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SEMINARIO “STORIA SULLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA” (Inizio 18/01/2024)

Primo carcere in Italia a Melfi, provincia di Potenza, nel 1860 per i contadini che non volevano andare a fare
i militari (in quanto non ne condividevano il motivo e la ragione non sentendosi parte dell’Italia Unita).

Per i detenuti si parla di risocializzazione e di riabilitazione e non di rieducazione. Serve la capacità di


lavorare con e non su, comprendere il percorso risocializzativo da intraprendere.

26/01/2024 Presente a lezione: Massimiliano Anania (ex detenuto per furto, faceva parte di una batteria)

Massimo d’Azeglio, primo ministro del Regno di Sardegna, disse “Fatta l’Italia, si sono dovuti fare gli italiani”.
Questa affermazione non poteva essere più profetica in quanto a partire dalla proclamazione del Regno
d’Italia, 17 marzo 1861, fino al 1865 nelle province meridionali esplose un movimento di rivolta, dopo
l’entusiasmo del movimento risorgimentale, cioè il brigantaggio. Questo movimento di rivolta non era una
novità in quanto il Sud Italia, a partire dal diciottesimo secolo, soffriva la presenza di bande di criminali.
Questi criminali furono a volte anche ingaggiati per partecipare in rivolte armate e controrivoluzioni
(Esercito Santa fede, criminali chiamati Sanfedisti, truppa armata antigiacobina). Già da qui le modalità di
intervento del potere statale, riprese poi dal sabaudo Enrico Cialdini, erano crudeli.

Nel brigantaggio postunitario vedremo il fiorire di bande più o meno numerose tra la Campania, Basilicata e
Puglia. Inizialmente le masse contadine, entusiaste sia per Garibaldi, sia per le sue promesse di
miglioramento sociale ed economico e sia per la sua frase “la terra ai contadini”, provarono e rivendicare gli
appezzamenti di terra su cui lavoravano (così da passare da una situazione di subalternità ad una di
proprietà). Ma ben presto queste promesse si rivelarono illusorie per i contadini e, come nel ben noto
episodio di Bronte, le occupazioni contadine si concludono con una sanguinosa repressione attuata dalle
stesse truppe in camicia rossa (Nino Bixio). Così il sud cadde in uno stato di povertà, degrado e
disoccupazione. Il dissolvimento dell’esercito borbonico spinse anche sottufficiali e soldati a darsi al
brigantaggio e così fu necessario l’impiego massiccio della forza attraverso l’invio al Sud di truppe guidate
dal generale Enrico Cialdini. Le leggi imposte alle masse contadine, come l’imposta sul macinato e la leva
obbligatoria, non fanno che spingere i contadini impoveriti verso le montagne, dove si uniscono alle bande
già esistenti (criminali comuni, contadini disperati, renitenti alla leva, soldati del disciolto esercito
borbonico).

Lo scontro tra i briganti e le truppe dello Stato italiano si andò configurando come una vera e propria guerra
civile, soprattutto quando Garibaldi, partendo dalla Sicilia, decise di liberare Roma dal governo pontificio.
Garibaldi però fu fermato in Aspromonte e nel 1862 fu decretato lo stato d’assedio nel Mezzogiorno che
durò fino a novembre. Questo stato di assedio si rivelò, però, inefficace e venne istituita una commissione
d’inchiesta composta da nove deputati che percorsero le province dove era più presente il brigantaggio e
osservarono luoghi e condizioni di vita dei contadini che, secondo Nino Bixio, erano in ritardo di almeno tre
secoli sul resto d’Italia. Nella Camera, a questo punto, venne presentata una relazione per cercare di
risanare i paesi del sud attraverso la diffusione dell’istruzione pubblica, costruzione di strade, ecc. Ma tutti
sapevano che però ci sarebbe voluto troppo tempo e per non rischiare di perdere il Mezzogiorno si ricorse
ad una legislazione eccezionale attraverso cui legalizzare ancora una volta la repressione cioè la “Legge
Pica”. Questa legge era incostituzionale e divideva in due l’Italia: centro, nord e tutte le regioni del
Meridione (Italia Unita già separata). La legge stabiliva che poteva essere qualificato come brigante
chiunque fosse stato trovato armato in un gruppo di almeno tre persone. Inoltre, venne concessa la facoltà
di istituire delle milizie volontarie per la caccia ai briganti e vennero stabiliti dei premi in denaro per ogni
brigante arrestato o ucciso. Chi si opponeva con armi all’arresto veniva punito con la fucilazione o con in
lavori forzati a vita. In queste province, definite infette, vennero anche istituiti dei consigli inquisitori che
avevano il compito di diffondere delle liste con i nomi dei briganti sospettati e, inoltre, questa lista era una
vera e propria prova di accusa. In generale questa legge fa numerosi morti perché i giovani soldati non
erano "esperti".
Il più celebre dei briganti è sicuramente Carmine Crocco (Lucano, classe 1830). Autobiografia: come divenni
brigante, pubblicata nel 1906. In età adulta si mette a capo di una rivolta guidando numerosi soldati
sbandati dell’esercito borbonico e contadini armati. Imprigionato, evade dal carcere e crea una banda. Dopo
il 1870 Crocco viene catturato, processato e condannato a morte, Poco dopo la pena verrà modificata nei
lavori forzati a vita. Morirà nel 1905 in carcere. Ricordiamo anche un colpo di scena nella vita di Crocco cioè
l’incontro, nell’ottobre 1861, con il carlista spagnolo José Borges inviato dal generale Tommaso Clary per
restaurare l’autorità e l’ordine di Francesco II con l’aiuto dei mille uomini della banda di Crocco. Tra i due
però non ci fu mai quella intesa e collaborazione sperata. Nonostante ciò, Crocco, decise di collaborare
pensando di riuscire a conquistare più territori in quanto a Crocco quello che interessava era il potere e la
ricchezza. Questa collaborazione, anche con Augustin de Langlais, era caratterizzata da gelosia e diffidenza e
infatti terminò nell’inverno del 1861-1862. Crocco si ritirò nella foresta del Melfese mentre Borges tentò di
raggiungere lo Stato della Chiesa per informare i suoi superiori delle difficoltà dell’impresa. Però, presso
Tagliacozzo, venne fucilato. Così il brigantaggio politico ridiventò criminalità comune.

Un altro brigante fu Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco che riesce a sconfiggere i cavalleggeri
tagliando la testa al capitano. Aumenta così il terrorismo nei confronti dei cavalleggeri con la forza di Nanco.
Nel 1864 Ninco Nanco, mentre scendeva nel paese dalle montagne per andare a trovare sua madre malata,
venne ucciso in quanto Enrico Cialdini venne avvisato e per questo lo “minacciò” dicendogli “se non esci da
casa, quest’ultima non verrà bruciata”. Ninco Nanco uscì, venne ucciso e il suo corpo venne messo su un
asino e lasciato girare per tre giorni per le strade dei paesi. “Sarà una spina nel fianco quando muore ninco
nanco", questa canzone rappresenta la storia della nascita del carcere in Italia.

Eric Hobsbawn, celebre storico inglese di scuola marxista, interpreta il brigantaggio come exemplum del
banditismo sociale, lui vede il brigantaggio come una forma di ribellione individuale o di minoranza
all’interno delle società rurali.

Libro di Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli”

Questo testo contiene un'analisi dettagliata sull'opera "Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi e
sull'importanza del brigantaggio nella memoria e nella cultura della Basilicata. L'opera di Levi offre uno
spaccato sociale della regione meridionale e del fenomeno del brigantaggio, che viene visto non solo come
un evento storico, ma anche come un mito che permea la vita e la coscienza della popolazione locale. Levi
presenta il brigantaggio come una guerra contadina, in cui i briganti vengono idealizzati come difensori
della libertà e della vita della plebe rurale contro lo Stato. Questo aspetto mitico ha prevalso sull'aspetto
storico del brigantaggio nel corso del tempo, trasformando il fenomeno in una sorta di leggenda che
continua a influenzare la cultura e l'identità della regione. Successivamente, il brano menziona
un'evoluzione nel modo in cui il brigantaggio è stato trattato, passando da una mitizzazione inconscia da
parte dei contadini a un uso strumentale del fenomeno a fini politici e turistici. Si nota che dopo l'opera di
Levi e fino alla pubblicazione dei primi saggi di Tommaso Pedìo negli anni '60, non ci sono stati significativi
interventi sull'argomento del brigantaggio lucano, se non alcuni studi antropologici e sociologici condotti
sulla Basilicata. Infine, viene menzionato il lavoro di Saverio Cilibrizzi, che si è laureato in giurisprudenza a
Napoli e ha condotto studi storici sul Risorgimento italiano e sulla storia italiana del Novecento, culminati
nella pubblicazione di opere come "Il pensiero, l'azione e il martirio della città di Napoli nel Risorgimento e
nelle due guerre mondiali" tra il 1961 e il 1968.

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