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338 Recensioni

criteri di maggiore o minore nécessita di queste note: cosi, se si spiega


in nota mont Arafat (p. 156), perché non spiegare altresi, per esempio,
Paradis Rezvân a p. 146, ecc? Ma tali particolari non possono in nessun
modo costituire un rimprovero.
In una lunga nota finale (pp. 277-290), il Bogdanovic espone la
storia del testo ed evoca i problemi del génère letterario cui appartiene,
quello cioè del « racconto a cornice ». Le teorie emesse a questo proposito
si possono dividere in due gruppi: uno che gli attribuisce un'origine
specificamente indiana sia nella forma che nel contenuto, - posizione
difesa recentemente da Mary Boyce (1968) e da P. A. Grincer (1963),
- e uno che, con B. E. Perry (i960) e altri, fa derivare questi racconti
dal Bacino Mediterraneo. Comunque stiano le cose, è innegabile la
parentela del Sendbâdnâmè con la raccolta délie Mille e una Notte; non
solo, ma certi manoscritti alquanto tardivi délie Notti contengono addi-
rittura un ciclo di 29 brevi racconti analoghi - ma non identici - ai 34
dei Sette visir. D'altro canto, non è più da scrivere la storia ulteriore
di questo libro, il suo viaggio attraverso traduzioni, versioni e rifacimenti
fino al Libro dei sette savi del Duccento italiano.
Q uesto volume fa parte délia collana persiana di opère rappresen-
tative pubblicate nel quadro dell'Unesco, diretta da Ehsan Yâr Sâter.

MICHEL BASTIAENSEN

DjALÂL UD—DÎN RÛMÎ: Le livre du Dedans - Fîhi mâ fîhi. Traduit du


persan par Eva de Vitray-Meyerovitch. Paris, Sindbad, 1976; 317 pp.

Q uesta prima traduzione francese délia più célèbre e importante


opéra in prosa scritta o ispirata daMaulânâ Gialâlo 'd-Din Rumi (1207-
1273) sarà senza dubbio accolta molto favorevolmente non solo dagli
iranisti, che saranno felici di trovare qui l'interpretazione di una grande
conoscitrice délia mistica musulmana, ma anche dagli storici délie reli-
gioni e dagli studiosi di fîlosofia, che potranno cosi accsdere più facil-
mente a questo capolavoro délia spiritualità islamica.
Passando in rassegna i manoscritti di questo trattato, la traduttrice
fa osservare che il suo titolo, Fîhi mâfîhi (« C'è ciô che c'è »: A. BAUSANI),
- riferimento a una poesia di Ibn 'Arabi, — non è probabilmente quello
originale, giacché non appare nell'importantissimo ms. Ha., che non è
il più antico ma sembra derivare direttamente da una copia fatta nella
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vicinanza immediata di Maulânâ: questo ms. reca invece il titolo di


Asrâru 'l-Jalâlîyyd, « Segreti di Gialâl ». Il libro si présenta come una
raccolta di convorsazioni del Maestro con i suoi discepoli, messe per
iscritto quasi immediatamente dopo da suo figlio Soltân Valad: quindi
l'inevitabile assenza di una struttura fissa e rigorosa.
Comunque, quest'opera, cosi com'è, rischiara di una Juce vivissima
il monumentale Mamavi del poeta di Balkh e puô anche apparire come
il suo complemento; è incontestabile la parentela idéale e a volte tematica
délie due opère - la traduttrice ne dà parecchi esempi precisi nella sua
introduzione (p. 14). Veramente analoghe sono anche le particolari e
inconfondibili impressioni provate alla lettuia di questi due discorsi
che, mescolando l'arabo e il persiano, le invocazioni e gli aneddoti, il
linguaggio dell'estasi e quello délia farsa, la sublimità e la volgarità, la
finezza e la scurrilità, servono a esprimere un'argomentazione non razio-
nalistica, ma capace di travolgerti e invaderti da tutte le parti come un
mare, e di trasportarti tuo malgrado dove vuole il Maestro, anche se hai
concezioni radicalmente diverse. A parer nostro, la de Vitray-Meyero-
vitch è riuscita a mantenere nel testo francese quel potente soffio entu-
siastico che non somiglia a nessun altro.
Questa traduzione c stata eseguita sull'edizione di Badi'o 'z-Zamân
Foruzânfar (1952), il maggiore specialista iranico di Maulânâ; inoltre,
si è tenuto conto délie lezioni, a volte interessantissime, di un'altra
edizione, posteriore e indipendente, quella délia Dâro 't~taskih v'at-ta-
rjomè (Tehrân, s. d.), che riproduce una stampa litografica del 1333 H.
= 1914/1915 d. Cr.; le variant! sono indicate a pic di pagina e permet-
tono certi raffronti molto istruttivi.
Per quello che riguarda l'aspetto formale del libro, vanno segnalati
alcuni grossi e spiacevoli errori tipografici (cosi, a p. 34: « quand tu
empreintes cette direction », invece di empruntes, ecc); speriamo verranno
eliminati in una edizione ulteriore, che quest'opera meriterà senz'altro.
Nell'immediato, la de Vitray-Meyerovitch promette di pubblicare,
nella stessa collana persiana di opère rappresentative (Unesco) e presse
lo stesso editore, le sue traduzioni del Valadnâmè, scritte dal figlio primo-
genito di Rumi, e soprattutto del suo gigantesco capolavoro, il Masnavi
(pp. 13-14); aspettiamo l'una e l'altra con interesse e impazienza, giacché
potranno essere più utili ancora del présente Livre du Dedans.

MICHEL BASTIAENSEN

A Z I E N D E T I P O G R A F I C H E E R E D I D O I T . G. B A R D I — ROMA

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