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Strumenti linguistici

dell’ironia ariostesca

J.-A.-D. Ingres,
Ruggiero salva Angelica
(1819) Louvre, Parigi

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Le coordinate spazio-temporali
Ariosto nasce a È al servizio del cardinale È governatore della Si ritira a vita
Reggio Emilia Ippolito d’Este (1504) Garfagnana (1522-25) privata, per
(1474) coltivare le
Ippolito lo licenzia (1517), lettere (1525)
ma un anno dopo entra al
Entra al servizio servizio del duca Alfonso I Muore (1533)
degli Este (1497)
1480 1490 1500 1510 1520 1530

Inizia a lavorare al Furioso (1504).


La prima edizione a stampa Prose della volgar lingua
(40 canti) esce nel 1516. (1525) del Bembo.

Esce la seconda edizione (1521):


Le redazioni poche aggiunte e una minima Lavora alla terza
dell’Orlando revisione linguistica. edizione (46 canti), che
Furioso esce nel 1532: numerose
correzioni e profonda
Prosegui revisione linguistica.
L’ironia ariostesca
Ariosto esercita materia un controllo
narratore sulla narrata totale

utilizza lo finalizzato a
strumento della conferirle
Nell’Orlando
furioso
Ironia armonia

tramite la quale mira


allo scopo di Prosegui a raggiungere un

prendere le distanze equilibrio


dalle passioni e dalla realtà

smorzare i toni attraverso cui porsi

raggiungere un equilibrio al di sopra della realtà e della storia


tra verità e menzogna senza però evadere da esse
 L’ironia ariostesca:
L’ironia
luoghi e strumenti
ariostesca

si manifesta all’interno del poema

interventi dell’autore
in luoghi privilegiati
e del narratore Esempi

il contrasto
fra veridicità e finzione Esempi

attraverso determinati
strumenti linguistici
la letterarietà del testo Esempi

le figure retoriche Esempi

Fine
I luoghi dell’ironia ariostesca
Luoghi privilegiati per la manifestazione di un atteggiamento
L’ironia ironico sono gli interventi, i commenti e le valutazioni di
ariostesca Ariosto come autore e come narratore dell’Orlando furioso.

è rivolta verso Canto I, 10-11


i personaggi, le loro vicende
e le debolezze umane Canto I, 21-22

Canto X, 54 e 56

verso sé stesso e
la propria opera Canto I, 2
verso la letteratura
delle corti Canto XXXIV, 73 e 77


L’invocazione alla donna amata
Canto I. Il narratore espone la materia che intende trattare (la pazzia di Orlando per
amore di una donna) e invoca come musa ispiratrice la propria donna, con intento ironico.

Analisi I luoghi
Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima: La donna che ha fatto quasi diventare folle il
che per amor venne in furore e matto, poeta non deve ispirarlo, bensì attenuare gli
d'uom che sì saggio era stimato prima; effetti della follia d’amore, in modo che egli
se da colei che tal quasi m'ha fatto, possa portare a termine la sua opera.
che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso, Ariosto si paragona così al suo personaggio,
che mi basti a finir quanto ho promesso. anch’egli vittima dell’amore per una donna.

I, 2
L’ironia investe qui l’autore che, consapevole dei limiti della natura
umana, chiede al lettore un po’ di comprensione per il poco ingegno
limato dalla follia d’amore. Nel contempo mette velatamente in dubbio
che la propria opera sarà realmente apprezzata dal dedicatario.
La fuga di Angelica
Canto I. La vicenda inizia nell’accampamento cristiano di Carlo Magno: la bella Angelica,
principessa del Catai (Cina), è contesa dai due cugini Orlando e Rinaldo. Per evitare liti fra
i suoi paladini, re Carlo decide che la fanciulla sarà promessa al guerriero che ucciderà più
saraceni. Nel frattempo Angelica sarà ospite del padiglione dell’anziano duca di Baviera.

Contrari ai voti poi furo i successi; Nonostante la decisione di Carlo e le speranze


(voti) dei cristiani, gli eventi (successi) non
ch'in fuga andò la gente battezzata,
vanno come previsto: i cristiani sono sconfitti e
e con molti altri fu 'l duca prigione, il duca è catturato. Nella confusione che segue,
e restò abbandonato il padiglione. Angelica riesce a fuggire dal campo cristiano.
Dove, poi che rimase la donzella
ch'esser dovea del vincitor mercede, L’ironia evidenzia le debolezze della natura
inanzi al caso era salita in sella, umana e il ruolo della fortuna nelle vicende
degli uomini: fortuna che può allo stesso
e quando bisognò le spalle diede,
tempo rivelarsi ostile (rubella) ai cristiani e
presaga che quel giorno esser rubella favorevole ad Angelica.
dovea Fortuna alla cristiana fede.
L’ironia si trova anche nel fatto che l’inatteso
I, 10-11 evento diventa il punto di partenza delle
vicende che costituiscono la narrazione.
Analisi I luoghi
L’antica cavalleria
Canto I. Il saraceno Ferraù ha incontrato Angelica nei pressi di un ruscello e, innamorato di
lei, decide di difenderla battendosi contro il cristiano Rinaldo, da poco sopraggiunto.
Durante lo scontro, Angelica fugge e Rinaldo propone al saraceno, cavallerescamente, di
accantonare la disputa e di seguire la donna, in groppa all’unico cavallo disponibile.

Rinaldo e Ferraù sono:


Al pagan la proposta non dispiacque: - rivali in amore,
così fu differita la tenzone; - appartenenti a una diversa fede religiosa,
e tal tregua tra lor subito nacque, - reduci da uno scontro che li ha visti nemici,
sì l'odio e l'ira va in oblivione, eppure accantonano le loro differenze, fidandosi
[...] l’uno dell’altro.
Oh gran bontà de' cavallieri antiqui! Perduta la lealtà dell’epoca della cavalleria,
Eran rivali, eran di fé diversi, nei tempi moderni non resta che
e si sentian degli aspri colpi iniqui rimpiangerla nel clima di barbarie che
per tutta la persona anco dolersi; Ariosto descriverà in altri luoghi dell’opera.
e pur per selve oscure e calli obliqui Ariosto presenta la sua valutazione in modo
insieme van senza sospetto aversi. apparentemente ingenuo ma carico di
profondi significati. Ironicamente, la causa in
I, 21-22 grado di accomunare i due cavalieri è, molto
Analisi I luoghi prosaicamente, la ricerca di Angelica.
La verginità di Angelica
Canto I. Il saraceno Sacripante ha incontrato Angelica presso un boschetto. Egli la crede
ormai amante di Orlando, ma la donna lo smentisce e si proclama vergine.

Pieno di dolce e d'amoroso affetto, Nel malizioso inciso, il narratore nota che
alla sua donna, alla sua diva corse, Angelica (principessa del Catai, la remota
che con le braccia al collo il tenne stretto, Cina) non avrebbe dimostrato in patria
quel ch'al Catai non avria fatto forse. altrettanto entusiasmo nell’abbracciare uno
straniero.
I, 54, vv. 1-4 I, 56
Lo spazio dell’ironia si apre fra ciò che il
Forse era ver, ma non però credibile narratore esprime chiaramente, in ragione
a chi del senso suo fosse signore; della superiorità del suo sapere rispetto a
ma parve facilmente a lui possibile, quello dei personaggi, e ciò che lascia
inespresso, tra l’apparenza e la realtà.
ch'era perduto in via più grave errore.
Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibile, Angelica si dice vergine e Sacripante non
e l'invisibil fa vedere Amore. dubita affatto della cosa. Il commento del
Questo creduto fu; che 'l miser suole narratore sul vero, sul verosimile e sul
dar facile credenza a quel che vuole. possibile è solo apparentemente ingenuo,
ma profondamente carico di significati e di
considerazioni sulle umane debolezze.
Analisi I luoghi
Astolfo sulla Luna
Canto XXXIV. Astolfo ha ricevuto il compito di recuperare il senno di Orlando, impazzito a
causa dell’amore per la pagana Angelica. L’eroe, a cavallo dell’ippogrifo, raggiunge la Luna,
dove incontra l’apostolo Giovanni, che lo conduce in una grande vallata.

XXXIV, 73 e 77
Da l'apostolo santo fu condutto Analisi I luoghi
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto Nella grande vallata si radunano (si raguna)
ciò che si perde o per nostro diffetto, tutte le cose che vanno perdute sulla Terra. In
o per colpa di tempo o di Fortuna: particolare, Astolfo può osservare:
ciò che si perde qui, là si raguna. - ami preziosi (i regali fatti ai principi con la
[...] speranza di ottenere vantaggi),
Ami d'oro e d'argento appresso vede - ghirlande in cui sono nascosti lacci (le
in una massa, ch'erano quei doni adulazioni),
che si fan con speranza di mercede - cicale scoppiate (i versi in lode dei signori).
ai re, agli avari principi, ai patroni.
L’ironia si trasforma qui in satira amara, rivolta
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede, in particolare al mondo della corte, che Ariosto
et ode che son tutte adulazioni. conosce bene: un mondo di ipocrisia e falsità, in
Di cicale scoppiate imagine hanno cui i versi dei poeti cortigiani somigliano a cicale
versi ch'in laude dei signor si fanno. scoppiate dal troppo cantare.
Finzione e veridicità
Un primo strumento linguistico di cui Ariosto si avvale per creare la sua ironia è

il contrasto tra

l’effetto di veridicità
l’evidenza della finzione
ottenuto grazie al
(tutto ciò che è
linguaggio utilizzato
prodigioso è finto)
dal narratore

elementi che denotano

la consapevolezza dell’autore di rivolgersi a un pubblico


moderno che dalle finzioni sa di poter ricavare solo diletto

Un esempio: il meraviglioso
Il meraviglioso
L’elemento del "meraviglioso", fondamentale nelle vicende dei personaggi e ancor
più nell’organizzazione della trama del poema, è introdotto da Ariosto nel canto IV.
Canto IV. Il pagano Ruggiero è tenuto prigioniero nel castello del mago Atlante, sui
Pirenei. La guerriera cristiana Bradamante, giunta al castello con il ladro Brunello,
intende affrontare il mago, neutralizzandone gli incanti, per poter liberare Ruggiero.

armi fatate
Il meraviglioso oggetti magici
declinato in
creature fantastiche
consente ad Ariosto incantesimi, lanciati da
magri e negromanti
di introdurre numerosi elementi di finzione, che per i personaggi
però vengono descritti con un linguaggio tale da
attribuire loro una consistenza concreta per il lettore 
Fra questi elementi
il castello del mago Atlante Il castello di Atlante
spiccano
l’ippogrifo, il destriero del mago L’ippogrifo
IV, 11-13 Il castello di Atlante (a)
L’imprendibile castello sui Pirenei non
Di monte in monte e d'uno in altro bosco
esiste: è un’illusione creata dalle arti
giunseno ove l'altezza di Pirene magiche di Atlante. Eppure i riferimenti
può dimostrar, se non è l'aer fosco, geografici (il mar schiavo e il tósco =
e Francia e Spagna e due diverse arene, l’Adriatico e il Tirreno) sono così precisi e
come Apennin scopre il mar schiavo e il tósco numerosi da rendere la finzione
dal giogo onde a Camaldoli si viene. [...] estremamente realistica.

Vi sorge in mezzo un sasso che la cima Altrettanto realistica è la descrizione del


d'un bel muro d'acciar tutta si fascia; castello: è costruito in acciaio e le mura sono
e quella tanto inverso il ciel sublima, diritte, ricavate a regola d’arte (la sinopia,
una terra rossa proveniente dalla Turchia, era
che quanto ha intorno, inferior si lascia. [...]
usata dai falegnami per tracciare le linee
Da quattro canti era tagliato, e tale lungo cui tagliare il legno).
che parea dritto a fil de la sinopia.
Eppure il castello non presenta alcuna via
Da nessun lato né sentier né scale
d’accesso: solo gli esseri alati possono
v'eran, che di salir facesser copia: raggiungerlo!
e ben appar che d'animal ch'abbia ale
sia quella stanza nido e tana propia. Analisi Prosegui
Il castello di Atlante (b)
IV, 38-39
Vinto da Bradamante, Atlante è costretto a
e a un tratto il colle liberare Ruggiero e gli altri prigionieri, per
riman deserto, inospite et inculto; poi scomparire: la sua sparizione comporta
né muro appar né torre in alcun lato, la scomparsa del castello, che si rivela ai
come se mai castel non vi sia stato. personaggi e al lettore completamente
irreale.
Le donne e i cavallier si trovar fuora
de le superbe stanze alla campagna:
L’ironia investe qui i personaggi, che si
e furon di lor molte a chi ne dolse; dolgono perché la liberazione
che tal franchezza un gran piacer lor tolse. (franchezza) dall’incanto li ha privati del
piacere che provavano all’interno di un
castello inesistente.
Analisi
Il compianto dei suoi personaggi per il
diletto perduto alimenta la saggia ironia La rocca di Alcina
dell’autore che mette così in guardia il
lettore dal credere troppo reali le vicende
che gli vengono narrate.
Torna al meraviglioso
La rocca di Alcina
Alcina è un altro personaggio che usa la magia per i propri scopi: nel canto VI, Ruggiero
giunge sulla sua isola e cade preda dei suoi incanti, dimenticando il proprio passato.

VI, 59
Ariosto descrive la rocca della maga come
Lontan si vide una muraglia lunga circondata da un’enorme muraglia d’oro.
che gira intorno, e gran paese serra; Ma subito aggiunge che secondo altri
e par che la sua altezza al ciel s'aggiunga, potrebbe non essere realmente d’oro,
e d'oro sia da l'alta cima a terra. ma solo sembrare tale per opera
dell’arte alchemica, capace di
Alcun dal mio parer qui si dilunga,
trasformare in oro metalli meno nobili.
e dice ch'ell'è alchimia: e forse ch'erra;
et anco forse meglio di me intende:
a me par oro, poi che sì risplende. Torna alla precedente

Con ironia, Ariosto scopre il proprio gioco: che la muraglia sia d’oro
oppure no, poco importa, se, come lettori, siamo consapevoli del
diletto che ricaviamo dalla mescolanza di finzione e veridicità.
L’ippogrifo (a)
IV, 18-19 Atlante ha una cavalcatura piuttosto insolita:
un ippogrifo, un animale fantastico, generato
Non è finto il destrier, ma naturale, da una cavalla e un grifone (a sua volta un
essere misto, con un corpo di leone e testa e ali
ch'una giumenta generò d'un grifo:
d’aquila), che presenta, fusi nello stesso corpo,
simile al padre avea la piuma e l'ale, tratti di uccello e di equino.
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l'altre membra parea quale Dell’animale favoloso, Ariosto sottolinea:
era la madre, e chiamasi ippogrifo; - la somiglianza con il padre e la madre,
che nei monti Rifei vengon, ma rari, elemento ovvio che riconduce l’invenzione a
molto di là dagli aghiacciati mari. veridicità (che cosa c’è di più naturale della
somiglianza di un figlio ai genitori?);
Quivi per forza lo tirò d'incanto;
e poi che l'ebbe, ad altro non attese, - la provenienza geografica, tanto precisa,
quanto indefinita (i monti Rifei: forse gli
e con studio e fatica operò tanto,
Urali?), per rafforzarne lo statuto zoologico;
ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così ch'in terra e in aria e in ogni canto - le difficoltà di addomesticamento incontrate
da Atlante, narrate in dettagli molto precisi.
lo facea volteggiar senza contese.

Analisi Prosegui
L’ippogrifo (b)
IV, 18-20

Pur trattandosi di un animale frutto della sua


Non è finto il destrier, ma naturale, fantasia, Ariosto rivendica a questa creatura
ch'una giumenta generò d'un grifo: per ben due volte lo statuto di realtà.
[…]
Non finzion d'incanto, come il resto,
Subito dopo Ariosto sottolinea che, a
ma vero e natural si vedea questo.
differenza dell’ippogrifo, tutto il resto (dal
Del mago ogni altra cosa era figmento; castello alle armi, dagli incanti all’aspetto del
mago) è finzione (figmento, latinismo).

In effetti l’ippogrifo, dopo la sconfitta di Atlante, non perde la propria realtà e


anzi verrà utilizzato come destriero da altri personaggi nel corso del racconto,
con il comprensibile disorientamento del lettore di fronte ai vari livelli di
finzione che Ariosto fa interagire all’interno dell’opera.

Torna al meraviglioso
La letterarietà del testo
Un secondo strumento linguistico di cui Ariosto si avvale per creare la sua ironia è

la letterarietà del testo

che consiste nell’uso di

fonti motivi situazioni topiche

delle letterature classiche

allo scopo di

catturare l’attenzione del lettore 


impegnato a cogliere il legame con i
testi letterari cui Ariosto si ispira

Canto I, 25 e 29 Canto I, 35-58 Canto X, 97 e 115


Ruggiero libera Angelica dall’orca (a)
Canto X. Mentre Ruggiero sorvola i cieli d’Europa in groppa all’ippogrifo, vede una
bellissima fanciulla legata a uno scoglio: è Angelica, che gli abitanti dell’isola di Ebuda
offrono in sacrificio all’orca, un orrendo mostro marino, per rispettare un voto fatto al
dio Proteo. Il valoroso paladino si avvicina per porgere ad Angelica il suo aiuto.

E come ne' begli occhi gli occhi affisse, Ariosto gioca, negli ultimi due versi, sul
de la sua Bradamante gli sovenne. motivo delle catene e dei lacci d’amore, una
Pietade e amore a un tempo lo traffisse, metafora molto comune nella tradizione
e di piangere a pena si ritenne; lirica: Ruggiero osserva che Angelica non
e dolcemente alla donzella disse, dovrebbe essere incatenata da altra catena
se non da quella di Amore.
poi che del suo destrier frenò le penne:
- O donna, degna sol de la catena
con chi i suoi servi Amor legati mena, Analisi Prosegui
X, 97
Evidente l’ironia dell’autore che in un momento di massima tensione
narrativa (Angelica è sin dal mattino legata nuda a uno scoglio in attesa di
essere divorata dall’orca) ricorre a uno degli espedienti più usati di una
tradizione lirica alla quale si attingeva da secoli.
Ruggiero libera Angelica dall’orca (b)
Ruggiero, a cavallo dell’ippogrifo, riesce ad avere ragione della terribile orca. Raggiunge
Angelica e la porta via con sé. Appena i due sono al sicuro, Ruggiero tenta goffamente di
liberarsi dell’armatura, nella foga della passione amorosa che la fanciulla ha acceso in lui.

Frettoloso, or da questo or da quel canto Ritorna il motivo lirico dei lacci d’amore, che
stavolta costituiscono un impedimento per
confusamente l'arme si levava.
Ruggiero, impegnato in un frenetico quanto
Non gli parve altra volta mai star tanto; fallimentare tentativo di denudarsi.
che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto, Analisi La letterarietà
e forse ch'anco l'ascoltar vi grava:
sì ch'io differirò l'istoria mia Con ironia, l’autore suggerisce che la narrazione
in altro tempo che più grata sia. sta diventando gravosa e forse è più prudente
interromperla, rimandandone l’epilogo al canto
X, 115 successivo e creando così un effetto di suspense.

L’ironia si esprime qui nel contrasto comico fra il modello letterario della lirica amorosa e
le condizioni reali in cui si trovano i personaggi: Angelica, che dovrebbe essere prigioniera
dei lacci di Amore è incatenata a uno scoglio, e Ruggiero, a sua volta prigioniero della
passione amorosa, non riesce a darle libero sfogo, impedito com’è dai lacci dell’armatura.
Il fantasma di Argalia
Canto I. Nel momento in cui il saraceno Ferraù, alla ricerca del proprio elmo caduto in un
fiume, vede uscir fuori dall’acqua il fantasma di Argalia, cavaliere da lui ucciso in battaglia,
prova un grande spavento. Ariosto costruisce l’episodio nel segno dell’ironia.

I, 25 e 29 Ed el s’ergea col petto e con la fronte


vede di mezzo il fiume un cavalliero
com’avesse l’inferno a gran dispitto
insino al petto uscir, d'aspetto fiero. Dante, Inferno, X, 35-36
[…]
Già mi sentia tutti arricciar li peli
All'apparir che fece all'improvviso
Dante, Inferno, XXIII, 19
de l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciossi,
e scolorossi al Saracino il viso; Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura e scolorocci il viso
Analisi La letterarietà Dante, Inferno, V, 130-131

Attraverso il richiamo a tre un ridimensionamento


Ariosto prima innalza il
luoghi danteschi connotati dell’episodio abbassandolo
tono per poi effettuare
dalla massima tensione quasi a un livello comico
L’incontro fra Angelica e Sacripante (a)
Canto I. Nella sua fuga, Angelica arriva in un boschetto e si ferma a riposare. Poco dopo
giunge il pagano Sacripante, re di Circassia, che è innamorato di lei, ma crede che ormai
Angelica sia divenuta l’amante di Orlando. La fanciulla decide di rivelarglisi, per farsi aiutare.

Quel dì e la notte e mezzo l'altro giorno L’ambientazione


s'andò aggirando, e non sapeva dove.
Trovossi al fine in un boschetto adorno,
che lievemente la fresca aura muove. Il boschetto in cui si ferma Angelica è
un locus amoenus dagli elementi
Duo chiari rivi, mormorando intorno,
tipicamente petrarcheschi:
sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;
e rendea ad ascoltar dolce concento, - il venticello fresco che muove i rami,
rotto tra picciol sassi, il correr lento.
- la tenera vegetazione,
I, 35
- i due ruscelli, il cui placido fluire
produce (rendea) suoni armoniosi
Analisi Prosegui
(dolce concento), infrangendosi su
piccoli sassi.
L’incontro fra Angelica e Sacripante (b)
Sacripante, che non ha visto Angelica, si ferma vicino al ruscello e dà inizio a un
malinconico lamento amoroso.

Pensoso più d'un'ora a capo basso I, 40 Il personaggio


stette, Signore, il cavallier dolente;
poi cominciò con suono afflitto e lasso Sacripante si presenta subito come
a lamentarsi sì soavemente, l’innamorato infelice e sospiroso
dell’elegia e del petrarchismo cortigiano.
ch'avrebbe di pietà spezzato un sasso,
una tigre crudel fatta clemente. Il lessico è tipicamente petrarchesco.
Sospirando piangea, tal ch'un ruscello
parean le guancie, e 'l petto un Mongibello. Gli esiti del lamento sono iperbolici:
Sacripante ispira tanta pietà che
potrebbe spezzare un sasso e
con stil canuto avrei fatto parlando ammansire una tigre. I profondi sospiri
che emette fanno sembrare il suo petto
romper le pietre, et pianger di dolcezza. simile all’Etna (Mongibello).
Rerum vulgarium fragmenta, 304, 13-14
Analisi Prosegui
Il lamento di Sacripante (a)
«Pensier (dicea) che 'l cor m'aggiacci et ardi, I, 41 Il lamento d’amore
e causi il duol che sempre il rode e lima,
che debbo far, poi ch'io son giunto tardi, Sacripante esprime con tono patetico
e ch'altri a corre il frutto è andato prima? gli stereotipi della lirica petrarchesca.
a pena avuto io n'ho parole e sguardi,
et altri n'ha tutta la spoglia opima. L’uscita dal canone petrarchesco è però
quasi immediata: Sacripante si duole del
Se non ne tocca a me frutto né fiore,
fatto che è giunto troppo tardi per cogliere
perché affliger per lei mi vuo' più il core?» (corre) il fiore virginale dell’amata.

L’elevato tono patetico del lamento


e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
d’amore si abbassa a puro rammarico
Rerum vulgarium fragmenta, 134, 2 per il mancato raggiungimento
dell’oggetto del desiderio, come
di dì in dì, d’ora in hora, Amor m’à roso sottolineano la metafora erotica del
frutto e del fiore e quella militare della
Rerum vulgarium fragmenta, 356, 8 ricca (opima) spoglia.

Che debb’io far? che mi consigli, Amor?


Rerum vulgarium fragmenta, 268, 1 Analisi Prosegui
Il lamento di Sacripante (b)
IV, 42-43
Il tono torna ancora a elevarsi nella similitudine fra la
verginità e la rosa, che si sviluppa secondo un
La verginella è simile alla rosa, modello letterario ripreso dalla classicità latina.
ch'in bel giardin su la nativa spina
mentre sola e sicura si riposa, La similitudine è caratterizzata da eleganza e
né gregge né pastor se le avicina; simmetria ritmica:
l'aura soave e l'alba rugiadosa,
- nell’ottava 42, le coppie di sostantivi e
l'acqua, la terra al suo favor s'inchina: aggettivi sono distribuite in modo equilibrato;
gioveni vaghi e donne inamorate
amano averne e seni e tempie ornate. - i versi 1-6 nell’ottava 42 presentano una
coincidenza di metrica e sintassi.
Ma non sì tosto dal materno stelo - nel periodo conclusivo, ironico e amaro
rimossa viene e dal suo ceppo verde, (proprio quando la rosa viene colta, perde
che quanto avea dagli uomini e dal cielo qualsiasi fascino), il soggetto (la vergine) viene
favor, grazia e bellezza, tutto perde. nettamente separato dal predicato (perde).
La vergine che 'l fior, di che più zelo
che de' begli occhi e de la vita aver de', Analisi Prosegui
lascia altrui côrre, il pregio ch'avea inanti
perde nel cor di tutti gli altri amanti.
Il modello letterario
Angelica si rivela a Sacripante
Angelica decide di rivelarsi a Sacripante, per convincerlo a riportarla in patria, e gli
garantisce di essere ancora vergine, cosa che rallegra non poco il saraceno.

Corrò la fresca e matutina rosa,


che, tardando, stagione perder potria.
Parlando fra sé e sé, Sacripante prende
So ben ch’a donna non si può far cosa la decisione di non aspettare a cogliere
che più soave e più piacevol sia, (corrò) la rosa di Angelica, per paura
ancor che se ne mostri disdegnosa, che perda la sua freschezza (stagione).
e talor mesta e flebil se ne stia:
non starò per repulsa o finto sdegno,
ch’io non adombri e incanti il mio disegno. La risoluzione del guerriero saraceno
alla violenza su Angelica è perentoria:
I, 58 se anche la donna dovesse lamentarsi,
piangere o fingere di disdegnare la
cosa, egli non rinuncerà al suo progetto
Analisi Prosegui (disegno).
La degradazione ironica di Sacripante
Nell’ambito di un locus amoenus Il personaggio La capacità espressiva
Sacripante del personaggio
la rosa si offre facilmente
a chi desidera coglierla
Da innamorato L’elegante similitudine
petrarchista delle ottave 42-43
la rosa è il fiore della verginità

si trasforma in si degrada nella


la verginella è come una rosa
ferma risoluzione alla
l’innamorato può approfittare stupratore
violenza nell’ottava 58
della situazione e cogliere la rosa

Il rapido un ridimensionamento, in chiave


cambiamento di genera ironica, del topos petrarchesco
prospettiva del lamento amoroso

La letterarietà
Il modello classico: Catullo
Ut flos in saeptis secretus nascitur hortis, Il modello letterario a cui si ispira
ignotus pecori, nullo convolsus aratro, Ariosto nelle ottave 42-43 del
quem mulcent aurae, firmat sol, educat imber; Canto I è costituito dai versi 39-
multi illum pueri, multae optavere puellae: 58 del carme 62 del poeta latino
idem cum tenui carptus defloruit ungui, Catullo (I secolo a.C.).
nulli illum pueri, nullae optavere puellae:
sic virgo, dum intacta manet, dum cara suis est;
cum castum amisit polluto corpore florem, Leggi la traduzione
nec pueris iucunda manet, nec cara puellis.
Hymen o Hymenaee, Hymen ades o Hymenaee! Torna alla precedente
Ut vidua in nudo vitis quae nascitur arvo,
numquam se extollit, numquam mitem educat uvam, Il carme 62, uno dei carmina
sed tenerum prono deflectens pondere corpus docta di Catullo, è un epitalamio
iam iam contingit summum radice flagellum; o canto nuziale (Imeneo è il dio
hanc nulli agricolae, nulli coluere iuvenci: delle nozze), dedicato al tema
at si forte eadem est ulmo coniuncta marito, della verginità e composto in
multi illam agricolae, multi coluere iuvenci: esametri riuniti in strofe
sic virgo dum intacta manet, dum inculta senescit; alternativamente cantate da due
cum par conubium maturo tempore adepta est, cori, uno di giovani e uno di
cara viro magis et minus est invisa parenti. fanciulle.
Il carme 62 in traduzione italiana
Come il fiore in chiusi giardini germoglia solitario,
I giovani ignoto al gregge, non toccato dal vomere,
che tempra il sole, il fiato dell’aria accarezza,
nutre la pioggia; molti fanciulli e fanciulle lo bramano:
ma se sfiorisce divelto da un’unghia sottile,
più nessuno, fanciullo o fanciulla, lo brama:
così è cara la vergine ai suoi fin che rimane intatta;
quando perde, violata, il casto fiore,
dai giovani, dalle fanciulle è fuggita.
Imene o Imeneo, vieni, Imene o Imeneo!
Come la vite, piantata sola in un campo
Le fanciulle senz’alberi, non può levarsi né dolce uva produrre,
ma, incurvandosi debole sotto il grave peso,
quasi il tralcio più alto tocca con la radice;
né i contadini la curano, né i giovenchi:
ma se è congiunta all’olmo che le fa da sposo,
Torna alla precedente molta cura ne prendono contadini e giovenchi:
così la fanciulla vergine intristisce negletta;
Traduzione di E. Mazza, in Catullo, ma se un giusto connubio le arride quand’è l’ora,
Carmi, Guanda, Parma 1962. l’amano ancor più lo sposo e il padre.
Le figure retoriche
Un terzo strumento linguistico di cui Ariosto si avvale
per creare la sua ironia è costituito dalle figure retoriche.

similitudini Canto X, 105 e 110

metafore Canto X, 112 e 114

iperboli Canto X, 106 e 109

Nelle figure retoriche usate da Ariosto l’ironia è ulteriormente


potenziata dall’accostamento del lessico aulico della tradizione
epica al lessico ordinario oppure basso, con l’effetto comico di
degradare personaggi e situazioni per il diletto del lettore.


L’ironia dalle similitudini (a)
Canto X. Per salvare Angelica, Ruggiero, a cavallo dell’ippogrifo,
affronta in combattimento un terribile mostro marino, l’orca. Prosegui

Simil battaglia fa la mosca audace 1ª similitudine: l’attacco all’orca da parte di


contra il mastin nel polveroso agosto, Ruggiero sull’ippogrifo è paragonato al
fastidio che una mosca dà a un cane mastino
o nel mese dinanzi o nel seguace,
nei mesi di luglio, quando si miete il grano (di
l’uno di spiche e l’alto pien di mosto: spiche), agosto (polveroso) o settembre,
negli occhi il punge e nel grifo mordace, quando si vendemmia (pien di mosto). La
Volagli intorno e gli sta sempre accosto; mosca punge il mastino negli occhi e nel muso
E quel suonar fa spesso il dente asciutto: (grifo) pronto a mordere. I denti del mastino
ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto. spesso azzannano a vuoto (suonar… asciutto),
ma quando la mosca si avvicina troppo, con un
X, 105 solo colpo si appagano finalmente.
Analisi
X, 110, vv. 3-6
2ª similitudine: l’orca accecata dallo scudo di
Quale o trota o scaglion va giù pel fiume Ruggiero è simile a una trota o un cavedano
c’ha con calcina il montanar turbato, (scaglion) che nuota nelle acque di un fiume
che un pescatore di montagna ha reso torbido
tal si vedea ne le marine schiume
gettandovi la calcina (era un metodo di pesca
il mostro orribilmente riversciato. comune sugli Appennini).
L’ironia dalle similitudini (b)
L’ippogrifo L’attacco di Ruggiero L’orca Ruggiero

sono degradati a
un pescatore
montanaro
un mastin
mosca audace
fastidio dato dalla mosca
al muso di un cane trota o scaglion
(pesci di scarso pregio)

lessico e aggettivazioni epici

I termini di confronto mosca audace polveroso agosto


ma nel contempo
delle due similitudini
sono innalzati da grifo mordace
risultano riduttivi
espressioni formulari
Alla precedente puramente esornative

Le figure retoriche l’uno di spiche e l’alto pien di mosto


L’ironia dalle metafore
Canto X. Ruggiero ha sconfitto l’orca e salvato Angelica. Acceso
di amore per la donna, tenta un goffo approccio sessuale. Le figure retoriche

Così privò la fera de la cena 1ª metafora (alimentare). Angelica è un pasto


troppo delicato per il mostro (fera), ma non
per lei soave e delicata troppa.
altrettanto per Ruggiero, che vorrebbe
Ruggier si va volgendo, e mille baci approfittarne prima possibile.
figge nel petto e negli occhi vivaci.
2ª metafora (ornitologica). Ruggiero fa piegare
X, 112, vv. 5-8 le ali all’ippogrifo atterrato, ma non ad un altro
Analisi X, 114 uccello che ha già disteso le proprie.

Quivi il bramoso cavallier ritenne


l'audace corso, e nel pratel discese; La metafora del cibo e le metafore sessuali,
tipiche della tradizione novellistica, hanno lo
e fe' raccorre al suo destrier le penne,
scopo di ridurre, in chiave ironica, la tensione
ma non a tal che più le avea distese. drammatica dell’episodio.
Del destrier sceso, a pena si ritenne
di salir altri; ma tennel l'arnese: 3ª metafora (equestre). Ruggiero smonta da
l'arnese il tenne, che bisognò trarre, un destriero, ma la sua intenzione è quella di
e contra il suo disir messe le sbarre. salire su un altro (cioè Angelica).
L’ironia dalle iperboli
Canto X. Per salvare Angelica, Ruggiero, sull’ippogrifo, affronta
in combattimento un terribile mostro marino, l’orca. Le figure retoriche

Sì forte ella nel mar batte la coda, Per esaltare la quantità d’acqua sollevata
che fa vicino al ciel l'acqua inalzare; dall’orca con i suoi colpi di coda, Ariosto
ricorre a un’iperbole: Ruggiero non sa se
tal che non sa se l'ale in aria snoda,
l’ippogrifo batte (snoda) le ali per volare o
o pur se 'l suo destrier nuota nel mare. piuttosto per nuotare nel mare.
Gli è spesso che disia trovarsi a proda;
che se lo sprazzo in tal modo ha a durare, Ancora un’iperbole: se lo spruzzo (sprazzo)
teme sì l'ale inaffi all'ippogrifo, sollevato dall’orca dura troppo, l’ippogrifo
che brami invano avere o zucca o schifo. potrebbe desiderare invano una barca
(zucca e schifo sono due natanti).
X, 106
Analisi L’iperbole è arricchita da un abbassamento
X, 109, vv. 5-8 lessicale (sprazzo, zucca, schifo) allo scopo
di potenziare l’effetto ironico per contrasto.
Or viene al lito, e sotto il ventre preme
ben mezzo il mar la smisurata cete.
Ancora un’iperbole: Ruggiero rimuove il
Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo; velo dallo scudo e aggiunge un altro sole in
e par ch'aggiunga un altro sole al cielo. cielo, per acceccare il cetaceo (cete).
Fine

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