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Modelli mentali.

«I modelli mentali» sono ipotesi profondamente radicate, generalizzazioni, o anche figure


o immagini che influenzano il modo in cui comprendiamo il mondo e il modo in cui agiamo. Spessissimo, noi
non siamo consciamente consapevoli dei nostri modelli mentali o degli effetti che essi hanno sul nostro
comportamento.

Lavorare con i modelli mentali è una disciplina che inizia «voltando lo specchio» verso l’interno; imparando
a scoprire le nostre rappresentazioni interne del mondo, a portarle in superficie e a tenerle sotto un
rigoroso esame. essa comprende anche la capacità di condurre conversazioni «ricche di apprendimento»,
bilanciate tra indagine e propugnazio- «Datemi una leva abbastanza lunga...» / 9 ne delle proprie idee, nelle
quali i singoli espongono in modo efficace il loro modo di pensare e lo aprono all’ influenza degli altri.

Costruire una visione condivisa. Se c’è un’idea sulla leadership che ha ispirato le organizzazioni per migliaia
di anni, questa è la capacità di mantenere una visione condivisa del futuro che cerchiamo di creare. È
difficile pensare a una qualsiasi organizzazione che abbia raggiunto un qualche livello di grandezza in
assenza di obiettivi, valori e missioni che fossero profondamente condivisi in tutta la struttura. La pratica
della visione condivisa implica la capacità di fare venire in superficie le «immagini del futuro» condivise, che
promuovono un impegno genuino e volontario, non l’acquiescenza. Nel padroneggiare questa disciplina, i
capi apprendono quanto sia controproducente cercare di imporre una visione, indipendentemente da
quanto essa sia profondamente sentita.

L’apprendimento di gruppo. La disciplina dell’apprendimento di gruppo affronta questo paradosso.


Sappiamo che i gruppi possono imparare: nello sport, nelle arti sceniche, nella scienza e perfino,
occasionalmente, nelle aziende vi sono esempi sorprendenti di come l’intel10 / «Datemi una leva
abbastanza lunga...» ligenza del gruppo superi l’intelligenza dei singoli membri e di come i gruppi sviluppino
capacità straordinarie di azione coordinata. Quando i gruppi stanno effettivamente apprendendo, non
soltanto producono risultati straordinari, ma i singoli membri crescono anche più rapidamente di quanto
sarebbe successo altrimenti. La disciplina dell’apprendimento di gruppo inizia con il «dialogo», la capacità
dei membri di un gruppo di mettere in mora le ipotesi precedenti e passare ad un genuino «pensare in
comune». Per i greci, dia logos indicava un flusso libero di significati attraverso il gruppo, che consentiva a
quest’ultimo di scoprire intuizioni che individualmente non sarebbe stato possibile ottenere. È interessante
notare che la pratica del dialogo si è preservata in molte culture «primitive», come quella degli indiani
americani, ma è quasi completamente perduta nella società moderna. oggi, i principi e le pratiche del
dialogo vengono riscoperti e collocati nel contesto contemporaneo (il dialogo differisce dalla più comune
«discussione», che ha radici comuni con «percussione» e «scuotimento»,* e significa letteralmente spingere
avanti e indietro le opinioni in una gara del tipo «chi vince prende tutto»).La disciplina del dialogo comporta
anche apprendere come riconoscere nei gruppi i modelli di interazione che compromettono
l’apprendimento. I modelli difensivi sono spesso profondamente radicati nel modo in cui un gruppo
funziona. Se non vengono riconosciuti, essi compromettono l’apprendimento. Se vengono riconosciuti e
fatti emergere in modo creativo, possono accelerare veramente l’apprendimento. L’apprendimento di
gruppo è vitale perché nelle organizzazioni moderne le unità basilari di apprendimento sono i gruppi, non i
singoli. Il punto fondamentale è questo: a meno che non siano i gruppi ad apprendere, l’organizzazione non
può farlo.

Praticare una disciplina è diverso dall’emulare «un modello». Anche troppo spesso, le nuove innovazioni nel
management sono descritte in base alle «pratiche migliori» delle cosiddette aziende leader. Anche se
interessanti, credo che descrizioni del genere facciano più male che bene, portando ad imitazioni a pezzi e
bocconi, nonché al giocare a rincorrersi.

Per esempio, la visione senza pensiero sistemico finisce con il dipingere gradevoli quadri del futuro senza
alcuna comprensione di fondo delle forze che devono essere padroneggiate per intraprendere il primo
passo. È questo uno dei motivi per cui molte aziende che in anni recenti sono saltate sul «carro della
visione» hanno scoperto che di per sé una visione elevata non riesce a far girare la ruota della fortuna di
un’azienda. Senza il pensiero sistemico, i semi della visione cadono su un suolo improduttivo. Se predomina
un pensiero non sistemico, non viene soddisfatta la prima condizione per creare una visione: l’essere
sinceramente convinti che possiamo realizzare la nostra visione in futuro. Possiamo dire: «Realizzeremo la
nostra visione» (molti dirigenti americani sono condizionati da questa convinzione), ma saremo traditi dal
nostro modo tacito di guardare alla realtà corrente come ad un insieme di condizioni stabilite da qualcun
altro.

ma, per realizzare il suo potenziale, il pensiero sistemico necessita «Datemi una leva abbastanza lunga...» /
13 anche delle discipline utili a creare una visione condivisa, cioè dei modelli mentali, dell’apprendimento di
gruppo e della padronanza personale. Costruire una visione condivisa stimola l’impegno a lungo termine. I
modelli mentali si concentrano sull’apertura necessaria a scoprire scorciatoie nel nostro modo attuale di
vedere il mondo. L’apprendimento di gruppo sviluppa le capacità dei nuclei di persone di guardare
all’immagine più grande al di là delle prospettive dei singoli. e la padronanza personale promuove la
motivazione personale a continuare ad apprendere come le nostre azioni influiscano sul nostro mondo.
Senza la padronanza personale, i singoli sono cosi imbevuti della forma mentis reattiva («il mio problema è
creato da qualcuno/qualcosa d’altro») da essere profondamente minacciati dalla prospettiva sistemica.
Infine, il pensiero sistemico rende comprensibile l’aspetto più sottile dell’organizzazione – il modo nuovo in
cui i singoli percepiscono se stessi e il loro mondo. Al cuore delle organizzazioni che apprendono vi è un
cambiamento di opinione – dal vederci come separati dal mondo al vederci connessi al mondo, dal guardare
ai problemi come se fossero causati da qualcuno o qualcosa «là fuori» al renderci conto del fatto che sono le
nostre azioni a creare i problemi che sperimentiamo. Un’organizzazione che apprende è un posto nel quale
le persone stanno continuamente scoprendo come esse creano la loro realtà e come la cambiano

Il termine è «metanoia» e significa «cambiamento di mentalità». esso ha una storia interessante. Per i greci,
significava uno spostamento o cambiamento fondamentale o più letteralmente, una trascendenza (meta:
sopra od oltre, come in «metafisica») della mente (noia, dalla radice nous, della mente).

Afferrare il significato di metanoia è afferrare il significato più profondo di «apprendimento», perché anche
l’apprendimento comporta un cambiamento o spostamento mentale di base. Quando si parla di
«organizzazioni che apprendono» il problema è che nell’uso contemporaneo il termine «apprendimento»
ha perduto il suo significato centrale. Gli occhi di molte persone si appannano se voi parlate loro di
«apprendimento», oppure di «organizzazioni che apprendono». Queste parole tendono a evocare
immediatamente immagini di alunni passivamente seduti nelle aule, ascoltando, seguendo quanto gli viene
detto di fare e compiacendo l’insegnante evitando di fare errori. C’è poco da meravigliarsi perché, nell’uso
quotidiano, apprendimento è diventato un sinonimo di «essere informati». «Sì, ho imparato tutto su
quell’argomento nel seminario di ieri.» Al contrario, ricevere informazioni si collega solo lontanamente al
vero apprendimento. Sarebbe privo di senso affermare: «Dato che ho appena letto un gran libro su come si
va in bicicletta, adesso so farlo». Il vero apprendimento va al cuore di ciò che significa essere umani.
mediante l’apprendimento, noi ricreiamo noi stessi. mediante l’apprendimento ci mettiamo in condizione di
fare qualcosa che non siamo mai stati in grado di fare. mediante l’apprendimento ripercepiamo il mondo e il
nostro rapporto con il mondo. mediarne l’apprendimento, estendiamo la nostra capacità di creare, di essere
parte del processo generativo della vita. Dentro di noi desideriamo profondamente questo tipo di
apprendimento. È questo quindi il significato fondamentale delle «organizzazioni «Datemi una leva
abbastanza lunga...» / 15 che apprendono», organizzazioni che espandono continuamente la loro capacità
di creare il loro futuro. Per un’organizzazione del genere, non è sufficiente limitarsi a sopravvivere.
«Apprendere a sopravvivere», o ciò che più spesso viene definito «apprendimento adattivo», è importante
– in effetti è necessario. ma, nelle organizzazioni che apprendono, l’«apprendimento adattivo» deve essere
rafforzato da un «apprendimento generativo», da un apprendimento che esalta la capacità di creare.

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