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Narrativa

Nuova serie
31/32 | 2010
Letteratura e azienda. Rappresentazioni letterarie
dell’economia e del lavoro nell’Italia degli anni 2000

L’incertezza continua: l’Italia del lavoro vista da


Andrea Bajani
Paolo Chirumbolo

Edizione digitale
URL: https://journals.openedition.org/narrativa/1619
DOI: 10.4000/narrativa.1619
ISSN: 2804-1224

Editore
Presses universitaires de Paris Nanterre

Edizione cartacea
Data di pubblicazione: 1 janvier 2010
Paginazione: 269-279
ISBN: 978-2-84016-062-5
ISSN: 1166-3243

Notizia bibliografica digitale


Paolo Chirumbolo, «L’incertezza continua: l’Italia del lavoro vista da Andrea Bajani», Narrativa [Online],
31/32 | 2010, online dal 01 juin 2022, consultato il 20 juillet 2022. URL: http://journals.openedition.org/
narrativa/1619 ; DOI: https://doi.org/10.4000/narrativa.1619

Creative Commons - Attribuzione 4.0 Internazionale - CC BY 4.0


https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
L’incertezza continua:
l’Italia del lavoro vista da Andrea Bajani

1. Tra i giovani narratori italiani che meglio interpretano lo spirito dei tempi
che stiamo vivendo e raccontano un malessere generazionale oramai difficile da
ignorare si trova certamente Andrea Bajani. Consapevole di vivere in un con-
testo socio-politico in continua evoluzione che necessita di nuovi strumenti
epistemologici, Bajani ha dimostrato, soprattutto nelle sue più recenti opere
narrative, di avere il coraggio e la volontà di confrontarsi in modo diretto con
la realtà, e in particolare con la realtà del precariato lavorativo ed esistenziale.
Commentando questa scelta Bajani ha affermato:

Credo ci sia un baratro tra la nostra generazione e quelle che ci hanno preceduto. Mi
sembra ci sia stata, ma non vorrei abusare della definizione pasoliniana, una sorta di
mutazione antropologica. Il mondo è cambiato radicalmente e noi siamo la prima gene-
razione che ci fa i conti davvero, che deve costruirsi gli strumenti per interpretarlo1.

I testi di Bajani che maggiormente analizzano questa nuova “mutazione


antropologica” sono certamente il noto Cordiali saluti (2005), di cui ci si occupa
in questa sede, e l’originale Mi spezzo ma non m’impiego (2006), resoconto del viag-
gio fatto dallo stesso Bajani nei meandri del lavoro precario e flessibile. Sebbene
questi due libri siano quelli più citati, non bisogna tuttavia dimenticare, per comple-
tezza di informazione, racconti come Storia di un altro impiegato2 e All inclusive3,

1. Intervista ad Andrea bajani di Federica Di Maria, in http://www.railibro.rai.it/


interviste.asp?id=314 (consultato il 2 maggio 2009).
2. In VASTA, Giorgio (a cura di), Deandreide. Storie e personaggi di Fabrizio De André in
quattordici racconti di scrittori italiani, Milano, Bur Rizzoli, 2006.
3. In DESIATI, Mario (a cura di), Laboriosi oroscopi. Diciotto racconti sul lavoro, la preca-
rietà e la disoccupazione, Roma, Ediesse, 2006.

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Tanto si doveva4, e il romanzo Se consideri le colpe (2007), opere che mantengono


stretti rapporti con le due opere precedenti e che fanno di Bajani uno degli
scrittori più attenti alle dinamiche sociali e politiche del nostro tempo.

2. Cominciamo dall’inizio, e cioè dal concepimento di Cordiali saluti che


molto dice a proposito delle intenzioni dell’autore e dei suoi obiettivi letterari.
Ricorda Bajani:

L’idea di Cordiali saluti è nata un po’ per caso, in realtà. Mi avevano chiesto di scrivere
una lettera di licenziamento proprio perché ero uno scrittore. Ricordo il mio stupore, a
quella domanda. Mi ero detto: La letteratura non conta più nulla. Un tempo agli scrittori chie-
devano di esprimersi sulla Guerra in Vietnam, sulle stragi di stato, sui referendum. Ora,
gli scrittori si sono ridotti al rango di tecnici di parole e sentimenti, al punto che si chiede
loro di scrivere lettere per mandare via le persone senza che le persone se la prendano
troppo. Da lì è nata l’idea dello scrittore di lettere di licenziamento5.

Quanto citato è interessante per diversi aspetti. Innanzitutto conferma quella


tendenza a mescolare biografia e letteratura che sembra essere uno dei comuni
denominatori della nuova narrativa del lavoro (si pensi a Giovanni Accardo,
Michela Murgia, Francesco Dezio, solo per fare qualche esempio): testimoni in
prima persona delle disfunzioni del mondo del lavoro, questi giovani narratori
(spesso al loro esordio letterario) pongono se stessi al centro delle proprie sto-
rie, garantendone in questo modo autenticità e veridicità. In secondo luogo, la
citazione mette implicitamente in luce l’intenzione di Bajani di riconferire allo
scrittore quella dignità e quell’importanza messe in crisi da un sistema culturale
più interessato a occuparsi di questioni marginali ed effimere che ad affrontare
i problemi concreti e reali di tutti i giorni. Nel momento stesso in cui decide di
scrivere un testo come Cordiali saluti l’autore è ben conscio di fare una scelta fina-
lizzata alla restaurazione del potere sociale e civile della parola letteraria e quel
“la letteratura non conta più nulla” si trasforma in un più perentorio e (forse)
utopico “la letteratura conta ancora qualcosa”. Infine, le parole dell’autore mettono
chiaramente in evidenza uno dei punti focali della narrativa di Bajani, cioè la costante
attenzione nei confronti della dimensione linguistica del mondo del lavoro.

4. BAJANI, Andrea, Tanto si doveva, in http://www.einaudi.it/var/einaudi /conte-


nuto/extra/978880619649PCA.pdf (consultato il 2 maggio 2009).
5. Intervista ad Andrea Bajani, in BONINI, Paola (a cura di), Realtà presenti(menti).
Letteratura e rappresentazione del contemporaneo, Milano, Velvet, 2006, p. 87.

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Il titolo del romanzo è in tal senso emblematico in quanto mette sin da


subito in contrasto la falsa cortesia della retorica aziendale con i drammi indi-
viduali di cui l’azienda stessa è responsabile. Cordiali saluti è infatti, dal punto di
vista narrativo, la storia di una serie di licenziamenti causati da una delle tante
ristrutturazioni aziendali di cui si è testimoni giornalmente. In virtù del proprio
grado di “sensibilità, empatia, cordialità, fermezza, attenzione al prossimo”6
all’io narrante viene chiesto di redigere delle lettere di licenziamento persona-
lizzate in grado di convincere il licenziato che ciò che gli sta capitando non è
un dramma bensì una splendida opportunità. Le lettere scritte dal protagonista
– in tutto quattro – rappresentano dei capolavori di cinismo e ipocrisia7 in cui
la realtà, come spesso accade nelle opere di Bajani, viene rovesciata. Nel loro
inquietante sviluppo narrativo, le lettere di licenziamento presentano delle evi-
denti analogie strutturali e retoriche. Esse infatti si aprono sempre con un tono
conciliatorio e cerimonioso (una sorta di captatio benevolentiae tramite cui si passa
dagli auguri di Pasqua a quelli di compleanno, dalle felicitazioni matrimoniali a
più generici complimenti concernenti la salute degli impiegati), si soffermano
sulle meravigliose possibilità che il mondo offre al di fuori dell’azienda (fami-
glia, creatività, tempo libero), rovesciano intenzionalmente i termini della que-
stione (per esempio, il licenziamento diventa una rinuncia dolorosa e una
punizione per l’azienda; o ancora: il lavoro è un sequestro di persona, la risolu-
zione del contratto un atto di libertà e la lettera stessa una lettera di risarci-
mento danni) per concludersi, inderogabilmente, con la esplicita richiesta di
lasciare il posto di lavoro entro una data specifica (nel caso della quarta lettera
il danno si somma alla beffa: il licenziamento, infatti, è addirittura un post scrip-
tum, un dettaglio secondario, che recita: “P.S. Può lasciare le chiavi dell’ufficio
alla portinaia, grazie. Si senta libera di correre incontro ai suoi sogni a decor-
rere dal 31 c.m.”8). Le lettere dell’io narrante si rivelano dunque essere esempi
perfetti di quella “agghiacciante”9 retorica aziendale che Bajani intende sma-

6. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, Torino, Einaudi, 2005, p. 10.


7. Saverio Fattori ha definito le lettere “piccole perle, capolavori di equilibrismo sta-
tico” (FATTORI, Saverio, “Andrea Bajani: Cordiali saluti”, in http:// www.blackmaimag.
com/andrea_bajani_cordiali_saluti.htm, consultato il 2 maggio 2009). Irene Bignardi,
a sua volta, nella sua recensione ha parlato di “terribili eulogie” e di “piccoli poemi di
ipocrisia” finalizzati a una funzionale gestione delle risorse umane (BIGNARDI, Irene,
“Vita da licenziato, la poesia co.co.co”, in La Repubblica, 19 marzo 2005).
8. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, cit., p. 71.
9. Intervista ad Andrea Bajani, in BONINI, Paola, Realtà presenti(menti), cit., p. 89.

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scherare attraverso la parola letteraria ed attraverso un insistito (e riuscito) uso


dell’ironia, del grottesco e del tragicomico. Tutte le missive hanno come fine
ultimo il rovesciamento paradossale del senso comune, e ciò che il licenziato
dovrebbe percepire come una morte metaforica viene al contrario presentata
come una sorta di rinascita. In un siffatto contesto, il compito dell’intellettuale
è allora proprio quello di riappropriarsi del linguaggio e delle parole, e ricolle-
gare queste ultime alla realtà. Come avverte giustamente Bajani: “Quando
scompaiono le parole scompaiono le cose. Quando scompaiono le cose le parole
perdono di significato”10.
Il riferimento alla morte non è casuale e introduce il discorso concernente il
secondo elemento narrativo di Cordiali saluti. Se infatti l’attività “letteraria” del
protagonista rappresenta il nucleo tematico centrale del romanzo (unitamente
alle conseguenze lavorative che questa attività comporta, e di cui si parlerà più
avanti), il rapporto che unisce l’io narrante ai figli di un collega appena licen-
ziato ne costituisce al contrario il nucleo spirituale. Affetto da una grave forma
di cirrosi epatica, l’ex direttore vendite chiede al protagonista di prendersi cura
dei bambini durante la sua degenza in ospedale in attesa di un trapianto che gli
salvi la vita. L’opportunità di entrare in contatto con il magico mondo di
Martina e Federico si rivela fondamentale: è infatti attraverso il rapporto quo-
tidiano con i due fanciulli che l’io narrante scoprirà un mondo diverso da quello
onnicomprensivo dell’azienda e si renderà conto dell’orrore del compito che gli
è stato affidato. Vista l’attenzione che Bajani pone sul problema del linguaggio
non sorprende affatto che l’autore usi i due bambini proprio allo scopo di met-
tere in crisi l’universo linguistico dell’io narrante. Lontani anni luce dalla vuota
e formale retorica del mondo del lavoro, Martina e Federico si esprimono con
le ingenue parole tipiche dei bambini (una sorta di grado zero del linguaggio):
nel loro universo lo scollamento significante/significato non esiste e la “cor-
diale” manipolazione linguistica aziendale viene privata di ogni senso. In que-
sta situazione totalmente nuova il protagonista ha bisogno di un linguaggio
vero, diretto e semplice che possa realmente parlare ai figli del suo ex capo11.
La contrapposizione tra i due livelli narrativi si esemplifica anche attraverso il

10. BAJANI, Andrea, Mi spezzo ma non m’impiego. Guida di viaggio per lavoratori flessibili,
Torino, Einaudi, 2006, p. 9.
11. Su questo argomento si ascolti l’intervista a Bajani di Marino Sinibaldi tra-
smessa su Radiotre il 27 aprile 2005: http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/
mostra_libro.cfm?Q_EV_ID=130949 (consultato il 2 maggio 2009).

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soprannome dato all’io narrante. Se per i suoi colleghi è diventato il killer, per
Martina e Federico egli è semplicemente il “ramarro”, un compagno di giochi
come un altro. Come ha sottolineato Ermanno Paccagnini il vero nucleo del
romanzo si trova qui, nel contrasto tra “il linguaggio fortemente elaborato e
retoricamente falso del killeraggio epistolare e degli anonimi e freddi rapporti
interpersonali dell’azienda; e quello semplice ma caldo e vitale delle parole cose
[…] proprio dell’espressione spontanea dei bambini”12.
L’influenza dei bambini non si limita unicamente alla dimensione linguistica
ma coinvolge anche altre dimensioni. I vestiti, per esempio. Costretto dal pro-
prio lavoro a indossare ogni giorno abiti formali l’io narrante viene letteral-
mente messo a nudo dai giochi di Federico e Martina che, una sera, gli
impongono la cosiddetta “cena dei primitivi”. Scrive l’io narrante: “Abbiamo
mangiato in cucina nudi, tutti e tre. Martina mi ha detto che col papà la face-
vano ogni mese, la cena dei primitivi. Finché non torna, il capo primitivo devo
farlo io”13. Il soggetto, spogliato di ogni residuo elemento appartenente al regi-
stro simbolico, viene riportato in pratica alla sua essenza più vera. Nel mondo
dei bambini non ci si può più nascondere dietro la falsa formalità borghese e
anche il cibo è consumato in maniera non convenzionale:

La cena dei primitivi si fa quello che si vuole, si mangia come vuoi ma non con le
forchette. Solo, bisogna stare senza vestiti neanche le mutande. [...] Il pollo l’abbiamo
mangiato con le mani, Martina che si imbrattava la faccia, Federico che si infilava le
patatine dietro le orecchie come le sigarette nei film dove i duri vogliono fare colpo
sulle donne. Li ho anche fatti bere, un bicchiere di birra ciascuno e poi cantavano nudi
sul balcone la canzone del girino che si innamora della rana e tutti gridano all’incesto14.

I due piccoli protagonisti diventano così in Cordiali saluti il simbolo della


immaginazione, della libertà, della vera purezza (che si oppone a quella finaliz-
zata al profitto capitalistico dell’azienda), della letteratura emancipata e liberata
da ogni legame con l’ideologia dominante. È infatti solo grazie al confronto
con il mondo dei bambini che l’io narrante potrà alla fine del romanzo rifiutarsi
di scrivere l’ennesima lettera ipocrita, questa volta destinata all’ex direttore ven-

12. PACCAGNINI, Ermanno, “La licenzio, naturalmente per il suo bene”, in Corriere
della Sera, 27 maggio 2005.
13. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, cit., p. 38.
14. Ibid., pp. 38-39.

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dite uscito sconfitto dalla propria battaglia contro la malattia. L’immagine finale
dell’aereo “puntato contro il cielo”15 rappresenta in modo simbolico l’avvenuta
redenzione del protagonista che pur di non prendere parte alla falsa rappresen-
tazione del dolore messa in scena dal direttore del personale (il cui discorso è
fondato su tutta una serie di vuoti “mi dispiace”) preferisce seguire il funerale
dalla propria macchina, per poi procedere, non visto, verso l’aeroporto.

3. Nonostante il contrasto tra i due livelli narrativi del testo (le lettere di
licenziamento da un lato, la vicenda dei due bambini dall’altro) sia il vero cuore
del romanzo, Cordiali saluti è stato percepito sin da subito (e soprattutto dal
grande pubblico) come una storia sul precariato lavorativo. È lo stesso Bajani
a rivelare questo particolare all’inizio di Mi spezzo ma non m’impiego.
Nell’introdurre questo suo reportage sul mondo della flessibilità lavorativa
Bajani parla del viaggio (entusiasmante e infernale allo stesso tempo16) fatto in
Italia presentando Cordiali saluti e della ricezione avuta dal testo. La cosa
curiosa, nota lo scrittore, è che durante le presentazioni il libro

veniva percepito come un libro sul precariato. Ora: Cordiali saluti non è, in senso stretto,
un libro sul precariato, ma un romanzo in cui un numero imprecisato di persone ven-
gono licenziate in un momento particolare della vita dell’azienda. All’inizio mi chiedevo
perché, di questo che mi sembrava un fraintendimento. Poi, a poco a poco ho comin-
ciato a capire: quel clima di incertezza e paura che nell’azienda di Cordiali saluti si respi-
rava nel periodo di “riorganizzazione” è lo stesso clima che un numero sempre
maggiore di persone vive ogni giorno, ed è lo stesso clima di incertezza e precarietà nel
quale vivevo, e vivo quotidianamente io stesso17.

Quello che all’inizio Bajani interpreta come un semplice “fraintendimento”


interpretativo, una lettura troppo condizionata dal contesto sociale, una
“sovrainterpretazione”18, corrisponde in realtà alla percezione oramai diffusa
che qualcosa nella società in cui viviamo, non a caso definita da Ulrich Beck

15. Ibid., p. 99.


16. BONINA, Gianni, “Andrea Bajani. Mi spezzo ma non m’impiego”, in http://
nuke.ilsottoscritto.it/Default.aspx?tabid=268 (consultato il 2 maggio 2009).
17. BAJANI, Andrea, Mi spezzo ma non m’impiego. cit., pp. 6-7.
18. Su questo argomento si veda ECO, Umberto, Interpretazione e sovrainterpretazione.
Un dibattito con Richard Rorty, Jonathan Culler e Christine Brooke-Rose, Bompiani, Milano, 1995.

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Risikogesellschaft (società del rischio)19, è profondamente mutato. Gli indizi che


si trovano in Cordiali saluti sono troppo evidenti e vanno analizzati con la giu-
sta attenzione.
Del dato testuale in tal senso più macroscopico, le lettere di licenziamento
scritte dall’io narrante, si è già detto. Esse, infatti, rappresentano l’elemento più
evidente legato alla riorganizzazione dell’azienda, quello cioè che traduce un
rischio potenziale in un atto concreto. Al di là delle suddette epistole, altri sono
i particolari attraverso i quali Bajani ricorda al lettore di vivere una vita, per citare
Bauman, “liquida” e “precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza”20.
Si prendano ad esempio gli scatoloni di cui si parla all’inizio del romanzo e che
servirebbero all’ex direttore vendite per “raccogliere e sigillare i suoi stracci”21.
Non avendone nessuno a disposizione egli è costretto a chiederli in prestito
all’io narrante il quale, tuttavia, glieli nega con cortese fermezza (“Li ho ma non
posso darli a nessuno, quindi nemmeno a te, gli ho detto”22). La ragione del
diniego viene spiegata nel paragrafo successivo, che cito per esteso:

In ogni caso non potevo darglieli, perché potrebbero far fuori anche me. Ma noi da
sotto non ci chiamano neanche, non c’è bisogno di cercarsi l’avvocato. Ci mandano una
circolare Deve lasciare libera la scrivania a decorrere da, lasci in portineria le chiavi del-
l’ufficio. Poi a te recuperarti gli scatoloni, infilarti i tuoi stracci, sigillarli e andare a casa
in autobus come sempre. Così la gente in ufficio si tiene le scatole sotto la scrivania e
non le molla neanche di fronte alla più generosa delle offerte23.

Ecco dunque spiegato il motivo del rifiuto: in un universo lavorativo domi-


nato dalla competizione, dall’incertezza e dall’insicurezza, avere – realmente e
metaforicamente – delle scatole di emergenza nascoste da qualche parte è una
necessità vitale che giustifica la mancanza di ogni tipo di solidarietà.
La situazione diventa ancora più drammatica se chi viene licenziato si trova
sulla soglia dei cinquant’anni, in quel periodo della vita cioè in cui si è troppo
“vecchi” per reinventarsi una professione e troppo giovani per andare in pen-

19. Cfr. BECK, Ulrich, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, Carocci, 2000.
20. BAUMAN, Zygmunt, Vita liquida, Roma, Laterza, 2006, p. VIII.
21. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, cit., p. 6.
22. Ibid.
23. Ibid.

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sione. La battuta solforica dell’io narrante che afferma “A cinquant’anni se ti


fanno fuori puzzi di morto, la gente ti disprezza”24 è rilevante per due motivi.
Innanzitutto mette chiaramente in evidenza lo stretto rapporto tra il momento
della perdita del lavoro e la morte: oltre ad essere percepito come una sconfitta
professionale il licenziamento è sentito dalle vittime come una vera e propria
morte spirituale25 che ne mette in crisi la soggettività. In secondo luogo, la bat-
tuta pone l’accento su una questione sociale abbastanza delicata: chi perde il
lavoro a cinquant’anni è visto dalla comunità come un perdente, un incapace, e
un buono a nulla. Dal punto di vista psicologico tale situazione genere un senso
di vergogna sociale che porta inevitabilmente alla depressione e all’isola-
mento26. Come scrive con la consueta ironia Bajani:

Il cinquantenne che comincia a fare vita precaria è una persona molto nervosa. Gira
per casa irrequieto e per i primi mesi ha l’umore sotto le scarpe perché vuole esatta-
mente il lavoro che ha perso. […] Così se ne sta chiuso in camera e non parla per giorni.
Ogni tanto fa qualche lavoretto […]. Quelle piccole cose lo rendono più nervoso che
mai […]. Spesso così finisce a litigare anche con gli amici […]. Nel frattempo anche la
moglie ha cominciato a fare lavoretti per raggranellare un po’ di soldi […]. È per que-
sto che il cinquantenne che ha perso il lavoro si inalbera ogni volta che lei tenta di dar-
gli conforto. Così finisce per sentirsi ancora più solo 27.

Un’altra mortificante conseguenza della precarietà lavorativa è quella dell’hote-


ling28 fenomeno aziendale che tende a privare fisicamente l’impiegato del proprio
spazio professionale. Invece di occupare una postazione stabile e facilmente

24. Ibid.
25. A questo proposito è interessante notare come in lingua inglese chi riesce a
mantenere il proprio posto di lavoro viene definito “layoff survivor” un individuo
cioè che, letteralmente, sopravvive alle riduzioni del personale imposte dall’azienda.
26. Si volessero confrontare altri testi che trattano il medesimo argomento si
vedano, come esempio, FURINI, Luigi, Volevo solo lavorare. Siamo tutti precari: da giovani
flessibili, licenziati a cinquant’anni..., Milano, Garzanti, 2008, e LOLLI, Massimo, Il lunedì
arriva sempre di domenica pomeriggio, Milano, Mondadori, 2009.
27. BAJANI, Andrea, Mi spezzo ma non m’impiego. cit., p. 78.
28. Wikipedia spiega il significato di questa politica aziendale nel modo seguente:
“Office hoteling (or often just hoteling) is a modern office paradigm where office
workers don’t have their own offices, cubicles, or even desks, and instead they have to
reserve whatever space or resources they think they will need ahead of time. This rel-
atively new method of managing offices was created to solve the problem of under-
utilization of resources. Often workers are assigned, or have immediate access to, all

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identificabile chi lavora viene costretto a prenotare in anticipo lo spazio necessa-


rio a svolgere il proprio compito. Le conseguenze psicologiche sono facilmente
intuibili: spersonalizzazione, demotivazione, disaffezione nei confronti di azienda
e lavoro, perdita del sentimento di fedeltà. Ecco come l’io narrante di Cordiali
saluti rappresenta questa pratica aziendale:

Via le foto di famiglia, via tutto l’extra che rema contro la purificazione. Ma non
basta, dice il direttore del personale, mentre sul muro compare una scritta luminosa,
HOTELING. Dalla prossima settimana vi libererete anche dall’affezione improduttiva
allo spazio di lavoro. Mi seguite? […] Ogni giorno un ufficio diverso. Ogni mattina,
dice, prenderete la vostra piccola scatola e andrete a cercare un ufficio nuovo in cui abi-
tare la giornata. […] Hoteling, lo ripete, una parola salvifica. Hoteling è purezza ed effica-
cia, pulizia, igiene e rapidità. Hoteling è l’albergo, con le saponette e il letto sempre fatto.
Sulla parete c’è scritto Hoteling = felicità individuale = felicità collettiva = aumento della
produttività. […] Andate il viaggio sta per cominciare29.

Per giustificare una decisione basata unicamente sulla necessità di ottimiz-


zare la funzionalità dell’azienda e quindi incrementarne il profitto, il manage-
ment aziendale si inventa una nuova parola d’ordine: purificazione. È attraverso
questa depurazione (o meglio: epurazione) che azienda e impiegati raggiunge-
ranno finalmente quella liberazione spirituale e affettiva cui tutti devono aspirare.
Anche in questo caso parole come “purificazione”, “liberazione”, “salvezza”,
suonano, a causa della loro connotazione mistico-religiosa, false e vuote, prive
cioè di un reale referente, e sono finalizzate unicamente a ribadire la dimen-
sione mistificatoria dell’universo-azienda. Inoltre, allo scopo di rendere ancora
più evidente lo iato tra mondo reale e mondo aziendale, Bajani contrappone il

the resources and space they might ever need, but most of it will go unused for most
of the time. By having workers reserve what they need ahead of time, an office can
have a smaller (and thus less expensive) pool of resources. Many companies have
found office hoteling to be extremely useful when they have a large number of work-
ers continually on the road, such as consultants or salespeople. Employees may enjoy
the benefits of being able to work from home, saving commuting time and money as
well as a potential for improvement in work/life balance. Office hoteling has been
criticized for dehumanizing workers by giving them no home-space that they can per-
sonalize, and essentially treating people as cogs. When office hoteling is done badly it
will often result in people working around the system, or outright ignoring it, to take
over entire offices or conference rooms on a permanent basis” (http://en.wikipedia.
org/wiki/ Office hoteling; consultato il 2 maggio 2009).
29. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, cit., pp. 43-44.

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“grande processo di purificazione”30 della compagnia e la malattia dell’ex-


direttore vendite, contrapposizione che assume anche una valenza cromatica: al
bianco nitore aziendale (“L’azienda resterà chiusa per una settimana, dice, la
prossima. In quei giorni verrà mondata di tutte le sue sporcizie. I muri, dice il
direttore del personale, tutti bianchi. […] La purezza è leggerezza”31) fa da
doloroso contraltare il giallo epatico del padre di Martina e Federico, segno ine-
quivocabile che la realtà è ben diversa da ogni rappresentazione fittizia.

4. Da quanto detto non sorprende che Cordiali saluti sia stato interpretato
come un romanzo sulla instabilità professionale ed esistenziale. I segni della
precarizzazione sono chiari ed evidenti, e tutto il testo è percorso da un senso
di incertezza e di paura del futuro che attanaglia i personaggi della storia. In una
delle scene più delicate del romanzo, l’io narrante si trova in spiaggia con i due
bambini, desiderosi di fare il bagno di notte. Arrivati in riva al mare i tre prota-
gonisti si fermano, presi dalla paura. Scrive l’io narrante:

Li ho raggiunti, tutti fermi sulla soglia, sui margini di quell’accesso nero, non sapere,
non vedere, neppure immaginare. […] Guardavamo avanti senza sapere dove. Poi
abbiamo riso, ho detto Forza, buttiamoci. Loro mi guardavano, Federico che tremava
di freddo e Martina a un passo dal pianto, la paura di quello spazio nero in cui le cose
non si vedono più32.

Ecco, mi pare di poter dire che la ragione del successo di Cordiali saluti sia
proprio nella sua capacità di ricreare in modo surreale e non mimetico l’atmo-
sfera di incertezza che oramai si respira ovunque, quel sentirsi di continuo
“sempre sul ciglio”33 che impedisce ogni possibile progettazione per il futuro.
Come ha scritto Zygmunt Bauman: “La vita nella società liquido-moderna è
una versione sinistra, ma seria, del gioco delle sedie. La vera posta in gioco è la
salvezza (temporanea) dall’eliminazione, che comporterebbe il ritrovarsi tra gli
scarti”34. Restìo a seguire il retorico cinismo dell’azienda e a prendere parte a

30. Ibid., p. 42.


31. Ibid., p. 43.
32. Ibid., pp. 80-81.
33. BAJANI, Andrea, “La dannazione del precariato”, in La Stampa, 24 giugno 2006,
p. 38.
34. BAUMAN, Zygmunt, Vita liquida, cit., p. X.

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questo tragico gioco, l’io narrante di Cordiali saluti trova la propria via salvifica
grazie al rapporto con l’ex direttore vendite e con Martina e Federico. È tramite
questo contatto finalmente e veramente umano che il protagonista si rende
conto della pervasiva falsità della vita aziendale35 e trova la forza di varcare la
soglia che lo divide dal futuro e immaginare così una vita diversa:

Ero rimasto un poco in coda sulle scalette dell’aereo, in quella zona in cui non è
ancora finito nulla e neppure è cominciato qualcosa di diverso. Poi ero entrato e
assieme agli altri avevo preso posto vicino al finestrino […]. E non pensavo più, men-
tre l’aereo prendeva le misure della pista, annusava l’asfalto e cercava il punto in cui fer-
marsi. Tutto finiva così, con la faccia attonita del direttore del personale di fronte al
proprio dispiacere, gli sguardi tra i banchi di chi ha finalmente capito, la mia faccia ora
sulla pista oltre l’oblò. Poi i motori accesi e le luci sull’asfalto che disegnavano la strada
da fare per levarsi in volo. Noi eravamo tutti allacciati contro i sedili, aspettavamo di
essere portati via. L’aereo si era alzato e aveva puntato contro il cielo36.

La decisione dell’io narrante di abbandonare l’azienda prendendo in


questo modo una decisione forte e coraggiosa rispecchia la volontà dell’autore
di Cordiali saluti di confrontarsi con tematiche difficili e scomode. Pur non cre-
dendo nella figura dello scrittore “come sobillatore di coscienze”37, Bajani è
assolutamente conscio del proprio ruolo pubblico e intende assumersi le pro-
prie responsabilità. Sostiene a questo proposito lo scrittore: “Nel momento in
cui si esprime pubblicamente, uno scrittore ha una responsabilità. […] Con
questa responsabilità io credo che uno scrittore debba confrontarsi. E dal mio
punto vista credo che sia una responsabilità da valorizzare, da tesaurizzare”38.
Non si potrebbe essere più d’accordo.

Paolo CHIRUMBOLO
Louisiana University

35. Carla Benedetti ha parlato a tal proposito di resistenza all’“aziendalizzazione


della vita”, atteggiamento tramite cui le aziende tendono ad appropriarsi anche degli
spazi privati dell’individuo, costretto così a vivere una vita ad una dimensione
(BENEDETTI, Carla, “La vita è un’azienda”, http://www.kataweb.it/libri/
recensione.jsp?nameCat=Espresso&id=907863; consultato il 2 maggio 009).
36. BAJANI, Andrea, Cordiali saluti, cit., p. 99.
37. Intervista ad Andrea Bajani, in BONINI, Paola, Realtà presenti(menti), cit., p. 90.
38. Ibid.

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