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A PPUNTI DI INTRODUZIONE
ALL’ ECONOMIA PUBBLICA
settembre 2006
Indice
1 Il giudizio di efficienza 1
1.1 L’efficienza nel senso di Pareto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.1.1 Criterio di Pareto e potere di veto . . . . . . . . . . . . . 4
1.1.2 Criterio di Pareto e conservazione dello status quo . . . . 5
1.2 Allocazione ottimale delle risorse . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.2.1 La condizione di efficienza nello scambio . . . . . . . . . 6
1.2.2 Condizione di efficienza nella produzione . . . . . . . . . 8
1.2.3 Condizione di efficienza generale . . . . . . . . . . . . . 10
1.3 I due teoremi fondamentali dell’economia del benessere . . . . . . 12
2 I fallimenti
del mercato 19
2.1 Mercati non concorrenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.2 Le esternalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.2.1 Esternalità e allocazione efficiente delle risorse . . . . . . 22
2.2.2 Esternalità dovute a fenomeni di consumo congiunto o
produzione congiunta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.2.3 Esternalità in presenza di risorse di proprietà comune . . . 24
2.2.4 Intervento pubblico e internalizzazione delle esternalità . . 25
2.3 I beni pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.3.1 Rivalità ed escludibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.3.2 Beni privati, beni pubblici, beni misti . . . . . . . . . . . 26
2.3.3 La quantità ottima di bene pubblico . . . . . . . . . . . . 27
3 Scelta sociale 31
3.1 La massimizzazione del benessere sociale . . . . . . . . . . . . . 31
3.2 Le funzioni del benessere sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
3.2.1 La funzione del benessere sociale utilitarista . . . . . . . . 35
3.2.2 La funzione del benessere sociale rawlsiana . . . . . . . . 38
3.3 Confronti tra criterio del Pareto, FBS utilitarista, FBS rawlsiana . 39
II C APITOLO 0
Riferimenti bibliografici 88
Capitolo 1
Il giudizio di efficienza
Definizione 1.1 (Il criterio (forte) del Pareto). Dati due stati α e β, si dice che
α è migliore di β (oppure che α domina β) nel senso di Pareto, e che pertanto
uno spostamento da β a α è un miglioramento paretiano, se e solo se almeno un
individuo preferisce α a β e nessuno preferisce β ad α.
1
Vilfredo Pareto (1848-1923), economista e sociologo. Le sue opere più importanti sono il
Corso di economia politica (1897-98) e il Trattato di sociologia generale (1916).
2 C APITOLO 1
α β γ
ui 30 35 35
uj 25 25 30
uk 45 45 45
α β γ δ ²
ui 7 6 1 8 3
uj 9 9 2 8 2
uk 6 5 9 8 9
Il criterio del Pareto può essere espresso nel modo seguente. Dati due stati α e β,
e n individui, i ∈ {1, ..., n} ,
[α Â β]P ⇔ ∃i ∈ {1, ..., n} tale che (α Â β)i & @j ∈ {1, ..., n} tale che (β Â α)i
che va letta: α domina β nel senso di Pareto se e solo se esiste almeno un individuo
i per il quale α è strettamente preferito a β e non esiste alcun individuo j per il
quale β è strettamente preferito ad α.
Se α non domina β nel senso di Pareto e β non domina α nel senso di Pareto,
allora diremo che α e β non sono confrontabili in base al criterio di Pareto.
Nella definizione del criterio di Pareto si assume:
Nella Tabella 1.1 α, β, γ sono tre stati e ui ,uj ,uk sono indici di utilità ordinale
relativi a tre individui i, j, k.
Lo stato β domina nel senso di Pareto lo stato α (maggiore è infatti l’utilità del-
l’individuo i, ferme restando le posizioni degli individui j e k). Lo stato γ domina
a sua volta lo stato β.
Definizione 1.2 (Ottimo paretiano). Uno stato è detto efficiente nel senso di
Pareto o ottimo paretiano qualora non sia possibile realizzare un miglioramento
paretiano, vale a dire quando non sia possibile migliorare la situazione di almeno
un individuo senza peggiorare quella di qualche altro.
Nella Tabella 1.1 lo stato γ è un ottimo paretiano. In generale stati ottimi nel senso
di Pareto sono più di uno. Si consideri, per esempio, la Tabella 1.2, in questo caso
α, δ e ² sono tutti ottimi paretiani.
Si noti che il criterio del Pareto non consente di ordinare gli stati di ottimo:
essi, in base al criterio del Pareto, non sono confrontabili.
Il giudizio di efficienza 3
uj
6
A
G F C
-
0 E D ui
Figura 1.1 Il criterio del Pareto. I miglioramenti paretiani dal punto F sono compresi
nell’area BCF .
Ma può risultare anche impossibile confrontare uno stato di ottimo con uno
stato sub-ottimale. Nella Tabella 1.2, per esempio, α, pur essendo un ottimo, non
è confrontabile con γ, che ottimo non è.
Questo aspetto può essere meglio chiarito considerando la Figura 1.1 che rap-
presenta una curva delle possibilità di utilità. Come si vedrà meglio più avanti,
tale curva, dati due individui i e j, esprime, per ogni determinato livello di utilità
di uno dei due individui, l’utilità massima conseguibile dall’altro.
L’area ADO, delimitata dalla curva delle possibilità di utilità e dagli assi carte-
siani, costituisce l’insieme delle utilità.
Per ogni punto interno, come il punto il punto F , l’insieme delle utilità può essere
suddiviso in 4 sottoinsiemi:
L’unione di questi due sottoinsiemi compone l’insieme di stati che sono confron-
tabili con F in base al criterio del Pareto.
Invece l’unione dei due sottoinsiemi:
uj
6
A
G F
-
0 E D ui
Figura 1.2 L’ottimo paretiano. F rappresenta un punto di ottimo perchè l’insieme dei
possibili miglioramenti paretiani è vuoto.
rappresentano l’insieme degli stati non confrontabili con F in base al criterio del
Pareto.
Finché l’insieme BCF non è vuoto non si ha una situazione efficiente. Un
insieme vuoto di miglioramenti paretiani è rappresentato nella Figura 1.2: il punto
F è ora un ottimo paretiano, in quanto non risulta dominato da nessun altro punto
all’interno dell’insieme delle utilità. Tuttavia, il punto F non domina tutti i punti
dell’insieme, ma solo quelli dell’area GF EO. Rimangono le due aree AF G e
F DE di non confrontabilità.
In tali aree solo i punti sulla frontiera di utilità (i tratti AF e F D) sono punti di
ottimo: tutti gli altri, interni alle due aree, rappresentano stati inefficienti. Come si
era già accennato, dunque, il criterio del Pareto non consente di ordinare gli stati
di efficienza come socialmente superiori a tutti gli stati di inefficienza.
A B C D
i 1 2 3 7
j 10 12 11 7
j
y
i | {z }
x
Figura 1.3 La scatola di Edgeworth. Ogni punto nella scatola rappresenta un’allocazione,
cioè la combinazione di due panieri (x, y), uno per ciascun consumatore.
C
B
D C
A
i
i
j
j
Figura 1.4 L’efficienza nello scambio. Nella parte sinistra della figura C non è un pun-
to di ottimo, in quanto a partire da C sono possibili miglioramenti paretiani nell’area
delimitata dall’intersezione delle due curve. Nella parte destra il punto di tangenza C
rappresenta un punto di ottimo: l’insieme dei possibili miglioramenti paretiani è vuoto.
j
y
i | {z }
x
Figura 1.5 La curva dei contratti.
L’insieme delle allocazioni ottime può essere rappresentato con due diversi stru-
menti analitici.
Se, all’interno della scatola di Edgeworth, si uniscono tutti i punti di tangenza tra
le curve di indifferenza si ottiene la curva dei contratti, che è appunto il luogo
geometrico delle allocazioni ottime nel senso del Pareto (Figura 1.5).
Se misuriamo invece sugli assi le utilità dei due consumatori, le combinazio-
ni di utilità associate ai punti di ottimo compongono la curva delle possibilità di
utilità (Figura 1.6), che avevamo già utilizzato nella Sezione 1.1.
Definizione 1.4 (La curva delle possibilità di utilità). Dati due consumatori e
due beni, e considerando fisse le quantità dei due beni, la curva delle possibilità di
utilità esprime, per ogni determinato indice di utilità di un consumatore, l’utilità
massima che può ottenere l’altro consumatore.
Lo studente noti che:
• se si considerano fisse le quantità dei due beni, la curva delle possibilità di utilità
si modifica solo se cambiano le preferenze dei consumatori;
• date le preferenze dei consumatori, esiste una curva delle possibilità di utilità
per ogni coppia di quantità dei due beni.
u2
6
-
0 u1
y
6
t s
A
II
I
-
0 x
Figura 1.7 La curva delle possibilità di produzione. A rappresenta un punto di ottimo.
quantità di uno dei due beni, la quantità massima che si può produrre dell’altro
bene, considerando fisse la tecnologia e le quantità dei fattori di produzione.
SM Sy,x = SM Ty,x
Il giudizio di efficienza 11
y
6
s
t
B
C D E
-
0 x
Figura 1.8 Nel punto B il SM Txy è, in valore assoluto, minore del SM Sxy . Spostamenti
a destra di B (maggiore quantità di x) rappresentano miglioramenti paretiani.
y
6
B
A0
B0
-
0 x
Figura 1.9 Configurazioni di ottimo generale.
i j
SM Sx,y = SM Tx,y = SM Sx,y (1.1)
Si noti che un punto come B nella Figura 1.9 rappresenta una determinata com-
binazione delle quantità totali prodotte dei due beni x e y, mentre un punto come
B 0 definisce una ripartizione delle risorse tra i due individui i e j.
Vi sono infinite configurazioni di ottimo generale, ciascuna corrispondente
a una determinata combinazione di output e a una determinata ripartizione del
benessere tra i due individui. Il luogo delle combinazioni di utilità associate a
ciascuno di essi, è chiamato frontiera delle utilità.
Lo studente noti che:
• se si considerano fisse le quantità dei due fattori, la frontiera delle utilità si
modifica solo se cambiano le preferenze dei consumatori o la tecnologia;
• date le preferenze dei consumatori e la tecnologia, esiste una frontiera delle
utilità per ogni coppia di quantità dei due fattori.
j
A
y
B
C
i | {z }
x
Figura 1.10 Solo in equilibrio si ha efficienza paretiana.
SM Sx,y = SM Tx,y
∀x, y ∈ M
∀i, j ∈ N ; ∀x, y ∈ M
Risulta pertanto soddisfatta la condizione di ottimo nello scambio.
2. Le imprese minimizzano i costi, nella produzione di ciascun bene, eguagliando
il saggio marginale di sostituzione tecnica tra fattori al loro prezzo relativo:
x y
SM STk,l = pl /pk = SM STk,l
∀k, l ∈ H ; ∀x, y ∈ M
Risulta pertanto soddisfatta la condizione di ottimo nella produzione.
3. Per ogni coppia di beni, i consumatori massimizzano l’utilità eguagliando il
saggio marginale di sostituzione al prezzo relativo; le imprese massimizzano il
profitto eguagliando il saggio marginale di trasformazione al prezzo relativo:
j
-m - m0
A B
y
M M0
i | {z }
x
Figura 1.11 L’allocazione A rappresenta un equilibrio di mercato concorrenziale con il
vettore di prezzi m e la dotazione iniziale M. L’allocazione B può essere generata dal
0 0
vettore m e la dotazione M .
E SERCIZI
Esercizio 1.1. La Figura 1.12 rappresenta una curva delle possibilità di utilità.
Le utilità dei due individui (1 e 2) sono ordinali e non confrontabili.
V F
2. Per l’individuo 2, A Â B.
V F
3. Per l’individuo 2, B ∼ D.
V F
u2
6
H
A
G
E C
F B D
-
0 E D u1
7. Il punto A domina nel senso di Pareto tutti i punti compresi nell’area HGBF
esclusi quelli sul tratto curvilineo HG.
V F
Esercizio 1.2. Individuare le situazioni efficienti nel senso di Pareto nella seguente
tabella dove A, B, C, D, E, F sono distribuzioni di benessere (u) tra tre individui
(1, 2, 3)
A B C D E F
u1 70 68 72 70 100 100
u2 65 70 45 60 68 60
u3 70 72 30 70 100 100
1
UA (x, y) = log x 4 + log y
UB (x, y) = log x + log y 4
da cui si deduce che le utilità marginali degli individui A e B, per i beni x e y,
sono, rispettivamente:
1
U MA (x) =
4x
1
U MA (y) =
y
1
U MB (x) =
x
4
U MB (y) =
y
Si assuma inoltre che la curva di trasformazione dei beni x ed y nell’economia
abbia inclinazione costante e uguale a uno. Si considerino le seguenti allocazioni
dei due beni x ed y tra i due individui A e B (con xA indichiamo la quantità di
bene x assegnata all’individuo A, ...):
α β γ
xA 3 2 2
yA 6 8 8
xB 3 2 4
yB 6 8 6
1
P Mx (K) =
3K
2
P Mx (L) =
3L
2
P My (K) =
3K
1
P My (L) =
3L
Attualmente, 1/2 del capitale totale e 1/2 del lavoro totale è allocato alla pro-
duzione di ciascun bene. Si tratta di una soluzione efficiente? Nel caso in cui non
fosse efficiente, in quale direzione dovrebbero essere riallocati i fattori al fine di
ottenere un miglioramento paretiano?
Capitolo 2
I fallimenti
del mercato
p 6
C
pm A
Cmg
F B
pc
E
Rmg
D
-
O qm qc q
2.2 Le esternalità
Nelle economie di mercato le scelte degli agenti economici, individui e imprese,
si riflettono in variazioni dei prezzi, le quali inducono ulteriori modifiche nelle
scelte. Se il meccanismo di mercato è di tipo concorrenziale e non ci sono imper-
fezioni, il vettore dei prezzi di equilibrio riflette correttamente il valore marginale
dei benefici e dei costi di tutti i beni scambiati.
Tuttavia, esistono relazioni di interdipendenza tra gli agenti che non si riflet-
tono in variazioni dei prezzi e delle quali pertanto i singoli agenti non tengono
conto nel proprio calcolo di convenienza.
Esempio 2.1. La decisione di effettuare un viaggio usando l’automobile, dipen-
derà dalla valutazione che il singolo compie dei costi e dei benefici che la propria
scelta gli procura. Tra i costi egli terrà conto di quanto paga di carburante, delle
spese di ammortamento e di manutenzione del veicolo, del valore che attribuisce
al tempo che il viaggio occuperà. Non considererà invece i costi che impone agli
altri, ma per i quali il mercato non lo chiama a pagare: per esempio le emissioni
inquinanti e il proprio contributo alla congestione del traffico, che alza il tempo del
viaggio per tutti gli automobilisti. Si tratta di effetti esterni negativi o esternalità
negative.
Definizione 2.1 (Esternalità negative). Si hanno esternaltà negative, quando la
scelta di un agente economico comporta costi per altri agenti economici senza
che egli debba pagare loro alcuna compensazione.
Esempio 2.2. Nel decidere se e in che misura procedere al restauro della fac-
ciata di un edificio di interesse artistico nel centro storico di una città, il pro-
prietario confronterà il piacere e la soddisfazione che ne trarrà con i costi che
22 C APITOLO 2
dovrà sostenere. Non considererà invece i benefici che procurerà agli altri fruitori
del centro storico, ma per i quali il mercato non gli consente di chiedere un
corrispettivo. Si tratta di un effetto esterno positivo o esternalità ppositiva.
Definizione 2.2 (Esternalità positive). Si hanno esternalità positive quando la
scelta di un agente economico comporta benefici per altri agenti economici senza
che egli riceva alcuna compensazione.
Possiamo allora formulare una definzione generale di esternalità.
Definizione 2.3. Le esternalità sono fenomeni di interdipendenza tra le funzioni di
utilità e/o di produzione che, non realizzandosi attraverso lo scambio, non danno
luogo compensazioni monetarie tra gli agenti economici.
In altre parole, si è in presenza di una esternalità tutte le volte che le scelte
di un agente economico producono effetti sul benessere di almeno un altro agente
economico (e cioè ne influenzano l’utilità o il profitto) al di fuori del meccanismo
di mercato.
p p s s
Bmg = Cmg ⇔ Bmg = Cmg (2.4)
In presenza di esternalità, le scelte individuali producono benefici (costi) pri-
vati e benefici (costi) esterni. I benefici e costi sociali sono quindi la somma di
benefici e cosi privati ed esterni:
s p es s p es
Bmg = Bmg + Bmg e Cmg = Cmg + Cmg (2.5)
La massimizzazione del benessere sociale richiede quindi che sia verificata
la seguente uguaglianza:
p es p es s s
Bmg + Bmg = Cmg + Cmg ⇔ Bmg = Cmg (2.6)
Per definizione, benefici e costi esterni non influenzano i termini in cui avviene
lo scambio nei mercati concorrenziali e quindi in presenza di effetti esterni gli
agenti economici razionali continuano a fare le loro scelte in modo da realizzare
al margine solo l’uguaglianza tra benefici e costi privati. La mancata coincidenza
tra benefici (costi) privati e benefici (costi) sociali ha come conseguenza:
p p s s
Bmg = Cmg 6= Bmg = Cmg (2.7)
Tipicamente le scelte individuali producono effetti esterni in due situazioni:
• in presenza di fenomeni di consumo congiunto o produzione congiunta;
• in presenza di risorse di proprietà comune.
U i = U i (xi , yi ) (2.8)
U j = U j (xj , xi , yj ) (2.9)
xi è la quantità del bene x consumata dall’individuo i ecc.
aU i
> 0 definisce l’effetto esterno positivo che il consumo del bene x da parte
axi
dell’individuo i produce sul benessere di j.
La perdita di benessere associata all’equilibrio concorrenziale nel mercato
del bene x è illustrata nella Figura 2.2.
24 C APITOLO 2
Bmgxi Bmgxj
6 6
Bmgxi i + Bmgxj i
Bmgxi i Bmgxj j
Bmgxj i A
p p
C B
- -
O xi x∗i xi O x∗j xj
Figura 2.2 Esternalità positiva derivante dal consumo congiunto di xi tra gli individui i
e j.
Esempio 2.3. L’assegnazione dei diritti di proprietà nei contesti dove l’ineffi-
cienza si produce a causa della loro mancata definizione, oppure la fissazione
di limiti esogeni all’attività di consumo o produzione degli agenti economici
(regolamentazione)
La rivalità
Definizione 2.4. La rivalità è data dalla misura in cui il consumo del bene da
parte di un individuo riduce la quantità di cui altri possono disporre.
1
Per l’uso delle imposte come strumento correttivo delle esternalità si rinvia lo studente a
Longobardi [2005], Cap.10.
26 C APITOLO 2
L’escludibilità
Definizione 2.5. L’escludibilità è la possibilità di evitare che una volta che il
bene è reso disponibile ad un individuo, ogni altro individuo possa liberamente
accedere al consumo.
Esempio 2.7. La lezione è un bene escludibile perchè si può condizionare l’ac-
cesso all’aula, per esempio al pagamento di un corrispettivo. Invece una volta che
lo studente è in aula non si può impedirgli di ascoltare: la lezione diventa non
escludibile.
L’escludibilità dipende dalla tecnologia ed è pertanto variabile nel tempo. Le
trasmissioni televisive sono oggi escludibili, come ben sappiamo, ma non lo erano
qualche decina di anni fa, quando erano trasmesse solo via etere e non esistevano
sistemi per criptare il segnale.
i j
Bmg Bmg Bmg
6 6 6
individuo i individuo j individui i e j
- - -
o xi o xj o xi + xj
p∗
-
o q∗ xi + xj
Figura 2.3 Il bene privato: costruzione della curva di domanda ed equilibrio di mercato
La figura 2.3 illustra la costruzione della domanda di mercato nel caso di un bene
privato. Si suppone un’economia formata da due soli individui. A ciascun prez-
zo, ognuno dei due individui sceglie la quantità alla quale il prezzo è eguale al
beneficio marginale. La quantità complessiva domandata è data, ad ogni determi-
nato prezzo, dalla somma delle quantità scelte dai due individui (somma orizzon-
tale). In equilibrio concorrenziale si ha eguaglianza tra il beneficio marginale (di
ciascuno dei due) e il costo marginale.
La figura 2.4 illustra invece la costruzione della domanda di mercato nel ca-
so di un bene pubblico. Ogni quantità di bene pubblico (G) è a disposizione dei
due individui nella stessa misura (per quale proprietà del bene pubblico?). Il ben-
eficio totale è dato, ad ogni determinata quantità, dalla somma dei benefici dei
due individui (somma verticale). La quantità ottima di bene pubblico è quella in
corrispondenza della quale il costo marginale è eguale alla somma dei benefici2 .
Generalizzando ad n individui:
2
Confrontando la 2.4 con la 2.2 lo studente noti come i beni pubblici possano essere considerati
una forma estrema di esternalità reciproca derivante dal consumo congiunto.
28 C APITOLO 2
j
Bmg
6 individuo j
-
o G
i
Bmg
6 individuo i
-
o G
i j i j
Bmg + Bmg Bmg + Bmg
6 6
individui i e j la quantità ottima
i + Bj = C
Bmg mg mg
Cmg
- -
o G o G∗ G
Figura 2.4 Il bene pubblico: costruzione della curva di domanda e determinazione della
quantità ottima
n
X
1 2 n i
Bmg + Bmg + ... + Bmg = Bmg = Cmg
i=1
Il problema del free rider Ogni soggetto razionale sa che nel caso un bene pub-
blico venga fornito, egli ne può godere senza limitazioni, perché non c’è rivalità
nel consumo, e il suo accesso al bene non può essere subordinato al pagamento
di un corrispettivo, perché non c’è escludibilità. Egli non avrà alcun interesse a
rivelare le proprie preferenze per il bene pubblico: ognuno cercherà di non pagare
e fare in modo che paghino gli altri. Questo comportamento, che viene chiam-
I fallimentidel mercato 29
ato del free rider, produce una produzione sub-ottimale o addirittura la mancata
produzione del bene pubblico.
E SERCIZI
ed ha un costo marginale
Cmg = 2 + 2Q (2.11)
Determinare la perdita secca di efficienza imputabile al monopolio.
Esercizio 2.2. L’individuo a ha la seguente curva di beneficio marginale rispet-
to al proprio consumo di un bene x:
a
Bmg = 12 − 1.5xa (2.12)
Cmg = 5 (2.16)
Determinare
1. la quantità ottimale di bene pubblico;
2. il surplus totale in corrispondenza della quantità ottimale.
30
Capitolo 3
Scelta sociale
1. Welfarismo.
Gli argomenti della FBS sono le utilità dei singoli individui:
W = f (u1 , u2 , u3 , . . . , un ) (3.1)
dove W rappresenta il benessere sociale in una collettività di n individui.
32 C APITOLO 3
u2
6
W∗
-
0 u1
Figura 3.1 Il problema della massimizzazione del benessere sociale. Il punto di massimo
benessere sociale, W ∗ , è dato dalla tangenza tra la frontiera delle utilità e una curva di
indifferenza sociale.
Questa ipotesi, per quanto sia ancora largamente dominante, è stata messa in
discussione dagli sviluppi del dibattito teorico dell’ultimo ventennio. Il punto
di partenza è stato un saggio di Sen [1977]. Sen notava come il welfarismo mal
si conciliasse con alcuni valori largamente accolti nelle società contemporanee.
Il principio di libertà, per esempio, non poggia su valutazioni di benessere, ma
sul riconoscimento che certe scelte vanno lasciate integralmente nel dominio
dei singoli individui. Anche il principio di giustizia distributiva, qualora venga
definito in termini di caratteristiche diverse dal benessere (reddito, ricchezza,
livello di istruzione, opportunità’ di scelta, trattamento di fronte alla legge ecc.)
non trova spazio in un approccio welfarista.
u2
6
I
II
A
C
D
-
0 u1
Figura 3.2 Curve di indifferenza sociali strettamente convesse implicano avversione nei
confronti delle diseguaglianza.
di esternalità, che si hanno quando su un agente non ricadono per intero i bene-
fici e i costi delle proprie scelte, i quali sono in parte scaricati su altri, estranei
a tali scelte.
3. Principio debole del Pareto
Il benessere sociale cresce o al più rimane costante quando aumenta una sola
delle utilità individuali, ferme restando le altre.
In simboli:
Una FBS che rispetti le tre proprietà finora introdotte è importante come schema
analitico, ma piuttosto povera di indicazioni concrete di politica economica. In
particolare, mancando completamente considerazioni di carattere distributivo, una
FBS di questo tipo è del tutto inadeguata a risolvere i problemi di trade-off tra
efficienza ed equità. Per poter trattare aspetti distributivi, è necessario introdurre
un quarto giudizio di valore:
u2
6
W4
W3
A
W2
C
W1 D
B
-
0 u1
Figura 3.3 Curve di indifferenza sociali lineari implicano neutralità rispetto alla
disuguaglianza.
Una FBS la quale rispetti le 4 proprietà finora introdotte rifletterà sia consider-
azioni di carattere allocativo (attraverso il principio di Pareto) sia considerazioni
di carattere distributivo (attraverso il principio di avversione alla disuguaglianza).
Scelta sociale 35
u2
6
- F BS con le quattro proprieta0
e - F BS rawlsiana
c b
A
f
a d
- F BS utilitarista
-
u1
La classe delle FBS che rispettano le quattro proprietà Guardando alla Figu-
ra 3.4 possiamo delimitare lo spazio delle curve di indifferenza sociale generate
da FBS che rispettano le quattro proprietà.
Si consideri il punto A posto sulla bisettrice. Esso rappresenta la soluzione
egualitaria: i due individui godono dello stesso livello di benessere.
Un curva di indifferenza sociale passante per A non potrà attraversare le aree
a e b, perché, se cosı̀ fosse, non si rispetterebbe il principio debole di Pareto.
D’altra parte, l’ipotesi di avversione/neutralità alla disuguaglianza esclude che
una curva di indifferenza passante per A possa tagliare le aree c e d (perché in
questo caso si tratterebbe di una curva di indifferenza strettamente concava).
Lo spazio delle curve di indifferenza sociale, passanti per A, che rispettano
insieme sia il principio debole di Pareto sia l’ipotesi di avversione/neutralità alla
disuguaglianza sarà allora quello composto dall’unione delle aree e e f , compresi
i contorni.
I contorni di tale spazio assumono un significato ben preciso: il contorno inferiore
(il segmento AB) rappresenta infatti una curva di indifferenza sociale derivata da
una FBS utilitarista; il contorno superiore (la L che poggia nel punto A) una curva
derivata da una FBS rawlsiana. Studiamo allora queste due ipotesi.
uT umg
6 6
- -
Y Y
Figura 3.5 Una funzione di utilità totale del reddito strettamente concava (parte sinistra
della figura) dà luogo a una funzione di utilità marginale del reddito decrescente (parte
destra della figura).
Requisiti informativi:
umg
6
A B
C
D
E
-
0 I H G F Y
Figura 3.6 Con una FBS utilitarista, il benessere sociale cresce se si trasferisce un reddito
pari a F G = IH dall’individuo più ricco all’individuo più povero.
W = min(u1 , . . . , un )
1. misurabilità ordinale;
2. confrontabilità dei livelli di utilità individuali.
A B C
i 10 12 9
j 10 20 100
u2
6
IV
III
A B
II
I
-
u1
Figura 3.7 Una mappa di curve di indifferenza generata da una FBS rawlsiana. Nel
punto A sulla curva di indifferenza di indice II l’individuo 2 è in una posizione peggiore
rispetto all’individuo 1. Il movimento da A a B, che non produce alcun miglioramento
per l’individuo 2, non incrementa il benessere sociale.
corregge l’assoluta indifferenza rispetto alle questioni distributive, propria dei cri-
teri puramente aggregativi come l’utilitarismo, non in nome di un maggior grado
di uguaglianza, ma con una attenzione alle fasce più povere nella distribuzione.
Sotto un profilo prescrittivo il criterio di Rawls quindi non giustifica politiche di
redistribuzione orientate alla riduzione delle disuguaglianze; piuttosto, fornisce
un fondamento teorico alle politiche volte ad aumentare il benessere di chi sta
peggio: le politiche di lotta alla povertà e le politiche di inclusione sociale.
Le curve di indifferenza rawlsiane rappresentano la massima avversione rispetto
alla diseguaglianza (Figura 3.7).
• con il criterio del Pareto A, B e C sono non confrontabili (sono tutti punti di
ottimo);
• con una FBS utilitarista: [A ∼ B ∼ C]U ;
• con una FBS rawlsiana: [C Â A ∼ B]R .
40 C APITOLO 3
Tabella 3.1 In colonna 3 stati del mondo, in riga gli indici di utilità di 3 individui.
A B C
u1 60 90 90
u2 80 90 70
u3 100 60 80
P3
1 ui 240 240 240
In generale, sia Z l’insieme dei possibili stati del mondo e siano P, U, R gli in-
siemi dei miglioramenti, rispettivamente, nel senso di Pareto, nel senso dell’utili-
tarismo e nel senso di Rawls.
Abbiamo che:
∀A, B ∈ Z, A ÂP B ⇒ A ÂU B e A ÂU B 6⇒ A ÂP B
Quindi: P ⊂ U
2. La relazione di dominanza nel senso di Pareto non implica una relazione di
dominanza nel senso di Rawls, né vale il contrario. I due insiemi P e R non
sono tuttavia disgiunti.
∀A, B ∈ Z, A ÂP B 6⇒ A ÂR B e A ÂR B 6⇒ A ÂP B
P ∩R=
6 ∅
P
R
Figura 3.8 Gli insiemi dei miglioramenti nel senso di Pareto, nel senso dell’utilitarismo
e nel senso di Rawls.
Scelta sociale 41
∀A, B ∈ Z, A ÂU B 6⇒ A ÂR B e A ÂR B 6⇒ A ÂU B
U ∩R=
6 ∅
y2 u2
6 6
y1 = y2 u1 = u2
y2 y1∗ = y2∗ u∗1 = u∗2
u2
y2∗ R0 u∗2 R
- -
0 y1∗ y1 y1 u∗1 u1 u1
Figura 3.9 Il caso della redistribuzione senza costi con utilità marginale costante. La
parte sinistra della figura rappresenta la curva delle opportunità, la parte destra la curva
delle possibilità di utilità.
42 C APITOLO 3
y1 + y2 = ȳ1 = ȳ2
La ricchezza complessiva risulta dunque indipendente dalla sua distribuzione tra i
due individui: la redistribuzione non ha costi.
Se si assume che i due individui abbiano una medesima funzione lineare di
utilità del reddito la curva delle possibilità di utilità avrà la stessa forma: essa è
rappresentata nella parte destra della Figura 3.9.
In questo caso la soluzione utilitarista è indeterminata perché corrisponde ad
ogni punto lungo la curva delle possibilità di utilità. Il criterio rawlsiano prescrive
una eguale ripartizione della ricchezza (y1∗ = y2∗ ) e del benessere (u∗1 = u∗2 ).
y2 u2
6 y1 = y2 6
u1 = u2
y1∗ = y2∗ u∗1 = u∗2
y2 u2
u∗2 U =R
y2∗ U 0 = R0
- -
0 y1∗ y1 y1 u∗1 u1 u1
Figura 3.10 Il caso della redistribuzione senza costi con utilità marginale decrescente.
La FBS utilitarista e la rawlsiana producono entrambe la soluzione egualitaria.
Scelta sociale 43
3.4.3 Terzo caso: redistribuzione con costi e utilità marginale del red-
dito decrescente
Il caso di redistribuzione con costi è rappresentato nella Figura 3.11: lungo la
curva delle opportunità la somma dei redditi decresce man mano che ci si sposta
dall’intercetta ȳ2 all’intercetta ȳ1 .
In questo caso solo con una FBS rawlsiana si ha la soluzione egualitaria nel-
la distribuzione delle risorse (y1(R)∗ ∗
= y2(R) ) e del benessere (u∗1(R) = u∗2(R) ).
Con una FBS utilitarista la ripartizione delle risorse (y1(U∗ ∗
) < y2(U ) ) e del be-
∗ ∗
nessere (u1(U ) < u2(U ) ) favorisce, in termini relativi, l’individuo 2, che è più
“produttivo”.
y2 u2
y2 6 y1 < y2 6 u1 < u2
∗ ∗
y1(U ) < y2(U u∗1(U ) < u∗2(U )
∗
) u2
y2(U ) U0 ∗
y1(R) ∗
= y2(R) u∗2(U ) u∗1(R) = u∗2(R)
U
u∗2(R) R
∗
y2(R) R0
- -
∗
y1(U ∗ u∗1(U ) u∗1(R) u1
) y1(R) y 1 y1 u1
Figura 3.11 Il caso della redistribuzione con costi e con utilità marginale decrescente.
Una FBS utilitarista e una rawlsiana non danno la stessa soluzione.
44 C APITOLO 3
u2 6
U
R
-
0 u1
Figura 3.12 Anche nella soluzione rawlsiana non si ha una eguale ripartizione del
benessere tra i due individui.
mite, si riduca anche l’utilità dell’individuo a favore del quale sono indirizzate le
politiche redistributive. Il caso è rappresentato nella Figura 3.12 dove il punto E,
di intersezione tra la curva delle possibilità di utilità e la bisettrice, rappresenta la
soluzione egualitaria.
E SERCIZI
A B C D
u1 70 68 72 72
u2 50 55 55 50
u3 65 100 60 65
V F
UA + 2UB = 10 (3.4)
Si individui graficamente l’allocazione ottimale (o le allocazioni ottimali) in base
ai seguenti criteri:
1. Pareto
2. Utilitarismo
3. maximin à la Rawls
4. Egualitarismo
46
Capitolo 4
Analisi della disuguaglianza
x1 ≤ x2 . . . ≤ xN
La curva di Lorenz della distribuzione X, LX , indica, per ogni percentuale cu-
mulata di individui più poveri, la percentuale di reddito complessivo da questi
posseduta. È quindi il luogo dei punti di coordinate:
à i
!
1X
pi , xk
T
k=1
dove:
i = 1, . . . , N ;
pi = Ni ;
P
T = N k=1 xk .
La curva di Lorenz è rappresentata nella Figura 4.1.
Esempio 4.1. Si consideri la seguente distribuzione:
1 P5
T k=1 xk ¾ Curva
di Lorenz
6
P rop.
di individui
6
-
0 1/N 5/N N/N = 1
Figura 4.1 La curva di Lorenz.
0, 625
0, 375
0, 187
0, 062
0 0, 2 0, 4 0, 6 0, 8 1
Figura 4.2 Il caso della Tabella 4.1.
Nel caso opposto, quando cioé tutto il reddito fosse concentrato nelle mani di un
solo individuo, la curva di Lorenz assumerebbe un andamento ad angolo retto,
coincidente con l’asse delle ascisse e con il segmento verticale di destra. Al di là
di questi casi polari, la curva di Lorenz rimarrà in genere al di sotto della retta di
equa ripartizione, presentando una inclinazione negativa e un andamento conves-
so. Quanto più la curva di Lorenz sarà vicina alla bisettrice, tanto più egualitaria
la distribuzione. Quanto più se ne distanzierà, tanto maggiore la disuguaglianza.
P
i P
i
yk xk
k=1 k=1
≥
PN PN
yk xk
k=1 k=1
1 6
- Ly (p)
L(p)
- Lx (p)
-
0 | {z } 1
p
Nella Tabella 4.2 sono riportati i valori delle curve di Lorenz delle distribuzioni
dei redditi in Italia, relative agli anni 1980, 1989, 2000 (dati della Banca d’Italia).
È evidente come la distribuzione dei redditi relativa al 1980 domini nel sen-
so di Lorenz la distribuzione del 1989, e quest’ultima domini quella del 2000.
Emerge una indicazione chiara: la disuguaglianza in Italia, negli ultimi venti anni,
è cresciuta in maniera costante.
L’ordinamento di Lorenz è transitivo ma non completo. Nel caso in cui le
curve di Lorenz relative a due distribuzioni si intersechino tra loro (Figura 4.4),
il confronto rimane indeterminato: le due distribuzioni sono non confrontabili in
base al criterio di Lorenz. Gli ordinamenti incompleti vengono chiamati ordina-
menti parziali.
1 6
- Ly (p)
L(p)
- Lx (p)
-
0 | {z } 1
p
0
1. xi = xi per ogni i 6= j, k
0
2. xj +δ = x j
0
3. xk −δ = x k
0 0
4. xj ≤ x k
Il principio del trasferimento alla Robin Hood asserisce che, ceteris paribus, il
trasferimento di una unità di reddito da una persona più ricca a una più povera,
se lascia invariate le posizioni relative, deve ridurre il grado di disuguaglianza. Il
principio del trasferimento alla R.H. può essere utilizzato per definire un nuovo
criterio di disuguaglianza.
Definizione 4.3 (Dominanza di Robin Hood). Date due distribuzioni Y e X con
la stessa media (µy = µx ) se Y può essere ottenuto da X mediante una sequenza
di trasferimenti alla R.H., allora X è più ineguale di Y e Y domina X nel senso di
R.H.:
Y >R.H. X
Anche questo ordinamento, come quello di Lorenz, è transitivo ma non completo.
In particolare, si noti che per poter confrontare due diverse distribuzioni di reddito
in base al criterio di R.H. è necessario che queste abbiano medie eguali: non sarà
infatti mai possibile modificare la media (o il reddito totale) di una distribuzione
attraverso una sequenza di interventi di pura redistribuzione come i trasferimenti
alla R.H. Due distribuzioni con media diversa sono non confrontabili in base al
criterio di R.H.
Esempio 4.2. Nella Tabella 4.3 sono riportate tre distribuzioni di redditi X, Y e Z
relative a cinque individui.
La distribuzione X è più ineguale della distribuzione Y: infatti quest’ultima si può
ottenere da X mediante la sequenza di trasferimenti alla R.H. riportata alla Tabella
4.4. Nessun confronto può essere fatto tra X e Z e nemmeno tra Y e Z in quanto
non esiste alcuna sequenza di trasferimenti che ci permetta di derivare la seconda
dalle prime. Quale relazione sussiste tra i due criteri di disuguaglianza finora
introdotti?
È possibile dimostrare che, date due generiche distribuzioni di reddito X e Y,
se X domina Y nel senso di R.H. allora X domina Y nel senso di Lorenz. Non vale
il contrario.
i X Y Z
1 2 3 3
2 3 3 4
3 5 6 4
4 9 8 7
5 11 10 12
54 C APITOLO 4
X 7→ X0 7→ X00 7→ X000 7→ Y
2 2 2 2 3
3 3 3 4 3
5 5 7 6 6
9 10 8 8 8
11 10 10 10 10
Che la dominanza di Lorenz non implichi la dominanza secondo R.H. può essere
dimostrato con il seguente esempio. Si consideri la distribuzione
X = (10, 20, 30) e si applichi a questa distribuzione un trasferimento di cinque
unità di reddito dall’individuo più ricco a quello più povero, ottenendo cosı̀
la distribuzione Y = (15, 20, 25) . Y dominerà X in base al criterio di R.H.:
Y >RH X, e, da quanto detto in precedenza, segue che X dominerà Y anche
secondo il criterio di Lorenz: Y >L X. Si moltiplichino ora tutti i redditi di Y per
una costante k. Si otterrà una nuova distribuzione Z = (15k, 20k, 25k) la quale,
in base alla proprietà di invarianza alla scala, sarà indifferente alla distribuzione
Y secondo il criterio di Lorenz. Dunque risulterà:
• Y >L X
• Z ∼L Y
Essendo l’ordinamento di Lorenz un ordinamento transitivo, segue che Z >L X.
D’altro canto, le distribuzioni Z e X hanno media diversa: dunque non saranno
confrontabili in base all’ordinamento di R.H. Abbiamo dimostrato che la domi-
nanza di Lorenz non implica la dominanza alla R.H.
Si è anche visto come, pur esibendo neutralità rispetto alla disuguaglianza nelle
utilità, in presenza di funzioni di utilità individuali crescenti e concave il crite-
rio utilitarista premi qualsiasi redistribuzione di risorse da un individuo ricco a
un individuo più povero. Si consideri la Figura 3.6: il trasferimento ipotizzato
è un esempio di trasferimento alla R.H.: un qualsiasi trasferimento alla R.H. è
in grado di aumentare il benessere sociale in base al criterio utilitaristico, purché
gli individui siano caratterizzati da utilità marginale positiva e decrescente. D’al-
tro canto, sappiamo che applicando un trasferimento alla RH a una distribuzione
X di partenza, si otterrà una nuova distribuzione Y che dominerà X in base al-
l’ordinamento di Lorenz. Queste osservazioni, opportunamente estese e genera-
lizzate, costituiscono il contenuto del teorema fondamentale dell’economia della
disuguaglianza.
Teorema 4.1 (Teorema Fondamentale della Disuguaglianza). Date due distri-
buzioni di reddito X e Y con media uguale (µX = µY ), le seguenti affermazioni
sono equivalenti:
1. Y >L X
2. Y >R.H. X
3. Y >U X per tutte le funzioni di utilità U crescenti e concave.
dove i = 1, . . . , N e pi = Ni .
È facilmente verificabile che le curve di Lorenz generalizzate siano ottenute dal
prodotto delle normali curve di Lorenz L(p) per la media della distribuzione µ.
Infatti, ricordando che, data una distribuzione X, per ogni i = 1, ..., N, LX (pi ) =
1 Pi T
T k=1 xk e che µX = N , otteniamo
i i
T 1X 1 X
GLX (pi ) = xk = xk .
NT N
k=1 k=1
Nel caso particolare di due distribuzioni con media uguale, l’ordinamento di Lo-
renz generalizzato coincide con l’ordinamento di Lorenz. A differenza dell’or-
dinamento di Lorenz, che è un puro ordinamento di disuguaglianza, il criterio di
Lorenz generalizzato riflette sia considerazioni di equità sia considerazioni di ef-
ficienza. A illustrazione di questo punto, si consideri la distribuzione
X = (10, 20) . Si supponga ora di aumentare del 50% il reddito dell’individuo
più ricco, in modo da ottenere la distribuzione Y = (10, 30) . Pur essendo aumen-
tato il grado di disuguaglianza (cosa che potrà essere verificata osservando che X
domina Y in base al criterio di Lorenz), la curva di Lorenz generalizzata di Y è
al di sopra della curva di X : dunque Y ÂGL X. Si supponga ora di modificare
la distribuzione Y attraverso un trasferimento alla Robin Hood, in modo da ot-
tenere la distribuzione Z = (15, 25) . È facile verificare che Z ÂGL Y (in questo
caso, confrontando distribuzioni con la stessa media, gli ordinamenti di Lorenz e
di Lorenz generalizzato coincidono). L’ordinamento delle distribuzioni X, Y e Z
Analisi della disuguaglianza 57
GL(p) 6
µy
µx
GLy
GLx
-
0 1 p
A
G= = 2A = 1 − 2B
A+B
dove B è l’area al di sotto della curva di Lorenz e A l’area compresa tra la curva
di Lorenz e la linea della perfetta eguaglianza (Figura 4.6).
L’indice G può assumere valori compresi tra 0 e 1. Sarà uguale a 0 nel caso
di perfetta uguaglianza - l’area A, in questo caso, si annulla. Sarà uguale a 1
nel caso in cui tutto il reddito sia concentrato nelle mani di un solo individuo: in
questo caso sarà l’area B ad annullarsi. In generale, maggiore è il valore assunto
dal coefficiente di Gini, maggiore è il grado di disuguaglianza.
Nel discreto abbiamo le seguenti espressioni:
Analisi della disuguaglianza 59
B P rop.
di individui
6
-
0 1
Figura 4.6 Il coefficiente di Gini è dato dal rapporto tra l’area A e l’area (A+B):
quest’ultima è pari a 1/2.
P
1 2 Ni=1 (N − i + 1)xi
G(x) = 1 + − =
N N 2µ
µ ¶XN XN
1
= |xi − xj | .
2N 2 µ
i=1 j=1
x2
6
D
B
µ
A
XEED
xa2
W∗
-
0 XEED µ xa1 E x1
medio µ.
Esempio 4.3. Data una distribuzione di redditi X, si consideri una funzione del
P
benessere sociale utilitarista: W = N
i=1 U (xi ) , dove le funzioni individuali di
x1−²
utilità siano date da U (xi ) = i
1−² , con ² > 0.
Dunque avremo
N
X x1−²
i
W (X) =
1−²
i=1
N
X x1−²
i x1−²
= N EED
1−² 1−²
i=1
da cui, dopo qualche semplice passaggio, si ottiene
à N
! 1−²
1
1 X 1−²
xEED = xi
N
i=1
1
Scegliendo, per esempio, ² = 2 otterremo
à N
!2
1 X√
xEED = xi
N
i=1
µ = 18, 5
e µ ¶2
1
xEED = (2 + 3 + 5 + 6) = 42 = 16
4
Quindi
xEED 16 5
IAKS = 1 − =1− =
µ 18, 5 37
E SERCIZI
1. Dominanza di Lorenz
2. Dominanza di Lorenz generalizzata
3. Dominanza di Robin Hood
Analisi della disuguaglianza 63
PN
4. Criterio utilitaristico (W = i=1 U (xi ), U è crescente e concava)
3. Date due distribuzioni, X e Y, con media eguale, X ºGL Y implica che X ºRH
Y.
V F
5.1 Introduzione
ei sistemi democratici a economia mista le decisioni economiche vengono
N prese essenzialmente attraverso due meccanismi di scelta: il mercato e il
processo politico democratico. In particolare, le decisioni di prelievo e di spesa
da parte del settore pubblico vengono assunte attraverso un processo di scelta
operato dal sistema politico.
L’oggetto del presente appunto è l’analisi dei processi decisionali operati da
un sistema politico democratico. In realtà, i processi decisionali che hanno luogo
in una democrazia sono complessi e dipendono dai comportamenti di una pluralità
di attori politici e istituzionali: gli elettori, i partiti politici, i legislatori, l’ammi-
nistrazione, i gruppi di pressione. In un sistema politico ciascun attore agisce al
fine di massimizzare la propria funzione obiettivo sulla base delle informazioni di
cui dispone, e le decisioni finali sono il risultato della interazione dei diversi attori
sulla base delle regole politiche democratiche vigenti.
In questo appunto, tuttavia, ci si limiterà ad analizzare i processi politici
entro un contesto estremamente semplificato: ci concentreremo sui sistemi di
democrazia diretta, in cui cioè il passaggio dalle volontà e dagli interessi presenti
nel corpo elettorale alle decisioni collettive è diretto; sarà in particolare ignorato
il ruolo di mediazione che in una democrazia rappresentativa è tipicamente svolto
dai partiti politici. Lo studio sarà condotto utilizzando un modello fortemente
stilizzato: si considererà un generico gruppo di individui che debba scegliere una
tra diverse alternative possibili, e si assumerà che ciascun individuo sia dotato
di un ordinamento di preferenza definito sull’insieme delle alternative. In questo
contesto un processo di decisione collettiva è allora semplicemente una regola di
voto: un meccanismo che traduce (aggrega) l’insieme delle preferenze individuali
in un ordinamento di preferenza dell’intero gruppo e quindi in una scelta collet-
tiva. Le alternative tra cui scegliere sono interpretabili sia nel senso di politiche
66 C APITOLO 5
Il modello
Si consideri una assemblea N composta da n individui, N = {1, ..., n}, chiamata
a scegliere tra m politiche alternative: sia X l’insieme delle politiche e x, y, z, ...
le varie opzioni o politiche possibili, X = {x, y, z, ...}.
Si supponga inoltre che ciascun individuo i in N sia dotato di un ordinamento
di preferenza sull’insieme delle politiche X : Âi è l’ordinamento di preferen-
za dell’elettore i, e {Â1 , Â2 , ... Âi , ..., Ân } l’insieme delle preferenze individu-
ali, chiamato anche profilo di preferenze. Per ogni individuo i si assumerà che
l’ordinamento di preferenza sia completo, transitivo e lineare: la completezza
implica la capacità di esprimere un giudizio in merito a qualsiasi confronto tra
due opzioni; la transitività è un requisito di coerenza; la linearità implica che le
preferenze siano sempre di tipo forte: non ci sono cioè casi di indifferenza tra
opzioni. Quest’ultima ipotesi, pur non essendo cruciale per i risultati, semplifica
fortemente l’esposizione.
Sia infine ÂS l’ordinamento di preferenza dell’assemblea N . Una regola di
voto potrà allora essere rappresentata come una funzione la quale, per qualsiasi in-
sieme di politiche X, associ un ordinamento di preferenza sociale ÂS a un profilo
di preferenze individuali.
costi 6 costi
6
CE + CD
CE ) q CD
0 q∗ 100%
Figura 5.1 Determinazione percentuale ottima. Modello di Buchanan e Tullock (1962).
Posizione Individui
A B C
I x y x
II y z z
III z x y
Ponendo in votazione le tre coppie {x, y}, {x, z} e {y, z} secondo la regola della
maggioranza si ottengono le relazioni seguenti:
• x ÂM y
• x ÂM z
Economia delle scelte pubbliche 69
• y ÂM z
L’ordinamento di preferenza sociale sarà cioè x ÂM y ÂM z. Il vincitore di Con-
dorcet in questo caso è x. Si rilevi l’indipendenza del risultato dall’ordine seguito
nelle votazioni.
Posizione Individui
A B C
I x y z
II y z x
III z x y
Ponendo ancora in votazione le tre coppie {x, y}, {x, z} e {y, z} secondo la regola
della maggioranza si ottiene il seguente risultato:
• x ÂM y
• y ÂM z
• z ÂM x
Il paradosso di Condorcet
Proposizione 5.2 (Paradosso di Condorcet). Pur in presenza di preferenze in-
dividuali complete e transitive, il voto a maggioranza può condurre a un ordina-
mento di preferenza sociale intransitivo.
Questo risultato, dovuto a Marie Jean Antoine Nicolas de Caritat, meglio noto
come marchese di Condorcet (1743-1794), mostra che, anche se le preferenze
dei singoli votanti rispetto alle varie alternative sono complete e transitive, la
votazione a maggioranza può produrre un ordinamento sociale circolare, in cui
ciascuna delle tre alternative è in grado di vincere su tutte le altre (si veda la
Figura 5.2).
Poichè la votazione a maggioranza su più di due alternative è un sistema
largamente applicato in assisi locali, nazionali e sovranazionali, l’interesse del
paradosso è evidente.
70 C APITOLO 5
y
*
j
x ¾ z
Figura 5.2 Ordinamento sociale circolare.
I A
II B
III C
-
0 x y z
Posizioni Votanti
A B C
I x y z
II y x y
II z z x
tre possibili livelli di spesa, (100, 50, 30) , e si ipotizzi che l’intero corpo elet-
torale sia diviso in tre gruppi. La politica ideale del primo gruppo sia 100, quella
del secondo sia 50, quella del terzo sia infine 30. Appare del tutto ragionevole
ipotizzare che l’ordinamento completo del I gruppo sarà 100 Â 50 Â 30, quella
del II gruppo 50 Â 30 Â 100, quella del III infine 30 Â 50 Â 100.
Il voto a maggioranza su coppie di alternative permetterà di ottenere un ordi-
namento sociale completo e un vincitore di Condorcet, la politica di spesa uguale
a 50.
• Preferenze di A : x Âa y Âa z
• Preferenze di B : y Âb z Âb x
72 C APITOLO 5
I A
II B
III C
-
0 x y z
Posizioni Votanti
A B C
I x y z
II z x y
II y z x
• Preferenze di C : z Âc x Âc y
Opzioni Individui
A B C
x 50 20 30
y 30 50 20
z 20 30 50
Teorema 5.1 (D. Black, 1948). Se le preferenze sono unimodali, allora esiste un
vincitore di Condorcet.
Economia delle scelte pubbliche 73
costi 6
benefici costo medio
6
BMV (7)
BMIV (1)
6
BMIII (2)
6
BMII (3)
6
BMI (2)
6
6
?
costo medio
N
-
0 xI xII xIII xIV xV quantitá
IV; voteranno a favore i membri del gruppo V. Dunque la proposta sarà battuta
con una maggioranza di 8 contro 7. In definitiva, sarà scelta la quantità xIV . Una
procedura alternativa consiste nel mettere in votazione a maggioranza le diverse
quantità di bene pubblico a due a due, individuando cosı̀ il vincitore globale: lo
studente potrà verificare che xIV risulta essere l’unica alternativa che batte tutte
le altre nei confronti di coppia. In sintesi, con il voto a maggioranza prevale
l’alternativa xIV , che è l’alternativa preferita dall’unico componente del grup-
po IV: l’elettore mediano, cioè quell’elettore che occupa la posizione mediana
nella distribuzione delle preferenze per il bene pubblico tra i componenti l’assem-
blea. Risulta cioè dimostrata la prevalenza dell’elettore mediano: pur in assenza
di votazione o di simulazione della votazione, il teorema dell’elettore mediano
avrebbe potuto indicarci i risultati del voto.
Si rilevi la differenza tra alternativa preferita dall’elettore mediano e alternati-
va mediana. Nell’esempio precedente l’alternativa preferita dall’elettore mediano
è la quantità xIV , l’alternativa mediana invece è xIII .
Esempio 5.3. Si consideri una società in cui gli individui abbiano delle preferenze
unimodali intorno al livello di spesa pubblica. Nella tabella seguente per ciascun
gruppo di elettori è riportata la numerosità del gruppo e la politica ideale.
Votanti per gruppo 3 3 3 2 1 1 2 1 2 1 1
Spesa pubblica ideale 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Esempio 5.4. Supponiamo che si debba votare tra due opzioni x e y, e che le
utilità di tre individui (A, B, C) componenti la collettività siano le seguenti:
x y
Benefici A 1000 200
Benefici B −400 100
Benefici C −500 −400
Benefici sociali 100 −100
5.2.4 Il logrolling
Un metodo indiretto per rivelare l’intensità delle preferenze, dunque estrarre in-
formazioni di natura cardinale, è il log-rolling, ossia lo scambio di voti. È stato
suggerito che, allo stesso modo in cui nei mercati privati l’intensità delle prefe-
renze viene rivelata mediante il meccanismo del prezzo, si potrebbe tener conto
dell’intensità delle preferenze mediante la compravendita del voto.
Supponiamo ci siano tre individui A, B e C che debbano scegliere tra: x, pro-
durre un bene che beneficia B (oppure no); e y, produrre un bene che beneficia C
(oppure no). Supponiamo che il costo sia di 600 euro e sia egualmente distribuito,
200 euro a testa, e i benefici siano pari a 700 euro. Avremo dunque:
x non x y non y
Benefici A -200 0 -200 0
Benefici B 500 0 -200 0
Benefici C -200 0 500 0
Benefici sociali +100 0 +100 0
Economia delle scelte pubbliche 77
x y
Benefici A -300 -300
Benefici B 400 -300
Benefici C -300 400
Benefici sociali -200 -200
Il beneficio netto per B e C nel caso sia x che y vincano è sempre positivo, +100,
ma il benefico totale netto è negativo, quindi lo scambio del voto ha portato a una
decisione inefficiente.
Il logrolling può portare a costi elevatissimi di inefficienza nelle decisioni
pubbliche, specialmente quando si debba decidere tra progetti il cui costo sia
diviso tra molte parti.
Un secondo limite del logrolling concerne la stabilità dell’equilibrio. Il log-
rolling non risolve il problema dei cicli.
Si consideri l’esempio precedente:
x non x y non y
Benefici A -200 0 -200 0
Benefici B 500 0 -200 0
Benefici C -200 0 500 0
Benefici sociali +100 0 +100 0
Ma (non x, non y) era la situazione di partenza, dominata dalla coppia (x, y):
(x, y) Â (non x, non y). Si è in presenza di un ciclo!
Dunque, il sistema di voto a maggioranza semplice, anche attraverso il log-
rolling, può generare cicli e quindi può risultare nell’assenza di un vincitore.
Rivolgiamo ora la nostra attenzione a delle regole di voto che assicurino
sempre un vincitore.
Posizione Individui
A B C
I x y z
II y z x
III z x y
Posizione Individui
A B C
I x z y
II y x s
III z y z
IV s s x
Supponiamo si voti con il seguente ordine del giorno: prima x contro y, il vin-
cente contro z, il vincente contro s. L’opzione socialmente preferita, dato il pro-
filo di preferenze, sarebbe s. Si noti tuttavia che y è preferita a s da tutti e tre
gli individui: la regola della maggioranza sequenziale viola il principio Pare-
tiano o dell’unanimità! Tutti preferiscono y a s, e tuttavia questa regola conduce
l’assemblea a scegliere s.
Sembra proprio che il paradosso di Condorcet non lasci scelta. O si votano tutte
le alternative una contro l’altra, e allora può succedere che nessuna ottenga la
maggioranza. Oppure si votano le varie alternative in un certo ordine, e allora
la vincitrice dipende dall’ordine scelto. Come se ciò non bastasse, un particolare
ordine di votazioni può permettere a un’alternativa di vincere anche quando ne
esista un’altra che le è unanimemente preferita.
Un ulteriore problema del voto a maggioranza sequenziale è il seguente. Si
consideri il caso dell’Esempio 5.6, e si assuma il seguente ordine del giorno: y
contro z, il vincente contro x, il vincente contro s.
Se tutti i votanti votassero sinceramente, x vincerebbe. Consideriamo ora il
votante C. Per C, x è la peggiore opzione possibile; se votasse per z invece che
per y nel primo voto, alla fine vincerebbe s, che egli preferisce a x. L’individuo C
ha incentivo a votare in maniera strategica, cioè a votare in maniera non sincera.
In questo caso si dice che il sistema a maggioranza sequenziale non è a prova di
strategia (strategy-proof ): non c’è un incentivo per gli individui a votare secondo
le loro vere preferenze.
Definizione 5.6. Una regola di voto è a prova di strategia quando ogni agente ha
incentivo a rivelare correttamente le proprie preferenze.
80 C APITOLO 5
Esempio 5.7. Si considerino quindici votanti, che debbano scegliere rispetto alle
alternative x, y e z. Supponiamo che gli ordini di preferenze individuali siano i
seguenti:
• 6 votanti preferiscono x a y, e y a z;
• 4 votanti preferiscono y a z, e z a x;
• 5 votanti preferiscono z a y, e y a x.
Posizione N. votanti
6 4 5
I x y z
II y z y
III z x x
Un secondo limite del sistema maggioritario a turno unico risiede nella possibilità
che risulti vincitrice un’opzione che è fra le meno preferite dagli elettori.
Posizione N. votanti
5 2 3 3 4
I x y z s t
II y z y y y
III z s s z z
IV s t t t s
V t x x x x
Posizione N. votanti
6 5 4 2
I x z y y
II y x z x
III z y x z
Supponiamo ora che le preferenze dei due elettori dell’ultimo gruppo cambi-
no, diventando le seguenti: x  y  z.
Votando, x e z vincerebbero la prima tornata, e z la seconda. Dunque, nono-
stante la gente abbia cambiato le proprie preferenze in favore di x rispetto di y, x
non vince più e invece vince y. Non è rispettata la seguente proprietà.
• Preferenze di A : x Âa y Âa z Âa s;
• Preferenze di B : y Âb z Âb s Âb x;
• Preferenze di C : z Âc s Âc x Âc y.
x y z s
A 4 3 2 1
B 1 4 3 2
C 2 1 4 3
Totale 7 8 9 6
Arrow [1951] dimostra che i 5 assiomi precedenti sono tra loro incompatibili.
Teorema 5.3 (Teorema di Impossibilità di Arrow [1951]). Non esiste alcuna
regola di voto la quale soddisfi le condizioni 1-5.
Per una semplice dimostrazione, si veda Dardanoni (2002).
Dunque, non esiste alcuna regola di voto la quale possa soddisfare contem-
poraneamente le cinque proprietà formulate. Ogni regola di voto, secondo Arrow,
deve necessariamente violare almeno una di queste proprietà. Per esempio, la re-
gola dittatoriale, in cui un individuo sceglie per tutti, rispetterebbe tutte le altre
condizioni.
Il teorema svela l’esistenza di una difficoltà profonda dei sistemi democratici,
rendendo tra l’altro manifesta l’esistenza di un conflitto tra esigenze di rappresen-
tatività democratica delle regole di voto (espresse dagli assiomi 3 e 4) ed esigenze
di decisività delle stesse (espresse dagli assiomi 1 e 2). Si tratta di un risultato cer-
tamente negativo. Tuttavia, il senso dei risultati assiomatici di impossibilità non è
quello di suggerire la rinuncia alle richieste di fondo che sottendono le proprietà
formulate. Un risultato di impossibilità individua il limite estremo cui è possibile
spingersi con le diverse richieste espresse dagli assiomi. Indebolendo uno o più
assiomi, soluzioni positive sono possibili. E in effetti la ricchissima letteratura
nata dal teorema di Arrow ha dimostrato come, indebolendo uno qualsiasi degli
assiomi originari, è possibile ottenere risultati positivi, cioè regole elettorali. Il
teorema però permette di individuare in maniera rigorosa a cosa si sta rinuncian-
do con una qualsiasi delle regole di voto possibili. È quindi da interpretare come
una paradigma di riferimento: ogni regola di voto è ora confrontabile con qualsiasi
altra in un’unica griglia interpretativa.
I testi classici, già citati nel testo, rimangono: Arrow [1951], Buchanan and
Tullock [1962], Gibbard [1973], May [1952], Satterthwaite [1975] e Sen [1970].
Si consiglia anche la lettura dei seguenti testi: Dardanoni [2002], Roemer [2001]
e Sen [1986].
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Bibliografia