Sei sulla pagina 1di 8

Riassunto: Quotidianità come esperienza culturale, Hermann Bausinger

L’ASTUZIA DELL’IRRAZIONALITA’:

Secondo un sondaggio dell’Allensbacher Institut l’8% dei tedeschi crede all’esistenza delle streghe mentre il
63% alla fortuna. Si tratta di milioni di persone e, nella realtà il numero è probabilmente ancor più
imponente. Si denota, dunque, come questa “follia” collettiva si sia soltanto focalizzata altrove e che,
benché la nostra società sia visibilmente ed oggettivamente evoluta, sia ancora pregna di superstizioni.
L’astuzia dell’irrazionalità consiste nella sua imperterrita capacità di adattamento. Infatti, benché si credesse
nell’azione annientatrice dell’impulso tecnologico, è anzi molto soventemente essa a nutrire e fagocitare
delle ricadute nel magico ( vedi l’esempio dei due giovani taglia legna e l’anziana signora ). La superstizione
non si esprime necessariamente col credere alle creature soprannaturali, streghe o simili; essa piuttosto si
mimetizza, così da risultare frequentemente invisibile. Già termini come ‘chilometro’ o ‘curva della morte’
trasferiscono problemi di ordine tecnico nel reame magico. A tal proposito va ricordato che l’idea di
funzionare non instaura una connessione con situazioni prettamente tecniche, con il risultato provocatorio
anche qui peculiare di un interdipendenza fra tecnica e magia. I termini sono già di per sé significativi: si
parla di macchina dello Stato, di ‘apparato’ amministrativo. Certamente, il sistema burocratico moderno può
essere concepito come una macchina ma è possibile in essa rinvenire precisamente gli errori individuali
quanto di costruzione. Tuttavia, soventemente, questo aspetto viene omesso causa il sopravvalutare del
carattere ‘tecnico’ Statale. Si sfocia perciò in ciò che Popper definì ‘teoria della cospirazione’. Ciò dimostra
non solo l’esistenza del potere ma anche l’impotenza della superstizione. Basta una conoscenza negativa per
avere la certezza del malvagio. Cosa si può fare in proposito? ‘Illuminismo’. Una posizione ragionevole è
quella di mantenere un approccio razionale. La superstizione non convive con la tecnologia ma concubina
anche con la scienza, la quale, creando attorno a sé un clima diffuso di perfezionismo in cui tutto pare
risolvibile e quando non lo è, si ricorre alla superstizione poiché incapaci di accettare l’impotenza della
stessa. L’immagine della farmacia stessa ove il comune cittadino può acquistare i medicinali che desidera è
emblematica del rapporto odierno con la superstizione. In musei e collezioni si trovano oggi medicinali che
identifichiamo come simboli di una profonda superstizione o addirittura pratiche che permearono – nella
dimensione popolare- ancora per lungo tempo a seguito dell’introduzione della medicina ufficiale. La
fiducia in queste metodologia non si fondava più sulla scienza medica e tuttavia il loro uso era superstizioso
in un accezione di tradizione comune vincolante. Se un azione è largamente condivisa non si parlerà più di
superstizione ma di credenza popolare. Essa diviene allora costume o consuetudine. La tentazione forte è
quella di contrapporre a questo dominio del perfezionismo la fede religiosa come mezzo di contrasto per
superare la superstizione. Ciò, rischia tuttavia, di rimanere mero proclama se non accompagnato da una
corretta riflessione. Proprio in ambito religioso modi di fare e comportamenti che a rigore si potrebbero
etichettare come ‘superstiziosi’ non possono essere considerati perversioni, esagerazioni ma gradini per
giungere ad un sentimento spirituale più puro. La superstizione non è solo sintomo di una mancanza di
ragione ma anche un surplus dell’individuo non disposto a lasciarsi consumare dall'anonimità e
impersonalità dell’ambiente esterno. Schopenauer individuava nella superstizione un antidoto alla noia.
Goethe affermava che essa fosse la “poesia della vita”.

LA MODA: I PROBLEMI E LE REGOLE DEL GIOCO:

Il rapido e vorticoso avvicendamento delle mode, che mette sempre in discussione ciò che è stato appena
raggiunto e che conosce uno sviluppo continuo e tranquillo, è solitamente il primo bersaglio critico quando si
discute di moda, poiché selvaggia dinamica salta subito all’occhio. Niente, ciononostante, in tale universo è
casuale e caotico come può apparire. L’avvicendamento delle mode può essere vissuto come un andamento
naturale, che corrisponde al ciclo vitale del singolo. O, quantomeno, un alleggerimento perché fornisce un
ritmo di omogenizzazioni successive unificanti. Quando un prodotto è in auge, diviene di ‘moda’, appunto,
questa novità diviene vincolante per un certo periodo di tempo per gli appartenenti ad un determinato gruppo
sociale. La moda in questa accezione può essere associata come un omogenizzazione provvisoria dello stile e
del gusto. Ciò sembra a prima vista contraddire tale meccanismo economico ma non è così: la moda unifica
le esigenze degli uomini per determinati lassi di tempo e in tal modo offre al settore produttivo delle
opportunità particolari. Quando qualcosa è di moda esso vincola un ampia porzione di individui ad un
bisogno e garantisce perciò acquirenti. La moda rende la produzione dunque calcolabile malgrado le
incertezze. Non è solo la produzione ad approfittare di questa unificazione. Quest’ultima offre ai consumatori
la possibilità di abbigliarsi, comportarsi nel giusto modo ( alla moda, appunto ) e in tal modo di guadagnarsi
una discreta visibilità. Molti studi sulla moda si concentrano sulla struttura formale, si interrogano sulle
regole di avvicendamento al suo interno, sulle leggi che la governano, le basi. Altri si soffermano sui
contenuti ossia le forme e le articolazioni concrete della moda.
Quando un indumento è vecchio e fuori moda esso deve essere soggetto a sostituzione. Le legge
fondamentale della moda è il mutamento per contrasto manifesto o anche nel contrario. Ma, per quanto sia
chiaro che la moda assuma sempre direzioni opposte a quelle precedentemente assunte, esistono sempre
declinazioni innumerevoli di questa tendenza. E quando si tratta di cosa realizzare in concreto il contenuto
specifico gioca in molti casi un ruolo di primo piano. Il nuovo non è semplicemente ciò ma fa scaturire
associazioni a livello di contenuto. In alcuni casi tali associazioni sono alquanto evidenti. Buona parte delle
mode femminili pare seguire la logica di una crescente emancipazione. Emblema dello sviluppo
emancipativo femminile è indubbiamente il costrittivo corsetto. Già nel diciottesimo secolo si registrano
dozzine di phamphlet polemici di carattere para-medico nei quali puntualmente si allude al cosiddetto ‘solco
da corsetto’ il quale impedisce il libero movimento, ecc. Queste osservazioni sono più che legittime tuttavia,
si noti come esso permeò e rimase in voga per lungo tempo nonostante le molteplici problematiche da esso
causate. Per quale ragione? Poiché nonostante ciò era considerato di gradevole visione dai contemporanei.
Alcuni studiosi hanno ravvisato come tali costrizioni dell’abbigliamento erano in realtà privilegio delle
donne eleganti, le più emancipate e di alto rango. Il corsetto era dunque sinonimo d’indipendenza,
permetteva un incedere sicuro e conferiva impressione di libertà. Si parla inoltre di come i capi
d’abbigliamento che vengono ritenuti comodi non lo sono necessariamente per parametri obbiettivi ( si veda
l’esempio dei jeans attillati ). anche il pantalone venne ritenuto come un tassello dell’emancipazione
femminile ma, anche in tal caso, la sua effettiva praticità viene relegata in secondo piano. La gonna,
oggettivamente, lascia maggiore libertà di movimento rispetto al pantalone. Perché dunque esso viene
percepito come ‘liberatorio’? In oriente, in epoca pre-cristiana , il pantalone era piuttosto diffuso tra le donne
ma per lungo tempo venne considerato come simbolo del paganesimo orientale. Questo giudizio su base
religiosa fece sì che nella nostra cultura esso fece fatica ad affermarsi. Considerando la chiusura del mondo
maschile di allora, la diffusione del pantalone femminile costituì un vero progresso nel quale l’aspetto
modaiolo e quello pratico coincidevano. È quindi comprensibile perché il pantalone venga sempre citato
come la svolta più importante della moda femminile nella modernità. Il primo passo verso l’unisex pareva
compiuto. La moda è anche motivo di proteste, di rivolte. Il giudizio sulla moda è dunque questione di
prospettiva: se si considera come la moda ponga fuori moda indumenti ancora in buono stato allora essa sarà
un terribile mostro onnivoro; se si tiene conto dell’impulso che essa conferisce al commercio apparirà allora
come il figlio prediletto del capitalismo; se si pone mente all’alleggerimento che la moda rappresenta per il
singolo per quanto riguarda la scelta dell’abbigliamento essa apparirà come un importante sostegno psichico.
Infine, osservando le somiglianze prodotte dalla moda all’interno di un determinato gruppo di persone, essa
si rivelerà come un mastice sociale.

LA CULTURA DEL POSTO DI LAVORO:

L’analisi si origina da una tavoletta del sedicesimo secolo rappresentante una famiglia di calzolai intenti a
lavorare. Si tratta di documenti di un attività borghese autonoma e autosufficiente, nella quale la dimensione
lavorativa e quella domestica si compenetravano. La maggior parte delle attività lavorative passate si
fondava su dilatati orari lavorativi, mansioni ardue e monotone. Gli individui facenti parte tale assetto sociale
individuavano in tali condizioni la capacità di accontentarsi, di soddisfarsi in quanto fiduciosi in una
ricompensa ultramondana per la fatica effettuata in vita. Pur ammettendo una relativizzazione, rimane
tuttavia la sensazione di una sostanziale differenza con le condizioni occupazionali\lavorative precedenti e
quelle odierne. La dimensione lavorativa e quella personale, di svago – nel passato- erano pressoché
coincidenti e strettamente connesse. Da allora, drasticamente esprimendoci, tale dimensione privata è stata
espulsa dall’attività lavorativa. La specializzazione che non consente più di parlare di ‘lavoro’ in termini
generici ha indubbiamente contribuito a tale processo. Il rapporto dell’attività lavorativa stessa con i suoi
prodotti è molto più mediato rispetto al passato. Il lavoro è frammentato, procede molto soventemente a ritmi
serrati e ben definiti e le esigenze immediate determinano, nella maggioranza dei casi, l’orizzonte del luogo
di lavoro. Le persone si sono lasciate ormai assuefare da tale situazione. Gli intellettuali, che vorrebbero
ridimensionare secondo la propria esperienza creativa personale, l’intera dimensione lavorativa non tengono
in considerazione alcuni fattori imprescindibili dell’organizzazione sociale, sottovalutando anche la
disposizione e i desideri della maggior parte delle persone. Esse sono ormai avvezze ad una netta divisione
dei tempi, degli spazi: da un lato il lavoro necessario mentre dall’altro quella dello svago. Si tratta di una
compensazione: il tempo libero come espressione di luogo ove abbandonare le frustrazioni accumulate sul
luogo di lavoro. Tuttavia, il tempo investito nel lavoro ( circa otto ore giornaliere, in media ) fa sì che si avvii
la tendenza di riportare la vita nel lavoro comportando perciò una sua reinvenzione. Si parla molto di cultura
del posto di lavoro. Il termine cultura in questo caso viene utilizzato solitamente in accezione ristretta
riferendosi perlopiù a foto di famiglia sulla scrivanie, cartoline alle pareti, foto di pin-up negli armadietti.
Cultura però, non significa solo ornamento. Ne va piuttosto della possibilità di fare dell’attività lavorativa
una parte importante della propria esistenza, nella quale la qualità della vita abbia la sua parte. Più di mezzo
secolo fa le femministe americane studiarono e plasmarono la prima cucina funzionalistica. Essa, consentiva
di raggiungere ogni spazio della cucina senza effettuare movimenti – cosidetti – inutili. Inconsciamente,
eliminando tali movimenti, limitarono la libertà di movimento plasmando dunque la macchina del progresso.
Oggigiorno il lavoro al computer è pressoché onnipresente e rende ancora più evidente il problema. Il
muoversi all’interno dell’ambiente lavorativo – che in qualche modo garantiva socializzazione- è stato
declassato come superfluo e d’intralcio. Ovviamente non in tutti gli ambienti di lavoro il medesimo è così
organizzato, tanto meno tutti i dipendenti o gli individui avvertono questa urgenza di mobilità. Sarebbe
dunque opportuno individuare delle soluzioni mobili e disponibili ad ogni dipendente che rendano il proprio
spazio lavorativo adatto ed agevole. In altri termini: l’autodeterminazione. Parte integrate della cultura del
lavoro.

OLTRE L'IRRIDUCIBILITA' CULTURALE: LIVELLAMENTO COME CHANCE?

Da tempo le scienze della cultura si oppongono alla tendenza dominante di porre la propria cultura come
paragone di riferimento per le altre. In ambito demologico ciò prevede una penitente revisione della
prospettiva coloniale prevalente in passato. In Europa é stato spesso il regionalismo politico a fare aprire gli
occhi sulla specificità delle culture minoritarie. Ma anche le culture nazionali europee hanno dovuto
preservare la loro autonomia, dal dopo guerra, specie contro le tendenze omologanti provenienti dagli USA
per i quali gli Europei non sono altro che Americani non sviluppati. Movimenti di protesta serpeggiano fino
all'ultima conferenza UNESCO in cui il ministro Lang affermò che la creatività culturale europea era vittima
dello strapotere della finanzia internazionale - chiaramente di foggia americana - ed esortò alla resistenza.
In ambito politico nonché culturale, si moltiplicano i dibattiti sulla tutela delle singole culture che siano
europee e non. Dagli anni settanta nell'etnologia europea si parla dell'irriducibilità dei modi di vita e delle
culture, sia come indicazione di metodo, sia come monito generico a non perdere di vista le differenze
culturali. Irriducibilità significa che ogni configurazione culturale segue delle leggi proprie, ha un suo senso
specifico e un suo inalienabile diritto d'esistenza. Ciò si fonda sul rispetto e sulla volontà di comprensione.
Indipendentemente dalla portata e dal peso dell'oggetto ci si pone la questione etnometodologica del senso
soggettivo, della specifica via seguita da un gruppo umano, per quanto riguarda tanto le informazioni
culturali del passato quanto quelle contemporanee. Un ruolo importante all'intero di questo cambio di
prospettiva é costituito dalle minoranze di migranti come avvenuto, ad esempio, in Germania. Dapprima i
lavoratori immigrati venivano a malapena percepiti, ci si auspicava un loro ritorno in patria. Solo dopo si
pensò alla possibilità di integrarli. Sebbene inizialmente prevalse l'idea dell'assimilazione - vale a dire
l'adozione dello stile di vita, la cultura del Paese ospitante - l'obbiettivo era di positive intenzioni poiché solo
così si sarebbero potute garantire pari opportunità e perciò vera integrazione. Una visone più differenziata
delle cose attribuiva poi alla cultura uno status particolare nel processo d'integrazione: l'adattamento allo stile
di vita del paese ospitante sembrava inevitabile. La cultura però doveva rimanere esclusa da questo processo
di adattamento. Si diffuse così il concetto d'identità culturale: la specificità di una cultura non doveva essere
sacrificata alla cultura di maggioranza tedesca. Una definizione del concetto di irriducibilità culturale venne
fornita ben prima dal regionalismo. I diritti e le forme di vita specifiche di una popolazione dovevano essere
preservate dagli interessi dei capitali internazionali. Anche qui valeva il principio della preservazione di ciò
che è proprio e specifico dall'appiattimento omologante prodotto dallo sfruttamento delle risorse. Esisteva
infine un terzo approccio, in parte connesso al regionalismo ossia la simpatia per le minoranze etniche che
lottano per preservare la loro cultura nonché, in alcuni casi, l'autodeterminazione. La demologia assunse una
vernice progressista, schierandosi con gli attivisti che tutelavano le minoranze e le minoranze stesse. Lo fece
con coscienza, una certa euforia missionaria, ribellandosi alla minaccia di una società globale omologata dal
pensiero unico. Tuttavia questa spinta subì un cambio di rotta improvviso. Dietro il concetto di "identità
culturale" si nascondeva in realtà spesso una riduzione a folclore pittoresco. Si trattava di una compensazione
spesso ingannevole delle implacabili intrusioni di forze estranee nei mondi di vita quotidiana. Inoltre, il
richiamo all'identità culturale implicava spesso una rigida fissazione su posizioni che in realtà erano già state
superate dalla cultura presa in considerazione. ( da terminare )

PRATICHE E SIGNIFICATI: LE COSE DI OGNI GIORNO:


Cosa e significato:

La riflessione scaturisce da una dichiarazione del ministro della difesa americano Donald Rumsfeld sul
rapporto tra cosa e conosciuto dopo aver evidenziato la classificazione cose conosciute - sconosciute,
conosciute - sconosciute, e sconosciute - conosciute ha una sua plausibilità. Essa certo non si riferisce alla
cosa in sé ( ding ans sich ) - malgrado Kant la definisca come una realtà per noi inconoscibile, collocata al di
là dell'esperienza empirica - nè contribuisce particolarmente alla comprensione della "cosità della cosa"
( Dingheit des Dings ) di cui parlava Heidegger. E, tuttavia, nonostante il nosense della frase di Rumsfeld,
esse ci suggeriscono la complessità della parola Ding. La parola tedesca Ding proviene dalla sfera giuridica;
già per gli antichi germani essa indicava l'assemblea giudiziaria, il luogo dove essa si teneva, ma anche il
motivo del contenzioso ossia la causa. Una volta emancipatasi la parola Ding divenne multiuso. Secondo il
dizionario dei fratelli Grimm diventa nome collettivo per gli oggetti materiali, ma è uno sviluppo
relativamente tardo. Ciò suggeriva che altre parole, in precedenza, occupavano quel campo semantico. Lo
stesso si può dire della parola Sache che ha persino la stessa provenienza giuridica. Possiede anche un
significato intermedio e un significato esistenziale, di destino ( Goethe ). Il termine Gegenstand infine,
costituisce un ulteriore variante possibile per "cosa". Risale all'XVI secolo e dapprima indica qualcosa che si
oppone, e poi in senso più generico come oggetto di un trattato scritto. Solo in seguito viene a designare un
oggetto materiale. Considerando lo sviluppo semantico di questi tre termini sorge il sospetto che il
significato concreto di "cosa" si sia sviluppato a seguito di un aumento di oggetti percepiti a disposizione.
Chiaramente anche prima c’erano cose nel significato odierno del termine, tuttavia sembra che non ci fosse
bisogno di un nome collettivo e che venissero piuttosto denominate secondo l’uso o il campo di funzioni
esercitate. Un ulteriore sinonimo di cosa, Zeug ( roba ), ce lo conferma. Lo riscontriamo in contesti differenti
ma sempre ad indicare un ambito d'uso specifico in nomi composti. Nel dizionario dei Grimm la parola Zeug
indicava un collettivo neutro per oggetti concreti. Il sospetto che ciò abbia a che fare con il sempre più
crescente numero di oggetti attorno a noi trova un fondamento statistico in censimenti come quelli di Hofer e
Fel che contarono nella case contadine di alcuni villaggi contadini ungheresi poche centinaia di oggetti. Nel
suo studio sulla cultura materiale dell'epoca vittoriana Asa Briggs caratterizza il dicannovesimo secolo nei
termini di un "esaltazione delle cose del mondo" prendendo esempio dalle Esposizioni Universali dell'epoca.
Nel 2001 il Schiller-Nationalmuseum e il Deutches Literaturarchiv di Marbach hanno organizzato una
mostra dal titolo Erinnerungsstucke ( cimeli ). La mostra esponeva gli oggetti più disparati e vari. La
maggior parte dei cimeli esposti possono essere letti in rapporto all'"estensivizzazione" del mondo degli
oggetti accennato sopra. Il termine estensivizzazione é legato al concetto di comportamenti di lettura
presentato da Engelsing per indicare il passaggio dalla lettura monolitica e intensiva di un unico testo
( Bibbia, libretti di preghiere ) a una lettura estensiva poiché coinvolgeva un ampio numero di libri grazie
alla loro reperibilità. Gli oggetti - secondo lo stesso principio, nel tempo assumono sempre più valore e
rilievo. Possono essere investiti di un significato memoriale, com'è accaduto nella mostra dei Cimeli, dov'era
possibile rinvenire onorificenze postume al poeta prussiano Von Kleist. Dal XVIII secolo inizia la cultura
della memoria borghese delle lettere e delle arti della quale la mostra Marbach voleva essere testimonianza.
La nascita e l'affermazione di una tale cultura della memoria fu il risultato e l'espressione di un
emancipazione a tre livelli: Innanzitutto un affrancamento dello dalla sfera religiosa e nello stesso tempo
adozione di alcune forme memoriali e devozionali diffuse fino a quel momento quasi esclusivamente in
ambito religioso. Poeti che venivano venerati come santi e i loro cimeli adorati come reliquie. Questo
fenomeno si originò in parte grazie alla secolarizzazione, che comportò anche una valorizzazione della
cultura profana che assunse connotazioni di carattere religioso, una forma di religione sostitutiva e oggetto
di fede secolarizzata. Forme religiose entrano nel linguaggio laico grazie al cambio di rotta assunto dalla
devozione sentimentale prima riservata alla sfera religiosa e adesso estesa ad ambiti profani ( amicizia e
amore sono elevati a culto). L'intensificazione dei rapporti interpersonali spiega la feticizzazione di oggetti
appartenenti al lascito dei poeti. Un altro aspetto di questa tendenza emancipativa riguarda il graduale
superamento delle gerarchie sociali consolidate nelle loro manifestazioni pubbliche nella vita culturale.
Nascono attorno alla seconda metà del Settecento feste onorifiche, regali ma anche altre forme di
perpetuazioni come le targhe commemorative che erano riservate alla nobiltà e ai signori che, secondo
l'opinione pubblica, erano eletti da Dio e non dal popolo. Incipiente monumentalizzazione dei poeti all'inizio
del diciannovesimo secolo. Un terzo aspetto dell'emancipazione della cultura e del culto della memoria dei
borghesi fu l'arredamento delle abitazioni dell’epoca. Culto dei poeti e degli artisti fu preceduto dal tentativo
di riportare in vita l’antichità classica. Le grandi opere dell’antichità trovavano posto in versioni
miniaturizzare nelle abitazioni dell’epoca. Non solo arredamento votivo religioso o ritratti. Diffusione delle
miniature si ebbe anche grazie al materiale poco costoso con cui venivano prodotte. Gradualmente però vi fu
però un’emancipazione dai modelli dell’antichità. Esempio fu Busto di Schiller esposto nella sala
dell’antichità della Danneckerei a Stoccarda, che era
circondato da opere di gusto classicheggiante e modello antico, ma riuscì a attirare le attenzioni dei visitatori
e dello stesso Schiller, tanto da oscurare le altre opere d’arte. Quindi, per apprezzare mostra di Marbach
bisogna essere a conoscenza di tutto questo. L’esigenza di comprendere gli oggetti all’interno del loro
contesto di vita vale, però, anche per gli oggetti banali e non solo per gli oggetti storici. Per avvicinarsi al
significato delle cose è necessario un lavoro di rimembranza: Nel quotidiano questo lavoro avviene a livello
inconscio e ritualizzato. La naturalezza con cui interagiamo con le cose presuppone da parte nostra una
conoscenza del gusto e del modo di interagire con esse, ovvero ricordarsi del loro significato ( posseggo
delle forbici e conosco il loro fine ). In molti casi nel quotidiano questo coincide con lo scopo pratico
dell’oggetto. Infatti quando un oggetto d’uso quotidiano mi è sconosciuto, succede facilmente che mi sfugga
il significato. Da questo punto di vista il significato risiede nelle cose stesse: E’ una loro componente
obbiettiva. Nel momento in cui troviamo un oggetto di cui non conosciamo la funzione, attiviamo senza
rifletterci una codifica naturale. Questa non é uguale per tutti. Le differenze sono particolarmente visibili
quando si ha a che fare con distanze culturali notevoli. Una palla, per noi, rimanda al gioco e al divertimento,
alla componente intrinseca del saltellare. Per i Maya, invece, rivestiva connotati sacrali ed esoterici poiché
simboleggiava il sole. Bausinger introduce una riflessione per mezzo delle parole di Schimdt, che sosteneva
che certi materiali e certe forme sono associati a delle condizioni religiose che conferiscono alle cose una
sostanza spirituale. Si rifaceva alle teorie della Scuola Mitologica di Vienna, secondo cui in origine l'intera
vita e l'agire dell'uomo detenevano una componente mitico-religiosa, e tracce di questo tempo mitico sono
rintracciabili fino ai nostri giorni. Ma per Kramer questa assoluta compenetrazione religiosa dell'esistenza é
caratteristica di uno stato arcaico e di una fase primitiva della cultura umana. Per Bausinger le affermazioni
di Kramer sono discutibili perché ci sono le basi per supporre che proprio durante il periodo primitivo della
cultura umana ci fosse solo un rapporto di superficie con gli oggetti delle realtà e che la mititizzazione sia
entrata solo in una fase successiva. Merito di Kramer é tuttavia quello di aver elaborato il modello di
Schmidt. Invece di SACRALITA', Kramer parla di significanza perché esistenza spirituale delle cose non ha
necessariamente a che fare con il carattere religioso ma può risiedere anche in altre forme di investimento
emotivo. Propone, oltre a quella formale e materiale, una terza significanza ossia quella funzionale. Esempio:
tetto, mantello e cappello: la loro significanza non é definita in prima istanza dalla forma o dal materiale
bensì dalla loro funzione di proteggere e riparare ( segue lo schema esplicativo ).

Lo schema necessita di una spiegazione a partire dalla parte destra ove dobbiamo immaginarci un qualche
oggetto. In alcuni studi si opera la differenza tra Sachen e Dingen: le prime sarebbero fatte dagli uomini
mentre le seconde sarebbero date dalla natura. Linea di distinzione non facile da tracciare poiché molto di ciò
che si pensa naturale è stato tracciato dall'uomo e anche ciò che si trova in natura divengono reali solo nel
momento in cui vengono realizzate o percepite dall'uomo quando cioè divengono cose culturali. La
materialità della cosa - la sua sostanza, forma e struttura - in linea di principio è costante. La sostanza rimane
la stessa a meno che non venga manomesso intenzionalmente. Il significato presuppone un soggetto che lo
interpreti e lo iscriva. Significato é il senso e la funzione che viene attribuito alla cosa da qualcuno e può
essere toccato con mano solo in situazioni reali ( mi servo di, utilizzo come ). Esempio della sedia e del
trono, significati diversi. In un museo non mi siederò sul trono. Tale scelta non è libera; nel prenderla
attualizzo qualcosa di predefinito non solo materialmente ma storicamente culturale. Il significato non é
universale ma è determinato dalla storia culturale dell'oggetto, e ciò riguarda la sua funzione, significati
aggiuntivi. Nietzsche critica la concezione secondo cui le cose posseggono una sostanza autonoma
affermando che queste, piuttosto, vengono investite da un valore, nome, ecc. Il significato si adatta alla
materialità. Il messaggio delle cose non è uguale per tutti tanto meno immutabile. Neanche per il singolo
individuo é immutabile; questo può selezionare l'offerta e la potenziale funzione e di senso della cosa sulla
base di ciò che gli serve. Comportandosi da soggetto sovrano potrà poi arricchire l'oggetto di una nuova
funzione.
GLI OGGETTI DEL POTERE:

Guglielmo Tell, Atto terzo, Scena Terza. Ad Altdorf un cappello é fissato in cima ad un asta. Ad esso il
popolo svizzero é costretto a mostrare riverenza. Le due guardie che sorvegliano l'asta si lamentano del fatto
che da lì pare non voler passare nessuno e uno dei due prende a raccontare una storia che vede contrapporsi
due simboli di tipo diverso. L'ostia consacrata incarna il corpo di Cristo; la sua qualità di cosa materiale é
inglobata e, per così dire, consumata dal suo significato. Anche il cappello invita a identificarsi col potere
che esso rappresenta; la sua arbitrarietà viene messa in discussione. I commenti sparsi di diversi personaggi
del dramma mettono in luce una serie di gradazioni al riguardo. Manifestando l'intenzione di mettere alla
prova l'obbedienza dei sudditi, il balivo ammette l'arbitrio dell'ordinanza; al contempo però, attraverso il
richiamo del re, egli cerca di porre il cappello su un livello superiore rispetto al mero arbitrio del potere, di
conferirgli una dignità inattaccabile. Se si cerca di comprendere sistematicamente il contrasto descritto la
prima spiegazione plausibile è che nella sfera religiosa vigono norme diverse da quelle della vita mondana.
E però il riferimento alla corona che ci ricorda che esistevano oggetti del potere mondano identificati con ciò
che incarnavano. Centrale in tal senso é rammentare la discendenza del potere regio da quello divino. Per un
adeguata valutazione degli oggetti del potere ci si deve avvalere di una teoria dei simboli. Nel suo ultimo
anno di vita, nel 1887, il filosofo Vischer pubblicò "Das Symbol". Qui l'autore prende le mosse
dell'osservazione di Hegel secondo la quale alla base del simbolo risiede inadeguatezza: a un immagine di
per sè polivalente vengono attribuite un senso e una referenzialità univoche. In una prima fase questo legame
avviene in "modo oscuro e coatto". Egli ascrive questo processo primariamente "alla coscienza religiosa", e
mostra sull'esempio dell'Ultima Cena come immagine e significato vengano a coincidere. Vischer parla di
appropriazione e identificazione come risultato della "confusione del simbolo con la cosa". Al "potere
magico" e alla "devota personificazione" si contrappone la "libera coscienza dell'uomo" per la quale il mito
non è una "verità oggettiva". Esso però può ben essere una verità simbolica; per Vischer anzi è una categoria
estetica fondata sull'empatia. Il filosofo parla di "fede poetica" e aggiunge che accanto o dietro di essa
rimane chiara la consapevolezza che si tratta di prodotti dell'immaginazione. L'empatia permette il legame
simbolico di oggetto e significato come "gioco" serissimo. Warbung si occupò del concetto di simbolo
concependolo come contrapposizione a livello di coscienza fra simbolo "magico - simbolico" e "logico -
analitico" e definisce nettamente la cultura come istanza di mediazione fra questi due ambiti contrapposti. La
distinzione contrapposta avviene anche secondo Turner tra l'uso liminale e liminoide del simbolo. Il primo é
caratteristico delle società tribali, identifica cose, ma anche all'occorrenza immagini e nomi con le forze e i
poteri che essa incarnano. Il secondo, invece, indica un uso e una comprensione più libera, spesso ludica, del
simbolo. L'atteggiamento nei confronti del cappello tocca tutti gli stadi della comprensione del simbolo. Il
balivo fa leva sulla possibilità di un rapporto magico col simbolo poiché esige dai sudditi un identificazione
con il potere reale. Quest'aspettativa ha una componente religiosa in quanto anche il potere terreno
produceva i suoi oggetti devozionali. E' tuttavia l'intenzione del balivo non solo consolidare il suo potere ma
anche affermarlo benché questo si scontri con la tradizione liberale degli svizzeri e perciò fallisce. Il
processo si avvia con la messa in discussione da parte dell'Illuminismo del diritto di comando su altri uomini.
Ciò non significa l'esaurirsi della simbologia del potere ma osservati con criticità come dimostrato in
Guglielmo Tell. La sopravvivenza del valore simbolico di un oggetto é possibile sotto due condizioni
opposte. Essa può essere infatti imposta dal potere sanzionatorio dell'autorità o accettata liberamente dai
cittadini. In tale figurazione opposta si riflette il doppio volto del potere che può esercitare un dominio
arbitrario o al contrario rappresentare un autorità legittima. Negli stati totalitari il simbolo è imposto mentre
in altri tipi di società l'aderenza é più autonoma. Si tratta però di una costruzione idealtipica: la propaganda
del potere può far dimenticare le costruzioni e le sanzioni mentre la presenza massiccia e l'esposizione dei
simboli sancisce la "forza normativa di ciò che è fatto" col consenso che pare volontario. I simboli del potere
devono essere integrati in maniera ritualizzata e non riflessiva. Nel caso seguente, l'avvicinamento ai simboli
del potere può essere definito nei termini dell'identificazione simpatetica. L'accettazione dei simboli
presuppone un consenso "etico" nei riguardi del contenuto simbolico. Questo consenso permette da un lato
l'accettazione e di conseguenza la durata dei simboli tradizionali del potere in società di tipo democratico.
Talvolta i simboli del potere sopravvivono nella loro accezione rappresentativa. Ciononostante nelle società
moderne sorgono numerosi nuovi centri di potere e ciò risulta evidente nei tentativi dei partiti politici di
fondare specifici ordini simbolici basandosi su colori, slogan e manifesti. Chiaramente anche
nell'articolazione complessa della quotidianità sociale si assiste a giochi di potere che si servono di linguaggi
simbolici come avviene, ad esempio, nelle subculture giovanili dove si intende più una partecipazione che un
assoggettamento. La pluralizzazione degli aggregati di potere e degli annessi simbolici nell'epoca moderna é
avvenuta ove strutture di potere tradizionale sono state rimpiazzate o messe in discussione da nuove. In una
prima fase sembra che l'attaccamento ai simboli fosse forte. Ciò si spiega con il fatto che gli uomini
continuavano ad essere assoggettati ad un pensare e un sentire simbolico e anche con il fatto che la
coreografia dei giochi di potere in passato fosse più gestibile. A tal proposito é opportuno ricordare
l'adorazione delle reliquie durante il diciannovesimo secolo. Con i movimenti rivoluzionari della metà del
diciannovesimo secolo anche il cappello acquisisce una nuova qualità simbolica ed incarna la rivendicazione
ugalitaria. L'ideale di assoggettamento diviene ideale di cortesia il quale era tuttavia basato su una gerarchia
sociale. Il cappello di Hecker, tuttavia, non si prestava più al consueto rituale di cortesia poiché mancava di
una tesa rigida da afferrare, non serviva più per segnalare subordinazione. A prescindere dalla nuova forma
del cappello, il fenomeno dello scappellamento andò scemando. L'obbiettivo era rimuovere il cappello dagli
oggetti di potere benché, per ancora lungo tempo, divenne appannaggio della classe borghese. La scomparsa
dell'uso del cappello ebbe luogo nel ventesimo secolo. Complici la cultura commerciale del tempo libero e
l'adesione alle discipline sportive. Ritorno al cappello sancito dal clima nazionalsocialista e dalla necessità di
omologazione per poi svanire nuovamente nel dopoguerra. Con l'avvento della società dei costumi si ha
l'effettivo e definitivo abbandono delle tradizionali abitudini d'abbigliamento a favore di costumi più
flessibili. In questo mondo più vario è ormai divenuto difficile fissare dei valori simbolici generalmente
accettati. Le società moderne hanno comportato una complicazione crescente dei simboli. Nonostante siano
onnipresenti, i simboli sono divenuti difficili da decifrare. Per rimanere all'esempio dei cappelli è evidente
che non siano più parte delle fondamenta del corredo vestiario di oggi ma prendiamo per esempio il caso di
una persona che indossa regolarmente il cappello. Si potrebbe far notare che é una scelta personale tuttavia,
anche dietro queste motivazioni, si celano motivi generali e legati alla collettività. Questi motivi possono
essere ridotti a due denominatori: il cappello è prima di tutto un segnale di fuga dalla monotonia
dell'abbigliamento usuale. La sortita dagli schemi assume in questo caso un accezione bohémien facendo
richiamo all'artista e quindi, colui che lo indossa, trasmette l'idea di essere un maestro nell'arte di vivere.
Altro motivo dominante é il distanziamento ricercato dalle mode superficiali che non lasciano il tempo di
sviluppare uno stile proprio. I cappelli divengono il simbolo di chi vuole elevarsi al di sopra delle mode. Per
quanto riguarda i cappelli da signora questi hanno perlopiù un attenzione estetica. Si è tentati di considerare
il carattere signorile del cappello come una sorta di effetto simbolico naturale che pertiene al contenuto
sostanziale di quell'oggetto. Il cappello poggia infatti in testa e trasmette superiorità. Ma già la funzione del
cappello durante la rivoluzione del 1848 in Germania sfugge alla riconduzione a questo schema signorile o
quella avvenuta in Turchia denominata "Rivoluzione del cappello e dell'abbigliamento". Negli studi di
simbologia si tenta di capire l'essenza di determinati simboli tuttavia questa essenza supposta di in realtà non
é stabile né inequivocabile bensì il risultato di un investimento storico all'interno di un orizzonte culturale
specifico. L'uso libero e giocoso del cappello é ben distante da quello in Guglielmo Tell, né trasmette il
messaggio di appartenenza politica di Hecker. Il cappello segnala piuttosto una ricerca di distinzione
all'interno della società moderna nella quale le strutture di potere sono meno visibili.

ASPETTI DEL COLLEZIONISMO


Il collezionismo: istinto, piacere, passione, lusso?

Tutto può essere collezionato ed in effetti, è possibile non solo collezionare oggetti ma anche esseri viventi;
ed è più difficile trovare un oggetto che non sia mai stato collezionato da nessuno che continuare la lista
degli oggetti collezionati nel mondo. Esistono riviste ad esso dedicate, circoli, siti specializzati. Al cospetto
di tale varietà e quantità si è tentati di ridurre il collezionismo a un minimo denominatore comune ed é un
istinto innato nell'uomo. Bisogna però prestare attenzione: il termine "istinto" serve spesso per etichettare
strutture comportamentali complesse, che vengono così non tanto spiegate quanto velate e proprio le attività
di raccolta del Paleolitico, mostrano chiaramente quanto queste generalizzazioni siano fuori luogo. Il
collezionare bacche, piante e piccoli animali garantiva - assieme alla caccia - la sopravvivenza dell'uomo e
può forse essere messo in relazione con le attitudini dell'uomo di oggi che é portato, in momenti di crisi, a
fare provviste ma certamente non con il piacere che si prova nel collezionare oggetti che non servono al
sostentamento. Per sottolineare quest'aspetto si parla di collezionismo disinteressato. Definizione che
comunque indica il piacere che si prova nel mettere su e possedere una collezione ed è in sé in qualche modo
interessato. Il collezionismo é un bene culturale decaduto ( teoria secondo la quale solo le classi superiori
sono innovatrici creando beni culturali che, con un certo ritardo, vengono poi adottati passivamente dalle
classi subalterne. Ad esse viene negata la prerogativa dell'inventiva culturale ). Prescindendo dalle collezioni
di oggetti di culto religioso in chiese e cappelle, il collezionismo moderno inizia con i gabinetti di curiosità,
camere delle meraviglie di regnanti tardo medievali. In questi luoghi - in un certo senso antenati dei musei -
venivano collezionati soprattutto oggetti esotici. In seguito anche i borghesi iniziarono a collezionare oggetti
rari e inusuali ma solo nel diciannovesimo secolo divenne una loro prerogativa prima che, nel ventesimo
secolo, esso si democratizzasse. Oggi ci sono molti più oggetti da collezionare rispetto al passato sia per
qualità che per quantità. Negli anni settanta l'ondata dei musei regionali - che esponevano dappertutto gli
stessi oggetti - raggiunse anche il paese più sperduto, iniziò una visibile specializzazione in una data
collezione. Una simile e più intensa specializzazione diede origine al collezionismo privato. Tanto i musei
quanto i privati raccolgono oggetti di uso non più corrente. E' questa un ulteriore ragione dello sviluppo del
collezionismo: molti oggetti hanno una vita breve. Questa rappresenta una vera e propria chance per il
collezionista. Alla società dei consumi, dell'usa e getta si contrappone la volontà di conservare. Il filosofo
Hermann Lubbe ha evidenziato in tal senso la funzione compensatoria dei musei spiegandone così il
successo di pubblico. Ci sono dunque delle ragioni strutturali ben precise che hanno permesso al
collezionismo di crescere in tal misura. A ciò si aggiunge il fatto che esso ha sviluppato una dinamica
propria. Non si collezionano più solo oggetti d'uso poiché molti oggetti oggi vengono prodotti con l'intento
di essere collezionati. Un concetto importante per il collezionismo di oggetti che esistono solo al di fuori
dell'uso quotidiano é quello di un modello. Un modello si riferisce a un soggetto d'uso reale però non
identificabile con esso. La miniaturizzazione di grandi oggetti che li rende esponibili nelle case è da sempre
una componente essenziale del collezionismo tradizionale. Il collezionismo imita anche opere
architettoniche, magari da ricostruire manualmente, e per questo tale attività ha anche la sua ragion d'essere
nell'abilità manuale e nella volontà creativa del singolo. Nella maggior parte dei casi i modelli seguono gli
originali a breve tempo. Spesso il collezionismo non è motivato soltanto esteticamente ma anche
affettivamente. I modelli sono oggetti di un investimento personale; ad esempio i proprietari di grandi
modelli di ferrovie o di auto sono spesso persone che lavorano in quegli ambiti o ne sono affascinate. Ma
anche per altre categorie la scelta degli oggetti da collezione non è completamente casuale. Anche il ricordo
può essere un motivo per collezionare. Se si guarda all'esterno dell'attività del collezionista sorge la
domanda: che cosa conduce le persone adulte a collezionare, ad ampliare la propria galleria di oggetti? Forse
il collezionismo é una risposta alle distrazioni che ci irretiscono quotidianamente. Il collezionismo é un
attività che richiede concentrazione, raccoglimento di sé in una società rapida e di consumo. Lo psicologo
sociale Csikszentmihalyi ha coniato il concetto di "flow" che indica l'esperienza felice di esaurire
produttivamente le proprie facoltà in un ambito di attività circoscritto, dimentichi di sé e tuttavia
assolutamente concentrati. Certo, non bisogna ignorare che la concentrazione esclusiva sul collezionismo
presenta anche un risvolto problematico. Essere totalmente focalizzati su una simile attività implica una
riduzione di tempo per le restanti attività tra cui quella sociale. Il collezionismo può anche rendere
indipendenti ed alcuni di loro sono stati condotti alla rovina per tale loro passione. L'obbiettivo di tutti é in
ogni caso la completezza - immaginaria perché talvolta il numero di oggetti è potenzialmente illimitato.
Anche quando l'ambito di interesse é strettamente delimitato la completezza non è sempre raggiungibile. Le
aziende produttrici si preoccupano di fornire modelli ad oltranza. Esemplare é il caso della moda dei
portachiavi in Francia durante gli anni settanta che vide il suo esaurirsi all'arrivo di nuovi oggetti status
symbol. Il motore di questa dinamica é la moda, l'obbiettivo individuale é l'aumento del prestigio. Prestigio
sia nei confronti degli altri collezionisti sia nei confronti dei non addetti ai lavori che ammirano quanto
realizzato negli anni. Il numero dei collezionisti uomini, poi, è interessante notare, superiore a quello delle
donne. Ben il doppio. Forse le donne hanno meno necessità di aumentare o mettere al sicuro la loro
autostima attraverso il possesso di una collezione. Nella maggior parte dei casi, per quanto si muovano
mediamente meno nella sfera pubblica, esse hanno in virtù della varietà dei loro compiti un maggiore legame
con le cose pratiche della vita rispetto agli uomini. In Germania, uno spot pubblicitario, vede due donne
parlare al telefono: la prima é una casalinga mentre l'altra una donna in carriera. La prima dice alla seconda
"di essere a capo di un impresa di famiglia di successo" ossia la sua. Questo potrebbe allevare l'ipotesi prima
riportata. Probabilmente queste donne hanno meno bisogno degli uomini - o delle donne in carriera - di una
collezione per colmare mancanze in altri ambiti della propria vita. Certo, anche questo è solo un aspetto del
vasto mondo del collezionismo. La parola "mancanza" chiama immediatamente alla mente il suo opposto
cioè la ricchezza di una vita vissuta pienamente e fra questi due poli si estende uno spettro di possibilità
infinite. Non solo si possono collezionare oggetti molto diversi ma anche combinare obbiettivi alquanto
differenti con quest'attività. Con gli oggetti raccolti si possono svolgere numerose attività, la si pò mostrare e
dunque non abbiamo a che fare con un istinto innato quando parliamo di collezionismo bensì con un attività
polimorfa e vitale.

Potrebbero piacerti anche