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Nuova serie
31/32 | 2010
Letteratura e azienda. Rappresentazioni letterarie
dell’economia e del lavoro nell’Italia degli anni 2000
Edizione digitale
URL: https://journals.openedition.org/narrativa/1619
DOI: 10.4000/narrativa.1619
ISSN: 2804-1224
Editore
Presses universitaires de Paris Nanterre
Edizione cartacea
Data di pubblicazione: 1 janvier 2010
Paginazione: 269-279
ISBN: 978-2-84016-062-5
ISSN: 1166-3243
1. Tra i giovani narratori italiani che meglio interpretano lo spirito dei tempi
che stiamo vivendo e raccontano un malessere generazionale oramai difficile da
ignorare si trova certamente Andrea Bajani. Consapevole di vivere in un con-
testo socio-politico in continua evoluzione che necessita di nuovi strumenti
epistemologici, Bajani ha dimostrato, soprattutto nelle sue più recenti opere
narrative, di avere il coraggio e la volontà di confrontarsi in modo diretto con
la realtà, e in particolare con la realtà del precariato lavorativo ed esistenziale.
Commentando questa scelta Bajani ha affermato:
Credo ci sia un baratro tra la nostra generazione e quelle che ci hanno preceduto. Mi
sembra ci sia stata, ma non vorrei abusare della definizione pasoliniana, una sorta di
mutazione antropologica. Il mondo è cambiato radicalmente e noi siamo la prima gene-
razione che ci fa i conti davvero, che deve costruirsi gli strumenti per interpretarlo1.
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L’idea di Cordiali saluti è nata un po’ per caso, in realtà. Mi avevano chiesto di scrivere
una lettera di licenziamento proprio perché ero uno scrittore. Ricordo il mio stupore, a
quella domanda. Mi ero detto: La letteratura non conta più nulla. Un tempo agli scrittori chie-
devano di esprimersi sulla Guerra in Vietnam, sulle stragi di stato, sui referendum. Ora,
gli scrittori si sono ridotti al rango di tecnici di parole e sentimenti, al punto che si chiede
loro di scrivere lettere per mandare via le persone senza che le persone se la prendano
troppo. Da lì è nata l’idea dello scrittore di lettere di licenziamento5.
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10. BAJANI, Andrea, Mi spezzo ma non m’impiego. Guida di viaggio per lavoratori flessibili,
Torino, Einaudi, 2006, p. 9.
11. Su questo argomento si ascolti l’intervista a Bajani di Marino Sinibaldi tra-
smessa su Radiotre il 27 aprile 2005: http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/
mostra_libro.cfm?Q_EV_ID=130949 (consultato il 2 maggio 2009).
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soprannome dato all’io narrante. Se per i suoi colleghi è diventato il killer, per
Martina e Federico egli è semplicemente il “ramarro”, un compagno di giochi
come un altro. Come ha sottolineato Ermanno Paccagnini il vero nucleo del
romanzo si trova qui, nel contrasto tra “il linguaggio fortemente elaborato e
retoricamente falso del killeraggio epistolare e degli anonimi e freddi rapporti
interpersonali dell’azienda; e quello semplice ma caldo e vitale delle parole cose
[…] proprio dell’espressione spontanea dei bambini”12.
L’influenza dei bambini non si limita unicamente alla dimensione linguistica
ma coinvolge anche altre dimensioni. I vestiti, per esempio. Costretto dal pro-
prio lavoro a indossare ogni giorno abiti formali l’io narrante viene letteral-
mente messo a nudo dai giochi di Federico e Martina che, una sera, gli
impongono la cosiddetta “cena dei primitivi”. Scrive l’io narrante: “Abbiamo
mangiato in cucina nudi, tutti e tre. Martina mi ha detto che col papà la face-
vano ogni mese, la cena dei primitivi. Finché non torna, il capo primitivo devo
farlo io”13. Il soggetto, spogliato di ogni residuo elemento appartenente al regi-
stro simbolico, viene riportato in pratica alla sua essenza più vera. Nel mondo
dei bambini non ci si può più nascondere dietro la falsa formalità borghese e
anche il cibo è consumato in maniera non convenzionale:
La cena dei primitivi si fa quello che si vuole, si mangia come vuoi ma non con le
forchette. Solo, bisogna stare senza vestiti neanche le mutande. [...] Il pollo l’abbiamo
mangiato con le mani, Martina che si imbrattava la faccia, Federico che si infilava le
patatine dietro le orecchie come le sigarette nei film dove i duri vogliono fare colpo
sulle donne. Li ho anche fatti bere, un bicchiere di birra ciascuno e poi cantavano nudi
sul balcone la canzone del girino che si innamora della rana e tutti gridano all’incesto14.
12. PACCAGNINI, Ermanno, “La licenzio, naturalmente per il suo bene”, in Corriere
della Sera, 27 maggio 2005.
13. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, cit., p. 38.
14. Ibid., pp. 38-39.
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dite uscito sconfitto dalla propria battaglia contro la malattia. L’immagine finale
dell’aereo “puntato contro il cielo”15 rappresenta in modo simbolico l’avvenuta
redenzione del protagonista che pur di non prendere parte alla falsa rappresen-
tazione del dolore messa in scena dal direttore del personale (il cui discorso è
fondato su tutta una serie di vuoti “mi dispiace”) preferisce seguire il funerale
dalla propria macchina, per poi procedere, non visto, verso l’aeroporto.
3. Nonostante il contrasto tra i due livelli narrativi del testo (le lettere di
licenziamento da un lato, la vicenda dei due bambini dall’altro) sia il vero cuore
del romanzo, Cordiali saluti è stato percepito sin da subito (e soprattutto dal
grande pubblico) come una storia sul precariato lavorativo. È lo stesso Bajani
a rivelare questo particolare all’inizio di Mi spezzo ma non m’impiego.
Nell’introdurre questo suo reportage sul mondo della flessibilità lavorativa
Bajani parla del viaggio (entusiasmante e infernale allo stesso tempo16) fatto in
Italia presentando Cordiali saluti e della ricezione avuta dal testo. La cosa
curiosa, nota lo scrittore, è che durante le presentazioni il libro
veniva percepito come un libro sul precariato. Ora: Cordiali saluti non è, in senso stretto,
un libro sul precariato, ma un romanzo in cui un numero imprecisato di persone ven-
gono licenziate in un momento particolare della vita dell’azienda. All’inizio mi chiedevo
perché, di questo che mi sembrava un fraintendimento. Poi, a poco a poco ho comin-
ciato a capire: quel clima di incertezza e paura che nell’azienda di Cordiali saluti si respi-
rava nel periodo di “riorganizzazione” è lo stesso clima che un numero sempre
maggiore di persone vive ogni giorno, ed è lo stesso clima di incertezza e precarietà nel
quale vivevo, e vivo quotidianamente io stesso17.
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In ogni caso non potevo darglieli, perché potrebbero far fuori anche me. Ma noi da
sotto non ci chiamano neanche, non c’è bisogno di cercarsi l’avvocato. Ci mandano una
circolare Deve lasciare libera la scrivania a decorrere da, lasci in portineria le chiavi del-
l’ufficio. Poi a te recuperarti gli scatoloni, infilarti i tuoi stracci, sigillarli e andare a casa
in autobus come sempre. Così la gente in ufficio si tiene le scatole sotto la scrivania e
non le molla neanche di fronte alla più generosa delle offerte23.
19. Cfr. BECK, Ulrich, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, Carocci, 2000.
20. BAUMAN, Zygmunt, Vita liquida, Roma, Laterza, 2006, p. VIII.
21. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, cit., p. 6.
22. Ibid.
23. Ibid.
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Il cinquantenne che comincia a fare vita precaria è una persona molto nervosa. Gira
per casa irrequieto e per i primi mesi ha l’umore sotto le scarpe perché vuole esatta-
mente il lavoro che ha perso. […] Così se ne sta chiuso in camera e non parla per giorni.
Ogni tanto fa qualche lavoretto […]. Quelle piccole cose lo rendono più nervoso che
mai […]. Spesso così finisce a litigare anche con gli amici […]. Nel frattempo anche la
moglie ha cominciato a fare lavoretti per raggranellare un po’ di soldi […]. È per que-
sto che il cinquantenne che ha perso il lavoro si inalbera ogni volta che lei tenta di dar-
gli conforto. Così finisce per sentirsi ancora più solo 27.
24. Ibid.
25. A questo proposito è interessante notare come in lingua inglese chi riesce a
mantenere il proprio posto di lavoro viene definito “layoff survivor” un individuo
cioè che, letteralmente, sopravvive alle riduzioni del personale imposte dall’azienda.
26. Si volessero confrontare altri testi che trattano il medesimo argomento si
vedano, come esempio, FURINI, Luigi, Volevo solo lavorare. Siamo tutti precari: da giovani
flessibili, licenziati a cinquant’anni..., Milano, Garzanti, 2008, e LOLLI, Massimo, Il lunedì
arriva sempre di domenica pomeriggio, Milano, Mondadori, 2009.
27. BAJANI, Andrea, Mi spezzo ma non m’impiego. cit., p. 78.
28. Wikipedia spiega il significato di questa politica aziendale nel modo seguente:
“Office hoteling (or often just hoteling) is a modern office paradigm where office
workers don’t have their own offices, cubicles, or even desks, and instead they have to
reserve whatever space or resources they think they will need ahead of time. This rel-
atively new method of managing offices was created to solve the problem of under-
utilization of resources. Often workers are assigned, or have immediate access to, all
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Via le foto di famiglia, via tutto l’extra che rema contro la purificazione. Ma non
basta, dice il direttore del personale, mentre sul muro compare una scritta luminosa,
HOTELING. Dalla prossima settimana vi libererete anche dall’affezione improduttiva
allo spazio di lavoro. Mi seguite? […] Ogni giorno un ufficio diverso. Ogni mattina,
dice, prenderete la vostra piccola scatola e andrete a cercare un ufficio nuovo in cui abi-
tare la giornata. […] Hoteling, lo ripete, una parola salvifica. Hoteling è purezza ed effica-
cia, pulizia, igiene e rapidità. Hoteling è l’albergo, con le saponette e il letto sempre fatto.
Sulla parete c’è scritto Hoteling = felicità individuale = felicità collettiva = aumento della
produttività. […] Andate il viaggio sta per cominciare29.
the resources and space they might ever need, but most of it will go unused for most
of the time. By having workers reserve what they need ahead of time, an office can
have a smaller (and thus less expensive) pool of resources. Many companies have
found office hoteling to be extremely useful when they have a large number of work-
ers continually on the road, such as consultants or salespeople. Employees may enjoy
the benefits of being able to work from home, saving commuting time and money as
well as a potential for improvement in work/life balance. Office hoteling has been
criticized for dehumanizing workers by giving them no home-space that they can per-
sonalize, and essentially treating people as cogs. When office hoteling is done badly it
will often result in people working around the system, or outright ignoring it, to take
over entire offices or conference rooms on a permanent basis” (http://en.wikipedia.
org/wiki/ Office hoteling; consultato il 2 maggio 2009).
29. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, cit., pp. 43-44.
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4. Da quanto detto non sorprende che Cordiali saluti sia stato interpretato
come un romanzo sulla instabilità professionale ed esistenziale. I segni della
precarizzazione sono chiari ed evidenti, e tutto il testo è percorso da un senso
di incertezza e di paura del futuro che attanaglia i personaggi della storia. In una
delle scene più delicate del romanzo, l’io narrante si trova in spiaggia con i due
bambini, desiderosi di fare il bagno di notte. Arrivati in riva al mare i tre prota-
gonisti si fermano, presi dalla paura. Scrive l’io narrante:
Li ho raggiunti, tutti fermi sulla soglia, sui margini di quell’accesso nero, non sapere,
non vedere, neppure immaginare. […] Guardavamo avanti senza sapere dove. Poi
abbiamo riso, ho detto Forza, buttiamoci. Loro mi guardavano, Federico che tremava
di freddo e Martina a un passo dal pianto, la paura di quello spazio nero in cui le cose
non si vedono più32.
Ecco, mi pare di poter dire che la ragione del successo di Cordiali saluti sia
proprio nella sua capacità di ricreare in modo surreale e non mimetico l’atmo-
sfera di incertezza che oramai si respira ovunque, quel sentirsi di continuo
“sempre sul ciglio”33 che impedisce ogni possibile progettazione per il futuro.
Come ha scritto Zygmunt Bauman: “La vita nella società liquido-moderna è
una versione sinistra, ma seria, del gioco delle sedie. La vera posta in gioco è la
salvezza (temporanea) dall’eliminazione, che comporterebbe il ritrovarsi tra gli
scarti”34. Restìo a seguire il retorico cinismo dell’azienda e a prendere parte a
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questo tragico gioco, l’io narrante di Cordiali saluti trova la propria via salvifica
grazie al rapporto con l’ex direttore vendite e con Martina e Federico. È tramite
questo contatto finalmente e veramente umano che il protagonista si rende
conto della pervasiva falsità della vita aziendale35 e trova la forza di varcare la
soglia che lo divide dal futuro e immaginare così una vita diversa:
Ero rimasto un poco in coda sulle scalette dell’aereo, in quella zona in cui non è
ancora finito nulla e neppure è cominciato qualcosa di diverso. Poi ero entrato e
assieme agli altri avevo preso posto vicino al finestrino […]. E non pensavo più, men-
tre l’aereo prendeva le misure della pista, annusava l’asfalto e cercava il punto in cui fer-
marsi. Tutto finiva così, con la faccia attonita del direttore del personale di fronte al
proprio dispiacere, gli sguardi tra i banchi di chi ha finalmente capito, la mia faccia ora
sulla pista oltre l’oblò. Poi i motori accesi e le luci sull’asfalto che disegnavano la strada
da fare per levarsi in volo. Noi eravamo tutti allacciati contro i sedili, aspettavamo di
essere portati via. L’aereo si era alzato e aveva puntato contro il cielo36.
Paolo CHIRUMBOLO
Louisiana University