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IL SENTIERO DELL’OLIO A BRISIGHELLA

GUIDA AMBIENTALE ESCURSIONISTICA REGIONE EMILIA ROMAGNA


Francesca Melandri
Indice
1. Scelta del percorso ……………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 3

2. Inquadramento territoriale………………………………………………………………………………………………………………Pag. 4

3. Itinerario……………………………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 5
3.1. Dati Tecnici…………………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 5
3.2. Mappa e Visione d’insieme del percorso……………………………………………………………………………………Pag.
5
3.3. Profilo altimetrico………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 5
3.4. Descrizione del percorso……………………………………………………………………………………………………………Pag. 6
3.4.1. Aspetti logistici……………………………………………………………………………………………………………Pag. 15

4. Criticità……………………………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 18
4.1. Pericoli legati alla natura del terreno e a fattori meteorologici……………………………………………Pag. 18
4.2. Pericoli legati allo stato di conservazione/presenza della segnaletica…………………………………Pag. 19
4.3. Pericoli legati allo stato di salute……………………………………………………………………………………………Pag. 20
4.4. Pericoli legati alla flora e alla fauna………………………………………………………………………………………Pag. 20
4.5. Pericoli legati all’attività umana………………………………………………………………………………………………Pag. 21

5. Considerazioni…………………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 22
5.1. Target clientela/A chi si rivolge l’attività…………………………………………………………………………………Pag.
22
5.2. Aspetti climatici e stagionalità…………………………………………………………………………………………………Pag. 22
5.3. Punti raggiungibili dai soccorsi e connessione telefonica………………………………………………………Pag. 22
5.4. Percorsi alternativi/Attività alternative……………………………………………………………………………………Pag.
22
5.4.1. Piano B…………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 22
5.4.2. Piano C…………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 25

6. Aspetti d’interesse……………………………………………………………………………………………………………………………Pag.
26

6.1. Aspetti storico/culturali……………………………………………………………………………………………………………Pag. 26


6.1.1. L’uomo e il gesso…………………………………………………………………………………………………………Pag. 26
6.1.2. Le fornaci del gesso……………………………………………………………………………………………………Pag. 28

6.2. Aspetti Naturalistici…………………………………………………………………………………………………………………Pag. 30


6.2.1. Museo Geologico del Monticino……………………………………………………………………………………Pag. 30
6.2.2. Museo Paleontologico……………………………………………………………………………………………………Pag.
31
6.2.3. Fenomeni Carsici…………………………………………………………………………………………………………Pag. 32

6.3. Il Borgo Medioevale tra i più belli d’Italia: BRISIGHELLA………………………………………………………Pag. 33


6.3.1. La Torre dell’Orologio……………………………………………………………………………………………………Pag.
33
6.3.2. La Rocca………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 34
6.3.3. Il santuario della Madonna del Monticino……………………………………………………………………Pag. 35

7. Info e Numeri Utili……………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 36

8. Regolamento dell’escursione…………………………………………………………………………………………………………Pag. 37
8.1. Norme per la frequentazione del Parco della Vena del Gesso Romagnola……………………………Pag. 39
1. Scelta del percorso

Lo scopo di questo itinerario è far conoscere e valorizzare gli aspetti storici e naturalistici di un territorio a
molti sconosciuto e ricco di grande fascino per chi lo attraversa con la calma e il rispetto dell'escursionista
curioso.

L’itinerario proposto, infatti, ripercorre la lunga storia del rapporto dell’uomo con questo territorio e con il
minerale che lo caratterizza: il GESSO.
Risalgono all’età del Rame le prime frequentazioni a noi note ma sono le attività estrattive del lapis
specularis protrattesi nel tempo ad aver influenzato maggiormente la storia, la vita sociale, l’economia e
il paesaggio della vallata del Lamone. L’origine stessa del termine “Brisighella” è legata al gesso e l’antico
nome “Castrum Gissi” è un esplicito riferimento alla nascita della prima fortificazione costruita “sopra un
sasso di gesso alto e spiccato a torno a torno, come uno scoglio”.
Le attività estrattive, che hanno costituito il tessuto socio economico di questo territorio, hanno purtroppo
anche avuto, nel tempo, ripercussioni importantissime sull’ambiente e sul paesaggio circostante tanto da
compromettere, in più occasioni, la stabilità dei monumenti, l’incolumità degli abitanti e il degrado
ambientale che per troppi anni hanno caratterizzato quello che oggi è considerato un parco museo a cielo
aperto.
A distanza di anni o di decenni dalla chiusura di cave e fornaci, i fronti estrattivi e gli opifici brisighellesi
assumono oggi una nuova valenza di patrimonio geologico e archeologico industriale in cui da un lato
rappresentano i segni tangibili dell’identità della comunità locale e dall’altro vanno considerati beni
culturali e meritano a mio avviso una riconversione in chiave museale, educativa ed eco-turistica anche
attraverso la proposta di questo itinerario.
Il sentiero che ci farà costeggiare la cava-museo del Monticino, per esempio, nasce con l’intento di
valorizzare quello che è stato elencato dal Servizio Difesa del Suolo, della Costa e Bonifica della Regione
Emilia-Romagna tra i migliori esempi regionali in fatto di buone pratiche per il recupero delle aree
minerarie dimesse nell’ambito del progetto europeo SARMa (Sustainable Aggregate Resource
Management). E’ questa la chiave di lettura che voglio proporre per poter sostenere che ambiente e
valorizzazione economica di un territorio possono e devono convivere e che questa è a mio avviso l’unica
strada possibile per un futuro sostenibile: tematica a me molto cara che ha caratterizzato i miei studi e il
mio impegno in ambito lavorativo e sociale.
Ritengo, infine, altrettanto importante preservare, in chiave identitaria per la comunità locale, le
testimonianze, i ricordi e il vissuto personale di chi nelle cave o fornaci brisighellesi ha lavorato.
Testimonianze di amici e conoscenti “gessaroli” e “fornaciai” raccolte nel docu-film “La memoria dei
Gessi” (documentario realizzato da Thomas Cicognani) che raccontano attraverso il filtro dell’esperienza
personale, l’estrazione del gesso nelle cave brisighellesi del Monticino e della sua cottura nella fornace del
“Molinone” negli ultimi anni di attività. E’ la conoscenza diretta di questi testimoni privilegiati del passato
della Vena (che approfondiremo durante la visione del documentario nell’aula didattica del Centro Visite
Ca Carnè) a rappresentare davvero il valore aggiunto di questa bellissima escursione.
2. Inquadramento territoriale

Il percorso scelto si sviluppa all’interno del Parco naturale della Vena del Gesso, istituito il 15 febbraio
2005 e il cui il toponimo geologico, affermatosi per indicare la dorsale di grossi banchi gessosi,
contrassegna per una ventina di chilometri il bordo romagnolo dell’Appennino tra le valli del Lamone e del
Santerno.
Il parco interessa un'area di circa 2.000 ettari per due terzi in provincia di Ravenna (comuni di
Brisighella, Casola Valsenio e Riolo Terme) ed un terzo in provincia di Bologna (valle del Sillaro).
Il punto di partenza è Brisighella: borgo, annoverato tra i più belli d’Italia, caratterizzato da tre pinnacoli
rocciosi (i "Tre Colli"), su cui poggiano la rocca manfrediana (sec. XIV), il santuario del Monticino (sec.
XVIII) e la torre detta dell'Orologio, ricostruita nell'Ottocento sulle rovine di un preesistente insediamento
difensivo del XII secolo.
Circondato da ulivi secolari, il borgo produce un prodotto principe dell’enogastronomia del territorio: l’olio
extravergine di oliva DOP “Brisighello”.
3. Itinerario

3.1 Dati tecnici

Difficoltà: Percorso Escursionistico (E) – Medio/Facile

Lunghezza:

Fascia di altitudine attraversata: 106 – 463 m (s.l.m.)

Dislivello positivo: 673 m

Pendenza massima: 39%

Durata complessiva: 8 h soste incluse

Punto di sosta: Centro Visite Cà Carnè

3.2 Mappa e visione d'insieme del percorso

3.3 Profilo altimetrico

Rocca Cava-museo del Bivio via Bivio Croce Centro Visite Bivio Rocca Torre dell’orologio
Monticino Rontana –via CAI 505/CAI 511A Monte Cà Carnè CAI 511 basso/CAI 511 alto
Valloni Rontana
3.4 Descrizione del percorso
6 ASPETTI DI INTERESSE STORICO CULTURALI LEGATI ALLA TRADIZIONE

6.1 L’OLIO DI BRISIGHELLA


La zona di Faenza vanta caratteristiche climatiche e morfologiche ottimali per favorire la coltivazione
dell'oliva, grazie alle quali nasce un prodotto tipico salutare e genuino, l'olio extravergine di
oliva Brisighella Dop. Alla bassa altitudine dei 115 metri che caratterizza i borghi della collina, la coltura
dell'olivo, protetta dai venti freddi di levante grazie alla conformazione ad anfiteatro della valle, e da
quelli del nord da una barriera naturale di gesso, ha trovato un microclima temperato ideale, dando vita a
questo prodotto di grande qualità. Tutto ciò ha contribuito a creare un microclima adatto alla coltura
dell’olivo. La coltura si è poi adattata nei secoli (reperti storici ne fanno risalire la presenza fin dall’epoca
romana), selezionando quel germoplasma presente nella cultivar “Nostrana di Brisighella”, che insieme
alla sua varietà impollinante “Ghiacciola”, ne fanno l’unicum di coltura formante la DOP.
La zona di produzione comprende, in tutto o in parte, il territorio amministrativo dei comuni di Brisighella,
Faenza, Riolo Terme, Casola Valsenio, Modigliana.

6.1.1 LA TRADIZIONE
Questa parte dell’Appennino fin dalla preistoria è rinomata per la presenza spontanea dell’ulivo che
ancora oggi domina i paesaggi. La produzione dell’olio di oliva ha origini antichissime, confermate anche
dal ritrovamento di un piccolo frantoio ad uso familiare risalente all'epoca romana, intorno al II secolo
a.C. Documenti ed atti notarili del Quattrocento e Cinquecento ci hanno tramandato testimonianze scritte
sull'attività oleicola per arrivare fino a testi del XIX secolo.

Il passaggio da una produzione destinata principalmente alla commercializzazione è invece storia recente,
iniziata con la fondazione del frantoio sociale della Cooperativa Agricola Brisighellese nel 1970: la C.A.B.
Terra di Brisighella nasce da un’idea di 16 viticoltori e olivicoltori nel lontano 1962; nel 1971 l’azienda si
arricchisce del frantoio e realizza la prima molitura.

Attualmente 500 soci, costantemente tesi al raggiungimento del massimo livello qualitativo ed
organolettico dell’olio, moliscono esclusivamente olive di loro produzione e questo prezioso "liquido" è
confezionato e venduto dalla Cooperativa con una produzione che si aggira sui 60 mila litri di olio
all’anno.

Già nel 1975 il Consorzio promosse l’iniziativa per offrire una precisa identificazione di tipicità ed origine
agli oli extravergini di oliva di sua produzione: attribuendo una denominazione specifica ai propri
prodotti, numerando le bottiglie e garantendone analiticamente la qualità, ha voluto preservare un
prezioso patrimonio di aromi e fragranze raggiunti tramite l'utilizzo di olive a ridotta resa in olio e con la
"sapiente lavorazione" della molitura a freddo effettuata nel frantoio aziendale.
6.1.2 LA PRODUZIONE
Gli olivi in predominanza “Nostrana di Brisighella” coprono una superficie di circa 300 ettari. Gli uliveti
devono presentare una densità di impianto variante fra 200 e 550 piante per ettaro e la produzione
massima per ettaro non può superare i 5.000 chilogrammi. Per l’estrazione dell’olio sono ammessi solo
processi meccanici e fisici atti a produrre un olio che presenti il più fedelmente possibile le caratteristiche
peculiari originarie del frutto. Viene sempre spremuto entro 4 giorni dalla raccolta, uno dei segreti che
rende quest’olio tanto speciale. Le olive vengono raccolte al giusto punto di maturazione nel periodo
compreso tra il 5 novembre e il 20 dicembre di ogni anno, la raccolta avviene a mano per brucatura, ma
nel contempo si ricorre ad agevolatori meccanici per lo scuotimento. La consegna al frantoio avviene
giornalmente in piccole cassette. Per l’estrazione dell’olio sono ammessi soltanto processi meccanici e
fisici atti a produrre oli che presentino più fedelmente possibile le caratteristiche peculiari ed originarie del
frutto.

Il meglio della produzione viene ulteriormente selezionato e denominata Brisighello, un intenso


extravergine frutto della selezione esasperata dei “cru” di produzione, estratto a freddo per
sgocciolamento. Viene inoltre imbottigliato il “Nobil Drupa“, un extravergine di produzione limitatissima
derivante dalla molitura a freddo della varietà “Ghiacciola”, un’altra cultivar del posto, presente solo in
pochi esemplari nell’areale di Brisighella.

Le olive subiscono innanzitutto il processo di deflorazione e lavaggio: si tratta di asportare mediante


flusso d'aria le foglie rimaste dalla raccolta. Il lavaggio, con apposita macchina vibrante, permette di
lavare le olive così da renderle perfettamente pulite.
Segue la frangitura: un’operazione meccanica che rompe le olive triturandole. Le cellule della polpa
rompendosi fanno uscire le gocce di olio dai vacuoli.
A questo punto per non disperdere l'olio bisogna effettuare la gramolazione: un rimescolamento continuo
e lento della pasta di olive allo scopo di favorire l'aggregazione delle piccole goccioline sparse di olio fra di
loro facendole diventare più grandi. Per favorire quest’aggregazione, nell'intercapedine del telaio della
gramola circola acqua riscaldata (25°). I tempi di gramolatura della pasta variano fra i 20 ed i 40 minuti.
Dopo la gramolatura si deve separare nella pasta la parte solida (sansa), dalla parte liquida (olio e
acqua), con un sistema a due fasi: la prima è il percolamento (metodo sinolea) e la seconda è la
centrifugazione (metodo decanter).
L'estrazione dell'olio dalla pasta di olive mediante il sistema del percolamento, è resa possibile dalle
differenti tensioni interfacciali dell'olio e dell'acqua di vegetazione rispetto ad una lamina di acciaio che
separa il mosto oleoso dalla parte solida.
Il decanter invece è una centrifuga orizzontale che riceve la pasta di scarico dalla sinolea, in parte
disoleata. Dopo una leggera rigramolatura questa viene immessa nel decanter da dove ne esce l'ultima
percentuale di olio-mosto, e la sansa da inviare al sansifìcio o da restituire agli uliveti come ammendate
organico concimante.
Da i mosti oleosi si deve ora separare l’olio dall’acqua di vegetazione mediante la centrifugazione, che
avviene con centrifughe autopulitrici, che effettuano in movimento lo scarico automatico dei frammenti di
polpa, e separano l’acqua dall’olio.
L'olio è subito commestibile (anche se presenta un flavor di “Fruttato Selvaggio”). La frazione “acqua di
vegetazione” è asportata subito nei campi dove viene utilizzata come fertirrigazione nello stesso uliveto.
L'olio è depositato in contenitori di acciaio inox e conservato nel magazzino a 15 °C.
Durante il periodo di stazionamento nei serbatoi di acciaio si ha una decantazione naturale dell’olio,
(precipitazione di quelle poche particelle solide in sospensione). L’olio così da torbido diventa opalescente,
in seguito il travaso in altro recipiente elimina il deposito precipitato.
Il confezionamento avviene in bottiglie di vetro scuro (la luce è nociva per l’olio) di diverse capacità, in
numero e tipologie legate alle varie selezioni.

6.1.3 LE CARATTERISTICHE
Il Brisighello è il primo olio extra vergine di oliva commercializzato con l’etichetta Dop dell’Unione
Europea, già dal marzo 1996. E' di colore verde smeraldo, con riflessi dorati, odore di fruttato medio o
forte, con sensazione netta di erbe o ortaggi, sapore di fruttato con leggera sensazione di amaro e
leggera o media sensazione piccante e con un basso livello di acidità. Si caratterizza per il profumo
persistente di carciofo e di oliva, e per il sapore vellutato, dolce e ammandorlato.

6.1.4 LA CUCINA
L’uso del Brisighella DOP, essendo molto pregiato, è spesso riservato al condimento di pietanze ricercate.
Tra gli abbinamenti gastronomici eccelle sul pesce in genere, con valenza particolare per le triglie, il
rombo e il dentice, ma esalta al massimo il suo sapore aggiunto a crudo su ragù di pesce, carne (tutte le
carni bianche cotte al forno o alla griglia) e selvaggina.
6.2 Aspetti Naturalistici

Il gesso è indubbiamente la roccia più peculiare dell'Appennino romagnolo e dà luogo ad una roccia
grigiastra formata dall’aggregazione di grossi cristalli prismatici geminati a “coda di rondine” o a “ferro di
lancia” chiamata anche gesso selenitico o selenite (dal greco selene = luna) per gli argentei riflessi lunari.
A Brisighella, percorrendo la sterrata che costeggia la chiesa del Monticino (sentiero CAI 511) si arriva in
pochi minuti alla ex cava in cui il fronte estrattivo ha creato una parete rocciosa che si presenta oggi
come una vera e propria sezione geologica: la cava-museo del MONTICINO.
La cava prende il nome del Santuario omonimo posto a fianco del fronte roccioso. Nella letteratura
tecnica è detta anche “cava del Molinone” in riferimento alla fornace da gesso rispettivamente posta a
valle della stessa.

6.2.1 Museo Geologico del Monticino


Dal punto di vista geologico, l’apertura del fronte di cava ha permesso di portare alla luce magnifici
affioramenti rocciosi che hanno facilitato lo studio del sottosuolo: perfettamente riconoscibili sono alcuni
degli strati gessosi che compongono la Vena che sono un eccellente laboratorio naturale per comprendere
la prima fase della crisi di salinità, lo straordinario evento geologico che nel Messiniano (Miocene
superiore), tra 5.970.000 e 5.600.000 di anni fa, ha trasformato il bacino del Mediterraneo in una
gigantesca salina inospitale per la maggior parte delle forme di vita. L’origine di questa crisi è dovuta ad
un drastico cambiamento delle connessione con l’oceano Atlantico legate ai movimenti tettonici di
convergenza della placca africana verso quella europea. Questi movimenti hanno più volte mutato la
geografia dello stretto di Gibilterra e il risultato più spettacolare è stato l’aumento della salinità delle
acque del Mediterraneo che si sono trasformate in salamoie inospitali, dove potevano vivere solo alcuni
gruppi di batteri. La crisi di salinità messiniana ha prodotto 16 strati di selenite della Vena del Gesso
(Gessi Inferiori Primari) con cristalli lunghi fino a due metri che contengono fossilizzati al loro interno
filamenti di cianobatteri. Appena terminata la deposizione del gesso l’area e stata coinvolta da importati
eventi tettonici che hanno innescato enormi frane sottomarine provocando lo smembramento della
formazione gessosa e la deposizione dei Gessi Inferiori Risedimentati. Successivamente la Vena del Gesso
venne poco alla volta sommersa da ambienti lagunari e palustri che la ricoprirono con pochi metri di
melme ciottolose contenenti caratteristici molluschi di habitat salmastro e resti di vertebrati continentali
(Formazione a Colombacci). Il ripristino del collegamento tra Atlantico e Mediterraneo – verificatosi 5,3
milioni di anni fa - determinò un’invasione di acque marine oceaniche che ricoprirono la paleo-Vena del
Gesso, ammantata dai sottili depositi dei “Colombacci”, con una spessa coltre di fanghi marini: i depositi
della Formazione Argille Azzurre rappresentano infatti antichi fondali, tranquilli e piuttosto profondi.

Nel Parco Museo del Monticino è quindi possibile “toccare con mano” ben tre superfici-chiave del
Messiniano: la base dei gessi, la discordanza angolare intra-messiniana e il limite Miocene/Pliocene. In
particolare, va rimarcata l’evidentissima discordanza angolare che separa le evaporiti gessose, inclinate di
quasi 60°, dai sovrastanti depositi mio-pliocenici della F.ne a Colombacci e della F.ne Argille Azzurre,
inclinati di circa la metà.
6.2.2 Museo Paleontologico

In alcuni crepacci intercettati dalle attività estrattive nella cava-museo del Monticino è stato scoperto un
giacimento paleontologico di eccezionale ricchezza: le ossa fossili recuperate appartengono a decine di
specie di vertebrati terrestri vissuti alla fine del Messiniano (almeno 40 sono i mammiferi differenti
identificati).
Relativamente agli aspetti paleontologici, va qui sottolineato che tutti i depositi affioranti nel Parco Museo
del Monticino risultano fossiliferi e i resti rinvenuti hanno contribuito non poco alla ricostruzione degli
antichi ambienti succedutisi nel tempo.

Ricostruzione ipotetica dell’ambiente tardo-miocenico “romagnolo” basata sui ritrovamentinella cava-museo del Monticino

Nell’ordine sono documentati: un paleoambiente marino abbastanza profondo (molluschi e pesci fossili
nei “ghioli di letto”); lagune costiere soggette a cicliche fasi evaporitiche (soprattutto fossili di pesci, tra i
quali Ciclidi di acque dolci tropicali, dagli interstrati della F.ne Gessoso-solfifera); ambienti continentali sia
terrestri che paludosi o salmastri di Lago- Mare (vertebrati e molluschi nella F.ne a Colombacci); infine
nuovamente ambienti di mare aperto (principalmente microfossili, ma anche molluschi, squali e cetacei
dalle Argille Azzurre).

Ma i reperti di gran lunga più importanti del Monticino sono rappresentati dall’eccezionale paleofauna a
vertebrati terrestri del Messiniano finale, rinvenuta in antiche cavità carsiche riempite da sedimenti della
Formazione a Colombacci e messa in luce dai lavori di cava a partire dal 1985 .

Localizzazione delle numerose tasche fossilifere a vertebrati, rinvenute nella cava-museo del Monticino durante l’attività estrattiva tra il
1985 e il 1991
6.3 Il Borgo Medioevale tra i più belli d’Italia: BRISIGHELLA

Brisighella è un comune di 7598 abitanti in provincia di Ravenna, ubicato a 115 metri s.l.m. nella
bassa Valle del Lamone, alle pendici dell'Appennino tosco-romagnolo.
Il borgo è caratterizzato da tre pinnacoli rocciosi (i "Tre Colli"), su cui poggiano la rocca
manfrediana (sec. XIV), il santuario del Monticino (sec. XVIII) e la torre detta dell'Orologio, ricostruita
nell'Ottocento sulle rovine di un preesistente insediamento difensivo del XII secolo.

6.3.1 La Torre dell’Orologio

In origine era il fortilizio fatto erigere nel 1290 da Maghinardo Pagani da Susinana con massi squadrati di
gesso, per controllare le mosse degli assediati nel vicino castello di Baccagnano.
Fino al 1500 costituì, insieme alla Rocca, il sistema difensivo del centro abitato.
Danneggiata e ricostruita più volte, la torre fu completamente rifatta nel 1850 e nello stesso anno vi fu
posto anche l’orologio col particolare quadrante a sei ore.
6.3.2 La Rocca

Panorama con la Rocca Manfrediana sullo sfondo

La Rocca, datata 1228 e caratterizzata da torri cilindriche (di cui la più alta è del 1503), fu costruita dai
veneziani, nel breve periodo del loro dominio sulla Romagna (1503-1509).
L'edificazione dell'attuale rocca venne iniziata da Francesco Manfredi, signore di Faenza, all'inizio del XIV
secolo. Salvo un breve periodo dal 1368 al 1376, la fortificazione rimase nel dominio della famiglia
Manfredi fino all'anno 1500, passando in seguito a Cesare Borgia per tre anni. Dal 1503 al 1509
appartenne alla Repubblica di Venezia, che realizzò il grandioso mastio in aggiunta al preesistente
torricino, e le mura sui due lati.
In seguito, il territorio entrò a far parte dello Stato Pontificio e, verso la fine del XVI secolo, la sommità
dei due torrioni venne ricoperta da un tetto. Dopo un breve parentesi napoleonica, la rocca ritornò al
Papa, fino al 1860 quando la Romagna entrò a far parte del Regno d'Italia.
All'inizio del XXI secolo, il castello è stato completamente restaurato, rinforzando le strutture murarie e
valorizzando il complesso architettonico, anche con una speciale illuminazione. La scala di accesso alla
Torre Manfrediana della Rocca è una passeggiata nella storia che, partendo dalla frequentazione delle
grotte della Vena del Gesso in età Protostorica per motivi funerari e di culto, attraversa l’età Romana -
con lo sviluppo dell’attività estrattiva del prezioso lapis specularis, il vetro di pietra- per arrivare al
Medioevo e al Rinascimento, con il fenomeno dell’incastellamento che vede le creste gessose protagoniste
della costruzione di rocche e castelli.
La sala alta della Torre Manfrediana espone i reperti archeologici ritrovati nella Vena del Gesso e risalenti
a queste tre diverse fasi di frequentazione.
La Torre Veneziana (sulla sinistra) è tutta dedicata al Medioevo e al Rinascimento e spiega la funzione e
l’uso dei locali visitati nel percorso espositivo. Infine, in fondo al cortile interno, si può visitare la
cannoniera e approfondire la conoscenza della funzione difensiva delle opere fortificate.

Schema delle sale espositive del museo all'interno della Rocca di Brisighella
6.3.3 Il Santuario della Madonna del Monticino

Qui è venerata una sacra immagine in terracotta policroma di autore ignoto, datata 1626, collocata in
origine in un piccolo tabernacolo nei pressi di Porta Buonfante.
Nel 1662 fu traslata in una cappella, dove oggi sorge il Santuario, sul colle che si chiamava allora Monte
Cozzolo o Calvario, forse perchè dirupato e scosceso.
Nel 1758 fu edificato l’attuale santuario che, nel corso del tempo, ha avuto numerosi rifacimenti.
L’odierna facciata fu rifatta su progetto del prof. Edoardo Collamarini nel 1926 in occasione del III
centenario della sacra Immagine. Gli affreschi interni risalgono al 1854 e sono opera del faentino Savino
Lega.
6.3.4 Pieve di San Giovanni in Ottavo e Cripta

La Pieve di San Giovanni in Ottavo (detta Pieve del Tho) si incontra poco oltre un chilometro da
Brisighella. E’ la Pieve più antica sorta nella Valle del Lamone.
Le origini della Pieve sono tanto remote quanto incerte. Se la vulgata vuole che la pieve risalga all'epoca
della figlia di Teodosio, Galla Placidia, che l'avrebbe fatta erigere con i resti di un tempio pagano dedicato
a Giove Ammone, quel che è certo è che sia già menzionata in un documento ravennate del 909, mentre
da una bolla papale del 7 Dicembre 1143 risulta che la Plebs Sancti Johannis in Octavo fosse l’unica pieve
esistente del territorio.
La primitiva chiesa, sorta probabilmente tra l'VIII e il X secolo e andata distrutta, fu poi ricostruita in stile
romanico nel corso dell’XI secolo (con un successivo ampliamento di XVI secolo) nelle forme che ancora
oggi ammiriamo.
È detta "in ottavo" (e da ottavo, tho) perché collocata all'ottavo miglio della Via Faventina (indicata nella
Tavola Peutingeriana), la strada romana che congiungeva Faenza e l'Etruria.
La Pieve del Tho è un suggestivo tempio in stile romanico a tre navate, definite da archi che poggiano su
11 colonne di marmo grigio e una in marmo rosso di Verona, di spessore diverso fra loro.
L’edificio è largo 13.20 metri e lungo 26.60 metri. La facciata, semplice e lineare, è costituita da
materiale di reimpiego, tra cui mattoni romani.
Tra i capolavori conservati all’interno della chiesa e che testimoniano l'antichità e l’importanza di questa
pieve della valle del Lamone si segnalano un miliario romano iscritto databile al IV secolo e un capitello
corinzio (pertinente a un'acquasantiera) del I secolo a.C. (entrambi di reimpiego), una lastra che ora
funge da paliotto dell'altare centrale (VIII-IX sec.), una lapide funeraria in ceramica (XVII sec.) e alcuni
affreschi dei secoli XIV-XVI
6.3.5 Giardino di Ebe

Particolare "giardino zen"

Particolarissima opera dello scultore giapponese Hidetoshi Nagasawa, realizzata nell'anno 2000 di fronte
alla chiesa di San Francesco, in pratica si tratta di un labirinto realizzato con pietre di gesso, tra gli
ambienti aperti si trova anche una pianta di ulivo. Per entrare nell'opera occorre inchinarsi e ho letto che
l'artista ha interpretato questo gesto come un omaggio da rendere a questa splendida terra in cui si
trovano gesso, argilla e ulivi. Da visitare, Alessandro e Ramona.

Ne Il giardino di Ebe con l’artista giapponese


Hidetoshi Nagasawa
Hidetoshi Nagasawa, artista giapponese che vive e lavora a Milano, trapiantato in Italia dal 1967, si
muove coi suoi giardini e opere ambientali a cavallo di due culture. Anche se il punto di partenza di certe
opere dell’artista sono i giardini zen della tradizione giapponese, gli esiti ottenuti sono ibridi nati da una
continua elaborazione e riflessione personale. I giardini di Nagasawa sono organismi viventi che
vivono di un rapporto osmotico col paesaggio e l’ambiente urbano preesistenti perché come l’artista ama
ribadire, la buona scultura somiglia alla natura. Nel 2000 Nagasawa realizza presso il borgo medievale di
Brisighella Il giardino di Ebe. L’aspetto è quello di un labirinto in miniatura costruito sul sagrato della
piccola chiesa di S. Francesco a cui si giunge da una stradina in salita. Il giardino è costituito non da
piante e fiori, bensì da pietre di gesso. La scelta della pietra di gesso è determinata da un desiderio di
mimetizzazione dell’opera con il circostante dove è abbondante l’uso dello stesso materiale. Un muretto
dai percorsi irregolari si svolge in tre piccoli vani a cui si accede tramite piccole aperture, archi di
passaggio che fanno del minuto labirinto un diaframma tra dentro e fuori, un confluire e fondersi tra
interno ed esterno. Il giardino si fa in questo caso scultura metaforica della realtà e in particolare delle
dimensioni parallele che esistono nella vita. L’attraversamento del labirinto, passando da una stanza
all’altra, avviene inconsciamente senza che ci si accorga, come se si trattasse di un unico ambiente, come
se la realtà fosse una sola, proprio come avviene nella vita con il fluire e coesistere di situazioni parallele.
Il labirinto che si rivela dall’alto come moltissime altre opere dell’artista, sostiene un altro gioco caro a
Nagasawa, quello dello sdoppiamento. Un’opera come Il giardino di Ebe stimola l’immaginazione
dello spettatore ad ideare un altro io, si può infatti osservare da fuori immaginandosi all’interno e
viceversa. Se i labirinti rinascimentali hanno simboleggiato il cammino verso la conoscenza, il lavoro di
Nagasawa è un cammino verso un nuovo modo di esperire e percepire, allo spettatore non resta che
decifrare l’ambiente interpretandone le relazioni geometriche, simboliche, spaziali e temporali per dare
una collocazione a sé stesso. Come nei giardini zen il vuoto delle piccole stanze di gesso de Il Giardino
di Ebe solleticano la mente del visitatore che si trova ad interagire con l’opera in modo del tutto
personale. Veniamo ora al titolo, Ebe era figlia di Giove e Giunone, dotata di bellezza e giovinezza eterne
e bellezza ed eternità sono simbolicamente espresse nell’opera dell’artista. Dunque un’iniziazione del
fruitore dell’opera al concetto astratto di bellezza, che secondo la cultura orientale è insita nella natura, e
a quello del tempo, inteso come spazio mobile e mutabile fra due accadimenti. E dove è il giardino? A
questa domanda risponde direttamente Nagasawa in una vecchia intervista dove dice che ognuno dei suoi
lavori è influenzato dalla natura e che in essa si nascondono molte cose, moltissime mimetizzazioni e lui
va cercando la verità dove è più nascosta, sulle tracce del segreto della natura che cela il possibile
contatto con l’universo e i suoi misteri. Se la scultura somiglia alla natura come Nagasawa afferma e
quindi non c’è competizione, ma armonica fusione, ecco svelato l’enigma de Il giardino di Ebe. In
fondo quest’opera dell’artista ha un che di organico nel suo movimento implicito, la natura è vita e la vita
in questo caso si fa pensiero, idea, interrogativo. Il giardino da sempre è metafora dell’esistenza e dello
sguardo dell’uomo sul mondo è per ciò che ha rappresentato ieri è anche spazio della memoria perché
per Nagasawa col passato non c’è rottura, ma continuità. Anche il giardino di Ebe non si sottrae a questa
pregnanza simbolica ed anzi si arricchisce di quel bagaglio culturale proveniente dalla tradizione dei
giardini zen reinterpretata da un artista così originale ed indipendente da farla incontrare e confrontare
con quella occidentale, in questo caso latina.

I giardini del SolLevante


di Serena Ghilardi

“Chi siamo?” e “cosa facciamo?” sono le domande classiche della coscienza umana che riflettono il
bisogno di trovare le radici profonde, il luogo-spazio primordiale a cui apparteniamo. Le origini dell’uomo
sono fortemente collegate alla Natura, già nell’antichità questa stretta relazione si esprimeva attraverso
l’arte delle incisioni rupestri e si è espressa nel tempo, sotto varie forme fra cui anche quella dei giardini,
da quelli storici a quelli attuali. Il giardino infatti non è mai stato solo un abbellimento, una semplice
appendice dell’architettura, ma un luogo privilegiato dove l’uomo prendeva le misure di sè stesso e del
mondo, un luogo di storia e allegorie che sono presenti in natura allo stato latente. Attraverso il giardino,
l’uomo si relaziona con lo spazio circostante in modo potente, diventa in un certo senso intimo col ciclo
della vita e lascia cadere le barriere dell’io. Il “locus amoenus” dell’umanesimo non era altro che un
giardino, uno spazio destinato al ristoro dell’anima, alla meditazione, una sorta di pensatoio e ancora oggi
ciò che vediamo e notiamo in un giardino è un po’ ciò che noi siamo. Tutto questo non è molto diverso in
Oriente, Cina e Giappone specialmente, dove l’arte del giardino ha anche espresso le più alte verità
religiose e filosofiche, proprio come altre civiltà hanno fatto uso di letteratura, pittura, danze rituali e
musica. Più ancora dei parchi di delizia cinesi dell’aristocrazia locale, sono stati i giardini giapponesi,
diffusisi un secolo dopo l’arrivo della filosofia zen in Giappone nel IV secolo d.C., ad avere un’eco
mondiale per la loro peculiarità. Simboli di ricerca interiore i giardini zen sono tuttora considerati una
forma d’arte che con l’originale design rappresentano la concezione giapponese dello spazio. All’origine
della nascita di questi giardini c’è un rispetto della natura che si esprime con rappresentazioni astratte di
un utopico mondo del tempo e del suo movimento, derivante dalla religione e dalla filosofia. Il loro denso
simbolismo spirituale è aleggiato dal potere di associazione di opposti, yang-yin come ad esempio forza-
fragilità, luce-tenebre, uomo-donna, degli elementi utilizzati, generalmente pietre, sabbia, piante, acqua.
I giardini zen hanno di base un impianto mimetico della natura, anche se non rigorosamente fedele,
quindi una roccia sempre ben selezionata per le sue caratteristiche estetiche e per l’associazione a valori
storico culturali, rappresenta una montagna o un’isola, l’acqua un lago o un fiume e così via. Sempre
comunque, anche quando l’acqua viene sostituita dalla sabbia rastrellata, anche quando la bellezza si fa
austera, sempre, un giardino zen sottende la transitorietà di tutte le cose. Un attento studio della
disposizione degli elementi fa in modo tale che i giardini giapponesi appaiano più vasti delle loro
dimensioni reali. Una certa “over-spazialità” di alcune aree, insinua infatti nello spettatore un senso
d’incompletezza, di perdita di veduta a cui si cerca poi di provvedere in accordo con la propria
immaginazione. Per questo nel loro spazio seppure brevissimo molti giardini zen riassumono l’universo.
Una particolare tipologia di giardino zen, nato come giardino templare, possiede spiccatamente questa
caratteristica: il kare sansui ovvero il paesaggio arido o ancora giardino di pietra. Si tratta di giardini
senza fiori, nè piante, senza ponticelli ad arco su laghetti con pesci, ma costituiti da poche rocce sparse
su un’area coperta di sabbia rastrellata. Certo è che sia lo si veda come un giardino, sia come una
scultura o un dipinto, le astratte relazioni di un kare sansui, e la sua austera bellezza, conducono lo
spettatore ad uno stato di sospensione, meditazione, contemplazione. Non avendo nè fiori nè foglie
questa tipologia di giardino non è dipendente dal passare delle stagioni e dalla bellezza come
temporaneità, per questo motivo in Giappone sono oggetto di contemplazione, in quanto commento alla
transitorietà della vita. La bellezza dei giardini di pietra risiede nelle relazioni tra sabbia e pietra. Il
rapporto tra verticalità e orizzontalità, forme piatte, rotonde o aguzze delle pietre esprimono concezioni
filosofiche oltre che estetiche. Il vuoto e il silenzio liberano la mente dall’ossessione del dettaglio,
finalmente la mente si può muovere in uno spazio libero. Fra le rocce si stabiliscono delle tensioni spaziali
di cui le pietre divengono i fuochi. Asimmetria, variazioni, forme e simboli si creano e svaniscono
continuamente nella nostra mente che non distingue più fra forma e vuoto, ma si muove liberamente tra i
due. Il vuoto espressivo esiste nell’arte visuale e nel tempo, il silenzio nella musica e nella poesia. In
questi giardini non c’è una rievocazione di un sentimento di solitudine come in un quadro di Dalì, Tanguy
o De Chirico. Non c’è nemmeno l’uomo o la sua assenza, nulla è connesso alla vita umana. In alcune
opere surrealiste si avverte una separazione, un isolamento della forma nello spazio e l’associazione
simbolica è quella dell’uomo perso nell’infinito. Un kare sansui è libero da simili associazioni emotive, le
rocce non sono forme indipendenti e in opposizione al resto, bensì parti immerse e correlate al tutto. Se
l’esistenzialismo e il dualismo contraddistinguono le scheletriche e consumate figure di Giacometti
nell’evidente scontro fra nulla-infinito e uomo, non hanno motivo d’essere nei giardini zen, dove non
esistono separazioni o opposizioni. Alla base di questa “assenza” di contrasti c’è la concezione buddista di
un oggetto o di una forma come evento, non come cosa o sostanza.

6.3.6 Pieve di Santa Maria in Rontana

Indicazioni stradali

Pieve di Santa Maria in Rontana


CONDIVIDI
Via Valloni, 47, 48013 Brisighella RA
6P9W+WM Brisighella, RA
brisighellaospitale.it
Brisighella si racconta: Pieve di
Rontana, sulle tracce di un più
antico edificio di culto
Mentre gli archeologi stanno indagando l’area del castello, la ricerca archivistica apporta nuovi
dati al sito delle antiche pievi di Rontana. È quanto afferma lo storico di Solarolo, Lucio Donati,
alla luce di nuove rivelazioni e a breve partiranno i sondaggi per rintracciare eventuali strutture
di fondazione di un edificio più antico.

La Casa Rifugio Carnè nel cuore del Parco omonimo.

La professione di appassionato della ricerca storica su fatti, personaggi e monumenti del


territorio romagnolo porta Donati a frequentare con costanza le sale di studio degli archivi;
ora, al ‘piacere dell’archivio’ si aggiunge l’emozione della ‘scoperta’ sulle mappe catastali di una
pieve più antica, antecedente all’anno 892, e situata a un centinaio di metri a sud della casa
rifugio del Parco Carnè, “tuttavia – precisa lo storico – la situazione non è subito delineabile.”

Ma prima di giungere alla notizia occorre rifarsi ‘a monte’. In una pubblicazione del 1999, la
curatrice Roberta Budriesi afferma che “sul monte di Rontana nel 1901 fu innalzata una grande
croce dove sorgevano, perlomeno nel X secolo, la pieve e il castrum”, trattandosi altresì di “un
castello costruito attorno ad una chiesa più antica.”

La croce di Rontana come appare oggi


Da un recente saggio dell’archeologo Enrico Cirelli apprendiamo che “un edificio adibito alla
pratica funeraria è stato forse identificato all’interno dell’area sommitale del Monte Rontana”,
con tombe databili alla seconda metà del X secolo. In base ai documenti ravennati trascritti da
don Ruggero Benericetti, le attestazioni più antiche per la pieve di S.Maria datano al’892 (S.M.
in Rontano, sic), al 960 (S.M. Castro qui vocatur Rontano) e al 973 (S.M. in castro Rontano):
“nonostante l’apparenza – aggiunge Lucio Donati – non si può dedurre con certezza che la
chiesa si sia trovata per un certo periodo entro la cinta difensiva, ma poteva essere nelle
immediate vicinanze.”

Uno dei risultati degli scavi archeologici condotti nell’area sommitale del castello di Rontana
È questo il parere anche di Achille Lega il quale nel 1886 scriveva che la Pieve, che nell’anno
973 era ubicata dal lato di Angognano, fu portata poi sotto il castello dal lato di mezzogiorno.
Ancor meglio spiega Giovanni Cavina, nel 1964, che “la Pieve sorgeva su un terreno che alcuni
chiamavano “la pieve vecchia”, onde è a credere che la prima chiesa sorgesse in quel luogo; la
seconda fu poi eretta in località detta ancor oggi “Rontana vecchia”, quindi demolita e
ricostruita nel 1864 dove è oggi.

La pieve di Rontana come appare oggi


Nella schola di Angognano, presso beni della Pieve di Rontana e la via, è menzionato in data 12
ottobre 1542 (Notarile di Brisighella, volume 1423), un fondo “Pieve Vecchia”; è stato proprio
questo termine a suscitare la curiosità di Donati conducendolo verso nuove indagini
sull’identità di una costruzione più antica. L’analisi di documenti utili danno ora ragione alle
sue ipotesi.

Mappa catastale con la freccia indicante il fondo “Pieve Vecchia” dove partiranno a breve i sondaggi
Il terreno della Pieve è rintracciabile nel fondo “i Carneri” (oggi Carnè) in un catasto del 1798 e
ancora nel catasto napoleonico-pontificio (località Pieve vecchia) ai mappali 996 e 997 della
sezione di Brisighella, foglio VII (Archivio di Stato Ravenna, Vecchio Catasto); le due pezze
sono ubicate a cavaliere dell’antica strada che da casa Collina portava alla casa Carnè, un
centinaio di metri a sud di quest’ultima dove la tesi di Donati ubica la Pieve Vecchia.

Panorama sul Parco Carnè visto da Casa Collina


“Poiché questa prima Pieve non poteva essere definita “in Rontana” – precisa – se ne deduce
che fosse stata istituita ben prima dell’anno 892, e s’intuisce ancor meglio perché Rontana, pur
sede di antico castello, non fu mai capoluogo di schola, come lo fu Angognano, la cui
importanza non è comunque da attribuire ad una chiesetta presente alle case di Angognano fra
XVI e XIX secolo, prima col titolo di San Giovanni Battista poi di S.Maria.”

“Si tratta ora di rintracciare eventuali strutture di fondazione della chiesa, – aggiunge lo storico
– e a breve partiranno i sondaggi.”

Margherita Rondinini
Souvenir del Borgo in un viaggio
di andata e ricordo
La storia e il presente di Brisighella coinvolgono centro storico e dintorni, fra memorie e
paesaggio, per identificare il paese come centro accogliente per il turista, fra arte, urbanistica e
ospitalità: spunti per un viaggiatore errante sul territorio a caccia di emozioni e immagini da
portare a casa esplorando in molteplici direzioni.

Geometrie del territorio in una tavolozza assortita di tonalità e sfumature che fanno l’identità del paesaggio brisighellese.
Predisporsi a fare arte è il primo approccio del visitatore col paese cogliendo colori, forme e
materiali del territorio. Personalissima quella del litografo Giuseppe Ugonia (1881-1944) che
spiccava le intimità di un paesaggio familiare dalla finestra del suo studio. Improntata, invece,
al rigore sistematico, quella di Gottfried Achberger, l’austriaco che ha misurato con scatti in
bianco e nero, facciate di case, pelle degli abitanti e mutevolezze del paesaggio.

La natura si rinnova in eterno, al contrario, case e persone mostrano in progressione indelebile i segni dei loro vissuti. Succede
allora che i solchi di un campo arato si avvicinano per similitudine alle screpolature di un infisso, scolpite come fronti corrugate e
sofferte. L’identità del territorio si avvicina all’identità delle persone (o viceversa) in una commistione di sofferenza e dignità
degne di un passato di gesta compiute.

Il Giardino di Ebe, il ‘coraggioso’ intervento (settembre 2000) dell’artista Hidetoshi Nagasawa, in vetta alla via Spada, nel centro
storico di Brisighella. Protette da un curioso labirinto a cielo aperto, le ‘stanze’ del giardino racchiudono quanto è caratteristica del
paesaggio: terra, argilla, gesso e una pianta di ulivo. In un gioco di gradini in salita si aprono minuscole porticine e le nostre
tradizioni ci guardano dall’alto. Impossibile non abbassarsi per potervi entrare e Nagasawa, piccolo giapponese di grande
sensibilità e alto senso del rispetto, ha colto questo atto come un doveroso inchino di riconoscenza verso le origini e quanto rende
vivo questo pezzo di Romagna.
Terra, argilla, gesso e ulivi sono i caratteri forti del territorio: se n’è accorto l’artista
giapponese Hidetoshi Nagasawa, trasformandoli in simboli nelle ‘Stanze di Ebe’, piccolo
labirinto a cielo aperto, in vetta a via Spada, fra gradini in salita e minuscole porticine che
proteggono una pianta di ulivo. Origini e tradizioni rendono speciale e vivo questo pezzo di
‘Romagna solatia’ e puntano ancora all’arte sulle arcate di via degli Asini con le pennellate di
sole incollate all’antica strada sopraelevata.

Gli ‘spicchi di sole’ di Hidetoshi Nagasawa (foto M.Benericetti)


Guardando poi il monumento ai Caduti, nel Parco delle Rimembranze, azzardo un’ipotesi:
forse nel sonno del Fante di Domenico Rambelli c’era già chiuso un sogno futuribile al risveglio.
E non già perché proiettato verso tempi migliori, da vivere in libertà, ma messaggero di nuove
idee, e capace di identificare il Borgo come paese ospitale per il turista.

La grandiosità plastica del monumento ai caduti della Grande guerra di Domenico Rambelli (1886-1972): fusione in bronzo che
poggia su un basamento di granito di Biella, abbassato per volontà dello scultore perché i bambini potessero salirvi e abbracciare il
fante.

Oggi l’incontro creativo con Brisighella diventa anche sostenibile e aperto a progettualità
d’insieme con soluzioni estetiche e scenografiche di richiamo, che trasformano il centro storico
in rassegna ‘verde’ di country life. L’idea è del Garden Bulzaga di Errano per una rinnovata
piazza Marconi vestita di arredi fioriti in cotto toscano e acciaio corten per i locali affacciati
sulla piazza, nei punti centrali del Borgo e interni a dimore storiche brisighellesi.
Uno degli allestimenti posizionati dal Garden Bulzaga nella centrale Piazza Marconi di Brisighella, sotto alla sopraelevata Via
degli Asini. (foto D.Malpezzi)
BIBLIOGRAFIA

Riconoscimenti: storia Curator — Consorzio di tutela della denominazione di origine protetta Olio Extra
Vergine di Oliva Brisighella
7. Info e Numeri Utili

Emergenza Sanitaria 118


Carabinieri 112
Polizia 113
Vigili del Fuoco – Pronto Intervento 115
Guardia Medica 800244244
Carabinieri di Brisighella 0546 81220
Polizia Municipale 0546 994429 / 0546 994443
Municipio 0546 994411
Vigili Urbani 0546 994429
Centro Antiveleni BOLOGNA 051 6478955

Farmacia Comunale, via Roma, 16 – 48013 Brisighella


Tel. 0546 81242

Parco Regionale Vena del Gesso Romagnola – 48013 Brisighella (RA)


Tel. +39 0546 81066
E-mail: parcovenadelgesso@romagnafaentina.it

Centro Visite Rifugio Ca Carnè, Via Rontana, 42 - 48013 Brisighella (RA)


Tel. +39 0546 80628
ivanofabbri@alice.it

U.I.T. Pro Loco, 48013 Brisighella (RA)


Tel. +39 0546 81166 o Ufficio Cultura del Comune di Brisighella 0546 994415
iat.rioloterme@racine.ra.it

Biblioteca Comunale, Piazzetta Pianori, 1 – 48013 Brisighella (RA)


Tel. 0546 81645

Agriturismo Torre Cavina, via Cavina 26/28 – 48013 Brisighella (RA)


Tel. 3348456240
info@agriturismodonnalivia.it

Agriturismo Monte del Sol, via Rontana, 54 – 48013 Brisighella (RA)


Tel. 0546 047023
info@montedelsol.it

BeB Casadelia, via G. Ugonia, 24 – 48013 Brisighella (RA)


Tel 328 1580070
www.casadelia.it

BeB Modus Vivendi, via Roma, 5/D – 48013 Brisighella (RA)


Tel. 393 8809684
info@rermodusvivendi.it

Caffè AURORA, Piazza Carducci, 3 – 48013 Brisighella (RA)


Tel. 377 6613693

AREA CAMPER, Piazza Donatori di sangue – 48013 Brisighella (RA)


Tel. 0546 81166

TAXI/AUTONOLEGGIO Faenza 0546 84973

TRENITALIA
89 20 21 per acquisto biglietti ed informazioni
199 89 20 21 servizio con risponditore automatico
www.trenitalia.com
8. Regolamento dell’escursione

Obblighi dei partecipanti

I partecipanti sono tenuti a:


• rispettare l’orario di partenza e il programma stabilito, adeguandosi alle eventuali variazioni apportate
dalla guida;
• presentarsi con una condizione psicofisica, un abbigliamento e un’attrezzatura adeguati all’escursione.
In caso di dubbi, confrontarsi con la guida prima della giornata dell’escursione;
• mantenere un comportamento disciplinato nel corso dell’iniziativa, rispettando le persone e le proprietà
private e attenendosi alle disposizioni impartite dalla guida;
• seguire il percorso stabilito senza allontanarsi o abbandonare il gruppo e senza superare la guida;
• collaborare con la guida per la buona riuscita dell’iniziativa, oltre a essere solidali con le sue decisioni,
soprattutto nel caso in cui dovessero insorgere delle difficoltà (condizioni ambientali e/o dei partecipanti)
e informarla di ogni problematica che dovesse emergere durante lo svolgimento delle attività
programmate, in particolare riguardo alle proprie condizioni psicofisiche e dell’attrezzatura;
• non raccogliere fiori, piante o erbe protette e comunque rispettare le indicazioni impartite dalla guida;
• conservare i propri rifiuti fino agli appositi cassonetti.

Ogni partecipante è personalmente responsabile di eventuali comportamenti rischiosi per sé e


per gli altri, in particolare nel caso in cui dovesse prendere iniziative personali nonostante il
parere contrario della guida.

Dichiarazione di idoneità

Accettando il presente regolamento, il Partecipante dichiara sotto la propria responsabilità di essere in


buona salute e in una condizione psico-fisica idonea alla pratica dell’escursione. Dichiara inoltre di aver
fornito alla guida ogni eventuale informazione utile alla corretta valutazione della propria idoneità.

Equipaggiamento obbligatorio

Abbigliamento “a strati”, pantaloni lunghi da escursione (possibilmente di colore chiaro), scarponi da


trekking in buone condizioni alti fino alla caviglia, giacca impermeabile e/o mantellina antipioggia,
copricapo, occhiali da sole, crema solare, zaino comodo e in buone condizioni, pranzo al sacco e scorta
personale di acqua di almeno 1,5 litri.
Consigliato l’uso dei bastoncini da trekking. Sconsigliato l’uso di indumenti di cotone a contatto con il
corpo: se possibile indossare capi di lana o capi tecnici da escursionismo.
Gli escursionisti non adeguatamente equipaggiati potrebbero, a giudizio insindacabile della guida, essere
esclusi dall’escursione direttamente sul luogo della partenza.

Cani

Il Partecipante che voglia partecipare accompagnato dal proprio cane ha l’OBBLIGO, in fase di
prenotazione, di comunicare alla guida la presenza dell’animale al seguito, per valutare l’idoneità e le
modalità di partecipazione. Sarà a discrezione della guida confermare o meno l’idoneità alla
partecipazione del singolo cane o di più cani contemporaneamente, anche in base a taglia, sesso,
carattere, e tipologia dell’escursione. NON saranno ammessi animali in calore o che abbiano terminato
tale periodo nelle due settimane precedenti all’escursione. Il cane al seguito deve essere docile e
facilmente controllabile; il Partecipante dovrà disporre dei mezzi di conduzione e controllo dell’animale
necessari a garantirne la corretta partecipazione (guinzaglio e/o museruola o affini). Sarà compito del
Partecipante assicurarsi che il proprio cane non arrechi danno o disturbo a cose, persone o animali, che
non danneggi la flora, le proprietà private, né gli altri escursionisti. La responsabilità relativa alla
conduzione del cane ed eventuali problematiche ad essa connesse, è esclusiva del Partecipante. La
mancata comunicazione della partecipazione del cane o la mancata ottemperanza alle disposizioni atte a
controllarlo, possono prevedere l’esclusione del Partecipante dall’escursione, anche al momento della
partenza.

Fotografie e riprese video

Nel corso dell’escursione verranno effettuati scatti fotografici e/o riprese video che possono comparire su
siti di pubblico dominio e che saranno utilizzati dall’organizzazione per finalità promozionali riguardanti
l’attività stessa. La partecipazione all’escursione sottintende il nullaosta alla pubblicazione del suddetto
materiale.

Telefoni cellulari

I partecipanti sono invitati a mantenere spenti i propri telefoni cellulari. Se questo non fosse possibile,
occorre comunque che le suonerie vengano disattivate. In caso di necessità, l’interessato è pregato di
allontanarsi dal gruppo previa comunicazione ed autorizzazione della guida, rimanendo comunque in vista
alla stessa.

Registrazione tracce GPS

Durante le escursioni è consentito l’utilizzo di strumentazione GPS a scopo di orientamento ma


partecipando l’accompagnato si impegna a non divulgare le eventuali tracce registrate.

Accettazione del regolamento

La partecipazione alle nostre escursioni comporta l’accettazione incondizionata del presente regolamento.
La quota di partecipazione comprende esclusivamente il servizio di accompagnamento.

Tutte le guide del gruppo sono iscritte ad AIGAE, l’Associazione Italiana Guide Ambientali
Escursionistiche. Hanno seguito selettivi e impegnativi corsi della Regione Emilia-
Romagna ottenendo così l’abilitazione a esercitare la professione. Sono assicurate come da disposizioni
della Legge Regionale Emilia R.- N.4 del 1/2/2000 e succ. modifiche.

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