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dell’ironia ariostesca
J.-A.-D. Ingres,
Ruggiero salva Angelica
(1819) Louvre, Parigi
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Le coordinate spazio-temporali
Ariosto nasce a È al servizio del cardinale È governatore della Si ritira a vita
Reggio Emilia Ippolito d’Este (1504) Garfagnana (1522-25) privata, per
(1474) coltivare le
Ippolito lo licenzia (1517), lettere (1525)
ma un anno dopo entra al
Entra al servizio servizio del duca Alfonso I Muore (1533)
degli Este (1497)
1480 1490 1500 1510 1520 1530
utilizza lo finalizzato a
strumento della conferirle
Nell’Orlando
furioso
Ironia armonia
interventi dell’autore
in luoghi privilegiati
e del narratore Esempi
il contrasto
fra veridicità e finzione Esempi
attraverso determinati
strumenti linguistici
la letterarietà del testo Esempi
Fine
I luoghi dell’ironia ariostesca
Luoghi privilegiati per la manifestazione di un atteggiamento
L’ironia ironico sono gli interventi, i commenti e le valutazioni di
ariostesca Ariosto come autore e come narratore dell’Orlando furioso.
Canto X, 54 e 56
verso sé stesso e
la propria opera Canto I, 2
verso la letteratura
delle corti Canto XXXIV, 73 e 77
L’invocazione alla donna amata
Canto I. Il narratore espone la materia che intende trattare (la pazzia di Orlando per
amore di una donna) e invoca come musa ispiratrice la propria donna, con intento ironico.
Analisi I luoghi
Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima: La donna che ha fatto quasi diventare folle il
che per amor venne in furore e matto, poeta non deve ispirarlo, bensì attenuare gli
d'uom che sì saggio era stimato prima; effetti della follia d’amore, in modo che egli
se da colei che tal quasi m'ha fatto, possa portare a termine la sua opera.
che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso, Ariosto si paragona così al suo personaggio,
che mi basti a finir quanto ho promesso. anch’egli vittima dell’amore per una donna.
I, 2
L’ironia investe qui l’autore che, consapevole dei limiti della natura
umana, chiede al lettore un po’ di comprensione per il poco ingegno
limato dalla follia d’amore. Nel contempo mette velatamente in dubbio
che la propria opera sarà realmente apprezzata dal dedicatario.
La fuga di Angelica
Canto I. La vicenda inizia nell’accampamento cristiano di Carlo Magno: la bella Angelica,
principessa del Catai (Cina), è contesa dai due cugini Orlando e Rinaldo. Per evitare liti fra
i suoi paladini, re Carlo decide che la fanciulla sarà promessa al guerriero che ucciderà più
saraceni. Nel frattempo Angelica sarà ospite del padiglione dell’anziano duca di Baviera.
Pieno di dolce e d'amoroso affetto, Nel malizioso inciso, il narratore nota che
alla sua donna, alla sua diva corse, Angelica (principessa del Catai, la remota
che con le braccia al collo il tenne stretto, Cina) non avrebbe dimostrato in patria
quel ch'al Catai non avria fatto forse. altrettanto entusiasmo nell’abbracciare uno
straniero.
I, 54, vv. 1-4 I, 56
Lo spazio dell’ironia si apre fra ciò che il
Forse era ver, ma non però credibile narratore esprime chiaramente, in ragione
a chi del senso suo fosse signore; della superiorità del suo sapere rispetto a
ma parve facilmente a lui possibile, quello dei personaggi, e ciò che lascia
inespresso, tra l’apparenza e la realtà.
ch'era perduto in via più grave errore.
Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibile, Angelica si dice vergine e Sacripante non
e l'invisibil fa vedere Amore. dubita affatto della cosa. Il commento del
Questo creduto fu; che 'l miser suole narratore sul vero, sul verosimile e sul
dar facile credenza a quel che vuole. possibile è solo apparentemente ingenuo,
ma profondamente carico di significati e di
considerazioni sulle umane debolezze.
Analisi I luoghi
Astolfo sulla Luna
Canto XXXIV. Astolfo ha ricevuto il compito di recuperare il senno di Orlando, impazzito a
causa dell’amore per la pagana Angelica. L’eroe, a cavallo dell’ippogrifo, raggiunge la Luna,
dove incontra l’apostolo Giovanni, che lo conduce in una grande vallata.
XXXIV, 73 e 77
Da l'apostolo santo fu condutto Analisi I luoghi
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto Nella grande vallata si radunano (si raguna)
ciò che si perde o per nostro diffetto, tutte le cose che vanno perdute sulla Terra. In
o per colpa di tempo o di Fortuna: particolare, Astolfo può osservare:
ciò che si perde qui, là si raguna. - ami preziosi (i regali fatti ai principi con la
[...] speranza di ottenere vantaggi),
Ami d'oro e d'argento appresso vede - ghirlande in cui sono nascosti lacci (le
in una massa, ch'erano quei doni adulazioni),
che si fan con speranza di mercede - cicale scoppiate (i versi in lode dei signori).
ai re, agli avari principi, ai patroni.
L’ironia si trasforma qui in satira amara, rivolta
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede, in particolare al mondo della corte, che Ariosto
et ode che son tutte adulazioni. conosce bene: un mondo di ipocrisia e falsità, in
Di cicale scoppiate imagine hanno cui i versi dei poeti cortigiani somigliano a cicale
versi ch'in laude dei signor si fanno. scoppiate dal troppo cantare.
Finzione e veridicità
Un primo strumento linguistico di cui Ariosto si avvale per creare la sua ironia è
il contrasto tra
l’effetto di veridicità
l’evidenza della finzione
ottenuto grazie al
(tutto ciò che è
linguaggio utilizzato
prodigioso è finto)
dal narratore
Un esempio: il meraviglioso
Il meraviglioso
L’elemento del "meraviglioso", fondamentale nelle vicende dei personaggi e ancor
più nell’organizzazione della trama del poema, è introdotto da Ariosto nel canto IV.
Canto IV. Il pagano Ruggiero è tenuto prigioniero nel castello del mago Atlante, sui
Pirenei. La guerriera cristiana Bradamante, giunta al castello con il ladro Brunello,
intende affrontare il mago, neutralizzandone gli incanti, per poter liberare Ruggiero.
armi fatate
Il meraviglioso oggetti magici
declinato in
creature fantastiche
consente ad Ariosto incantesimi, lanciati da
magri e negromanti
di introdurre numerosi elementi di finzione, che per i personaggi
però vengono descritti con un linguaggio tale da
attribuire loro una consistenza concreta per il lettore
Fra questi elementi
il castello del mago Atlante Il castello di Atlante
spiccano
l’ippogrifo, il destriero del mago L’ippogrifo
IV, 11-13 Il castello di Atlante (a)
L’imprendibile castello sui Pirenei non
Di monte in monte e d'uno in altro bosco
esiste: è un’illusione creata dalle arti
giunseno ove l'altezza di Pirene magiche di Atlante. Eppure i riferimenti
può dimostrar, se non è l'aer fosco, geografici (il mar schiavo e il tósco =
e Francia e Spagna e due diverse arene, l’Adriatico e il Tirreno) sono così precisi e
come Apennin scopre il mar schiavo e il tósco numerosi da rendere la finzione
dal giogo onde a Camaldoli si viene. [...] estremamente realistica.
VI, 59
Ariosto descrive la rocca della maga come
Lontan si vide una muraglia lunga circondata da un’enorme muraglia d’oro.
che gira intorno, e gran paese serra; Ma subito aggiunge che secondo altri
e par che la sua altezza al ciel s'aggiunga, potrebbe non essere realmente d’oro,
e d'oro sia da l'alta cima a terra. ma solo sembrare tale per opera
dell’arte alchemica, capace di
Alcun dal mio parer qui si dilunga,
trasformare in oro metalli meno nobili.
e dice ch'ell'è alchimia: e forse ch'erra;
et anco forse meglio di me intende:
a me par oro, poi che sì risplende. Torna alla precedente
Con ironia, Ariosto scopre il proprio gioco: che la muraglia sia d’oro
oppure no, poco importa, se, come lettori, siamo consapevoli del
diletto che ricaviamo dalla mescolanza di finzione e veridicità.
L’ippogrifo (a)
IV, 18-19 Atlante ha una cavalcatura piuttosto insolita:
un ippogrifo, un animale fantastico, generato
Non è finto il destrier, ma naturale, da una cavalla e un grifone (a sua volta un
essere misto, con un corpo di leone e testa e ali
ch'una giumenta generò d'un grifo:
d’aquila), che presenta, fusi nello stesso corpo,
simile al padre avea la piuma e l'ale, tratti di uccello e di equino.
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l'altre membra parea quale Dell’animale favoloso, Ariosto sottolinea:
era la madre, e chiamasi ippogrifo; - la somiglianza con il padre e la madre,
che nei monti Rifei vengon, ma rari, elemento ovvio che riconduce l’invenzione a
molto di là dagli aghiacciati mari. veridicità (che cosa c’è di più naturale della
somiglianza di un figlio ai genitori?);
Quivi per forza lo tirò d'incanto;
e poi che l'ebbe, ad altro non attese, - la provenienza geografica, tanto precisa,
quanto indefinita (i monti Rifei: forse gli
e con studio e fatica operò tanto,
Urali?), per rafforzarne lo statuto zoologico;
ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così ch'in terra e in aria e in ogni canto - le difficoltà di addomesticamento incontrate
da Atlante, narrate in dettagli molto precisi.
lo facea volteggiar senza contese.
Analisi Prosegui
L’ippogrifo (b)
IV, 18-20
Torna al meraviglioso
La letterarietà del testo
Un secondo strumento linguistico di cui Ariosto si avvale per creare la sua ironia è
allo scopo di
E come ne' begli occhi gli occhi affisse, Ariosto gioca, negli ultimi due versi, sul
de la sua Bradamante gli sovenne. motivo delle catene e dei lacci d’amore, una
Pietade e amore a un tempo lo traffisse, metafora molto comune nella tradizione
e di piangere a pena si ritenne; lirica: Ruggiero osserva che Angelica non
e dolcemente alla donzella disse, dovrebbe essere incatenata da altra catena
se non da quella di Amore.
poi che del suo destrier frenò le penne:
- O donna, degna sol de la catena
con chi i suoi servi Amor legati mena, Analisi Prosegui
X, 97
Evidente l’ironia dell’autore che in un momento di massima tensione
narrativa (Angelica è sin dal mattino legata nuda a uno scoglio in attesa di
essere divorata dall’orca) ricorre a uno degli espedienti più usati di una
tradizione lirica alla quale si attingeva da secoli.
Ruggiero libera Angelica dall’orca (b)
Ruggiero, a cavallo dell’ippogrifo, riesce ad avere ragione della terribile orca. Raggiunge
Angelica e la porta via con sé. Appena i due sono al sicuro, Ruggiero tenta goffamente di
liberarsi dell’armatura, nella foga della passione amorosa che la fanciulla ha acceso in lui.
Frettoloso, or da questo or da quel canto Ritorna il motivo lirico dei lacci d’amore, che
stavolta costituiscono un impedimento per
confusamente l'arme si levava.
Ruggiero, impegnato in un frenetico quanto
Non gli parve altra volta mai star tanto; fallimentare tentativo di denudarsi.
che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto, Analisi La letterarietà
e forse ch'anco l'ascoltar vi grava:
sì ch'io differirò l'istoria mia Con ironia, l’autore suggerisce che la narrazione
in altro tempo che più grata sia. sta diventando gravosa e forse è più prudente
interromperla, rimandandone l’epilogo al canto
X, 115 successivo e creando così un effetto di suspense.
L’ironia si esprime qui nel contrasto comico fra il modello letterario della lirica amorosa e
le condizioni reali in cui si trovano i personaggi: Angelica, che dovrebbe essere prigioniera
dei lacci di Amore è incatenata a uno scoglio, e Ruggiero, a sua volta prigioniero della
passione amorosa, non riesce a darle libero sfogo, impedito com’è dai lacci dell’armatura.
Il fantasma di Argalia
Canto I. Nel momento in cui il saraceno Ferraù, alla ricerca del proprio elmo caduto in un
fiume, vede uscir fuori dall’acqua il fantasma di Argalia, cavaliere da lui ucciso in battaglia,
prova un grande spavento. Ariosto costruisce l’episodio nel segno dell’ironia.
La letterarietà
Il modello classico: Catullo
Ut flos in saeptis secretus nascitur hortis, Il modello letterario a cui si ispira
ignotus pecori, nullo convolsus aratro, Ariosto nelle ottave 42-43 del
quem mulcent aurae, firmat sol, educat imber; Canto I è costituito dai versi 39-
multi illum pueri, multae optavere puellae: 58 del carme 62 del poeta latino
idem cum tenui carptus defloruit ungui, Catullo (I secolo a.C.).
nulli illum pueri, nullae optavere puellae:
sic virgo, dum intacta manet, dum cara suis est;
cum castum amisit polluto corpore florem, Leggi la traduzione
nec pueris iucunda manet, nec cara puellis.
Hymen o Hymenaee, Hymen ades o Hymenaee! Torna alla precedente
Ut vidua in nudo vitis quae nascitur arvo,
numquam se extollit, numquam mitem educat uvam, Il carme 62, uno dei carmina
sed tenerum prono deflectens pondere corpus docta di Catullo, è un epitalamio
iam iam contingit summum radice flagellum; o canto nuziale (Imeneo è il dio
hanc nulli agricolae, nulli coluere iuvenci: delle nozze), dedicato al tema
at si forte eadem est ulmo coniuncta marito, della verginità e composto in
multi illam agricolae, multi coluere iuvenci: esametri riuniti in strofe
sic virgo dum intacta manet, dum inculta senescit; alternativamente cantate da due
cum par conubium maturo tempore adepta est, cori, uno di giovani e uno di
cara viro magis et minus est invisa parenti. fanciulle.
Il carme 62 in traduzione italiana
Come il fiore in chiusi giardini germoglia solitario,
I giovani ignoto al gregge, non toccato dal vomere,
che tempra il sole, il fiato dell’aria accarezza,
nutre la pioggia; molti fanciulli e fanciulle lo bramano:
ma se sfiorisce divelto da un’unghia sottile,
più nessuno, fanciullo o fanciulla, lo brama:
così è cara la vergine ai suoi fin che rimane intatta;
quando perde, violata, il casto fiore,
dai giovani, dalle fanciulle è fuggita.
Imene o Imeneo, vieni, Imene o Imeneo!
Come la vite, piantata sola in un campo
Le fanciulle senz’alberi, non può levarsi né dolce uva produrre,
ma, incurvandosi debole sotto il grave peso,
quasi il tralcio più alto tocca con la radice;
né i contadini la curano, né i giovenchi:
ma se è congiunta all’olmo che le fa da sposo,
Torna alla precedente molta cura ne prendono contadini e giovenchi:
così la fanciulla vergine intristisce negletta;
Traduzione di E. Mazza, in Catullo, ma se un giusto connubio le arride quand’è l’ora,
Carmi, Guanda, Parma 1962. l’amano ancor più lo sposo e il padre.
Le figure retoriche
Un terzo strumento linguistico di cui Ariosto si avvale
per creare la sua ironia è costituito dalle figure retoriche.
L’ironia dalle similitudini (a)
Canto X. Per salvare Angelica, Ruggiero, a cavallo dell’ippogrifo,
affronta in combattimento un terribile mostro marino, l’orca. Prosegui
sono degradati a
un pescatore
montanaro
un mastin
mosca audace
fastidio dato dalla mosca
al muso di un cane trota o scaglion
(pesci di scarso pregio)
Sì forte ella nel mar batte la coda, Per esaltare la quantità d’acqua sollevata
che fa vicino al ciel l'acqua inalzare; dall’orca con i suoi colpi di coda, Ariosto
ricorre a un’iperbole: Ruggiero non sa se
tal che non sa se l'ale in aria snoda,
l’ippogrifo batte (snoda) le ali per volare o
o pur se 'l suo destrier nuota nel mare. piuttosto per nuotare nel mare.
Gli è spesso che disia trovarsi a proda;
che se lo sprazzo in tal modo ha a durare, Ancora un’iperbole: se lo spruzzo (sprazzo)
teme sì l'ale inaffi all'ippogrifo, sollevato dall’orca dura troppo, l’ippogrifo
che brami invano avere o zucca o schifo. potrebbe desiderare invano una barca
(zucca e schifo sono due natanti).
X, 106
Analisi L’iperbole è arricchita da un abbassamento
X, 109, vv. 5-8 lessicale (sprazzo, zucca, schifo) allo scopo
di potenziare l’effetto ironico per contrasto.
Or viene al lito, e sotto il ventre preme
ben mezzo il mar la smisurata cete.
Ancora un’iperbole: Ruggiero rimuove il
Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo; velo dallo scudo e aggiunge un altro sole in
e par ch'aggiunga un altro sole al cielo. cielo, per acceccare il cetaceo (cete).
Fine