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degli studi di un canale televisivo venezuelano in una finzione filmica del 1964. L’attore
è in completo bianco, pantaloni ampi, giacca con abbottonatura dritta e collo stile
Nehru. Liqui liqui è il nome dell’abito, costume tradizionale da cerimonia per la
popolazione rurale llanera, residente nell’ecoregione pianeggiante distribuita tra
Venezuela e Colombia; area di allevamenti, savane e paludi sita a nord dell’Orinoco e ai
piedi delle Ande. Il cappello, per contrasto, è scuro a falde molto ampie. Porta con
bizzarra disinvoltura un machete lungo mezzo metro al fodero in cintola e si intrufola
in un teatro di posa secondario dove si sta esibendo una giovane cantante, aspirante
professionista, accompagnata da un pianista. Con quella che oggi si direbbe una poco
credibile goffaggine, il contadino in bianco si interpone tra le telecamere e l’artista
interrompendo di fatto l’esibizione, ostentando un fare grossolano e tonto,
completamente ignaro dei meccanismi della videoripresa. Il conduttore della
trasmissione, dal titolo didascalico Buscando una Estrella, corre in supporto della diretta e
intrattiene un dialogo serrato con il contadino proponendogli la partecipazione
estemporanea al concorso canoro in atto. L’uomo, straniato, accetta e chiede un cuatro
per potersi accompagnare. Gli viene consegnato il piccolo chitarrino venezuelano a
quattro corde e, dopo essersi presentato con il suo timbro vocale caricato e stridente,
chiede una sedia, si accomoda e inizia a suonare. Nei successivi quattro minuti si crea
una cesura netta in quello che è stato, per la prima ora di sviluppo, un film musicale
latino-americano dalla scrittura semplice e dalla produzione approssimativa. Si tratta di
Isla de sal,1 opera prima di Clemente de la Cerda che contribuisce al lancio dell’attrice e
cantante venezuelana Lila Morillo con il patrocinio artistico di sponda operato da due
artisti affermati come Hugo Blanco e il campesino Simón Díaz.
Questi, trentaseienne e attivo nel mondo dello spettacolo da almeno quindici
anni con una visibilità e notorietà già diffusa a livello nazionale, esegue dal vivo la Tonada
Del Cabrestero, un brano pubblicato in 45 giri l’anno precedente in una doppia facciata
firmata con Hugo Blanco Y Su Conjunto.2 Dal sonoro imperfetto del film emerge
improvvisamente l’overdubbing di una limpida registrazione in studio in cui dialogano le
sole corde dello strumento, pizzicate con regolare delicatezza in una ritmica semplice
ed ostinata, e la voce dai registri molteplici di Díaz, che abbandona il personaggio
caricaturale della performance attoriale per immergersi in una momentanea estasi
contemplativa che lo accompagna nell’interpretazione del brano. La mancanza di
rumori d’ambiente, dovuta a un doppiaggio poco accurato, rende l’esecuzione ancora
più irreale e trascendente. Si tratta di uno straordinario fuori contesto inserito in ciò che,
ai tempi, è perfettamente in linea con i tratti commerciali delle produzioni di commedie
musicali hollywoodiane, dei musicarelli italiani o dei derivati della zarzuela spagnola. Oggi
viene riletto come un embrionale sforzo finalizzato alla sperimentazione del mezzo
cinematografico, alla promozione di personaggi e situazioni funzionali
4 Teolinda Bolivar / Josefina Baldo / Tosca Hernandez / Teresa Ontiveros, I "Barrios de ranchos" a
Caracas, aree abusive della città, in La Ricerca Folklorica, No. 20, Antropologia urbana. Progettare e abitare: le
contraddizioni dell'urban planning, Grafo Spa, ottobre 1989, pp. 5-12
5 Camillo Mastrocinque, Totò, Peppino e la... malafemmina, Italia, 1956
modernità e, al pari dell’esempio venezuelano, il gioco sottile e allusivo sulle
implicazioni legate ai costumi permette di insinuare in seno alla distribuzione
cinematografica destinata al grande pubblico sia il tema erotico che la promozione
musicale diretta.6
Dal punto di vista qualitativo, benché antecedente, la pellicola italiana si pone a
un livello realizzativo superiore, limitando i problemi di continuità e rivelando già una
certa consuetudine nello smussare e adattare con l’artificio cinematografico il
macchiettismo teatrale da cui provengono gli attori protagonisti. In una scena di Isla de
sal, Díaz e Morillo attraversano un ampio incrocio cittadino impacciandosi nei bagagli,
perdendo abiti e cappello, affaticandosi in un disordinato slalom tra le autovetture
nervose; lo stereotipo comico è immediatamente riconoscibile ma la realizzazione
tradisce una tecnica di ripresa e sceneggiatura ancora alle primissime armi. Quel che ne
risulta è un breve piano sequenza inquadrato in campo lungo dal quale traspaiono tutti
gli artifici forzosi mediante i quali i protagonisti cercano di caricare le indicazioni del
canovaccio. Del resto sarà lo stesso Clemente de la Cerda ad argomentare sul palese
dilettantismo con cui la cinematografia venezuelana ha mosso i primi significativi passi
negli anni sessanta del novecento. Nonostante nell’esempio italiano la vicenda si
concluda con una generale pacificazione tra le due realtà rurale e metropolitana, i punti
di contatto con l’analogo venezuelano permangono anche nell’ostentazione del
progresso urbanistico che caratterizza le grandi città in espansione.
Nella Caracas del 1964 è già evidente uno sviluppo stradale impressionante
frutto di un periodo di significativi cambiamenti. Nel decennio precedente, Marcos
Pérez Jiménez (1914-2001) intensifica il processo di modernizzazione della capitale
sostenendo la realizzazione di opere pubbliche che ricalchino il modello nordamericano.
La sua dittatura, formalmente legittimata da un mandato presidenziale promulgato da
una giunta militare, combina i caratteri tipici dell’autoritarismo repressivo con uno
slancio favorevole verso le opportunità economiche nascenti. Pérez Jiménez agevola le
politiche di immigrazione europea già inaugurate tra il 1947 e il 1948 dal presidente
Rómulo Gallegos alla luce degli effetti della seconda guerra mondiale, convinto che
questa possa essere fonte di sviluppo decisiva per il Venezuela. Con l’accesso di
seicentomila persone censite da oltreoceano, comunità numericamente importanti
come quella italiana trovano spazio nel Paese proprio in questo momento storico,
raggiungendo le centoventimila unità all’inizio degli anni sessanta7 ma con una stima
complessiva superiore al doppio.8
6 Dalila Missero, La scalata al sesso. L’erotismo nel cinema italiano degli anni Sessanta, Alma Mater
Sturiorum Università di Bologna, Dottorato di ricerca in Arti visive, performative, mediali, 30 Ciclo,
DOI, 2008
7 Pedro Cunill Grau, Italian Presence in Modern Venezuela: Socioeconomic Dimension and Geo-cultural
Changes, 1926-1990, in Lydio F. Tomasi / Piero Gastaldo / Thomas Row, The Columbus People:
Perspectives in Italian Immigration to the Americas and Australia, New York Center for Migration Studies
and Fondazione Giovanni Agnelli, 1994, pp. 152–169,
8 Vittorio Briani, Il lavoro italiano oltremare, Ministero degli affari esteri Ed., Roma, 1975
Quanto agli interventi infrastrutturali, Pérez Jiménez costruisce imponenti assi
autostradali e avvia mastodontiche opere edilizie come il complesso Urbanización 2 de
Diciembre, dal nome commemorativo della propria ascesa al potere ribattezzato nel 1958
in Parroquia 23 de Enero dal suo successore, Rómulo Betancourt, questa volta in memoria
della sua deposizione e del contestuale avvio dell’era democratica. Con la benedizione
di Pérez Jiménez, l’architetto Guido Bermúdez dà vita a un gruppo di costruzioni sul
modello della Cité Radieuse completata nel 1952 a Marsiglia dall’architetto svizzero Le
Corbusier. Si tratta di unità abitative - Unité d'Habitation de Marseille è il nome originario
– concepite come cellule di uno sviluppo urbanistico verticale, giocato tramite
l’architettura e animato dai migliori propositi. Nel caso di Caracas le costruzioni di
Bermúdez assumono più la conformazione di alveari gradualmente assediati da barrios
di edilizia abusiva, in cui la mancanza di integrazione con l’economia produttiva e di
servizio generano quell’instabilità e quegli equilibri precari che, nei decenni, divengono
insostenibili sfociando in manifestazioni di violenta protesta sociale e in attività
criminali.
I barrios - o ranchos - ricoprono oggi le sinuosità montagnose dell’area urbanizzata
di Caracas seguendone le curvature con la stessa aderenza di un’enorme trapunta dal
colore mattone. Il loro proliferare è concomitante con il formarsi di una classe abbiente
sempre più distinta dal popolo, cui non si accompagna una pari attenzione. È una classe
dalla quale discende l’espansione della superficie edificata e il conseguente aumento dei
prezzi degli alloggi, dei servizi, dell’acqua e dell’elettricità. La derivazione naturale è la
segregazione dei ceti più bassi, degli immigrati che rispondono al richiamo
metropolitano, di quel denso strato di povertà che ricorre in Sudamerica con forme
simili. L’aggravante ulteriore, per quanto riguarda la specificità venezuelana, è la
negazione dello stato delle cose, perpetrata dall’autorità pubblica. I barrios vengono in
qualche modo classificati come provvisori, transitori, privi di fondamenta e quindi di
legittimazione; in quanto tali, non accatastabili né geograficamente né da un punto di
vista assistenziale. Il paradosso porta ad ignorare la quasi totalità degli insediamenti
ubicati in quartieri come Petare, ad est della capitale, esplosi senza controllo a partire
dalla seconda metà degli anni cinquanta ed arrivati ad ospitare una popolazione stimata
in quasi mezzo milione di abitanti.
Con lo sviluppo esponenziale dei barrios il problema sociale si pone fin da subito
e si trascina nel tempo. Gli insediamenti informali della città vanno gradualmente a
costituirne la parte preponderante ma il loro riconoscimento, con conseguente presa di
coscienza delle problematiche che sorgono al loro interno, non avviene. Tra il 1928 e
l’inizio del nuovo millennio, il governo venezuelano edifica nella capitale circa
seicentocinquantamila unità abitative mentre, nello stesso periodo, l’abusivismo ne
produce quasi tre milioni. Tuttavia, le mappe ufficiali della città riportano ancora in anni
recenti spazi inclassificabili o aree verdi in corrispondenza di tali complessi, di fatto
disconoscendo l’esistenza non solo di un edificio ma anche di un occupante. Sarà
soltanto con la presidenza di Hugo Chávez (1954-2013), che nel 1999 il Consejo Nacional
de la Vivienda – Conavi procederà al riconoscimento formale degli alloggi autocostruiti
rappresentando una svolta nella politica abitativa nel Paese e riorientando di
conseguenza aiuti e risorse. L’operazione, vissuta come rivoluzionaria e dall’indiscusso
potenziale elettorale, riconsidera la situazione in sui si trova la maggioranza della
popolazione venezuelana, dato che alla fine del secolo scorso più del cinquanta per
cento della cittadinanza risiede nei barrios.9
La Rivoluzione bolivariana di Chávez non sopravvive al suo ideatore. Si lega al suo
carisma in forma indissolubile, beneficia di fascinazioni e riscontri diffusi a livello
internazionale, issa la bandiera dell’antiamericanismo e nutre l’orgoglio nazionale con
esplicita propaganda e populismo. Chávez fa dei canali televisivi la propria voce
quotidiana, alimenta la presunzione di trasparenza e coltiva la semplicità del messaggio.
Giustifica e legittima il chavismo in tutte le sue forme lasciando che anche gli aspetti meno
condivisibili assumano una ragion d’essere riconosciuta dalla collettività. Nicolás
Maduro gli succede alla presidenza in seguito alla morte, sopraggiunta per un cancro
all’alba dei sessant’anni, ma ne prende il posto senza avere la stessa capacità persuasiva,
la padronanza nella gestione del controllo, la competenza nel merito, contribuendo in
pochi anni all’affossamento dei parametri economici, delle condizioni di vita generali,
della sicurezza, dei servizi, del reperimento dei beni di primissima necessità. Con
Maduro il consenso si capovolge e traduce in un disequilibrio ai confini della guerra
civile, questo almeno fino agli anni recenti della pandemia di COVID-19 e dell’acuirsi
del conflitto russo-ucraino nel 2022.
Ma i passi che conducono allo stato di cose riscontrabile alla fine novecento e
alle degenerazioni del nuovo millennio sono graduali e particolarmente ricchi di
protagonisti avventati. Con Gallegos e Pérez Jiménez le vie di comunicazione interne
all’area urbana si sono fatte imponenti, pensate per il deflusso rapido e il facile accesso
a diversi quartieri della città mediante nodi di svincoli. Le buone intenzioni derivate dal
voler agevolare un’economia in crescita si rivelano presto un boomerang in termini di
traffico e inquinamento urbano.
Il riferimento è nordamericano, emulativo di quanto fatto dall’urbanista Robert
Moses (1888-1981) a New York, ed è proprio lo stesso Moses che giunge a Caracas nel
1948 per concepire il nuovo dedalo autostradale. Il contributo prestato nella capitale
venezuelana può essere riletto con disarmante facilità di giudizio se si prende come
riferimento quanto scritto da Robert Caro in The Power Broker: Robert Moses and the Fall
of New York,10 in cui la critica al lavoro di Moses si fa dura e argomentata al punto da
valergli un Pulitzer. Moses non lavora sul campo nella capitale venezuelana ma presenta
formalmente lo studio Arterial plan for Caracas,11 una rete di grandi vie di comunicazione
comprensive di ferrovie e autostrade funzionali al miglioramento del traffico in città e
all’ampliamento armonico dell’area metropolitana. Considerando le opere svolte
9 Teolinda Bolívar / Hilda Torres / Iris Rosas / Jesús Díaz, El intento de vivienda para todos desde el
Estado venezolano, Instituto de la Ciudad FLACSO Ecuador CLACSO, 2012
10 Robert A. Caro, The Power Broker: Robert Moses and the Fall of New York, Knopf, USA, 1974
11 International Basic Economy Corporation / Robert Moses, Arterial plan for Caracas, Venezuela,
12 Hannia Gómez, Our architects en Caracas : arquitectura norteamericana en Caracas 1925-1975, Trasnocho
Cultural/Sala TAC, Caracas e 2017
13 Alfredo Brillembourg, Caracas: Like No City In The Western World, in The Empty Square Journal, 15
giugno 2022
14 Andrés Sosa Pietri, Venezuela y El Petróleo, Editorial La Galaxia, Caracas 2002
tra il fenomeno dell’urbanizzazione incontrollata e il mancato investimento su quelle
risorse naturali in grado di facilitare una produzione diretta del fabbisogno alimentare
crea un equilibrio tossico, per cui l’oscillazione dei fattori di mercato legati all’unica
fonte rilevante di sostentamento commerciale del Paese fa precipitare in pochissimo
tempo il Venezuela da una situazione di privilegio a una crisi economica che, negli anni
ottanta, incomincia ad acuirsi drammaticamente.
La brusca inversione di rotta si verifica quando il Paese gode di un immaginario
parziale e ingannevole. Esclusività e ricchezza sono le caratteristiche che filtrano e
raggiungono l’immaginario dell’osservatore occidentale. Uomini d’affari, petrolieri,
frequentatori di night club miscelati con il bel mondo della televisione nazionale,
dell’industria delle telenovelas15 nelle produzioni Venevision e Radio Caracas Televisión,
esportate negli Stati Uniti e oltreoceano per un mercato del piccolo schermo che inizia
a dirsi globale. A questo si aggiunge il mito dell’arricchimento da emigrazione, da fuga
dalle costrizioni europee e rinascita in uno scenario incontaminato in cui la ricchezza
sgorga letteralmente dal sottosuolo. La controtendenza che si verifica è quindi
particolarmente scioccante e porta con sé un’inattesa decrescita demografica che, dal
1998 in avanti, indurrà sei milioni di venezuelani ad abbandonare il proprio Paese a
causa dell’inflazione incontrollata e della costante crescita di autoritarismi e limitazioni
delle libertà di espressione.
L’architetto newyorkese e di origini venezuelane Alfredo Brillembourg,
lavorando a Caracas, definisce l’urbanistica politica congelata, mutuando la definizione di
Goethe per il quale l'architettura è musica congelata. Nel 1993 crea a Caracas lo Urban-
Think Tank, uno studio di design di tipo interdisciplinare fondato sul concetto e sulla
volontà di re-immaginare l’esistente, creando progetti sostenibili in aree problematiche
del mondo e sviluppando attività sul campo in Europa, America Latina e Africa.16
Sostiene una coraggiosa e ammirevole visione per cui la capitale venezuelana può
esemplificare le modalità in cui le città si sono modellate in conseguenza delle mancanze
legislative e organizzative dei governi dalle quali si sono trovate a dipendere, lottando
spontaneamente per supplire agli effetti deplorevoli di strategie e valutazioni
approssimative svolte dalla politica. Da Rómulo Betancourt a Nicolás Maduro,
passando per la significativa e controversa esperienza di Hugo Chávez, si susseguono
per oltre sessant’anni governi tendenzialmente inclini all’apparenza socialdemocratica
che fanno della statalizzazione il principale strumento di tutela e propaganda per un
gigante demografico incontrollato. La dipendenza economica dal mercato petrolifero,
vedendo passare il Venezuela dalla detenzione del quindici per cento del mercato
mondiale al tre per cento dell’inizio del nuovo millennio, porta con sé un peggioramento
direttamente proporzionale delle condizioni della popolazione e un conseguente riflesso
nell’edilizia. Con il peggiorare della situazione si assiste alla proliferazione dei barrios e
15 Timothy Havens, Globalizarion and the generic transformation of telenovelas, in Gary R. Edgerton /
Brian Geoffrey Rose (a cura di), Thinking Outside the Box: A Contemporary Television Genre Reader, The
University Press of Kentucky, 2008, pp. 272-292
16 Alfredo Brillembourg / Hubert Klumpner, The Architect and The City: Ideology, Idealism, and
17 Iwan Baan, Ingenious homes in unexpected places, ED Talk presentation at TEDCity2.0, 2013
In questa complicata e ubriacante storia nazionale si inserisce ed intreccia la
vicenda biografica e artistica di Simón Díaz, non soltanto un interprete e un attore
comico ma anche e soprattutto un compositore e un uomo di spettacolo completo, la
cui popolarità si deve a tutti i principali mezzi di comunicazione, culturale e generalista.
Raggiunge la fama con un programma radiofonico dal titolo emblematico, El llanero, in
cui alterna passaggi cabarettistici a un repertorio di canzoni che va pian piano
formandosi attorno a un epicentro concettuale inamovibile, quello delle radici
contadine, decentrate dalla frenesia evolutiva della capitale. La sua carriera discografica
ha inizio proprio nel periodo di produzione de Isla de sal, quando gli si affianca il
musicista e produttore Hugo Blanco (1940-2015) ed emergono due caratteri paralleli
che, nel tempo, si alterneranno con frequenza. Díaz incide la Tonada Del Cabrestero sia
nel 45 giri d’esordio del 1963 che nel primo album a 33 giri pubblicato lo stesso anno18
e, nel primo dei due lavori, la produzione si completa con una facciata B di impianto
parodistico: la rivisitazione di Dos Almas dell’argentino Don Fabián. La scelta è
apparentemente stridente ma in entrambi i brani vi è un ancoramento alla tradizione.
La forma di canzone parodistica caratteristica di Díaz e Blanco diventa in pochi
anni uno schema ricorrente che definisce la discografia di entrambi per circa un
decennio. La parola chiave di questo filone è Gaita, e il riferimento va alla tradizione
della Gaita Zuliana, un genere musicale sviluppatosi nel diciannovesimo secolo nello
stato di Zulia, nell’estremo nordovest del Paese presidiato dal capoluogo Maracaibo. I
caratteri del genere sono diversi e complessi ma alcuni elementi ricorrenti ne
determinano una facile riconoscibilità. Innanzitutto si tratta di canti generalmente
satirici, accompagnati da ritmi incalzanti e terzinati, storicamente dominati dal furruco,
membranofono di origine africana formato da un corpo cilindrico e da un bastone lungo
circa un metro affrancato a una punta sporgente al centro della pelle tesa per mezzo di
avvitamento o incastro. Il meccanismo ha la funzione di un’ancia trasferita su un
concetto percussivo: sfregando con le mani il bastone avvitato alla pelle, la vibrazione
si propaga e si produce in un suono grave, simile a un breve e intenso ruggito.
L’applicazione principale dello strumento è di tipo ritmico e marca il terzinato
caratteristico del genere ma, allo stesso tempo, l’intonazione contribuisce alla
definizione di un pedale che sostiene la complessità armonica del brano.
La componente satirica dei testi si indirizza in prima battuta al mondo politico e
presta il fianco a una declinazione su più ambiti. Le Gaitas de las locas e le Gaitas de Simón
sono definizioni che vanno a contraddistinguere la serialità inaugurata dai due artisti,
cui si aggiunge presto anche Joselo, José Manuel Díaz Márquez (1936-2013), caratterista
e fratello minore di Simón che, in scia ai due più completi battistrada, si produce in una
lunga carriera nel mondo dello spettacolo. Il passaggio dal tema politico a quello
umoristico è più semplice di quanto si possa immaginare. Il sentimento di protesta
popolare che anima le composizioni si fonde con lo humor e con il sarcasmo grazie alla
trascinante componente ritmica e musicale, che induce facilmente il ballo superando la
18Simón Díaz Con Hugo Blanco Y Su Conjunto, ¡Ya Llegó Simón!, Palacio – LP-6136, Venezuela,
1963
dimensione riflessiva. La funzione della Gaita diviene duplice: sovvertire e chetare, dare
sfogo alla frustrazione traducendola in sorriso, in autoironia, in beffa.19 L’origine
popolare della Gaita la contrappone per definizione alla classe dirigente. Alle origini del
fenomeno, essa si pone come una risposta alle pratiche di intrattenimento condotte dai
padroni delle haciendas, rivendicando l’appartenenza alle classi più umili dei lavoratori.
Con il trascorrere dei decenni, il carattere originario evolve e si trasforma, fino ad
arrivare alle forme di spettacolo popolari e generaliste proposte prima dalla radiofonia
e, successivamente e massivamente, dalla televisione.
Sempre nel 1963, La quinta de Simón è il primo programma televisivo condotto
da Díaz, una commedia settimanale a puntate basata sulla storia di uno llanero arricchitosi
grazie a un pozzo di petrolio scoperto nel suo cortile. Con i soldi derivati da questa
clamorosa fortuna, si trasferisce a Caracas e acquista una casa cui dà il nome che diviene
titolo della trasmissione. La casa diventa scenario di situazioni comiche in cui emerge il
difficile adattamento delle tradizioni ed usanze regionali al contesto della modernità
urbana.20 Il personaggio di Díaz è il medesimo conosciuto in Isla de sal per costume,
gestualità, impostazione vocale e trasmette una fresca ingenuità miscelata con un’inedita
modalità carismatica. Con La quinta de Simón la personificazione di una voce, che fino
ad allora è stata esclusivamente radiofonica, si completa ed entra a far parte
indissolubilmente dell’immaginario venezuelano venendo a rappresentare una figura
famigliare e rassicurante, nel tempo ribattezzata El Tío Simón.
19 Light Carruyo, La Gaita Zuliana: Music and the Politics of Protest in Venezuela, in Latin American
Perspectives, Vol. 32, No. 3, Venezuelan Exceptionalism Revisited: New Perspectives on Politics and Society,
Sage Publications, Inc., maggio 2005, pp. 98-111
20 Bettsimar Díaz, Todo sobre mi padre: La quinta de Simón, Globovisión, 2012
21 Simón Díaz, Tonadas, Palacio – LPS-66299, 1974
Nel corpus di oltre sessanta produzioni pubblicate in carriera a proprio nome,
Tonadas si pone come una netta cesura. Díaz apre il disco con la ripresa della Tonada Del
Cabrestero, primo di isolati episodi riscontrabili nella discografia degli esordi, per poi
procedere con una serie di brani in cui le caratterizzazioni stilistiche si fanno ricorrenti
e riconoscibili.22 L’elemento melodico emerge in maniera dominante; le linee tracciate
da Díaz sono volteggi che spaziano dal registro grave al falsetto, propongono salti per
intervalli di quarta e quinta e, ancora, glissati di natura imitativa rispetto al canto degli
animali della savana. Mantiene al contempo l’andamento per gradi triadici che
caratterizza trasversalmente il repertorio di origine ispanica ma ne colora la regolarità
interponendo artifici che alterano la dinamica espositiva classica della canzone. Gli
espedienti melodici di Díaz interferiscono anche sulla costruzione ritmica, rendendo la
divisione in misure secondaria rispetto alla componente interpretativa. Díaz lancia le
note, lasciandole correre lungamente in cerca di una eco ambientale, sovvertendo la
scansione ritmica e riprendendo la frase solo al termine della chiusura naturale
dell’emissione, libera dalla costrizione della misura.
La tradizione che l’artista venezuelano recupera è quella dei canti monodici de
los llanos, melodie e giochi fonetici che accompagnano le diverse attività proprie
dell’allevamento e dell’agricoltura quali il pascolo, la mungitura, la lavorazione della
terra, il dissodamento, la caccia e la pesca.23 La ritualità che ne deriva si genera dal
rapporto tra uomo e contesto naturale, si insinua nella relazione di interdipendenza che
viene a crearsi tra la terra lavorata e il contadino, tra la mandria e l’allevatore; si traduce
in spiritualità laica, in contemplazione, in simbiosi. La riscrittura musicale di questo
rapporto vede nella ripetitività dell’accentazione ritmica del cuatro la continuità e la
costanza del gesto operaio, o altre volte il passo cadenzato o galoppante dell’animale.
Nei glissati discendenti che chiudono i passaggi melodici riporta l’imitazione del
muggito, del belato e del nitrito, nelle accelerazioni repentine al centro delle frasi il canto
degli uccelli, nelle note lunghe e incuranti del metro il richiamo dell’uomo che raduna il
bestiame, una voce portata e intensa che corre senza ostacoli nella prateria pianeggiante
e sconfinata discendendo soltanto una volta raggiunto e scavalcato l’orizzonte, come la
parabola di una pietra scagliata a incredibile distanza. Lo spazio condiziona il canto e il
canto definisce, a favore dell’ascoltatore, un immaginario multisensoriale che rimanda
al contesto da cui proviene.
La vita dello llanero è fatta di solitudine e tempi dilatati, di riflessione spontanea,
attesa, osservazione adagiata sulla quiete apparente delle pianure. La cadenza che la sua
tradizione bioritmica ha assegnato alle attività lavorative viene scandita dai canti e ne
riconduce lo spirito a una categoria antropologica ricorrente, a una pratica del genere
umano che a fronte di diverse proposte di classificazione si riassume nella definizione
di canto di lavoro. È il medesimo impulso che origina le worksong afroamericane delle
piantagioni di cotone, i canti delle mondine dell’Italia settentrionale, le Bothy Ballads dei
braccianti agricoli scozzesi. È una necessità spontanea, fisiologica, che si può
24 Torrealba, Antonio José. Diario de un llanero. Caracas: 1987 – Universidad Central de Venezuela,
Facultad de Humanidades y Educación, Instituto de Filología “Andrés Bello” – 4 vols.
25 Teresa de La Parra, Las Memorias de Mamá Blanca, París: Le Livre Libre, 1929
contraddizioni dal primo giorno del suo inserimento nella Caracas degli anni quaranta,
ne raccoglie i riti e decide di comporne una celebrazione.
Il percorso che intraprende Díaz nel 1974, votato alla rivendicazione ancora più
forte dell’appartenenza regionale, è particolare anche al cospetto di un’ipotetica
rappresentanza culturale di ordine nazionale. Esso concentra infatti l’attenzione verso
un micro-cosmo, in apparente contraddizione con il riscontro internazionale che la sua
fascinazione va ad incontrare nel giro di pochissimi anni. La tonada, partendo dalle
periferie di un Paese che converge nella sua capitale, polo attrattivo del processo di
urbanizzazione, supera il fenomeno socioeconomico e vi fa prevalere l’espressione, il
sentimento, la radice. Nell’intenzionalità di salvaguardare il canto di lavoro in quanto
manifestazione di una realtà di vita messa in pericolo dalla brutalità attrattiva della
metropoli e dalla modernità, la tonada esce dall’urbanità26 ed entra nella spiritualità di un
popolo, risvegliandola. Díaz si aggrappa a tutte le suggestioni popolari per risvegliare il
repertorio, le colleziona e le formalizza in quadri musicali sorprendenti. Costruisce la
Tonada De Luna Llena, incisa per la prima volta nel 1965,27 su una composizione poetica
inconsapevole di sua madre, Doña María Magdalena Márquez, che paragona
l’innamoramento all’airone che pare combattere contro il fiume nella gestualità
intenzionale di ricavarne nutrimento e la avvolge di uno dei passaggi compositivi più
enfatici del proprio repertorio, in cui traduce al meglio e concretizza in musica il
pensiero profondo che lo anima.
Oltretutto, la prevalenza dell’ecosistema, delle dinamiche quotidiane e degli
aspetti socioeconomici su quelli prettamente musicali porta il genere della tonada ad
assumere colori differenti, da un punto di vista melodico e armonico, a seconda della
microregione da cui provengono. L’estensione de los llanos, che attraversa le aree centrali
del Venezuela come quelle orientali della Colombia per un totale di undici diversi
dipartimenti, comporta una particolarizzazione delle pratiche e una differenziazione
delle monodie, che seguono il repertorio popolare e le pratiche locali definendo vasti
sotto-repertori.
La scrittura musicale della Tonada De Luna Llena disegna quindi l’ambiente, che
viene descritto nei versi e nell’andamento. Il sapore crepuscolare dell’interpretazione si
appoggia sulla tenue insistenza del cuatro rendendolo pressoché inudibile, al punto che
riprendendo il brano a distanza di vent’anni, Caetano Veloso ne restituisce
spontaneamente una versione a cappella.28 La scelta è oltretutto filologica, in quanto
segue la forma originaria propria del canto di lavoro, dove l’esecuzione è esperienza
propria del singolo, semi-contemplativa, con libertà di prolungamento delle linee vocali,
scarsa soggezione alla misura, metrica dei versi prevalente in ottonari e suggestione
1995
ritmica sottesa di tipo ternario.29 La sua interpretazione definisce il senso di un canto
silenzioso, ascetico, rivolto all’immensità, polisemico in ogni sua emissione, che sia essa
di significato o puramente melismatica. L’omaggio di Caetano è soltanto uno dei tanti
attestati internazionali che portano la figura di Díaz al di fuori del contesto nazionale. Il
progetto Fina Estampa del compositore brasiliano, che in due anni vede la pubblicazione
di un album in studio30 e di un live ad esso legato, celebra i compositori latino-americani
di lingua spagnola riprendendo i grandi classici del repertorio e tributando Simón Díaz
con il brano di chiusura dell’album, ultimo della setlist dello spettacolo dal vivo portato
in tutto il mondo.
29 Ramón y Rivera, Luis Felipe. Cantos de trabajo del pueblo venezolano. Caracas: 1955, Fundación
Eugenio Mendoza, 55 pp.
30 Caetano Veloso, Fina Estampa, Philips – 522745.4, Brasile, 1994
31 Simón Díaz, Golpe Y Pasaje, Palacio – LPS-66479, Venezuela, 1980
32 Katrin Lengwinat, Joropo llanero tradicional en Venezuela, in Musicaenclave, Vol. 9, Nº. 1, gennaio-
aprile, 2015
formato podcast,33 una serie di interviste raccolte in vari decenni di carriera radiofonica
newyorkese, includendo in questa preziosa antologia sonora anche un dialogo con il
compositore venezuelano. In questa occasione, Díaz ha la possibilità di riappropriarsi
pubblicamente dell’autorialità di un brano che negli anni è venuto ad assumere un
carattere panamericano, venendo di volta in volta identificato dall’ascoltatore distratto
in un classico cubano, messicano, colombiano…
In questa confusione risiede tuttavia la forza di una composizione che nasce
nelle pianure venezuelane nel 1979, quando il cinquantenne Simón si ritrova a San
Fernando de Apure, nel centro de los llanos per registrare dei contributi video dedicati
per il programma televisivo Venezolanamente. L’oggetto della produzione è la
documentazione della galapagueada ovvero la cattura delle testuggini.34 In seguito alle
inondazioni stagionali che in inverno allagano le pianure della regione, si formano nella
regione di Apure paludi temporanee che resistono stagnando fino all’inizio dell’estate.
Qui rimangono intrappolati animali di fiume di ogni tipo tra cui piccole tartarughe
chiamate galapagos. Gruppi di abitanti della zona si recano in queste lagune temporanee,
posizionano reti in prossimità di una bocca dello stagno e percuotono l’acqua con dei
bastoni indirizzando gli animali in fuga verso la trappola.
Per rendere lo speciale televisivo più variopinto e accattivante, Díaz richiede la
partecipazione di un gruppo musicale di contorno, un complesso in stile joropo.
Fatalmente, rimane colpito dalla grazia della cantante diciannovenne e tenta l’approccio
durante una festa notturna prendendo presto amara coscienza dell’eccessiva disparità di
età, fattagli notare da un giovane che duetta con lui in una battaglia di distici improvvisati
durante un’esibizione musicale estemporanea. Da questa fulminante consapevolezza
deriva la suggestione del cavallo vecchio, un animale che intuisce di non poter più perdere
alcun fiore gli venga offerto dal momento che sente sfuggire rapidamente il tempo di
vita che gli rimane. Díaz si ritira dopo la festa e la notte compone il suo celebre brano.
Lo stesso anno della pubblicazione di Golpe Y Pasaje, Caballo Viejo viene inciso
anche dalla stella venezuelana Mirtha Pérez,35 già nota a livello internazionale da un
decennio per una ballad pop orchestrale in sei ottavi di altrettanto fortunata diffusione:
La Nave Del Olvido.36 Questa doppia esposizione concomitante amplifica il successo in
un’inattesa stereofonia inaugurando una serie lunghissima di riproposizioni e cover in
diverse lingue, fino ad alimentare un ulteriore fenomeno commerciale nel 1987. In
quell’anno viene dato alle stampe il terzo album della band francese di cultura gitana
Gipsy Kings che apre con un medley della durata di poco più di tre minuti dal titolo
Bamboleo. L’incipit del brano riprende la strofa di apertura di Caballo Viejo e la trascina
riadattandola fino al ritornello, basato invece sull’interpretazione che Carmen Miranda
(1909-1955) - icona del cinema hollywoodiano prima e del tropicalismo brasiliano poi -
33 Gilda Mirós, Simon Diaz, Tio Simon cantautor venezolano su quatro y su "Caballo Viejo" radio 80s gilda
miros NYC, in GILDA MIROS, (podcast), 14 dicembre 2021
34 Simón Díaz, Mis Querencias, Los Libros de El Nacional, 2006
35 Mirtha Pérez, Canto A Venezuela, AS International – 0677, Venezuela, 1980
36 Mirtha, La Nave Del Olvido / El Verano Llego, Velvet – 5899, Venezuela, 1970
dà per il brano Bamboleô di André Filho nella registrazione in 78 giri del 1931.37 Il
successo del brano dei Gipsy Kings, promosso anche in versione singolo in accoppiata
con un’altra composizione particolarmente fortunata, Djobi Djoba,38 si protrae nei
decenni divenendo un classico universale di fruizione immediata e facile accoglimento.
Accanto a un riscontro tipicamente commerciale, suggellato da altre
interpretazioni a firma Celia Cruz, María Dolores Pradera, Julio Iglesias, José Luis
Rodríguez, Roberto Torres, Díaz colleziona riconoscimenti anche dai protagonisti della
musica colta e dal mondo dell’arte in genere. Viene reinterpretato e omaggiato da
Plácido Domingo, inserito nelle colonne sonore di Pedro Almodóvar,39 coreografato da
Pina Bausch e tradotto in pellicola da Wim Wenders.40 In una delle scene più efficaci di
Pina, trasposizione cinematografica in 3D proposta dal regista tedesco per rendere al
meglio la profondità drammatica e spaziale del teatrodanza contemporaneo, una
glasshouse circondata da alberi celebra l’ansietà della mancanza, l’assedio dell’assenza,41 in
un passaggio coreografico implosivo in cui la vittima del dolore trova quiete
momentanea soltanto nell’abbraccio della controparte, sfuggente e imperturbabile come
nel peggiore dei sogni circolari e involuti. Tarantolato, onirico e reiterato è il gesto del
dolore; statico, posato, fotografico il sollievo, mentre scorre il tappeto musicale di Luna
De Margarita in sottofondo, uno degli episodici passaggi lirici e malinconici antecedenti
al periodo delle tonadas.42
Il repertorio di Díaz viene poi riadattato per grandi organici dall’Orquesta Sinfónica
Simón Bolívar, fondata nel 1975 dal Maestro José Antonio Abreu (1939-2018) a valle di
quell’esperienza incredibile e mastodontica di educazione musicale e integrazione
sociale denominata El Sistema. Intimamente legato al proprio fondatore, El Sistema
instaura nel Paese un intervento didattico ed educativo metodico, fortemente incentrato
sul contributo volontario all’interno delle comunità locali. Si struttura a partire dalla
concezione di un trasferimento gratuito delle competenze e delle pratiche di insieme,
libero e accessibile a tutti i ceti sociali e con un occhio estremamente attento alla realtà
dei barrios.
La figura di Abreu, al pari di quella di Díaz, ha per il Venezuela un valore
particolare e inestimabile sia dal punto di vista del riconoscimento e dell’orgoglio
popolare che dalla prospettiva del potere autoritario ed autocratico esercitato dagli
esponenti politici e, in particolare, da Hugo Chávez. Negli anni, El Sistema viene
sostenuto dai governi venezuelani indipendentemente dall’alternarsi di figure più o
meno inclini o sensibili al tema dell’inclusività. Diviene nel tempo uno strumento di
diplomazia culturale, in grado di attrarre sostegni economici anche dall’estero
scavalcando sanzioni internazionali e protezionismi. Tramite la Fundación del Estado para
43 Il programma in questione è Contesta por Tío Simón , in voga negli anni ottanta e trasmesso per
undici stagioni consecutive dal canale nazionale Venezolana de Televisión. Oltre alla componente
folklorica, i giovani partecipanti venivano sfidati dal conduttore nel memorizzare versi in una forma
di concorso a premi di grande successo popolare.