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BIBLIOTECA DEL MARE

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Manuali, tecnica e sport

31

261

~·-
Q. M,l.l01HLA
ELMNTI DI
lPICA NAVALI
L'Organizzazione opera attraverso gli organi sottoindicati:
a) Ufficio Internazionale del Lavoro (BIT - Bureau International du
Travail): esercita le funzioni di segretariato permanente ed elabora i pro-
getti di regolamenti internazionali;
b) Consiglio di Amministrazione (composto da 56 rappresentanti go-
vernativi, 28 rappresentanti dei datori di lavoro e 28 rappresentanti dei la-
voratori): provvede alla nomina del Direttore Generale del BIT, controlla
le attività svolte dallo stesso BIT e fissa l'ordine del giorno della Conferen-
za Internazionale del Lavoro;
c) Conferenza Internazionale del Lavoro: sorta di parlamento mon-
diale per la trattazione delle questioni sociali, nel quale ciascuno Stato ade-
rente all'Organizzazione è rappresentato da 2 delegati governativi, da un
delegato dei datori di lavoro e da un delegato dei lavoratori.

4. WHO o OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità

La WHO (World Health Organization) o OMS (Organisation Mondiale


de la Sante') è una istituzione delle Nazioni Unite, con sede a Ginevra, costi-
tuita nel 1946 10 con lo scopo di promuovere, su scala mondiale, il raggiun-
gimento del più alto livello di salute e igiene pubblica.
A tal fine dirige e coordina le attività internazionali nel settore della sa-
nità, collabora con le Nazioni Unite e con le Amministrazioni governative
degli Stati membri per il potenziamento dei servizi sanitari nazionali, forni-
sce assistenza tecnica e aiuto ai singoli governi in caso dì necessità, inco-
raggia l'adozione di misure atte a prevenire incidenti, favorisce le iniziative
tendenti a migliorare l'alimentazione, l'abitabilità, le condizioni economi-
che e di lavoro e tutto ciò che riguarda l'igiene ambientale, facilita la coope-
razione fra gruppi scientifici e professionali operanti per il progresso
della sanità, stimola l'azione volta a sopprimere malattie endemiche ed epi-
demiche, propone l'adozione di convenzioni, accordi e regolamenti interna-
11
zionali, stimola le ricerche e le iniziative indirizzate al miglioramento
delle norme relative alla formazione del personale sanitario e ai servizi me-
dici curativi e preventivi, fornisce informazioni, suggerimenti e assistenza
nel settore della sanità, sviluppa e incoraggia l'adozione di normative inter-
nazionali sugli alimenti e i prodotti biologici e farmaceutici.
Gli organi di cui si avvale l'Organizzazione Mondiale della Sanità sono
l'Assemblea Mondiale della Sanità (di cui fanno parte i rappresentanti di
tutti gli Stati membri), il Consiglio Esecutivo (31 membri) e il Segretariato.

10
L'Italia ha accettato e dato esecuzione alla convenzione internazionale relativa alla
sua creazione, con D.L.C.P.S. 4/3/47 n. 1068 (Suppi. Ord. G.U. n. 236 del 14/10/47); con legge
25/1/83 n. 35 (Suppi. Ord. G.U. n. 44 del 15/2/83 ha ratificato gli emendamenti apportati a
tale convenzione nel 1976).
11
Ricordiamo per la sua importanza il «Regolamento sanitario internazionale» adottato
a Boston il 25/7/69, modificato dal «Regolamento addizionale» adottato a Ginevra il 23/5/73
e approvato e reso esecutivo in Italia con legge 9/2/82 n. 106 (pubblicata nel Suppi. Ord. alla
G.U. n. 87 del 30/3/82).

10
L'Assemblea fissa gli obiettivi dell'Organizzazione, approva le conven-
zioni e gli accordi internazionali, elegge i componenti del Consiglio Esecuti-
vo, nomina un Direttore Generale (su proposta del Consiglio stesso), discu-
te e approva i rapporti e le attività di entrambi questi organi.
Il Consiglio Esecutivo propone all'Assemblea il programma di lavoro e
si incarica di dare esecuzione alle sue deliberazioni.
Il Segretariato assicura la funzionalità dell'Organizzazione, avvalendosi
dell'operato del Direttore Generale e del necessario personale tecnico e am-
ministrativo.

5. Registri di classificazione

I Registri di Classificazione sono istituti aventi struttura privatistica, i


cui compiti, un tempo limitati alla classificazione delle navi nell'esclusivo
interesse dei costruttori, degli assicuratori, degli armatori e dei noleggiato-
ri, si sono notevolmente ampliati, parallelamente alla crescente attenzione
con cui le autorità governative dei diversi Stati hanno considerato i proble-
mi connessi con la sicurezza dei traffici marittimi e della vita umana in
mare.
Attualmente, pur conservando la loro figura giuridica privatistica, i Re-
gistri di Classificazione sono controllati dagli Stati di appartenenza e classi-
ficano le navi tenendo conto della loro conformità alle normative nazionali
e internazionali sulla sicurezza oltreché della osservanza dei rispettivi
regolamenti tecnici, nella progettazione, nella costruzione e nell'equipag-
giamento. 12
Molti Registri collaborano inoltre con le autorità governative degli Stati
cui appartengono, operando come loro Enti tecnici altamente qualificati
per tutte le questioni che riguardano la sicurezza.
Fra i Registri di Classificazione operanti nei diversi Paesi interes-
sati ai traffici marittimi, merita particolare considerazione il britannico
Lloyd's Register of Shipping (L.R.), primo ad essere istituito nel lontano
1760.
Successivamente sono sorti numerosi analoghi Registri, quali il france-
se Bureau Veritas (B.V.) nel 1828, l'italiano Registro Italiano Navale
(R.I.Na.) nel 1861, il norvegese Norske Veritas (N.V.) nel 1864, lo statuni-
tense American Bureau of Shipping (A.B.S.) e il tedesco Germanischer
Lloyd (G.L.) nel 1867, il giapponese Nippon Kaiji-Kyokai (N.K.) nel 1899.

6. Registro Italiano Navale (R.I.Na)

Il Registro Italiano Navale opera nella duplice veste di Istituto di Clas-


sificazione e di Ente Tecnico del Ministero della Marina Mercantile.

12
Nella elaborazione dei propri regolamenti tecnici, ciascun Registro si uniforma, per
quanto possibile, alle normative concordate dalla Associazione Internazionale dei Registri
di Classificazione (IACS - International A ssociation of Classification Societies).

11
Come Istituto di Classificazione provvede a classificare le navi: a tale
scopo è autorizzato 13 a operare come qui di seguito indicato:
1. visitare e classificare le navi di qualsiasi bandiera;
2. esaminare i piani di nuove costruzioni, di trasformazioni o di grandi
riparazioni di impianti e sistemazioni varie di bordo;
3. collaudare materiali, oggetti e apparecchi destinati alla costruzione,
all'allestimento 14 e all'armamento 15 della nave;
4. sorvegliare la costruzione, l'allestimento e l'armamento, la trasfor-
mazione e le grandi riparazioni della nave, degli impianti e delle sistemazio-
ni varie di bordo;
5. effettuare le visite di prima classificazione delle navi costruite senza
la sua sorveglianza;
6. effettuare le visite periodiche ed occasionali richieste per la conser-
vazione della classe;
7. effettuare le operazioni attinenti alla funzione di perito tecnico e di
collaudatore per quanto concerne le industrie navali o connesse all'attività
navale;
8. rilasciare certificati di classe comprovanti il possesso dei requisiti ri-
chiesti alle navi per lo svolgimento del servizio al quale sono destinate;
9. stabilire accordi per scambi e prestazioni con Istituti di Classificazio-
ne stranieri;
10. stabilire accordi con governi stranieri per il riconoscimento delle
operazioni effettuate e delle funzioni esplicate;
11. costituire all'estero comitati di classificazione e intervenire nella
loro costituzione;
12. assegnare, previa autorizzazione dei governi interessati, le linee di
massimo carico a navi battenti bandiera straniera.

Come Ente Tecnico del Ministero della Marina Mercantile, il R.I.Na


svolge le operazioni o funzioni riguardanti l'accertamento e il contr ollo delle
condizioni di navigabilità, l'assegnazione delle linee di massimo carico, la
stazzatura delle navi, la sicurezza delle navi e della vita umana in mare,
la prevenzione ed estinzione degli incendi a bordo, la prevenzione dell 'inqui-
namento marino e, in genere, il controllo tecnico sulle costruzioni navali
e sull'esercizio della navigazione.
La classificazione è obbligatoria per comprovare l'efficienza della nave;
le navi di stazza lorda uguale o superiore a 25 tonnellate che non siano mu-
nite di certificato di classe, devono a tal fine essere dotate di un certificato
di navigabilità che viene loro rilasciato dalle autorità marittime sulla base
degli accertamenti effettuati dal R.I.Na.
Per comprovare la disponibilità dei requisiti e dell'equipaggiamento ri-
chiesti dalle normative nazionali e internazionali sulla sicurezza, l'autorità
marittima, tenendo conto delle verifiche effettuate congiuntamente al
R.I.Na, o il R.I.Na stesso a nome del Governo italiano, rilascia dei certifica-
ti, detti di sicurezza, fra i quali segnaliamo:

13
Con D.L.C.P.S. 22/1/47 n. 340, ratificato con legge 17/4/56 n. 561.
14
Complesso delle sistemazioni particolari necessarie per la navigazione e per svolgere
il ser vizio al quale la nave è destinata.
15
Insieme delle dotazioni necessarie per la condotta della navigazione.

12
a) Certificato di Sicurezza, per le navi passeggeri impegnate in naviga-
zioni internazionali;
b) Certificato di Sicurezza di Costruzione, per le navi da carico di staz-
za lorda uguale o superiore a 500 tonnellate, impegnate in navigazioni in-
ternazionali;
c) Certificato di Sicurezza per le Dotazioni, per le navi da carico di staz-
za lorda uguale o superiore a 500 tonnellate, impegnate in navigazioni in-
ternazionali;
d) Certificato di Sicurezza R adiotelegrafica, per le navi da carico di
stazza lorda uguale o superiore a 1600 tonnellate, impegnate in navigazioni
internazionali;
e) Certificato di Sicurezza Radiotelefonica, per le navi da carico di staz-
za lorda superiore a 300 tonnellate e inferiore a 1600, impegnate in naviga-
zioni internazionali;
f) Certificato di Idoneità, per le navi da carico di stazza lorda inferiore
a 500 tonnellate e impegnate in navigazioni internazionali, e per navi pas-
seggeri o da carico di stazza lorda superiore a 25 tonnellate e impegnate
in navigazioni nazionali. 16

7. Convenzioni internazionali
per la salvaguardia della vita umana in mare

La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in


mare attualmente in vigore, è stata approvata a Londra nel 1974, in occa-
sione della quinta «Conferenza Internazionale sulla Sicurezza», convocata
dall'IMO.
In pr ecedenza, nel corso di analoghe conferenze, furono approvate le
Convenzioni del 1914 (mai applicata in conseguenza degli eventi bellici del
periodo 1914-1918), del 1929, del 1948 e del 1960.
Le norme approvate con la Convenzione del 1974 (SOLAS 74), entrate
in vigore nel 1980, dopo la prescritta ratifica da parte degli Stati contraenti,
sono contenute, con le modifiche e le aggiunte adottate con il Protocollo 1978
e con successivi emendamenti, in otto capitoli e una appendice così intitolati:
Cap. I - Disposizioni generali;
Cap. II/1 - Costruzione-compartimentazione e stabilità, macchinario
e installazioni elettriche;
Cap. II/2 Costruzione-prevenzione-segnalazione ed est inzione del-
l'incendio;
Cap. III - Mezzi di salvataggio;
Cap. IV · Radiotelegrafia e radiotelefonia;
Cap. V • Sicurezza della navigazione;
Cap. VI - Trasporto di granaglie;
Cap. VII - Trasporto di merci pericolose;
Cap. VIII · Navi nucleari;
Appendice - Modelli di certificati di sicurezza.

16
Alle navi di stazza lorda inferiore a 25 tonnellate vengono rilasciate semplici Annota-
zioni di sicurezza sul ruolo equipaggio o sulla licenza di navigazione.

13
8. Normative italiane

Con l'approvazione della Convenzione internazionale del 1960 per la sal-


vaguardia della vita umana in mare (SOLAS 60), anche per il nostro Paese
si impose l'esigenza di rinnovare le normative esistenti in materia di sicu-
rezza e salvaguardia.
Nel 1962 venne a tal fine promulgata una legge 17 sulla sicurezza della
navigazione e della vita umana in mare che dettava nuove norme di sicurez-
za tenendo conto delle innovazioni conseguenti alla adozione della SOLAS
60, e abrogava l'allora vigente Regolamento di Sicurezza (risalente al
1932).
Nel mese successivo il Min. M.M. emanava una circolare 18 con la quale
dettava le istruzioni necessarie per rendere possibile una uniforme applica-
zione di tale legge, in attesa della approvazione di un nuovo regolamento
di sicurezza.
Nel 1966 veniva ratificata e data esecuzione alla SOLAS 60, 19 mentre
il Min. M.M. provvedeva a emanare una circolare 20 con le istruzioni per la
sua applicazione.
Il nuovo Regolamento per la sicurezza della navigazione e della vita
umana in mare, previsto dalla legge del 1962 sulla sicurezza della naviga-
zione, veniva approvato soltanto nel 1972 21 e nel 1973 veniva ratificata e
data esecuzione alla Convenzione internazionale del 1969 sulla stazzatura
delle navi. 22
Nel 1968 veniva data esecuzione alla Convenzione internazionale del
1966 sulle linee di massimo carico, 23 mentre per le navi non soggette a
tale convenzione era già in vigore dall'anno precedente un apposito Regola-
mento nazionale per l'assegnazione della linea di massimo carico alle navi
mercantili. 24
Nel 1978 entrava in vigore la legge di ratifica ed esecuzione della
Convenzione sul regolamento internazionale del 1972 per prevenire
gli abbordi in mare 25 che decretava la sostituzione del precedente analo-
go regolamento, adottato da una convenzione del 1960 ed entrato in vigore
nel 1966, dopo l'approvazione della necessaria legge di ratifica ed esecu-
z10ne.

17
Legge 5/6/62 n. 616, pubblicata nel Suppi. Ordin. alla G.U. n. 168 del 5/7/62.
18
Circolare protoc. n. 324541/SN del 18/7/62 della Direzione Generale Navigazione e
Traffico Marittimo.
19
Con legge 26/5/66 n. 538, pubblicata nel Suppi. Ordin. alla G.U. n. 178 del 20/7/66.
2
° Circolare protoc. n. 324679 del 26/5/66 della Direzione Generale Navigazione e Traffi-
co Marittimo.
21
Con D.P.R. 14/11/72 n. 1154, pubblicato nel Suppi. Ordin. alla G.U. n. 120 del 10/5/73
ed entrato in vigore 90 giorni più tardi.
22
Con legge 22/10/73 n. 958, pubblicata nel Suppi. Ordin. alla G.U. n. 26 del 28/1/74 (in
vigore soltanto dal 18/7/82, dopo la prescritta ratifica da parte di un sufficiente numero di Sta-
ti contraenti).
23
Con D.P.R. 8/4/68 n. 777, pubblicato nel Suppi. Ordin. alla G.U. n. 176 del 13/7/68.
24
Approvato con D.P.R. 13/3/67 n. 579 e pubblicato nel Suppi. Ordin. alla G.U. n. 188 del
28/7/67.
25
Legge 27/12/77 n. 1085, pubblicata nel Suppl. Ordin. alla G.U. n. 48 del 17/2/78 eden-
trata in vigore il 15/7/78.

14
Con altre leggi e decreti lo Stato italiano ha successivamente provvedu-
to a ratificare e dare esecuzione a numerose convenzioni internazionali, ac-
cordi e protocolli, fra i quali assumono particolare rilievo:
a) Convenzione internazionale del 1974 per la salvaguardia della
vita umana in mare (SOLAS 74) - Legge 23/5/80 n. 313, pubblicata nel
Suppl. Ordin. alla G.U. n. 190 del 12/7/80 26 ed entrata in vigore l'll/9/80;
b) Protocollo del 1978 relativo alla convenzione internazionale del
1974 per la salvaguardia della vita umana in mare - Legge 4/6/82 n. 438,
pubblicata nel Suppi. Ordin. alla G.U. n. 193 del 15/7/82;
c) Convenzione internazionale del 1973 per la prevenzione dell'in-
quinamento causato da navi (MARPOL 73) e Protocollo sull'intervento
in alto mare in caso di inquinamento causato da sostanze diverse dagli
idrocarburi - Legge 29/9/80 n. 662, pubblicata nel Suppi. Ordin. alla G.U.
n. 292 del 23/10/80;
d) Protocollo del 1978 relativo alla convenzione internazionale del
1973 per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi (MARPOL
73/78) - Legge 4/6/82 n. 438, pubblicata nel Suppi. Ordin. alla G. U. n. 193
del 15/7/82;
e) Convenzione internazionale del 1978 sugli standard di addestra-
mento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi (STCWS 78)
- Legge 21/11/85 n. 739, pubblicata nel Suppi. Ordin. alla G.U. n. 295 del
16/12/85.
Con appropriati provvedimenti legislativi sono stati inoltre di volta in
volta ratificati anche gli emendamenti che l'IMO ha apportato ad alcune
convenzioni allo scopo di migliorare la loro efficacia, alla luce delle nuove
esigenze manifestatesi dopo la loro adozione, delle manchevolezze riscon-
trate e del costante sviluppo della tecnica.

9. Normative sulla nautica da diporto

Apposite leggi e decreti disciplinano la navigazione da diporto, notevol-


mente sviluppatasi negli ultimi anni e non più accomunata, come in passa-
to, alla navigazione delle navi mercantili.
Con la legge n. 50 dell' ll/2/1971, modificata e integrata nel 1976, nel
1986 e nel 1989, 27 sono state infatti emanate norme particolari sulle navi
e sulle imbarcazioni da diporto stabilendo, fra l'altro, i limiti di naviga-
zione per i diversi tipi di unità, l'obbligo della iscrizione nei registri degli
uffici competentì 28 e i casi dì esenzione, le abilitazioni richieste per coman-
darle ecc., mentre un Regolamento di sicurezza per la navigazione da

26 Anche in questa circostanza il Min. M.M. ha provveduto ad emanare una circolare con
le istruzioni per la sua corretta applicazione (Circolare n. 59 del 29/8/80 della Direzione Gene-
rale Navigazione e Traffico Marittimo).
27
Leggi n. 51, n. 193 e n. 171 rispettivamente del 6/3/1976, 26/411986 e 5/5/1989.
28
Capitanerie di porto, Uffici Circondariali Marittimi, Delegazioni di spiaggia e Uffici
della Motorizzazione civile.

15
diporto 29 prescrive le norme da osservare nella costruzione ed equipag-
giamento delle navi e delle imbarcazioni, elenca le dotazioni di sicurezza e
i mezzi di salvataggio, precisa le modalità da seguire nella esecuzione delle
visite per il rilascio, la conservazione e il rinnovo delle annotazioni di sicu-
rezza sulla licenza di navigazione. 30

29
Approvato con D.M. 15/9/77 (G.U. n. 274 del 7/10/77).
~o Le annotazioni di sicurezza comprovano l'osservanza delle normative del Regolamen-
to di sic1{rezza per la navigazione da diporto.

16
Con 278 illustrazioni nel testo e un inserto fuori testo
GIORGIO MANNELLA

ELEMENTI
DI TECNICA
NAVALE
PER I NAVIGANTI
E PER GLI ISTITUTI NAUTICI

Nuova edizione aggiornata

MURSIA
AVVERTENZA
In aggiunta o in sostituzione delle unità del Sistema Internazionale (S.l.) sono
state, in taluni casi, utilizzate, per le grandezze considerate, unità metriche prati-
che o unità non metriche.
Per soddisfare l'eventuale esigenza di convertire le unità pratiche nelle corri-
spondenti unità del Sistema Internazionale, facciamo seguire una tabella nella qua-
le, accanto ad alcune unità metriche pratiche, o altre unità non metriche, viene indi-
cato il corrispondente fattore di conversione, ossia il numero per il quale tali unità
devono essere moltiplicate per ottenere il valore espresso in unità S.I.
Unità metrica pratica Fattore di
Grandezza Unità $.I.
o altra unità non metrica conversione
grado sessagesimale (0 ) 1tl180 rad iante (rad)
Angolo piano minuto d'angolo (') n/10 800 rad iante (rad)
secondo d'angolo (") 1t/648 000 rad i ante (rad)
Lunghezza miglio marino (M o mg) 1 852 metri (m)
Forza, Peso, chilogrammo (kgf) 9,80665 newton (N)
Carico tonnellata (tf) 9 806,65 newton (N)
chilogrammetro (kgf • m) 9,80665 newton per metro (N • m)
Momento tonnellata-metro (tf • m) 9 806,65 newton per metro (N • m)

Energia, Lavoro chilogrammetro (kgf • m) 9,80665 joule (J)


Portata massica tonnellate/ora (tf/h) 1/3,6 chilogrammi/secondo (kg/s)
Portata volumica metri cubi/ora (m /h)3 113 600 metri cubi/secondo (m 3/s)
cavallo-vapore (CV) 0,735499 chilowatt (kW)
Potenza cavallo-vapore (CV) 735,499 watt (W)
Velocità nodo (kn) 0,5144 metri/secondo (m/s)
Velocità angolare giri/minuto (giri/min) n/30 radianti/secondo (rad/s)
chilogrammi/centimetro newton/millimetro quadrato
quadrato (kgflcm 2 ) 0,0980665 (N/mm 2) o megapascal (MPa)
idem 98 066,5 newton/metro quadrato
Pressione, (N/m 2) o pascal (Pa)
Tensione idem 0,980665 bar (bar)
chilogrammi/millimetro newton/millimetro quadrato
quadrato (kgf/mm 2) 9,80665 (N/mm 2) o megapascal (MPa)
chilogrammetri/centimetro
Resilienza quadrato (kgf • m/cm 2) 9,80665 joule (J)
litro (I) 1 decimetri cubi (dm 3)
Volume litro (I) 0,001 metri cubi (m3)
ora (h) 3600 secondi (s)
Tempo minuto (min) 60 secondi (s)

Osserviamo inoltre che:


i valori dei pesi espressi nelle unità metriche pratiche sono uguali ai valori delle
masse espresse nelle omonime unità del Sistema Internazionale. Pertanto, i «pesi»
espressi in kgf (chilogrammi-forza) sono uguali ai pesi espressi in kg (chilogrammi-
massa); il chilogrammo-forza è quella forza che, ap~licata a un corpo di massa pari
a 1 kg, gli imprime l'accelerazione di 9,80665 m/s .

~Copyright 1976-1989 U. Mursia editore S.p.A.


Tutti i diritti riservati - Printed in lta/y
1873/AC/ll - U. Mursia editore - Via Tadino, 29 - Milano
·Normative di sicurezza
e salvaguardia
CAPITOLO

1. Generalità

Prima di iniziare la trattazione delle diverse parti che si riferiscono alla


costruzione della nave, ai suoi impianti e alle sue attrezzature, riteniamo
utile e necessario soffermarci brevemente sul problema della sicurezza e
sugli enti o istituzioni, internazionali e nazionali, che se ne prendono carico,
elaborando le necessarie normative e imponendo la loro puntuale applica-
zione.
Premesso che il problema della sicurezza è andato assumendo crescente
importanza negli ultimi decenni, osserviamo che gli enti o istituzioni cui è
demandato il compito di stabilire le norme riguardanti la costruzione della
nave, la scelta e la lavorazione dei materiali, l'installazione degli impianti
e delle apparecchiature di bordo, la sistemazione delle attrezzature, la cari-
cazione delle merci, la condotta della navigazione, la prevenzione dell'inqui-
namento marino, l'organizzazione del lavoro e dei servizi di sicurezza, l'i-
giene e l'abitabilità ecc., possono essere sia pubblici sia privati.
Esempi di istituzioni pubbliche operanti in campo internazionale sono la
Organizzazione Marittima Internazionale (IMO - International Mariti-
me Organization), la Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO -
Internat'ional Labour Organization) e la Organizzazione Mondiale della
Sanità (WHO • World Health Organization).
L'IMO, l'ILO e la WHO, singolarmente o congiuntamente, elaborano
normative di sicurezza e salvaguardia che gli Stati ad esse aderenti (fra i
quali figura anche l'Italia) recepiscono successivamente nelle rispettive le-
gislazioni nazionali e per la cui corretta applicazione emanano, in taluni
casi, appropriati regolamenti di esecuzione.
In campo nazionale operano istituzioni pubbliche e private che per il no-
stro Paese si identificano nel Ministero della Marina Mercantile (Min.
M.M.) e nel Registro Italiano Navale (R.I.Na.).
Il Min. M.M. promuove l'approvazione di leggi, decreti e regolamenti
atti a dare piena esecuzione alle normative internazionali, elabora normati-
ve nazionali sostanzialmente equivalenti per le unità che non sono soggette
all'osservanza delle norme internazionali, 1 si impegna affinché le une e le
altre siano correttamente e uniformemente applicate. A tal fine emana cir-
colari esplicative e svolge una sistematica azione di accertamento e control-
lo avvalendosi dell'operato delle Capitanerie di Porto.
Il R.I.Na. classifica le navi, ossia esprime un giudizio sulla loro idoneità

1 Navi in navigazioni fra porti nazionali e piccole navi in navigazioni internazionali.

5
a svolgere un determinato servizio, e svolge le funzioni di Ente Tecnico del
Min. M.M.

2. IMO • Organizzazione Marittima Internazionale

L'IMO (Jnternational Maritime Organization) è un organismo interna-


zionale con sede a Londra e operante sotto l'egida delle Nazioni Unite con
il fine di:
- fornire un valido strumento per la cooperazione intergovernativa nel
settore delle normative riguardanti questioni tecniche di ogni tipo che inte-
ressano le navi impegnate nel commercio internazionale;
- incoraggiare e facilitare l'adozione di sistemi atti a garantire la sicu-
rezza marittima, l'efficienza della navigazione, la prevenzione e il controllo
dell'inquinamento marino da parte delle navi;
- incoraggiare le singole autorità governative ad abbandonare misure
discriminatorie e restrizioni non indispensabili che ostacolano la navigazio-
ne commerciale internazionale.
Per realizzare questi obiettivi l'IMO provvede alla redazione delle bozze
di convenzioni, accordi o altri strumenti appropriati, convoca tutte quelle
conferenze che possono rendersi necessarie, fornisce i meccanismi richiesti
per la consultazione fra i propri membri e per lo scambio di informazioni
fra i governi.
Gli organi istituzionali dell'IMO sono l'Assemblea, il Consiglio, i Comita-
ti tecnici (Comitato per la Sicurezza Marittima, Comitato Giuridico, Comi-
tato per la Protezione dell'Ambiente Marino, Comitato per la Cooperazione
Tecnica, Comitato per le Facilitazioni) e il Segretariato.
L'Assemblea, composta dai rappresentanti di tutti gli Stati membri, fis-
sa le proprie regole di procedura, istituisce gli organismi sussidiari che ri-
tiene necessari, elegge i membri del Consiglio, riceve ed esamina i rapporti
del Consiglio stesso, approva il programma di lavoro dell'Organizzazione,
raccomanda ai membri l'adozione di regolamenti e linee di condotta riguar-
danti la sicurezza marittima, la prevenzione e il controllo dell'inquinamento
causato da navi, intraprende le azioni che ritiene opportune per promuove-
re la cooperazione tecnica intergovernativa, assume la decisione di convo-
care conferenze internazionali (o di seguire altre procedure appropriate)
per l'adozione di convenzioni internazionali o per l'approvazione di emenda-
menti alle convenzioni vigenti.
Il Consiglio (32 membri) fissa le proprie regole di procedura, esamina
il progetto del proprio programma di lavoro (proposto dai Comitati tecnici),
riceve le raccomandazioni, le proposte e le relazioni dei Comitati tecnici e
le trasmette all'Assemblea, nomina il Segretario Generale dell'Organizza-
zione e assume il personale amministrativo e tecnico necessario, conclude
accordi riguardanti le relazioni dell'IMO con altre organizzazioni interna-
zionali.
Il Segretariato comprende il Segretario Generale, i segretari dei vari
Comitati tecnici e il personale assunto per il funzionamento tecnico-
amministrativo dell'Organizzazione. Fra i suoi compiti più importanti se-
gnaliamo quello di informare i membri dell'attività dell'Organizzazione,
di preparare, raccogliere e distribuire note, documenti, ordini del giorno,

6
ORGANISMI D E L L ' I M O - - - - - - - - - - - - - - -

ASSEMBLEA

CONSIGLIO

I
I
SEGRETARIATO
I
Comitato per la Sottocomitato per la
protezione - compartimentazione,
dell'ambiente marino ~
stabilità e linee di
massimo carico

-l Comitato per la
sicurezza marittima
- Sottocomitato per la
protezione

~1 Comitato giuridico
l >---
antincendio

Sottocomitato per la
progettazione e

~I Comitato per la
cooperazione tecnica
l'equipaggiamento

L_I
Sottocomitato per i
Comitato per le >--- prodotti chimici alla
facilitazioni rinfusa

Sottocomitato per la
- sicurezza della
navigazione
Gruppo di esperti per
gli aspetti scientifici
dell'inquinamento
marino
H Sottocomitato per le
radiocomunicazioni

H Sottocomitato per i
mezzi di salvataggio

Sottocomitato per il
- trasporto di merci
pericolose

H Sottocomitato per i
contenitori e le merci 1
Sottocomitato per la
- sicurezza delle navi
da pesca

Sottocomitato per gli


- standard di
addestramento e
tenuta della guardia

7
processi verbali e informazioni utili per i lavori dell'Assemblea, del Consi-
glio e dei Comitati tecnici.
Costituita a Ginevra nel 1948 2 e originariamente chiamata IMCO (ln-
ter,qovernmental Maritime Consultative Organization), i'IMO si è data la
sua attuale denominazione nel 1982. Benché la sua attività sia praticamen-
te iniziata soltanto nel 1959, già negli anni Sessanta l'Organizzazione ha as-
sunto un ruolo di primaria importanza per tutte le questioni che riguardano
i trasporti marittimi in generale e la sicurezza delle navi e della vita umana
in mare in particolare.
:f<'ra i diversi Comitati tecnici dell'IMO è particolarmente importante il
Comitato per la Sicurezza Marittima (MSC - Maritime Safety Commit-
tee), ossia quello che si interessa della sicurezza delle navi, della navigazio-
ne e della vita umana in mare. Esso si articola, a sua volta, nei seguenti
Sottocomitati. 3
1. progettazione ed equipaggiamento della nave;
2. protezione antincendio;
3. compartimentazione, stabilità1 e linee di massimo carico; 5
4. mezzi di salvataggio;
5. sicurezza della navigazione;
6. radiocomunicazioni;
7. trasporto di merci pericolose;
8. contenitori e merci;
9. prodotti chimici alla rinfusa;
10. sicurezza delle navi da pesca;
11. standard di addestramento e tenuta della guardia.
Dall'attività dei Comitati tecnici discendono le normative IMO attual-
mente in vigore e che sono state approvate con numerose Com:enzioni fra
le quali meritano particolare menzione:
a) Convenzione internazionale del 1974 per la salvaguardia della
vita umana in mare (SOLAS 74 - International Conventionfor the Safety
of Life at Sea, 1974) e Protocollo del 1978 relativo alla Convenzione in-
ternazionale del 1974 per la salvaguardia della vita umana in mare (Pro-
tocol 1978 Relating to the International Convention for the Safety of Life at
Sea, 1974);
b) Convenzione internazionale del 1966 sulle linee di massimo cari-
co (ILLC - International Convention on Load Lines, 1966);
c) Convenzione internazionale del 1973 sulla prevenzione dell'inqui-
namento causato da navi (MARPOL 73 - International Convention far
the Prevention ofPollutionfrom Ships, 1973) e Protocollo del 1978 relati-
vo alla Convenzione internazionale del 1973 sulla prevenzione dell'in-
quinamento causato da navi (MARPOL 73/78 - Protocol 1978 Relating

~ L'Italia ha accettato e dato esecuzione alla convenzione internazionale relativa alla sua
creazione con legge 22/5/56 n. 909, pubblicata nella G.U. n. 208 del 21/8/56; con legge 25/1/83
n. 41 (Suppi. Ord. alla G.U. n. 48 dell'S/2/83) ha ratificato gli emendamenti apportati a tale
convenzione negli anni 1977 e 1979.
~ I diversi Sottocomitati si avvalgono, a loro volta, di speciali «gruppi di lavoro)) per lo
studio preliminare di particolari problemi tecnici.
4
Vedasi Cap. II, par. 6.
r, Vedasi Cap. VlII, par. 3.

8
to the International Convention for the Prevention ofPollution from Ships,
1973);
d) Convenzione del 1972 sul regolamento internazionale per preve-
nire gli abbordi in mare (COLREG 72 - Convention on the International
Regulations for Preventing Collisions at Sea, 1972);
e) Convenzione internazionale del 1978 sugli standard di addestra-
mento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi (STCWS 78
- Standards of Training, Certification and Watchkeeping for Seafarers,
1978).
Altre convenzioni IM0 6 riguardano la costituzione di un «Sistema inter-
nazionale di satelliti per le telecomunicazioni marittime» (1976), il «Traspor-
to a mezzo containers» (1972), la «Ricerca e salvataggio marittimo» (1979),
il «Trasporto dei passeggeri e dei loro bagagli» (1974), il «Trasporto maritti-
mo di sostanze radioattive (1971), la «Stazzatura internazionale» 7 (1969), il
«Traffico speciale di navi passeggeri» (1971), la «Responsabilità civile per i
danni causati da inquinamento da idrocarburi)> (1969), !'«Intervento in alto
mare in caso di inquinamento causato da sostanze diverse dagli idrocarburi»
(1969), la (<Costituzione di un fondo di indennizzo per i danni prodotti da in-
quinamento da idrocarburi» (1971), la «Sicurezza delle navi da pesca)> (1977),
la «Facilitazione del traffico marittimo internazionale» (1965).

3. ILO • Organizzazione Internazionale del Lavoro

L'ILO (Jnternational Labour Organization) è una istituzione delle Na-


zioni Unite, sorta nel lontano 1919 e con sede a Ginevra, cui aderiscono nu-
merosi Paesi e che si propone di promuovere la giustizia sociale nel campo
internazionale. 8
A tale scopo i'ILO si interessa ai molteplici problemi del lavoro con par-
ticolare riguardo alle condizioni in cui esso si svolge.
Con apposite Convenzioni stabilisce i criteri che devono essere adottati
dagli Stati aderenti nella elaborazione delle rispettive normative nazionali
al fine di assicurare l'affermazione dei diritti dell'uomo e di dare misura
umana al posto di lavoro.
Per quanto riguarda il lavoro marittimo, i'ILO ha approvato Convenzio-
ni e Raccomandazioni che tutelano ampiamente il lavoratore; fra queste ri-
cordiamo la normativa sull'età minima e sul collocamento dei marittimi, sui
salari, sulle ferie pagate e sulle pensioni, sul rimpatrio, sull'assistenza me-
dica, sull'assicurazione contro le malattie e gli infortuni, sull'alimentazione,
sulle caratteristiche degli alloggi, sull'orario di servizio e sulle condizioni in
cui esso si svolge, sul contratto di arruolamento, sulle tabelle di armamen-
to, 9 sulla visita medica, sulla prevenzione degli infortuni, sui certificati di
capacità dei marinai qualificati, sui rumori nocivi negli a1loggi e nei posti
di lavoro, sul condizionamento dell'aria negli alloggi e in altri spazi.

6
Alcune delle quali non sono ancora in vigore.
7
Vedasi Cap. IX, par. 2.
8 L'Italia è stata membro dell'ILO dalla sua fondazione al 1939, anno in cui è uscita dal-
l'organizzazione per rientrarvi nel 1945.
9 Composizione dell'equipaggio.

9
Nozioni generali
CAPITOLO

1. Definizioni

Premesso che si può definire nave qualsiasi costruzione galleggiante de-


stinata al trasporto per acqua e capace di spostarsi autonomamente, osser-
viamo che, per motivi diversi, si fanno delle distinzioni che impongono di
suddividere il naviglio in due gruppi distinti.
Si considerano cioè, separatamente:
• le navi;
• le imbarcazioni.
Le navi vere e proprie possono spingersi anche in alto mare. Sono infat-
ti impermeabili all'acqua, abbastanza robuste da conservare la loro integri-
tà anche nelle peggiori condizioni atmosferiche, dotate delle attrezzature,
delle sistemazioni e degli impianti necessari per la condotta della navigazio-
ne d'altura.
Le imbarcazioni hanno, come le navi, la facoltà di spostarsi autonoma-
mente sulla superficie dell'acqua in cui galleggiano, tuttavia sono da queste
ben diverse. Le loro modeste dimensioni e i criteri seguiti per la loro costru-
zione e attrezzatura le rendono infatti generalmente inadatte alla naviga-
zione in mare aperto e impongono di limitare il loro impiego a quei servizi
che possono svolgersi in acque protette o costiere.
Navi e imbarcazioni sono dotate di impianti di propulsione, solitamente
costituiti da un apparato motore e da una o più eliche, che assicurano la
possibilità di sviluppare la velocità richiesta per la loro più conveniente uti-
lizzazione, e di organi di governo, che si chiamano timoni, dei quali si avval-
gono per assumere e conservare una ben determinata direzione di sposta-
mento.
Se svolgono attività commerciali (trasporto di persone o merci, pesca,
servizi speciali connessi con l'esercizio della navigazione) sono generica-
mente indicate come navi o imbarcazioni mercantili; se sono usate per il
diporto nautico si definiscono navi o imbarcazioni da diporto; se sono desti-
nate alla difesa dei traffici marittimi e delle coste nazionali in caso di guer-
ra si definiscono navi o imbarcazioni militari.
Le navi mercantili che, per caratteristiche, per dotazioni e per sistema-
zioni riservate all'equipaggio, risultano idonee alla navigazione d'altura
sono giuridicamente indicate come navi maggiori e iscritte in apposite ma-
tricole tenute dagli uffici di compartimento marittimo; le imbarcazioni e le
navi mercantili che non presentano questi requisiti sono invece giuridica-
mente considerate navi minori e iscritte negli speciali registri tenuti dagli

17
uffici di compartimento marittimo, dagli uffici di circondario marittimo e
dagli uffici locali marittimi. 1
Nei registri delle navi minori vengono iscritti anche i galleggianti, ovve-
ro le costruzioni galleggianti e mobili, ma sprovviste di propri mezzi di pro-
pulsione, che operano all'interno dei porti, nei fiumi, nei canali e in vicinan-
za delle coste, disimpegnando numerosi servizi necessari per lo svolgimen-
to delle attività marittime e cantieristiche.

2. Classificazione delle navi

Classificare o assegnare la classe ad una nave significa esprimere un


giudizio sul grado di fiducia che essa merita nel suo complesso, in relazione
alla navigazione e al servizio per i quali è, o deve essere, abilitata. 2
La classificazione ufficiale delle navi viene effettuata, come s'è detto,
a cura di speciali enti che si definiscono Istituti di classificazione e che
operano in tutti gli Stati che possiedono una consistente flotta mercantile.
In Italia questo compito è affidato al Registro Italiano Navale - R.I.Na
- che lo assolve tenendo conto delle caratteristiche delle varie parti che co-
stituiscono la nave.
Se le caratteristiche costruttive di una nave, dei suoi organi di propul-
sione e di governo, dei suoi macchinari ausiliari, del suo impianto elettrico,
delle sue sistemazioni contro gli incendi ecc., sono conformi o equivalenti
alle norme dei «Regolamenti per la costruzione e la classificazione delle
navi», da esso stesso emanati tenendo nella dovuta considerazione le dispo-
sizioni della SOLAS e della MARPOL, del Regolamento per la sicurezza
della navigazione e della vita umana in mare e di altri regolamenti nazio-
nali e internazionali, il R.I.Na procede alla sua classificazione e le rilascia
un «certificato di classe» (valido per 4 anni) nel quale sono chiaramente in-
dicati gli elementi caratteristici della classe stessa.
Tali elementi sono espressi con un simbolo, formato da cifre e sigle, che
si definisce simbolo di classe e che evidenzia separatamente:
• la caratteristica di fiducia;
• la caratteristica di navigazione.
La caratteristica di fiducia viene espressa mediante i numeri 100 e 90,
mediante le lettere A, Are A s e mediante i numeri 1 e 2.
I numeri 100 e 90 indicano la fiducia che viene attribuita alla nave consi-
derata globalmente (numero 100 se sono giudicate buone sia la costruzione
che le macchine, numero 90 se sono giudicate soltanto sufficienti entrambe
le parti o una di esse); la lettera A viene assegnata alle navi costruite secon-
do i criteri e le norme regolamentari del R.I.Na o di regolamenti considera-
ti equivalenti, la sigla A r viene assegnata alle navi con fattore di corrosione
ridotto da un sistema di protezione approvato dal R.I.Na, la sigla As viene
assegnata alle navi costruite con criteri diversi da quelli regolamentari, ma
giudicati soddisfacenti dal R.I.Na (la sigla As è seguita dalla notazione

1In analoghi registri sono iscritte le navi e le imbarcazioni da diporto.


2
Le navi maggiori sono abilitate alla navigazione da un documento che si chiama atto di
nazionalità, quelle minori da un documento che si chiama licenza. Atto di nazionalità e licenza
sono rilasciati dalle autorità marittime.

18
"sperimentale" se i criteri di progettazione e costruzione della nave hanno
carattere di novità); il numero 1 o 2 viene attribuito separatamente per la
costruzione e per le macchine (i numeri 1.1. stanno ad indicare che la co-
struzione e le macchine sono giudicate buone, i numeri 1.2. che la costruzio-
ne è giudicata buona e le macchine sufficienti, i numeri 2.1. che la costru-
zione è giudicata 1;ufficiente e le macchine buone, i numeri 2.2. che la costru-
zione e le macchine sono giudicate sufficienti).
La caratteristica di navigazione è espressa mediante la sigla Nav. se-
guita da lettere e numeri atti a specificare il tipo di navigazione per la quale
la nave viene riconosciuta idonea.
I significati da attribuire alle sigle utilizzate per indicare la caratteristi-
ca di navigazione possono essere così sintetizzati:
• Nav. I.L.: navigazione di «lungo corso» o «internazionale lunga» (naviga-
zione illimitata);
• Nav. I.B.: navigazione «internazionale breve» (navigazione, considerata
solo per le navi passeggeri, che si svolge tra porti appartenenti a Stati di-
versi, nel corso della quale la nave non si allontana più di 200 miglia da un
porto o da una località ove l'equipaggio e i passeggeri possono trovare rifu-
gio, sempreché la distanza fra l'ultimo porto di scalo nello Stato ove il viag-
gio ha origine e il porto finale di destinazione non superi 600 miglia);
• Nav. G.: navigazione di «grande cabotaggio» (navigazione che, oltre al
Mediterraneo, Mar Nero e Mar d'Azov, sì estende, uscendo dallo Stretto
dì Gibilterra, alle coste oceaniche della Spagna, del Portogallo e delle Isole
Britanniche, al Mare del Nord, al Baltico, alle coste occidentali dell'Africa
fino al Senegal, comprese le isole adiacenti e a non più di 300 miglia dalle
coste suddette; e, uscendo dal Canale di Suez, si estende al Mar Rosso, al
Golfo Persico ed alle coste indiane fino a Bombay, comprese le isole adia-
centi);
• Nav. P.: navigazione di «piccolo cabotaggio>• (navigazione che si effettua
nel Mediterraneo, Mar Nero e Mar d'Azov; e, fuori dal Mediterraneo, fino
a Casablanca e Lisbona nell'Atlantico e fino a Kosseir nel Mar Rosso);
• Nav. l.C.: navigazione «internazionale costiera» (navigazione che si svol-
ge tra porti appartenenti a Stati diversi, nel corso della quale la nave non
si allontana più di 20 miglia dalla costa);
• Nav. N.: navigazione «nazionale>> (navigazione che si svolge tra porti del-
lo Stato italiano, a qualsiasi distanza dalla costa);
• Nav. N.C.: navigazione «nazionale costiera» (navigazione che si svolge
tra porti dello Stato italiano, nel corso della quale la nave non si allontana
più di 20 miglia dalla costa);
• Nav. N.Li.: navigazione <mazionale litoranea» (navigazione che si svolge
tra porti dello Stato italiano, nel corso della quale la nave non si allontana
più di 6 miglia dalla costa);
• Nav. N.Lo.: navigazione «nazionale locale» (navigazione che si svolge al-
l'interno di rade, porti, estuari, canali e lagune dello Stato italiano, nel cor-
so della quale la nave non si allontana più di 3 miglia dalla costa);

19
• Nav. I.: navigazione «interna» (navigazione che si svolge in laghi o fiumi
o canali, specificati, nello Stato italiano o fuori di esso);
• Nav. S. (Mediterraneo): navigazione «speciale Mediterraneo» (naviga•
zione che si svolge nel Mar Mediterraneo, compresi il Mar Nero e il Mar
d'Azov);
• Nav. O. : navigazione «oltre gli Stretti» o «oceanica» (navigazione, per le
navi da pesca, che si estende anche fuori del Mediterraneo, e cioè oltre lo
Stretto di Gibilterra, il Canale di Suez e lo Stretto dei Dardanelli);
• Nav. M.: navigazione «mediterranea» o «d'altura» (navigazione, per le
navi da pesca, che si effettua nel Mediterraneo);
• Nav. 20 M: navigazione «costiera ravvicinata» (navigazione, per le navi
da pesca, che si compie a non più di 20 miglia dalla costa nazionale);
• Nav. 6 M: navigazione «costiera locale» (navigazione, per le navi da pe·
sca, che si effettua a non più di 6 miglia dalla costa nazionale);
• Nav. S. ( ......): navigazione «speciale» (navigazione, per le navi da pesca,
limitata come indicato entro la parentesi);
• Nav. A.: navigazione, per navi e imbarcazioni da diporto, a distanza su•
periore a 6 miglia dalla costa;
• Nav. 6 M: navigazione, per navi e imbarcazioni da diporto, a distanza non
superiore a 6 miglia dalla costa.

Alle navi costruite sotto la sorveglianza del R.I.Na sono assegnate


«marche speciali di sorveglianza» che, pur non costituendo caratteristica
di classe, evidenziano una situazione giudicata particolarmente buona.
Le marche di sorveglianza sono la Croce di Malta e la Stella.
La Croce di Malta (+) viene assegnata, separatamente per la costruzio•
ne e le macchine, quando tali parti sono state realizzate sotto la sorve·
glianza del R.I.Na e in conformità delle norme stabilite nei suoi regolamen·
ti, mentre la marca Stella (*)viene assegnata alle navi le cui parti princi-
pali siano state riconosciute meritevoli dell'assegnazione della Croce di
Malta.
Altri simboli o annotazioni che, pur non costituendo caratteristiche di
classe, possono essere segnati sul certificato di classe per evidenziare il
possesso di requisiti o sistemazioni particolari sono:
RG - per navi da pesca rinforzate per la navigazione fra i ghiacci;
RGl ( *) - per navi rinforzate per navigazione fra i ghiacci in condi-
zioni molto severe;
RGl - per navi rinforzate per navigazione fra i ghiacci in condizioni
severe;
RG2 · per navi rinforzate per navigazione fra i ghiacci in condizioni
mediamente severe;
RG3 - per navi rinforzate per navigazione fra i ghiacci in condizioni
poco severe;
1.A.Q.·1 · impianti di automazione qualificati dal R.I.Na per avere i
locali macchine non presidiati;

20
I.A.Q.-1-X - impianti di automazione qualificati dal R.I.Na per avere
i locali macchine non presidiati per la durata di X ore;
I.A.P. - impianti di automazione qualificati dal R.I.Na per avere i lo-
cali macchina non presidiati di notte in porto;
l.A.Q.-2 - impianti di automazione qualificati dal R.I.Na per avere i
locali macchine a comando centralizzato, sorvegliati permanente-
mente dalla stazione principale, ma senza servizio di guardia nei lo-
cali macchine;
1.1.Q. - impianti di inertizzazione delle cisterne del carico delle navi
cisterna, corrispondenti alle norme R.I.Na;
I.F.Q. (...... ) - impianti frigoriferi per il carico qualificati dal R.I.Na
(fra parentesi viene indicata la capacità, espressa in metri cubi, delle
stive refrigerate);
F.F.Q ..... - impianti e sistemazioni di soccorso antincendio qualifica-
ti dal R.I.Na; la sigla è seguita da un numero indicante la classe (1,
2, 3) della qualifica concessa;
C.C. - per navi aventi dimensioni degli elementi strutturali ridotte,
in quanto protette da un sistema per il controllo della corrosione ap-
provato dal R.I.Na;
C.N.P. - per navi prive dell'impianto fisso dì estinzione degli incendi
nei locali del carico, in quanto destinate al trasporto di merci non
combustibili o con piccolo rischio d'incendio.
B.S.C. - per navi con boccaporti privi di copertura, quando ammesso.
La conservazione della classe è subordinata al persistere delle condizio-
ni che hanno determinato la sua assegnazione. L'esistenza di queste condi-
zioni viene accertata dal R.I.Na mediante visite periodiche e visite occasio-
nali, cosicché si può ben dire che ciascuna nave, classificata in seguito all'e-
sito soddisfacente degli accertamenti e delle prove di collaudo previste dai
regolamenti, è costantemente controllata e nulla di importante che riguar-
di la costruzione, gli impianti, le sistemazioni e le attrezzature può essere
deciso senza la sua preventiva approvazione.
Ogni 4 anni la classe deve essere rinnovata. Il R.I.Na provvede al rinno-
vo e al rilascio del relativo certificato di classe se hanno buon esito le «visite
speciali» a tal fine previste dai suoi regolamenti.
Dalle considerazioni fin qui svolte si rileva che i diversi simboli di clas-
se utilizzati dal R.I.Na per evidenziare la caratteristica di fiducia e la ca-
ratteristica di navigazione sono:
* 100 A - 1.1 - Nav..... .
90 A - 1.2 - Nav..... .
90 A - 2.1 - Nav ..... .
90 A - 2.2 - Nav ..... .

La sigla Nav. è seguita dal gruppo simbolico indicativo del tipo di navi-
gazione autorizzato, mentre la lettera A può essere sostituita dalla sigla Ar
o As o As (sperimentale), a seconda dei casi.

21
3. Suddivisione delle navi ai fini della classificazione

Agli effetti della classificazione le navi e le altre unità sono suddivise dal
R.I.Na in categorie e tipi che vengono indicati con apposite sigle.

a) Categorie di navi.
Le più comuni categorie di navi e altre unità e le relative sigle di identifi-
cazione sono:
• piroscafi - Ps: navi il cui propulsore è mosso da motrici a vapore acqueo
e capaci di imprimere loro (funzionando all'andatura corrispondente al re-
gime di servizio continuativo) una velocità di almeno 7 nodi, a pieno carico
e in acqua tranquilla;
• motonavi - Mn: navi il cui propulsore è mosso da motori a combustione
interna e capaci di imprimere loro (funzionando all'andatura corrisponden-
te al regime di servizio continuativo) una velocità di almeno 7 nodi a pieno
carico e in acqua tranquilla;
• motoscafi - Ms: motonavi di limitate dimensioni e non completamente
pontate;:1
• piroscafi a propulsione elettrica - Ps. prop. el.: piroscafi il cui propulso-
re è mosso da motori elettrici con energia prodotta da motrici a vapore
acqueo;
• motonavi a propulsione elettrica - Mn. pr op. el.: motonavi il cui propul-
sore è mosso da motori elettrici con energia prodotta da motori a combu-
stione interna;
• aliscafi - As: navi aventi strutture alari, parzialmente o totalmente
immerse, capaci di generare una portanza idrodinamica atta a sollevare
la costruzione sulla superficie dell'acqua durante il suo moto di avanza-
mento;
• aeroscafi (veicoli a cuscino d'aria o overcraft) • VCA: navi provviste di
mezzi atti a generare sotto di esse un cuscino d'aria capace di sollevarle sul-
la superficie dell'acqua;
• natanti • Nt: navi munite di apparato motore di propulsione incapace di
imprimere loro una velocità di 7 nodi;
• galleggianti · Gl: navi non munite di mezzi atti alla loro propulsione;
• velieri - Vl: navi il cui mezzo di propulsione è costituito esclusivamente
da vele;
• velieri con motore ausiliario - Vm: navi il cui mezzo di propulsione prin-
cipale è costituito da vele, ma che sono pure dotate di apparato motore a
combustione interna che consente loro di navigare anche senza usare le
vele;

3
Si dice pontata una nave superiormente chiusa da una copertura che si chiama ponte
(vedi Cap. III).

22
• motovelieri - Mv: navi il cui mezzo di propulsione principale è costituito
da un apparato motore a combustione interna, capace di imprimere loro
(funzionando all'andatura corrispondente al regime continuativo, a pieno
carico e in acqua tranquilla) una velocità di almeno 7 nodi senza l'ausilio del-
le vele, ma che sono pure dotate di una velatura che consente loro di navi-
gare anche con le sole vele in caso di necessità;
• mezzi subacquei - Sp o S: veicoli, autopropulsi (Sp) o no (S), atti a ope-
rare sotto la superficie dell'acqua;
• camere di decompressione - D.C.: apparecchi usati come mezzi di assi-
stenza ad operatori subacquei e sistemabili a terra o a bordo di unità di ap-
poggio;
• piattaforme mobili autoelevantesi - Pl. autoel.: unità provviste di gam-
be mobili atte a sollevare il loro scafo 4 sopra la superficie del mare;
• piattaforme mobili con colonne di stabilità - Pl. col. stab.: unità con il
ponte principale 5 collegato allo scafo o agli scafi sommersi tramite colon-
ne a sezione circolare o rettangolare.

b) Tipi di navi.

L'assegnazione di una nave o altra unità ad un determinato tipo è subor-


dinata alla sua idoneità a svolgere un particolare servizio ed è a tale scopo
convenientemente costruita e attrezzata.
Le navi che non sono costruite o attrezzate per svolgere servizi specia-
lizzati particolari si intendono per «carico generale» e sono contraddistin-
te dalla sigla "CAR. GEN. ".
Ciò premesso osserviamo che i più comuni tipi particolari di navi e altre
unità e le relative sigle di identificazione sono:
• navi per trasporto passeggeri - TP: navi alle quali è consentito traspor-
tare più di 12 passeggeri. 6
• navi per trasporto di carichi solidi alla rinfusa (portarinfusa) - BC:
navi concepite o adattate per trasportare carichi solidi alla rinfusa e perciò
rispondenti a speciali norme; per le navi aventi le particolari caratteristiche
richieste nei diversi casi, la sigla BC, indicativa dell'idoneità al trasporto
di carichi solidi alla rinfusa in genere, è sostituita da una delle sigle sottoin-
dicate:
HG: per navi specialmente rinforzate per il trasporto alla rinfusa di cari-
chi pesanti;
OC: per navi specialmente rinforzate per il trasporto alla rinfusa di cari-
chi molto pesanti (minerali);

4
Lo scafo è la parte più importante della nave (vedi par. 7).
5
Il ponte p1-incipale è il ponte più alto dello scafo (vedi Cap. III).
6
Sono navi passeggeri le navi che trasportano più di 12 passeggeri, indipendentemente
dal fatto che esse trasportino anche merci in grande quantità.

23
HCE: per navi specialmente rinforzate per il trasporto alla rinfusa di ca-
richi pesanti e per poter navigare a pieno carico con determinate stive 7
vuote;
OCE: per navi specialmente rinforzate per il trasporto alla rinfusa di ca-
richi molto pesanti (minerali) e per poter navigare a pieno carico con det er-
minate stive vuote;
• navi cisterna - Cst: navi concepite o adattate per il trasporto di liquidi
alla rinfusa (in cisterne incorporate nella nave stessa o in serbatoi perma-
nentemente installati a bordo).
Nel caso in cui il particolare carico liquido t rasportato imponga la ri-
spondenza della nave a speciali norme, la denominazione generica di nave
cisterna è sostituita da una denominazione che specifichi la natura di tale
carico e la sigla Cst è seguita da un'altra sigla indicativa, riportata tra pa-
rentesi. Si distinguono, conseguentemente, i seguenti tipi particolari di
navi cisterna:
a) petr oliere: navi che trasportano prodotti infiammabili allo stato liqui-
do, a pressione atmosferica e temperatura ambiente (o mantenuti allo stato
liquido mediante apporto di calore), con qualsiasi punto di infiammabilità,
con azione non particolarmente nociva sull'organismo umano e non partico-
larmente corrosivi, contraddistinte dalla sigla Cst (il}; navi che trasportano
prodotti come quelli sopra menzionati, ma con punto di infiammabilità su-
periore a 60 °C, contraddistinte dalla sigla Cst (il pi>60°); 8
b) gassiere: navi che trasportano prodotti gassosi liquefatti per pressio-
ne e/o sottrazione di calore, contraddistinte dalla sigla Cst (GL) se il carico
è costituito da gas di idrocarburi (derivati e/o naturali), e dalla sigla Cst
(GCL) se il carico è costituito da altri gas.
Le sigle Cst (GL) e Cst (GCL) sono seguite da un numero che rivela la
pressione massima ammissibile nelle cisterne o nei serbatoi del carico e,
quando necessario, da un numero che rivela la temperatura minima ammis-
sibile per i gas trasportati;
c) chimichiere: navi che trasportano prodotti chimici allo stato liquido,
a pressione atmosferica e temperatura ambiente (o mantenuti allo stato li-
quido mediante apporto di calore), con qualsiasi punto di infiammabilità,
con azione particolarmente nociva sull'organismo umano e/o particolar -
mente corrosivi, contraddistinte dalla sigla Cst (cl).
Le sigle Cst (GL), Cst (GCL) e Cst (cl) sono seguite anche dalla lettera
P se trattasi di navi che soddisfano le norme per ridurre le conseguenze de-
rivanti da avarie per collisione o incaglio. 9

7
Si chiamano stive i compartimenti nei quali viene sistemato il carico solido (per i carichi
liquidi si utilizzano compartimenti che si definiscono cisterne o tanche).
8 Esistono petroliere utilizzabili anche per il trasporto di carichi solidi alla rinfusa. Tali
navi sono definite 0B0 (0re-Bulk-Oi[) se possono trasportare minerali, rinfuse solide e pro·
dotti petroliferi, 00 (0re-0il) se possono trasportare minerali e prodotti petroliferi.
~ Alle navi cisterna dei tipi Cst (GL), Cst (GCL) e Cst (cl) viene rilasciato un documento,
da allegare al certificato di classe, nel quale sono indicati i prodotti trasportabili, gli spazi in
cui possono essere trasportati, la pressione massima ammissibile in tali spazi, la temperatura
minima ammissibile per i gas trasportati, le dotazioni infortunistiche prescritte ecc.

24
Fig. 1 - Profili di navi

nave per carico generale

>.• ,·,·
nave passeggeri (per crociere)

nave portacontenitori

~
t
- - )il\

nave traghetto (passeggeri e autoveicoli)

nave portarinfusa

nave scuola a motore aliscafo

25 segue _,
nave posacavi

nave per ricerche scientifiche nave mista (traghetto da carico-portacontenitori)

nave mista petroliera-portaminerali-portarinfusa (OBO)


lit:''' /~ · ,,,..:dlf!;; ·--~,-+;: <tmru·' -•~;;.e, ·,;;;;;;;:_~,;'~l":,,.i -· '''!t\ , ,,r'-~~-.-~;;~'if4'. ,,.:-~ ';,-;;;·~ \ .~;;;;:.ffl)~,,i Jlt ,1f\ ..'ili/i\ ... f4! -'-~ -,~ ,~ ._:•-. . .,i:i,.

26
nave scuola a vela

nave scuola a vela

rompighiaccio
nave da diporto a veta

nave da pesca

27 segue_.
nave cisterna-gassiera

nave da carico multiuso nave appoggio per piattaforme

nave portautomobili (nave garage) draga

nave cisterna-chimichiera nave posatubi

nave portarinfusa

nave appoggio nave frigorifera


-~, ;lii

28
• navi traghetto - Tr (jb) o Tr (ro-ro}: navi particolarmente attrezzate per
il trasporto di rotabili ferroviari su rotaie fisse - Tr (fu) - oppure per il tra-
sporto di rotabili stradali - Tr (ro-ro) - con imbarco e sbarco sulle proprie
ruote e/o di carichi disposti su pianali (pallets) o in contenitori (containers)
caricati e scaricati per mezzo di veicoli dotati di ruote; le navi traghetto che
non sono abilitate a trasportare più di 12 passeggeri sono genericamente
definite traghetti da carico, quelle che trasportano anche passeggeri si de-
finiscono più propriamente traghetti da passeggeri e sono contraddistinti
dalla sigla Tr (jb)-TP o dalla sigla Tr (ro-ro)-TP , a seconda del tipo al quale
appartengono;
• navi posacavi • posacavi: navi dotate degli impianti e meccanismi ne-
cessari per la posa, il salpamento e la riparazione dei cavi sottomarini;
• rompighiaccio - R ompigh: navi aventi forma, robustezza, apparato mo-
tore e sistemazioni che le r endono idonee ad aprire la via attraverso i
ghiacci; 10
• rimorchiatori• Re: navi specialmente progettate, costruite ed attrezza-
te per effettuare operazioni di rimorchio (in acque portuali o limitrofe, fino
a 6 miglia dalla costa, oltre 6 miglia dalla costa);
• rimorchiatori di salvataggio - R e. sa.lv.: rimorchiatori dotati anche del-
le attrezzature necessarie per prestare soccorso alle navi in pericolo;
• navi da pesca o pescherecci - P es: navi che posseggono le caratteristi-
che, i requisiti, le sistemazioni e le dotazioni necessarie per la cattura dei
pesci, delle balene, delle foche, dei trichechi o di altri esseri viventi nelle
acque nonché navi utilizzate per servizio di flottiglia da pesca e per la con-
servazione o trasformazione dei prodotti della pesca;
• draghe • Dg: navi dotate delle sistemazioni e delle apparecchiature ne-
cessarie per l'escavazione del fondo;
• bette • Et: navi destinate al trasporto e alla discarica in acqua di mate-
riali di escavazione del fondo marino;
• navi da diporto • Y: navi utilizzate per scopi sportivi o ricreativi, senza
fine di lucro;
• navi per ricerche scientifiche o tecnologiche · ST: navi concepite od
adattate ed esclusivamente impiegate per ricerche scientifiche o tecnologi-
che e che posseggono particolari attrezzature e sistemazioni che le rendono
atte a tale impiego;
• navi scuola - Se: navi concepite od adattate ed esclusivamente impiega-
te per l'istruzione di allievi nelle discipline marinare, e che posseggono per-
ciò le attrezzature e le sistemazioni che le rendono atte a tale impiego (aule,
alloggi per gli istruttori e per gli allievi, apparecchiature ecc.);

10
Anche le navi di altro tipo possono essere abilitate alla navigazione fra i ghiacci.
se debitamente rinforzate. In tal caso il R.I.Na aggiunge al simbolo di classe la marca RG o
*
RGI o RGI o RG2 o RG3 per specificare le diverse condizioni in cui può svolgersi la naviga-
z10ne.

29
• chiatte - Ch: galleggianti atti a trasportare carichi secchi o liquidi; la si-
gla Ch è seguita dalla sigla tms o tmc o Cst (....) a seconda che la chiatta
sia idonea al trasporto di carichi secchi nelle stive, di carichi secchi in coper-
ta, di carichi liquidi in cisterne (i carichi liquidi trasportati sono indicati tra
parentesi, come per le navi cisterna);
• navi per trasporto contenitori - T. cont.: navi esclusivamente proget-
tate e attrezzate per trasportare contenitori; le navi non esclusivamente
progettate per il traspor to di contenitori, ma dotate di strutture adeguate
per sopportare i carichi derivanti dai contenitori stessi sono contraddistin-
te dalla sigla Cont.
• navi o piattaforme per perforazione - Pf: navi provviste di sistemazio-
ni particolari e permanenti che le rendono atte al servizio di perforazione
del fondo marino, per la ricerca o per lo sfruttamento del fondo stesso;
• unità per servizio di appoggio - Ap: navi o altre unità dotate di siste-
mazioni e attrezzature che consentono di utilizzarle come basi di appoggio
per lo svolgimento di particolari lavori;
• navi per trasporto di carichi refrigerati - R C: navi 11 dotate di siste-
mazioni specifiche e permanenti per il trasporto di carichi refrigerati e
provviste di impianti frigoriferi qualificati dal R.I.Na;
• unità per sollevamento - Soll: navi o altre unità dotate di sistemazioni
specifiche per il sollevamento o la movimentazione dei pesi;
• bacini galleggianti - Bac: galleggianti progettati, costruiti e attrezzati
per essere usati per il sollevamento e/o il varo di strutture galleggianti, o
per la costruzione, la manutenzione e la riparazione di navi, galleggianti e
altre unità particolari;
• barche-porta - Barca porta: galleggianti progettati, costruiti e attrez-
zati per essere usati come mezzi di chiusura dei bacini in muratura;
• navi per soccorso - Socc: navi particolarmente attrezzate per effettua-
re interventi di soccorso.
• navi per la rimozione di oli minerali dalla superficie del mare - Ree
Oil: navi dotate di sistemazioni e/o attrezzature per la rimozione degli oli
minerali dalla superficie del mare e per la loro conservazione, trasporto e
successiva discarica;
• navi cisterna per la raccolta ed il trattamento di acque oleose - Cst
(il) - Treat Oil o Cst (il pi> 60°) - Treat Oil: navi cisterna del tipo Cst (il)
dotate di impianti per la raccolta ed il trattamento delle acque oleose di
sentina 12 e delle acque di zavorra e di lavaggio delle cisterne delle navi ci-
sterna per il trasporto alla rinfusa di liquidi infiammabili, oppure navi ci-
sterna del tipo Cst (il pi > 60°) dotate di impianti per la raccolta ed il tratta-
mento delle sole acque oleose di sentina e dell'acqua di zavorra dei depositi
del combustibile;

11
Esculse le navi Cst, (GL), le Cst (GCL) e le Pes.
12
Vedi cap. III, par. 2.

30
• posatubi - posatubi: navi dotate degli impianti e delle attrezzature ne-
cessari per la posa, il salpamento e la riparazione dei tubi sottomarini;
• unità per il servizio di appoggio a piattaforme - Ap (Pl) o Ap (Pl) -
Tpp: navi o altre unità dotate di apposite sistemazioni e attrezzature per
l'assistenza a piattaforme, oppure navi che in aggiunta a questo servizio
possono svolgere servizio di trasporto di prodotti petroliferi con qualsiasi
punto di infiammabilità.

Le navi abilitate a svolgere più di un servizio particolare devono soddi-


sfare le prescrizioni relative a ciascun servizio e vengono indicate con una
denominazione combinata dei due o più tipi ai quali appartengono e con una
combinazione delle rispettive sigle.
Sono, per esempio, navi di tipo misto:
a) le cisterna-portarinfuse-portaminerali o, più brevemente, OBO
(ORE-BULK-OIL): navi che trasportano alternativamente prodotti petroli-
feri, rinfuse solide e minerali;
b) le cisterna-portamùwrali o, più brevemente, ORE/OIL: navi che tra-
sportano alternativ<lmente prodotti petroliferi e minerali;
c) i traghetti da passeggeri: navi che trasportano contemporaneamente
passeggeri e rotabili ferroviari e/o rotabili stradali imbarcati e sbarcati con
le proprie ruote (sistema Ro/Ro ovvero Roll-on/Roll-ofj).

Altre navi di tipo misto, genericamente definite multiuso, sono i tra-


ghetti da carico che trasportano anche carico generale o contenitori o altra
merce imbarcata e sbarcata mediante movimentazione verticale, ovvero
con il sistema tradizionale (brevemente definito Lo/Lo dalle iniziali della
espressione inglese Load-on/Load-ofj), le navi portacontenitori che traspor-
tano anche carico generale o rinfuse solide ecc.

L'esistenza delle condizioni rich_ieste per la classifiçazione e, conseguen-


temente, per l'assegnazione di una nave o altra unità ad una determinata
categoria e tipo, viene accertata dal R.I.Na mediante visite complete che
si definiscono speciali e che per le navi in acciaio abilitate alla navigazione
marittima hanno cadenza quadriennale, mediante visite parziali che si defi-
niscono periodiche e che vengono effettuate nel periodo che intercorre fra
una visita speciale e quella successiva, e mediante visite che si definiscono
occasionali perché rese necessarie dal verificarsi di eventi straordinari
quali avarie o lavori di riparazione e trasformazione interessanti la classe.

Per fornire un quadro complessivo delle visite cui una nave viene sotto-
posta ai fini della classificazione, riportiamo nelle pagine che seguono un
«Prospetto delle visite di classe» nel quale sono indicate le specie delle visi-
te e le relative sigle, nonché le scadenze delle visite speciali e delle visite
periodiche per le navi abilitate alla navigazione marittima.

31
PROSPETTO DELLE VISITE DI CLASSE

1. SPECIE DELLE VISITE E RELATIVE SIGLE

VISITE SIGLE

Visite per assegnazione o riassegnazione della classe


- Visita di prima classificazione . VPC
- 2• Visita di prima classificazione 2• VPC
- 3• Visita di prima classificazione 3° VPC
- ecc. ..........
Visite pe riodiche scalo
- Visita speciale N. 1 VSs1
- Visita speciale N. 2 VSs2
- Visita speciale N. 3 VSs3
- Visita speciale N .... con misurazioni di spessore
(solo per navi a scafo metallico) VSs ... frt
- Visita ordinaria scafo VOs
- Visita di carena 13
(con nave a secco o con nave galleggiante) Vcr o Vcrng

Visite periodiche macchine


- Visita speciale macchine . VSm
- Visita ordinaria macchine. VOm
- Visita caldaie ve o ve (Pi.C) 14
- Visita calderine o analoghi recipienti in pressione di
vapore Vca o Vca (Pi.ca) 14
- Visita calderine a fluido diatermico . Vca-fdt o Vca-fdt (Pi.ca) 14
- Visita alberi portaelica Va. 15 o vac. 16
Va.lo 17 o VAa.lo 18
Visite non periodiche occasionali 19
- Visita occasionale scafo VOcc.s
- Visita occasionale macch ine VOcc.m
- Visita occasionale caldaie voce.e
- Visita occasionale calderine o analoghi recipienti i n
pressione di vapore voce.ca
- Visita occasionale calderine a fluido diatermico voce.ca fdt
Visite continuative 20
- Visita continuativa scafo . Vcont.s
- Visita c ontinuativa macchine Vcont.m

13
Parte immersa dello scafo (vedi par. 1).
14 Le sigle Ve (Pi.C}, Vca (Pi.Ca) e Vca-fdt (Pi.ca) si riferiscono a caldaie e calderine non
visitabili internamente e perciò sottoposte a prova idrostatica.
15 Va: Alberi a camicia interrotta a contatto con l'acqua o con lubrificazione a grasso.
16
VaC: Alberi a camicia· continua (con eventuali giunti soddisfacenti alle prescrizioni re-
lative), ovvero alberi costituiti da metallo avente resistenza alla corrosione ritenuta ade-
guata).
17
Va.lo: Alberi provvisti di sistema e dispositivi di lubrificazione approvati.
18
VAa.lo: Alberi aventi caratteristiche particolari (visita alte rnata modificata).
rn Visite effettuate in seb'1lito ad avarie o a lavor i di riparazione, modifica o trasforma-
zione interessanti la classe.
20
Visite speciali effettuate ne l periodo di validità della classe, anziché alle scadenze di
questa, e distribuite in modo da rispettare le scadenze qua driennali.

32
2. SCADENZA DELLE VISITE SPECIALI PER NAVI CON SCAFO IN ACCIAIO

VISITE SCADENZA NORMALE SCADENZA NORMALE


SPECIALI per navigazione marittima per navigazione interna

VSs1 al 4° anno di età al 6° anno di età


VSs2 dopo 4 anni dalla VSs1 dopo 6 anni dalla VVs1
VSs3 dopo 4 anni dalla VSs2 dopo 6 anni dalla VSs2
Succ. VSs3 dopo 4 anni dalla precedente VSs3 dopo 6 anni dalla precedente VSs3

Per le navi cisterna (Il e Il pi > 60°): Per le navi cisterna (il, il pi > 60° e
cl):
Tutte le VSs Tutte le VSs a partire da quella (in-
elusa) la cui scadenza occorra al
compimento del 12° anno di età o
successivamente
VSs ... frt
Per tutte le altre navi: Per tutte le altre navi:
Tutte le VSs a partire da quella (in- Tutte le VSs a partire da quella (in-
elusa) la cui scadenza occorra al elusa) la cui scadenza occorra al
compimento del 10° anno di età o compimento del 24° anno di età o
successivamente successivamente

VSm dopo 4 anni dalla VPC o dalla pre- dopo 6 anni dalla VPC o dalla pre-
cedente VSm cedente VSm

3. SCADENZA DELLE VISITE SPECIALI PER NAVI CON SCAFO IN LEGNO

SCADENZE NORMALI
QUALITÀ Successive
del legname e dell' impernatura VSs1 VSs2 VSs3
VSs3
VSm
anni di età

25,29, 33
ecc. 5"
- ·O
:, CO
Teak e metallo giallo 7 14 21 (ogni 4 anni)

22, 26, 30
'""'"
3 ;;-
.e.,
a.o
Teak e ferro zincato ecc. !!!.a.
Quercia e metallo giallo 6 12 18 (ogni 4 anni) '"o
<~
(l.t.
Teak e ferro nero 19, 23, 27 o~
Quercia e ferro zincato ecc. a.:.
Pino e metallo giallo 5 10 15 {ogni 4 anni) !!!.-

Quercia e ferro nero 15, 18, 21


'""'
'O~
(D
(')
~-
CD 'C
Pino e ferro zincato ecc. "':,a. a,~:,
Legname dolce e metallo giallo 4 8 12 (ogni 3 anni) -.,
CD<
<<0.
Cl>.,
11, 13, 15
Pino e ferro nero ecc.
3 ff:,
CD
Legname dolce e ferro zincato 3 6 9 {ogni 2 anni)

33
4. VISITE ED ALTRE OPERAZIONI PERIODICHE (ESCLUSE LE VISITE SPECIALI)
PER LE NAVI ABILITATE A NAVIGAZIONE MARITTIMA

A partire dalla
Genere della visita Sigla Periodicità data di:

2 anni, per le navi


da carico 21
I 1 anno, per le navi
Vcr da passeggeri 21
1 Visita di carena precedente
1 anno per tutte le navi effettuazione
con scafo in legno

quando ammessa in
Vcrng sostituzione di una Vcr
inizio del periodo
2 Visita ordinaria scafo VOs 1 anno di classe

Visita ordinaria inizio del periodo


3 VOm 1 anno
macchine di classe

4 Visita caldaie
ve o 2 anni fino alI'8° anno precedente
VC(Pi.C) 1 anno oltre 1'8° anno effettuazione

Visita calderine ed Vca o 2 anni fino al1'8° anno precedente


5 analoghi recipienti Vca(Pi.ca) 1 anno oltre 1'8° anno effettuazione
in pressione di vapore

Visita calderine a Vca-fdt o 2 anni fino all'8° anno precedente


6 fluido diatermico Vca-fdt (P.ca) 1 anno dall'8° anno effettuazione

Va 2 anni

3 anni per le navi con


1 solo albero
7 Visita alberi portaelica VaC e Va.lo 4 anni per le navi con precedente
2 o più alberi effettuazione
e per propulsori
tipo Schottel

quando ammessa
VAa.lo in sostituzione
di una Va.lo

21 È inoltre obbligatoria la Vcr ogniqualvolta la nave sia messa in secco a seguito di ava-
ria, sospetta avaria o lavori.

34
4. Suddivisione delle navi secondo il regolamento di sicurezza

Il vigente Regolamento per la sicurezza della navigazione e della vita


umana in mare suddivide le navi seguendo criteri che si discostano da quel-
li adottati dal R.I.Na ai fini della classificazione e che devono essere tenuti
nella dovuta considerazione in quanto esprimono la posizione ufficiale dello
Stato. Conviene quindi rilevare che:
a) il Regolamento di sicurezza prescrive una suddivisione delle navi in
base al tipo e alla loro destinazione a determinati servizi;
b) i tipi di navi elencati nel Regolamento di sicurezza corrispondono,
grosso modo, alle categorie di navi considerate dal R.I.Na nel suo Regola-
mento per la costruzione e la classificaz'ione delle navi;
c) le destinazioni delle navi a determinati servizi individuano, sia pure
con molte limitazioni, i diversi tipi di navi considerati dal R.I.Na nel suo
Regolamento per la costruzione e la classificazione delle navi.

Osserviamo che il Regolamento di sicurezza prevede le seguenti divisioni:

• Tipi di navi
a) piroscafo;
b) motonave;
c) nave nucleare;
d) veliero;
e) motoveliero;
f) veliero con motore ausiliario;
g) aliscafo;
h) aeroscafo;
i) imbarcazione a remi.

• Destinazione a determinati servizi


a) trasporto passeggeri;
b) trasporto merci;
c) servizi speciali (pesca, rimorchio, salvataggio, scuola, servizi scientifi-
ci o di ricerca, posa di cavi, diporto, uso privato, ecc.).

Le specie di navigazioni alle quali le navi possono essere abilitate sono:


a) navigazione internazionale lunga (Nav. I.L.);
b) navigazione internazionale breve (per navi passeggeri; Nav. I.B.);
c) navigazione internazionale costiera (Nav. I.C.);
d) navigazione nazionale (Nav. N.);
e) navigazione nazionale costiera (Nav. N.C.);
f) navigazione nazionale litoranea (Nav. N.Li.);
g) navigazione nazionale locale (Nav. N.Lo.).
Il Regolamento di sicurezza stabilisce, tra l'altro, le caratteristiche e la
periodicità delle visite e degli accertamenti cui le navi devono essere sotto-
poste sia per verificare la loro conformità alle norme riguardanti la sicurez-
za della navigazione, sia per il rilascio dei relativi certificati (certificati di
sicurezza).

35
un ingegnere o perito nominato dall'ente tecnìco e da u n
ESTRATTO DAL REGOLAMENTO sottufficiale di porto o impiegato civile dell'ufficio di circon-
dario marittimo, che svolge le funzioni di segretario. Ove ri-
PER LA SICUREZZA tenuto opportuno dal capo del circondario marittimo, anche
il medico di porto può essere chiamato a dare la propria as-
DELLA NAVIGAZIONE sistenza nell'espletamento dei predetti accertamenti.
E DELLA VITA UMANA 2. Degli accertamenti effettuati viene redatto processo
verbale.
IN MARE 3. Per le imbarcazioni da diporto e le navi di cui a l libro
III, titolo IV, le v isite periodiche e quelle occasionali dispo-
ste dall'art. 26, comma 4, possono essere effettuate a nche
dalle associazioni nautiche indicate nel secondo comma del-
l'art. 213 del codice della navigazione, nei limiti indicati nel•
(Omesso) l'articolo medesimo, purché alle stesse presieda il capo del
circondario marittimo o un ufficiale da lui designato.••
T [TOLO II
ACCERTAMENTI E DOCUMENTI PER LA
SICUREZZA DELLA NAVIGAZIONE Art. 19
Visite nei porti esteri
Capito/.o I 1. Nei porti esteri le visite di cui al terzo comma del•
Vis1n; EU ~C.:CERTAMENTI l'art. 6 della legge, nonché g li eventuali accertamenti di cui
al secondo comma dell'art. 165 del codice de lla navigazione,
Art. 16 sono eseguiti a cura dell'autorità consolare con l'assistenza
Tipi di vi.site del locale ufficio dell'ente tecnico o, in mancanza, di quello
più vicino dell' ente stesso.
Aì fini degli accertamenti di sicurezza di cui agli articoli 2. Nei casi di urgenza, ovvero quando ragioni di distanza
4., 25 e 28 della legge ,• le visite alle qua li devono essere sot• o difficoltà di comunicazioni con l'ufficio più vicino dell'ente
toposte tutte le navi ed anche le imbarcazion i da dipor to, tecnico consiglia no di provvedere altrimenti, l'autorità con•
escluse quelle alle quali. a norma dell'art. 6, comma l, lette· solare può farsi assistere da ingegneri navali o da capitani di
ra a), non si applica il presente regolamento, sono: lungo corso o da capitani di macchina di nazionalità italiana
1,isite iniziali, prima dell'entrata in servizio; o, in mancanza, da periti locali, a seconda della natura degli
1ris·ite periodiche, alla scadenza dei periodi di validità dei accertamenti da eseguire.
certificati di sicurezza, dì idoneità e delle annotazioni di si•
curezza;
itisite occa.;ionali, quando se ne ver ifichi la necessità. Art. 20
Accertamenti per i l rila-çcio e durata del certificato
di na1Jigabilità
Art. 17
Ese1,-uzione delle visite 1. Gli accertamenti prescritti dal secondo comma del•
l'art. 5 della legge per il rilascio del certificato di navigabili·
1. Le visite di cui all'articolo preceden te, ferme le pr e- tà devono essere fatti dall'ente tecnico, secondo le norme
scrizioni dell'art. 165 del codice della navigazione, sono d i- dei propri regolamenti, in occasione della visita iniziale d i
sposte dal capo del circondar io marittimo su richiesta del· cui all'ar t. 22.
l'armatore o dì un suo rappresentante e per navi estere su 2. Il cer tificato di navigabilità ha validità quadriennale
richiesta della competente autorità consolare. e possibilità di proroga di un anno, a ter mini del secondo
2. Il capo del circondario marittimo, su richiesta degli comma dell'art. 5 della legge, con obbligo di visite periodi·
interessati d i cui al precedente comma, può conse ntire che che da effettuarsi ad intervalli di due anni da parte dell'en·
una visita iniziata in un porto del proprio circondario, ven- te t ecnico, il quale ha la facoltà di differirne l'esecuzione
ga completata in un altro porto, p urché la visita stessa sia non oltr e 4 mesi.
compiuta entro i due mesi precedenti la data di scadenza 3. Gli accertamenti d i cui al precedente comma sono
dei certificati o de lle a nnotazioni di sicurezza d i cui è prov· prescritti anche per le navi di cui a lla lettera a.) dell'art . 2
vista la nave; copia del verbale riguardante gli accertamen· del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 22
t i effettuati deve essere inviata all'autorità marittima inte· gennaio 1947, n. 340, ratificato con legge 17 aprile 1956, n.
ressata al completamento della visita. 561, dest inate a l t rasporto di passegger i in acque tranquil·
3. Nei porti esteri le visite di cui all' ar ticolo precedente le, i cui limiti sono stabiliti dal capo del circondario ma·
sono disposte dall' autorità consolare su richiesta del co- rittimo.
mandante della nave. 4. Il certificato di navigabilità è rilasciato dalla capita·
neria d i porto, su modello approvato dal Min istero, e ne
deve essere trasmessa copia all'ente tecnico.
Art. 18
Organi di esecuzione delle visite e degli accertamenti
Art. 2 1
1. Agli accertamen ti previsti dall'ultimo comma del- Vis ite iniziali
l'ar t. 28 della legge, per le navi di stazza lorda inferiore a
200 tonnellate ma uguale o superiore a 25 tonnellate, prov- 1. Le visite iniziali sono intese ad accertare che la nave
vede il capo del circondario marittimo o un ufficiale da lui soddisfa alle prescrizioni della legge e del presente regola·
designato, d i grado non inferiore a capitano, assistito da mento in relazione al tipo della nave stessa, alla specie

• Le!(gc n. 616 del 5/6162 sulla sicurezza della navigazione e della vita umana in mare.
• • Il titolo IV è stato abrogato in seguito all'entrnta in vigore del Uegola,nento di Mcurezu, per la 11,wigazivne dt:, diporto.

36
di navigazione ed al servizio cui essa dev'essere destinata. Art. 24
2. Le visite sono effettuate prima che la nave entri in Visite periodiche
servizio e comprendono un'ispezione completa della strut·
tura, delle macchine, del materiale di armamento, un'ispe- Le visite periodiche sono effettuate per accertare che
zione a secco della carena e un'ispezione interna ed esterna persistano a bordo le condizioni esistenti all'atto della visita
delle caldaie. iniziale.
3. Le visite devono essere effettuate in modo da atte-
stare che le sistemazioni, il materiale, i dimensionamenti Art. 25
della struttura, le caldaie e gli altri recipienti a pressione e Visite periodiche ai gcilleggianti
loro ausiliari, le macchine principali ed ausiliarie, le instal- 1. In occasione delle visite periodiche possono essere
lazioni elettriche, le installazioni radio, tutte le altre parti omesse, per i galleggianti adibiti a servizi nei porti o nelle
dell'armamento, gli apparecchi ricetrasmettitori fissi e por- immediate vicinanze, le visite a secco della carena e quelle
tatili per mezzi collettivi di salvataggio, i dispositivi antin- ai macchinari, che dovranno però essere eseguite almeno
cendio, la scaletta per i piloti, i mezzi di segnalazione, la la- ogni quattro anni.
vorazione di tutte le parti della nave e del relativo arma- 2. Allorché trattasi di carene particolarmente protette,
mento, siano integralmente conformi alle prescrizioni del gli intervalli fra le visite a secco della carena possono esse-
presente regolamento ed alle altre norme in materia di si- re prolungati dall'autorità marittima, su parere dell'ente
curezza della navigazione e della vita umana in mare. tecnico. Ciò dovrà risultare nella annotazione di sicurezza
4. Nella visita iniziale deve anche essere controllato che prevista dalla tabella D.
siano state eseguite le prove idrauliche concernenti: 3. Se un galleggiante deve affrontare navigazione in
CL) le caldaie principali ed ausiliarie; mare aperto, e sono passati due anni dall'ultima visita sen-
h) le relative connessioni e tubolature cli vapore; za che sia stata effettuata quella a secco della carena, que-
e) le bombole e i serbatoi d'aria compressa; st'ultima visita dev'essere preventivamente eseguita. Il mi-
d) le relative connessioni e tubolature d'aria compressa; nistero, sentito l'ente tecnico, può autorizzare la predetta
e) i depositi e le casse di combustibile liquido per uso navigazione a determinate condizioni al fine di consentire
dell'apparato motore; il trasferimento del galleggiante in un porto attrezzato per
j) le cisterne, le casse, i doppi fondi strutturali dello l'esecuzione della visita a secco.
scafo.
5. Le prove idrauliche possono essere sostituite con al-
tre ritenute idonee dall'ente tecnico. Art. 26
Visite occasionali
1. Una visita occasionale, generale o parziale secondo i
casi, dev'essere effettuata ogni volta che si verifichi un sini-
stro o si manifesti un difetto che comprometta la sicurezza
Art. 22 della nave o l'efficienza o l'integrità dei mezzi di salvatag-
Visitci iniziale per la navi_gcibilità gio o di altri apparati, ed ogni qualvolta la nave subisca ri-
parazioni o innovazioni importanti. La visita dev'essere
1. La visita iniziale deve essere effettuata sulla base dei eseguita in modo da garantire che le riparazioni o innova-
regolamenti dell'ente tecnico, tenuto conto del tipo di nave zioni sono state effettivamente compiute, che i materiali
e del servizio al quale è destinata. impiegati per le riparazioni o innovazioni e la loro esecuzio-
2. L'ente tecnico può non effettuare il collaudo: ne sono soddisfacenti sotto ogni punto di vista e che la nave
a) per le navi di nuova costruzione, in acciaio, dei mate- risponde a tutte le prescrizioni vigenti.
riali costituenti lo scafo purché per essi sia prodotto certifi- 2. Le imbarcazioni da diporto e le navi di cui al libro III,
cato di collaudo di fabbrica che indichi la qualità e le carat- titolo IV, sono soggette a visite occasionali quando ciò sia
teristiche dei materiali stessi e l'idoneità di essi in relazione ritenuto opportuno da lla autorità marittima o quando per
ai mezzi di collegamento adottati; gravi avarie subite dalla nave o per notevoli mutamenti ap•
b) per tutte le navi nuove o esistenti, dell'apparato prin- portati allo scafo o all'apparato motore della medesima ven-
cipale di propulsione, di potenza fino a 300 cavalli, e relati- gono meno i requisiti in base ai quali sono state effettuate
va linea d'asse (o linee d'assi) purché per essi sia prodotto le annotazioni di sicurezza di cui alla tabella D.
certificato di collaudo di fabbrica. 3. Dopo un periodo di disarmo di durata superiore a tre
3. Non sono richiesti certificati di collaudo: mesi deve essere eseguita una visita occasionale mirant e ad
a) per le navi esistenti, dei materiali costituenti lo sca- accer tare il mantenimento delle condizioni di sicurezza e
fo, purché si tratti di navi con a lmeno quattro anni di effet- navigabilità attestate dal certificato in vigore.
tivo esercizio; dell'apparato motore e dell'asse portaelica (o 4. Dopo un periodo di disarmo di qualunque durata, ma
assi portaeliche), se in servizio da almeno quattro anni; nei limiti di validità delle annotazioni di sicurezza, sono
b) per tutte le navi nuove o esistenti, dei macchinari au- esentate dalla visita occasionale:
siliari, i quali devono comunque essere assoggettati a prova a) le navi da pesca di stazza lorda uguale o inferiore a
di funzionamento, a giudizio dell'ente tecnico. 200 tonnellate;
b) le navi da diporto di stazza lorda uguale o inferiore a
100 tonnellate;
e) le navi ad uso privato;
d) i galleggianti di stazza lorda uguale o inferiore a 400
Art. 23 tonnellate.
Visite iniziCLli per costruzioni in serie di navi di stazza
lorda non .superiore a 10 tonnellate, imbCLrcazùmi da Art. 27
diporto e refotivi cipparati motori
Equivalenza
Per la costruzione in serie di navi di stazza lorda non su- 1. La domanda diretta ad ottenere il riconoscimento dì
periore a 10 tonnellate, di imbarcazioni da diporto e dei re- equivalenza di cui all'art. 12 della legge deve essere corre•
lativi apparati motori, la visita iniziale si effettua al solo data da una relazione tecnica.
prototipo mentre le corrispondenti unità di serie sono sog- 2. Il Ministero può incaricare l'ente t ecnico o altr i enti
gette ad una ricognizione intesa ad accertare la loro rispon- particolarmente qualificati degli accerta menti necessari
denza alle caratterist iche del prototipo. per il rilascio di tale riconoscimento, salva in ogni caso la

37
competenza del Ministero delle poste e delle telecomunica- Art. 32
zioni per gli impianti, i dispositivi e gli apparecchi radioelet- Mantenimento delle condizioni dopo le visite
trici.
1. Dopo che una delle visite di cui all'art. 16 è stata com-
Art. 28 piuta, nessun cambiamento può essere apportato alle siste-
Accrrtament-i per le annotazioni di sicurezza mazioni strutturali, al macchinario, all'armamento e in ge-
nerale a tutto ciò che ha formato oggetto della visita stessa.
Per le annotazioni di sicurezza delle navi, imbarcazioni a meno che la nave venga sottoposta a visita occasionale.
e galleggianti di cui alla lettera m) dell'allegata tabella D 2. L'autorità marittima, sentito, ove lo ritenga opportu-
deve essere sentito l'ente tecnico quando si tratti di accer- no, l'ente tecnico, può ammettere quei cambiamenti che, a
tamenti relativi al macchinario principale e ausiliario, alle suo giudizio, siano di lieve entità.
caldaie ed agli altri recipienti a pressione, ai macchinari 3. Il comando di bordo ha l'obbligo di sostituire imme-
azionati da energia elettrica, all'impianto elettrico, ed in diatamente, di propria iniziativa, le dotazioni che presenti·
ogni altra circostanza in cui sia ritenuto necessario dall'au- no deterioramenti o deficienze tali da comprometterne l'ef-
torità marittima di procedere a particolari accertamenti ficienza.
tecnici.
Art. 33
Controlli
Art. 29
A cccr/.amenti sulle ·na·vi esistenti L'autorità marittima, nell'esercizio dei suoi poteri di
controllo di cui al terzo comma dell'art. 1 della legge, può
L'applicazione dei criteri di tolleranza stabiliti nella ta- farsi assistere dall'ente tecnico ovvero può disporre, ove lo
bella B ed il giudizio sulla praticità e ragionevolezza dell'ap- ritenga opportuno, speciali accertamenti prima di adottare
plicazione del presente regolamento alle navi esistenti sono le misure stabilite nel comma citato.
demandati ai capi di compartimento marittimo che vi prov-
vederanno:
a) sulla base di rapporti e pareri dell'ente tecnico per Art. 34
quanto riguarda la materia indicata nella tabella B seconda Controllo speciale a navi nucleari
parte e lettera f> della prima parte;
b) sulla base dei rapporti e dei pareri delle commissioni di 1. Le navi di bandiera estera a propulsione nucleare per
accedere nei porti nazionali, devono essere preventivamen-
visita previste dalla legge e dal presente regolamento per la
rimanente materia. Tali commissioni, fermo il disposto del- te autorizzate dal Ministero.
l'art. 27 della legge, possono acquisire, ai fini dei propri ac- 2. Prima di entrare nei porti le navi a propulsione nu-
certamenti, documenti rilasciati dall'ente tecnico concernen- cleare devono essere sottoposte, dalle competenti autorità
governative, a controllo speciale allo scopo di verificare che
ti l'oggetto degli accertamenti stessi.
vi sia a bordo un certificato valido di sicurezza per navi a
propulsione nucleare e l'assenza di un livello irragionevole
Art. 30 di radiazioni o di altri pericoli di origine nucleare, in mare
Casi di emergenza; preparazione degli equipaggi; o in porto, per tutte le persone imbarcate, le popolazioni, le
organizzazione ed efficienza dei .~ervizi di bordo vie navigabili, gli alimenti e le acque.
3. Il controllo speciale, per i porti nazionali, deve essere
1. Per le navi di stazza lorda uguale o superiore a 200 effettuato da una commissione composta da:
tonnellate, l'autorità marittima deve procedere alla visita a) un ufficiale della capitaneria di porto;
dei servizi di bordo al fine di accertarne l'organizzazione e b) un rappresentante del Ministero dell'interno, direzio-
l'efficienza per i casi di emergenza e per controllare il corri- ne generale della protezione civile e dei servizi antincendi;
spondente grado di preparazione dell'equipaggio. e) un rappresentante del Ministero della sanità;
2. La visita deve essere eseguita in occasione di ogni d) un esperto del comitato nazionale per l'energia nu-
nuovo armamento e poi, periodicamente, ogni anno, compa- cleare:
tibilmente con l'impiego commerciale della nave. L'inter- e) un rappresentante del!' ente tecnico.
vallo fra due visite non deve superare i 14 mesi, salvo casi 4. La commissione deve accertare il sussistere delle
eccezionali a giudizio dell'autorità marittima. condizioni di sicurezza per tutta la durata della sosta della
3. La visita deve pure essere eseguita ogni qualvolta nave nell'area portuale.
l'autorità marittima abbia motivo di dubitare che il grado
di preparazione dell'equipaggio e l'efficienza dei servizi di
bordo per l'emergenza siano andati soggetti a menoma- Art. 35
zione. Piani da presentare alla commi.ssiom di vi sita
4. L'autorità marittima che provvede alle visite ne fa
1. Almeno sette giorni prima della visita iniziale della
annotazione nel ruolo di equipaggio o nella licenza e ne dà nave gli interessati devono mettere a disposizione della
comunicazione al ministero indicandone l'esito, i rilievi for• commissione di visita, con il visto di approvazione dell'ente
mulati ed i provvedimenti adottati.
tecnico, i seguenti piani o computi, salvo quelli che non sia-
no ritenuti necessari dall'ente tecnico in relazione alla
Art. 31 grandezza o al tipo della nave o al servizio cui essa è desti-
Deficienze ed inconvenienti temporaneamente tollerabili nata, riguardanti:
a) la compartimentazione di galleggiabilità, per le navi
Qualora, durante le visite, si rilevino deficienze o incon- che vi sono soggette;
venienti che possono essere temporaneamente tollerati, il b) l'impianto centralizzato di manovra delle porte sta-
capo del circondario marittimo dispone a proprio giudizio e gne, se esiste;
la commissione di visita propone nel verbale di visita il ter- e) la compartimentazione tagliafuoco, per le navi che vi
mine entro il quale si deve procedere alla eliminazione delle sono soggette;
deficienze o inconvenienti medesimi. In tal caso l'autorità d) tutte le sistemazioni antincendio mobili e fisse, com-
marittima può rilasciare o rinnovare o convalidare i certifi- presi gli impianti fissi per la segnalazione e l'estinzione de-
cati e le annotazioni di sicurezza con validità limitata, noti- gli incendi, per le navi che devono esserne dotate;
ficando all'armatore ed al comandante della nave il predet- e) i mezzi di sfuggita;
to termine. j) la sistemazione dei mezzi di salvataggio;

38
g) la sistemazione degli organi di governo; 3. Il certificato d i sicurezza per le dotazioni di nave da
h) la sistemazione delle bussole; carico deve comprovare che la nave soddisfa alle prescrizio-
i) la sistemazione dei fanali; ni del presente regolamento ed alle altre norme per la sicu-
l) le trasmissioni degli ordini; rezza della navigazione e della vita umana in mare che ri-
m) i computi relativi alla stabilità a nave integra e in guardano:
condizioni di allagamento, per le navi che sono soggette a a) i mezzi per la protezione attiva contro gli incendi ed
norme su tali condizioni. i relativi piani;
2. Deve essere messo a disposizione della commissione b) i mezzi di salvataggio;
ogni eventuale altro piano prescritto dal Ministero o richie- e) la scaletta per il pilota;
sto dall'ente tecnico. d) i mezzi di segnalazione (fanali, segnali, bandiere ed
altri strumenti di segnalazione ottica o sonora);
e) le sistemazioni e dotazioni varie.
Capitolo II
D<>CU MENTI RELATIVI ALLA SICUREZZA DELLA NAVIGAZIONE
Art. 39
Art. 36 Oggetto dei certificati di sicurezza
Certificati -per navi a propulsione nucleare

I documenti comprovanti l'adempimento delle prescri- 1. Il certificato di sicurezza per nave passeggeri a pro·
zioni relative alla sicurezza della vita uma na in mare consi- pulsione nucleare deve comprovare che la nave soddisfa, ol-
stono nei certificati indicati nella tabella D. tre che alle prescrizioni indicate nell'art. 37, alle a ltre pr e-
scrizioni stabilite per le navi di questo tipo.
2. Il certificato di sicurezza per nave da carico a propul-
Art. 37 sione nucleare deve comprovare che la nave soddisfa, oltre
Oggetto del certificato di sicurezza per na:vi da passeggeri che alle pr escrizioni indicate nell'art. 38, alle altre prescri-
zioni stabilite per le navi di questo tipo.
Il certificato di sicurezza per navi da passeggeri de- 3. I certificati di sicurezza per navi da passeggeri e da
ve comprovare che la nave soddisfa alle prescrizioni del carico a propulsione nucleare sono rilasciati dall'autorità
presente regolamento ed alle altre norme per la sicurez- marittima in base alle disposizioni contenute nel capo IV
za della navigazione e della vita umana in mare che ri- della legge. La commissione di visita di cui all'art. 25 della
guardano: legge dev'essere integrata con un ispettore del corpo nazi o•
a) lo scafo, il macchinario principale ed ausiliario, le cal- nale dei vigili del fuoco e con un esperto del comitato nazio-
daie e gli altri recipienti a pressione, l'impianto elettrico; nale per l'energia nucleare.
b) il materiale d'armamento;
e) la galleggiabilità e la relativa compartimentazione;
d) la stabilità;
Art. 40
e) i mezzi di esaurimento;
Rapporto di sic·u.rezza per le navi nucleari
j) gli organi di governo; 1. La nave nucleare dev'essere in possesso di un «Rap-
g) i mezzi di marcia indiet ro; porto di sicurezza» che permetta la valutazione della sicu-
h) i mezzi di trasmissione d'ordine; rezza dell'impianto nucleare e della nave al fine di assicura-
i) le sistemazioni ed i mezzi di protezione contro gli in- re l'assenza di un livello irragionevole di radiazioni o di altri
cendi ed i relativi piani; pericoli di origine nucleare, in mare o in porto, per tutte le
!) i mezzi di sfuggita; persone imbarcate, le popolazioni, le vie navigabili, gli ali•
m) i mezzi di salvataggio; menti e le acque.
n) la scaletta per il pilota; 2. Tale rapporto deve essere sottoposto all'approvazio-
o) i mezzi di segnalazione (fanali, segnali, bandiere ed ne del Ministero, e deve essere sempre tenuto aggiornato.
altri strumenti di segnalazione ottica o sonora); Deve a ltresì essere reso disponibile con sufficiente anticipo
p) gli impianti radiotelegrafici e radiotelefonici; per i Governi dei Paesi in cui la nave nucleare intende re-
q) le sistemazioni e dotazioni varie. carsi in modo che essi possano valutare la sicurezza della
nave.
Art. 38
Art. 41
Oggetto dei certificati di sicurezza per navi da carico Manuale di esercizio per le navi nucleari
1. Il certificato di sicurezza di costruzione per nave da
Deve esser e preparato un completo e dettagliato ma-
carico deve comprovare che la nave soddisfa alle prescr izio-
nuale, ad uso del personale addetto, cont enente informazio-
ni del presente regolamento, ed alle altre norme per la sicu-
ni e direttive per la condotta della insta llazione nucleare
rezza della navigazione e della vita umana in mare che ri-
con speciale riguardo a lle norme da osservare ai fini della
guardano:
sicurezza. Tale manuale deve sempre essere sottoposto al-
a) lo scafo, il macchinario principale ed ausiliario, le cal-
l'approvazione del Ministero e deve sempre essere tenuto
daie e gli altri recipienti a pressione, l'impianto elettrico;
b) il materia le d'armamento;
aggiornato. Alcune copie del manuale devono essere tenute
a bordo della nave a disposizione del personale interessato.
e) la stabilità;
d) i mezzi di esaurimento;
e) gli organi di governo; Art. 42
j) i mezzi di marcia indietro; Oggetto dei certificati di sicurezza
g) i mezzi di trasmissione di ordini; radiotelegrafica e radiotelefonica
h) le sistemazioni di protezione passiva contro gli in•
cendi; 1. Il certificato di sicurezza radiotelegrafica per nave da
i) i mezzi di sfuggita. carico deve comprovare che l'impianto radiotelegrafico del·
2. All'esecuzione delle visite concernenti il cert ificato di la nave, gli impianti r adiotelegrafici delle imbarcazioni di
sicurezza di costruzione per nave da carico ed al rilascio del salvataggio a motore e gli apparecchi radio portatili per im-
certificato medesimo provvede l'ente tecnico secondo i pro- barcazioni o zatt ere di salvataggio soddisfano alle prescri-
pri regolamenti. zioni stabilite nel presente regolamento.

39
2. Il certificato di sicurezza radiotelefonica per nave da della legge 11 febbraio 1971 n. 50, hanno validità non supe-
carie-o deve comprovare che l'impianto radiotelefonico della riore a cinque anni.
nave. gli impianti radiotelefonici delle imbarcazioni di sal- 4. Gli altri certificati indicati nell'allegata tabella D
vataggio a motore e gli apparecchi radio portatili per im- hanno la validità stabilita dall'art. 6, penultimo ed ultimo
barcazioni o zattere di salvataggio soddisfano alle prescri- comma, della legge.
zioni stabilite nel presente regolamento. 5. Se una visita ha luogo entro i due mesi che precedono
la scadenza del periodo di validità di un certificato di sicu-
rezza radiotelegrafica o di un certificato di sicurezza radio-
Art. 43 telefonica rilasciato ad una nave da carico di stazza lorda
Oggetto del certificalo di esenzione uguale o superiore a 300 tonnellate ma inferiore a 500 ton-
nellate, tale certificato può essere ritirato e può essere rila-
Il certificato di esenzione deve elencare le singole esen- sciato un nuovo certificato con validità fino a 12 mesi dopo
zioni accordate. la scadenza del suddetto periodo.

(Omissis)
Art. 44
Og_qetto del certificaio di idoneità
TABELLA D
li certificato di idoneità deve comprovare che la nave
soddisfa alle prescrizioni applicabili dell'art. 37 e dell'art. DOCUMENTI RELATIVI ALLA SICUREZZA
38, primo e terzo comma. DELLA NAVIGAZJONE

a) certificato di sicurezza per navi da passeggeri: per le


Art. 45 navi da passeggeri in navigazioni internazionali;
Allegato al certificato di sicurezza per nave da. pa.sseggeri b) certificato di sicurezza di costruzione per nave da ca--
rie o: per le navi da carico di stazza lorda uguale o superiore
1. Le navi da passeggeri che nel corso di un particolare a 500 tonnellate in navigazioni internazionali;
viaggio internazionale hanno a bordo un numero di persone c) certificato di sicurezza per le dotazioni di natJe da co-
inferiore al numero totale stabilito nel «certificato di sicu- rico: per le navi da carico di cui al precedente punto b);
rezza per nave da passeggeri» possono essere autorizzate, d) certificato di sicurezza radiotelegrafica per nave da,
secondo le disposizioni del presente regolamento, ad avere carico: per le navi da carico di stazza lorda uguale o superio-
un numero di imbarcazioni o di altri mezzi di salvataggio in- re a 1600 tonnellate in navigazioni internazionali;
feriore a quello stabilito nel certificato. Tale autorizzazione e) certificato di sicurezza radiotelefonica per nave da
deve risultare da un «allegato al certificato di sicurezza per carico: per le navi da carico di stazza lorda uguale o superio-
nave da passeggeri». re a 300 tonnellate e inferiore a 1600 tonnellate, in naviga-
2. L'«allegato» viene rilasciato dalle stesse autorità che zioni internazionali;
rilasciano i certificati di sicurezza e deve specificare che, f) certificato di sicurezza per na.ve da, pa.sseggeri a pro-
nelle suddette circostanze, non vi è alcuna violazione delle pulsione nucleare: per le navi da passeggeri a propulsione
disposizioni del presente regolamento. Esso può sostituire nucleare in navigazioni sia internazionali sia nazionali;
il certificato di sicurezza solo per quanto riguarda le imbar- g) certificato di sicurezza per nave da. carico a propul-
cazioni o gli altri mezzi di salvataggio ed è valido limitata- siom; nucleare: per le navi da carico a propulsione nucleare
mente al singolo viaggio per il quale è stato rilasciato. in navigazioni sia internazionali sia nazionali;
h) certificato di esenzione: per le navi indicate nelle let-
tere precedenti, per le quali sia stata accordata l'esenzione
Art. 46 dell'applicazione di una o più norme della legge o del pre-
Oggetto delle annotazioni di sicurezza sente regolamento;
i) allegato al certificato di sicurezza per nave da passeg-
Le annotazioni di sicurezza di cui all'art. 4 della legge geri: per le navi da passeggeri di cui all'art, 45;
devono essere effettuate sul ruolo d'equipaggio o sulla li- 1) certificato di idoneità: per le navi da carico di stazza
cenza in modo da comprovare a quali prescrizioni del pre- lorda inferiore a 500 tonnellate in navigazioni internaziona-
sente regolamento è soggetta la nave e con quali eventuali li, nonché per le navi da passeggeri o da carico di stazza lor-
limitazioni. da uguale o superiore a 25 tonnellate in navigazioni na-
zionali· ·
m) 'llnnotazfoni di sicurezza.; per le navi ed i galleggian-
Art. 47 ti di cui al secondo comma dell'art. 4 della legge e cioè:
Durata dei certificati e delle annotazioni di sicurezza navi da passeggeri di stazza lorda inferiore a 25 tonnel-
late in navigazioni nazionali, compresi i traghetti abilitati al
1. I certificati di sicurezza per navi da passeggeri a pro- trasporto di passeggeri nei suddetti limiti di stazza e navi-
pulsione nucleare e per navi da carico a propulsione nuclea- gazioni;
re hanno validità non superiore a dodici mesi. navi da carico di stazza lorda inferiore a 25 tonnellate in
2. I certificati di sicurezza di costruzione per navi da ca- navigazioni sia internazionali sia nazionali, compresi i tra-
rico hanno validità di quattro anni, con obbligo di visite pe- ghetti non abilitati al trasporto di passeggeri, i rimorchiato-
riodiche, da effettuarsi ad intervalli di due anni, e con possi- ri, le navi di salvataggio, le navi da pesca, nei suddetti limiti
bilità di proroga, da parte dell'ente tecnico, rispettivamen- di stazza e navigazioni;
te di un anno e di quattro mesi. navi ed imbarcazioni da diporto e ad uso privato di qual-
3. Le annotazioni di sicurezza hanno validità non supe- siasi stazza e adibite a qualsiasi navigazione;
riore a due anni, tranne che per le navi ed imbarcazioni da galleggianti di qualsiasi stazza e adibiti a qualsiasi navi-
diporto per le quali, a termine dell'art. 12, ultimo comma, gazione o zona d'impiego.

40
5. Qualità essenziali delle navi

Dalla stessa definizione di nave si rileva che questa deve essere robusta
e impermeabile all'acqua perché possa conservare, in ogni circostanza, la
indispensabile galleggiabilità.
Si può quindi affermare che
• la galleggiabilità
• la impermeabilità
• la robustezza
sono qualità essenziali per una nave.
La galleggiabilità si basa sul principio di Archimede 22 e sussiste sol-
tanto se la nave è in grado di ricevere, dall'acqua in cui si trova parzialmen-
te immersa, una spinta uguale al suo peso.
Cioè, se indichiamo conS la spinta dell'acqua e con P il peso della nave,
dovrà essere:
S=P
Ma il principio di Archimede stabilisce che:
S=r•V
dove V rappresenta il volume dell'acqua spostata e y il suo peso spe-
cifico.
Perciò sarà anche:
P=yV
Avendo presente che il volume V dell'acqua spostata (dislocata) dalla
nave è necessariamente uguale al volume della sua parte immersa (carena),
è facile intuire la fondamentale importanza della relazione scritta.
La sua applicaziòne consente infatti di determinare la massa di una
nave, massa che d'ora innanzi chiameremo dislocamento e indicheremo con
il simbolo ~ . quando siano noti il volume V della sua parte immersa o care-
23
na e la densità w (massa volumica) dell'acqua in cui galleggia.
Cioè:
~ =WV
Esprimendo V in m 3 e w in t/m 3 , il dislocamento ~ risulta espresso in
tonnellate.
Alla densità dell'acqua di mare si assegna il valore medio:
W=l,025
e pertanto sarà:
d=l,025 V

22 Un corpo immerso in un liquido riceve da questo una spinta diretta verso l'alto pari
al peso del liquido spostato.
23
Dislocamento e massa possono assumere valori diversi in particolari situazioni. Il di-
slocamento di una nave incagliata risulta infatti minore della sua massa; la nave in bacino non
disloca nemmeno una tonnellata d' acqua quando è a secco, ma la sua massa ha evidentemente
un valore ben definito.

41
L'impermeabilità è indispensabile per conservare la galleggiabilità e
assicurare quindi la stessa esistenza della nave.
Ciò si comprende facilmente tenendo presente che una eventuale assen-
za di impermeabilità consentirebbe infiltrazioni d'acqua all'interno della
nave e che tali infiltrazioni finirebbero con il rendere impossibile, prima o
poi, quella uguaglianza fra il peso e la spinta che è condizione essenziale per
la sua galleggiabilità.
Infatti, a causa del crescente peso dell'acqua imbarcata, il peso della
nave finirebbe con l'assumere un valore non più uguagliabile dalla spinta
e si avrebbe, come naturale conseguenza, il suo affondamento.
Ben sì giustifica dunque l'attenzione con cui si sbarrano tutte le possibili
vie attraverso le quali l'acqua potrebbe penetrare all'interno della nave. A
tal fine si provvedono di adatti mezzi di chiusura le aperture che servono
per l'imbarco e lo sbarco delle persone e delle merci e si eliminano tutte le
fessure esistenti sulla superficie esterna con una operazione che si chiama
cala/alaggio.
La robustezza è necessaria per evitare che la nave possa subire perico-
lose deformazioni o rotture a causa del suo stesso peso, dei carichi che tra-
sporta e del moto ondoso dell'acqua in cui galleggia.
Quando si consideri che la nave è un corpo internamente cavo, che può
assumere un peso enorme e che si trova sovente in acque molto agitate, ap-
pare evidente l'esigenza di assicurarle una grande robustezza. Per raggiun-
gere questo risultato si inseriscono nella sua costruzione numerose e ben
calcolate parti resistenti che formano un sistema strutturale capace dì sop-
portare tutte le prevedibili sollecitazioni cui essa sarà sottoposta.

6. Qualità nautiche delle navi

In aggiunta alle qualità che abbiamo definito essenziali, una nave pos-
siede, in maggiore o minor misura, alcune caratteristiche che rivelano la
sua attitudine a svolgere il servizio marittimo al quale viene destinata e che
si chiamano qualità nautiche. Queste sono:
• la stabilità;
• la dolcezza di oscillazione;
• la velocità;
• la manovrabilità;
• la stabilità di rotta.

Per stabilità di una nave si intende, in generale, la facoltà di conservare


la sua posizione di equilibrio. E poiché la posizione normale di equilibrio è
quella di nave diritta, possiamo definire stabilità di una nave la sua attitudi-
ne a resistere alle forze che tendono a inclinarla e la capacità di raddrizzarsi
spontaneamente quando cessa l'azione di queste.
Osserviamo che la stabilità di una stessa nave può variare notevolmen-
te, poiché il suo valore dipende anche dalla posizione in cui viene disposto
il carico di volta in volta imbarcato. 24
Il navigante ha quindi la possibilità di decidere, in molti casi, se assicura-
re alla sua nave una grande stabilità o una stabilità moderata, ma vedremo
che preferirà sempre quest'ultima condizione.

24 La stabilità aumenta concentrando i pesi nella parte inferiore della nave.

42
Infatti, se è vero che una nave dotata di grande stabilità oppone una ele-
vata resistenza alle forze che tendono a inclinarla, è pur vero che in tali con-
dizioni, cessata la causa perturbatrice del suo equilibrio, essa tende a ritor-
nare rapidamente nella sua posizione diritta. Questa tendenza potrebbe
sembrare apprezzabile, ma determina in realtà una situazione dannosa
quando la nave si trova in acque agitate, perché è causa di bruschi movi-
menti oscillatori che mettono a dura prova la sua resistenza. 2''
La dolcezza di oscillazione è caratteristica delle navi che oscillano len-
tamente quando si trovano in acque agitate.
Tenendo presenti le considerazioni riguardanti la stabilità, risulta evi-
dente lo stretto legame esistente fra queste due qualità nautiche e si com-
prende facilmente che, per non privare la nave della possibilità di oscillare
lentamente, occorre assicurarle una sufficiente ma non eccessiva capacità
di resistenza alle inclinazioni, assegnandole una stabilità moderata.
La velocità è una caratteristica di notevole importanza economico-
commerciale oltreché tecnico-nautica. Da essa dipe ndono infatti, non solo
la possibilità di mantenere la nave sotto governo e condurla a destinazione,
ma anche la rapidità con cui possono realizzarsi i suoi spostamenti da un
luogo all'altro, con conseguenze sensibili sulla convenienza del servizio
svolto.
In passato il moto della nave si otteneva soltanto sfruttando l'azione
esercitata dal vento sulle vele (propulsione velica) e pertanto le velocità che
si potevano sviluppare risultavano estremamente variabili e limitate a valo-
ri assai modesti.
È quindi comprensibile l'abbandono della propulsione velica e la genera-
le adozione di quella meccanica, ovvero di un sistema di propulsione che si
basa sulla disponibilità di un adeguato apparato motore e di uno o più pro-
pulsori per assicurare alla nave una ben determinata velocità di eser-
cizio. 26
La manovrabilità indica la prontezza con cui la nave risponde ai coman-
di che le vengono impartiti attraverso il timone.
È una qualità strettamente collegata alla velocità, 27 ma che dipende
anche dalle condizioni di carico e dal criterio seguito nella sua sistemazione
a bordo. 28
La stabilità di rotta è caratteristica delle navi che tendono a ma ntener-
si nella direzione loro assegnata, senza eccessivi e troppo frequenti inter•
venti della persona addetta alla manovra del timone (timoniere).
Le condizioni che assicurano una buona stabilità di rotta sono general-
mente dannose per la manovrabilità, tuttavia non è difficile ottenere una

2
'' Le notevoli accelerazioni angolari che si sviluppano in tali circostanze danno origine
a grandi forze d' inerzia che possono anche provocare gravi danni alla nave.
26 La propulsione velica è ormai limitata a l naviglio da diporto e a quello destinato a ll'i-
struzione nautica.
27 Non sussiste evidentemente, alcuna manovrabilità per una nave ferma.
28 A parità di altre condizioni è più manovrabile la nave scarica; la manovrabilità della
nave carica viene favorita concentrando i pesi nella sua parte centrale.

43
soddisfacente disponibilità dell'una e dell'altra se si distribuisce adeguata-
mente il carico imbarcato. 29
Dalle considerazioni svolte si deduce che le qualità nautiche, a differen-
za di que1le essenziali, possono variare, per una stessa nave ed entro deter-
minati limiti, al variare del servizio al quale essa è adibita e delle condizioni
in cui questo si svolge.
È compito del navigante valutare ogni singola situazione e operare per
dare maggiore consistenza a questa o a quella qualità nautica, tuttavia, at-
traverso una opportuna distribuzione dei pesi, egli tenderà normalmente a
dotare la propria nave di una buona stabilità senza privarla della necessaria
dolcezza di oscillazione e ad assicurarle la massima manovrabilità compati-
bilmente con l'esigenza di non compromettere la sua stabilità di rotta.
La velocità dipende ovviamente dalle caratteristiche dell'impianto di
propulsione, ma è evidente che essa può sempre essere regolata, al di sotto
del suo valore massimo, utilizzando solo una parte della potenza svilup-
pabile.

7. Parti principali della nave

La più generale suddivisione della nave è quella che distingue il suo cor-
po vero e proprio dalle parti ad esso sovr apposte, e cioè Io scafo dalle sovra-
strutture (fig. 2).

.,
-~- ...._:._~. ·-·

2 • Parti principali Lo scafo è la parte più importante della nave; è un corpo solido e stagno
nave: a) scafo; b) che racchiude i volumi necessari per la sistemazione di persone o merci e
sovrastrutture.
dove trovano posto i macchinari per la propulsione e il governo della nave.
Le sovrastrutture sono costruite al di sopra dello scafo e solitamente
destinate a contenere alloggi per l'equipaggio e gli eventuali passeggeri, e
i locali necessari per la condotta della navigazione e per il disbrigo dei di-
versi servizi che essa comporta.

29
Si ottiene questo risultato distribuendo i pesi in modo che risulti più immersa la parte
posteriore della nave. Le par ti estreme devono però essere lasciate leggere, rispetto a quella
centrale, per non compromettere la manovrabilità e per dare alla nave la possibilità di affron-
tare eventuali tempeste nelle migliori condizioni.

44
Sulle sovrastrutture si trovano inoltre i mezzi di salvataggio in dotazio-
ne alla nave e sono generalmente installati anche i dispositivi e i meccani-
smi necessari per la caricazione e la scaricazione delle merci e per l'ormeg-
gio e il disormeggio della nave.
Scafo e sovrastrutture sono costituiti da un insieme di elementi resi-
stenti che prendono il nome di ossature e da un involucro che le ricopre
esternamente e che si chiama fasciame.
Le ossature danno alla nave la forma e la necessaria robustezza; il fa-
sciame, assicurandone l'impermeabilità, rende possibile la galleggiabilità
della nave e contribuisce anche ad accrescerne la solidità.
La parte resistente della nave è lo scafo; le sue ossature sono quindi ade-
guatamente proporzionate, distribuite e orientate in modo da formare nel
complesso un sistema strutturale capace di sopportare tutte le sollecitazio-
ni derivanti dalle azioni delle forze che agiscono dall'esterno e all'interno
della nave stessa.
Le sovrastr utture non richiedono particolari irrobustimenti, tuttavia la
loro presenza contribuisce anche alla generale solidità dello scafo. 30

8. Materiali usati per la costruzione delle navi

In epoca ormai remota, ossature, e fasciami delle navi erano in legno e


consistevano in travi e tavole che si ricavavano da quelle ritenute le più ido-
nee, fra le tante varietà di legnami disponibili.
Ma la necessità di costruire rapidamente navi sempre più grandi, dure-
voli, sicure e leggere, impose l'abbandono del legno e la sua sostituzione
con materiali più resistenti e facilmente lavorabili.
Le prime trasformazioni si ebbero nella seconda metà del secolo XVIII.
Si cominciò dapprima a inserire il ferro nelle costruzioni tradizionali e si
realizzarono navi che vennero definite composite perché avevano ossature
metalliche e fasciami in legno.
Ben presto però, dimostratosi infondato il timore di un rapido deterio-
ramento dei fasciami metallici e cadute le riserve determinate dalla loro mi-
nore resistenza agli urti, si costruirono in ferro anche i fasciami, finché non
si rinunciò anche all'impiego di questo materiale per passare alla costruzio-
ne di navi in acciaio .
Le navi moderne vengono costruite usando prevalentemente acciai a
basso tenore di carbonio (0,18-:-0,23%) che si definiscono genericamente
acciai dolci e che il R.I.Na suddivide in acciai or dinari da scafo e in acciai
ad elevata resistenza (ER) da scafo, tenendo conto delle loro caratteristiche
chimiche, meccaniche e tecnologiche.
Per la costruzione delle parti cui si richiedono speciali requisiti (cal-
daie, recipienti in pressione, sistemi di contenimento del carico delle
navi cisterna per il trasporto di gas liquefatti, ecc.) si usano acciai aventi
caratteristiche particolari e che si definiscono acciai al carbonio o al

30
Alcuni tipi di navi hanno sovr astrutture che, agli effetti strutturali, si considerano in-
corporate nello scafo resistente.

45
car bonio-manganese, a,cciai a.l molibdeno o al cromo-moli bdeno, a,ccùà.fer-
ritici (Ll nichel.
L'acciaio viene solitamente utilizzato sotto forma di larniere o di prnfila-
t1: ottenuti con laminazione a caldo, tuttavia lo si ritrova talvolta a nche sot-
to forma di tubi ottenuti per trafilatura a caldo e di pezzi m assicci fucinati
o fusi.

Le lamiere servono per costruire i fasciami e vengono disposte in file


che si chiamano cors·i; hanno grossezza variabile da pochi millimetri a 40
mm e formano superfici i cui lati lunghi - orli - raggiungono i 15 m di
lunghezza e quelli cor ti - teste - i 3 m.
I profilati, i tubi e i pezzi massicci sono usati come ossature e vanno
quindi a formare le parti resistenti della nave.
I profilati di più largo impiego (fig. 3) sono gli a,ngolari (verghe a L), gli
angolari con bulbo (verghe a L con bulbo), i ferri <L canale (verghe a C), i
ferri a T e a doppia T ( I ), i f erri pi atti con bulbo simmetrico o asimmetri-
co (' () ~ ).

b e d

e g
• h

Fig. 3 - Sezioni di profilati: a) piatto: b) piatto con bulbo asimmetrico ; e) angolare: d) a T: e) a canale:
I) a doppia T o H o I: g) a Z: h) tondo.

Altri metalli impiegati nella costruzione navale sono le leghe leggere, il


r ame, l' ottone, il bronzo e la ghisa.
Le leghe leggere (ed in modo particolare quelle di alluminio e magne-
sio) si sono ormai imposte come materiale adatto per la costruzione delle
parti alte e poco sollecitate della nave. Non di rado si trovano quindi grandi

46
navi nelle quali, per diminuire il peso della costruzione ed aumentarne la
stabilità, sono state realizzate in lega leggera tutte le sovrastrutture supe-
riori.
Il rame è usato soprattutto per tubazioni, il bronzo (lega di rame e sta-
gno) per accessori di tubazioni e parti di macchinario, l'ottone (lega di rame
e zinco) per finestrini, cappe di protezione e rivestimenti vari, la ghisa per
tubazioni, recipienti sotto pressione, piastre di fondazione e parti di mac-
chinario.
L'impiego del legno è ormai limitato a opere di rivestimento e arreda-
mento; lo si ritrova ancora come materiale di costruzione di piccole navi e
imbarcazioni, ma si registra, anche in questo settore, una crescente rinun-
cia a impiegare il legno ed una sempre più diffusa tendenza a sostituirlo con
i materiali plastici.

9. Acciai da scafo e relative caratteristiche

Le caratteristiche meccaniche, tecnologiche e chimiche richieste per gli


acciai da scafo e altri acciai e metalli utilizzati nella costruzione navale, ven-
gono accertate mediante prove ed analisi prescritte dai regolamenti tecnici
del R.I.Na.
A tal fine si provvede alla determinazione della loro esatta composizione
chimica e si eseguono, utilizzando apposite barrette di prova ricavate dal
metallo da collaudare e che si chiamano provette, prove di trazione, piega,
resilienza, 31 flessione, compressione, schiacciamento, durezza, fucinatura,
saldabilità, temprabilità ecc.
Particolarmente importante è la prova di trazione, poiché conduce alla
conoscenza di elementi essenziali quali:
• il carico unitario di rottura o carico unitario massimo (Rm): rapporto
fra il carico F m (in N} che determina la rottura della provetta e la sezione
S di questa, espressa in mm2 (Rm = F m/S);
• il carico unitario di snervamento (R8): rapporto fra il carico F 5 (in N)
per il quale la deformazione della provetta aumenta per la prima volta sen-
za che il carico aumenti, e la sezione S (in mm 2) della provetta stessa
(Rs= Fs/S);
• il carico unitario al limite di elasticità (Re): rapporto fra il carico
massimo F e (in N) applicabile alla provetta senza produrre deformazioni
permanenti e la sezione S (in mm 2) della provetta stessa (Re= F e/S);
• l'allungamento percentuale (A): rapporto fra la variazione di lunghez-
za (~L) subita dalla provetta, misurata dopo la rottura e moltiplicata per
100, e la sua lunghezza iniziale L (A= 100 ~L/L).

31
Si tratta, in pratica, di una prova di resistenza all 'urto che si effettua su una provetta
opportunamente intagliata. Si rompe la provetta con una mazza speciale e si misura il lauoro
di rottura. La r esilie nza è data dal rapporto fra tale, lavoro, espresso in joule (J), e la sezione
della provetta, espressa in centimetri quadrati (cm 2).

47
Dalla conoscenza delle caratteristiche meccaniche dell'acciaio si può ri-
salire al calcolo delle dimensioni delle ossature e dello spessore dei fascia-
mi. Questi elementi saranno infatti facilmente determinabili una volta che
siano state valutate le sollecitazioni agenti nelle diverse zone della nave, te-
nendo presente l'esigenza di sottoporre il materiale a sforzi massimi pru-
denzialmente inferiori al suo carico massimo al limit e di elasticità.
Per acciai da scafo il R.I.Na intende acciai dei seguenti gradi e tipi:

• acciai ordinari:
a) grado con carico di snervamento (Rs) minimo di 235 N/mm 2, nei tipi
identificati dalle sigle A, S, D, SS, E ;
b) grado con carico di snervamento (R5) minimo di 265 N/mm 2, nei tipi
identificati dalle sigle S 27, SS 27, E 27;

• acciai ad elevata resistenza (ER):


a) grado con carico di snervamento (R5) minimo di 285 N/mm 2, nei tipi
identificati dalle sigle ERS 29, ERSS 29, ERE 29;
b) grado con carico di snervamento (Rs) minimo di 315 N/mm 2 , nei tipi
identificati dalle sigle ERS 32, E RSS 32, ERE 32;
c) grado con carico di snervamento (R5) minimo di 355 N/mm 2, nei tipi
identificati dalle sigle ERS 36, ERSS 36, ERE 36;
d) grado con carico di snervamento (R5) minimo di 380 N/mm 2, nei tipi
identificati dalle sigle ERSS 39 e ERE 39.

Gli acciai ordinari costituiscono il prodotto normalmente usato per le co-


struzioni cui non si richiedono requisiti particolari.
Gli acciai a elevata resistenza possono essere utilmente impiegati per r·i-
durre il peso della costruzione. Le loro caratteristiche meccaniche consen-
tono infatti di realizzare le parti maggiormente sollecitate o tutto lo scafo
con elementi strutturali e fasciami più leggeri, a parità di resistenza, di
quelli richiesti per le costruzioni in acciaio ordinario.
Il gruppo numerico inserito nelle sigle che identificano i diversi tipi di
acciaio indica il loro carico di snervamento minimo in kgf/mm 2 • Ciò pre-
messo rileviamo che gli acciai ordinari hanno carico di rottura compreso fra
400 e 530 N/mm 2 , carico di snervamento minimo compreso fra 235 e 265
N/mm 2, e allungamento percentuale non inferiore a 22. Rileviamo inoltre
che la percentuale di carbonio varia da 0,18 a 0,21, che il manganese è pre-
sente in percentuale variabile da 0,60 a 1,40, che il silicio non supera lo
0,50%, e che zolfo e fosforo non superano lo 0,04%; la resilienza media è
di 27 J (2,8 kgf • m); alla piega si raggiunge un angolo di 180° senza screpo-
lature nella provetta. Gli acciai ER hanno carico di rottura compreso fra
430 e 645 N/mm 2 e carico di snervamento minimo compreso fra 285 e 380
N/mm 2 , allungamento percentuale minimo variabile fra 20 e 22, resilienza
media da 27 a 39J (2,8 a 4 kgf · m); la percentuale di carbonio varia da 0,18
a 0,20, il manganese oscilla fra 0,40 e 1,60%, il silicio è presente in percen-
tuale variabile da 0,40, a 0,50; fosforo e zolfo non superano lo 0,04%, il
rame lo 0,35%, il cromo lo 0,20%, il nichel lo 0,40%, il molibdeno lo 0,08%.

48
10. Vantaggi e svantaggi delle costruzioni In acciaio

La nave in acciaio presenta indubbiamente dei vantaggi rispetto alla


tradizionale nave in legno, ma non è immune da inconvenienti di varia natu-
ra che bisogna eliminare con provvedimenti e mezzi adeguati.
Ai vantaggi delle costruzioni in acciaio abbiamo già accennato breve-
mente, tuttavia riteniamo opportuno ritornare sull'argomento per presen-
tare un quadro schematico dei pregi e dei difetti che si rilevano confrontan-
dole con le costruzioni in legno.
I va.n taggi offerti dall'impiego dell'acciaio possono essere così sinte-
tizzati:
• maggiore leggerezza: può sembrare strano che una nave in acciaio sia
più leggera di una nave in legno di uguali dimensioni e forme, quando si
consideri che l'acciaio ha un peso specifico (7 ,8) notevolmente più elevato
di quello del legno (0,7); tuttavia, tenendo presente che il carico unitario al
limite elastico dell'acciaio ~245-295 N/mm 2) è di gran lunga superiore a
quello del legno (20 N/mm-) e che adottando profilati con sezioni appro-
priate si ottengono strutture leggere e di grande resistenza, appare più che
comprensibile la maggiore leggerezza della nave in acciaio e non suscita
sorpresa la notizia che si possono ottenere, con queste ultime, riduzioni di
massa che si aggirano sul 40% della massa delle corrispondenti navi in
legno;
• maggior volume disponibile: la semplificazione del sistema strutturale
e le ridotte dimensioni delle singole ossature, determinano un guadagno di
volume interno che può raggiungere il 20% del volume disponibile all'inter-
no di una nave in legno di uguale dislocamento;
• maggiore sicurezza: la maggiore sicurezza della nave in acciaio deriva
da fattori diversi e concomitanti; fra i più importanti ricordiamo il minore
pericolo d'incendio, una migliore impermeabilità dei fasciami, 32 una note-
vole possibilità di sopportare gli allagamenti derivanti da falla, per la pre-
senza di numerose divisioni che frazionano il volume interno del1o scafo in
compartimenti non comunicanti e stagni all'acqua;
• maggiore facilità e rapidità di costruzione e riparazione: dipendono,
come si intuisce facilmente, dalle caratteristiche stesse dell'acciaio che, as-
sociate al prodigioso sviluppo della meccanica, consentono di limitare i tem-
pi e i costi di costruzione e riparazione a valori neppure immaginabili con
le costruzioni in legno;:i:i
• possibilità di costruire navi di grandi dimensioni: le navi in legno non
raggiunsero mai dimensioni r ilevanti perché le proprietà caratteristiche di
questo materiale e le tecniche che si dovevano seguire per la loro costruzio-
ne imponevano limiti insuperabili; con il passaggio alle costruzioni in ac-

12
: Vedremo in seguito come si ottiene l' impermeabilità dei fasciami in acciaio e ci sarà
facile comprendere i vantaggi che presentano, anche sotto questo aspetto, le moderne costru-
zioni metalliche.
33 Si costruiscono attualmente gra ndi navi in pochissimi mesi e si effettuano rapidamen-
te lavori di riparazione e trasformazione che rappresentano vere e proprie operazioni di chi-
rurgia navale.

49
ciaio è stato possibile realizzare enormi progressi in questo senso e sono
state costruite navi che si possono ben definire gigantesche, sia per dimen-
sioni che per quantità di merce che sono in grado di trasportare; siamo in-
fatti passati dai 60-70 m che rappresentavano la lunghezza massima delle
navi in legno ai 400 m di lunghezza delle grandi navi moderne, e dalle
2 500-2 800 tonnellate che costituivano la massa del carico massimo tra-
sportabile con le più grandi navi in legno alle 500 000 tonnellate che posso-
no trasportare gli attuali giganti del mare;
• maggiore durata: le navi in legno hanno una vita media che si aggira sui
25 anni, mentre le navi in acciaio possono restare in servizio anche per 50
anni e oltre, se non intervengono considerazioni economiche che ne consi-
gliano la sostituzione.

Accanto a tanti indiscutibili vantaggi esistono anche alcuni inconvenien-


ti che sono caratteristici delle costruzioni metalliche, anche se, come abbia-
mo già detto, merita rilevare che sono stati escogitati sistemi adatti ad eli-
minare, o a ridurre entro limiti di accettabilità, le conseguenze che ne de-
rivano.
Gli svantaggi delle costruzioni in acciaio sono sostanzialmente rappre-
sentati dalle deviazioni delle bussole magnetiche, dalle insoddisfacenti con-
dizioni di abitabilità, dalla minore resistenza agli urti dei fasciami, dalla
corrosione.
• Le deviazioni delle bussole magnetiche sono dovute alle perturbazioni
che le masse metalliche costituenti la nave producono nel campo magnetico
terrestre.
Non danno però alcuna preoccupazione, sia perché è perfettamente nota
la tecnica della «compensazione», ovvero della eliminazione delle deviazioni
o riduzione delle stesse a valori molto piccoli ed esattamente conosciuti, 84
sia perché le navi modernamente attrezzate si avvalgono anche di bussole
che consentono di stabilire la direzione del meridiano sfruttando principi
del tutto diversi da quelli su cui si basano la costruzione e il funzionamento
delle bussole magnetiche. 35
• Le peggiori condizioni di abitabilità derivano dalla conduttività termi-
ca dei metalli e dal fenomeno della condensazione del vapore d'acqua sulle
parti in acciaio, ma adottando su larga scala il sistema dei rivestimenti in
legno o in plastica con interposta intercapedine d'aria 36 e disponendo di
efficienti impianti di ventilazione, riscaldamento o condizionamento dell'a-
ria, si possono assicurare condizioni di vita veramente confortevoli.
• La minore resistenza agli urti comporta il pericolo di ampie lacerazioni
nei fasciami, ma la già menzionata compartimentazione della nave e la faci-
lità con cui si possono eseguire le eventuali riparazioni compensano larga-
mente questo rischio potenziale.

34 La conoscenza delle deviazioni residue consente di stabilire l'esatta direzione del me-
ridiano.
35
Le bussole che si orientano senza utilizzare la forza direttiva del campo magnetico ter-
restre sono dette bussole giroscopiche o girobussole.
36
Nell'intercapedine può essere sistemato un consistente strato di materiale isolante
per migliorar e la sua efficacia protettiva.

50
• La corrosione costituisce indubbiamente un grave inconveniente perché
si risolve in un notevole danno economico. È un fenomeno di natura essen-
zialmente elettrochimica che si verifica sia nella parte immersa della nave,
sia in quella emersa, per l'azione esercitata dall'ossigeno e dall'acqua (allo
stato liquido o di vapore).
Per arrestare il processo di corrosione ed evitare il rapido deteriora-
mento della costruzione sono disponibili diversi sistemi di protezione, ma
i risultati cui si perviene non sono mai definitivi.
Normalmente si riesce infatti soltanto a rallentare la corrosione, ma
non a eliminarla del tutto, e sono necessari periodici e costosi interventi per
conservare l'efficienza dei mezzi anticorrosivi.
Un metodo di protezione universalmente usato è quello della pitturazio-
ne di tutte le superfici metalliche con speciali vernici che assicurano il loro
più completo isolamento dall'acqua o dall'aria circostanti.
Così facendo si blocca l'insorgere di quei fenomeni elettrochimici che si
generano per l'eterogeneità chimica o fisica delle masse ferrose e che si ri-
solvono nella formazione di innumerevoli coppie galvaniche che sono la cau-
sa diretta della corrosione, ma è evidente che tali fenomeni si sviluppano,
prima o poi, nei numerosi punti in cui si registrano rotture nel sottile strato
protettivo formato dalla vernice.
Un altro sistema che per le parti dello scafo maggiormente esposte
alla corrosione si aggiunge alla pitturazione è quello della protezione ca-
todica, ossia un sistema che si realizza applicando sulla superficie dello
scafo piastre di metallo (zinco o magnesio) a potenziale elettrochimico
più negativo di quello dell'acciaio. In tal modo si innescano processi elettro-
chimici nei quali l'acciaio dello scafo si comporta da catodo, mentre le pia-
stre protettive si comportano da anodo e sono perciò destinate ad una len-
ta dissoluzione (ciò comporta l'esigenza di periodiche sostituzioni degli
anodi).
Più recentemente è stato sviluppato anche un sistema di protezione
catodica a, corrente impressa che consente di proteggere lo scafo senza
dover ricorrere all'azione di un cospicuo numero di anodi, ma che richiede
l'installazione di un sofisticato impianto, capace di far circolare automatica-
mente, per tutto lo scafo, corrente continua di tensione ed intensità appena
sufficiente per la sua protezione catodica (la corrente viene erogata attra-
verso appositi anodi, di titanio-platinato o di piombo-argento, collegati al
polo positivo dell'alimentatore; l'acciaio de1lo scafo è collegato al polo nega-
tivo cosicché tutto lo scafo risulta catodico rispetto agli anodi dell'im-
pianto).

11. Collegamenti e calafataggio

Quando si costruivano navi in legno si incontravano non poche difficoltà


per unire con la necessaria rapidità e robustezza i diversi elementi costi-
tuenti lo scafo e le sovrastrutture e per realizzare una soddisfacente imper-
meabilità dei fasciami.
Per formare le ossature e per collegarle fra loro si dovevano infatti ope-
rare numerosi incastri, che venivano poi rinforzati con perni o chiodi o

51
4 · Tipi di chiodi :
esta tronco-conica;
testa tonda; e) a
svasata; d) a
svasata con
a.

b
a

5 - Sistema dì
igamento dei giunti
,dati:
. lembi sovrapposti
chiodi a testa
ja;
1 lembi sovrapposti
chiodi a testa
1co-conica:
l lembi affiancati
doppio coprigiunto
hiodi a testa tonda.

52
caviglie; 37 i fasciami, dopo essere stati fissati alle ossature, venivano sot·
toposti ad una operazione di impermeabilizzazione, detta calafataggio, che
consisteva nel chiudere, con stoppa e pece liquida, tutte le fessure - co-
menti - esistenti fra le tavole e che presentava anche l'inconveniente di
dover essere ripetuta periodicamente.
Con il passaggio alle costruzioni metalliche si realizzarono notevoli sem·
plificazioni nei procedimenti di unione fra le varie parti e nelle operazioni
di calafataggio. Soltanto durante la seconda guerra mondiale si affermaro-
no però sistemi del tutto nuovi e che sono oggi comunemente adottati per
i sostanziali vantaggi che essi comportano. Fino al 1940, infatti, il solo pro-
cedimento usato per il collegamento fra profilati, fra lamiere e fra profilati
e lamiere era quello della chiodatura, ovvero un collegamento ottenuto a
mezzo di speciali chiodi che, dopo essere stati scaldati al calore bianco, ve•
nivano inseriti e bloccati (mediante ribaditura con martello pneumatico) en-
tro fori appositamente praticati negli elementi da collegare.
I chiodi erano in realtà perni cilindrici in acciaio dolce aventi ad una
estremità una testa che poteva essere tonda, troncoconica o svasata (fig.
4). Le loro dimensioni 38 e la loro distanza (passo), nonché il numero delle
file poste su ciascun lembo e la distanza fra due file adiacenti (intervallo),
dipendevano dalla grossezza degli elementi da collegare. Questi potevano
essere disposti, sia con i lembi sovrapposti - collegamento a sovrapposizio-
ne-, sia con i lembi affiancati - collegamento a paro - e ricoperti da ele-
menti ausiliari detti coprigiunti (fig. 5).
Il collegamento mediante chiodatura non eliminava del tutto la necessi-
tà di provvedere al calafataggio, ma non presentava l'inconveniente di do-
ver ripetere tale operazione perché l'impermeabilità che si otteneva era
permanente.
Per rendere stagni i collegamenti a paro si praticava un solco nelle im-
mediate vicinanze dei lembi da calafatare e si chiudevano i comenti con uno
speciale stampo che avvicinava i lembi stessi fino a portarli a contatto (fig .
6); per i collegamenti a sovrapposizione (fig. 7) si procedeva innanzitutto
alla cianfrinatura dei lembi, ovvero ad una operazione che consisteva nel
tagliare i lembi in modo da rendere la loro superficie inclinata di 15 °-20°
rispetto alla normale alla superficie dell'elemento sottostante (fig. 5), poi
sì praticava un solco nella parte cianfrinata ed infine si eliminava il comen-
to ricalcandovi la striscia esterna al solco, con uno scalpello speciale detto
presello. 38
La chiodatura offriva le più ampie garanzie per quanto riguarda la resi-
stenza dei collegamenti, ma richiedeva tempi di lavorazione eccessivamen-
te lunghi e comportava un aumento non trascurabile nel peso della costru-
zione.
Per eliminare questi inconvenienti che incidevano in misura notevole sui
costi di costruzione e di esercizio, i collegamenti fra i diversi elementi che

37 Chiodi e perni erano preferibi lmente di rame; le caviglie consistevano in perni cilindri-
ci di legno duro che venivano introdotti a viva forza in fori appositamente preparati.
:lR Diametro variabile da 13 a 31 mm e lunghezza leggermente superiore alla grossezza
complessiva dei pezzi da collegare.

53
ITT
~
Fig. 6 - Calafataggio dei collegamenti
a paro.
Fig. 7 - Calafataggio dei collegamenti
a lembi sovrapposti.

formano la nave sono ora effettuati mediante saldatura, cioè con un siste-
ma che permette di realizzare l'intima unione fra due parti metalliche sfrut-
tando l'azione del calore, con o senza l'ag?iunta di un materiale metallico
che viene chiamato materiale d'apporto. 3

La saldatura può essere eseguita per pressione e perfusione: con la sal-


datura per pressione gli elementi da collegare vengono portati allo stato
pastoso (1 300-1 400 °C) e uniti mediante pressione o martellamento; con
saldatura per fusione l'unione dei due elementi si ottiene portando a fusio-
ne i lembi da collegare e inserendo fra gli stessi un cordone di materiale
d'apporto che ha le caratteristiche dei metalli da saldare e che viene fatto
colare lentamente nel comento che li separa.
La saldatura mediante pressione è scarsamente usata nelle moderne co-
struzioni e pertanto possiamo considerare la saldatura per fusione quale
unico sistema di collegamento fra le varie parti che formano la nave.

La saldatura per fusione può essere realizzata sia utilizzando il calore


prodotto dalla combustione di un gas, sia quello prodotto da un arco voltai-
co. Si distinguono pertanto saldature alla fiamma o autogene e saldature
elettriche.
Le saldature alla fiamma si ottengono di solito attraverso la combustio-
ne di gas acetilene con ossigeno (fiamma ossiacetilenica), ma non trovano
applicazione nella costruzione navale, sia perché sussistono notevoli diffi-
coltà nel saldare con questo sistema elementi di particolare grossezza, sia
perché la fiamma riscalda una zona troppo estesa attorno al punto di fusio-
ne, con pericolo di deformazioni e tensioni interne eccessive nei pezzi da
collegare.
Il solo tipo di saldatura praticamente usato per la costruzione navale è
dunque la saldatura elettrica, e cioè una saldatura che si basa sulla proprie-
tà dell'arco voltaico di sviluppare temperature dell'ordine di 3 300 °C.
L'arco si forma fra una bacchetta d'acciaio che si chiama elettrodo (e che

:J~ Soltanto per il collegamento di e lementi particolarmente sollecitati delle costruzioni


di grandi dimensioni si ricorre eccezionalmente alla chiodatura.

54
fondendosi fornisce il materiale d'apporto necessario per realizzare il colle-
gamento) e i due pezzi da saldare.
La bacchetta metallica costituente l'elettrodo è rivestita con sostanze
adatte a facilitare l'innesco e la stabilità dell'arco elettrico e ad evitare dan-
nose imperfezioni nel cordone metallico generato dalla fusione dell'elettro-
do stesso e dei lembi dei pezzi da saldare. 40
Per eseguire le saldature si usano macchine alimentate da corrente con-
tinua o da corrente alternata, che possono operare anche automaticamente
onde accelerare i processi di collegamento e ridurre al minimo indispensa-
bile l'intervento degli operai saldatori.

12. Vantaggi della saldatura

La saldatura elettrica non si è imposta tanto facilmente alla chiodatura,


nonostante gli evidenti vantaggi derivanti dalla sua adozione, perché si nu-
trivano dubbi sulla sua resistenza e si temevano inaccettabili variazioni del-
le caratteristiche meccaniche del metallo nelle immediate adiacenze dei
lembi saldati.
Ma, con il progredire della tecnica di esecuzione delle saldature, con la
diffusione di acciai aventi particolari caratteristiche di saldabilità, con la
crescente disponibilità di apparecchiature che consentono di controllare
l'efficienza dei collegamenti saldati e di accertare la presenza di eventuali
difetti nei relativi cordoni, tutte le riserve sono cadute e la saldatura si è
definitivamente imposta sostituendo totalmente la chiodatura.
Questa sostituzione ha praticamente dato l'avvio a un processo di radi-
cale trasformazione della tecnica seguita nella costruzione delle navi, facili-
tando fra l'altro la realizzazione di quei metodi di prefabbricazione che han-
no ridotto i tempi di lavorazione a valori nemmeno ipotizzabili con i siste-
mi di costruzione tradizionali.
Una sensibile riduzione del tempo necessario per costruire la nave costi-
tuisce un vantaggio che giustifica da solo il passaggio dai collegamenti chio-
dati ai collegamenti saldati, ma non è questo l'unico importante risultato
acquisito con l'impiego della saldatura elettrica.
Le navi saldate sono infatti più leggere delle navi chiodate e non è ne-
cessaria alcuna operazione di calafataggio per ottenere la impermeabilità
dei fasciami e dei collegamenti in genere.
Il risparmio di peso si aggira su valori prossimi al 15% del peso comples-
sivo della costruzione chiodata e si spiega con la scomparsa delle sovrappo-
sizioni necessarie per tutti i collegamenti chiodati e con l'assenza delle in-
numerevoli teste dei chiodi che si usavano per realizzarli.
La eliminazione del calafataggio è una conseguenza delle operazioni che
si effettuano per ottenere i collegamenti saldati.
È infatti evidente che, realizzando questi l'unione int ima e continua dei
due pezzi, non rimane fra i loro lembi alcuna fessura attraverso la quale

40 Il rivestimento è formato da sostanze minerali e organiche avide di ossigeno e con for-


te potere ionizzante.
La ionizzazione dell'atmosfera che circonda le parti interessate alla saldatura favorisce
l'innesco e la regolarità del!' arco; la sottrazione di ossigeno impedisce che questo venga assor•
bito dal metallo che fonde e che si formino nel cordone di saldatura ossidi e nitruri di ferro
che lo rendono fragi le.

55
possano aversi infiltrazioni d'acqua, e non è necessaria alcuna successiva
operazione per assicurare l'impermeabilità dei giunti.
Per garantire l'efficienza dei collegamenti saldati esistono norme parti-
colareggiate che riguardano la preparazione dei pezzi, l'impiego degli elet-
1. 8 • Cianfrini per trodi più appropriati, i metodi di esecuzione della saldatura e l'accertamen-
1iunti saldati testa-
testa:
to degli eventuali difetti di lavorazione.
a) cianfrino a V I lembi dei pezzi da saldare sono preventivamente fissati nella posizione
ra 1,5 e 3,5 mm); per essi prevista e vengono normalmente preparati con una operazione di
b) cianfrino a X
1metrica (d fra 2 e cìarifrinatura che contribuisce a migliorare i collegamenti.
6 mm); I cianfrini più comuni sono quelli a V, a X e a U (fig. 8). I cianfrini sono
e) cianfrino a U indispensabili per le giunzioni testa-testa, possono essere richiesti per i
etrica ( d maggiore
ì mm; R fra 6 e 8 giunti a T o d'angolo (fig. 9), non sono necessari per i giunti a so'Vrapposi-
s fra 2 e 3 mm). zione (fig. 10).

e d

Fig. 9 (a fianco) •
Giunzioni a T a)
Jiunzione a T retto
(d fra O e 3 mm):
giunzione a 1/ 2 V
1plice (a fra 50° e
~ diminuisce con
l'aumentare di a:
fra 1,5 e 3,5 mm:
Ira 1 e 1 .5 mm se
0~50°: a=O se
0 > 50°):
giunzione a 1/2 V
tenuto (d uguale o
aggiore di 6 mm):
d) giunzione a K
ricalo (d fra 2 e 5
mm: b=1/3 g:
3= 2/3 g).

Fig. 10. • Giunto


saldato
a sovrapposizione
( I non inferiore a
40 mm).

56
Lo scafo
CAPITOLO

1. Forma e suddivisione generale

Lo scafo di una nave si presenta come un solido di forma irregolare ma


non sprovvista di caratteristiche geometriche notevoli .
Si rileva infatti facilmente che una sua dimensione, la lunghezza, è mol-
to più sviluppata delle altre due e che la larghezza, massima nella parte cen-
trale, assume solitamente valori molto ridotti in corrispondenza delle estre-
mità anteriore e posteriore.
Ad una osservazione un poco più attenta non sfugge poi il fatto che lo
scafo è costituito da due parti perfettamente simmetriche rispetto ad un
piano verticale contenente il segmento che rappresenta la lunghezza.
La direzione individuata dal segmento rappresentativo della lunghezza
è detta direzione longitudinale e la sezione che si determina secando lo sca-
fo con il piano sopramenzionato si chiama piano diametrale (fig. 1) o piano
di simmetria longitudinale (la parte immersa del piano diametrale si chia-
ma piano di deriva).
Tutte le sezioni che si ottengono secando Io scafo con piani paralleli
al piano diametrale sono definite sezioni longitudinali; il piano diametrale
è esso stesso una sezione longitudinale, ma assume una importanza del tut-
to particolare perché costituisce anche l'elemento di riferimento per consi-
derare una suddivisione generale dello scafo in due parti principali.
Di queste si chiama parte dritta quella che si trova alla destra di un osserva-
tore che, stando sul piano diametrale, rivolge lo sguardo verso l'estremità an-
teriore dello scafo, parte sinistra quella che si trova alla sua sinistra (fig. 2).

Fig. 1 • Piano
diametrale.

Fig. 2 - Parti dello


scafo AJ parte dritta;
B) parte sinistra.

59
Fig. 3 - Sezioni
versali o ordinate.

■•z lan■
m
.. . ■- ••~r•
.. + .

'ig. 4 - Parti dello


A) parte prodiera;
l ) parte poppiera.

Una retta perpendicolare al piano diametrale individua la direzione


trasversale. Si definiscono pertanto sezioni trasversali o ordinate tutte le
sezioni che si ottengono secando lo scafo con piani verticali disposti perpen-
dicolarmente al piano diametrale (fig. 3).
Fra le sezioni trasversali assume particolare rilievo la sezione che si de-
termina con il piano passante per il punto di massima larghezza dello scafo
(a metà della lunghezza nella quasi totalità delle navi moderne). Tale sezio-
ne viene definita sezione maestra e, mentre presenta la caratteristica di
avere area non minore di qualsiasi altra sezione trasversale, può essere
considerata anche come elemento di suddivisione dello scafo in due parti
nel senso della lunghezza. La sezione maestra divide infatti lo scafo in una
parte prodiera e una parte poppiera; la parte prodiera si identifica con la
parte anteriore o avanti, la parte poppiera con la parte posteriore o addie-
tro (fig. 4).

Sempre nel senso della lunghezza si suole in pratica considerare anche


una suddivisione dello scafo in tre parti; cioè:
• prua o prora;
• poppa;
• parte maestra.

La parte maestra è la parte centrale dello scafo ed ha una forma che


non si discosta molto da quella di un parallelepipedo rettangolo (gli spigoli
inferiori presentano un sensibile arrotondamento; la base superiore è leg-

60
A

Fig. 5 - Parti dello


scafo: A) parte
maestra; B) prora o
prua; C) poppa.

germente convessa, mentre le due facce laterali non sono rigorosamente


piane né parallele).

Prora e poppa sono le parti estreme dello scafo. Più precisamente, si chia-
ma prora o prua l'estremità anteriore dello scafo, poppa la sua estremità
posteriore.
Non esistono ben definite sezioni di separazione della parte maestra
dalla prua e dalla poppa, ma in linea generale si può ritenere che queste
parti abbiano la loro origine, rispettivamente, nelle zone prodiera e poppie-
ra della parte maestra in cui si registra una accentuata diminuzione della
larghezza (fig. 5).
Le forme della prua e della poppa sono talmente irregolari che sfug-
gono a qualsiasi considerazione geometrica. Esse, inoltre, variano notevol-
mente da nave a nave perché rappresentano il risultato di studi ed espe-
rienze che si rinnovano senza sosta al fine di realizzare scafi veloci e fun-
zionali.

Nonostante i diversi elementi di variabilità si possono tuttavia ritenere


valide le seguenti considerazioni di ordine generale:
• la prua presenta forme affinate nella parte maggiormente soggetta all' a-
zione resistente dell'acqua e forme tondeggianti nella parte superiore (vedi
fig. 3, cap. VIII); osservando il suo profilo si rileva di regola un notevole
slancio in avanti nella parte superiore; nella parte inferiore si nota, in molti
casi, una protuberanza cilindrica più o meno sviluppata che si chiama bulbo
e che viene adottata (nonostante il suo aspetto decisamente antiestetico)
perché comporta un aumento di velocità a parità di altre condizioni (vedi
fig. 2, cap. II);
• la poppa è molto affinata nella parte inferiore; la parte superiore può es-
sere tondeggiante (poppa tonda) o a spigoli (poppa quadrata o tronca), ma
risulta sempre molto ampia e con un notevole sbalzo posteriore per assicu-
rare la necessaria protezione ai sottostanti organi di propulsione e governo
(elica e timone) in caso di urto (figg. 6 e 7).

Un'altra importante suddivisione generale dello scafo è quella che si


ottiene considerando separatamente la sua parte immersa, parte che pren-
de il nome di opera viva o carena, da quella che resta fuori dall'acqua e

61
Fig. 6 (sopra) - Nave che viene genericamente definita opera morta.
con poppa tonda. La superficie che separa la carena dall'opera morta si chiamafigura di
Fig. 7 (a destra) - galleggiamento o piano di galleggiamento e si identifica con una sezione
Nave con poppa tronca . orizzontale che si ottiene secando Io scafo con un piano coincidente con la
superficie dell'acqua in cui esso galleggia (fig. 8).
Secando lo scafo con piani orizzontali passanti per diversi punti dell'al-
Fig. 8 - Parti dello tezza si ottengono sezioni orizzontali che, come quella di galleggiamento,
scafo: a) opera viva
o carena: b) opera sono genericamente chiamate linee d'acqua.
morta. II piano di galleggiamento viene considerato con particolare attenzione

(bJ
plano di lament:o

~:
i

62
perché costituisce un importante elemento per lo studio della <•teoria della
nave». 1
Particolare attenzione si rivolge anche alla linea perimetrale che rac-
chiude la figura di galleggiamento; tale linea, definita linea di galleggia-
mento, risulta determinata dalla intersezione fra la superficie esterna dello
scafo, e la superficie dell'acqua in cui esso galleggia (fig. 8).
Le sezioni costituiscono un mezzo molto importante per lo studio delle
forme dello scafo, per la sua costruzione e per la determinazione dei suoi
elementi geometrici e meccanici. 2 In teoria se ne potrebbero rappre-
sentare diverse, un'infinità, però si considera praticamente soltanto un
numero limitato e ben definito di sezioni trasversali, orizzontali e longitu-
dinali. 3
Riassumendo si rileva che, attraverso diversi criteri di suddivisione, si
possono considerare separatamente le seguenti parti dello scafo:
• parte dritta e parte sinistra, simmetriche e delimitate dal piano diame-
trale;
• parte prodiera e parte poppiera, aventi la sezione maestra come superfi-
cie di separazione;
• parte maestra, prua e poppa, separate da sezioni trasversali non esatta-
mente determinate;
• carena e opera morta, divise dal piano di galleggiamento.

Si tratta, com'è facile constatare, di suddivisioni aventi carattere gene-


rale, che possono rivelarsi utili in molti casi, ma che non sono sufficienti per
uno studio particolareggiato dello scafo e delle sue attrezzature.
In tal caso bisogna infatti considerare una suddivisione più minuziosa
(fig. 9). A questo scopo viene utile ricordare che lo scafo è una robusta co-
struzione galleggiante, realizzata in modo da assicurare la sua impermeabi-
lità all'acqua e la disponibilità di grandi volumi dove trovano posto le perso-
ne, le merci, i macchinari ecc. Qualsiasi scafo può allora essere considerato
come un solido cassone con due parti laterali che si chiamano fianchi, una
parte inferiore che si chiama/ondo, una parte superiore che si chiama ponte
principale.
I fianchi sono disposti pressoché verticalmente, ma la loro distanza è
variabile e passa da un valore massimo che si registra nella parte maestra
a valori minimi in corrispondenza della estrema prora e della estrema
poppa.
Fondo e ponte principale sono orizzontali o quasi e rappresentano ri-
spettivamente il fondo e la copertura della costruzione.
Fianchi e ponte principale sono collegati direttamente, mentre il

1 La «teoria della nave,, è quella parte dell'architettura navale che studia la geometria
dello scafo e le condizioni di equilibrio e i movimenti della nave.
2 Fra gli elementi geometrici ricordiamo il volume di carena, indispensabile per stabili-

re il valore del dislocamento.


3 In generale si considerano 20 sezioni trasversali, 1O sezioni orizzontali, 5 sezioni !on·

gitudinali.

63

' b
- +-- -------i

Fig. 9 - Suddivisione collegamento dei fianchi con il fondo avviene mediante interposizione di
generale dello scafo: una parte arrotondata che si chiama ginocchio.
a) ponte principale;
b) fianchi; c) fondo: I fianchi della prora si chiamano masconi; a unirli saldamente prov-
d) ginocchio; vede un elemento verticale o sub-verticale detto ruota di prua o dritto di
e) mascone:
I) giardinetto; prua.
g) specchio, h) volta; A poppa si definiscono giardinetti o anche le parti curve e piene di cia-
i) ruota di prua; scun fianco e si chiama specchio la parte tondeggiante che le collega (nelle
I) dritto di poppa;
m) coronamento. navi con poppa tronca si dice quadro la parte piana che collega i giardinet-
ti). Lo specchio si identifica dunque con la parte superiore della poppa
estrema; al di sotto dello specchio si distingue una zona - volta - in cui
lo scafo passa dalle forme molto affinate della carena a quelle piene dell'o-
pera morta.
L' orlo superiore dello specchio si chiama coronamento; l'elemento di
unione dei due fianchi nella parte immersa della poppa (al di sotto della vol-
ta) è il dritto di poppa.
Il volume interno dello scafo risulta frazionato in diversi locali detti
compartimenti, da elementi divisori, verticali e orizzontali, che vengono in-
seriti nella costruzione per irrobustirla e per assicurare la galleggiabilità
anche in caso di falla.
Le divisioni verticali si chiamano paratie e sono normalmente stagne
ai liquidi- paratie stagne - allo scopo di realizzare una compartimenta-
zione stagna dello scafo che è un fattore importantissimo per la sicurezza
della nave.
Le paratie stagne possono essere disposte trasversalmente o longitudi-
nalmente. Nel primo caso si estendono da un fianco all'altro e si definiscono
paratie stagne trasversali, nel secondo caso si estendono da prua a poppa
e si chiamano paratie stagne longitudinali.
Le paratie stagne portano un valido contributo alla solidità dello scafo,
ma sono soprattutto importanti quali elementi capaci di limitare gli allaga-
menti derivanti dalla eventuale apertura di falle in carena e di conservare
quindi la galleggiabilità anche in caso di lacerazioni nei fasciami.
Le divisioni orizzontali si chiamano ponti e possono essere considerate
come solidi ripiani che dividono il volume interno nel senso dell'altezza;
sono particolarmente utili per un razionale sfruttamento del volume dispo-

64
ponte

nibile, ma costituiscono anche importanti elementi per la robustezza dello Fig. 1O • Paratie
scafo. trasversali e ponti di
Paratie e ponti sono contraddistinti da numeri o nomi particolari una nave da carico
secco (la paratia
(fig. 10). indicata con il n. 1 è la
Le paratie stagne trasversali vengono indicate numerandole a par- paratia di collisione,
quella indicata con il n.
tire da prora, ma non si deve dimenticare che la prima di esse si chiama 6 è la paratia del
paratia di collisione e che l'ultima è nota come paratia di poppa o del pressatrecce).
pressatrecce.
Le paratie stagne longitudinali, quando esistono, sono generalmente
due e pertanto la loro nomenclatura non presenta alcuna difficoltà. Ci si li-
mita infatti a definire paratia stagna di dritta quella che si trova a destra
del piano diametrale e paratia stagna di sinistra quella che si trova alla
sua sinistra.
I ponti sono individuati da numeri o da lettere alfabetiche, ma sempre
seguendo il principio di contarli a partire dall'alto. 4
Il primo ponte è noto come ponte principale e sta ad indicare, come si
è detto, il limite superiore dello scafo.
I ponti che si trovano al di sotto del ponte principale sono ponti infe-
riori e si dicono 2° ponte, 3° ponte ecc., oppure ponte A, ponte B, ponte C
ecc.
I ponti situati al di sopra del ponte principale sono ponti di sovrastrut-
tura. Si vedrà in seguito che ai ponti di sovrastruttura si assegna solita-
mente un nome idoneo a indicare la funzione che essi svolgono; si vedrà an-
che che si dicono sovra.strutture complete le sovrastrutture che si estendo-
no per tutta la lunghezza e per tutta la larghezza dello scafo, mentre si
chiamano incomplete o parziali quelle sovrastrutture che risultano limitate
in lunghezza, in larghezza, in lunghezza e larghezza.
Pertanto si definiscono ponti completi o continui i ponti delle sovra-
strutture complete, ponti incompleti o parziali quelli delle sovrastrutture
incomplete.
Il ponte principale viene frequentemente indicato anche come ponte

4
Questo principio non viene rigorosamente osservato nelle marinerie straniere.

65
superiore o ponte di coperta o coperta, tuttavia è opportuno rilevare che
questa molteplicità di definizioni non è sempre corretta.
Per ponte superiore o ponte di coperta o coperta si deve infatti intende-
re il più alto fra i ponti completi della nave, ovvero il più alto dei ponti che
ricoprono totalmente la nave.
Ora, se al di sopra dello scafo non esistono sovrastrutture complete,
ponte principale e ponte di coperta sono tutt'uno; ma se un tale tipo di so-
vrastruttura esiste non si verifica più questa coincidenza e si deve definire
ponte di coperta il più alto ponte della sovrastruttura completa e ponte
principale il più alto fra i ponti dello scafo.
In molti casi il ponte principale si identifica con il ponte di bordo libero.
Bisogna però precisare che il ponte di bordo libero delimita superiormente
la parte stagna della nave. Pertanto può essere ponte di bordo libero anche
un ponte completo di sovrastruttura e può verificarsi il caso di nave avente
ponte di bordo libero e ponte di coperta coincidenti e situati al di sopra del
ponte principale.
Dal ponte di bordo libero si misura l'altezza della parte stagna dell'opera
morta. Tale altezza - bordo libero - riveste grandissima importanza per
la sicurezza della nave perché determina il valore di quella riserva di spinta
o di galleggiabilità che le consente di conservare la galleggiabilità anche in
caso di allagamenti. 5
Apposite regole internazionali stabiliscono, per ogni nave, il valore mi-
nimo del bordo libero affinché sia sempre disponibile una riserva di spinta
sufficiente ad assicurare la galleggiabilità anche in caso di emergenza (au-
menti di peso provocati da allagamenti più o meno gravi).
Avendo presente che la riserva di spinta esprime anche la differenza
fra il dislocamento della nave con il galleggiamento al ponte di bordo libero
e il dislocamento della nave con il galleggiamento di massimo carico, si
comprende facilmente che l'obbligo di navigare con un ben determinato va-
lore minimo del bordo libero comporta una limitazione del dislocamento
massimo e, conseguentemente, del carico massimo trasportabile.
Da ciò deriva la definizione di portata lorda o portata o deadweight del-
la nave, ovvero di un parametro molto importante per le navi da carico. 6
Se si tiene conto della funzione che i ponti svolgono per aumentare la
robustezza dello scafo si perviene anche a una definizione di ponte resisten-
te, ponte di forza e copertina.
Per ponti resistenti si intendono tutti quei ponti che, risultando inseriti
nel sistema strutturale dello scafo, contribuiscono efficacemente alla sua
solidità; i copertini sono ponti incompleti che non presentano questa carat-
teristica; il ponte di forza è il ponte resistente più alto (coincide general-
mente con il ponte principale, ma può essere anche un ponte di sovrastrut-
tura, completo o incompleto).

5 La riserva di spinta di una nave si calcola moltiplicando il volume della parte stagna
dell'opera morta per la densità dell'acqua in cui essa galleggia.
r, La portata è la massa del carico massimo che può trasportare una nave. Il suo valore
si ottiene come differenza fra il dislocamento della nave immersa fino al massimo galleggia-
mento consentitole dalle regole del bordo libero (galleggiamento di massimo carico) e il disk,-
camento della nave vuota.

66
2. Suddivisione interna

Si è già accennato alla esigenza di suddividere l'interno dello scafo in


diversi compartimenti e si è anche precisato che si raggiunge tale scopo con
la costruzione di ponti e paratie.
I criteri di suddivisione del volume interno sono ovviamente diversi da
nave a nave, ma rispondono a esigenze di carattere pressoché generale.
È quindi opportuno vedere come si presenta la suddivisione interna di
uno scafo e ricordare le definizioni cui si ricorre normalmente per indicare
i locali o compartimenti ivi esistenti.
Se lo scafo ha un solo ponte e un certo numero di paratie stagne trasver-
sali, i principali compartimenti in cui esso risulta suddiviso si chiamano ga-
voni, stive, locale apparato motore (fig. 11).

I gavoni sono due e si trovano nelle parti estreme dello scafo. Più preci-
samente, si chiama gavone di prua il compartimento compreso fra la para-
tia di collisione e l'estrema prora, gavone d'i, poppa il compartimento com-
preso fra la paratia del pressatrecce e l'estrema poppa.
All'interno di ciascun gavone esistono poi suddivisioni che non solo co-
stituiscono dei validi rinforzi in zone che sono fra le più sollecitate dello sca-
fo, ma consentono anche di utilizzare il volume disponibile per scopi diversi
(figg. 12 e 13).
La parte inferiore dei gavoni viene infatti destinata a deposito d'acqua
e chiamata cisterna d'assetto. Sono pertanto disponibili una cisterna d'as-
setto di prua e una cisterna d'assetto di poppa che si rivelano di grande uti-
lità, sia perché possono contenere l'acqua dolce necessaria per il funziona-
mento del1'apparato motore e per soddisfare le esigenze delle persone che
vivono a bordo, sia perché l'acqua (dolce o salata) che si può immettere nel-
l'una o nell'altra cisterna, in maggiore o minore quantità, consente di far
assumere alla nave l'assetto 7 più conveniente.
La parte superiore dei gavoni è separata dalle cisterne d'assetto me-
diante copertini stagni e destinata a depositi vari. I diversi locali nei quali
viene a tale scopo frazionata sono chiamati cale o depositi del nostromo e
contengono oggetti e materiali necessari per la nave e per la sua manuten-
zione.
Caratteristico del gavone di prua è un locale, normalmente diviso in due
parti comunicanti e abbastanza ampio da poter contenere le catene delle
ancore (una per parte), che viene detto pozzo delle catene. Nel gavone di
poppa esiste invece un ampio locale in cui si trova installata la macchina
per la manovra del timone e che viene perciò chiamato timoneria o locale
macchina del timone.

7
Con il termine rissetto si indica l'inclinazione longitudinale che lo scafo assume in con-
seguenza del criterio seguito nella distribuzione del carico nel senso della lunghezza. L'assetto
normale è quello di nave appoppata, ovvero di nave con la poppa più immersa della prora, per-
ché determina condizioni di buona stabilità di rotta, buona manovrabilità, massima velocità,
migliore comportamento in acque agitate.

67
Fig. 11 - Suddivisione
interna di uno scafo
di nave da carico
a un solo ponte.

ativaN.e

Fig. 12- Esempio


di suddivisione Interna
della poppa
(nave da carico).

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I ,

Le stive sono compartimenti delimitati da due paratie stagne trasversa- Flg. 13 , Esempio di
li e destinati a contenere il carico; si distinguono numerandole a partire da suddivisione interna
della prora
prora cosicché si chiama stiva n. 1 il compartimento compreso fra la paratia (nave da carico) .
di collisione e la seconda paratia stagna trasversale, stiva n. 2 il comparti-
mento successivo, e così via fino alla paratia del pressatrecce, ma senza
contare il compartimento che contiene l'apparato motore.
Nel caso di scafo a due o più ponti si considera come volume di stiva sol-
tanto il volume che si trova al di sotto dell'ultimo ponte, quello cioè compr e-
so fra il ponte più basso o di stiva e il fondo, mentre si chiamano interponti
o corridoi i volumi compresi fra due ponti (fig. 14).
Per distinguere i corridoi si ricorre alla numerazione adottata per le sot-
tostanti stive. Se esistono due o più cor ridoi al di sopra di ciascuna stiva,
si precisa la loro posizione indicando come 1° corridoio quello delimitato
dal ponte di coperta e dal ponte successivo, 2° corridoio quello al di sotto
del primo, e così di seguito fino all'ultimo ponte. 8

8
Se esistono soltanto due corridoi, possono semplicemente essere indicati come corri-
doio superiore e corridoio inferiore.

69
Fig. 14 - Suddivisione
interna dello scalo
in una nave da carico
a tre ponti:
1) locale macchina
del timone:
2) deposito:
3) cisterna d'assetto
del gavone di poppa;
4) tunnel dell'asse
portaelica:
5) pozzo delle catene:
6) cisterna d'assetto
del gavone di prua.

locale A.M. stiva a,

D.F. n. 6 D.F. locale A.M.

I corridoi delle navi da carico sono usati per trasportare merci, 9 men-
tre quelli delle navi passeggeri sono frazionati e attrezzati in modo da poter
ospitare confortevolmente le persone che non trovano posto nei locali a tal
fine ricavati all'interno delle sovrastrutture.
Il locale apparato motore è un ampio compartimento, delimitato da due
paratie stagne trasversali, nel quale sono raccolti tutti gli impianti e i mac-
chinari necessari per la propulsione della nave e per altri importanti servizi.
Su alcune navi il locale apparato motore si trova a poppa e occupa il vo-
lume compreso fra la paratia del pressatrecce e la paratia che la precede;
su altre navi si ha invece un locale A.M. situato nella parte centrale dello
scafo. In quest'ultimo caso si nota sul fondo una galleria o tunnel che, at-
traversando tutte le stive che si trovano a poppavia del locale A.M., collega
la sua paratia poppiera con la paratia del pressatrecce (la parte terminale
del tunnel è normalmente più ampia e si chiama recesso del tunnel). La pre-
senza del tunnel è necessaria per assicurare il libero passaggio dell'asse che
trasmette al propulsore (elica) la rotazione che gli viene impressa dal moto-
re. L'asse suddetto è in realtà formato da diverse parti, saldamente colle-
gate fra loro, che vengono sostenute da speciali cuscinetti e che costituisco-
no la linea d'assi. Il tronco poppiero della linea d'assi è detto asse portaeli-
ca perché, dopo aver attraversato la paratia del pressatrecce e la parte
inferiore del gavone di poppa, fuoriesce dallo scafo e sulla sua estremità
viene applicato il propulsore.
Il foro che a questo scopo viene praticato sulla carena si chiamaforo del-
la botte o del barilotto per la forma della parte forata.
All'interno del gavone l'asse portaelica è chiuso in un tubo di passaggio
che si chiama astuccio e che, collegandosi in modo stagno all'estrema poppa
e alla paratia del pressatrecce, impedisce l'allagamento del gavone stesso
ad opera dell'acqua che s'infiltra attraverso il foro della botte.
Naturalmente l'astuccio dell'asse portaelica viene invaso dall'acqua ma

:i Su ta1une navi da carico, e particolarmente su quelle destinate al trasporto di automo·


bili, si aumenta talvolta il numero dei corridoi inserendo fra i diversi ponti, e fra l'ultimo ponte
e il fondo, uno o più ponti amovibili che si chiamano extra-deck.

70
Il interp. n. 1

1ti•a n. 4 stiva n. 3 D.T.


stiva n. 1
I. . n. . n.

una siffatta situazione, anziché temuta, è indispensabile per attenuare gli


attriti ed evitare pericolosi surriscaldamenti delle parti a contatto.
All'interno dell'astuccio si trovano due cuscinetti - cuscinetti dell'a-
stuccio - che, grazie ad una adeguata installazione, sopportano egregia-
mente il notevole carico derivante dall'azione dell'elica. Questi cuscinetti
sono formati da due tegole di bronzo, rivestite di doghe di legno santo, suffi.
cientemente distanziate fra loro onde formare scanalature in cui circola
l'acqua per la lubrificazione dei cuscinetti stessi. 10
Per evitare che l'acqua passi nel tunnel o nel locale A.M. attraverso l'a-
pertura esistente nella paratia del pressatrecce, si applica sulla stessa un
dispositivo che assicura l'impermeabilità senza ostacolare la rotazione del-
l'asse portaelica. Tale dispositivo è detto pressatrecce: ciò spiega la denomi-
nazione che assume la paratia stagna di poppa.
Il tunnel dell'asse portaelica o, più propriamente, tunnel della linea d 'as-
si, si presenta come una vera e propria galleria, perché deve avere dimensio-
ni sufficienti per consentire anche il passaggio al personale che vi si introdu-
ce per accertarsi del buon funzionamento del pressatrecce e dei dispositivi
di lubrificazione dei cuscinetti che sostengono la linea d'assi, e per effettuare
eventuali operazioni di manutenzione e di riparazione; la sua robustezza deve
essere sufficiente per consentirgli di sopportare senza danno la pressione delle
merci che gravano su di esso quando le stive sono completamente piene.
Un altro compartimento che si ritrova in moltissime navi 11 è il doppio
fondo, ovvero il volume che rimane racchiuso fra i due fondi di cui può esse-
re provvisto lo scafo (fig.14). La presenza di un fondo doppio nasce dall'esi-
genza di evitare l'allagamento delle stive e del locale A.M. in caso di lacera-
zioni nel fasciame del fondo vero e proprio, e dalla necessità di utilizzare il
volume che in tal modo risulta disponibile quale deposito per zavorra 1~ o ac-
qua dolce o combustibile liquido.

10
Su qualche nave viene adottato un sistema di lubrificazione forzata a olio. In tal caso
i cuscinetti sono rivestiti di met<1Uo b'ianco anziché di legno sant o e deve essere garantito lo
stagno all'olio nelle zone terminali dell'astuccio.
11
Anche se obbligatorio soltanto per le navi di lunghezza non inferiore a 50 m.
12
La zavorra è solitamente costituita da acqua di mare che viene imbarcata e sbarcata
dai vari compartimenti (a tal fine serviti da apposite pompe e tubolature) per assicurare alla
nave buone qualità nautiche.

71
Il doppio fondo può essere considerato come una cassa che si estende
in larghezza da un fianco all'altro dello scafo, abbastanza alta da protegge-
re anche il ginocchio e abbastanza lunga da interessare tutta la parte di sca-
fo compresa fra la paratia di collisione e la paratia del pressatrecce. 13
Il fondo interno si chiama cielo del doppio fonda o pagliolo della stiva
a seconda che lo si consideri come una copertura del doppio fondo o come
fondo della stiva.
Il doppio fondo non forma compartimento unico ma rimane suddiviso in
diversi compartimenti, non comunicanti e stagni, da elementi divisori di-
sposti longitudinalmente e trasversalmente.
Le suddivisioni stagne trasversali sono poste in prolungamento delle so-
vrastanti paratie stagne, cosicché risulta delimitato un compartimento del
doppio fondo in corrispondenza di ciascuna stiva. La sola suddivisione sta-
gna longitudinale normalmente esistente si trova nel piano diametrale e
pertanto ciascun compartimento rimane diviso in una parte dritta e una
parte sinistra.
Il frazionamento del D.F. in diversi compartimenti stagni costituisce un
fattore di grande sicurezza perché un eventuale allagamento derivante da
falla sul fondo o all'altezza del ginocchio rimane limitato al solo comparti-
mento comprendente la parte danneggiata.
La suddetta suddivisione offre inoltre la possibilità di agire sulla zavor-
ra o su altri liquidi eventualmente esistenti nei vari compartimenti del dop-
pio fondo, per variare l'assetto della nave e per determinare o eliminare
sbandamenti da un lato o dall'altro.
I diversi compartimenti del doppio fondo sono genericamente chiamati
doppi fondi; vengono individuati attraverso la stessa numerazione che si
usa per indicare le stive sovrastanti, ma aggiungendo quanto basta per sta-
bilire se si trovano sulla parte dritta o su quella sinistra.
Si parlerà pertanto di doppio fondo n. 1 dritta (D.F. n. 1 dr.) e dopvio
fondo n. 1 sinistra (D.F. n. 1 sn.), doppiofondo n. 2 dritta e doppiofondo
n. 2 sinistra, e così via, fino al compartimento che si trova sotto l'ultima
stiva.
Fa eccezione a questa regola il doppio fondo che si trova al di sotto del
locale apparato motore che viene solitamente indicato come doppio fondo
macchina, di dritta o di sinistra a seconda della parte che si considera.
Nella parte poppiera di ciascun doppio fondo esiste solitamente un re-
cesso stagno che prende il nome di sentina (fig. 15).
Si tratta di un minuscolo compartimento che viene chiamato anche poz-
zetto di sentina, e che si rivela indispensabile per espellere fuoribordo l'ac-
qua che potrebbe accidentalmente penetrare all'interno della stiva o esser-
vi immessa per ragioni particolari.
La sentina non comunica con il doppio fondo, ma ha il cielo forato onde
poter ricevere l'acqua eventualmente accumulatasi nella stiva sovrastante.
Dalla sentina l'acqua viene facilmente evacuata utilizzando un impi anto

13
Alle navi di lunghezza compresa fra 50 e 76 m è consentito di avere un doppio fondo
parziale, ovvero un D.F. che non si estende per tutta la parte del fondo compresa fra le due
paratie estreme. Per le navi cisterna non sussiste tuttavia l'obbligo di avere un D.F. sotto le
cisterne del carico.

72
eentlna

a D.F. D . F.

coperchio metallico tavole amovibili formanti


tubo di Il cielo della aentlna
bucharallato (emovibil■ J

7\

pozzetto

pigna

e d

di esaurimento che comprende una o più pompe, a vapore o elettriche, e Fig. 15 - Sentine:
a) sentine a pozzelto:
adeguate tubolature. b) sentine laterali :
Tenuto conto che l'assetto normale è quello di nave appoppata, i poz- e) particolare di sentina
zetti di sentina sono solitamente ricavati a ridosso della suddivisione tra- a pozzetto:
d) particolare di
sversale stagna che delimita il lato poppiero del doppio fondo . Per ragioni sentina laterale.
di sicurezza il pozzetto di sentina non deve essere troppo vicino al fianco
dello scafo né estendersi per tutta l'altezza del D.F. (di solito occupa soltan-
to la metà superiore di tale altezza). Il tubo di aspirazione pesca nel poz-
zetto fino a pochi centimetri dal fondo ed ha l'estremità protetta da una
scatola bucherellata. Tale scatola si chiama pigna e agisce come un filtro
adatto ad evitare che eventuali corpi solidi, accidentalmente penetrati in
sentina, possano ostruire il tubo di aspirazione e rendere inefficienti le
pompe.
Nelle vecchie costruzioni le sentine venivano ricavate ai margini laterali
di ciascun doppio fondo e si estendevano per tutta la lunghezza della stiva
(sentine longitudinali o laterali). Attualmente questa soluzione è del tutto
abbandonata perché, mentre è dimostrata la inutilità di una sentina tanto
estesa, risultano lente e complesse le operazioni di ispezione e pulizia cui
essa deve essere frequentemente sottoposta.
Queste impongono infatti la rimozione delle numerose tavole che costi-
tuiscono il cielo della sentina longitudinale, mentre nel caso di sentina a
pozzetto basta togliere una piastra metallica di modeste dimensioni per
avere la possibilità di valutare la situazione, procedere alla pulizia eventual-
mente necessaria, e ricoprire con rapidità e semplicità (in molti casi risulta
amovibile la parte bucherellata che mette in comunicazione la stiva con la
sentina).

73
Seppure raramente, può capitare di trovare scafi aventi per ogni stiva
un solo pozzetto di sentina ricavato nella parte centrale della estremità
poppiera del sottostante doppio fondo.
Una siffatta soluzione si rende però necessaria e possibile soltanto se il
fondo della stiva, anziché essere piano come di consueto, presenta una ac-
centuata concavità.
In tal caso infatti, l'acqua eventualmente penetrata all'interno della sti-
va si raccoglie nella parte centrale del fondo e defluisce in sentina per la
pendenza conseguente al normale appoppamento della nave.
Una parte non trascurabile del volume interno dello scafo viene utilizza-
ta, su ogni nave, per creare dei compartimenti nei quali sia possibile conser-
vare il combustibile necessario per la propulsione. Tali compartimenti sono
chiamati depositi per combustibile e risultano costituiti, in molti casi, da
grandi casse stagne capaci di contenere combustibile in quantità sufficiente
ad assicurare alla nave una considerevole autonomia (figg. 12 e 13).
Altro volume dello scafo è riservato alle casse per acqua dolce, ovvero
alle casse nelle quali si conserva l'acqua potabile necessaria per le persone
che vivono a bordo (fig. 12).
Anche le cisterne d'assetto e i doppi fondi possono essere utilizzati come
depositi per l'acqua dolce, ma questa non viene considerata potabile e si de-
finisce acqua di lavanda o di macchina a seconda che sia destinata alle doc-
ce, lavanderie ecc., o all'apparato motore.
I compartimenti destinati a contenere acqua di mare sono genericamen-
te definiti depositi per zavorra.
Abbiamo già detto che si possono usare a questo scopo le cisterne d'as-
setto e i doppi fondi ma, considerato che la loro capacità non è sufficiente
per contenere tutta la zavorra che si ritiene necessaria per assicurare un
buon comportamento nautico della nave scarica, esistono normalmente an-
che altri compartimenti che vengono indicati come cisterne o tanche di za-
vorra o come casse di zavorra.
Le cisterne di zavorra, meglio conosciute come deep tanks, sono com-
partimenti stagni che racchiudono volumi notevoli e utilizzabili anche per
il carico (fig. 14).
Le casse di zavorra sono caratteristiche delle navi portarinfuse e porta-
minerali, ma si trovano talvolta anche su navi adibite al trasporto di carichi
particolari (contenitori, automobili ecc.), nelle navi passeggeri, nelle navi
destinate a svolgere servizi speciali e nelle navi militari.
Se si estendono per tutta l'altezza di ciascun fianco o per buona parte
di esso, in modo da formare un doppio fianco completo o parziale, le casse
di zavorra si definiscono genericamente casse laterali e sono utilizzate sol-
tanto come depositi per zavorra liquida; se occupano solo il volume compre-
so fra le parti laterali del ponte principale e la parte superiore di ciascun
fianco, si chiamano casse alte e possono contenere anche una parte del cari-
co quando questo sia costituito da granaglie (fig. 16).
Anche le casse di zavorra sono contraddistinte, come i doppi fondi, da
un numero che corrisponde normalmente a quello attribuito alla stiva in cui
risultano incorporate.
Per completare le considerazioni riguardanti la suddivisione del volume

74
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UN
o .l F . D.F. D .F .
a b

Fig. 16 • Sistemazione
delle casse per la
zavorra: a) casse
laterali di una nave
I portaminerali:
■ tlva
b) e c) casse laterali
di navi portacontenitori:
d) casse alte di una

e-------+------
D.F. D.F. d.__ _ _ _ _-4-_D.F.
D.F. _ _ _ __ , nave porta rinfuse.

interno dello scafo bisogna ora rilevare che i compartimenti destinati a con-
tenere carichi liquicli alla rinfusa si chiamano tanche o cisterne e non stive
(fig. 17).
Tali compartimenti sono caratteristici delle navi espressamente costrui-
te per il trasporto di carichi liquidi alla rinfusa, cioè delle navi cisterna;
sono numerati, come le stive, a partire da quello di prora ma, poiché ciascu-
no di essi è limitato in larghezza da una o due paratie stagne longitudinali,
si procede ad una precisa identificazione tenendo anche conto della parte
in cui si trova rispetto al piano diametrale.
Nelle navi con una sola paratia stagna longitudinale si distinguono tan-
che di dritta e tanche di sinistra; nelle navi che hanno due paratie stagne
longitudinali si dicono tanche centrali quelle racchiuse fra le due paratie
longitudinali, tanche di dritta quelle comprese fra la paratia di dritta e il
fianco dritto, tanche d1: sinistra quelle comprese fra la paratia di sinistra
e il fianco sinistro.
Su talune navi e su tutte le navi cisterna che trasportano prodotti petro-
liferi (navi petroliere), gas liquefatti (navi gassiere) e prodotti chimici (navi
chimichiere), esistono delle intercapedini, meglio conosciute come coffer-
dams, che separano due compartimenti adiacenti destinati a contenere li-
quidi che non devono mescolarsi, o mantengono ben isolato un comparti-
mento in cui possono trovarsi liquidi o miscele gassose pericolose (fig. 17).
Non è raro trovare cofferdams di separazione fra cisterne d'assetto e
doppi fondi, poiché questi ultimi possono essere utilizzati su certe navi
come depositi per il combustibile; è però immancabile la presenza dei cof-
ferdams nelle navi cisterna, quali elementi di separazione della zona desti-
nata al carico dalle rimanenti zone della prua e della poppa.
Talvolta i cofferdams sono utilizzati come depositi per la zavorra, ma in

75
cìst.
lal.
1
ci st.
eenr•'e
cist.
111.
-

c ist. N. 6 i cist. N. 5
I .
cist. N . , 1 cist. N . 3 I cist. N. 2 i cist. N . ,

12
12
12

Fig. 17 • Suddivisione generale si preferisce sfruttare almeno una parte del volume che essi impe-
interna dello scafo di gnano, ricavandovi dei compartimenti che si chiamano locali delle pompe
una nave cisterna:
1) cisterna d'assetto (figg. 13 e 17) perché contengono le diverse pompe necessarie per la carica-
gavone prua: 2) cale zione e la scaricazione dei carichi liquidi e della zavorra.
del nostromo: 3) pozzo Tutte le tanche delle navi cisterna possono ovviamente essere utilizzate
delle catene; 4) deep
tank: 5) locale delle come depositi per la zavorra, ma si registra una netta tendenza a destinare
pompe; 6) cofferdam: a tale servizio un numero ben definito di tanche, alcune delle quali (general-
7) depositi mente due) rimangono vuote quando la nave è carica.
combustibile: 8) cassa
acqua dolce; 9) locale Questa condizione è resa obbligatoria dalle norme MARPOL 14 per le
macchina del timone; navi petroliere di portata lorda uguale o superiore a 20 000 t. Tali navi de-
1O) cisterna d'assetto vono infatti essere dotate di due tanche per la zavorra segregata, ossia due
gavone poppa; 11 ) tanche utilizzabili soltanto per il trasporto dell'acqua di zavorra e perciò
doppio fondo macchina:
12) depositi. servite da un impianto di pompe e tubolature completamente separato dal-
l'impianto del carico e del combustibile.
Qualche volta la parte superiore di un compartimento destinato al carico
risulta delimitata, sia in lunghezza che in larghezza, da quattro pareti che
formano un cassone, senza fondo né cielo, che viene chiamato cofano. Il co-
fano non manca mai nel locale apparato motore (cofano di macchina), dove
è particolarmente avvertita l'esigenza di ridurre il volume impegnato per
gli impianti di propulsione nella parte superiore dello scafo e nelle sovra-
strutture (figg. 12 e 17).
Il cofano di macchina si innalza fino ad un ponte scoperto di sovrastrut-
tura (generalmente il più alto), sul quale vengono praticate ampie aperture
- osteriggi - che servono per dare luce e aria al sottostante locale appara-
to motore (fig. 18).

14
Convenzione Internazionale 1973-78 per la prevenzione dell'inquinamento causato da navi.

76
Fig. 18 - Osteriggio
del locale apparato
motore.

3. Aperture praticate sui ponti e sul fondo interno

Esaminata la nomenclatura dei vari compartimenti dello scafo, bisogna


precisare che ciascuno di essi è dotato di aperture adatte per una razionale
utilizzazione, o necessarie per poter effettuare visite di ispezione e lavori di
pulizia e manutenzione.
Tali aperture possono avere forme e dimensioni notevolmente diverse,
ma sono sempre ben protette ed a tal fine provviste, se necessario, di mezzi
di chiusura stagni e resistenti; apposite scale, metalliche o di legno, servono
le aperture di accesso per le persone, onde facilitare la discesa nei vari com-
partimenti.
Le aperture praticate sui ponti per accedere nelle parti di interponte de-
stinate ad alloggi o altri servizi necessari per l'equipaggio e i passeggeri,
sono ampie e servite da comode scale.
Se si trovano su un ponte scoperto sono protette da una sovrastruttura
all'interno della quale si entra mediante aperture che si differenziano da
quelle delle costruzioni terrestri soltanto per la soglia molto rialzata e per
la presenza di una porta d'acciaio a chiusura stagna (porta stagna). 15
Anche nel locale A.M. si entra attraverso ampie aperture che vengono
solitamente praticate sulle pareti del cofano, in zone protette da sovrastrut-
ture. Ciascuna apertura è provvista di porta stagna con soglia adeguatamen-
te rialzata, ed è servita da scala metallica a diverse rampe.

15 Sui ponti scoperti delle vecchie costruzioni esistevano, a questo scopo, delle garitte con

porta stagna e soglia molto rialzata che si chiamavano tam/nwci.

77
All'interno del locale apparato motore i ponti sono interrotti o caratteriz-
zati da grosse aperture sui cui lati si innalzano le pareti del cofano.
Per facilitare i lavori di control1o, manutenzione e riparazione nella parte
superiore dell'apparato motore, e per accedere nei locali eventualmente rica-
vati fra il cofano e i fianchi e normalmente adibiti a sale di controllo, a offici-
ne e magazzini di macchina, esistono, a diverse altezze, apposite passerelle
metalliche collegate con le scale di discesa.
Tali passerelle sono del tipo «a giorno», e cioè sono formate da ferri non
ricoperti da lamiere, e si chiamano griselle. 16
F ra le aperture esistenti sui ponti assumono particolare importanza quel-
le che si utilizzano per caricare e scaricare le merci dalle stive e dagli inter-
ponti. Si tratta di aper ture a sezione quadrata o rettangolare che si defini-
scono boccaporte o boccaporti (fig. 19) e le cui dimensioni sono abbastanza
grandi da consentire il rapido svolgimento delle operazioni di imbarco e sbar-
co anche per oggetti molto ingombranti. 17

Fig. 19 - Boccaporti di
una nave portarinfuse
(porlelloni in posizione
di completa aperlura)
e relative mastre con
i necessari scalmotti
di rinforzo (fra un
boccaporlo e l'altro
sono visibili le
maniche a vento
e gli estrattori l.

u; Per i casi di emergenza è prevista una via di uscita dal locale A.M. attraverso il tunnel.
A tal fine esiste, sopra il recesso, un piccolo cofano che mette in comunicazione il tunnel con
la sovrastruttura di poppa e che può essere percorso avvalendosi di una scala a pioli fissata ad
una delle sue pareti.
17
I boccaporti delle grandi navi da carico raggiungono e superano talvolta i 20 m di lun-
ghez1.a.

78
Sui lati di ciascun boccaporto esiste un battente di protezione e rinforzo,
costituito da lamiere di adeguato spessore e disposte verticalmente. Questo
battente, che i naviganti preferiscono chiamare mastra del boccaporto, serve
anche per sostenere i portelloni metallici 18 che vengono usati per assicura·
re la chiusura stagna dei boccaporti (fig. 19).
I boccaporti del ponte scoperto sono sempre provvisti di battenti che si
elevano a conveniente altezza 19 al di sopra del ponte stesso; apposite squa-
dre di rinforzo - scalmotti - irrigidiscono la parte esterna del battente e
la collegano saldamente alle ossature del ponte (fig. 19).
Ponti e copet'tini sono anche provvisti delle aper ture necessarie per acce-
dere nei gavoni, nelle tanche, nelle casse e cisterne di zavorra, nelle cisterne
d'assetto, nei depositi di acqua e di combustibile, nei cofferdams, nelle stive,
negli interponti destinati al carico, nella estremità poppiera del tunnel del-
l'asse portaelica e in altri compartimenti eventualmente esistenti all'interno
dello scafo.
Apposite aperture sono inoltre praticate sul cielo del doppio fondo per ac-
cedere all'interno di questo, sul cielo delle sentine particolarmente sviluppa·
te nel senso della lunghezza e in altri recessi eventualmente ricavati sul fon-
do, quali sono, ad esempio, quelli che contengono gli oscillatori degli scanda-
gli ultrasonori di cui sono dotate le navi moderne per misurare la profondità
del mare.
Queste aperture si chiamano passi d'uomo se hanno sezione ellittica o
circolare e dimensioni appena sufficienti per consentire il passaggio di una
persona,2° si chiamano hoccaportelli 21 se sono a sezione quadrata o circola-
re e di dimensioni meno limitate.
Se l'altezza del compartimento sottostante lo esige, passi d'uomo e bocca-
portelli sono serviti da scala metallica a pioli.
I passi d'uomo e i boccaportelli dei ponti scoperti sono sempre protetti
da un battente di altezza adeguata e possono essere chiusi da un portello
d'acciaio a tenuta stagna. Questo portello si presenta come un solido co-
perchio, incernierato su un lato del battente di protezione e bloccabile in
posizione di chiusura da due o più tiranti filettati con relativo galletto (figg.
20 e 21).
Anche sui ponti inferiori e sui copertini i boccaportelli sono generalmente
protetti da un piccolo battente che si rivela quanto mai utile come sostegno
del portello di chiusura.
I passi d'uomo possono essere del tipo con battente e portello, ma devono
avere una chiusura «a paro» se la presenza di questi dispositivi costituisce
intralcio per il passaggio e la sistemazione delle persone, o per lo stivaggio

18
I portelloni metallici sono caratteristici delle costruzioni moderne. Tn passato i bocca-
porti erano protetti da coperchiett-,: di legno (detti anche quartieri, o pannò o boccaporti) e da
due o più incerate adeguatamente fissate al battente.
l !J L'altezza del battente al di sopra del ponte scoperto oscilla normalmente fra valori mini-
mi compresi tra 450 e 600 mm.
20
I passi d'uomo normali sono ellissi di 350 per 450 mm.
21
I boccaportelli delle casse alte delle portarinfuse sono utilizzati anche per la caricazione
e la scaricazione delle brranaglie.

79
b

l ' t t t X t.

52
durante l'apertura

In posizione di apertura
li. is

poppa

Fig. 20 - Portelloni Mac-Gregor per la chiusura dei boccaporti.


Fig. 21 - Boccaportelli:
a) battente: b) portello
di chiusura a tenuta
stagna.

e la scaricazione delle merci; 22 in tal caso la chiusura è assicurata da una


piastra d'acciaio a tenuta stagna - porta-, che viene fissata direttamente
sopra la parte forata con numerosi e solidi bulloni.
Altre aperture che non costituiscono vie d'accesso per le persone o
per le merci, ma che sono ugualmente necessarie per soddisfare diverse
esigenze, si notano sia sui ponti e sui copertini che sul cielo del doppio
fondo.
Di tali aperture, alcune servono per scaricare fuoribordo, sui ponti sot-
tostanti o in sentina, l'acqua che si accumula sui ponti per il cattivo tempo
o per altri motivi, altre hanno il solo scopo di rendere possibile il passaggio
degli alberi all'interno dello scafo, altre ancora sono praticate per il passag-
gio delle numerose tubazioni che vengono installate a bordo al fine di ga-
rantire l'efficienza di servizi vari e la sicurezza delle persone e delle cose
trasportate.
Le aperture esistenti sui ponti e sui copertini allo scopo di smaltire
l'acqua eventualmente accumulatasi su di essi si chiamano ombrinali.
Si tratta, com'è facile immaginare, di piccoli fori a sezione circolare, pra-
ticati in prossimità dei fianchi e normalmente serviti da tubi fissati con
collegamento stagno sulla faccia inferiore della lamiera, che convoglia-
no l'acqua sui ponti sottostanti o in sentina, o la scaricano fuoribordo
(fig. 35).
In generale si può ritenere che l'acqua presente sui ponti di sovrastrut-
tura venga convogliata sul ponte di coperta, mentre si raccoglie in sentina
l'acqua eventualmente accumulatasi sui ponti inferiori.
Lo scarico fuoribordo avviene attraverso aperture praticate sui fian-
chi - scarichi - e a11e quali fanno capo i tubi che si collegano diretta-

22
Sono sempre di questo tipo i passi d'uomo che si trovano sul fondo delle sti ve per !"ac-
cesso nei doppi fondi, nelle sentine ecc.

82
mente agli ombrinali del ponte di coperta o alle tubazioni e pompe di
sentina. 23
Le aperture per il passaggio degli alberi sono rinforzate da un telaio pe-
riferico - mastra - che risulta molto utile per collegare, in modo robusto
e stagno, l'albero stesso al ponte che attraversa (fig. 22).

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lJ.---J-- I,L
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-·-·
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.

Nelle navi moderne gli alberi si arrestano di solito nel primo interponte Fig. 22 (a sinistra) -
e pertanto solo gli eventuali ponti di sovrastruttura e il ponte di coperta Mastra.
presentano le aperture necessarie per il loro passaggio. Fig. 23 (sopra) -
L'estremità inferiore di ciascun albero - piede - rimane bloccata in Scassa.
una specie di gabbia che si chiama scassa e che viene solidamente fissata
ad una parte resistente (normalmente a una paratia trasversale a ridosso
della quale corre la parte inferiore dell'albero) (fig. 23).
Fra le numerose tubazioni che attraversano i ponti, i copertini e il cielo
del doppio fondo, e che sono collegate alle parti forate in modo da assicura-
re un passaggio perfettamente stagno, assumono particolare rilievo quelle
qui di seguito menzionate e descritte:
• trombe di ventilazione: sono grossi tubi che, partendo dai vari comparti-
menti, si elevano fino a conveniente altezza, al di sopra del ponte di coperta
o di un ponte di sovrastruttura, e che servono per immettere o estrarre aria
dalle stive, dagli interponti, dal locale A.M. , dai magazzini, dai depositi, dal-
le officine e da tutti quei locali che possono essere anche saltuariamente
frequentati dal personale di bordo.
Sulla parte superiore di una tromba di ventilazione può essere infilata
una cuffia orientabile oppure una testa (fissa o mobile) con le aperture ne-
cessarie per il passaggio dell'aria.
Le trombe di ventilazione che terminano superiormente con una cuffia
si chiamano maniche a vento e possono servire sia per l'immissione che per
l'estrazione dell'aria; quelle che risultano delimitate da una testa si chiama-
no estrattori e servono soltanto per l'uscita dell'aria dal compartimento in-
teressato (figg. 19 e 24).

i:J Tubazioni e pompe di sentina sono genericamente indicate come mezzi di esaurimen-
to. La loro disponibilità è indispensabile per prosciugare, in caso di necessità, i compartimenti
destinati al carico.

83
Fig. 24 - Trombe
di ventilazione:
a) manica a vento;
b) estrattori

La cuffia delle maniche a vento può ruotare attorno a un asse verticale;


da ciò deriva la possibilità di orientare la sua grande apertura terminale
Fig. 25 - Particolari
(bocca) per attivare la circolazione d'aria o per evitare infiltrazioni d'acqua
di manica a vento: in caso di cattivo tempo. Se necessario si procede alla chiusura della cuffia
a) cuffia girevole; ricoprendo la sua apertura con una apposita cappa di tela, ma, quando le
b) bat1ente;
I leva per la manovra circostanze lo consigliano, si realizza una chiusura più efficace togliendo la
della ventola; cuffia e ponendo al di sopra della parte fissa (battente) un tappo di legno
d) maniglie per
l'orientamento a misura, che viene poi ricoperto da una cappa di tela.
della cuffia.
Per arrestare la circolazione d'aria in caso d'incendio o per altri motivi,
esiste, nella parte superiore del battente, una ventola manovrabile con una
levetta collocata in un punto facilmente accessibile (fig. 25); alcune maniche
a vento hanno inoltre la bocca: permanentemente protetta da una rete me-
tallica avente lo scopo di impedire il passaggio di eventuali scintille (rete
antiscintille) nei sottostanti compartimenti (fig. 24).
La testa di un estrattore si presenta come un grosso cilindro o come un
cappello posto a protezione dell'estremità superiore del tubo 24 (in quest'ul-
timo caso è solitamente possibile regolare o chiudere del tutto l'apertura
attraverso la quale avviene il passaggio dell'aria, azionando un dispositivo
a vite che provoca un abbassamento o un innalzamento della testa). Si può
d
I
comunque ritenere che gli estrattori siano realizzati in modo da evitare in-
filtrazioni d'acqua, cosicché non sussiste neppure la necessità di coprirli
con cappe quando la nave attraversa zone burrascose.
Un tipo particolare di estrattore, normalmente sistemato in parti non
esposte ai colpi di mare, presenta come parte terminale una cuffia fissa a
due bocche (fig. 26);

24
Estrattori a fungo.

84
.c;:::r~~
-,
I

Fig, 26 - Estrattore a
cuffia,

• sfoghi d'aria e gas: sono tubi che permettono la fuoriuscita dell'aria o


dei gas presenti nei compartimenti adibiti a deposito d'acqua o di combusti-
bile o di carico liquido (casse per l'acqua dolce e per la nafta, doppi fondi,
cisterne d'assetto, casse e cisterne di zavorra, cisterne per il carico, ecc.).
Si estendono dal cielo di ciascun deposito, fino a conveniente altezza 25 al
di sopra di un ponte scoperto, e risultano indispensabili per evitare perico- Fig. 27 (a sinistra) -
Slogo d'aria e gas
lose sovrapressioni durante le operazioni di riempimento. 26 «a collo d'oca».
Per impedire infiltrazioni d'acqua all'interno, l'apertura superiore dei
tubi di sfogo è provvista di un tappo che si apre automaticamente quando Fig. 28 (sotto) - Slogo
d'aria e gas
si determinano condizioni di sovrappressione nel compartimento sotto- «a lungo».
stante.

25
Normalmente da 450 a 915 mm.
ZA Il tubo di sfogo può servire anche come via di scarico per il «troppo pieno», nel caso
si trascuri di sospendere le operazioni di riempimento al momento opportuno,

85
II dispositivo di protezione dell'apertura di sfogo viene però completato
realizzando la parte superiore del tubo in una forma particolarmente stu-
diata per ostacolare il passaggio dell'acqua.
Le forme comunemente usate sono due e determinano una suddivisione
degli sfoghi d'aria e gas in due tipi. Si dicono infatti sfoghi a collo d'oca (fig.
27) quelli che hanno la parte superiore curvata di 180°, mentre sono detti
sfoghi a fungo (fig. 28) quelli la cui parte superiore risulta protetta da una
larga campana che la ricopre parzialmente;
• tubi di sonda: sono tubi che consentono di stabilire il livello raggiunto
dal liquido eventualmente esistente in un compartimento interno.
Ne sono provviste tutte le cisterne, le casse, i doppi fondi e altri com-
partimenti destinati a deposito di liquidi, ma non mancano neppure nelle
sentine affinché sia possibile rilevare la presenza di acqua nelle stesse
e adottare i provvedimenti del caso se tale presenza è del tutto ingiusti-
ficata.
Un tubo di sonda si estende dalla parte inferiore del compartimento in-
teressato, fino al ponte di coperta o di sovrastruttura. L'estremità superio-
re termina spesso (<a paro» sul ponte ed è chiusa da un tappo a vite; l'estre-
mità inferiore arriva al fondo del compartimento, ma non lo raggiunge, per
non impedire al liquido che vi si trova di stabilirsi anche all'interno del tubo
se non è provvisto di apposite aperture (fig. 29).

A- .2
u 1
Fig, 29 - Tubo
di sonda 1) tuho;
2) apertura; 3) fondo
del tubo.

Il «sondaggio», ovvero l'operazione di misurazione del livello che rag-


giunge l'acqua o il combustibile esistente nei vari compartimenti, si effet-
tua, non meno di una volta al giorno, servendosi di un dispositivo che si
chiama sonda e che è costituito da un'asta metallica (rigida o snodata) fissa-
ta alla estremità di una sagola, 27 o da un piombino collegato ad un lungo
nastro d'acciaio millimetrato. 28
Per sondare un compartimento si introduce l'asta o il piombino della
sonda all'interno del tubo (che non deve presentare gomiti o strozzature

27
Nel linguaggio marinaresco si chiama sagolri qualsiasi corda, di fibra vegetale o sinte-
tica, di circonferenza compresa fra 1 e 3 cm.
28
La sonda con piombino e nastro è usata per i depositi di combustibile.

86
poiché ne impedirebbero il passaggio) e lo si lascia discendere lentamente
finché non abbia raggiunto il fondo. Ciò fatto si estrae la sonda dal tubo
e si stabilisce l'altezza del liquido contenuto nel compartimento misurando
semplicemente la lunghezza della parte che risulta bagnata per esservisi
immersa; 29

• tubazioni per il carico liquido: sono grossi tubi che attraversano il pon-
te di coperta delle navi cisterna e che servono per l'imbarco e lo sbarco del
carico dalle varie cisterne. Le estremità inferiori dei vari tubi raggiungono
il fondo dello scafo; le estremità superiori si trovano a conveniente altezza
sul ponte di coperta e possono essere perfettamente chiuse con l'ausilio di
apposite valvole o con speciali •<flange cieche».

4. Aperture dei fianchi, dell'estrema prora e dell'estrema poppa

Anche sui fianchi si possono notare diverse aperture che si rivelano indi- Fig. 30 · Oblò:
spensabili per assicurare l'efficienza di numerosi servizi, per l'imbarco e lo a) portellino;
b) controportellìno.
sbarco di persone e merci, per l'aerazione e illuminazione dei locali di allog-
gio e di servizio.
Le aperture che si utilizzano per dare luce e aria ai compartimenti inter-
ni hanno sezione circolare e si chiamano oblò. Per la loro protezione si usa-
no portellini di spesso crista!Jo e controportellini d'acciaio che assicurano
la tenuta stagna in qualsiasi condizione di tempo e di mare (fig. 30).
I controportellini sono incernierati a un telaio di rinforzo che circonda
l'apertura e possono essere chiusi mediante due o più tiranti filettati, e
provvisti di maniglia a vite non sfilabile, anch'essi fissati sul telaio periferi-
co sopra citato.
I portellini possono essere incernierati e chiudibili con tiranti aventi ca-
ratteristiche in tutto simili a quelli dei controportellini, ma possono anche
essere del tipo a «luce fissa».
Nel primo caso si hanno portellini «apribili» che permettono di illumina-
re e arieggiare il compartimento interessato, nel secondo caso i portellini
sono del tipo «non apribile» e consentono soltanto l'illuminazione del locale
in cui si trovano.
I portellini di tipo apribile sono ovviamente preferibili a quelli fissi, ma
non sono ammessi in zone particolarmente esposte all'azione del mare, 30
onde evitare allagamenti in seguito alla inosservanza delle disposizioni ri-
guardanti la sicurezza durante la navigazione.
L'imbarco e lo sbarco delle persone avviene attraverso aperture che si
chiamano barcarizzi se immettono su un ponte scoperto (principale o di so-
vrastruttura), portelloni d'imbarco negli altri casi.
Il barcarizzo è normalmente costituito da una apertura rettangolare

t\l Normalmente l'asta della sonda è provvista di graduazione in decimetri o mezzi deci-
metri, cosicché la lettura dell'altezza del liquido risulta estremamente semplice e rapida.
30
Al di sotto di una linea situata a distanza pari al 2,5% della larghezza sopra il galleg-
giamento di massimo carico.

87
Fig. 31 • Barcarizzo (fig. 31) che.non richiede mezzi di chiusura stagni e particolarmente robusti
perché praticata su una parte che può considerarsi come un prolungamento
del fianco al di sopra del ponte scoperto. Tale parte si dice parapetto e si
eleva al di sopra del ponte ad altezza sufficiente per salvaguardare l'incolu-
mità delle persone (figg. 28 e 35).
Il parapetto è sostenuto da robusti ferri a squadra - scalmotti - che
si collegano saldamente alle ossature del ponte (figg. 28 e 35) e termina su-
periormente con un angolare di rinforzo che si chiama capodibanda (fig. 35).
Su qualche nave, invece del parapetto chiuso e formato da lamiere ed
elementi resistenti che contribuiscono anche alla generale robustezza dello
scafo, esiste una sorta di ringhiera avente il solo scopo di evitare la caduta
in mare delle persone che sì trovano sul ponte (fig. 27). Anche questo sem·
plice mezzo di protezione viene genericamente definito parapetto, ma può
essere più propriamente indicato come battagliola; degli elementi che lo
compongono si dicono candelieri quelli disposti verticalmente, passamani
quelli disposti orizzontalmente.
I portelloni d'imbarco sono caratteristici delle navi passeggeri e delle
navi traghetto, ma si possono trovare anche nelle navi da carico (in tal caso
servono soprattutto per l'imbarco e lo sbarco delle merci). Sono ampie
aperture praticate sui fianchi per accedere direttamente all'interno dello
scafo, che vengono protette da portelloni, porte e portelli a tenuta stagna
e sufficientemente robusti per assicurare l'integrità del fasciame in qualsia-
si circostanza (fig. 32).
Normalmente esiste un barcarizzo sulla parte dritta e un barcarizzo sul-
la parte sinistra, mentre i portelloni d'imbarco sono più o meno numerosi,
su ciascun fianco, a seconda delle esigenze di servizio.
Per raggiungere i barcarizzi e i portelloni d'imbarco ci sì avvale di como-
de scale - scale reali - dì cui è dotata la nave.
Una scala reale deve essere abbastanza lunga da consentire l'imbarco
e lo sbarco delle persone in qualsiasi prevedibile condizione di ormeggio 31
e deve essere dotata dei dispositivi necessari per poter sistemare su ciascun
lato una serie di candelieri che costituiscono un sostegno efficace per i pas-
samani (fig. 33).

31
Ormeggiare una nave significa collegarla alla terraferma mediante cavi o catene fis-
sate a oggetti emersi o immersi.

88
Fig. 32 (sopra) -
Portelloni d'imbarco di
una nave traghetto.

Fig. 33 (a fianco) -
Scala reale.

89
L'estremità superiore della scala reale si collega ad una piattaforma o
piazzuola che viene fissata sul fianco, in corrispondenza del lato inferiore
del barcarizzo o del portellone d'imbarco. Il collegamento è realizzato in
modo che la scala possa essere orientata nella direzione più conveniente e
la sua inclinazione regolata a seconda delle necessità. Per soddisfare questa
esigenza l'estremità inferiore può essere alzata o abbassata agendo su uno
o più paranchi sospesi ad apposite gru e collegati alla scala mediante dispo-
sitivi - bilancieri - realizzati in modo da non costituire ostacolo per il pas-
saggio delle persone. 32
Durante la navigazione la scala reale rimane alzata e fissata in posizione
di sgombro (fig. 34).
Se la nave si trova ormeggiata in condizioni che rendono impossibile
l'impiego della scala reale, si può accedere a bordo usando una robusta e
comoda passerella chiamata scalandrone o una scala che potrebbe essere
considerata «di servizio» e che si definisce biscaglina.
Lo scalandrone è indispensabile con nave ormeggiata di poppa, ma so-
stituisce la scala reale anche nel caso in cui la nave si trova ormeggiata con
il fianco ad una banchina molto alta. Per rendere agevole e sicuro il suo im-
piego è lateralmente protetto da parapetti, fissi e amovibili, formati da un
sufficiente numero di candelieri e da due passamani.
La biscaglina (fig. 34) è una scala di difficile impiego perché rimane di-
sposta verticalmente e non possiede alcuna rigidità. Viene infatti fissata

---~.111111111 . ~
..........

Fig. 34 · Scale di
accesso: a) scala
reale in posizione di
sgombro (assetto di
navigazione):
b) biscaglina.

32
Le scale reali hanno talvolta gli scalini articolati (scalini che si dispongono spontanea-
mente con il piano orizzontale, qualunque sia l'inclinazione della scala).

90
Fig. 35 - Sloghi
d'acqua: 1) scalmotto:
2) capodibanda;
3) fasciame del ponte;
4) angolare di rinforzo
(trincarino); 5) lamiera
del parapetto:
6) apertura per lo
sfogo dell'acqua;
7) sbarre di protezione;
8) ombrinale;
9) asse di rotazione
del portello;
1O) scontro;
11) asta di arresto;
12) portello.

Fig. 36 - Passacavi
e sfogo d'acqua.

alla nave soltanto con la sua estremità superiore ed è formata da cavi estre-
mamente flessibili che le impediscono di restare immobile sotto l'azione del-
le persone che salgono o scendono; gli scalini sono di legno, ma piuttosto
limitati in larghezza per evitare che la scala risulti eccessivamente ingom-
brante e pesante. 33
Sul parapetto esistono anche numerose aperture che servono per scari-
care fuoribordo l'acqua che si rovescia sui ponti scoperti in caso di cattivo
tempo e altre aperture che si utilizzano per il passaggio dei cavi d'or-
meggio.
Le aperture per lo scarico dell'acqua dai ponti scoperti si chiamano sfo-
ghi d'acqua; hanno sezione rettangolare o quadrata e sono talvolta munite Fig. 37 - Scarico
fuoribordo: 1) foro di
di portello ad asse orizzontale che si apre soltanto verso l'esterno per impe- scarico; 2) valvola
dire afflussi d'acqua sui ponti senza ostacolarne il deflusso (figg. 35 e 36). «a libretto» (impedisce
l'afflusso di acqua
Le aperture per il passaggio dei cavi d'ormeggio hanno sezione ellittica dall' esterno);
o circolare, si chiamano passacavi e sono rinforzate da un telaio periferico, 3) tubo di scarico;
robusto e opportunamente sagomato per evitare il rapido deterioramento 4) fasciame esterno.
dei cavi stessi (fig. 36).
Fra le aperture che si notano sui fianchi meritano una sia pur breve con-
siderazione i già menzionati fori di scarico degli ombrinali e altri fori a se-
zione circolare che vengono genericamente definiti scarichi (fig. 37), ma
che possono distinguersi, tenendo conto della funzione che svolgono, in sca-
richi di zavorra, scarichi di sentina, scarichi d'igiene, scarichi della circo-
lazione dell'acqua di raffreddamento dell'apparato motore, scarichi del-
l'impianto frigorifero ecc. '\ ,,._< .· 2 -- 1
-....:-:~

33 L'uso della biscaglina è particolarmente difficoltoso per coloro che non hanno espe-
rienza e agilità.

91
Altre aperture si trovano nella zona del ginocchio e si chiamano prese
dal mare perché consentono di far affluire a bordo l'acqua necessaria per
tutti i servizi in cui è richiesta (refrigerazione, zavorra, igiene, antincendio
ecc.).
Le prese dal mare sono ovviamente protette da lamiera bucherellata
per evitare l'entrata di corpi solidi che finirebbero con l'ostruire le tubola-
ture e col rendere impossibile il funzionamento delle pompe che sono ad
esse collegate. 34
Apposite valvole di intercettazione - valvole Kingston - , costruite e
installate in modo che una eventuale disfunzione provochi la loro chiusura
spontanea, consentono di isolare le prese dal mare in qualsiasi momento
(fig. 2, cap. XX).
Nella parte superiore di ciascun mascone esiste una grossa apertura che
si chiama occhio di cubìa e la cui presenza è necessaria per il passaggio
della catena dell'ancora (fig. 4, cap. XVII). Naturalmente, nemmeno queste
aperture sono causa di allagamenti poiché ad esse si collega, a tenuta sta-
gna, un grosso tubo - cubìa - che sfocia sul ponte (scoperto) in cui si tro-
vano i meccanismi per la manovra delle ancore.
Su tale ponte si notano quindi due fori, che costituiscono gli sboc-
chi superiori delle cubìe e che si chiamano occhi superiori delle cubìe
(fig. 38), anch'essi realizzati in modo da impedire infiltrazioni d'acqua al-
l'interno dello scafo. Altri due fori si trovano a poppavia della macchina
che si usa per salpare le ancore, con Io scopo di assicurare alle loro ca-
tene un passaggio verso il relativo pozzo. Questi ultimi fori sono definiti

Fig. 38 - Sbocchi
superiori di cubia.

34
Una ulteriore e più spinta protezione è affidata à filtri che si trovano installati nelle
tubolature, fra le prese e le pompe.

92
f.
sbocchi o occhi del pozzo delle catene (fig. 4, cap. XVII); poiché la presen-
za delle catene impedisce l'adozione di un sistema di chiusura stagna per- Il
; •

manente, è il personale di bordo che assicura questa condizione durante la 11

navigazione, avvalendosi di tappi amovibili opportunamente cementati, al il


fine di evitare l'allagamento del pozzo sottostante e delle adiacenti cale del
gavone di prua.
I
Nella parte estrema della poppa delle navi monoelica si nota il già menzio-
nato foro della botte (fig. 39), ovvero il foro attraverso il quale fuoriesce l'as-
se portaelica (il foro della botte esiste anche nelle navi a tre eliche; gli assi del-
le eliche laterali delle navi trieliche e quelli delle navi bieliche o quadrieliche
escono dallo scafo attraverso aperture in tutto simili al foro della botte).
Una apertura la cui presenza è indispensabile per il passaggio dell'asta
del timone si trova nella volta. Questa apertura - losca - costituisce lo sboc-
co inferiore di un tubo che si collega in modo stagno al fasciame della volta
e che si innalza fino al copertino o ponte del locale della macchina del timo-
ne (un premitrecce impedisce, se necessario, infiltrazioni d'acqua nel locale
macchina timone senza ostacolare la rotazione dell'asta nella losca).
Talune navi hanno anche un occhio di cubìa sullo specchio che, in tutto
simile a quelli del mascone, assicura il passaggio stagno della catena di un'an-
cora supplementare.
Fig. 39 - (a sinistra) -
Altre aperture che si possono trovare sui fianchi delle navi moderne Foro della botte.
sono gli sbocchi del condotto dell'elica di manovra (fig. 40). Si tratta
Fig. 40 (sotto} - Elica
di due grosse aperture circolari, simmetricamente disposte rispetto al pia- di manovra e relativo
no diametrale, che consentono il libero accesso dell'acqua in un condotto condotto.

trasversale ricavato nella parte immersa della prora (qualche volta un iden-
tico condotto con i relativi sbocchi si t rova anche della parte immersa della
poppa) e al centro del quale è installata un'elica azionata da un asse anch'esso
trasversale. Questa elica si dice <<di manovra» perché con la sua azione si
può imprimer e, all'acqua in cui è immersa, una spinta trasversale dalla qua-
le deriva, per reazione, una energica rotazione della prora.

93
Alcune navi presentano anche delle aperture, nei fianchi della parte
maestra, attraverso le quali fuoriescono le speciali pinne stabilizzatrici, o
pinne antirollio, di cui sono dotate per contenere entro valori molto limita-
ti l'ampiezza delle oscillazioni trasversali provocate dal mare agitato (que-
ste pinne rientrano all'interno dello scafo quando la nave naviga in acque
calme).
Osserviamo infine che le navi traghetto e le navi da carico che trasporta-
no automezzi hanno sempre una grande apertura sull'opera morta di estre-
ma poppa per poter effettuare le operazioni di imbarco e di sbarco di carri
ferroviari, automobili e autoarticolati che esse trasportano con il sistema
Ro-Ro (roll-on/roll-off). Per snellire le operazioni portuali queste navi pre-
sentano, in molti casi, anche una analoga apertura sull'opera morta di
estrema prora. Ma, mentre quest'ultima è normalmente protetta da una ce-
Fig. 41 - Celata
lata, oltreché da un portellone abbattibile per costituire una rampa di ac-
di una nave traghetto cesso o di sbarco, quella poppiera può essere chiusa soltanto da un analogo
in fase di apertura. portellone (figg. 41 e 42).

Fig. 42 ·
Portellone di poppa
per l'imbarco di
automezzi e loro
sistemazione a bordo.

94
Fig. 3 • Tuga prodiera infatti contenere macchinari necessari per assicurare importanti servizi,
di una nave passeggeri. possono essere adibite a deposito per attrezzature varie, possono servire
per realizzare alloggi e locali di servizio, possono costituire un efficiente ri-
paro per le aperture di accesso all'interno dello scafo.
L'altezza di una tuga è normalmente limitata ad un solo ordine e pertan·
to il suo aspetto è quello di un grosso e basso casotto che si eleva al di sopra
di un ponte scoperto (generalmente il ponte di coperta); le sue pareti longi-
tudinali si chiamano fianchi, mentre quelle trasversali sono indicate come
paratie terminali; il tetto viene comunemente definito copertino di tuga
dalla gente di bordo, ma può essere indicato anche come ponte di tuga, o
addirittura come tetto della tuga.

6. Aperture nelle parti di sovrastruttura

Per accedere all'interno delle sovrastrutture complete si utilizzano por-


telloni d'imbarco in tutto simili a quelli dello scafo e che differiscono da que-
sti soltanto per la loro più elevata posizione (i portelloni delle sovrastruttu-
re si trovano al di sopra del ponte principale).
Per l'accesso all'interno delle sovrastrutture parziali esistono, nei fian·
chi o nelle paratie terminali, apposite aperture protette da porte a tenuta
stagna e di robustezza adeguata.
I vari locali esistenti all'interno delle sovrastrutture ricevono luce e aria
da ampi finestrini o da oblò (figg. 4 e 5). Gli oblò sono protetti, come sappia-
mo, da portellini di cristallo e controportellini di acciaio, ma conviene rile-

100
Fig. 4 - Finestrino con
portello a cerniera.

vare che questi ultimi possono essere eliminati nelle zone poco esposte ai
colpi di mare. Anche i finestrini devono poter essere chiusi a tenuta stagna:
a tale scopo sono protetti da un cristallo di adeguato spessore, inserito in
un telaio periferico (di legno o di metallo) debitamente incernierato su una
paratia terminale o su un fianco, oppure sistemato in modo da assicurare
la chiusura stagna mediante il suo scorrimento orizzontale o verticale.

Fig. 5 • Oblò di una


paratia terminale
del cassero centrale.

101
..
Fig. 6 - Nave passeggeri.

Nomenclatura delle parli numerate

1. Motori di propulsione (4 Wartsila-Pielstick) 20. Sala da gioco


2. Trasmissione a frizione e scatola ingranaggi 21. Negozio
3. Alternatori-asse (4) 22. Casinò
4. Asse portaelica (dr. e sin.) 23. Riviera Club
5. Elica a passo variabile (dr. e sin.) 24. Caffé Lido
6. Generatori di corrente (2) 25. Sala Orizzonte
7. Stabilizzatori (dr. e sin.) 26. Ponte n. 8 (Ponte Lido)
8. Eliche di manovra 27. Sala nautica/timoneria
9. Macchina del timone (dr. e sin.) 28. Aletta di plancia
10. Apertura di accesso per passeggeri 29. Alberetto da segnali
11. Ponte n. 5 (Ponte Caraibi) 30. Stazione radio
12. Scala reale (dr. e sin.) 31. Palestra e sauna per passeggeri
13. Cabine equipaggio 32. Piscina
14. Cabine passeggeri 33. Ponte n. 9 (Ponte Sole)
15. Portellone accesso deposito bagagli 34. Imbarcazioni di salvataggio
16. Sala controllo macchine 35. Lance per passeggeri
17. Salone 36. Imbarcazione di emergenza
18. Sala da pranzo Continental 37. Antenna per comunicazioni via satellite.
19. Sala da pranzo lnternational

7 . . .s,.
;%;· • ii.
Caratteristiche prlnclpali

lunghezza (f.t.) 231,00 m


larghezza {f.o.) 29,20 m
Altezza (al ponte principale) 19,40 m
Immersione (max) 8,00 m
Stazza lorda 45 000 ton
Portata 4 800 t
Passeggeri 1 200
Equipaggio 500
Motori di propulsione 4 Wartsila-Pielstick
Potenza 4 x 7 290 kW (4 x 9910 CV)
Velocità (max) 22 nodi

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'---- ----------
Le sovrastrutture
,___________ _ _ _ _ _ _ _____, I CAPITOLO

1. Generalità

Già sappiamo che si dicono sovrastrutture le parti che si trovano al di


sopra del ponte principale e che il volume da esse racchiuso può essere uti-
lizzato per ricavare alloggi o altri locali necessari per le persone, per le mer-
ci e per le attrezzature della nave.
Soffermando la nostra attenzione su questa parte della nave rileviamo
innanzitutto che le sovrastrutture possono essere complete o incomplete, e
cioè essere estese a tutta la lunghezza dello scafo o soltanto ad una parte
dì essa. Precisiamo inoltre che, agli effetti della robustezza strutturale,
possono essere considerate incorporate nello scafo resistente quelle sovra-
strutture che risultano sufficientemente estese in lunghezza e in larghezza
e che presentano requisiti di notevole solidità (sovrastrutture rinforzate).
Le sovrastrutture complete sono delimitate e suddivise in altezza da
ponti che si dicono completi o continui perché estesi a tutta la lunghezza
dello scafo.
Le sovrastrutture incomplete hanno lunghezza, o lunghezza e larghez-
za più piccole di quelle dello scafo; i ponti che le suddividono e le delimitano
in altezza si dicono incompleti o parziali e formano, con ifia,nchi e le para-
tie terminali, delle costruzioni che, a seconda delle caratteristiche che pos-
seggono, assumono il nome di casseri, mezzicasseri, tughe.
I ponti di sovrastruttura, completi o incompleti che siano, dividono le so-
vrastrutture in diversi ordini.
Il primo ordine di sovrastrutture è quello che ha per sostegno il ponte
principale; il secondo ordine di sovrastrutture è sostenuto dal ponte delle
sovrastrutture del primo ordine; il terzo ordine di sovrastrutture è sostenu-
to dal ponte delle sovrastrutture del secondo ordine e così via, procedendo
verso l'alto.
Per indicare i vari ponti che si trovano al di sopra del ponte principale
potrebbe essere sufficiente far riferimento all'ordine delle sovrastrutture
che essi delimitano, ma in pratica si preferisce seguire un diverso criterio
di nomenclatura. Si assegna cioè a ciascun ponte un nome che si ricollega
alla funzione che esso svolge o alle installazioni che su di esso trovano
posto. 1
Con tale criterio, fermo restando il principio di definire ponte di coperta
o ponte superiore il ponte completo più elevato, si adottano per i ponti

1
In qualche caso si assegnano ai ponti di sovrastruttura nomi di fantasia oppure numeri
o lettere alfabetiche.

95
di sovrastruttura nomi diversi fra i quali ricorrono frequentemente quelli
sottoindicati:

• ponte delle lance o delle imbarcazioni; • ponte delle verande;


• ponte lido; • ponte giochi;
• ponte sole; • ponte dei vestiboli;
• ponte belvedere; • ponte di passeggiata;
• ponte dei saloni; • ponte di comando.

Le definizioni sono chiaramente indicative e non richiedono quindi alcun


commento, ma per il ponte di comando si rendono necessarie alcune preci-
sazioni.
Innanzitutto rileviamo che questo ponte è sempre il più alto e che è così
chiamato perché sostiene una sovrastruttura che racchiude, fra gli altri,
due locali - sfozione di governo o timoneria e sala nautica - dai quali si
dirige la navigazione.
Nella timoneria trovano posto strumenti e apparecchi indispensabili per
il governo della nave; 2 nella sala nautica sono raccolte le numerose pubbli-
cazioni nautiche che si devono consultare durante la navigazione, strumenti
nautici e altri apparecchi necessari per la condotta della nave.
Il ponte di comando viene definito plancia o semplicemente ponte dal
personale di bordo; lo stesso chiama controplancia il copertino della sovra-
struttura che esso sostiene e alette le sue parti laterali prodiere.
Dalla parte poppiera della plancia o della controplancia fuoriesce nor-
malmente un grosso tubo che si chiama fumaiolo e che serve per scaricare
nell'atmosfera i gas prodotti dalla combustione che si svolge nell'impianto
di propulsione.

2. Sovrastrutture complete

Le sovrastrutture complete si estendono per tutta la lunghezza e per


tutta la larghezza dello scafo. Sono solitamente ad un solo ordine (il primo)
e risultano formate da un ponte completo, situato al di sopra del ponte prin-
cipale e indicato come ponte superiore o ponte di coperta, e da due fianchi
continui che costituiscono un prolungamento dei fianchi dello scafo.
La presenza di sovrastrutture complete è del tutto normale nelle navi
passeggeri, dove è particolarmente sentita l'esigenza di locali utilizzabili
dalle numerose persone che vivono a bordo, ma non è insolita neppure nelle
navi da carico e in altri tipi di navi. Infatti, se è vero che il gran numero
di persone che trasporta una nave passeggeri richiede la disponibilità di
molti alloggi, saloni e altri locali di servizio, è pur vero che una sovrastrut-
tura completa, chiusa e incorporata nello scafo resistente, aumenta il volu-
me utilizzabile per le merci che trasportano le navi da carico, o per i mezzi

2
Fra i numerosi strumenti e apparecchi presenti nella timoneria merita particolare
menzione l'apparecchio che serve per manovrare il timone - ruota di governo o ruota del ti-
mone - e dal quale deriva il suo nome.

96
articolati che trasportano le navi traghetto, e comporta la possibilità di au-
mentare la loro portata. 3

3. Casseri

I casseri sono sovrastrutture parziali, a uno o più ordini, che si elevano


al di sopra del ponte principale o del più alto ponte di sovrastruttura com-
pleta (se esiste).
Sono formati da uno o più ponti incompleti, da due fianchi continui che
costituiscono un prolungamento dei fianchi dello scafo, e da una o due para-
tie terminali che chiudono le estremità prodiera e/o poppiera della sovra-
struttura.
I casseri possono assumere lunghezza diversa da nave a nave; anche i
ponti che dividono ciascun cassero nel senso dell'altezza possono avere lun-
ghezze diverse (normalmente decrescenti procedendo verso l'alto), ma la
sovrastruttura è sempre estesa, nel suo complesso, a tutta la larghezza del-
lo scafo.
Avendo presente la posizione occupata da un cassero di una nave qual-
siasi, si distinguono:
• cassero o castello di prua;
• cassero centrale;
• cassero di poppa.
Il cassero di prua, meglio conosciuto come castello di prua, è una so-
vrastruttura ad un solo ponte - ponte del castello - che si eleva al di sopra
della prora e che risulta particolarmente utile per irrobustire e innalzare Fig. 1 _ castello di
una parte tanto esposta ai rischi della navigazione (fig. 1). prora di nave cìsterna.

:; Massa del carico massimo trasportabile dalla nave.

97
Il volume che esso racchiude viene utilmente sfruttato per ricavare de-
positi vari; può essere considerato parte integrante del gavone di prora, ma
viene talvolta indicato come interponte cassero avanti.
Per accedere nei diversi locali in cui tale volume viene frazionato, e dai
quali si passa poi nel sottostante gavone, esistono apposite porte sulla para-
tia terminale che delimita la sovrastruttura dal lato di poppavia, ma è soli-
tamente disponibile anche un boccaportello nel ponte del castello.
Già sappiamo che i boccaportelli sono provvisti di portelli a tenuta sta-
gna; per quanto riguarda le porte, osserviamo che esse sono generalmente
due (una sulla parte dritta e una sulla parte sinistra), che sono stagne all'ac-
qua, e che la loro robustezza non è inferiore a quella della paratia che le so-
stiene.
Il cassero centrale è una sovrastruttura che si trova nella parte mae-
stra dello scafo e la cui estensione in lunghezza e altezza può essere notevol-
mente diversa da una nave all'altra.
Un tempo tutte le navi avevano un cassero centrale a più ponti che veni-
va utilizzato per ricavare alloggi e altri locali necessari per le persone tra-
sportate e per la condotta della navigazione, ma con il passare degli anni
questa sovrastruttura è divenuta sempre più rara e c'è oggi la tendenza a
conservarla soltanto nelle navi passeggeri, nelle navi traghetto e in alcuni
tipi particolari di navi da carico.
Il cassero centrale delle navi passeggeri si estende di solito per gran
parte della lunghezza dello scafo. Anche la sua altezza assume normalmen-
te valori rilevanti perché si deve poter disporre del volume necessario per
soddisfare le molteplici esigenze dei passeggeri. Non è quindi eccezionale,
per queste navi, un cassero centrale a cinque o anche sei ponti, a ciascuno
dei quali viene assegnato un nome che rivela, come già sappiamo, la parti-
colare funzione che esso svolge.
Nelle navi da carico il cassero centrale, se esiste, comprende solitamen-
te tre ponti che, a partire dal basso, sono generalmente indicati come ponte
di passeggiata, ponte delle lance, ponte di comando. 4
Il cassero di poppa è una sovrastruttura a uno o più ponti che si innalza
al di sopra della poppa.
Nelle navi che hanno un normale cassero centrale, il cassero di poppa
risulta piuttosto limitato in lunghezza e formato da un solo ordine di sovra-
struttura.
Fanno eccezione a questa regola le navi passeggeri, solitamente prive
di sovrastrutture parziali a prua e a poppa, e le navi cisterna che hanno
sempre un cassero di poppa molto lungo e a diversi ponti.
Le moderne navi da carico adibite al trasporto di merci liquide o solide
alla rinfusa, sono normalmente prive di cassero centrale. Il loro cassero di
poppa è quindi molto esteso, sia in altezza che in lunghezza, perché deve
contenere tutti i locali necessari per l'equipaggio e per la condotta della na-
vigazione.
La nomenclatura dei vari ponti che delimitano in altezza i diversi ordini
di sovrastruttura è sostanzialmente identica a quella che si adotta per i pon-
ti del cassero centr;1le. Si deve però rilevare che il ponte della sovrastrut-

4
Questa situazione non si registra nelle navi che trasportano automobili, caratterizzate
da un cassero centrale a 5-6 ponti che si estende per quasi tutta la loro lunghezza.

98
b

tura del 1° ordine viene solitamente indicato come ponte cassero e che è Fig. 2 - Profili di navi
con tipi diversi di
questo il nome che si assegna al ponte del cassero di poppa quando esso è sovrastrutture: a) nave
formato da un solo ordine di sovrastrutture (fig. 2). con un ordine di
sovrastrutture complete
e grande cassero
centrale : b) nave con
castello di prua.
4. Mezzocassero cassero di poppa a più
ordini e tughe; c) nave
II mezzocassero è formato da un rialzamento del ponte principale per con un ordine di
sovrastrutture complete
una parte della sua lunghezza, e dal corrispondente prolungamento dei e cassero di poppa a
fianchi dello scafo. più ordini: d) nave con
castello di prua,
Tale rialzamento non supera la metà dell'altezza di un interponte5 e cassero centrale e
può interessare la prua, la parte maestra e la poppa. Nel primo caso la so- tuga; e) nave con
castello di prua,
vrastruttura che così si determina viene definita mezzocassero di prua, nel cassero centrale,
secondo caso mezzocassero centrale, nel terzo caso mezzocassero di poppa cassero di poppa e
tughe; f) nave con
o ponte rialzato. grande cassero
Si deve però rilevare che la collocazione del mezzocassero fra le sovra- centrale.
strutture è soltanto apparente. Agli effetti della robustezza strutturale il
mezzocassero viene infatti considerato come una parte dello scafo vero e
proprio e come tale utilizzato.

5. Tughe

Le tughe sono sovrastrutture limitate in larghezza, oltreché in lunghez-


za, che vengono utilizzate per soddisfare svariatissime esigenze. Possono

5 L'altezza di un interponte non eccede normalmente 2,60 m.

99
Le ossature
'------ - - - - - - - - -- --~---' I CAPITOLO

1. Generalità

Le ossature sono formate da numerosissime verghe profilate, talvolta


associate a lamiere che ne accrescono la r esistenza, variamente disposte e
di forma e dimensioni diverse a seconda della funzione che svolgono, ma
costituenti, nel loro insieme, un complesso particolarmente studiato per as-
sicurare in ogni punto della costruzione quella solidità che si considera indi-
spensabile per l'integrità della nave.
Per facilitare la conoscenza delle parti che formano l'ossatura della nave
ci riferiremo alla posizione che esse occupano nella nave stessa e al modo
in cui sono orientate; parleremo quindi di ossature del fondo, dei fianchi,
dei ponti, della prua e della poppa ma, avendo presente la loro funzione e
disposizione, potremo anche indicarle come ossature longitudinali, ossatu-
re trasversali, ossature verticali, rinforzi locali.
In generale ci occuperemo delle ossature dello scafo poiché è proprio lo
scafo la parte resistente della nave. Non dobbiamo dimenticare però che
esistono navi le cui sovrastrutture, agli effetti della robustezza strutturale,
si ritengono incorporate nello scafo resistente, e pertanto ad esse devono
estendersi le considerazioni riguardanti le ossature di questo. Osserviamo
inoltre che neppure le sovrastrutture non resistenti sono sprovviste di os-
sature perché la loro presenza è indispensabile per sostenere i fasciami, per
assicurare buoni collegamenti con le altre par ti, per garantire un minimo
di robustezza locale.

2. Sistemi di costruzione

Anche per quanto riguarda il numero e la disposizione delle varie ossa-


ture le costruzioni metalliche furono fortemente influenzate dai criteri in
precedenza seguiti per la costruzione delle navi in legno. E poiché le navi
in legno avevano uno scafo a struttura di tipo decisamente trasversale, si
realizzarono inizialmente soltanto scafi che si definiscono a struttura tra-
sversale perché la loro robustezza risulta essenzialmente basata sulla pre-
senza di numerose ossature trasversali, collegate fra loro dai fasciami che
sostengono e da poche, seppur solide, ossature longitudinali.
Una sostanziale novità rispetto alle costruzioni in legno fu rappresenta-
ta più tardi dall'apparizione del doppio fondo ma si deve rilevare che inizial-
mente questo si affermò più come elemento utile per la stabilità e come de-
posito per carichi liquidi che per ragioni di carattere strutturale.

105
Per molti anni ancora si costruirono quindi soltanto scafi che con la pre·
senza del doppio fondo potevano sì contare su una maggiore robustezza
complessiva del fondo, ma che sostanzialmente conservavano la struttura
di tipo trasversale.
Il doppio fondo di queste navi rimane suddiviso in tanti piccoli comparti-
menti dalle ossature trasversali e longitudinali che sì estendono per tutta
la sua altezza; tali compartimenti sono molto simili a piccole celle e da ciò
deriva la definizione di scafo con fondo a struttura cellulare comunemen-
te adottata per indicare questo tipo di costruzione.

Il sistema di costruzione a struttura trasversale non assicura però una


sufficiente robustezza longitudinale alle navi di grandi dimensioni e pertan-
to venne ideato un tipo di struttura che possiamo semplicisticamente consi-
derare l'opposto di quello tradizionale. Si costruirono cioè navi il cui scafo
aveva una struttura sostanzialmente basata sulla presenza di ossature lon-
gitudinali ininterrotte e molto ravvicinate - scafo a struttura longitudi-
nale - e di una o due paratie stagne longitudinali. In questo tipo di costru-
zione le ossature longitudinali costituiscono la struttura principale dello
scafo e risultano collegate fra loro dai fasciami che sostengono e da robuste
ossature trasversali. Queste ultime sono piuttosto distanziate ma formano
dei veri e propri telai la cui azione, associata a quella delle paratie trasver-
sali (stagne o no), sempre presenti per suddividere lo scafo nel senso della
lunghezza, assicura la necessaria resistenza agli sforzi trasversali.

Ben presto però, ai due sistemi di costruzione brevemente descritti si


affiancò un terzo sistema che venne ideato allo scopo di realizzare le diver-
se parti dello scafo con il tipo di struttura che meglio si presta per resistere
agli sforzi cui esse sono sottoposte. È questo il sistema di costruzione a
struttura mista e cioè un sistema di costruzione con il quale la robustezza
dello scafo è affidata a strutture prevalentemente longitudinali nelle zone
maggiormente esposte agli sforzi flettenti e di taglio e a strutture prevalen-
temente trasver sali nelle zone in cui sono particolarmente temibili gli sforzi
derivanti da compr essione e trazione.
Si realizzarono così scafi che in generale presentano la caratteristica di
avere il fondo e i ponti a struttura longitudinale, mentre i fianchi, la prua,
la poppa, sono invece a struttura trasver sale. Numerosi rinforzi locali prov-
vedono, come si può facilmente intuire, a irrobustire i collegamenti fra i di-
versi sistemi strutturali, onde evitare che nel passaggio da un tipo di strut-
tura all'altro, si determinino pericolose discontinuità nella robustezza dello
scafo.

Il sistema a struttura mista si è decisamente affermato e viene ora nor-


malmente adottato per tutte le grandi navi destinate al trasporto di merci
alla rinfusa. Il sistema longitudinale è di regola impiegato per le navi cister-
na perché gli ingombranti telai che costituiscono le ossature trasversali dei
fianchi non intralciano, per quest e navi, le operazioni di carico e scarico.
Quanto al sistema trasversale rileviamo che rimane confermata la sua vali-
dità nel caso di costruzioni per le quali non si temono grandi sforzi flettenti,
ed è normalmente u sato per assicurare la robustezza delle piccole navi.

106
3. Ossature del fondo

Le ossature del fondo sono formate da un insieme di elementi struttura-


li longitudinali e trasversali, saldamente collegati da spezzoni di angolari
e opportunamente distanziati. Gli elementi longitudinali comprendono la
chiglia, i paramezzali e i correnti; quelli trasversali si chiamano madieri.

a) Chiglia.
La chiglia è situata nella parte centrale del fondo e si estende per tutta
la sua lunghezza.
Nelle prime costruzioni metalliche si adottò una chiglia massiccia, ovve-
ro un elemento strutturale che risultava formato con barre d'acciaio a se-
zione rettangolare e sensibilmente sporgente al di sotto del fondo. Le di-
verse barre che dovevano essere impiegate per raggiungere la lunghezza
voluta venivano collegate fra loro mediante incastri a parella e chiodatura
(fig. 1) e successivamente calafatate. 1

Fig. 1 - Incastro a
,__ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ ___, parella chiodata.

Attualmente questo tipo di chiglia si adotta raramente e soltanto per


navi di modeste dimensioni; si preferisce infatti ricorrere alla chiglia piat-
ta, ovvero a una chiglia che non sporge dal fondo e che risulta formata da
una fila - corso - di lamiere collegate fra loro mediante saldatura.
Le ragioni dell'abbandono della chiglia massiccia e della sua sostituzione
con quella piatta sono diverse e facilmente comprensibili.
Se è vero infatti che la chiglia massiccia rappresenta un robustissimo
elemento strutturale che svolge anche una efficace azione per ridurre l'an-
golo di scarroccio 2 e l'ampiezza delle oscillazioni di rollio, è pur vero che
essa rappresenta un peso rilevante, comporta difficoltà di collegamento
con lo scafo, presenta -:il pericolo di essere facilmente strappata in caso di
strisciamento sul fondo del mare, aumenta l'altezza della parte immersa
dello scafo.

1
Le «pareJle» sono ora saldate anziché inchiodate.
2
Si chiama scarroccio lo spostamento laterale che subisce la nave ad opera del vento o
del mare ondoso. Il suo valore viene espresso dall'angolo formato fra la direzione della rotta
e la direzione della prora. ,
3
Il rollio è un movimento oscillatorio trasversale della nave che si manifesta con alterni
innalzamenti e abbassamenti dei fianchi.

107
La chiglia piatta non presenta gli inconvenienti segnalati ma è meno re-
sistente della chiglia massiccia. La sua presenza comporta quindi la neces-
sità di compensare la diminuzione di robustezza longitudinale disponendo
sul fondo un buon numero di ossature longitudinali interne che si chiamano
paramezzali e che costituiscono un efficiente sistema strutturale.
La chiglia piatta non è di alcuna utilità nei riguardi dello scarroccio e
del rollio, tuttavia si deve osservare che, mentre le grandi dimensioni as-
sunte dalle navi rendono meno sentita l'esigenza di un elemento anti-
scarroccio del tipo della chiglia massiccia, si provvede a dotare la carena
di chiglie laterali, dette alette di rollio, che risultano molto efficaci come
mezzi per la riduzione delle oscillazioni di rollio.
Le alette di rollio sono formate da profilati e lamiere e si applicano nel-
la zona del ginocchio, nel punto in cui questo assume la massima curvatura.
Giacciono in un piano perpendicolare a quello tangente al ginocchio nel
punto di attacco e si estendono solitamente per tutta la parte maestra.
La loro grossezza è stabilita in modo che possano sopportare le forti sol-
lecitazioni cui sono sottoposte durante le oscillazioni della nave, e ciò con-
sente di considerarle come elementi capaci di contribuire sensibilmente
alla robustezza longitudinale dello scafo. La loro larghezza è limitata cosic-
ché risultino sempre comprese nel parallelepipedo circoscritto alla carena
(fig. 2).

Flg. 2 • Aletta di rollio.

Un altro tipo di chiglia è la chiglia paramezzale. È formata da due barre


d'acciaio poste al di sotto del fondo e collegate sulle facce laterali della par-
te sporgente di una lamiera verticale - lamiera paramezzale - che si
estende per tutta la lunghezza del fondo stesso.
Il collegamento delle diverse parti che formano ciascuna barra avviene,
come di consueto, mediante saldatura, ma seguendo la regola generale che
consiglia di non far coincidere le giunzioni esistenti sulle due barre.
La chiglia paramezzale trova scarsa applicazione perché presenta gli
stessi inconvenienti della chiglia massiccia.
A completamento di questa disamina ricordiamo che vi sono scafi di
cui si dice che hanno la chiglia-galleria, ma precisiamo che si tratta in
sostanza di una chiglia piatta al di sopra della quale esiste, per tutta la lun-
ghezza del fondo, una galleria che può essere utilizzata variamente, e che
risulta determinatà dalla presenza di due lamiere verticali stagne (lamiere

108
paramezzali) che corrono nel doppio fondo, affiancate e a poca distanza
l'una dall'altra (fig. 3).

e
I I
d
)

b) Paramezzali. Fig. 3 • Tipi di chiglia:


a) chiglia massiccia;
I paramezzali sono ossature del fondo che si sviluppano in senso longi- b) chiglia paramezzale;
e) chiglia piatta;
tudinale e che risultano costituite da profilati o da profilati associati a la- d) chiglia galleria.
miera verticale.
Il paramezzale che viene a trovarsi nel piano diametrale dello scafo si
chiama paramezzale centrale, quelli posti sulla parte dritta e sulla parte si-
nistra del fondo sono genericamente indicati come paramezzali laterali,
mentre si definiscono lamiere marginali i paramezzali che corrono da prua
a poppa in corrispondenza dei ginocchi.
Nelle piccole navi con scafo a fondo semplice e chiglia massiccia il para-
mezzale può essere costituito da due angolari affiancati che corrono sulle
ossature trasversali (fig. 4).

Fig. 4 - Scafo a fondo


semplice:
1) chiglia massiccia;
2) paramezzale;
3) madiere; 4) torello.

109
2

5. 5

Flg. 5 - Scafo a fondo Se lo scafo è a fondo semplice e chiglia piatta c'è anche una lamiera ver-
semplice: ticale associata ai due angolari correnti sopra le ossature trasversali ed
1) paramezzale centrale
continuo: estesa fino alla chiglia stessa, cui viene collegata con un angolare posto su
2) paramezzale laterale ciascun lato (fig. 5). Tale lamiera può essere continua o interrompersi in
intercostale; 3) chiglia
piatta; 4) madiere: corrispondenza delle ossature trasversali, ma viene comunque a queste col-
5) fasciame del fondo legata mediante spezzoni di angolari disposti verticalmente (gli angolari di
(torello e
controtorello). unione con la chiglia sono continui in ogni caso).
I paramezzali laterali 4 dello scafo con fondo semplice e chiglia piatta
sono costituiti da un angolare che corre continuo sopra le ossature trasver-
sali e da elementi verticali intercostali 5 di lamiera, normalmente collegati
al fondo e alle ossature trasversali da adatti spezzoni di angolare.
Nelle navi con doppio fondo si ha un paramezzale centrale continuo, la-
miere marginali generalmente continue e paramezzali laterali che possono
essere continui o interrotti in corrispondenza delle ossature trasversali
(fig. 6).
I paramezzali continui sono formati da lamiera verticale che si estende,
senza interruzioni, da una estremità all'altra del fondo, e che si collega con
la lamiera di chiglia (o del fondo) e del cielo del doppio fondo mediante ango-
lari, anch'essi continui fra le ossature trasversali (spezzoni verticali di an-
golare assicurano il collegamento del paramezzale con le ossature t ra-
sversali).
I paramezzali non continui (intercostali) sono costituiti da elementi ver-

4
Disw.nziati dal paramezzale centrale, dal ginocchio e tra loro di non più di 2,20 m.
5
Si dicono intercostali le ossature che si interrompono in corrispondenza degli elementi
strutturali trasversali.

110
l
l
I

o
6

ticali di lamiera, debitamente collegati ai fasciami del fondo e del cielo e alle Flg. 6 - Scalo con
ossature trasversali da robusti spezzoni di angolare. doppio fondo (struttura
trasversale):
Il numero dei paramezzali laterali varia con la larghezza dello scafo, ma 1) paramezzale centrale;
in generale viene stabilito avendo presente l'esigenza di evitare che due pa- 2) paramezzale laterale:
ramezzali si trovino a distanza superiore a 4,50 m se il fondo è a struttura 3) marginale;
4) madiere; 5) chiglia;
trasversale. 6) fasciame esterno
L'altezza dei paramezzali, e per conseguenza anche l'altezza del doppio del doppio fondo:
7) fasciame interno
fondo, si fa dipendere dalla larghezza massima dello scafo e dall'altezza del- del doppio fondo:
la sua carena o immersione.6 8) fasciame del
In aggiunta ai paramezzali veri e propri si inseriscono talvolta nel dop- ginocchio; 9) costola.
pio fondo alcune ossature longitudinali supplementari la cui presenza viene
ritenuta indispensabile per garantire una particolare robustezza del fondo
o di una parte di esso.
Nella parte prodiera 7 si possono per esempio trovare dei paramezzali
addizionali non continui e dei mezzi paramezzali 8 non continui che servo-
no per rinforzare localmente la struttura longitudinale del fondo (fig . 7).

6 Può essere fnteressante sapere che l'altezza minima del paramezzale centrale viene
stabilita con la relazione:
a = 28 B + 32 (T + 10)
dove: a - altezza del paramezzale, in millimetri;
B ; larghezza dello scafo, in metri;
'l' = immersione della nave, in metri.
7
Parte del doppio fondo compresa fra la paratia di collisione e la sezione trasversale si-
tuata a 1/4 della lm;ighezza dello scafo dalla estrema prora.
8
Un mezzo paramezzale è formato con elementi di lamiera verticale avente altezza pari
alla metà dell'altezza locale del doppio fondo.

111
Fig. 7 - Ossature della
parte prodiera del
doppio fondo
(struttura trasversale):
1) paramezzale centrale;
2) paramezzale laterale:
3) marginale;
4) mezzo paramezzale;
5) madiere; 6) costola:
7) squadra di rinforzo
e collegamento.

e) Correnti.
Negli scafi con il f ondo a struttura longitudinale i paramezzali sono po-
sti a distanza non superiore a 6,50 m e affiancati da robusti profilati che
corrono ininterrottamente da prua a poppa (fig. 8). Tali profilati sono gene-
ricamente chiamati correnti, ma si definiscono più propriamente correnti
del fondo e correnti del cielo del D .F., a seconda che siano collegati alle la-
miere del fondo esterno o a quelle del fondo interno.

Fig . 8 • Fondo a struttura longitudinale: 1) paramezzale centrale; 2) paramezzale laterale; 3) marginale:


4) corrente del fondo: 5) corrente del cielo del doppio tondo: 6) madiere; 7) rinforzo del paramezzale centra-
le: 8) angolare verticale per migliorare il collegamento fra i correnti del fondo e del cielo; 9) rinforzo della
lamiera marginale: 10) costola; 11) squadra per il collegamento della costola con la lamiera marginale: 12)
fasciame del fondo; 13) fasciame del cielo del doppio fondo: 14) chiglia piatta.

112
I paramezzali possono essere stagni o forati. Normalmente è stagno il
paramezzale centrale, mentre le lamiere marginali sono stagne soltanto se
esistono particolari ragioni che impongono di limitare al ginocchio l'esten-
sione del doppio fondo. I paramezzalì laterali sono forati per mettere in co-
municazione le diverse zone del doppio fondo. jf
!1
Le aperture che a tale scopo vengono praticate sui paramezzali si chia-
mano passi d'uomo se servono anche per il passaggio delle persone oltreché
per l'alleggerimento delle strutture; fori di scolo sono invece chiamate al-
cune piccole aperture che sì trovano alla base del paramezzale e che servo-
no per far defluire l'acqua o altri liquidi verso ì pozzetti in cui si trovano
ì tubi di aspirazione e mandata.
Per entrare nel doppio fondo esistono, come già sappiamo, apposite
aperture nelle lamiere che formano il fondo interno. Anche queste aperture
si chiamano passi d'uomo, e sono protette da piastre d'acciaio - porte -
che assicurano una tenuta perfettamente stagna e che vengono rimosse sol-
tanto nelle rare occasioni in cui sì effettuano visite di ispezione o lavori al-
l'interno del doppio fondo.

Fig. 9 - Ossature del


lianco (scafo a
struttura mista):
1) costola comune :
2) costola rinforzata:
3) corrente del fianco:
4) corrente del fondo;
5) madiere.

113
d) Madieri.
I madieri sono le ossature trasversali del fondo (figg. 6 e 9): possono
essere formati da angolari associati a lamiere verticali - madieri pieni -
o da soli angolari costituenti telai verticali - madieri a telaio - e si esten-
dono da un fianco all'altro, dove si collegano saldamente alle ossature quivi
esistenti.
Negli scafi con fondo semplice si trovano soltanto madieri pieni che sa-
ranno continui se esiste una chiglia massiccia, mentre potranno essere in-
terrotti nel piano di simmetria negli altri casi.
Se lo scafo è dotato di doppio fondo si possono trovare anche madieri a
telaio, ma il loro numero e la loro posizione sono stabiliti avendo cura di non
compromettere la robustezza generale del fondo e quella richiesta in zone
soggette a sforzi particolari.
Se ilfondo è a struttura trasversale i madieri sono generalmente conti-
nui fra il paramezzale centrale e le marginali, ma confondo a struttura lon-
gitudinale si possono avere madieri interrotti anche dai paramezzali la-
terali.
Al di sotto delle paratie stagne trasversali i madieri sono pieni e stagni
allo scopo di suddividere il doppio fondo in compartimenti non comunicanti.
Gli altri madieri sono provvisti di passi d'uomo e fori di scolo in tutto simili
a quelli dei paramezzali, a meno che non sussistano ragioni speciali che im-
pongono di delimitare piccole zone stagne - pozzetti - all'interno dei dop-
pi fondi (sentine, cofferdams, recesso per l'oscillatore o gli oscillatori dello
scandaglio a ultrasuoni).
La distanza fra un madiere e l'altro viene stabilita tenendo conto della
lunghezza dello scafo e del tipo di struttura adottato per la sua costruzione.
Si rileva infatti che negli scafi a struttura trasversale (con fondo semplice
o doppio), esiste un madiere in corrispondenza di ogni ossatura trasversale
dei fianchi (costola), mentre negli scafi a struttura mista è prevista la siste-
mazione di un madiere ogni due o tre di tali ossature. Se lo scafo è a struttu-
ra longitudinale l'intervallo fra i madieri non deve superare 3, 70 m, ma nel
caso di navi aventi lunghezza L maggiore di 180 m questa distanza può es-
sere aumentata della quantità s che si ricava dall'espressione:

L-180
S=----
100

4. Ossature dei fianchi

I fianchi vengono irrobustiti da costole e correnti (figg. 6, 7, 8, 9 e 10).


Le costole sono ossature trasversali formate con profilati, o con profila-
ti associati a lamiera, che si estendono, su ciascun fianco, dal ponte più alto
al ginocchio.
In corrispondenza del ginocchio le costole si collegano generalmente

114
Fig. 10 - Ossature del
fianco (scafo a
struttura longitudinale):
1) costola rinforzata;
2) corrente del fianco:
3) paramezzale laterale:
4) corrente del fondo;
5) madiere.

con il madiere, 9 cosicché si forma nel complesso una sola e grande ossatu-
ra trasversale che sostiene fianchi, fondo e ginocchi ed il cui profilo assume
l'aspetto di una U o di una V più o meno aperta e regolare.
Questa ossatura composita può essere definita ordinata. È chiamata an-
che costola, ma viene utile ricordare, al riguardo, che la costola vera e pro-
pria è la parte che si trova sul fianco.
Se lo scafo è a struttura trasversale, la distanza fra le costole si chiama
intervallo di ossatura e viene stabilita tenendo conto della lunghezza L del-
lo scafo.
Infatti, esprimendo L in metri, si ottiene l'intervallo di ossatura (d0) in
millimetri con la relazione:
d0 =460+2,3 L
Il valore di d0 può essere aumentato del 20%, ma non deve superare li-
miti ben definiti nelle zone maggiormente sollecitate. 10
Per aumentare la robustezza, le costole comuni sono di tanto in tanto so-
stituite da costole rinforzate, ovvero da elementi formati con profilati asso-

Y li madiere può mancare se lo scafo è a struttura mista. Il collegamento fra costola e


madiere avviene con l'ausilio di grosse squadre verticali, associate o no con squadre orizzonta-
li o suborizzontali.
10 All'interno dei gavoni l'intervallo di ossatura non deve superare i 610 mm. Nella zona
compresa fra 0,20 L da prora e la paratia di collisione, l'intervallo di ossatura non deve essere
superiore a 700 mm.

115
ciati a lamiera e irrigiditi da grosse squadre orizzontali o verticali. 11
Se lo scafo è a struttura mista (fondo e ponti a struttura longitudinale,
fianchi, prua e poppa a struttura trasversale) si hanno costole comuni ad
intervallo generalmente uguale a quello previsto per lo scafo a struttura
trasversale, ma si potranno trovare costole rinforzate a distanza più ravvi-
cinata. Inoltre, considerato che non tutte le costole sono in questo caso
completate inferiormente dal madiere, 12 si noterà che una parte di esse si
arresta alle lamiere marginali e si collega a queste mediante squadre di for-
ma e dimensioni appropriate.
Lo scafo a struttura longitudinale ha costole notevolmente distanzia-
te, 13 ma la sua resistenza alle sollecitazioni trasversali è ugualmente assi-
curata perché esse sono di tipo rinforzato e la loro azione è integrata da ro-
buste paratie trasversali. Ciascuna costola si collega inferiormente a un ro-
busto madiere e può essere irrigidita, a diverse altezze, da profilati
orizzontali e disposti trasversalmente - puntoni - che si appoggiano, con
la loro estremità interna, sulle paratie longitudinali esistenti in questo tipo
di costruzione. 14

I correnti dei fianchi sono ossature longitudinali che si estendono


da prua a poppa collegandosi saldamente alle costole e alle paratie trasver-
sali. Possono essere formati da soli profilati o da profilati associati a la-
miera - correnti rinforzati - e sono distribuiti, nelle diverse parti dei
fianchi, in modo da assicurare in ogni zona la necessaria robustezza (figg.
9 e 10).
Le navi con scafo a struttura longitudinale hanno numerosi correnti che
risultano disposti a distanza molto ravvicinata e che sono normalmente
continui attraverso le costole rinforzate e le paratie trasversali.
Se i fianchi sono a struttura trasversale (scafo a struttura trasversale
o a struttura mista), i correnti che li sostengono sono generalmente in nu-
mero non superiore a due e pertanto risultano disposti a considerevole di-
stanza fra loro, dal fondo e dai ponti.
In questo caso si tratta generalmente di correnti rinforzati che si inter-
rompono alle costole rinforzate e alle paratie trasversali.

5. Ossature dei ponti

Le ossature dei ponti si chiamano bagli se sono disposte trasversa!-

11
Normalmente si trova una costola rinforzata ogni 3,50 m (distanze maggiori sono con-
sentite purché non eccedenti il 2% della lunghezza della nave).
12
In questo tipo di costruzione esiste, in generale, un madiere ogni due o tre intervalli
di ossatura.
13
La distanza fra le costole è uguale a quella prevista per i sottostanti madieri; non
L-180
supera quindi 3,70 m se L~180 me 3,70 m + - - - se L > 180 m.
100
14
Ricordiamo che la struttura longitudinale è caratteristica delle navi cisterna.

116
Fig. 11 - Ossature del
ponte (scafo a struttura
trasversale): 1) baglio;
2) costola: 3) squadra
di collegamento fra
baglio e costola;
4) angolare di
trincarino: 5) trincarino.

Fig. 12 - Ossature del


ponte (scafo a
struttura mista):
1) baglio rinforzato;
2) corrente di
sottoponte: 3) angolare
di trincarino:
4) costola rinforzata :
5) costola; 6) parat ia
trasversale;
7) montante .

mente, anguille, correnti di sottoponte, trincarini, se sono disposte longi-


tudinalmente (figg. 11, 12, 13 e 14).
I bagli si estendono da un fianco all'altro della nave e si collegano alle
costole con l'ausilio di robuste squadre triangolari. Sono costituiti da profi-
lati o da profilati associati a lamiera - bagli rinforzati - che presentano
una leggera curvatura verso l'alto per far assumere al fasciame che sosten-
gono una forma adatta a favorire il deflusso dell'acqua verso gli scarichi
che la portano fuoribordo o in sentina.
Normalmente esiste un baglio in corrispondenza di ogni costola, 15
cosicché risulta determinata, nel complesso, un'ossatura trasversale for-
mante un grande telaio i cui elementi orizzontali sono il baglio stesso

15
A costola rinforzata corrisponde baglio rinforzato.

117
Fig. 13 - Ossature del ponte: 1) fa-
sciame del ponte; 2) anguilla; 3) ba-
glio; 4) mastra del boccaporto; 5)
puntello; 6) baglio rinforzato: 7)
mezzo baglio

Fig. 14 - Ossature e puntellatura del


ponte 1) mastra del boccaporto
(parte laterale); 2) rinforzo orizzon-
tale della mastra; 3) fasciame del
ponte: 4) mezzo baglio; 5) lamiera di
rinforzo; 6) anguilla (realizzata pro-
lungando la parte laterale della ma-
stra); 7) puntello; 8) mastra del boc-
caporto (parte trasversale}.

e il madiere e i cui elementi verticali o subverticali sono le costole. 16


Nella zona di ponte occupata dai boccaporti i bagli si interrompono al-
l'altezza della mastra e sono perciò definiti mezzibagli. Di solito i mezziba-
gli si collegano direttamente alla mastra, che risulta opportunamente pro-
lungata al di sotto del ponte, ma si possono trovare anche costruzioni nelle
quali tale prolungamento non esiste e i mezzibagli si collegano, su ciascun
lato del boccaporto, ad appositi elementi strutturali disposti longitudinal-
mente -e chiamati barrotti.
All'interno dei boccaporti si trovano dei robusti travi disposti trasver-
salmente che si possono indicare come bagli mobili, ma che sono meglio
noti come gagliotte fra la gente di bordo. Si tratta di ossature che possono

16
Se lo scafo ha due o più ponti, il telaio trasversale risulterà irrobustito da altrettanti
ordini di bagli.

118
Fig. 15 - Boccaporto con vecchio di-
spositivo di chiusura·. 1) fasciarne
del ponte; 2) mastra del ooccaporto
(parte laterale); 3) mastra del oocca-
porto (parte trasversale): 4) elemen•
to terminale della mastra; 5) baglio
rinforzato: 6) rinforzo orizzontale
della mastra: 7) baglio mooile o ga·
gliotta; 8) staffa dì sostegno della ga-
gliotta: 9) squadra di rinforzo; 1O)
scalrnotto; 11) stazza o listello per
oloccare l'incerata: 12) galla per il
cuneo: 13) cu neo: 14) tela incerata:
15) traversino di sicurezza; 16) an-
guilla e mastra del boccaporto (parte
laterale): 17) pannò o quartiere.

- - .=----- --=---__--_:;_ ==----

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I

- ________J Fig. 16 - Sistemazione gagliotte:


1) gagliotta; 2) staffa di sostegno:
3) fasciame del ponte: 4) mastra del
boccaporto (parte laterale): 5) pannò
o quartiere: 6) foro per il perno di
oloccaggio; 7) foro per il gancio della
braga di sospendila.

essere rimosse per facilitare le operazioni di carico e scarico e che, appog-


giate su appositi sostegni applicati su Iati longitudinali della mastra, svol-
gono la duplice funzione di sostituire la parte mancante dei bagli e di costi-
tuire un valido appoggio per i mezzi tradizionali di chiusura dei boccaporti
(figg. 15 e 16).

Le anguille sono ossature che si estendono ininterrotte da prua a poppa


e che completano l'azione dei bagli, collegandoli saldamente tra loro e so-
stenendoli (figg. ·13 e 14).
Un'anguilla può essere costituita da un semplice profilato che corre
al di sotto dei bagli, o da lamiera verticale, piattabandata o associata a pro-
filati, che si innalza fra i bagli stessi fino al fasciame del ponte. In quest'ulti-
mo caso, che rappresenta la soluzione generalmente adottata nelle costru-
zioni moderne, la lamiera è continua, ma intagliata in corrispondenza di
ogni baglio e collegata a questo e al fasciame sovrastante in modo ade-
guato.

119
I correnti di sottoponte sono profilati che si trovano soltanto negli sca-
fi con i ponti a struttura longitudinale (scafi a struttura longitudinale e sca-
fi a struttura mista). Si estendono longitudinalmente per tutta la lunghezza
del ponte e si collegano, senza interrompersi, ai bagli e alle paratie trasver-
sali (fig. 12).

I trincarini sono, ad un tempo, un corso di fasciame ed un importante


elemento della struttura longitudinale dei ponti (fig. 11). Risultano infatti
costituiti dal corso di lamiere adiacente a ciascun fianco e da un angolare
- angolare di trincarino - che lo collega al fianco stesso. Questo angolare
si estende continuo da prua a poppa nel ponte di forza, ma è generalmente
intercostale negli altri ponti.

6. Puntelli e paratie

Bagli, anguille, correnti di sottoponte e trincarini formano indubbia-


mente un sistema caratterizzato da notevole robustezza ma, per poter sop-
portare senza danno gli sforzi derivanti dai grandi pesi che gravano talvol-
ta sui ponti, esso deve essere completato da elementi di sostegno disposti
verticalmente ed estesi per tutta l'altezza dello scafo. Tali elementi sono ef-
fettivamente inseriti nella struttura dello scafo e sono rappresentati da os-
sature che si chiamano puntelli e dalle paratie trasversali e longitudinali
(stagne o no).

I puntelli possono essere costituiti da verga massiccia - puntelli mas-


sicci-, da tubi saldati - puntelli tubolari-, da profilati composti - pun-
telli composti.
L'estremità superiore di ogni puntello viene saldamente collegata al-
l'anguilla e al baglio del ponte sovrastante. L'estremità inferiore si appog-
gia sulle strutture del doppio fondo se si tratta di puntello del ponte di stiva
o del solo ponte eventualmente esistente, si appoggia su un baglio del ponte
sottostante negli altri casi (fig. 17).

Fig. 17 - Puntellatura: 1) fasciame


del ponte; 2) anguilla; 3) baglio; 4)
mastra del boccaporto {parte trasver-
sale); 5) puntello; 6) cielo del doppio
fondo; 7) madiere; 8) paramezzale
centrale; 9) fasciame del fondo; 1O)
squadra di rinforzo e collegamento;
11) lamiera di rinforzo; 12) squadra
di rinforzo e collegamento .

120
I puntelli dei diversi ponti sono disposti in modo da corrispondersi nei
vari interponti e nelle sottostanti stive; con le anguille e le eventuali paratie
longitudinali formano delle linee di puntellatura che hanno molta impor-
tanza per la robustezza generale dello scafo e per la resistenza delle parti
soggette a carichi concentrati, sforzi anormali, vibrazioni locali. 17
Le paratie trasversali e longitudinali contribuiscono validamen-
te, come sappiamo, alla robustezza trasversale e longitudinale dello scafo
(fig. 18).

Bisogna però osservare che anche i ponti risultano avvantaggiati dalla Fig. 18 - Ossature delle
loro presenza perché ciascuna paratia, stagna o no, rappresenta un efficace paratie:
1) corrente del fianco:
sostegno per le loro ossature (fig. 19). 2) paratia longttudinale;
Anguille, bagli e correnti di sottoponte possono infatti essere valida- 3) montante centrale
(rinforzato e installato
mente sostenuti dalle numerose ossature verticali cui è affidato il compito su entrambi i lati
di irrigidire le lamiere che formano ciascuna paratia (solitamente disposte della paratia):
in corsi orizzontali). Tali ossature si chiamano montanti e sono adeguata- 4) paratia trasversale;
5) montante;
mente collegate alle strutture del ponte e del cielo del doppio fondo a mezzo 6) traversa;
di spezzoni di angolare o di robuste squadre triangolari. 18 7) paramezzale centrale.
Le paratie stagne hanno molta importanza anche per la galleggiabilità
i poiché in caso cli falla delimitano il conseguente allagamento al solo com-
partimento contenente la parte danneggiata.
Devono quindi essere abbastanza numerose, cosicché il volume interno

17
La distanza fra le linee di puntellatura non supera in generale i 6 m (nella zona del
ponte di coperta e del ponte di castello prossima all'estrema prora, tale distanza è ridotta a
3,50 m).
18
La distanza fra i montanti non supera normalmente i 920 mm ed è ridotta a 750 mm
nella paratia di collisione.

121
5

15

11
14
·, I \.._, .
' ~
- f 't= -,--h:-1

13

Flg. 19 - Ossature di una nave da carico a due ponti (struttura mista): 1) anguilla; 2) fasciame del ponte
superiore; 3) correnti di sottoponte; 4) mezzo baglio; 5) squadra di rinforzo; 6) costola; 7) fasciame del
secondo ponte: 8) mezzo baglio del secondo ponte: 9) lasciarne del fianco; 10) squadra di rinforzo; 11 )
paramezzale centrale: 12) paramezzale laterale; 13) correnti del fondo e del cielo del d.!.; 14) madiere;
15) cielo del doppio fondo: 16) lasciarne del fondo; 17) paratia trasversale; 18) montante; 19) puntello.

dello scafo risulti suddiviso in modo da consentire alla nave di restare gal-
leggiante a nche con uno o più compartimenti contigui allagati, e abbastan-
za solide da resister e alla pressione esercitata sulla loro superficie dall'ac-
qua che potrebbe irrompere nel locale dove si è verificata la falla.
La robustezza delle paratie è assicurata dai già menzionati montanti,
ma è talvolta completata da elementi strutturali orizzontali che si chiamano
traverse se sostengono paratie trasversali, correnti di paratia se sostengo-
no paratie longitudinali.
Il numero delle paratie stagne trasversali è strettamente collegato alla
lunghezza dello scafo, ma dipende anche dal servizio che svolge la nave

122
perché si seguono criteri diversi per stabilire la distanza fra le varie paratie
a seconda che si tratti di nave destinata al trasporto di carichi secchi, di
nave cisterna, di nave passeggeri ecc.
Tutte le navi, indipendentemente dal servizio che svolgono, hanno una
paratia di collisione, una paratia del pressatrecce e una o due paratie sta-
gne trasversali delimitanti il locale A.M. (una sola se l'apparato motore si
trova a poppa, due se si trova nella parte centrale dello scafo).
Altre paratie stagne trasversali sono sistemate a distanze variabili per
i diversi tipi di nave.
Per le navi da carico secco si può ritenere che la distanza massima fra
le varie paratie, ad eccezione di quelle delimitanti il locale A.M., oscilli fra
i 20 m e i 25 m circa; nelle navi cisterna tale distanza può raggiungere an-
che il 20% della lunghezza (L) dello scafo, 19 ma la comfcartimentazione sta-
gna è completata da due paratie stagne longitudinali O che dividono il vo-
lume interno in tre parti (parte dritta, parte sinistra e parte centrale).
I regolamenti del R.I.Na contengono la seguente tabe1la nella quale vie-
ne stabilito il numero delle paratie stagne in funzione della lunghezza (L)
dello scafo.

NUMERO TOTALE DELLE PARATIE STAGNE


LUNGHEZZA
DELLO SCAFO nave con macchina nave con macchina
al centro a poppa

da m a meno di m
- 65 4 3
65 85 4 3
85 105 5 4
105 115 6 5
115 145 7 6
145 165 8 7
165 185 9 8
185 205 10 9
205 225 11 10
oltre 255 - da stabilire da stabilire

Dobbiamo però rilevare che si è ormai affermato il principio secondo il


quale la compartimentazione deve essere realizzata in modo da assicurare
la galleggiabilità della nave anche in caso di falla, e pertanto la lunghezza
dei vari compartimenti non può essere stabilita tenendo conto soltanto del-
la lunghezza della nave.

19 Se i compartimenti delimitati dalle paratie hanno lunghezza maggiore di 15 m (o 0,1


L se L > 150 m) devono essere sistemate paratie non stagne a distanza non superiore a 15 m
(o 0,1 L se L>150 m).
20 Le navi cisterna aventi larghezza maggiore di 35 m hanno di solito anche una paratia
longitudinale non stagna posta nel piano di simmetria. Due paratie stagne longitudinali, che
dividono trasversalmente le stive in tre parti, sono sistemate anche nelle navi appositamente
costruite per il trasporto di minerali, rinfuse solide e prodotti petroliferi (080 e 0RE/OIL);
solo la parte centrale viene tuttavia normalmente utilizzata per il minerale o le rinfuse, men-
tre le parti laterali servono per il trasporto di carichi liquidi o per la zavorra.

123
Per le navi da carico la distanza fra una paratia stagna e le paratie adia-
centi viene normalmente stabilita avendo presente l'esigenza di preservare
la loro galleggiabilità anche con un compartimento allagato.
La distanza fra le paratie stagne delle navi passeggeri è invece calcolata
in modo da assicurare la loro galleggiabilità anche con due o più comparti-
menti contigui allagati. La lunghezza massima di ciascun compartimento
viene quindi stabilita caso per caso e tenendo conto delle sue caratteristi-
che, oltre che delle caratteristiche generali della nave e del servizio che
essa svolge.
Le paratie stagne si arrestano ad un ponte che coincide generalmente
con il ponte principale e che può perciò essere chiamato ponte delle parati e,
ma la paratia di collisione si eleva fino al primo ponte di sovrastruttura (se
esiste).
Per impedire che si possano verificare passaggi d'acqua da un comparti-
mento a quello adiacente, si realizzano collegamenti stagni fra le varie la-
miere che formano la paratia e fra questa e le parti che la delimitano (fian-
chi, ponte, cielo del doppio fondo), e si riducono al minimo indispensabile
le aperture per il passaggio di canalizzazioni e tubazioni, trasmissioni mec-
caniche, persone.
Quando non è possibile rinunciare a tali aperture si mettono in atto tutti
gli accorgimenti necessari per evitare che l'acqua di un compartimento alla-
gato possa infiltrarsi nei compartimenti contigui. A tal fine vengono resi
stagni tutti i passaggi per canalizzazioni e tubazioni e, nel caso di tubazioni
per liquidi, è previsto l'impiego di valvole di intercettazione mediante le
quali si può bloccare il trasferimento di acqua da un compart imento all'al-
tro anche attraverso i tubi eventualmente danneggiati.
Per rendere stagno il passaggio di trasmissioni meccaniche attraverso
una paratia si ricorre all'impiego dei pressatrecce, ovvero di dispositivi che
impediscono le infiltrazioni di liquidi o di gas senza ostacolare il libero movi-
mento della trasmissione. Un tipico esempio di utilizzazione di questo di-
spositivo ce lo offre la paratia di poppa nella quale, come già abbiamo avuto
occasione di precisare, esiste una apertura per il passaggio dell'asse por-
taelica.

Le aperture per il passaggio di persone possono essere chiuse da porte


stagne, e cioè da porte idonee ad impedire qualsiasi infiltrazione d'acqua
da uno all'altro dei due compartimenti che esse mettono in comunicazione.
A queste porte si richiede quindi una robustezza non inferiore a quella delle
paratie su cui vengono installate e un sistema di chiusura che assicuri la te-
nuta stagna in qualsiasi condizione.
Le porte stagne si dividono in porte a cerniera (fig. 20) e por te a scorri-
mento (fig. 21).
Si dicono a cerni era le porte che possono ruotare attorno ad un asse
verticale e che assicurano la tenuta stagna per l'interposizione di una guar-
nizione di gomma fra le superfici di contatt o. La guarnizione è adegua-
tamente fissata alla porta e rimane fortemente compressa sopra un ele-
mento del telaio che delimita l'apertura, quando si procede alla chiusura.
Per effettuare questa operazione si adoperano apposite maniglie di serrag-
gio che si trovano distribuite su tutti e due i lati della porta e che si pos-

124
Fig, 20 - (sopra) -
Porta stagna
«a cerniera».

Fig. 21 - (sotto) •
Porte stagne
«a scorrimenton:
a) scorrimento
orizzontale;
b) scorrimento verticale.

o o

I o

o ,

lo

' 'I
o o o

-~
I I l t


'I
o
•'
'
o
o • • • o
a b

sono forzare, con semplice rotazione, contro adatti cunei metallici fissati
alla paratia.
Le porte a scorrimento sono porte che si aprono e si chiudono mediante
traslazione verticale (porte a scorrimento verticale) o orizzontale (porte a
scorrimento orizzontale) entro un telaio perfettamente rigido e fissato alla
paratia. La tenuta stagna è in questo caso assicurata per contatto fra le su-
perfici metalliche che devono quindi essere accuratamente lavorate.
Le porte a scorrimento orizzontale si manovrano solitamente con conge-
gni a cremagliera, quelle a scorrimento verticale con congegni a vite. Qua-

125
lunque sia il sistema adottato deve però essere possibile la manovra sul po-
sto e a distanza21 onde poter procedere alla chiusura anche da un punto si-
tuato al di sopra del ponte delle paratie.
Le porte a scorrimento vengono considerate indispensabili per proteg-
gere le aperture la cui soglia inferiore si trova a non più di 2,13 mal di so-
pra della più alta linea di galleggiamento consentita.
Le altre aperture possono essere protette da porte a cerniera e pertanto
appartengono a questo tipo anche le porte per la chiusura degli accessi al-
l'interno delle sovrastrutture ed alla cui esistenza abbiamo accennato trat-
tando questo argomento.
Tutte le porte sono comunque dotate di dispositivi che rendono possibile
effettuare la manovra di apertura e chiusura da entrambi i lati della para-
tia, e sono rialzate da un battente di altezza adeguata.

7. Ossature della prora e della poppa

Le ossature della prora e della poppa sono costituite da un complesso


strutturale che non differisce sostanzialmente da quello che assicura la ro-
bustezza delle altre parti dello scafo, tuttavia dobbiamo rilevare che esso
si presenta particolarmente rinforzato e comprende elementi del tutto ca-
ratteristici.
In aggiunta al1e normali ossature del fondo, dei fianchi e dei ponti, che
sono in generale più robuste e più fitte di quelle esistenti nella parte mae-
22
stra, troviamo infatti a prua e a poppa numerosi rinforzi che si defini-
scono di palpitazione, sull'estrema prora un elemento strutturale che si
chiama ruota di prora, sull'estrema poppa un analogo elemento che si chia-
ma dritto di poppa, e al di sopra di questo una lamiera trasversale che pren-
de il nome di dragante.

La ruota di prora può considerarsi come una ossatura verticale che si


estende dalla chiglia al più alto ponte dello scafo o della sovrastruttura di
prora (ponte di coperta o del castello), e sulla quale si uniscono le estremità
prodiere dei fianchi.
Un tempo la ruota di prora era costituita da una trave massiccia di ferro
o d'acciaio, disposta pressoché verticalmente e avente la sua parte inferio-
re (piede) convenientemente curvata per consentire un solido collegamento
con la chiglia e il paramezzale centrale (fig. 22).
Nelle moderne costruzioni la ruota è invece costituita da lamiere sago-
mate che vengono irrigidite mediante l'applicazione di robuste squadre
orizzontali sulla loro superficie interna (fig. 23) e che si collegano diretta-
mente con i corsi del fasciame dei fianchi e con il corso di chiglia (o con

21
La manovra delle porte a scorrimento può essere effettuata a mano o con altra fonte
di energia. Apposite norme precisano i casi in cui è richiesto anche un sistema con manovra
meccanica in aggiunta a quella a braccia.
22
Le costole sono in generale più robuste e poste ad intervallo ravvicinato (610 mm al
massimo); i madieri del gavone di prua sono gradualmente rialzati a partire dalla paratia di
collisione, quelli del gavone di poppa si innalzano al di sopra dell'astuccio dell'asse portaelica;
i collegamenti fra le ossature dei fianchi e del fondo sono convenientemente rinforzati.

126
Fig. 22 - Ruota
massiccia; 1) parte
inferiore della ruota
di prora; 2) chiglia
piatta: 3) paramezzale
centrale; 4) madiere;
5) paratia di collisione.

Fig. 23 - Ruota in
lamiera: 1) parte
inferiore della ruota di
prora; 2) chiglia piatta;
3) madiere;
4) paramezzale
centrale; 5) paratia di
collisione; 6) parte
mediana del la ruota di
prora; 7) squadra di
rinforzo; 8) squadra di
rinforzo e collegamento
con il fasciame e con le
ossature della prora
estrema; 9) fasciame
della prora estrema.

Fig. 24 - Seziona di
una ruota di prora In
lamiera: a) parte
superiore della ruota;
b) parte mediana della
ruota;
1) trincarino di
palpitazione:
2) squadra di rinforzo
e collegamento (gola}.

la chiglia massiccia, se esiste). Le varie lamiere che formano la ruota sono


sagomate e disposte in modo da determinare per l'estrema prora la forma
più adatta per diminuire la resistenza al moto della nave, per migliorare il
suo comportamento in acque agitate, per proteggere l'opera viva in caso
di urto contro altra nave (fig. 24).
Queste esigenze si soddisfano adottando per ogni nave il tipo di prora

127
che lo studio e l'esperienza fanno ritenere il più indicato; ciò spiega la co-
stante evoluzione delle forme della prora nelle moderne costruzioni e impe-
disce di fornire definizioni aventi validità generale, ma in linea di massima
si può ritenere che:
• per ottenere una minore resistenza al moto si assegna alla prora una
forma molto aguzza nella zona del galleggiamento; la parte inferiore della
prora conserva una notevole finezza nelle navi medie e piccole, ma assu-
me un aspetto piuttosto tondeggiante nelle grandi navi, nelle quali ter-
mina talvolta con un grande bulbo che si protende in avanti per alcuni
metri;
• per migliorare il comportamento della nave in acque agitate e per evitare
danni alla sottostante opera viva in caso di urto contro altre navi, la parte
superiore della prora assume una forma poco affinata e presenta un note-
vole slancio in avanti.

Il dritto di poppa è una ossatura verticale che sostiene il timone e la


parte poppiera dell'asse portaelica, e sulla quale si congiungono le estremi-
tà posteriori dei fianchi della carena. La sua conformazione può variare no-
tevolmente da nave a nave, ma in generale si può considerare il dritto di
poppa come una robusta ossatura che si innalza perpendicolarmente alla
chiglia (cui viene saldamente collegata) e si estende fin sopra la volta, e cioè
fin sopra la zona in cui la poppa assume una forma decisamente tondeg-
giante, e si protende in fuori rispetto alla sottostante carena per costituire
una efficiente protezione per la stessa e per l'elica e il timone, in caso di
urto contro oggetti emersi.
Anche il dritto di poppa può essere costruito con elementi massicci, ma
nelle navi moderne viene di preferenza realizzato con lamiere sagomate e
opportunamente rinforzate con profilati e squadre resistenti.

-... I
Fig. 25 (a sinistra) -
Dritto a telaio chiuso
(nave monoelica):
1) dritto del timone;
(
I
2) dritto dell'elica;
3) braccio superiore del
telaio; 4) braccio
inferiore del telaio;
L----~ I
5) foro per l'uscita 6
dell'asse portaelica;
6) femminella.

Fig. 26 (a destra) -
Dritto a telaio aperto
(nave monoelica):
1) pinna di sostegno
del timone; 2) dritto
dell'elica: 3) foro per
l'uscita dell'asse
portaelica;
4) femminella.

128
Nelle navi a vela il dritto di poppa era rappresentato da una trave mas-
siccia cui veniva incardinato il timone - dritto semplice - , ma la presenza
dell'elica ha imposto altre soluzioni per le navi a propulsione meccanica.
È stato così ideato il dritto a telaio, ovvero una ossatura che si presen-
ta come un telaio verticale-longitudinale, più o meno regolare, che com-
prende un dritto dell'elica e un dri tto del timone fra i quali rimane lo spa-
zio - gabbia dell'elica - necessario per la sistemazione del propulsore
(fig. 25).
Il dritto dell'elica è costituito dal ramo verticale prodiero del telaio e su
di esso si chiude la parte immersa della poppa con una forma molto affinata
che permette di migliorare l'efficienza dell'elica e del timone.
Il dritto dell'elica deve essere attraversato dall'asse portaelica e pertan-
to esso viene convenientemente ingrossato e forato. Il ringrosso si estende
alla zona adiacente dell'estrema poppa e assume nel complesso la caratteri-
stica forma di una botticella; viene quindi naturale la definizione di botte o
barilotto che per esso si adotta, ed altrettanto naturale è la definizione di
foro della botte con cui si indica il foro di uscita dell'asse portaelica.

Il dritto del timone è il ramo poppiero del dritto a telaio; sulla sua super-
ficie posteriore sono ricavati dei solidissimi occhielli - femminelle - nei
quali si infilano altrettanti perni - agugliotti - che fanno parte del timone
e che possiamo considerare come cardini sui quali esso ruota per consentire
il governo della nave. Osserviamo però che molte costruzioni non hanno un
vero e proprio dritto del timone perché il telaio è incompleto - telaio aper- 'i
to - e il suo ramo posteriore non esiste o ha uno sviluppo molto limitato ;, I
(figg. 26 e 27). i I

Se il dritto del timone manca completamente, l'organo di governo vie-


ne fissato allo scafo mediante robusti collegamenti che si realizzano all'in-
; I

. i

Fig. 27 (a sinistra) -
Dritto a telaio aperto
(nave monoelica):
1) calcagnolo;
2) dritto dell'elica:
3) braccio superiore
del telaio : 4) foro per
per l'uscita dell 'asse
portaelica.

Fig. 28 (a destra) -
Dritto semplice
(nave blelica): 1) dritto
del timone:
2) femminella.

129
terno della losca e sui bracci orizzontali del telaio. 23
Se il dritto del timone è incompleto, il telaio risulta normalmente privo
anche del suo braccio inferiore; in tal caso il timone si collega allo scafo nel-
la zona della losca e con uno o due agugliotti che si inseriscono in altrettan-
te femminelle esistenti nel parziale ma robustissimo pezzo - pinna - che
si protende al di sotto della losca e che sostituisce il dritto del timone (fig.
26).
Il dritto a trave, più propriamente definito dritto semplice, può essere
adottato per le navi a due o quattro eliche, poiché queste si trovano ad una
certa distanza dal piano diametrale e non sussiste quindi la necessità di di-
sporre di un dritto dell'elica (fig. 28). Merita comunque rilevare che una
nave con due o quattro propulsori potrebbe anche essere priva di un vero
e proprio dritto di poppa; in tal caso il timone rimane sospeso sotto la poppa
ed ha con lo scafo il solo collegamento che si può realizzare nella zona della
losca.
I propulsori multipli si trovano raramente nelle navi da carico, ma sono
abbastanza diffusi nelle navi militari, nelle navi da diporto, nelle navi pas-
seggeri e nei traghetti.
La soluzione maggiormente adottata è quella che prevede la sistemazio-
ne di due eliche disposte simmetricamente rispetto al piano diametrale -
eliche laterali-, tuttavia si possono trovare anche navi con due eliche late-
rali e un'elica centrale e navi con due eliche sulla parte dritta e due eliche
sulla parte sinistra.
Le costole di poppa delle navi bieliche, trieliche o quadrieliche, sono con-
formate in modo da permettere il passaggio degli assi laterali (fig. 29); dalla
loro particolare conformazione deriva la presenza, su entrambi i fianchi del-
la carena, di uno o due ringrossi, convenientemente rastremati per ridurre
al minimo l'aumento di resistenza al moto, all'interno dei quali si trova l'a-
stuccio o tubo di passaggio dell'asse portaelica. Questo contiene, come sap-
piamo, i cuscinetti sui quali ruota l'asse, rinforza la zona di fuoriuscita del-

Fig. 29 - Madieri di
estrema poppa (nave
blelica): 1) madiere
forato; 2) struttura
a occhiale; 3) dritto
semplice; 4) fasciame
della carena.

23
Il braccio inferiore si chiama calcagnolo. Su di esso c'è una femminella cieca - chia-
mata femminella a gotto - che sopporta praticamente tutto il peso del timone.

130
l'asse stesso e facilita la sistemazione dei dispositivi che assicurano il suo
passaggio stagno.
La parte terminale di ciascun asse portaelica laterale è sostenuta da
speciali strutture che vengono applicate alla carena e che si chiamano brac-
ci (fig. 30).
I bracci di sostegno degli assi portaelica sono in acciaio fuso e normal-
mente costituiti da una parte forata - mozzo - che sopporta il cuscinetto
posteriore dell'asse e da due veri e propri bracci che si dipartono da questo
in direzioni che differiscono di circa 90° e che si collegano saldamente alle
strutture della poppa.
La posizione e la estensione dei bracci possono essere diverse da nave
a nave, tuttavia esse vengono stabilite considerando che le eliche:
a) devono agire a proravia del timone per migliorare i suoi effetti evo-
lutivi;
b) devono essere abbastanza distanti dalla carena per consentire il libe-
ro deflusso dell'acqua r espinta ed evitare in tal modo forti vibrazioni allo
scafo. 24

Il dragante è una lamiera verticale-trasversale che collega la parte su-


periore del dritto con il sovrastante ponte o copertino e che si estende a mo'
di paratia da un fianco all'altro della poppa.
Nelle navi con dritto a telaio si può trovare un dragante sopra il dritto
del timone e un dragante sopra il dritto dell'elica per incrementare la robu-
stezza della zona, particolarmente sollecitata anche per la presenza del pro-
pulsore e dell'organo di governo.
Il dragante del dritto del timone può considerarsi anche come un ele-
mento resistente sul quale confluiscono le ossature della parte superiore
della poppa estrema. Queste ossature possono essere genericamente definì-

Fig. 30 - Bracci dall'as-


se portaelica: 1) mozzo:
2) braccio; 3) rinforzo.

24
Le eliche aventi velocità di rotazione non superiore a 150 giri al minuto devono dista-
re non meno di 0,30 m dallo scafo, quelle con velocità di rotazione fi no a 300 giri al minuto
devono trovarsi a non meno di 0,50 m di distanza dallo scafo.

131
te costole, tuttavia, tenuto conto che esse non giacciono in piani trasversali,
sono più propriamente chiamate costole deviate.
Le costole deviate non costituiscono però una caratteristica della poppa
estrema; se ne trovano infatti anche in prossimità dell'estrema prora, dove
formano le ossature trasversali dei masconi.
I rinforzi di palpitazione sono ossature e squadre di collegamento che
si aggiungono alle normali strutture della prora e della poppa affinché que-
ste possano sop~ortare senza danno le vibrazioni connesse con le oscillazio-
ni di beccheggio. 5 A tali vibrazioni, dette di palpitazione, si aggiungono, sul-
la prora estrema, la particolare azione resistente dell'acqua e quella che può
esercitare il mare in caso di cattivo tempo, sulla poppa estrema le vibrazioni
derivanti dalla rotazione del propulsore; ben si comprende quindi la specia-
le attenzione con cui si realizza il sistema strutturale destinato a garantire
in ogni circostanza la robustezza richiesta per queste parti dello scafo. I rin-
forzi di palpitazione sono costituiti da bagli, trincarini, correnti e grosse
squadre di collegamento, esistenti al di sotto del ponte o copertino più basso.
I bagli di palpitazione si trovano all'interno dei gavoni, in corrisponden-
za di ogni seconda costola, e sono disposti in file - ordini - che distano
fra loro, dal ponte o copertina più basso e dal madiere, non più di 2,00 m
nel gavone di prora e non più di 2,50 m nel gavone di poppa.
I trincarini di palpitazione sono correnti longitudinali in lamiera conti-
nua (associata o no a profilato di rinforzo); vengono fissati sui fianchi dei
gavoni, all'altezza di ciascun ordine di bagli di palpitazione, e si estendono
dalla paratia di collisione o del pressatrecce fino alla prora o alla poppa
estrema.
Robuste squadre provvedono a collegare i bagli e i trincarini di palpita-
zione alle costole. Altre squadre collegano i trincarini di palpitazione alle
grosse traverse che rinforzano la paratia di collisione e quella del pressa-
trecce all'altezza di ciascun ordine di bagli di palpitazione, e che si estendo-
no fino a congiungersi con il più vicino di questi.
In corrispondenza della ruota di prora e del dritto di poppa i trincarini
di palpitazione di ciascun fianco si riuniscono in una sola ossatura, median-
te una squadra di collegamento - gola - che si estende in ogni ordine fino
al baglio di estremità e che viene saldamente fissata a questo e al fasciame
dei fianchi (fig. 24).
Se la parte inferiore del gavone è destinata a cisterna d'assetto, alle già
menzionate ossature di palpitazione si aggiunge una lamiera-diaframma,
ovvero una lamiera verticale disposta longitudinalmente, che divide la ci-
sterna in due parti e che rappresenta un efficace rinforzo oltreché un ele-
mento che riduce gli spostamenti del liquido in caso di rollio.
I correnti di palpitazione sono ossature longitudinali intercostali che
rinforzano i fianchi a poppavia della paratia di collisione. Sono posti in pro-
secuzione dei trincarini di palpitazione che si trovano all'interno del ga-
vone di prora, si collegano alla paratia di collisione con grosse squadre
triangolari e si estendono a giusta distanza dalla stessa. 26

25
Si chiama beccheggio il moto oscillatorio longitudinale della nave, ovvero il moto che
si manifesta come un susseguirsi di alterni innalzamenti e abbassamenti della prora e della
poppa. Da tale moto derivano alterne accelerazioni che danno luogo a vibrazioni particolar·
mente sensibili per le parti estreme (vibrazioni di palpitazione).
26
Fino a distanza pari ai 15/100 della lunghezza, da prora.

132
Il fasciame

1. Generalità

Già sappiamo che in generale si definisce fasciame l'involucro stagno


che ricopre le ossature della nave, e che esso è normalmente costituito da
file di lamiere che si chiamano corsi.
Il collegamento fra lamiere e ossature e fra lamiera e lamiera si effettua
normalmente mediante saldatura elettrica.
Le lamiere dei fasciami saldati sono quindi disposte con le teste e i lembi
affiancati - giunti a paro - e intimamente uniti dai cordoni di saldatura.
Scompaiono in tal modo i comenti e le sovrapposizioni che caratterizzavano
i collegamenti chiodati, ovvero le condizioni che rendevano necessario il ca-
lafataggio e più pesante la costruzione.
Per quanto riguarda le sovrapposizioni richieste dai collegamenti chio-
dati rileviamo che esse potevano anche essere evitate ma le contropezze e
le cale di riempimento (fig. 1) che si rendevano in tal caso necessarie per
assicurare l'impermeabilità e l'efficienza dei collegamenti, determinavano
un aumento di peso che sconsigliava il ricorso a questo sistema. Comprensi-
bile dunque l'adozione dei collegamenti a sovrapposizione e la preferenza
per quei tipi di sovrapposizione che non richiedevano la presenza di cale di
riempimento (sovrapposizioni di tipo e, d, e della fig. 1).

Fig. 1 - Giunti a
sovrapposizione:
a) sovrapposizione
semplice con cale di
riempimento:
b) sovrapposizione
doppia con cale
di riempimento;
c) sovrapposizione dop-
pia con scannello dei
lembi della lamiera so-
vrapposta: d) sovrappo-
e sizione semplice con
d scannello del lembo so·
e vrapposto; e) sovrappo-
a,_______,,... b sizione doppia con
scannello del contorno
dell'ossatura.

133
I giunti di testa si sviluppano nell'intervallo fra due ossature contigue;
le diverse lamiere vengono disposte in modo che le intestature situate in
uno stesso intervallo siano separate da almeno due corsi e quelle che capita-
no in due intervalli contigui siano separate da almeno un corso (fig. 2).
Ciascuna lamiera ha in generale una lunghezza non inferiore a sei inter-
valli di ossatura mentre la sua larghezza è ragionevolmente proporzionata
alla lunghezza.

Fig. 2 - Intestature
delle 1am iere del
fasciame.

2. Suddivisione generale del fasciame

Se si considerano le diverse parti in cui può essere applicato un fasciame


impermeabile, si determina la seguente generica suddivisione:
• fasciame esterno: rivestimento metallico della superficie esterna delle
ossature del fondo e dei fianchi;
• fasciame dei ponti: rivestimento metallico della superficie superiore del-
le ossature dei ponti (i ponti delle piccole navi hanno talvolta il fasciame in
legno ma noi non prenderemo in considerazione questa speciale circo-
stanza);
• fasciame delle paratie: rivestimento metallico delle ossature delle para-
tie stagne e delle paratie terminali delle sovrastrutture incomplete.
• fasciarne interno: rivestimento metallico della superficie interna delle
ossature del fondo e dei fianchi.

3. Fasciame esterno

Il fasciame esterno, o semplicemente fasciame, è costituito da corsi lon-


gitudinali di lamiere che si collegano alla superficie esterna delle ossature
del fondo e dei fianchi per formare quell'involucro stagno che assicura l'im-
permeabilità e contribuisce alla robustezza generale della nave.

134
Per indicare le diverse parti che formano il fasciame esterno si può far
riferimento alla parte della nave che esse ricoprono e distinguere pertanto
fra:
• fasciame dello scafo e fasciame delle sovrastrutture;
• fasciame della parte prodiera e fasciame della parte poppiera;
• fasciame dell'opera viva e fasciame dell'opera morta;
• fasciame della prora, fasciame della poppa, fasciame della parte maestra.
Ma, risultando queste definizioni di scarsa utilità, si preferisce ricorrere
alla nomenclatura qui di seguito indicata.
Fasciame di carena: è il fasciame dell'opera viva e comprende i corsi
del fondo, i corsi dei ginocchi, i corsi della parte immersa dei fianchi.
I corsi del fondo formano nel complesso il fasciame del fondo; fra questi
si distinguono (figg. 5 e 6, cap. V):
■ il corso di chiglia: posto, come sappiamo, nella parte centrale del
fondo, e formato da una fila di lamiere aventi grossezza sensibilmente
maggiorata;
■ i corsi del torello: corsi adiacenti alla chiglia (uno sul lato dritto e uno
sul lato sinistro);
■ i corsi del controtorello: corsi adiacenti, su ciascuna parte del fondo,
al corso del torello.
I corsi dei ginocchi (fig. 6, cap. V) sono formati dalle lamiere che rico-
prono la parte di scafo che viene indicata con questo nome. Sono due, uno
sulla parte dritta e uno sulla parte sinistra dello scafo, ed hanno grossezza
maggiorata per contribuire, fra l'altro, ad assicurare un solido collegamen-
to fra le ossature del fondo e dei fianchi.
I corsi della parte immersa dei fianchi (fig. 19, cap. V) comprendono
tutti i corsi che ricoprono i fianchi fino al galleggiamento della nave a mas-
simo carico. Fra i diversi corsi che formano questa parte del fasciame, si
chiamano corsi del bagnasciuga quelli che si trovano immersi a nave carica
ed emersi a nave scarica.
Fasciame di murata: è il fasciame che ricopre le murate, ossia le parti
emerse dei fianchi (fig. 19, cap. V).
Fra i corsi di murata si distingue un corso di cinta, di grossezza maggio-
rata, che possiamo generalmente identificare con il corso avente l'orlo su-
periore all'altezza del ponte di forza. Al di sopra del corso di cinta troviamo
quindi le lamiere del parapetto (se esiste un parapetto vero e proprio); il
corso che si collega con l'orlo inferiore della cinta viene normalmente indi-
cato come corso di sottocinta.
Si può inoltre parlare di fasciame dei masconi, dei giardinetti, dello
specchio, della volta per indicare le zone del fasciame esterno che ricopro-
no, rispettivamente, i masconi, i giardinetti, lo specchio, la volta.
Quella descritta è una suddivisione che consente di indicare con suffi-
ciente approssimazione le varie parti che formano il fasciame esterno, ma
non così minuziosa da poter individuare esattamente ciascun corso e le di-
verse lamiere che lo costituiscono.

135
Per soddisfare questa esigenza non c'è di meglio che ricorrere ad una
appropriata numerazione dei corsi di fasciame e delle diverse lamiere ap•
partenenti a ciascuno di essi.
I corsi si contano, sulla parte dritta e sulla parte sinistra, a partire da
quelli adiacenti alla chiglia, e pertanto si indicherà come 1° corso, di dritta
o di sinistra, il corrispondente corso del torello; il 2° corso sarà, su ciascun
lato, il controtorello, e così di seguito fino al corso del ginocchio e al corso
di cinta.
Le diverse lamiere di ciascun corso sono invece contraddistinte con una
numerazione che, prendendo l'avvio dalla prora o dalla poppa, si sviluppa
verso poppa o verso prora. 1
Il fasciame esterno assicura l'impermeabilità della nave ma non costitui-
sce, come possiamo dedurre da precedenti considerazioni, una superficie
ininterrotta per tutta la sua estensione. Si notano infatti, sul fasciame dei
fianchi, numerose aperture la cui presenza sappiamo essere necessaria per
soddisfare diversi servizi. Ricordiamo a questo proposito che nella zona del-
l'apparato motore, all'altezza del bagnasciuga, si trovano gli scarichi di
sentina e di zavorra e gli scarichi dell'acqua che si manda in circolazione
per raffreddare il motore o per condensare il vapore.
Nella stessa zona, ma sulla parte più bassa del fianco, si trovano anche
le prese dal mare, ovvero quelle aperture attraverso le quali è possibile
aspirare acqua di mare per utilizzarla a seconda delle necessità. 2
Sui masconi abbiamo gli occhi di cubìa, a poppa troviamo la losca nella
volta e il foro della botte sul dritto (su alcune navi esiste anche un occhio
di cubìa sullo specchio per un'ancora che viene usata in circostanze del tut-
to particolari).
Scarichi per gli ombrinali sono distribuiti convenientemente lungo le
murate; oblò e finestrini sono particolarmente numerosi sulla parte supe-
riore dei fianchi delle zone destinate ad alloggi, mentre nelle stesse zone,
ma all'altezza del bagnasciuga, si notano anche gli scarichi per i locali di
igiene.
Altre aperture che si trovano sulle murate di alcune navi sono i portello-
ni per l'imbarco delle persone e delle merci, ma neppure questi influiscono
sulla impermeabilità perché protetti da mezzi di chiusura adeguati.
Barcarizzi, sfoghi d'acqua e passacavi sono le aperture esistenti sul pa-
rapetto; a differenza di tutte le altre aperture dei fianchi, queste non sono
però protette da chiusure stagne o isolate mediante apposite tubazioni, per-
ché si trovano, come sappiamo, al di sopra o al di fuori dello scafo e delle
sovrastrutture stagne.
Osserviamo tuttavia che i «regolamenti» di costruzione impongono di ri-
durre al minimo possibile il numero e le dimensioni delle aperture del fa.
sciarne. Gli stessi regolamenti vietano inoltre la presenza di aperture in cor-
rispondenza dei torelli, chiglia, parti curve dei ginocchi e nelle parti in cui

1 È evidente che adottando questo criterio di numerazione è possibile procedere ad una


precisa localizzazione di tutti gli elementi che formano il fasciame esterno, localizzazione che
risulta particolarmente utile quando si devono indicare zone danneggiate o soggette a ispezio-
ni, lavorazioni ecc.
2
Servizi antincendio e di zavorra, servizi igienici, circolazione di raffreddamento appa-
rato motore, circolazione impianto frigorifero, circolazione condensatore ecc.

136
lo scafo presenta discontinuità strutturali. Le aperture non devono comun-
que presentare spigoli vivi ed occorre provvedere, se necessario, a ripristi-
nare la robustezza longitudinale e trasversale mediante l'applicazione di la-
miere di compensazione.
A conclusione di questa rapida rassegna osserviamo che sui due masconi
si trova sempre dipinto a grosse lettere il nome della nave, e che sullo spec-
chio o su ciascun giardinetto si può leggere il nome della nave e quello del
Compartimento Marittimo in cui essa è iscritta.
Osserviamo infine che durante le soste nei porti e nelle rade, gli scarichi
che ostacolano le operazioni di imbarco e sbarco delle persone e delle merci
vengono protetti con pesanti coperture di legno che si chiamano canalette,
se non esistono appositi tubi, applicati permanentemente al fasciame, che
convogliano i liquidi direttamente sotto il livello del mare.

4. Fasciame dei ponti

Il fasciame dei ponti è costituito da corsi longitudinali di lamiere che ri-


coprono la superficie superiore delle ossature in modo da formare un invo-
lucro stagno, e che si possono esattamente localizzare adottando criteri
analoghi a quelli considerati per il fasciame esterno. Fig. 3 (sotto a
Fra i diversi corsi che formano il fasciame dei ponti si chiamano trinca- sinistra) - Cinta curva:
1) cinta 2) trincarino.
rini quelli che su ciascun fianco si collegano al fasciame di murata, corde
quelli adiacenti alla mastra dei boccaporti. 3 Fig. 4 (sotto a destra)
Il collegamento dei trincarini con il fasciame di murata si realizza normal- Sistemi di collegamento
del controtasciame alle
mente con l'ausilio di un angolare - angolare di trincarino - che assicura lamiere del ponte:
una grande robustezza e una tenuta sicuramente stagna (fig. 35, cap. Ili). a) con vite a legno:
Rileviamo però che in alcune grandi e moderne costruzioni il trincarino b) con chiavarda e
dado di bloccaggio:
di coperta si collega direttamente al corso di cinta. A tal fine la cinta è costi- c) con prigioniero
tuita da lamiere a profilo curvilineo (fig. 3) che non solo consentono di rea- saldato alla lamiera.

a b e

3 Ricordiamo che nelle piccole navi sì possono trovare anche ponti in legno. In tal caso
il fasciame è costituito da file longitudinali di tavole di pino, pitch-pìne, teak, aventi larghezza
normale non superiore a 150 mm e grossezza oscillante fra 50 e 80 mm. Corde e trincarini
dei ponti resistenti devono però essere in lamiera anche se il fasciame è di legno.

137
lizzare il collegamento diretto con il corso di trincarino, ma offrono anche
un sensibile irrobustimento contro le sollecitazioni flettenti.
Anche i corsi delle corde si collegano alle mastre dei boccaporti median-
te angolare di rinforzo. In tal modo viene assicurata la tenuta stagna e la
necessaria robustezza in una zona che la presenza di grandi aperture (boc-
caporti) rende particolarmente sensibile alle sollecitazioni.
Qualche volta il fasciame metallico dei ponti è rivestito con un controfa-
sciame in legno4 o con altro materiale isolante e antisdrucciolevole.
Il controfasciame in legno, oltre che migliorare le condizioni di abitabili-
tà degli ambienti sottostanti, costituisce un rinforzo per il ponte; pertanto
la sua presenza consente di ridurre convenientemente la grossezza del fa-
sciame metallico.
I lavori di installazione del controfasciame presentano però non poche
difficoltà perché deve essere assicurata l'assoluta impermeabilità dei colle-
gamenti, che si effettuano solitamente mediante bulloni a dado o maschi fi-
lettati saldati di testa alle parti metalliche (fig. 4), e dei comenti che separa-
no una tavola dall'altra.
Per evitare questi inconvenienti il fasciame dei ponti di molte navi mo-
derne viene rivestito con materiali - intonaci da ponte - che non solo sono
isolanti e antisdrucciolevoli, ma sono anche anticorrosivi, incombustibili e
più leggeri del legno.
Contro/asciami e rivestimenti non si estendono normalmente per tutta
la larghezza del ponte; esiste infatti sulle parti laterali una striscia di metal-
lo nudo - canaletta-, delimitata dall'angolare di trincarino e da un con-
troangolare ad esso parallelo, nella quale si raccoglie l'acqua piovana o di
mare che defluisce poi fuoribordo o sui ponti sottostanti attraverso gli om-
brinali che su di essa trovano posto (fig. 5).

Flg. 5 - Canaletta
di un ponta
controlasciato:
1) controfasciame :
2) canaletta.

Neppure il fasciame dei ponti è costituito, come sappiamo, da una super-


ficie ininterrotta di lamiere o di tavole; vi troviamo infatti boccaporti, boc-
caportelli, passi d'uomo, ombrinali, sbocchi delle cubìe e occhi del pozzo

4
Solitamente si tratta di tavole di teak aventi caratteristiche uguali a quelle del fascia-
me in legno.

138
,, delle catene, ma l'impermeabiliti\ non risulta compromessa pecché ciascuna
apertura è protetta con chiusure stagne o isolata da tubi comunicanti sol-
tanto con l'esterno. 5

5. Fasciame delle paratie

Se volessimo interpretare in senso restrittivo la definizione dovremmo


dire che il fasciame delle paratie è l'involucro che ricopre le ossature delle
paratie stagne trasversali e longitudinali. Più genericamente possiamo
però chiamare fasciame delle paratie il rivestimento metallico delle ossatu-
re di tutte le paratie della nave, e ritenere pertanto che esso comprenda
anche il fasciame delle paratie terminali dei casseri, dei mezzicasseri, delle
tughe e dei cofani.
Il fasciame delle paratie è normalmente costituito da corsi orizzontali di
lamiere che formano una superficie resistente e stagna ai liquidi. Le lamie-
re sono solitamente piane e collegate a robuste ossature, 6 ma non è raro
trovare sulle moderne costruzioni paratie stagne (trasversali e longitudina-
li) formate con lamiere ondulate - paratie corrugate - per eliminare o ri-
durre le ossature di sostegno ed il peso che esse comportano (fig. 6).

Flg. 6 - Paratie
corrugate:
1) paratia longitudinale;
2) paratia trasversale:
3) fasciame del fondo:
4) paramezzale laterale;
.___ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __, 5) montante rinforzato.

Il collegamento con i fasciami delle parti che delimitano ciascuna


paratia 7 viene reso più resistente e sicura~ente stagno ricorrendo all'im-

5 Anche per le aperture nel fasciarne dei ponti sussistono limitazioni per quanto riguarda

il numero, le dimensioni e la posizione. Sono comunque prescritte le lamiere di compensazione


e si richiede che ciascuna apertura abbia gli spigoli arrotondati (nessuna apertura è ammessa
nell'angolare di trincarino).
6 Montanti, traverse, correnti.
7 Ponti, fianchi, altre paratie.

139
piego di telai di angolari che si applicano lungo la periferia del fasciame di
paratia.
Anche nelle paratie stagne si trovano, sia pure ridotte al minimo stret-
tamente indispensabile e provviste di appositi sistemi di chiusura, alcune
aperture per il passaggio di persone, trasmissioni meccaniche, tubazioni
ecc.
Le paratie terminali delle sovrastrutture incomplete sono interrotte an-
che da oblò, finestrini e porte per accedere nei locali che esse racchiudono,
ma in nessun caso viene a mancare l'impermeabilità perché ciascuna aper-
tura è protetta da porta o portellino stagno o con altro sistema che garanti-
sca una perfetta tenuta.

6. Fasciame interno

II fasciame interno è costituito da corsi longitudinali di lamiere che ven-


gono saldate sulla superficie interna delle ossature del fondo (fasciame in-
terno del fondo) e sulla superficie interna delle ossature dei fianchi (fascia-
me interno dei fianchi).
Ilfasciame interno del fondo, più propriamente indicato come.fasciame
del doppio fondo o semplicemente cielo del doppio fondo, o addirittura pa-
gliolo, è presente, come sappiamo, in quasi tutte le navi, mentre soltanto
alcuni tipi di navi che trasportano carichi del tutto particolari (portaconte-
nitori, chimichiere, gassiere ecc.) sono dotate di un fasciame interno dei
fianchi che delimita un doppio fianco variamente utilizzabile (similmente al
doppio fondo, il doppio fianco viene normalmente utilizzato come deposito
per la zavorra).
In assenza di fasciame interno, i fianchi sono protetti, in corrispondenza
delle stive e degli interponti destinati al carico, da robuste tavole disposte
in file longitudinali ravvicinate 8 e sostenute da apposite gaffe o perni fissa-
ti sulla superficie interna delle costole. Queste tavole si chiamano serrette
e servono per proteggere il fasciame esterno dagli urti dei carichi pesanti
e per evitare che carichi particolarmente delicati siano danneggiati dal con-
tatto con le parti metalliche dello scafo. 9

8 Ciascuna tavola ha uno spessore minimo di 5 cm e una larghezza minima di 15 cm; la


distanza fra le diverse file di tavole non supera i 30 cm.
9
Per le stesse ragioni il fasciame del doppio fondo è talvolta rivestito da un controfascia-
me in legno che si chiama pagliolo o pagliolato.

140
J

La robustezza
delle navi
CAPITOLO

1. Generalità

Già sappiamo che una nave deve essere abbastanza robusta da poter re-
sistere a tutti gli sforzi cui essa è sottoposta durante il suo esercizio; sappia-
mo anche che ad assicurare la necessaria robustezza provvede un sistema
strutturale formato da numerose ossature e completato dai fasciami che le
ricoprono, ma, tenuto conto dell'importanza che la robustezza riveste per
la nave, non si può non cercare di approfondire le considerazioni che ad
essa si riferiscono.
A tale scopo ricordiamo innanzitutto che il sistema strutturale della
nave comprende ossature variamente disposte e opportunamente collegate
fra loro. Ricordiamo inoltre che, avendo presente la loro disposizione, le os-
sature si dividono in ossature longitudinali, ossature trasversali, ossature
verticali e che si chiamano rinforzi locali tutte quelle ossature che, comun-
que disposte, sono utilizzate per irrobustire alcune zone ben delimitate o
per rinforzare i collegamenti fra elementi strutturali di tipo diverso.
Premesso che gli sforzi cui deve complessivamente resistere il sistema
strutturale si distinguono in:
sforzi longitudinali,
- sforzi trasversali,
- sforzi locali,
rileviamo che:
• le ossature longitudinali sono particolarmente destinate a svolgere una
efficace azione di resistenza alle sollecitazioni derivanti da sforzi longitu-
dinali;
• le ossature trasversali svolgono la stessa azione nei riguardi delle solleci-
tazioni derivanti da sforzi trasversali;
• le ossature verticali e i rinforzi locali sono specificamente destinati a resi-
stere alle sollecitazioni che si generano in alcune zone per l'esistenza di
sforzi particolari ad esse circoscritti (sforzi locali); le ossature verticali sono
però solitamente incorporate nel sistema strutturale formato dalle ossatu-
re trasversali e longitudinali e concorrono quindi alla robustezza generale
della nave.
L'esistenza di sforzi longitudinali, trasversali, locali, si spiega con gli
squilibri che si registrano fra i diversi sistemi di forze che agiscono sulla
nave già durante la sua costruzione e nelle variabili condizioni in cui essa
svolge il suo esercizio.
Gli sforzi longitudinali sono dovuti agli squilibri che possono veri-

141
ficarsi nella distribuzione dei pesi e delle spinte nei diversi punti della lun-
ghezza. Questi squilibri si verificano anche in acqua calma, a causa della ir-
regolare concentrazione dei pesi propri della nave e dei pesi che costituisco-
no il suo carico, ma possono raggiungere valori molto elevati quando la
nave galleggia in acque agitate o si trova incagliata.
In conseguenza di ciò, nonostante la presenza di un valido sistema di os-
sature longitudinali, la nave è soggetta a deformazioni che si chiamano
inarcamenti se si manifestano come un innalzamento della sua parte cen-
trale rispetto alle parti estreme, insellamenti nel caso opposto (fig. 1).

a b

Fig. 1 - Inarcamento e L'inarcamento e l'insellamento sono praticamente determinati da un ec-


insellame nto:
a) nave inarcata cesso di spinta o di peso nella parte centrale dello scafo. Le maggiori defor-
(eccesso di spinta mazioni per inarcamento o insellamento si hanno in presenza di formazioni
nella parte maestra) ondose aventi lunghezza approssimativamente uguale alla lunghezza della
b) nave insellata
(eccesso di peso nella nave. In tali circostanze, infatti, si registra una notevole tendenza all'inar-
parte maestra). camento quando la nave si trova con la parte centrale sulla cresta dell'onda
e con le parti estreme su due gole successive, mentre si registra una altret-
tanto notevole tendenza all'insellamento quando la parte centrale è sulla
gola dell'onda e le parti estreme su due creste successive.
Anche gli sforzi trasversali derivano da uno squilibrio nella distribuzio-
ne dei pesi e delle spinte. Per rendersi conto della loro presenza e delle con-
seguenze che ne derivano è però necessario considerare lo squilibrio che
può verificarsi nei diversi punti di ciascuna sezione trasversale, per un ec-
cesso di peso o di pressione idrostatica.
Gli eccessi dell'una o dell'altra forza sono inevitabili anche con nave gal-
leggiante in acqua calma, ma in tali circostanze gli sforzi che da essi deriva-
no non destano preoccupazioni, perché il sistema formato dalle ossature
trasversali è in grado di evitare deformazioni.
Qualche preoccupazione è tuttavia giustificata quando si consideri la
nave galleggiante in acque agitate o a secco in bacino 1 o incagliata.
Con nave in acque agitate si registrano infatti oscillazioni trasversali 2
che comportano l'insorgere di forze d'inerzia particolarmente temibili

1
Ci si riferisce ovviamente al bacino di carenaggio, ovvero a una grande conca scavata
nella terraferma o a un grande galleggiante che consente di mettere la nave all'asciutto (a
secco).
2 Le oscillazioni trasversali danno luogo a quel moto oscillatorio della nave che è comu-
nementt definito rollio.

142
nella parte superiore dei fianchi. Da queste forze deriva un'alterna tenden-
za a modificare, ora in un senso ora nell'altro, l'angolo formato tra i fianchi
e i ponti, con conseguenti notevoli sollecitazioni sugli elementi che collega-
no le loro ossature.
Con nave in bacino si verifica , come si può facilmente intuire, un sensibi-
le squilibrio fra i sistemi di forze agenti rispettivamente nelle parti che pog-
giano sulle taccate3 e nelle parti che non possono contare su alcun soste-
gno. Gli sforzi che ne derivano tendono a produrre deformazioni pericolose
ed è proprio per ridurli entro limiti di tollerabilità che si provvede alla pun-
tellatura esterna dello scafo per tutto il tempo in cui la nave viene privata
della sua galleggiabilità. In caso di incaglio si verificano fenomeni analoghi,
ma le loro conseguenze sono meno temibili, sia perché gli squilibri che fan-
no insorgere gli sforzi considerati interessano soltanto una zona limitata
del fondo, sia perché la spinta dell'acqua non viene a mancare del tutto nel-
le parti sospese, come accade invece nel caso di nave in bacino.
Gli sforzi locali sono caratteristici di alcune zone limitate dove risulta-
no volutamente o accidentalmente concentrati carichi rilevanti. Fra le cau-
se che determinano rilevanti sforzi locali ricordiamo la presenza di grossi
pesi su parti poco estese dei ponti e del fondo, l'azione dei cuscinetti reggi-
spinta, 4 il peso e le vibrazioni delle macchine in genere e della macchina di
propulsione in particolare, una eventuale reazione d'incaglio ecc.
È evidente che la conoscenza degli sforzi cui sono sottoposte le diverse
parti che costituiscono la nave è necessaria per determinare le sollecitazio-
ni che da essi derivano e la resistenza che devono offrire le ossature e i fa-
sciami affinché si possa escludere qualsiasi pericolo di rottura.
La determinazione delle caratteristiche delle ossature e dei fasciami ri-
guarda lo studio della robustezza delle navi.
Non ci soffermeremo su questo argomento che si presenta irto di diffi-
coltà ma, tenuto conto della crescente importanza assunta in questi ultimi
anni dallo studio della robustezza longitudinale e degli obblighi che da essa
derivano anche per il navigante, riteniamo opportuno fornire qualche indi-
cazione almeno su questa parte del problema generale che riguarda la robu-
stezza delle navi. A tale scopo illustriamo qui di seguito la procedura da se-
guire per calcolare le sollecitazioni cui una nave può essere sottoposta in
acqua calma.

2. Robustezza longitudinale

Da quanto abbiamo appreso in precedenza appare evidente che le ossa-


ture longitudinali svolgono, come tutte le altre parti strutturali, un'effi-
cace azione di resistenza alle sollecitazioni che insorgono in ogni punto in

3
Grossi blocchi, disposti in una o più file longitudinali, sui quali si appoggia il fondo della
nave.
4
Dispositivo destinato a trasmettere alla nave la spinta longitudinale che viene dal pro-
pulsore.

143
cui esiste uno squilibrio di forze, ma costituiscono, nel loro insieme, un si-
stema particolarmente studiato per resistere alle sollecitazioni derivanti
dagli sforzi di taglio e dai momenti flettenti cui è sottoposto lo scafo.
L'esistenza di sforzi di taglio e di momenti flettenti si spiega facilmen-
te quando si ricordi che lo scafo si comporta come una trave a struttura tu-
bolare diaframmata e che, pur essendo il peso totale della nave uguale alla
spinta che la sostiene, possono sempre verificarsi squilibri locali fra pesi e
spinte a causa della particolare forma della carena e della irregolare distri-
buzione dei pesi che costituiscono la nave e il suo carico (ci si riferisce ovvia-
mente alla distribuzione in senso longitudinale).
Ricordiamo che la determinazione degli sforzi di taglio e dei momenti
flettenti consente di stabilire la resistenza che devono offrire le strutture
longitudinali ed è richiesta dal R.I.Na per l'approvazione dei principali dise-
gni strutturali. I relativi calcoli devono quindi essere eseguiti dal cantiere
costruttore per ogni realistica condizione di carico e di zavorra in cui la
nave può trovarsi durante il suo esercizio.
Non mancano sistemi approssimati mediante i quali si può rapidamente
calcolare il momento flettente massimo e rileviamo che in sede di progetto
si usa talvolta la formula:

M = P. L
K
dove: M = momento flettente massimo in kN/m;
P = peso della nave in kN;
L = lunghezza dello scafo in corrispondenza del galleggiamento, 5
espressa in m;
K = coefficiente che varia, a seconda dei tipi di navi e delle loro con-
dizioni di carico, da 22 a 36.

Anche gli sforzi di taglio possono essere determinati con formule ap-
prossimate. Osserviamo per esempio che, attribuendo a P e a K i significati
precedentemente indicati, lo sforzo di taglio massimo (T) in kN può essere
dedotto dalla relazione:
7[ p
T = ---
K
Per una sicura conoscenza degli sforzi di taglio e dei momenti flettenti
alle diverse sezioni trasversali è però necessario seguire una procedura di
calcolo che si basa sulla preventiva determinazione dei diagrammi dei pesi
e delle spinte (fig. 2).
Volendo accennarvi brevemente, cominciamo con il precisare che, divisa
la nave in diverse parti nel senso della lunghezza, si considerano separata-
mente i due sistemi di forze costituiti dai pesi e dalle spinte che ad esse si
riferiscono.

5
Per la definizione della lunghezza L vedi cap. VIII, par. 1.

144
Noti i pesi e le spinte agenti su alcune zone di lunghezza unitaria, si può
costruire un diagramma dei pesi e un diagramma delle spinte aventi per
ascisse l'asse della trave-nave e per ordinate i pesi e le spinte, rispettiva-
mente, in kN/m. 6
Dalla somma algebrica dei diagrammi dei pesi e delle spinte si ricava il
diagramma dei carichi (anch'essi espressi in kN/m), diagramma che dovrà
avere area e momento statico nulli rispetto ad una retta verticale qualsiasi
(fig. 2).

diagr.dei pes

Fig. 2 • Diagrammi del


pesi, delle spinte
....__ _ _ _ _ _ _ _ __ _ __ __ _ __ __ _ _ _ __ _ _ ___. e dei carichi.

Costruito il diagramma dei carichi, è possibile determinare i valori degli


sforzi di taglio e dei momenti flettenti alle diverse sezioni trasversali. Infat-
ti, poiché il valore dello sforzo di taglio (Tx) alla sezione trasversale x è
dato dall'area (A x) racchiusa dal diagramma dei carichi, dall'origine delle
ascisse fino al punto di ascissa x, basterà calcolare tale area per conoscere
questo importante elemento.
Determinati con analoga procedura i valori degli sforzi di taglio alle di-
verse sezioni trasversali, sì può costruire il diagramma degli sforzi di ta-
glio (fig. 3).
Operando -sul diagramma degli sforzi di taglio in modo del tutto simile
a quello indicato a proposito del calcolo degli sforzi di taglio alle varie sezio-
ni trasversali (calcolo successivo delle aree da esso racchiuse, dall'origine

6 Si attribuisce segno positivo ai pesi, che vengono perciò riportati al di sopra dell'asse
delle ascisse, segno negativo alle spinte; per l'equilibrio dei due sistemi i due diagrammi devo-
no avere la stessa area e i rispettivi baricentri devono trovarsi sulla stessa verticale.

145
Fig. 3 ·
Diagrammi degli
sforzi di taglio e dei
momenti flettenti:
nella sezione di ascissa
x sarà p, il carico,
or" M, il momento
flettente, oz=T,
lo sforzo di taglio; X
Tmas " sforzo di
taglio massimo;
Mmas " momento
flettente massimo.

delle ascisse fino al punto di ascissa crescente x), si perviene alla costruzio-
ne del diagramma dei momenti flettenti (fig. 3).
Osservando la figura 3 si nota che lo sforzo di taglio è massimo in corri-
spondenza delle sezioni trasversali situate a un quarto circa della lunghezza
da prora e da poppa, mentre il massimo valore del momento flettente si re-
gistra in prossimità della sezione maestra (metà lunghezza della
trave-nave).
Si tenga presente che lo sforzo di taglio (T) indica l'intensità delle solle-
citazioni verticali tangenziali che tendono a far scorrere la sezione conside-
rata verso l'alto o verso il basso a seconda che sia T positivo o negativo. 7
Il valore del momento flettente (M) indica invece la tendenza della sezio-
ne considerata a ruotare attorno all'asse neutro, allontanandosi in alto o in
basso dalla sezione contigua successiva a seconda che sia M positivo (mo-
mento inarcante) o negativo (momento insellante).
L'esistenza di un momento flettente nella sezione considerata genera
delle sollecitazioni longitudinali di trazione e compressione. Nel caso di mo-
mento inarcante si hanno sollecitazioni di trazione nella parte situata al di
sopra dell'asse neutro e sollecitazioni di compressione nella parte situata
al di sotto di tale asse; se il momento è insellante si registrano le sollecita-
zioni opposte.
La conoscenza degli sforzi di taglio Te dei momenti flettenti M consente
di determinare le sollecitazioni che essi generano nelle varie sezioni tra-
sversali della nave.

7
Gli sforzi di taglio e i momenti flettenti si considerano positivi se nei rispettivi dia-
grammi sono rappresentati al di sopra dell'asse delle ascisse, negativi nel caso contrario.

146
Le sollecitazione verticali tangenziali generate dallo sforzo di taglio in
un punto della sezione di ascissa x situato a distanza z dall'asse neutro si
ricavano dalla relazione:

•xz =

mentre per calcolare le sollecitazioni di trazione o compressione longitudi-


nale si ricorre alla relazione:

Mx· z
O xz =
Jx
nelle quali:
T x è lo sforzo di taglio nella sezione di ascissa x;
z è l'ordinata del punto che si considera nella sezione di ascissa x, nell'in-
tesa che l'asse delle ascisse coincida con l'asse neutro della trave-nave;
Sxz è il momento statico della parte di sezione che si trova al di sopra
dell'ordinata z, rispetto all'asse neutro; 8
J x è il momento d'inerzia baricentrico della sezione di ascissa x; 9
lxz è la larghezza della sezione in corrispondenza dell'ordinata z;
Mx è il momento flettente nella sezione di ascissa x.

Osserviamo che esprimendo Tx in N, Sxz in cm 3, Jx in cm 4 e l in cm, la


sollecitazione i; risulta espressa in N/cm2 .
Quanto alla trazione o compressione a , risulta anch'essa espressa in
N/cm 2 se si esprime Mx in N · cm, z in cm e Jx in cm4.
Osserviamo ancora che indicando con Wx il momento resistente della
sezione di ascissa x, poiché è:

z
si potrà scrivere:

Le sollecitazioni i; e a variano, come si può facilmente rilevare, da un


punto all'altro della sezione considerata.
Per quanto riguarda le sollecitazioni tangenziali precisiamo che esse

8
Momento statico di una superficie rispetto a un asse è il prodotto della superficie per
la distanza del suo baricentro dall'asse stesso.
9
Momento d'inerzia baricentrico di una superficie è il momento d'inerzia della superficie
rispetto ad un asse passante per il suo baricentro (asse baricentrico longitudinale nel caso con-
siderato).

147
sono massime in corrispondenza dell'asse neutro perché per z ""O è massi-
mo il momento Sxz·
Le sollecitazioni di trazione e compressione longitudinale sono nulle nei
punti in cui è z"" O e raggiungono il massimo valore in corrispondenza dei
valori massimi di z. Deriva da ciò che i momenti flettenti producono le mas-
sime sollecitazioni sul ponte di forza e sul fondo dello scafo.
La verifica delle sollecitazioni tangenziali può anche essere limitata alle
sole sezioni trasversali situate a 1/ 4 della lunghezza da prua e da poppa
perché è proprio in corrispondenza di queste sezioni che tali sollecitazioni
assumono i massimi valori; per le stesse ragioni si può limitare la verifica
delle sollecitazioni longitudinali di trazione e compressione alla sola sezione
maestra. La sezione maestra viene normalmente definita sezione resisten-
te, visto che deve resistere alle sollecitazioni più intense, ma non dobbiamo
ignorare che questa definizione può essere applicata a qualsiasi sezione tra-
sversale delle strutture resistenti longitudinali che costituiscono la trave-
nave (fig. 4).
La verifica più importante è quella che si riferisce alle massime solleci-
tazioni longitudinali di trazione e compressione. Vediamo quindi come tale
verifica può essere effettuata per il ponte e il fondo della sezione resistente
(sezione maestra).

13.300

- 1 ---- -- -- ---

24 00

Fig. 4 • Sezione
maestra resistente
(nave del tipo 0B0
con scafo a struttura
longitudinale).

Ricordando che è in generale:

si rileva che le sollecitazioni agenti sul ponte e sul fondo possono essere cal-
colate quando siano noti il momento flettente della sezione resistente e i
momenti resistenti di questa rispetto ai punti considerati.
Se indichiamo con crP e or le sollecitazioni del ponte e del fondo, con

148
zP e Zr le distanze del ponte e del fondo dall'asse neutro della sezione, con
WP e Wf i momenti resistenti rispetto al ponte e al fondo, possiamo scrive-
re le relazioni:

nelle quali sono, rispettivamente:

J
e Wr = - -
Zf

È dunque evidente che, determinato il momento flettente M con i meto-


di precedentemente indicati, occorre stabilire il valore del momento d'iner-
zia baricentrico J della sezione e la posizione del suo asse neutro.
I relativi calcoli non sono semplici né brevi, tuttavia possono essere re-
golarmente effettuati se si stabilisce un appropriato asse di riferimento per
la valutazione delle distanze z e se si conoscono le aree e la posizione dei
ferri che costituiscono la sezione resistente.
Fissato l'asse di riferimento in coincidenza con la linea determinata dal-
la intersezione fra la superficie fuori ossatura del fondo e il piano diametra-
le, 10 si calcola innanzitutto la posizione dell'asse neutro.
Indicando con Zar la distanza dell'asse neutro dall'asse di riferimento,
sarà:
r.ad
Zar - --
A

dove Lad è la somma dei prodotti delle aree a dei singoli ferri per le distan-
ze d dei baricentri di ciascuna di esse dall'asse di riferimento (somma dei
singoli momenti statici), mentre A è l'area totale degli stessi ferri.
Per calcolare il momento d'inerzia baricentrico (J) della sezione si deter-
mina il momento d'inerzia proprio (i) di ciascun ferro e il prodotto della sua
area (a) per il quadrato della distanza (d) fra il suo baricentro e l'asse di rife-
rimento. La somma dei momenti d'inerzia propri dei singoli ferri (r.i) più
la somma dei suddetti prodotti (Lad 2 ) fornisce il momento d'inerzia (Jar)
della sezione resistente rispetto all'asse di riferimento, cioè:
Jar = :Ei + Ead 2
Noto il valore di Jar si passa infine al momento d'inerzia baricentrico
(J) della sezione con relazione:
J = Jar - A Za/

IO Linea di costruzione.

149
...,.,

Elementi geometrici
dello scafo

1. Dimensioni principali

Se guardiamo allo scafo come a un solido geometrico, viene naturale


considerare innanzitutto le sue dimensioni principali, e cioè la lunghezza,
la larghezza e l'altezza; ma, avendo presente le irregolarità delle sue forme,
appare evidente la necessità di adottare criteri di misura convenzionali e
di ricorrere a definizioni del tutto particolari.
La lunghezza dello scafo può essere definita in tre modi diversi e indica-
re quindi tre diverse misure.

. - - - 1 - - - - - - - - - - - - - L 11 - - - - - < - - - - - - - - - - - - - - - - - + -
l-_;___ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _- - - ; - - - - Lg---------------t

L-----.--------------------t

Si distinguono infatti (fig. 1): Fig. 1 - Elementi


geometrici dello scalo:
• lunghezza fuori tutto (Lft): lunghezza massima dello scafo, meglio defini- lit = lunghezza
fuori tutto;
bile come distanza orizzontale fra i punti estremi della prora e della poppa; L9 = lunghezza al
• lunghezza al galleggiamento (Lg): lunghezza dello scafo al galleggiamen- galleggiamento;
L = lunghezza;
to di massimo carico, ossia distanza fra i punti estremi della prora e della T = immersione di
poppa misurata nel piano che divide la carena dall'opera morta; proge1to;
• lunghezza (L ): distanza, misurata al galleggiamento di massimo carico, Ldc = linea di
costruzione;
fra la faccia prodiera della ruota di prora e la faccia poppiera del dritto del PAV = perpendicolare
timone; se un vero e proprio dritto del timone non esiste, si definisce lun- avanti;
PAD = perpendicolare
ghezza la distanza, misurata al galleggiamento di massimo carico, fra la addietro:
faccia prodiera della ruota di prora e l'asse di rotazione del timone. 1 La PML "' perpendicolare
lunghezza L viene talvolta indicata come lunghezza fra le perpendicolari a metà lunghezza;
lav = pescaggio
(Lpp), ossia come distanza fra due rette verticali giacenti nel piano diame- di prua;
trale; di tali rette, una passa per il punto d'intersezione fra il galleggiamen- lad = pescaggio
di poppa ;
to a massimo carico e la faccia prodiera della ruota di prora e si chiama per- lm = pescaggio medio
( nel caso rappre-
sentato
1 in figura lav• lad e lm
Tenuto conto dei crit.eri generalmente adottati per la installazione del timone, si può sono uguali, ma
ritenere che sia normalmente applicabile quest'ultima definizione. normalmente è
La lunghezza L non deve mai essere assunt.a inferiore ai 96/100 né superiore ai 97/100 Aad> lav per
della lunghezza al galleggiamento Lg. Qualora la distanza che definisce L risulti inferiore ai migliorare la
961100 di Lg si assume L = 96/100 ai Lw stabililà di rotta).

151
pend'icolare avanti (Pa,,), l'altra coincide con l'asse di rotazione del timone
o, se esiste un vero e proprio dritto del timone, passa per il punto d'interse-
zione fra il galleggiamento a massimo carico e la faccia poppiera del dritto
del timone e si chiama perpendicolare addietro (Pad),

La larghezza (B) è la larghezza massima dello scafo, ossia la larghezza


massima della sezione maestra, misurata fuori ossatura; larghezza fuori fa-
sciame (Bf'f) è invece la larghezza massima della sezione maestra, misurata
fuori fasciame (fig. 2).

I
~ linea ,etta del baotlo
-
TB.L.
I
I

D
I
I
T
Fig. 2 - Elementi I
geometrici dello scafo:
B = larghezza;
D = altezza I
di costruzione;
T = immersione; •• \... I
B. L. = bordo libero. ... B
I

I
L'altezza o altezza di costruzione (D) viene indicata con una definizione
che può risultare comprensibile soltanto dopo aver chiarito il significato di
linea di costruzione e di linea retta del baglio (fig. 2).
Osserviamo quindi che si chiama linea di costruzione (LdC) la linea de-
terminata dall'intersezione del piano diametrale con la superficie fuori os-
satura del fondo e che la linea retta del baglio è la retta passante per i punti
d'intersezione fra il profilo superiore del baglio e la superficie fuori ossatu-
ra dei fianchi.
Ciò premesso, precisiamo che l'altezza di costruzione è la distanza verti-
cale, misurata a metà della lunghezza L, fra la linea di costruzione e la linea
retta del baglio del ponte di coperta, 2 ossia del più alto ponte continuo.

2 Nelle navi con cinta e profilo curvilineo si può assumere come retta del baglio la retta
passante per la linea determinata dall'intersezione fra il prolungamento a murata della super-
ficie inferiore della parte piana del trincarino ed il prolungamento in alto della parte piana
della superficie interna della lamiera di cinta.
La distanza verticale, misurata nel piano diametrale e a metà della lunghezza L, fra la fac-
cia superiore del madiere e la faccia superiore del baglio del ponte di coperta, si chiama
puntale.

152
Lunghezza, larghezza e altezza dello scafo non devono essere considera-
te come elementi del tutto indipendenti l'uno dall'altro poiché dal loro pro-
porzionamento dipendono importanti caratteristiche della nave.
Pur senza diffonderci in particolari rileviamo infatti che i rapporti L IB ,
L/D, DIB influiscono sulla robustezza generale dello scafo e sulle sue quali-
tà nautiche. Il rapporto LID non è mai superiore a 14 (in pratica oscilla fra
7 e 14) per non compromettere la robustezza longitudinale; il rapporto DIB
è importante per la stabilità e non scende mai al di sotto di 0,5 (normalmen-
te varia da 0,55 a 0,70); il rapporto L /B è normalmente compreso fra 6 e
1Oper assicurare alla nave soddisfacenti condizioni di stabilità e manovra-
bilità senza influire negativamente sulla velocità.

2. Immersioni e pescaggi

L'immersione o immersione isocarenica (i) è la distanza verticale, mi-


surata a metà della lunghezza L , fra la linea di costruzione e il piano di gal-
leggiamento che delimita la carena dritta relativa al dislocamento della
nave al momento considerato.
Si chiama invece immersione massima o immersione di progetto (1) la
distanza verticale, misurata a metà della lunghezza L, fra la linea di costru-
zione e il piano di galleggiamento con nave dritta e al dislocamento di mas-
simo carico (il suo valore è normalmente compreso fra 0,55 D e 0,85 D).
I pescaggi sono le distanze verticali, misurate in corrispondenza delle
perpendicolari avanti e addietro e della perpendicolare al mezzo (retta gia-
cente nel piano diametrale e passante per il punto di mezzo della lunghezza
L), fra la linea di sottochiglia e il piano di galleggiamento nelle condizioni
di carico in cui si trova la nave al momento delle misure.
Si definisce infatti pescaggio di prua (Iav) il segmento di perpendicolare
avanti compreso fra il sottochiglia e il piano di galleggiamento, pescaggio
di poppa (Jad) il segmento di perpendicolare addietro compreso fra il sotto-
chiglia e il piano di galleggiamento, pescaggio al mezzo (I @) il segmento di
perpendicolare al mezzo compreso fra il sottochiglia e il piano di galleggia-
mento.
Per stabilire il valore dei pescaggi estremi tutte le navi portano segnate,
su ciascun lato della prora e della poppa, apposite scale dei pescaggi.
Le scale sono formate da numeri segnati in prossimità della ruota di
prora e del dritto del timone, 3 e che esprimono, in decimetri o in piedi in-
glesi, i pescaggi delle parti estreme dello scafo (fig. 3).
Ciascun numero è alto un decimetro oppure mezzo piede; 4 pari a un de-
cimetro o a mezzo piede è anche l'intervallo fra i numeri successivi ed è per-
tanto evidente che, iniziando la numerazione dallo zero, si avranno scale

3
Se non esiste dritto del timone le Iad sono segnate sulla volta, in corrispondenza del-
l'asse di rotazione del timone e, più sotto, sul dritto dell'elica.
4
L'altezza sulla linea di sottochiglia è indicata dalla base del numero.

153
b

Fig. 3 (sopra) - Scala


dei pescaggi di prua
composte dai soli numeri pari se i pescaggi sono espressi in decimetri, da
(pescaggi in decimetri). tutti i numeri se sono espressi in piedi. 5
Effettuata la lettura dei pescaggi estremi si può determinare il valore
Fig. 4 (a destra) -
Inarcamento
del pescaggio medio (Im) con la relazione:
e in sellamento:
a) freccia
d'inarcamento;
b) freccia
d'insellamento.
Il risultato che si ottiene è però inesatto se il fondo dello scafo risulta
insellato o inarcato.
In tali circostanze, se si conosce il pescaggio al mezzo (l® ), ossia il pe-
scaggio misurato a metà della lunghezza L a partire dal sottochiglia, si per-
viene ad una più precisa valutazione del pescaggio medio - pescaggio me-
dio ponderato - applicando la relazione:

Iav + Iad . 2 .
Ciò. equivale a togliere dalla relazione ~~----'- 1 - della freccia f
2 3

di inarcamento o ad aggiungere alla stessa i ~ della freccia f d'insella-


mento (fig. 4). 3

5
Con un minimo di esperienza si valutano a occhio le frazioni di decimetro (centimetri)
o di piede (pollici) fra il pelo dell'acqua e la base del numero.

154
La freccia/ d'inarcamento o d'insellamento risulta determinata, rispet-
tivamente, dalle relazioni:

f =

Per misurare il pescaggio al mezzo esistono sui fianchi di molte navi, a


metà della lunghezza L, scale dei pescaggi in tutto simili a quelle segnate
sulle parti estreme dello scafo.
In mancanza di tali scale si può tuttavia stabilire ugualmente il valore
del pescaggio al mezzo se si misura la distanza che intercorre fra la superfi-
cie dell'acqua e la più vicina marca di bordo libero; 6 basta infatti sottrarre
tale distanza dal pescaggio medio, esattamente noto, corrispondente alla
marca di bordo libero considerata, per avere il pescaggio al mezzo.
Risultati precisi si ottengono in ogni caso assumendo come pescaggio al
mezzo la media delle misure effettuate su ciascun fianco. 7
La conoscenza del pescaggio medio è utilissima al navigante perché gli
consente di stabilire il dislocamento, la portata e altri importanti elementi
fra i ~uali ricordiamo il dislocamento unitario e il momento unitario d'as-
setto. A tal fine basta convertire il pescaggio medio Im in immersione i
(l'immersione isocarenica i si determina sottraendo al pescaggio medio Im
il valore dello spessore di chiglia e aggiungendogli o sottraendogli una corre-
zione il cui valore dipende dalla inclinazione longitudinale della carena e dalla
posizione del baricentro della figura di galleggiamento) e utilizzare appositi
diagrammi - scale dì solidità - (fig. 5) che forniscono il dislocamento della
nave in funzione dell'immersione isocarenica i, o speciali tabelle - scale delle
portate - (fig. 6) che consentono di conoscere, sempre in funzione dell'im-
mersione i, non solo il dislocamento, ma anche la corrispondente portata, il
dislocamento unitario e il momento unitario d'assetto.

K-- - - - - - - - - - - - - - - - A Fig. 5 - Scala di solidità.

6
Vedasi paragrafo 3 di questo stesso capitolo.
7
Questa procedura può rivelarsi utile anche per i pescaggi estremi, e particolarmente
per quelli di poppa, se la nave è sensibilmente inclinata.
8
Il dislocamento unitario è la massa del carico che si deve imbarcare o sbarcare per far
aumentare o diminuire il pescaggio medio di un centimetro o di un pollice (2,54 mm).
Il momento unitario d'assetto è il momento (determinato dallo spostamento di un peso p
per una distanza longitudinale x) capace di far variare l'assetto longitudinale di un centimetro
o di un pollice (2,54 mm).

155
Fig. 6 - Scala
delle portate. SCALA DELLE PORTATE

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156
Osserviamo che dalla scala delle portate si ricava la portata lorda, ovve-
ro la massa di tutto ciò che è stato imbarcato sulla nave per farle assumere
il pescaggio medio I m che viene rilevato attraverso la lettura delle scale
dei pescaggi.
Nota la portata lorda si ricava il valore del carico utile esistente a bordo
- portata netta - deducendo da essa la massa del combustibile, dell'olio
lubrificante, dell'acqua e di tutto ciò che non può essere eliminato e che vie-
ne genericamente compreso sotto la voce pesi morti. 9
La portata massima di una nave è la portata relativa al più alto galleg-
giamento consentitole; viene frequentemente indicata con il termine ingle-
se Deadweight e con il simbolo D WT, e costituisce un elemento di fonda-
mentale importanza per le navi da carico.

3. Bordo libero

Già sappiamo che il bordo libero è un elemento di grande importanza per


la sicurezza della nave, poiché la sua presenza determina la disponibilità di
una riserva di spinta che può rivelarsi indispensabile per la galleggiabilità
in situazioni di emergenza. 10
Sappiamo anche che esistono norme particolareggiate, concordate in
sede internazionale, osservando le quali viene stabilito, per ogni nave, il va-
lore minimo del bordo libero, ma vediamo ora come esso deve essere esatta-
mente definito e quali sono gli elementi che maggiormente influiscono sulla
sua determinazione.
Precisiamo dunque che si definisce bordo libero la distanza verticale, mi-
surata sui fianchi della nave e a metà lunghezza, fra la linea di galleggia-
mento corrispondente al dislocamento di massimo carico e la linea determi-
nata dall'intersezione fra la superficie superiore del fasciame del ponte di
bordo libero e la superficie esterna della murata (fig. 2).
L'altezza del bordo libero viene fissata tenendo conto della robustezza
strutturale e delle dimensioni dello scafo, delle forme più o meno affinate
della carena, del profilo longitudinale del ponte di bordo libero, della lun-
ghezza delle sovrastrutture, dei sistemi di chiusura dei boccaporti, dei mez-
zi di protezione e chiusura di tutte le altre aperture esistenti sui fianchi e
sui ponti scoperti, dell'altezza della prora.
Il bordo libero che così si determina viene più propriamente definito
bordo libero estivo, perché, con il mutare delle stagioni e delle zone in
cui si svolge la navigazione, sono consentite riduzioni o imposte maggiora-
zioni per tenere conto della minore o maggiore pericolosità della naviga-
z10ne.
Oltre al bordo libero estivo, cui si fa normalmente riferimento quando
si parla di galleggiamento di massimo carico o di portata massima, viene

9
Pesi morti sono, per esempio, i residui della zavorra, le provviste di bordo, l'equipaggio
e i suoi bagagli, i numerosi oggetti che si accumulano a bordo con il passare degli anni.
10
Allagamenti derivanti da falla in carena, acqua sui ponti scoperti in caso di cattivo
tempo ecc.

157
stabilito per le navi di ogni tipo:
• il bordo libero tropicale;
• il bordo libero invernale;
• il bordo libero invernale nel nord Atlantico.

Il bordo libero tropicale si ottiene togliendo al bordo libero estivo 1/48


della immersione corrispondente al bordo libero estivo ed è valido per la na-
vigazione in acque convenzionalmente considerate tropicali 11 dalle «regole
del bordo libero».
Il bordo libero invernale si ottiene aggiungendo al bordo libero estivo
1/48 del1a immersione corrispondente al bordo libero estivo e deve essere
assicurato per i periodi che ne11e varie zone geografiche sono considerati
invernali dalle «regole del bordo libero».
Il bordo libero invernale nel nord Atlantico si riferisce alla navigazio-
ne che si svolge, in periodo considerato invernale, nel nord Atlantico, a
nord del 36° parallelo, ma con esclusione delle due zone costiere americana
ed europea. Si determina, per tutte le navi aventi lunghezza L ~ 100 m, au-
mentando dì 50 mm il loro bordo libero invernale (per le navi aventi L > 100
m non è previsto alcun aumento dì bordo libero per la navigazione inverna-
le nel nord Atlantico). 12
Per la navigazione in acqua dolce il bordo libero risulta ridotto, per tutte
le navi, per tenere conto del1a maggiore immersione che esse assumono, a
parità di dislocamento, in conseguenza della minore spinta specifica de11'ac-
qua. Tale riduzione scompare, ovviamente, nell'istante in cui la nave passa
in acqua salata e non comporta pertanto alcun rischio di sovraccarico; il suo
valore e è dato, in mm, dalla relazione:
!!i.
4 l!i.u
dove !!i. è il dislocamento, in tonnellate, all'immersione al bordo libero esti-
vo e l!i.u il dislocamento unitario, ovvero la massa del carico che bisogna
imbarcare o sbarcare (in t) per far variare dì un centimetro l'immersione
corrispondente al bordo libero estivo.
Il bordo libero in acqua dolce si ottiene quindi deducendo dal corri-
spondente bordo libero in acqua salata il numero di mm che si ricava dal
rapporto
!!i.
4 l!i.u
Il bordo libero che compete a ciascuna nave viene trascritto in un certifi-
cato di bordo libero rilasciato dal R.I.Na e marcato, in modo indelebile, sui
fianchi della nave.
I segni che a tal fine vengono bulinati e dipinti sulle lamiere costituì-

11
Le zone tropicali previste dalle regole del bordo libero non coincidono con quelle geo-
grafiche.
12
Per le navi a vela nqn sono previste riduzioni né aumenti di b.l. per la navigazione in
acque tropicali o invernali. E però prescritta una maggiorazione di b.l. di 75 mm per la naviga-
zione invernale nel nord Atlantico.

158
··· · - · · ·
scono le marche di bordo libero e comprendono (fig. 7): 1

• una linea di riferimento: linea segnata su ciascuna murata, a metà della i


lunghezza L, in corrispondenza della superficie superiore del fasciame del I
0 0

::ed::c: :::~:d:;:bero: corona circolare segnata al di sotto della linea R ~: : ' ~ ;


:
di riferimento e attraversata da una striscia orizzontale il cui orlo superiore
passa per il centro; la distanza verticale esistente fra il centro del disco e
-W
·
e:.
l'orlo superiore della linea di riferimento indica il bordo libero estivo; Fbig.d7 l~bMarche di
· or o I ero .
• le marche complementari: linee orizzontali segnate a proravia del disco
e chiamate anche linee di massimo carico perché indicano il galleggiamen-
to massimo che può assumere la nave in estate (E), in inverno (J), in estate
tropicale (T), in acqua dolce (AD), in acqua dolce tropicale (ADT), in inver-
no nel nord Atlantico (INA).

4. Bolzone del baglio

Si definisce bolzone la freccia di curvatura di un baglio rispetto alla retta


del baglio stesso, ovvero la distanza, misurata nel piano diametrale, tra la
linea retta del baglio e il profilo superiore di questo (fig. 8).
Il bolzone del baglio può assumere valori diversi da nave a nave, ma vie-
ne considerato regolamentare solo quando è uguale, nella sezione maestra,
a 1/50 della larghezza fuori ossatura.

Fig. 8 • Scalo a
murate rientranti:
D = altezza di
costruzione;
B = larghezza;
T = immersione:
R = rientrata;
SI = stellatura.

5. Linea di insellatura o cavallino

Si chiama linea di insellatura o cavallino la proiezione, sul piano diame-


trale, della linea definita su ciascun fianco dall'intersezione fra la superficie
inferiore del fasciame del ponte e la superficie interna del fasciame di
murata.

159
La linea di inse1latura è generalmente curva con la concavità rivolta
verso l'alto (fig. 9); si considera regolamentare se è costituita da due rami
parabolici aventi il vertice comune a metà della lunghezza L ed i cui
rialzamenti 13 rispetto alla retta orizzontale ad essa tangente hanno i valo-
ri definiti, in millimetri, dalla seguente tabella:

alla perpendicolare addietro: 25 ( ~10)+


1 L dalla perpendic. add.:
a-
6
11,1 (~ + 10)
1
a - L dalla perpendic. add.: 2,8 ( ~ + 10)
3
a metà della lunghezza:
1
a - L dalla perpendic. av.:
3
5,6 ( ~10)+
1
a- L dalla perpendic. av.: 22,2 ( ~ + 10)
6

alla perpendicolare avanti: 50 ( ~ + 10)

linea di I in sei latulra

I
I
~

Fig. 9 - Linea
di insellatura.

Anche per la linea di insellatura si possono avere valori diversi da quelli


regolamentari, ma in generale i rialzamenti di prora risultano doppi di quel-
li di poppa.
L'eventuale eccedenza o deficienza di insellatura del ponte di bordo libe-
ro influisce sulla riserva di spinta della nave; pertanto anche dell'andamen-
to della linea di insellatura viene tenuto conto per determinare l'altezza del
bordo libero.

6. Stellatura • Svasatura • Rientrata

Per valutare le forme dello scafo in una zona qualsiasi della prora, della
poppa o della parte maestra, si può ricorrere ad alcuni elementi che stabili-

13
I rialzamenti si chiamano anche quote di insellatur a o semplicemente insellatura.

160
scono, con geometrica precisione, il profilo esterno di ciascuna ordi-
nata.
Tra questi elementi si chiama stellatura quello che definisce il profilo del
fondo, svasatura e rientrata quelli che definiscono il profilo dei fianchi del-
lo scafo.
La stellatura (fig. 8) è l'angolo che la semiretta tangente all'ordinata
e passante per la linea di costruzione, forma con il piano orizzontale conte-
nente tale linea. Un elevato valore della stellatura significa forme molto af-
finate nella sezione trasversale che si considera. Questa condizione è carat-
teristica della prua e della poppa che vengono perciò indicate come le parti
stellate dello scafo. Nella parte maestra si hanno normalmente forme piene
e pertanto la stellatura è ridotta a valori molto piccoli o addirittura nulli,
come accade per la generalità delle navi medie e grandi.
La svasatura è misurata dalla distanza fra la retta verticale passante
per il profilo esterno dell'ordinata in corrispondenza del ponte di coperta,
e la retta verticale condotta per il punto in cui tale profilo incontra il galleg-
giamento di massimo carico (fig. 10). Di solito la svasatura è nulla per

Fig. 10 • Scalo a
murate svasate
S = svasatura;
B = larghezza:
D = altezza di costru-
zione:
T = immersione:
bz = bolzone del baglio

tutta la parte maestra e assume valori sensibili soltanto nella zona di estre-
mità della prora. Verificandosi queste condizioni si dice che lo scafo è a mu-
rate vertico,lì, mentre si dicono a murate svasnte quegli scafi che presenta-
no una sensibile svasatura anche nella parte maestra.
La rientrata (fig. 8) è, in un certo senso, un elemento che rivela la pre-
senza di condizioni opposte a quelle determinate dalla svasatura. Si chiama
infatti rientrata la distanza che, in ogni sezione trasversale, separa le verti-
cali condotte tangenzialmente al profilo esterno dell'ordinata, nel punto in
cui questa assume la massima larghezza, e in corrispondenza del ponte di
coperta.
Scafo a murate rientr ate è pertanto uno scafo la cui larghezza al ponte
di coperta è minore di quella che si può riscontrare in un punto qualsiasi
della sottostante opera morta o della carena, perché i fianchi hanno un pro-
filo che li porta ad avvicinarsi nella loro parte superiore.

161
'


m • '••'-

.. '.'

Fig. 11 • Nave portacontenitori.

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Lunghezza fuoritutto 274,32 m Numero di stive otto


Lunghezza fra le perpendicolari 257,60 m Numero di contenitori da 20 piedi 1 900
Larghezza massima 32,31 m Apparato motore Burmeister and Wain
Altezza di costruzione 23,90 m Motore centrale 12K84EF
Immersione 10,67 m Motori laterali 2 x 9K84EF
Portata lorda 29 600 t Potenza 1 x 22 727 kW (1 x 30 900 CV) a 114 giri/min
Stazza lorda 50 400 ton 2 x 17 064 kW (2 x 23 200 CV) a 114 giri/min
Dislocamento 51 600 t
Velocità 26 nodi Totale 56 855 kW (77 300 CV)

NOMENCLATURA DELLE PARTI NUMERATE

1. Ponte superiore 14. Casse laterali per zavorra


2. Stiva N. 1 15. Cassa di compen so per lo sbandamento
3. Stiva N. 2 16. Depositi per combustibile
4. Stiva N. 3 17. Cassa dei residui oleosi
5. Stiva N. 4 18. Passagg io
6. Stiva N. 5 19. Anguille
7. Stiva N. 6 20. Portelloni dei boccaporti
8. Stiva N. 7 21. Stazione di governo
9. Stiva N. 8 22. Ponte di co mando
10. Po nte di manovra 23. Ponte del capitano
11. Cisterna gavone prua 24. Ponte degli ufficiali
12. Paratia st agna trasversale 25. Pon te delle lance
13. Fondo della stiva 26. Motoscaf o di salvataggio

..
·'

) 27. Gru 57. Macchina del timone


) 28. Osteriggio macchina 58. Alberetto del radar
1 29. Motore centrale 59. Antenne del radar
30. Motori laterali 60. Antenna del radiogoniometro
31. Motori ausiliari 61. Bussola magnetica
32. Sala controllo 62. Ripetitrice giroscopica
33. Asse elica centrale 63. Indicatore del passo dell'elica di manovra
34. Asse elica laterale 64. Ripetitori disposi tivi di manovra
35. Cuscinetto reggispinta 65. Elica di manovra
36. Flangia accoppiamento motore 66. Locale motore elica di manovra
37. Freno 67. Pinna stabilizzatrice
38. Pompe principali di lubrificazione 68. Aletta di rollio
39. Refrigeranti dell'olio 69. Albero di prua
40. Comandi idrauli ci elica a passo variabile 70. Argani salpancore
41. Elica a passo variabile a quattro pale 71. Verricelli d 'ormeggio
42. Elica laterale a sei pale 72. Picco di carico
43. Elica laterale di rispetto
44. Silenziatore motore centrale
45. Scarico gas motore centrale
46. Si lenziatori motore laterale
47. Scarico gas motori laterali
48. Silenziatori motori ausiliari
49. Scarico gas motori ausiliari
50. Caldaia a nafta
51. Fumaiolo della caldaia
52. Bruciatore residui oleosi
53. Fumaiolo del bruc iatore dei residui oleosi
54. Ventilazione locale apparati motori
55. Trombe di ventilazione
56. Generatore di emergenza
7. Coefficienti di finezza

La maggiore o minore finezza delle forme della carena può essere com-
plessivamente indicata mediante un numero - coefficiente di finezza to-
tale - che esprime il valore del rapporto fra il volume della carena CV) e
il volume del parallelepipedo avente per lati la lunghezza al galleggiamento
Lg, la larghezza B e l'immersione T della nave.
Cioè, indicato con <P il coefficiente di finezza totale, sarà:

V
<P = Lg B T

Normalmente il valore di <P è compreso fra 0,45 e 0,80; i valori più eleva-
ti sono caratteristici delle navi con scafo a forme piene (navi da carico e
navi cisterna in particolare), quelli più bassi si riscontrano in navi dalle for-
me molto affinate (navi militari e navi passeggeri).
Il coefficiente di finezza totale non è il solo coefficiente dal quale si pos-
sono trarre indicazioni utili sulle forme della carena, ma è indubbiamente
il più importante perché rivela la maggiore o minore attitudine della nave
a sviluppare velocità elevate e influisce sulla determinazione del bordo
libero.
Altri coefficienti che vengono maggiormente considerati sono:
• coefficiente di finezza dell'area di galleggiamento: rapporto fra l'a-
rea della figura di galleggiamento e l'area del rettangolo di lunghezza Lg
e larghezza B nel quale essa si considera iscritta;
• coefficiente di finezza della sezione maestra immersa: rapporto fra
l'area della parte immersa della sezione maestra e l'area del rettangolo ad
essa circoscritto avente per lati la larghezza B e l'immersione T;
• coefficiente di finezza del piano di deriva: rapporto fra l'area della
parte immersa del piano diametrale (piano di deriva) e l'area del rettangolo
circoscritto avente per lati la lunghezza Lg e l'immersione T.

164
Tonnellaggio

1. Generalità

Tonnellaggio è un termine generico normalmente usato per indicare la


consistenza di una nave o di una flotta nazionale o internazionale.
Dobbiamo però precisare che con questo termine si può intendere non
solo il dislocamento o la portata, ma anche un altro elemento che si chiama
stazza, caratteristico di tutte le navi mercantili e da diporto.
La stazza indica la capacità degli spazi chiusi della nave e pertanto può
servire per darci un'idea del volume che essa rende disponibile.
Osserviamo tuttavia che, seppure destinata a mettere in risalto la capa-
cità della nave, la stazza non viene espressa in metri cubi, ma con una unità
che si chiama tonnellata di stazza; questa non ha perciò niente in comune
con la tonnellata che siamo soliti considerare come unità di massa; essa è
infatti una unità per la misura del volume della nave ed equivale esattamen-
te a 2,832 m 3 o a 100 piedi cubi inglesi.
Stazzare una nave significa dunque misurarne il volume interno tenen-
do conto delle speciali regole con cui vengono fissate le procedure da segui-
re nei diversi casi che possono presentarsi.
Misurato il volume complessivo, in metri cubi, degli spazi chiusi, basta
dividerlo per 2,832 per avere la stazza in tonnellate.
11 valore che così si ottiene rappresenta la stazza lorda, perché compren-
de anche quegli spazi che non sono commercialmente utili in quanto desti-
nati all'equipaggio, all'apparato motore e ad altri impianti o depositi neces-
sari per la navigazione.
Deducendo dalla stazza lorda tutti gli spazi non utilizzabili per fini stret-
tamente commerciali, si ricava la stazza netta.
Riassumendo, possiamo considerare la stazza lorda come un parametro
indicativo della capacità complessiva della nave, mentre la stazza netta è
un parametro che rivela la sua capacità di utilizzazione.
Naturalmente la stazza lorda e la stazza netta, così come vengono deter-
minate, non possono indicare la reale capacità complessiva e la reale capa-
cità di utilizzazione della nave, tuttavia esse costituiscono due parametri
abbastanza rappresentativi dell'una e dell'altra.
Proprio per migliorare questa rappresentatività e uniformare i criteri
di stazzatura delle navi, sono state concordate, nel 1969, norme nuove e più
razionali. Con l'adozione di queste norme 1 la stazza lorda SL (simbolo in-
ternazionale GT) di una nave, indipendentemente dalla bandiera che inalbe-
ra, viene calcolata con la seguente formula:

1 Stabilite dalla «Convenzione internazionale sulla stazzatura delle navi», si applicano


dal 1982 alle navi che effettuano viaggi internazionali (navi mercantili e da diporto con esclu-
sione di quelle aventi lunghezza L < 24 m).

165
SL=(0,2+0,02 lg10 V) V
dove V è il volume totale, misurato entro fasciame ed espresso in m 3 , di
tutti gli spazi chiusi.
La stazza netta SN (simbolo internazionale NT) viene invece calcolata,
per tutte le navi, con la formula seguente: 2
2
SN=(◊,2+0,02lg10Vc)Vc
4 -d) + 1,25 (SL + 10 000)
- ( Ni+-
N2)
(-3 D
-- --
10 000
--
10
3
è il volume totale, in m , degli spazi per il carico;
è l'immersione massima consentita;
è l'altezza al ponte di coperta;
è il numero dei passeggeri in cabine con non più di 8 letti;
è il numero degli altri passeggeri.
Stazza lorda e stazza netta costituiscono elementi di notevole importan-
za; il loro valore, infatti, non indica soltanto la consistenza complessiva del-
la nave e la sua capacità di utilizzazione, ma viene assunto, in molti casi,
come un parametro cui si fa riferimento per stabilire l'obbligo di osservan-
za di precise norme di carattere giuridico.
A titolo d'esempio ricordiamo che in base alla stazza lorda vengono sta-
biliti i titoli professionali necessari per comandare le navi, le tabelle di ar-
3
mamento, gli obblighi derivanti dalle norme per la sicurezza delle navi e
della vita umana in mare, le tariffe per il pilotaggio, il rimorchio e l'ormeg-
gio, i premi di assicurazione ecc.
Sulla stazza netta si calcolano invece le tasse marittime, i diritti sanita-
ri, i diritti per il transito nei canali navigabili ecc.

2. Tonnellaggio delle navi

Per le navi militari non si considera abitualmente la stazza né la portata


e pertanto il termine tonnellaggio può riferirsi soltanto al loro dislocamento.
Per le navi mercantili il dislocamento viene normalmente ignorato; il
loro tonnellaggio può quindi indicare soltanto la stazza o la portata.
Se si tratta di nave adibita al trasporto delle merci (nave da carico) pos-
sono sorgere equivoci perché il termine tonnellaggio è teoricamente riferi-
bile sia alla portata che alla stazza. Normalmente però si suole considerare
la portata ed è questo l'elemento che si intende di norma indicare quando
si parla di tonnellaggio di una nave da carico.
Nel caso di navi passeggeri, o altre navi mercantili che non effettuano
trasporto di merci, non si considera quasi mai la portata; in mancanza di
indicazioni contrarie il loro tonnellaggio si riferisce perciò inequivocabil-
mente alla stazza.
Le stesse considerazioni valgono per le navi da diporto.

2
Il primo termine della somma non deve essere preso inferiore a 0,25 SL; il fattore
4 d)2
(3 D non deve essere preso maggiore di 1; la SN non deve essere presa in nessun caso
inferiore a 0,30 SL.
:J La tabella di armamento è una tabella che fissa il numero e la composizione dell'equi-
paggio.

166

I cavi

1. Generalità

Nel linguaggio marinaresco si chiama cavo qualsiasi corda o fune, qua-


lunque sia il materiale con cui è stata formata e qualunque sia l'uso al quale
viene destinata. 1
Un cavo può riguardarsi come un insieme di numerose parti elementari
che vengono avvolte a spirale o intrecciate fra loro in modo adatto a realiz-
zare un complesso omogeneo, resistente e maneggevole.
Gli elementi che concorrono alla formazione del cavo possono essere co-
stituiti da fili metallici, da fibre vegetali e da fibre sintetiche adeguatamen-
te trattate; da ciò deriva una suddivisione generale dei cavi in:
cavi metallici
cavi vegetali
cavi sintetici
cavi misti.
I cavi metallici. Sono particolarmente apprezzati per le loro elevate
doti di resistenza alla trazione e all'usura e vengono quindi largamente im-
piegati in tutte le operazioni che richiedono questi requisiti.
I fili normalmente usati per formare cav:i metallici sono di acciaio perché
è questo l'elemento che meglio si presta per ottenere cavi flessibili oltreché
resistenti e durevoli. Le nostre considerazioni sui cavi metallici saranno
quindi riferite ai cavi d'acciaio, ma non dobbiamo ignorare che anche i fili
di ferro o di altro metallo sono talvolta usati quali elementi costitutivi di
cavi destinati a servizi particolari. 2
I cavi vegetali. Tra i cavi di fibra sono stati largamente usati, nel passa-
to, quelli vegetali. 3 Negli ultimi decenni, grazie al continuo sviluppo della
tecnica di produzione delle fibre sintetiche e dei vantaggi connessi con il
loro impiego, si è registrata una crescente diffusione dei cavi sintetici che
ha portato al pressoché totale abbandono dei cavi vegetali. Ricordiamo co-
munque che le fibre utilizzabili per formare cav:i vegetali sono numerose,
ma che soltanto alcune di esse presentano tutti i requisiti che si richiedono
ad un cavo di marina. Fra queste figurano:
la canapa: fibra che si estrae dalla omonima pianta tessile (abbondan-
temente prodotta in URSS, in India e in Italia) con una operazione che

1
Corda e fune sono termini rigorosamente esclusi dal vocabolario marinaresco. Abba-
stanza usato è invece il termine cordame per indicare l'insieme dei cavi esistenti a bordo.
2
A titolo di esempio ricordiamo i cavi di rame in uso per le antenne delle stazioni radio-
telegrafiche e radiotelefoniche.
3
I piccoli cavi di fibra sono frequentemente indicati come cime (cima è in rec1ltà una
estremità del cavo e pertanto viene indicata una parte per il tutto).

167
si chiama stigliatura e che viene eseguita dopo un'appropriata fase di
essiccamento della pianta tagliata e un successivo processo di macera-
zione;
il cocco: fibra ricavata da un adeguato trattamento dei filamenti intrec-
ciati che avvolgono la corteccia delle noci di cocco, ossia dei frutti prodotti
da un tipo di palma da cocco che si coltiva nelle regioni tropicali;
la manilla: fibra che si estrae dalle foglie dei banani, piante erbacee col-
tivate nelle regioni calde del!' Africa, dell'Asia e del!' America, per i loro
frutti;
il sisal: fibra estratta dalle foglie di alcune specie di agave, ossia di pian-
te che si coltivano prevalentemente nelle regioni calde dell'America (Messi-
co e Stati Uniti), in Africa orientale e a Giava.
Osserviamo però che è la manilla la fibra che veniva normalmente usata
per la formazione dei cavi vegetali destinati alla marineria, perché possie-
de, in misura soddisfacente, tutte quelle caratteristiche che assicurano al
cavo resistenza, maneggevolezza e durata.
I cavi di manilla hanno infatti una soddisfacente resistenza alla trazio-
ne e una sufficiente elasticità, sono maneggevoli perché leggeri e flessibili,
non risentono dell'azione dell'acqua 4 e sono abbastanza resistenti al-
l'usura.
I cavi di canapa hanno una resistenza alla trazione maggiore di quelli
di manilla, ma si deteriorano facilmente a causa dell'umidità. Per evitare
questo inconveniente i cavi di marina vengono sottoposti a un adeguato
processo di catramatura. Ciò comporta una riduzione della resistenza alla
trazione a livello di poco superiore a quello dei cavi di manilla e un generale
irrigidimento che riduce la maneggevolezza. Aggiungiamo a tutto questo
il maggior peso e la minore elasticità dei cavi di canapa rispetto a quelli di
manilla ed appariranno ben chiare le ragioni che hanno determinato in pas-
sato una larghissima diffusione di questi ultimi.
I cavi di cocco resistono bene all'umidità e sono anche più leggeri, più
flessibili e più elastici dei cavi di manilla. La loro resistenza alla trazione
non supera però il 75% della resistenza dei cavi di manilla di uguale circon-
ferenza; ciò sconsiglia l'impiego dei cavi di cocco nei casi ordinari. Sulle
navi, infatti, si trovava generalmente un solo grossissimo cavo formato con
questo tipo di fibra, cavo che veniva utilizzato soprattutto perché le sue doti
di elasticità gli consentono di assorbire, senza spezzarsi, sollecitazioni in-
tense e repentine.
I cam: di sisal sopportano molto bene l'umidità e hanno anche una buona
resistenza alla trazione (pressoché uguale a quella della manilla), ma sono
piuttosto rigidi e pertanto il loro impiego è normalmente limitato alla for-
mazione di piccoli cavi prevalentemente usati dalle navi da pesca. 6

4
Il cavo di manilla è anzi più resistente quando è bagnato; per assicurarne la durata
deve però essere asciugato prima di immagazzinarlo ed essere conservato in ambiente arieg-
giato e asciutto.
s Anche i cavi di cocco possono essere utilizzati nelle attività pescherecce.

168
I cavi sintetici. La produzione di fibre sintetiche ha avuto inizio nel lon-
tano 1935, ma soltanto negli ultimi decenni si è largamente diffuso l'impie-
go dei cavi che con esse vengono formati. L'industria chimica produce nu-
merosi tipi di fibre con le quali si realizzano cavi che, pur differenziandosi
fra loro, presentano, rispetto ai cavi vegetali, i seguenti vantaggi:
maggiore resistenza alla trazione;
maggiore leggerezza;
maggiore flessibilità;
maggiore elasticità;
maggiore resistenza all'usura.
I cavi sintetici, inoltre, sono praticamente insensibili all'umidità, non as-
sorbono acqua, sono inattaccabili dalle muffe e resistono ottimamente agli
agenti chimici. Unico inconveniente di questi cavi è il potevo]e allungamen-
to che essi subiscono quando sono sotto carico. Le fibre sintetiche sono pro-
dotte mediante trasformazioni chimiche che si possono realizzare partendo
da sostanze diverse e seguendo diversi processi di fabbricazione. Le più
usate per la costruzione dei cavi sono il nylon e il perlon, 6 ma non dobbia-
mo ignorare che si possono trovare fra il cordame di bordo anche cavi di
dacron, di terylene, di movil, di meraklon e di altre fibre sintetiche aventi
caratteristiche analoghe. 7
I cavi misti. Sono solitamente costituiti da fibre vegetali e fibre sinteti-
che o da fibre vegetali e fili d'acciaio che, opportunamente intrecciati fra
loro, formano un complesso caratterizzato da notevoli doti di resistenza,
elasticità e maneggevolezza.

2. Struttura dei cavi

Cavi di fibra (vegetali o sintetici) e cavi d'acciaio possono essere suddivi-


si, se si considera la loro costituzione strutturale, in:
- cavi piani
- cavi torticci
- cavi intrecciati
I cavi piani hanno la seguente formazione:
a) Cavi di fibra vegetale. Sono costituiti da tre o quattro elementi che
si chiamano legnoli e che vengono avvolti a spirale attorno a uno stesso
asse, con una operazione che si dice di commettitura del cavo. Ciascun Ie-
gnolo viene a sua volta ottenuto avvolgendo attorno a uno stesso asse
(commettitura del legnolo) un certo numero di filacce, ovvero di strisce

6
Nylon e perlon sono fibre poliammidiche, ovvero fibre che si producono per reazione
tra molecole di diammine e molecole di acidi bibasici.
Per avere il nylon o il perlon si fanno reagire, con diverso procedimento, l'esametilen-
diammina e l'acido adipico, sostanze che si ottengono generalmente partendo dal fenolo.
7
Dacron e terylene sono fibre poliestere che si ottengono partendo dal glicole etilenico;
il movil è una fibra polivinilica che si ricava dal cloruro di vinile; il meraklon è una fibra poli-
propilenica ricavata dal propilene.

169
Fig. 1 ja sinistra) -
Cavo piano
di libra vegetale
a tre legnoli.
Fig. 2 (a destra) -
Cavo piano
di libra vegetale
a quattro legnoli
e anima (A) . .___ _ _ _ _ _ _ _ _ ___,

Fig, 3 - Cavo piano


d'acciaio
ad avvolgimento
crociato sinistro
(S/Z).

di fibra che prendono questa denominazione dopo aver subìto una appro-
priata torsione (filatura).
Risulta pertanto che per costituire un cavo piano vegetale si formano
innanzitutto le strisce di fibra, utilizzando fibre elementari che, disposte pa-
rallelamente e con le estremità intercalate, permettono di ricavare una fet-
tuccia di lunghezza illimitata; sottoposta ciascuna striscia a una operazione
di torsione che la trasforma in filaccia, si passa alla formazione del legnolo
che, per avere la necessaria compattezza, deve essere costituito avvolgen-
do le filacce in senso opposto a quello adottato per la loro torsione. Dal suc-
cessivo avvolgimento di tre legnoli attorno ad uno stesso asse, e in senso
opposto a quello adottato per formare i legnoli stessi, si ottiene il cavo pia-
no di più comune impiego (cavo piano a tre legnoli) (fig. 1).
Se si adoperano quattro legnoli anziché tre, il loro avvolgimento avviene
attorno ad un legnolo centrale che si chiama anima e che assicura al cavo
una struttura più omogenea (cavo piano a quattro legnoli) (fig. 2).
b) Cavi d'acciaio. Sono generalmente costituiti da sei elementi che si
chiamano trefoli e che vengono avvolti a spirale attorno a un elemento cen-
trale - anima - rappresentato da un legnolo di fibra o da un settimo trefo-
lo in tutto e per tutto simile agli altri sei. 8
Anche in questo caso l'operazione di avvolgimento degli elementi che
formano il cavo si chiama commettitura. Ciascun trefolo è formato da un
numero variabile di fili d'acciaio avvolti a spirale, in uno o piu strati, attor-
no ad un filo centrale d'acciaio o ad un legnolo di fibra che si definisce ani-
ma del trefolo. I fili sono a sezione circolare e l'avvolgimento cui sono sot-
toposti per formare i trefoli ha senso contrario a quello che si imprime ai
trefoli che costituiscono il cavo (fig. 3). Il numero dei fili può essere notevol-
mente diverso da un cavo all'altro, ma non varia casualmente e, considera-
to che esso influisce sulla flessibilità del cavo, 9 risulta collegato anche al
servizio cui il cavo stesso viene destinato.

8
Esistono anche cavi ad un solo trefolo che si definiscono spiroidali.
9
La flessibilità aumenta, a parità di altre condizioni, con l'aumentare del numero dei fili
che costituiscono il cavo.

170
42/1 114/1 222 / 1 7217

• • -
A+6 (1+6\ S/Z

144/7
A+6 {1 +6+12) S/Z

180/7
A+6
j1+6+12+18) S/Z

49
A +6 la+ 12) S/Z

133

* • - •
A+6 /a+9+15) S/Z A+6 (a+ 12+ 18) S! Z (1+6)+6 (1+6) S!Z
( 1+6+12)+6
(1+6+12) S/Z
Flg. 4 - Formazione
di cavi plani d'acciaio
a treloli.

La formazione dei cavi piani d'acciaio in uso sulle navi italiane è solita·
mente compresa fra quelle sottoindicate (fig. 4):
- sei trefoli da sette fili ciascuno (sei fili avvolti in un solo strato attor·
no ad un filo centrale) più un'anima dì fibra (cavo genericamente indicato
con il simbolo «42/1}) oppure con il simbolo <,A+ 6(1 + 6)S/Z)»; 10
- sei trefoli da diciannove fi1i ciascuno (diciotto fili avvolti in doppio
strato attorno a un filo centrale) più un'anima di fibra (cavo genericamente
indicato con il simbolo «114/1» oppure con il simbolo «A+ 6(1 + 6+ 12)S/Z)»;
- sei trefoli da trentasette fili ciascuno (trentasei fili avvolti in triplice
strato attorno a un filo centrale) più un'anima di fibra (cavo genericamente
indicato con il simbolo «222/1» oppure con il simbolo <<A+ 6(1 + 6 + 12 + 18)
SIZ»;
- sei trefoli da dodici fili ciascuno avvolti in un so1o strato attorno a
un'anima di fibra, più un'anima centrale del cavo, anch'essa dì fibra (cavo
genericamente indicato con ìl sìmbolo «72/7n oppure con il simbolo
«A+6(a+ 12)S/Z)n; 11 .

- sei trefoli da ventiquattro fili ciascuno avvolti in doppio strato attor-


no a un'anima di fibra, più un'anima centrale de) cavo anch'essa di fibra
(cavo genericamente indicato con il simbolo «144/7» oppure con il simbolo
HA + 6(a + 9 + 15)S/Z)»;
- sette trefoli da sette fili ciascuno (sei fili avvolti in un solo strato at·
torno a un filo centrale). Dei sette trefoli suddetti uno è centrale e costitui-
sce l'anima del cavo, gli altri sei sono avvolti attorno ad esso. 11 cavo è indi-
cato con il simbolo «49 fili» oppure con il simbolo «(1 + 6) + 6(1 + 6)S/Z,>;

10 La lettera A Ìndic.,-a l'anima; le lettere S e Z indicano il senso di avvolgimento dei fili

che formano il trefolo e dei trefoli che formano il cavo (tenendo il cavo in posizione verticale,
il senso di avvolgimento dei fili che formano i trefoli è rivelato dalla parte rnedìana della lette·
ra S, mentre la parte mediana della lettera Z rivela il senso di avvolgimento dei trefoli che
formano il cavo).
11 La lettera a serve per indicare l'anima del trefolo.

171
- sette trefoli da diciannove fili ciascuno (diciotto fili avvolti in doppio
strato attorno ad un filo centrale). Dei sette trefoli suddetti uno è centra.le ·
e costituisce l'anima del cavo, gli altri sei sono avvolti attorno ad esso. Il
cavo è indicato con il simbolo «133 fili» oppure con il simbolo
«(1 +6 + 12)+ 6(1 + 6 + 12)S/Z».
e} Ca:vi d.ifibra, sintet'lca. Possono essere costituiti da tre o da sei legno-
li che risultano formati da un numero molto elevato di sottilissimi fili o da
pochi grossi monofili della fibra utilizzata (fig. 5).
I cavi torticci. Siimo essi vegetali, <l'acciaio o sintetici, si formano av-
volgendo a spirale, attorno a uno stesso asse, tre o quattro o sei cavi piani
che prendono il nome di cordoni (fig. 6). Anche in questo caso l'operazione
di avvolgimento si chiama commettitura e viene effettuata in senso contra-
rio a quello dei singoli cavi, onde realizzare un complesso compatto e resi-
stente (i cavi a quattro o sei cordoni sono provvisti di anima centrale).
I cavi intrecciati. Siano essi di fibra, d'acciaio o misti, sono formati da
sei o otto legnoli o trefoli variamente intrecciati per assicurare un elevato
grado di elasticità (fig. 6c).

f\g. 'ii \'.O!)!a) ·


Formaziona di cavi
piani di libra sintetica.

Fig. 6 (sotto) • Cavi


torticci e cavi
intracciati;
a) cavo torticcio di
fibra vegela\e a tre
cordoni; b) cavo
lorticcio d'acciaio
a sei cordoni
da 42 fili ciascuno:
r..-1- 6a +6 t6 \H6)\·.
c) cavo di libra
sintetica intrecciato,
a otto legnali.

b)

172
3. Classificazione dei cavi

Una prima classificazione dei cavi può essere realizzata proprio tenendo
conto del materiale usato per la loro costituzione, e noi già sappiamo che
sotto questo aspetto i cavi si dividono in:
cavi metallici
cavi vegetali
cavi sintetici
cavi misti.
Sappiamo inoltre che nei riguardi della loro formazione strutturale si di-
stinguono:
cavi piani
- cavi torticci
- cavi intrecciati
ma dobbiamo precisare che non sono questi i soli criteri in base ai quali si
classificano i cavi di marina. Esiste infatti una suddivisione che tiene conto
del servizio al quale può essere destinato un cavo, una suddivisione che si
basa sulla circonferenza del cavo come elemento principale di riferimento,
e una suddivisione, limitata ai soli cavi metallici, che si riferisce alla loro
maggiore o minore flessibilità.
Nei riguardi dell'uso al quale sono destinati, i cavi, indipendentemente
da ogni altra considerazione, si distinguono in:
- ormeggi
- rimorchi
- ma.novre fisse
- manovre correnti.
Gli ormeggi. Sono cavi che si utilizzano per le operazioni di ormeggio
e tonneggio della nave. 12 Il numero minimo dei cavi d'ormeggio in dotazio-
ne a ciascuna nave, la loro lunghezza, la loro resistenza minima alla trazio-
ne, sono stabiliti in base a un fattore che si chiama modulo d'armamento
e che si ricava tenendo conto della consistenza volumetrica delI' opera mor-
ta e del dislocamento della nave a pieno carico.
Più precisamente, il modulo d'armamento è espresso dalla seguente re-
lazione:

A
10

dove: EN modulo d'armamento (equipment number);


I'!.. dislocamento in tonnellate (dislocamento fuori ossatura cor-
rispondente all'immersione di pieno carico estivo);
B larghezza fuori ossatura (in metri);

12
Tonneggiare una nave significa spostarla lungo una banchina portuale o lungo un pon-
tile con il solo ausilio di cavi opportunamente fissati a terra o su boe.

173
h a + !: hi, dove a è la distanza (in metri), misurata a murata,
fra il centro del disco dì bordo libero e il ponte superiore, e
hi è l'altezza di ciascun ordine di sovrastruttura (in metri)
avente larghezza maggiore di B/4;
A area della superficie (in metri quadrati) che si ottiene proiet-
tando sul piano diametrale: 1. la parte di scafo compresa fra
le perpendicolari e situata al disopra del galleggiamento di
pieno carico estivo; 2. le sovrastrutture situate entro le per·
pendìcolari e aventi larghezza maggiore dì B/4.
I cavi di rimorchio, o rimorchi. Comprendono un cavo espressamente
riservato alle operazioni di rimorchio che qualsiasi nave può essere costret-
ta a effettuare, in caso di necessità, in mare aperto, 13 e i cavi che vengono
solitamente usati per le normali operazioni di rimorchio che si svolgono in
acque portuali. 14
Il vero e proprio cavo di rimorchio deve avere lunghezza e resistenza
alla trazione non inferiori ai valori minimi che vengono fissati in base al mo-
dulo d'armamento della nave; i cavi per il rimorchio in acque portuali sono,
per la maggior parte delle navi, gli stessi cavi che esse usano per l'ormeg-
gio ma, per ragioni facilmente comprensibili, sono prescelti fra quelli che
offrono maggiori garanzie di efficienza.
Le manovre fisse. Sono cavi che si usano per sostenere installazioni
fisse.
Le manovre correnti. Sono cavi utilizzati per alzare, abbassare o spo-
stare pesi e per installazioni mobili in generale.
Ormeggi e rimorchi possono essere in acciaio, in fibra vegetale, in fibra
sintetica o misti. Se sono in acciaio devono essere sufficientemente flessibi-
li e pertanto è necessario che essi siano formati da non meno di:
72 fili in 6 trefoli e 7 anime di fibra (72/7) se devono avere resistenza
alla trazione inferiore a 216 kN (22 tf); 114 fili in 6 trefoli e 7 anime di fibra
(144/7) se devono avere resistenza compresa fra 216 e 490 kN (22 e 50 tf);
222 fili in 6 trefoli e un'anima di fibra (222/1) se devono avere resistenza
superiore a 490 kN (50 tf).
Numero, lunghezza e carico minimo di rottura dei cavi per ormeggio e
rimorchio che devono essere assegnati in dotazione a una nave caratteriz-
zata da un determinato modulo di armamento, sono elementi che si possono
rilevare da una apposita tabella contenuta nei Regolamenti per la costru-
zione e la claJ;sificazione delle navi. Tale tabella indica le caratteristiche es-
senziali di tutto l'armamento marinaresco delle navi e cioè anche delle an·
core e delle eatene. 15

i:i Le navi di stazza lorda superiore a 50 tonnellate sono provviste anche di un cavo più
piccolo appositamente predisposto per il rimorchio di aeromobi1i sinistrati.
14
Al rimorchio delle navi in acque portuali provvedono speciali unità che si chiamano ri-
morchùttori. Il loro intervento è necessario per facilitare le operazioni di entrata e uscita dai
porti, l'ormeggio e il disormeggio.
15
Trattando questo argomento riporteremo integralmente la tabella dell'armamento
marinaresco delle navi. Per il momento facciamo seguire un estratto della parte che si riferi-
sce ai cavi.

174
CARATTERISTICHE DEI CAVI D'ORMEGGIO E DI RIMORCHIO
(estratto tabella armamento marinaresco)

Modulo di
armamento Cavo di rimorchio Cavi di ormeggio
EN
Lunghezza
Lunghezza
AsEN<B minima
Carico di rottura N. di ciascun Carico di rottura
cavo
A 8 m kN kgf m kN kgf
50 70 180 98,1 10000 3 80 34 3500
110 130 180 98,1 10000 3 110 44 4500
175 205 180 112 11400 3 120 59 6000
280 320 180 174 17700 4 140 74 7500
400 450 180 250 25500 4 140 98 10000
550 600 190 338 34500 4 160 132 13500
720 780 190 441 45000 4 170 172 17500
910 980 190 550 57000 4 170 216 22000
1140 1220 200 692 70500 4 180 270 27500
1390 1480 200 836 85200 4 180 324 33000
1670 1790 220 1024 104400 5 190 353 36000
2080 2230 240 1259 128400 5 200 422 43000
2530 2700 260 1471 150000 6 200 481 49000
3040 3210 280 1471 150000 6 200 520 53000
3600 3800 300 1471 150000 6 200 612 63000
4000 4200 300 1471 150000 7 200 647 66000
4400 4600 300 1471 150000 7 200 667 68000
5000 5200 300 1471 150000 8 200 686 70000
5800 6100 300 1471 150000 9 200 706 72000
6500 6900 Il cavo di rimor- 9 200 726 74000
7900 8400 chio non è ob- 11 200 735 75000
bligatorio; esso 14 200 735 75000
9400 10000 è raccomandato
11500 12400 per le navi aven- 17 200 735 75000
14000 16000 ti Ls 180 m. 21 200 735 75000

Osservando i dati che fornisce la tabella si rileva che una nave di me-
dio tonnellaggio deve essere dotata di 6 cavi d'ormeggio della lunghez-
za di 200 m, ma dobbiamo tenere presente che, in pratica, ferma restando
la lunghezza, tutte le navi possiedono un numero pressoché doppio di cavi
il cui carico di rottura supera ampiamente quello minimo fissato dai regola-
menti.
Le manovre fisse. Sono generalmente costituite da cavi in acciaio aven-
ti la seguente formazione strutturale:
42 fili in 6 trefoli e un'anima di fibra (42/1); 114 fili in 6 trefoli e
un'anima di fibra (114/1); 49 fili in 7 trefoli (49 fili); 133 fili in 7 trefoli (133 fili).
Le manovre correnti. Possono essere in fibra o in acciaio. Sono però
sempre in acciaio quando si richiedono sforzi considerevoli e grande resi-

175
stenza all'usura. Normalmente si usano cavi da 222 fili in 6 trefoli e un'ani-
ma di fibra (222/1) perché dotati di grande flessibilità.
Se si tiene conto della circonferenza si ha, per i cavi di fibra, la seguente
suddivisione:
Gomene. Sono i più grossi fra i cavi di marina. Un tempo la gomena ave-
va una circonferenza in centimetri uguale al quadruplo della lunghezza del
baglio maestro espressa in metri ma, con l'aumentare delle dimensioni del-
le navi questa regola non è più rispettata e attualmente si definiscono go-
mene tutti i cavi aventi circonferenza maggiore di 48 cm (le più grosse go-
mene hanno circonferenza che non supera normalmente i 65 cm).
Le gomene possono essere usate sia per ormeggio sia per rimorchio ma,
tenuto conto della loro scarsa maneggevolezza e delle difficoltà che si devo-
no superare per farle passare attraverso i passacavi, vengono praticamen-
te impiegate soltanto in circostanze eccezionali, quali ad esempio l'or-
meggio in un porto soggetto a forti movimenti di risacca. 16 La loro for-
mazione strutturale è quella del cavo piano se sono di cocco, del cavo tor-
ticcio se sono di manilla o di canapa, del cavo intrecciato se sono di fibre
sintetiche.
Gomenette. Sono cavi torticci aventi circonferenza compresa fra 32 e
48 cm circa. Possono servire come ormeggi o rimorchi, ma sono poco usate
per le difficoltà connesse con la loro insoddisfacente maneggevolezza.
Gherlini. Sono cavi torticci, normalmente usati per l'ormeggio e il ri-
morchio, di circonferenza variabile fra 16 e 32 cm circa.
Cavi. Sono genericamente indicati con questo nome i cavi piani, i cavi
intrecciati e i cavi torticci di circonferenza maggiore di 10 cm circa, che non
possono essere considerati gomene né gomenette né gherlini e che sono co-
munemente usati per l'ormeggio, il tonneggio e il rimorchio. Ciò significa
che si chiamano semplicemente cavi, tutti i cavi piani o intrecciati aventi
circonferenza maggiore di 10 cm e minore di 48 cm e tutti i cavi torticci
di circonferenza compresa fra 10 e 16 cm. 17
Ghie. Sono piccoli cavi piani aventi circonferenza compresa fra 3 e 10
cm circa. Sono molto usati come manovre correnti e per numerosissimi ser-
vizi che comportano sollecitazioni limitate, ma che richiedono prontezza e
grande maneggevolezza.
Minutenze. Sotto questa definizione si comprende tutto il cordame di
circonferenza inferiore a 3 cm e che viene variamente utilizzato per nume-
rosi lavori di attrezzatura marinaresca.
Tenendo conto della circonferenza e della formazione strutturale, le mì-
nutenze si possono suddividere in diversi tipi; fra questi i più comuni hanno
le denominazioni e le caratteristiche sottoindicate: Sagola. Piccolo cavo (da
2 a 3 cm di circonferenza) avente la struttura del cavo piano o del cavo in-

16
Si chiama risacca il ritmico innalzamento e abbassamento dell'acqua prodotto dalla ri-
flessione delle onde contro un ostacolo verticale (molo, banchina ecc.).
17
I cavi torticci non sono molto diffusi; i cavi piani sono impiegati sia per il rimorchio che
per l'ormeggio e il tonneggio, ma hanno circonferenze che non superano in generale i 32 cm.

176
trecciato; viene usata per servizi vari di carattere generico, per bandiere,
per solcometri rimorchiati, per scandagli a mano ecc. Merlino. Piccolo cavo
piano (l cm di circonferenza), formato da tre legnoli di due o tre filacce cia-
scuno, prevalentemente usato per legature di manovre fisse. Commando.
Cordicella usata per fasciature, legature ecc. e formata da due o tre filacce.
Lezzino. Cordicella formata da due o tre filacce della migliore qualità e
particolarmente adatta per lavori di ornamento. Spago. Filo di canapa del-
la migliore qualità, usato soprattutto per cucire tende, cappe, incerate ecc.
Per i cavi d'acciaio non esiste una vera e propria suddivisione basata sul-
la circonferenza. Ci si limita pertanto a definire genericamente cavetti i
cavi molto piccoli (circonferenza inferiore a 3 cm circa), normalmente usati
come manovre fisse e per servizi vari, cavi tutti gli altri cavi piani e gherli-
ni i cavi torticci.
Nei riguardi della flessibilità i cavi d'acciaio si dividono in cavi rigidi e
cavi flessibili.
Ai cavi rigidi appartengono i cavi costituiti da un basso numero di fili
o formati da trefoli privi di anima di fibra. Sono quindi da considerare rigi-
di: i cavi da 49 e da 133 fili senza anima di fibra; i cavi da 42 fili con un'ani-
ma di fibra; i cavi da 114 fili con un'anima di fibra.
I cavi rigidi sono prevalentemente usati come manovre fisse per la loro
scarsa adattabilità ai servizi che richiedono avvolgimenti su ruote, rulli o
tamburi rotanti.
Ai cavi flessibili appartengono i cavi rimanenti. Molti cavi fra quelli da
noi considerati possono essere genericamente definiti flessibili, ma si deve
osservare che la loro flessibilità aumenta, a parità di circonferenza, con
l'aumentare del numero dei fili. Da ciò deriva l'esigenza di destinare a ma-
novre correnti i cavi da 222 fili e di richiedere, per l'ormeggio e il rimor-
chio, cavi con numero di fili crescente con il crescere della loro resi-
stenza.18

4. Resistenza dei cavi

La resistenza costituisce per il cavo un fattore di primaria importan-


za ed è pertanto naturale che si cerchi di garantirla a livelli molto ele-
vati impiegando materiali di ottima qualità e adottando tecniche di la-
vorazione che consentano di ottenere un prodotto esente da qualsiasi im-
perfezione.
Per costruire i cavi d'acciaio si usano fili zincati 19 aventi carico di rot-
tura alla trazione compreso fra 1420 e 1960 N/mm 2 (145 e 200 kgf/mm 2);
per i cavi vegetali fibre delle migliori qualità normalmente ricavate dalla
stigliatura delle foglie di banano (cavi di manìlla); per i cavi sintetici fibre

18 Maggiore resistenza significa maggiore circonferenza ma l'aumentare della circonfe-


renza comporta, a parità di formazione strutturale, un aumento della rigidità. Proprio per evi-
tare questo inconveniente si usano cavi aventi formazione più flessibile (maggior numero di
fili) quando è richiesta una resistenza maggiore.
19 La zincatura ha lo scopo di proteggere i fili dalla corrosione.

177
di provata idoneità alla commettitura e di elevata resistenza che si ottengo-
no attraverso complesse trasformazioni di prodotti chimici derivati dal pe-
trolio.
Apposite norme R.I.Na stabiliscono comunque, sia per i cavi d'acciaio
sia per que1li di fibra, il valore minimo della resistenza alla rottura in fun-
zione della circonferenza (o diametro) e nessun cavo può essere utilizzato
se non dopo aver subito, con esito positivo, una prova di collaudo durante
la quale viene anche accertata l'assenza di difetti nel materiale impiegato
per la sua costruzione e la corretta esecuzione della stessa.
La prova di resistenza viene effettuata sottoponendo a trazione, fino
alla rottura, uno spezzone del cavo in esame; 20 gli altri accertamenti ten-
dono a stabilire la omogeneità e la appropriata costruzione del cavo, qua-
lunque sia la sua struttura e il materiale con il quale è stato realizzato. Per
i cavi d'acciaio il collaudo provvede in particolare ad accertare anche l'uni-
formità, la buona finitura e la completa zincatura dei fili, mentre per i cavi
vegetali la prova comprende accertamenti su1la qualità delle fibre che non
devono risultare adulterate o mescolate con sostanze estranee o sottoposte
a trattamenti capaci di danneggiare le loro proprietà.
Nel caso risultasse impossibile sottoporre alla prova di trazione uno
spezzone intero di un cavo, si può determinare il relativo carico di rottura
come somma dei carichi di rottura effettivi dei singoli fili che lo costituisco-
no. Tale somma deve però essere moltiplicata per un coefficiente di corda-
tura, variabile con il tipo di cavo e la sua formazione strutturale, ma com-
preso fra 0,82 e 0,90 per i cavi d'acciaio e fra 0,52 e 0,89 per i cavi di fibra,
e ciò per tenere conto della diminuzione di resistenza conseguente alle ope-
razioni di commettitura.
I carichi di rottura minimi di alcuni tipi di cavi d'acciaio e di cavi di fibra
(naturale e sintetica) sono indicati nelle tabelle che seguono. Per i cavi d'ac-
ciaio tali tabelle riportano i carichi di rottura in funzione del diametro, della
struttura e della resistenza dei fili impiegati per la loro formazione; per i
cavi di fibra naturale (canapa, manilla e sisal) riportano i carichi di rottura
dei cavi piani a tre legnali e dei cavi intrecciati a otto legnoli, di qualità SP
(superiore), di prima e di seconda qualità; per i cavi sintetici riportano i ca-
richi di rottura dei cavi piani a tre legnali e dei cavi intrecciati a otto legna-
li, tenendo conto del tipo di fibre usate per la loro formazione.
Il carico di rottura di un cavo piano di fibra a quattro legnali può essere
determinato, con sufficiente approssimazione, moltiplicando per 0,9 il cari-
co di rottura del corrispondente cavo piano a tre legnali di uguale circonfe-
renza. 21

20
Spezzone di lunghezza pari almeno a 30 volte il diametro del cavo se questo è in ac-
ciaio, non inferiore a 1,80 m se si tratta di cavo vegetale, non inferiore a 0,90 m se si tratta
di cavo sintetico.
21
Per circonferenza si intende lo sviluppo di un filo avvolto attorno alla sezione retta del
cavo. Dividendo la circonferenza per 3,14 si determina il diametro del cavo.

178
Tabb. 1-2
CARICHI DI ROTTURA MINIMI DEI CAVI DI ACCIAIO
42/1 49 7217 11411 133 14417 222/1 21611
e (1 +6)+ e
ai A +6 (1 +6)
6 (1 + 6)
A+6 (a+ 12) A+6 (1+6+12► (1 +6+12) +6 (1 +6+12) 'ai A +6 (a +9+ 15) A+6 (1 +6+12+18) A+6 (1 +7+(7+7)1+14
E E
"'
i5 Fili da
Fili da Fili da Fili da
1420 N/mm' 1570 N/mm' 1420 N/mm 2 1570 N/mm'
FIii da "'
i5
Fili da Fili da Fili da Fili da Fili da Fili da
1420Nlmm' (145 kgllmm') 1420 N/mm' 1570 N/mm 2 1570 N/mm 2 1770 N/mm 2 1570 N/mm 2 1770 N/mm 2
(145 kgf/mm 2) (160 kgllmm'► I 145 kgf/mm 2) (160 kgf/mm 2) 1145 kgl/mm'J (160 kgftmm') 1
(160 kgt/mm'► I 1BO kgf/mm ) (160 kgflmm'} 2
(1B0 kgf/mm )
Carico
Carico rottura minimo rottura Carico rottura minimo Carico rottura minimo Carico di rottura minimo Carico di rottura minimo Carico di rottura minimo
minimo
mm mm
kN lf kN tf kN lf kN lf kN tf kN i tf kN ti kN lf kN lf kN tf kN tf kN tf kN lf

7 - - - - 14.5 1,48 - - - - - - - - 6 - -
- - - -
18,81 1,92 - -
- -
8 - - - - 19,0 1,94 - - - - - - - - 7 - - - - - - 25.6:
I
2,61 - - - -
9 - - - - 24,0 2,45 - - - - - - - - 8 25,5 2,60 28,2 2,88 29,6 3,02 33,4• 3,4 - - - -
10 47,2 4.81 50,9 5,19 29,6 3,02 43,6 4,45 48.2 4,92 47,1 4,80 52,1 5,31
9 32,2 3,28 35,6 3,63 37,5 3,82 42,3 4,3 - - - -
10 39,8 4,06 44,o I 4,49 46,3 4.72 52,2 5,3 - - --
11 57,1 5,82 61,6 6,28 35,8 3,65 52,8 5,38 58.4 5,96 57,0 5.81 63,1 6,43 11 48,1 4,90 53,2 i 5,42 - - --
56,0 5.71 63,1 6,43
12 67,9 6,92 73,4 7,48 42,7 i 4,35 62.8 6,40 69,5 7,09 67,9 6.92 75,0 7,65 12 57.3 5,84 63,3 6,45 66,6 6.79 75,1 7,66 - - --
13 79,7 8,13 86,1 8,78 50,1 5, 11 73,7 7,52 81.5 8,31 79,6 8,12 88,1 8,98 13 67.2 6,85 74.3 7,58 78,2 7,97 88,2 8,99 87,5, 8,9 98,7 10, 1
!
14 92,5 9.43 99,9 10,2 58,1 5,92 85,5 8.72 94,6 9,65 92.4 9,42 102 10,4 14 78.0 7.95 86,2 8,79 90,7 9,25 102 10,4 102 10,4 114 I 11,6
16 102 10,4 113 11,5 118 , 12,0 118 13,7 134 13,5 149 , 15,2
16 121 i 12.3 130 13,3 75,8 7,73 112 11,4 124 12,6 121 12,3 133 13,6
18 129 13,2 143 14,6 150 i 15,3 169 17,2 168 17,5 189 19,3
18 153 15.6 165 16,8 96,0 9.79 141 14,4 156 15,9 153 15,6 169 17,2
20 159 16,2 176 17,9 185 18.9 209 21,J 207 21,1 234 23,9
20 189 19,3 204 20.8 118 12.0 175 17.8 193 19.7 189 19,3 208 21,2 22 193 19,7 213 21.7 224 22.8 253 25,8 251 25,6 283 28,9
22 228 23,2 247 25,2 143 14,6 211 21,5 234 23,9 228 23,2 252 25,7 24 229 23,4 253 25.8 267 27,2 301 30,7 298 30,4 336 34,3
24 272 27,7 293 29,9 171 17.4 251 25,6 278 28,3 271 26,7 300 30,6 26 269 127,4 297 30,3 313 31 ,9 353 36,0 350 35,7 395 40,3
26 319 32,5 344 35,1 200 20.4 295 30,1 326 33,2 319 32,5 352 35,9 28 312 '31 ,8 345 , 35.2 363 37,0 409 41,7 400 41,4 458 46,7
28 370 37,7 399 40.7 232 23,7 342 . 34,9 378 38,5 369 , 37,6 32 407 41,5 450 45.9 474 48,3 534 54,5 530 54,0 598 61,0
409 ' 41,7
36 516 52,6 570 58,1 600 61,2 676 68,9 671 68,4 757 77,2
32 483 49,3 522 . 53,2 303 30,9 447 i 45,6 494 50,4 483 49,3 534 54,5
; 40 637 65,0 704 71,8 741 75,6 835 85,1 829 84,5 934 ; 95,2
36 611 62,3 660 ; 67,3 - - 566 57,7 625 63,7 611 62.3 675 68,8
40 - - - - - - 698 71,2 772 78,7 754 76,9 834 85
44 - - - - 896 91.4 1010 103 1000 102 1130 115
48 - - - - 1070 109 1200 ,;122 1190 121 1350 138
44 - - - - - - 845 86.2 934
'
95,2 912 93,0 1010 103 52 - - - - 1250 127 1410 1144 1400 ; 143 1580 161

~
48 - - - - - - - - -1- ~090 111 1200 122 56 - - -
i
- 1450 148 1640 167 1620 165 1830 187
Tab. 3
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI CAVI PIANI DI CANAPA A TRE LEGNOLI

Diametro Carico di rottura minimo


Massa lineare nomina~e Qualità SP Oualita 1
g/m.:: 5% mm daN kgf daN kgf
12,5 4 137 140 122 125
19,5 5 210 215 186 190
28 6 304 310 270 275
38 7 412 420 368 375
49,5 8 534 545 476 485
62,5 9 672 685 603 615
17 10 824 840 740 755
110,5 12 1180 1200 1050 1075
150,5 14 1590 1625 1420 1450
196 16 2070 2115 1840 1880
247 18 2620 2675 2330 2380
305 20 3230 3295 2880 2940
366 22 3900 3980 3470 3540
435 24 4600 4695 4090 4175
510 26 5400 5510 4800 4895
590 28 6270 6390 5560 5675
676 30 7170 7315 6360 6480
770 32 8 140 8295 7180 7320
972 36 10200 10365 8900 9070
1198 40 12400 12640 10700 10880
1442 44 14700 15140 12800 13010
1709 48 17600 17920 15000 15320
1998 52 20400 20820 17200 17575
2302 56 23400 23835 19700 20070
2625 60 26500 27000 22200 22680
2986 64 30100 30720 24900 25395
3348 68 33600 34215 27500 28065
3732 72 37100 37840 30500 31105
4153 76 40800 41585 33400 34080
4596 60 44700 45440 36500 37250
5575 88 52300 53350 42600 43460
6500 96 60600 61750 49400 50320

Tab.4
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI CAVI PIANI DI MANILLA E DI SISAL
A TRE O QUATTRO LEGNOLI
Carico di rouura minimo per I cavi a 3 legnoli Numero
Massa Diametro minimo
lineare nominale Manilla qualità 2 di fili per
Manilla qualità SP Manilla qualità 1
e Sisal legnofo (N)
per i cavi a
gfm • ± 5% mm daN kgf daN kgf daN kgf 3 legnoli (')
54 8 588 600 534 545 473 483 3
68 10 760 775 691 705 622 635 4
105 12 1150 1170 1050 1065 936 955 6
140 14 1570 1600 1430 1450 1260 1285 8
190 16 2210 2250 1990 2030 1770 1805 11
220 18 2650 2700 2400 2440 2100 2135 13
275 20 3480 3550 3190 3250 2790 2845 16
330 22 4170 4250 3590 3660 3340 3405 19
400 24 4950 5050 4480 4570 3990 4065 23
470 26 5790 5900 5230 5335 4640 4725 27
532 28 6620 6750 5980 6095 5220 5325 31
625 30 7550 7700 6730 6860 5980 6095 36
700 32 8480 8650 7720 7875 6730 6860 40
890 36 10600 10800 9460 9650 8530 8695 51
1100 40 12800 13000 11800 11940 10300 10415 63
1340 44 15500 15800 14000 14225 12500 12700 77
1585 48 18300 18600 16500 16765 14500 14735 91
1870 52 21100 21500 19200 19560 17000 17275 107
2150 56 24500 25000 22000 22355 19500 19815 124
2480 60 27600 28100 24900 25400 22200 22605 142
2880 64 31600 32200 28500 29000 25200 25700 163
3180 68 34500 35200 31400 32000 28000 28500 183
3620 72 38700 39400 35100 35800 32100 32700 205
4000 76 42700 43500 38800 39500 34300 35000 228
4400 80 46900 47800 42700 43500 38000 38700 253
5350 88 55500 56600 50500 51500 45900 46800 306
6400 96 64700 66000 58800 60000 52500 53500 364
• Per I cavi a quattro legnoli:
- i carichi di rott ura minimi sono quelli riportati in Tabella ridotti del 10%
- il numero minimo dei fili costituenti it legnalo è dato dalla formula: 0,675 N, ove N è il numero minimo
dei fili dei legnali de i cavi a tre legnoll.

180
Tab. 5
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI CAVI INTRECCIATI DI MANILLA
E SISAL A OTTO LEGNOLI
Manilla Manilla Manilla
Massa Carico qualità SP qualità 1 qualità 2 e Sisal Numero
lineare di mtsura minimo
Grandezza Cartco di rottura minimo di tlli
1·) par
glm daN kgf kgf daN kgf daN kg f legnalo
± 5°A, daN
± 5% ± 5°/o

20 285 69 70 3480 3550 3190 3250 2790 2845 6


24 395 88 90 4950 5050 4480 4570 3990 4065 8
28 545 118 120 6620 6750 5980 6095 5220 5325 11
32 730 157 160 8480 8650 7720 7875 6730 6860 15
36 910 196 200 10600 10800 9460 9650 8520 8695 19
40 1135 235 240 12800 13000 11600 11940 10300 10415 23
44 1360 285 290 15500 15800 14000 14225 12500 12700 28
48 1635 330 340 18300 18600 16500 16765 14500 14735 33
52 1910 390 400 21100 21500 19200 19560 17000 17275 39
56 2230 440 450 24500 25000 22000 22355 19500 19815 45
60 2550 500 510 27600 28100 24900 25400 22200 22605 52
64 2910 570 580 31600 32200 28500 29000 25200 25700 59
68 3270 630 640 34500 35200 31400 32000 28000 28500 66
72 3680 700 710 38700 39400 35100 35800 32100 32700 74
76 4090 750 770 42700 43500 38800 39500 34300 35000 83
80 4550 820 840 46900 47800 42700 43500 38000 38700 92
88 5500 980 1000 55500 56600 50500 51500 45900 46800 111
96 6400 1080 1100 64700 66000 58800 60000 52500 53500 132

" I valori della grandezza del cavo sono basati approssimativamente sul diametro (in millimetri) dei cavi
di manilla e sisal a tre legnoli aventi lo stesso numero di fili.

Tabb. 6•7
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI CAVI CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI CAVI
PIANI DI Fili (MULTIFILAMENTI) PIANI DI Fili (MULTIFILAMENTI)
POLIAMMIDICI A TRE LEGNOLI DI POLIESTERE A TRE LEGNOLI
Massa Diame1ro
Carico di rottura Massa Diametro
Carico di rottura
lineare minimo lineare minimo

g/m glm
mm daN kgf mm daN kgf
± 5'%.1 % 5%

11 4 314 320 14,6 4 290 295


16,5 5 490 500 20 5 392 400
23,7 6 735 750 30 6 554 565
32 7 1000 1020 40 7 755 770
42 8 1330 1350 51 8 1000 1020
53 9 1670 1700 66 9 1250 1270

65 10 2040 2080 81 10 1560 1590


79 11 2450 2500 97 11 1880 1910
94 12 2940 3000 118 12 2230 2270
111 13 3430 3500 135 13 2670 2720
128 14 4020 4100 157 14 3120 3180
166 16 5200 5300 205 16 3980 4000

210 18 6570 6700 260 18 4980 5080


260 20 8140 8300 320 20 6230 6350
315 22 9800 10000 384 22 7470 7620
375 24 11800 12000 460 24 8960 9140
510 28 15500 15800 630 28 12000 12200
665 32 19600 20000 820 32 15400 15700

840 36 24400 24800 1040 36 19000 19300


1040 40 29400 30000 1280 40 23500 23900
1260 44 35100 35800 1550 44 27900 28400
1500 48 41200 42000 1850 48 32900 33500
1760 52 47900 48800 2150 52 38400 39100
2030 56 54900 56000 2510 56 43900 44700

2330 60 62600 63800 2880 60 48900 49800


2650 64 70600 72000 3280 64 56800 57900
3360 72 88200 90000 4150 72 70700 72100
4150 80 107800 110000 5120 80 86700 88400
5020 88 128400 131000 6140 88 104000 106000
5980 96 151000 154000 7360 96 123000 125000

181
Tab.8
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEI CAVI DI POLIPROPILENE
(MONOFILAMENTO O LAMELLE TESSILI)
PIANI A TRE LEGNOLI O INTRECCIATI A OTTO LEGNOLI
Massa llneare Diametro C,arico di rottura min;mo

glm ± 5% mm daN Kgf

17 6 539 550
30 8 941 960
45 10 1400 1425
65 12 1WO 2030
90 14 2740 2790
115 16 3430 3500

148 18 4370 4450


180 20 5270 5370
220 22 6370 6500
260 24 7450 7600
355 28 9900 10100
460 32 12600 12800

58~ 36 15800 16100


720 40 19100 19400
880 44 23000 23400
1040 48 26700 27200
1220 52 30900 31500
1420 56 35300 36000

1630 60 40400 41200


1850 64 45700 46600
2340 72 57400 58500
2900 80 70600 72000
3510 88 84700 86400
4170 96 100000 102000

Tab. 9
COEFFICIENTI DI CORDATURA DEI CAVI DI FIBRA
Cavi di fibre naturali Cavi di fibre sintetiche
Olametra
nominale Manllla a slsal Pallpropil. Pollpropll.
(o gran- Canapa oliammide Poliestere (monolll.► (lameH•►
deua) a 3 legnali a 3 legnoll a 4 legnoll a 8 legnali a 3 legnali a 3 legnali a 3 od 8 a 3 od 8
mm legnoll legnall

40 - - - - 0.7095 - - -
44 - - - - 0.7022 0.5705 - -
48 - - - - 0,6958 0,5655 0,8719 0,890

52 - - - - 0,6900 0,5610 0,8646 0,880


56 - - - - 0,6850 0,5572 0,8583 0,875
60 0,664 0,592 0,533 - 0,6808 0,5536 0,8531 0,870

64 0,659 0.589 0,530 0,610 0,6770 0.5502 0.8483 0,865


68 0.653 0.585 0,527 0,606 - - - -
72 0,647 0,582 0,524 0.603 0,6700 0,5446 0,8395 0,855

76 0,64i 0,579 0,521 0,600 - - - -


80 0,640 0.577 0,519 0,598 0,6650 0,5400 0,8332 0,845
88 0,638 0.574 0,517 0,595 0,6613 0,5367 0,8286 0,840
96 0,636 0,572 0,515 0,593 0,6578 0,5333 0,8242 0,835

182
Nella pratica di bordo, in mancanza delle tabelle che indicano con esat-
tezza il carico minimo di rottura di un cavo - carico che il navigante defini-
sce resistenza alla rottura - , se ne determina approssimativamente il va-
lore risolvendo la seguente relazione:
Rm = K · C 2
dove: Rm è la resistenza alla rottura, espressa in decanewton (daN);
C è la circonferenza del cavo, espressa in cm;
K è un coefficiente empirico, variabile con il tipo e la formazione
del cavo che si considera, cui si possono assegnare i valori sot-
toindicati:
per i cavi d'acciaio:
cavi
cavi
cavi
cavi
da 42 fili (un'anima di fibra)
da 114 fili (un'anima di fibra)
da 222 fili (un'anima di fibra)
da 144 fili (7 anime di fibra)
] K=390
cavi da 72 fili (7 anime di fibra) K=300
cavi da 49 fili (senza anima di fibra)
K=540
cavi da 133 fili (senza anima di fibra) J
- per cavi di manilla (cavi piani a 3 legnali):
ghie (da 3 a 10 cm di circonferenza) K= 80
cavi di circonferenza minore di 20 cm K= 70
cavi di circonferenza da 20 a 30 cm K= 60
cavi di circonferenza maggiore di 30 cm K= 50
- per i cavi di fibra sintetica: K=l50

L'espressione Rm = K · C 2 consente di determinare con sufficiente


approssimazione la resistenza massima di un cavo quando è nota la sua
circonferenza, 22 ma è evidente che per operare con la necessaria sicurez-
za occorre limitare il carico a valori notevolmente inferiori a quello di
rottura.
Il carico massimo che si può applicare a un cavo senza rischiare la sua
rottura, si chiama resistenza d'uso o di sicurezza. Il suo valore può varia-
re con il tipo di cavo ma è normalmente compreso fra 1/5 e 1/7 della resi-
stenza alla rottura.
Indicando con R 0 la resistenza di sicurezza si può ritenere che sia:
per i cavi d'acciaio: R0 =115 Rm (coefficiente di sicurezza=5)
- per i cavi vegetali: R 0 = 1/7 Rm (coefficiente di sicurezza= 7)
- per i cavi sintetici: R0 =l/6 Rm (coefficiente di sicurezza=6)
Volendo calcolare la resistenza (di rottura o di sicurezza) di un cavo pia-
no a 4 legnoli si deve moltiplicare per 0,9 la resistenza (di rottura o di sicu-
rezza) del cavo a 3 legnoli di uguale circonferenza.
Per i cavi torticci si ritiene che la resistenza sia pari ai 7/10 della resi-
stenza dei corrispondenti cavi piani a 3 legnoli.

22 La circonferenza di un cavo si stabilisce con molta facilità: basta infatti misurare lo


sviluppo di un filo avvolto attorno alla sezione retta del cavo che si considera.

183
Anche la massa (m) di un cavo può essere valutata con una relazione em-
pirica del tipo di quella che si utilizza per determinarne la resistenza. Si
deve infatti ritenere che, indicando con C la circonferenza del cavo in centi-
metri, con k un coefficiente ìl cui valore dipende dal tipo di cavo, l'espres-
sione:
m = k · C2
esprima con sufficiente approssimazione il valore della massa (in kg), di 100
m del cavo che si considera. Al coefficiente k si assegnano i seguenti valori:
- per i cavi d'acciaio k=2,8
- per i cavi di manilla k=0,7
- per i cavi sintetici k=0,6

5. Considerazioni di ordine pratico

Dalle argomentazioni svolte si rileva che un cavo d'acciaio può essere


sostituito da un cavo di manilla di circonferenza tripla o da un cavo sinteti-
co di circonferenza doppia. Assumendo infatti per il cavo d'acciaio:

490
Ro = -2_ Rm = ea 2 = 98 ea 2
5 5
e per il cavo di manilla:

basta uguagliare le due relazioni per determinare il rapporto in cui stanno


fra loro le due circonferenze, a parità di resistenza. Dall'uguaglianza:

98 C/=10 Cm 2
si ricava infatti:

98
10
dalla quale si deduce, con sufficiente approssimazione:
Cm= 3 Ca
Con analogo ragionamento, supposto per i cavi sintetici:
R0 = 25 C/
si ricava la relazione:
2
98 Ca = 25 C/
dalla quale si deduce:
Cs = 2 Ca

184
Applicando le stesse considerazioni ai cavi di manilla e sintetici si ricava
che, a parità. di resistenza, il rapporto fra le rispettive circonferenze è ugua-
le a 1,6 circa. Infatti, dalla relazione:
25 C/ = 10 Cm 2
si deduce:
cmi 25
2,5
C/ 10
da cui:
Cm "= 1,6 Cs
Possiamo quindi ritenere che, per avere la stessa resistenza, si può so-
stituire un cavo sintetico con un cavo di manina avente circonferenza all'in-
circa uguale a una volta e mezzo la circonferenza del cavo sintetico.

Fig. 7 - Ruota di cavo.

I cavi nuovi hanno normalmente una lunghezza dì 200 m e sono raccolti


a ruota - ruota di cavo (fig. 7) - per ridurre l'ingombro e facilitare il tra-
sporto. Prima di usarli il personale di bordo li distende per tutta la loro

185
lunghezza allo scopo di eliminare gli attorcigliamenti - cocche o volte -
provocati da questa particolare sistemazione, e provvede a una ade-
guata preparazione delle loro parti. terminali. Tale pr~yiarazion~ com.i-
ste solitamente nella formazione di una gassa 23 che si ottiene mediante
impiombatura 24 dei legnoli o trefoli, e che consente di collegare il cavo
con estrema semplicità a qualsiasi oggetto, apparecchio o macchinario.
I cavi di manina vengono raccolti, dopo l'uso, in larghi cerchi sovrappo-
sti e conservati in ambiente ventilato e asciutto; i cavi d'acciaio e sintetici
possono anche essere lasciati all'aperto, opportunamente raccolti su appo-
siti rulli avvolgicavo (fig. 8), che ne riducono l'ingombro e ne facilitano
l'impiego, e protetti da una cappa di tela.
La durata dei cavi d'acciaio risulta prolungata se si provvede a rallenta-
re il processo di corrosione che si manifesta prima o poi nonostante la zinca-
tura dei fili. A ta) fine si effettua, a scadenze pìil o meno regolari, una

Fig. 8 - Cavo pia11a


di libra sintetica
netollo su rullo
avvolgicavo.

2:i Sorta di occhio, più o meno ampio a seconda della circonferenza del cavo e del suo uso,
che si ricava piegando \a parte terminale e unendo la sua cima estrema con la rimanente parte
del cavo; i grossi cavi sono però frequentemente forniti alle navi con legasse già fatte.
i-i L'impiomba tura è una impegnativa operazione di arte marinaresca; consiste nella
11nic,ne d, due c,me \ e, 0.1 una c}ma con aìtra parte de\ cavo nel caso si voglia formare una gas-
sa), mediante un appropriato intreccio dei legnoli o trefoli dell'una con i legnoli o trefoli del-
l'altra.
operazione di manutenzione che consiste nel rimuovere, con spazzole d'ac-
ciaio, la ruggine eventualmente accumulatasi sulla superficie del cavo e nel-
l'impregnare la stessa di sostanze protettive che sono normalmente rappre-
sentate da una miscela di olio di lino cotto, olio di macchina non più utilizza-
bile, sego o cera.
Un'altra considerazione che non si deve trascurare perché può influire
sulla durata di un cavo, qualunque sia la sua formazione, riguarda la parte
di esso che viene solitamente utilizzata. È evidente infatti che si può realiz-
zare un razionale sfruttamento di tutto il cavo, solo se si provvede a rivol-
tarlo di tanto in tanto, ovvero se si usa l'attenzione di invertire i compiti
che svolgono le sue estremità, cosicché si possano consuma.re uniforme-
mente entrambe le parti in cui il cavo viene idealmente suddiviso dal tratto
centrale.
Per l'ormeggio, il tonneggio e il rimorchio si possono usare, come sap-
piamo, cavi d'acciaio e cavi vegetali o sintetici. 25 I cavi d'acciaio sono mol-
to apprezzati per le loro elevate doti di resistenza e durata ma sono sconsi-
gliati per l'ormeggio in acque non protette. La loro pressoché totale inela-
sticità li espone infatti a rotture improvvise in caso di oscillazioni o bruschi
spostamenti della nave.
I cavi di mani!la non presentano questo inconveniente (nei limiti della
resistenza di sicurezza subiscono un allungamento medio del 5% quando
sono sotto sforzo), ma non possono essere usati quando la temperatura del-
l'aria è molto bassa perché soggetti a irrigidirsi, se bagnati, in seguito al
congelamento dell'acqua di cui sono impregnati.
I cavi di fibra sintetica hanno tutti i requisiti necessari - resistenza, ma-
neggevolezza, elasticità (nei limiti del carico di sicurezza l'allungamento
medio è del 10% circa) - e non presentano inconvenienti atti a sconsigliar-
ne l'impiego in particolari circostanze.

2
" I ca.vi di fibra di circonferenza inferiore a 6,3 cm non sono ammessi per queste opera-
zioni, anche se per il carico di rottura prescritto potrebbe essere adottata una circonferenza
minore.

187
Bozzelli e accessori

1. Bozzello e sue parti

In marina si chiamano genericamente bozzelli tutte le carrucole che


vengono frequentemente usate per effettuare operazioni che richiedono
l'impiego di cavi e notevoli sforzi. Un bozzello è dunque un apparecchio con
il quale si possono formare macchine semplici o composte, e che risulta co-
stituito dalle seguenti parti:
- cassa
- puleggia
- perno
- stroppo.
La cassa ha forma ovoidale o cilindrica e può essere di legno (olmo o al-
tro legno duro) o di metallo (ferro o acciaio) o di materiale sintetico. È for-
mata da due parti laterali che sì chiamano maschette e da due partì - tacchi
- che le collegano saldamente e le mantengono a una ben determinata di-
stanza fra loro (fig. 1).
La puleggia è una ruota, solitamente di ferro o di altro metallo, che
viene sistemata nel vano che rimane delimitato dalle maschette e dai tac-
chi. Lungo la sua periferia è praticata una scanalatura - gola - nella
quale si adagia il cavo (ghia o cavo di acciaio) che si usa in associazione
con il bozzello, mentre la sua parte centrale è forata per consentire il
passaggio di un perno che la sostiene e sul quale essa può ruotare libera-
mente (fig. 2).
La parte che delimita il foro è protetta da un cuscinetto o boccola, solita-
mente di bronzo, che può essere semplice o montato su cilindri o sfere, onde
-
ridurre l'attrito sul perno. 1 I bozzelli più comuni - bozzelli semplici o a un
occhio - hanno una sola puleggia, ma sono assai diffusi anche bozzelli a due
pulegge - bozzelli doppi o a due occhi - e non mancano fra le attrezzature
di bordo bozzelli a tre pulegge - bozzelli tripli o a tre occhi - o addirittura
a quattro e anche cinque pulegge (fig. 3).
In tali circostanze la cassa è divisa in altrettanti compartimenti median-
te solide pareti interne - tramezzi - che la irrobustiscono, impediscono
spostamenti laterali delle pulegge e costringono il cavo nelle loro gole.
Il perno è un cilindretto d'acciaio che attraversa le maschette, le pu-

1 Appositi dispositivi consentono anche di provvedere ad una duratura ed efficiente lu-


brificazione.

189
m

irt il lii

,,,.
, ~. .

a) b) e)
Til 1
I
I •.

Fig. 1 (sopra a sinistra)


- Cassa di un bozzello
di legno e sue parti:
m) maschetta: t) tacca.

fig. 2 (sopra a destra)


- Puleggia e perno
di un boizello di legno.

Flg. 3 - Bozzelli
di legno: a) b) e)
a) bozzello semplice:
Il) llozzello doppio;
e) bozzello triplo.

Fig. 4 - Bozzelli
in .icciaio
pe1 carichl pesanti.

legge e i tramezzi e che dev'essere adeguatamente bloccato per evitare che


possa ruotare con le pulegge o sfilarsi dalle maschette. La prima condizione
viene assicurata dotando una estremità del perno di una testa a sezione
quadràta che si incassa in un apposito vano ricavato sulla maschetta stes-
sa; 2 la seconda condizione si realizza filettando la punta del perno e avvi-
tando sulla parte che fuoriesce dalla maschetta un robusto dado che viene
a sua volta bloccato mediante coppiglia inserita in apposito foro opportuna-
mente predisposto (fig. 4).

2 Talvolta la testa porta anche una appendice - dente - per garantire una sicura immo-
bilità.

190
Lo stroppo è la parte che serve per maneggiare o fissare il bozzello nel
luogo per esso stabilito.
Un tempo lo stroppo era costituito da un cavo che circondava la cassa
e che terminava con una gassa mediante la quale si poteva agganciare il
bozzello e fissarlo o sospenderlo facilmente (fig. 5). Attualmente lo stroppo
di cavo non è più usato e anche i bozzelli di legno sono provvisti di stroppo
metallico. Questo può avere forma e caratteristiche notevolmente diverse
da bozzello a bozzello, ma tali da assicurare la massima funzionalità e la ro-
bustezza richiesta (fig. 6).
Fig. 5 (a sinistra) -
Bozzello di legno
con stroppo in cavo.

Fig. 6 (a destra) -
Bozzello con stroppo
metallico a collare.

Molto usato anche per i bozzelli di legno è lo stroppo a collare, ovvero


uno stroppo costituito da un listello di ferro o d'acciaio che circonda la cassa
passando per la parte centrale di ciascuna maschetta e seguendo una dire-
zione diametrale normalmente definita dalla posizione dei tacchi. Frequen-
temente anche lo stroppo è attraversato dal perno cosicché su di esso si sca-
rica la sollecitazione agente sul bozzello.
Talvolta lo stroppo è costituito da un mezzo collare che si estende in
modo da poter essere attraversato dal perno che esso sostiene; talaltra è
diviso in quattro parti, opportunamente collegate fra loro, due delle quali
passano per la superficie esterna delle maschette e sostengono il perno,
mentre le altre due si identificano con i tacchi della cassa.
Alcuni bozzelli hanno una cassa che non richiede la presenza di uno
stroppo vero e proprio. In tal caso si nota un accentuato prolungarsi delle
maschette al disopra di uno dei due tacchi e il loro unirsi attraverso un soli-
dissimo pezzo dal quale emerge un gancio o un grosso occhiello che si chia-
ma golfare.
Gancio e golfare servono per assicurare una rapida e sicura utilizzazione
del bozzello. La presenza dell'uno o dell'altro è indispensabile e pertanto,
qualunque sia il tipo di stroppo, non mancheranno le sistemazioni necessa-
rie per la loro applicazione se questo non termina con un golfare o con un
gancio.
Sulla parte opposta a quella che porta il gancio o il golfare, lo stroppo
di un bozzello a più pulegge è normalmente provvisto di un occhiello sul
quale viene fissato (fa dormiente) il cavo che si usa per formare, con un se-
condo bozzello, un sistema funicolare.;,

3
Vedasi par. 1 del successivo capitolo.

191

l
Anche per i bozzelli, similmente a quanto avviene per altri apparecchi,
oggetti e macchinari destinati a far parte delle attrezzature della nave, è
previsto un accertamento della loro idoneità al servizio cui sono destinati.
Tale accertamento consiste, per i bozzelli che fanno parte delle sistemazioni
per la caricazione e la scaricazione delle merci, in una prova di traziona-
mento con un carico normalmente doppio del carico di lavoro massimo pre-
visto.

2. Tipi di bozzelli

Già sappiamo che tenendo conto del numero delle loro pulegge, si distin-
guono:
bozzelli semplici o a un occhio;
bozzelli doppi o a due occhi ;
bozzelli tripli o a tre occhi, ecc.
Dobbiamo però osservare che accanto a questa suddivisione di carat-
tere generale, ne esistono altre che si basano su elementi diversi e par·
ticolari quali, ad esempio, la forma e costituzione della cassa, la posizio-
ne dell'eventuale seconda puleggia, la conformazione dello stroppo. De 0
riva da ciò la possibilità di considerare diversi tipi di bozzelli fra i quali ri-
cordiamo:
Il bozzello a gancio: bozzello con stroppo metallico, terminante con un
gancio che è solitamente girevole attorno al proprio asse - gancio a moh-
nello - , per consentire la libera rotazione dell'apparecchio anche quando
questo si trova sotto carico (fig. 7).
Il bozzello a golfare: bozzello con stroppo metallico terminante con un
robusto golfare che è solitamente girevole - golfare a molinello - per mi-
gliorare la funzionalità dell'apparecchio.

Fig. 7 (a sinistra) -
Bozzelli a gancio.
Fig. 8 (a destra) -
Pastecca.

192
Il bozzello a coda: bozzello con stroppo di cavo che termina con una
«coda» della lunghezza di 1-2 metri e che può essere utilmente impie-
gata per fissare il bozzello ad aste, alberi, manovre fisse e altre installa-
zioni.
La pastecca: bozzello a una puleggia con stroppo metallico terminante
con gancio a molinello. Caratteristica essenziale di questo bozzello è la cas-
sa tagliata cosicché si possa aprire e chiudere agevolmente una maschetta.
La maschetta apribile si rivela di grande utilità perché consente di inserire
un cavo nella gola della sua puleggia senza dover liberare una delle sue
cime (fig. 8).
Il bozzello a violino: formato da due piccoli bozzelli semplici uniti in
modo che le due pulegge (di diametro diverso) vengano a trovarsi una al
disopra dell'altra e in uno stesso piano. Può essere usato in sostituzione di
un bozzello doppio ma è praticamente scomparso dall'attrezzatura delle
navi moderne.

Fig. 9 (a sinistra) - Bigotte.


Fig. 10 (a destra) - Redance
a sezione ovale.
Fig. 11 (sotto) - Maniglie.

Altri bozzelli di tipo speciale sono le bigotte che si usavano in passa-


to per mettere in tensione - tesare - le manovre fisse. La bigotta può
essere riguardata come un bozzello multiplo senza pulegge né perno, con
cassa di legno duro in un sol pezzo e a forma lenticolare. Sulla parte pe-
riferica della cassa esiste una scanalatura - gola - nella quale trova
posto lo stroppo: due o tre fori scanalati - occhi -, praticati nella par-

193
te centrale della cassa, sostituiscono altrettante pulegge (fig. 9).
Con due bigotte e un cavo - corridore - inserito nei loro occhi si può
realizzare un sistema funicolare che si usava comunemente nella marina ve-
lica per assicurare la necessaria tensione alle manovre fisse dell'alberatura.
A tal fine si collegava lo stroppo di una bigotta all'estremità inferiore della
manovra da tesare mentre lo stroppo dell'altra bigotta veniva fissato a una
solida barra - landa o landra - che si protendeva al disopra del capodi-
banda. In tali condizioni, collegata una cima del corridore - dormiente -
a una delle bigotte, e fatta passare l'altra cima in tutti gli occhi rimanenti,
bastava poca forza esercitata sulla parte estrema di quest'ultima - tirante
- per ottenere il risultato voluto.

3. Accessori vari

Esigenze diverse, fra le quali ricordiamo quella di stabilire solidi collega-


menti dei bozzelli con le parti che li sostengono, di tesare manovre fisse,
di collegare manovre correnti con altre manovre o con punti dello scafo e
delle sovrastrutture, impongono la disponibilità di parti accessorie che pos-
sono essere stabilmente collegate alle strutture della nave o conservate nei
magazzini di bordo, 4 o applicate a manovre fisse e correnti.
Di tali parti, largamente usate per numerose operazioni e lavori di arte
marinaresca, ricordiamo le seguenti:
Redance: anelli formati con strisce di lamiera di ferro zincato, normal-
mente usati per proteggere legasse dei cavi. Una redancia può avere sezio-
ne ovale o circolare ma è sempre provvista di una scanalatura periferica su
cui si adagia stabilmente la parte di cavo che forma la gassa. La presenza
del1a redancia evita il tranciamento della gassa in caso di sollecitazioni in-
tense; essa costituisce quindi un fattore di sicurezza per l'esecuzione di la-
vori di forza (fig. 10).
Maniglie: sono normalmente costituite da un tondino di ferro zincato
piegato a U e da un perno amovibile mediante il quale si può procedere alla
loro chiusura e apertura (fig. 11).
Le parti terminali della maniglia sono dette gambe, mentre la sua
parte centrale si chiama collo. Il perno si introduce in appositi fori (oc-
chi) esistenti presso l'estremità di ciascuna gamba e può essere bloccato
da una coppiglia che si inserisce in un forellino praticato nella parte spor·
gente della sua punta. Per applicazioni non permanenti si preferiscono
però le maniglie con perno filettato perché il loro impiego risulta più sem-
plice e rapido. In tal caso basta infatti inserire il perno nella maniglia in
modo che la sua punta filettata capiti in corrispondenza dell'occhio prov-
visto di filettatura di uguale passo e avvitare per realizzare un ottimo
collegamento.

4
Jn gergo marinaresco i magazzini esistenti nei gavoni si chiamano coJe.

194
Fig. 12 (a sinistra) -
Morsetto.

Fig. 13 (a destra) -
Gancio semplice.

Il perno filettato può essere del tipo con testa a paro ma in genera-
le la sua testa è costituita da un occhiello sporgente dalla gamba, e che
risulta di grande utilità per procedere all'apertura e alla chiusura della ma-
niglia.
Nel linguaggio di bordo le maniglie sono solitamente indicate come gril-
li o gambetti; si chiamano invece maniglioni le maniglie che raggiungono
dimensioni ragguardevoli. Le maniglie sono molto usate per collegare cavi,
manovre, catene, bozzelli ecc., fra loro o a golfari e altri punti fissi della
nave, perché garantiscono la più completa efficienza e sicurezza anche se
sottoposte a carichi considerevoli.
Morsetti: piccoli congegni a vite (fig. 12), normalmente utilizzati per
collegare temporaneamente due cavi d'acciaio o per formare una gassa
provvisoria all'estremità di un cavo d'acciaio (sono noti anche come ser-
racavi).
Ganci: sono ferri piegati a uncino nei quali si distingue una parte supe-
riore che termina con un occhio generalmente guarnito di redancia, una
parte curva che si chiama ansa, e una estremità appuntita che prende il
nome di becco (fig. 13).
Anche per i ganci esiste una suddivisione in diversi tipi che risulta deter-
minata dalle diverse caratteristiche che li contraddistinguono. Fra i ganci
più comuni ricordiamo quelli sottoindicati:
- gancio semplice
- gancio doppio
- gancio a moLineUo
- gancio a scocco.
Il ganci o semplice. Non presenta particolari caratteristiche ed è quindi
un gancio comune, costituito da un ferro provvisto di occhio e opportuna-
mente piegato a uncino.

195
Fig. 14 (a sinistra) - Il gancio doppio. Si compone di due ganci semplici i cui occhi sono af-
Gancio doppio.
fiancati e guarniti da un'unica redancia, e i cui becchi sono rivolti in sensi
Fig. 15 (a destra) - opposti (fig. 14).
Gancio a scocco.
Il gancio a molinello. È costituito da due parti nettamente distinte e for-
manti, rispettivamente, l'occhio e l'ansa con il relativo becco. Le due parti
sono collegate fra loro ma rimangono libere di ruotare separatamente at-
torno a un asse che si definisce asse del gancio.

Il gancio a scocco. Ha una conformazione del tutto particolare, onde con-


sentire una immediata liberazione della manovra (cavo o catena) ad esso
collegata. È formato da un braccio (fig. 15) che si inserisce in un grillo pre-
viamente applicato all'estremità del cavo o catena da collegare, da un anel-
lo corto guarnito nell'occhio di cui è provvisto il braccio, da un a,nello lungo
che mediante interposizione di un grillo si collega a un punto fisso o alla
estremità di un secondo cavo o catena, da un anello di chiusura che può
scorrere ed è destinato a bloccare il braccio, da una chiavetta di sicurezza
che si inserisce in un forellino esistente sul braccio e sull'anello di chiusura
e che impedisce qualsiasi spostamento di questo.

Descritti brevemente i ganci più comuni è opportuno precisare che


questi non trovano molte applicazioni nella pratica di bordo perché il lo-
ro impiego comporta il rischio di sganciamento del carico applicato, con
conseguenze facilmente immaginabili. Per evitare inconvenienti si usano
di solito maniglie di dimensioni adeguate, ma non mancano casi in cui
si preferisce ricorrere ai ganci. Citiamo al riguardo i ganci normalmente
usati per la caricazione e la scaricazione delle merci - ganci per discarica
(fig. 16), i ganci a scocco che collegano manovre (cavi o catene) che richiedo-
no una immediata liberazione in caso di emergenza, i ganci da rimorchiato-
re, i ganci da gru, ecc.

196
Fig. 16 - Gancio per discarica.

Golfari: sono grossi e robusti anelli costituenti la testa di un perno filet-


tato, o emergenti da una piastra di adeguate dimensioni. Si trovano, imbul-
lonati, chiodati o saldati, sopra i parapetti, sopra le mastre dei boccaporti,
sui ponti, e in tutte le parti in cui si ritiene necessaria la loro presenza per
incocciare 5 maniglie e ganci di manovre fisse e correnti, stroppi di bozzelli
comuni e di pastecche, rizze 6 e ritenute 7 varie.
Gallocce o castagnole: sono formate da ferri aventi forma leggermente
falcata, che si trovano saldati o inchiodati sul capodibanda, sulle paratie,
sui ponti, ecc. Servono per incocciare temporaneamente qualche maniglia
o per dar volta 8 a manovre non soggette a grandi sollecitazioni.
Caviglie: sono asticciole di ferro o d'acciaio che si trovano talvolta fissa-
te sul capodibanda e che possono servire per dar volta a piccole manovre
correnti. Le navi moderne sono normalmente sprovviste di caviglie 9 ma
sarà interessante sapere che queste erano assai numerose nei velieri. In
ogni nave a vela esisteva infatti, nella parte inferiore dì ciascun albero, una
specie di rastrelliera, che si chiamava cavigliera o pazienza, nella quale era-
no infisse numerose caviglie cui venivano date volta le manovre che servi-
vano per orientare, aprire o chiudere le vele.

Incocciare ha il significato di agganciare, attaccare, ecc.


6 Spezzoni di cavo o catena usati per legare solidamente (rizzare) qualsiasi oggetto che
potrebbe spostarsi a causa delle oscillazioni della nave.
7
Spezzoni di cavo usati per trattenere un oggetto nella posizione più favorevole durante
il suo spostamento.
8
Dar volta a un cavo significa fissare la sua cima o una sua parte intermedia a una gal-
loccia, caviglia, ecc. L'operazione inversa è detta levar volta o mollare (mai usati a questo ri-
guardo i termini legare e slegare).
9
Non dobbiamo confondere queste caviglie con un attrezzo che viene indicato con lo
stesso nome e che si usa per impiombare i cavi d'acciaio.

197
Arridatoi o tornichetti: sono congegni a vite che hanno sostituito le bi-
gotte nelle attrezzature degli alberi, e sono comunemente usati in tutte le
operazioni che comportano la messa in tensione di manovre fisse, rizze e
ritenute.
Un tornichetto è costituito da due viti aventi passo uguale e contrario
e terminanti con una testa a occhiello (o altro dispositivo adatto al loro col-
legamento con maniglie o golfari) e da un manicotto a doppia madrevite,
ruotando il quale si possono facilmente avvicinare o allontanare le estremi-
tà delle due viti (fig. 17).

Fig. 17 • Arridatoi
o tornk:hetti.

Bertocci o paternostri: sono pomi di legno duro, sferici o a forma di el-


li:ssoi.de, con un foro diametrale in cui può essere inserita una sagola o un
cavetto d'acciaio. Molto usati in passato perché idonei a rendere più facili
e spedite le manovre delle vele e delle loro attrezzature, sono pressoché
scomparsi nelle navi moderne. Il loro impiego è ora praticamente limitato
alle lance di salvataggio dove si trovano inseriti in una sagola a festoni ap-
plicata sulla superficie esterna dei fianchi.

198
Sistemi funicolari
CAPITOLO

1. Generalità

I sistemi funicolari sono macchine semplici o composte che si usano


per sollevare o spostare oggetti vari e che risultano costituite da uno
o più bozzelli e da un cavo che passa (si inferisce) nella gola delle loro
pulegge.
I sistemi funicolari più comuni sono a due bozze1li, ma possono essere
formati anche con un solo bozzello se utilizzati per esercitare sforzi limitati,
e a tre, quattro bozzelli se destinati a lavori molto impegnativi.
Il cavo che si inferisce nei bozzelli può essere una ghia se questi sono
di legno, ma è più frequentemente un cavo d'acciaio di circonferenza ade-
guata al carico da sostenere. 1
Nei sistemi con due o più bozzelli una cima del cavo viene fissata allo
stroppo di uno di essi e prende il nome di dormiente, mentre l'altra cima,
o la parte di cavo su cui si esercita lo sforzo di trazione, si chiama tirante.

2. Nomenclatura dei sistemi funicolari

I sistemi funicolari a un solo bozzello assumono le seguenti denomina-


zioni:
Ghia semplice: sistema formato da un bozzello semplice che rimane fis-
sato a un golfare, a una manovra, a un'asta, ecc. (bozzello fisso) e da un
cavo (ghia o cavo d'acciaio) che si inferisce nella sua puleggia. Entrambe
le cime della ghia semplice sono mobili e possono essere utilizzate come ti-
rante per sostenere il carico applicato a una di esse (fig. la).
Amante semplice: sistema formato da un bozzello semplice e da un cavo
(ghia o cavo d'acciaio) inferito nella sua puleggia. A differenza della ghia
semplice, il bozzello dell'amante semplice è mobile (bozzello mobile) e il cari-
co che esso deve sostenere si applica direttamente al golfare o gancio dello
stroppo; il cavo che passa nella sua puleggia ha una cima saldamente colle-
gata a un punto fisso, mentre l'altra cima è libera e viene utilizzata come
tirante.

I sistemi funicolari a due bozzelli possono essere genericamente in-


dicati come paranchi, ma se si tiene conto del tipo di bozzelli utilizzati

1 Molto usati i cavi da 222 fili, di circonferenza compresa fra 3 e 7 cm.

199
(semplici, doppi, tripli, ecc.) per la loro formazione, si adottano le seguenti
definizioni:
Ghia doppia: se formato da un bozzello semplice e fisso, da un bozzello
semplice e mobile al cui gancio o golfare si incoccia il carico da sostenere,
da una ghia o cavo d'acciaio inferito nelle loro pulegge e avente una cima
che fa dormiente sullo stroppo del bozzello fisso (fig. lb).
Paranco semplice: se formato da un bozzello fisso a due pulegge (boz-
zello doppio), da un bozzello mobile a una puleggia (bozzello semplice) al cui
gancio o golfare si incoccia il carico da sostenere, da una ghia o cavo d'ac-
ciaio che passa in tutte le pulegge facendo dormiente sullo stroppo del boz-
zello mobile (fig. le).
Paranco doppio: se formato da due bozzelli doppi, uno fisso e uno mobi-
le, e da una ghia o cavo d'acciaio che passa nelle loro pulegge e fa dormiente
sullo stroppo del bozzello fisso (il carico si incoccia anche in questo caso al
gancio o golfare de1 bozzello mobile) (fig. ld).
Calorna: se formato da un bozzello fisso a tre pulegge (bozzello triplo),
da un bozzello mobile a due pulegge (bozzello doppio) e da una ghia o cavo
d'acciaio in esse inferito e facente dormiente sullo stroppo del bozzello mo-
bile (il carico viene incocciato al gancio o golfare dello stroppo del bozzello
mobile) (tig. fo).
Fig. 1 • Sistemi
funicolari:
a) ghia semplice:
b) ghia doppia; a b e d e
e) paranco semplice:
d) paranco doppio;
e) ca\oma.

200
Apparecchio: se formato da due bozzelli a tre pulegge (bozzelli tripli) o
a quattro pulegge (bozzelli quadrupli) e da una ghia o cavo d'acciaio in esse
inferito. Dei due bozzelli uno è fisso, e riceve il dormiente del cavo, l'altro
è mobile e al suo gancio o golfare si incoccia il carico che si applica al si-
stema.

I sistemi funicolari a tre o più bozzelli sono praticamente costituiti da


due o più sistemi del tipo di quelli descritti e collegati in serie (serie di pa-
ranchi). Si formano cioè utilizzando un primo sistema funicolare sul cui ti-
rante si applica un secondo sistema, e così di seguito, al fine di trarre il
massimo vantaggio dal loro impiego. Limitandoci a considerare i sistemi a
tre o quattro bozzelli, ovvero quelli che si possono formare collegando in
serie due sistemi funicolari a uno o due bozzelli, e che trovano qualche appli-
cazione sulle navi, si distinguono:
Amante doppio: formato da una ghia semplice e da un sistema tipo pa-
ranco (sistema funicolare a due bozzelli) che si collega al suo tirante. Neri-
sulta un sistema funicolare a tre bozzelli, due dei quali sono fissi e l'altro
mobile, ma incocciato al tirante della ghia semplice.
Amante senale: formato da un sistema funicolare tipo paranco e da un
amante semplice che si collega al suo tirante. Anche in questo caso il sistema
risultante è a tre bozzelli due dei quali sono mobili e l'altro è fisso (il tirante
del sistema tipo paranco è incocciato al bozzello dell'amante semplice).
Paranco su paranco: formato da un sistema funicolare tipo paranco che
si collega al tirante di un altro sistema tipo paranco. Il sistema risultante
è quindi a quattro bozzelli due dei quali sono mobili e due sono fissi (ciascun
sistema tipo paranco ha un bozzello mobile e uno fisso).

3. Vantaggi derivanti dall'impiego dei sistemi funicolari

Esaminati i diversi tipi di sistemi funicolari a uno, due, tre o quattro


bozzelli, vediamo ora quali sono i vantaggi che possono derivare dal loro im-
piego. A tal fine ricordiamo innanzitutto che il sistema funicolare si identi-
fica praticamente con una macchina che consente di moltiplicare la forza
disponibile per effettuare operazioni di innalzamento, abbassamento o spo-
stamento di oggetti. Ne consegue che, impiegando un sistema funicolare,
si possono realizzare le condizioni necessarie per vincere una resistenza Q
applicando sul suo tirante una forza F notevolmente inferiore ad essa.
La riduzione di forza dipende in generale _dal numero delle pulegge dei
bozzelli che costituiscono il sistema, ma può essere influenzata anche dalle
caratteristiche di questo. Osserviamo infatti che per i sistemi a uno o due boz-
zelli (amante semplice, ghia semplice, tipo paranco), detto TI il rendimento, 2
e indicato con n il numero complessivo delle pulegge, è valida la relazione:

2 Il rendimento '1 (eta) di una macchina è se mpre minore di 1 ed è espresso dal rapporto
fra il lavoro utile (Lu) e il lavoro motore (Lml-
Cioè: Lu
'1 - -
Lm

201
Q
F = -----
ri (n + 1)

se il tirante proviene direttamente dal bozzello mobile, mentre si deve ap-


plicare la relazione:

TJ • n
se il tirante esce da un bozzello fisso.
Il rendimento di un sistema funicolare dipende dal numero delle pulegge
ed è tanto più elevato quanto maggiore è la flessibilità del cavo utilizzato
e quanto minore è l'attrito delle pulegge sui perni. In altre parole possiamo
dire che il rendimento di un sistema funicolare aumenta con il diminuire
delle resistenze passive determinate dalla rigidità del cavo e dall'attrito fra
perni e pulegge. ·
Supposto di usare cavi molto flessibili e di assicurare una efficiente lu-
brificazione sui perni delle pulegge, si può ritenere che il rendimento ri as-
suma valori compresi fra 0,96 e 0,82, passando da sistemi a una puleggia
a sistemi a otto pulegge.
Nel caso di sistemi funicolari a tre o quattro bozzelli (amante doppio,
amante senale, paranco su paranco) la riduzione di forza viene ulteriormen-
te moltiplicata. Ciò perché si applica la forza traente sul tirante di un siste-
ma (amante semplice, tipo paranco) che, a sua volta, è collegato al tirante
di un sistema funicolare (ghia semplice, tipo paranco).
In tali condizioni, detto n il numero delle pulegge del primo sistema ed
TJ il suo rendimento, n' il numero delle pulegge del secondo sistema ed ri'
il suo rendimento, sarà:

Q
F =
'l • n' · n (n' + 1)

Infatti, poiché il tirante del primo sistema funicolare proviene da un bozzel-


lo fisso, occorre una forza:

Q
Fo =
'l . n

per metterlo in movimento; il tirante del secondo sistema esce da un bozzel-


lo mobile e pertanto si deve applicare ad esso una forza F che si ricava dalla
relazione:

Fo
F = ------
TJ I • (n I + 1)

Sostituendo a F 0 il suo valore si ottiene la già menzionata relazione:

Q
F=--------
TJ • l'\' · n (n' + 1)

202
Un altro metodo che consente di determinare la forza F necessaria per
vincere una resistenza Q, e che è preferibile al precedente perché non com-
porta l'esigenza di tenere presente da quale bozzello esce il tirante del siste-
ma, si basa sul numero dei fili che sostengono il bozzello mobile. Infatti, in-
dicando con m il numero dei fili del bozzello mobile di un sistema a uno o
due bozzelli, sarà sempre:
Q
F = ---
TJ • m

dove ri è il rendimento del sistema ed è:


m =1 per la ghia semplice; 3
m=2 per l'amante semplice e la ghia doppia;
m =3 per il paranco semplice;
m = 4 per il paranco doppio;
m =5 per la calorna, ecc.
Nel caso dell'amante doppio, dell'amante senale e del paranco su paran-
co, se è m il numero dei fili del bozzello mobile del primo sistema e ri il suo
rendimento, ed è m' il numero dei fili del bozzello mobile del secondo siste-
ma e ri' il suo rendimento, sarà:
Q
F = --------
ll · 11' • m · m'

Attribuendo al rendimento di un sistema funicolare un valore medio e


costante uguale a 0,90, le suddette espressioni divengono:
Q 10 Q Q 1 Q
F= = ---- = + - --
0,9 · m 9 m m 9 m

per i sistemi a uno o due bozzelli, e:


Q 10 Q Q 1 Q
F = --- +-
0,9 · 0,9 · m · m' 8 m . m' m · m' 4 m . m'

per i sistemi a tre e quattro bozzelli.


La ghia semplice non comporta, come si constata facilmente, alcun gua-
dagno di forza; la forza F da applicare sul suo tirante è anzi maggiore della
resistenza Q, tuttavia essa è comunemente impiegata per sollevare piccoli
pesi poiché consente di stabilire liberamente la direzione in cui far agire la
forza traente.

4. Formule di Grenet e di Knight

Nella pratica di bordo sono molto usate alcune formule empiriche che
permettono di determinare con rapidità, semplicità e ampio margine di

3 La ghia semplice ha in realtà soltanto un bozzello fisso, ma si può immaginare che al


suo filo libero sia applicato un bozzello mobile a una puleggia, cosicché si può porre m = 1.

203
sicurezza, la forza F da applicare al tirante di un sistema funicolare che sop-
porta un carico Q. Le più note di tali formule sono quelle proposte da Gre-
net; questi tiene conto del numero dei fili del bozzello mobile e assegna alle
resistenze passive un valore pari a un terzo della forza che sarebbe necessa-
rio applicare sul tirante per assicurare l'equilibrio statico del sistema; per-
tanto sarà:
1 4
F Q+3Q=3Q per la ghia semplice;

Q 1 Q 2
F -+--=-Q per l'amante semplice;
2
3 2 3
Q 1 Q 4
F =- + - - = -Q per il paranco semplice;
3 3 3 9
Q 1 Q 1
F=-+--=-Q per il paranco doppio.
4 3 4 3
In generale, detto m il numero dei fili del bozzello mobile, 4 si può appli-
care la relazione:

F=_g_+_l _g_=~_g_
m 3 m 3 m
per i sistemi a uno o due bozzelli, mentre per i sistemi a tre o quattro bozzel-
li, detto m il numero dei fili del bozzello mobile del primo sistema ed m'
il numero dei fili del bozzello mobile del secondo sistema, sarà:
Q 1 Q 4 Q
F=----+-
m · m' 3 m · m' 3 m • m'

Meno note ma ugualmente utili sono le formule di Knight, con le quali


si introduce nel calcolo di Panche il numero delle pulegge del sistema funi-
colare che si considera. Per i sistemi a uno o due bozzelli il Knight suggeri-
sce la relazione:
Q
Q+--•n
10
m
dove m indica ancora il numero dei fili del bozzello mobile ed n il numero
delle pulegge del sistema. Risolvendo si ottengono le espressioni più sem-
plici:
11
F= - Q per la ghia semplice;
10
11
F=-Q per l'amante semplice;
20

4
Per la ghia semplice si considera, come già abbiamo visto, m ~ 1.

204
F=_E_Q per la ghia doppia;
20
13
F=-Q per il paranco semplice;
30
F=~Q per il paranco doppio;
40
F ~Q per la calorna;
50

F=~Q per l'apparecchio a sei pulegge.


60
Se il sistema adoperato è a tre o quattro bozzelli (amante doppio, aman-
te senale, paranco su paranco) si determina F con espressioni analoghe che
si possono ricavare tenendo presente che la resistenza da vincere è ridotta
al valore
Q
Q+--•n
10
Fo =
m

Detto n' il numero delle pulegge del secondo sistema ed m' il numero
dei fili che sostengono il suo bozzello mobile, sarà quindi:
Fo
F 0 + - - · n'
10
F
m'

sostituendo a F 0 il suo valore si ottiene l'espressione:


Q
Q+--·n
10 n'
+
m 10
F
m'

Determinato il valore di F con uno dei metodi indicati, si può stabilire


la circonferenza del cavo da inferire nei bozzelli del sistema funicolare con-
siderato. A tal fine basta ricordare che ciascun filo del sistema sopporta un
carico uguale al valore di F trovato, che la resistenza di sicurezza dei cavi
(R0) è data dall'espressione:
R0 = K0 · C 2
dalla quale si ricava:

e= ~
✓ Ko
205
e che, dovendo assumere: R 0 = F, sarà:

C= /F
✓~
Con procedimento inverso si può trovare il carico Q applicabile a1 bozzel-
lo mobile di un sistema funicolare quando siano note le sue caratteristiche
e il tipo di cavo utilizzato. Infatti, determinata la resistenza di sicurezza R 0
del cavo con la relazione:
Ro = Ko · C2
si ricava il Q da una delle formule di Grenet o di Knight valevole per il siste-
ma considerato, e avendo presente che è R 0 = F.
Se ci limitiamo a considerare i sistemi a uno o due bozzelli, possiamo
usare le relazioni generali:

3
Q=-Ro·m
4
che si deduce dalla formula di Grenet, e:

10 · R 0 · m
Q=
10 + n

dedotta dalla formula di Knight.

ESERCIZI

1. Trovare la circonferenza C della ghia di manilla che deve essere infe-


rita nei bozzelli di un paranco doppio (m = 4) destinato a sollevare un peso
Q=2 208 daN.
Ricordiamo innanzitutto che per il paranco doppio è valida la formula:

4 Q 4 2 208
F = --= - - = 736 daN (Grenet)
3 m 3 4
oppure:
Q 2 208 · 4
Q+-~·n 2208 + - - -
10 lù
- - - - - - - 773 da N (Knight) 5
m 4
Determinata F e sapendo che essa coincide con R 0 della formula:
R 0 = K 0 • C 2 , si ottiene:

5
Più rapidamente si perviene allo stesso risultato ricordando che la relazione generale
14
diviene per il paranco doppio: F ~ - ~ Q.
40

206
C = .J¾ .Jf = = .JHf = 8 cm (Grenet)

oppure:

C =
✓w
/773 = 8,2 cm circa (Knight)
2. Trovare il peso Q che si può sollevare con un paranco semplice (m = 3)
nei cui bozzelli è inferita una ghia di fibra sintetica di circonferenza C = 1O
cm.
Poiché:
R0 = 25 · C 2 = 25 · 100 2 500 daN
si ricava:
3 3 · 2 500 · 3
Q=-Ro·m 5 625 daN (Grenet)
4 4
oppure:

Q = _l_O_-_R_
0 _·_m_ = _1_0_·_2_50_0_·_3_ =
5 770 daN (Knight).
10 + n 13

3. Determinare con la formula di Grenet la circonferenza C del cavo


d'acciaio da 222 fili con il quale si vuole sollevare un peso Q di 6 000 daN,
mediante un amante senale.
Poiché è:

F=_±_ Q (Grenet)
3 m · m'
si ricava:
4 6 000
F; - - - - - 1 000
3 4 · 2
posto F ; R 0 ; 1 000
dalla relazione:
1 2
Ro = - 490 C
5
valevole per il cavo considerato, si deduce:

4. Determinare con la formula di Knight il peso Q che si può sollevare


con un paranco doppio nei cui bozzelli è inferito un cavo d'acciaio da 222
fili avente circonferenza uguale a 6 cm.

207
Dalla relazione generale:
R0 "' K0 C 2
si ricava:
R0 "' 98 · 36 "' 3 528 daN
Considerato che, nel caso del paranco doppio, la relazione:

Q
Q + --n
10
F"' (Knight)
m
assume la forma più semplice:

F "' ____!i_ Q·
40 '
posto R 0 "' F, si deduce:
40 40 3 528
Q "' - R0 "' - - - - " ' 10080 daN.
14 14
A conclusione delle considerazioni svolte osserviamo che impiegando si-
stemi funicolari si perde in velocità ciò che si guadagna in forza. Infatti,
detta V la velocità del tirante, il carico Q applicato al sistema funicolare si
muoverà con una velocità v che si ricava dalla relazione:
V
V= -
m

se il sistema è del tipo a uno o due bozzelli.


Nel caso di sistemi funicolari a tre o quattro bozzelli, sarà:
V
V"'----
m • m'
dove con me m' sono indicati, come sappiamo, il numero dei fili dei bozze11i
mobili.

208
'

Alberatura delle navi


CAPITOLO

1. Generalità

L'alberatura di una nave è costituita dall'insieme degli alberi e delle loro


attrezzature.
Al tempo della navigazione a vela gli alberi rappresentavano una parte
insostituibile dell'impianto di propulsione, poiché offrivano la possibilità di
spiegare le vele e di orientarle nella direzione più conveniente.
Con il passaggio alla propulsione meccanica gli alberi hanno perduto
questa loro importante caratteristica, tuttavia sono ancora presenti in tut-
te le navi per sorreggere gli impianti di segnalazione e avvistamento e i
mezzi per la caricazione e la scaricazione delle merci.
Premesso che per i servizi di segnalazione e avvistamento si usano:
• i fanali che tutte le navi devono mostrare di notte, ad una certa altezza
sopra il ponte di coperta, per indicare la loro presenza e le particolari condi-
zioni in cui si svolge la loro navigazione;
• le bandiere che le navi alzano durante il giorno per far conoscere la loro
nazionalità o per trasmettere messaggi a mezzo del «Codice internazionale
dei segnali»;
• i segnali (palloni, coni, biconi) che le navi alzano durante il giorno per in-
dicare alcune situazioni particolari in cui può svolgersi la navigazione:
• le antenne della stazione radio di bordo;
• l'antenna del radar, 1
e che esistono navi i cui mezzi di carico e scarico non richiedono la presenza
di alberi, 2 osserviamo che gli alberi delle navi moderne sono in acciaio e
possono essere formati da tubi saldati - alberi tubolari -, o da profilati
con sezione idonea ad assicurare leggerezza, solidità e poco ingombro - al-
beri a trave.
L'estremità inferiore di un albero - piede - si incastra nella scassa (fig.
23, cap. III); la sua estremità superiore è chiusa e protetta da una sorta di
coperchio che, per la sua particolare conformazione, prende il nome di for-
maggetta (fig. 1).
Gli alberi si estendono normalmente all'interno dello scafo (fino al se-
condo ponte, se esiste, e correndo addossati a una paratia cui è fissata la
scassa), ma non mancano casi in cui il piede di un albero è direttamente

1 Il radar è un apparecchio che rivela direzione e distanza dalla nave di tutti i corpi emer-
si che la circondano.
2 Navi cisterna, navi espressamente costruite per il trasporto di contenitori, chiatte, au-
tomobili ecc. e comuni navi da carico dotate di gru (fisse o scorrevoli su ferroguide).

209
4

Fig. 1 - Albero
tubolate monofusto:
1) albero: 2) alberetto:
'J) co11a;
4) formaggetta:
5) picco:
6) picchi di carico
o bighi.

sostenuto da un ponte scoperto. In tali circostanze non esistono mastre, ov-


vero quelle intelaiature che assicurano un collegamento solido e stagno fra
l'albero e i ponti che esso attraversa.
Le attrezzature degli alberi sono costituite da ritenute di cavi d'acciaio
che si chiamano manovre e che servono per sostenerli e per assicurare la
loro stabilità anche quando sono in azione i mezzi di carico che ad essi sì
collega1Jo.
Le rr1anovre di un albero comprendono diversi cavi che, saldamente fis-
sati ad esso nelle parti intermedia e superiore, scendono obliquamente fino
al ponte sottostante, cui si collegano convenientemente.
Alcune di queste manovre sono orientate trasversalmente, o quasi, e
trovano il loro punto dì attacco allo scafo in prossimità dei suoi fianchi; al-
tre 'i'i\. '9,otendono verso -prua, o verso l)Ol)-pa., e \:.i. {i.,,,sano allo scafo in u.n
punto che giace nel suo piano di simmetria longitudinale.
Le n1anovre che dall'albero si irradiano verso i fianchi si chiamano sar-
tie se agiscono in una zona della sua parte intermedia, paterazzi se il loro
punto di attacco sull'albero si trova in prossimità della sua estremità supe-
riore; le manovre che si dirigono verso prua, o verso poppa, si chiamano
stragli (fig. 2).
Le sartie sopportano le maggiori so1lecitazioni, perché sì collegano al-
l'albero in una zona cui fanno capo anche i cavi che sostengono i mezzi di
carico; gono quindi opportunamente orientate, più numerose e più resisten-
ti dei pi1terazzi e degli stragli.
Per ciascun albero si hanno infatti non meno di due grosse sartie per
lato, mentre un solo paterazzo si protende a poppavia di esse e soltanto
se al disopra dell'albero vero e proprio si innalza una parte avente se-
zione notevolmente ridotta che deve più propriamente essere definita
alberetto.

210
fig. 2 - Manovre
degli alberi: 1) sartie:
2) pateraui;
3) straglio.

Quanto agli stragli, osserviamo che si tende a ridutre al minimo la Ioro


presenza, e possibilmente a eliminarli, perché costituiscono un ostacolo che
deve es$ere rimosso tutte le volte che le operazioni di carico e scarico ven-
gono effettuate con gli impianti portuali.

Sartie, paterazzi e stragli sono superiormente ammanigliati a robusti


golfari che formano parte integrante dell'albero; le loto estremità inferiori
si collegano invece a tornichetti di adeguate dimensioni che vengono am-
manigliati a piastre o golfari a tal fine esistenti sul ponte e che permettono
di regolarne la tensione con operazioni estremamente semplici e rapide.
La zona di attacco delle sartie sull'albero è ampliata e irrobustita da una
solida struttura - coffa - che termjn.a superiormente in una piattaforma
sulla quale al tempo della vela prendeva posto un marinaio addetto al servi-
zio di vedetta. 3
La coffa si può anche considerare come un elemento di unione fra l'albe-
ro vero e proprio e il sovrastante alberetto. Quest'ultimo non è necessaria-
mente presente su tutti gli alberi, poiché svolge soltanto funzioni di soste-
gno per i mezzi di segnalazione; quando esiste si co}lega però all'albero uti-
lizzando opportunamente le strutture della coffa.
L'alberetto è talvolta in legno, anziché in acciaio come la parte sotto-
stante. Verificandosi tale circostanza è richiesto che dalla sua estremità su-
periore emerga un parafulmini che si collega elettricamente alla massa

3 Nelle grandi navi moderne con sovrastrutture a poppa si avverte nuovamente l'esigen-
za di avere un marinaio in coffa se si naviga in condizioni di scarsa visibilità. Ciò spiega la
presenza, sull'albero di prua di talune navi, di una garitta di avvistamento, che viene chìamata
coffa anche se non è collocata sulla coffa vera e propria, e che risulta collegata telefonicamen·
te con la stazione di governo.

2tt
d'acciaio e al mare circostante. Tale collegamento può essere realizzato me-
diante un cavo di rame che scende fino alla sottostante coffa metallica, ma
è più facilmente ottenuto fissando l'estremità inferiore del parafulmini sul
collare portante i golfari cui si ammanigliano i paterazzi.

2. Tipi di alberi e loro nomenclatura

Gli alberi più comuni sono del tipo tubolare, con o senza elementi di irri-
gidimento sulla loro superficie interna.
Questi alberi sono installati in corrispondenza del piano diametrale, han-
no il piede bloccato in una scassa che si collega alle ossature di un ponte
inferiore o di una paratia, si elevano verticalmente raggiungendo una con-
siderevole altezza sul ponte di coperta, sono costituiti da una parte inferio-
re che rappresenta l'albero vero e proprio, e che termina superiormente
con una solidissima coffa, e da una parte superiore che si chiama alberetto
e che risulta delimitato superiormente dalla formaggetta.
Di alberi del tipo sopra considerato - alberi monofusto - una nave può
averne due, o al massimo tre, opportunamente distribuiti nelle sue parti
prodiera e poppiera.
Nel primo caso, facendo riferimento alla parte di scafo in cui sono instal-
lati, i due alberi esistenti si possono semplicisticamente definire albero di
prua e albero di poppa, ma dobbiamo rilevare che vengono ancora preferite
le antiche denominazioni di albero di trinchetto per l'albero prodiero e di
albero di maestra per quello poppiero.
Se gli alberi sono tre si possono indicare come albero di prua, albero
centrale e albero di poppa, ma normalmente si definisce albero di trinchetto
l'albero di prua, albero di maestra l'albero centrale, albero di 'rnezzana l'al-
bero di poppa.
Per quanto riguarda le manovre merita rilevare che si adottano sempre
le stesse definizioni e pertanto, qualunque sia l'albero considerato, si chia-
mano sartie le ritenute trasversali dell'albero vero e proprio, paterazzi le
ritenute trasversali dell'eventuale alberetto, stragli le ritenute longitudina-
li dell'albero e dell'alberetto.
Due o tre alberi possono sembrare molti per una nave a propulsione
meccanica, ma si constata facilmente che non sempre sono sufficienti a sod-
disfare le esigenze della nave nei riguardi della caricazione e della scarica-
z10ne.
Ciascun albero sostiene infatti non più di due coppie di picchi di carico
o bighi 4 (vedi cap. XIV, par. 2) che possono servire le due stive ad esso
adiacenti (fig. 3). Pertanto, se si vuole che una stiva sia servita da quattro
picchi di carico, anziché due, o se le stive sono in numero superiore a quat-
tro o sei, si rendono necessarie altre soluzioni.
La via più seguita è quella di limitare a due il numero degli alberi e

4 Lunghi tubi di acciaio con una estremità incardinata presso la base dell'albero e l'altra
estremità manovrabile, nel piano verticale, attraverso un cavo - amantiglio - che passa in
un bozzello ammanigliato a un golfare della coffa.

212
:;.

,. i
J.

I I :

f
I
I

Fig. 3 • Albero
monofusto eon due
coppie di bighi e
bigo di forza.
I I
I

,I
!: . f
I I

Fig. 4 • Alberi a
portico fcori o senza
alberetto) e colonne di
carico (colonne
degli alberi a portico
e colonne di carico
operanti anche come
estrattori).

213
affiancare ad essi altri elementi che possono sostenere i mezzi necessari per
effettuare le operazioni di carico e scarico delle merci. Questi elementi sono
rappresentati dalle colonne di carico, ossia da coppie di colonne tubolari
che vengono installate presso il lato prodiero o poppiero della mastra del
boccaporto ed a uguale distanza dal piano diametrale (fig. 4).
Le colonne di carico potrebbero essere considerate come alberi laterali,
ma dobbiamo osservare che non vengono mai indicate con questo nome,
mentre è frequentemente usato dalla gente di bordo il termine inglese
derricks.
La presenza delle colonne di carico è normalmente sfruttata anche
-per favorire la ventilazione delle stive e degli. inteq:ionti e non è o,_uindi
raro vedere la loro estremità superiore terminare con una cvjJia in tut·
to simile a quella delle maniche a vento o con la caratteristica testa degli
estrattori.
Per sopportare senza danno le forti sollecitazioni derivanti dall'impiego
del picco o dei picchi che ad essa si collegano, ciascuna colonna è convenien·
temente rinforzata in corrispondenza de1lf1 mastra del ponte scoperto ed è
sostenuta da una o più ritenute di cavo d'acciaio. Queste ultime si chiamano
venti se collegano l'estremità superiore della colonna con le strutture del
ponte o di una paratia, trcwersini se collegano saldamente fra loro le estre·
mità superiori di ciascuna coppia di colonne.
Su qualche nave le coppie di colonne sono co11egate, nella parte su·
periore, dct una intelaiatura metallica che le riunisce in un unico com·
plesso, rendendole più resistenti alle sollecitazioni cui sono sottoposte. 1n
tal caso si può indicare l'intero complesso con la definizione di albero a por-
tico, tuttavia giova rilevare che i naviganti preferiscono chiamare derrick
ciascuna colonna e traversa dei derr1:cks il telaio trasversale di collegamen·
to (fig. 4).
Certe navi non hanno alberi monofusto, ma solo colonne di carico; alcu·
ne coppie di colonne sono allora provviste di traversa di collegamento, an-
che per sostenere un alberetto sul quale trovano adeguata sistemazione i
fanali di navigazione, le sagole per le bandiere, l'antenna della stazione ra-
dio ecc.
Un tipo di albero che viene attualmente installato su roo\te navi da cari-
co è formato da due colonne oblique che presentano l'aspetto di una V rove-
sciata con un angolo al vertice di 20 ° circa.
Le due colonne risultano disposte simmetricamente rispetto al piano
diametrale e sono riunite, in un unico e solidissimo complesso, da una coffa
che collega le loro estremità superiori e costituisce la base di sostegno per
l'eventuale alberetto.
Questo albero - albero bipode - è particolarmente adatto per picchi
di portata considerevole 5 e presenta il vantaggio di non richiedere la pre•
senza di ritenute trasversali (fig. 5).
Un altro albero, anch'esso formato da due colonne oblique e simmetri•
che ris-petto al piano diallletrale, è l'albero Stiilcken (fig. 6). Le due co·

5 Portata di un picco di carico è il carico massimo che esso può sopportare lavorando in

condizioni di assoluta sicurezza,

214
!onne sono in questo caso disposte in modo da formare una V al centro della Fig. 5 (a sinistra) -
Albero bipode con
quale si trova un picco di grande portata - picco di forza - che presenta alberetto.
la caratteristica di poter servire due stive. Ciascuna colonna può inoltre so-
stenere due picchi comuni utilizzabili per caricare e scaricare dalle stive Fig. 6 (sopra) - Albero
Stiilcken con picco
adiacenti. di forza.
Il complesso non ha bisogno di ritenute e pertanto offre, come l'albero
bipode, il vantaggio di poter orientare i picchi in un arco di 180°. 6
Di tipo speciale sono anche l'albero Creen e l'albero Hallen.
L'albero Creen è monofusto (fig. 7), ma può fare ugualmente a meno
delle ritenute, grazie alla particolare conformazione della sua base.
L'albero Hallen (fig. 8) è un albero a Y con traversa superiore che, po-
tendo operare senza ritenute, consente il massimo brandeggio (180°) dei
picchi che sostiene.
Esistono .anche alberi a tre colonne, ma sono raramente installati nelle
navi mercantili perché possono essere proficuamente utilizzati solo come
elementi di sostegno per mezzi di segnalazione e avvistamento. A tal fine
l'albero tripode si innalza per alcuni metri al disopra del più alto ponte di
sovrastruttura, ponte che costituisce anche la sua base di sostegno.

6 Se esistono sartie o paterazzi bisogna provvedere alla loro rimozione per poter far la-
vorare il picco in piani poco inclinati rispetto a quello trasversale.

215
I
ni 10
nr~ ------ ----~--- r

Fig. 7 (sopra) - Albero Un albero tripode non richiede ritenute perché la presenza di tre ele-
CrllllR.
menti convergenti verso l'alto e saldamente uniti presso le estremità supe-
Fig. 8 (a destra) - riori rende del tutto superflua la loro funzione.
Albero Hallen. Alberi a traliccio possono essere usati per sostenere antenne-radar e
impianti di segnalazione, ma in pratica si trovano installati soltanto sulle
navi militari. Per le navi mercantili si preferiscono infatti alberi monofusto
aventi sezione a U e saldamente fi ssati su un ponte di sovrastruttura. Que-
sti alberi sono piuttosto corti (e potrebbero per ciò essere chiamati alberet-
ti) e non richiedono la presenza di ritenute (fig. 9).
Tutti gli alberi devono avere i mezzi necessari per raggiungere la loro
estremità superiore. A tal fine sono normalmente provvisti di una scala me-
tallica a pioli, stabilmente fissata sulla loro superficie esterna, che consente
una ascesa facile e rapida.
Alcuni di essi portano, presso l'estremità superiore , un'asta orizzontale,
disposta trasversalmente, che si chiama pennoncino; questo risulta partico-
larmente utile per alzare bandiere o altri segnali perché provvisto di nume-
rosi piccoli bozzelli nei quali sono inferite altrettante sagole (fig. 9) che fan-
no capo a un ponte di sovrastruttura o al ponte di coperta. 7

7 Le sagole per le bandiere sono talvolta sostenute da un cavo che si chiama draglia e
che si estende fra il fumaiolo e la parte superiore dell'albero installato a proravia del ponte
di comando.

216
Un'altra asta che si trova talvolta applicata a poppavia dell'alberetto di Fig. 9 • Albero
portasegnali
maestra, più o meno inclinata rispetto al piano orizzontale e giacente nel di una grande
piano diametrale, è il picco. Al picco (fig. 1) si inalbera la bandiera nazionale nave cisterna.
quando la nave è in navigazione, mentre durante le soste nei porti o nelle
rade la stessa bandiera viene alzata all'asta di poppa o asta della bandiera ,
ossia a un'asta che si innalza, verticalmente o quasi, al di sopra del corona-
mento o dell'estremità poppiera di un ponte del cassero di poppa (fig. 6,
cap. III).
Anche sull'estrema prora si nota la presenza di un'asta disposta verti-
calmente che si chiama asta del jack e alla quale si inalbera una piccola ban-
diera con i colori della società armatrice della nave. 8

Un apposito cavetto - drizza, - inferito in un bozzello ammanigliato all'albero, si collega


alla draglia e consente di ammainarla quando la sua presenza intralcia le operazioni di carico
e scarico.
Altre drizze permettono di compiere la stessa manovra con l'antenna della stazione radio,
solitament:B costituita da un cavetto di rame che si distende fra un albero e l'altro.
8 Gli stessi colori sono ben visibili sul fumaiolo della nave. All'asta del jack si alza nor-
malmente anche il segnale di nave all'ancora prescritto dal regolamento per prevenire gli ab·
bordi in mare.

217
Sistemazioni per la
manovra del carico
CAPITOLO

1. Generalità

I mezzi per la caricazione e la scaricazione delle merci sono caratteristici


delle navi da carico, ma vengono installati, con maggiori o minori limitazio-
ni, anche su altri tipi di )lavi.
Premesso che esistono navi portarinfuse del tutto prive di sistemazioni
per la manovra del carico, 1 osserviamo che queste possono variare senGi-
bilmente da nave a nave, dovendo soddisfare esigenze spesso diverse.
Soluzioni del tutto particolari vengono perciò adottate anche per navi
dello stesso tipo, ma differenze di carattere sostanziale si registrano so-
prattutto fra le sistemazioni per la manovra dei carichi liquidi (navi cister-
na) e quelle per la manovra dei carichi solidi (altri tipi di navi).
Le sistemazioni per la manovra dei carichi liquidi sono infatti costittii-
te da un complesso di tubazioni e pompe di grande portata, mentre per la
movimentazione dei carichi solidi ci si avvale di gru oppure picchi di cafi-
2
co, capaci di sollevare anche pesi di notevole entità sfruttando la poten:z.a
sviluppata da speciali ma.cchine che si chiamano verricelli (fig. 1).

Fig. 1 • Verricello delle


sistemazioni per il
carico.

1 Queste navi sono ovviamente vincolate a svolgere il loro servizio fra porti dotati di at-
trezzature per la movimentazione delle merci alla rinfusa (carbone, minerali, fosfati, grafla-
glie ecc.).
2 Esistono sistemazioni che vantano una portata di 2 500 e più kN.

219
2. Picchi di carico

Il picco di carico o bigo è un lungo tubo d'acciaio avente una estremità


- piede - incardinata presso la base di -un albero o di una colonnz. di carico
(fig. 7, cap. XIII e fig. 3).
11 collegamento fra l'albero o la colonna di carico e il piede del bigo è
realizzato in modo che questo sia libero di ruotare sia in un piano verticale
che in quello orizzontale.
Ad assicurare al bigo la possibilità di effettuare tutti i movimenti che
sono necessari per la movimentazione del carico provvedono alcuni cavi
(manovre) che si dipartono dalla sua estremità libera o testa.

Le manovre dei bighi possono avere caratteristiche diverse, ma sono 'm-


variabilmente costituite dai seguenti elementi (fig. 2):

amantii;jliO ,

"O
(I)

"'
(")

"'
:,
~

fir;i. 2 - Manovre
dei bighi e relativi
verricelli: 1) verricelli
dell'am~ntiglio;
2} verricelli degli
ostini; 3) verricello
della spagnola;
4) comandi per la
manovra cornbina1a
dei verricelli,
degli amantigli, degli
ostini e della spagnola;
5) verricelli dei
pescanti; 6) comandi
per la manovra dei
verricelli dei pescantì.

.a) un cavo oppure un sistema funicolare di sospendita - amante o


amantiglio-, talvolta associato ad uno speciale verricello per la sua mano-
vra, che collega la parte superiore dell'albero o della colonna con la testa
del bigo e che permette di farlo ruotare nel piano verticale, ossia di alzarlo
e abbassarlo;
b) un sistema funìcolare - ostìno esterno - che da11a parte 1aterale
esterna della testa del bigo scende in coperta e che si usa per br andeggiare
il bigo, ossia per farlo ruotare nel piano orizzontale (anche l'ostino può essere

220
associato a un verricello, ma per molte sistemazioni è prevista la manovra
manuale) e per impedirgli di oscillare quando si sollevano o si abbassano
pesi;
c) un sistema funicolare - ostino interno - del tutto simile al prece-
dente e avente origine nella parte laterale interna della testa del bigo, op-
pure un sistema funicolare - spagnola - che collega le parti laterali inter-
ne delle teste di ciascuna coppia di bighi e che svolge, con minore ingombro,
le stesse funzioni dei rispettivi ostini interni;
d) un cavo oppure un sistema funicolare - pescante - che viene utiliz-
zato per sollevare, abbassare e spostare pesi e che, partendo da un verricel-
lo installato vicino al piede del bigo, giunge in coperta o nella stiva o sulla
banchina portuale dopo essere passato sotto la sua testa. 3
Per far passare il pescante sotto la testa del bigo, seguendo un per-
corso il meno ingombrante possibile, si usano bozzelli di adeguata robu-
stezza e convenientemente sistemati sotto il piede e sotto la testa.
Altri bozzelli sono utilizzati per realizzare gli ostini, le spagnole e gli
amantigli a paranco e per far discendere gli amantigli dalla parte superiore
degli alberi alla coperta o ai verricelli di manovra (fig. 3).
Numero e lunghezza dei bighi sono stabiliti tenendo conto delle caratte-
ristiche della nave e avendo presente l'esigenza di poter contare su uno
sbraccio - volata - che consenta di portare e prendere il carico a 2 m circa
4
dalla murata con una elevazione sensibilmente superiore a quella minima.

Il peso massimo sollevabile da un bigo - portata - viene accertato dal


R.I.Na mediante severe e realistiche prove di collaudo. Bisogna però rileva-
re che tali prove costituiscono l'atto finale di una serie di accertamenti che
si estendono anche agli alberi e alle loro attrezzature.
Anche ai fini del rilascio dei documenti prescritti dalle norme della Or-
ganizzazione Internazionale del Lavoro (O.I.L.), il R.I.Na esamina e appro-
va infatti preventivamente i disegni e i calcoli relativi agli alberi e ai loro
accessori, i disegni delle sistemazioni per il carico, il diagramma relativo
alla determinazione degli sforzi nel picco e nell'amantiglio, i diagrammi de-
gli sforzi dei bozzelh di rinvio sistemati in testa d'albero, i calcoli relativi
agli sforzi nei vari tratti di pescante e amantiglio.

Il R.I.Na procede inoltre al collaudo e alla marcatura dei vari elementi


della sistemazione, si accerta che ogni singola parte di essa corrisponda ai
disegni approvati, che la messa in opera sia stata effettuata a regola d'arte,
che siano soddisfatte norme tecniche ben definite.

:i I sistemi funicolari costituenti le manovre dei bighi sono solitamente del tipo «ghia
doppia" o del tipo «paranco semplice».
4 Per elevazione minima si intende la elevazione minima di lavoro che è di 15 °.

221
Fig. 3 • Parti di una si-
stemazione per il carico
(A, B).
i
I
i
I
I
I 9
8

lj,
11

12

19

l A: 1) Picco con amantiglio semplice: 2) articolazione


inferiore; 3) bozzello per pescante: 4) bozzello di rin·
!i vio del pescante; 5) grillo; 6) bozzello di rinvio dell'a·
mantiglio: 7) attacco superiore dell'amantigllo·. 8)
grillo; 9) redancia; 1O) amantiglio; 11) piastra trian-
golare; 12) catena dell'amantiglio'; 13) piastra di at·
tacco: 14) pescante; 15) redancia; 16) grillo: 17)
penzolo di catena; 18) tornichetto per gancio; 19)
gancio di sollevamento: 20) penzolo per la manovra
dell'amantiglio.

B: 1) Picco: 2) articolazione inferiore: 3) articolazione


superiore: 4) attacco amantigl io; 5) e 6) forchetta
doppia; 7) grillo; 8) bozzello superiore paranco del
pescante; 9) bozzello rinvio pescante: 10) bozzelli
paranco amantiglio; 11) bozzello rinvio amantiglio:
12) attacco bozzello rinvio amantiglio: 13) grillo; 14)
pescante; 15) amantiglio; 16) grillo: 17) redancia:
18) bozzello inferiore paranco del pescante; 19) grillo
di sollevamento; 20) verricello del pescante; 21) ver·
ricello dell'amantiglio.

222
Fig. 4 (a fianco) - Gru
a pescante semplice
per merci varie.

Fig. 5 (sotto) - Gru a


portale per merci
alla rinfusa: a) gru
fissa su portale
scorrevole
longitudinalmente:
b) gru scorrevole
trasversalmente
su portale scorrevole
longitudinalmente

223
3. Gru

La crescente diffusione delle gru come mezzi per la caricazione e la sca-


ricazione delle merci (fig. 4) è giustificata, anche per le navi che non svolgo-
no servizi particolari, dalla compattezza e sicurezza di questo tipo di siste-
mazione, dalla rapidità con cui essa può entrare in azione e dalla semplicità
delle operazioni richieste per il suo impiego.
Indipendentemente dalle sue caratteristiche costruttive, una gru può in-
fatti operare senza l'ausilio di alberi e di verricelli, può svolgere da sola tut-
ti quei servizi che nelle sistemazioni tradizionali richiedono la disponibilità
di due picchi di carico, può alzare, abbassare e spostare pesi con rapidità
e sicurezza sotto il controllo di un unico operatore.
Ciò in quanto la gru ha un motore, elettrico o elettroidraulico, che le
consente di assumere una elevazione variabile, di ruotare attorno ad un
asse verticale, di manovrare il pescante e di spostarsi, se previsto, su ferro-
guida disposta longitudinalmente o trasversalmente.
Gru speciali, dette a portale, sono usate sulle navi portacontenitori e
portachiatte5 per una razionale e sicura movimentazione del loro partico-
lare tipo di carico. Tali navi dispongono generalmente di una sola gru la cui
portata soddisfa ogni prevedibile esigenza e che può spostarsi da prua a
poppa scorrendo su apposite ferroguide.
Gru a portale si trovano talvolta anche sulle navi portarinfuse (fig. 5)
per assicurare la necessaria rapidità di imbarco e sbarco nei porti sprovvisti
di adeguate attrezzature. La loro manovra è normalmente affidata ad un
conduttore, ma non mancano sistemazioni dotate di dispositivi che consen-
tono di automatizzare le varie operazioni.

0
Le portachiatte sono di solito chiamate navi LASH (lighters aboard shi p).

224
!' l
Sistemazioni per la
manovra dei carichi liquidi s! IIY
.
CAPITOLO

1. Generalità

La movimentazione dei carichi liquidi delle navi cisterna in generale e


delle petroliere in particolare, è resa possibile dall'esistenza di un sistema
di tubazioni e pompe principali e di un sistema di tubazioni e pompe per
il prosciugamento o sgottamento o drenaggio o stripping.
A queste sistemazioni, che costituiscono gli impianti veri e propri per
la caricazione e la scaricazione delle cisterne, si aggiunge un impianto per
il riscaldamento del carico, un impianto per il lavaggio delle cisterne e un
impianto per la degassìficazione delle stesse.
Per il collegamento fra le tubazioni di bordo e quelle di terra si utilizzano
grosse manichette flessibili che vengono manovrate con picchi di carico o
gru a tal fine installati nelle zone in cui si trovano gli sbocchi delle parti ter-
minali delle tubazioni di bordo.
Allo scopo di rendere possibili le operazioni di carico e scarico in qualsia-
si condizione di ormeggio, le tubazioni per il carico sono normalmente rea-
lizzate in modo da poter disporre di tre parti terminali. Di tali parti, defini-
te stazion1: di carico o manifolds, due ~i trovano a mezza-nave (una a dritta
e l'altra a sinistra) e una a poppa (fig. 1).

Fig. 1 - Stazioni di ca-


rico (manilolds)
e tubazioni
di coperta di una
grande nave cisterna .

225
2. Sistema di tubazioni e pompe principali

Il sistema di pompe principali è normalmente costituito da tre o quat-


tro pompe centrifughe di grande portata, 1 installate in un apposito com-
partimento - locale pompe - e azionate da turbine a vapore o da motori
elettrici o da motori diesel. 2
Per eliminare una fonte dì riscaldamento nel locale pompe ed il pericolo
di esplosioni, la parte motrice della pompa viene normalmente sistemata in
un locale attiguo (locale apparato motore se il locale pompe si trova a pop-
pa, come nella maggior parte delle sistemazioni) e il suo albero di comando
attraversa la paratia stagna che separa i due compartimenti, con passaggio
stagno ai gas.
Il sistema di tubazioni principali è solitamente formato, oltreché dalle
già menzionate stazioni di carico, dalle parti sottoindicate (fig. 2):

riscaldatore-

Fig. 2 • Sistema di
pompe e tubazioni per
il carico
(p.m. =presa
dal mare).

a) tre o quattro tubi di grande diametro - collettori - che corrono sul


fondo e sopra la coperta, sboccando nel locale delle pompe dove si collegano
ai tubi di aspirazione e mandata delle stesse;
b) diversi tubi verticali - cadute - che collegano opportunamente i col·
lettori di coperta con quelli del fondo e che consentono di effettuare la cari-

1 Numero e portata delle pompe principali variano con il tonnellaggio e le caratteristiche


della nave. Gli impianti sono solitamente realizzati tenendo presente l'esigenza di effettuare
la scaricazione in meno di 24 ore.
2 Nelle navi adibite al trasporto di gas liquidi a bassissima temperatura (metaniere) le
pompe principali sono sistemate sul fondo delle cisterne (pompe immerse).

226
cazione senza far passare il carico attraverso il locale pompe; a
c) numerosi tubi trasversali o longitudinali - branchetti di derivazione
- che si dipartono dai collettori del fondo e sboccano nei punti più bassi
delle cisterne;
d) alcuni tubi trasversali - traverse - che collegano fra loro i collettori
del fondo e i tubi di aspirazione e mandata delle pompe;
e) numerose valvole di intercettazione - valvole a saracinesca - mano-
vrabili dal ponte di coperta o con dispositivi di telecomando i cui terminali
sono raggruppati in uno speciale banco - consolle - sistemato in un locale
chiamato centrale di caricazione (la posizione delle valvole a saracinesca di-
pende dalle caratteristiche della sistemazione e dalla esigenza di poter cari-
care e scaricare ciascuna cisterna utilizzando uno qualsiasi dei collettori di
coperta e del fondo, di poter collegare ciascun collettore con una qualsiasi
delle pompe principali, di poter escludere una qualsiasi delle cisterne dalle
operazioni di carico e scarico).
Diversi sono i criteri seguiti per la realizzazione del sistema di tubazioni
principali, tuttavia si può ritenere che questi conducono sostanzialmente ad
un sistema detto anulare, ad un sistema detto free-flow o ad un sistema det-
to diretto.
Con il sistema anulare il fondo delle cisterne viene percorso da uno o
più collettori ad anello (fig. 3) che, con l'ausilio di branchetti di derivazione,
traverse e saracinesche, mettono in comunicazione ciascuna cisterna con
ciascuna pompa principale.

Fig. 3 - Schema di
sistema anulare:
1) collettore
ad anello: 2) traversa;
3) valvola a
saracinesca;
3 2 2 4) pompa pri nei pale.

Il sistema free-flow (fig. 4) consente di semplificare e ridurre notevol-


mente le tubazioni del fondo, ma presenta lo svantaggio di dover svuotare
le cisterne contemporaneamente o secondo un ordine rigidamente presta-
bilito.
Sul fondo di una nave dotata di sistema free-flow non esistono veri e
propri collettori; il carico viene infatti aspirato soltanto dalle cisterne pop-
piere, dove può affluire liberamente in seguito all'apertura di saracinesche
installate sulle paratie stagne trasversali.

3 Escludere o by-passare il locale pompe è quanto mai opportuno perché l'imbarco si ef-
fettui senza usare le pompe di bordo. Il carico affluisce infatti alla stazione di carico sotto pres-
sione generata per gravità o a mezzo di pompe sistemare a terra.

227
Fig. 4 (a destra)
Schema di sistema
free-flow:
1) valvola a
saracinesca;
2) traversa:
3) tubo di aspirazione: 4 3 2
4) pompa principale.

UI Il

I
5 2 4 3 3 2 4 3 2 4 1

Fig. 5 - Schema di Il sistema diretto (fig. 5} è indubbiamente il più diffuso perché offre le
sistema diretto: maggiori possibilità di adattamento alle particolari esigenze delle navi in
1) traversa;
2) valvola master: cui viene installato.
3) valvola cross-aver: Per una sia pur rapida descrizione delle sue caratteristiche bisogna in-
4) valvola a
saracinesca: nanzitutto precisare che la sua utilizzazione comporta la necessità di divide-
5) pompa principale: re la parte di nave destinata al carico in tre zone.
I) primo gruppo Ogni zona è servita da una pompa principale collegata a un collettore
di cisterne;
Il) secondo gruppo di fondo dal quale si dipartono branchetti di derivazione che sboccano nelle
di cisterne: cisterne che essa racchiude.
111) terzo gruppo I diversi collettori del fondo sono a loro volta collegati da traverse prov-
di cisterne.
viste di speciali saracinesche, chiamate cross-over, mentre ciascuna zona
può essere isolata dalla rispettiva pompa mediante la chiusura di una sara-
cinesca principale detta master.
Ciò consente di vuotare ciascuna cisterna con una qualsiasi delle pompe
principali e di utilizzare la pompa di una zona per accelerare la scaricazione
delle cisterne delle zone rimanenti.
Il sistema di tubazioni e pompe principali di una nave cisterna può esse-
re eccezionalmente usato anche per lo sbarco e l'imbarco della zavorra sem-
preché siano rispettate le norme della Convenzione Internazionale per la
prevenzione dell'inquinamento causato da navi (MARPOL 73/78). 4
Una sistemazione principale utilizzabile anche per le operazioni di za-

4 Le norme MARPOL prescrivono fra l'altro la disponibilità di pompe e t ubolature di za-


vorra separate da quelle del carico e di cisterne esclusivamente destinate a contenere zavorra
(cisterne per zavorra segregata).

228
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P.M, fondo

Fig 6 -
Rappresentazione
schematica di un
v-----------------~ e sistema di tubazioni e
pompe principali:
P) pompa:
CC) caduta:
TT) 1raversa dei
collettori ;
AA) traversa dei tubi
di aspirazione:
SS) traversa dei tubi
di mandata:
VZ) collettore di
coperta coperta :
PM ) presa dal mare.

vorramento è evidenziata nello schema sopra riportato (fig. 6). Si tratta,


com'è facile rilevare, di un sistema diretto con tre pompe e altrettanti col-
lettori di fondo che possono essere messi in comunicazione con il mare
aprendo le valvole di una traversa sistemata nel locale pompe. Osservando
lo schema citato si rileva inoltre che:
• le traverse TT, con doppia saracinesca di intercettazione, permettono
di collegare ciascun collettore con ciascuna pompa;
• la traversa RR, collegante le aspirazioni delle pompe, permette di far
aspirare una pompa qualsiasi da uno qualsiasi dei collettori;
• ciascuna pompa ha un collegamento diretto con il rispettivo collettore
di coperta, ma si può inviare il carico in uno qualsiasi di questi collettori,
grazie alla presenza della traversa SS dei tubi di mandata delle pompe;

229
,
I

• le cadute CC permettono di by-passare il locale pompe durante la carica-


zione, ma è possibile, se necessario, effettuare la caricazione con le pompe
di bordo e travasare il carico da un gruppo di cisterne ad un altro utilizzan-
do una qualsiasi delle pompe.
Per fronteggiare efficacemente i fenomeni di corrosione si dovrebbero
usare tubazioni in ghisa, ma la necessità di ridurre il loro peso impone solu-
1 zioni diverse. Generalmente vengono installati collettori di coperta (fino
alla mandata delle pompe) in acciaio e collettori di fondo, branchetti e tra-
verse in ghisa. 5
Il passaggio dei tubi attraverso le paratie è reso stagno a mezzo di Jian-
ge di unione con le lamiere delle stesse; appositi giunti di dilatazione con-
sentono invece di assorbire senza danno gli allungamenti che i collettori su-
biscono a causa delle sollecitazioni che si registrano sul ponte e sul fondo
dello scafo.
Le valvole a saracinesca sono manovrate dal ponte di coperta 6 a mezzo
di aste in acciaio comandate da volantini sistemati a conveniente altezza e
provvisti di indice di apertura e chiusura (fig. 7).
Gli sbocchi dei branchetti di derivazione dei collettori del fondo sono
protetti da pigne a scarpa sistemate a non più di 15 mm dal fondo e in pros-
simità della parte centrale delle paratie poppiere delle cisterne.
Fig. 7 • Valvola
a saracinesca.
3. Sistema di tubazioni e pompe per lo stripping

Poiché il sistema principale non consente di prosciugare completamente


le cisterne, sia perché le grandi pigne delle condotte di aspirazione non fa-
voriscono un totale esaurimento del carico, sia perché le pompe centrifughe
non aspirano facilmente le morchie delle nafte che si depositano sul fondo,
le navi cisterna sono solitamente dotate di un sistema supplementare che
viene utilizzato per completare la scaricazione e che si definisce di sgotta-
mento o di prosciugamento o di drenaggio o di stripping.
Questo sistema è sostanzialmente costituito da un collettore di fondo e
branchetti di aspirazione in tutto simili ai collettori di fondo e ai branchetti
di aspirazione del sistema principale, ma di diametro notevolmente più
piccolo.
Una o due pompe a stantuffo, sistemate nel locale pompe, e un adeguato
numero di valvole a saracinesca azionabili dal ponte di coperta a mezzo di
appositi volantini di manovra, 7 consentono di aspirare da qualsiasi cister-
na fino al suo completo prosciugamento.

5 Ciò in quanto la corrosione è particolarmente temibile nelle zone basse delle cisterne
dove, per le ragioni che conosciamo, vi è alternanza di carico e di acqua di mare. Sulle navi
che trasportano gas liquidi o prodotti chimici può essere necessario usare tubazioni in acciaio
inossidabile.
fi Nelle navi moderne esistono anche telecomandi accentrati nella centrale di carica-
zione.
7 Nelle navi moderne esistono, anche per le valvole del sistema stripping, telecomandi

accentrati nella centrale di caricazione.

230
4. Impianti per il riscaldamento del carico

Un impianto per il riscaldamento del carico si rende necessario per evi-


tare riduzioni di portata delle pompe, e funzionamento delle stesse in condi-
zioni di precarietà, quando si procede alla scaricazione di prodotti a elevata
densità e viscosità.
L'impianto risulta sostanzialmente costituito da:
a) un complesso di serpentine sistemate nella parte inferiore di ciascuna
cisterna e attraversate da vapore acqueo che assicura la possibilità dì por-
tare il carico, nelle vicinanze delle aspirazioni, ad una temperatura non in-
feriore a 50 °C (fig. 8).

Fig. 8 • Serpentine
di riscaldamento
del carico.

b) una fonte generatrice di vapore - evaporatore - situata nel locale


apparato motore;
c) un collettore di mandata del vapore che corre sul ponte di coperta e
che, a mezzo di derivazioni, consente di convogliare il vapore dall'evapora-
tore alle serpentine delle cisterne;
d) un collettore di scarico, anch'esso installato sul ponte dì coperta, che,
opportunamente collegato alle serpentine, consente di far ritornare all'eva-
poratore il vapore di scarico.

5. Impianto per il lavaggio delle cisterne

Il lavaggio delle cisterne deve essere effettuato, dopo la scaricazione,


per liberare le pareti e il fondo dai residui dei prodotti trasportati.

231
Per soddisfare questa esigenza sono disponibili diversi tipi di impianti
di lavaggio, ma il più usato è quello che viene indicato con il nome di siste-
ma, Butterworth.
Un impianto Butterworth assicura la possibilità di inviare, in ogni punto
delle cisterne, potenti getti di acqua pressurizzata fredda, o a elevata tem-
peratura. A tale scopo, attraverso apposite aperture del ponte o attraverso
i boccaportelli delle cisterne, vengono calate, all'interno di ciascuna cister-
na, manichette flessibili di lunghezza regolabile portanti all'estremità infe-
riore un apparecchio - Butterworth - la cui parte più importante è un

Fig, 9 - Sutterworlh:
a) a due ugelli; a
tl) a tre ugelli,

doppio o triplo ugello (fig. 9). Gli ugelli dei Butterworth possono essere fatti
ruotare, sia in un piano orizzontale che in un piano verticale, per lavare ac-
curatamente tutta la cisterna in cui operano.
L'acqua che fuoriesce dagli ugelli può essere portata alla temperatura
richiesta per le operazioni di lavaggio in un apposito riscaldatore a vapore.
Una pompa provvede a inviare l'acqua di lavaggio in un collettore di
coperta 8 alle cui diramazioni si innestano le manichette del Butterworth.
L'emulsione di acqua e residui che si accumulano sul fondo delle cisterne
viene espulsa fuoribordo o raccolta in cisterne di decantazione (slop-tanks)
a mezzo delle sistemazioni per lo stripping.
Per le nuove costruzioni di S.L. superiore a 20 000 tonnellate è prescrit-
to dalle norme MARPOL 73/78, ~ un impianto per il lavaggio periodico del-
le cisterne con il sistema COW (Crude Oil Washing), ossia un impianto
(pompe, tubolature e macchinette fisse per il lavaggio) che consente di lava-
re le cisterne con getti del petrolio grezzo che esse contengono e di risciac-
quarle successivamente con acqua.
Le stesse norme stabiliscono regole precise per la sicurezza delle opera-
zioni di lavaggio, 10 per il trattamento e la conservazione a bordo dei resi-
dui oleosi, per la loro discarica a mare e a terra.

8 Normalmente si utilizza per questo servizio il collettore antincendio.


\I Convenzione 1973 e Protocollo 1978 sulla prevenzione dell'inquinamento causato da
navi,
10 Il sistema COW deve essere utilizzato, per ragioni di sicurezza, con le cisterne inertiz-
zate (ciò presuppone la disponibilità di un impianto a gas inerte).

232
6. Impianti di degassiticazione

Un impianto di degassificazione è necessario per eliminare il pericolo di


esplosioni nelle cisterne.
I
1
i:!

'i
Questo pericolo sussiste quando il gas che si accumula nelle cisterne

Fig. 10 • Valvola
automatica per gli
sloghi dei gas:
a) valvola chiusa:
b) valvola aperta
da insufficiente
pressione nella
cisterna (afllusso di
aria esterna): c) valvola
aperta da eccessiva
pressione del gas della
a b e cisterna {fuoriuscita
di gas).

per l'evaporazione dei prodotti petroliferi o dei loro residui è presente in


percentuali comprese fra il 2% e il 9% del volume d'aria (mentre la percen-
tuale di ossigeno supera 1'11 %) e pertanto i dispositivi utilizzati per la de-
gassificazione hanno lo scopo di evitare la formazione di miscele esplosive,
sia a nave carica che a nave scarica, e particolarmente durante le operazio-
ni dì lavaggio.
11
All'evacuazione del gas dalla parte superiore di una cisterna carica si
provvede mediante sfoghi che si aprono spontaneamente quando la pressio-
ne raggiunge un valore prefissato.
Ogni sfogo, solitamente costituito da un caminetto alto un metro circa
e sormontato da valvola automatica (fig. 1O) che si apre per far uscire il gas
quando la pressione supera un valore massimo prefissato o per far entrare
l'aria quando la stessa scende al disotto di un valore minimo ugualmente
prefissato, potrebbe essere indipendente ma, per ragioni di sicurezza, si
preferisce una sistemazione che consente di portare il gas a notevole altez-
za sul ponte di coperta.
Per soddisfare questa esigenza si collegano i singoli caminetti con un
collettore che sfocia nella parte superiore degli alberi o delle colonne di ca-
rico ed i cui sbocchi possono essere sormontati da valvola automatica o da
retina antifiamma..
Per degassificare le cisterne durante le operazioni di lavaggio le navi del
passato potevano soltanto attivare una energica circolazione d'aria, apren-

11 Le cisterne non vengono mai riempite completamente per non mandarle in pressione
in caso di dilatazione del carico conseguente ad aumenti di temperatura. L'altezza del vuoto
- uUage - risulta normalmente uguale al 3% circa dell'altezza della cisterna.

233
do tutti i boccaportelli, inserendo maniche a vento di tela in ogni comparti-
mento e azionando speciali ventilatori o aspiratori meccanici.
Si intuisce tuttavia che, dovendo passare con la sola ventilazione da una
atmosfera non esplosiva perché troppo ricca di gas (quale è quella di una
cisterna appena svuotata) ad una atmosfera non esplosiva perché troppo
povera di gas (quale è quella di una cisterna lavata e pronta per la caricazio-
ne), è difficile evitare che per un certo periodo di tempo sia presente, in cia-
scuna cisterna, una miscela esplosiva.
Ora, se durante tale periodo dovesse scoccare una scintilla per cause im-
prevedibili, niente potrebbe evitare l'esplosione.
È proprio per eliminare questo periodo di potenziale pericolosità che
sono stati ideati, e resi obbligatori per navi di SL superiore a 20 000 ton,
adeguati sistemi di protezione a gas inerte, 12 ossia sistemi che consento-
no di evitare la formazione di miscele esplosive mantenendo bassa la per-
centuale di ossigeno presente nell'aria delle cisterne.
Semplificando al massimo, si può ritenere che un impianto a gas inerte
sia costituito tla una apparecchiatura che invia nelle cisterne, dopo averli.
accuratamente depurati e raffreddati, i prodotti gassosi della combustione
che si svolge nell'apparato motore (fig. 11).
È evidente che con l'immissione nelle cisterne di un flusso di gas inerte
si ottiene una progressiva riduzione dell'ossigeno e dei gas infiammabili
presenti nella loro atmosfera; è parimenti evidente che il potenziale perico-
lo di esplosione può essere eliminato se si agisce in modo da far scendere
la percentuale di ossigeno al disotto dell'l l % prima che la percentuale di
gas infiammabile scenda al disotto del 9% e se si opera in modo da conser-
vare tale condizione finché quest'ultima percentuale non risulti inferiore a1
2% (fig. 12).
Gli impianti attualmente disponibili consentono di mantenere in perma-
nenza una atmosfera inerte nelle cisterne cosicché 1a nave possa effettuare
anche le operazioni di caricazione e scaricazione in condizioni di massima
sicurezza.

7, Sistemi automatizzati

Sul1e navi di vecchia concezione il personale di bordo deve provve-


dere direttamente all'apertura e al1a chiusura delle valvole degli impian-
ti di caricazione e di stripping, alla misura del livello del carico, 13 alla
misura della sua temperatura e della sua densità, 11 alla misura della pres-
sione e della concentrazione del gas nelle cisterne e a tutte le altre operazio-
ni che si rendono necessarie per una razionale utilizzazione del volume di-
sponibile.
Le navi più moderne sono dotate di apparecchiature che liberano il

12 L'obbligatorietà e le caratteristiche dei sistemi di protezione a g,ts inerte (I.G.S.) sono


stabilite dalle norme MARPOL 73178.
13 Il liveJlo raggiunto dal carico in ciascuna cisterna può essere tuttora misurato con son-
de galleggianti di tipo manuale. Le sonde galleggianti consentono di misurare l'altezza del
vuoto, ma da questo elemento sì risale facilmente al volume occupato dal carico.
14 La conoscenza della temperatura e della densità permette di passare dal volume alla

massa del carico contenuto in ciascuna cisterna.

234
5

6
'-:
I ~
i
"' '_)
6

•-9

Fig. 11 - Schema di impianto a gas Inerte: 1) condotto dei fumi della combustione: 2) indicatore di ossige-
no: 3) cassa di raffreddamento e depurazione; 4) rivelatore-alta temperatura del gas: 5) presa d'aria : 6)
ventilatore: 7) condotta per il ritorno in circolo del gas: B) condotta mandata gas alle cisterne: 9) valvola
manovrata da dispositivi di asservimento: 10) valvola manovrata a mano.

Fi9. 12 • Protezione ► o
delle cisterne a mezzo
20
di gas inerte: l'afflusso
di gas inerte provoca
,, .,., ,,,, ,
~

una diminuzione di .,"',,,:,/


., ,,, ,; ,,,,,,
;' ,,,
gas infiammabile /., ,/.,..,,,",
senza far aumentare ,;/,,,..,m,s~
,,"., ,,esp o
/ .,.,
16
la percentuale di
ossigeno (il gas .,, ,,,, y,,,,,., .,",,,,.-;./
infiammabile ,, ,, ,,,,, ,, ,,
diminuisce
percentualmente 12
come indicato dal
segmento ab); la
successiva ;;
'\
ventilazione innalza la "
~ '\
percentuale di 8
ossigeno senza ! '\
8.
formazione di miscela
esplosiva (l'ossigeno
'\
passa dal 4% al a
21% come indicato 4 -
dal segmento bo).

pércentuale di gas Infiammabi le

o
o 2 4 6 8

personale da molti di questi compiti. Tali apparecchiature offrono infatti la


possibilità di effettuare le diverse operazioni dalla centrale di caricazione,
quando non consentono di limitarsi soltanto ad assicurarsi che i dispositivi
di automatizzazione funzionino regolarmente e che le operazioni si svolga-
no seguendo il programma prestabilito (fig. 13).

235
D
o
D

14

Flg. 13 - Sistema automatico AEG-LOGSTRIP per la caricazfone a sc,ricazlone di grandi petroliera: 1) calco-
latore df carico: 2) quadro di programmazione; 3) parte elettronica; 4) quadro di comando per due pompe
principali e due pompe •stripping»: 5) Indicatore di veiocità della pompa: 6) indicatore di posizione del re-
golatore di vapore vivo;. 7) regolatore di vefqcità: 8) indicatore della pressione del vapore vivo: 9) indicatore
della pressione del vapore di.scarico.; 10) spie e pul.sant1 per telecomandare l'avviamento delle turbine; 11)
quadro di comando econttolkl del\~ vat.iò\e «master-• e •crosS-Ò'•ier»; 12} inàicatore di posiz\one: 13) pul-
santi di «apertura» e «chlùsura• v.ilvole; 14) conso11e·ibanco di comando); 15) indicatore d'asse1to; 16)
indicatore di sbandame,ito: 17) indi<;atore.pescagglo di poppa; 18). indicatore pescaggio al centro. lato sinl-
·. .• ·,.
o

28

AEG

b
33

stro; 19) Indicatore pescaggio al centro, lato dritto; 20) iridicatore pescaggio di prua: 21) microfono; 22)
avviamento automatico; 23) blocco di emergenza: 24) soppressione blocco di emergenza: 25) quadro di
controllo; 26) commutatore-selettore per la caricazione automatica, la scarlcazione automatica e il teleco·
mando: 27) telefono; 28) quadro di simulazione; 29) quadro di comando e controllo per le cisterne di carico;
30) indicatore di posizione della valvola principale; 31) indicatore di livello; 32) indicatore di posizione cli
valvola •strippar»: 33) regolazione del «peso specifico»; 34) pulsanti di «apertura» e «chiusura• per teleco·
mando; 35) indicatore di posizione dèlle saracinesche-del .sist~ma«free-flow•: a) dritta; b) centro nave;
c) sinistra; d) corridoio di servizio.
• lnerdzzare il Doppio Fondo per non meno di dodici ore.
• Lavaa(o a ciclo continuo per non meno di quattro ore.
• Dqu1lfleulone per non meno di ventiquattro ore tramite ventilazione allo scopo di
rimuovere e sostituire con aria i vapori di idrocarburi e il gas inerte per rendere il
Doppio Fondo accessibile a visita.
Ancore e catene
CAPITOLO

1. Generalità

L'ancora è un apparecchio d'acciaio che si ammaniglia all'estremità di


una grossa catena uscente dall'occhio di cubìa, e che si usa per stabilire un
solido collegamento fra la nave e il fondo marino.
Questa forma di collegamento può rendersi necessaria anche per una
nave ormeggiata con i cavi ad una banchina o ad un molo o ad un pontile,
ma è la sola cui essa possa ricorrere quando deve sostare in una rada, al-
1
l'imboccatura di un porto, in un fiume ecc., in attesa di andare all'attracco
o per altri motivi. Per realizzarla è sufficiente lasciar cadere l'ancora sul
2
fondo, ovvero dar fondo l'ancora, con nave leggermente abbrivata in
avanti o indietro, e filare 3 fuoribordo un buon tratto di catena prima di
bloccarla mediante gli appositi dispositivi che sono a tal fine installati sulla
estremità prodiera. Bloccata la catena, si esercita sull'ancora una trazione
in conseguenza della quale essa si aggrappa sul fondo con uno o con en-
trambi i bracci di cui è normalmente provvista; l'affondarsi dei bracci sul
terreno determina quel collegamento di cui parlavamo poc'anzi e che costi-
tuisce in pratica un ormeggio idoneo ad impedire ai venti, alle onde e a1le
correnti marine di allontanare la nave dal luogo prescelto per la sosta (an-
coraggio).
Le ancore devono aver massa, forma e dimensioni adatte a favorire una
presa rapida ed efficace, ossia devono aggrapparsi prontamente sul fondo
- mordere il fondo - quando la catena entra in tensione, e mantenere la
presa anche quando, per il forte vento e per il mare agitato che investono
la nave, questa tensione assume valori elevatissimi.
La possibilità di prendere e tenere il fondo deriva dalla presenza di quei
bracci cui abbiamo accennato e che costituiscono la parte più importante
dell'ancora.
I bracci sono comunemente chiamati marre ed hanno caratteristi-
che che consentono anche di stabilire una suddivisione generale delle
ancore.
Si dicono infatti ancore a marre fisse le ancore che hanno marre for-
manti corpo unico con la parte rimanente, mentre sono indicate come

1 Andare aU'attracco, o attraccare, significa affiancarsi e ormeggiarsi ad una installazio-


ne portuale o ad un'altra nave.
2 Abbrii•o è la velocità residua o iniziale di una nave che sta per fermarsi o che si è appe-
na messa in moto.
3 Filare una catena o un cavo, significa lasciarlo scorrere lentamente e con continuità,
sotto l'azione della gravità o di altra forza, ma conservando la possibilità di bloccarlo in qual-
siasi momento.

239
ancore a marre articolate le ancore aventi marre che possono ruotare, sia
pure entro certi limiti, attorno ad un asse ben determinato.

2. Parti di un'ancora a marre fisse

Le parti che costituiscono un'ancora a marre fisse (fig. 1) assumono le


seguenti denominaziooi:
• fuso: asta cilindrica o prismatica terminante inferiormente con un rin-
grosso - diamante - dal quale si diramano le marre. La sua estremità su-
periore - testa - è forata per realizzare il collegamento dell'ancora con la
catena. Nella parte centrale del fuso è talvolta applicato un grosso anello
- anello di sospensione - che può servire per facilitare le complesse opera-
zioni di sistemazione dell'ancora nella zona di ponte o di murata - scarpa
- ad essa riservata;
• marre: bracci ricurvi e terminanti a forma di dardo, uniti al fuso a ttra-
verso il diamante e destinati a far presa sul fondo.
In ciascuna marra si distinguono le orecchie, la patta, o palma, e l'un -
ghia. Le orecchie sono le alette laterali che formano il dardo con cui termi-
na ciascuna marra; la patta o palma è la parte piana dell'orecchia; l'unghia
è l'estremità acuminata della marra.
Normalmente le ma,rre sono due ma esistono, come vedremo, anche an-
core a una sola marra e ancore a quattro marre.
L'angolo formato fra una marra e il fuso è detto a:ngolo di presa dell'an-
cora. Il suo valore è di 50° circa e può essere esattamente determinato mi-
surando l'angolo di. incidenza dell'asse del fuso con il piano in cui giace 1a
patta della marra;
• cicala: grossa maniglia - maniglione di cicala - il cui perno t rova allog-
gio nel foro esistente sulla testa del fuso.
La cicala si unisce alla catena attraverso un'altra grossa maniglia che
prende il nome di maniglione d'ancora;

Fig. 1 (a fianco) •
Ancora a marre fisse
(tipo Ammiragliato):
1) fuso; 2) ceppo;
3) cicala; 4) diamante;
5) marra; 6) patta;
7) orecchia; 8) unghia.

Fig. 2 (a destra) •
Ancora a marre 8
articolate (tipo Hall):
1) fuso: 2) cicala;
3) marra;
4) contromarra:
5) orecchia,
6) palla: 7) unghia.

240
• ceppo: trave di legno o d'acciaio fissata sulla testa del fuso e disposta
perpendicolarmente a questo e al piano delle marre.
Il ceppo deve avere lunghezza maggiore della distanza che intercorre
fra le unghie delle due marre. La sua presenza ha lo scopo di obbligare l'an-
cora a disporsi con una sola marra appoggiata sul fondo, cosicché sia assicu-
rata la presa non appena viene esercitata dal1a catena la necessaria tra-
zione.

3. Parti di un'ancora a marre articolate

La nomenclatura delle parti di un'ancora a marre fisse è sostanzialmen-


te valida anche per le ancore a marre articolate, tuttavia esistono fra i due
tipi differenze costruttive e di impiego tanto marcate da rendere necessarie
alcune precisazioni.
Innanzitutto osserviamo che la moderna ancora a marre articolate (fig.
2) è priva del ceppo perché l'azione di questo risulta del tutto superflua. In
secondo luogo rileviamo che essa è formata da due partì staccate benché
collegate fra loro mediante una robusta articolazione. Di queste due parti,
una è rappresentata dal fuso con la propria cicala, mentre l'altra - testa
dell'ancora - è formata dalle marre e da un massiccio blocco d'acciaio dal
quale esse si diramano.
L'assenza del ceppo è giustificata dal fatto che, dovendo l'ancora a mar-
re articolate «mordere il fondo» con entrambe le marre, queste si dispongo-
no spontaneamente, per effetto del loro stesso peso, nella posizione richie-
sta per fare presa.
La presa si realizza grazie all'articolazione esistente fra il fuso e la testa
dell'ancora, articolazione che consente alle marre di ruotare rispetto al
fuso, con tutta la parte dalla quale si diramano, di un angolo di 40°-45° che
costituisce l'angolo di presa dell'ancora.
Altra caratteristica delle ancore a marre articolate sono le controm arre,
ovvero delle larghe appendici ricavate sulla parte superiore del blocco dal
quale emergono le marre, e che si sviluppano in un piano perpendicolare
al piano che contiene queste ultime.
Le contromarre sono molto utili perché facilitano la presa dell'ancora.
La resistenza che esse oppongono al trascinamento sollecita infatti la rota-
zione delle marre e ne facilita l'interramento evitando all'ancora di arare,
ovvero di essere trascinata sul fondo.

4. Tipi di ancore a marre fisse

Le ancore a marre fisse sono le sole ancore di cui potevano disporre le


navi del passato ma, con la realizzazione ed il successivo perfezionamento
delle ancore a marre articolate, esse sono gradatamente scomparse dalle
attrezzature di bordo perché il loro impiego comporta diversi e non trascu-
rabili inconvenienti. Tali inconvenienti possono così riassumersi:
• manovra lunga e difficoltosa per salpare; 4

4 Salpare l'ancora significa svellerla dal fondo e sistemarla a bordo.

241
• ingombro e peso sul ponte;
• possibilità di danneggiare il fondo deilo scafo;
• possibilità di 1:nceppare" o di ammarrare 6 l'ancora.
Le difficoltà e le lungaggini nella manovra per salpare derivano dalla
presenza del ceppo. Questo impone infatti la necessità di collocare l'ancora
sul ponte o a murata, anziché sistemarla con il fuso in cubìa e le marre sal-
damente aderenti al fasciame del mascone, come avviene per le moderne
ancore a marre articolate.
L'ingombro e il peso sono determinati dalla esigenza di disporre delle
apparecchiature (gru) necessarie per alzare l'ancora fino al ponte, e dalla
presenza su di esso del ceppo o delle marre quando l'ancora non viene uti-
lizzata.
II pericolo di danneggiare il fondo dello scafo sorge dalla possibilità che
la nave vada ad ancorarsi in acque così poco profonde da urtare, quando
si sposta per assenza di vento o di corrente o per inversione della loro dire-
zione di provenienza, contro la marra che rimane sporgente dal fondo
marino.
La stessa marra o il ceppo possono infine impigliarsi nella catena provo-
cando quelle situazioni dì ammarramento o di inceppamento che non solo
comportano perdita di tempo per liberare l'ancora quando essa viene salpa-
ta, ma rischiano di spedare l'ancora, ovvero di svellerla dal fondo quando
più necessaria sarebbe la sua azione, con conseguenze facilmente immagi-
nabili per la sicurezza della nave.
Le ancore a marre fisse sono normalmente dotate di due marre ma
non mancano esempi di ancore con un numero diverso di marre e che
possono essere ancor oggi utilmente impiegate per ormeggi di tipo parti-
colare.
Dal numero delle marre e dalle caratteristiche del ceppo deriva la se-
guente classificazione delle ancore a marre fisse:
• ancora comune: ancora a due marre, nota anche come ancora romana
perché deriva dal modello ideato dagli antichi romani (fig. 3). Il suo ceppo
è di legno e risulta costituito da una coppia di robuste travi di quercia che
imprigionano il fuso e sono stabilmente unite fra loro mediante un congruo
numero di solidi collari metallici;
• ancora Ammiragliato: ancora simile a quella comune ma con il ceppo
metallico e smontabile anziché fisso 7 (fig. 4).
II ceppo di queste ancore è costituito da un palo d'acciaio che si introdu-
ce in un foro a tal fine praticato nella testa del fuso, e che può essere sfilato
per ridurre l'ingombro quando l'ancora è in posizione di riposo.
L'inamovibilità del ceppo durante l'ancoraggio è assicurata da un rin-
grosso ricavato a metà circa della sua lunghezza e da una chiavetta che

5
Ancora inceppata è un'ancora la cui catena è rinìa!lta impigliata sul ceppo.
6
Si dice ammarrata l'ancora che ha la catena impigliata su una marra.
7
L'innovazione fu apportah1 dal\' Ammiragliato britannico nel 1852 ed è per questo mo-
tivo che le ancore così modificate furono e sono chiamate ancore Ammiragliato.

242
)

Fig. 3 (sopra a
sinistra) - Ancora
comune.

Fig. ~ (saprai - Ancora


tipo Ammiragliato.

Fig. 5 (a fianco) -
Ancoressa.

la.· .,;

si inserisce in un foro esistente sul ceppo stesso. 8 La distanza fra il foro e


il ringrosso supera di poco il diametro del fuso cosicché, una volta inserita
la chiavetta, non è consentito al ceppo di scorrere né di sfilarsi.
L'ancora tipo Ammiragliato è la più nota, ma non la sola ancora a due
marre e ceppo metallico. Esistono infatti altre ancore che presentano ca-
ratteristiche costruttive analoghe a quelle dell'ancora Ammiragliato e fra
le quali ricordiamo l'ancor a tipo francese (ceppo senza alcun ringrosso e im-
mobilizzato da una seconda chiavetta) e l'ancora tipo Rodgers (ceppo incap-
pellato sul fuso);
• ancoressa: ancora per molti aspetti simile all'ancora tipo Ammiraglia-
to, ma con una sola marra e con il diamante provvisto di un foro in cui trova
alloggio il perno di una grossa maniglia (fig. 5).

8
La chiavetta è applicata ali' estremità di una catenella che rimane fissata al ceppo, dal-
la parte del ringrosso.

243
L'ancoressa può essere usata solo per ormeggi fissi, ossia per ormeggia-
re boe e corpi morti,~ ed è priva di una marra per evitare le conseguenze
derivanti dalla sua inutile e dannosa presenza sul fondo marino.
Il maniglione del diamante viene utilizzato per incocciare il cavo che ser-
ve per affondare l'ancoressa e per salparla qualora si rendesse necessario
rimuovere ìl galleggiante che ad essa è stato ormeggiato;
• ancora security: moderna ancora a marre fisse, ma senza ceppo, pro-
dotta in Italia e largamente usata per l'ormeggio di grandi boe e corpi mor-
ti (fig. 6).
È sostanzialmente costituita da una cassa di lamiere d'acciaio - pia-
stra - , da due grosse marre uscenti dalla parte anteriore della cassa e incli-
nate di 45° rispetto al suo asse verticale, da due bracci convergenti fissati
al disopra delle marre e formanti il fuso, da tre golfari la cui presenza ha
lo scopo di facilitare l'aggancio della braga utilizzata per le operazioni di af-
fondamento e ricupero dell'ancora;
F\g. 6 \a sinistra) - • ferro: piccola ancora a quattro marre e senza ceppo, tutt'ora usata per
Ancora «Security».
l'ancoraggio delle imbarcazioni (fig. 7);
Fig. 7 (al centro) -
Ferro. • grappino o rampino: piccola ancora in tutto simile al ferro, ma con mar-
Fig. 8 (a destra) _ re sprovviste di orecchie e patta (fig. 8). Si usa per ancorare piccole imbar-
Rampino o grappino. cazioni e per rastrellare il fondo alla ricerca di un'ancora perduta.

\j Le boe sono notoriamente dei piccoli o grossi galleggianti aventi forma conka. cilindri-
ca o sferica, che possono essere utilizzati per l'ormeggio delle navi - boe da orrneggi o - o per
la sistemazione di segnali ottici, acustici o radiotelegrafici - boe da segna.li - .
I corpi rnorti sono grosse catene che giacciono sul fondo e alle quali possono ormeggiarsi
le navi avvalendosi di piccoli galleggianti (boe o gavitelli) che segnalano la loro posizione e di
una catenella - grippia - che li collega alla loro estremità libera.

244
5. Tipi di ancore a marre articolate

Le ancore a marre articolate sono le sole che vengono normalmente usa-


te per l'ormeggio delle navi moderne perché il loro impiego consente di eli-
minare il pericolo di arrecare danni alla carena, di ridurre l'ingombro e di
ancorare e salpare con manovre semplici e rapide.
I vantaggi che offrono queste ancore derivano, come possiamo facilmen-
te immaginare, dalla articolazione delle marre e dalla soppressione del cep-
po. Un'ancora a marre articolate fa presa con entrambe le marre e la sua
presenza sul fondo non può quindi costituire pericolo per la carena. Per le
stesse ragioni non esiste rischio di ammarramento, mentre l'assenza del
ceppo, oltreché eliminare la possibilità di inceppamento, facilita le opera-
zioni dì sistemazione e affondamento dell'ancora. 10
Le prime ancore a marre articolate comparvero fra le attrezzature di
bordo nella seconda metà del secolo scorso, ma non furono accolte con
grande favore. Ciò in quanto esse presentavano una capacità di presa infe-
riore a quella delle ancore tipo Ammiragliato e non eliminavano gli inconve-
nienti connessi con l'uso di queste, e sostanzialmente dovuti alla presenza
del ceppo che esse conservavano quale elemento necessario per assicurare
la presa e la tenuta sul fondo.
Le ancore a marre articolate con ceppo rappresentarono però una solu-
zione transitoria. Furono infatti ben presto realizzati diversi modelli di an-
core senza ceppo che diedero ottimi risultati e che senza subire sostanziali
innovazioni sono ancora in uso.
Fra i numerosi tipi di ancore a marre articolate ricordiamo i seguenti:
• ancora Trotman: ancora non più usata ma che riveste ugualmente note-
vole importanza perché rappresenta il punto di avvio di quel processo di
trasformazione che ha segnato il definitivo abbandono delle ancore a marre
fisse. È dotata di ceppo ed ha l'estremità inferiore del fuso foggiata a for-
cella. L'articolazione avviene attorno ad un perno fissato in appositi fori
praticati sui due rami della forcella suddetta, e consiste in una rotazione
delle marre che porta la marra superiore ad appoggiarsi al fuso mentre
quella inferiore morde il fondo.
Con questo accorgimento si aumenta la tenuta e si elimina 1a possibilità
di ammarramento e il pericolo dì lacerare la carena quando la nave è anco-
rata in acque molto basse. Si deve però rilevare che l'ancora Trotman non
ha mai trovato larga applicazione perché risulta debole all'articolazione,
punto di maggiore sforzo;
• ancora Martin: è l'ancora dalla quale sono derivati tutti i modelli di anco-
re a marre articolate attualmente in dotazione alle navi.
In origine aveva un ceppo metallico giacente nello stesso piano delle
marre ma, accertato che la sua presenza non era di alcuna utilità, fu succes-
sivamente soppresso per eliminare gli inconvenienti che esso comporta e
di cui abbiamo ripetutamente parlato.

°1 Con la soppressione del ceppo si è creata, come già abbiamo rilevato, la possibilità di
sistemare le ancore sui masconi, con il fuso completamente rientrato in cubìa.

245
Le marre delle ancore Martin possono ruotare attorno ad un robusto
perno che attraversa l'estremità inferiore del fuso, descrivendo, rispetto a
quest'ultimo, un angolo massimo variabile fra i 30° e i 40° (angolo di
presa).
Le prime ancore Martin rivelarono una insoddisfacente capacità di
presa ma si superò questa difficoltà ideando un nuovo modello prov-
visto di contromarre che prese il nome di ancora Martin modificata.
Le contromarre dimostrarono la loro efficacia nel provocare la rotazio-
ne delle marre, e quindi la presa, in una serie di esperienze che furono
effettuate dal!' Ammiragliato britannico nel 1885 e che portarono alla ado-
zione dell'ancora Martin modificata su molte navi della marina militare bri-
tannica;
• ancora lnglefield: ancora originariamente provvista di ceppo ma suc-
cessivamente liberata da questo ingombrante accessorio.
Una particolarità di quest'ancora è la testa divisa in due parti, opportu-
namente collegate fra loro e al fuso. Il collegamento è realizzato mediante
due grossi perni, uno dei quali attraversa l'estremità forata del fuso. L'arti-
colazione fra la testa e il fuso avviene attorno a quest'ultimo perno, mentre
la presenza dell'altro, oltre che costituire un elemento di maggiore resi-
stenza, contribuisce ad evitare che la rotazione delle marre superi il limite
stabilito per l'angolo di presa.
L'ancora Inglefield venne sperimentata dall'Ammiragliato britannico
nello stesso anno in cui furono eseguite le prove dell'ancora Martin modifi-
cata. I risultati furono soddisfacenti e pertanto anche questo modello entrò
a far parte delle ancore in dotazione alle navi della marina militare dì quel
paese;
• ancora Hall: ancora ideata verso la fine del secolo scorso ma ancora
oggi molto usata dalle navi di tutte le marinerie. È costituita da un fuso
che termina nella parte inferiore con due ringrossi chiamati orecchioni e da
una testa che è rappresentata da un solidissimo blocco d'acciaio dal quale
si diramano le marre e le contromarre (fig. 2).
La testa dell'ancora Hall presenta un largo foro nel quale viene intro-
dotto il fuso; questo è libero di ruotare rispetto alle marre ma non può sfi-
larsi perché trattenuto dagli orecchioni (che trovano alloggio in appositi in-
cavi ricavati nella parte forata della testa) e da due solide chiavarde che
ostruiscono lo sbocco inferiore dell'apertura.
Il maggior pregio di quest'ancora è costituito dal fatto che lo sforzo di
trazione non è sopportato da perni più o meno robusti ma dai due orecchio-
ni con cui termina la parte inferiore del fuso; le due chiavarde hanno il solo
scopo di impedire al fuso di sfilarsi quando l'ancora non è in trazione, elimi-
nando così quegli inconvenienti che possono verificarsi quando l'articolazio-
ne si basa sulla presenza di perni.
Le ottime prestazioni dell'ancora Hall furono definitivamente prova-
te dalle esperienze che ebbero luogo nel 1891 in Inghilterra e nel 1892
in Germania. In tali occasioni si confrontarono la capacità di presa e di
tenuta delle ancore Hall, Martin modificata, Inglefield, Ammiragliato e al-
tri tipi a marre articolate presentati da diverse fabbriche, e si constatò che
l'ancora Hall offriva nel complesso le migliori garanzie per un sicuro or-
meggio.

246
Numerosi altri tipi di ancore a marre articolate furono e sono realizzate
in diversi paesi europei ed extra-europei. Fra i tipi più noti ricordiamo le
ancore Ansaldo, le ancore Fonderie Milanesi di Acciaio, le ancore Tyzach,
le ancore Dariforth, le ancore Wasteneys-Smith, le ancore Torino, le ancore
Brown e le ancore H artsborne.

6. Ancore speciali

Si definiscono ancore speciali tutte quelle ancore che non hanno marre
e non possono quindi essere incluse né nella famiglia delle ancore a marre
fisse né in quella delle ancore a marre articolate.
Le ancore speciali sono usate per ormeggi fissi.
Fra i diversi tipi proposti con maggiore o minore successo meritano par-
ticolare attenzione:
• le ancore a fungo: ancore costituite da una calotta sferica sulla quale
si innesta il fuso e che vengono affondate in una buca preventivamente sca-
vata sul fondo;
• le ancore Langston: anch'esse costituite da una calotta sferica, ma
sprovviste di fuso e caratterizzate dalla presenza di un tubo dal quale fuo-
riesce un getto d'acqua capace di scavare la buca nella quale vengono affon-
date. Il tubo può essere rimosso dopo ls sistemazione dell'ancora e nuova-
mente applicato per favorire eventuali operazioni di ricupero della stessa.
Di tipo particolarissimo è l'ancora galleggiante, ossia un'ancora che ri-
sulta formata da un complesso galleggiante e che viene usata per mantene-
re un'imbarcazione o una piccola nave con la prua al vento e al mare.
L'ancora galleggiante può essere costruita a bordo, in caso di necessità,
con travi di legno e tela disposti in modo da formare una specie di aquilone
subacqueo. Considerato però che la sua efficacia risulta assicurata soltanto
se rimane immersa e disposta verticalmente, quest'ancora deve essere
provvista di un elemento zavorrante e di un galleggiante che le impedisca
di andare a fondo.
La più comune ancora galleggiante è quella che sì trova in dotazione alle
imbarcazioni di salvataggio e normalmente costituita da un cono di tela -
spera - con la base aperta e opportunamente irrigidita.
In ogni caso l'ancora galleggiante viene collegata alla prua della nave
o imbarcazione con un cavo di adeguata lunghezza; il cavo deve essere fissa-
to all'ancora in modo da farla rimanere nella posizione che le consente di
opporre la massima resistenza allo scarroccio. t 1

7. Catene delle ancore

Le catene delle ancore sono in acciaio e risultano composte da diversi


tratti che si chiamano lunghezze e che misurano 27,50 m ciascuno.

11 Si chiama scarroccio lo spostamento che subisce una nave o un galleggiante per effet-
to del vento, del mare o della corrente.

247
Ogni lunghezza è costituita da una serie di maglie aventi forma ellit·
tica e provviste di un traversino incastrato o saldato fra i loro rami la·
terali (fig. 9) al fine di accrescerne la resistenza alla trazione e di evitare
la formazione di cocche 12 quando la catena giace nel pozzo o sul fondo
marino.
Le catene a maglie senza traversino non sono ammesse per le ancore
di po,5ta, 13 ma possono essere usate per formare rizze 14 e bozze, 15 per i
mezzi di carico e scarico e per l'eventuale ancora di corrente. 16
Per collegare fra loro le diverse lunghezze che formano la catena posso·
no essere usate maniglie d'unione (fig. 10) e maglie scomponibili tipo
Kenter (fig. 11), tuttavia è a queste ultime che si ricorre normalmente. Ciò
perché, avendo le maglie Kenter la stessa forma delle maglie comuni e di-
mensioni solo in parte maggiorate, si eliminano, con il loro impiego, alcuni
inconvenienti cui danno luogo le maniglie d'unione durante le operazioni di
salpamento. 17
Le maglie delle lunghezze co1legate mediante maglia Kenter (fig. 12)
hanno tutte le stesse dimensioni e sono ugualmente provviste di traversino;
le lunghezze che si collegano mediante maniglie d'unione sono invece for-
mate da una serie di maglie con traversino e perfettamente uguali che si
dicono maglie comuni, da due maglie con traversino (una su ciascuna ma·
glia comune di estremità) che si definiscono ingrossate o rinforzate perché
formate con tondino avente calibro maggiorato del 10% e dimensioni più
grandi delle maglie comuni, da due maglie senza traversino - maglie capi-
testa - inserite nelle maglie ingrossate di ciascuna estremità e aventi le
stesse dimensioni di queste ultime, ma calibro del tondino maggiorato di un
ulteriore 10% rispetto alle maglie comuni.
La catena dell'ancora viene collegata al maniglione di cicala per mezzo
di un maniglione d'ancora (fig. 13) che è costituito da una grossa maniglia
d'unione o da una speciale maglia scomponibile dissimmetrica.
Più frequentemente però, e segnatamente per le catene le cui lunghezze
sono collegate con maglie Kenter, il collegamento della catena con il mani-
glione di cicala avviene per interposizione di uno spezzone che si chiama
penzolo di cima e che risulta normalmente formato con i seguenti elementi
(fig. 14):
• mrmiglione d'ancora (per l'unione con la cicala);
• maglia terminale senza traversino;
• maglia ingrossata;

1
~ Si dice che una catena ha preso delle cocche quando le sue maglie si incastrano l'una
nell'altra. La loro presenza ostacola il passaggio della catena in una speciale ruota a impronte
- bwrbotin - facente parte della macchina per salpare.
i i Ancore a11ogate nelle cubìe dei masconi.
14 Le rizze sono spezzoni di cavo o di catena utilizzati per immobilizzare oggetti e attrez-
zi soggetti a spostarsi a causa delle oscillazioni di rollio e di beccheggio.
1" Si definisce bozza uno spezzone di cavo o di catena che si usa per trattenere tempora·
neamente un cavo più grande o una catena.
1H Ancora di poppa.
17 Difficoltà di passaggio attraverso la speciale ruota a impronte della macchina sal-

pancore.

248
Fig. 9 Fig. 10

Fig. 11

Fig. 12 Fig. 13

maglie comuni

Fig. 14
Fig. 9 - Catene per
ancore.
Fig. 1O - Maniglie
d'unione.
Fig. 11 - Maglia
Kenter.
Fig. 12 • Lun ghezza di
catena con maglia
Kenter.
Fig. 13 - Maniglione
d'ancora.
Fig. 14 - Penzolo di
cima: 1) maglia
tornichello; 2) maglia
ingrossata; 3) maglia
senza traversino·.
4) maniglione d'ancora

249
• maglia tornichetto;
• magl-ia ingrossata;
• magZ.ia comune oppure maglia terniinale senza traversino;
• magl-ia scomponibile (Kenter) oppure maniglia d'urtione.

La rnaglia tornichetto viene inserita nel penzolo per evitare alla catena
dannosi sforzi di torsione. Per la stessa ragione si può trovare una maglia
tornichetto anche nella penultima e nell'ultima lunghezza ma non nelle lun-
ghezze rimanenti perché la sua presenza rende difficoltoso il passaggio del-
la catena attraverso la ruota a impronte della macchina salpancore.
L'ultima maglia dell'ultima lunghezza viene solidamente collegata ad un
golfare applicato su una parete del pozzo; il collegamento si effettua me-
diante gancio a scocco cosicché sia possibile filare in mare tutta la catena
- filare per occhio - in caso di necessità. Questa operazione, rarissima
nelle ng,vi a propulsione meccanica, era abbastanza frequente al tempo del-
la marina velica. Per evitare le lungaggini del sall)amento con i mezzi allora
disponibili, un veliero che fosse stato investito da una burrasca e avesse de-
ciso di lasciare l'ancoraggio per non finire in costa, preferiva infatti filare
per occhio e ricuperare successivamente ancora e catena. A tal fine, ancor
prima di dar fondo l'ancora, provvedeva a stabilire un segnale adatto ad
evitargli ogni ricerca. Il segnale era costituito da un gavitello o altro galleg-
giante, collegato al diamante dell'ancora con un cavo - grippia - di lun-
ghezza e circonferenza adeguate, che veniva messo irl mare prima di dar
fondo.
Attualmente non si prevede l'eventualità di dover filare per occhio e
pertanto non viene predisposto alcun segnale. Se per avaria all'apparecchio
salpancore o per altri eccezionali motivi non fosse possibile salpare regolar-
mente, si collega la grippia ad una maglia prima di aprire il gancio a scocco.
Di regola si ritiene però più conveniente tagliare la catena per non privarsi
della piirte di essa che giace ancora nel pozzo. 18 In ogni caso si dispongono
le cose in modo da lasciare via libera al cavo che porta il gavitello alla estre-
mità libera della catena.

8. Dotazione di ancore e catene

Ancore e catene costituiscono, con i cavi per l'ormeggio e il rimorchio,


l'armamento marinaresco della nave. Similmente a quanto avviene per i
cavi, aflche la dotazione di ancore e catene viene stabilita dal R.I.Na ed è
chiararnente indicata in una tabella contenuta nei regolamenti per la co-
struzione e la classificazione delle navi.
Prirna di soffermarci a considerare gli elementi che compaiono in tale
tabella osserviamo però che le ancore in dotazione ad una nave non com-
prendono soltanto quelle che vengono allogate in cubia e che si chiamano
ancore di posta. A queste, che sono due, si aggiunge infatti un'ancora

18 Anziché tagliare una maglia si preferisce, se possibile, ottenere lo stesso risultato sfi-
lando il perno (smanigliando) di una maniglia d' unione o di una maglia Kenter.

250
di riserva, normalmente indicata come ancora di speranza, e una piccola
ancora, cui abbiamo già accennato, che si chiama ancora di corrente.
Le ancore di posta devono essere sempre pronte all'uso e sono a tal fine
provviste di un adeguato numero di lunghezze di catena che possono essere
filate in mare con manovra semplice e rapida.
L'ancora di speranza ha le stesse caratteristiche delle ancore di posta
ma non una propria catena perché si usa soltanto qualora vada perduta una
di queste in seguito a rottura della catena o a sfilamento del perno del mani-
glione d'ancora o di una maniglia d'unione. In tal caso si collega l'ancora
di speranza all'estremità della rimanente catena dell'ancora perduta, e la
si adopera come una normale ancora di posta in attesa del ricupero o della
sostituzione di quest'ultima.
Il collegamento dell'ancora di speranza alla catena dell'ancora di posta
avviene per interposizione di maniglione d'ancora o di maglia scomponibile
dissimmetrica o di penzolo, e pertanto deve essere disponibile, fra le parti
di rispetto, uno o più d'uno di questi elementi.
Per facilitare le operazioni necessarie per provvedere alla sostituzione
di un'ancora di posta, l'ancora di speranza viene rizzata in un apposito ba-
samento - scarpa - sistemato nella parte prodiera del ponte di coperta
o sul ponte del castello.
L'ancora di corrente è normalmente rizzata su una scarpa sistemata
nella parte poppiera del ponte di coperta, ma si può anche trovare allogata
in una apposita cubìa esistente a tal fine sullo specchio di poppa.
Ciò premesso, osserviamo che la tabella relativa all'armamento marina-
resco riporta, in corrispondenza di un fattore che si definisce modulo d'ar-
mamento ed il cui valore dipende dal dislocamento della nave a pieno carico
e dalla estensione dell'opera morta, 19 il numero e la massa delle ancor e, la
lunghezza e il calibro delle loro catene e gli elementi caratteristici dei cavi
d'ormeggio e del cavo di rimorchio. In detta tabella non si fa alcuna distin-
zione fra le ancore di posta e quella di speranza ma è evidente che come
tale deve essere considerata la terza ancora de1le navi che ne hanno più di
due.
L'ancora di corrente non è obbligatoria ma viene frequentemente asse-
gnata in dotazione a1le grandi navi perché la sua disponibilità si rivela mol-
to utile per l'ancoraggio in acque ristrette. 20

l\l Ricordiamo che il modulo di armamento (EN) è dato dalla relazione:


213
A
EN = t,. +2 h B + - -
10
dove: 6. = dislocamento fuori ossatura all'immersione di pieno carico estivo;
A = area della superficie che si ottiene proiettando sul piano diametrale: 1. la parte
di scafo compresa fra le perpendicolari e situata al disopra del galleggiamento di
pieno carico estivo; 2. le sovrastrutture situate entro le perpendicolari e aventi
larghezza maggiore di B/4.
B = larghezza della nave fuori ossatura;
h = a + :l:. h,, dove a è la distanza, misurata a metà lunghezza , fra il ce ntro del disco
di bordo libero e il ponte superiore eh, è l'altezza di ciascun ordine di sovrastrut-
ture avente larghezza maggiore di B/4.
20 Per le grandi navi cisterna viene raccomandata la sistemazione a poppa di un'u:ncom
di corrente di massa non inferiore al 60% della massa dell'an cor a di posta.

251
Tab. 10
ARMAM ENTO MARINARESCO

Modulo di Ancore di
armameoto posta senza Catene con traversino
per ancore di posta Cavo dl rimorchio Cavi di ormeggio
EN ceppo

Massa di Lun- Dlarnel ro per Lun• Lunghezza


A s EN ,: B N. ciascuna ghezza ghezza N. di ciascun Carico
acciaio acciaio acciaio Carico di rollura di rollura
ancora lolale
grado grado grado m1n·,ma cavo
11 e 1b 2 3
A e kg m mm mm mm m kN kgf m kN kgf
50 70 2 180 220,0 14,0 12.5 180 98,1 10000 3 80 34 3500
70 llO 2 240 220,0 16,0 14,0 180 98,1 10000 3 100 37 3750
90 110 2 300 247,5 17,5 16,0 180 98,1 10000 3 110 39 4000
\\O \ 30 2 300 247 ,3 1\1,0 \T /i 1,80 Ila,\ 10000 3 110 44 4500
130 150 2 420 275,0 20,5 17,5 180 98,1 10000 3 120 49 5000
150 175 2 480 275,0 22,0 19,0 180 98,1 10000 3 120 54 5500
175 205 2 570 302,5 24,0 20,5 180 112 11400 3 120 59 6000
205 240 3 660 302,5 26,0 22,0 20,5 180 129 13200 4 120 64 6500
240 280 3 780 330,0 28,0 24,0 22,0 180 150 15300 4 120 69 7000
280 320 3 900 357,5 30,0 26,0 24 ,0 180 174 17700 4 140 74 7500
320 360 3 1020 357,5 32.0 28,0 24,0 180 207 21100 4 140 78 8000
360 400 3 1140 385,0 34,0 30,0 26,0 180 224 22800 4 140 88 9000
400 450 3 1290 385,0 36,0 32,0 28,0 180 250 25500 4 140 98 10000
450 500 3 1440 4 12,5 38,0 34,0 30,0 180 277 28200 4 140 108 11000
500 550 3 1590 412,5 40,0 34,0 30,0 190 306 3 1200 4 160 123 12500
550 600 3 1740 440,0 42,0 36,0 32,0 190 338 34500 4 160 132 13500
600 660 3 1920 440,0 44,0 38,0 34,0 190 371 37800 4 160 147 15000
660 720 3 2100 440.0 46,0 40,0 36,0 190 406 41400 4 160 157 16000
720 780 3 2280 467,5 48,0 42,0 36,0 190 441 45000 4 170 172 17500
780 840 3 2460 467,5 50,0 4 4,0 38,0 190 480 48900 4 170 186 19000
840 910 3 2640 467,5 52,0 46,0 40,0 190 518 52800 4 170 201 20500
9 10 980 3 2850 495,0 5 4,0 48,0 42,0 190 550 57000 4 170 216 22000
980 1060 3 3060 495,0 56,0 50JJ «Il 200 603 61500 4 160 230 23500
1060 1140 3 3300 495,0 58,0 50,0 46,0 200 647 66000 4 180 250 25500
1140 1220 3 3540 522,5 60,0 52,0 46,0 200 692 70500 A 180 270 27500
1220 1300 3 3780 522,5 62,0 54,0 48,0 200 739 75300 4 180 284 29000
1300 1390 3 4050 522,5 64,0 56,0 50,0 200 786 80100 4 180 309 3 15-00
1390 1480 3 4320 550,0 66,0 58,0 50,0 200 836 85200 4 180 324 33000
1480 1570 3 4590 550,0 68,0 60,0 52,0 220 889 90600 5 190 324 33000
1570 1670 3 4890 550,0 70,0 62,0 54,0 220 942 96000 5 190 333 34000
1670 1790 3 5250 577,5 73,0 64,0 58,0 220 1024 104400 5 190 353 36000
1790 1930 3 5610 577.5 76,0 66,0 58,0 220 1109 113100 5 190 378 38500
1930 2080 3 6000 577,5 78,0 68,0 60,0 220 1168 119100 5 190 402 41000
2080 2230 3 6450 605,0 81,0 70,0 62,0 240 1259 128400 5 200 422 43000
2230 2380 3 6900 605,0 84,0 73,0 84,0 240 1356 138300 5 200 451 46000
2380 2530 3 7350 605,0 87,0 76,0 66,0 240 1453 148200 5 200 481 49000
2530 2700 3 7800 632,5 90,0 78,0 68,0 260 1471 150000 6 200 481 49000
2700 2870 3 8300 632,5 92,0 81 ,0 70,0 260 1471 150000 6 200 490 50000
2870 3040 3 8700 632,5 95,0 84,0 73,0 260 1471 150000 6 200 500 51000
3040 3210 3 9300 lì60,0 97,0 84,0 76,0 280 1471 150000 6 200 520 53000
3210 3400 3 9900 660,0 100,0 87,0 78,0 280 1471 150000 6 200 554 56500
3400 3600 3 10500 660,0 102.,0 90,,0 78,0 280 1471 150000 6 200 588 60000
3600 3800 3 11100 687,5 105,0 92,0 81,0 300 1471 150000 6 200 6 12 63000
3800 4000 3 11700 687,5 107,0 95,0 84,0 300 1471 150000 6 200 647 66000
4000 4200 3 12300 687,5 11 1,0 97,0 87,0 300 1471 150000 7 200 647 66000
4200 4400 3 12900 7 15,0 114,0 100,0 87.0 300 1471 150000 7 200 657 67000
4400 4600 3 13500 715,0 117,0 102,0 90,0 300 1471 150000 7 200 667 68000
4600 4800 3 14100 715,0 120,0 105,0 92,0 300 1471 150000 7 200 677 69000
4800 5000 3 14700 742,5 122,0 107,0 95,0 300 1471 150000 1 200 686 70000
5000 5200 3 15400 742,5 124,0 111 ,0 97,0 300 1471 150000 8 200 686 70000
5200 5500 3 16100 742,5 127,0 11 1,0 97,0 300 1471 150000 8 200 696 71000
5500 5800 3 16900 742,5 130,0 114,0 100,0 300 1471 150000 8 200 706 72000
5800 6 100 3 17800 742,5 132,0 117,0 102,0 300 1471 150000 9 200 706 72000
6100 6500 3 18800 742,5 120,0 107,0 9 200 716 73000
6500 6900 3 20000 770,0 124,0 11 1,0 9 200 726 74000
6900 7400 3 21500 770,0 127,0 114,0 10 200 726 74000
7400 7900 3 23000 770,0 132,0 117,0 Il cavo di rlrnorchio 11 200 726 74000
7900 8400 3 24500 770,0 137,0 122,0 non è Obbligatorio; 11 200 735 75000
8400 8900 3 26000 770,0 142,0 127,0 esso è raccomanda• 12 200 735 75000
8900 9400 3 27500 770,0 147,0 132,0 ro per le navi avenl l 13 200 735 75000
9400 10000 3 29000 770,0 152,0 132,0 L s 180 m. 14 200 735 75000
10000 10700 3 31000 770,0 137,0 15 200 735 75000
10700 11500 3 33000 770,0 142,0 16 200 735 75000
11 500 12400 3 35500 770,0 147,0 17 200 735 75000
12400 13400 3 38500 770,0 152,0 18 200 735 75000
13400 14600 3 42000 770,0 157,0 19 200 735 75000
14600 16000 3 46000 770,0 162,0 21 200 735 75000

252
Di ogni ancora viene prescritta la massa e non le dimensioni, ma ciò non
deve stupirci perché questi due elementi sono strettamente collegati, e non
si ammettono ancore costruite con criteri improvvisati e i cui disegni non
siano stati preventivamente visti e approvati dal R.I.Na.

Nel caso siano adottate ancore ad alto potere ancorante è ammessa una
riduzione della loro massa pari al 25% della massa delle ancore regolamen-
tari. L'approvazione viene tuttavia concessa dal R.I.Na soltanto se, da
esaurienti prove effettuate su vari tipi di fondo, risulta dimostrato che l'an-
cora considerata ha un potere ancorante almeno doppio di quello di una
normale ancora di uguale massa.

Per le catene risulta stabilita la lunghezza complessiva in metri, e il cali-


bro del tondino delle maglie comuni.
La lunghezza indicata dalla tabella si riferisce ad entrambe le ancore di
posta e deve quindi essere dimezzata per conoscere la quantità di catena
disponibile per ciascuna di esse. 21

Per quanto riguarda il calibro si rileva che, per un determinato modulo


d'armamento, il suo valore dipende dal tipo di acciaio usato fra i tre tipi am-
messi per la costruzione delle catene.

L'ancora di corrente può essere associata sia ad una catena che ad un


cavo d'acciaio: la catena può essere anche del tipo formato con maglie sen-
za traversino; il cavo d'acciaio deve essere composto da non meno di 72 fili
in 6 trefoli e 7 anime vegetali.

9. Materiali • Proporzionamento • Collaudi delle ancore

Le ancore sono costruite in acciaio fucinato o fuso con carico di rottura


compreso fra 400 e 540 N/mm 2 (41 e 55 kgf/mm 2).
La testa è normalmente ricavata per fusione (ed ha una massa non mi-
nore del 60% della massa dell'intera ancora), mentre il fuso, con la cicala
e l'eventuale perno su cui avviene l'articolazione delle marre, è in acciaio
fucinato.
Il proporzionamento delle ancore è stabilito, per i diversi tipi, da nor-
me che fissano innanzitutto la lunghezza - distanza fra il perno della
cicala e l'asse di rotazione delle marre, oppure distanza fra il perno del-
la cicala e l'estremità inferiore del diamante - in funzione della loro
massa.
Fissata la lunghezza si desumono tutte le altre dimensioni poiché queste
sono strettamente collegate a quella. In pratica si assume per la lunghezza

21
Può essere interessante sapere che per una nave dì medio t onnellaggio sono previste
da 9 a 11 lunghezze di catena per ogni ancora di posta.

253
un valore di riferimento costante e uguale a 1 000 - modulo - e si rappor-
tano a questo, osservando precise norme a tal fine esistenti, le dimensioni
complessive e parziali del1e varie parti che formano 1' ancora (fig. 15). Noti
Fig. 15 - i rapporti suddetti e la lunghezza dell'ancora, il proporzionamento delle va-
Proporziona mento
di un'ancora tipo rie parti di essa non presenta alcuna difficoltà e può essere determinato con
Ansaldo. semplici operazioni aritmetiche.

RELAZIONE FRA MASSA E LUNGHEZZA DELLE ANCORE

ancora
massa
in tonnellate tipo Hall tipo F.M A. tipo Ansaldo

0,5 1.40 1,37 1,36

1 1,77 1,73 1,71

1. 5 2.01 1,99 1.96

2 2,22 2.19 2. 16

2.5 2.39 2,36 2,33

3 2.54 2,49 2,47

3.5 2.66 2,61 2,60

4 2.77 2.73 2.72

5 3,00 2,95 2,94

6 3.18 3.12 3.13

Per quanto riguarda i collaudi dobbiamo osservare che questi non si


esauriscono con le prove mediante le quali si accertano le caratteristiche
meccaniche e la composizione chimica dell'acciaio impiegato per la costru-
zione delle ancore, ma si estendono al prodotto lavorato e finito. Pertanto,
ultimata la costruzione di un'ancora e sottoposte le parti che la costituisco-
no al prescritto processo di ricottura, 22 o di normalizzazione, vengono
asportati dei saggi 23 dai quali sì ricavano le «provette» da sottoporre alle
prove di trazione, resilienza, piegatura ecc. Controllata poi la buona finitu-
ra dei. pezzi e l'assenza di incrinature, fessurazioni, bo1le o difetti che possa-
no pregiudicare l'uso dell'ancora, e verificate le dimensioni per accertare
l'osservanza delle norme sui proporzionamenti, viene effettuata una prova
di caduta, una prova di martellamento e una prova. di traz,ione.

22 I pezzi vengono ricotti in forni dove sono assicurate temperature variabili fra gli 850
e i l 150°C a seconda dei diversi tipi di acciaio. La ricottura dura 3 giorni per i pezzi che non
superano i 750 kg di massa e si protrae per 6 giorni per i pezzi aventi una massa superiore
ai 3 000 kg.
23 I saggi sono normalmente costituiti da appendici o eccedenze di prova che vengono a
tal fine ricavate sui pezzi da collaudare.

254
Le prove di caduta e martellamento sono richieste soltanto per le ancore
o parti di ancora in acciaio fuso.
La prova di caduta si effettua facendo cadere l'ancora o le sue parti in
acciaio fuso, da un'altezza di 3,50-;-4,50 m, 24 su una suola d'acciaio o di
ferro avente spessore non inferiore a 10 cm e sostenuta da una fondazione
in muratura dello spessore di almeno un metro.
Per le ancore a marre articolate può essere richiesta, in aggiunta alla
prova prescritta per le singole parti che le compongono, anche una prova
di caduta dell'ancora completa.
Le ancore a marre fisse vengono provate lasciandole cadere una prima
volta con le marre e il fuso orizzontali, e una seconda volta lasciandole cade-
re verticalmente, con il diamante in basso, fra due blocchi di acciaio o ferro
sistemati in modo che l'impatto avvenga fra le marre e questi ultimi, e sen-
za che il diamante possa toccare la suola.
La prova di martellamento ha lo scopo di accertare che non si siano
prodotti difetti in conseguenza della caduta. Per effettuarla si sospende li-
beramente l'ancora, o parte di essa, e la si martella con una mazza di massa
non inferiore a 3 kg. L'integrità di ogni parte risulta assicurata se il suono
prodotto dai colpi di mazza è indiscutibilmente sano.
La prova di trazione è richiesta sia per le ancore in acciaio fuso, sia per
quelle in acciaio fucinato. Viene eseguita sottoponendo l'ancora, finita e
completa di tutte le sue parti, ad un carico avente valore crescente con la
sua massa.
Lo sforzo di trazione si applica sulla cicala da una parte e sulla marra
o sulle marre dall'altra, e viene esercitato due volte onde accertare la resi-
stenza dell'ancora su entrambe le posizioni di ancoramento.
Nel caso di ancore a marre articolate il trazionamento avviene simul-

Fig. 16 - Prova di
\razione di un'ancora
L-----------------------------~ a marre articolate.

taneamente su tutt'e due le marre, prima in una posizione di ancoramento,


poi nell'altra. Le prove vengono eseguite con l'ancora disposta nella posi-
zione indicata dal disegno (fig. 16), dal quale si rileva anche il punto preciso
delle marre in cui viene applicata la trazione.
Per le ancore a marre fisse si esercita la trazione prima su una marra

24
La caduta avviene da una altezza di 4,50 m per pezzi la cui massa non supera i 750 kg,
da una altezza di 4,00 m per pezzi a venti massa superiore a 750 e inferiore a 1 500 kg, da una
altezza di 3,50 m per pezzi di massa superiore ai 1 500 kg.

255
e successivamente sull'altra se trattasi di una comune ancora a due marre;
se l'ancora è a quattro marre (ferro) si effettua una prima prova su una cop-
pia di marre e una seconda prova sull'altra. La trazione viene applicata., in
ciascun caso, nel punto indicato dal disegno (fig_ 17) con l'ancora disposta
nella posizione chiaramente visibile dalla figura stessa.
Ultimate le prove con esito positivo l'Istituto di Classificazione -
R.I.Na - fa apporre sulle ancore e loro parti delle marche che costituiscono
preziose indicazioni per stabilire le loro caratteristiche e gli elementi relati-
vi ai collaudi cui sono state sottoposte.
Con tali marche vengono infatti impressi sul fuso o sulle marre i seguen-
ti dati:
• timbro del R.I.Na - @- e sigle del Funzionario collaudatore;
• locaWà e data della operazione finale di collaudo;
• sigla dell'Ispettorato delR.I.Na che ha effettuato il collaudo e numero in-
dividuativo del documento di collaudo;
• indicazione abbreviata del materiale (acciaio fuso o fucinato); numero
o sigla identificativa delle provette usate per effettuare le prove mecca-
niche;
• carico di prova di trazionamento, preceduto dalle lettere C.P.;
• massa dell'ancora (per le ancore con ceppo è indicata la massa dell'anco-
ra escluso il ceppo; sul ceppo stesso è indicata la sua massa).

/ ~

·'~ <==O~.~

Fig. 17 • Prova di
trazione di ancore
a marre lisse: b
a) ancora con ceppo;
b) ancora senza ceppo.

256
Tab. 11
CARICHI DI PROVA DELLE ANCORE

Carico Carico Carico Carico


Massa Massa Massa Massa
di proYa di prova di prova di prova
dell'ancora dell'ancora dell'ancora dell'ancora
ali a truior,e alla trazione alla trazione alla trazione
kg kN kg kN kg kN kg KN
50 23 1250 239 5000 661 12500 1130
55 25 1300 247 5100 669 13000 1160
60 27 1350 255 5200 677 13500 1180
65 29 1A00 262 5300 665 14000 12 10
70 31 1450 270 5400 691 14500 1230
75 32 1500 278 5500 699 15000 1260
80 34 1600 292 5600 706 15500 1270
90 36 1700 307 5700 713 16000 1300
100 39 1800 321 5800 721 16500 1330
120 44 1900 335 5900 728 17000 1360
140 49 2000 349 6000 735 17500 1390
160 53 2100 362 6100 740 18000 1410
180 57 2200 376 6200 747 18500 1440
200 61 2300 366 6300 754 19000 1470
225 66 2400 401 6400 760 19500 1490
250 70 2500 414 6500 767 20000 1520
275 75 2600 427 6600 773 21000 1570
300 80 2700 438 6700 779 22000 1620
325 84 2800 450 6800 766 23000 1670
350 89 2900 462 6900 794 24000 1720
375 93 3000 474 7000 804 25000 1770
400 98 3100 484 7200 818 26000 1800
425 103 3200 495 7400 832 27000 1850
450 107 3300 506 7600 845 26000 1900
475 112 3400 517 7800 861 29000 1940
500 116 3500 528 8000 877 30000 1990
550 125 3600 537 8200 892 31000 2030
600 132 3700 547 8400 908 32000 2070
650 140 3800 557 8600 922 34000 2160
700 149 3900 567 8800 936 36000 2250
750 158 4000 577 9000 949 :,sooo 2330
800 166 4100 586 9200 961 40000 2410
850 175 4200 595 9400 975 42000 2490
900 182 4300 604 9600 987 144000 2570
950 191 4400 613 9800 998 146000 2650
1000 199 4500 622 10000 1010 48000 2730
1050 208 4600 631 10500 1040
1100 216 4700 638 11000 1070
1150 224 4800 645 11500 1090
1200 231 4900 653 12000 1110

10. Materiali • Proporzionamento - Collaudi delle catene


Le catene delle ancore possono essere costruite in acciaio
extradolce 25 e dolce, in acciaio a elevata resistenza (ER), e in acciaio
ER extra, rispettivamente denominati di grado la e lb, di grado 2, e di gra-
do 3. Per 1a fabbricazione deUe maglie si possono usare barre formate e sal-
date con procedimento di saldatura per pressione - a scintillio, a resisten-
za, con bollitura 26 - , o fabbricate in acciaio fuso o in acciaio fucinato
stampato. I traversini possono essere incorporati nelle maglie, oppure
pressati e saldati, o anche solo pressati, ma devono essere in acciaio.
Le caratteristiche meccaniche e la composizione chimica del materiale
vengono accertate all'origine mediante prove di trazione, resilienza e pie-
gatura, ma ciò non esclude che queste possano essere ripetute prelevando
saggi dalle maglie già formate.

2,, Acciaio con tenore di carbonio inferiore allo 0,15%. Si identifica praticamente con il
comune ferro dolce od omogeneo.
26 La sa1datura a scintillio si effettua sfruttando il calore prodotto dagli archi elettrici
che si formano fra i lembi dei pezzi da saldare; la saldatura a resistenza (ammessa solo per
calibri non maggiori di 25 mm) si ottiene grazie al calore prodotto per effetto Joule dal passag·
gio di una corrente elettrica attraverso le superfici di contatto dei due pezzi; la saldatura per
bollitura (ammessa solo per maglie in acciaio extradolce) si ottiene scaldando localmente allo
stato plastico, in una fucina o in un forno, le parti, che vengono poi unite per martellamento
o per semplice pressione statica.

257
Dalle prove suddette deve risultare che il materiale impiegato possiede,
allo stato di fornitura della catena, le caratteristiche indicate nella seguen-
te tabella:

Prova di resilienza"' Prova di


Grado Prova di trazione
delle intaglio a V piega"'
Fabbricazione
catene catene
e del-
Rm Rs min A Cl = 180°
l'acciaio KV min temp.
base Nimm 2 (kgf/mm2J N/mm 2 (kgf/mm 2) min.
%
J (kgf · m) oc su mandrino
8
diam."

1 a saldate"' 300+400 (31 +41) - 30 27 (2,8) +20 1 X S

1b saldatew 400 + 490 (41 + 50) 215 (22) 25 27 (2,8) +20 2xs

2 saldate o fu- 31
490 + 690 (50 + 70)30 295 (30) 22 27 (2,8) o 3 X S
{o ER) cinate o fuse

3 saldate o fu-
(o ER Extra) ci nate o fuse
>690 (>70) 400 (41) 3" 17 59 {6,0) o -

dove Rm indica il carico di rottura, Rs il carico di snervamento, A l'allunga-


mento percentuale, KV la resilienza del materiale considerato.

Tutte le maglie vengono sottoposte ad un esame esteriore avente lo sco-


po di accertare l'assenza di difetti, di materiale o di lavorazione, che posso-
no pregiudicare l'impiego della catena.
Con opportune verifiche si accerta anche l'osservanza delle norme rela-
tive alla forma, al calibro 33 e alle dimensioni delle maglie. Per quanto ri-
guarda le dimensioni osserviamo che, indicato con d il calibro di una maglia
comune, dovrà essere (fig. 18), sia per la catena che per il penzolo:
maglia comune calibro=d
lunghezza= 6 d
larghezza= 3,6 d
calibro traversino= 0,88 d
maglia ingrossata - calibro= 1,1 d
lunghezza=6,5 d
larghezza= 4 d
calibro minimo traversino= 0,97 d

27 Per gli acciai di grado la, lb, 2, può essere ammesso, a giudizio del R.I.Na, di effet-
tuare prova di piega in alternativa a quella di resilienza.
28 s indica lo spessore della provetta di piega o il diametro della barra quando la prova
di piega è effettuata su spezzone intero di barra.
21
i O eventualmente fucinate.
30
Per acciaio fuso può essere ammesso un Rm maggiore di 690 N/mm 2 (70 kgf/mm 2), a
giudizio del R.I.Na ed in relazione alle altre caratteristiche meccaniche e chimiche dell'acciaio.
31
Per catene fuse, mandrino di diametro = 4 · s.
32 490 N/mm 2 (50 kgf/mm 2 ) se trattasi di materiale allo stato temprato e rinvenuto.
33 Il calibro della maglia dipende, come sappiamo, dal modulo d'armamento della nave,
oltreché dal grado dell'acciaio impiegato per la sua costruzione.

258
j_ --
0T TT 1.6
0)1
~-r
~3.W ~.~
6.5

4
6.5 T-
~4~-
7.1

a b e d

I/ _L
3 1.8 o
.
8.7
T- ·-·
1.4
~• 5 1.5 6
• • I
8.8
f
~.~ e
~.,.;j-1 f
4.2
g

Fig. 18 • Proporzionamento delle maglie, maniglie e maniglioni: a) maglia comune; b) maglia ingros-
sata; e) maglia capotesta; d) maniglia d'unione; e) maglia tornichetto; I) maniglione d'ancora; g) maglia
Kenter.
N.B. Le quotazioni sono espresse assumendo come unità di misura ìl calibro della maglia comune.

maglia capotesta calibro= 1,2 d


lunghezza= 6,5 d
larghezza= 4 d
maniglia d'unione • calibro= 1,3 d
lunghezza= 7, 1 d
larghezza= 4 d
calibro del perno= 1,6 d 34
maglia Kenter • calibro =d
lunghezza= 6 d
larghezza= 4,2 d
calibro traversino= 1,5 d
maglia tornichetto calibro= 1,2 d
lunghezza= 8, 7 d
larghezza della maglia= 4,5 d
larghezza del golfare = 3,6 d

34
Il perno è del tipo a paro e viene bloccato da una coppiglia conica d'acciaio inossidabile
che si inserisce in apposito foro esistente sul perno stesso e sulle gambe della maniglia; un
tappo di piombo, forzato sulla cavità che rimane al disopra della testa della coppiglia, impedi-
sce a questa di sfilarsi. Tutte le maniglie sono disposte con il collo rivolto verso prora onde
eliminare ogni possibilità di appiglio durante le operazioni di affondamento dell'ancora.

259
maniglione d'ancora - calibro=l,4 d
lunghezza= 8,8 d
larghezza=4,9 d+15 mm
calibro del perno= 1,8 d 35

Effettuati i suddetti esami e verifiche, si sottopone la catena ad una prova


di trazionamento che si esegue con le modalità qui di seguito indicate.
Per ogni lunghezza si effettua una prova di trazionamento al carico di
rottura e una prova di trazionamento ad un carico di prova il cui valore
è approssimativamente uguale al 70% del carico di rottura.
Il trazionamento a rottura avviene su un saggio costituito da tre maglie
comuni, mentre il trazionamento al carico di prova si esegue sull'intera lun-
ghezz/l.
I cl'trichi di prova e di rottura minimi di una catena vengono stabiliti dal
R.I.N,t in funzione del calibro delle maglie e del grado dell'acciaio impiega-
to, e sono indicati in una apposita tabella, contenuta nei «Regolamenti per
la costruzione e la classificazione delle navi».
Da1l' esame dei dati che figurano in detta tabella si rileva che per stabili-
re il carico minimo di rottura e di prova (in kN) delle catene, il R.l.Na si
basa sulle seguenti relazioni:
• catene di grado la e lb (acciaio extradolce e dolce)
carico di rottura= d 2 (44-0,08 d) 0,00981
carico di prova=0,7 d 2 (44-0,08 d) 0,00981
• catene di grado 2 (acciaio ER)
carico di rottura= 1,4 d 2 (44-0,08 d) 0,00981
carico di prova= d 2 (44-0,08 d) 0,00981
• catene di grado 3 (acciaio ER extra)
carico di rottura""2 d2 (44-0,08 d) 0,00981
carico di prova"" 1,4 d 2 (44-0,08 d) 0,00981
Se la prova di rottura non ha esito soddisfacente, la lunghezza da cui
proviene il saggio viene scartata.
Dopo le prove di trazionamento si esaminano nuovamente le maglie del-
le singole lunghezze per accertare la presenza di eventuali difetti o deficien-
ze di forma e dimensioni.
Cia.scuna lunghezza viene definitivamente accettata anche se si riscon-
tra la presenza di maglie difettose purché il loro numero non sia superiore
al 4% delle maglie che la costituiscono. In tal caso si sostituiscono le maglie
difettose con altre maglie fabbricate allo stesso modo e regolarmente col-
laudate, e si ricostituisce la lunghezza.
A dimostrazione del buon esito di tutte le prove e accertamenti prescrit-
ti vengono apposte sulle maglie estreme di ciascuna lunghezza e su maglie
intern1edie, intervallate di circa 8 m, le cosiddette marche di collaudo. Tali
marche, incise in modo ben visibile e preferibilmente sul traversino, com-
prendono:
•timbro~;
• anno di collaudo;

35 Vedi nota 34.

l'òO
7
Tab. 12
CATENE A MAGLIE CON TRAVERSINO PER ANCORE
CARICHI DI PROVA CP E DI ROTTURA MINIMI CR · MASSE

Grado 2 Grado 3 Massa minima


Grado 1a e 1b per lunghezza
«ER» «ER Extran di catena di 27,5 m
Diametro
Con Con
CP CR CP CR CP CR maniglia maglia
di unione Kenter
mm kN kN kN kN kN kN kg kg

11 36 51 51 72 72 102 83 80
14 58 82 82 116 116 165 129 126
16 76 107 107 150 150 216 159 156
19 105 150 150 211 211 301 220 216
22 140 200 200 280 280 401 290 286
26 194 278 278 389 389 556 410 405
30 257 368 368 514 514 735 550 545
34 328 468 468 655 655 937 700 690
38 406 581 581 812 812 1160 875 860
40 448 640 640 896 896 1280 965 950
42 492 703 703 981 981 1400 1055 1040
46 585 837 837 1170 1170 1680 1260 1240
50 686 981 981 1370 1370 1960 1485 1455
54 794 1140 1140 1590 1590 2270 1725 1690
58 909 1290 1290 1810 1810 2600 1985 1945
62 1030 1470 1470 2060 2060 2940 2275 2220
66 1160 1660 1660 2310 2310 3300 2590 2525
70 1290 1B40 1B40 25B0 25B0 3690 2925 2850
73 1390 1990 1990 2790 2790 3990 3185 3100
76 1500 2150 2150 3010 3010 4300 3460 3360
81 1690 2410 2410 3380 3380 4820 3940 3820
84 1800 2580 2580 3610 3610 5160 4240 4105
87 1920 2750 2750 3850 3850 5500 4555 4405
90 2050 2920 2920 4090 4090 5840 4870 4705
95 2260 3230 3230 4510 4510 6440 5405 5210
97 2340 3340 3340 4680 4680 6690 5630 5425
102 2560 3660 3660 5120 5120 7320 6210 5970
107 2790 3980 3980 5570 5570 7960 6845 6575
111 2970 4250 4250 5940 5940 8480 7380 7080
114 3110 4440 4440 6230 6230 8890 7795 7475
117 3260 4650 4650 6510 6510 9300 8220 7870
120 3400 4850 4B50 6810 6810 9720 8650 8270
124 3600 5140 5140 7200 7200 10280 9275 8835
127 3750 5350 5350 7490 7490 10710 9740 9270
132 4000 5720 5720 8000 8000 11420 10540 10005
137 4260 6080 6080 8510 8510 12160 11320 10750
142 4520 6450 6450 9030 9030 12910 12110 11500
147 4790 6840 6840 9560 9560 13660 12950 12300
152 5050 7220 7220 10100 10100 14430 13890 13200
157 5320 7600 7600 10640 10640 15200 - 13980
162 5590 7990 7990 11170 11170 15970 - 14660

261
• sigla clell'Ispettorato R.I.Na che ha eseguito il collaudo;
• numero del rapporto di collaudo;
• carico minimo di rottura (CR) prescritto;
• timbro con le sigle del Funzionario che ha effettuato il collaudo;
• carico di prova (CP).
Anche le maglie e maniglie d'unione, le maglie tornichetto, le maglie in-
grossate e le maglie capitesta sono sottoposte a prove e verifiche tendenti
ad accertare le caratteristiche meccaniche dell'acciaio usato per la loro for-
mazione, 1e dimensioni, la resistenza alla trazione.
A tale fine sono previste prove cli trazione, resilienza o piega su provette
ricavate da un pezzo dì ciascun lotto comprendente maglie o maniglie dello
stesso tipo e materiale, fabbricate nello stesso periodo e caratterizzate da
comune procedimento di fabbricazione, trattamento termico, dimensioni.
Maglie e maniglie sono poi sottoposte alle prove di trazionamento previ-
ste per le catene. Il carico di prova è quello prescritto per le catene cui sono
destinate e viene applicato a tutti i pezzi. Anche il carico di rottura è uguale
a quello prescritto per la catena alla quale vengono collegate ma la relativa
prova si effettua soltanto su un pezzo di un lotto che risulta generalmente
costituito da 25750 maglie e maniglie d'unione, 10 maglie tornichetto, 25
maglie di estremità.
Verifiche e prove tendenti ad accertare le loro caratteristiche di fabbri-
cazione e resistenza sono prescritte anche per le catene a maglie senza tra-
versino. Si tratta in generale delle stesse verifiche e delle stesse prove cui
vengono sottoposte le catene a maglie con traversino ma è evidente che
queste prove e verifiche tengono nel debito conto i diversi requisiti che si
richiedono alle catene a maglie senza traversino.
Le maglie senza traversino si distinguono in maglie normali e maglie
corte. Se indichiamo con d il calibro del tondino usato per formare le ma-
glie si rileva che sono adottate le seguenti dimensioni:
• maglia norrnale: lunghezza=5 d; larghezza=3,4 d;
• magt,ia corta: lunghezza"' 4,5 d; larghezza= 3,4 d;
È previsto l'impiego di acciaio di grado 1 e sono prescritti per le prove
di trazionamento i carichi indicati nella tabella seguente:
Tab. 13
CARICHI DI PROVA E MASSE DELLE CATENE DI FERRO O DI ACCIAIO
FUCINATO. SENZA TRAVERSINO, A MAGLIA NORMALE O A MAGLIA CORTA

Massa per 100 m Massa per 100 m


Carico di prova Carico di prova
di catena di catena
Calibro Calibro
alla alla a maglia a maglia alla alla a maglia a maglia
rottura trazione normale corta rottura trazione normale corta
mm l<N ,N l<g \<,g mm l<N 1<1-1 ~Il "-Il

6 13,3 6,7 79 86 24 213 106 1268 1380


8 23,6 11,9 141 153 25,5 240 120 1432 1560
10 37 18,5 220 240 27 269 135 1610 1742
11 44,7 22,4 265 289 2B,5 300 150 1788 1942
12,5 57,8 28,9 345 375 30 333 166 1984 2155
14,5 77,9 38,8 462 503 32 379 189 2255 2480
16 94,6 47,4 563 612 33 403 201 2396 2605
17,5 113 56,6 675 732 35 453 226 2705 2940
19 133 66,8 794 865 37 506 253 3020 3380
20,5 155 77,7 928 1005 38 534 267 3200 3460
22 179 89,4 1063 1155 40 592 296 3520 3830

262
11. Massa e ingombro delle catene

Anche la massa delle singole lunghezze di catena è soggetta a controllo


perché i «regolamenti» prescrivono il suo valore minimo in corrispondenza
di un determinato diametro delle maglie comuni.
Nella tabella riportata a pag. 261 sono infatti indicate, come si rileva fa.
cilmente, anche le masse minime di ciascuna lunghezza, sia che si tratti di
lunghezza con maglia Kenter, sia che si tratti di lunghezza con maniglia
d'unione.
A titolo di esempio prendiamo in considerazione gli elementi relativi alle
catene delle ancore di una nave di medio tonnellaggio. Supposto che la nave
abbia modulo di armamento uguale a 1500, si deduce facilmente dalla tabel-
la riportata a pag. 252 (armamento marinaresco) che essa deve essere dota-
ta di due catene formate da 10 lunghezze ciascuna e aventi maglie da 68,
60, 52 mm a seconda che l'acciaio base sia di grado la e lb, di grado 2 o
di grado 3.
Noto il calibro della catena si potrebbe determinare il suo carico di rot-
tura e di prova con le relazioni indicate, ma è più comodo rilevare diretta-
mente questi due dati dalla «tabella dei carichi di prova e di rottura». Anche
la massa della catena può essere rilevata dalla tabella suddetta, ma dobbia-
mo osservare che in caso di necessità questa si determina approssimativa-
mente con la relazione:
m = 2,2 d 2
dove m è la massa (in kg) di 100 metri della catena considerata ed è il cali-
bro della maglia (in mm).
Per una valutazione approssimata dell'ingombro di una catena ci si può
riferire sia alla sua massa che alla sua lunghezza.
Si può infatti ritenere che una tonnellata di catena occupi 0,5 m 3 circa
quando sia convenientemente stivata. Nella stessa condizione, se si consi-
dera un tratto di catena lungo 100 m e si suppone che sia d il suo calibro
in mm, l'ingombro s in m 3 è approssimativamente espresso dalla rela-
z10ne:

s
1 000

263
Sistemazioni
per l'ormeggio .
:
.1•·.· •.;. . :·•. .:•·-.··•:'.·.
······1··:··; ;,
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.... . .,. ,, ,..__,,,
...
"

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, ,,.

CAPITOLO

1. Generalità

Già sappiamo che una nave deve essere fornita di ancore, catene e cavi
in numero e con caratteristiche che dipendono dal suo modulo d'armamen-
to. Sappiamo anche che il complesso dei cavi, delle ancore e delle catene
di cui è dotata la nave - armamento marinaresco - serve per ormeggiar-
la in qualsiasi prevedibile circostanza, tuttavia si intuisce che questa opera-
zione può essere effettuata solo se sono disponibili adeguate installazioni
e apparecchi di manovra.
All'esistenza di installazioni fisse a scafo e di apparecchi per la manovra
delle ancore e dei cavi abbiamo qualche volta accennato in precedenza, ma
è evidente che la loro importanza richiede una trattazione completa e suffi.
cientemente approfondita.
Cominciamo quindi con il premettere che sotto la generica definizione
di sistemazioni per l'ormeggio si intendono raggruppate tutte le installazio-
ni e gli apparecchi necessari per il servizio delle ancore e per la manovra
dei cavi.
Aggiungiamo poi che le sistemazioni per il servizio delle ancore com-
prendono:
• le cubìe
• la macchina o le macchine per salpare
• i mezzi di ritenuta e di arresto
• il pozzo delle catene;
che le sistemazioni per la manovra dei cavi sono costituite da:
• passacavi e bocche di rancio
• apparecchi di tonneggio
• bitte
e procediamo ad una sistematica disamina delle caratteristiche generali di
ciascuna di esse.

2. Cubie

Le cubìe sono due grossi tubi, disposti simmetricamente rispetto al pia-


no diametrale e orientati in direzione subverticale, che vengono installati
nella parte estrema del gavone di prua con lo scopo di realizzare un condot-
to di guida per ciascuna catena e un comodo alloggio per il fuso di ciascuna
ancora di posta.

265
Le parti terminali delle cubìe si attestano sul ponte di coperta o di ca-
stello e sui masconi, mediante interposizione di grosse flange. Queste deli-
mitano in pratica gli occhi superiori o sbocchi e gli occhi di cubìa esisten-
ti, rispettivamente, sul ponte e sui masconi per consentire il passaggio fuo-
ribordo delle catene.
Occhi e cubìe devono avere conveniente ampiezza; forma degli occhi e
orientamento delle cubìe sono particolarmente studiati per favorire lo scor-
rimento delle catene e il rientro del fuso delle ancore al termine delle opera-
zioni di salpamento.
Per quanto riguarda gli occhi è prescritto che essi abbiano, in corrispon-
denza delle zone di strisciamento delle catene, ampia svasatura con profilo
ben avviato e avente raggio di curvatura non inferiore a 10 calibri di
catena.
L'orientazione delle cubìe può variare da nave a nave ma nei casi ordina-
ri esse risultano inclinate verso prua di 35 ° 7 40 ° rispetto alla verticale e
di 15° 725° verso i fianchi rispetto al piano diametrale.
Non esistono prescrizioni particolari per il dimensionamento delle cubìe
e delle flange che si attestano sulle strutture dei fianchi e del ponte con col-
legamenti stagni, ma è evidente che la loro robustezza deve essere suffi-
ciente a sopportare senza danno le forti sollecitazioni cui sono sottoposte
quando si esercita la massima tensione sulle catene.
Un tempo, cubìe e flange terminali erano costruite in ghisa, ma nelle co-
struzioni moderne si impiegano flange in acciaio fuso e tubi in lamiera sal-
data. La grossezza (g), in millimetri, della lamiera costituente il tubo di cu-
bìa può essere empiricamente stabilita con la relazione:

g=0,4d+3

dove d è il calibro della catena espresso in millimetri. 1

3. Pozzo delle catene

Il pozzo delle catene è un locale in cui trovano posto le catene delle anco-
re. È normalmente ricavato entro il gavone di prua e delimitato da quattro
paratie metalliche i cui montanti sono posti esternamente per eliminare
ogni possibile ostacolo al libero scorrimento delle catene.
Una paratia longitudinale, giacente nel piano diametrale, ,i1\ iilP il pozzo
in due parti in modo da riservare a ciascuna catena un allogg-ia111,·1 1to pro-
prio e separato.
Il fondo del pozzo è ricoperto da un robusto pagliolato di legno duro e
provvisto da adeguati mezzi di drenaggio.
Apposite aperture a sezione circolare - sbocchi del pozzo - sono pra-
ticate sul suo cielo (ponte dì coperta o del castello) per permettere a ciascu-

1 Sulle cubie sono praticati piccoli fori, opportunamente distribuiti, collegati a tubi nei
quali viene pompata acqua di mare (durante le operazioni di salpamento) per il lavaggio delle
catene.

266
I
____l_ ___ _
i
Fig. 1 • Sbocchi per il
pozzo delle catene.

na catena di scorrere liberamente (fig. 1) durante le operazioni di affonda-


mento e salpamento delle rispettive ancore.
Gli sbocchi sono disposti simmetricamente rispetto al piano diametntle
e convenientemente ubicati nei confronti della macchina per salpare. Cia-
scuno sbocco è protetto da un tubo di ghisa o acciaio avente orifizi svasati
con labbro ben avviato, attestato sul ponte mediante collegamento solido
e stagno. Il tubo dello sbocco si protende al di sopra e al di sotto del ponte,
formando un condotto di guida per 1' entrata e l'uscita del1a catena dal
pozzo.
La sua presenza costituisce anche un valido rinforzo locale e rende di-
sponibile un battente che serve anche per sostenere il tappo con cui si prov-
vede alla chiusura di ciascuno sbocco. Il tappo di chiusura è necessario, con
nave in mare aperto, per evitare l'allagamento del pozzo in caso di cattivo
tempo. La sua sistemazione sull'orifizio superiore del tubo dì sbocco è resa
difficoltosa dalla presenza della catena, tuttavia si realizza ugualmente ri-
correndo all'impiego di uno speciale coperchio di legno. Questo è costituito
da due semidischi che possono essere uniti per formare un disco intero con
un foro centrale destinato a contenere una maglia della catena, comunque
orientata. Sistemate sullo sbocco le due parti che formano il tappo e assicu-
rata la loro compattezza mediante legatura, si rende stagna l'apertura rico-
prendo il tutto con uno spesso strato di cemento a pronta presa.
Per accedere nel pozzo si ricorre normalmente ad apposite aperture che
vengono praticate su una delle sue paratie. In qualche caso però, e segnata-
mente su navi di vecchia costruzione, l'accesso al pozzo avviene attraverso
un passo d'uomo esistente sul ponte e debitamente protetto da portello a
chiusura stagna.
La capacità del pozzo si assume generalmente pari a 1,5 il volume
delle catene ma tenendo presente che deve restare, al di sopra di cia-
scuna catena abbisciata, 2 uno spazio libero alto un metro circa onde assi-
curare un agevole avviamento verso il ponte quando questa viene filata in
mare.
L'estremità di ciascuna catena è collegata al pozzo mediante un gancio
a scocco incocciato ad un grosso golfare, saldamente fissato ad una paratia
in corrispondenza di una delle sue ossature.

2 Abbisciare una catena (o un cavo) significa raccoglierla in ampie spire sopra una su-
perficie libera, in modo da poterla utilizzare, all'occorrenza, rapidamente e senza impedi-
menti.

267
4. Macchine per salpare

Un tempo gli apparecchi salpancore erano azionati a braccia, ma da mol-


ti anni, grazie alla disponibilità di energia meccanica, questo sistema di ma-
novra è pressoché scomparso. Infatti, sebbene i «Regolamenti» ne impon-
gano l'obbligo soltanto per navi di S.L. ~200 ton, anche le navi minori e le
piccole unità in genere adottano, se possibile, l'apparecchio salpancore
azionato da energia meccanica. Questa può essere fornita da una macchina
a vapore, da un motore elettrico o da un motore a combustione interna; tut-
tavia dobbiamo rilevare che la grande maggioranza delle navi moderne
sono dotate di salpancore elettrico o elettroidraulico.
I salpancore a vapore si trovano infatti installati soltanto su poche navi
(generalmente dotate di apparato di propulsione a vapore), mentre quelli
a combustione interna trovano scarse applicazioni e limitatamente ad appa-
recchi di piccola potenza. 3
Ciò premesso precisiamo che, indipendentemente dalla fonte di energia
utilizzata, si distinguono due diversi tipi di apparecchi salpancore. Si chia-
mano infatti molinelli le macchine per salpare aventi l'asse di lavoro dispo-
sto orizzontalmente, mentre si definiscono argani quelle il cui asse di lavo-
ro è disposto verticalmente.
Non esistono regole precise che impongano la scelta di questo o quel
tipo di salpancore, ma in generale le navi mercantili adottano il molinello
perché con un solo apparecchio si possono manovrare entrambe le catene,
mentre occorrono due apparecchi distinti, agenti separatamente su ciascu-
na catena, se si ricorre all'impiego dell'argano. 4
II molinello è installato nel piano di simmetria, in posizione atta a favo-
rire la corsa delle catene dagli sbocchi di cubìa agli sbocchi del pozzo e vice-
versa, e poggia su una base in ghisa o acciaio fuso che viene solidamente
collegata alle ossature del ponte (localmente rinforzato e puntellato). Le
parti essenziali che lo costituiscono sono (fig. 2):
• un motore elettrico o elettroidraulico (fig. 3), o una macchina a vapore
o un motore a combustione interna, che fornisce l'energia necessaria per
il funzionamento dell'apparecchio e ne comanda l'asse motore;5
• un asse trasversale - asse intermedio - sulle cui estremità sono applica-
ti due grossi cilindri - campane - , uguali e simmetrici rispetto al piano
diametrale, che possono essere utilizzati per la manovra dei cavi.
L'asse intermedio viene messo in rotazione dall'asse motore, cui è a tal
fine collegato mediante sistemi che includono la presenza di ingranaggi atti
a operare una riduzione della sua velocità a valori accettabili;

:J Fino a 11 -,. 15 kW (15-,. 20 CV).


4 Gli argani sono normalmente installati sulle navi passeggeri e su qualche nave da cari-
co di grandissimo tonnellaggio.
r, Il molinello elettrico è dotato anche delle apparecchiature necessarie per impedire in-
tollerabili sovraccarichi o anormali acceleramenti nella velocità di salpamento, e di dispositivi
automatici atti ad evitare il ritorno a mare della catena in caso di interruzione nella erogazio-
ne della corrente.

268
Fig. 2 - Molinello
salpancore elettrico;
1) Basamento:
2) Colonna di
sostegno; 3) Ruota
a impronte ( bartJoti n);
4) Ruota dentata di
accoppiamento:
5) Leva di comando:
6) Volanti no di
manovra: 7) Freno
a nastro:
8) Volantino del
freno a nastro:
9) AltJera delle
campane:
1O) Campana:
11) Ruota dentata;
12) Vile senza fine;
13) Albero motore:
14) Motore elettrico

• due semiassi, disposti trasversalmente ed in posizione simmetrica rispet-


to al piano diametrale, che ricevono il moto dall'asse intermedio attraverso
una coppia di ingranaggi particolarmente studiati per realizzare una buona
riduzione della loro velocità; 6
• due grosse ruote sulla cui periferia sono ricavate delle impronte (da 5 a
7) nelle quali si incastrano ]e maglie delle catene nel cammino che esse se-
guono per entrare o uscire dal pozzo. 7 Queste ruote, dette ruote a impron-

Fig. 3 - Moli nello


saipan core
elettroidraulico.

6 Questa seconda riduzione di velocità permette di assegnare una bassa potenza alla
macchina ma vedremo che il R.I.Na impone un limite minimo nella velocità di salpamento,
al di sotto del quale non è consentito scendere.
7 Il distacco delle maglie dalle impronte della ruota è garantito, nella manovra di recupe-
ro della catena, dalla presenza di un'asta opportunamente orientata. che si chiama sgranatoio
o SC(lcciacatena.

269
te o barbotin, 8 sono montate folli sui due semiassi del molinello ma posso-
no essere rese solidali con essi mediante manovra semplice e rapida. A tal
fine su ciascun semiasse è calettata una ruota che può scorrere su di esso
per infrtanarsi all'adiacente barbotin, ovvero per accopp1arsi a questo con
un sistema di innesto che è possibile realizzare grazie alla presenza di larghi
denti sulle superfici di contatto delle due ruote;
• due freni del tipo a nastro (uno per ciascun barbotin), con interposti tac-
chi di legno santo o ferodi, comandati da leva a manubrio o da volantino
attraverso un'apposita asta filettata;
• una colonnina su cuì è installato un volantino che comanda la messa in
moto dell'apparecchio.
La particolare sistemazione delle ruote a impronte consente di adopera-
re il molinello sia come macchina per salpare e dar fondo le ancore, sia
come macchina per la manovra dei cavi d'ormeggio, tonneggio e rimorchio.
Nel caso si debba salpare un'ancora basterà infatti ingranare il barbotin
sul quale passa la relativa catena, prima di mettere in moto l'apparecchio;
se entrambe le ancore sono in mare si possono salpare contemporaneamen-
te ingranando tutti e due i barbotin, mentre volendo eseguire soltanto una
manovra di forza su uno o due cavi si lasciano i barbotin sgranati e bloccati
dal freno di cui ciascuno di essi è provvisto.
Per dar fondo un'ancora non c'è alcun bisogno di mettere in moto l'ap-
parecchio. Sgranato il barbotin sul quale passa la sua catena è infatti suffi-
ciente aprire il freno che lo tiene bloccato, perché l'ancora scenda in mare
portatavi dal suo stesso peso.
L'apparecchio salpancore è tuttavia realizzato in modo da poter inverti-
re il senso di marcia dell'asse intermedio e dei due semiassi che sostengono
i barbotin. 9
La rotazione che comporta il ricupero di catena o cavo (in tutto o in parte)
è sinteticamente definita dai termini '\Ytra,re e 1Jira,, mentre queHa oppoita
(utilizzabile solo per la catena) si indica con i termini allascare e allasca. rn
Il molìnello deve essere proporzionato in modo da permettere il ricupero
di 2 lunghezze di catena di un'ancora senza ceppo nel tempo massimo di 6
minuti.
L'osservanza di questa norma, imposta dal R.I.Na e accertata durante
la prova di collaudo cui viene sottoposto l'apparecchio (la prova ha inizio
con 3 lunghezze di catena completamente immerse), comporta una velocità
di salpamento non inferiore a 0,15 m/s.
Stabilita la velo~;ifa V di sa1pamento, si potrebbe dunque calcolare la po-
tenza minima richiesta per il funzionamento del molinello applicando la re-
lazione:
F-V
p =
T]

8
Dal nome dell'Ufficiale della marina francese che per primo ideò la ruota a impronte.
Questa possibilità viene talvolta sfruttata per appennellare l'ancora, ovvero per dispor-
!J
la ~molante fom-i cubia cori ·,m 'oreve tratto di catena.
10
Allaseare e allasca stanno per allentare e allenta. Anche le catene, come i cavi, sono
generalmente allascate senza invertire il senso di marcia del molinello. Si preferisce infatti
agire sul freno del barbotin preventivamente sgranato.

270
dove P è la potenza della macchina in kW, 11 è il suo rendimento ed F è la
resistenza (in N) opposta dall'ancora e dalla catena (la resistenza F può es-
sere determinata tenendo conto del peso dell'ancora e della catena immer-
sa, nonché della efficienza della cubìa).
Le più recenti normative del R.l.Na stabiliscono però che l'apparecchio
salpancore sia proporzionato alle dimensioni e alle caratteristiche delle ca-
tene in dotazione alla nave.
Tali normative richiedono infatti che il motore del salpancore sia in gra-
do di fornire, per almeno 30 minuti di funzionamento continuativo, un tiro
Z il cui valore in N si ricava dalle seguenti relazioni:
Z = 38,6 d 2 per catene in acciaio di grado la e lb
Z '=' 41, 7 d 2 per catene in acciaio di grado 2
Z ; 46,5 d 2 per catene di grado 3
dove d è il diametro della catena espresso in mm.
I valori del tiro che si ricavano dalle relazioni sopraindicate risultano de-
terminati tenendo conto del peso dell'ancora e della catena immersa nel-
l'acqua e dell'efficienza della cubìa, e assumendo le seguenti condizioni:
vento di velocità uguale a 14 m/s;
- corrente di velocità uguale a 3 nodi (1,54 m/s);
- profondità di ancoraggio uguale a 100 m.
Il motore dell'apparecchio salpancore deve essere capace di sopportare,
per almeno 2 minuti, un sovraccarico temporaneo (necessario per spedare
l'ancora) pari a 1,5 volte il tiro Z in funzionamento continuativo.
L'argano a salpare porta un solo barbotin (fig. 4), montato sul suo asse
di lavoro disposto verticalmente, e può pertanto servire una sola catena.
Deriva da ciò la già ricordata necessità di disporre di due apparecchi distin-

Fig. 4 - Argano
salpancore
0l0t\1oidrau\ico
(catene da 37 mm
di calibro).

271
ti, agenti separatamente su ciascuna catena, installati in posizione simme-
trica rispetto al piano diametrale, opportunamente ubicati per favorire la
'
corsa della catena da e per il pozzo.
Questa soluzione può per altro rivelarsi conveniente perché nel caso di
apparecchi di grande potenza consente di limitare l'ingombro sul ponte. A
questo vantaggio si aggiunge il fatto che, potendosi installare senza ecces-
sive difficoltà la parte motrice ed il riduttore di giri al disotto del ponte,
si consegue il duplice risultato di ridurre ulteriormente l'ingombro su que-
sto e assicurare una perfetta protezione per apparecchiature molto delicate
quali sono ad esempio quelle dell'argano elettrico. Con questo accorgimen-
to tecnico rimane sul ponte scoperto la sola parte di lavoro, rappresentata
dal barbotin con il suo freno e dalla caml)ana per la manovra dei cavi, che
ruota, solidale con l'asse, al disopra di esso.
Le caratteristiche dell'argano salpancore sono sostanzialmente uguali a
quelle del molìnello. Si nota tuttavia facilmente che (fig. 5) usando il moli-
nello la catena subisce una deviazione di 90° circa per dirigersi verso lo
sbocco del pozzo, mentre con l'argano salpancore questa deviazione rag-
giunte i 180° circa (fig. 6).
Per quanto riguarda il proporzionamento di ciascun argano, è prescritto
che esso sia, in linea di massima, ugu;:tle a quello previsto per il molinello.

/
'\.
/
.
5,
Fag. 5 - Sistemazioni ---,.,·<
per il servizio delle
ancore: 1) pozzo delle
" '\. / ~
,, \
v ~ \

·~
catene; 2) sbocco " t
del pozzo delle
catene: 3) ruota a
/
impronte (barbotin)
della macchina
salpancore:
/ " '\.
4) arrestatoio: /
5) cubìa; 6) occhio
di cubìa.
"

2 ••••
.,
··:>-
.........

,_, _ _, ---·-·
,~
Fi9. 6 - Percorso
""-o '-31:·-... _
2 ····-.•:··-.
della catena con
macchina satpancore
8d asse verticale
(argano): 1) argano;
2) sb-Occo del pozzo.

272
5. Mezzi di ritenuta e di arresto

Si definiscono mezzi di ritenuta e di arresto i dispositivi che vengono in-


stallati sul ponte di coperta o di castello per assicurare il bloccaggio delle
catene o per arrestarne la corsa.
Indipendentemente dagli organi frenanti di cui sono provvisti gli argani
salpancore e il molinello, sono infatti disponibili un arrestatoio e una bozza
per ciascuna catena.
L'arrestatoio (fig. 7) è un congegno di robusta e adatta conformazione,
convenientemente fissato al ponte nella zona compresa fra lo sbocco supe-
riore di cubìa e l'apparecchio salpancore, e in posizione idonea a farne an-
che un elemento di guida e sostegno per la catena. Può essere usato per
arrestare, in caso di necessità, la corsa della catena, e per concorrere alla
sua ritenuta quando la nave si trova all'ancora o in navigazione. Ne esisto-
no diversi tipi (a traversa, a ganascia ecc.) ma ugualmente funzionali per-
ché caratterizzati dalla stessa semplicità d'impiego e da una azione rapida
ed efficace.

Fig. 7 - Arrestatoi.
A hanco: tipo
a ganascia: sotto
a sinistra: tipo
a traversa: sotto:
tipo a scontro.

273
In passato era molto usato anche un altro congegno - strozzatoio -
particolarmente adatto a frenare e arrestare la corsa della catena durante
le operazioni di affondamento dell'ancora. Con il diffondersi degli apparec-
chi salpancore provvisti di barbotin e organi frenanti, la presenza dello
strozzatoio è però divenuta superflua e pertanto esso si ritrova solo su qual-
che nave con sistemazioni per l'ormeggio di tipo antiquato.
Può essere comunque interessante sapere che lo strozzatoio è essenzial-
mente costituito da una leva mediante la quale si riesce a «strozzare» la ca-
tena contro il lato prodiero del tubo di sbocco del pozzo. Una estremità della
leva è incardinata sul ponte mentre sull'altra estremità si applica il bozzello
di un paranco sul cui tirante si esercita la forza necessaria per bloccare la
catena.
La bozza deve essere considerata come una ritenuta di sicurezza della
catena durante la navigazione. La sua presenza serve infatti ad evitare che
per una serie di circostanze fortuite (barbotin sgranato, freno allentato, ar-
restatoio aperto) possa verificarsi uno spontaneo scorrimento fuoribordo
della catena, scorrimento che si risolverebbe con la perdita della catena
stessa e dell'ancora ad essa sospesa, e che potrebbe provocare gravi danni
alle sistemazioni per l'ormeggio e pericolo per le persone eventualmente
presenti nella zona.
La bozza per la catena dell'ancora è costituita da uno spezzone di catena
che comprende normalmente anche un arridatoio, necessario per regolare
la sua tensione.
Una estremità della bozza viene ammanigliata ad un golfare, fissato alla
base dell'arrestatoio o in altra posizione favorevole, mentre l'altra estremi-
Fig. 8 - Bozza per tà si collega alla catena mediante un gancio a scocco o uno speciale gancio
catena (con gancio
a scocco e - gancio a tena,glia - che si incoccia alla maglia più vicina allo sbocco supe-
arridatoio). riore della cubìa (fig. 8 e fig. 38 del cap. III).

6. Passaca'I\ e bocche d\ ranc\o

In generale si possono chiamare passacavi tutte le installazioni fisse uti-


lizzabili come elementi di guida per il passaggio fuoribordo dei cavi, ma a
voler essere precisi dovremmo distinguere fra passacavi veri e propri e al-
tri dispositivi che svolgono la stessa funzione e che si definiscono bocche di
rancio o di tonneggio.

I passacavi sono punti di passaggio esistenti sul parapetto del ponte di


coperta, opportunamente distribuiti per facilitare le manovre di ormeggio,
tonneggio e rimorchio; risultano solitamente costituiti da aperture, a sezio-
ne ellittica o circolare, delimitate da flange d'acciaio particolarmente stu-

274
diate per garantire la necessaria robustezza locale ed evitare che i cavi ri-
sultino danneggiati (figg. 12 e 36 cap. Ili), ma assumono conformazioni
particolari se inseriti in un parapetto a giorno (fig. 13).

Le bocche di rancio o di tonneggio sono grosse piastre di ghisa o d'ac-


ciaio, terminanti lateralmente con due appendici ricurve la cui forma ricor-
da gli organi di presa di un granchio 11 (fìg. 9). Sono installate sui ponti,
nella parte che si collega alle murate, e distribuite in modo da assicurare
la loro presenza in tutti i punti in cui si prevede la necessità di passagg·io
per i cavi d'ormeggio, tonneggio e rimorchio.


Fig. 9 - Bocche
di rancio.

Le bocche di rancio sono particolarmente numerose sulle parti estreme


della prua e della poppa, ovvero in quelle zone di ponte in cui è normalmen-
te concentrata la quasi totalità delle installazioni per l'ormeggio e che sono
per ciò indicate dai naviganti come «posti di manovra» per le operazioni di
ormeggio e disormeggio.

11
In passato venivano infatti definite anche bocche di granchio o di grancio; da questi
nomi è derivato, per corruzione, il termine bocche d-i rancio attualmente in uso.

275
Uno o più rulli ad asse verticale sono generalmente inseriti nella parte
centrale o in quelle laterali (gole) delle bocche di rancio; la loro presenza
facilita infatti il passaggio dei cavi ed elimina quell'azione di sfregamento
contro i bordi delle appendici laterali che si risolve in una accelerazione del
processo di usura.

7. Apparecchi di tonneggio

Gli apparecchi di tonneggio sono macchine che vengono installate sulla


prua e sulla poppa 12 allo scopo di rendere possibili le manovre d'ormeggio,
tonneggio e disormeggio. Si chiamano argani (fig. 10) se sono ad asse verti-
cale, verricelli (fig. 11) se ad asse orizzontale; sono normalmente azionati
da energia meccanica, tuttavia il R.I.Na impone questa condizione soltanto
per le navi di S.L. ~300 ton.

Fig. 10 • Argano di
tonneggio.

Fig. 11 • Verricello
di tonneggio.

12
Alcune grandi navi hanno apparecchi di tonneggio anche nella parte maestra.

276
L'energia necessaria per il funzionamento degli argani e verricelli di
tonneggio può essere fornita da una macchina a vapore o da un motore elet-
trico o elettroidraulico. Dobbiamo però osservare che in questi ultimi anni
si è decisamente affermata la tendenza all'impiego di apparecchi elettrici
o elettroidraulici anche per la manovra dei cavi, e pertanto argani e verri-
celli a vapore si trovano ormai installati su pochissime navi.
Argani e verricelli di tonneggio sono sostanzialmente simili alle corri-
spondenti macchine per salpare, anche se più semplici e meno ingombranti
perché privi dei dispositivi necessari per la manovra delle catene. Fatta sal-
va questa differenza, e tenuto conto del diverso servizio che essi svolgono,
si possono però applicare agli apparecchi di tonneggio le considerazioni
svolte a proposito degli argani e molinelli salpancore, ed in particolar modo
quelle riguardanti i principi su cui si basa il loro funzionamento e i criteri
di installazione.
Anche la scelta del tipo di apparecchio (argano o verricello) è dettata da
esigenze analoghe a quelle considerate per il salpancore, ma compare in
questo caso un nuovo elemento a favore della macchina ad asse verticale.
Possiamo infatti ritenere che l'argano sia più funzionale del verricello per-
ché caratterizzato da una maggiore semplicità d'impiego.
Allo scopo di chiarire questa affermazione ricordiamo che l'argano è do-
tato di una campana verticale mentre il verricello dispone di una o due cam-
pane fissate alle estremità del suo asse orizzontale. Precisiamo inoltre che
manovrare un cavo con l'apparecchio di tonneggio significa esercitare su
di esso la trazione richiesta per effettuare le operazioni di ormeggio o ton-
neggio, dopo averlo fissato a terra o su un galleggiante incocciando la sua
gassa terminale ad una colonna, ad un gancio, ad un grosso anello i:i ecc.
(fig. 12).

Fig. 12 - Colonne
d'ormeggio di banchina
e cavi d'ormeggio
provenìenti da bocche
di rancio e passacavi.

I:l Per fissare la gassa ad un anello occorre farh\ ripetutamente µassare attraverso il suo
occhio e bloccarla collegandola alla parte terminale del cavo stesso mediante uno spezzone di
ghia munita di gassa e chiamata bozza. Nel caso di cavo in acciaio si ottiene lo stesso risultato
usando un grosso grillo anziché la bozza.

277
Osserviamo poi che la manovra di forza si effettua avvolgendo ripetuta-
mente (tre, quattro, cinque volte) il cavo attorno alla campana, e avvertia-
mo che essa può essere realizzata soltanto se il cavo che deve essere messo
in trazione arriva alla campana da una dfrezione perpendicolare al suo asse
di rotazione.
Ciò premesso, ricordiamo che un cavo può pervenire sul ponte da uno
qualsiasi dei passacavi o bocche di rancio disponibili e pertanto può essere
orientato in una qualsiasi direzione rispetto all'asse di lavoro dell'apparec-
chio di tonneggio. Questa condizione non comporta alcun inconveniente se
l'apparecchio è un argano, perché l'asse di rotazione della campana è verti-
cale e risulta quindi sempre ottimamente orientato rispetto alla direzione
di provenienza del cavo, normalmente giacente in un piano orizzontale o
quasi; nel caso del verricello invece, essendo l'asse di lavoro orizzontale e
disposto trasversalmente, si dovrà, se necessario, provocare una deviazio-
ne nella direzione di provenienza del cavo affinché questo arrivi alla campa-
na con l'orientamento richiesto per poter svolgere un'azione di forza. Tale
deviazione si realizza facendo passare il cavo attraverso punti di guida che
sono normalmente costituiti da grosse e solide colonne 14 - bitte - instal-
late sul ponte per dar volta ai cavi d'ormeggio, tonneggio e rimorchio.
Rimandando al successivo paragrafo la descrizione delle caratteristiche
delle bitte, e delle operazioni da compiere per darvi volta i cavi dopo averli
opportunamente tesati 15 con gli apparecchi di tonneggio, vediamo ora
quali apparecchi di tonneggio sono normalmente disponibili sulla prua e
sulla poppa.

Fig. 13 - Verricello
autormeggiante
(verrk:ello Ili
tonneggio
aulomaticoj.

14
Su qualche nave sono installati a questo scopo dei solidissimi rulli o grosse pulegge ad
asse verticale; se necessario, si può ricorrere all'impiego di una o più pastecche.
lf, Tesare un cavo significa metterlo in forza mediante trazione.

278
Per quanto riguarda le operazioni da svolgere a prua è evidente la con-
venienza di utilizzare anche per i cavi il molinello o gli argani salpancore
quivi installati; sulla poppa può essere installato un solo verricello dotato
di asse di lavoro abbastanza lungo da avere le campane nel1a posizione ri-
chiesta per assicurare la massima funzionalità, ma in generale si propende
per l'impiego dì due argani di tonneggio simmetricamente disposti rispetto
al piano diametrale.
Dobbiamo però osservare che cresce costantemente il numero del1e
grandi e moderne navi da carico che dispongono, per la manovra dei cavi,
di speciali verricelli elettrici o elettroidraulici che si definiscono autormeg-
gianti (figg. 13 e 14) perché muniti di dispositivi adatti a regolare automa-
ticamente la lunghezza e la tensione dei cavi che ad essi fanno capo. Questi
verricelli sono installati a prua, a poppa e, in qualche caso, anche nella par-
te maestra. Risultano particolarmente utili per le navi adibite al trasporto
di carichi alla rinfusa (per esempio, le navi cisterna, le navi mineraliere
ecc.) poiché la rapidità con cui sì effettuano le operazioni di caricazione e
discarica comporta variazioni di immersione così rapide e sensibili da im-
porre m1a continua regolazione della lunghezza e della tensione dei cavi
d'ormeggio. Tale regolazione, se compiuta con mezzi ordinari, richiede un
gravoso impegno per il personale dì bordo. Questi si vede infatti costretto
a ripetuti interventi per ricuperare l'irnbando 16 che si determina nei cavi
in conseguenza della caricazione o per allascare i cavi stessi che si tesano
eccessivamente con l'emersione prodotta dalla scaricazione.
Le stesse operazioni non comportano invece alcuna difficoltà o impegno
del personale se la nave è dotata di verricelli autormeggianti. Ciò perché

Fig. 14 - Verricello
di tonneggio
automatico:
1) tambura;
2) campana; 3) asse
del tamburo; 4) cassa
del riduttore;
5) innesto del
riduttore per tiro di
5 o 15 t; 6) cassa
dell'accoppiatoio:
7) motore elettrico;
8) freno a lamelle:
9) manovra del freno
a nastro: 10) freno a
nastro: 111 comando
a mano di
accoppiamento
della campana:
12) basamento.

16 L' imbando di un cavo è costituito dal tratto che si deve ricuperare per mettere in ten-
0

sione il cavo stesso durante una manovra d'ormeggio o disormeggio. Ricuperare l'imbando
significa quindi tirare il cavo fino a renderlo teso.

219
il verricello autormeggiante mantiene automaticamente in tiro il cavo che
ad esso fa capo, permettendogli di allungarsi quando la trazione supera il
limite stabilito, e provvedendo al necessario ricupero quando la trazione
stessa diviene inferiore a quella prefissata.
Per ottenere questo risultato, che elimina ogni intervento manuale e
rende superflua la presenza delle campane (fig. l 3), il verricello autormeg-
giante comprende un grosso cilindro - tamburo - sul quale è stabilmente
avvolta una parte del cavo ed il cui albero è sede di un dispositivo di auto-
matismo che lo sollecita a ruotare in un senso o nell'altro, allascando o ricu-
perando in tal modo il cavo stesso, quando la tensione risulta maggiore o
minore di quella prefissata.
L'apparecchiatura sensibile è costituita da una barra di torsione allog-
giata all'interno dell'albero che comanda il tamburo e che svolge la funzio-
ne di dinamometro. Appositi ammortizzatori di tipo idraulico consentono
inoltre di assorbire improvvise variazioni di carico, cosicché sia assicurato
all'apparecchio un funzionamento senza strappi.

8. Bitte

Le bitte sono, come già abbiamo accennato, de1le co\onnine d'acciaio ane
quali si danno volta i cavi che collegano la nave alla terraferma, ad altre
navi o a galleggianti (figg. 10 e 15). Normalmente sono disposte in coppia
su un unico basamento che viene solidamente fissato alle strutture del pon-
te ma nelle piccole navi si trovano anche bitte singole opportunamente con-
formate per garantire la necessaria efficienza.
Il numero, la posizione e le dimensioni delle bitte costituiscono elementi
che variano da nave a nave. Deve infatti essere soddisfatta in ogni singolo
caso l'esigenza di facilitare le operazioni di ormeggio, tonneggio e rimor-
chio mediante la disponibilità di punti dì attacco dì adeguata robustezza,
ben distribuiti e sufficientemente numerosi in relazione alle caratteristiche
della nave.
Il maggior numero di bitte è concentrato sulla prua e sulla poppa, poiché

Fig. 15 - Cavo dato


volta alle bitte.

280
sono queste le parti normalmente riservate alla manovra dei cavi, ma non
mancano, specie sulle navi di notevole lunghezza, altre coppie di bitte ade-
guatamente installate in prossimità dei passacavi esistenti sui parapetti
della parte maestra.
Osserviamo ora che dare volta un ca:vo alle bitte significa farlo ripetuta-
mente passare attorno alle due colonnine seguendo un certo numero di per-
corsi a otto (fig. 15). L'operazione non presenta nessuna difficoltà se il cavo
è in bando, ma richiede speciali accorgimenti ed azione rapida e decisa se
esso si trova sotto sforzo sulla campana dell'apparecchio di tonneggio. In
tal caso occorre infatti trasferire il cavo dalla campana (che viene così libe-
rata e può essere nuovamente utilizzata per mettere in tiro un altro cavo)
alle bitte, senza provocare un allascamento tale da rendere inutile il lavoro
di trazionamento precedentemente svolto.
Per realizzare questa condizione nonostante l'intensa forza che porta il
cavo a filarsi fuoribordo non appena liberato dalla campana, si procede nel
modo seguente:
• ottenuta la condizione desiderata quanto a lunghezza e tensione median-
te l'impiego dell'argano o del verricello o del molinello, si arresta l'apparec-
chio mantenendo il cavo avvolto in diverse spire sulla sua campana;
• si prende uno spezzone - bozza -, di ghia se il cavo da dar volta è di
fibra, di catenella d'acciaio se il cavo è in acciaio, della lunghezza di 3-5 me-
tri, e lo si fissa con una estremità ad un golfare generalmente installato sul
lato prodiero o poppiero della base delle bitte 17 più vicine alla traiettoria
seguita dal cavo nel tratto compreso fra la bocca di rancio e la campana del-
l'apparecchio di tonneggio;
• si distende energicamente la bozza in direzione della bocca di rancio da
cui proviene il cavo, e la si dà volta su quest'ultimo cercando di farle assu-
mere una direzione il più possibile prossima a quella definita dal cavo, e ba-
dando che, dopo aver eseguito lo speciale nodo previsto per questa circo-
stanza, 18 rimanga libero un tratto di cima sufficiente per poter afferrare
e tenere saldamente l'estremità libera della bozza;
• si allascano lentamente le spire - volte - della campana per far scorre-
re senza strappi tanto cavo quanto basta per mettere in forza la bozza;
• ottenuta questa condizione, si libera immediatamente il cavo dalla cam-
pana e, con la massima rapidità ammissibile, lo si dà volta alle bitte, cui è
precariamente collegato attraverso la bozza, cercando di ricuperare ogni
possibile imbando (questa operazione deve essere rapidissima perché tutta
la trazione esercitata dalla nave sul cavo viene sopportata dalla bozza per
il tempo che intercorre fra l'istante in cui il cavo stesso viene tolto dalla
campana e l'istante in cui viene passata la prima volta attorno alle bitte);
• assicurato il cavo alle bitte con un sufficiente numero di volte (4, 5, 6, ed
anche 7 od 8 se trattasi di cavo d'acciaio) lo si libera della bozza che può
essere utilizzata per abbozzare un altro cavo.

17 In mancanza di golfare si può fissare direttamente la bozza ad una delle due co-
lonnine.
18 Nodo di bozza (doppio parlato).

281
Le stesse operazioni si ripetono per gli altri cavi disponibili cosicché la
nave risulterà ormeggiata con 4-5 cavi a prua e 4-5 cavi a poppa.
Normalmente si dà volta un solo cavo a ciascuna coppia di bitte ma in
caso di necessità non è detto che non si possa utilizzare la parte inferiore
delle bitte per un cavo e la parte superiore per un altro.
Una eventuale regolazione della tensione, per distribuire equamente su
tutti i cavi la trazione esercitata dalla nave, si ottiene allascando opportu-
namente le volte dei cavi maggiormente tesati.

282
Il timone
I CAPITOLO

1. Generalità

Il timone è l'organo che serve per governare la nave, ossia per guidarla
sulla rotta prescelta e per evi.tare gli ostacoli che si presentano sul suo
cammino.
Vedremo che il timone può assumere diverse forme e caratteristi.che ed
essere variamente applicato presso l'estremità poppiera della carena, ma
per studiare l'azione che esso produce lo riguarderemo in un primo momen-
to come una piastra verticale incardinata sul dritto e facilmente inclinabile
rispetto al piano diametrale della nave.
Osserviamo che dalla facilità di inclinare - mettere alla banda - il timo-
ne discende la possibilità dì governare la nave e pertanto esso è collegato
con dispositivi e apparecchiature che consentono di farlo ruotare di angoli
più o meno ampi attorno ad un asse verticale che si definisce asse di rota,-
zione del timone.
Inclinando il timone di una nave che avanza o retrocede, si determina
il passaggio di questa da un regime di moto traslatorio ad un regime di
moto curvilineo che sì chiama evolutorio o evolu-tivo: l'uso del timone ha
dunque come effetto una evoluzione della nave e cioè una variazione nella
sua direzione di avanzamento.
Questo stato di cose viene praticamente espresso dicendo che l'azione
del timone provoca una accostata della nave; in particolare, si dice che la
nave accosta a dritta oppure a sinistra a seconda che la rotazione impres-
sale dal timone determini uno spostamento angolare della sua prora verso
il lato destro oppure verso il lato sinistro.
Il timone, grazie ai dispositivi cui abbiamo accennato e dei quali ci occu-
peremo in seguito, può essere manovrato a distanza e senza alcuna difficoltà.
La manovra si esegue da una stazione di governo, 1 (fig. 1) usualmente
ubicata sul ponte di comando, mediante una ruota d'i governo o ruota del
timone o ruota, a caviglie 2 la cui r otazione in senso orario o in senso antio-
rario produce una rotazione del timone in senso antiorario o in senso orario,
rispettivamente.
In pratica, però, non si menziona mai il senso di rotazione del timone

1
Il personale navigante preferisce definire timoneria il locale dal quale si manovra il ti-
mone, ma i costruttori attribuiscono a questo termine un diverso significato (vedi Cap. XIX,
par. 3).
2 La ruota a caviglie è stata, fino a non molti anni fa, il solo tipo di ruota in uso per la
manovra del timone. Su molte costruzioni moderne si trovano invece ruote di governo in tutto
simili ai volanti delle automobili; su talune navi la «ruota» di governo è addirittura scomparsa
poiché il timone viene manovrato a mezzo di leve o pulsanti.

283
a~
13
12 14
15
3

35

~ ~~~~j~~~~=j~~t=~==Jtt~b~~

40 38

Fig. 1 - Piano della stazione di governo di una grande nave: 1) cannocchiale; 2) ripetitrice bussola girosco·
pica; 3) quadro luci esterne; 4) radiotelefono per distanze brevi (VHF); 5) radiotelefono per grandi distanze;
6) telefono per la stazione-radio; 7) telefono per la cabina del comandante; 8) bussola giroscopica; 9) com·
mutatori dispositivi comando: 1O) pulsante chiamata equipaggio; 11) dispositivo comando fischio: 12) ruota
per ·11 governo manuale e dispositivo per il governo automatico; 13) quadro dispositivi comando macchine
ausiliarie; 14) commutatore telegrafo di macchina; 15) comando chiarovisore ; 16) dispositivo comando mo·
tare di proputsiofle; 17) tele1ono locale apparato motore: 18) telefoflo posto di manovra a prua·. 19) telefono
poslo di manovra a poppa e locale macchina timone; 20) dispositivo comando altoparlanti; 21) quadro com·
mutatori !anali di navigazione; 22) quadro commutatori luci d"albero; 23) tasto per trasmissioni Morse; 24)
indicatore lunghezza di catena fuoribordo; 25) quadro indicatori allarme; 26) binocoli; 27) bussola magneti·
ca a riflessione; 28) ruota ausiliaria di governo; 29) ecoscandaglio; 30) ricevitore Decca-Navigator; 31) ba·
rometro; 32) orologio; 33) 'indicatore di velocità; 34) indicatore m·Iglia percorse; 35) dispositivo comando
solcometro; 36) segnatempo per il radar plotting; 37) radar con dispositivo photoplot; 38) tavolo per carteg-
giare; 39) impianto illuminazione tavolo per carteggiar1i; 40) cronomelro; 41) armaòio; 42) òlsposili~o ri~e-
latore d'incendio; 43) ricevitore FAC-SIMILE; 44) scaffale porta-bandiere.
Montati sulla paratia prodiera della stazione di governo si notano inoltre: a) indicatore giri dell"elica: b) indi-
catore angolo di barra; c) indicatore profondità; d) orologio; e) indicatore velocità.

perché ciò potrebbe generare equivoci. Si preferisce infatti far riferimento


allo spostamento che subisce la parte del timone che si trova a poppavia del
suo asse di rotazione e pertanto si dice che la ruota di governo serve per
mettere il timone a dritta oppure a sinistra.
In particolare ricordiamo che si mette il timone a dritta se si fa girare
la ruota di governo in senso orario (verso destra), si mette il timone asini-
stra se la si fa girare in senso antiorario (verso sinistra).
E poiché con il timone a dritta si produce una accostata a dritta, mentre
con il timone a sinistra l'accostata avviene dalla parte opposta, si conclude
che: per fare accostare la nave a dritta occorre girare la ruota di governo

284
in senso orario, per farla accostare a sinistra è necessario farla girare in
senso antiorario.

2. Pressione sul timone

Ricordiamo che il timone può essere assimilato ad una piastra verticale


investita da una corrente fluida sotto un angolo di incidenza uguale all'an-
golo di inclinazione del timone stesso e con velocità uguale alla velocità V
della nave.
In tali condizioni, i filetti fluidi che costituiscono questa corrente eserci-
tano, sulla superficie del timone, delle pressioni la cui risultante Pn si sup-
pone normale alla superficie stessa ed applicata in un punto C che si defini-
sce centro di pressione (fig. 2).
Il valore della pressione P n può essere espresso, in N, con la relazione
generale:
Pn=KSV 2
dove: S = superficie del timone in metri quadrati;
V = velocità della nave in miglia orarie;
K "" coefficiente variabile anche con l'angolo di inclinazione (o.) del
timone.
Non c'è però accordo sul valore da attribuire al coefficiente K e perciò

Flg. 2 - Pressione P0
agente su un timone
inclinato dell'angolo a.

sussistono diverse formule pratiche che conducono alla determinazione del-


la pressione Pn.
La formula generalmente usata per calcolare la pressione Pn agent e
sul timone di una nave è quella di Joessel; questa assume la forma:

51,9 seno:
Pn = - - - - - - - - S V2
0,2 + 0,3 sen a
se si esprime la velocità V in miglia orarie, mentre diventa:

196 sen o.
-------sv 2
0,2 + 0,3 sen o.
se la velocità V è espressa in metri al secondo. 3

3 Il valore del nuovo coefficiente numerico si ricava facilmente tenendo presente che un
miglio all'ora equivale a 0,5144 metri al secondo.

285
Per ìl naviglio militare però, caratterizzato, com'è noto, da elevate velo-
cità, si adotta normalmente una formula per ]a marcia avanti e una formula
diversa per la marcia indietro.
La P11 a marcia avanti viene calcolata con la seguente formula di
Brown:
P 11 : 213,8 sen a S V 2 (con V espressa in m/s)
mentre per la marcia indietro si raddoppia il valore che si ottiene con la for-
mula di Joessel. Esprimendo ancora la velocità V in metri al secondo si de-
termina quindi la P11 con la relazione:
392 sena
P 11 = - - - - - - - S V 2
0,2 + 0,3 sen o.
Per quanto riguarda il centro di pressione osserviamo che la sua posizio-
ne non coincide con il baricentro del timone, risultando spostata verso il suo
spigolo prodiero se la nave avanza, verso quello poppiero se la nave retrocede.
Se si considera un timone ordinario, e cioè un timone la cui superficie
è tutta a poppavia del suo asse di rotazione, e si suppone che esso abbia for-
ma rettangolare con altezza h e larghezza l, si può ritenere che il centro di
pressione sia posto a distanza (in metri) z = h/2 dal suo spigolo inferiore, e
a distanza (in metri): X= l (0,2+ 0,3 sena.) dal suo spigolo prodiero o poppie-
ro a seconda che la nave proceda avanzando o retrocedendo.
Deriva da ciò che la distanza x è funzione dell'angolo di inclinazione u
e si può facilmente constatare che si ha:
x = 0,25 l per u = 10° x = 0,35 l per a = 30°
x = 0,30 l per a = 20° x = 0,40 l per a = 40°
A conclusione di queste brevi note osserviamo che il R.I.Na calcola la
pressione esterna agente sulla superficie unitaria della pala del timone con
le seguenti relazioni:
• nave in marcia avanti: p = 9,81 C0 (VAv+3) 2
• nave in marcia indietro: p == 35,22 (VAD+ 3) 2
dove: p == pressione in N/m 2 ; C0 = 8,75 per timoni situati nel flusso dell'e-
lica; C0 = 7,35 per timoni non situati nel flusso dell'elica (timoni centrali
in navi a due eliche e simili); VAv = velocità in nodi della nave in marcia
avanti, alla potenza nominale e a pieno carico; VAD = velocità massima in
nodi, della nave in marcia indietro.

3. Effetti del timone

Abbiamo già individuato nel moto evolutivo l'effetto complessivo deri-


vante dall'uso del timone, ma è evidente che non possiamo limitarci ad una
così generica considerazione e dobbiamo quindi precisare perché il timone
alla banda produce una evoluzione della nave e quali sono le particolari con-
dizioni ìn cui essa si svolge.
Il perché va ricercato nella presenza della pressione P 11 che agisce sulla
superficie del timone, e poiché questa pressione sussiste soltanto se la nave
è in moto rispetto all'acqua in cui galleggia, risulta evidente che velocità
V e angolo di inclinazione a diversi da zero sono condizioni indispensabili
per ottenere un qualsiasi effetto evolutivo.

286
Quanto alle condizioni in cui si svolge normalmente l'evoluzione, osser-
viamo che questa comporta:
• una rotazione della nave - cwcostata - attorno a un asse verticale;
• uno spostamento laterale della nave - movimento di deriva - dalla
parte opposta al lato dell'accostata;
• una diminuzione di velocità;
• uno sbandamento iniziale - sbandamento di saluto - dalla stessa parte
dell'accostata, e un successivo sbandamento dalla parte opposta;
• un appruamento.
Per dimostrare la validità di queste affermazioni consideriamo dappri-
ma una sezione orizzontale della nave e supponiamo provvisoriamente che
in essa giacciano sia il centro di gravità G della nave stessa, sia il centro
di pressione C del timone (fig. 3).

(
P.'n
) Fig. 3 - Analisi degli
effetti del limone
alla banda.

Sia a l'angolo di inclinazione del timone, O la traccia del suo asse di rota-
zione, P 0 la pressione risultante.
Se applichiamo in G due forze P 'n e P II n uguali e contrarie, 4 e uguali
e parallele alla P n, si rileva facilmente che sulla nave agisce una coppia
formata dalle forze P n e P 'n e una forza singola rappresentata dalla P" n·
La coppia suddetta si chiama coppia evolutiva perché imprime alla nave
la rotazione necessaria per effettuare l'evoluzione; il suo momento indica
l'efficacia evolutiva del timone e viene perciò definito momento evolu-
tivo (Me).
Si rileva dalla figura 3 che è:
- - -
Me = Pn . GH = Pn (GK + KH)
ma, poiché (triangolo GKO) risulta:
- -
GK = OG cosa
e tenendo conto che si può porre:
KH = OC = l (0,2+0,3 sena)

4
Con questa operazione non si altera, com'è noto, il sistema delle forze in gioco.

287
sarà
Me = Pn [OG cosa + l (0,2+0,3 sena)]
Sostituendo a Pn l'espressione che di essa fornisce la formula di Joessel
si ottiene:

51,9 sena
Me = - - - - - - - - S V 2 [OG cos a + l (0,2 + 0,3 sen a)]
0,2 + 0,3 sen a

Se si trascura KH (molto piccolo rispetto a GK) si ottiene l'espressione


più semplice:

51,9 sena -
Me = - - - - - - - S V 2 OG cos a
0,2 + 0,3 sen <l

generalmente usata per calcolare con sufficiente approssimazione il mo-


mento evolutivo Me (in N · m).
Se si considera, poi, che OG (funzione della lunghezza L della nave) ed
S sono costanti, e che in una determinata condizione di moto si può ritenere
costante anche la velocità V, si può scrivere:

sen u cos a.
Me = K1 - - - - - - - -
0,2 + 0,3 sen a

dove K 1 rappresenta il prodotto OG • S · V 2 . 51,9.


Diviene quindi abbastanza semplice determinare il valore dell'angolo a
in corrispondenza del quale si registra il massimo valore del momento evo-
lutivo Me,
Eseguendo le necessarie operazioni si ricava am = 35° 30' circa 5 e ciò
spiega perché nella pratica si adottano dispositivi che impediscono al timo-
ne di superare un angolo di inclinazione di 35°-36°, su ciascun lato.
La forza P" n determina uno spostamento laterale e una diminuzione
di velocità che possiamo attribuire all'azione esercitata dalle sue compo-
nenti trasversale e longitudinale.
Si vede infatti dalla già citata figura 3 che la presenza della P" n dà
luogo ad una forza Pt = P " n cos a = P n cos a, che agisce trasversal-
mente determinando uno spostamento della nave dalla parte opposta a

r, L'analisi matematica insegna che per determinare il valore a che rende massima la
sena cosa
funzione - - - - -- basta risolvere l'equazione che si ottiene derivando la funzione
0,2 + 0,3 sen a
. . d sen a cos a
stessa. A tal fine s1 deve quindi porre: - - - - - - - - = O, che Bviluppata diventa:
d a 0,2 + 0,3 sen a
(cos 2 u - sen 2 a) (0,2 + 0,3 sen u) - 0,3 sena cos 2 a = O
cioè: 0,3 sen 3 a + 0,4 sen 2 a - 0,2 = O
dalla quale si ricava: a = 35° 35' -

288
quella verso cui accosta, e ad una forza P e= P" n sen a = P n sen a che agi- Fig. 4 (a sinistra) -
sce longitudinalmente, determinando una riduzione della velocità di avan- ~ecn~~~r:il;~~~àsi~ne e
zamento. con timone alla banda.
Fig. 5 (sollo) •
Esaminate le forze che determinano )'accostata, Io spostamento laterale Componenti
trasversale (P1)
e la riduzione nella velocità, vediamo ora come si giustifica l'insorgere dello e longitudinale (Pal
sbandamento e de1l' appruamento. della pressione P0 .

I I
I I I
J

lG

8
A tal fi.ne osserviamo che, contrariamente alla nostra iniziale supposi-
zione, il centro di pressione C del timone e il centro di gravità G della nave
non giacciono sullo stesso piano orizzontale, ma risultano generalmente di-
sposti come indicato nel disegno (fig. 4).
Tenuto allora conto che la forza P n applicata in C può essere scomposta
in una componente trasversale Pt =Pn cos a e in una componente longitu-
dinale P.,=Pn sena (fig. 5), si constata facilmente che essa produce anche
uno sbandamento dalla parte in cui è inclinato il timone, e un appruamento.

.. Pn cose,. \ \

Lo sbandamento - sbandamento di saluto - è causato dalla forza P n Fig. 6 (a sinistra) -


Sbandamento
cos a (fig. 6). di salulo (il limone è
Se applichiamo in G due forze uguali e contrarie, e uguali alla P n cos a, alla banda ma la nave
non ha ancora iniziato
e proiettiamo quest'ultima sul piano trasversale in cui giace G, rileviamo l'evoluzione).
infatti l'esistenza di una coppia il cui momento - P n cos a • C' G - Fig. 7 (sopra)
produce la rotazione indicata dalla freccia (la restante forza P n cos a è la Sbandamento
stessa che abbiamo già considerato e che è causa, come sappiamo, dello spo- della nave in regime
di moto evolutorio.
stamento laterale).

289
Dobbiamo però osservare che lo sbandamento di saluto costituisce un fe.
nomeno di breve durata. Con l'inizio del moto evolutivo entrano infatti in
gioco la forza centrifuga Fc 6 e una resistenza laterale al moto (Rct) che an-
nullano l'azione sbandante della forza P n cos a e determinano uno sbanda-
mento della nave dalla parte opposta.
Questa situazione è chiaramente rappresentata nel disegno (fig. 7)
dove T sta a indicare la proiezione, nel piano trasversale baricentrico,
del punto di applicazione della resistenza Rd· Si rileva facilmente dalla fi.
gura suddetta che in regime di moto evolutorio agisce sì un momento
- Pn cosa · C'T - che tende a far inclinare la nave dal lato dell'accosta-
ta, ma si rileva anche che ad esso si contrappone un momento - Fc · GT -
che produce l'effetto opposto. E poiché questo secondo effetto, generato
dalla forza centrifuga, è maggiore di quello prodotto dalla componente tra-
sversale della pressione del timone, la nave evoluisce assumendo una certa
inclinazione dal lato opposto a quello dell'accostata. 7
L'appruamento della nave è provocato dalla forza P n sen a, ovvero
dalla componente longitudinale della pressione agente sul timone. Per con-
statarlo basta osservare il disegno (fig. 8) nel quale sono state applicate in
G due forze uguali e contrarie e uguali alla Pn sen a (C' rappresenta la
proiezione del centro di pressione C sul piano baricentrico trasversale; la
restante forza diretta verso poppa è la stessa che abbiamo già considerato
e che produce la diminuzione della velocità).

I I
Fig. 8 • Azione
appruante
del timone.

Riassumendo le considerazioni svolte, si deduce che, mettendo il timone


alla banda, si hanno per la nave i seguenti effetti:
- 1ma, accostata daLLa parte in cui viene inclinato iL ti'fYWne;
• un 111,ovimento di deriva dalla parte opposta a quella verso cui si accosta;
• una diminuz-ione di velocità;
• uno sbandamento iniziale dalla pa,rte dell'accostata, (sbandamento di
saluto);
• un successivo sbandamento dalla parte opposta a quella verso cui si ac-
costa;
• una immersione della prua.

6 Lit forza centrifuga Fc è funzione del dislocamento ti della nave, della sua velocità V
1
nell'istante considerato, del raggio istantaneo di evoluzione (p). Più precisamente è:
V 2
Fc ~ti. _ 1_
p
7 II valore che può assumere questa inclinazione dipende anche dalla stabilità della nave,
e cioè dalla sua maggiore o minore capacità di resistenza alle forze inclinanti.

290
Dobbiamo però precisare che quelli indicati sono gli effetti che si regi-
strano in condizioni normali, e cioè con asse di rotazione del timone dispo-
sto verticalmente.
Se tale asse risulta inclinato trasversalmente o longitudinalmente
si deve infatti considerare un effetto secondario che deriva dalla obli-
quità della direzione in cui agisce la pressione P O rispetto al piano oriz-
zontale.
Premesso che una inclinazione trasversale dell'asse di rotazione del ti-
mone si verifica normalmente solo se la nave procede sbandata di un an-
golo 0, osserviamo che mettendo il timone alla banda in tali condizioni, si
determina sulla sua superficie una pressione P n che non agisce nel piano
orizzontale ma risulta inclinata verso il basso o verso l'alto. Ciò comporta
innanzitutto una riduzione dell'efficacia del timone poiché la pressione utile
agli effetti evolutivi è rappresentata dalla componente orizzontale P O cos 8
della P 0 (fig. 9).

Fig. 9 - Timone con


l'asse inclinato
L----------------------------~ trasversalmente.

La componente verticale P n sen 8 determina una rotazione della nave


attorno ad un asse trasversale, rotazione che potrà accentuare o contrasta-
re l'appruamento prodotto dalla componente longitudinale della pressione
utile.
Dal disegno (fig. 9) si vede chiaramente che si ha un effetto appoppante
della componente P O sen 8 quando si inclina il timone dal lato opposto a
quello dello sbandamento, mentre l'effetto è appruante nel caso contrario.
Una inclinazione longitudinale dell'asse di rotazione del timone può es-
sere determinata da un accentuato appoppamento della nave o da una pre-
cisa scelta nei criteri di sistemazione dell'organo di governo.

291
Fig. 1O - Timone con
l'asse inclinato
longitu dlnalmente.

Si potrà comunque verificare soltanto una situazione del tipo di quella indi-
cata nel disegno (fig. 10) e pertanto, qualunque sia il lato verso cui si mette
il timone, questo tipo di inclinazione dell'asse comporta un effetto appop-
pante che contrasta l'appruamento prodotto dalla componente longitudina-
le della pressione utile (quest'ultima assumerà il valore Pn cos I} se indi-
chiamo con I} l'angolo di inclinazione longitudinale dell'asse di rotazione del
timone).

4. Superficie del timone

La superficie del timone rappresenta, come possiamo rilevare dalle con-


siderazioni fin qui svolte, uno degli elementi che concorrono ad aumentare
il valore del momento evolutivo.
È quindi comprensibile la tendenza a realizzare timoni di grande super-
ficie, ma è altrettanto comprensibile che non si possono superare certi limi-
ti se si vuole evitare l'insorgere di problemi di difficile soluzione.
Un timone di superficie eccessivamente elevata comporta infatti un no-
tevole ingombro e difficoltà di installazione, e può essere manovrato con la
necessaria rapidità soltanto se si dispone di una macchina capace di svilup-
pare la potenza richiesta per questa operazione.
In pratica la superficie S del timone viene stabilita tenendo conto
del tipo di nave cui esso è destinato e della estensione del suo piano di
deriva. 8
A titolo di riferimento rileviamo che, indicando con Act l'area del piano
di deriva, si ha in generale: 9

1 1 .
• per navi da carico: s =
70
- - dt Ad
90

• per navi passeggeri: s - -1- 1


--d1 Ad
.
60 75

8
Ricordiamo che si definisce piano di deriva la parte immersa del piano diametrale.
9
Le frazioni più piccole si riferiscono, per ciascuno dei tipi considerati, alle navi più
grandi. I timoni delle navi militari sono più grandi, a parità di estensione del piano di deriva,
per le loro maggiori esigenze di manovrabilità. Per le stesse ragioni le navi passeggeri sono
dotate di timoni aventi superficie maggiore di quella dei timoni delle navi da carico di uguale
tonnellaggio.

292
1
• per navi militari: s =
28
Con l'applicazione di questi criteri si contiene l'ingombro entro limiti ac-
cettabili e si riducono le difficoltà di installazione, ma non si assicura la ne-
cessaria manovrabilità del timone, specie nel caso di grandi navi, se non
usando macchine di grande potenza.
Per diminuire la potenza della macchina necessaria per portare e man-
tenere alla banda il timone, senza ridurre la superficie di questo e compro-
mettere quindi la sua efficacia evolutiva, sono stati ideati i timoni compen-
sati, e cioè timoni che presentano la caratteristica di avere una parte di su-
perficie attiva a proravia dell'asse di rotazione.
Ricordiamo che i timoni non compensati si dicono ordinari (fig. 11), e Flg. 11 • Tipi di
osserviamo che la compensazione consente di avvicinare il centro di pres- timoni: a) e b) timoni
ordinari; e), d). e)
sione del timone al suo asse di rotazione. timoni compensati.

I
I
I
i
a b e d e

Ciò comporta una diminuzione del momento che si oppone alla inclina-
zione del timone, e pertanto diviene possibile provvedere alla sua manovra
impiegando una macchina meno potente di quella che sarebbe necessaria,
a parità di altre condizioni, nel caso di timone ordinario.

5. Momento torcente

II momento che tende a mantenere il timone «in mezzo» (a = 0°) o ari-


portarvelo, annullando l'inclinazione impressagli, si chiama momento di
raddrizzamento o momento torcente (Mt).
Se è Pn (fig. 12),la pressione che l'acqua esercita sul timone inclinato
dell'angolo a, ed è x la distanza fra il centro di pressione Ce l'asse di rota-
zione, sarà:
Mt=Pn · X
Supponendo di considerare un timone ordinario si può facilmente calco-
lare il valore di Mt in N · m.

293
Pn

Fig. 12 - L'azione
raddrizzante dell' aco,ua
sul limone à espressa
dal pradotto Pn · x
(momento torcente).

Basta infatti ricordare che è:

51,9 sen u S V 2
0,2 + 0,3 sen u

e:
x = /, (0,2 + 0,3 sen u)

e sostituire a P n e x le rispettive espressioni, per pervenire alla relazione:

51,9 sen CI S V2
• /, (0,2 + 0,3 sen u) = 51,9 sen a S V 2 i
0,2 + 0,3 sen a

Usando un timone compensato si riduce la distanza x e si riduce, conse-


guentemente, il valore del momento torcente. In teoria si potrebbe addirit-
tura annullare questo momento con una compensazione che renda x = O,
ma una siffatta soluzione non viene mai presa in considerazione perché
comporta la rinuncia alla necessaria stabilità del timone. In tali condizioni,
infatti, sotto l'azione di forze esterne, quali ad esempio i colpi di mare, il
timone potrebbe assumere una posizione incontrollata, con grave pregiudi-
zio per il governo della nave.

La conoscenza del momento torcente è di grande utilità perché consente


di determinare la potenza minima che deve sviluppare la macchina impiega-
ta per la manovra del timone.
A tal fine è necessario calcolare innanzitutto il lavoro (L) occorrente per
portare il timone dalla inclinazione nulla (à = 0°) alla sua inclinazione mas-
sima (a = 35°).
Questo lavoro può essere rapidamente ed esattamente determinato ap-
plicando le regole del calcolo integrale 10 ma l'ignoranza di tali regole non
impedisce di pervenire ugualmente ad una valutazione abbastanza appros-
simata di esso. Per conseguire questo risultato basta determinare il va-

10

l
Ricordiamo che il lavoro L si ricava risolvendo il seguente integrale:

L = ar.' M1 da
O"

294
lore del momento torcente per diversi angoli di inclinazione del timone
e costruire un diagramma dei momenti torcenti su due assi ortogo-
nali, portando in ascisse gli angoli di inclinazione considerati e in or-
dinate i corrispondenti momenti torcenti. Il lavoro cercato è rappre-
sentato dall'area racchiusa dal diagramma, area che può essere determina-
ta con semplice procedimento geometrico 11 se si esprimono gli angoli in
radianti. 12
Noto il lavoro L (in joule) e il tempo t (in secondi) che si vuole impiegare
per portare il timone all'angolo di inclinazione massima, si ottiene la poten-
za utile (Pu) in chilowatt con l'espressione:
L
p =-
u t

Se indichiamo infine con ri il rendimento della macchina e dei dispositivi


che la collegano al timone, sarà:

Fig. 13 · Parti del


limone: p) pala;
la potenza minima richiesta. t) testa: a) agugliotti

6. Parti del timone

Esaurite le considerazioni riguardanti la pressione agente sul timone e


gli effetti diretti o indiretti che essa produce, possiamo abbandonare l'ipo-
tesi della piastra rettangolare e riguardare il timone come realmente si pre-
senta.
Per cominciare osserviamo che il timone si compone di una parte a su-
perfici piane - pala - sulla quale si esercita la pressione Pn, e di un'asta
- testa - che serve per inclinarlo da una banda o dall'altra (fig. 13).
Premesso che la pala e la testa possono essere ricavate in un solo pezzo
o costituite da due pezzi distinti ma saldamente collegati fra loro mediante
accoppiatoio a flange o incastro a parella, precisiamo quanto segue:
• la testa penetra all'interno dello scafo attraverso la losca e si innalza fino
al locale della macchina del timone, ovvero fin sopra il ponte o copertino
in cui sono installati i macchinari che forniscono l'energia necessaria per
mettere il timone alla banda;

11
Molto semplice è il cosiddetto metodo dei trapezi, e cioè un metodo di calcolo dell'area
racchiusa da una curva, basato sulla suddivisione dell'area stessa in numerose strisce, di ugua-
le larghezza (t.a nel nostro caso), che si possono considerare trapezoidali. La somma delle
aree dei vari trapezi fornisce, con approssimazione tanto maggiore quanto maggiore è il loro
numero, l'area racchiusa dalla curva.

295
• il passaggio della testa attraverso la losca deve essere realizzato in modo
da non ostacolare la rotazione del timone, impedendo nel contempo ogni in-
filtrazione d'acqua all'interno dello scafo. La losca è quindi costituita, nel
suo complesso, da una robusta struttura tubolare e stagna sulla cui estre-
mità superiore è installato un cuscinetto (sul quale appoggia la testa nel suo
moto di rotazione) e un pressatrecce;
• sulla estremità superiore della testa è rigidamente applicato un pezzo
molto robusto che si chiama barra e che serve per collegare il timone con
i meccanismi predisposti per la sua manovra. La barra può assumere diver-
se forme, ma la sua presenza è necessaria per poter applicare sulla testa
del timone il momento necessario per portarlo e mantenerlo alla banda.

La testa è costituita da un'asta cilindrica a sezione circolare il cui asse


coincide con l'asse di rotazione del timone.
La pala è normalmente formata da un telaio resistente e da lamiere che
lo rivestono in modo da assicurare una perfetta impermeabilità all'ac-
qua. ,a Nel telaio si distingue (fig. 14) un fusto o anima che possiamo ri-
guardare come un prolungamento della testa, e un rovescio o spalla che
si identifica con il lato poppiero del timone e si collega al fusto mediante
due o più bracci orizzontali. 14

Fig. 14 - Parti della


pala di un grande
timone compensato:
f) fusto o anima;
b) bracci; r) rovescio
o spalla; i) involucro
o fasciame del telaio.

I timoni la cui pala è interamente dislocata a poppavia dell'asse di rota-


zione si dicono, come già sappiamo, ordinari; quelli che hanno una porzione
di pala estesa anche a proravia dell'asse di rotazione si dicono compensati.

13
Appositi fori - riUeggi - esistenti sul fondo del timone e chiusi da tappi a vite consen•
t-Ono, in caso di necessità, di scaricare l'acqua eventualmente infiltratasi o immessa all'interno
della pala.
14
Nei piccoli timoni si ha una pala costituita dal fusto e da alcuni bracci che sostengono
un'unica lamiera.

296
I vantaggi che si possono ottenere con la compensazione del timone
sono già stati considerati; pertanto rimane solo da precisare che si chiama
grado di compensazione del timone il rapporto fra la superficie che si tro-
va a proravia dell'asse di rotazione e la superficie totale.
Il grado di compensazione oscilla mediamente fra 0,10 e 0,20, assumen-
do valori anche più elevati per navi molto veloci.
In generale si può ritenere che siano adottati i seguenti gradi di compen-
sazione:
• navi da carico: da O a 0,15;
• navi passeggeri: da 0,15 a 0,25;
• navi militari: da 0,20 a 0,33;

7. Criteri di installazione del timone

Già sappiamo che il timone è normalmente installato presso l'estremità


poppiera della carena, in corrispondenza del piano diametrale, 15 ma basta
pensare alle diverse caratteristiche del timone (ordinario o compensato),
alla possibilità di realizzare scafi con dritto semplice e con dritto a telaio
(aperto o chiuso), alla particolare conformazione che può assumere la poppa
di una nave a due o a quattro eliche (mancanza di un vero e proprio dritto),

fig. 15 • Collegamento
di limone ordinario
con dritto a telaio
.__ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __. chiuso.

15 Le navi bielica sono talvolta dotate di due timoni uguali e disposti simmetricamente
rispetto al piano diametrale. Tali timoni vengono installati a poppavia di ciascuna elica (sul
prolungamento dei rispettivi assi) e si dicono accoppiati perché collegati ad un dispositivo che
garantisce la coerenza e la simultaneità della loro azione evolutiva.

297
per intuire che il timone può essere sistemato sotto la poppa con criteri no-
tevolmente variabili.
Volendo illustrare brevemente i più comuni sistemi di installazione, con-
sideriamo innanzitutto la sistemazione più tradizionale, e cioè quel1a adot-
tabile per collegare un timone ordinario ad un dritto semplice o ad un drit-
to a telaio chiuso (fig. 15).
Il timone risulta in questo caso solidamente incernierato al dritto me-
diante un sistema di perni - agugliotti-, coassiali con l'asta e applicati
sulla faccia anteriore del fusto, e solidi occhielli - femminelle - esistenti
sulla faccia posteriore del dritto.
Gli agugliotti possono riguardarsi come appendici cilindriche, fuse o fu-
cinate con il telaio del timone, in corrispondenza dei bracci o con i bracci
stessi; le femminelle sono invece delle appendici particolari ricavate sul lato
posteriore del dritto.
Posizione e funzioni originali assume tuttavia la cosiddetta femminella
a gotto, ossia una femminella cieca che viene ricavata sul calcagnolo e sulla
Fig, 16 - (Sottoj - quale si scarica parzialmente il peso del timone.
Collegamento
di timone compensato Il timone compensato è utilizzabile con qualsiasi tipo di dritto (fig.
con drillo a telaio 16) e può essere adottato anche per scafi sprovvisti di un dritto vero
aperto.
e proprio, quali sono ad esempio quelli delle navi bieliche (fig. 17). In
Fig. 17 (a destra) - questi ultimi anni si è però largamente diffusa la tendenza ad associa-
Collegamento re il ti.mane compensato delle navi monoehea ad un dritto ehe potrem-
di timone compensato
a scafo sprovvisto mo definire a telaio aperto parzialmente perché non del tutto privo di
di dritto. quel ramo poppiero che abbiamo definito dritto de1 timone. In tal caso

non si parla però di dritto del timone, ma di pinna di sostegno del ti-
mon~. Questa pinna (fig. 18) si pre'i'.enta eome un grosso dente uscente
dalla volta e proteso verso il basso; sul lato poppiero della sua estre-
mità inferiore è ricavata una appendice che porta una femminella nella

298
Fig. 18 - Collegamento
di timone compensato
a mezzo di pinna di
sostegno.

quale si inserisce l'unico agugliotto di cui è provvisto il timone. 16


L'appendice esistente sulla pinna svolge un compito analogo a quello del
calcagnolo, e cioè di sostegno del timone e di resistenza alle forze che ten-
dono a fletterlo.
I timoni installati con questo particolare tipo di collegamento si dicono
parzialmente sospesi (fig. 18), quelli che non hanno alcun punto di soste-
gno fuori dalla losca si dicono sospesi.

8. Tipi di timoni

Abbiamo visto che i timoni possono essere genericamente suddivisi


in timoni ordinari e timoni compensati, ma dobbiamo rilevare che esi-
stono timoni speciali, particolarmente apprezzati per alcune caratteri-
stiche peculiari e normalmente indicati con il nome del loro ideatore o
con un nome che mette in risalto la loro originale funzione, forma o
struttura.

Fra i tipi più importanti di timoni speciali meritano particolare attenzio-


ne quelli qui di seguito indicati:

16
Esistono anche pinne di sostegno con due appendici che sono sede di altrettante fem-
minelle.

299
• timone simplex (fig. 19): timone compensato con sezione longitudinale
a forma rettangolare e sezione orizzontale a profilo carenato. La caratteri-
stica principale di questo timone è costituita da un fusto che risulta rigida-
mente collegato al telaio di poppa (di tipo apert o) e sostituisce in pratica
il dritto del timone che in esso manca. Per non impedire la rotazione del
timone è ovviamente necessario che la pala possa ruotare attorno al fusto
ed a tal fine sono adottati appositi accorgimenti costruttivi. Il vantaggio di
questa sistemazione consiste nella possibilità di eliminare nello stesso tem-
po le difficoltà connesse con l'allineamento dei perni di rotazione (caratteri-
stiche delle sistemazioni con telaio chiuso) e di scaricare l'asta dal momento
flettente (non trascurabile nei timoni sospesi);

• timone Hoertz (fig. 20): sostanzialmente è un timone ordinario che può


ruotare su due perni, uno dei quali è incardinato sul calcagnolo e l'altro nel-
la parte superiore del dritto del timone. Quest'ultimo costituisce sì il ramo
poppiero di un telaio chiuso, ma differisce da un comune dritto del timone
per lo speciale profilo carenato che lo caratterizza. Grazie a questo profilo
si elimina ogni discontinuità fra dritto e timone e si evita il formarsi di vor-
tici che diminuiscono la efficacia evolutiva dell'organo di governo. Dritto
e timone formano infatti, con la soluzione adottata, un complesso che si
comporta come un profilo alare ricurvo, sul quale agisce una corrente fluida
che lo investe sotto un certo angolo di incidenza.
Vantaggi di questo timone sono il minor lavoro necessario per por-
tarlo alla banda (rispetto al lavoro richiesto per un timone ordinario di
uguale superficie), maggiore effetto evolutivo, aumento di rendimento del-
l'elica;

• timone con bulbo di propulsione Costa: si tratta di un timone com-


pensato sulla cui pala è applicato un grosso bulbo a forma di pera (fig. 21).
È usato su navi ad una sola elica e svolge un'azione antivortice che si
traduce in un aumento degli effetti evolutivi e in una maggiore velocità del-
la nave;

• timone Flettner: è costituito da un timone principale compensato a pro-


filo carenato, e da un piccolo timone ausiliario, anch'esso compensato, ap-
plicato nella sua parte poppiera. L'inclinazione del timone ausiliario facilita
l'inclinazione in senso opposto del timone principale, che può quindi essere
manovrato con un notevole risparmio di energia;

• timone attivo (fig. 22): è un timone a profilo carenato che porta, incorpo-
rata o applicata alla sua estremità poppiera, una piccola elica azionata da
un motore elettrico montato nel timone stesso. La spinta dell'elica è suffi-
ciente a far evoluire la nave anche in assenza di velocità rispetto all'acqua
circostante, ma contribuisce indubbiamente ad aumentare l'efficacia evolu-
tiva del timone quando la nave è in movimento;

• mantello-timone Kort: è un mezzo di governo largamente usato per i ri-


morchiatori e che si identifica in un complesso sostanzialmente costituito
da una pala di timone ordinario e da un anello - mantello Kort - a sezione
di ala portante.

300
Fìg. 19 (a fianco) - Timone simplex.
Fìg, 20 (sotto) • Timone Hoertz:
sezione orizzontale.
Fig. 21 (in basso a sinistra) -
Timone con bulbo di
propulsione Costa.
Fig. 22 (in basso a destra) -
Timone attivo Pleuger.

timone

La pala è rigidamente fissata all'apertura poppiera del mantello Kort e


ruota con questo; la presenza del mantello, all'interno del quale si trova l'e-
lica, determina un miglioramento dell'effetto evolutivo oltreché del rendi-
mento propulsivo;

• elica-timone: timone ordinario sul cui fusto è applicata l'elica propulsa-


trice. L'elica-timone è molto vantaggiosa dal punto di vista evolutivo per-
ché l'inclinazione del timone comporta una uguale inclinazione dell'asse del-
l'elica e della spinta che questa imprime alla poppa. Dobbiamo però osser-
vare che questa soluzione non può essere adottata con propulsori di elevata
potenza e che l'impiego dell'elica-timone è praticamente limitato alle picco-
le imbarcazioni.

301
A conclusione di questa rapida rassegna riteniamo indispensabile men-
zionare anche i mezzi ausiliari di governo che vengono installati ne1le navi
che hanno particolari esigenze evolutive e nelle grandi navi passeggeri e da
carico.
In passato questi mezzi ausiliari di governo erano rappresentati da pic-
coli timoni compensati - timoni ausiliari - che venivano installati in ap-
positi recessi a tal fine esistenti sul fondo, a proravia dell'elica o addirittura
nella parte prodiera dello scafo. Nelle costruzioni moderne si è però or-
mai decisamente affermato l'impiego di apparecchiature capaci di im-
primere allo scafo una energica spinta trasversale. Per ottenere questa
spinta, utilissima ai fini evolutivi, si ricorre in pratica all'impiego di una
o più eliche installate in una condotta trasversale ricavata nella parte pro-
diera della carena, o in entrambe le parti, prodiera e poppiera (fig. 40, cap.
III e fig. 23).
Queste eliche, che possiamo brevemente definire eliche di manovra,
vengono azionate direttamente dal ponte di comando. Si comprende fa-
cilmente che, da una appropriata combinazione della loro spinta trasver-
sale con l'effetto evolutivo del timone, derivano alla nave sensibili vantaggi
di manovra (possibilità di accostare rapidamente e di evoluire in acque ri-
strette). E per le navi dotate di eliche di manovra sia ne11a parte prodiera
che in quella poppiera, ciò significa addirittura possibilità di evoluire da
ferme.

Fig. 23 - Elica di
mano~ra: 1) paletta
direttrice; 2) gruppo
mo\ore: 3) serca\oio
olio lubrificante;
4) gruppo idraulico
per il comando del
passo deli' elica;
5) serbatoio a gravità:
6) pale dell'elica.

302
Sistemazioni per la
manovra del timone
I CAPITOLO

1. Generalità

Già sappiamo che la manovra del timone richiede la disponibilità di ade-


guate sistemazioni. Nel capitolo che tratta dei timoni abbiamo anche accen-
nato alle funzioni che svolgono le diverse parti che formano queste sistema-
zioni ma, per una sufficiente conoscenza dell'argomento, dobbiamo ora pas-
sare, dalle generiche e incomplete precedenti considerazioni, ad una siste-
matica trattazione dei diversi tipi di apparecchi normalmente impiegati.
Per cominciare osserviamo che una sistemazione completa è sostanzial-
mente costituita dalle seguenti tre parti principali:
• una macchina capace di fornire l'energia necessaria per portare e mante•
nere il timone alla banda;
• un dispositivo che collega la macchina suddetta con la testa del timone,
cosicché sia possibile trasformare l'energia meccanica che essa produce in
. movimento di rotazione del timone stesso;
• un dispositivo che consente di azionare la macchina a distanza.
Il dispositivo che collega il timone con la macchina che serve per mano-
vrarlo si chiama agghiaccio.
La macchina che fornisce l'energia meccanica necessaria per poter ap-
plicare sulla testa del timone il momento torcente richiesto per portarlo e
mantenerlo alla banda, si può genericamente indicare come macchina del
timone, ma viene più spesso definita servomotore perché dotata di un si-
stema di asservimento che assicura l'arresto del timone, e quindi dell'ag-
ghiaccio, indipendentemente dal fatto che il suo motore primario continui
a marciare a vuoto o si arresti.
Il dispositivo che comanda a distanza la macchina del timone è detto te-
Jemotore.

2. Agghiaccio

L'agghiaccio del timone può essere di tipo meccanico e di tipo idraulico.


L'agghiaccio meccanico è un meccanismo che possiamo ormai conside-
rare superato, tuttavia, vuoi per l'importanza che esso ha avuto per le navi
del passato, vuoi perché viene ancora installato sulle imbarcazioni e su
qualche tipo particolare di nave molto piccola, riteniamo ugualmente op-
portuno illustrare le sue caratteristiche essenziali.
A tale scopo ricordiamo innanzitutto che gli agghiacci meccanici si sud-
dividono in agghiacci flessibili e agghiacci rigidi.

303
Gli agghiacci flessibili sono i più antiquati. Erano già in uso sulle navi
a vela, ma sono ancor oggi utilmente impiegati per manovrare il timone di
qualche piccola nave e delle imbarcazioni.
Le sistemazioni di governo risultano in questi casi estremamente sem-
plici poiché non comprendono il servomotore e sono caratterizzate da una
trasmissione dell'agghiaccio che si identifica sostanzialmente con quella del
telemotore.
L'assenza del servomotore si giustifica con il fatto che, trattandosi di
piccole unità, i valori massimi del momento torcente risultano limitati e
possono quindi essere agevolmente uguagliati utilizzando la sola forza delle
braccia del timoniere.
Giova comunque rilevare che i primi servomotori furono impiegati pro-
prio per sistemazioni di governo con agghiaccio flessibile.
Fig. 1 (sotto) - Barra Le parti che formano un agghiaccio flessibile sono la barra e il frenello.
ordinaria: a) barra La barra può assumere la forma di un'asta a sezione rettangolare -
con mozzo intero: barra ordinaria - rivolta verso prora (fig. 1) o di un settore circolare -
b) barra con mozzo
in due pezzi collegati barra a settore - rivolto verso poppa (fig. 2), ma è sempre d'acciaio e calet-
con flangia e bulloni. tata sulla estremità superiore della testa del timone con una o due chiavet-
Fig. 2 (a destra) -
te; il frenel1o è costituito da un cavo d'acciaio o da catena e sbarre d' ac-
Barra a settore. ciaio. 1

b
,,

Una sistemazione con barra ordinaria e frenello di cavo d'acciaio è chia-


ramente indicata dal disegno (fig. 3) mentre i1 grafico successivo (fig. 4) mo-
stra un agghiaccio con barra a settore e frenello di catena e sbarre d'ac-
ciaio. Da queste figure si rileva che il frenello consta di due rami; ciascun
ramo parte dall'estremità della barra ordinaria o dalla razza opposta della
barra a settore 2 e, dopo essere passato in alcune pulegge - pv.,legge di rin-
vio - che gli fanno assumere un'adeguata direzione di tiro e gli assicurano

1
Le sbarre d'acciaio sono ovviamente sistemate nei tratti rettilinei del frenello.
2
Sulla corona esterna del settore sono praticate due scanalature sulle quali passano le
parti estreme di ciascun ramo prima di far dormiente sulla razza.

304
Fig. 3 - Agghiaccio
flessibile (barra
ordinaria e frenello di
cavo d'attia\o):
b) barra: f) frenello:
p) pu leggia di rinvio:
m) mulinello.

o---------- -<==:> r a
C">------<"O't--__;:;_---co'>----• - -- - - - QP

'

- · ---·-· - ~
I
:e
I

b. -------·-c:::::::><==>-----~c::,>-----~CIO-------O:>----OO
r a
-- - - -- - - _Jj
P

un percorso libero e non ingombrante, 3 va ad avvolgersi su un tamburo - Fig. 4 - Agghiaccio


flessibile con barra a
mulinello - che viene fatto ruotare in un senso o nell'altro manovrando op- settore e tranello in
portunamente la ruota di governo. Il mulinello può essere unico e diretta- catena e sbarre
mente collegato alla ruota di governo, come indicano i grafici già citati d'acciaio: b) barra:
e) tratti in catena
(figg. 3 e 4), ma può anche essere del tipo a due tamburi che ricevono il loro del frenello: a) tratti
movimento dal servomotore (fig. 5). in sbarre d'accia·10 del
L'avvolgimento dei due rami del frenello sul tamburo o sui tamburi del frenello; m) mulinello;
p) pulegge di rinvio;
mulinello non ha lo stesso senso, cosicché si ottiene un allungamento di uno r) reggiscosse.
di essi contemporaneamente ad un accorciamento dell'altro, quando il muli-
nello viene messo in rotazione.
Osserviamo ora che utilizzando una barra ordinaria si registra una si-
tuazione che in particolari circostanze può provocare la rottura del frenello.
Si constata infatti facilmente che l'estremità di una barra ordinaria per-

Flg. 5 - Agghiaccio
flessibile mosso da
servomotore: b) barra:
e) frenello:
r) reggiscosse;
p) pulegge di rinvio;
m) mulinelli;
t) telemotore;
s) servomotore:
R) ruote per il
governo a braccia.

3 Il frenello corre normalmente a murata in una apposita (!liida o canaletta che protegge

la sua libertà di scorrimento.

305
corre una traiettoria circolare, e non una traiettoria ellittica con i fuochi
nelle vicine pulegge di rinvio, quando il timone viene portato alla banda. In
conseguenza di ciò, con il timone inclinato, rimane in tensione soltanto il
ramo di frenello che si è accorciato avvolgendosi sul tamburo, mentre l'al-
tro ramo risulta più o meno in bando.
Questa condizione non presenta di per sé alcun rischio ma può diventare
pericolosa quando si manovra per diminuire o invertire l'angolo di inclina-
zione del timone. Con tale manovra, infatti, si allasca il ramo in tensione
prima che l'altro ramo del frenello possa entrare in forza; il timone rimane
allora libero di oscillare per un certo tempo e può bastare un colpo di mare
per portare alla rottura del frenello.
Per evitare questo inconveniente si usa normalmente la barra a setto-
re, 4 ma riteniamo opportuno segnalare il fatto che lo stesso risultato si ot-
tiene con la cosiddetta barra a carretto. Questa è sostanzialmente una bar-
ra ordinaria che porta presso la sua estremità un dispositivo - carretto
(composto dal carretto vero e proprio e da un manicotto) - scorrevole sulla
barra stessa e libero di ruotare rispetto ad essa. I due rami del frenello fan-
no dormiente sul carretto e, poiché questo è inserito in una apposita guida.
possono spostarlo soltanto in senso trasversale, verso dritta o verso si-
nistra.
Lo spostamento del carretto provoca la rotazione della barra ma i due
rami del frenello rimangono sempre in tensione.
Altra soluzione è quella che prevede l'ìmpiego di una barra a carretto
con catena Galle. Anche in questo caso il carretto scorre trasversalmente
su una guida evitando ogni imbando al timone; la catena Galle, dopo essere
passata attraverso adatte pulegge di rinvio, va ad ingranare su un rocchet-
to dentato che riceve il suo moto di rotazione dalla ruota di governo (diret-
tamente o per interposizione della macchina del timone).

Gli agghiacci rigidi hanno rappresentato, dopo gli agghiacci flessibili


e per molti anni, una tipica sistemazione per il collegamento della testa del
timone con il servomotore.
Ovviamente sono stati ideati diversi tipi di agghiaccio rigido, ma quello
che si è maggiormente affermato, e che ancora oggi è possibile trovare su
qualche vecchia nave, è il cosiddetto agghiaccio a doppia vite (fig. 6). Esso
consta essenzialmente delle seguenti parti:
• una barra, a tra:versa, ovvero una barra che risulta disposta in senso tra-
sversale;
• un albero a doppia. vite;
• diw bielle;
• d1w cursori con madrevite.

Quando l'albero a doppia vite (v) viene messo in rotazione dal servomo·
tore, i cursori (e) si avvicinano o si allontanano scorrendo su robuste aste
longitudinali (a).

' Per maggiore sicurezza si inseriscono comunque nel frenello dei reggiscosse a molla
(normalmente i reggiscosse sono sistemati in prossimità delle pulegge di rinvio di estrema
poppa).

306
~ - - - - - - - - - - - - - - - - / ,..o·.
_ ..

Il movimento dei due cursori si trasmette alle due bielle (b) che li col- Fig. 6 - Agghiaccio
legano alle estremità della barra (t) e si traduce in una rotazione del ti- rigido a doppia vite:
t) barra a traversa:
mone. b) biella; e) cursore:
Si comprende facilmente che questo meccanismo presenta una grande v) doppia vite:
a) asta di scorrimento
robustezza e che può essere azionato anche a braccia in caso di necessità. del cursore.
L'operazione non presenta difficoltà e richiede soltanto la disponibilità di
una ruota di governo (o due ruote accoppiate) direttamente applicata pres-
so l'estremità dell'albero a doppia vite, e di un dispositivo che consenta di
passare rapidamente dalla normale manovra con il servomotore alla mano-
vra manuale di emergenza.
Il meccanismo a doppia vite è irreversibile se il passo delle viti viene op-
portunamente proporzionato al relativo diametro; pertanto le eventuali
scosse prodotte sul timone dai colpi di mare non si trasmettono, contraria-
mente a quanto avviene con il frenello, al servomotore o alla ruota per il
governo manuale.

Altri tipi di agghiaccio rigido sono indicati nei disegni che seguono (fig.
7) - agghiaccio a vite senza fine - (fig. 8) - agghiaccio Harfield. En-
trambi sono provvisti di barra a settore dentato (settore rivolto verso prua),
direttamente o indirettamente collegata ad una vite senza fine, che riceve
il suo movimento dal servomotore.
Il settore (B) dell'agghiaccio a vite senza fine è circolare e ingrana diret-
tamente sulla vite (V) che assicura la sua rotazione.
Il settore (B) dell'agghiaccio Harfield ha invece un profilo diverso da
quello circolare e ingrana su un rocchetto eccentrico (E). La rotazione del-
!'eccentrico, e quindi della barra (B), è provocata da una ruota dentata (R),
coassiale e solidale con esso, che ingrana sulla ruota senza fine (V).
Fig. 7 (a sinistra) -
Agghiaccio
rigido con barra a
settore e vite senza
fine: B) barra; V) vite
senza fine.
Fig. 8 (a fianco) -
Agghiaccio
rigido Harfield:
B) barra: E) rocchetto
eccentrico: R) ruota
dentata: V) vile senza
fine.

307
Flg. 9 - Principio
teorico
del!' a1111arecchia
Harfield: con a.
massimo si registra
il massimo valore di
b e il minirno valore
di e; con a = O, b è
minimo e e massimo.

Il dispositivo ideato da Harfield consente di manovrare il timone impie-


gando un servomotore di potenza inferiore a que1la richiesta con altri tipi
di agghiaccio. Ciò perché (fig. 9), con l'aumentare dell'angolo a. di inclina-
zione del timone, i raggi (e) e (b) dell'eccentrico E e del settore B variano
in modo da permettere che sull'asse O' si abbia un momento di rotazione
- F • a - pressoché costante.
e
Per realizzare questa condizione è sufficiente che il rapporto -
b
diminuisca, con l'aumentare di a, in modo da neutralizzare l'aumento del
momento torcente Pn · d.
Osserviamo infatti che, qualunque sia l'angolo di inclinazione a, deve ri-
sultare:

F •a = F 1
• c

Ma, essendo anche:

si ricava:

F' =

cosicché la prima uguaglianza può assumere la forma:

c
F · a == Pn · d · -
b

confermando che si potrà avere sull'asse dell'eccentrico un momento


- F • a - costante se il rapporto ~ varia in modo da rendere costante
e b
il prodotto Pn · d · -
b

308
Gli agghiacci idraulici costituiscono ormai le sistemazioni generalmen-
te usate per collegare la testa del timone con il servomotore. 5
Caratterizzati da piccolo peso, minore ingombro e più elevato rendimen-
to rispetto agli agghìacci meccanici, essi si sono infatti decisamente imposti
ed attualmente vengono installati su quasi tutte le navi grandi e piccole.

Le parti che formano un comune agghiaccio idraulico sono:


• la barra;
• due o quattro cilindri entro i quali possono scorrere altrettanti stantuffi;
• alcune tubazioni adatte a contenere un liquido sotto pressione e comuni-
canti con la camera attiva di ciascun cilindro.

La barra può essere di tipo ordinario o a traversa e si collega agli stan-


tuffi, direttamente o per mezzo di apposite bielle; nelle tubazioni passa del-
l'olio che, messo in pressione o aspirato da una pompa facente parte inte-
grante del servomotore, 6 imprime agli stantuffi dei cilindri la corsa neces-
saria per far ruotare la barra in un senso o nell'altro.
Il funzionamento di questo tipo di agghiaccio è schematicamente rap-
presentato nei tre disegni che seguono (figg. 10, 11 e 12).
Nella sistemazione indicata per prima (fig. 10) i cilindri sono due e dispo-
sti in linea trasversale. I loro stantuffi sono direttamente collegati con una
barra ordinaria, cui imprimono il moto richiesto per portare il timone da
una banda o dall'altra. Gli stantuffi scorrono in uno stesso piano trasversa-
le, spostandosi contemporaneamente verso dritta o verso sinistra a seconda

s e

·- b

e Fig. 10 - Agghiaccio
idraulico a due
cilindri contrapposti:
b) barra; e) cilindri;
s) stantuffi ;
t) tubazioni dell 'olio.

5
Nelle piccole unità si usano sistemazioni senza servomotore. Anche in questi casi la
trasmissione del1'agghiaccio sì identifica dunque con quella del telemotore.
6 Nelle piccole navi sprovviste di servomotore la mandata e l'aspirazione dell'olio dai ci-

lindri può essere direttamente regolata dal timoniere che manovra la ruota di governo (vedere
in seguito le nozioni riguardanti il telemotore idraulico).

309
che la pompa invii olio nel cilindro di sinistra (aspirando da quello di dritta)
o nel cilindro di dritta (aspirando da quello di sinistra).
L'illustrazione che segue (fig. 11) mostra un'altra sistemazione a due ci-
lindri, ma per molti aspetti diversa da quella precedente. In questo caso,
infatti, i cilindri sono disposti su due piani longitudinali e i rispettivi stan-
tuffi, collegati ad una barra a traversa mediante apposite bielle, lavorano
in contrapposizione.

Fig. 11 · Agghiaccio
idraulico a due o
cilindri affiancati:
t) barra a tra11ersa·.
e) cilindri :
s) stanturn:
o) tubazioni dell'olio.

La terza illustrazione (fig. 12) rappresenta invece un agghiaccio a quat-


tro cilindri e barra a traversa. I cilindri formano due coppie longitudinali;
gli stantuffi dì ciascuna coppia sono solidamente collegati attraverso le aste
(a,); le bielle (b) si articolano sulle aste suddette, che sono munite di pattini
(p) scorrenti nelle guide (g) per assorbire le sollecitazioni trasversali sulla
barra (t). È evidente che, attraverso una appropriata disposizione delle tu-
bazioni dell'olio e di alcune valvole di intercettazione, si può far lavorare
la pompa in modo che una coppia di stantuffi si sposti verso poppa mentre
l'altra si sposta verso prora; le bielle provocano così la rotazione della barra
e del timone sulla cui testa essa è calettata.
Fig. 12 - Agghiaccio
idraulico a qualtro Altro tipo di agghiaccio idraulico è quello a palmole (pali rotanti), e cioè
cilindri: t) barra a
traversa: e) cilindri: un dispositivo di nuova concezione nel quale mancano sia i cilindri con i ri-
s) stantuffi; g) guide : spettivi stantuffi, sia la tradizionale barra e le bielle che ad essa si collega-
b) bielle: a) aste
degli stantuffi: no. Si tratta di un agghiaccio efficiente, leggero e poco ingombrante, il cui
p) pattini: funzionamento è regolato da un circuito idraulico simile a quello dell' ag-
o) tubazioni dell'olio:
11) valvole di
ghiaccio a cilindri.
intercettazione. Un agghiaccio a palmole è essenzialmente costituito da una cassa ci-

s
a e
g V

a e
s
V
V

o V

310
lindrica e da un mozzo calettato sul1a testa del timone.
La cassa è concentrica all'asta del timone e montata su una robusta
struttura che si collega rigidamente al1o scafo; il mozzo porta due o tre pale
radiali (palmole) che possono ruotare a tenuta perfetta all'interno della cas-
sa e che suddividono la cassa stessa in altrettante camere di pressione. Poi-
ché le diverse camere sono perfettamente chiuse anche nelle parti superiori
e inferiori, l'olio che riempie ciascuna di esse esercita un momento torcente
sull'asta del timone se viene opportunamente messo in pressione dal servo-
motore.
Prendendo in considerazione l'illustrazione seguente (fig. 13) si rileva
che mandando olio nell'agghiaccio attraverso le tubazioni contraddistinte
con i numeri 1, 2 e 3, l'asta del timone ruota in senso orario, mentre si ottie-
ne la rotazione opposta quando l'olio arriva all'agghiaccio attraverso le tu-
bazioni segnate con i numeri 4, 5 e 6.

Fig. 13 - Agghiaccio
idraulico a pale
rotanti (palmole):
t) testa del timone;
c) cassa cilindrica
(statore): m) mozzo
calettato sulla testa
(rotore): o) tubi
dell'olio:
s) servomotore:
T) telemotore.

3. Servomotore

I servomotori possono essere:


• a vapore; • elettrici; • elettroidraulici.
I servomotori a vapore furono i primi ad essere usati e per molti anni
rappresentarono il solo tipo di macchine disponibili per la manovra del
timone.
Attualmente sono pressoché scomparsi, tuttavia vale la pena di ricorda-
re che questi servomotori risultano sostanzialmente costituiti da una mac-
china alternativa a vapore, reversibile, generalmente bicilindrica, e da una

311
speciale valvola - valvola differenziale - che controlla l'immissione del va-
pore ai suoi cassetti di distribuzione.
La valvola differenziale svolge un ruolo molto importante, perché dalla
posizione che essa assume dipende il senso di marcia della macchina e il suo
arresto. La posizione della valvola viene perciò comandata dal timoniere
che a tal fine si avvale di quella trasmissione che abbiamo fin qui soltanto
menzionato (telemotore) e di un dispositivo di asservimento che la collega
all'agghiaccio.
In particolarn possiamo ritenere che la catena di meccanismi che con-
sente di manovrare il timone sia studiata in modo da realizzare le seguenti
condizioni:
• quando il timoniere fa girare la ruota di governo in un senso o nell'altro,
si apre la valvola differenziale e si immette vapore nella macchina che può
in tal modo marciare come richiesto per imprimere all'agghiaccio, general-
mente meccanico, il movimento desiderato;
• la valvola differenziale rimane aperta, e la macchina in moto, fintanto
che il timoniere gira la ruota di governo: non appena questa ruota viene fer-
mata, il dispositivo di asservimento provoca infatti la chiusura della valvola
e il conseguente arresto della macchina (il timone rimane quindi nella posi-
zione raggiunta e che il timoniere può conoscere avvalendosi di appositi in-
dicatori installati nella stazione di governo).
La chiusura della valvola differenziale (a ruota di governo ferma) è de-
terminata dal movimento stesso dell'agghiaccio, cui essa è collegata at-
traverso un apposito meccanismo. In altre parole ciò significa che l'ag-
ghiaccio, dopo essere stato messo in movimento dalla macchina del timone,
provvede ad arrestare la marcia di questa, e quindi il movimento proprio
e quello del timone, non appena il timoniere arresta la rotazione della ruota
di governo.
Il sistema di asservimento che agisce sulla valvola differenziale è quello
Forrester. Non ci soffermeremo a illustrarne le caratteristiche, ma sottoli-
neiamo il fatto che esso assicura il sussistere delle condizioni volute, e cioè:
macchina, agghiaccio e timone in movimento, nel senso desiderato, quando
il timoniere fa girare la ruota di governo; agghiaccio e macchina fermi, e
quindi timone fermo nella posizione raggiunta, quando il timoniere arresta
il movimento della ruota di governo.

Il servomotore elettrico è sostanzialmente costituito da un motore elet-


trico che agisce normalmente su un agghiaccio rigido.
Servomotore e agghiaccio sono collegati in modo da far ruotare il timo-
ne nel senso voluto quando il timoniere manovra la ruota di governo.
Appositi dispositivi di asservimento assicurano la possibilità di arresta-
re l'agghiaccio, e quindi il timone, quando si arresta il movimento della ruo-
ta di governo.

Il servomotore elettroidraulico è il tipo di servomotore generalmente


installato sulle navi moderne. È costituito da una elettropompa, general-
mente a portata variabile, e da un dispositivo di asservimento.
L'elettropompa a portata variabile presenta caratteristiche del tutto
particolari poiché, pur marciando il motore che la conduce a velocità co-

312
stante, essa può passare rapidamente da un regime di portata nulla ad un
regime di portata massima (in quest'ultima condizione la pompa manda olio
in un settore dell'agghiaccio e ]o aspira dall'altro provocando la rotazione
del timone nel senso voluto).
Il passaggio della pompa da un regime all'altro è comandato da un di-
spositivo asservito alla ruota di governo e al movimento del timone. Se
il timoniere manovra la ruota di governo, il dispositivo di asservimento
viene sollecitato, attraverso la trasmissione (telemotore) che lo collega
alla ruota stessa, a provocare l'azione di un meccanismo che porta la
pompa ad agire sul1'agghiaccio per far ruotare il timone nel senso desi-
derato; se il timoniere arresta la rotazione della ruota di governo, il disposi-
tivo di asservimento viene sollecitato dal movimento del timone o dell'ag-
ghiaccio a provocare l'azione inversa del1o stesso meccanismo, cosicché la
pompa ritorna alla condizione di portata nulla e il timone rimane nella posi-
zione raggiunta_
A conclusione di queste brevi note osserviamo che in alcune sistemazio-
ni servomotore e agghiaccio sono così intimamente uniti da formare un uni-
co complesso che viene definito timoneria.
Questo termine non è molto usato dal personale di bordo, ma viene ge-
neralmente adottato dai costruttori, i quali definiscono solitamente limone-
ria elettroidraulica un complesso formato da un servomotore elettroidrau-
lico e da un agghiaccio idraulico (figg. 14 e 15). Timoneria elettrica è in-

Fig. 14 - Timoneria
elellroidraulica
' - - - - - - ~ ~ - - ~ ~ - - - - - - - - - - - - - - - - - - - ' a palmole.

313
Fig. 15 - Tìmoneria
elettroidraulica
a due cilindri
oscillanti.

vece chiamata una sistemazione che comprende un servomotore elettrico


e un agghiaccio rigido, mentre per timoneria a vapore si intende una siste-
mazione comprendente un servomotore a vapore e un agghiaccio rigido o
flessibile.

4. Telemotore

Facendo riferimento ai diversi tipi di trasmissione utilizzabili per realiz-


zare il collegamento fra la ruota di governo e il dispositivo di asservimento
della macchina del timone, si distinguono:
• telemotori meccanici; • telemotori idraulici; • telemotori elettrici.
I telemotori meccanici, flessibili se comprendono trasmissioni costitui-
te da cavi o catene, rigidi se le loro trasmissioni sono costituite da aste d'ac-
ciaio collegate fra loro mediante giunti cardanici e ingranaggi conici (questi
ultimi per gli eventuali cambiamenti di direzione) e sostenute da appositi
supporti, sono ormai pressoché scomparsi perché il loro impiego comporta
i seguenti inconvenienti:
a) maggiore sforzo richiesto al timoniere che, per manovrare la ruota
di governo, deve vincere le loro non trascurabili resistenze passive;
b) un certo sfasamento fra gli estremi della trasmissione, dovuto alla
sua elasticità e ai piccoli laschi sempre esistenti fra le varie coppie di giunti
cardanici e ingranaggi conici;
c) necessità di usare pressatrecce per il passaggio della trasmissione at-
traverso le paratie stagne;
d) esigenza di provvedere ad una adeguata manutenzione;
e) rumorosità.
Tali inconvenienti non sussistono con i telemotori idraulici e con i telemo-

314
tori elettrici; si spiega quindi il grande favore che incontrano questi tipi dì
trasmissioni e la loro definitiva affermazione.
I telemotori idraulici (fig. 16) erano già usati con i servomotori a vapo-
re, ma le loro ottime prestazioni ne consigliano ancor oggi l'installazione,
qualunque sia il tipo di timoneria in dotazione alla nave.

10
Flg. 16 - Telemotore
idraulico: 1) ruota
di governo:
2) assiometro:
3) ruota dentata:
4) pignone; 5) asta
dentata: 6) stantuffo;
7) cilindro: 8) camera
del fluido motore;
9) serbatoio
di riempimento;
10) tubolatura di
mandata al ricevitore:
11) ricevitore;
12) cilindro
del ricevitore ;
13) stantuffo
del ricevitore;
14) asta di manovra
del dispositivo
di asservimento
del servomotore.

315
Le parti che costituiscono un telemotore idraulico sono:
a) una piccola pompa - trasmettitore - sistemata nella colonnina che
sostiene la ruota di governo e da questa azionata a mezzo di appropriati
ruotismi;
b) due minuscole tubazioni attraverso le quali scorre il liquido (soluzione
di glicerina e olio) messo in movimento dalla pompa;
c) un motore idraulico a stantuffo - ricevitore - mosso dal liquido in
pressione e agente sul dispositivo di asservimento del servomotore.
La pompa-trasmettitore può essere ad un solo stantuffo a doppio effetto
o a due stantuffi a semplice effetto. In ogni caso la rotazione della ruota
di governo produce aspirazione in una delle due tubazioni e mandata nell'al-
tra; la pressione che così si determina in una sezione del ricevitore mette
in movimento il suo stantuffo che può quindi agire sui servomotore attra-
verso il meccanismo di asservimento.
Con questo tipo di trasmissione il timoniere può manovrare la ruota di
governo con la massima facilità e con la certezza di una fedele e pron-
tissima azione sul dispositivo di asservimento. La sola precauzione che
si rende necessaria è comune a tutte le trasmissioni idrauliche: bisogna
cioè evitare la presenza di bolle d'aria nei tubi che collegano la pompa-
trasmettitore al cilindro-ricevitore. A tal fine esistono appositi indicatori
del livello dell'olio nella colonnina che contiene la pompa e valvole per lo
spurgo dell'aria.

I telemotori elettrici sono largamente impiegati nelle navi moderne.


Il funzionamento di un telemotore elettrico si basa sulla possibilità di
stabilire, con la manovra della ruota di governo, contatti elettrici che con-
sentono di dare corrente ad un piccolo motore installato presso la timone-
ria. L'asse di questo motore è collegato al dispositivo di asservimento del
servomotore, che può quindi agire sull'agghiaccio assecondando la volontà
del timoniere.
Parallelamente alla crescente diffusione dei telemotori elettrici, si è
registrata una notevole tendenza a rinunciare all'impiego della tradizio-
nale ruota a caviglie come unico mezzo per la manovra degli organi di
governo.
Molte sistemazioni moderne si avvalgono infatti di ruote di governo le
cui caratteristiche si discostano notevolmente dalle ben note ruote a cavi-
glie (fig. 19); per altre sistemazioni si adottano soluzioni del tutto nuove,
quali sono ad esempio quelle che prevedono l'impiego di pulsanti 7 o di una
leva per azionare, attraverso la trasmissione elettrica, il dispositivo di as-
servimento del servomotore.
Da queste innovazioni deriva la necessità di suddividere i telemotori
elettrici in telemotori «a percorso►> (follow up) e telemotori «a tempo»
(non follow up).
Premesso che le moderne sistemazioni per il governo della nave preve-
dono la disponibilità di non meno di due telemotori e che almeno uno di

7
Un pulsante per far ruotare il timone verso dritta, un secondo pulsante per farlo ruota-
re verso sinistra.

316
questi è opportunamente collegato ad una apparecchiatura per il governo
automatico - giropilota o pilota automatico - i cui interventi sono solle-
citati da indicazioni provenienti da una bussola giroscopica, osserviamo che
per telemotore «a percorso» ofollow up si intende un dispositivo realizzato
con criteri tradizionali, ossia un dispositivo che fa muovere il timone soltan-
to quando il timoniere gira la ruota di governo o sposta la eventuale leva
di governo, mentre per telemotore «a tempo>) o nonfollow up si intende un
dispositivo che fa muovere il timone per il tempo in cui il timoniere preme
il pulsante di governo o mantiene la leva di governo o la ruota di governo
nella posizione di manovra.
Una sistemazione di governo con telemotore elettrico del tipo «a tempo»
è rappresentata nello schema che segue (fig. 17).

,.

Fig. 17 - Telemotore elettrico ua tempo»: rappresentazione schematica di una sistemazione comprendente


anche il pilota automatico e associata a una timoneria elettroidraulica con elettropompe a portata variabile.
1a) ruota di governo; 1b) contatti; 1c) commutatore (per il passaggio dal governo manuale a quello automa-
tico e viceversa): 2a) contatti del pilota automatico; 2b} relè di uscita; 3a) potenziometro; 3b) indicatore
dell 'angolo di barra; 4) scatole di controllo; 5) elettropompe: 6a) trasmettitore dell 'angolo di barra ; 6b) di-
spositivi di asservimento; 6c) potenziometro ; 7) cilindro dell 'agghiaccio; 8) barra.

3 17
5. Indicatori di barra, scontri, freno

L'angolo di barra, ossia l'angolo di inclinazione del timone, è rivelato


dall'indicatore di un meccanismo - assiometro - installato nella colonnina
che sostiene la ruota di governo.
L'assiometro è sostanzialmente costituito da alcuni ruotismi che fanno
scorrere l'indicatore su un settore graduato; l'indicatore si muove quando
il timoniere gira la ruota di governo, segnalando costantemente l'inclina-
zione che i movimenti della ruota fanno assumere al timone.
Nelle navi moderne l'angolo di barra viene normalmente segnalato, ol-
treché dall'assiometro sistemato presso la ruota di governo, anche da un
congegno elettrico.
Questo congegno consta di un trasmettitore montato presso l'agghiaccio
e di un ricevitore ad esso collegato e installato su una parete della stazione
di governo (fig. 17).
Il trasmettitore viene azionato dall'asta del timone o dalla barra attra-
verso una apposita trasmissione flessibile; il ricevitore traduce in indicazio-
ni ottiche i segnali che gli pervengono dal trasmettitore.
Le indicazioni ottiche sono fornite da un indice mobile che, scorrendo
su un settore graduato posto al di sotto del vetro che ricopre la scatola in
cui sono raccolti i circuiti del ricevitore, segnala con continuità l'angolo di
inclinazione del timone.

Gli scontri o repulsori hanno lo scopo di impedire che il timone superi


l'angolo di inclinazione massima prevista.
Nelle sistemazioni più semplici gli scontri sono due blocchi di acciaio che
arrestano la corsa della barra o del timone, ma è evidente che possono esse-
re usati altri accorgimenti per limitare l'angolo di inclinazione dell'organo
di governo. Tali accorgimenti assicurano la possibilità di arrestare o neu-
tralizzare l'azione del servomotore nell'istante in cui il timone raggiunge
la massima inclinazione.

Il freno è un congegno che può essere di tipo meccanico, idraulico o


elettromagnetico e che consente di bloccare il timone in caso di neces-
sità.
La presenza di un freno è particolarmente utile in caso di avaria all'ag-
ghiaccio. In tali circostanze esso consente infatti di immobilizzare il timone,
evitando i danni che potrebbero derivare dalle violente oscillazioni cui que-
sto viene sottoposto in caso di cattivo tempo, mentre si provvede alle neces-
sarie riparazioni.

6. Pilota automatico

Il pilota automatico (o giropilota) è un apparecchio di auto-guida, ossia


un apparecchio che, regolando opportunamente l'azione del servomotore,
comanda al timone le manovre necessarie per mantenere la nave su una
prora prestabilita.
Per illustrare brevemente le caratteristiche d'impiego del pilota auto-
matico cominciamo con l'osservare che esso può semplicisticamente con-

318
siderarsi formato da un telemotore elettrico e da una ripetitrice della bus-
sola giroscopica, intimamente collegati e interdipendenti.
Osserviamo poi che, adottando i necessari accorgimenti tecnici, è possi-
bile realizzare le condizioni richieste affinché il telemotore non invii nessu-
na sollecitazione al servomotore (elettrico o elettroidraulico) quando la
nave si trova sulla prora stabilita, mentre lo stesso telemotore, attraverso
le sollecitazioni che riceve dalla bussola ripetitrice, agisce prontamente sul
servomotore, non appena la prora assume un valore diverso da quello pre-
fissato, perché provveda a inclinare il timone come richiesto per annullare
la variazione di prora rilevata dalla bussola.
L'apparecchio funziona ovviamente in modo da rendere sempre appro-
priata la manovra del timone.
Pur senza entrare in particolari, osserviamo per esempio che i contatti
che mettono in azione il telemotore, e quindi il servomotore, devono inter-
rompersi quando il timone ha ruotato di un certo angolo e invertirsi non
appena la prora inizia l'accostata che la riporta nella direzione iniziale. Que-
sta inversione produce, com'è comprensibile, un'azione inversa del telemo-
tore sul servomotore, e quindi sul timone, che ritorna in mezzo, pronto ad
assumere l'inclinazione contraria a quella precedente se le circostanze lori-
chiedono.
Appositi dispositivi consentono di regolare la sensibilità dell'apparec-
chio per adeguare il suo intervento sul timone allo stato del mare e alle con-
dizioni di carico della nave.
Il pilota automatico viene ormai installato su quasi tutte le navi. Ciò per-
ché, indipendentemente dal fatto che la sua disponibilità rende libero un
marinaio (timoniere) che può quindi essere destinato ad altro servizio, si re-
gistrano, con il suo impiego, condizioni di governo pressoché perfette, con
conseguenti benefici sulla velocità della nave e sulla distanza effettiva che
essa percorre per seguire la rotta prefissata.
Naturalmente, trattandosi di un apparecchio che mantiene la nave su
una prora ben determinata, il suo impiego è sconsigliabile quando la nave
si trova in acque ristrette o in vicinanza di pericoli. In tali circostanze, e
in tutti i casi in cui si rendono necessarie delle accostate, bisogna tornare
al governo manuale rinunciando a quello automatico.
Il passaggio da un sistema di governo all'altro è semplice e imme-
diato poiché richiede soltanto lo spostamento di una leva o di un commu-
tatore.
Escluso l'automatismo, il timoniere riprende il controllo della nave ma-
novrando opportunamente la ruota, il volantino, la leva o i pulsanti di go-
verno di cui è dotato il pilota automatico, o manovrando la ruota della even-
tuale sistemazione per il solo governo manuale.
Nel momento in cui l'ufficiale responsabile della navigazione ritiene
che sussistono le condizioni richieste per ripristinare il governo automa-
tico, si reinserisce il giropilota con una operazione altrettanto semplice e
rapida.
A tal fine basta infatti riportare la leva o il commutatore già menzionato
nella posizione prescritta per il governo automatico.
Prima di inserire il controllo automatico si provvede ad orientare la
nave sulla prora stabilita e a portare il timone in mezzo se l'apparecchio di
cui si dispone non consente di evitare queste operazioni.

319
3
4

Fig. 18 • Pilota
au1omatico: 1) leva
per il governo
manuale e per
il passaggio
al governo automatico;
2) manopola per
variare la prora
senza disinserire il
comando automatico;
3) manopola per la
regolazione dell 'angolo
di controtimone;
4) manopola per
variare l'angolo
di limone
in relazione alle
condizioni del mare.

L'apparecchio rappresentato nell'illustrazione (fig. 18) è dotato di una


leva utilizzabile sia per inserire e disinserire il controllo automatico, sia per
il governo manuale.
Con la leva in centro e in posizione rialzata l'apparecchio funziona auto-
maticamente e per passare al governo manuale è sufficiente abbassarla e
spostarla lateralmente ricordando che ad uno spostamento verso dritta cor-
risponde una inclinazione a dritta del timone e ad uno spostamento a sini-
stra una inclinazione a sinistra.
Il timone è in mezzo quando la leva è al centro e pertanto si passa al go-
verno automatico solo nel1e condizioni richieste per effettuare questa ope-
raz10ne.
La manopola 2 rende superflua ogni manovra preventiva per portare la
nave sulla prora da seguire. Qualunque sia il valore di questa al1'istante in
cui si inserisce il controllo automatico, è infatti possibile passare successi-
vamente sul1a prora prestabilita mediante la semplice rotazione della ma-
nopola suddetta, tenendo presente che ad ogni scatto corrisponde una va-
riazione di 1° nella prora.
La sensibilità dell'apparecchio nel1e diverse condizioni di mare in cui

320
pilota
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12 13

a b

Fig. 19 - Sistemazioni per il governo manuale e automatico: a) pilota automatico, telemotore elettrico e tele-
motore idraulico; b) pilota automatico. telemotore elettrico «a tempo» e telemotore idraulico.
1) alimentazione; 2) amplificatore: 3) relè: 4) dispositivo per la soppressione delle scintille; 5) potenziome-
tro; 6) ruota di governo; 7) leva di commutazione (per il passaggio dal governo automatico a quello manuale
o viceversa e per il passaggio dal governo manuale con telemotore elettrico a quello con telemotore idraulico
o viceversa); 8) commutatore: 9) contatti per il telemotore «a tempo»: 1O) trasmettitore del telemotore id rau-
lico: 11) valvola by-pass (aperta quando si opera con il telemotore elettrico o con il pilota automatico: 12)
trasmissioni elettriche; 13) trasmissione idraulica; 14) vano per la girobussola.

può trovarsi la nave viene regolata con la manopola 4, mentre la manopola


3 serve per stabilire l'angolo minimo di timone necessario per arrestare
ogni scostamento dalla prora prestabilita.
Alcune sistemazioni comprendenti piloti automatici sono rappresentate
negli schemi sopra riportati (fig. 19), Non staremo a discutere le loro carat-
teristiche tecniche, ma osserviamo che dagli schemi citati si rilevano facil-
mente le diverse soluzioni adottabili sia per quanto riguarda l'installazione,
sia per quanto riguarda l'associazione dei piloti automatici ai dispositivi per
il governo manuale.

321
p
Fig. 20 • Nave da carico (multiuso).

Nomenclatura delle parti numerate

1. Ponte del cassero di poppa


2. Argani di tonneggio 22. Ponte di passeggiata 4
3. Verricelli autormeggianti 23. Locale macchine ausiliarie 4
4. Piscina 24. Diesel-alternatori (dr. e sin.) 4
5. Colonne di carico 25. Caldaia ausiliaria 4
6. Verricelli degli amantigli 26. Alberetto porta-segnali 4
7. Verricelli dei pescanti 27. Antenna del radiogoniometro 4
8. Gru 28. Antenne radar 4
9. Uscita di sicurezza dal tunnel 29. Antenna TV
10. Portelloni dei boccaporti 30. Controplancia
11. Portelloni dei boccaporti d'interponte 31. Sala nautica/timoneria
12. Macchina del timone 32. Bussola magnetica
13. Timone 33. Ponte di comando
14. Compartimenti per carichi pericolosi (dr. e sin.) 34. Ponte delle imbarcazioni
15. Cisterne in acciaio inox (dr. e sin.) 35. Imbarcazioni di salvataggio (dr. e sin.)
16. Ponte superiore (coperta) 36. Ponte degli ufficiali
17. Ponte principale 37. Ponte del castello di prua
18. Ponte di stiva 38. Mulinello salpancore
19. Deep-tanks 39. Arrestatoi
20. Compartimenti per carichi refrigerati (dr. e sin.) 40. Ancora di speranza
21. Boccaporti dei compartimenti per carichi 41. Alberetto per segnali d'ancoraggio
refrigerati (dr. e sin.) 42. Albero Stulken
rincipali caratteristiche

ng hezza (f. t.) 171,60 m Capacità per carichi refrigerati 573 m 3


3
nghezza (fra le pp.) 158,80 m Capacità per carichi liquidi 2 203 m
rghezza (f.o.) 23,60 m Numero stive 7
ezza (al ponte superiore) 13,40 m Numero deep-tanks per il carico 13
mersione (al bordo libero estivo) 9,14 m Numero compartimenti refrigerati 6
locità (di servizio) 21 nodi Motore principale B & W 984-VT2BF-180
lazza lorda 13 600 ton Potenza-asse a 110 giri/minuto 13 901 kW (18 900 CV)
pacità per carico generale 20 074 m 3 Classificazione Lloyds Register

~- Picco di forza Stulken 64. Silenziatori scarico alternatore ausiliario


14. Staffa d i sostegno per picco di forza 65. Estrattori del locale macchine (dr. e sin.)
~- Picchi di carico 66. Presa per la ventilazione del locale macchine
«i. Cabine controllo-verricelli 67. Diesel-alternatori (dr. e sin.)
47. Compartimenti per il carico (dr. e sin.) 68. Asse portaelica
. Locale blindato 69. Asse portaelica di ri spetto
19. Pozzo delle catene 70. Sbocchi principali dell'aria (dr. e sin.)
. Oeep-tanks 71. Evaporatore-distillatore
11. Cisterna d'assetto di prua 72. Separatori acque oleose
Casse laterali per combustibile (dr. e sin.) 73. Pompe dell'olio lubrificante
!3. Casse laterali per zavorra (dr. e sin.) 74. Locale C02
!4. Ingresso acqua di mare 75. Carroponte del locale macchine
. Casse di servizio per il combustibile (dr. e sin.) 76. Sala controllo macchine
ris. Cassa per olio lubrificante rigenerato 77. Officina
17. Doppio fondo 78. Aletta di rollio
58. Motore principale 79. Bocche di rancio
19. Turbosoffianti 80. Mastre dei boccaporti
&J. Collettore del gas di scarico 81. Tughe
1. Valvola per il controllo dei gas di scarico 82. Bitte
!2. Calderina a gas di scarico 83. Maniche a vento
13. Silenziatori scarico motore principale 84. Parapetto

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Fig. 21 - Nave traghetto.

Caratteristiche principali

Lunghezza (f.f.) 178,90 m


Lunghezza (fra le pp.) 169,80 m
Larghezza (f. f.) 25,40 m
Altezza di costruzione 7,85 m
Immersione 6,13 m
Deadweght (portata) 6 340 t
Stazza lorda 31 600 ton

Nomenclatura delle parti numerate

1. Locale macchine principali 16. Trasm issioni


2. Locale macchine ausiliarie 17. Motori delle eliche di manovra
3. Motore di propulsione (dr. e sin.) 18. Portellone/rampa accesso veicoli
4. Motore di propulsione (dr. e sin.) 19. Ponte F
5. Motore diesel ausiliario e gruppo generatore 20. Rampa di accesso al ponte E (dr. e sin.)
6. Alternatore-asse (dr. e sin.) 21. Ponte E
7. Riduttore di giri (dr. e sin.) 22. Ponte mobile per automobili (dr. e sin.)
8. Ingranaggi moltiplicatori di giri (dr. e sin.) 23. Portellone di chiusura rampa di accesso
9. Riscaldatori olio diat ermico alla stiva inferiore (dr. e sin.)
10. Elica (dr. e sin.) 24. Rampa di accesso alla stiva inferiore
11. Timone (dr. e sin.) 25. Stiva inferiore
12. Stabilizzatori (dr. e sin.) 26. Cofano centrale
13. Cisterna di zavorra (dr. e sin.) 27. Scala reale
14. Cassa laterale (dr. e sin.) 28. Locale per t rattamento combustibile
15. Eliche di manovra 29. Molinell o salpancore e verricelli di tonneggio
elocità di servizio 18,5 nodi Capacità di carico 850 automobili
otori di propulsione 4 x Wartsila-Sulzer 180 autoarticolati
lenza di propulsione 19 200 kW (26 100 CV) Numero di ponti 8
Passeggeri 1 250 Classificazione Lloyds Register
bine Passeggeri 452
quipaggio 107
Spazio per il carico 2 250 metri lineari

:tO. Ponte A 45. Albero del radar


31. Ponte B 46. Salone ufficiali
32. Ponte C 47. Cabine passeggeri
33. Ponte D 48. Locale poltrone rec linabili
:14. Locale mensa equipaggio 49. Ristorante
35. Locale ricreazione eq uipaggio 50. Negozi
36. Cabine equipaggio 51. Passeggiata
37. Gru zattere di salvataggio 52. Discoteca
38. Cabine ufficiali 53. Sala di accesso
39. Imbarcazioni di salvataggio 54. Saloni
lO. Imbarcazione di emergenza 55. Sala da ballo
41. Cofano ascensore
42. Apertura di accesso per passeggeri
43. Portellone di chiusura
44. Timoneria e sala nautica (ponte di comando)
7. Norme regolamentari

Per assicurare l'efficienza delle apparecchiature per la manovra del ti-


mone, la SOLAS 74 ed il relativo Protocollo 78 prescrivono una serie di
norme che sono state integralmente recepite dal R.I.Na nei suoi Regola-
menti per la Costruzione e la Classificazione delle navi, tenendo conto delle
modifiche ad esse apportate dall'IMO con gli «Emendamenti» del 1981. 8
Tali Regolamenti si occupano ovviamente anche del dimensionamento
delle diverse parti che costituiscono il timone e gli apparecchi utilizzabili
per la sua manovra. Per quanto riguarda il timone, i Regolamenti precisano
innanzitutto i criteri da seguire per calcolare il diametro dell'asta soggetta
a sola torsione oppure a torsione e flessione; \J altre indicazioni consentono
di definire la struttura del telaio e lo spessore del suo involucro in lamiera,
il diametro e la lunghezza degli agugliotti, le caratteristiche degli accoppia-
toi che collegano l'asta alla pala. Per gli apparecchi di manovra vengono in-
dicate non solo le prescrizioni riguardanti il dimensionamento, ma anche i
rispettivi requisiti tecnici e le dotazioni di rispetto.

8
In vigore dal 1° settembre 1984.
9
Timoni sospesi.

326
Servizi di sentina
e zavorra
'--- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - ' I CAPITOLO

1. Servizi di sentina

I servizi di sentina sono normalmente utilizzati per liberare le sentine dal-


1'acqua che in esse si raccoglie in conseguenza di fenomeni di colaggio del
carico o di operazioni di lavaggio delle stive, ma la loro funzione primaria è
quella di assicurare la possibilità di espellere fuoribordo l'acqua che si infiltra
all'interno dello scafo quando viene meno l'impermeabilità dei fasciami.
Tutte le navi sono a tale scopo dotate di un impianto, detto di sentina o di
esaurimento, costituito da pompe alle cui aspirazioni si collegano tubi prov-
visti di diramazioni che pescano nella parte più bassa dei pozzetti di sentina Fig. 1 _ Ser~izi
e alle cui mandate fanno capo i tubi per lo scarico dell'acqua fuoribordo (fig. 1). di sentina.

Naturalmente, trattandosi di un impianto che riguarda la sicurezza della


nave in caso di falla, devono essere osservate, per la sua realizzazione, le
norme previste dai regolamenti di sicurezza oltreché da quelli per la costru-
zione e la classificazione delle navi.
Per soddisfare le norme attualmente in vigore, ciascuna nave deve esse-
re dotata di non meno di due pompe di sentina azionate da energia mecca-
nica e di un sistema di tubazioni atte a prosciugare qualsiasi compartimen-
to stagno anche con uno sbandamento di 5°. 1
Le tubazioni sono costituite da un collettore principale al quale si colle-
gano diversi tubi di a,gpirazione i cui brctnchetti sboccano nei pozzetti di
sentina.
I branchetti hanno l'estremità libera protetta da una pigna; il loro dia-
metro interno (d1) viene calcolato, in mm, con la formula:
d1 = 2,15 ✓1 1 (B + D) + 25

1 Per le naV1 passeggeri sono prescritte non meno di tre pompe di sentina azionate da
energia meccanica. Le tubazioni di sentina non raggiungono i compartimenti destinati penna-
nentemente a depositi per combustibile oppure zavorra poiché per il loro riempimento e pro-
sciugamento ci si avvale dei servizi per il combustibile oppure dei servizi di zavorra.

327
nella quale:
L I è la lunghezza, in metri, del compartimento da prosciugare;
B è la larghezza, in metri, dello scafo;
D è l'altezza dello scafo, misurata in metri fino al ponte delle paratie.
Il diametro interno (d) del collettore principale viene invece calcolato,
in mm, con la seguente relazione:
d = 1,68 ✓ 1 (B + D) + 25
dove L è la lunghezza dello scafo espressa in metri, mentre B e D hanno
i significati sopra indicati.
Nelle navi cisterna e nelle navi nelle quali l'impianto di sentina deve
provvedere al solo esaurimento del locale apparato motore, il diametro in-
terno del collettore principale può essere più piccolo del diametro d che si
calcola con la formula precedente, ma non deve essere inferiore a quello
(d0) che si ricava dalla relazione:
d0 = 3 ✓1 0 (B + D) + 35
dove B e D hanno i significati già noti, mentre L 0 è la lunghezza in metri
del locale apparato motore.

Nel locale apparato motore deve essere disponibile, in aggiunta alle nor-
mali aspirazioni di sentina, una aspirazione diretta con la pompa di circola-
zione al condensatore principale (piroscafi) o con la pompa di circolazione
dell'acqua di raffreddamento del motore di propulsione (motonavi).
L'imbocco di questa aspirazione - lupa - deve essere protetto da una
pigna e situato a livello idoneo per il prosciugamento del locale; la presenza
di una valvola di non ritorno sull'aspirazione diretta assicura l'impossibili-
tà di allagare accidentalmente il locale apparato motore. 2

Per evitare il passaggio d'acqua da un compartimento stagno all'altro


o che l'acqua di mare o di una cisterna passi in un qualsiasi compartimento
asciutto, le tubazioni di sentina sono completamente separate dalle tubazio-
ni di aspirazione dal mare e dagli altri circuiti di bordo. Nel caso in cui le
pompe di sentina possono aspirare anche dal mare o da compartimenti adi-
biti a cisterne, i collegamenti fra le tubazioni di sentina e le rispettive pom-
pe sono provvisti di valvole di non ritorno.

Poiché le norme sulla sicurezza della vita umana prescrivono che ciascu-
na pompa di sentina deve avere potenza sufficiente per imprimere all'ac-
qua, nel collettore principale, una velocità non inferiore a 122 m/minuto,
si deduce che la loro portata (Q), in metri cubi all'ora, non deve essere infe-
riore a quella che si ricava dalla relazione:
Q = 0,00575 d 2
dove d è il diametro, in mm, del collettore principale.

2 Le valvole di non ritorno presentano la caratteristica di lasciare passare l'acqua soltan-


to nel senso dell'aspirazione.

328
2. Servizi di zavorra

I servizi di zavorra sono disimpegnati da un impianto con caratteristiche


simili a quello che assicura i servizi di esaurimento.
Le stesse pompe di sentina possono essere utilizzate per il servizio di za-
vorra se i collegamenti fra le pompe e i tubi di aspirazione dalle sentine
sono muniti di valvole di non ritorno, ma il sistema di tubazioni per il pro-
sciugamento e il riempimento dei depositi per zavorra (doppi fond i, deep-
tanks, casse e cisterne varie) deve essere del tutto indipendente.
Similmente a quanto accade per le tubazioni di sentina, anche i tubi per
il servizio di zavorra corrono all'interno del doppio fondo (se non esistono
particolari gallerie), sono provvisti di branchetti che sboccano nella zona
poppiera di ciascun compartimento e aspirano daHe parti più basse attra-
verso una pigna di protezione.
La tubazione che attraversa la paratia di collisione per prosciugare o al-
lagare la relativa cisterna d'assetto deve essere munita di valvola a chiusu-
ra a vite manovrabile da posizione situata al di sopra del ponte delle para-
tie; un idoneo dispositivo deve essere sistemato in prossimità del volantino
di manovra per indicare se la valvola è aperta oppure chiusa; il corpo della
valvola viene fissato alla paratia di collisione, dalla parte del gavone.
L'acqua costituente la zavorra affluisce all'interno dello scafo attraver-
so apposite aperture esistenti nella parte inferiore di ciascun fianco e che,
come abbiamo a suo tempo precisato, si chiamano prese dal mare; per la
sua espulsione fuoribordo si utilizzano appositi/ori di scarico praticati nel
fasciame dei fianchi.
Fra le prese dal mare e la tubazione del servizio di zavorra è interposta
una valvola di intercettazione - valvola Kingston - le cui caratteristiche
costituiscono una garanzia contro l'eventualità di allagamenti accidentali
(fig. 2).

Flg. 2 · Valvola
L..-------------------' Kingston.

329
Impianti
di ventilazione
CAPITOLO

1. Generalità

Impianti per la ventilazione naturale o per la ventilazione forzata sono


presenti in ogni nave per assicurare condizioni di salubrità nei locali abitati
e per evitare danni alle merci putrescibili che vengono frequentemente si-
stemate nelle stive. 1

La ventilazione naturale si basa sulla possibilità di attivare una circola-


zione spontanea dell'aria con la semplice apertura di porte, portelli, portel-
lini, osteriggi ecc. o con una conveniente utilizzazione delle trombe di venti-
lazione (maniche a vento ed estrattori) disponibili.

La ventilazione forzata si ottiene invece facendo agire ventilatori o


estrattori meccanici installati nei locali da ventilare, sulle trombe di venti-
lazione o in un locale dei ventilatori situato su un ponte di sovrastruttura.
È comunque indispensabile poter contare sulla disponibilità di un effica-
ce impianto di ventilazione poiché questo consente di evitare che l'aria dei
diversi locali o compartimenti diventi troppo umida o troppo secca, che la
temperatura raggiunga valori troppo elevati o troppo bassi, che si diffonda-
no cattivi odori.
Da queste considerazioni emergono chiaramente le connessioni fra ven-
tilazione, riscaldamento e condizionamento dell'aria.
Non mancheremo di illustrare le caratteristiche essenziali degli impianti
di riscaldamento e degli impianti di condizionamento, ma ricordiamo fin
d'ora che alcuni impianti di ventilazione sono realizzati in modo da poter
essere utilizzati anche per il riscaldamento e il condizionamento dell'aria.

2. Ventilazione delle stive

Nella maggior parte delle navi si sfrutta, per risolvere il problema della
ventilazione dei compartimenti destinati al carico, il moto ascensionale
spontaneo dell'aria calda.
A tale scopo ogni stiva è servita da non meno di due trombe di ventila-
zione. Di queste, una sbocca nella parte bassa del compartimento e termina
superiormente con una cuffia (manica a vento) la cui bocca viene orientata

1 È l'eccessiva umidità che danneggia la merce. In una atmosfera molto umida, infatti,
un abbassamento anche lieve di temperatura (normalissimo durante le ore notturne) determi-
na fenomeni di condensazione (formazione di rugiada) in conseguenza dei quali la merce si
bagna.

331
nella direzione di provenienza del vento relativo, l'altra si arresta sotto il
cielo del compartimento e può terminare superiormente con una cuffia, che
viene orientata nella direzione opposta al vento, oppure con una testa
(estrattore).
L'aria fresca entra dalla cuffia rivolta al vento, giunge sul fondo del
compartimento e sollecita l'aria più calda e umida quivi esistente a salire
e a imboccare la tromba con la cuffia rivolta sottovento o con la testa fissa
(fig. 1).

Fig. 1 - Circolazione
spontanea d'aria
attivata in una stiva
da una coppia
di maniche a vento.

La circolazione spontanea che si stabilisce nel compartimento con gli ac-


corgimenti indicati potrebbe tuttavia non essere sufficiente ad assicurare
il numero di ricambi d'aria richiesto per la conservazione di merci partico-
larmente delicate.
Per soddisfare questa esigenza si può ricorrere all'impiego di pulsori ed
estrattori meccanici sistemati, rispettivamente, sulle trombe di immissio-
ne e di aspirazione dell'aria, ma il problema di una ventilazione razionale
viene risolto soltanto con l'installazione di un impianto centralizzato, os-
sia di un impianto costituito da potenti ventilatori installati in un unico loca-
le - locale ventilatori - e da un sistema di condotte che da questo locale
portano l'aria in tutti i compartimenti destinati al carico.
Disponendo di un impianto centralizzato non ci si limita però a invia-
re nelle stive l'aria che dall'esterno affluisce nel locale ventilatori. Ciò
in quanto tale impianto consente normalmente di essiccare preventiva-
mente l'aria, facendola passare attraverso filtri di gel di silice, di re-
gistrare, a mezzo di termoigrografi, la temperatura e l'umidità esistenti

332
nei vari compartimenti, di regolare l'afflusso di aria secca in ciascun com-
partimento.

3. Ventilazione degli alloggi e dei locali pubblici e di servizio

Anche per i locali destinati ad alloggi o comunque frequentati da passeg-


geri ed equipaggio si potrebbe realizzare un sistema di ventilazione natura-
le basato sull'azione delle maniche a vento e degli estrattori, ma ad una so-
luzione di questo tipo si ricorre soltanto in casi del tutto particolari.
Normalmente si considera infatti sufficiente, per quanto riguarda la
ventilazione naturale, la circolazione d'aria che si stabilisce nei diversi loca-
li con la semplice apertura di porte, oblò e finestrini.
Conviene tuttavia rilevare subito che le navi moderne, se sono sprovvi-
ste di impianto di condizionamento, possono contare, per i locali abitati, sul-
la disponibilità di un impianto centralizzato di ventilazione forzata utilizza-
bile anche per il riscaldamento invernale.
L'impianto di ventilazione è costituito da ventilatori installati in un ap-
posito locale ventilatori cui fanno capo le condotte di ventilazione.
I ventilatori, di tipo elicoidale o centrifugo, sono generalmente mossi
da motori elettrici ed hanno una portata che assicura il numero di ricambi
orari d'aria 2 richiesti in ciascun locale. 3
Le condotte di ventilazione, solitamente a sezione rettangolare, rag-
giungono i diversi locali correndo sotto i ponti; 4 sui loro sbocchi sono ap-
plicate bocchette orientabili le cui caratteristiche consentono di regolare il
flusso d'aria in intensità oltreché in direzione.

2 Il numero dei ricambi orari d'aria è dato dal rapporto fra la portata oraria e il volume
del locale interessato dalla ventilazione.
~ Il ricambio dell'aria è necessario per espellere l'aria viziata. Attraverso il ricambio si
sostituisce con ossigeno l'anidride carbonica emessa dalle persone che vivono nei locali e si
assorbono le calorie che esse producono.
Il numero di ricambi richiesti per assicurare condizioni di salubrità varia da locale a locale;
si passa infatti dai 16-20 ricambi richiesti per gli alloggi, ai 30 ricambi richiesti per locali igie-
nici, cambuse, depositi di biancheria, lavanderie ecc. e ai 70 ricambi richiesti per le cucine e
i forni.
4 Le condotte di ventilazione sono sistemate fra il fasciame dei ponti e il loro rivestimen-
to inferiore. Per ragioni di sicurezza viene evitato l'attraver samento di paratie stagne. E ven•
tuali paratie tagliafuoco possono essere att raversate da queste condotte, ma soltanto se su
uno o entrambi i lati delle stesse esistono serrande per arrestare la circolazione d'aria e dispo•
sitivi indicanti se esse sono chiuse o aperte.

333
Riscaldamento, refrigera-
zione, condizionamento

1. Impianti di riscaldamento

Un impianto di riscaldamento è necessario per mantenere nei locali abi-


tati una temperatura non inferiore a 16 °C.
Queste condizioni potrebbero essere assicurate installando nei diversi lo-
cali radiatori o stufe elettriche, ma, tenuto conto dei pericoli di incendio con-
nessi con il loro funzionamento, 1 si preferisce ricorrere ad altri sistemi di
riscaldamento.
Il sistema più usato è quello a circolazione d'aria calda, ma sono abba-
stanza numerose le navi che si avvalgono di un sistema di riscaldamento
basato sulla circolazione di acqua calda.
Gli impianti a circolazione di acqua calda, detti a termosifone se l'ac-
qua circola spontaneamente, comprendono una caldaia capace di fornire ac-
qua alla temperatura di 90 ~ 95 °C alla pressione atmosferica, tubazioni di
mandata dell'acqua ai radiatori e tubazioni di ritorno deU'acqua alla caldaia.
L'acqua calda prodotta in caldaia sale per la sua ridotta densità e per
l'eventuale azione dì una pompa lungo le tubazioni di mandata, cede le sue
calorie agli ambienti da riscaldare quando attraversa i radiatori e ritorna
in caldaia per gravità. 2
Gli impianti ad aria calda, noti anche come impianti di termoventila-
zione, derivano direttamente dagli impianti centralizzati di ventilazione for-
zata e differiscono da questi solo per il fatto che l'aria viene riscaldata pri-
ma di essere immessa nei diversi locali.
A tale scopo un impianto di termoventilazione comprende, oltreché i ven-
tilatori e le condotte di ventilazione (debitamente coibentate per ridurre al
minimo le dispersioni di calore), un sistema di serpentine in cui circola va-
pore, o acqua calda, e che costituisce l'elemento riscaldatore dell'aria.
L'impianto di ventilazione e quello di termoventilazione sono normalmen-
te abbinati, cosicché si può passare dalla ventilazione alla termoventilazio-
ne attivando la circolazione di vapore, o acqua calda, nel riscaldatore.

2. Impianti di refrigerazione

Gli impianti di refrigerazione possono essere utilizzati per conservare


le derrate alimentari, per realizzare il condizionamento dell'aria nei locali

1 Non sono ammessi radiatori elettrici con gli elementi riscaldanti disposti in modo da po·
ter carbonizzare o incendiare panni, tende e altri simili oggetti.
2 Esistono anche impianti a vapore, ossia impianti nei quali è il vapore che circola nei
tubi e nei radiatori, dove si condensa parzialmente liberando anche un certo numero di calorie
derivanti dal calore latente dell'acqua di condensazione.

335
1
abitati e per mantenere temperature molto basse o invariabili nelle stive
delle navi che trasportano merci deperibili (navi frigorifere, navi bananiere
ecc.).
Ciò premesso, osserviamo che la refrigerazione si effettua a mezzo di
impianti frigoriferi del tipo a compressione, ossia di macchine che produ-
cono il freddo - macchine.frigorifere - a spese dell'energia meccanica as-
sorbita da un compressore e di tubazioni atte a far giungere questo freddo
nell'ambiente in cui è richiesto.

-,·-
\

_,/

Fig. 1 - Schema di
macchina trigoritera:
A) compressore:
M) motore del
com pressore:
C) condensatore:
- i

E) evaporatore:
P1) pompa per la
circolazione
dell'acqua di mare:
P2) pompa per la
circolazione
della salamoia:
V) valvola
- V
di espansione.

La macchina frigorifera è sostanzialmente costituita da un cornpresso-


re, da un condensatore e da un evaporatore (fig. 1).
Il compressore aspira dalla serpentina dell'evaporatore il vapore di un
fluido che si utilizza per produrre il freddo - agente frigorigeno - e lo com-
prime nella serpentina del condensatore.
Per effetto della compressione il vapore si condensa e il liquido si rac-
coglie nella parte inferiore della serpentina; da qui, attraverso una val-
vola la cui apertura viene regolata in modo da far lavorare l'impianto
più o meno intensamente a seconda delle prestazioni che gli si richiedono,
il liquido passa nella serpentina dell'evaporatore dove, a causa della bassa
pressione quivi esistente, ~vapora nuovamente sottraendo calorie ad un li·
quido incongelabile - salamoia o brine - nel quale la stessa serpentina è
immersa.
Il ciclo si rinnova senza sosta e, come conseguenza di una continua eva-
porazione dell'agente frigorigeno, si registra un crescente raffreddamento
della salamoia.
Completano la macchina frigorifera una pompa per far circolare acqua
nel condensatore e una pompa per la circolazione della salamoia.
La salamoia deve infatti essere messa in circolazione se si vuole portare
il freddo all'esterno della macchina frigorifera. A tale scopo un'apposita tu-
bazione si diparte dall'evaporatore, raggiunge l'ambiente o gli ambienti da
refrigerare e ritorna allo stesso. La parte di tubazione che viene utilizzata

336
per trasportare la salamoia nel luogo in cui deve cedere le sue frigorie è
adeguatamente coibentata; la parte che svolge le funzioni di scambiatore
non ha isolamento alcuno ed è del tipo a serpentina.
La circolazione dell'acqua nel condensatore è invece necessaria per la
liquefazione dell'agente frigorigeno. Infatti, se non sì provvedesse ad as-
sorbire il calore prodotto dalla condensazione, si registrerebbe, prima o poi,
nel condensatore, una temperatura superiore a quella critica dell'agente
impiegato, con la conseguente impossibilità di portare avanti il processo di
condensazione-evaporazione.
Poiché nel condensatore circola normalmente acqua di mare,:; il fluido
dell'impianto frigorifero deve avere una temperatura critica non troppo
bassa.
Tenuto conto di questa esigenza e della opportunità di utilizzare fluidi
che nel passaggio dallo stato liquido allo stato gassoso non assumono volu-
mi troppo elevati, mentre assorbono molte calorie, si ricorre normalmente
al freon 12 (diclorodifluorometano; temperatura critica 111 °C; incolore,
non corrosivo né velenoso) o ad analoghi composti. Altri fluidi dotati
dei requisiti richiesti e perciò utilizzati come agenti frigorigeni sono l'am-
moniaca (temperatura critica 133 °C) e l'anidride carbonica (temperatura
critica 31 °C).

Per conservare le derrate alimentari tutte le navi dispongono di alcuni


locali che si chiamano celle frigorifere perché la loro temperatura viene
mantenuta più o meno bassa a seconda delle necessità.
La possibilità di impedire ingiustificati aumenti di temperatura all'in-
terno delle varie celle è offerta dalle serpentine a circolazione di salamoia
sistemate sulle loro pareti e dal materiale isolante con cui si rivestono le
pareti stesse, i soffitti e i pavimenti.

Anche la refrigerazione delle stive può essere ottenuta mediante cir-


colazione di salamoia in serpentine applicate alle pareti e al soffitto, ma
più frequentemente si adotta il sistema a circolazione di aria refrigerata,
che richiede la disponibilità di un impianto di ventilazione.
L'aria viene infatti dapprima refrigerata in un locale in cui si trovano
serpentine di raffreddamento e ventilatori, e successivamente inviata nelle
stive attraverso un sistema di condotte di ventilazione opportunamente coi-
bentate.
L'impianto di ventilazione è del tipo a circuito chiuso e comprende i
dispositivi necessari per controllare e regolare l'umidità e la tempera-
tura dei compartimenti refrigerati. Questi hanno le pareti e i soffitti
ricoperti di materiale isolante per evitare dannose dispersioni di frigorie al-
l'esterno.
I materiali usati per assicurare l'isolamento termico delle stive devono
essere cattivi conduttori di calore, poco igroscopici e difficilmente infiam-
mabili.4 Non devono inoltre avere alcun odore proprio e non devono as-

:, La circolazione di acqua di mare consente normalmente di ma ntenere il fluido frigori-


geno a temperature non superiori a 25 ° C.
4 Sughero, legno, schiuma di poliureta no, lana di vetro e simili presentano le caratteri-
stiche richieste per questo ser vizio.

337
sorbire gli odori delle merci stivate nei locali refrigerati.
La temperatura e il grado di umidità che bisogna assicurare nelle stive
refrigerate variano con il tipo di merce trasportata.
A titolo d'esempio riportiamo, nella tabella che segue, gli elementi che
caratt~:rizzano la corn.;ervazione di akune tra le più comu.ni derrate ali-
mentari.

Periodo
Temperatura Umidità
Derrata di con· Ventilazione
In °C in%
servazlone

carne congelata -7+-6 85+90 illimitato naturale


uova fresche + 1 +-1 75+85 10 mesi spinta
frutta fresca 0+-1 75+80 3+4 mesi normale
frutta secca +2+-2 - 6 mesi debole
pesce congelato
pesce refrigerato
-25+-15
-3+0
-
90+95
illimitato
20 giorni
-
media
-verdure -2-;.-{} 8{}-;.-85 ~ rnes\ rned\a
banane +11 + +12 80+85 2 mesi spinta
patate +2+ +4 60+ 70 4 mesi debole

3. Impianti di condizionamento

Gli impianti di condizionamento consentono di rendere sana e grade-


vole l'atmosfera dei locéLli abitati indipendentemente dalla situazione clima-
tica esterna.
Ciò in quanto un impianto di condizionamento offre la possibilità di pro-
durre aria calda o aria fredda (opportunamente filtr;ita per liberarl:l da
eventuali impurità), di regolare la sua umidità relativa e di immetterla nei
diversi ambienti nella quantità richiesta per assicurare agli stessi una tem-
peratura di 20 °C circa e una umidità relativa i cui valori limite oscillano
fra il 50% e il 55%.
L'impianto è sostanzialmente costituito da un condizionatore e da un
adeguato sistema di condotte di ventilazione. Queste ultime, debitamente
coibentate, convogliano nei diversi locali un flusso di aria condizionata che
può essere regolato automaticamente a mezzo di termostati.
II condizionatore consiste in un armadio, con le pareti coibentate, nel
quale trovano posto un elettroventilator-e centrifugo, un gruppo di serpenti-
ne riscaldatrici, un gruppo di serpentine refrigeranti, un dispositivo umi-
dificatore e una presa d'aria.
Nelle serpentine riscaldatrici circola l'acqua calda o il vapore prodotto
da una caldaia, mentre nelle serpentine refrigeranti circola la salamoia raf-
freddata nella macchina frigorifera; l'uno o l'altro gruppo di serpentine può
rimanere inattivo cosicché si produce aria fredda o aria calda a seconda del-
le necessità. 5

" Facendo restare inattivi entrambi i gruppi di serpentine si limitano le prestazioni del-
l'impianto alla sola ventilazione.

338
Servizi
per l'acqua dolce
CAPITOLO

1. Generalità

I servizi per l'acqua dolce comprendono le sistemazioni necessarie per


il rifornimento, la conservazione e la distribuzione dell'acqua potabile, del-
l'acqua di lavanda e dell'acqua di macchina.
Premesso che l'acqua potabile (usata per bere e confezionare le vivande)
deve essere batteriologicamente pura, non contenere sali dannosi per l'or-
ganismo e avere gusto gradevole, che l'acqua di lavanda (usata per docce
e lavanderie) deve permettere la formazione di schiuma di sapone ed essere
priva di sostanze terrose, che l'acqua di macchina (usata per alimentare le
caldaie e per il raffreddamento degli apparati motori) deve contenere sali
in minima percentuale ed essere priva di sostanze terrose o corrosive, rile-
viamo che l'acqua dolce viene conservata in casse, cisterne e doppi fondi
e che la sua distribuzione ai diversi utenti è facilitata dalla disponibilità di
una pompa e di una fitta rete di tubazioni.
Il rifornimento dell'acqua dolce può essere effettuato durante la so-
sta in porto, collegando alle tubazioni di terra i tubi per il riempimento
dei vari depositi, ma non poche navi dispongono anche di impianti
evaporatori-distillatori mediante i quali ricavano acqua dolce dall'acqua
di mare.

2. Depositi, tubazioni e pompe

Numero, disposizione e caratteristiche costruttive dei depositi per l'ac-


qua dolce e delle tubazioni e pompe poste al loro servizio variano da nave
a nave.
Possiamo però ritenere che, per soddisfare le esigenze delle persone che
vivono a bordo e dell'apparato di propulsione, devono essere disponibili le
sottoindicate sistemazioni:
• casse per l'acqua potabile: in numero non inferiore a due, indipendenti
dalla struttura della nave, separate da depositi di combustibili, lubrificanti
e acqua di mare, cementate internamente con «cemento a pennello», provvi-
ste di sfogo d'aria, portello di accesso, tubo di riempimento e indicatore di
livello del tipo a tubo di vetro, collegate, a mezzo di apposita tubazione, alla
pompa destinata al servizio di distribuzione dell'acqua potabile;
• cassa o casse di servizio: piccoli serbatoi sistemati sul ponte più alto delle
navi che non dispongono di un sistema automatico di distribuzione sotto
pressione, internamente cementati con «cemento a pennello», provvisti di

339
sfogo d'aria, portello di accesso, tubo di riempimento collegato alla manda-
ta della pompa di servizio, tubo di «troppo pieno» (tubo di ritorno) collegato
alla cassa principale e tubo per la distribuzione dell'acqua ai diversi utenti
con sistema «a gravità» (la cassa viene riempita periodicamente mettendo
in azione la pompa; l'acqua eventualmente pompata in eccesso ritorna al
deposito di partenza attraverso il tubo di «troppo pieno»);
• depositi per l'acqua di lavanda: cisterne separate da depositi di combu-
stibili o lubrificanti, internamente cementate con <<cemento a pennello»,
provviste di sfoghi d'aria, portelli di accesso e tubi di sonda, di tubazioni
per il loro riempimento con sistema «a gravità» e tubazioni di prosciuga-
mento collegate all'aspirazione della pompa destinata al servizio dell'acqua
di lavanda;
• depositi per l'acqua di macchina: cisterne o doppi fondi, internamente
cementati con HCe1nento a pennello», provvisti di sfoghi di aria, portelli di
accesso e tubi di sonda, di tubazioni per il loro riempimento con sistema «a
gravità» e tubazioni di prosciugamento collegate all'aspirazione della pom-
pa destinata al servizio de1l' acqua di macchina;
• tubazioni di scarico: tubazioni atte a scaricare fuoribordo (attraverso i
fori di scarico a tal fine esistenti sui fianchi dello scafo) l'acqua proveniente
dai servizi igienici, 1 dalle cucine, dalle lavanderie ecc.

3. Sistemi di distribuzione

L'acqua potabile e di lavanda può essere distribuita ai diversi utenti


con un sistema «a gravità» e con un sistema automatico sotto pres-
sione.
I1 sistema «a gravità» si avvale di una o più casse di servizio, sistemate
nella parte più alta della nave, per far affluire spontaneamente l'acqua nel-
la rete di distribuzione.
II sistema automatico sotto pressione si basa sulla disponibilità di un im-
pianto costituito da una elettropompa centrifuga autoadescante che aspira
l'acqua dai depositi e la manda in un autoclave 2 al quale fa capo la tubazio-
ne della rete di distribuzione (fig. 1).

I criteri di funzionamento dell'impianto possono essere così sintetizzati:


• con una pompa d'aria si provvede inizialmente a formare nell'autoclave
un cuscino d'aria compressa;
• la pressione del cuscino d'aria spinge l'acqua dell'autoclave nei tubi
della rete di distribuzione assicurando un flusso ininterrotto per tutti gli
utenti;

1
Per la pulizia dei gabinetti viene usata acqua di mare; la circolazione di questa acqua
è assicurata da una pompa e da un apposito sistema di tubazioni.
2 L'autoclave è un recipiente cilindrico stagno all'aria e resistente ad una determinata
pressione.

340
7

11
4

·-. ----~· -·
.- · --a'epos ito d'ac qu"a""-· -
0

Fig. 1 - Schema di impianto di distribuzione acqua dolce con sistema automatico sotto pressione: 1) auto-
clave: 2) indié.itore livello acqua nell'autoclave; 3) indicatore pressione nell' autoclilve: 4) interruttore auto-
matico a pressione (pressostato): 5) linea elettrica; 6) elettropompa; 7) rete distribuzione: B) scarico: 9)
pompa dell'aria: 10) aspirazione dal deposito; 11) mandata dell'acqua all'autoclave.

• prima che il livello dell'acqua contenuta nell'autoclave scenda al pun-


to da scoprire la tubazione si avvia automaticamente la pompa dell'im-
pianto;
• la pompa si arresta non appena l'acqua nell'autoclave raggiunge il livel-
lo corrispondente alla massima pressione prevista. 3

Nella rete di distribuzione dell'acqua potabile possono essere inseriti fil-


tri, sterilizzatori e ozonizzatori per assicurare il massimo grado di purezza
e refrigeratori per abbassare la sua temperatura.
Nella rete di distribuzione dell'acqua di lavanda sono invece inseriti ri-
scaldatori (a vapore, elettrici, a gas di scarico dei motori a combustione in-
terna) per fornire acqua calda ai bagni, alle docce ecc. dì cui è fornita la
nave.

3 Il motore della pomp~ è comandato da un interruttore automatico a pressione - pres-


sostato - azionato dalla pressione esistente nell'autoclave; il pressostato fa avviare la pompa
quando tale pressione assume il valore corrispondente al livello minimo previsto per il corret•
to funzionamento dell'impianto, la fa arrestare nel caso contrario.

341
4. Rifornimenti

L'acqua dolce può essere prelevata dalla tubazione di un acquedotto du-


rante la sosta ìn porto, tuttavia, considerato che per assicurare una suffi-
ciente autonomia bisognerebbe imbarcare una quantità d'acqua che influi-
sce negativamente sui costi di esercizio e che in taluni casi (grandi navi pas-
seggeri) risulta incompatibile con la capacità dei depositi, vengono
installati, su molte navi, impianti che consentono di ricavare dal mare l'ac-
qua necessaria per le persone che vivono a bordo e per il funzionamento
dell'apparato motore.
Questi impianti - evaporatori-distillatori - trasformano in acqua dol-
ce l'acqua del mare facendo dapprima evaporare quest'ultima in un apposi-
to recipiente detto evaporatore e condensando successivamente il vapore
cosi prodotto in un altro recipiente detto distillatore.
Per rendersi conto dell'importanza delle prestazioni offerte dagli
evaporatori-distillatori basta ricordare che il consumo medio giornaliero
d'acqua dolce può essere così valutato:

Passeggeri ed equipaggio

Acqua potabile Acqua di lavanda


Tipo di nave Totale
(litri-persona) (lltri-persona)

nave da carico 10 90 100


nave passeggeri 50 220 270

Apparato motore

Acqua di macchina
Tipo di apparato motore (litri per kW-asse)

a turbina con ausil. a vapore 0,95 + 1,09


a turbina con ausil. elettrici 0,41 +0,54
diesel 0,09 + o, 11

Con semplicissimo calcolo si rileva che una nave da carico con 40 perso-
ne d'equipaggio e con apparato motore che sviluppa 20 000 kW-asse consu-
ma mediamente 6 t o 24 t d'acqua al giorno a seconda che sia dotata di un
motore diesel o di una motrice a turbina con ausiliari a vapore. Si rileva
inoltre che su una grande nave passeggeri con apparato motore a turbina
da 35 000 kW-asse e ausiliari elettrici si registra un consumo medio giorna-
liero di ben 560 t d'acqua quando essa ospita 2 000 persone fra passeggeri
ed equipaggio.
Se è vero quindi che la disponibilità di un impianto evaporatore-
distillatore permette alla nave da carico di ridurre la massa d'acqua dolce
giacente nei depositi e di trasportare, conseguentemente, più merce a pari-
tà d'immersione, è altrettanto vero che nel caso della nave passeggeri eli-
mina i problemi derivanti dalle sfavorevoli ripercussioni che 5 600 t di ac-
qua (riserva per 10 giorni) hanno sulla stabilità e sulla velocità e il problema
di reperire i depositi necessari per contenerla tutta.

342
Servizi antincendio
I CAPITOLO

1. Generalità

Poiché l'incendio, come tutti i fenomeni di combustione, può svilupparsi


soltanto nel caso in cui un materiale combustibile viene portato alla tempe-
ratura di infiammabilità in presenza di comburente (ossigeno), i servizi an-
tincendio sono concepiti in modo da evitare, per quanto possibile, il verifi-
carsi di queste condizioni.
A tale scopo si cerca innanzitutto di limitare l'impiego di materiali com-
bustibili nella costruzione e nell'allestimento 1 della nave e di ridurre al mi-
nimo le possibilità che i combustibili presenti a bordo per forza di cose 2
raggiungano la temperatura di infiammabilità. Nel contempo, ben sapendo
che nonostante tutti gli accorgimenti il pericolo d'incendio non viene del
tutto eliminato, si provvede alla sistemazione di dispositivi atti a circoscri-
verlo, a segnalarlo e a estinguerlo.
Naturalmente, poiché l'incendio costituisce un serio pericolo per l'inco-
lumità delle persone che vivono a bordo e per l'integrità della nave, i servizi
antincendio devono presentare i requisiti richiesti dalle norme di sicurezza
nazionali e internazionali 3 oltreché da quelle dell'Istituto di classificazione
(R.I.Na).

2. Prevenzione e circoscrizione degli incendi

Per esercitare una efficace azione preventiva bisogna innanzitutto ri-


muovere le possibili cause d'incendio. E poiché questo può essere provo-
cato da imprudente esposizione di fuochi afiamma libera, dafenomeni di
autocombustione, da cortocircuiti e da scintille e calore generati da appa-
recchiature elettriche, è necessario imporre al personale di bordo e agli
eventuali passeggeri un comportamento conforme alle più elementari rego-
le di sicurezza, evitare che si verifichino le condizioni favorevoli alla combu-
stione spontanea delle materie che presentano questa tendenza, isolare e
proteggere adeguatamente i conduttori elettrici, usare macchine elettriche
costruite e sistemate in modo da impedire che le scintille, le fiamme e i ri-
scaldamenti eventuali rappresentino elementi di pericolosità.

1 L'allestimento è il complesso delle operazioni che conducono alla installazione a bordo


delle sistemazioni necessarie per rendere la nave atta a navigare e a svolgere il servizio al qua-
le è destinata.
2 Nafta, olio combustibile e lubrificante, legname, cordami, vernici ecc.
3 «Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare» (SOLAS) e
«Regolamento per la sicurezza della navigazione e della vita umana in mare».

343
Altro importante contributo all'azione preventiva è offerto da un ocula-
to impiego di materiale combustibile. Si giustificano quindi le restrizioni
imposte dai regolamenti di sicurezza e riguardanti in particolare il divieto
di rivestire i ponti non scoperti con materiali facilmente infiammabili, di
usare vernici a base di nitrocellulosa o altra sostanza molto infiammabile,
di far funzionare gli impianti cinematografici con pellicole a base di cellulo-
sa, di usare materiale combustibile non ignifugato per le soffittature, i rive-
stimenti interni ecc.
Gli stessi regolamenti, allo scopo di circoscrivere eventuali incendi e di
assicurare l'efficienza dei mezzi di sfuggita dai locali invasi dal fuoco, pre-
scrivono fra l'altro una suddivisione dello scafo e delle sovrastrutture in
zone principali verticali delimitate da paratie tagliafuoco, la sistemazio-
ne di porte resistenti al fuoco nelle aperture delle paratie tagliafuoco, l'in-
stallazione di paratie divisorie in acciaio, con o senza coibentazione, nelle
4
parti più esposte ai pericoli d'incendio e nelle stazioni di comando, la si-
stemazione di serrande di chiusura nelle condotte di ventilazione che attra-
versano le paratie tagliafuoco, la utilizzazione di scale in acciaio racchiuse
entro cofani formati da paratie tagliafuoco, la sistemazione di dispositivi
atti a consentire la chiusura degli osteriggi di macchina dall'esterno, la si-
stemazione di diaframmi anti-tiraggio nelle intercapedini dei soffitti e dei
rivestimenti interni.

3. Rivelazione degli incendi

Basandosi sul presupposto che le probabilità di estinguere un incendio


evitando danni gravi alle persone e alle cose sono tanto maggiori quanto
più rapido è l'intervento, i regolamenti di sicurezza e di classificazione pre-
scrivono l'installazione di impianti automatici di rivelazione realizzati in
modo da poter segnalare sul ponte di comando, a mezzo di indicatori lumi-
nosi e acustici, la presenza di un focolaio d'incendio in qualsiasi parte della
nave.
Gli impianti di rivelazione possono avere caratteristiche diverse, ma
per il loro funzionamento si usano solitamente dispositivi sensibili alla tem-
peratura oppure al fumo.
Fra i dispositivi sensibili alla temperatura dell'ambiente da proteggere
- avvisatori termici - sono molto apprezzati quelli del tipo Sprinklers
poiché non si limitano a segnalare e a localizzare l'incendio, ma mettono an-
che in azione un impianto di estinzione a pioggia d'acqua.
Al fine di assicurare queste condizioni un impianto Sprinklers con-
sta di:
• un sistema di tubazioni che corrono sopra i soffitti dei locali di allog-
gio, di servizio e pubblici e all'interno de1le quali si trova acqua dolce mante-
nuta sotto pressione da una apposita autoclave;

4 Stazione di governo, stazione radio, sala nautica ecc.

344
tubo con acqua
sotto pressione
;

seggio

,- diaframma
r piastrina

locale

cappello

II
_,!_ _______ --- ----
Fig. 1 - Testa
spruzzatrice.

• teste spruzzatrici (fig. 1) installate sul cielo dei locali da proteggere, di-
sposte a non più di 4 m l'una dall'altra e costruite in modo da frazionare
il getto d'acqua uscente dai tubi; 5
• fialette di vetro contenenti un liquido volatile e applicate alle teste
spruzzatrici in modo da mantenere le loro valvole in posizione di chiusura;
• una pompa capace di alimentare automaticamente l'autoclave che man-
tiene sotto pressione le tubazioni dell'acqua. 6

L'impianto entra in azione automaticamente se, per una ragione qual-


siasi, la temperatura di un locale posto sotto la sua protezione supera un
valore prestabilito (70 7 80 °C). In tali condizioni, infatti, la tensione del va-
pore saturo del liquido contenuto nelle fialette cresce al punto da provocar-
ne la rottura, le valvole delle teste spruzzatrici si aprono per effetto della
pressione esistente nei tubi, l'acqua fuoriesce liberamente e, grazie alla
presenza di una piastrina dentellata, si trasforma in un cono di pioggia che
esercita la sua azione raffreddante su una superficie di 2 m 2 circa.
La depressione che si registra nei tubi in conseguenza dell'apertu-
ra di una o più valvole mette in azione la pompa che alimenta l'im-

" Ciascuna testa spruzzatrice deve poter scaricare almeno 90 litri d'acqua al minuto ad
una pressione di 0,175 N/mm 2 (1,75 bar).
6 La pompa dell'impianto sprinklers deve essere alimentata da non meno di due fonti di

energia.

345
pianto 7 e gli indicatori di allarme sistemati sul ponte di comando.
Altri avvisatori termici possono essere realizzati sfruttando la dilatazio-
ne che il calore provoca in una lamina metallica o bimetallica opportuna-
mente inserita in un circuito elettrico.
A tale scopo è sufficiente che la lamina abbia caratteristiche atte ad as-
sicurare la chiusura del circuito quando la temperatura dell'ambiente in cui
si trova installata raggiunge un valore prefissato. Con la chiusura del cir-
cuito scattano gli indicatori d'incendio e poiché, come nel sistema Sprin-
klers, l'impianto è diviso in diverse sezioni, dal ponte di comando viene an-
che localizzata la zona in cui si sono verificate le condizioni che hanno deter-
minato l'emissione del segnale d'allarme.
I compartimenti destinati al carico sono solitamente sorvegliati da un
impianto di rivelazione detto a fumo perché gli indicatori di allarme sono
azionati dal fumo prodotto dalla combustione.
L'impianto a fumo è costituito da un sistema di tubazioni che, partendo
dalle varie stive e corridoi del carico, sboccano in un armadio installato sul
ponte di comando.
Un estrattore consente di aspirare aria dal fascio di tubi e, conseguente-
mente, il fumo che fosse presente nei locali dai quali provengono.
Per stabilire che sussiste una situazione di emergenza potrebbe essere
sufficiente osservare le bocche dei tubi attraverso un vetro posto nella par-
te anteriore dell'armadio, ma si preferisce far ricorso, anche in questo caso,
a indicatori luminosi e acustici. Questi sono messi in azione da una cellula
fotoelettrica che chiude automaticamente un circuito elettrico se in un tubo
è presente il fumo derivante da incendio.
L'impianto consente anche la localizzazione dell'incendio poiché su ciascun
tubo è applicata una targhetta con 1'indicazione del locale dal quale proviene.
A conclusione di questa breve rassegna dei sistemi di rivelazione degli
incendi, osserviamo che molte navi di recente costruzione sono dotate di un
impianto di rivelazione sensibile anche ai gas invisibili della combustione e
per ciò in grado di entrare in azione con maggiore prontezza degli avvisato-
ri termici e degli avvisatori a fumo.
Un impianto di questo tipo si basa sul fenomeno della diminuzione della
conducibilità elettrica dell'aria racchiusa in una particolare camera di
ionizzazione 8 quando in essa penetrano i prodotti gassosi che si sviluppa-
no nella combustione.
La variazione della conducibilità elettrica in una camera di ionizzazione
può essere quindi sfruttata per far scattare un segnale ottico o acustico di
allarme non appena ha inizio il processo di combustione.
L'impianto è sostanzialmente costituito da numerose camere di ionizza-
zione - rivelatori d'incendio - opportunamente sistemate nei locali da
proteggere, da una rete di collegamento e da una centrale di segnalazione.
Le sue caratteristiche consentono una immediata localizzazione della zona
in cui si è manifestato il focolaio d'incendio che ha fatto scattare l'allarme
nella centrale di segnalazione.

7 Le pompe aspirano dal mare e pertanto, dopo l'estinzione dell'incendio bisogna prov-
vedere a vuotare l'impianto e a riempirlo nuovamente con acqua dolce.
8 Piccolo contenitore nel quale è racchiusa aria ionizzata dalle radiazioni alfa di una so-
stanza radioattiva (radio).

346
4. Estinzione degli incendi

Prima di considerare le caratteristiche e la consistenza dei mezzi di


estinzione degli incendi in dotazione alle navi ricordiamo che:
• l'incendio può essere provocato dalla combustione di sostanze comuni (le-
gname, cordami, tessuti, carta ecc.), di sostanze liquide (nafta, olio lubrifi-
cante, olio combustibile, benzina, ecc.), di materiali elettrici (conduttori,
apparecchiature e macchine elettriche sotto tensione) e di metalli combusti-
bili (magnesio, sodio, potassio, ecc.);
• per estinguere un incendio si può ricorrere al raffreddamento delle so-
stanze che bruciano o al loro isolamento dall'aria circostante (soffocamen-
to del fuoco);
• un incendio derivante da combustione di sostanze comuni - classe A -
si estingue per raffreddamento da getti d'acqua o da pioggia d'acqua o per
soffocamento da anidride carbonica (C02) o altro gas inerte, schiuma, pol-
vere chimica, nebbia d'acqua, idrocarburi alogenati;
• un incendio derivante da combustione di sostanze liquide - classe B -
si estingue per soffocamento da schiuma, anidride carbonica (C02) o altro
gas inerte, idrocarburi alogenati, nebbia d'acqua, idrocarburi idrogenati,
polvere chimica;
• un incendio derivante da combustione di materiali elettrici - classe C
- si estingue per soffocamento da polvere chimica, idrocarburi alogenati,
anidride carbonica o altro gas inerte. 9
• un incendio derivante da combustione di metalli combustibili - classe D
- si estingue per soffocamento da polvere chimica.
Ciò premesso, osserviamo che le normative sul1a sicurezza e la classifi-
cazione prescrivono la sistemazione dei seguenti tipi di impianti fissi di
estinzione:
• impianto ad acqua per la protezione di tutta la nave;
• impianto a gas inerte o ad acqua polverizzata o a schiuma o a idrocarbu-
ri alogenati, per la protezione del locale macchine e/o caldaie, del locale
pompe delle navi cisterna, dei locali destinati al trasporto di autoveicoli
aventi carburante nel serbatoio (locali da carico RO-RO);
• impianto a gas inerte o a schiuma per la protezione delle stive e dei corri-
doi per il carico, delle cisterne per carichi liquidi infiammabili e del ponte
sovrastante.
Le stesse normative stabiliscono inoltre che tutte le navi siano dotate
di estintori portatili, di estintori di grande capacità, di apparecchi schiu-
mogeni portatili, di equipaggiamenti e attrezzature antincendio, mentre le
navi di S.L. superiore a 5 000 ton che trasportano 400 o più passeggeri de-
vono avere anche una stazione antincendio e una squadra di vigili del fuoco.
L'impianto di estinzione ad acqua è costituito da pompe, tubazioni e
manichette d'incendio 10 ed è realizzato in modo da poter far giungere

9 L'uso di altri agenti estintori è sconsigliabile per non esporre il personale al pericolo
di scariche elettriche e per non danneggiare le apparecchiature e le macchine elettriche.
IO Non si considera qui l'impianto Sprinklers (rivelazione ed estinzione automatica).

347
almeno due getti d'acqua (uno dei quali uscente da una manichetta di un
solo pezzo) in ogni punto della nave.
A tale scopo le tubazioni antincendio sono provviste di un adeguato nu-
mero di prese da incendio - idranti - ed esiste, per ogni presa, una mani-
chetta con proprio boccalino e il necessario raccordo. 11
Per quanto riguarda le pompe merita innanzitutto rilevare che ciascuna
nave deve averne non meno di due, azionate da energia meccanica e di por-
tata complessiva non inferiore ai due terzi della portata complessiva delle
pompe di sentina se trattasi di nave passeggeri, non inferiore ai quattro
terzi della portata di ciascuna pompa di sentina se trattasi di nave da
carico. 12
Osserviamo inoltre che le prese dal mare e le sorgenti di energia neces-
sarie per il funzionamento delle pompe devono essere dislocate in modo
atto ad assicurare che un incendio in qualsiasi compartimento non metta
contemporaneamente fuori uso tutte le pompe antincendio 13 e che per
questo servizio possono essere utilizzate le pompe di zavorra, le pompe di
sentina e altre pompe.
L'impianto di estinzione a gas inerte è sostanzialmente costituito da
un generatore di gas inerte o da una batteria di bombole di anidride carbo-
nica (C02) e da un sistema di tubazioni che possono convogliare il gas nei
locali da proteggere.
Un generatore di gas inerte 14 deve essere capace di produrre, ogni ora
e per non meno di 72 ore, un volume dì gas libero non inferiore al 25% del
volume lordo del più grande compartimento fra quelli posti sotto la sua pro-
tezione; le bombole della C0 2 devono invece fornire un volume di gas libe-
ro non inferiore al 30% del volume lordo del maggiore compartimento per
il carico e non inferiore al 35% del volume lordo del locale apparato moto-
re, 15 mentre le tubazioni che ad esse sì collegano sono realizzate in modo
da permettere di scaricare nei compartimenti in cui sboccano 1'85% della
quantità di gas prescritta, nel tempo massimo di 2 minuti (per scaricare il
gas nei vari compartimenti sono disponibili valvole o rubinetti di comando,
debitamente contrassegnati, posti in più punti facilmente accessibili e siste-
mati in modo da non essere resi rapidamente inutilizzabili).
L'impianto di estinzione ad acqua polverizzata (nebbia d'acqua) è ser-
vito da una pompfL di potenza sufficiente ad alimentare contemporanea-
mente le diverse sezioni in cui può essere suddivisa la relativa tubazione

11 ldrantì e manìchette possono essere collegati alle t ubazioni antincendio dei porti a
mezzo di uno speciale dispositivo - raccordo internazionale per il collegamento a terra - pre-
scritto per tutte le navi; i boccalini delle manichette possono essere provvisti di un dispositivo
che trasforma il getto in nebbia d'acqua.
12 In nessun caso è però rkhiesta, per le pompe delle navi da carico, una portata com-
plessiva superiore a 180 m 3/h.
1.3 Per evitare questo rischio molte navi sono dotate di una pompa di l!'mergenza mossa
da motore diesel o da altri mezzi e sistemata fuori dal locale apparato motore.
14 Apparecchiatura che produce gas inerte bruciando olio diesel o che consente di ricupe-
rare e utilizzare i gas prodotti dalla combustione che si svolge nell'apparato motore.
15 Le bombole sono sistemate in un locale definito centrale C0 • Poiché l'anidride carbo-
2
nica viene conservata nelle bombole allo stato liquido, si stabilisce ìl loro contenuto ìn m~ dì
gas libero supponendo che da ogni kg di C02 liquida si liberino 0,56 m 3 di C02 allo stato
gassoso.

348
e capace di entrare automaticamente in azione non appena si registra nella
stessa un abbassamento della pressione di esercizio (la nebbia d'acqua viene
prodotta applicando alle tubazioni alcuni ugelli nebulizzatori).
L'impianto di estinzione a schiuma comprende pompe di acqua di
mare, serbatoi di liquido schiumogeno (foamite), pompe di liquido schiumo-
geno, tubazioni e accessori per convogliare nelle parti protette la schiuma
che si ottiene mescolando nella giusta misura schiumogeno e acqua di mare
(schiuma meccanica).
Sono previsti impianti a schiuma a bassa espansione, con rapporto di
espansione 16 minore di 12 a 1, cui si richiede di fornire una quantità di
schiuma sufficiente a ricoprire, con uno spessore di 150 mm in 5 minuti,
la superficie del più grande fra i locali che essi proteggono, e impianti a
schiuma ad alta espansione, con rapporto di espansione minore di 1 000
a 1, cui si richiede di ricoprire per 1 m di altezza al minuto il più grande
dei locali protetti e di erogare un volume di schiuma pari a 5 volte il volume
di tale locale.
Un impianto per la protezione delle cisterne per carichi liquidi infiam-
mabili deve poter erogare schiuma per circa 5 o 20 minuti, a seconda che
la stessa venga scaricata entro le cisterne o sul ponte di coperta.
In quest'ultimo caso l'impianto è completato da spingarde fisse (cannon-
cini lanciaschiuma) sistemate in modo da poter operare in qualsiasi direzio-
ne e da lance mobili servite da apposite manichette e provviste di prolun-
ghe metalliche per immettere la schiuma nelle cisterne.
L'impianto di estinzione a idrocarburi alogenati è ammesso soltanto
se questi non emettono gas tossici in quantità tale da causare danno alle
persone. Il mezzo estinguente è costituito da Halon 1301, 1211 e 2402, im-
magazzinati sotto pressione in appositi contenitori, in quantità compresa
fra il 4,25 e il 7% del volume del locale protetto per l'Halon 1301, fra il 4,25
e il 5,5% del volume del locale protetto per l'Halon 1211, fra 0,20 e 0,30
kgf/m 3 del volume protetto per l'Halon 2402.
Gli estintori sono bombole di forma cilindrica e provviste di dispositivo
- bocchello oppure manichetta - per la fuoriuscita di un agente estintore
costituito da acqua con o senza sali in soluzione (estintori idrici), schiuma
contenente C02 (estintori a schiuma chimica), schiuma contenente aria
compressa o un gas inerte compresso (estintori a schiuma meccanica), polve-
re ignifuga e CO2 o altro gas (estintori a polvere), anidride carbonica
(estintori a C02), idrocarburi alogenati (estintori Raion).
La formazione dell'agente estintore e la sua fuoriuscita dal bocchello o
dalla manichetta sono provocate da una reazione chimica conseguente al
miscelamento di una sostanza detta carica con il contenuto di un recipiente
detto cartuccia. 17
Gli estintori che possono essere maneggiati a braccia - estintori porta-
tili - hanno massa non superiore a 20 kg e dispongono di una carica la cui
capacità è compresa fra 9 e 13,5 litri oppure fra 3 e 12 kg. 18
16 Rapporto fra il volume della schiuma prodotta e il volume del liquido schiumogeno uti-
lizzato.
17 Nessuna reazione è necessaria per il funzionamento degli estintori a C0 e a idrocar-
2
buri alogenati, che non hanno quindi bisogno di cartuccia (anche gli estintori a polvere sono
senza cartuccia se il gas è già frammisto alla polvere nella carica).
18 Per capacità di un estintore si intende il volume della carica effettivamente utilizzabile
se trattasi di estintore idrico o a schiuma, la massa della carica se trattasi dì estintore a COo
o a polvere o a idrocarburi alogenati. -

349
CATEGORIE DEGLI ESTINTORI E LORO CARATTERISTICHE
CATEGORIE

A schiuma A schiuma A C02 (anidride A idrncarburl


Ad acqua A po\ve,e carbon ica) alogenati
chimica meccanica

La carica dell'estin- Acqua con even.tualmente .sah in satv.- Sotuz.ione aco.uoBa Soluzione acquosa Soluzione acquosa Sos\an:z.e lgnlfughe co2 compresso ìdrncarbu,i alogenati
tare - a parte U zione basica basica con sostan- contenente sostan- in polvere
contenuto dell'e- ze schiumogene ze schiumogene
ventuale cartuccia
w - é costituita da:
g Il contenuto della Due reagenti, l 'uno C02 (od altro gas Soluzione di acido Soluzione dì soifato Aria compressa (od C02 o altri gas iner- - -
cartuccia è: basico e l'altro ac:i• inerte compresso} sol fo rico o cloridri- d ì allumina altro gas inerte ti o aria. (Vi sono
do: in generale il co o di solfato di al- compresso) però est interi a poi-
reagente basico è lumlna vere senza cartuc-
una soluzione di t>i· eia. nei quali il gas
carbonato di soda, è sempre frammisto
quello acido Ul\0 so- alla polvere)
luzione di acido sol-
forico o cloridrico o
di solfato di al-
lumina

La scarica dell'e- Generazione di C02 Azione del gas com- Generazione di C02 Genetazione di C02 Azione del gas com - Espansione del gas Apertura della val- Apertura della valvola di
stintore è ottenuta (reazione chimica presso (apertura di (reazìone chimica (reazione chimica p,esso (apertura di compresso (apertu- vola di chiusura del- chiusura della bombola
per; svolgentesi nell'in· cartuccia a bombo- svolgentesi fra acì- svolgentesi fra so- cartuccia a bombo- ra di cartuccia a la bombola costi- costituente l'estint ore
terno della car- letta) do contenuto nella luzione acida conte- letta) bomboletta, quan- t uente l 'estintore
tuccia) cartuccia e soluzio- nuta nella cartuccia do esiste)
ne basica della e soluzione basica
carica) della carica)

L'agente estintore Acqua eventualmente con sali in solu- Acqua con sali in Schiuma contenen· Schiuma contenen- Polveri ignifughe e C02 ldroca,buri alogenati
scaricato è costitui- z:ione soluzione te C02 te il gas usato C02 o altro gas
to da:

l'agente estintore Raffreddamento delle materie incendiate. Evaporazione dell"ac- Formazione di uno strato di schiuma che Decomposizione Formazione di una triibizione del processo
qua e conseguente formazione di una atmosfera tnerte locale (di isola dall'aria ambiente le materie ìncen- delle polveri e con- atmoste(a \nert€: lo- di combusUone
scaricato agisce
sull'incendio per: vapore acqueo) la quale isola dall'aria ambiente le materie ìncen- diate seguente formaizio- cale (di C02) la qua-
diate ne di un'atmosfera le isola dall'aria am-
inerte locale {di gas b iente le materie in-
inerti prodotti dalle cendtate. Azi one
polveri e dell'even- so l tocante e ral-
tuale gas propellen- freddante del C02
te ad essi cornmi-
s to) la quale isola
dall'aria amb iente
le materie incendia-
te. A ciò si aggiun-
ga un"azione sotto-
cante dovuta alla
1ormaz\one d\ s\ra-
to solido aderente
alle parti in combu•
stioiie.
CATEGORIE DEGLI ESTINTORI E LORO CARATTERISTICHE

A schiuma A schiuma A CO2 (anidride A idrocarburi


Ad acqua A polvere carbonica) alogenati
chimica meccanica

La resistenza elet- Bassissima Bassissima Bassissima Bassa Bassa Elevatissima Elevatissima Elevatissima
trica dell'agente
estintore scaricato
è:

L'estintore può es- Contro incendi di Classe A Contro incendi di classe A e B Contro incendi di Classe A (polveri ABC), Contro incendi di Classe
contro incendi di Classe B (polveri ABC e A e Be di materiali sotto
sere impiegato:
BC) e cootro incendi di materìali sotto ten- tensione elettrica anche
sione elettrica anche alta alta

Particolarità e limi- ti getto dell'estintore va diretto verso la base delle fiamme


tazioni di impiego: La estinzione dell'incendio si consegue I gas inerti generati Il CO2 si dissolve Gli idrocarburi alogenati
soltanto quando tutta la superficie incen- dalla decomposizio- rapidamente nell'at- si dissolvono nell'atmo-
diata sia ricoperta di schiuma ne delle polveri si mosfera; quindi al- sfera; quindi scarsa effi-
dissolvono rapida· l'aperto od in locali cacia all"aperto od in lo·
mente nell'atmosfe- ventilati l'azione cali ventilati. Da non im-
ra: quindi scarsa ef- prevalente è quella piegare in locali
ficacia all'aperto od soffocante e raf- alloggio. Evitare l'impie-
in locali ventilati freddante del CO2. go in piccoli locali
Il CD2 si scioglie fa- chiusi
e il mente nell'ac-
qua; si abbia Quindi
avvertenza a non
fare uso contempo·
raneo di C02 ed
acqua

Inconvenienti e pe- Eventuali irregolari- I gas generati sono Il C02 è soffocante Alcunt idrocarburi sono
ricoli: tà dì funzionamento soffocanti. Even- tossfCi di per sé o per pi-
dei dispositivi di ri· tuali grumi della rolisi
duzione possono polvere possono de-
determinare pres- terminare pressioni
sioni pericolose pericolose

Manutenzione: Gli estintori con corpo in rame o metallo giallo non devono essere lucidati con sostanze che possono corrode-
re l'involucro. assottigliandolo. È preferibile siano pi1turati esternamente

La carica è congelabile a temperatura di circa O °C (salvo che la La carica è congelabile a circa -5 °C. La Alcuni tipi di polveri
carica non sia chimicamente resa incongelabile} carica può essere alterata da temperature possono soffri re
elevate {circa 40 °Ce più); quindi evitare la per um•dità: quindi
Evitare la sistema- sistemazione dell'estintore in posizioni evit are la sistema-
Co)

"'...
zione in luoghi ec- esposte a temperature rnolto elevate zione dell'estintore
cessivamente caldi, in luoghi umìdi
dove la pressione Quando v'è bombola di CO2 evitare la si-
interna della bom- stemazìone in luoghi eccessivamente cal•
boletta di CO2 PO· di, dove la pressione ìnterna nella bombo-
trebbe raggiungere la potrebbe raggiungere valori molto
valori molto el evati elevati

Fasce di colorazio- Rossa Rossa Rossa Gialla Gialla Verde • Gialla Verde - Gialla Verde . Gialla
ni convenzionali: Rossa Rossa Rossa Rossa Rossa
Gli estintori non maneggiabili a braccia - estintori di grande capa-
cità - devono avere massa non superiore a 300 kg; per quanto riguarda
la capacità di questi estintori la normativa vigente prevede la possibilità di
usare, a seconda delle caratteristiche dei locali che essi proteggono, estin-
tori a schiuma di capacità non inferiore a 45 1 oppure a 135 1, ed estintori
a C02 o a polvere di capacità non inferiore a 16 kg oppure a 45 kg; per fa-
cilitarne l'impiego è prescritta la disponibilità di un carrello sul quale può
essere sistemato l'estintore o la sua manichetta.
Tutti gli estintori sono dipinti in rosso, ma contrassegnati da fasce di-
stintive su fondo bianco. Le fasce usate convenzionalmente sono:
• estintori idrici: una fascia rossa;
• estintori a schiuma: una fascia rossa ed una gialla;
• estintori a C02 o a polvere o a idrocarburi alogenati: una, fascia, rossa,
una gialla ed una verde.
Un apparecchio schiumogeno portatile è costituito da un erogatore, con
relativo miscelatore dì aria e schiuma collegabile al collettore principale d'in-
cendio per mezzo di una manichetta, da un serbatoio portatile di liquido
schiumogeno (di capacità non inferiore a 20 1) e da un serbatoio di riserva,.
Gli equipaggiamenti e le attrezzature antincendio costituiscono un
complesso di dotazioni che devono essere disponibili in ogni nave per facili-
tare l'intervento del personale addetto alle operazioni di spegnimento.
Un equipaggiamento comprende una tuta antincendio (veste protettiva
termo-riflettente, termo-coibente e idro-resistente, completa di cappuccio,
guanti e stivali), un apparecdiio per la, respirazione nei fu.mi intensi (auto-
respiratore, casco contro il fumo o maschera contro il fumo), un cavo di si-
curezza (cavo di materiale resistente al fuoco), una lampada di sicurezza
porfotile e un' a.scia da, pompiere.
Il corredo di attrezzature per ]'estinzione degli incendi comprende inve-
ce diversi picozzini e buglioli, una coperta di amianto, un palo di ferro a.d
unghia (pie' di porco), una cintura da pompiere con borsa porta-attrezzi,
una borsa da elettricista, una lampada elettrica portatile con pile e lampa-
dine di riserva.
La stazione antincendio (obbligatoria solo per navi di S.L. superiore a
5 000 ton che trasportano 400 o più passeggeri) è un locale situato in una
posizione conveniente sotto tutti gli aspetti e provvisto delle sistemazioni
necessarie per la custodia e la conservazione degli equipaggiamenti e di al-
tre attrezzature antincendio, fra le quali figurano estintori portatili, ma-
sche re contro il fumo, scale portatili provviste di ganci ed estintori a C02
di grande capacità su carrello.
La squadra dei vigili del fuoco (obbligatoria solo per navi di S.L. supe-
riore a 5 000 ton che trasportano 400 o più passeggeri) è composta da un
caposquadra e da non meno di 4 vigili prescelti fra il personale che non pre-
sta servizio notturno nello svolgime nto del lavoro inerente al proprio gra-
do, qualifica e categoria.
I membri della squadra alloggiano nelle vicinanze della stazione antin-
cendio, in locali che hanno una comunicazione diretta con il ponte di coman-
do (telefono o portavoce); ciascuno di essi deve essere dotato di maschera
contro il fumo, casco, cintura con attrezzi idonei, lampada di sicurezza,
ascia, estintore portatile, stivali e guanti.

352
Mezzi di salvataggio
' - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- ----' I CAPITOLO

1. Generalità

I mezzi di sal.vafaggio costituiscono un complesso di attrezzature atte


a garantire le più ampie possibilità di salvezza per l'equipaggio e gli even-
tuaìi passeggeri nel caso in cui la gal1eggiabilità della nave risulti irrimedia-
bilmente compromessa.
Ciò premesso, osserviamo che i regolamenti di sicurezza dettano norme
precise sulla prontezza di utilizzazione, sulla consistenza numerica, sulle ca-
ratteristiche costruttive e sull'efficienza dei mezzi di salvataggio e che que-
sti comprendono imbarcazioni, zattere autogor~fiabilì, zr1ttere rigide, appn-
recchi galleggfonti, salvagente, cinture, appr1recchi lanàasagole, d'ispositi-
ui per l'emissione dei segnali d1: pericolo.

Fig, 1 - Imbarcazione
di sa\nhggio
' con gru a gravità.

353
Imbarcazioni, zattere e apparecchi galleggianti sono mezzi collettivi di
salvataggio; salvagente e cinture sono mezzi individuali di salvataggio.
Gli apparecchi lanciasagole sono utilizzabili per stabilire un collegamen-
to materiale fra nave in pericolo e nave soccorritrice, mentre i dispositivi
per l'emissione dei segnali di pericolo servono per lanciare oppure mostra-
re una chiara e inequivocabile richiesta di soccorso.

2. Imbarcazioni di salvataggio
Le imbarcazioni di salvataggio (fig. 1) devono essere costruite con ma-
teriale resistente al fuoco o incombustibile, devono essere dotate di un mo-
tore a combustione interna caface di imprimere loro una velocità non in-
feriore a 6 nodi a pieno carico in acqua calma, possono essere scoperte o
provviste di una copertura rigida, parziale o completa.
Le caratteristiche costruttive delle imbarcazioni di salvataggio posso-
no essere così sintetizzate:
• robustezza sufficiente a garantire la possibilità di calarle in acqua a pieno
carico senza che debbano subire alcun danno;
• insommergibilità e stabilità positiva anche in condizioni di totale allaga-
mento;
• facilità di raddrizzamento o autoraddrizzamento in caso di capovolgi-
mento.
Le prescritte doti di robustezza sono realizzate con un adeguato dimen-
sionamento delle parti strutturali e del fasciame; l'insommergibilità è assi-
curata da casse d'aria opportunamente sistemate sui fianchi e sul fondo o
da materiale per sua natura galleggiante; la stabilità è garantita dalla scel-
ta di forme e proporzioni appropriate e da una conveniente distribuzione
del carico; la facilità di raddrizzamento o autoraddrizzamento deriva da una
adeguata scelta delle forme e da quella massiccia concentrazione dell'equi-
paggiamento nella parte inferiore dell'imbarcazione, che si cura di realizza-
re per assegnare alla stessa una grande stabilità in normali condizioni di
galleggiabilità.
Il numero delle persone che una imbarcazione è autorizzata ad acco-
gliere - portata - può essere stabilito tenendo conto del numero delle per-
sone di massa media pari a 75 kg, tutte indossanti la cintura di salvataggio,
che possono trovare posto sedute in posizione normale e senza intralciare
il funzionamento dei mezzi di propulsione o di altro dispositivo in dotazione.
Nessuna imbarcazione di salvataggio può comunque essere autorizzata
ad accogliere più di 150 persone.
Su ciascuna imbarcazione sono segnati, in modo chiaro e permanente,
il numero delle persone trasportabili e le dimensioni principali; sui due ma-
sconi sono inoltre indicati il nome e il compartimento di iscrizione della
nave alla quale l'imbarcazione appartiene e un numero atto a distinguere
una imbarcazione dall'altra. 2

1 Per carico di una imbarcazione di salvataggio si intende la massa del suo equipaggia-
mento e della totalità delle persone che la stessa è autorizzata a trasportare.
2 Le imbarcazioni di ciascuna nave sono numerate partendo da prora e utilizzando i nu-
meri dispari per il fianco dritto della nave e quelli pari per il fia nco sinistro.

354
Il tipo e la capacità delle imbarcazioni in dotazione ai diversi tipi dì nave
sono stabiliti avendo presente l'esigenza di poter porre in salvo tutte le per-
sone presenti a bordo anche nelle circostanze più sfavorevoli.
A tale scopo le norme di sicurezza prescrivono quanto segue:
• le navi passeggeri devono avere su ciascun fianco imbarcazioni di capaci-
tà complessiva sufficiente ad accogliere la metà del numero totale delle per-
sone presenti a bordo;
• le navi da carico devono avere su ciascun fianco imbarcazioni di capacità
complessiva sufficiente ad accogliere tutte le persone imbarcate.
Una coppia di gru servita da un verricello elettrico deve essere disponi-
bile per ciascuna imbarcazione (fig. 1). Le caratteristiche delle gru e delle
loro attrezzature assicurano la possibilità di calare in acqua tutte le imbar-
cazioni nel tempo massimo di 30 minuti nelle navi passeggeri e di 10 minuti
nelle navi da carico, anche con nave sbandata di 20°.
Le gru che a tal fine sono insta11ate sui ponti alti scoperti hanno i bracci
sagomati in modo che l'imbarcazione allo stato di riposo possa poggiare su
di esse; sono genericamente definite gru a _gravità perché lo stesso peso
dell'imbarcazione imprime loro movimenti dì traslazione e rotazione che
portano l'imbarcazione fuoribordo quando vengono mollate le ritenute che
la immobilizzano.
Gli oggetti e i dispositivi di cui sono fornite le imbarcazioni di salvatag-
gio devono essere sistemati a regola d'arte e convenientemente assicurati
alle parti interne.
La dotazione normale di una imbarcazione comprende un numero di
remi sufficiente per mantenere la rotta in acqua calma e relative scalmiere
o scalmi, due ganci d'accosto, un tappo per alleggio, una sassola, due buglio-
li, un timone con barra, una chiesuola contenente una bussola luminosa o
provvista di mezzi di illuminazione, un cavetto a festoni fissato sui fianchi
esterni, una maniglia nella parte immersa di ciascun fianco, un'ancora gal-
leggiante, due barbette, una razione di viveri da 10 000 kJ per persona in
recipienti stagni all'aria sistemati all'interno di recipienti stagni all'acqua,
tre litri d'acqua potabile per persona in recipienti stagni, un mestolo inos1ri-
dabile, un bicchiere per bere graduato e inossidabile, quattro razzi rossi a
paracadute, sei fuochi a mano a luce rossa, due segnali fumogeni ga,lleg-
gianti che producono fumo colore arancione, un corredo farmaceutico di
pronto soccorso in cassetta stagna, una torcia elettrica stagna all'acqua
con lampadine e pile di riserva, uno specchio per segnalazioni diurne, un
coltello a serramanico, tre apriscatole, due anelli galleggianti attaccati a
sagole galleggianti di lunghezza non inferiore a 30 m, una pompa a mano,
un fischietto, un assortimento di attrezzi per la pesca, una tenda colore
arancione (solo per le imbarcazioni scoperte), una tabella dei segnali di sal-
vataggio, un mamwle di sopravvivenza, sei pastiglie contro il mal di mare
e un sacchetto per il mal di mare per persona, una cassetta di attrezzi per
le riparazioni al motore, un proiettore, un estintore, un riflettore radar, un
indumento per la protezione termica per persona, tre tute di immersione,
una lampada a comando manuale sistemata sulla sommità della copertura
o del tendone.
Sulle navi passeggeri che trasportano 1 500 o più persone, almeno una
imbarcazione per ogni lato deve essere dotata di un apparecchio radiotele-

355
grafico; 3 quando tali navi trasportano un numero dì persone compreso fra
200 e 1 499, almeno una imbarcazione deve essere dotata dell'apparecchio
radiotelegrafico.
Tutte le navi devono inoltre avere, pronti all'uso e rapidamente ìmbar·
cabìli su un mezzo di salvataggio collettivo:
- su ciascun fianco, un radiofaro galleggiante a comando manuale per
la segnalazione, in emergenza, della posizione dì un mezzo dì salvataggio,
più brevemente definito EPIRB; 4
- un apparecchio radiotelegrafico o radiotelefonico portatile e galleg·
giante; 5
- tre apparecchi radiotelefonici portatili per assicurare le comunica·
zionì interne fra i mezzi di salvataggio e le comunicazioni fra i mezzi di sai·
vataggio e la nave.

3. Zattere di salvataggio

Le zattere di salvataggio in dotazione alla quasi totalità delle navi sono


del tipo autogonfiabile (figg. 2 e 3), ma le vigenti norme di sicurezza ammet·
tono anche l'impiego di zattere rigide.
Una zattera autogonfiabile presenta le seguenti caratteristiche:
• costruzione in tessuto gommato dotato di elevata resistenza agli urti e
agli agenti atmosferici;
• robustezza generale atta ad assicurare la possibilità di lanciarla in acqua
da un'altezza di 18 m (fig. 3);
• suddivisione della parte gonfiabile in un numero pari di camere stagne;
• massa (inclusa la custodia e gli oggetti di dotazione) non superiore a 185
kg;6
• gonfiamento automatico a mezzo dell'anidride carbonica contenuta in
una bombola che si apre per la trazione esercitata da una sagola fissata al
ponte della nave, quando la zattera viene lanciata in mare; 7
• portata non inferiore a 6 persone, calcolata dividendo per 96 il volume
(espresso in dm 3) delle camere d'aria principali di galleggiabilità quan·
do sono gonfiate, oppure dividendo per 3 720 la superficie (espressa in

3 L'apparecchio R.T. e il proiettore delle imbarcazioni di salvataggio funzionano con bat-

terie di accumulatori.
4 Dalle iniziali della espressione inglese «Emergency Position Indicating Radio Beacon».

'' L'apparecchio R.T. o R.T.I<'. galleggiante e il radiofaro possono essere lanciati in acqua
senza subire danni; per il loro funzionamento ci si avvale di batterie di accumulatori.
" Sono ammesse zattere di massa maggiore purché sia possibile calarle in acqua da en-
trambi i fianchi con appositi dispositivi di messa a mare.
7 L'anidride carbonica consente anche di realizzare un doppio fondo, particolarmen-
te utile contro il freddo, e il sostegno di una tenda che protegge gli occupanti dalle in-
temperie.

356
6 4 25 20 5 7 12 3 4 13 14 21 8 18 9
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2 10 1 23 22 11 :26 19

Fig. 2 - Zattera autogonfiabile «Pirelli-Londra»: 1) camera d'aria inferiore; 2) camera d'aria superiore; 3)
archi pneumatici; 4) tappi di scarico archi tenda; 5) fondo pneumatico; 6) tenda esterna; 7) tenda interna;
8) entrata; 9) manichetta per la chiusura entrata·, 10) tasche d'acqua di zavorramento; 11) sagola a festoni
esterna: 12) sagola a festoni interna; 13) lampada esterna; 14) lampada interna; 15) pile attivate dall 'ac-
qua; 16) scaletta e maniglia per la salita a bordo; 17) briglia di rimorchio; 18) valvola di sovrapressione
e gonfiamento ausiliario; 19) anello galleggiante con cima di ricupero; 20) raccoglitore d'acqua piovana;
21) coltello di sicu rezza; 22) cinghia di ribaltamento; 23) bombola di C0 2; 24) ancora galleggiante; 25)
involucro per viveri e dotazioni d'emergenza; 26) cima di ormeggio e comando apertura della bombola (bar-
betta)

i : I
.-· __< :~> Fig. 3 - Zattere
-?~-- autogonfiabili
installate
su tramoggia
per agevolare
il loro la neio
in acqua.

357
2
cm ) del pavimento gonfiato, oppure tenendo conto dello spazio occupato
da una persona di media corporatura indossante la cintura di salvataggio
e seduta con sufficiente comodità (la portata effettiva è indicata dal minore
dei numeri interi ottenuti eseguendo tutte e tre le operazioni citate ed è
chiaramente marcata sulla zattera e sulla sua custodia).
Le zattere rigide sono abbastanza robuste da non subire danni se
lanciate in acqua dal punto in cui sono sistemate e presentano caratte-
ristiche di efficienza e stabilità, sia che galleggino da un lato che dal-
l'altro.
Ciascuna zattera rigida è provvista di una coperta adeguatamente pro-
tetta e costruita in modo da sostenere effettivamente fuori dall'acqua le
persone che è autorizzata a trasportare.
Per liberare la coperta dall'acqua che vi si riversa sono previsti disposi-
tivi di evacuazione automatica.
La galleggiabilità è assicurata da materiale galleggiante e resistente al
fuoco; una tenda è disponibile per proteggere gli occupanti dalle intempe-
rie; su ciascun lato sono indicati il nome e il compartimento di iscrizione del-
la nave cui la zattera appartiene.
La portata di una zattera rigida viene stabilita assegnando non meno di
3
96 dm del volume dei dispositivi di galleggiabilità, o non meno di 3 720
2
cm della superficie di coperta a ciascuna persona, o tenendo conto dello
spazio occupato da una persona di media corporatura indossante la cintura
di salvataggio e seduta con sufficiente comodità (il minore dei numeri interi
che si ottengono eseguendo le necessarie operazioni rappresenta la portata
effettiva e viene chiaramente marcato sulla zattera).
La massa della zattera e delle sue dotazioni non supera normalmente i
185 kg.
La capacità complessiva delle zattere (autogonfiabili e rigide) di una
nave passeggeri deve essere sufficiente per almeno il 25% delle persone
presenti a bordo; le navi da carico devono invece avere su ciascun fianco
zattere autogonfiabili o rigide sufficienti per il numero totale delle persone
presenti a bordo. 8
Gli oggetti di dotazione di una zattera, autogonfiabile o rigida che
sia, devono essere convenientemente assicurati e prontamente utiliz-
zabili.
La dotazione normale di una zattera comprende un anello galleggiante
attaccato a una sagola galleggiante lunga 30 m, due coltelli, due sassole,
due spugne, due ancore galleggianti, due pagaie, un corredo d'i attrezzi e
oggetti per riparare le forature dei compartimenti stagni delle zattere auto-
gonfiabili, una pompa ad aria o un soffietto (soltanto per le zattere auto-
gonfiabili), tre apriscatole, un corredo farmaceutico di pronto soccorso in

8
Nelle navi passeggeri le zattere possono essere usate anche in sostituzione delle im-
barcazioni di salvataggio, ma la portata complessiva di queste ultime non deve scendere,
su ciascun lato della nave, al di sotto del 37,5% del numero totale delle persone presenti a
bordo.

358
cassetta stagna, un bicchiere graduato e inossidabile, una torcia elet-
trica stagna all'acqua con pile e lampadine di riserva in recipiente sta-
gno, uno specchio per segnalazioni diurne, un fischietto, quattro razzi
rossi a paracadute, sei fuochi a mano a luce rossa, due segnali fumo-
geni galleggianti che producono fumo arancione, un riflettore radar,
un indumento per la protezione termica per persona, un assortimento
di attrezzi per la pesca, una razione di viveri di 1o ooo kJ per persona,
un litro e mezzo d'acqua dolce per persona, in recipienti stagni, sei pa-
stiglie contro il mal di mare e un sacchetto per il mal di mare per per-
sona, istruzioni per la sopravvivenza a bordo di una zattera, tabella
dei segnali di salvataggio, una barbetta, un cavetto a festoni all'interno e
all'esterno, mezzi idonei per far salire a bordo le persone che si trovano in
acqua.
Le zattere rigide dispongono inoltre di un dispositivo galleggiante
di illuminazione elettrica a pile, mentre le zattere autogonfiabpi de-
vono avere, sulla parte superiore della tenda e all'interno della zattera,
lampadine la cui luminosità proviene da una cellula attivata dall'acqua
di mare.

4. Apparecchi galleggianti

Gli apparecchi galleggianti possono presentare forma e caratteristiche


diverse, 9 ma devono avere dimensioni e robustezza tali da poter essere
gettati in acqua dal punto in cui sono sistemati senza subire alcun danno
(fig. 4).
La massa di un apparecchio galleggiante non deve superare i 185 kg;
funzionalità e stabilità devono essere assicurate quale che sia la posizione
di galleggiamento; un cavo a festoni deve essere applicato lungo i fianchi
esterni per offrire una valida possibilità di sostegno alle persone che si tro-
vano in acqua.
Il numero di persone sostenibili da un apparecchio galleggiante è il mi-
nore fra quelli che si ottengono dividendo per 14,5 il numero di chilogram-
mi di ferro che l'apparecchio è capace di sostenere in acqua dolce oppure
dividendo per 30,5 il suo perimetro espresso in centimetri.
Avendo presente che gli apparecchi galleggianti possono soltanto soste-
nere un certo numero di persone che si trovano in acqua e che in acque fred-
de i tempi di sopravvivenza sono molto limitati, si possono nutrire seri dub-
bi sulla effettiva utilità di questi mezzi di salvataggio.
Risulta quindi ragionevole e opportuna l'assenza di qualsiasi prescrizio-
ne al riguardo, nelle più recenti normative di sicurezza (Emendamenti 1983
alla SOLAS 74).

~ I più comuni apparecchi galleggianti sono i cosiddetti a,tolli, ma le navi passeggeri sono
frequenteme nte dotate di apparecchi galleggianti utilizzabili normalmente come sedili e siste-
mati sui ponti scoperti.

359
Fig. 4 - Apparecchi
galleggianti.

5. Salvagente anulari

I salvagente anulari (ciambelle) possono essere costruiti in sughero mas-


siccio o in materia plastica, purché non intaccabili dagli idrocarburi e capaci
di galleggiare in acqua dolce e per 24 ore tenendo sospeso un ferro di massa
uguale a 14,5 kg.
Il diametro interno del salvagente non deve essere inferiore a 40 cm;
il suo perimetro esterno è guarnito con una sagola a festoni; su uno dei
lati sono chiaramente indicati il nome e il compartimento di iscrizione della
nave cui appartiene.
Ciascuna nave è provvista di un numero di salvagente non inferiore a
quello indicato nella tabella che segue.

NAVI PASSEGGERI NAVI DA CARICO

Lunghezza nave (m) Salvagente Lunghezza nave (m) Salvagente

Inferiore a 60 8 Inferiore a 100 8


da 60 a meno di 120 12 da 100 a meno di 150 10
da 120 a meno di 180 18 da 150 a meno di 200 12
da 180 a meno di 240 24 da 200 in su 14
da 240 in su 30

I salvagente anulari devono essere disponibili per un impiego immedia-


to. A tal fine non vengono fissati alla nave, ma appoggiati su appositi soste-
gni opportunamente installati sui fianchi e sulle paratie terminali delle so-
vrastrutture e sui parapetti.
Due salvagente devono essere guarniti con una sagola galleggiante
di lunghezza non inferiore a 30 m; la metà del numero totale di salva-
gente deve avere una luce ad accensione automatica (boetta luminosa);
due salvagente, fra quelli provvisti di luce ad accensione automatica,

360
devono avere anche un efficiente segnale fumogeno ad attivazione auto-
matica. H>

6. Cinture di salvataggio

Le cinture di salvataggio sono giubbotti di colore arancione dotati di


una galleggiabilità che non si riduce di più del 5% dopo una immersione
completa in acqua dolce della durata di 24 ore.
Una cintura di salvataggio deve essere costruita con materiale non in-
taccabile dagli idrocarburi, deve poter essere indossata rapidamente e da
entrambi i lati anche da persona inesperta, deve sostenere una persona sve-
nuta in modo che il suo viso rimanga fuori dall'acqua, deve essere dotata
di un fischietto (saldamente assicurato per mezzo di una cordicella) e di una
luce avente luminosità non inferiore a 0,75 candele.
Il numero di cinture prescritto per ciascuna nave viene stabilito avendo
presente l'esigenza di poter contare sulla disponibilità di una cintura per
ogni persona presente a bordo.
In aggiunta alla normale dotazione le navi passeggeri devono avere un
sufficiente numero di cinture per bambini e cinture di riserva in numero
pari al 5% del numero totale delle persone presenti a bordo.

7. Apparecchi lanciasagole

Gli apparecchi lanciasagole sono fucili le cui caratteristiche costruttive


consentono di lanciare a non meno di 230 m una sagola di diametro non in-
feriore a 4 mm (fig. 5).
Prontezza di funzionamento, facilità di puntamento e trasporto, preci-
sione di tiro, sono i requisiti ai quali deve soddisfare l'apparecchio lanciasa-
gole che le norme di sicurezza prescrivono per ciascuna nave. Le stesse
norme impongono che l'apparecchio sia corredato di 4 proiettili e 4 sagole
e che tutta l'apparecchiatura sia racchiusa in una custodia stagna.

8. Dispositivi per l'emissione di segnali di pericolo

Premesso che i segnali di pericolo, e la conseguente richiesta di soccor-


so, possono essere emessi anche avvalendosi delle installazioni radiotele-
grafiche e radiotelefoniche di bordo, osserviamo che ciascuna nave è dotata
di dispositivi atti a far conoscere a chiunque, con immediatezza e semplici-
tà, la situazione di pericolo in cui versa.
Tali dispositivi sono costituiti da un congruo numero di segnali di soc-
corso e da una lampada per segnalazioni diurne (fig. 6).

10
Boetta luminosa e segnale fumogeno sono collegati al salvagente con una sagola di
lunghezza non inferiore a 2 m; il loro funzionamento è attivato dall'acqua in cui si trovano a
galleggiare quando il salvagente viene usato per operazioni di salvataggio.

361
Fig. 5 (sopra) -
Apparecchio
lancia sagole.

Fig. 6 (a fianco) -
Lampada «Aldisn
per segnalazioni
diurne.

362
-
:a,,qu::411 e

PJll.iJI.,. Fig. 7 - Segnali
di soccorso: a) pistola
Very: o) razzi
a paracadute; e} ruocllì
a mano a luce rossa.

I segnali di soccorso comprendono razzi a paraca,dute a luce ro:;sa,


fuochi Very a stella rossa con relativa pistola (fig. 7) e.fuoch·i a mano a luce
rossa, opportunamente racchiusi in una cassetta stagna, le cui caratteristi-
che possono essere così sintetizzate:
• razzi a paraca,dute (non meno di 12): devono raggiungere un'altezza mi-
nima di 300 me restare accesi per almeno 40 secondi (la loro potenza lumi-
nosa non è inferiore a 30 000 candele);
• fuochi Very a stella rossa (24 con pistola da 38 mm per le navi passegge-
ri, 12 con pistole da 25 mm per le altre navi): devono raggiungere un'altez-
za minima di 70 m e restare accesi per almeno 5 secondi (la potenza lumino-
sa del1e cartucce da 38 mm non è inferiore a 30 000 candele, quella delle
cartucce da 25 mm non è inferiore a 15 000 candele);
• fuochi a mano a luce rossa (12 per le navi passeggeri, 9 per le altre navi):
devono produrre una luce rossa brillante di potenza luminosa non inferiore
a 15 000 candele con durata di accensione non inferiore a 60 secondi.

La lampada per segnalazioni diurne consiste in una lampada elettrica


(alimentata da una batteria) che emette un fascio di luce concentrata la cui
intensità lungo l'asse raggiunge le 60 000 candele.
Un mirino consente di dirigere il fascio di luce sulla stazione o luogo cui
è indirizzato il messaggio con la eventuale richiesta di soccorso; una chiave
o un grilletto consente di effettuare le segnalazioni con i simboli Morse.

363
Impianti elettrici
I CAPITOLO

1. Generalità

Gli impianti elettrici di bordo comprendono generatori di corrente, qua-


dri principali e secondari, conduttori, dispositivi, apparecchiature e moto-
ri elettrici progettati e realizzati in modo da garantire continuità di servi-
zio, sicurezza e semplicità d'impiego, facile adattamento a condizioni di la-
voro estremamente variabili.
Un tempo gli impianti elettrici dovevano assicurare il funzionamento di
una parte soltanto dei numerosi servizi necessari per l'esercizio della navi-
gazione, ma lo sviluppo delle apparecchiature elettriche e il crescente im-
piego di motori elettrici in sostituzione delle tradizionali macchine a vapo-
re, 1 hanno determinato una sostanziale generalizzazione dei servizi elet-
trici.
Le navi moderne sono infatti generalmente dotate di impianti elettrici
le cui caratteristiche consentono di assicurare non solo i servizi concernen-
ti l'abitabilità (illuminazione, suonerie, telefoni, ventilazione, condiziona-
mento ecc.), la navigazione (apparecchi radioelettrici, girobussole, telegra-
fi, scandagli, solcometri ecc.) e la sicurezza (stazioni radio, segnalatori di
allarme, illuminazione di emergenza, comandi porte stagne e porte taglia-
fuoco ecc.), ma anche i servizi di scafo (timonerie, apparecchi salpancore,
apparecchi per l'ormeggio e il tonneggio ecc.), i servizi per il carico (verri-
celli, gru, pompe per la manovra dei carichi liquidi ecc.) e i servizi di mac-
china (compressori, ventilatori, pompe per gli ausiliari dell'apparato moto-
re, pompe per l'acqua dolce, pompe di sentina, pompe di zavorra, pompe
d'incendio ecc.).
In origine furono realizzati soltanto impianti elettrici a corrente conti-
nua, ma negli ultimi decenni si è registrata una decisa affermazione degli
impianti a corrente alternata.

Le tensioni adottate per i servizi generali sono:


• 24, 48, 220 e 440 volt (per corrente continua e corrente alternata);
• 12 e 110 volt (solo per corrente continua);
• 115, 127 e 380 volt (solo per corrente alternata).

1 1 motori elettrici presentano, rispetto alle macchine a vapore, diversi vantaggi fra
i quali ricordiamo: maggiore leggerezza e minore ing()mbro; condutture facilmente instal-
labili, piu leggere e meno ingombra nti; maggiore rendimento complessivo; economicità
di servizio; caratteristiche di potenza e giri meglio adattabili alle esigenze delle macchine con-
dotte.

365
2. Generatori e sistemi di distribuzione della corrente

I generatori elettrici, dinamo o alternatori mossi da turbine a vapore


o da motori diesel, costituiscono, con i quadri principali che essi stessi ali-
mentano, una centrale elettrica normalmente sistemata nell'ambito del lo-
cale apparato motore.
Dai qua<1r1: principal-i partono i conduttori per i servizi più important?
e quelli che portano l'energia ai quadri secondari; a questi ultimi fanno
capo conduttori che alimentano direttamente le utenze e conduttori che ali-
mentano alcuni sottoquadri di smistamento; apposite stazioni di trnsfor-
mazùme o conversione forniscono l'energia per i circuiti luce, per i circuiti
a bassa tensione ecc.
L'energia prodotta dai generatori può essere distribuita con un sistema
di distribuzione in serie a corrente costante e con un sistema di distribuzio-
ne i.n parallelo a. tensione costante.
Il sistema a corrente costante viene adottato solo per la corrente conti-
nua e limitatamente alla forza motrice; il sistema «a tensione costante» è
invece utilizzato sia per la corrente continua che per quella alternata e per
qualsiasi servizio.
Un sistema per la distribuzione a tensione costante può essere realiz-
zato con:
• un conduttore isolato, con ritorno a massa (per corrente continua);
• due conduttori isolati (per corrente continua e per corrente alternata
monofase);
• tre conduttori isolati, con neutro a massa (per corrente continua);
• tre conduttori isolati (per corrente alternata trifase);
• quattro conduttori. isola,ti, con neutro a massa (per corrente alternata
trifase).

3. Caratteristiche generali e sicurezza

Premesso che gli impianti elettrici devono essere realizzati con caratte-
ristiche atte a garantire l'efficienza dei servizi di sicurezza anche in situa-
zioni di emergenza e ad evitare qualsiasi pericolo di natura elettrica per l'e-
quipaggio e gli eventuali passeggeri, osserviamo che i regolamenti di sicu-
rezza prescrivono a tale scopo una serie di norme che possono essere così
sintetizzate:
• la potenza dei generatori di corrente deve essere tale che sia possibile
soddisfare alla massima somma delle richieste di tutti i servizi che possono
venire usati contemporaneamente;
• per ciascun imp·ianto devono essere disponibili non meno di due genera-
tori di potenza sufficiente ad assicurare i servizi essenziali anche in caso
di arresto di uno di essi;

i Ausiliari di macchina, pompe, compressori, riscaldatori, ventilatori. verricelli, molinel-


lo, argani, stazione radio, timoneria, apparecchi radioelettrici per la navìgazione ecc.

366
• una fonte autonoma di energia elettrica di emergenza, costituita da un
generatore (o da una batteria di accumulatori) sistemato al disopra del pon-
te superiore in modo che il suo funzionamento 3 sia assicurato anche in
caso di incendio o di altri eventi che mettano fuori uso l'impianto elettrico
principale, deve essere disponibile per alimentare contemporaneamente
tutti quei servizi che sono essenziali per la sicurezza in una condizione di
emergenza (illuminazione di emergenza, fanali di navigazione e altri fanali
prescritti dalle norme internazionali per prevenire gli abbordi in mare, im-
pianti di comunicazione interna, impianti di segnalazione e di allarme, ap-
parecchi di ausilio per la navigazione, lampada per segnalazioni diurne,
pompa di emergenza per l'esaurimento, pompa da incendio, macchina del
timone, impianti per la chiusura e l'apertura delle porte stagne, impianti
per la manovra e messa a mare dei mezzi di salvataggio, ecc.);
• le parti metalliche esposte delle macchine e delle apparecchiature elettri-
che che possono andare in tensione in caso di guasto devono essere collega-
te a massa;
• i quadri principali e di emergenza devono essere raggiungibili senza dif-
ficoltà e senza pericolo di folgorazione per le persone addette;
• il sistema di ritorno per scafo (sistema di distribuzione a un conduttore
isolato, con ritorno a massa, per corrente continua) non è ammesso per le
navi cisterna che trasportano carichi infiammabili;
• i rì,vestimenti metallici e le armature dei conduttori devono essere elet-
tricamente continui e collegati a massa; le giunzioni dei conduttori devono
essere effettuate in cassette di giunzione o di derivazione a prova di
fiamma;
• le apparecchiature di illuminazione devono essere sistemate in modo da
prevenire dannosi surriscaldamenti;
• ciascun circuito deve essere protetto contro il corto-circuito e contro il
sovraccarico;
• le condutture elettriche principali e quelle di emergenza devono es-
sere il più possibile distanziate per evitare che un incendio in una zona
principale (navi passeggeri) possa interferire con i servizi essenziali di
un'altra zona.

Le caratteristiche tecniche cui devono soddisfare gli impianti elettrici


sono rigorosamente indicate dai regolamenti per la costruzione e la classifi-
cazione delle navi. 4 Pur senza entrare in dettagli, rileviamo che tali rego-
lamenti dettano norme precise sulle macchine rotanti, trasformatori, rad-
drizzatori, accumulatori, cavi, condutture, quadri, distribuzione, protezione
elettrica, apparecchi di avviamento e di regolazione, apparecchi di interru-
zione e di protezione, apparecchiature di illuminazione ecc.

3 Il funzionamento dell'impianto di emergenza deve essere garantito per almeno 36 ore


se trattasi di nave passeggeri, per 18 ore se trattasi di nave da carico.
4
Sezione D - Regolamento per gli impianti elettrici - del volume II.

367
Scali e bacini
di costruzione
I CAPITOLO

1. Generalità

In passato tutte le navi venivano costruite su piani inclinati - scali di


costruzione - sistemati normalmente o parallelamente alla battigia e poi
trasferite in acqua con un'operazione di scorrimento detta varo.
Attualmente però, vuoi per eliminare i rischi del varo, vuoi per favorire
l'applicazione di nuove metodologie nei processi di lavorazione, lo scalo di
costruzione viene sostanzialmente utilizzato soltanto per realizzare navi di
modeste dimensioni.
Le grandi navi sono infatti generalmente costruite in ampie cavità -
bacini di costruzione - che, potendo essere poste in comunicazione con
il mare a proprio piacimento, consentono di evitare il varo e i problemi che
esso comporta e di adottare senza particolari difficoltà un metodo di costru·
zione che si basa sul montaggio di grandi blocchi prefabbricati.
La sola eliminazione del varo giustifica il ricorso ai bacini di costruzione,
ma la diffusione di questi impianti è collegata anche alle profonde trasfor·
mazioni verificatesi nei processi produttivi dei grandi cantieri navali.
Fino a non molti anni fa, infatti, la sequenza delle operazioni connesse
con la costruzione di una nave prevedeva la posa della chiglia sullo scalo
e il successivo montaggio, pezzo dopo pezzo, degli elementi strutturali e del
fasciame del fondo, della ruota di prora e del dritto di poppa, delle ossature
e del fasciame dei fianchi, dei bagli, delle paratie, del fasciame dei ponti,
delle sovrastrutture ecc. avvalendosi di attrezzature modeste e di mezzi di
sollevamento (gru) di portata limitata.
Con questi sistemi di lavorazione nemmeno l'adozione della saldatura
avrebbe consentito di ridurre adeguatamente i tempi e i costi di produzio·
ne, e di scarsa utilità sarebbe stato, sul piano pratico, anche l'impiego di
procedimenti meccanizzati o automatizzati.
Ecco dunque affermarsi la tendenza alla prefabbricazione, ossia a ese·
guire in ambiente protetto il montaggio di complessi strutturali di massa
e dimensioni rilevanti - blocchi - che possono essere trasferiti senza ec-
cessive difficoltà dalle officine ai bacini di costruzione. 1

2. Scali di costruzione

Osserviamo innanzitutto che gli scali si dicono normali o di traverso a

1 La massa dei blocchi prefabbricati varia normalmente da 200 a 300 t ma raggiunge e


supera talvolta le 500 t.

369
seconda che siano disposti perpendicolarmente o parallelamente alla batti-
gia, 2 che in ogni scalo si distingue una parte a terra che costituisce lo scalo
vero e proprio e una parte a mare che si chiama avantiscalo, che entrambe
queste parti devono essere sufficientemente robuste, rigide e ben fondate,
Fig. 1 • Scalo per evitare pericolosi cedimenti durante la costruzione e durante il varo
di costruzione. (fig. 1),

-
l!lll!lll:l!!il!li11illllil!llf1;1;1:I~

Lo scalo vero e proprio è una struttura fissa, solitamente in muratura


o in cemento armato, sulla quale si esegue la costruzione della nave; l'avan-
tiscalo è una struttura mobile, in legno o in ferro, che si prolunga a mare
quanto basta per assicurare la regolarità del varo e che viene messa a posto
a costruzione ultimata. 3
La pendenza dello scalo viene stabilita avendo presente la duplice esi-
genza di assicurare lo scorrimento spontaneo della nave a costruzione ulti-
mata e di far raggiungere all'avantiscalo la necessaria profondità.
Queste condizioni possono essere soddisfatte con pendenza del 16 '7 11 o/o
per piccole navi, dell'll '7 8% per navi di media grandezza, dell'8 '7 6% per
grandi navi. ·
Ricordiamo però che non sono pochi i cantieri che, allo scopo di ridurre
l'altezza della parte a monte dello scalo 4 e la lunghezza dell'avantiscalo,
fanno uso di scali a profilo circolare o parabolico, anziché rettilineo, con
raggi di curvatura dell'ordine di 5 000 + 1O 000 m. In tal caso la pendenza
varia sensibilmente da un punto all'altro dello scalo, aumentando a mano
a mano che dalla estremità a monte dello scalo si procede verso il ciglio del-
l'avantiscalo. 5
Le dimensioni di uno scalo devono essere compatibili con quelle delle navi
che su di esso vengono costruite. A tal fine lo scalo vero e proprio deve avere
lunghezza non inferiore alla lunghezza della nave, mentre la larghezza di
tutto l'impianto deve essere almeno pari alla metà della larghezza della nave.
Il piano di scorrimento, ossia il piano del varo, è costituito, per le picco-
le navi, da travi di legno duro - parati - disposte parallelamente alla bat-
tigia e distanziate di 60 cm circa. Per le navi medie e grandi si utiliz-

2 Gli scali di traverso sono caratteristici dei cantieri installati lungo i grandi fiumi. Il
varo di traverso viene infatti imposto, in tali circostanze, dalla ristrettezza dello specchio d 'ac-
qua antistante lo scalo.
3 L'avantiscalo deve essere perfettamente allineato con lo scalo, zavorrato e ben ancora-

to a terra.
4 Con una pendenza dell'8%, uno scalo lungo 150 m presenta una altezza massima di
12 m.
5 Lo scalo dei Cantieri San Marco di Trieste ha un profilo circolare con raggio di curva-
tura di 5 000 me le seguenti pendenze: 3,37% all'estremità a monte; 7,11% al livello del mare;
8,71 % al ciglio dell'avantiscalo.

370
zano invece due piani di scorrimento costituiti da corsi di grosse tavole -
suole - sistemate sopra i parati e disposte perpendicolarmente alla battigia
(fig. 2).
Travi di adeguata robustezza vengono in ogni caso fissate ai margini
del piano o dei piani di scorrimento per evitare pericolosi spostamenti
laterali della nave durante il varo. La distanza fra le facce interne di que•
ste travi - guide - si chiama scartamento dei piani di scorrimento; il
suo valore è pari o di poco superiore alla terza parte della larghezza del-
la nave.
I piani di scorrimento possono essere realizzati pochi giorni prima del
varo poiché la nave poggia, durante la sua costruzione, su una o più file di
robustissimi blocchi detti taccate.
Le taccate devono poter essere demolite prima del varoti e pertan-
to ciascun cantiere adotta gli accorgimenti atti a soddisfare questa esi-
genza.
Un tempo si usavano soltanto taccate la cui parte superiore poteva esse-
re smantellata facendo saltare alcuni tacchi oppure cunei opportunamente
inseriti nella loro struttura (fig. 3) ma, per eliminare le difficoltà e la lentez-
za di queste operazioni, sono state ideate altre soluzioni fra le quali merita
ricordare quella rappresentata dalle cosiddette taccate di sablria. Si intui-
sce infatti che queste ultime (fig. 4) possono essere smantellate senza diffi-
coltà e con notevole rapidità, facendo semplicemente defluire una parte
della sabbia inserita nella loro struttura in modo da formare un cuscino di
adeguato spessore.

Fig. 2 (sopral - Piani


di scorrimento:
1) parato: 2) suole:
3) guide

Fig. 3 (a sinistra) -
Taccata con cunei.

Fig. 4 (a latol -
Taccata di sabbia.

fi Vedremo che con la demolizione delle taccate la nave viene ad essere sostenuta da una
speciale slitta 1:he sì chiama ùw<1sut1.(;rn e che serve per trasferirla in acqua.

371
3. Invasatura

L'invasatura (figg. 5 e 6) è un insieme di strutture formanti una specie


di grande slitta che porta la nave in acqua scorrendo sopra lo scalo.
Questa slitta viene allestita nei giorni che precedono il varo e risulta so-
litamente formata da due parti disposte simmetricamente rispetto al piano
diametrale della nave e poggianti sopra le suole.
Ciascuna parte ha la superficie superiore modellata in modo da aderire
perfettamente al fasciame esterno della carena e la superficie inferiore ri-
gorosamente parallela al piano di scorrimento dello scalo.
A mezzo di sbarre metalliche - scontri - e di cavi - trinche - opportu-
namente distribuiti si assicura un solidissimo collegamento fra le due parti
dell'invasatura, mentre apposite ritenute - mustacchi - collegano ciascu-
na parte alla nave.
Numerosi cunei facenti parte della struttura dell'invasatura vengo-
Fig. 5 • Invasatura.
Sezione della no battuti al momento opportuno per poter trasferire la massa della
parte centrale. nave su quest'ultima e per rendere possibile la demolizione delle taccate

Fig. 6 • Invasatura.
Sezione della
parte di estrema
prora: 1) vasi:
2) sopravasi:
3) colonne: 4) soffitte;
5) tri nche: 6) scontri:
7) suole; 8) guide:
9) parato.

372
che l'hanno sostenuta durante la costruzione. 7
Ciò premesso, osserviamo che ciascuna parte dell'invasatura compren-
de i seguenti elementi principali:
• vasi: travi metalliche o di legno, poggianti sulle suole 8 e aventi lunghez-
za compresa fra 1'80 e 1'85% della lunghezza della nave; 9 l'altezza dei vasi
risulta solitamente compresa fra 30 e 50 cm, mentre la loro larghezza viene
stabilita avendo presente l'esigenza di limitare la pressione unitaria sulle
suole a valori non superiori a 30.;.. 40 N/cm 2 (a tal fine si usano due o più
travi affiancate);
• sopravasi: travi disposte longitudinalmente e sistemate sopra i vasi; i so-
pravasi hanno larghezza uguale a quella dei vasi, ma altezza e lunghezza mi-
nori di questi;
• cuscini: travi verticali sistemate sulla parte centrale dei sopravasi;
• colonne: travi verticali o subverticali in tutto simili ai cuscini, ma più alte
di questi e sistemate sulle parti estreme dei sopravasi;
• soffitte o ventriere: travi disposte longitudinalmente e poggianti sui cu-
scini e sulle colonne; la loro superficie superiore è sagomata in modo da
aderire perfettamente al fasciame della carena quando vengono battuti i
numerosi cunei inseriti fra i sopravasi e le sovrastanti strutture.

4. Varo

Già sappiamo che si definisce varo l'operazione mediante la quale si


provvede a trasferire la nave dallo scalo di costruzione all'acqua in cui do-
vrà galleggiare e che per r ealizzare questo trasferimento si utilizza una in-
vasatura di dimensioni e robustezza adeguate.
Osserviamo ora che:
• le navi vengono solitamente costruite con la poppa rivolta al mare
per favorire il loro avanzamento in acqua e il successivo distacco dallo
scalo; 10
• fra i vasi e le suole si interpone uno strato di speciale m'i,scela lubri-
ficante per ridurre al minimo l'attrito fra l'invasatura e i piani di scorri-
mento; 11

7 Mentre si demoliscono le taccate, si asportano anche i numerosi puntelli che sono stati

sistemati \ungo le fiancate durante la costruzione al fi ne di evitare deformazioni e pericoli di


abbattimento.
8 I vasi metallici sono stagni e opportunamente diaframmati; la loro superficie inferiore
è rivestita di legno per favorire lo scorrimento.
9 Per raggiungere la lunghezza desiderata si collegano in modo rigido o a snodo diversi
pezzi sistemati sulle suole senza soluzione di continuità.
LO Le forme affinate della parte inferiore della poppa offrono una minore resistenza al-
l'avanzamento quando la nave entra in acqua, mentre le forme piene della parte superiore au-
mentano la spinta.
11 Le miscele attualmente più usate sono a base di stearina e di grassi derivati dalla la-
vorazione del petrolio. In passato si usavano miscele lubrificanti a base di sego che dovevano
essere applicate poche ore prima del varo perché la loro efficacia era di brevissima durata (per
soddisfare questa esigenza si inserivano, fra le suole e i vasi, dei paletti metallici - paratùn:
del sego - che venivano tolti soltanto dopo aver effettuato la lubrificazione).

373
• per impedire al sistema nave-invasatura di mettersi in moto prematura-
mente, si sistemano sullo scalo 3 o 4 coppie di castagne atte a bloccare i vasi
sulle suole fino all'istante prestabilito per l'inizio del varo; 12
• nel timore che il sistema nave-invasatura non si metta in moto spon-
taneamente dopo l'abbattimento delle castagne e la rimozione di altri
eventuali dispositivi di ritenuta, si predispongono mezzi di spinta ge-
neralmente costituiti da martinetti idraulici che agiscono sulle testate a
monte dei vasi.
Volendo esaminare le condizioni che assicurano l'inizio del varo e il suo
regolare svolgimento conviene considerare separatamente le fasi sottoin-
dicate:
1) frwe di scorri·mento a secco;
2) fase di scorrimento in acqua;
3) fase d1: :=;corrimen/.o i:n acqua con rotazione;
4) fase d·i frenatura.
La fase di scorrimento a secco ha inizio quando si rimuovono i disposi-
tivi di ritenuta (castagne) e termina nell'istante in cui il sistema varante
raggiunge la superficie dell'acqua.
Per il suo avvio non sono necessarie azioni di spinta se, detto.fil coeffi-
ciente di attrito fra i vasi e le suole, e detto a l'angolo di inclinazione del
piano del varo sull'orizzontale, risulta:
tg a > f
Infatti, poiché il peso complessivo P del sistema varante, i:; cui fa equili-
brio una reazione di appoggio R' uguale e contraria e agente sulla stessa
verticale, si scompone (fig. 7) nelle forze:
Fig. 7 - Varo: fase
di scorrimento Se = P sen a parallela al piano del varo e costituente la componente
a secco. attiva per il moto;

12 Le castagne vengono abba ttute contemporaneamente da torchi idraulici la cui aziotw


è comandata dalla madrina del varo (i torchi entrano in azione quando la madrina provoca la
rottura della tradizionale bottiglia di champagne contro la prora).
i:i Il peso dell'invasatura non supera solitamente il 5 + 7% del peso della na ve al varo.

374 t
Cm P cos a normale al piano del varo e costituente la componente
che dà luogo alla compressione dei vasi e alla resistenza
di attrito At=f P cosa;
si intuisce che il suo moto di traslazione lungo i piani di scorrimento ha ini-
zio spontaneamente se risulta:
Se> Ai
Sostituendo a Se e At i rispettivi valori si ricava:
P sen a > f P cos a
cioè: 14 tg a > f

Questa relazione dimostra chiaramente che una riduzione del coefficien·


te di attrito comporta la possibilità di ridurre la pendenza dello scalo e, con-
seguentemente, 1a velocità della nave durante il varo.
Si spiegano quindi gli studi e le ricerche tendenti a realizzare miscele
lubrificanti capaci di rendere molto bassi i valori del coefficiente di attrito
e la cura con cui esse vengono inserite fra i vasi e le suole.
Il coefficiente di attrito è massimo al primo distacco 15 e pertanto la
condizione tg a > f assicura un regolare svolgimento della prima fase del
varo se la lubrificazione delle suole è stata eseguita a regola d'arte e se non
si verificano cedimenti dell'invasatura e dei piani di scorrimento.
Fig. 8 - Varo: fase
Durante la fase di scorrimento in acqua, detta anche fase di scor- di scorrimento
rimento parallelo in acqua, il sistema nave-invasatura avanza nell'acqua in acqua.

~ . - X5
I

''

14 Dalla disuguaglianza P sen a > f P cos a si passa a tg a > f dividendo entrambi i ter-
mini per P cos a.
15 Al coefficiente di attrito f si attribuiscono mediamente i seguenti valori:
miscele a base di stearina: 0,020 al primo distacco; 0,010 durante il moto
miscele a base di grassi: 0,040 al primo distacco; 0,020 durante il moto
miscele a base di sego: 0,055 al primo distacco; 0,025 durante il moto.

375
senza staccarsi dalle suole nonostante la spinta che agisce nella sua parte
immersa.
In questa fase del varo (fig. 8), al peso P del sistema nave-invasatura
si associa una spinta S di intensità crescente e agente su una retta che si
sposta rapidamente verso prua.
Sarà quindi, in un determinato istante:
R = P - S la risultante della forza peso e della
forza spinta;
Se = R sen a = (P - S) sen a la componente attiva per il moto;
Cm = R cos a = (P - S) cos a la pressione sui vasi;
At = f R cos a = f (P - S) cos a la resistenza di attrito;
R' = R = P - S la reazione di appoggio.

La reazione R' giace sulla verticale della risultante Re con essa si spo-
sta verso prora in conseguenza dell'aumentare della spinta e del suo sposta-
mento nel senso poppa-prora.
La posizione della retta d'azione della risultante R e della reazione R'
durante la fase di scorrimento in acqua può essere determinata sia grafica-
mente che analiticamente.
La soluzione grafica di questo problema si ottiene con una semplice ope-
razione di composizione di due forze parallele e di senso contrario (peso e
spinta).
Alla soluzione analitica si perviene invece prendendo in considerazione
i momenti delle forze in gioco.
Infatti, se assumiamo come asse dei momenti delle forze P, S ed R la
retta verticale passante per l'estremità a monte dei vasi - brioni - e indi-
chiamo con xp, Xs ed Xr i bracci di tali forze; essendo:
P xP il momento del peso;
S X8 il momento della spinta;
R Xr il momento della risultante;

si può scrivere:
R Xr = P Xp - S X8

cioè:
p Xp - S X5

P-S
È in ogni caso indispensabile evitare che lo scorrimento del sistema
nave-invasatura avvicini la risultante R al ciglio dell'avantiscalo.
Ciò in quanto, verificandosi tale situazione, la risultante R potrebbe tro-
varsi a passare per il ciglio stesso, con le seguenti conseguenze:
• caduta della poppa - strapiombo - e contemporaneo sollevamento della
parte ancora poggiante sulle suole;

376
• successivo innalzamento (riemersione) della poppa e ricaduta - nasata
- della parte prodiera sulle suole;
• limitazione della stabilità del sistema varante, possibilità di cedimento
dello scalo e di fiaccamento dello scafo durante le due opposte rotazioni at-
torno al ciglio dell'avantiscalo.

La fase di scorrimento in acqua con rotazione attorno ai brioni dei


vasi (fig. 9) ha inizio quando la parte a mare dell'invasatura si solleva sulle
suole con un movimento di rotazione attorno ad un asse trasversale passan-
te per i brioni e termina nell'istante in cui il sistema nave-invasatura galleg-
gia liberamente.
Avendo presente che durante la seconda fase risulta necessaria-
mente:
p Xµ > S Xs

mentre la fase di scorrimento con rotazione è caratterizzata dalla condi-


zione:
p Xp < S X5

si deduce che il sistema varante inizia il movimento di rotazione quando è:


p Xp = S Xs

Considerando la relazione:
Fig. 9 - Vara: fase
di scorrimento
in acqua
con rotazione.

p
I
I
-7·~ XS _ _ _..,.

~- Xp I

377
si rileva che:
• all'inizio della rotazione la risultante R e la reazione R ' agiscono lungo
la verticale passante per i brioni (xr == O);
• durante la rotazione la risultante R agisce a monte dei brioni (xr < O) e,
poiché la reazione R' non può uscire dall'estremità prodiera dell'invasatu-
ra, le forze R ed R' formano una coppia alla cui azione deve essere attribui-
ta la rotazione stessa.
Se i piani di scorrimento sono abbastanza lunghi sarà:
P = S, ossia: R=R' == O
prima che i brioni giungano sul ciglio dell'avantiscalo; la nave si troverà al-
lora a galleggiare senza inconvenienti di sorta.
Se questa condizione non può essere assicurata, cosicché risulta:
P > S, ossia: R = R' > O
nell'istante in cui i brioni arrivano sul ciglio dell'avantiscalo, si verifica un
repentino abbassamento della prora - saluto - non appena anche l'estre-
mità a monte dell'invasatura lascia i piani di scorrimento.
Il saluto non presenta alcun pericolo, ed è quindi generalmente previsto
al fine di ridurre la lunghezza dell'avantiscalo, se è possibile escludere l'e-
ventualità che esso porti la prua della nave a urtare contro lo scalo e la par-
te a monte dell'invasatura a battere sul fondo marino.

La fase di frenatura ha inizio nell'istante in cui il sistema nave-


invasatura galleggia liberamente e termina con l'annullamento del suo
moto.
Per ridurre il tempo e lo spazio di frenatura si ricorre all'azione di un
sistema di frenaggio solitamente costituito da catene disposte ai lati dello
scalo e vincolate alla parte prodiera della nave o di cavi disposti a mo' di
traversini nello specchio d'acqua antistante lo scalo.

5. Bacini di costruzione

Come già abbiamo avuto occasione di rilevare, i bacini di costruzio-


ne sono ampie cavità di cui i cantieri modernamente strutturati si av-
valgono per costruire le navi con tecniche di avanguardia e per eliminare
il varo.
Osserviamo ora che queste cavità, note anche come scali-bacini, sono
rivestite in calcestruzzo e che la loro imboccatura può essere chiusa al mare
inserendo fra apposite spallette - gargami - ricavate sui fianchi e sul fon-
do una porta a tenuta stagna avente tutte le caratteristiche di un galleg-
giante e per ciò definita batteUo-porta.
Ciò premesso, vediamo quali sono le operazioni che si rendono indispen·
sabili per assicurare la funzionalità di un bacino di costruzione.
Supposto che il bacino considerato si trovi in condizioni di completo alla-
gamento (livello dell'acqua in esso contenuta alla stessa altezza del livello
del mare), tali operazioni possono essere così sintetizzate:

378
• sistemazione del battello-porta fra i gargami dei fianchi, a mezzo di ri-
morchiatori e cavi manovrati con apparecchi di tonneggio opportunamente
distribuiti in prossimità dell'imboccatura;
• affondamento del battello-porta mediante allagamento di casse di'. gal-
leggiamento e casse di regola.zione (fig. 10) di cui è a tal fine prov-
visto; 16

Fig. 10 - Battello-porta: R) casse di regolazione: G) casse di galleggiamento: Z) casse di zavorra: S) saraci·


nesche di allagamento del bacino: V) valvole di allagamento delle casse del battello-porta: P) pompa di aspi-
razione: s) sfoghi d'aria.

• prosciugamento del bacino;17


• appropriato posizionamento e livellamento di una o più file di taccate di-
sposte sul fondo - platea - e idonee a sostenere la nave (con o senza l'ausi-
lio di puntelli) durante la sua costruzione.

Ultimata la costruzione si allaga nuovamente il bacino, aprendo alcune


saracinesche esistenti sul battello-porta.
Allorché il livello dell'acqua all'interno del bacino raggiunge la neces-

16 L 'affondamento va inteso come una operazione tendente a far poggiare il fondo del
battello-porta sul fondo del bacino e in condizioni le più idonee ad assicurare un completo isol.t-
mento di questo dal mare antistante; la parte superiore del battello-porta resta ovviamente
fuori dall'acqua e può essere utilizzata come «passerella» dal personale del cantiere.
17 Per prosciugare il bacino con la massima rapidità si mette in azione un potente im-
pianto di esaurimento posto al suo servizio.

379
saria altezza, la nave, sostenuta da una spinta che uguaglia il suo peso, si
stacca dalle taccate e galleggia liberamente.
Ancor prima che l'allagamento del bacino sia completato, poiché l'acqua
delle casse di galleggiamento del battello-porta è stata tempestivamente
scaricata, questo si stacca dal fondo - salta - riacquistando la sua galleg-
giabilità.
Il salto del battello-porta si verifica naturalmente nell'istante in cui la
pressione idrostatica che lo blocca nei gargami non è più sufficiente, per
l'accresciuta altezza del livello dell'acqua all'interno del bacino, a neutraliz-
zare l'eccesso di spinta instauratosi con lo svuotamento delle casse di za-
vorra.
Le casse di regolazione rimangono allagate proprio per evitare che la
porta salti quando il livello dell'acqua del bacino è ancora troppo basso. Se
ciò dovesse accadere si registrerebbe infatti un afflusso d'acqua, all'interno
del bacino, tanto violento da provocare un'ondata capace di strappare glì
ormeggi e danneggiare seriamente la nave. 18
Il salto della porta equivale a una vera e propria apertura del bacino e
pertanto non rimane che far uscire la nave, dopo aver sgombrato l'imbocca-
tura, e portarla ad una banchina, di allestimento di cui ciascun cantiere è
dotato per procedere all'installazione o al completamento del complesso di
sistemazioni che rendono la nave atta alla navigazione e al servizio al quale
è destinata.

18
Un salto prematuro della porta è anche un salto violento. In tali circostanze possono
quindi verificarsi danni alla porta stessa, ai gargami e alle guarnizioni - pa.glietti - di cui
questi ultimi sono rivestiti per favorire la tenuta stagna.

380
Bacini di carenaggio
e scali di alaggio
c _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ . J I CAPITOLO

1. Generalità

I bacini di carenaggio e gli scali di alaggio sono installazioni portuali di


cui ci si avvale per mettere a secco le navi.
Premesso che tutte le navi devono essere messe a secco con una certa
periodicità, sia per consentire ai funzionari del R.I.Na di sottoporre la care-
na alle visite prescritte dal regolamento di classificazione, sia per eliminare
la vegetazione e le incrostazioni che si formano sulla superficie esterna del-
!'opera viva1 e per rinnovare lo strato di vernice protettiva, 2 sia per ese-
guire lavori di manutenzione su organi non accessibili dall'interno (timone,
eliche, assi portaelica e relativi astucci, valvole Kingston ecc.), sia per rea-
lizzare riparazioni o trasformazioni interessanti l'opera viva, osserviamo
che questa operazione - carenaggio - può essere effettuata con uno scalo
di alaggio soltanto se trattasi di nave di piccolo tonnel1aggio.
Si intuisce infatti che il criterio sul quale si basa l'impiego del1o scalo di
alaggio - portare in secco la nave trascinandola lungo un apposito piano
inclinato - non è applicabile a navi di massa e dimensioni considerevoli e
che per il carenaggio di queste ultime devono essere disponibili bacini di
adeguata capacità.

2. Bacini di carenaggio

In passato esistevano soltanto bacini di carenaggio in muratura, ossia


installazioni fisse in tutto simili ai più recenti bacini di costruzione.
Da alcuni decenni, però, vuoi perché la costruzione di un bacino fisso ri-
chiede tempi e costi eccessivamente elevati, vuoi perché con l'evolversi del-
le situazioni economico-commerciali può sorgere l'esigenza di mutare la di-
slocazione di questi impianti, si registra una netta preferenza per la costru-
zione di bacini di carenaggio galleggianti.
Un bacino galleggiante è sostanzialmente costituito da uno zatterone
rettangolare con doppio fondo a struttura cellulare, sui cui lati maggiori si
innalzano due fiancate anch'esse a struttura cellulare (fig. 1).
Le caratteristiche costruttive del bacino galleggiante e le attrezza-
ture di cui è provvisto permettono di far immergere il suo fondo in-
terno - platea - di quanto basta per allineare sopra le taccate la nave

1 La vegetazione e le incrostazioni che si formano sulla carena riducono sensibilmente la


velocità della nave.
2 Vernice anticorrosiva per evitare la corrosione e la conseguente formazione di incro-
stazioni; vernice antivegetativa per evitare la formazione di vegetazione.

381
Fig. 1 - Sszione di un bacino galleggiante: AA) galleggiamento del bacino in condizioni di inoperosità; BB)
galleggiamento del bacino in condizioni di completo allagamento; CC) galleggiamento del bacino con nave
a secco poggiante sulle sue taccate.

che richiede il carenaggio, e di farlo riemergere portando fuori dall'acqua


anche la nave.
Per immergere la platea fino alla profondità desiderata si allagano, ma-
novrando apposite valvole Kingston, i diversi compartimenti in cui sono
suddivisi sia il doppio fondo che le fiancate; per ottenere la sua riemersione
(con la nave sostenuta da1Ie taccate e adeguatamente puntellata) si prosciu-
gano i compartimenti precedentemente allagati, mettendo in azione una o
più pompe installate nella parte superiore delle fiancate e alle quali fanno
capo le tubazioni di esaurimento.3

Il bacino galleggiante è solitamente una costruzione in acciaio e pertan-


to occorre provvedere periodicamente anche al suo carenaggio.
Il problema non presenta particolari difficoltà per i piccoli bacini, poiché
questi possono essere messi a secco in altri bacini capaci di contenerli, ma
è risolvibile soltanto con sistemi di autocarenaggìo quando si tratta di in-
stallazioni di grandi dimensioni.
Un bacino autocarenabile è detto anche bacino a sezioni perché lo zat-
terone che costituisce il suo fondo è formato da diverse sezioni unite fra
loro mediante collegamenti semi-permanenti.
L 'autocarenaggio si basa su11a possibilità dì rimuovere i collegamenti
che uniscono ciascuna sezione alle sezioni adiacenti.
Liber ata con questa operazione una sezione qualsiasi non sussistono in-
fatti difficoltà per portarla in secco dopo aver fatto immergere la platea del
bacino al1agando le parti non interessate al car enaggio.

;i Nella parte alta delle fiancate sono sistemati anche i comandi delle valvole Kingston,
gli sfoghi d'aria, i verricelli pe r il tonneggio e l'allineamento della nave sulle taccate, i servizi
per il personale addetto alla ma novra del bacino e per il personale operante sulle navi ai lavori,
i mezzi di sollevamento, eventuali officine, generatori di corrente ecc.

382
3. Scali di alaggio

Gli scali di alaggio sono piani inclinati di cui dispongono anche i piccoli
porti per tirare in secco le navi di piccolo tonnellaggio.
Uno scalo di alaggio presenta molte analogie con lo scalo di costruzione
e come questo si protende in acqua con un avantiscalo di sufficiente lun-
ghezza.
Per contenere entro limiti ragionevoli lo sforzo di trazione che i mezzi
dì alaggio devono esercitare per trascinare la nave lungo i piani di scorri-
mento dello scalo, si riduce la sua pendenza al valore minimo compatibile
con l'esigenza di assicurare la discesa in acqua della stessa nave a carenag-
gio ultimato. E, se necessario, si realizza questa condizione sostituendo due
rotaie alle suole e utilizzando una invasatura la cui parte inferiore è costi-
tuita da carrelli.
L'alaggio di una nave si effettua seguendo sostanzialmente la procedura
sottoindicata:
• si costruisce l'invasatura, tenendo conto delle dimensioni e della forma
della carena;
• si fa scorrere l'invasatura sullo scalo affinché raggiunga un punto dell'a-
vantiscalo in cui risulta completamente immersa;
• si porta la nave sopra l'invasatura e si manovra per disporla su di essa
in modo da far coincidere i rispettivi piani di simmetria;
• si regolano le taccate laterali dell'invasatura come richiesto per assicura-
re la stabilità della nave;
• si mettono in tensione i cavi - mustacchi - che collegano l'invasatura
alla nave;
• si mettono in azione i mezzi di alaggio e si porta in secco il sistema nave-
invasatura facendolo scorrere lungo lo scalo.

Completati i lavori di carenaggio, si immette nuovamente in acqua il si-


stema nave-invasatura con una operazione in tutto e per tutto simile al
varo.

383
APPENDICE
Cenni sulla propulsione
delle barche a vela

1. Terminologia

La conoscenza del significato dei termini marinareschi è sempre neces-


saria, ma diviene indispensabile ai fini della condotta di una barca a vela
(fig. 1).
Riteniamo quindi opportuno precisare quanto segue:
andature: espressioni generiche usate per indicare la direzione di avan-
zamento rispetto alla direzione del vento;
andatura di bolina: andatura di una barca che procede in una direzione
formante un angolo minore di 90° rispetto alla direzione del vento (suddivi-
sa in bolina stretta, bolina e bolina larga);
andatura portante: andatura di una barca che procede in una direzione
formante un angolo uguale o maggiore di 90° rispetto alla direzione del
vento (suddivisa in traverso, lasco e gran lasco);
andatura in poppa: andatura di una barca che procede con il vento in
poppa;
scarroccio: spostamento laterale della barca, causato dal vento e dal
mare;
sopravvento: lato da cui spira il vento;
sottovento: lato opposto a quello da cui spira il vento;
orzare: avvicinare la prora alla direzione da cui spira il vento (l'accosta-
ta che si compie in questo caso si chiama orzata);
puggiare: allontanare la prora dalla direzione da cui spira il vento (l'ac-
costata che si compie in questo caso si chiama poggiata o puggiata);
mure a dritta: navigazione con il vento sul lato dritto;
mure a sinisfra: navigazione con il vento sul Iato sinistro;
bordare una vela: diminuire l'angolo formato fra la superficie rlella vela
e il piano diametrale cazzando (ossia tirando) la scotta;
filare la scotta: allascare (ossia allentare) la scotta della vela per far al-
lontanare quest'ultima dal piano diametrale;
virare: cambiare le mure, orzando prima e puggiando poi; questa mano-
vra è anche definita «viramento di bordo in prua» perché viene effettuata
portando la prua al vento;
vele in filo o vele che fileggiano: vele che sbattono senza alcun effetto
propulsivo;
vento apparente: vento che investe una barca in moto; direzione e veloci-

387
tà del vento apparente dipendono dalla velocità della barca e dalla sua an-
datura oltreché dalla velocità del vento reale (vento effettivo); il vento ap-
parente è rappresentato dalla risultante di un parallelogramma le cui com-
ponenti sono il vento di avanzamento (vento prodotto dal moto della barca,
sempre diretto a poppa con velocità uguale a quella della barca stessa) e
il vento reale;
vento reale: vento effettivo (indipendentemente dal moto della barca, è
il vento di cui si parla normalmente); il vento reale si determina facilmente
se si tiene presente che esso si identifica con una componente di un paralle-
logramma avente il vento apparente come risultante e il vento di avanza-
mento come seconda componente (fig. 2);

Flg. 1 - Andature dei velieri.

l VENTO

Settore sottovento

388
Flg. 2 •
Determinazione
del vento reale:
se indichiamo
-Vn con Vap e -Vn
i vettori
rappresentativi
del vento
-Vn apparente e del
vento di
avanzamento,
sarà V, il vettore
rappresentativo
del vento reale
Vap (per conoscerlo è
sufficiente tracciare
il segmento che
unisce l'estremità
del vettore -Vn
Vr con quella
Vap del vettore Vapl.

abbattere o strambare: cambiare le mure, puggiando prima e orzando


poi; questa manovra è anche definita «viramento di bordo in poppa» perché
viene effettuata portando la poppa al vento;
terzarolare: ridurre la superficie delle vele, diminuendo la parte esposta
all'azione del vento;
far portare le vele: orientare le vele in modo da avere un effetto pro-
pulsivo;
vele a collo: vele esposte al vento in modo da avere un effetto negativo
per la propulsione (moto retrogrado);
centro di pressione: punto di applicazione della risultante della forza che
il vento esercita sulla vela considerata;
centro velico: punto di applicazione della risultante della forza che il ven-
to esercita sulla velatura e sulla parte emersa della barca;
centro di deriva: punto di applicazione della risultante delle resistenze
al moto della barca;
equilibrio velico: espressione indicante una corretta distribuzione e di-
slocazione delle vele; sussistendo l'equilibrio velico non si rilevano tendenze
orziere o puggiere della barca; ciò accade se centro velico e centro di deriva
si trovano sulla stessa verticale (la barca è orziera se il suo centro velico
si trova a poppavia del centro di deriva, è puggiera nel caso contrario).

2. Organi di propulsione delle barche a vela

Nelle barche a vela è il vento che fornisce la forza motrice, mentre le


vele trasformano questa forza in azione propulsiva.
Le vele devono però essere adeguatamente sostenute e orientate e per-
tanto in una barca a vela si notano alberi e aste di vario tipo che essa porta
per soddisfare queste esigenze.
Il complesso formato dalle vele, dagli alberi e dagli accessori ad essi as-
sociati costituisce l'attrezzatura di una barca a vela.

389
5

Fig. 3 - Manovre fisse :


1. straglio; 2. crocetta;
3. sartia alta;
4. sartia bassa;
5. sartia intermedia.

Osserviamo che esistono diversi tipi di attrezzatura, ma nella maggior


parte delle barche moderne essa è costituita da:
- un albero sorretto da cavi d'acciaio genericamente indicati come ma-
novre fisse, ma che si chiamano stragli se corrono verso prua o verso pop-
pa, sartie se corrono verso dritta o verso sinistra (fig. 3);
- un'asta orizzontale, definita boma, che viene incardinata presso la
base poppiera dell'albero ed è talvolta sostenuta a poppa da una manovra
detta mantiglio;
- una vela triangolare che viene distesa fra l'albero e il boma e che si
definisce vela Marconi o, più semplicemente, randa;
- una seconda vela triangolare che si definisce fiocco e che si inferisce,
ossia si aggancia, allo straglio di prora;
- alcuni cavi che si dicono manovre correnti e che servono per issare
le vele, distenderle e orientarle, per ridurre la loro superficie (terzar olarle)
e per chiuderle (serrarle o imbrogliarle); fra le diverse manovre correnti
si distinguono: le drizze (alzano le vele), le scotte (distendono e orientano
le vele), le mure (fissano, all'albero o allo straglio, l'angolo inferiore prodie-
ro delle vele), le borose (fissano al boma l'angolo poppiero della randa e il
lato poppiero della randa terzarolata), i gerli (stringono e allacciano al
boma, la randa serrata), i caricabasso (abbassano l'estremità prodiera del
boma), le ritenute o vangs (impediscono al boma di sollevarsi quando il ven-
to arriva da poppa).

3. Tipi di vele

Abbiamo già rilevato che il più comune tipo di velatura è costituito da


un fiocco e da una randa Marconi (fig. 4). Osserviamo ora che questa randa

390
può essere definita anche vela bermudiana e che:
a) non sono poche le imbarcazioni che alzano anche un secondo fiocco e
quelle attrezzate per alzare all'estrema prora, in sostituzione del fiocco o
dei fiocchi, quando il vento proviene dai settori poppieri, una grande vela
approssimativamente semisferica che si chiama spinnaker o, più breve-
mente, spi;
b) le barche maggiori hanno sovente due alberi sui quali vengono alzate
altrettante rande Marconi;
c) talune barche portano una o due rande quadrangolari al posto delle
vele Marconi; tali rande si dicono vele auriche (fig. 6) se il loro lato superio-
re viene inferito ad aste oblique chiamate picchi (ciascun picco ha l'estremi-
tà prodiera collegata al versante poppiero dell'albero con un dispositivo,
detto trozza, che gli consente di ruotare e di alzarsi o abbassarsi; apposite
drizze consentono di alzare o abbassare il picco, mentre al suo orientamen-

Fig. 4 - Il fiocco, la randa Marconi e le loro manovre: 1. angolo di bugna o di scotta: 2. angolo di mura:
3. angolo di penna: 4. lato d'inleritura o antennale: 5. caduta poppiera o balumina; 6. base o piede o borda•
me o linea di scotta: 7. garrocci; 8. ferzi; 9. occhiello o bugna per borosa di terzarolo; 10. guaina o tasca
per stecca; 11. cuciture dei ferzi: 12. matalioni di terzarolo; 13. rinforzo occhiello o bugna del matafione
di terzarolo; 14. scolla del fiocco; 15. borosa di scotta della randa; 16. mura: 17. drizza; 18. caricabasso ;
19. vango ritenuta del boma; 20. scolla della randa; 21. straglio.

391
·-
/
Il '11~
\ \
.,,,
I

,,,.

Fig. 5 - Vela quadra: 1. angolo d'inferitura: 2. angolo di Fig. 6 - Randa aurica: 1. gola; 2. mura:
bugna: 3. antennale o inferitura: 4. bordame; 5. caduta: 3. bugna; 4. penna: 5. antennale; 6. ca-
6. brancarelle di terzarolo: 7. matafioni di terzarolo. duta prod.: 7. base: 8. caduta pop.;
9· 1O. brancarelle: 11. matafioni di ter-
zarolo.

4---..

6
\ 3 7

Flg. 7 - Vala latina: 1. mura; 2. bugna o scotta; Fig. 8 - Vela al terzo: 1. gola; 2. mura; 3. bugna;
3. penna: 4. caduta poppiera: 5. antennale; 6. 4. penna: 5. inferitura: 6. caduta prod.; 7. bor-
base. dame: 8. caduta pop.

to si provvede con due manovre che si chiamano ostini), vele al terzo o al


quarto (fig. 8) se inferite con lo stesso lato ad aste oblique chiamate pennole
(ciascuna pennola è collegata all'albero a un terzo o a un quarto della pro-
pria lunghezza e può essere alzata a mezzo di apposita drizza), vele a tar-
chia se inferite all'albero e sostenute da un'asta diagonale detta balestrone

392
o struzza (il balestrone parte dal piede dell'albero, cui è opportunamente
collegato, e attraversa diagonalmente verso poppa tutta la vela); al disopra
della vela aurica può essere alzata una vela triangolare che si chiama con-
troranda e che rimane distesa fra picco e albero;
d) altre barche possono portare, al posto delle vele Marconi, una o due
vele triangolari che si dicono vele latine (fig. 7) e che vengono inferite ad
altrettante aste oblique chiamate antenne (le vele latine non richiedono la
presenza del boma; ciascuna antenna è collegata ali' albero con la sua parte
centrale e può essere alzata con apposita drizza);
e) alcune navi-scuola sono attrezzate per portare, a ciascuno degli albe-
ri di cui sono dotate, vele quadrangolari a forma di trapezio isoscele che si
dicono vele quadre (fig. 5) e che si inferiscono ad aste orizzontali dette pen-
noni (ciascun pennone è collegato all'albero con una trozza centrale; alcurii
pennoni si definiscono pennoni volanti perché possono essere alzati lungo
l'albero al fine di distendere le rispettive vele, altri pennoni si dicono fissi
perché privi di questa caratteristica; i pennoni volanti sono manovrati e so-
stenuti da una propria drizza, quelli fissi sono sostenuti da appositi manti-
gli; per orientare i pennoni si agisce sulla loro estremità con apposite mano-
vre che si chiamano bracci); le stesse navi possono alzare numerose vele
triangolari che si aggiungono ai fiocchi e che si dicono vele di straglio per-
ché inferite a stragli che corrono da un albero all'altro.
Per quanto riguarda la nomenclatura delle parti che formano i diversi
tipi di vele, ricordiamo il significato delle definizioni sottoindicate:
- ferzi: strisce di tela unite mediante due cuciture, variamente dispo-
ste a seconda del tipo di vela e ben rinforzate nei punti maggiormente solle-
citati;
gratile o ralinga: cavo cucito saldamente lungo gli orli dei lati della
vela;
garrocci: ganci muniti di perno a molla per la chiusura automatica,
normalmente usati per inferire le vele agli stragli, 1 oppure tacchetti me-
tallici opportunamente sagomati per favorire il loro scorrimento su una ro-
taia fissata all'albero o al boma; i garrocci sono saldamente cuciti al gratile;
sono senza garrocci le rande delle barche aventi albero e boma dotati di una
canaletta nella quale si inferisce direttamente il gratile e quelle delle barche
attrezzate all'antica (in questo caso si usano anelli di cavo, detti canestrelli,
per inferire la vela all'albero e una lunga sagoletta, detta inferitore, per al-
lacciarla al boma, al picco, all'antenna o alla pennola; l'inferitore si avvolge
a spirale o in altro modo attorno all'asta utilizzata per sostenere o distende-
re la vela e, come i canestrelli, viene fatto passare negli occhielli o bugne
a tal fine praticati lungo l'orlo della stessa;
- antennale o inferitura: lato superiore di vela quadrangolare e lato
prodiero di vela triangolare;
caduta prodiera: lato prodiero di vela aurica, al terzo o al quarto;
caduta poppiera o balumina: lato poppiero di una vela;
cadute: lati obliqui di vela quadra;

1 I garrocci del tipo a gancio con molla sono indicati anche come moschettoni.

393
base o piede o linea di scotta o bordame: lato inferiore della vela;
penna: angolo più alto della vela (manca nelle vele quadre);
mura: angolo inferiore prodiero (bugna nelle vele quadre);
scotta o bugna: angolo inferiore poppiero della vela;
gola: angolo superiore prodiero di vela aurica, al terzo o al quarto;
angoli di inferitura: angoli superiori di vela quadra;
brancarelle: occhielli di cavo applicati al gratile e utilizzati per colle-
gare le varie parti della vela alle sue manovre; 2
- terzaroli: parti di vela sottratte all'azione del vento;
- matafioni dei terzaroli: spezzoni di sagoletta, fissati a doppino negli
occhielli a tal fine praticati nella tela.

a) scorrimento regolare V ►

b) inizio moti vorticosi

e) distacco

--- ~--

Flg. 9 • Orientamento delle vele.

2
Le vele moderne sono solitamente sprovviste di brancarelle tradizionali. Gli occhielli
che le sostituiscono sono definiti bugne.

394
4. Azione del vento sulle vele

L'azione che il vento esercita su una vela si identifica sostanzialmente


con una forza che costituisce la risultante delle singole azioni avvertibili in
ogni punto della tela.
Tale forza presenta le seguenti caratteristiche essenziali:
a) intensità variabile con la velocità del vento, con l'angolo sotto il qua-
le esso colpisce la vela e con la superficie di questa;
b) direzione sensibilmente sopravvento alla perpendicolare alla corda
dell'arco definito dalla sezione baricentrica orizzontale e punto di applica-
zione (centro di pressione) a un terzo circa della sua lunghezza misurata a
partire dal bordo anteriore.
Ciò premesso, riteniamo opportuno precisare che l'intensità della forza
agente sulla vela è tanto più grande quanto più grandi sono la superficie
della vela stessa e la velocità del vento, ma che questo rapporto di propor-
zionalità viene a mancare quando si considera l'angolo di incidenza del ven-
to sulla vela.
Sulla base di una vasta sperimentazione si può infatti affermare che, a
parità di superficie esposta, lo stesso vento esercita l'azione più intensa
quando colpisce la vela sotto un piccolo angolo di incidenza (fig. 9).
Ciò perché in tali condizioni si registra il massimo valore della depres-
sione che si forma sulla faccia sottovento e, conseguentemente, una azione
massima di risucchio che si valuta pari a tre volte la pressione esistente sul-
la faccia esposta al vento. Anche questa pressione assume il valore massi-
mo con piccoli angoli di incidenza in quanto il flusso che investe la vela non
viene sensibilmente rallentato dalla massa d'aria che torna indietro, per un
comunissimo fenomeno di riflessione, dopo aver urtato la superficie espo-
sta al vento.
Il maggiore rallentamento che il suddetto fenomeno di riflessione pro-
duce in ogni caso nel flusso d'aria diretto verso la parte poppiera della vela,
si traduce in una minore intensità della forza agente in questa zona ed è
quindi responsabile dello spostamento del centro di pressione verso il bordo
prodiero.

5. Effetti delle vele sulla barca

Che le vele producano altri effetti, in aggiunta a quello propulsivo, è


noto anche a coloro che non hanno alcuna dimestichezza con l'arte del na-
vigare.
Basta infatti osservare una barca che procede sotto vela per rendersi
conto che essa avanza con un sensibile sbandamento dalla parte opposta al
lato da cui proviene il vento. 3 Ed è sufficiente un minimo di esperienza

3 Lo sbandamento non sussiste quando la barca naviga con il vento in poppa.

395
per rilevare che le vele sono responsabili di uno scarroccio più o meno
cospicuo 4 e che alla loro azione deve essere addebitata anche la tendenza
orziera o la tendenza puggiera che caratterizza talvolta il moto della barca
e un effetto che tende a far immergere la prua o la poppa.
Anche senza inoltrarsi in considerazioni di carattere tecnico-nautico si
può dunque affermare che le vele producono gli effetti sottoindicati:
I. propulsione;
2. scarroccio;
3. sbandamento;
4. orzata oppure puggiata;
5. immersione della prora o della poppa.
Volendo risalire alle cause, bisogna esaminare separatamente gli effetti
prodotti dalle forze agenti su ciascuna vela.
Considerando una barca attrezzata a sloop, 5 osserviamo innanzitutto
che sulla randa agisce una forzaF1 (componente utile della forza del vento
apparente) che può essere ritenuta orizzontale, mentre sul fiocco agisce
una forza F 2 (anch'essa componente utile della forza del vento apparente)
diretta obliquamente verso l'alto.
La forza F 1 agente sulla randa può essere considerata la risultante del-
le forze A I e D 1, rispettivamente orientate in direzione longitudinale e in
direzione trasversale e responsabili dei seguenti effetti:
a) componente longitudinale A 1
l. la propulsione;
2. una immersione della prora, tanto maggiore quanto maggiore è l'al-
tezza del centro di pressione C1 sul centro di deriva Cd;
3. una orzata, tanto maggiore quanto maggiore è la distanza del centro
di pressione C 1 dal piano diametrale;
Fig. 10 -
Forze agenti sulle vele.

VENTO

4
Lo scarroccio scompare se si naviga con il vento in poppa.
5
Un albero, attrezzato per sostenere un solo fiocco e la randa.

396
b) componente trasversale D 1
1. lo scarroccio;
2. uno sbandamento, tanto maggiore quanto maggiore è l'altezza del
centro di pressione C1 sul centro di deriva Ca;
3. una orzata, tanto maggiore quanto maggiore è la distanza longitudi-
nale fra il centro di pressione C1 e il centro di deriva.
La forza F 2 agente sul fiocco ha una componente verticale S che deter-
mina un sollevamento della prora e una componente orizzontale F ' 2 che
può essere scomposta a sua volta in una componente longitudinale A 2 e in
una componente trasversale D 2 che producono i seguenti effetti:
a) componente longitudinale A2
1. la propulsione;
2. una immersione della prora, tanto maggiore quanto maggiore è l'al-
tezza del centro di pressione C2 sul centro di deriva Ca;
3. una orzata, tanto maggiore quanto maggiore è la distanza del centro
di pressione C2 dal piano diametrale;
b) componente trasversale D2
1. lo scarroccio;
2. uno sbandamento, tanto maggiore quanto maggiore è l'altezza del
centro di pressione C2 sul centro di deriva Ca;
3. una puggiata, tanto maggiore quanto maggiore è la distanza longitu-
dinale fra il centro di pressione C2 e il centro di deriva Ca.
A conclusione di questa rapida analisi delle forze in gioco e degli effetti
che esse producono merita rilevare che l'effetto orziero della componente
longitudinale della forza agente sul fiocco è di gran lunga inferiore a quello
puggiero della componente trasversale e che l'effetto appruante delle com-
ponenti longitudinali di entrambe le vele viene efficacemente contrastato
dall'effetto opposto prodotto dalla componente verticale della forza agente
sul fiocco.
La velatura deve essere distribuita in modo che il centro velico venga
a trovarsi a proravia del centro teorico di deriva se si desidera, com'è natu-
rale, assicurare l'equilibrio velico quando si procede con un sensibile sban-
damento. Ciò in quanto, in una barca che avanza sbandata e con uno scar-
roccio che la deriva può soltanto attenuare, ma non annullare, il centro di
deriva si sposta verso prora.

6. Stabilità sotto vela

Già sappiamo che la componente trasversale della forza utile del vento
produce anche uno sbandamento e che esso aumenta con l'aumentare del-
l'altezza del centro velico.
Avendo presente che la posizione del centro velico Cv risulta necessa-
riamente elevata, possiamo ora chiederci se sussiste il rischio che la barca
si rovesci quando il vento diviene impetuoso.
La risposta è senz'altro negativa in quanto (fig. 11):

397
- a mano a mano che aumenta l'angolo di sbandamento, diminuiscono
la forza utile del vento e l'altezza del centro velico; 6
- la stabilità della barca, ossia la sua capacità di resistenza alle azioni
inclinanti, aumenta con l'aumentare dell'angolo di sbandamento.
È quindi comprensibile che si stabilisca una situazione di equilibrio
quando si raggiunge un angolo di sbandamento in corrispondenza del quale
sono uguali l'azione inclinante del vento e l'azione raddrizzante della sta-
bilità.

---- ----- --------- -- - -,-- -- ·------- ---..

l
I
I
··--- -------···r·· -1-------- é----~ti
' • V :

Fig. 11 • Azione sbandante del vento (il momento sbandante diminuisce con l'aumentare dell 'angolo di
sbandamento perché decrescono l'intensità della forza sbandante e la distanza hk).

Tale equilibrio si verifica quando assumono lo stesso valore il momento


sbandante e il momento raddrizzante, ossia quando diventano uguali il pro-
dotto che si ottiene moltiplicando l'intensità della componente trasversale
della forza utile del vento per la sua distanza verticale dal centro di deriva
Cct e quello che si ottiene moltiplicando l'intensità della spinta idrostatica
S per la sua distanza orizzontale dal baricentro della barca.
Per quanto riguarda il momento raddrizzante o momento di stabilità
(quest'ultima definizione è la più usata), merita rilevare che esso, oltreché
dall'angolo di sbandamento e dalla spinta idrostatica, sempre uguale al peso
P della barca, dipende dalla posizione del centro di gravità o baricentro G
e dalle forme dello scafo (fig. 12).
È infatti evidente che la stabilità di una stessa barca aumenta se si di-
stribuiscono i pesi in modo da abbassare il suo baricentro, poiché così facen-
do si accresce il braccio della forza-spinta (lo stesso concetto può essere

6
La forza utile del vento diminuisce in quanto diminuisce la superficie effettiva (Se) del-
le vele quando queste sono inclinate rispetto al piano verticale (S0 = Sv cos a , dove a è I'an-
golo di sbandamento); il centro velico Cv si abbassa perché lo sbandamento avvicina le vele
al piano dell'orizzonte.

398
Fig. 12 - Momento di stabilità: aumenta con l'aumentare dell'angolo di sbandamento finché aumenta il
braccio GH della coppia peso-spinta (coppia di stabilità).

espresso dicendo che l'abbassamento del baricentro aumenta il braccio del-


la coppia peso-spinta, ossia delle due forze, applicate rispettivamente, nel
centro di gravità e nel centro di carena, che costituiscono la coppia di sta-
bilità),
È parimenti evidente che analogo risultato si ottiene assegnando allo
scafo forme atte a favorire un sensibile spostamento del punto di applica-
zione della spinta (centro di carena C) quando la barca si sbanda sotto l'azio-
ne del vento o del mare.
Ciò accade se è elevata la posizione di un altro punto, detto metacentro,
che si comporta come centro di curvatura della curva descritta dal centro
di carena (mentre la barca si inclina) e che può essere definito il punto in
cui la retta d'azione della spinta interseca il piano diametrale della barca
sbandata di un certo angolo.
Pur rinunciando a discutere le caratteristiche e il comportamento del
metacentro M , rileviamo che la sua altezza sul centro di gravità (altezza me-
tacentrica) si identifica sostanzialmente con il concetto di stabilità. Si dice
infatti che la barca ha una grande stabilità se il metacentro è ben al disopra
del centro di gravità, 7 mentre si parla di stabilità limitata se i due punti si
trovano a distanza piuttosto ravvicinata. 8 Se il metacentro venisse infine
a trovarsi al disotto del centro di gravità si parlerebbe di stabilità negativa
perché in tal caso si registrerebbe l'azione di un momento abbattente anzi-
ché raddrizzante.

7 Distanza superiore a 1,50 m circa.


8 Meno di 0,40 m circa.

399
7. Governo e manovra di una barca a vela

II timone svolge, come sappiamo, una funzione insostituibile per il go-


verno e la manovra di una barca, ma non bisogna dimenticare che nelle bar-
che a vela la sua azione può essere sensibilmente ostacolata dalle vele oppu-
re favorita da una appropriata distribuzione delle stesse.
Pertanto, sia che si voglia assicurare alla barca un buon governo (nessu-
na tendenza a orzare o a puggiare), sia che si voglia assicurare la pronta
riuscita delle manovre che si rendono di volta in volta necessarie (virate op-
pure abbattute, o semplici orzate, o semplici puggiate), occorre agire sulle
vele oltreché sul timone.
Per quanto riguarda le manovre più significative valgono le considera-
zioni che seguono.
Virata - si ottiene effettuando le seguenti operazioni (fig. 13):
1. si viene dolcemente all'orza, fino ad assumere l'andatura di bolina
stretta, portando leggermente la barra sottovento e bordando le vele nella
misura necessaria ad evitare perdita di velocità;
2. si aumenta l'angolo di barra e si molla la scotta del fiocco quando
questo comincia a sbattere;
3. non appena la barca comincia a puggiare sulle nuove mure (dopo es-
sere risalita con la prua al vento, grazie alla sua inerzia di rotazione), si alla-
sca leggermente la scotta della randa e si cazza la scotta di sottovento del
fiocco (quando si tratta di grandi fiocchi può essere opportuno aiutare il
loro passaggio sull'altro bordo);
4. giunta la barca sulla nuova andatura, si regola la posizione delle vele,
cazzando o allascando opportunamente le scotte.
Strambata o abbattuta - si ottiene effettuando queste operazioni (fig. 14):
1. si viene alla puggia, agendo sul timone e filando contemporaneamen-
te le scotte delle vele, fino a portare la barca sull'andatura di vento in
poppa;
2. governando con il vento rigorosamente in poppa, si cazza la scotta
della randa per avvicinare quest'ultima, quanto più è possibile, al piano dia-
metrale;
3. si fa strambare la vela, ossia la si fa passare sull'altro lato della bar-
ca, con una ulteriore accostata;
4. si fila rapidamente la scotta della randa e si agisce sul timone per
neutralizzare la forte tendenza orziera della barca;
5. si cambia la scotta del fiocco e si mette il timone all'orza per assume-
re l'andatura desiderata;
6. si regolano opportunamente le vele sulle nuove mure, cazzando o fi-
lando le scotte.
Mettersi in panna - questa particolare manovra, consistente nell'immo-
bilizzare la barca 9 su di una mura ed una prora ben determinate, senza

9
L'espressione «mettersi in panna», caratteristica delle navi a vela, sta ad indicare che
si arresta temporaneamente il moto in avanti.
I moderni velisti preferiscono evidenziare questa situazione con l'espressione «mettersi
alla cappa», pur non ignorando che la «cappa» è, nel linguaggio marinaresco tradizionale, l'an-
datura di una nave che affronta un fortunale.

400
VENTO

(!)
42
Fig. 13 - Virata. Fig. 14 - Abbattuta o strambata.

ammainare o far sbattere alcuna vela, si ottiene effettuando le seguenti


operazioni:
a) si controborda il fiocco; 10
b) si borda la randa come richiesto per l'andatura di bolina larga;
c) si mette il timone all'orza; sotto l'azione opposta della randa (che por-
ta) e del fiocco (a collo), la barca si ferma scarrocciando nel letto del vento
oppure scarroccia conservando anche un debolissimo abbrivo in avanti; se
si rileva una tendenza a puggiare si allasca un poco la scotta del fiocco op-
pure si cazza leggermente la scotta della randa; se la barca in panna tende
invece a orzare, si allasca leggermente la scotta della randa oppure si cazza
un poco la scotta del fiocco.
Andare all'ancoragg_io - scelto il punto più appropriato per dar fondo

10
Per controbordare il fiocco, si può eseguire una virata senza mollare la sua scotta, op-
pure passare il fiocco sull'altro bordo, mantenendo la stessa mura e regolando opportunamen-
te le scotte.

401
l'ancora, e preparata quest'ultima con il relativo ormeggio (catena o cavo),
si effettuano le seguenti operazioni:
a) per dar fondo con il vento in prua: si porta la barca sottovento al pun-
to prescelto, con andatura di vento al traverso; si orza rapidamente e si
porta la prua al vento, con la scotta della randa completamente filata; quan-
do la barca si arresta, si ammaina il fiocco e si dà fondo l'ancora; mentre
la barca retrocede (sospinta dal vento), si allasca la catena o il cavo d'or-
meggio dell'ancora fino ad avere fuoribordo una lunghezza di catena o di
cavo sufficiente ad assicurare una buona tenuta (la lunghezza della catena
filata fuoribordo deve essere pari a 5-6 volte la profondità);
b) per dar fondo con il vento in poppa (solo se il vento è molto debole):
si ammaina la randa sopravvento al punto prescelto per l'ancoraggio, quin-
di si puggia per far assumere alla barca l'andatura di vento in poppa; giunti
sul punto di ancoraggio, si dà fondo e si ammaina il fiocco, filando contem-
poraneamente e liberamente la catena; la barca continua ad andare avanti
finché, filata fuoribordo una sufficiente lunghezza di catena, non si richia-
ma la prua al vento facendo testa sull'ancora.
Ormeggiarsi a un corpo morto - si porta la barca sottovento al gavitello
del corpo morto con andatura di vento al traverso, si orza rapidamente e
si porta la prua al vento filando contemporaneamente tutte le scotte; si
sfrutta l'abbrivo residuo per agganciare il gavitello con la gaffa, poi si pas-
sa il cavo d'ormeggio nel suo anello (in caso di necessità si può arrivare sul
gavitello con qualsiasi andatura, sfruttando l'abbrivo che l'imbarcazione
conserva con le vele ammainate).

402
Indici
INDICE DEI NOMI

arrestatoio, 273.
A arridatoi, 198.
asse portaelica, 70,
acciai a elevata resistenza, 48. assiometro, 318.
acciai dolci, 45. astuccio, 70.
acciai ordinari, 48. autoclave, 340.
agghiaccio, 303.
agghiacci a palrnole, 3 IO.
agghiacci flessibili, 304.
agghiacci idraulici, 309. B
agghiacci rigidi, 306.
agugliotti, 298. bacini di carenaggio galleggianti, 381.
alberetto, 210. bacini di carenaggio in muratura, 381.
albero a portico, 214. bacini di costruzione, 369.
albero a traliccio, 216. bacino autocarenabile, 382.
albero a trave, 209. bagli, 116.
albero bipode, 214. barcarizzi, 87.
albero Creen, 215. barrotti, 118.
albero Hallen, 215. barra, 296.
albero monofusto, 212. battagliola, 88.
albero Stiilcken, 214. battello-porta, 378.
albero tripode, 215. bertocci, 198.
albero tubolare, 209. bigotta, 193.
alette di rollio, l08. biscaglina, 90.
altezza, 152. bitte, 278.
amante doppio, 201. boccaportelli, 79.
amante semplice, 199. boccaporti, 78.
amante senale, 201. bocche di rancio (o di tonneggio), 275.
amantiglio, 220. bolzone, 159.
anche, 64. bordo libero, 66.
ancora a fungo, 247. bozza, 281.
ancora a marre articolate, 240. bozza della catena, 274.
ancora a marre fisse, 239. bozzelli, 189.
ancora Ammiragliato, 242. Butterworth, 232.
ancora comune, 242.
ancora di corrente, 251.
ancora di posta, 250.
ancora di speranza, 251. e
ancora galleggiante, 247.
ancora Hall, 246. calafataggio, 51.
ancora Inglefield, 246. cale, 67,
ancora Langston, 247. calorna, 200.
ancora Martin, 245. candelieri, 88.
ancora security, 244. capodibanda, 88.
ancora Trotman, 245. caratteristica di fiducia, 18.
ancoressa, 243. caratteristica di navigazione, 19.
anguille, 119. carena, 61.
apparecchi galleggianti , 359. cassa del bozzello, I 89,
apparecchio, 20 I. casse di servizio, 339.
argani di tonneggio, 276. casse di zavorra, 74.
argano a salpare, 271. casse per l'acqua potabile,. 339.
armamento marinaresco, 250. casseri, 97.

405
cassero centrale, 98. doppio fondo, 71.
cassero di poppa, 98. dragante, 13 I.
castagnole, 197. dritto a t.elaio, 129.
castello di prua, 97. dritto dell'elica, 129.
categorie di navi, 22. dritto del timone, 129.
cavi metallici, 167. dritto di poppa, 64.
cavi misti, 169. dritto di prua, 64.
cavi sintetici, 169.
cavi vegetali, 167.
caviglie, 197.
celata, 94. E
celle frigorifere, 337.
centrale di caricazione, 235 elica-timone, 301.
centro di pressione del timone, 285. eliche di manovra, 302.
ceppo, 241. effetti del timone, 286.
chiglia, 107. EPIRB, 356.
equipaggiamenti antincendio, 352.
chiodatura, 53. estintori, 349.
cianfrinatura, 56. estrattori, 83.
cicala, 240. evaporatori-distillatori, 339.
cielo del doppio fondo, 72.
cinture di salvataggio, 361.
cisterna d'assetto, 67.
F
cisterne di decantazione, 232.
cisterne di zavorra, 74. fasciame, 45.
classificazione dei cavi, 173.
fasciame dei ponti, 137.
classificazione delle navi, 18.
fasciame delle paratie, 139.
cocche, 186.
fasciame di carena, I 35.
coefficiente di finezza, 164.
fasciame di murata, 13 5.
cofano, 76.
femminelle, 298.
coffa, 211. ferro, 244.
cofferdams, 75. fianchi, 63.
colonne di carico, 214.
filare per occhio, 250.
condotte di ventilazione, 333. finestrini, I00.
controfasciami, 138.
fondo, 63 .
copertini, 66.
formaggetta, 209.
coppia evolutiva, 287.
foro della botte o del barilotto 70.
coronamento, 64.
frenatura, 378.
correnti, 112. frenello, 304.
correnti dei fianchi, 116. freno, 318.
correnti di paratia, 122. fuso, 240.
correnti di sottoponte, 120.
corridoi, 69.
corrosione, 51.
costole, 114. G
costole deviate, 132.
gagliotte, 118.
cubie, 265.
galleggiabilità, 41.
galleggianti, 18.
galleria della linea d'assi, 70.
gallocce, 197.
o gambetti, 195.
ganci, 195.
deadweight, 66. gassa, 186.
deep tanks, 74. gavoni, 67.
degassificazione, 233. gherlini, 176.
depositi, 67. ghìa doppia, 200.
depositi per combustibile, 74. ghia semplice, 199.
depositi per l'acqua di lavanda, 340. ghie, 176.
depositi per l'acqua di macchina, 340. giardinetti, 64.
depositi per zavorra, 74. ginocchio, 64.
dislocamento, 41. giropilota, 317.
dolcezza di oscillazione, 43. golfari, 197.

406
gomene, 176.
gomenene, 176. M
grado di compensazione del timone, 297.
grappino. 244. macchina frigorifera, 336.
grilli, 195. madieri, 114.
grippia, 250. maglia Kenter, 248.
griselle, 78. maglie capitesta, 248.
gru, 224. maglie comuni, 248.
guida, 371. maglie ingrossate, 248.
maniche a vento, 83.
manifolds, 225.
maniglie, 194.
maniglie d'unione, 248.
ILO, 9. maniglione d'ancora, 248.
imbarcazioni. 17. maniglione. 195.
imbarcazioni di salvataggio, 354. manovrabilità, 43.
immersione, 153. manovre correnti, 174.
IMO, 6. manovre degli alberi, 210.
impermeabilità, 42. manovre dei bighi, 220.
impianti a circolazione di acqua calda, 335. manovre fisse, 174.
impianti ad aria calda, 335. mantello-timone Kart, 300.
impianti automatici di rivelazione degli marche di bordo libero, 159.
incendi, 344. marche di sorveglianza, 20.
impianti di condizionamento dell'aria, 338. marre, 240.
impianti frigoriferi, 336. masconi, 64.
impianto di esaurimento, 327. mastra, 83.
impianto di estinzione a gas inerte, 348. mastra del boccaporto, 79.
impianto di estinzione a schiuma, 349. materiali usati per la costruzione delle navi,
impianto di estinzione a idrocarburi 45.
alogenati, 349. mezzibagli, 118
impianto di estinzione ad acqua, 347. rnezzocassero, 99
impianto di estinzione ad acqua polveriz- minutenze, 176.
zata, 348. modulo d'armamento, 251.
impianto di sentina, 327. modulo dell'ancora, 254.
impiombatura, 186. molinelli salpancore, 268.
interponti, 69. momenti flettenti, 144.
intervallo di ossatura, 115. momento di raddrizzamento, 287.
invasatura, 372. momento evolutivo, 287.
istituti di classificazione, 18. momento torcente, 293.
montanti, 121.
morsetti, 195.
L

lamiere, 46. N
lampada per segnalazioni diurne, 363.
lanciasagole, 361. navi, 17.
larghezza, 152.
leghe leggere, 46.
legnali, 169.
linea d'assi, 70. o
linea di costruzione, 152.
linea di insellatura (o cavallino), 159. oblò, 87.
linea retta del baglio, 152. occhi del pozzo delle catene, 93.
linee d'acqua, 62. occhi superiori delle cubie, 92.
locale apparato motore, 70. occhio di cubìa, 92.
locale macchina del timone, 67. ombrinali, 82.
locale ventilatori, 333. opera morta, 62.
locali delle pompe, 76. opera viva, 61 .
lunghezza, 151. ordinate, 60.
lunghezza di catena, 247. ormeggi, 173.
lupa, 328. ossature, 45.

407
osteriggi, 76. prora, 61.
ostino, 220. protezione a gas inerte, 234.
prova di caduta dell'ancora, 255.
prova di martellamento dell'ancora, 255.
p prova di resistenza dei cavi, 178.
prova di trazionamento delle catene al
pagliolo della stiva, 72. carico di prova, 260.
paramezzale, 109. prova di !razionamento delle catene al
paranchi, 200. carico di rottura, 260.
paranco su paranco, 201. prova di trazione dell'ancora, 255.
paratia di collisione, 65. puleggia, 189.
paratia di poppa (o del pressatrecce), 65. puntelli, 120.
paratie, 64.
paratie corrugate, 139.
R
paratie terminali, 100.
parte dritta, 59. rampino, 244.
parte maestra, 60. redance, 194.
parte poppiera, 60.
refrigerazione delle stive, 337.
parte prodiera, 60. registri di classificazione, 11.
parte sinistra, 59.
rendimento del sistema funicolare, 201.
passacavi, 91. repulsori, 318.
passamani, 88. rientrata, 161.
passi d'uomo, 79. rimorchi, 174.
pastecca, 193.
paterazzi, 210. R.I.Na,11.
paternostri, 198. rinforzi di palpitazione, 132.
perno del bozzello, 189. riscaldamento del carico, 231.
pescaggi, 15 3 . rivestimenti, 138.
pescante, 221. robustezza, 42.
pezzi massicci, 46. rullo avvolgicavo, 186.
piano diametrale, 59. ruota a caviglie, 283.
piano di galleggiamento, 62. ruota di cavo, 185.
picco di carko, 212. ruota di prua, 64.
picco di forza, 215.
piede dell'albero, 209.
pigna, 73. s
pilota automatico, 317.
pinna di sostegno, 298. sagola, 176.
pinne stabilizzatrici, 94. sala nautica, 96.
pompe di sentina, 327. saldatura, 54.
pompe per lo stripping, 230. salvagente, 360.
pompe principali, 226. sartie, 210.
ponte di bordo libero, 66. sbocchi del condotto dell'elica di manovra,
ponte di coperta, 66. 93.
ponte di forza, 66. sbocchi del pozzo delle catene, 93.
ponte di tuga, 100. scafo, 44.
ponte principale, 65. scalandrone, 90.
ponti, 64. scale dei pescaggi, 1.53,
ponti di sovrastruttura, 65. scale delle portate, 155.
poppa, 61. scale di solidità, 155.
portata, 66. scale reali, 88.
portata lorda, 157. scali-bacini, 378.
portata netta, 157. scali di alaggio, 383.
porte stagne, 124. scali di costruzione, 369.
portelloni di imbarco, 88. scalmotti, 79.
pozzetto di sentina, 72. scarichi fuori bordo, 82.
pozzo delle catene, 67. scassa, 83.
prese dal mare, 92. scorrimento a secco, 374.
pressatrecce, 71. scorrimento in acqua, 375.
prevenzione degli incendi, 343. scorrimento in acqua con rotazione, 377.
profilati, 46. segnali di soccorso, 363.

408
sentina, 72. telemotori idraulici, 315.
servomotore, 303. telemotori meccanici, 314.
servomotore elettrico, 312. testa dell'ancora, 241.
servomotore elettroidraulico, 312. timone, 283.
servomotori a vapore, 311. timone attivo, 300.
sezione maestra, 60. timone ausiliario, 302.
sezioni longitudinali, 59. timone compensato, 293.
sezioni orizzontali, 62. timone Costa, 300.
sezioni trasversali, 60. timone Flettner, 300.
sfoghi d'acqua, 91. timone Hoertz, 300.
sfoghi d'aria e gas, 85. timone ordinario, 286.
sforzi di taglio, 144. timone parzialmente sospeso, 299.
sforzi locali, 143. timone simplex, 300.
sforzi longitudinali, 141. timone sospeso, 299.
sforzi trasversali, 142. timoneria, 67.
sistema anulare, 227. tipi di navi, 23.
sistema cow, 232. tornichetti, 198.
sistema di distribuzione a corrente traverse, 122.
costante, 366. trefoli, 170.
sistema diretto, 228. trincarini, 120.
sistema free-flow, 227. trombe di ventilazione, 83.
sistema per la distribuzione a tensione tubazioni di sentina, 327.
costante, 366. tubazioni per lo stripping, 230.
slop-tanks, 232. tubazioni principali, 226.
sistemi funicolari, 199. tubi, 46.
sovrastrutture, 44. tubi di sonda, 86.
sovrastrutture complete, 95. tughe, 99.
sovrastrutture incomplete, 95. tunnnel della linea d'assi, 70.
spagnola, 221.
specchio, 64.
stabilità, 42.
stabilità di rotta, 43. V
stazione antincendio, 352.
stazione di governo, 96. valvole Kingston, 92.
stazza, 165. varo, 373.
stellatura, 16 l. velocità, 43.
stive, 69. ventilazione forzata, 331.
stragli, 210. ventilazione naturale, 331.
stripping, 232. verricelli autormeggianti, 279.
stroppo, 191. verricelli di tonneggio, 276.
strozzatoio, 274. visite di classe, 29.
struttura dei cavi, 169. volta, 64.
struttura longitudinale, 106. volte, 186.
struttura mista, 106.
struttura trasversale, 105.
suole, 371.
w
svasatura, 161.
WHO, 10.

T
z
taccate, 371.
tanche, 75. zattere autogonfiabili, 356.
telemotore, 303. zattere rigide, 358.
telemotori elettrici, 316. zavorra, 7 I.

409
INDICE GENERALE

1. NORMATIVE DI SICUREZZA E SALVAGUARDIA 5


1. Generalità, 5; 2, IMO - Organizzazione Marittima Inter-
nazionale, 6; 3. ILO - Organizzazione Internazionale del La-
voro, 9; 4. WHO o OMS - Organizzazione Mondiale della
Sanità, IO; 5. Registri di classificazione, 11; 6 Registro Ita-
liano Navale (R.l.Na), 11; 7. Convenzioni internazionali per
la salvaguardia della vita umana in mare, 13; 8. Normative
italiane, 14; 9. Normative sulla nautica da diporto, 15.

2. NOZIONI GENERALI 17
1. Definizioni, 17; 2. Classificazione delle navi, 18; 3. Sud-
divisione delle navi ai fini della classificazione, 22; 4. Suddi-
visione delle navi secondo il regolamento di sicurezza, 35; 5.
Qualità essenziali delle navi, 41; 6. Qualità nautiche delle navi,
42; 7. Parti principali della nave, 44; 8. Materiali usati per
la costruzione delle navi, 45; 9. Acciai da scafo e relative ca-
ratteristiche, 47; 10. Vantaggi e svantaggi delle costruzioni
in acciaio, 49; 11 Collegamenti e calafataggio, 51; 12 Van-
taggi della saldatura, 55.

3. LO SCAFO 59
1. Forma e suddivisione generale, 59; 2. Suddivisione inter-
na, 67; 3. Aperture praticate sui ponti e sul fondo interno,
77; 4. Aperture dei fianchi, dell'estrema prora e dell'estre-
ma poppa, 87.

4. LE SOVRASTRUTTURE 95
1. Generalità, 95; 2. Sovrastrutture complete, 96; 3. Casseri,
97; 4. Mezzocassero, 99; 5. Tughe, 99; 6. Aperture nelle parti
di sovrastruttura, 100.

5. LE OSSATURE 105
1. Generalità, 105; 2. Sistemi di costruzione, 105; 3. Ossatu-
re del fondo, l07; 4. Ossature dei fianchi, 114; 5. Ossature
dei ponti, 116; 6. Puntelli e paratie, 120; 7. Ossature della
prora e della poppa, 126.

6. IL FASCIAME 133
1. Generalità, 133; 2. Suddivisione generale del fasciame, 134;
3. Fasciame esterno, 134; 4. Fasciame dei ponti, 137; 5. Fa-
sciame delle paratie, 139; 6. Fasciame interno, 140.
7. LA ROBUSTEZZA DELLE NAVI 141
1. Generalità, 141; 2. Robustezza longitudinale, 143.

8. ELEMENTI GEOMETRICI DELLO SCAFO 151


I . Dimensioni principali, 151; 2. Immersioni e pescaggi, 153;
3. Bordo libero, 157; 4. Bolzone del baglio, 159; 5. Linea di
insellatura o cavallino, 159; 6. Stellatura - Svasatura - Rien-
trata, 160; 7. Coefficienti dì finezza, 164.

9. TONNELLAGGIO 165
1. Generalità, 165; 2. Tonnellaggio delle navi, 166.

10. I CAVI 167


1. Generalità, 167; 2. Struttura dei cavi, 169; 3. Classifica-
zione dei cavi, 173; 4. Resistenza dei cavi, 177; 5. Conside-
razioni di ordine pratico, 184.

11. BOZZELLI E ACCESSORI 189


1. Bozzello e sue parti, 189; 2. Tipi di bozzelli, 192; 3. Ac-
cessori vari, 194.

12. SISTEMI FUNICOLARI 199


1. Generalità, 199; 2. Nomenclatura dei sistemi funicolari,
199; 3. Vantaggi derivanti dall'impiego dei sistemi funicola-
ri, 201; 4. Formule dì Grenet e di Knight, 203.

13. ALBERATURA DELLE NAVI 209


I. Generalità, 209; 2. Tipi di alberi e loro nomenclatura, 213.

14. SISTEMAZIONI PER LA MANOVRA DEL CARICO 219


1. Generalità, 219; 2. Picchi di carico, 220; 3. Gru, 224.

15. SISTEMAZIONI PER LA MANOVRA DEI CARICHI


LIQUIDI 225
1. Generalità, 225; 2. Sistema di tubazioni e pompe princi-
pali, 226; 3. sistema di tubazioni e pompe per lo stripping,
230; 4. Impianti per il riscaldamento del carico, 231; 5. Im-
pianto per il lavaggio delle cisterne, 231; 6. Impianti di de-
gassificazione, 233; 7. Sistemi automatizzati, 234.

16. ANCORE E CATENE 239


1. Generalità, 239; 2. Parti di un'ancora a marre fisse, 240;
3. Parti di un'ancora a marre articolate, 241; 4. Tipi dian-
core a marre fisse, 241; 5. Tipi di ancore a marre articolate,
245; 6. Ancore speciali, 247; 7. Catene delle ancore, 247; 8.
Dotazione di ancore e catene, 250; 9. Materiali - Proporzio-
namento - Collaudi delle ancore, 253; 10. Materiali -
Proporzionamento - Collaudi delle catene, 257; 11. Massa
e ingombro delle catene, 263.

412
17. SISTEMAZIONI PER L'ORMEGGIO 265
l. Generalità, 265; 2. Cubìe, 265; 3. Pozzo delle catene, 266;
4. Macchine per salpare, 268; 5. Mezzi di ritenuta e di arre-
sto, 273; 6. Passacavi e bocche di rancio, 274; 7. Apparecchi
di tonneggio, 276; 8. Bitte, 280.

18. IL TIMONE 283


l. Generalità, 283; 2. Pressione sul timone, 285; 3. Effetti
del timone, 286; 4. Superficie del timone, 292; 5. Momento
torcente, 293; 6. Parti del timone, 295; 7. Criteri di installa-
zione del timone, 297; 8. Tipi di timoni, 299.

19. SISTEMAZIONI PER LA MANOVRA DEL TIMONE 303


I. Generalità, 303; 2. Agghiaccio, 303; 3. Servomotore, 311;
4. Telemotore, 314; 5. Indicatori di barra, scontri, freno, 318;
6. Pilota automatico, 318; 7. Norme regolamentari, 326.

20. SERVIZI DI SENTINA E ZAVORRA 327


1. Servizi dì sentina, 327; 2. Servizi di zavorra, 329.

21. IMPIANTI DI VENTILAZIONE 331


l. Generalità, 331; 2. Ventilazione delle stive, 331; 3. Venti-
lazione degli alloggi e dei locali pubblici e di servizio, 333.

22. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO, REFRIGERAZIONE,


CONDIZIONAMENTO 335
l. Impianti di riscaldamento, 335; 2. Impianti di refrigera-
zione, 335; 3. Impianti di condizionamento, 338.

23. SERVIZI PER L'ACQUA DOLCE. 339


I. Generalità, 339; 2. Depositi, tubazioni e pompe, 339; 3.
Sistemi di distribuzione, 340; 4. Rifornimenti, 342

24. SERVIZI ANTINCENDIO 343


1. Generalit à, 343; 2. Prevenzione e circoscrizione degli in-
cendi, 343; 3. Rivelazione degli incendi, 344; 4. Estinzione
degli incendi, 347.

25. MEZZI DI SALVATAGGIO 353


I. Generalità, 353; 2. Imbarcazioni di salvataggio, 354; 3.
Zattere di salvataggio, 356; 4. Apparecchi galleggianti, 359,
5. Salvagente anulari, 360; 6. Cinture di salvataggio, 361; 7.
Apparecchi lanciasagole, 361; 8. Dispositivi per l'emissione
di segnali di pericolo, 361.

413
26. IMPIANTI ELETTRICI . 365
1. Generalità, 365; 2. Generatori e sistemi di distribuzione
della corrente, 366; 3. Caratteristiche generali e sicurezza, 366.

27. SCALI E BACINI DI COSTRUZIONE . 369


1. Generalità, 369; 2. Scali di costruzione, 369; 3. Invasatu-
ra, 372; 4. Varo, 373; 5. Bacini di costruzione, 378.

28. BACINI DI CARENAGGIO E SCALI DI ALAGGIO 381


1. Generalità, 381; 2. Bacini di carenaggio, 381; 3. Scali di
alaggio, 383.

APPENDICE
CENNI SULLA PROPULSIONE VELICA 387
1. Terminologia, 387; 2. Organi di propulsione delle barche
a vela, 389; 3. Tipi di vele, 390; 4. Azione del vento sulle ve-
le, 395; 5. Effetti delle vele sulla barca, 395; 6. Stabìlità sot-
to vela, 397; 7. Governo e manovra di una barca a vela, 400.

Indice dei nomi 405

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