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Ludovico Ariosto
Approfittando di una sconfitta sul campo dei cristiani, Angelica (che Carlo Magno ha affidato alla custodia del vecchio duca Namo di
Baviera) si dà alla fuga e viene variamente inseguita in un bosco da alcuni paladini, tra cui Rinaldo, che ora lei odia avendo bevuto alla
fonte del disamore, e Ferraù, già uccisore del fratello Argalìa e da lei a suo tempo rifiutato. I due guerrieri saranno anche protagonisti di
un duello accanito, prima di sospenderlo per riprendere l'inseguimento della fanciulla. La selva con cui si apre il poema ricorda
vagamente la "selva oscura" posta all'inizio della "Commedia" dantesca, anche se qui rappresenta la vita umana in cui tutti siamo
all'affannosa ricerca di qualcosa che non troveremo.
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Orlando, che gran tempo innamorato Orlando, che era stato innamorato di Angelica per tanto tempo e aveva
fu de la bella Angelica, e per lei compiuto per lei innumerevoli e nobili imprese in India, in Oriente, in
in India, in Media, in Tartaria lasciato Tartaria, era tornato con lei in Occidente, dove re Carlo Magno era
avea infiniti ed immortal trofei, accampato vicino ai monti Pirenei, con i guerrieri di Francia e di Germania,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,
7 infatti poi gli fu sottratta la sua donna: ecco come spesso sbaglia il giudizio
che vi fu tolta la sua donna poi: degli uomini! Colei che aveva difeso con tante battaglie dall'Occidente
ecco il giudicio uman come spesso erra! all'Oriente, ora gli è tolta tra tanti suoi amici, senza che sia usata la spada,
Quella che dagli esperi ai liti eoi nella sua terra. Colui che gliela tolse fu il saggio imperatore, che volle
avea difesa con sì lunga guerra, spegnere un grave incendio.
or tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio imperator, ch’estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse.
Pochi giorni prima era iniziata una gara tra il conte Orlando e suo cugino
8 Rinaldo, che erano entrambi innamorati con gran desiderio della rara
Nata pochi dì inanzi era una gara bellezza di Angelica. Carlo, che non amava questa lite che gli rendeva meno
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo, saldo il loro aiuto militare, prese la fanciulla che ne era la causa e la affidò in
che entrambi avean per la bellezza rara custodia a Namo di Baviera;
d’amoroso disio l’animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
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Su la riviera Ferraù trovosse
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo; La fanciulla spaventata giungeva gridando più forte possibile. A quella voce il
e poi, mal grado suo, quivi fermosse, saraceno salta sulla riva e la guarda in viso; al suo arrivo capisce subito che
perché, de l’acqua ingordo e frettoloso, è la bella Angelica, anche se pallida e sconvolta dalla paura e benché non ne
l’elmo nel fiume si lasciò cadere, abbia avuto notizie per più giorni.
né l’avea potuto anco riavere.
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Quanto potea più forte, ne veniva
gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva E perché era nobile e forse non ne era meno innamorato dei due cugini, le
il Saracino, e nel viso la guata; diede tutto l'aiuto che poteva, come se avesse ancora l'elmo, baldo e
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E perché era cortese, e n’avea forse
non men de’ dui cugini il petto caldo, Qui iniziarono una crudele battaglia, entrambi a piedi e con le nude spade: ai
l’aiuto che potea tutto le porse, loro colpi non reggerebbero le incudini, figurarsi le piastre e la maglia
pur come avesse l’elmo, ardito e baldo: dell'armatura. Ora, mentre i due se le danno di santa ragione, il cavallo di
trasse la spada, e minacciando corse Angelica deve studiare il passo; infatti lei lo fa correre nel bosco e nella
dove poco di lui temea Rinaldo. campagna, spronandolo quanto più può con le calcagna.
Più volte s’eran già non pur veduti,
m’al paragon de l’arme conosciuti.
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Cominciar quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovar, coi brandi ignudi: Dopo che i due guerrieri si affaticarono molto tempo invano per sopraffarsi a
non che le piastre e la minuta maglia, vicenda, poiché entrambi erano esperti nell'uso delle armi e nessuno era
ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi. superiore all'altro, il primo che parlò al cavaliere spagnolo fu il signore di
Or, mentre l’un con l’altro si travaglia, Montalbano [Rinaldo], come uno che ha il cuore in fiamme, che brucia e non
bisogna al palafren che ‘l passo studi; può spegnersi.
che quanto può menar de le calcagna,
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colei lo caccia al bosco e alla campagna. Ricordami più tardi Accetto
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Poi che s’affaticar gran pezzo invano Disse al pagano: «Tu pensi di danneggiare solo me, invece danneggerai
i dui guerrier per por l’un l’altro sotto, anche te stesso: se ci scontriamo perché gli occhi splendenti del nuovo sole
quando non meno era con l’arme in mano [di Angelica] ti hanno acceso il petto, cosa ci guadagni a trattenermi qui?
questo di quel, né quel di questo dotto; infatti, anche se mi ucciderai o catturerai, la bella donna non sarà tua:
fu primiero il signor di Montalbano, mentre noi perdiamo tempo qui, lei scappa via.
ch’al cavallier di Spagna fece motto,
sì come quel ch’ha nel cuor tanto fuoco,
che tutto n’arde e non ritrova loco.
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Disse al pagan: «Me sol creduto avrai, Sarà molto meglio, se anche tu la ami, che tu pensi a sbarrarle la strada e
e pur avrai te meco ancora offeso: trattenerla, prima che vada più lontana! Quando l'avremo in nostro potere,
se questo avvien perché i fulgenti rai allora proveremo con la spada di chi debba essere: in altro modo non so
del nuovo sol t’abbino il petto acceso, proprio cosa potrà accaderci dopo una lunga battaglia, se non un danno».
di farmi qui tardar che guadagno hai?
che quando ancor tu m’abbi morto o preso,
non però tua la bella donna fia;
che, mentre noi tardiam, se ne va via.
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Quanto fia meglio, amandola tu ancora, Al pagano la proposta piacque: così il duello fu differito e tra loro nacque
che tu le venga a traversar la strada, subito una tregua, tale che dimenticarono l'odio e l'ira e il pagano
a ritenerla e farle far dimora, allontanandosi dal fiume non lasciò a piedi il buon figlio d'Amone: lo invita
prima che più lontana se ne vada! con preghiere e alla fine lo fa salire sul suo cavallo, poi galoppa sulle tracce
Come l’avremo in potestate, allora di Angelica.
di chi esser de’ si provi con la spada:
non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa riuscirci altro che danno.»
21 O grande bontà degli antichi cavalieri! Erano rivali, avevano una fede
Al pagan la proposta non dispiacque: religiosa diversa, e sentivano tutto il corpo dolente per gli aspri colpi ricevuti;
così fu differita la tenzone; eppure vanno insieme senza sospetto, per selve oscure e sentieri fuori
e tal tregua tra lor subito nacque, mano. Il cavallo, spronato da quattro piedi, arriva al punto in cui la strada si
sì l’odio e l’ira va in oblivione, biforca.
che ‘l pagano al partir da le fresche acque
non lasciò a piedi il buon figliuol d’Amone:
con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,
e per l’orme d’Angelica galoppa.
22 E poiché i due non sapevano quale delle due vie avesse imboccato la
Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui! fanciulla (poiché le orme fresche sembravano uguali in entrambe), si
Eran rivali, eran di fé diversi, rimisero alla sorte e Rinaldo percorse una strada, il saraceno l'altra.
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Né tempo avendo a pensar altra scusa,
e conoscendo ben che ‘l ver gli disse,
restò senza risposta a bocca chiusa;
ma la vergogna il cor sì gli trafisse,
che giurò per la vita di Lanfusa Rinaldo non percorse molta strada quando vide saltare davanti il suo feroce
non voler mai ch’altro elmo lo coprisse, destriero: «Baiardo mio, su, ferma il passo! Essere senza di te mi è troppo
se non quel buono che già in Aspramonte dannoso». Ma il cavallo, sordo, non torna a lui per questo richiamo, anzi
trasse dal capo Orlando al fiero Almonte. fugge via ancora più veloce. Rinaldo lo insegue e si strugge di rabbia: ma
seguiamo Angelica, che fugge a sua volta.
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E servò meglio questo giuramento,
che non avea quell’altro fatto prima.
Quindi si parte tanto malcontento,
che molti giorni poi si rode e lima.
Sol di cercare è il paladino intento
di qua di là, dove trovarlo stima.
Altra ventura al buon Rinaldo accade,
che da costui tenea diverse strade.
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Non molto va Rinaldo, che si vede
saltare inanzi il suo destrier feroce:
«Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!
che l’esser senza te troppo mi nuoce.»
Per questo il destrier sordo, a lui non riede
anzi più se ne va sempre veloce.
Segue Rinaldo, e d’ira si distrugge:
ma seguitiamo Angelica che fugge.
Interpretazione complessiva
L'autore si rifà al racconto di Boiardo che già nell'Innamorato (II.XXI.21) accennava al fatto che Carlo Magno aveva sottratto
Angelica a Orlando e Ranaldo e l'aveva affidata a Namo di Baviera, promettendo in realtà solo di dirimere la contesa in modo
"Che ogniom iudicherebbe per certanza / Lui esser iusto e dritto a la bilanza": Ariosto riprende la narrazione da qui e immagina
che la fanciulla, approfittando della rotta dei cristiani, fugga dalla tenda di Namo e inizi la sua fuga precipitosa nella selva da
dove si dipaneranno buona parte degli intrecci del poema. Questa selva ricorda in parte quella "oscura" in cui Dante si smarrisce
all'inizio della Commedia, anche se nel Furioso essa allude metaforicamente alla vita umana in cui tutti, chi più chi meno, siamo
alla affannosa ricerca di qualcosa che quasi mai riusciamo a trovare, quindi è un luogo "terreno" in cui nessun personaggio
troverà indicazioni per imboccare la "diritta via" ma, al contrario, ciascuno finirà per smarrirsi e sbagliare strada (una funzione
simile sarà svolta anche dal secondo castello di Atlante, in cui tutti cercano qualcosa che non trovano; ► TESTO: Il castello di
Atlante (/il-castello-di-atlante.html)). La selva si presenta come uno spazio labirintico in cui non è chiaro dove si dirigano i vari
personaggi, con Angelica che scappa disperata, Rinaldo che insegue sia lei sia il cavallo che gli è sfuggito, Ferraù che cerca la
fanciulla e l'elmo, e così via.
Angelica nella sua fuga precipitosa incontra vari suoi pretendenti, tra cui inizialmente Rinaldo e Ferraù già protagonisti
dell'Innamorato: il primo ama Angelica ma è odiato da lei, perché i due avevano bevuto rispettivamente alla fonte dell'amore e
del disamore, il che spiega perché la fanciulla scappa come la "pastorella" che vede un serpente nell'erba (cfr. Inn., II.XV,
episodio che ribaltava quello avvenuto nel primo libro), mentre Ferraù l'ama a sua volta e la insegue da quando aveva ucciso suo
fratello Argalìa e l'aveva pretesa in sposa, venendo da lei rifiutato per la sua bruttezza. Il duello tra i due paladini è inevitabile e
lo scontro ricalca quello avvenuto tra lo stesso Ferraù e Orlando nel precedente poema, anche in quel caso per amore di Angelica
e durante il quale il cristiano gli aveva rivolto la stessa proposta di differire lo scontro per inseguire la fanciulla, benché in quel
caso Ferraù avesse rifiutato con sdegno (Inn., I.III.79-81). Qui invece il saraceno accetta e i due inseguono Angelica sul suo
cavallo, in virtù di una tregua poco verosimile ma che dà modo all'autore di celebrare la "gran bontà de’ cavallieri antiqui", capaci
di sospendere le ostilità in virtù di un patto cortese (l'ironia di Ariosto è evidente e si collega alla rievocazione nostalgica della
cavalleria ormai inconciliabile con la moderna società, in cui le corti si sono tramutate in centri spietati di potere). Rinaldo
all'inizio e alla fine dell'episodio insegue Baiardo, il prodigioso destriero dal corpo fatato e dotato di intelligenza umana che
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