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2. Inquadramento territoriale………………………………………………………………………………………………………………Pag. 4
3. Itinerario……………………………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 5
3.1. Dati Tecnici…………………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 5
3.2. Mappa e Visione d’insieme del percorso……………………………………………………………………………………Pag.
5
3.3. Profilo altimetrico………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 5
3.4. Descrizione del percorso……………………………………………………………………………………………………………Pag. 6
3.4.1. Aspetti logistici……………………………………………………………………………………………………………Pag. 15
4. Criticità……………………………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 18
4.1. Pericoli legati alla natura del terreno e a fattori meteorologici……………………………………………Pag. 18
4.2. Pericoli legati allo stato di conservazione/presenza della segnaletica…………………………………Pag. 19
4.3. Pericoli legati allo stato di salute……………………………………………………………………………………………Pag. 20
4.4. Pericoli legati alla flora e alla fauna………………………………………………………………………………………Pag. 20
4.5. Pericoli legati all’attività umana………………………………………………………………………………………………Pag. 21
5. Considerazioni…………………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 22
5.1. Target clientela/A chi si rivolge l’attività…………………………………………………………………………………Pag.
22
5.2. Aspetti climatici e stagionalità…………………………………………………………………………………………………Pag. 22
5.3. Punti raggiungibili dai soccorsi e connessione telefonica………………………………………………………Pag. 22
5.4. Percorsi alternativi/Attività alternative……………………………………………………………………………………Pag.
22
5.4.1. Piano B…………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 22
5.4.2. Piano C…………………………………………………………………………………………………………………………Pag. 25
6. Aspetti d’interesse……………………………………………………………………………………………………………………………Pag.
26
8. Regolamento dell’escursione…………………………………………………………………………………………………………Pag. 37
8.1. Norme per la frequentazione del Parco della Vena del Gesso Romagnola……………………………Pag. 39
1. Scelta del percorso
Lo scopo di questo itinerario è far conoscere e valorizzare gli aspetti storici e naturalistici di un territorio a
molti sconosciuto e ricco di grande fascino per chi lo attraversa con la calma e il rispetto dell'escursionista
curioso.
L’itinerario proposto, infatti, ripercorre la lunga storia del rapporto dell’uomo con questo territorio e con il
minerale che lo caratterizza: il GESSO.
Risalgono all’età del Rame le prime frequentazioni a noi note ma sono le attività estrattive del lapis
specularis protrattesi nel tempo ad aver influenzato maggiormente la storia, la vita sociale, l’economia e
il paesaggio della vallata del Lamone. L’origine stessa del termine “Brisighella” è legata al gesso e l’antico
nome “Castrum Gissi” è un esplicito riferimento alla nascita della prima fortificazione costruita “sopra un
sasso di gesso alto e spiccato a torno a torno, come uno scoglio”.
Le attività estrattive, che hanno costituito il tessuto socio economico di questo territorio, hanno purtroppo
anche avuto, nel tempo, ripercussioni importantissime sull’ambiente e sul paesaggio circostante tanto da
compromettere, in più occasioni, la stabilità dei monumenti, l’incolumità degli abitanti e il degrado
ambientale che per troppi anni hanno caratterizzato quello che oggi è considerato un parco museo a cielo
aperto.
A distanza di anni o di decenni dalla chiusura di cave e fornaci, i fronti estrattivi e gli opifici brisighellesi
assumono oggi una nuova valenza di patrimonio geologico e archeologico industriale in cui da un lato
rappresentano i segni tangibili dell’identità della comunità locale e dall’altro vanno considerati beni
culturali e meritano a mio avviso una riconversione in chiave museale, educativa ed eco-turistica anche
attraverso la proposta di questo itinerario.
Il sentiero che ci farà costeggiare la cava-museo del Monticino, per esempio, nasce con l’intento di
valorizzare quello che è stato elencato dal Servizio Difesa del Suolo, della Costa e Bonifica della Regione
Emilia-Romagna tra i migliori esempi regionali in fatto di buone pratiche per il recupero delle aree
minerarie dimesse nell’ambito del progetto europeo SARMa (Sustainable Aggregate Resource
Management). E’ questa la chiave di lettura che voglio proporre per poter sostenere che ambiente e
valorizzazione economica di un territorio possono e devono convivere e che questa è a mio avviso l’unica
strada possibile per un futuro sostenibile: tematica a me molto cara che ha caratterizzato i miei studi e il
mio impegno in ambito lavorativo e sociale.
Ritengo, infine, altrettanto importante preservare, in chiave identitaria per la comunità locale, le
testimonianze, i ricordi e il vissuto personale di chi nelle cave o fornaci brisighellesi ha lavorato.
Testimonianze di amici e conoscenti “gessaroli” e “fornaciai” raccolte nel docu-film “La memoria dei
Gessi” (documentario realizzato da Thomas Cicognani) che raccontano attraverso il filtro dell’esperienza
personale, l’estrazione del gesso nelle cave brisighellesi del Monticino e della sua cottura nella fornace del
“Molinone” negli ultimi anni di attività. E’ la conoscenza diretta di questi testimoni privilegiati del passato
della Vena (che approfondiremo durante la visione del documentario nell’aula didattica del Centro Visite
Ca Carnè) a rappresentare davvero il valore aggiunto di questa bellissima escursione.
2. Inquadramento territoriale
Il percorso scelto si sviluppa all’interno del Parco naturale della Vena del Gesso, istituito il 15 febbraio
2005 e il cui il toponimo geologico, affermatosi per indicare la dorsale di grossi banchi gessosi,
contrassegna per una ventina di chilometri il bordo romagnolo dell’Appennino tra le valli del Lamone e del
Santerno.
Il parco interessa un'area di circa 2.000 ettari per due terzi in provincia di Ravenna (comuni di
Brisighella, Casola Valsenio e Riolo Terme) ed un terzo in provincia di Bologna (valle del Sillaro).
Il punto di partenza è Brisighella: borgo, annoverato tra i più belli d’Italia, caratterizzato da tre pinnacoli
rocciosi (i "Tre Colli"), su cui poggiano la rocca manfrediana (sec. XIV), il santuario del Monticino (sec.
XVIII) e la torre detta dell'Orologio, ricostruita nell'Ottocento sulle rovine di un preesistente insediamento
difensivo del XII secolo.
Circondato da ulivi secolari, il borgo produce un prodotto principe dell’enogastronomia del territorio: l’olio
extravergine di oliva DOP “Brisighello”.
3. Itinerario
Lunghezza:
Rocca Cava-museo del Bivio via Bivio Croce Centro Visite Bivio Rocca Torre dell’orologio
Monticino Rontana –via CAI 505/CAI 511A Monte Cà Carnè CAI 511 basso/CAI 511 alto
Valloni Rontana
3.4 Descrizione del percorso
6 ASPETTI DI INTERESSE STORICO CULTURALI LEGATI ALLA TRADIZIONE
6.1.1 LA TRADIZIONE
Questa parte dell’Appennino fin dalla preistoria è rinomata per la presenza spontanea dell’ulivo che
ancora oggi domina i paesaggi. La produzione dell’olio di oliva ha origini antichissime, confermate anche
dal ritrovamento di un piccolo frantoio ad uso familiare risalente all'epoca romana, intorno al II secolo
a.C. Documenti ed atti notarili del Quattrocento e Cinquecento ci hanno tramandato testimonianze scritte
sull'attività oleicola per arrivare fino a testi del XIX secolo.
Il passaggio da una produzione destinata principalmente alla commercializzazione è invece storia recente,
iniziata con la fondazione del frantoio sociale della Cooperativa Agricola Brisighellese nel 1970: la C.A.B.
Terra di Brisighella nasce da un’idea di 16 viticoltori e olivicoltori nel lontano 1962; nel 1971 l’azienda si
arricchisce del frantoio e realizza la prima molitura.
Attualmente 500 soci, costantemente tesi al raggiungimento del massimo livello qualitativo ed
organolettico dell’olio, moliscono esclusivamente olive di loro produzione e questo prezioso "liquido" è
confezionato e venduto dalla Cooperativa con una produzione che si aggira sui 60 mila litri di olio
all’anno.
Già nel 1975 il Consorzio promosse l’iniziativa per offrire una precisa identificazione di tipicità ed origine
agli oli extravergini di oliva di sua produzione: attribuendo una denominazione specifica ai propri
prodotti, numerando le bottiglie e garantendone analiticamente la qualità, ha voluto preservare un
prezioso patrimonio di aromi e fragranze raggiunti tramite l'utilizzo di olive a ridotta resa in olio e con la
"sapiente lavorazione" della molitura a freddo effettuata nel frantoio aziendale.
6.1.2 LA PRODUZIONE
Gli olivi in predominanza “Nostrana di Brisighella” coprono una superficie di circa 300 ettari. Gli uliveti
devono presentare una densità di impianto variante fra 200 e 550 piante per ettaro e la produzione
massima per ettaro non può superare i 5.000 chilogrammi. Per l’estrazione dell’olio sono ammessi solo
processi meccanici e fisici atti a produrre un olio che presenti il più fedelmente possibile le caratteristiche
peculiari originarie del frutto. Viene sempre spremuto entro 4 giorni dalla raccolta, uno dei segreti che
rende quest’olio tanto speciale. Le olive vengono raccolte al giusto punto di maturazione nel periodo
compreso tra il 5 novembre e il 20 dicembre di ogni anno, la raccolta avviene a mano per brucatura, ma
nel contempo si ricorre ad agevolatori meccanici per lo scuotimento. La consegna al frantoio avviene
giornalmente in piccole cassette. Per l’estrazione dell’olio sono ammessi soltanto processi meccanici e
fisici atti a produrre oli che presentino più fedelmente possibile le caratteristiche peculiari ed originarie del
frutto.
6.1.3 LE CARATTERISTICHE
Il Brisighello è il primo olio extra vergine di oliva commercializzato con l’etichetta Dop dell’Unione
Europea, già dal marzo 1996. E' di colore verde smeraldo, con riflessi dorati, odore di fruttato medio o
forte, con sensazione netta di erbe o ortaggi, sapore di fruttato con leggera sensazione di amaro e
leggera o media sensazione piccante e con un basso livello di acidità. Si caratterizza per il profumo
persistente di carciofo e di oliva, e per il sapore vellutato, dolce e ammandorlato.
6.1.4 LA CUCINA
L’uso del Brisighella DOP, essendo molto pregiato, è spesso riservato al condimento di pietanze ricercate.
Tra gli abbinamenti gastronomici eccelle sul pesce in genere, con valenza particolare per le triglie, il
rombo e il dentice, ma esalta al massimo il suo sapore aggiunto a crudo su ragù di pesce, carne (tutte le
carni bianche cotte al forno o alla griglia) e selvaggina.
6.2 Aspetti Naturalistici
Il gesso è indubbiamente la roccia più peculiare dell'Appennino romagnolo e dà luogo ad una roccia
grigiastra formata dall’aggregazione di grossi cristalli prismatici geminati a “coda di rondine” o a “ferro di
lancia” chiamata anche gesso selenitico o selenite (dal greco selene = luna) per gli argentei riflessi lunari.
A Brisighella, percorrendo la sterrata che costeggia la chiesa del Monticino (sentiero CAI 511) si arriva in
pochi minuti alla ex cava in cui il fronte estrattivo ha creato una parete rocciosa che si presenta oggi
come una vera e propria sezione geologica: la cava-museo del MONTICINO.
La cava prende il nome del Santuario omonimo posto a fianco del fronte roccioso. Nella letteratura
tecnica è detta anche “cava del Molinone” in riferimento alla fornace da gesso rispettivamente posta a
valle della stessa.
Nel Parco Museo del Monticino è quindi possibile “toccare con mano” ben tre superfici-chiave del
Messiniano: la base dei gessi, la discordanza angolare intra-messiniana e il limite Miocene/Pliocene. In
particolare, va rimarcata l’evidentissima discordanza angolare che separa le evaporiti gessose, inclinate di
quasi 60°, dai sovrastanti depositi mio-pliocenici della F.ne a Colombacci e della F.ne Argille Azzurre,
inclinati di circa la metà.
6.2.2 Museo Paleontologico
In alcuni crepacci intercettati dalle attività estrattive nella cava-museo del Monticino è stato scoperto un
giacimento paleontologico di eccezionale ricchezza: le ossa fossili recuperate appartengono a decine di
specie di vertebrati terrestri vissuti alla fine del Messiniano (almeno 40 sono i mammiferi differenti
identificati).
Relativamente agli aspetti paleontologici, va qui sottolineato che tutti i depositi affioranti nel Parco Museo
del Monticino risultano fossiliferi e i resti rinvenuti hanno contribuito non poco alla ricostruzione degli
antichi ambienti succedutisi nel tempo.
Ricostruzione ipotetica dell’ambiente tardo-miocenico “romagnolo” basata sui ritrovamentinella cava-museo del Monticino
Nell’ordine sono documentati: un paleoambiente marino abbastanza profondo (molluschi e pesci fossili
nei “ghioli di letto”); lagune costiere soggette a cicliche fasi evaporitiche (soprattutto fossili di pesci, tra i
quali Ciclidi di acque dolci tropicali, dagli interstrati della F.ne Gessoso-solfifera); ambienti continentali sia
terrestri che paludosi o salmastri di Lago- Mare (vertebrati e molluschi nella F.ne a Colombacci); infine
nuovamente ambienti di mare aperto (principalmente microfossili, ma anche molluschi, squali e cetacei
dalle Argille Azzurre).
Ma i reperti di gran lunga più importanti del Monticino sono rappresentati dall’eccezionale paleofauna a
vertebrati terrestri del Messiniano finale, rinvenuta in antiche cavità carsiche riempite da sedimenti della
Formazione a Colombacci e messa in luce dai lavori di cava a partire dal 1985 .
Localizzazione delle numerose tasche fossilifere a vertebrati, rinvenute nella cava-museo del Monticino durante l’attività estrattiva tra il
1985 e il 1991
6.3 Il Borgo Medioevale tra i più belli d’Italia: BRISIGHELLA
Brisighella è un comune di 7598 abitanti in provincia di Ravenna, ubicato a 115 metri s.l.m. nella
bassa Valle del Lamone, alle pendici dell'Appennino tosco-romagnolo.
Il borgo è caratterizzato da tre pinnacoli rocciosi (i "Tre Colli"), su cui poggiano la rocca
manfrediana (sec. XIV), il santuario del Monticino (sec. XVIII) e la torre detta dell'Orologio, ricostruita
nell'Ottocento sulle rovine di un preesistente insediamento difensivo del XII secolo.
In origine era il fortilizio fatto erigere nel 1290 da Maghinardo Pagani da Susinana con massi squadrati di
gesso, per controllare le mosse degli assediati nel vicino castello di Baccagnano.
Fino al 1500 costituì, insieme alla Rocca, il sistema difensivo del centro abitato.
Danneggiata e ricostruita più volte, la torre fu completamente rifatta nel 1850 e nello stesso anno vi fu
posto anche l’orologio col particolare quadrante a sei ore.
6.3.2 La Rocca
La Rocca, datata 1228 e caratterizzata da torri cilindriche (di cui la più alta è del 1503), fu costruita dai
veneziani, nel breve periodo del loro dominio sulla Romagna (1503-1509).
L'edificazione dell'attuale rocca venne iniziata da Francesco Manfredi, signore di Faenza, all'inizio del XIV
secolo. Salvo un breve periodo dal 1368 al 1376, la fortificazione rimase nel dominio della famiglia
Manfredi fino all'anno 1500, passando in seguito a Cesare Borgia per tre anni. Dal 1503 al 1509
appartenne alla Repubblica di Venezia, che realizzò il grandioso mastio in aggiunta al preesistente
torricino, e le mura sui due lati.
In seguito, il territorio entrò a far parte dello Stato Pontificio e, verso la fine del XVI secolo, la sommità
dei due torrioni venne ricoperta da un tetto. Dopo un breve parentesi napoleonica, la rocca ritornò al
Papa, fino al 1860 quando la Romagna entrò a far parte del Regno d'Italia.
All'inizio del XXI secolo, il castello è stato completamente restaurato, rinforzando le strutture murarie e
valorizzando il complesso architettonico, anche con una speciale illuminazione. La scala di accesso alla
Torre Manfrediana della Rocca è una passeggiata nella storia che, partendo dalla frequentazione delle
grotte della Vena del Gesso in età Protostorica per motivi funerari e di culto, attraversa l’età Romana -
con lo sviluppo dell’attività estrattiva del prezioso lapis specularis, il vetro di pietra- per arrivare al
Medioevo e al Rinascimento, con il fenomeno dell’incastellamento che vede le creste gessose protagoniste
della costruzione di rocche e castelli.
La sala alta della Torre Manfrediana espone i reperti archeologici ritrovati nella Vena del Gesso e risalenti
a queste tre diverse fasi di frequentazione.
La Torre Veneziana (sulla sinistra) è tutta dedicata al Medioevo e al Rinascimento e spiega la funzione e
l’uso dei locali visitati nel percorso espositivo. Infine, in fondo al cortile interno, si può visitare la
cannoniera e approfondire la conoscenza della funzione difensiva delle opere fortificate.
Schema delle sale espositive del museo all'interno della Rocca di Brisighella
6.3.3 Il Santuario della Madonna del Monticino
Qui è venerata una sacra immagine in terracotta policroma di autore ignoto, datata 1626, collocata in
origine in un piccolo tabernacolo nei pressi di Porta Buonfante.
Nel 1662 fu traslata in una cappella, dove oggi sorge il Santuario, sul colle che si chiamava allora Monte
Cozzolo o Calvario, forse perchè dirupato e scosceso.
Nel 1758 fu edificato l’attuale santuario che, nel corso del tempo, ha avuto numerosi rifacimenti.
L’odierna facciata fu rifatta su progetto del prof. Edoardo Collamarini nel 1926 in occasione del III
centenario della sacra Immagine. Gli affreschi interni risalgono al 1854 e sono opera del faentino Savino
Lega.
6.3.4 Pieve di San Giovanni in Ottavo e Cripta
La Pieve di San Giovanni in Ottavo (detta Pieve del Tho) si incontra poco oltre un chilometro da
Brisighella. E’ la Pieve più antica sorta nella Valle del Lamone.
Le origini della Pieve sono tanto remote quanto incerte. Se la vulgata vuole che la pieve risalga all'epoca
della figlia di Teodosio, Galla Placidia, che l'avrebbe fatta erigere con i resti di un tempio pagano dedicato
a Giove Ammone, quel che è certo è che sia già menzionata in un documento ravennate del 909, mentre
da una bolla papale del 7 Dicembre 1143 risulta che la Plebs Sancti Johannis in Octavo fosse l’unica pieve
esistente del territorio.
La primitiva chiesa, sorta probabilmente tra l'VIII e il X secolo e andata distrutta, fu poi ricostruita in stile
romanico nel corso dell’XI secolo (con un successivo ampliamento di XVI secolo) nelle forme che ancora
oggi ammiriamo.
È detta "in ottavo" (e da ottavo, tho) perché collocata all'ottavo miglio della Via Faventina (indicata nella
Tavola Peutingeriana), la strada romana che congiungeva Faenza e l'Etruria.
La Pieve del Tho è un suggestivo tempio in stile romanico a tre navate, definite da archi che poggiano su
11 colonne di marmo grigio e una in marmo rosso di Verona, di spessore diverso fra loro.
L’edificio è largo 13.20 metri e lungo 26.60 metri. La facciata, semplice e lineare, è costituita da
materiale di reimpiego, tra cui mattoni romani.
Tra i capolavori conservati all’interno della chiesa e che testimoniano l'antichità e l’importanza di questa
pieve della valle del Lamone si segnalano un miliario romano iscritto databile al IV secolo e un capitello
corinzio (pertinente a un'acquasantiera) del I secolo a.C. (entrambi di reimpiego), una lastra che ora
funge da paliotto dell'altare centrale (VIII-IX sec.), una lapide funeraria in ceramica (XVII sec.) e alcuni
affreschi dei secoli XIV-XVI
6.3.5 Giardino di Ebe
Particolarissima opera dello scultore giapponese Hidetoshi Nagasawa, realizzata nell'anno 2000 di fronte
alla chiesa di San Francesco, in pratica si tratta di un labirinto realizzato con pietre di gesso, tra gli
ambienti aperti si trova anche una pianta di ulivo. Per entrare nell'opera occorre inchinarsi e ho letto che
l'artista ha interpretato questo gesto come un omaggio da rendere a questa splendida terra in cui si
trovano gesso, argilla e ulivi. Da visitare, Alessandro e Ramona.
“Chi siamo?” e “cosa facciamo?” sono le domande classiche della coscienza umana che riflettono il
bisogno di trovare le radici profonde, il luogo-spazio primordiale a cui apparteniamo. Le origini dell’uomo
sono fortemente collegate alla Natura, già nell’antichità questa stretta relazione si esprimeva attraverso
l’arte delle incisioni rupestri e si è espressa nel tempo, sotto varie forme fra cui anche quella dei giardini,
da quelli storici a quelli attuali. Il giardino infatti non è mai stato solo un abbellimento, una semplice
appendice dell’architettura, ma un luogo privilegiato dove l’uomo prendeva le misure di sè stesso e del
mondo, un luogo di storia e allegorie che sono presenti in natura allo stato latente. Attraverso il giardino,
l’uomo si relaziona con lo spazio circostante in modo potente, diventa in un certo senso intimo col ciclo
della vita e lascia cadere le barriere dell’io. Il “locus amoenus” dell’umanesimo non era altro che un
giardino, uno spazio destinato al ristoro dell’anima, alla meditazione, una sorta di pensatoio e ancora oggi
ciò che vediamo e notiamo in un giardino è un po’ ciò che noi siamo. Tutto questo non è molto diverso in
Oriente, Cina e Giappone specialmente, dove l’arte del giardino ha anche espresso le più alte verità
religiose e filosofiche, proprio come altre civiltà hanno fatto uso di letteratura, pittura, danze rituali e
musica. Più ancora dei parchi di delizia cinesi dell’aristocrazia locale, sono stati i giardini giapponesi,
diffusisi un secolo dopo l’arrivo della filosofia zen in Giappone nel IV secolo d.C., ad avere un’eco
mondiale per la loro peculiarità. Simboli di ricerca interiore i giardini zen sono tuttora considerati una
forma d’arte che con l’originale design rappresentano la concezione giapponese dello spazio. All’origine
della nascita di questi giardini c’è un rispetto della natura che si esprime con rappresentazioni astratte di
un utopico mondo del tempo e del suo movimento, derivante dalla religione e dalla filosofia. Il loro denso
simbolismo spirituale è aleggiato dal potere di associazione di opposti, yang-yin come ad esempio forza-
fragilità, luce-tenebre, uomo-donna, degli elementi utilizzati, generalmente pietre, sabbia, piante, acqua.
I giardini zen hanno di base un impianto mimetico della natura, anche se non rigorosamente fedele,
quindi una roccia sempre ben selezionata per le sue caratteristiche estetiche e per l’associazione a valori
storico culturali, rappresenta una montagna o un’isola, l’acqua un lago o un fiume e così via. Sempre
comunque, anche quando l’acqua viene sostituita dalla sabbia rastrellata, anche quando la bellezza si fa
austera, sempre, un giardino zen sottende la transitorietà di tutte le cose. Un attento studio della
disposizione degli elementi fa in modo tale che i giardini giapponesi appaiano più vasti delle loro
dimensioni reali. Una certa “over-spazialità” di alcune aree, insinua infatti nello spettatore un senso
d’incompletezza, di perdita di veduta a cui si cerca poi di provvedere in accordo con la propria
immaginazione. Per questo nel loro spazio seppure brevissimo molti giardini zen riassumono l’universo.
Una particolare tipologia di giardino zen, nato come giardino templare, possiede spiccatamente questa
caratteristica: il kare sansui ovvero il paesaggio arido o ancora giardino di pietra. Si tratta di giardini
senza fiori, nè piante, senza ponticelli ad arco su laghetti con pesci, ma costituiti da poche rocce sparse
su un’area coperta di sabbia rastrellata. Certo è che sia lo si veda come un giardino, sia come una
scultura o un dipinto, le astratte relazioni di un kare sansui, e la sua austera bellezza, conducono lo
spettatore ad uno stato di sospensione, meditazione, contemplazione. Non avendo nè fiori nè foglie
questa tipologia di giardino non è dipendente dal passare delle stagioni e dalla bellezza come
temporaneità, per questo motivo in Giappone sono oggetto di contemplazione, in quanto commento alla
transitorietà della vita. La bellezza dei giardini di pietra risiede nelle relazioni tra sabbia e pietra. Il
rapporto tra verticalità e orizzontalità, forme piatte, rotonde o aguzze delle pietre esprimono concezioni
filosofiche oltre che estetiche. Il vuoto e il silenzio liberano la mente dall’ossessione del dettaglio,
finalmente la mente si può muovere in uno spazio libero. Fra le rocce si stabiliscono delle tensioni spaziali
di cui le pietre divengono i fuochi. Asimmetria, variazioni, forme e simboli si creano e svaniscono
continuamente nella nostra mente che non distingue più fra forma e vuoto, ma si muove liberamente tra i
due. Il vuoto espressivo esiste nell’arte visuale e nel tempo, il silenzio nella musica e nella poesia. In
questi giardini non c’è una rievocazione di un sentimento di solitudine come in un quadro di Dalì, Tanguy
o De Chirico. Non c’è nemmeno l’uomo o la sua assenza, nulla è connesso alla vita umana. In alcune
opere surrealiste si avverte una separazione, un isolamento della forma nello spazio e l’associazione
simbolica è quella dell’uomo perso nell’infinito. Un kare sansui è libero da simili associazioni emotive, le
rocce non sono forme indipendenti e in opposizione al resto, bensì parti immerse e correlate al tutto. Se
l’esistenzialismo e il dualismo contraddistinguono le scheletriche e consumate figure di Giacometti
nell’evidente scontro fra nulla-infinito e uomo, non hanno motivo d’essere nei giardini zen, dove non
esistono separazioni o opposizioni. Alla base di questa “assenza” di contrasti c’è la concezione buddista di
un oggetto o di una forma come evento, non come cosa o sostanza.
Indicazioni stradali
Ma prima di giungere alla notizia occorre rifarsi ‘a monte’. In una pubblicazione del 1999, la
curatrice Roberta Budriesi afferma che “sul monte di Rontana nel 1901 fu innalzata una grande
croce dove sorgevano, perlomeno nel X secolo, la pieve e il castrum”, trattandosi altresì di “un
castello costruito attorno ad una chiesa più antica.”
Uno dei risultati degli scavi archeologici condotti nell’area sommitale del castello di Rontana
È questo il parere anche di Achille Lega il quale nel 1886 scriveva che la Pieve, che nell’anno
973 era ubicata dal lato di Angognano, fu portata poi sotto il castello dal lato di mezzogiorno.
Ancor meglio spiega Giovanni Cavina, nel 1964, che “la Pieve sorgeva su un terreno che alcuni
chiamavano “la pieve vecchia”, onde è a credere che la prima chiesa sorgesse in quel luogo; la
seconda fu poi eretta in località detta ancor oggi “Rontana vecchia”, quindi demolita e
ricostruita nel 1864 dove è oggi.
Mappa catastale con la freccia indicante il fondo “Pieve Vecchia” dove partiranno a breve i sondaggi
Il terreno della Pieve è rintracciabile nel fondo “i Carneri” (oggi Carnè) in un catasto del 1798 e
ancora nel catasto napoleonico-pontificio (località Pieve vecchia) ai mappali 996 e 997 della
sezione di Brisighella, foglio VII (Archivio di Stato Ravenna, Vecchio Catasto); le due pezze
sono ubicate a cavaliere dell’antica strada che da casa Collina portava alla casa Carnè, un
centinaio di metri a sud di quest’ultima dove la tesi di Donati ubica la Pieve Vecchia.
“Si tratta ora di rintracciare eventuali strutture di fondazione della chiesa, – aggiunge lo storico
– e a breve partiranno i sondaggi.”
Margherita Rondinini
Souvenir del Borgo in un viaggio
di andata e ricordo
La storia e il presente di Brisighella coinvolgono centro storico e dintorni, fra memorie e
paesaggio, per identificare il paese come centro accogliente per il turista, fra arte, urbanistica e
ospitalità: spunti per un viaggiatore errante sul territorio a caccia di emozioni e immagini da
portare a casa esplorando in molteplici direzioni.
Geometrie del territorio in una tavolozza assortita di tonalità e sfumature che fanno l’identità del paesaggio brisighellese.
Predisporsi a fare arte è il primo approccio del visitatore col paese cogliendo colori, forme e
materiali del territorio. Personalissima quella del litografo Giuseppe Ugonia (1881-1944) che
spiccava le intimità di un paesaggio familiare dalla finestra del suo studio. Improntata, invece,
al rigore sistematico, quella di Gottfried Achberger, l’austriaco che ha misurato con scatti in
bianco e nero, facciate di case, pelle degli abitanti e mutevolezze del paesaggio.
La natura si rinnova in eterno, al contrario, case e persone mostrano in progressione indelebile i segni dei loro vissuti. Succede
allora che i solchi di un campo arato si avvicinano per similitudine alle screpolature di un infisso, scolpite come fronti corrugate e
sofferte. L’identità del territorio si avvicina all’identità delle persone (o viceversa) in una commistione di sofferenza e dignità
degne di un passato di gesta compiute.
Il Giardino di Ebe, il ‘coraggioso’ intervento (settembre 2000) dell’artista Hidetoshi Nagasawa, in vetta alla via Spada, nel centro
storico di Brisighella. Protette da un curioso labirinto a cielo aperto, le ‘stanze’ del giardino racchiudono quanto è caratteristica del
paesaggio: terra, argilla, gesso e una pianta di ulivo. In un gioco di gradini in salita si aprono minuscole porticine e le nostre
tradizioni ci guardano dall’alto. Impossibile non abbassarsi per potervi entrare e Nagasawa, piccolo giapponese di grande
sensibilità e alto senso del rispetto, ha colto questo atto come un doveroso inchino di riconoscenza verso le origini e quanto rende
vivo questo pezzo di Romagna.
Terra, argilla, gesso e ulivi sono i caratteri forti del territorio: se n’è accorto l’artista
giapponese Hidetoshi Nagasawa, trasformandoli in simboli nelle ‘Stanze di Ebe’, piccolo
labirinto a cielo aperto, in vetta a via Spada, fra gradini in salita e minuscole porticine che
proteggono una pianta di ulivo. Origini e tradizioni rendono speciale e vivo questo pezzo di
‘Romagna solatia’ e puntano ancora all’arte sulle arcate di via degli Asini con le pennellate di
sole incollate all’antica strada sopraelevata.
La grandiosità plastica del monumento ai caduti della Grande guerra di Domenico Rambelli (1886-1972): fusione in bronzo che
poggia su un basamento di granito di Biella, abbassato per volontà dello scultore perché i bambini potessero salirvi e abbracciare il
fante.
Oggi l’incontro creativo con Brisighella diventa anche sostenibile e aperto a progettualità
d’insieme con soluzioni estetiche e scenografiche di richiamo, che trasformano il centro storico
in rassegna ‘verde’ di country life. L’idea è del Garden Bulzaga di Errano per una rinnovata
piazza Marconi vestita di arredi fioriti in cotto toscano e acciaio corten per i locali affacciati
sulla piazza, nei punti centrali del Borgo e interni a dimore storiche brisighellesi.
Uno degli allestimenti posizionati dal Garden Bulzaga nella centrale Piazza Marconi di Brisighella, sotto alla sopraelevata Via
degli Asini. (foto D.Malpezzi)
BIBLIOGRAFIA
Riconoscimenti: storia Curator — Consorzio di tutela della denominazione di origine protetta Olio Extra
Vergine di Oliva Brisighella
7. Info e Numeri Utili
TRENITALIA
89 20 21 per acquisto biglietti ed informazioni
199 89 20 21 servizio con risponditore automatico
www.trenitalia.com
8. Regolamento dell’escursione
Dichiarazione di idoneità
Equipaggiamento obbligatorio
Cani
Il Partecipante che voglia partecipare accompagnato dal proprio cane ha l’OBBLIGO, in fase di
prenotazione, di comunicare alla guida la presenza dell’animale al seguito, per valutare l’idoneità e le
modalità di partecipazione. Sarà a discrezione della guida confermare o meno l’idoneità alla
partecipazione del singolo cane o di più cani contemporaneamente, anche in base a taglia, sesso,
carattere, e tipologia dell’escursione. NON saranno ammessi animali in calore o che abbiano terminato
tale periodo nelle due settimane precedenti all’escursione. Il cane al seguito deve essere docile e
facilmente controllabile; il Partecipante dovrà disporre dei mezzi di conduzione e controllo dell’animale
necessari a garantirne la corretta partecipazione (guinzaglio e/o museruola o affini). Sarà compito del
Partecipante assicurarsi che il proprio cane non arrechi danno o disturbo a cose, persone o animali, che
non danneggi la flora, le proprietà private, né gli altri escursionisti. La responsabilità relativa alla
conduzione del cane ed eventuali problematiche ad essa connesse, è esclusiva del Partecipante. La
mancata comunicazione della partecipazione del cane o la mancata ottemperanza alle disposizioni atte a
controllarlo, possono prevedere l’esclusione del Partecipante dall’escursione, anche al momento della
partenza.
Nel corso dell’escursione verranno effettuati scatti fotografici e/o riprese video che possono comparire su
siti di pubblico dominio e che saranno utilizzati dall’organizzazione per finalità promozionali riguardanti
l’attività stessa. La partecipazione all’escursione sottintende il nullaosta alla pubblicazione del suddetto
materiale.
Telefoni cellulari
I partecipanti sono invitati a mantenere spenti i propri telefoni cellulari. Se questo non fosse possibile,
occorre comunque che le suonerie vengano disattivate. In caso di necessità, l’interessato è pregato di
allontanarsi dal gruppo previa comunicazione ed autorizzazione della guida, rimanendo comunque in vista
alla stessa.
La partecipazione alle nostre escursioni comporta l’accettazione incondizionata del presente regolamento.
La quota di partecipazione comprende esclusivamente il servizio di accompagnamento.
Tutte le guide del gruppo sono iscritte ad AIGAE, l’Associazione Italiana Guide Ambientali
Escursionistiche. Hanno seguito selettivi e impegnativi corsi della Regione Emilia-
Romagna ottenendo così l’abilitazione a esercitare la professione. Sono assicurate come da disposizioni
della Legge Regionale Emilia R.- N.4 del 1/2/2000 e succ. modifiche.