criteri di maggiore o minore nécessita di queste note: cosi, se si spiega
in nota mont Arafat (p. 156), perché non spiegare altresi, per esempio, Paradis Rezvân a p. 146, ecc? Ma tali particolari non possono in nessun modo costituire un rimprovero. In una lunga nota finale (pp. 277-290), il Bogdanovic espone la storia del testo ed evoca i problemi del génère letterario cui appartiene, quello cioè del « racconto a cornice ». Le teorie emesse a questo proposito si possono dividere in due gruppi: uno che gli attribuisce un'origine specificamente indiana sia nella forma che nel contenuto, - posizione difesa recentemente da Mary Boyce (1968) e da P. A. Grincer (1963), - e uno che, con B. E. Perry (i960) e altri, fa derivare questi racconti dal Bacino Mediterraneo. Comunque stiano le cose, è innegabile la parentela del Sendbâdnâmè con la raccolta délie Mille e una Notte; non solo, ma certi manoscritti alquanto tardivi délie Notti contengono addi- rittura un ciclo di 29 brevi racconti analoghi - ma non identici - ai 34 dei Sette visir. D'altro canto, non è più da scrivere la storia ulteriore di questo libro, il suo viaggio attraverso traduzioni, versioni e rifacimenti fino al Libro dei sette savi del Duccento italiano. Q uesto volume fa parte délia collana persiana di opère rappresen- tative pubblicate nel quadro dell'Unesco, diretta da Ehsan Yâr Sâter.
MICHEL BASTIAENSEN
DjALÂL UD—DÎN RÛMÎ: Le livre du Dedans - Fîhi mâ fîhi. Traduit du
persan par Eva de Vitray-Meyerovitch. Paris, Sindbad, 1976; 317 pp.
Q uesta prima traduzione francese délia più célèbre e importante
opéra in prosa scritta o ispirata daMaulânâ Gialâlo 'd-Din Rumi (1207- 1273) sarà senza dubbio accolta molto favorevolmente non solo dagli iranisti, che saranno felici di trovare qui l'interpretazione di una grande conoscitrice délia mistica musulmana, ma anche dagli storici délie reli- gioni e dagli studiosi di fîlosofia, che potranno cosi accsdere più facil- mente a questo capolavoro délia spiritualità islamica. Passando in rassegna i manoscritti di questo trattato, la traduttrice fa osservare che il suo titolo, Fîhi mâfîhi (« C'è ciô che c'è »: A. BAUSANI), - riferimento a una poesia di Ibn 'Arabi, — non è probabilmente quello originale, giacché non appare nell'importantissimo ms. Ha., che non è il più antico ma sembra derivare direttamente da una copia fatta nella Recensioni 339
vicinanza immediata di Maulânâ: questo ms. reca invece il titolo di
Asrâru 'l-Jalâlîyyd, « Segreti di Gialâl ». Il libro si présenta come una raccolta di convorsazioni del Maestro con i suoi discepoli, messe per iscritto quasi immediatamente dopo da suo figlio Soltân Valad: quindi l'inevitabile assenza di una struttura fissa e rigorosa. Comunque, quest'opera, cosi com'è, rischiara di una Juce vivissima il monumentale Mamavi del poeta di Balkh e puô anche apparire come il suo complemento; è incontestabile la parentela idéale e a volte tematica délie due opère - la traduttrice ne dà parecchi esempi precisi nella sua introduzione (p. 14). Veramente analoghe sono anche le particolari e inconfondibili impressioni provate alla lettuia di questi due discorsi che, mescolando l'arabo e il persiano, le invocazioni e gli aneddoti, il linguaggio dell'estasi e quello délia farsa, la sublimità e la volgarità, la finezza e la scurrilità, servono a esprimere un'argomentazione non razio- nalistica, ma capace di travolgerti e invaderti da tutte le parti come un mare, e di trasportarti tuo malgrado dove vuole il Maestro, anche se hai concezioni radicalmente diverse. A parer nostro, la de Vitray-Meyero- vitch è riuscita a mantenere nel testo francese quel potente soffio entu- siastico che non somiglia a nessun altro. Questa traduzione c stata eseguita sull'edizione di Badi'o 'z-Zamân Foruzânfar (1952), il maggiore specialista iranico di Maulânâ; inoltre, si è tenuto conto délie lezioni, a volte interessantissime, di un'altra edizione, posteriore e indipendente, quella délia Dâro 't~taskih v'at-ta- rjomè (Tehrân, s. d.), che riproduce una stampa litografica del 1333 H. = 1914/1915 d. Cr.; le variant! sono indicate a pic di pagina e permet- tono certi raffronti molto istruttivi. Per quello che riguarda l'aspetto formale del libro, vanno segnalati alcuni grossi e spiacevoli errori tipografici (cosi, a p. 34: « quand tu empreintes cette direction », invece di empruntes, ecc); speriamo verranno eliminati in una edizione ulteriore, che quest'opera meriterà senz'altro. Nell'immediato, la de Vitray-Meyerovitch promette di pubblicare, nella stessa collana persiana di opère rappresentative (Unesco) e presse lo stesso editore, le sue traduzioni del Valadnâmè, scritte dal figlio primo- genito di Rumi, e soprattutto del suo gigantesco capolavoro, il Masnavi (pp. 13-14); aspettiamo l'una e l'altra con interesse e impazienza, giacché potranno essere più utili ancora del présente Livre du Dedans.
MICHEL BASTIAENSEN
A Z I E N D E T I P O G R A F I C H E E R E D I D O I T . G. B A R D I — ROMA