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Macroeconomia
Claudio Sardoni
Premessa v
iii
3.9.1 Confronto fra prezzo in monopolio e in concorrenza . . 27
3.10 Una semplificazione sui costi (di breve periodo) . . . . . . . . 28
iv
Premessa
In queste note sono fornite alcune nozioni di base della microeconomia che
possono essere utili per una migliore comprensione di alcuni temi di macroe-
conomia.
C. S.
v
vi
Capitolo 1
1.1 Razionalità
Sia i consumatori sia le imprese sono considerati agenti economici. Si ipotizza
che gli agenti siano razionali. Questo significa che, nel prendere decisioni, essi
1
Lo studio dell’equilibrio pone una serie di importanti problemi analiti-
ci. Vi è innanzi tutto il problema dell’esistenza di un equilibrio, ma un altro
importante problema è quello della stabilità dell’equilibrio. Un punto di equi-
librio è stabile se si tende a tornarvi dopo aver subito un disturbo di natura
temporanea. Vi è infine il problema dell’unicità del punto di equilibrio.
Le variabili di scelta
Gli agenti prendono decisioni a riguardo di variabili che possono controllare e
che incidono sul risultato che vogliono ottenere. Per esempio, un consumatore
effettua scelte sulla quantità di un bene da consumare; il bene di consumo è
la variabile su cui il consumatore effettua la sua scelta.
La funzione obiettivo
È una funzione che mette in relazione le variabili su cui si esercitano le scelte
e un valore da ottimizzare. Per esempio,
U = f (x)
U = f (x1 , x2 )
Si realizzerà un equilibrio quando ad un certo prezzo pe la quantità di x che a intende
acquistare è identica alla quantità di x che b intende vendere.
2
descrive l’insieme delle alternative possibili per un consumatore, cioè tutte
le possibili combinazioni dei beni x1 e x2 che danno diversi livelli di utilità.
In generale, le variabili di scelta sono sottoposte a dei vincoli. Innanzi
tutto le quantità di beni debbono essere non negative:
xi ≥ 0 (i = 1, 2)
Inoltre c’è il problema del fatto che l’ammontare di risorse disponibili per il
consumatore è limitato e quindi non può destinare al consumo dei due beni
più delle risorse possedute. In simboli,
x1 p 1 + x2 p 2 ≤ S
3
4
Capitolo 2
2.1 Le preferenze
Sia xi ∈ X (1 = 1, 2, · · · ) un generico paniere di beni di consumo. Il con-
sumatore ha determinate preferenze riguardo ai panieri e sceglie fra essi ra-
zionalmente; cioè in modo da massimizzare l’utilità tratta dal consumo del
paniere scelto.
Il consumatore deve essere in grado di ordinare l’insieme X di panieri
in base alle sue preferenze. Affinché ciò sia possibile è necessario che le
preferenze abbiano certe proprietà; in particolare le seguenti:
Completezza . Per tutti gli xi e xj in X, xi xj oppure xj xi .
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Si assume che la funzione d’utilità sia continua con derivate parziali del primo
e secondo ordine anch’esse continue.
Il livello di utilità cresce al crescere della quantità consumata dei due
beni.
Sia αx > x e βy > y, allora
U1 = f (αx, βy)
e
U1 > U
Studiamo ora il comportamento dell’utilità al variare della quantità con-
sumata di un bene, mentre la quantità dell’altra resta invariata; si ha cioè
U è l’utilità totale.
Un concetto molto importante è quello di utilità marginale (um ) del bene
x. Essa è l’incremento di utilità totale dovuto ad una variazione infinitesima
di x In termini matematici, l’utilità marginale non è altro che la derivata
prima di U rispetto ad x:1
δU
um = (2.2)
δx
Un altro concetto spesso usato è l’utilità media del bene x (uM ), che è
data dal rapporto fra U ed x:
U
uM = (2.3)
x
L’utilità totale è una funzione crescente della quantità del bene consu-
mato. Questo implica che l’utilità marginale del bene sia positiva (um > 0):
ogni aumento del bene consumato dà vita ad un aumento dell’utilità.
Si assume però che l’utilità totale cresca sempre meno rapidamente al cre-
scere della quantità consumata del bene. Ciò significa che l’utilità marginale
è decrescente, ovvero sia che la sua derivata prima è minore di zero:
dum
<0
dx
1
Si può ovviamente calcolare nello stesso modo l’utilità marginale di y (tenendo in
questo caso costante la quantità di x).
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La derivata prima dell’utilità marginale non è altro che la derivata seconda
di U , pertanto la funzione di utilità è caratterizzata dalle seguenti proprietà
della sua derivata prima e seconda:
δU
um = >0 (2.4)
δx
dum δ2U
= <0
dx δx2
Questo assicura che la curva dell’utilità totale di un bene è concava verso
l’origine (??
7
x2
C
A
U3
U2
U1 x1
A
C
D
U2
B
U1
Figura 2.3:
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U (C) = U (D). D’altro canto U (A) > U (C) poiché A è a destra di C e
U (D) > U (B) poiché D è a destra di B, ma questo non è possibile. Visto
che U (D) è maggiore di U (B), dovrebbe essere anche U (D) > U (A), il che è
in contraddizione con U (A) > U (C) = U (D).
Vedremo più avanti la spiegazione del perché le curve d’indifferenza sono
convesse verso l’origine.
S = p 1 x1 + p 2 x2 (2.6)
S p1
x2 = − x1
p2 p2
9
dove S è l’ammontare dato di risorse disponibili (reddito) del consumatore,
p1 è il prezzo (dato) del bene 1, p2 è il prezzo (dato) del bene 2, x1 e x2 le
quantità dei due beni.2
La (2.6) è detta retta di bilancio. Si noti che la sua inclinazione (negativa)
è
p1
−
p2
dove p1 e p2 sono i prezzi dei due beni.
max[U (f x1 , x2 )]
s. t.
S − p 1 x1 − p 2 x2 = 0
L = U (x1 , x2 ) + λ(S − p1 x1 − p2 x2 )
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Il membro di sinistra nella (2.8) è il saggio marginale di sostituzione fra
i due beni. Pertanto,
dx2 p1
SM S = − =
dx1 p2
Questo significa che, nel punto di massima utilità, la retta di bilancio deve
essere tangente alla curva d’indifferenza.
x2
O x1
A
11
solo il bene 2 è consumato nella quantità OA poiché in tal modo il consuma-
tore ottiene un’utilità maggiore di quella che otterrebbe consumando solo il
bene 1 in quantità OB.
x2
x1
O B
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Il consumatore è in equilibrio (massimizza la sua utilità) in P (Figura
2.6). Supponiamo ora che il prezzo p1 diminuisca. Dalla (2.6) è chiaro che
l’inclinazione della retta di bilancio diminuisce, mentre resta costante l’in-
tercetta sull’asse delle ordinate. In altre parole la nuova retta di bilancio è
BD0 .
C P
C' P'
P''
C''
U3
U2
U1
D D' D''
O A A' A''
13
p
14
Se consideriamo l’elasticità in valore assoluto, si ha:
B'
P
C P''
C''
P'
C'
D' D'' x1
O A A' A''
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Quella considerata sopra è l’elasticità diretta. Si considera anche l’elasticità indiretta
(o incrociata), che riguarda le variazioni della domanda di un bene rispetto a variazioni del
prezzo dell’altro bene. ε12 = xp21 dx dp2 . Quest’elasticità non necessariamente prende valori
1
negativi. Il suo segno dipende dal tipo di beni considerati. Se si tratta di beni sostituti
l’elasticità indiretta è positiva; essa è negativa se si tratta di beni complementari.
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Il consumatore passa da P a P 00 : aumenta la quantità consumata del bene
1 e riduce quella del bene 2. C’è certamente un effetto sostituzione: il bene
x1 è divenuto ‘meno caro’ e il consumatore lo sostituisce in parte al bene x2 .
Ma c’è anche un effetto reddito: l’aumento del reddito reale del consumatore
fa sı̀ che x2 si riduce meno di quanto avverrebbe in mancanza dell’aumento
del reddito reale.
Per osservare cosa accadrebbe se la variazione dei prezzi non producesse
alcuna variazione del reddito reale, tracciamo la retta di bilancio B 0 D0 che
ha la stessa inclinazione della retta BD00 , cioè è riferita agli stessi prezzi dei
due beni (ha lo stesso coefficiente angolare). Poiché stiamo ipotizzando che
il reddito reale non muta, il consumatore deve rimanere sulla stessa curva
d’indifferenza U1 e perciò il suo punto d’equilibrio sarebbe dato dal punto
di tangenza P 0 , che è associato a quella combinazione di beni (OA0 , OC 0 ).
Di conseguenza, l’incremento del consumo del bene x1 , pari ad AA0 , e il
decremento di consumo del bene x2 , pari a CC 0 , sono interamente imputabili
all’effetto sostituzione (al fatto che il bene x1 è divenuto meno caro del bene
x2 ). In realtà il consumatore consuma OA00 del bene 1 ed OC 00 del bene
x2 ; pertanto le differenze A0 A00 (bene x1 ) e C 0 C 00 (bene x2 ) sono imputabili
all’effetto reddito. Grazie al fatto che il suo reddito reale è aumentato, il
consumatore riduce in minor misura il consumo del bene 2 e aumenta ancor
di più il consumo del bene 1.
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Capitolo 3
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3.2 La funzione di produzione
E’ una funzione che stabilisce la relazione che intercorre fra quantità prodotta
di un bene (o servizio) e quantità dei fattori della produzione impiegati.1 Sia
q la quantità prodotta di un certo bene Q,
q = f (x1 , x2 , · · · , xn )
q > 0
xi > 0 (i = 1, 2, · · · , n)
dove xi è la quantità del generico fattore i − simo impiegato nella produzione
di q. La quantità prodotta è non negativa cosı̀ come sono non negative le
quantità di fattori impiegati.
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3.4 La produttività dei fattori
Consideriamo inizialmente la relazione fra produzione del bene e quantità dei
fattori nel caso in cui un solo fattore è variabile.
Produttività totale. È la quantità prodotta del bene ottenuta impiegando
un fattore in quantità variabile e l’altro in quantità fissa. Essendo (3.1)
la funzione di produzione, la produttività totale è:
T P = q = f (x, ȳ) (3.3)
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Rendimenti di scala crescenti. Si hanno rendimenti di scala crescenti quan-
do il prodotto varia in misura più che proporzionale rispetto alla varia-
zione dei fattori.
q = f (x, y)
qλ = f (λx, λy) = λn f (x, y) = λn q
quindi,
qλ
n > 1⇒ = λn > λ
q
qλ
n = 1⇒ =λ
q
qλ
n < 1⇒ = λn < λ
q
RT = pq (3.8)
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Per semplicità, consideriamo un caso in cui un solo fattore è variabile. La
(3.9) si riduce a
π = pq − (xpx + ȳpy ) (3.10)
Il massimo della (3.10) si determina ponendo la derivata prima di π rispetto
ad x uguale a zero e la derivata seconda minore di zero, cioè
dπ δq
= p − px = 0 (3.11)
dx δx
e
d2 π δ2q
= p <0 (3.12)
dx2 δx2
Dalla (3.11) si ottiene che
dq
p = px (3.13)
dx
che significa che il profitto è massimizzato nel punto in cui il valore della
produttività marginale del fattore uguaglia il prezzo del fattore stesso.3
Consideriamo una particolare versione di questo problema di massimiz-
zazione. Si supponga che il fattore variabile sia il lavoro, l (misurato in ore)
e che il prezzo di un’ora di lavoro sia il salario w. In questo caso la funzione
del profitto da massimizzare è:
π = pq − lw − ȳpy
e deve essere
dπ dq
=p −w =0
dl dl
cioè
dq w
=
dl p
L’impresa massimizza il profitto quando impiega una quantità del fattore
lavoro tale per cui la produttività marginale del fattore ( dq
dl
) è uguale al salario
reale, cioè il rapporto tra il salario nominale w e il prezzo del bene p.
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come funzione della quantità prodotta. D’ora in avanti, i costi saranno espres-
si come funzione della quantità prodotta. Qui ci concentriamo sui costi di
breve periodo.
Le varie definizioni di costo di breve periodo sono le seguenti.
Costo fisso (CF ). E’ il costo relativo ai fattori fissi impiegati. Esso è quindi
indipendente dalla quantità prodotta e costante.
Costo fisso medio o unitario (CAF ). E’ dato dal rapporto fra costo fisso
e quantità prodotta q. Il costo fisso unitario è funzione decrescente
della quantità prodotta. Tende asintoticamente a zero (Figura 3.1).
CF
CAF = (3.14)
q
CAF
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Costo totale medio (CAT ). E’ dato dal rapporto fra costo totale e quantità
prodotta,
CT
CAT = = CAV + CAF (3.17)
q
Costo marginale (CM ). E’ l’incremento del costo totale imputabile ad un
incremento infinitesimo della quantità prodotta. Perciò,
dCT dCV
CM = = (3.18)
dq dq
Se si accetta l’ipotesi di produttività marginale decrescente, al variare di
q il costo totale dovrà necessariamente comportarsi nel modo seguente. CT
cresce dapprima meno che proporzionalmente di q, ma da un certo punto in
poi esso prende a crescere più che proporzionalmente. Il costo variabile totale
ha lo stesso comportamento. Il costo totale e quello variabile sono descritti
dalle due curve in Figura 3.2, dove OF è il costo fisso.
CVT CT
q q
O
O
23
CAV CAT
CM
Figura 3.3: Costo marginale, costo variabile medio e costo totale medio
4. Nel lungo periodo, c’è perfetta libertà di entrata e di uscita dal mercato
dRT d(pq)
RM = = (3.19)
dq dq
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Poiché in concorrenza perfetta il prezzo resta costante al variare della
quantità prodotta dalla singola impresa, ne deriva che il ricavo marginale
coincide con il prezzo che, d’altro canto, non è altro che il ricavo medio ( RqT ).
Ciò si verifica immediatamente calcolando la derivata nella (3.19).
RM = p (3.20)
π = pq − CT (q) (3.21)
CM > 0 (3.25)
25
CM
C B CAT
D
E
O A
26
B
CM
F
P CAT
D E
O Q A C
27
Si vede immediatamente che
p − CM
lim =0 (3.32)
ε→∞ p
CT = CF + CV
CV = CAV q = CM q
CT
CV
Figura 3.6: Costo totale e costo variabile quando il costo marginale è costante
28
CTM
29
Il rapporto wλ è il costo del lavoro.
Se si suppone che le imprese adottino la strategia di mantenere il mark-
up costante quando variano i costi, quando w aumenta e λ rimane costante,
il prezzo aumenta nella stessa proporzione del salario. In altre parole, un
aumento del costo del lavoro genera un proporzionale aumento del prezzo.
Dalla (3.35) si ha
λp = (1 + µ)w
Ricordando che λ = ql ,
qp
= (1 + µ)w (3.36)
l
qp
l
è la produzione pro-capite espressa in valore.7 Il membro di destra del-
la (3.36) ci dice come questa produzione è distribuita fra lavoratori (w) e
impresa (µw).
Si supponga che la produttività non vari e che l’impresa non muti il
prezzo, in questo caso un aumento del salario deve necessariamente implicare
una riduzione della quota del prodotto che va all’impresa. In altre parole, si
deve ridurre il mark-up. Se l’impresa non è disposta a ridurre il mark-up, si
avrà necessariamente un aumento del prezzo.8
7
Si può dire che è il valore della produttività.
8
Mantenendo l’ipotesi che l’impresa intende mantenere costante il mark-up, quando il
salario varia e varia anche la produttività sono possibili tutti i risultati per quanto riguarda
il prezzo: il prezzo resta invariato poiché la produttività cresce tanto quanto il salario; il
prezzo diminuisce poiché la produttività cresce più del salario; il prezzo aumenta poiché
la produttività cresce meno del salario.
Si può esprimere tutto ciò in termini di tassi di variazione. Si prenda la (3.35) in forma
logaritmica e si derivi rispetto al tempo (t) per ottenere i tassi di variazione di p, w e λ.
1 dp 1 dw 1 dλ
= −
p dt w dt π dt
30