3. Alla
terza spartizione subita in poco più di vent’anni (1795), dopo la sconftta dell’insur-
rezione, la Polonia evaporava dalla cartografa europea per volontà di Russia,
Prussia e Austria.
Consapevoli che la rinascita nazionale sarebbe dipesa dalle evoluzioni geopo-
litiche del continente, negli anni immediatamente successivi i polacchi cercarono
sostegno tra gli avversari delle potenze circostanti, a partire dalla Francia. È qui che
l’intreccio con l’Italia ha inizio. La scomparsa del Confederazione polacco-lituana
coincise infatti con la discesa di Napoleone Bonaparte nella Penisola e la nascita di
repubbliche flofrancesi e giacobine. Sotto la guida del generale corso, tra il 1796 e
il 1797 l’esercito francese aveva infatti sconftto austriaci e piemontesi conquistan-
do Milano e la Lombardia e scatenando un effetto domino sul resto del paese,
dalla Liguria all’Emilia Romagna, da Roma a Napoli. Volontari polacchi comincia-
rono così a confuire a sostegno delle cosiddette repubbliche sorelle.
Quando nel gennaio 1797 il Consiglio della Repubblica Cisalpina deliberò
l’adozione del tricolore, a Milano con il consenso francese vennero al contempo
formate delle legioni polacche ausiliarie all’esercito della Repubblica Transpadana.
I legionari polacchi furono sottoposti al comando del generale Jan Henryk Dºb-
rowski – già difensore della costituzione polacca del 1791 e partecipe della rivolta
di Ko£ciuszko – e schierati contro gli eserciti austriaco, napoletano e russo. Come
riconoscimento dell’apporto dato dai legionari, nel 1798 al generale Dºbrowski fu
consegnata in Campidoglio la bandiera strappata ai turchi da re Jan Sobieski nella
campale difesa di Vienna del 1683 e deposta per volontà di papa Innocenzo XI
nella basilica di Loreto.
Pochi mesi dopo a Reggio Emilia il poeta e uffciale polacco Józef Wybicki
dedicava a quei legionari un canto che nel 1926 verrà adottato come inno nazio-
nale polacco, la mazurka di Dºbrowski (Mazurek Dºbrowskiego). Nel testo di
Wybicki il destino della perduta patria, spazio non più fsico ma spirituale, veniva
legato alla forza dei suoi cittadini incitati a marciare verso la terra natia a partire
dall’Italia. Nella prima strofa si legge: «La Polonia non è ancora morta poiché noi
viviamo/ Ciò che la forza straniera ci ha strappato libereremo con la sciabola/ In
marcia, in marcia, Dºbrowski verso la Polonia dalla terra italiana sotto il tuo co-
mando ci uniremo alla nazione».
I legionari rimasero invece al servizio della Francia fno alla proclamazione
del Ducato di Varsavia nel 1807. Illusorio ripristino della sovranità polacca su
parte degli ex territori, questo era in realtà un satellite di Parigi il cui compito
consisteva prevalentemente nel garantire rifornimenti ai francesi che combatteva-
no in Prussia Orientale. La sua fne con il Congresso di Vienna e la nuova sparti-
zione tra Prussia e Russia catapultò i polacchi in giro per l’Europa in cerca di so-
stegno per la propria causa nazionale. Ma il Canto delle legioni di Dºbrowski era
ormai surto a simbolo e continuò ad accompagnare i volontari polacchi che
292 3. P. PIERI, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, Einaudi, p. 133.
LA POLONIA IMPERIALE
combatterono in Italia negli anni a venire 4. Tanto che nel 1997 fu rintonato a
Reggio Emilia in occasione della doppia celebrazione dei duecento anni dell’inno
di Wybicki e della bandiera italiana. Anche nel 2022 si è presentata a Reggio Emi-
lia una delegazione polacca in visita uffciale. Guidata da Jan Kasprzyk – capo
dell’Uffcio per i reduci di guerra e le vittime di persecuzioni – e dall’ambasciatri-
ce Maria Andres, fglia del generale Władysław Albert Anders, che guidò il Secon-
do Corpo d’Armata in Italia nella seconda guerra mondiale. In quell’occasione
Kasprzyk ha dichiarato: «È un piacere essere ospiti a Reggio Emilia, nella città in
cui 225 anni fa prendeva forma la coscienza della moderna nazione italiana e allo
stesso tempo si stava plasmando la moderna nazione polacca» 5.
che non pesò tanto nei numeri, circa un migliaio di uomini – costituisce l’episodio
più articolato della partecipazione polacca ai moti risorgimentali italiani 11.
15. Nel bicentenario dell’inno nazionale polacco e del tricolore (1997), la delegazione polacca in vi-
sita uffciale in Italia ha fatto tappa alla Mandria di Chivasso per omaggiare i soldati polacchi della
296 prima guerra mondiale.
LA POLONIA IMPERIALE
za d’armi», come codifcata a Cracovia nel 2003 con la nascita del Centro della
memoria della fratellanza d’armi tra Polonia e Italia.
L’episodio conclusivo, certamente il più famoso, è quello del Secondo Corpo
d’Armata del generale Władysław Albert Anders, in Italia tra il 1944 e il 1945. Nato
dopo l’amnistia concessa da Stalin ai polacchi all’inizio dell’Operazione Barbaros-
sa, il corpo – atipico perché aperto anche alle donne16 – era di fatto l’esercito di un
paese che, dopo la quarta spartizione del 1939, di nuovo non esisteva più. Nel 1943
fu trasferito in Italia e nel 1944 fu schierato nella battaglia di Cassino, «porta Sud»
d’accesso a Roma. Quando dopo il bombardamento americano i tedeschi si impos-
sessarono dell’abbazia in rovina, Anders riuscì a far disperdere armi e munizioni
nei dintorni e ad anticipare l’assalto cogliendo i tedeschi di sorpresa: l’abbazia
fortezza fu espugnata e in cima al monte fu piantata la bandiera polacca. Trasferito
sul versante adriatico, nell’estate del 1944 il Corpo partecipò alla liberazione di
Ancona, poi di Senigallia, Pesaro e Cattolica, dove fu sfondata la Linea gotica.
Nell’autunno 1944 era a Forlì, Predappio e Faenza, prima di liberare Bologna il 21
aprile 1945.
Nella speranza di riscattare la propria nazione, l’esercito polacco esule e no-
made aveva di nuovo, in appena un secolo e mezzo, lottato per la libertà altrui.
Meglio, per la nostra.
16. P. Wieczorek, Rossi papaveri a Montecassino, Lecce, 2018, Manni Editore. 297
POLACCHI D’ITALIA, L’ITALIA S’È DESTA
299
RICHARD AMBROSINI - Professore ordinario di Lingua e letteratura inglese, dipartimento
di Lingue, letterature e culture straniere all’Università Roma Tre.
STEFAN BIELA7SKI - Professore all’Università Pedagogica di Cracovia. Dal 2022 direttore
della cattedra di Scienze sullo Stato all’Istituto di giornalismo e di relazioni interna-
zionali.
EDOARDO BORIA - Geografo al dipartimento di Scienze politiche dell’Università La Sa-
pienza di Roma, è titolare degli insegnamenti di Teorie e storia della geopolitica e
di Metodologia per l’analisi geopolitica. Consigliere scientifco di Limes.
RUDY CALLIGARO - Dottore di ricerca in Scienze dell’ingegneria energetica e ambientale,
assegnista di ricerca all’Università di Udine.
MIRKO CAMPOCHIARI - Analista e storico militare.
MAREK CICHOCKI - Docente di Storia e Relazioni internazionali al Collegium Civitas di
Varsavia e al dipartimento di Civiltà europea del Collegio d’Europa di Natolin.
MIŁOSZ J. CORDES - Post-doctoral researcher alla Lund University e lecturer al Dis Copen-
hagen. Research fellow alla Danish Foreign Policy Society e policy fellow alla Casi-
mir Pulaski Foundation. Ha lavorato per il servizio diplomatico polacco a Varsavia,
Bruxelles, Malta e Kaliningrad.
GIUSEPPE DE RUVO - PhD in Filosofa all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Tirocinante di Limes.
PIETRO FIGUERA - Studioso di storia e geopolitica dello spazio post-sovietico, fondatore
di Osservatorio Russia.
GUGLIELMO GALLONE - Laureato in Scienze politiche e relazioni internazionali. Collabora
con L’Osservatore Romano. Alumno della Scuola di Limes (classe 2022).
GIULIA GIGANTE - Scrive per Formiche e Pandora Rivista. Studiosa di storia e politica
polacca. La sua ricerca si concentra sulle relazioni tra il Gruppo di Visegrád e l’Eu-
ropa occidentale.
REUBEN F. JOHNSON - Corrispondente di Breaking Defense.
TOMASZ KAMUSELLA - Storico dell’Europa centrale e orientale moderna. Insegna all’Uni-
versità di St Andrews.
KAI-OLAF LANG - Senior fellow per la Research Division Eu/Europe all’Istituto tedesco
per gli affari internazionali e di sicurezza.
WOJCIECH LORENZ - Analista senior del programma Sicurezza internazionale all’Istituto
polacco degli affari internazionali (Pism).
MAURO MANZIN - Giornalista, vicecapo servizio del quotidiano Il Piccolo di Trieste. Ha
scritto per Repubblica, Stampa e Messaggero Veneto. Si occupa di Balcani ed è au-
tore di due volumi, il saggio Spine di confne e il romanzo autobiografco Chi ha
rubato il confne? 301
LUIGI MARINELLI - Ordinario di Slavistica, lingua e letteratura polacca all’Università La
Sapienza di Roma.
ŁUKASZ MA¢LANKA - Coordinatore del programma Triangolo di Weimar all’Istituto polac-
co degli affari internazionali (Pism). Si occupa di politica estera e interna della
Francia. Ha lavorato al ministero degli Esteri polacco.
PAOLO MORAWSKI - Ricercatore indipendente. Consigliere redazionale di Limes. Cura il
blog-rivista Poli-logo. Dialoghi plurali a est. Presidente della Fondazione romana
marchesa J.S. Umiastowska.
LORENZO NOTO - Analista geopolitico. Collaboratore di Limes e limesonline.com, di cui
cura la rubrica «Limesnerd». Si occupa di Mediterraneo, dispute marittime ed ener-
getiche, Mar Rosso e Corno d’Africa.
STANISŁAW OBIREK - Antropologo culturale, è professore all’Università di Varsavia. Inse-
gna all’American Studies Center. I suoi libri trattano il cattolicesimo come fenomeno
culturale ai tempi della globalizzazione. Con Zygmunt Bauman ha scritto: Of God
and Man (2015) e On the World and Ourselves (2015).
DMITRIJ OFICEROV-BEL’SKIJ - Senior Researcher al Centro per gli studi post-sovietici all’I-
stituto nazionale di ricerca Primakov per l’economia mondiale e le relazioni inter-
nazionali e all’Accademia delle scienze russa.
FEDERICO PETRONI - Consigliere redazionale di Limes e coordinatore didattico della Scuo-
la di Limes.
AGNESE ROSSI - Analista geopolitica e collaboratrice di Limes. Studiosa di geopolitica e
flosofa.
MARCELI SOMMER - Giornalista, editorialista di Dziennik Gazeta Prawna.
KACPER WA7CZYK - Ex diplomatico polacco, analista al centro studi Polityka Insight e
ricercatore all’Università di Varsavia.
MICHAŁ WOJTYŁO - Redattore e membro del Centro studi del Klub Jagiello8ski.
ERNEST WYCISZKIEWICZ - Direttore del Centro Mieroszewski per il dialogo.
PRZEMYSŁAW PIOTR ŻURAWSKI VEL GRAJEWSKI - Consigliere del ministro degli Esteri polacco.
302
La storia in carte
a cura di Edoardo BORIA
1-2. «Gli uni ci chiamano l’Occidente dell’Est. Gli altri l’Oriente dell’Ovest»
(Stanisław J. Lec, Pensieri spettinati, 1977). L’essere percepiti dagli altri come loro
periferia è un incubo da tenere desti la notte. Soprattutto se la storia ha materia-
lizzato ripetutamente questa condizione. La fgura 1 riassume gli evidenti cambia-
menti del territorio polacco a partire dalle sue prime mosse alla fne dello scorso
millennio (confni rossi). Vi è raffgurato anche il momento di massima estensione
(confni grigi) quando la Confederazione polacco-lituana comprendeva l’Ucraina,
non nei suoi limiti attuali ma pressappoco in quelli che vorrebbero concedergli
domani i russi. La fgura 2, invece, si riferisce all’ultima delle spartizioni del paese,
avvenuta durante la seconda guerra mondiale tra tedeschi e russi.
Forse è vero, come qualcuno sostiene, che nelle guerre moderne il territorio
non sia la causa scatenante del confitto e la sua conquista non ne costituisca ne-
cessariamente un obiettivo. Quanto smentiscono la storia polacca, anche quella
recente, e l’attuale guerra ucraina. In ogni caso, il territorio è certamente, insieme
ai morti, l’effetto più visibile della guerra. Non solo in termini di variazioni conf-
narie, ma di riterritorializzazione politica. Insomma, un confitto cambia il territo-
rio, e dunque osservarne i cambiamenti racconta della nuova confgurazione del
potere cui quel confitto ha dato luogo.
Se ancora ci chiediamo come possa essere scoppiata la guerra in Ucraina,
pensiamo semplicemente che per evitare uno scontro per un territorio è necessario
che almeno una di queste tre condizioni venga soddisfatta: che lo Stato potenzial-
mente aggressore riconosca volontariamente quel territorio come altrui e dunque
si astenga dal rivendicarlo; che lo Stato potenzialmente aggredito riesca a persua-
dere l’altro del proprio punto di vista; che lo stesso soggetto paia talmente meglio
equipaggiato del potenziale avversario da intimorirlo contenendone ogni velleità.
Nel caso ucraino neanche una di queste tre condizioni risulta soddisfatta.
Fonte 1: «Zmiany terytorialne państwa polskiego» («Variazioni territoriali
dello Stato polacco»), da Atlas Historyczny Polski (Atlante storico della Polonia),
Warszawa 1973, Państwowe Przedsiębiorstwo Wydawnictw Kartografcznych,
tav. 54.
Fonte 2: «La spartizione della Polonia fra Germania e Russia», carta frmata
VC tratta da Amedeo Tosti, Storia della seconda guerra mondiale, Milano 1948, Rizzo-
li, vol. 1, p. 138.
3. Come mostra una vecchia carta sui volumi dei trasporti (fgura 3), la rete
urbana della Polonia tende storicamente a concentrarsi su pochi grandi assi. Oggi,
però, questa storica inclinazione ha raggiunto livelli esasperati di monocentrismo.
La capitale Varsavia è ormai l’unico vero centro propulsore del paese mentre le
altre grandi città soffrono, quelle di piccole dimensioni mostrano scarso dinami-
smo e le aree rurali orientali paiono in situazione di crisi ormai cronica. Se il pro- 303
cesso di rinnovamento urbanistico di Varsavia si è realizzato anche attraverso il
miglioramento della rete dei trasporti, altrettanto non si può dire delle infrastrut-
ture del resto del paese, che restano arretrate. Questo quadro delle comunicazioni
rifette e acuisce la storica frattura tra il versante occidentale del paese, più prospe-
ro e sviluppato, e quello orientale, arretrato e scollegato dagli assi economici vitali
del paese.
Fonte: «Tendenze attuali dei trasporti», da Studium Planu Krajowego (Studio per
il piano nazionale), Główny Urząd Planowania Przestrzennego, Rok, Warszawa
1947, tav. 3.
304
1.
2.
3.
4.
RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA
15,00
RIVISTA MENSILE - 11/3/2023 - POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, C. 1, DCB, ROMA