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Un caratterista, vestito in semplice eleganza, si aggira per gli angusti corridoi

degli studi di un canale televisivo venezuelano in una finzione filmica del 1964. L’attore
è in completo bianco, pantaloni ampi, giacca con abbottonatura dritta e collo stile
Nehru. Liqui liqui è il nome dell’abito, costume tradizionale da cerimonia per la
popolazione rurale llanera, residente nell’ecoregione pianeggiante distribuita tra
Venezuela e Colombia; area di allevamenti, savane e paludi sita a nord dell’Orinoco e ai
piedi delle Ande. Il cappello, per contrasto, è scuro a falde molto ampie. Porta con
bizzarra disinvoltura un machete lungo mezzo metro al fodero in cintola e si intrufola
in un teatro di posa secondario dove si sta esibendo una giovane cantante, aspirante
professionista, accompagnata da un pianista. Con quella che oggi si direbbe una poco
credibile goffaggine, il contadino in bianco si interpone tra le telecamere e l’artista
interrompendo di fatto l’esibizione, ostentando un fare grossolano e tonto,
completamente ignaro dei meccanismi della videoripresa. Il conduttore della
trasmissione, dal titolo didascalico Buscando una Estrella, corre in supporto della diretta e
intrattiene un dialogo serrato con il contadino proponendogli la partecipazione
estemporanea al concorso canoro in atto. L’uomo, straniato, accetta e chiede un cuatro
per potersi accompagnare. Gli viene consegnato il piccolo chitarrino venezuelano a
quattro corde e, dopo essersi presentato con il suo timbro vocale caricato e stridente,
chiede una sedia, si accomoda e inizia a suonare. Nei successivi quattro minuti si crea
una cesura netta in quello che è stato, per la prima ora di sviluppo, un film musicale
latino-americano dalla scrittura semplice e dalla produzione approssimativa. Si tratta di
Isla de sal,1 opera prima di Clemente de la Cerda che contribuisce al lancio dell’attrice e
cantante venezuelana Lila Morillo con il patrocinio artistico di sponda operato da due
artisti affermati come Hugo Blanco e il campesino Simón Díaz.
Questi, trentaseienne e attivo nel mondo dello spettacolo da almeno quindici
anni con una visibilità e notorietà già diffusa a livello nazionale, esegue dal vivo la Tonada
Del Cabrestero, un brano pubblicato in 45 giri l’anno precedente in una doppia facciata
firmata con Hugo Blanco Y Su Conjunto.2 Dal sonoro imperfetto del film emerge
improvvisamente l’overdubbing di una limpida registrazione in studio in cui dialogano le
sole corde dello strumento, pizzicate con regolare delicatezza in una ritmica semplice
ed ostinata, e la voce dai registri molteplici di Díaz, che abbandona il personaggio
caricaturale della performance attoriale per immergersi in una momentanea estasi
contemplativa che lo accompagna nell’interpretazione del brano. La mancanza di
rumori d’ambiente, dovuta a un doppiaggio poco accurato, rende l’esecuzione ancora
più irreale e trascendente. Si tratta di uno straordinario fuori contesto inserito in ciò che,
ai tempi, è perfettamente in linea con i tratti commerciali delle produzioni di commedie
musicali hollywoodiane, dei musicarelli italiani o dei derivati della zarzuela spagnola. Oggi
viene riletto come un embrionale sforzo finalizzato alla sperimentazione del mezzo
cinematografico, alla promozione di personaggi e situazioni funzionali

1Clemente de la Cerda, Isla de sal, Venezuela, 1964


2Simón Díaz, Hugo Blanco Y Su Conjunto, Tonada Del Cabrestero / Dos Almas, Palacio – 45-6446,
Venezuela, 1963
all’intrattenimento di massa e a una misurata prima riflessione sulla crescente dicotomia
tra urbanizzazione e mondo antico nella nazione venezuelana.

Il piacere della contestualizzazione spinge a collocare una manifestazione


artistica o musicale nel suo ambiente originario, per poter integrare l’ascolto di tutto
quell’intorno sensoriale che le è proprio. Questo può avvenire a prescindere dal livello
di approfondimento, sia esso di tipo puramente psicologico oppure ricerchi un piano
interpretativo più complesso, come nel caso delle formulazioni acustemologiche di
Feld. Un repertorio, o anche un singolo brano di derivazione folklorica, può raggiungere
l’interesse dell’ascoltatore per via della sua struttura musicale tanto quanto della socialità
che lo circonda. Elementi cromatici, forme e rimandi geografici, fisionomie dei volti,
essenze riconducibili a una gastronomia correlata, sono tutti rilievi che concorrono alla
formalizzazione di un ascolto nella sua interezza, incidendo sull’immaginario e, in un
certo senso, approfondendo la comprensione del fenomeno musicale nel suo significato
più rotondo.
Immergendosi nel Venezuela di Simón Díaz la contestualizzazione diviene
operazione più articolata, dato che la sua carriera copre un arco temporale di
sessantacinque anni e che in tale periodo il Paese in cui vive e opera cambia
innumerevoli volte. Díaz nasce nel 1928 a Barbacoas, oggi sito nello Stato di Aragua, al
confine con quello di Guàrico, area a prevalenza agricola alle porte de Los Llanos, ovvero
delle pianure tropicali abitate dai cosiddetti llaneros. La dimensione e l’isolamento del
luogo sono facilmente deducibili dalle professioni attribuite al padre di Simón, Juan
Bautista Díaz, che nell’economia del villaggio svolge alternativamente funzioni di
barbiere, falegname, maestro di scuola, impiegato, cancelliere di tribunale, scuoiatore di
bestiame e musicista.3 Si sposta a Caracas alla fine degli anni quaranta, dopo le prime
esperienze musicali trascorse da assistente tecnico e cantante episodico per l’Orchestra
Siboney a San Juan de los Morros, capitale del Guàrico, dove si trasferisce
temporaneamente con la famiglia per volontà della madre, rimasta prematuramente
vedova e in cerca di un ambiente più favorevole alla crescita degli otto figli.
La regione che Díaz lascia poco più che ventenne è il corpo tradizionale che
alimenta la sua carriera e che rende manifesto a partire dall’abbigliamento,
impersonificandolo. L’area è caratterizzata da una ricchezza faunistica rara e da una
varietà di paesaggio continua nonostante il profilo pianeggiante di origine alluvionale. Il
trascorrere dei decenni è segnato più dall’alternarsi ciclico dei periodi di pioggia e siccità
che dall’intervento dell’uomo, con conseguente sbilanciamento climatico che da maggio
ad ottobre propone una stagionalità calda e umida e da novembre ad aprile una
situazione più mite e secca. Al contrario, le metamorfosi che interessano la capitale
Caracas nel corso dell’ultimo secolo sono scioccanti.
Quando Simón Díaz nasce, il Venezuela è in un momento di crescita
demografica ed economica. Se nei primi anni del ventesimo secolo altre metropoli del

3 Simón Díaz, Simón Díaz Cuenta Y Canta, Televen, 2000


Sud America come Rio de Janeiro o Buenos Aires avevano già raggiunto il milione di
abitanti, Santiago de León de Caracas – questo il nome completo - censiva solamente
settantamila persone. Nei primi quarant’anni del novecento passa a duecentomila,
mentre partendo dal dopoguerra esplode, fino ad arrivare ai quattro milioni del 1984 e
ai cinque e mezzo del 2007, con un incremento complessivo del duemila per cento in
circa settant’anni.4 Tutto ciò avviene nella valle del Rio Guaire, su un altopiano posto a
circa mille metri di altezza e a quindici chilometri dalla costa.
L’atterraggio all’aeroporto di Caracas è un incantevole planare sul Mar dei
Caraibi, uno sguardo ampio sul Golfo del Venezuela che prelude a un percorso
autostradale che, attraverso l’autopista Caracas-La Guaira sale verso la città incuneandosi
nella stretta e irregolare vallata in cui sorge la metropoli. La geografia fisica è
costringente, limita l’espansione in via teorica e, posta di fronte a un’esplosione
demografica come quella verificatasi nel ventesimo secolo, ha ospitato soluzioni
urbanistiche controverse. Le conseguenze socioeconomiche di questo braccio di ferro
tra la geografia naturale e la necessità di sopravvivenza dell’uomo, a valle delle vicende
politiche e delle inevitabili ricadute sulla popolazione, ha generato condizioni abitative
estreme al punto da divenire oggetto di studi auspicabilmente funzionali a
un’armonizzazione di realtà analoghe di sovrappopolamento riscontrabili nel resto del
mondo.
La Caracas del 1964, restituita dal film Isla de sal, propone alcuni significativi
segnali di un processo che si trova nel pieno del suo corso. La capitale è già una
metropoli caotica, benché mantenga un certo ordine complessivo. Si intravedono i semi
delle differenze sociali, con bambini questuanti e lustrascarpe, cha anticipano il dramma
generalizzato della situación de calle, e un arrembante commercio ambulante, preludio del
mercato nero e del contrabbando che sorgerà dalle sanzioni internazionali, dai controlli
valutari e dall’autarchia negli ultimi anni del secolo. La sceneggiatura del film gioca non
poco con le differenze radicali tra il vivere nel villaggio di pescatori di Chichiriviche, da
dove provengono e partono Lila Morillo e il suo padrino Simón Díaz per cercar fortuna,
e la frenesia della vita metropolitana, con le lusinghe archetipiche dello sviluppo
all’occidentale.
Il topos sviluppato è riconoscibile e ricorrente nella letteratura di diverse culture
e nella sfera dell’arte cinematografica trova spazio per sviluppare alcune interpretazioni
che penetrano indelebilmente nell’immaginario collettivo. Nel 1956 la cinematografia
italiana distribuisce Totò, Peppino e la... malafemmina,5 con la regia di Camillo Mastrocinque
al servizio esclusivo della comicità teatrale e improvvisativa di Totò e Peppino De
Filippo. La trama accompagna i fratelli Caponi dalla campagna del napoletano al mondo
dell’avanspettacolo, nella frenesia mondana di Milano, mettendo a confronto due realtà
opposte dello stesso Paese e proponendo il tema della moralità in maniera estensiva. Il
taglio comico del film non cela le tematiche sottese al contrasto tra tradizione e

4 Teolinda Bolivar / Josefina Baldo / Tosca Hernandez / Teresa Ontiveros, I "Barrios de ranchos" a
Caracas, aree abusive della città, in La Ricerca Folklorica, No. 20, Antropologia urbana. Progettare e abitare: le
contraddizioni dell'urban planning, Grafo Spa, ottobre 1989, pp. 5-12
5 Camillo Mastrocinque, Totò, Peppino e la... malafemmina, Italia, 1956
modernità e, al pari dell’esempio venezuelano, il gioco sottile e allusivo sulle
implicazioni legate ai costumi permette di insinuare in seno alla distribuzione
cinematografica destinata al grande pubblico sia il tema erotico che la promozione
musicale diretta.6
Dal punto di vista qualitativo, benché antecedente, la pellicola italiana si pone a
un livello realizzativo superiore, limitando i problemi di continuità e rivelando già una
certa consuetudine nello smussare e adattare con l’artificio cinematografico il
macchiettismo teatrale da cui provengono gli attori protagonisti. In una scena di Isla de
sal, Díaz e Morillo attraversano un ampio incrocio cittadino impacciandosi nei bagagli,
perdendo abiti e cappello, affaticandosi in un disordinato slalom tra le autovetture
nervose; lo stereotipo comico è immediatamente riconoscibile ma la realizzazione
tradisce una tecnica di ripresa e sceneggiatura ancora alle primissime armi. Quel che ne
risulta è un breve piano sequenza inquadrato in campo lungo dal quale traspaiono tutti
gli artifici forzosi mediante i quali i protagonisti cercano di caricare le indicazioni del
canovaccio. Del resto sarà lo stesso Clemente de la Cerda ad argomentare sul palese
dilettantismo con cui la cinematografia venezuelana ha mosso i primi significativi passi
negli anni sessanta del novecento. Nonostante nell’esempio italiano la vicenda si
concluda con una generale pacificazione tra le due realtà rurale e metropolitana, i punti
di contatto con l’analogo venezuelano permangono anche nell’ostentazione del
progresso urbanistico che caratterizza le grandi città in espansione.
Nella Caracas del 1964 è già evidente uno sviluppo stradale impressionante
frutto di un periodo di significativi cambiamenti. Nel decennio precedente, Marcos
Pérez Jiménez (1914-2001) intensifica il processo di modernizzazione della capitale
sostenendo la realizzazione di opere pubbliche che ricalchino il modello nordamericano.
La sua dittatura, formalmente legittimata da un mandato presidenziale promulgato da
una giunta militare, combina i caratteri tipici dell’autoritarismo repressivo con uno
slancio favorevole verso le opportunità economiche nascenti. Pérez Jiménez agevola le
politiche di immigrazione europea già inaugurate tra il 1947 e il 1948 dal presidente
Rómulo Gallegos alla luce degli effetti della seconda guerra mondiale, convinto che
questa possa essere fonte di sviluppo decisiva per il Venezuela. Con l’accesso di
seicentomila persone censite da oltreoceano, comunità numericamente importanti
come quella italiana trovano spazio nel Paese proprio in questo momento storico,
raggiungendo le centoventimila unità all’inizio degli anni sessanta7 ma con una stima
complessiva superiore al doppio.8

6 Dalila Missero, La scalata al sesso. L’erotismo nel cinema italiano degli anni Sessanta, Alma Mater

Sturiorum Università di Bologna, Dottorato di ricerca in Arti visive, performative, mediali, 30 Ciclo,
DOI, 2008
7 Pedro Cunill Grau, Italian Presence in Modern Venezuela: Socioeconomic Dimension and Geo-cultural

Changes, 1926-1990, in Lydio F. Tomasi / Piero Gastaldo / Thomas Row, The Columbus People:
Perspectives in Italian Immigration to the Americas and Australia, New York Center for Migration Studies
and Fondazione Giovanni Agnelli, 1994, pp. 152–169,
8 Vittorio Briani, Il lavoro italiano oltremare, Ministero degli affari esteri Ed., Roma, 1975
Quanto agli interventi infrastrutturali, Pérez Jiménez costruisce imponenti assi
autostradali e avvia mastodontiche opere edilizie come il complesso Urbanización 2 de
Diciembre, dal nome commemorativo della propria ascesa al potere ribattezzato nel 1958
in Parroquia 23 de Enero dal suo successore, Rómulo Betancourt, questa volta in memoria
della sua deposizione e del contestuale avvio dell’era democratica. Con la benedizione
di Pérez Jiménez, l’architetto Guido Bermúdez dà vita a un gruppo di costruzioni sul
modello della Cité Radieuse completata nel 1952 a Marsiglia dall’architetto svizzero Le
Corbusier. Si tratta di unità abitative - Unité d'Habitation de Marseille è il nome originario
– concepite come cellule di uno sviluppo urbanistico verticale, giocato tramite
l’architettura e animato dai migliori propositi. Nel caso di Caracas le costruzioni di
Bermúdez assumono più la conformazione di alveari gradualmente assediati da barrios
di edilizia abusiva, in cui la mancanza di integrazione con l’economia produttiva e di
servizio generano quell’instabilità e quegli equilibri precari che, nei decenni, divengono
insostenibili sfociando in manifestazioni di violenta protesta sociale e in attività
criminali.
I barrios - o ranchos - ricoprono oggi le sinuosità montagnose dell’area urbanizzata
di Caracas seguendone le curvature con la stessa aderenza di un’enorme trapunta dal
colore mattone. Il loro proliferare è concomitante con il formarsi di una classe abbiente
sempre più distinta dal popolo, cui non si accompagna una pari attenzione. È una classe
dalla quale discende l’espansione della superficie edificata e il conseguente aumento dei
prezzi degli alloggi, dei servizi, dell’acqua e dell’elettricità. La derivazione naturale è la
segregazione dei ceti più bassi, degli immigrati che rispondono al richiamo
metropolitano, di quel denso strato di povertà che ricorre in Sudamerica con forme
simili. L’aggravante ulteriore, per quanto riguarda la specificità venezuelana, è la
negazione dello stato delle cose, perpetrata dall’autorità pubblica. I barrios vengono in
qualche modo classificati come provvisori, transitori, privi di fondamenta e quindi di
legittimazione; in quanto tali, non accatastabili né geograficamente né da un punto di
vista assistenziale. Il paradosso porta ad ignorare la quasi totalità degli insediamenti
ubicati in quartieri come Petare, ad est della capitale, esplosi senza controllo a partire
dalla seconda metà degli anni cinquanta ed arrivati ad ospitare una popolazione stimata
in quasi mezzo milione di abitanti.

Con lo sviluppo esponenziale dei barrios il problema sociale si pone fin da subito
e si trascina nel tempo. Gli insediamenti informali della città vanno gradualmente a
costituirne la parte preponderante ma il loro riconoscimento, con conseguente presa di
coscienza delle problematiche che sorgono al loro interno, non avviene. Tra il 1928 e
l’inizio del nuovo millennio, il governo venezuelano edifica nella capitale circa
seicentocinquantamila unità abitative mentre, nello stesso periodo, l’abusivismo ne
produce quasi tre milioni. Tuttavia, le mappe ufficiali della città riportano ancora in anni
recenti spazi inclassificabili o aree verdi in corrispondenza di tali complessi, di fatto
disconoscendo l’esistenza non solo di un edificio ma anche di un occupante. Sarà
soltanto con la presidenza di Hugo Chávez (1954-2013), che nel 1999 il Consejo Nacional
de la Vivienda – Conavi procederà al riconoscimento formale degli alloggi autocostruiti
rappresentando una svolta nella politica abitativa nel Paese e riorientando di
conseguenza aiuti e risorse. L’operazione, vissuta come rivoluzionaria e dall’indiscusso
potenziale elettorale, riconsidera la situazione in sui si trova la maggioranza della
popolazione venezuelana, dato che alla fine del secolo scorso più del cinquanta per
cento della cittadinanza risiede nei barrios.9
La Rivoluzione bolivariana di Chávez non sopravvive al suo ideatore. Si lega al suo
carisma in forma indissolubile, beneficia di fascinazioni e riscontri diffusi a livello
internazionale, issa la bandiera dell’antiamericanismo e nutre l’orgoglio nazionale con
esplicita propaganda e populismo. Chávez fa dei canali televisivi la propria voce
quotidiana, alimenta la presunzione di trasparenza e coltiva la semplicità del messaggio.
Giustifica e legittima il chavismo in tutte le sue forme lasciando che anche gli aspetti meno
condivisibili assumano una ragion d’essere riconosciuta dalla collettività. Nicolás
Maduro gli succede alla presidenza in seguito alla morte, sopraggiunta per un cancro
all’alba dei sessant’anni, ma ne prende il posto senza avere la stessa capacità persuasiva,
la padronanza nella gestione del controllo, la competenza nel merito, contribuendo in
pochi anni all’affossamento dei parametri economici, delle condizioni di vita generali,
della sicurezza, dei servizi, del reperimento dei beni di primissima necessità. Con
Maduro il consenso si capovolge e traduce in un disequilibrio ai confini della guerra
civile, questo almeno fino agli anni recenti della pandemia di COVID-19 e dell’acuirsi
del conflitto russo-ucraino nel 2022.
Ma i passi che conducono allo stato di cose riscontrabile alla fine novecento e
alle degenerazioni del nuovo millennio sono graduali e particolarmente ricchi di
protagonisti avventati. Con Gallegos e Pérez Jiménez le vie di comunicazione interne
all’area urbana si sono fatte imponenti, pensate per il deflusso rapido e il facile accesso
a diversi quartieri della città mediante nodi di svincoli. Le buone intenzioni derivate dal
voler agevolare un’economia in crescita si rivelano presto un boomerang in termini di
traffico e inquinamento urbano.
Il riferimento è nordamericano, emulativo di quanto fatto dall’urbanista Robert
Moses (1888-1981) a New York, ed è proprio lo stesso Moses che giunge a Caracas nel
1948 per concepire il nuovo dedalo autostradale. Il contributo prestato nella capitale
venezuelana può essere riletto con disarmante facilità di giudizio se si prende come
riferimento quanto scritto da Robert Caro in The Power Broker: Robert Moses and the Fall
of New York,10 in cui la critica al lavoro di Moses si fa dura e argomentata al punto da
valergli un Pulitzer. Moses non lavora sul campo nella capitale venezuelana ma presenta
formalmente lo studio Arterial plan for Caracas,11 una rete di grandi vie di comunicazione
comprensive di ferrovie e autostrade funzionali al miglioramento del traffico in città e
all’ampliamento armonico dell’area metropolitana. Considerando le opere svolte

9 Teolinda Bolívar / Hilda Torres / Iris Rosas / Jesús Díaz, El intento de vivienda para todos desde el
Estado venezolano, Instituto de la Ciudad FLACSO Ecuador CLACSO, 2012
10 Robert A. Caro, The Power Broker: Robert Moses and the Fall of New York, Knopf, USA, 1974
11 International Basic Economy Corporation / Robert Moses, Arterial plan for Caracas, Venezuela,

The Corporation, New York, 1948


successivamente alla pubblicazione dello studio, quanto suggerito e disegnato da Moses
si ritrova in gran parte in ciò che viene edificato a Caracas, sia per quanto riguarda le vie
di comunicazione che per quanto concerne le opere pensate per il superamento delle
barriere naturali come gli interramenti dei corsi d’acqua o la realizzazione di viadotti.12
Gli interventi realizzati in quegli anni vanno però a incidere significativamente sulla
frammentazione della città, una divisione interna in zone contigue ma separate da
ostacoli viari delimitanti e in cui lo scambio intercomunitario si fa problematico. Va da
sé che le aree informali, in quanto non riconosciute, paghino il prezzo più alto della
miopia progettuale di un tale sviluppo.
La sensazione ricorrente, percorrendo le direttive cittadine necessarie alla
copertura di una città dai confini significativi, con un’estensione da est a ovest di circa
sessanta chilometri, è quella di essere prigionieri all’interno di un catino di cemento,
delimitato dall’asfalto sottostante e dai cordoli laterali invalicabili senza intravedere
possibilità prossime di camminamento. Del resto, la crescita della città avviene in modo
del tutto imprevedibile e dagli anni di Isla de sal a oggi l’area edificata si raddoppia – e
addirittura quadruplica se si prende come riferimento l’inizio dell’opera di governo di
Marcos Pérez Jiménez - arrivando ai novecento chilometri quadrati odierni, con
l’ulteriore e disordinato sviluppo verticale condizionato dalla topografia.13
L’esplosione edilizia, che da una vista aerea rende la città simile alle metropoli
statunitensi, non asseconda la logica di servizio a favore di tutte le aree residenziali
edificate né considera le condizioni effettive degli strati di popolazione meno abbienti,
andando così a generare delle differenze insanabili. La sostituzione del trasporto
individuale e su gomma alla rete pubblica genera una barriera esclusiva a danno di chi
non è in grado di possedere un automezzo proprio mentre la morfologia del territorio
limita la potenzialità del contributo dato dal progetto Metro de Caracas: una rete
parzialmente interrata di centosette chilometri complessivi, inaugurata nel 1983 ma che
nel 2022, a causa dell’incontrovertibilità della crisi economica, vede operativo soltanto
il tredici per cento del totale dei convogli in servizio.
La prima brusca parabola discendente dell’economia del Paese ha un’origine
improvvisa e si verifica nel vertice massimo di favore registrato a livello internazionale
grazie al commercio legato all’industria petrolifera. In seguito alla scoperta di enormi
giacimenti negli anni venti, nel giro di un brevissimo periodo il Venezuela diventa il
secondo produttore mondiale e avvia una crescita graduale che muove da una situazione
pregressa di estrema povertà e instabilità sociopolitica. Negli anni sessanta e settanta si
ha un’impennata decisiva14 e le responsabilità della cattiva gestione dell’improvvisa
ricchezza derivata dalla centralità del Paese nel mercato energetico mondiale va
verosimilmente distribuita tra più soggetti e meccanismi che partono dalla sfera politica
e discendono in primissima battuta sulla classe dirigente. Di certo il tema dicotomico

12 Hannia Gómez, Our architects en Caracas : arquitectura norteamericana en Caracas 1925-1975, Trasnocho
Cultural/Sala TAC, Caracas e 2017
13 Alfredo Brillembourg, Caracas: Like No City In The Western World, in The Empty Square Journal, 15

giugno 2022
14 Andrés Sosa Pietri, Venezuela y El Petróleo, Editorial La Galaxia, Caracas 2002
tra il fenomeno dell’urbanizzazione incontrollata e il mancato investimento su quelle
risorse naturali in grado di facilitare una produzione diretta del fabbisogno alimentare
crea un equilibrio tossico, per cui l’oscillazione dei fattori di mercato legati all’unica
fonte rilevante di sostentamento commerciale del Paese fa precipitare in pochissimo
tempo il Venezuela da una situazione di privilegio a una crisi economica che, negli anni
ottanta, incomincia ad acuirsi drammaticamente.
La brusca inversione di rotta si verifica quando il Paese gode di un immaginario
parziale e ingannevole. Esclusività e ricchezza sono le caratteristiche che filtrano e
raggiungono l’immaginario dell’osservatore occidentale. Uomini d’affari, petrolieri,
frequentatori di night club miscelati con il bel mondo della televisione nazionale,
dell’industria delle telenovelas15 nelle produzioni Venevision e Radio Caracas Televisión,
esportate negli Stati Uniti e oltreoceano per un mercato del piccolo schermo che inizia
a dirsi globale. A questo si aggiunge il mito dell’arricchimento da emigrazione, da fuga
dalle costrizioni europee e rinascita in uno scenario incontaminato in cui la ricchezza
sgorga letteralmente dal sottosuolo. La controtendenza che si verifica è quindi
particolarmente scioccante e porta con sé un’inattesa decrescita demografica che, dal
1998 in avanti, indurrà sei milioni di venezuelani ad abbandonare il proprio Paese a
causa dell’inflazione incontrollata e della costante crescita di autoritarismi e limitazioni
delle libertà di espressione.
L’architetto newyorkese e di origini venezuelane Alfredo Brillembourg,
lavorando a Caracas, definisce l’urbanistica politica congelata, mutuando la definizione di
Goethe per il quale l'architettura è musica congelata. Nel 1993 crea a Caracas lo Urban-
Think Tank, uno studio di design di tipo interdisciplinare fondato sul concetto e sulla
volontà di re-immaginare l’esistente, creando progetti sostenibili in aree problematiche
del mondo e sviluppando attività sul campo in Europa, America Latina e Africa.16
Sostiene una coraggiosa e ammirevole visione per cui la capitale venezuelana può
esemplificare le modalità in cui le città si sono modellate in conseguenza delle mancanze
legislative e organizzative dei governi dalle quali si sono trovate a dipendere, lottando
spontaneamente per supplire agli effetti deplorevoli di strategie e valutazioni
approssimative svolte dalla politica. Da Rómulo Betancourt a Nicolás Maduro,
passando per la significativa e controversa esperienza di Hugo Chávez, si susseguono
per oltre sessant’anni governi tendenzialmente inclini all’apparenza socialdemocratica
che fanno della statalizzazione il principale strumento di tutela e propaganda per un
gigante demografico incontrollato. La dipendenza economica dal mercato petrolifero,
vedendo passare il Venezuela dalla detenzione del quindici per cento del mercato
mondiale al tre per cento dell’inizio del nuovo millennio, porta con sé un peggioramento
direttamente proporzionale delle condizioni della popolazione e un conseguente riflesso
nell’edilizia. Con il peggiorare della situazione si assiste alla proliferazione dei barrios e

15 Timothy Havens, Globalizarion and the generic transformation of telenovelas, in Gary R. Edgerton /
Brian Geoffrey Rose (a cura di), Thinking Outside the Box: A Contemporary Television Genre Reader, The
University Press of Kentucky, 2008, pp. 272-292
16 Alfredo Brillembourg / Hubert Klumpner, The Architect and The City: Ideology, Idealism, and

Pragmatism, Hatje Cantz, 2021


delle occupazioni abusive su tutte le possibili pendici della complessa orografia della
città che discende dai suggestivi calanchi de El Ávila.
Brillembourg studia approfonditamente il caso della Torre David, un clamoroso
episodio di occupazione verticale nella zona nord della città, per cui oltre tremila
persone divise in settecentocinquanta nuclei famigliari prendono possesso di un edificio
in costruzione di quarantacinque piani, destinato al terziario. La storia dell’edificio ha
per Brillembourg un’importante retroscena famigliare dato che il costruttore è David
Brillembourg, zio dell’architetto, che avvia l’opera nel 1990 ma viene a mancare
prematuramente nel 1993. Dall’anno successivo, in seguito alla crisi bancaria inaugurata
dal Banco Latino nel 1994, lo stato prende possesso dell’opera bloccata ma la mancanza
di iniziativa lascia spazio all’abusivismo. I centosettantuno metri dell’edificio vengono
popolati fino allo sgombero del 2014 e al suo interno si innestano pratiche di edilizia
creativa che aprono pensieri e ragionamenti rispetto alla capacità di adattamento
dell’uomo.
All’interno della Torre viene a crearsi un sistema micro-economico a sostegno
di una città verticale e ogni nucleo famigliare contribuisce alla personalizzazione della
propria unità occupata e degli spazi comuni. Questa forma di iniziativa spontanea e
priva di mezzi adeguati viene letta dal gruppo di lavoro di Brillembourg come il
superamento del presunto progresso democratico, avvenuto tramite un processo di
sperimentazione e innovazione autoregolata in grado di dare spazio agli effettivi bisogni
abitativi degli esseri umani.17 Parallelamente a questa interpretazione intellettuale vige
ovviamente la cruda definizione dell’opinione pubblica, che si riassume in baraccopoli
verticale, riflettendo una visione limitata nel suo scandalizzarsi viziato da fascinazioni
distopiche. Questa definizione è utile, tuttavia, per rivelare l’aporia che ritrova nel
sistema economico e bancario la fonte del problema e, allo stesso tempo, l’organo di
giudizio degli effetti disastrosi da esso stesso innescati.
La conclusione del gruppo di lavoro di Brillembourg è saggia e mediana. Evita
la dicotomia tra bene e male, si astiene per quanto possibile dalla formulazione del
giudizio e, al contrario, valorizza l’esperienza in termini di apprendimento.
L’estremizzazione della valutazione che si ritrova nella pubblica opinione evidenzia e
romanza gli aspetti enfatici, carica di sensazionalismo la violenza, il disordine, la
precarietà o, al contrario, rilegge poeticamente la situazione in linea di continuità con la
mitologia del buon selvaggio. L’analisi svolta dal gruppo di architetti abbraccia piuttosto la
consapevolezza della realtà dei fatti, il generarsi di un fenomeno dalla contingenza e,
risalendo ai meccanismi contingenti, è in grado di considerare il vuoto politico, sociale
ed economico che ne ha favorito la proliferazione non soltanto negli anni che
concretamente interessano la vicenda della Torre ma anche in tutto il periodo
precedente di controversa urbanizzazione della capitale.

17 Iwan Baan, Ingenious homes in unexpected places, ED Talk presentation at TEDCity2.0, 2013
In questa complicata e ubriacante storia nazionale si inserisce ed intreccia la
vicenda biografica e artistica di Simón Díaz, non soltanto un interprete e un attore
comico ma anche e soprattutto un compositore e un uomo di spettacolo completo, la
cui popolarità si deve a tutti i principali mezzi di comunicazione, culturale e generalista.
Raggiunge la fama con un programma radiofonico dal titolo emblematico, El llanero, in
cui alterna passaggi cabarettistici a un repertorio di canzoni che va pian piano
formandosi attorno a un epicentro concettuale inamovibile, quello delle radici
contadine, decentrate dalla frenesia evolutiva della capitale. La sua carriera discografica
ha inizio proprio nel periodo di produzione de Isla de sal, quando gli si affianca il
musicista e produttore Hugo Blanco (1940-2015) ed emergono due caratteri paralleli
che, nel tempo, si alterneranno con frequenza. Díaz incide la Tonada Del Cabrestero sia
nel 45 giri d’esordio del 1963 che nel primo album a 33 giri pubblicato lo stesso anno18
e, nel primo dei due lavori, la produzione si completa con una facciata B di impianto
parodistico: la rivisitazione di Dos Almas dell’argentino Don Fabián. La scelta è
apparentemente stridente ma in entrambi i brani vi è un ancoramento alla tradizione.
La forma di canzone parodistica caratteristica di Díaz e Blanco diventa in pochi
anni uno schema ricorrente che definisce la discografia di entrambi per circa un
decennio. La parola chiave di questo filone è Gaita, e il riferimento va alla tradizione
della Gaita Zuliana, un genere musicale sviluppatosi nel diciannovesimo secolo nello
stato di Zulia, nell’estremo nordovest del Paese presidiato dal capoluogo Maracaibo. I
caratteri del genere sono diversi e complessi ma alcuni elementi ricorrenti ne
determinano una facile riconoscibilità. Innanzitutto si tratta di canti generalmente
satirici, accompagnati da ritmi incalzanti e terzinati, storicamente dominati dal furruco,
membranofono di origine africana formato da un corpo cilindrico e da un bastone lungo
circa un metro affrancato a una punta sporgente al centro della pelle tesa per mezzo di
avvitamento o incastro. Il meccanismo ha la funzione di un’ancia trasferita su un
concetto percussivo: sfregando con le mani il bastone avvitato alla pelle, la vibrazione
si propaga e si produce in un suono grave, simile a un breve e intenso ruggito.
L’applicazione principale dello strumento è di tipo ritmico e marca il terzinato
caratteristico del genere ma, allo stesso tempo, l’intonazione contribuisce alla
definizione di un pedale che sostiene la complessità armonica del brano.
La componente satirica dei testi si indirizza in prima battuta al mondo politico e
presta il fianco a una declinazione su più ambiti. Le Gaitas de las locas e le Gaitas de Simón
sono definizioni che vanno a contraddistinguere la serialità inaugurata dai due artisti,
cui si aggiunge presto anche Joselo, José Manuel Díaz Márquez (1936-2013), caratterista
e fratello minore di Simón che, in scia ai due più completi battistrada, si produce in una
lunga carriera nel mondo dello spettacolo. Il passaggio dal tema politico a quello
umoristico è più semplice di quanto si possa immaginare. Il sentimento di protesta
popolare che anima le composizioni si fonde con lo humor e con il sarcasmo grazie alla
trascinante componente ritmica e musicale, che induce facilmente il ballo superando la

18Simón Díaz Con Hugo Blanco Y Su Conjunto, ¡Ya Llegó Simón!, Palacio – LP-6136, Venezuela,
1963
dimensione riflessiva. La funzione della Gaita diviene duplice: sovvertire e chetare, dare
sfogo alla frustrazione traducendola in sorriso, in autoironia, in beffa.19 L’origine
popolare della Gaita la contrappone per definizione alla classe dirigente. Alle origini del
fenomeno, essa si pone come una risposta alle pratiche di intrattenimento condotte dai
padroni delle haciendas, rivendicando l’appartenenza alle classi più umili dei lavoratori.
Con il trascorrere dei decenni, il carattere originario evolve e si trasforma, fino ad
arrivare alle forme di spettacolo popolari e generaliste proposte prima dalla radiofonia
e, successivamente e massivamente, dalla televisione.
Sempre nel 1963, La quinta de Simón è il primo programma televisivo condotto
da Díaz, una commedia settimanale a puntate basata sulla storia di uno llanero arricchitosi
grazie a un pozzo di petrolio scoperto nel suo cortile. Con i soldi derivati da questa
clamorosa fortuna, si trasferisce a Caracas e acquista una casa cui dà il nome che diviene
titolo della trasmissione. La casa diventa scenario di situazioni comiche in cui emerge il
difficile adattamento delle tradizioni ed usanze regionali al contesto della modernità
urbana.20 Il personaggio di Díaz è il medesimo conosciuto in Isla de sal per costume,
gestualità, impostazione vocale e trasmette una fresca ingenuità miscelata con un’inedita
modalità carismatica. Con La quinta de Simón la personificazione di una voce, che fino
ad allora è stata esclusivamente radiofonica, si completa ed entra a far parte
indissolubilmente dell’immaginario venezuelano venendo a rappresentare una figura
famigliare e rassicurante, nel tempo ribattezzata El Tío Simón.

Nel 1974 il ritratto bucolico di Simón Díaz sboccia finalmente in una


dichiarazione artistica priva di qualsiasi ambiguità. La sua poetica si spoglia della
maschera funzionale alla commedia popolare e si riversa in una celebrazione del
paesaggio. Il 21 dicembre viene pubblicato l’album Tonadas.21 Riporta in copertina un
ritratto pittorico dell’artista, superando le buffe pose teatrali rese fotograficamente per
le cover dei lavori precedenti. Non c’è sorriso né postura macchiettistica. Díaz siede a
gambe accavallate e intreccia le dita delle mani puntellando l’incavo del braccio sinistro
alla spalliera della sedia. Dietro di lui, un’apertura della costruzione in cui si trova a
posare mostra la pianura correre verso l’orizzonte in tinte pastello. Dall’intensità
luminosa dell’ambiente esterno si coglie il fatto che l’artista siede al riparo di una stanza
o di un portico, come conferma anche il taglio di luce dato dal ritrattista. La prima
edizione dell’album si apre a libro e nell’interno del gatefold vengono riportati i testi
delle dieci tracce stampati in diagonale su uno sfondo sovraesposto ai limiti
dell’intelligibilità, che lascia intravedere una mandria di cavalli al pascolo governati da
allevatori llaneros. Il tema equestre si ripete sulla quarta di copertina completando la
manifestazione di intenti.

19 Light Carruyo, La Gaita Zuliana: Music and the Politics of Protest in Venezuela, in Latin American
Perspectives, Vol. 32, No. 3, Venezuelan Exceptionalism Revisited: New Perspectives on Politics and Society,
Sage Publications, Inc., maggio 2005, pp. 98-111
20 Bettsimar Díaz, Todo sobre mi padre: La quinta de Simón, Globovisión, 2012
21 Simón Díaz, Tonadas, Palacio – LPS-66299, 1974
Nel corpus di oltre sessanta produzioni pubblicate in carriera a proprio nome,
Tonadas si pone come una netta cesura. Díaz apre il disco con la ripresa della Tonada Del
Cabrestero, primo di isolati episodi riscontrabili nella discografia degli esordi, per poi
procedere con una serie di brani in cui le caratterizzazioni stilistiche si fanno ricorrenti
e riconoscibili.22 L’elemento melodico emerge in maniera dominante; le linee tracciate
da Díaz sono volteggi che spaziano dal registro grave al falsetto, propongono salti per
intervalli di quarta e quinta e, ancora, glissati di natura imitativa rispetto al canto degli
animali della savana. Mantiene al contempo l’andamento per gradi triadici che
caratterizza trasversalmente il repertorio di origine ispanica ma ne colora la regolarità
interponendo artifici che alterano la dinamica espositiva classica della canzone. Gli
espedienti melodici di Díaz interferiscono anche sulla costruzione ritmica, rendendo la
divisione in misure secondaria rispetto alla componente interpretativa. Díaz lancia le
note, lasciandole correre lungamente in cerca di una eco ambientale, sovvertendo la
scansione ritmica e riprendendo la frase solo al termine della chiusura naturale
dell’emissione, libera dalla costrizione della misura.
La tradizione che l’artista venezuelano recupera è quella dei canti monodici de
los llanos, melodie e giochi fonetici che accompagnano le diverse attività proprie
dell’allevamento e dell’agricoltura quali il pascolo, la mungitura, la lavorazione della
terra, il dissodamento, la caccia e la pesca.23 La ritualità che ne deriva si genera dal
rapporto tra uomo e contesto naturale, si insinua nella relazione di interdipendenza che
viene a crearsi tra la terra lavorata e il contadino, tra la mandria e l’allevatore; si traduce
in spiritualità laica, in contemplazione, in simbiosi. La riscrittura musicale di questo
rapporto vede nella ripetitività dell’accentazione ritmica del cuatro la continuità e la
costanza del gesto operaio, o altre volte il passo cadenzato o galoppante dell’animale.
Nei glissati discendenti che chiudono i passaggi melodici riporta l’imitazione del
muggito, del belato e del nitrito, nelle accelerazioni repentine al centro delle frasi il canto
degli uccelli, nelle note lunghe e incuranti del metro il richiamo dell’uomo che raduna il
bestiame, una voce portata e intensa che corre senza ostacoli nella prateria pianeggiante
e sconfinata discendendo soltanto una volta raggiunto e scavalcato l’orizzonte, come la
parabola di una pietra scagliata a incredibile distanza. Lo spazio condiziona il canto e il
canto definisce, a favore dell’ascoltatore, un immaginario multisensoriale che rimanda
al contesto da cui proviene.
La vita dello llanero è fatta di solitudine e tempi dilatati, di riflessione spontanea,
attesa, osservazione adagiata sulla quiete apparente delle pianure. La cadenza che la sua
tradizione bioritmica ha assegnato alle attività lavorative viene scandita dai canti e ne
riconduce lo spirito a una categoria antropologica ricorrente, a una pratica del genere
umano che a fronte di diverse proposte di classificazione si riassume nella definizione
di canto di lavoro. È il medesimo impulso che origina le worksong afroamericane delle
piantagioni di cotone, i canti delle mondine dell’Italia settentrionale, le Bothy Ballads dei
braccianti agricoli scozzesi. È una necessità spontanea, fisiologica, che si può

22 Juan Luis Landaeta, La invención de Simón Díaz, in Guataca, febbraio 2020


23 Luis Felipe Ramon y Rivera, La musica popular de Venezuela, E. Armitano, Caracas, 1976
manifestare per facilitare la coordinazione e il mantenimento del ritmo nel gesto operaio
ripetuto così come per alterare la percezione del trascorrere del tempo durante la fatica
quotidiana. È un fenomeno che non conosce differenze di latitudine e il lavoro di
recupero di Simón Díaz sovrappone una scelta stilistica musicale all’impulso estetico
generato dalla contingenza. Díaz propone una cifra interpretativa tramite la quale le
grida e le lunghe note del canto di lavoro possono farsi soffio, cantilena o sibilo per
mezzo della sua vocalità poliedrica.
La parola tonada significa effettivamente melodia e nell’affrontare e arricchire il
repertorio Díaz si pone coscientemente tutte le questioni inerenti l’appropriatezza delle
scelte interpretative. Riflette ad esempio sul rapporto confidenziale che si crea tra
l’allevatore e l’animale e lo traduce teatralmente nella sua interpretazione, mormorando
o biascicando i versi cantati. Lo stesso fa con i rimandi alla vegetazione, personificando
il piccolo albero della savana in Arbolito Sabanero o il garofano rosso di Clavelito Colorado
e rendendoli preziosi confidenti per l’uomo della prateria. Il repertorio tradizionale cui
si riferisce per le sue composizioni viene classificato sulla base dell’attività lavorativa che
esse accompagnano.
I canti di pastorizia racchiudono le scritture destinate al governo della mandria
nei suoi spostamenti nella savana mentre i canti di mungitura - tonadas de ordeño - si legano
al compito specifico che rappresentano andando a creare una poetica inedita, costruita
intorno al dialogo tra il mungitore e la vacca. Questa è protagonista di appellativi e nomi
specifici che le vengono attribuiti, che fungono da nenia rassicurante e a cui impara a
rispondere con l’obbedienza. Sono nomi complessi – Mariposa, Yerba Buena, Muchachita,
Nube Blanca, Nube de Agua…24 - ed evocativi di contesti paralleli intorno ai quali si crea
l’ambiente favolistico che alimenta le composizioni. Non solo, secondo quanto si legge
nella novella Las Memorias de Mamá Blanca di Teresa de la Parra (1889-1936)25 – scrittrice
di primo piano e lei stessa animata dalla dicotomica esperienza interiore generatasi dal
trasferimento in città partendo dalle periferie del Paese - da ogni capo di bestiame
poteva discendere un intero sotto-repertorio di canti, accomunati dalla citazione del
nome dell’animale al termine dell’esposizione di ogni strofa.
La melodia, ritmicamente libera, si fa tenue e sinuosa, intercalata da fischi,
richiami ed emissioni imitative che rispondono con dolcezza al verso dell’animale.
Affrontando e rivitalizzando la tonada Díaz rende manifesta l’intenzione di consegnare
alla storia dell’uomo un’espressione di vita propria della cultura contadina ancora
lontana dal processo di automatizzazione del lavoro. La vaquería è il cuore delle
consuetudini della tradizione llanera, e la ritualità si rispecchia nella preparazione dei
cavalli per il lavoro, nel governo delle mandrie e nella raccolta del bestiame al pascolo,
nella selezione per la mungitura, nella marchiatura, nella castrazione. La musica che
scaturisce dal rapporto con l’animale e con il paesaggio non può sopravvivere se
l’intermediazione diviene di tipo meccanico; Díaz ne vede i rischi, ne tratta le

24 Torrealba, Antonio José. Diario de un llanero. Caracas: 1987 – Universidad Central de Venezuela,
Facultad de Humanidades y Educación, Instituto de Filología “Andrés Bello” – 4 vols.
25 Teresa de La Parra, Las Memorias de Mamá Blanca, París: Le Livre Libre, 1929
contraddizioni dal primo giorno del suo inserimento nella Caracas degli anni quaranta,
ne raccoglie i riti e decide di comporne una celebrazione.
Il percorso che intraprende Díaz nel 1974, votato alla rivendicazione ancora più
forte dell’appartenenza regionale, è particolare anche al cospetto di un’ipotetica
rappresentanza culturale di ordine nazionale. Esso concentra infatti l’attenzione verso
un micro-cosmo, in apparente contraddizione con il riscontro internazionale che la sua
fascinazione va ad incontrare nel giro di pochissimi anni. La tonada, partendo dalle
periferie di un Paese che converge nella sua capitale, polo attrattivo del processo di
urbanizzazione, supera il fenomeno socioeconomico e vi fa prevalere l’espressione, il
sentimento, la radice. Nell’intenzionalità di salvaguardare il canto di lavoro in quanto
manifestazione di una realtà di vita messa in pericolo dalla brutalità attrattiva della
metropoli e dalla modernità, la tonada esce dall’urbanità26 ed entra nella spiritualità di un
popolo, risvegliandola. Díaz si aggrappa a tutte le suggestioni popolari per risvegliare il
repertorio, le colleziona e le formalizza in quadri musicali sorprendenti. Costruisce la
Tonada De Luna Llena, incisa per la prima volta nel 1965,27 su una composizione poetica
inconsapevole di sua madre, Doña María Magdalena Márquez, che paragona
l’innamoramento all’airone che pare combattere contro il fiume nella gestualità
intenzionale di ricavarne nutrimento e la avvolge di uno dei passaggi compositivi più
enfatici del proprio repertorio, in cui traduce al meglio e concretizza in musica il
pensiero profondo che lo anima.
Oltretutto, la prevalenza dell’ecosistema, delle dinamiche quotidiane e degli
aspetti socioeconomici su quelli prettamente musicali porta il genere della tonada ad
assumere colori differenti, da un punto di vista melodico e armonico, a seconda della
microregione da cui provengono. L’estensione de los llanos, che attraversa le aree centrali
del Venezuela come quelle orientali della Colombia per un totale di undici diversi
dipartimenti, comporta una particolarizzazione delle pratiche e una differenziazione
delle monodie, che seguono il repertorio popolare e le pratiche locali definendo vasti
sotto-repertori.
La scrittura musicale della Tonada De Luna Llena disegna quindi l’ambiente, che
viene descritto nei versi e nell’andamento. Il sapore crepuscolare dell’interpretazione si
appoggia sulla tenue insistenza del cuatro rendendolo pressoché inudibile, al punto che
riprendendo il brano a distanza di vent’anni, Caetano Veloso ne restituisce
spontaneamente una versione a cappella.28 La scelta è oltretutto filologica, in quanto
segue la forma originaria propria del canto di lavoro, dove l’esecuzione è esperienza
propria del singolo, semi-contemplativa, con libertà di prolungamento delle linee vocali,
scarsa soggezione alla misura, metrica dei versi prevalente in ottonari e suggestione

26 Alberto Mori, Urbanità, Scrittura Creativa Edizioni, Borgomanero (Novara), 2001


27 Simon Diaz Con Hugo Blanco Y Su Conjunto, Simon Diaz En Criollo y Sabroso, Palacio – LP-6154,
Venezuela, 1965
28 Caetano Veloso, Fina Estampa - Ao Vivo, Mercury – 528918-2, PolyGram – 528918-2, Brasile,

1995
ritmica sottesa di tipo ternario.29 La sua interpretazione definisce il senso di un canto
silenzioso, ascetico, rivolto all’immensità, polisemico in ogni sua emissione, che sia essa
di significato o puramente melismatica. L’omaggio di Caetano è soltanto uno dei tanti
attestati internazionali che portano la figura di Díaz al di fuori del contesto nazionale. Il
progetto Fina Estampa del compositore brasiliano, che in due anni vede la pubblicazione
di un album in studio30 e di un live ad esso legato, celebra i compositori latino-americani
di lingua spagnola riprendendo i grandi classici del repertorio e tributando Simón Díaz
con il brano di chiusura dell’album, ultimo della setlist dello spettacolo dal vivo portato
in tutto il mondo.

La dimensione internazionale e prominente della figura di Díaz matura in


maniera decisiva a partire dal successo discografico ottenuto nel 1980 dal brano Caballo
Viejo. Non si tratta precisamente di una tonada bensì di un brano folk che apre la facciata
B dell’album Golpe Y Pasaje.31 Il riferimento culturale è alla musica di tradizione llanera
definita Joropo, di origine contadina e generalmente interpretato da complessi musicali
che vedono nell’arpa, nel cuatro e in percussioni leggere quali le maracas gli strumenti
portanti. La bandola, altro cordofono a quattro corde e con cassa dalla caratteristica
forma a pera, è un ulteriore strumento tipico del genere mentre in tempi moderni
l’aggiunta del basso elettrico è una costante ricorrente.
Lo Joropo Llanero prevede due forme principali dette appunto golpe e pasaje.32 Il
golpe è tipicamente sostenuto da un punto di vista ritmico, incisivo e rapido, dalle
accentazioni marcate, mentre il pasaje si presta maggiormente a linee melodiche che
rimandano per andamento e cadenza al repertorio latino-americano di influenza
spagnola. Entrambi i sottogeneri sono pensati per il ballo e la tradizione coreutica ne
discende di conseguenza. Lo sviluppo del genere è coevo alle campagne di Simón
Bolívar per la liberazione dei paesi sudamericani dall’influenza spagnola e i testi dei brani
che compongono il repertorio presentano frequenti riferimenti a temi patriottici,
soprattutto per quanto riguarda il golpe, mentre il pasaje è maggiormente caratterizzato
dalle tematiche sentimentali e paesaggistiche, più in linea quindi con il genere della
tonada. Simón Díaz esplicita l’ambientazione del suo lavoro discografico e incide una
serie di brani coerenti con tale riferimento, rendendo manifesti i propri intenti.
La composizione di Caballo Viejo, in particolare, viene più volte narrata da Díaz
nell’ambito di interviste e passaggi massmediali di tipo autobiografico. L’attrice e
broadcaster portoricana Gilda Mirós ripubblica, a partire dal novembre 2018 e in

29 Ramón y Rivera, Luis Felipe. Cantos de trabajo del pueblo venezolano. Caracas: 1955, Fundación
Eugenio Mendoza, 55 pp.
30 Caetano Veloso, Fina Estampa, Philips – 522745.4, Brasile, 1994
31 Simón Díaz, Golpe Y Pasaje, Palacio – LPS-66479, Venezuela, 1980
32 Katrin Lengwinat, Joropo llanero tradicional en Venezuela, in Musicaenclave, Vol. 9, Nº. 1, gennaio-

aprile, 2015
formato podcast,33 una serie di interviste raccolte in vari decenni di carriera radiofonica
newyorkese, includendo in questa preziosa antologia sonora anche un dialogo con il
compositore venezuelano. In questa occasione, Díaz ha la possibilità di riappropriarsi
pubblicamente dell’autorialità di un brano che negli anni è venuto ad assumere un
carattere panamericano, venendo di volta in volta identificato dall’ascoltatore distratto
in un classico cubano, messicano, colombiano…
In questa confusione risiede tuttavia la forza di una composizione che nasce
nelle pianure venezuelane nel 1979, quando il cinquantenne Simón si ritrova a San
Fernando de Apure, nel centro de los llanos per registrare dei contributi video dedicati
per il programma televisivo Venezolanamente. L’oggetto della produzione è la
documentazione della galapagueada ovvero la cattura delle testuggini.34 In seguito alle
inondazioni stagionali che in inverno allagano le pianure della regione, si formano nella
regione di Apure paludi temporanee che resistono stagnando fino all’inizio dell’estate.
Qui rimangono intrappolati animali di fiume di ogni tipo tra cui piccole tartarughe
chiamate galapagos. Gruppi di abitanti della zona si recano in queste lagune temporanee,
posizionano reti in prossimità di una bocca dello stagno e percuotono l’acqua con dei
bastoni indirizzando gli animali in fuga verso la trappola.
Per rendere lo speciale televisivo più variopinto e accattivante, Díaz richiede la
partecipazione di un gruppo musicale di contorno, un complesso in stile joropo.
Fatalmente, rimane colpito dalla grazia della cantante diciannovenne e tenta l’approccio
durante una festa notturna prendendo presto amara coscienza dell’eccessiva disparità di
età, fattagli notare da un giovane che duetta con lui in una battaglia di distici improvvisati
durante un’esibizione musicale estemporanea. Da questa fulminante consapevolezza
deriva la suggestione del cavallo vecchio, un animale che intuisce di non poter più perdere
alcun fiore gli venga offerto dal momento che sente sfuggire rapidamente il tempo di
vita che gli rimane. Díaz si ritira dopo la festa e la notte compone il suo celebre brano.
Lo stesso anno della pubblicazione di Golpe Y Pasaje, Caballo Viejo viene inciso
anche dalla stella venezuelana Mirtha Pérez,35 già nota a livello internazionale da un
decennio per una ballad pop orchestrale in sei ottavi di altrettanto fortunata diffusione:
La Nave Del Olvido.36 Questa doppia esposizione concomitante amplifica il successo in
un’inattesa stereofonia inaugurando una serie lunghissima di riproposizioni e cover in
diverse lingue, fino ad alimentare un ulteriore fenomeno commerciale nel 1987. In
quell’anno viene dato alle stampe il terzo album della band francese di cultura gitana
Gipsy Kings che apre con un medley della durata di poco più di tre minuti dal titolo
Bamboleo. L’incipit del brano riprende la strofa di apertura di Caballo Viejo e la trascina
riadattandola fino al ritornello, basato invece sull’interpretazione che Carmen Miranda
(1909-1955) - icona del cinema hollywoodiano prima e del tropicalismo brasiliano poi -

33 Gilda Mirós, Simon Diaz, Tio Simon cantautor venezolano su quatro y su "Caballo Viejo" radio 80s gilda
miros NYC, in GILDA MIROS, (podcast), 14 dicembre 2021
34 Simón Díaz, Mis Querencias, Los Libros de El Nacional, 2006
35 Mirtha Pérez, Canto A Venezuela, AS International – 0677, Venezuela, 1980
36 Mirtha, La Nave Del Olvido / El Verano Llego, Velvet – 5899, Venezuela, 1970
dà per il brano Bamboleô di André Filho nella registrazione in 78 giri del 1931.37 Il
successo del brano dei Gipsy Kings, promosso anche in versione singolo in accoppiata
con un’altra composizione particolarmente fortunata, Djobi Djoba,38 si protrae nei
decenni divenendo un classico universale di fruizione immediata e facile accoglimento.
Accanto a un riscontro tipicamente commerciale, suggellato da altre
interpretazioni a firma Celia Cruz, María Dolores Pradera, Julio Iglesias, José Luis
Rodríguez, Roberto Torres, Díaz colleziona riconoscimenti anche dai protagonisti della
musica colta e dal mondo dell’arte in genere. Viene reinterpretato e omaggiato da
Plácido Domingo, inserito nelle colonne sonore di Pedro Almodóvar,39 coreografato da
Pina Bausch e tradotto in pellicola da Wim Wenders.40 In una delle scene più efficaci di
Pina, trasposizione cinematografica in 3D proposta dal regista tedesco per rendere al
meglio la profondità drammatica e spaziale del teatrodanza contemporaneo, una
glasshouse circondata da alberi celebra l’ansietà della mancanza, l’assedio dell’assenza,41 in
un passaggio coreografico implosivo in cui la vittima del dolore trova quiete
momentanea soltanto nell’abbraccio della controparte, sfuggente e imperturbabile come
nel peggiore dei sogni circolari e involuti. Tarantolato, onirico e reiterato è il gesto del
dolore; statico, posato, fotografico il sollievo, mentre scorre il tappeto musicale di Luna
De Margarita in sottofondo, uno degli episodici passaggi lirici e malinconici antecedenti
al periodo delle tonadas.42
Il repertorio di Díaz viene poi riadattato per grandi organici dall’Orquesta Sinfónica
Simón Bolívar, fondata nel 1975 dal Maestro José Antonio Abreu (1939-2018) a valle di
quell’esperienza incredibile e mastodontica di educazione musicale e integrazione
sociale denominata El Sistema. Intimamente legato al proprio fondatore, El Sistema
instaura nel Paese un intervento didattico ed educativo metodico, fortemente incentrato
sul contributo volontario all’interno delle comunità locali. Si struttura a partire dalla
concezione di un trasferimento gratuito delle competenze e delle pratiche di insieme,
libero e accessibile a tutti i ceti sociali e con un occhio estremamente attento alla realtà
dei barrios.
La figura di Abreu, al pari di quella di Díaz, ha per il Venezuela un valore
particolare e inestimabile sia dal punto di vista del riconoscimento e dell’orgoglio
popolare che dalla prospettiva del potere autoritario ed autocratico esercitato dagli
esponenti politici e, in particolare, da Hugo Chávez. Negli anni, El Sistema viene
sostenuto dai governi venezuelani indipendentemente dall’alternarsi di figure più o
meno inclini o sensibili al tema dell’inclusività. Diviene nel tempo uno strumento di
diplomazia culturale, in grado di attrarre sostegni economici anche dall’estero
scavalcando sanzioni internazionali e protezionismi. Tramite la Fundación del Estado para

37 Carmen Miranda, Bamboleô, Victor 33.504-A, 1931


38 Gipsy Kings, Djobi Djoba / Bamboleo, P.E.M. – PEM 1501-7, Francia, 1987
39 Pedro Almodóvar, La flor de mi secreto, Spagna-Francia, 1995
40 Wim Wenders, Pina, Germania, 2011
41 Enrico De Angelis (a cura di), Piero Ciampi. Tutta l'opera, Arcana, Milano, 1992
42 Simón Díaz Con Hugo Blanco Y Su Conjunto, Caracha Negro, Palacio – LP-6181, Venezuela, 1966
el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela - FESNOJIV alimenta
la propria attività arrivando a creare oltre cento orchestre e cori giovanili con un
coinvolgimento di circa trecentocinquantamila studenti nel Paese. Le ricadute positive
sulle dinamiche famigliari e comunitarie innescate da El Sistema sono esemplificate in
innumerevoli passaggi e casi biografici concreti, con protagonisti assurti a fama
internazionale, in cui povertà e disagio socioeconomico cedono il passo
all’emancipazione umanistica.
Mentre Abreu scava nel profondo del problema, vi si immerge con tutta la sua
caparbia iniziativa e vi genera germogli risolutivi, allo stesso modo Díaz incide a livello
generalista e di cultura di massa rappresentando i valori tradizionali più incontaminati
del Paese, gli elementi agricoli e paesaggistici, la semplicità dei costumi, il patrimonio
antropologico e musicale. Raggiunge inoltre tutte le categorie, dedicando format
televisivi ai bambini, mettendoli alla prova e giocando con loro su temi legati al folklore,
diventando El Tío di tutti e portandosi questo nuovo personaggio attraverso l’ultima
decade del ventesimo secolo e nel successivo.43
Il carisma di Abreu, come quello di Díaz, raccoglie una popolarità e un’affezione
tale da divenire non solo indiscutibile da parte dell’amministrazione centrale bensì anche
funzionale alla diffusione di un ritratto illuminato e progressista del Venezuela sulla
scena internazionale. Da parte loro, i due artisti non ricambiano mai formalmente con
atti o dichiarazioni ufficiali il loro appoggio all’autorità. Incontrano Chávez, rispettano
la leadership in quanto espressione della volontà popolare, riconoscono il consenso,
interloquiscono e si congedano mantenendo la propria integrità, ben coscienti del ruolo
di ambasciatori che ricoprono e, ancor più, dell’importanza del loro posizionamento
nell’ecosistema politico e culturale venezuelano.
Tra il 2013 e il 2018 tutti e tre i protagonisti di questa lunga fase a cavallo del
passaggio di millennio scompaiono. La vita di Simon Diaz ha termine il 19 febbraio
2014, un anno dopo la morte di Chávez, all'età di 85 anni, e la sua importanza viene
sancita da tre giorni di lutto nazionale. Abreu sopravvivrà altri quattro anni, fino al
marzo del 2018, influenzando il lavoro di El Sistema, in patria e nelle numerose
esperienze similari generatesi su quel modello in altre parti del mondo, fino all’ultimo
giorno di vita. Lasciano un Paese in difficoltà drammatiche e, per la prima volta nella
sua storia, impotente e senza scuse di fronte all’impressionante esodo del proprio
popolo.

43 Il programma in questione è Contesta por Tío Simón , in voga negli anni ottanta e trasmesso per
undici stagioni consecutive dal canale nazionale Venezolana de Televisión. Oltre alla componente
folklorica, i giovani partecipanti venivano sfidati dal conduttore nel memorizzare versi in una forma
di concorso a premi di grande successo popolare.

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