Sei sulla pagina 1di 192

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.

indd 1 02/04/19 17:19


Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 2 02/04/19 17:19
Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 3 02/04/19 17:19
Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 4 02/04/19 17:19
Siegmund Ginzberg

Sindrome 1933

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 5 02/04/19 17:19


© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Prima edizione in “Varia” maggio 2019

© 2019 by Siegmund Ginzberg


Published by arrangement with Agenzia Santachiara

Stampa Grafica Veneta S.p.A. di Trebaseleghe - PD

ISBN 978-88-07-49257-0

www.feltrinellieditore.it
Libri in uscita, interviste, reading,
commenti e percorsi di lettura.
Aggiornamenti quotidiani razzismobruttastoria.net

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 6 02/04/19 17:19


Sindrome 1933

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 7 02/04/19 17:19


Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 8 02/04/19 17:19
1.
Cose già viste nel ’33

Un contratto di governo tra due partiti che si erano


insultati sino al giorno prima. Mediato da uno che si
credeva più furbo degli altri. Hitler raggiante al bal-
cone. I socialdemocratici minimizzano: “Hitler non è
Mussolini, la Germania non è l’Italia”, “durerà poco”.
I comunisti aspettano la rivoluzione. Sino a poco prima
la sinistra litigava sulla chiusura o meno dei negozi alla
vigilia di Natale.

L’anno si presentava banale. I partiti litigavano come al


solito. Sulle solite cose. Nessuno aveva la maggioranza. Pro-
seguivano frenetiche le consultazioni. Tra polemiche, veti in-
crociati, incontri segreti e manovre sottobanco. Fino al gior-
no prima, anzi fino a qualche minuto prima, nessuno avrebbe
scommesso che l’anziano presidente della Repubblica stava
per nominare cancelliere Adolf Hitler. Sia pure alla testa di
un governo di compromesso, tra partiti che sino a poco pri-
ma erano ai ferri corti, si insultavano a vicenda.
La convergenza tra il vecchio centro-destra del magnate
dei media Alfred Hugenberg e il nuovo aggressivo populismo
dei nazionalsocialisti di Hitler era nell’aria da tempo. In effet-
ti avevano già provato a mettersi d’accordo. Ma non ci erano
riusciti. Il centro-destra aveva troppi galli nel pollaio, indu-
striali ed élite non si fidavano dei nuovi populisti. Sembrava
che quel matrimonio non s’avesse da fare. E invece…

Contratto di governo con mediatore

Il 30 gennaio 1933 era un lunedì. Freddo ma asciutto. Al


mattino ancora non si sapeva come sarebbe andata a finire. A

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 9 02/04/19 17:19


un certo punto era corsa voce che le trattative per il nuovo
governo si erano rotte, e che Hitler era già ripartito per Mo-
naco. L’ambasciatore britannico aveva già informato il suo
governo che il presidente si apprestava a dare l’incarico un’al-
tra volta a von Papen. In effetti le trattative proseguivano in
modo concitato.
Fra le 9 e le 10 i due massimi esponenti dello Stahlhelm (gli
Elmetti d’acciaio, la potente associazione ultranazionalista e
conservatrice degli ex combattenti), Theodor Düsterberg e
Franz Seldte, si recarono nell’appartamento di Papen al mi-
nistero degli Interni. Papen cercò di convincerli a entrare in
un governo di coalizione presieduto da Hitler. Gli disse agi-
tato: “Se per le 11 non sarà insediato il nuovo gabinetto, in-
terverrà l’esercito. C’è la minaccia di una dittatura militare
sotto Schleicher”. Più tardi arrivarono anche Hitler e
Göring. Düsterberg non li salutò nemmeno. Non perdonava
il modo in cui la stampa nazista durante le Presidenziali del
1932 lo aveva attaccato dandogli dell’“ebreo” (ebreo in ef-
fetti era per parte di uno dei suoi nonni, che poi si era fatto
battezzare, ma questo fino a quel momento Düsterberg
neanche lo sapeva). Hitler gli si avvicinò e gli giurò di non
aver mai autorizzato, tanto meno ordinato, quegli attacchi
personali. Disarmato dal gesto, Düsterberg lasciò cadere le
obiezioni alla partecipazione di un rappresentante dello
Stahlhelm al governo. A ministero donato non si guarda in
bocca. Seldte accettò con entusiasmo il ministero del Lavoro.
Continuarono a trattare nervosamente nell’anticamera
del presidente della Repubblica, dove erano stati convocati
per le 11. Hitler faceva promesse, dava rassicurazioni a tutti.
Il conte Schwerin von Krosigk, un tecnico che aveva già ser-
vito nei precedenti governi, era stato chiamato, ma non sape-
va ancora perché. Solo all’ultimo istante gli dissero che lo
volevano ministro delle Finanze. Pose una sola condizione,
che gli consentissero di tenere i bilanci in ordine, non gli fa-
cessero sforare il deficit. Lo rassicurarono, sapendo di men-
tire. Hugenberg, il leader dei nazionalpopulisti, nonché pa-
drone di metà della stampa, aveva fatto man bassa di

10

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 10 02/04/19 17:19


ministeri. Ma minacciò di mandare tutto a monte appena
qualche minuto prima del previsto giuramento: non gli ave-
vano detto che Hitler aveva già deciso di convocare subito
nuove elezioni politiche. Temeva, a ragione, che in tal caso il
suo Partito nazionale del popolo tedesco finisse asfaltato.
Hitler dette la sua parola d’onore che, qualunque fosse stato
il risultato delle elezioni, la composizione del governo sareb-
be rimasta invariata. Hugenberg restava sulle sue: niente ele-
zioni anticipate. “Come puoi dubitare della parola d’onore
di un tedesco?” intervenne Papen. Hitler mentiva. Papen
mediava, blandiva, e mentiva anche lui. Il battibecco cessò
solo quando il capogabinetto della Presidenza della Repub-
blica, Otto Meißner, entrò con l’orologio in mano a dire che
non si poteva più far attendere il Presidente. A prestare giu-
ramento a mezzogiorno fu Hitler. Aveva quarantatré anni.
È contro ogni regola anticipare prima del dovuto come
va a finire una storia, chi sono i colpevoli, che fine fanno i
personaggi principali. Ma non resisto a dirvelo subito, qui, a
costo di fare lo spoiler, rovinare la suspense. Dei contraenti
originali del “contratto” di governo ne sopravvisse uno solo,
fagocitando l’altro. La partecipazione di Hugenberg al go-
verno sarebbe durata meno di sei mesi, da gennaio a giugno.
Il suo Partito nazionale del popolo tedesco si sarebbe di-
sciolto nel Partito nazionalsocialista. Alla fine gli avrebbero
portato via anche i giornali. Ma conservò il seggio e l’inden-
nità da deputato fino al 1945. “Ho fatto la più grossa stupi-
daggine della mia vita. Mi sono alleato col peggior demago-
go della storia…”, è l’affermazione che gli viene attribuita.
Forse è apocrifa, forse lui non lo disse o non lo disse con
queste parole. Di certo è veritiera.
Il leader dei “nazionalisti con l’elmetto”, Düsterberg, sa-
rebbe sopravvissuto per un pelo alla resa dei conti della
“Notte dei lunghi coltelli” nel 1934. Poi sarebbe finito in
campo di concentramento per aver criticato il governo. Ave-
va pure la colpa di essere mezzo ebreo. Seldte, passato anima
e corpo ai nazisti, sarebbe rimasto ministro del Lavoro fino
alla fine del Terzo Reich.
Papen, l’apprendista stregone che aveva fatto Hitler can-

11

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 11 02/04/19 17:19


celliere pensando di metterlo nel sacco, scampò anche lui di
misura alla “Notte dei lunghi coltelli”. Si era messo di traver-
so a Hitler con il discorso del giugno 1934 all’Università di
Marburgo in cui condannava “il falso culto della personali-
tà”, il “fanatismo dei fanatici dottrinari”, l’intolleranza a
qualsiasi critica. I suoi principali collaboratori, a cominciare
da Edgar Jung, che aveva scritto il discorso di Marburgo, ci
avrebbero rimesso la pelle. Lui invece riuscì a farsi perdona-
re e a sopravvivere. Ebbe un incontro chiarificatore con Hit-
ler, di quelli del tipo “una telefonata ti salva la vita”, e fu
perdonato. Forse perché il cancelliere non voleva provocare
il presidente della Repubblica. Hindenburg era vecchio e
malato, ma aveva autorità sull’esercito. Correva ancora una
volta voce che avrebbe dichiarato la legge marziale se Hitler
non avesse messo freno alle violenze delle SA. Hitler fece
ammazzare il leader delle SA, Röhm, e l’intero suo stato
maggiore, risparmiò Papen. Papen, dimesso dal governo,
continuò a servirlo in ginocchio da diplomatico. Firmò, as-
sieme al cardinale Pacelli, il Concordato tra la Germania na-
zista e il Vaticano di Pio XI, in pratica l’atto di decesso del
Zentrum cattolico. Fu ambasciatore a Vienna a preparare
l’Anschluss, poi ad Ankara, a cercare di trascinare la Turchia
in guerra a fianco della Germania, senza però riuscirci. Finì
sul banco degli accusati a Norimberga. Ma non aveva perso
l’abitudine di cadere sempre in piedi: fu assolto e liberato in
Appello.

Nel governo che giurò quel giorno i nazisti erano in visto-


sa minoranza. Pur essendo il primo partito, col 33 per cento,
si erano accontentati di soli due ministri: Frick agli Interni e
Göring senza portafoglio (in realtà ministro degli Interni bis:
pochi giorni dopo, da commissario del Reich per gli Interni
in Prussia, avrebbe assunto il controllo delle forze di polizia
in tre quinti della Germania). I più prepotenti fingevano
“umiltà”. A fare la parte del leone era l’altro principale con-
traente del contratto di governo, pardon del patto di gover-
no, il Partito nazionalpopulista di Hugenberg. Con poco più

12

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 12 02/04/19 17:19


dell’8 per cento, aveva il triplo di ministri dei nazionalsociali-
sti. Cumulava i ministeri dell’Economia, dello Sviluppo e
dell’Agricoltura, sia del Reich che della Prussia. Faceva l’en-
plein dei serbatoi di consensi e clientele, si arrogava il ruolo
di Wirtschaftsdiktator, zar dell’Economia. Gli altri ministri,
compresi Difesa ed Esteri, erano “tecnici” graditi al Presi-
dente. Papen, il cattolico di destra che era stato l’artefice di
tutta l’operazione, aveva tenuto per sé il ruolo di vicecancel-
liere, nonché di commissario per la Prussia.
Hitler e Hugenberg insieme avevano 248 seggi su 584.
Per avere la maggioranza gliene sarebbero occorsi almeno
un’altra quarantina. Questa la ragione per cui la lista dei mi-
nistri era incompleta: avevano lasciato vuoto il ministero del-
la Giustizia nella speranza di imbarcare anche il Zentrum
cattolico moderato di monsignor Ludwig Kaas, 75 deputati.
Non ci sarebbero riusciti. I cattolici non entrarono nel go-
verno Hitler, ma gli avrebbero poi votato la riforma costitu-
zionale che gli consentiva di fare a meno del Parlamento.

Scene di giubilo dal balcone

La nomina di Hitler fu annunciata alla radio poco dopo


le 13. Una folla di sostenitori in visibilio e di curiosi comin-
ciò a radunarsi sulla Wilhelmstrasse, di fronte all’imponente
Kaiserhof, il primo e più famoso dei grand hotel di Berlino.
Era lì che Hitler aveva residenza e bottega nella capitale. Oc-
cupava l’intero ultimo piano con il suo staff e le sue guardie
del corpo. Per strada c’erano già i camion dei cinegiornali.
Lui si affacciò al balcone, sorridente, a salutare l’adunata fe-
stante. Non c’erano microfoni. Non si vede il movimento del-
le labbra. Quindi non possiamo sapere se dicesse “ce l’abbia-
mo fatta”.
Era già buio quando – “alle 8 in punto” – come nota un
giornale locale – iniziò a sfilare il corteo ufficiale, con bandie-
re e svastiche, SA e SS inquadrati in uniforme, le torce acce-
se. Hitler si riaffacciò da un altro balcone, anzi una finestra,
quella della Cancelleria di cui aveva preso possesso.

13

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 13 02/04/19 17:19


Quel giorno di lui abbiamo immagini in doppiopetto e
cravatta. Non siamo abituati alle foto di Hitler in borghese.
Ce ne sono. Ma lui preferiva quelle in cui lo si vede in unifor-
me. La sua era un’uniforme da Führer, concepita per lui so-
lo. Anche al colmo del delirio di onnipotenza non si sarebbe
mai permesso di travestirsi con uniformi che non gli spetta-
vano, mettiamo una divisa da generale della Wehrmacht o
della Polizia di Stato.

“Un fiume di fuoco, un fiume impetuoso, inarrestabile,


che a ondate successive, a passo di marcia e perfetto allinea-
mento, attraversa il centro della città, accompagnandosi coi
loro canti guerreschi e gli slogan scanditi.” Uno spettacolo
impressionante secondo la testimonianza dell’ambasciatore
André François-Poncet, il quale vi assiste dalle finestre della
rappresentanza francese che affacciano su Pariser Platz. Im-
pressionante, ma non esattamente tranquillizzante. Gridava-
no in coro Heil Hitler!, ma anche Deutschland erwache!, Ju-
da verrecke!, Svegliati Germania! Crepa Giudeo! Cantavano
la Horst Wessel Lied, con particolare enfasi sulla strofa che
fa: “Andranno meglio le cose quando dal coltello gronderà il
sangue degli ebrei”. Ma com’è che mi rimane impressa so-
prattutto la scena del balcone? Perché mi pare di averla rivi-
sta poco fa?
C’era ormai assuefazione agli slogan sanguinari, ai cortei,
alle manifestazioni e contromanifestazioni. Il giorno prima,
domenica 29, si era svolta un’enorme adunata socialdemo-
cratica al Lustgarten, sulla spianata su cui si affacciano i mu-
sei. Erano stipate anche le strade di accesso. Gli organizzato-
ri calcolarono che avessero partecipato 800.000 persone.
Scandivano “Berlino resterà rossa”, in risposta allo slogan
dei nazisti “Berlino è nostra”. Il giovedì prima era stata la
volta dei comunisti, che si erano raccolti davanti alla loro
Karl-Liebknecht Haus, su Bülowplatz. Era la risposta alla
provocazione della domenica prima, quando verso la stessa
piazza si era diretto un corteo nazista. C’erano stati scontri,
con morti e feriti.

14

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 14 02/04/19 17:19


Anche questo era abituale. “Berlino era in uno stato di
guerra civile. L’odio esplodeva improvvisamente, senza al-
cun preavviso, da episodi in apparenza insignificanti. Agli an-
goli delle strade, nei ristoranti, nei cinema, nelle sale da ballo,
nelle piscine; a mezzanotte, a mezzogiorno, nel pomeriggio. I
coltelli balzavano fuori all’improvviso: si picchiavano coi tira-
pugni, coi boccali di birra, con le gambe delle sedie, coi basto-
ni piombati. Le pallottole sfregiavano gli annunci sulle colon-
ne pubblicitarie, rimbalzavano sulle tettoie di ferro dei
vespasiani.” La violenza era all’ordine del giorno. Anzi è l’idea
stessa che ci siamo fatta di Weimar. Grazie anche a pagine co-
me questa di Christopher Isherwood. Sono abbastanza vec-
chio da aver vissuto momenti che “somigliavano” a questo
aspetto del ’33: il ’68, gli anni di piombo, la strategia della
tensione, i colpi di Stato dei militari per riportare l’ordine:
Cile 1973, Turchia 1980. Succede ancora, ma non da noi,
non dalle nostre parti, non in questo momento. O almeno
così pensavo finché ho visto in tv, sabato dopo sabato, le im-
magini degli scontri con i Gilet gialli in Francia.

“Hitler non è Mussolini, la Germania non è l’Italia”

Quasi tutti erano stati presi di sorpresa. Non si aspettava-


no la nomina di Hitler. I giornali del primo gennaio 1933,
cioè di poche settimane prima, trasudavano sicurezza, otti-
mismo da portar jella. “Il possente assalto nazista allo Stato
democratico è stato respinto”, aveva annunciato a Capodan-
no il “Frankfurter Zeitung”. “La Repubblica è salva”, gli fa-
ceva eco il “Vossische Zeitung”, il più autorevole quotidiano
della capitale. Il cattolico “Kölnische Zeitung” notava che i
più sono ormai convinti che Hitler non ce la farà a prendere
il potere. Ascesa e caduta di Hitler, titolava l’editoriale del
“Vorwärts”, l’organo del Partito socialdemocratico. “Hitler
chi?”, scherzava un articolo del “Berliner Tageblatt” su quel-
lo che i nonni di domani avrebbero potuto raccontare ai fu-
turi nipotini.
A sinistra ciascuno era ancora sulle sue. I comunisti con-

15

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 15 02/04/19 17:19


tinuavano a prendersela con i socialdemocratici, i socialde-
mocratici coi comunisti. A litigare, gli uni con gli altri e cia-
scuno coi propri compagni di partito. Non c’era verso che
concordassero un’iniziativa comune. Si trovarono d’accordo
su pochissime cose: che un governo Hitler sarebbe durato
poco, come erano durati poco i governi precedenti. E che tra
i firmatari del patto di governo, il “reazionario” Hugenberg
fosse di gran lunga più pericoloso del populista Hitler.

“La carnevalata durerà poco”

Alla riunione della direzione socialdemocratica, convo-


cata per il 31, il capogruppo al Reichstag, Rudolf Breitscheid,
sostenne che l’obiettivo del nuovo pateracchio tra “reaziona-
ri” e nazisti non era un regime di tipo fascista, ma “una ditta-
tura del capitale”. E comunque prima di riuscirci i firmatari
si sarebbero “azzannati tra di loro come predoni che si spar-
tiscono il bottino”. Ancora a metà marzo, quando non ci po-
tevano più essere dubbi su dove si stava andando a parare, il
vecchio, rispettato Kautsky si diceva convinto che le carne-
valate degli “imbecilli ignoranti che sanno solo travestirsi da
cavalieri nordici” avrebbero fatto il loro tempo, e che Hitler
sarebbe stato abbandonato dai suoi sostenitori non appena
si fossero resi conto che non era in grado, né aveva l’inten-
zione, di mantenere le sue promesse demagogiche.
“La Germania non è l’Italia, Berlino non è Roma, Hitler
non è Mussolini!”, proclamava il “Vorwärts” (Avanti!), il
giornale del partito. “Sbaglia di grosso chi ritiene che qual-
cuno possa imporre un regime dittatoriale sulla nazione te-
desca… è la stessa diversità del popolo tedesco a rendere in-
dispensabile la democrazia,” gli faceva eco l’opinionista
Theodor Wolff sull’autorevole “Frankfurter Zeitung”. An-
che il teologo dell’Università di Bonn, Karl Barth, che per
protesta contro la destra si era già iscritto al Partito sociali-
sta, si sbaglia clamorosamente: “La Germania è troppo iner-
te, non ha l’élan vital, il dinamismo che le ci vorrebbe per
instaurare un regime come quello di Mussolini”. Persino

16

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 16 02/04/19 17:19


l’Organizzazione centrale degli ebrei tedeschi fece un comu-
nicato nel quale, pur ovviamente diffidando di Hitler, si di-
ceva convinta che “nessuno oserà toccare i nostri diritti co-
stituzionali”.
N’importe quoi, come dicono i francesi. Un florilegio infi-
nito di stupidate dette da persone serie, sagge, esperte. Avre-
ste scommesso che sapevano il fatto loro. E invece più erano
autorevoli meno la imbroccavano. Ci sarebbe da ridere, a ri-
leggere gli interventi dei massimi dirigenti del Partito social-
democratico, se molti di quelli che erano convinti che Hitler
fosse un fenomeno passeggero non avessero poi pagato tra-
gicamente, di persona, nelle camere di tortura, in prigione,
nei campi di concentramento in cui venivano rinchiusi “per
la loro stessa protezione”, braccati in Germania e nell’esilio,
assassinati dopo essere stati consegnati dal governo di Vichy
alla Gestapo.
In confronto, la reazione del Partito comunista alla nomi-
na di Hitler è assai più trucida: “Spudorata rapina dei salari,
terrore senza limiti da parte della Peste bruna assassina, at-
tacco ai residui diritti delle classi lavoratrici, a passo di corsa
verso la guerra imperialista: ecco quel che ci riserva l’imme-
diato futuro”. Dogmatici ma profetici, verrebbe da dire.

Chi se ne importa delle chiusure domenicali

Per il resto la vita a Berlino continuava come prima. La


gente andava al cinema, affollava le birrerie, i ristoranti con
concerto, i locali gay, i cabaret. Si ballava, si flirtava, ci si di-
vertiva. Il sindacalista americano Abraham Plotkin, inviato
in Germania a capire quel che sta succedendo, di manifesta-
zioni non ne manca una. Va anche a quelle naziste. Vuol sen-
tire l’altra campana. Attacca discorso con una donna. “Non
parlo con gli ebrei”, taglia corto quella, stizzita. Plotkin non
ha tratti somatici che possano far pensare che è ebreo. Aveva
solo otto anni quando la famiglia era emigrata in America nel
1901. Parla perfettamente il tedesco, ma è nato in Ucraina, il
suo tedesco ha un’inflessione yiddish.

17

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 17 02/04/19 17:19


L’appunto per il 28 gennaio 1933, due giorni prima della
nomina di Hitler, è però dedicato a tutt’altro tema. Ci fa sa-
pere che è tempo di carnevale, “la stagione dei balli in ma-
schera è in pieno svolgimento”. Lo portano in un locale che
gli ricorda il Jazz Palace di Broadway, tre enormi saloni,
ognuno con un’orchestra diversa. In sei bevono tre bottiglie
di vino, se ne vanno alle 3 del mattino, le danze continuano
fino alle 5. Il giorno dopo l’appuntamento è alla manifesta-
zione al Lustgarten, dove sfilano le milizie socialdemocrati-
che, dei sindacati e quelle cattoliche. Inquadrati e in unifor-
me al pari di quelle naziste, con il vessillo rosso-nero-oro del
Reichsbanner.
Curiosa, tra le notazioni non politiche, anche quella data-
ta 22 dicembre. Ci fa sapere che Berlino è in fermento per la
stagione degli acquisti di Natale. Sta andando alla grande. I
negozi sul Kurfürstendamm non erano mai stati così affolla-
ti. Per la prima volta i negozianti avevano chiesto alle autori-
tà il permesso di tenere aperto anche la domenica. Solo che i
comunisti avevano indetto manifestazioni di protesta anche
contro l’apertura dei negozi. “La logica di questo mi sfugge.
Sarò anche stupido, ma non vedo che vantaggio gliene possa
venire.”

“La situazione politica a Berlino è molto noiosa”

Stupisce il diffuso senso di normalità, come se quel che


sta succedendo fosse routine. Klaus Mann, il figlio tormenta-
to di Thomas, aveva iniziato l’anno partecipando al Gran
Gala per l’inaugurazione del cabaret Pfeffermühle (Macina-
pepe) della sorella Erika. La notizia di Hitler cancelliere lo
raggiunge mentre sta tornando da una vacanza sciistica.
“Orrore. Mai pensato possibile”, annota nel diario. Poi, il
giorno dopo: “Il Mago [così chiamavano in famiglia Thomas
Mann] più tranquillo sulla questione Hitler di quanto pen-
sassi [anche se] lo rende nervoso dover trascurare le sue con-
ferenze su Wagner”.
I prodigiosi “Oxford boys”, Wystan H. Auden, Chri-

18

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 18 02/04/19 17:19


stopher Isherwood, Stephen Spender, sono tra gli osservato-
ri più attenti e sensibili di quel che sta succedendo a Berlino
in quei giorni. Addio a Berlino e Il signor Norris se ne va sono
miniere di spunti. “La situazione politica è molto noiosa”,
scriveva Isherwood a metà gennaio da Berlino all’amico
Spender tornato a Londra. “Sì, immagino che stiano succe-
dendo un sacco di cose dietro le quinte, ma non sempre ci si
rende conto. Papen visita Hindenburg, Hitler visita Papen,
Hitler e Papen visitano Schleicher, Hugenberg visita Hin-
denburg e scopre di essere fuori dai giochi. E così via andan-
do. Non c’è più quella consapevolezza leggermente esilaran-
te della crisi nei gesti dei mendicanti e dei tramvieri.”
Quando poco dopo Hitler va al potere, aggiorna l’amico:
“Abbiamo un nuovo governo con Charlie Chaplin e Babbo
Natale”. “Hitler ha formato un governo con Hugenberg.
Nessuno pensa che possa durare fino a primavera”, l’annota-
zione di poco successiva.

Anche la stampa internazionale tendeva a minimizzare.


Scottati dal non aver previsto, anzi aver escluso la nomina di
Hitler, divennero prudenti sulla piega che avrebbero preso gli
avvenimenti. L’americano “The Nation” aveva definito Hitler
espressione “in forma drammatica” di una protesta popolare
generalizzata: “Non c’è lamentela che non raccolga, non c’è
desiderio che non prometta di realizzare”. Avevano votato per
lui perché comunque “peggio le cose non potevano andare”.
“Time” se la cavò scrivendo che era difficile prevedere cosa
avrebbe fatto il governo Hitler. Avendo promesso un po’ di
tutto a tutti, gli sarebbe stato difficile mantenere le promesse,
anzi aveva una buona scusa per non realizzare niente di quel
che aveva promesso: “Ha preso tanti impegni che è come se
non si fosse preso alcun impegno”. Il “New York Times” ras-
sicurò i lettori sul fatto che in Germania “tutto continuava co-
me prima”. Avrebbero continuato a minimizzare a lungo. C’è
anche chi ha ipotizzato che i proprietari, Adolph Ochs e suo
genero Arthur Sulzberger, ebrei l’uno e l’altro, temevano di
scatenare reazioni antisemite in America se il loro giornale fos-

19

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 19 02/04/19 17:19


se apparso meno che obiettivo su Hitler. La maggior parte dei
commentatori, sia in Germania che all’estero, erano convinti
che fosse stato Papen a mettere nel sacco Hitler, e non vicever-
sa. Tutti davano per scontato che a tirare le fila nel governo
fosse Hugenberg, non Hitler.

Più sono furbi più casca l’asino

A non rendersi conto di cosa sta succedendo non sono


solo gli osservatori stranieri. Sono gli stessi protagonisti. La
sera del 13 gennaio il cancelliere in carica, il generale Kurt
Schleicher, invita i giornalisti a una cena non ufficiale. Gli
pongono ovviamente domande sui nazisti. Lui risponde sor-
ridendo e con un gesto di noncuranza: “A quelli ci penso
io… Tra poco mangeranno dalla mia mano”. Gli chiedono se
può succedere che Hitler diventi cancelliere. “Mai più! E in
fondo al suo cuore è lui, Hitler, a non volere affatto l’incari-
co.” Il lettore capirà perché ho fatto un balzo sulla sedia
quando, qualche giorno prima che Di Maio e Salvini conclu-
dessero le trattive per il loro nuovo governo, ho sentito in
televisione Matteo Renzi rassicurare che quel governo non si
sarebbe mai fatto, perché avevano già cambiato idea, “in
cuor loro” non se la sentivano di assumersi la responsabilità
che comporta governare.
Più sono furbi, più casca l’asino. Il più furbo, ambizioso
e brillante di tutti era certamente Papen. “Metteremo Hit-
ler in gabbia”: la rassicurazione da lui rivolta al recalcitrante
Düsterberg nel tentativo di convincerlo a unirsi al governo.
“Hitler? È sul nostro libro paga”, si sarebbe vantato con un
altro interlocutore. “Ma cosa vuole? Ho la fiducia del Presi-
dente Hindenburg. Nel giro di due mesi avremo messo Hitler
all’angolo, al punto che inizierà a strillare”, le ultime parole
famose di Papen in risposta alle obiezioni dell’aristocratico e
collega di partito von Kleist-Schmenzin, che poi sarebbe stato
accusato di complicità nel complotto Stauffenberg e decapita-
to nel 1945, giusto un mese prima della resa della Germania.

20

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 20 02/04/19 17:19


2.
Analogie e scaramanzia
Breve nota sul perché di questo libro

A questo punto devo una spiegazione al lettore sul per-


ché di questo libro. Da qualche tempo quasi non passa gior-
no senza che le notizie mi diano una sgradevole sensazione
di déjà vu. Leggo la stampa, vedo i telegiornali, faccio talvol-
ta zapping nei talk-show, ascolto quel che dice la gente al bar
o sull’autobus, e ho l’impressione di aver già letto, già visto,
già ascoltato. Ma in tutt’altra epoca e altro luogo.
Non sono sicuro che si tratti di una condizione patologi-
ca. Né di essere il solo a provarla. L’impressione di già vissu-
to in precedenza situazioni del presente è una sindrome ab-
bastanza diffusa. Secondo ricerche recenti due persone su
tre provano qualche forma di déjà vu o déjà vécu. In alcune
circostanze immaginare di esserci già passati può essere per-
sino rassicurante. In altre è ansiogeno. Forse questa ossessio-
ne non è individuale, è qualcosa che riguarda la nostra spe-
cie. Può anche darsi che sia uno degli strumenti di difesa di
cui è dotata la mente umana. Magari un giorno scopriranno
nel nostro Dna il gene che la produce. In ogni caso si tratta
di un fenomeno molto complicato, ancora non pienamente
compreso. Gli specialisti continuano a discuterne arrivando
a conclusioni differenti. Un neuropsichiatra americano ha
passato in rassegna settantadue differenti spiegazioni “scien-

21

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 21 02/04/19 17:19


tifiche” avanzate nel tempo, di cui ben ventidue negli ultimi
tre decenni.
In realtà la storia, ammesso che si ripeta, non si ripete
mai allo stesso modo. Allora perché occuparsi di come ot-
tant’anni fa la Germania precipitò nel Terzo Reich quasi sen-
za accorgersene, con noncuranza, sbadatamente, per molti
addirittura con entusiasmo, per alcuni persino con una certa
allegria? Perché riaprire un cold case, un dossier chiuso e se-
polto, una storia ormai passata in giudicato?
È una storia molto raccontata. In tutte le maniere. Ma non
per questo conosciuta. Cercando su internet sono incappato
per caso in una puntata di qualche anno fa del gioco tv L’Ere-
dità, allora condotto da Carlo Conti. La domanda è: in quale
anno fu nominato cancelliere Adolf Hitler? C’è da scegliere
tra quattro riposte: 1933, 1948, 1964, 1974. La prima con-
corrente risponde: 1948. Il secondo, con qualche esitazione:
1964. La terza, a quel punto con grande sicurezza: 1974. Solo
la quarta dice 1933, perché è rimasta una sola scelta, ed è im-
possibile sbagliare, ma con un sorriso imbarazzato, un’into-
nazione di dubbio nella voce, come se dovesse scusarsi di una
risposta assurda. Non va meglio per la domanda successiva:
in quale anno Mussolini incontrò il poeta Ezra Pound a Pa-
lazzo Chigi? La risposta giusta è sempre 1933. Ancora una
volta i concorrenti le sbagliano tutte. Non è una barzelletta,
andare a guardare su YouTube per credere. I concorrenti non
sono “coatti”, sono ragazzi e ragazze normali, dalla faccia pu-
lita. Sono vestiti in modo sobrio e ricercato. Si capisce che
hanno studiato, sono andati a scuola, magari all’università.
Sono giovani in apparenza preparati, che leggono, vanno al
cinema, guardano la televisione, altrimenti non partecipe-
rebbero a un gioco a quiz. Hanno probabilmente superato la
prova di storia alla maturità, a nessuno passava ancora per la
mente di abolirla.

Avevo cominciato a rivangare in quel passato per scara-


manzia, per scacciare paure che ritenevo irrazionali. E inve-
ce, a rileggere di come fece una brutta fine la più vivace e

22

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 22 02/04/19 17:19


avanzata democrazia dell’Europa di quei tempi, mi sono im-
battuto in indizi insospettati, cose che non conoscevo o ave-
vo trascurato, in rassomiglianze, analogie cui non avevo fatto
caso. Il sostantivo femminile “sindrome” indica in medicina
una serie di sintomi e segnali che costituiscono le concause
di una malattia o processo degenerativo. Il nostro mondo è
molto diverso da quello del 1933. Ma alcuni sintomi, segnali,
processi, atteggiamenti si assomigliano. Non sono identici,
ma si evocano in qualche modo. Più proseguivo nell’indagi-
ne, più la vittima, la Repubblica di Weimar, aveva un volto
vagamente famigliare. E così ce l’avevano i suoi assassini. E
c’era qualcosa di simile nelle modalità del delitto.

Sappiamo, o crediamo di sapere, quasi tutto di come poi


andò a finire. Crediamo di sapere qualcosa anche di come ci
si arrivò: la grande crisi del dopo 1929, la “guerra civile” tra
comunisti e fascisti che dilaniava l’Europa, le violenze, le in-
timidazioni. È inquietante scoprire che, contrariamente all’i-
dea che ce ne facevamo, ci si arrivò in modo banale, non dis-
simile dalla prosaica normalità dei giorni nostri: attraverso
una serie interminabile di elezioni, culminate nel 1933.
Le crisi si consumano sempre al rallentatore. Possono
durare anni. Le catastrofi arrivano sempre all’improvviso,
colgono alla sprovvista. In quel 1933 tutto successe di corsa,
a ritmo mozzafiato. Ci misero meno di trenta giorni per por-
tare Hitler al governo, tra manovre, intrighi, voci altalenanti,
segnali e messaggi in codice tra i protagonisti. Un altro mese
ancora per tenere nuove elezioni e poi, visto che malgrado
tutto non avevano ancora una maggioranza, eliminare l’op-
posizione con una raffica di decreti. Durò poche settimane
ancora la resistenza a votargli in Parlamento, con i due terzi
di voti necessari, i pieni poteri che toglievano ogni decisione
al Parlamento che glieli votava.

Qui quella storia viene narrata in modo un po’ diverso dal


solito. Niente è inventato. Non è fiction. Non ci sarebbe nien-

23

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 23 02/04/19 17:19


te di male se lo fosse. Anche negli anni venti e trenta era stata la
letteratura (da Joseph Roth a Döblin, da Fallada a Tucholsky) a
raccontarci meglio e più in profondità di quanto facciano gli
storici. Non si intende sopperire all’immensa mole di ricerche
storiche già pubblicate sull’argomento, di cui però si è tenuto
conto, comprese quelle più recenti. Nullum iam dictum, quod
non dictum sit prius, non vi si dice nulla che non sia stato già
detto, o pubblicato, potrei dire con Terenzio. Questo è un libro
che compie una scelta, come dire, faziosa, parziale: tra i fatti e
gli argomenti privilegia quanto può richiamare al lettore vicen-
de, cronache e polemiche della nostra attualità. Ogni riferi-
mento a persone e fatti realmente accaduti è puramente inten-
zionale, parafrasando l’avvertenza che compariva in testa ai
vecchi film. Personaggi, detti e fatti del passato evocano voluta-
mente fatti, formule, personaggi orecchiati nella nostra attuali-
tà. Ma è inutile che cerchiate corrispondenze precise, univo-
che, speculari, tra questo o quel personaggio di allora con i loro
analoghi di oggi. Può darsi che qualche personaggio dei nostri
giorni si ritrovi nei detti, nei fatti e nei misfatti di quelli di allo-
ra. Gli è consentito adombrarsi. Ma non illudersi: i cattivi di
allora sono inarrivabili, a provare a rispecchiarsi ci si rende solo
ridicoli.
O almeno lo spero. Quella di allora è un’altra storia, con-
tinuo a ripetermi. È un incubo da cui abbiamo sempre cerca-
to faticosamente di svegliarci. E sembrava persino ci fossimo
riusciti. Provo a cullarmi nel confortevole detto, reso celebre
da Marx, che la storia si ripete sempre due volte, la prima
volta come tragedia, la seconda come farsa. E se invece non
fosse proprio così? Se l’ordine fosse invertito, prima la comi-
ca, poi il disastro? Se si ripetesse due volte, e di seguito, ed
entrambe le volte come tragedia? (Non è inusuale, anzi è l’e-
sito più probabile: così fu la Prima guerra mondiale, seguita
solo vent’anni dopo dalla Seconda.) Gli incubi del passato
scalciano nel futuro. E se inaspettatamente un incubo da cui
ci eravamo risvegliati da tempo, che quasi non ricordiamo
più, si mettesse a scalciare come un mulo, ci tirasse una gra-
gnuola di calci micidiali?
Certo che non siamo nel ’33. E nemmeno nel ’29. Non

24

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 24 02/04/19 17:19


c’è stata, incrociando le dita, una catastrofe economica mon-
diale. Per quanto protezionismi ed egoismi nazionali ce la
stiano mettendo tutta. Non sembrano profilarsi all’orizzonte
guerre mondiali e stermini di massa. A essere onesti, sembra-
vano inconcepibili anche nell’Europa degli anni trenta. Così
come nella Belle Époque non ci si aspettava la Grande car-
neficina del ’14-’18. L’Europa è in crisi. Ma non si può dire
che ci sia fuga dalla libertà e dalla democrazia. Nemmeno
nell’America di Donald Trump.
Ci sono, in molti paesi, leader poco raccomandabili, arri-
vati al potere sull’onda di un voto popolare. È ridicolo pensa-
re di poterli esorcizzare paragonandoli al Duce e al Führer.
Non sono un fautore del metodo che il conservatore Leo
Strauss definiva “reductio ad hitlerum”. Oltre a essere fallace
sul piano logico e storico, è pure controproducente. Quel che
non ammazza ingrassa, dice la saggezza contadina. Senza con-
tare che a gridare troppo di frequente “al lupo al lupo” si ri-
schia che nessuno presti più attenzione quando il lupo magari
arriva per davvero. Non mi fanno paura i quattro imbecilli che
inneggiano al passato fascista o nazista. Un po’ di più quelli
che fanno finta di non sapere cosa dicono e cosa fanno, quelli
del: “Non intendevo dire…”, “Fascista io?”. Mi preoccupa
una specie di coazione a ripetere involontaria, il riaffacciarsi di
dinamiche, meccanismi che avevano portato al disastro la
Germania di Weimar, e con lei l’intera Europa.
Temo il presente che imita il passato inconsapevolmente,
senza volerlo, magari senza neanche accorgersene. Ecco per-
ché sono andato in cerca di analogie. Non come strumento
di polemica o propaganda, ma come strumento di compren-
sione. Le analogie sono per definizione imperfette. Possono
essere, anzi sono, superficiali. Possono portare fuori strada.
Eppure non possiamo farne a meno. La mente umana fun-
ziona per analogie. La sopravvivenza della nostra specie non
sarebbe possibile se fossimo incapaci di fare analogie. La lo-
gica e la scienza sono sempre andate avanti per analogie. Le
analogie si sono sempre rivelate uno strumento potentissimo
per capire e distinguere, cioè l’esatto contrario del fare di
ogni erba un fascio.

25

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 25 02/04/19 17:19


3.
Europa, dica 33

Simenon reporter in un’Europa sull’orlo di una crisi di


nervi, incarognita, stanca di democrazia e libertà, atter-
rita da un’invasione di profughi. Incontra Hitler nell’a-
scensore del Kaiserhof. Il suo giornale pubblica la foto
di un serial killer coi baffetti, che somiglia al nuovo can-
celliere. La Germania, ossessionata dai delitti a sfondo
sessuale, realizza il “sogno collettivo dell’umanità”.

Agli inizi del 1933 Georges Simenon, che ha appena pub-


blicato i primi due racconti con protagonista il commissario
Maigret, parte per un lungo viaggio nell’Europa in crisi. Ne
ricaverà una serie di reportage per “Voilà”, il settimanale il-
lustrato fondato da Gaston Gallimard. La serie è intitolata
“Europa 33”. “L’Europa è malata. Il dottore si china, pone
l’orecchio sul cuore del paziente: ‘Dite 33’. E il paziente ri-
pete: 33… 33… 33. Mmm. Il viso del dottore tradisce l’in-
quietudine.”
Il viaggio comincia dal suo Belgio sotto la neve, dove in
Parlamento stanno litigando su “come realizzare in modo ef-
ficace la difesa delle frontiere, in relazione alla Francia che
ha lo stesso problema”. A Bruxelles “la gente era scesa in
piazza l’anno prima. Degli scontenti, degli estremisti, dei co-
munisti…”. Simenon ricorda ai suoi interlocutori che anche
a Parigi la gente manifesta contro gli aumenti delle tasse.
“Voi francesi sempre a perdervi in discussioni inutili”, gli ri-
spondono.
Niente di nuovo sul fronte orientale. Anche Varsavia è
sotto la neve. In Polonia sono tutti esagitati, teste calde. Con
uno dei suoi interlocutori Simenon cerca di portare la di-

26

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 26 02/04/19 17:19


scussione su “gli equilibri dell’Europa, nel 1933…”. E quel-
lo imperterrito, a raccontargli per l’ennesima volta, “mentre
svuota il decimo bicchiere di vodka”, delle miserie patite sot-
to l’occupazione russa. I polacchi non ce l’hanno solo con i
russi e i tedeschi, ce l’hanno anche con il resto dell’Europa,
che non capisce quanto loro hanno sofferto: “Capireste se
aveste subito centocinquanta anni di schiavitù!”.
Il viaggio lo porterà anche in Germania, nei Paesi nordi-
ci, in Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania… Un’in-
digestione di paesi del Patto di Visegrád, diremmo oggi…
Poi per nave attraverso il Mar Nero, in Ucraina, in Russia, a
Batum (dove attingerà il materiale per La finestra di fronte)…
E infine in Turchia, a Istanbul e Ankara (che gli forniranno il
materiale per I clienti di Avrenos). A Costantinopoli (la città
da qualche anno ha ripreso il nome turco: Istanbul, ma Si-
menon continua a datare così nel reportage), prende il vapo-
retto sul ponte di Galata e va a intervistare Trotsky, che si
trova in esilio sull’isoletta di Prinkipo.
Parlano di Hitler, di fascismi, e di dittature e democrazie
in Europa. Trotsky considera inevitabile che le cose vadano
di male in peggio. Per spiegarlo all’intervistatore ricorre a
un’immagine meccanicistica: “Per analogia con l’elettrotec-
nica, si potrebbe definire la democrazia come un sistema di
interruttori ed isolatori per far fronte ai picchi di tensione
nei conflitti nazionali o sociali… Se le tensioni e le contrad-
dizioni di classe sono eccessive, interruttori e fusi si fondo-
no, si sbriciolano… Il corto circuito porta alla dittatura”.
Alla domanda se ritiene che le cose possano continuare
ad evolversi gradualmente o ritiene più probabile una scossa
violenta, la risposta è molto diversa da quella che la maggior
parte dei commentatori – sia tedeschi che nel mondo – ave-
vano dato all’indomani dell’ascesa di Hitler al governo: “Il
fascismo, in particolare il fascismo tedesco, porta all’Europa
un’incontestabile pericolo di guerra. Mi posso sbagliare, or-
mai io sono in disparte, ma mi sembra che non ci si renda
conto abbastanza dell’estensione di questo pericolo. In una
prospettiva non di mesi ma di anni – in ogni caso non di de-
cine di anni – considero come assolutamente inevitabile

27

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 27 02/04/19 17:19


un’esplosione guerriera da parte della Germania fascista”.
Questo nel ’33. Quasi una profezia. L’invasione della Polo-
nia e la guerra contro Francia e Inghilterra sarebbero scop-
piate nel settembre 1939, l’operazione Barbarossa contro
l’Unione Sovietica sarebbe stata lanciata nel giugno 1941.
L’Europa venuta fuori dalla Grande Guerra era compo-
sta di ventotto Stati indipendenti. Uno più uno meno, sup-
pergiù lo stesso numero di paesi che attualmente fanno parte
dell’Unione Europea. Con problemi, recriminazioni, spac-
cature politiche ed etniche all’interno, divisione per blocchi
contrapposti che somigliano a quelli attuali. Soprattutto a
Est. Molti erano Stati nuovi, nati dal crollo degli odiati im-
peri autocratici e multinazionali (i quali reprimevano brutal-
mente i nazionalismi, però consentivano, anzi imponevano,
la convivenza di nazioni, etnie e religioni diverse). Ancora
nel 1920, ventisei di questi ventotto Stati avevano Parla-
menti democraticamente eletti, una molteplicità di partiti,
governi costituzionali. Poi già nel 1920 l’ammiraglio Horthy
si era sostituito al tentativo di “dittatura del proletariato”
della rivoluzione di Béla Kun, pur rispettando Parlamento
e Costituzione. L’Unione Sovietica nata dalla Rivoluzione di
Lenin non era certo una democrazia parlamentare. Nel 1922
c’era stata in Italia la Marcia su Roma di Benito Mussoli-
ni. Il maresciallo Piłsudski si era impadronito della Polonia.
Nel 1932 l’Austria era caduta in mano all’estrema destra di
Dollfuss. A sistemi autoritari sarebbero passati, uno dopo
l’altro, i piccoli Paesi Baltici: la Lituania nel 1926 con Sme-
tona, la Lettonia e l’Estonia nel 1934, rispettivamente con
Ulmanis e Päts. Nei Balcani, Ahmet Zogu si era proclamato
re Zog I di Albania nel 1928, re Alessandro aveva assunto
il controllo della Jugoslavia nel 1929, in Bulgaria re Boris
avrebbe assunto i pieni poteri nel 1934, in Romania re Carol
avrebbe fatto a meno del Parlamento dal 1938 in poi. Dal
1936 la Grecia di Metaxas si sarebbe organizzata su imita-
zione del regime nazista in Germania. In Spagna Primo de
Rivera avrebbe esercitato la sua dittatura personale dal 1923
al 1930 (seguita dalla dittatura di Francisco Franco, dopo la
breve e tragica esperienza della Repubblica). In Portogallo

28

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 28 02/04/19 17:19


la dittatura iniziata dal dottor António Salazar sarebbe dura-
ta dal 1932 alla Rivoluzione dei garofani del 1974. Nel 1938
di democrazie in Europa ne restavano appena una dozzina,
tutte minacciate da esplosioni di populismo, fomentate an-
che da una specie di “internazionale sovranista”. La Francia
e la stessa Inghilterra furono lì lì per cascarci, furono scosse
da movimenti antisistema, antisemiti e anti-immigrati, an-
ticapitalismo e anticorruzione, o anche apertamente filofa-
sciste, che attraevano simpatie, militanza, consensi elettorali
sia da destra che da sinistra. La Francia se la sarebbe cavata
grazie al sussulto delle elezioni del 1936 che portarono inve-
ce al governo il Front Populaire. L’Inghilterra grazie al fatto
che il matrimonio malvisto con l’americana divorziata Wallis
Simpson costrinse all’abdicazione Edoardo VIII, cui piace-
va Hitler. Negli Stati Uniti avevano evitato per il rotto della
cuffia di avere un presidente tipo Trump. Nel 1932 era stato
eletto il democratico Franklin Delano Roosevelt.

Con Hitler in ascensore

A Berlino, Simenon incontra Hitler in un ascensore del


Kaiserhof. “L’ho visto, il Messia, giusto una decina di giorni
prima delle elezioni, mentre stava salendo al suo appartamen-
to. Abitavamo nello stesso hotel… Nevicava. Era grigio…”
Non riesce a intervistarlo, le sue guardie del corpo tengono a
distanza i curiosi. O forse non l’ha neanche incontrato. Non
gli faremo le pulci: è un grande scrittore, e agli scrittori è lecito
inventare. Ma è anche un giornalista. Raccoglie le voci che
corrono: “Una sera [i nazisti] si sono riuniti in gran consiglio,
e hanno deciso che prima delle elezioni ci voleva una scusa per
mettere la museruola ai comunisti. Hitler proponeva di orga-
nizzare un finto attentato contro di sé, al fine di galvanizzare
le proprie truppe. Goebbels lo dissuase, dicendo che un fal-
so attentato rischiava di dare a qualcuno l’idea di organizzar-
ne uno vero. Allora hanno ripiegato sul Reichstag”. Un po’
romanzato, ma forse non così lontano dal vero. Segue lo sfo-
go classico del giornalista contro i propri giornali: “Era una

29

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 29 02/04/19 17:19


settimana prima delle elezioni, che si sarebbero tenute il sa-
bato. Ho telegrafato la notizia a Parigi al giornale della sera.
Non hanno osato pubblicarla…”.
Simenon se la prende con i titoli gridati dei giornali eu-
ropei (La Miseria in Germania, Il terrore in Germania). For-
se ce l’ha con Marc Orlan, l’autore del Porto delle nebbie, il
romanzo da cui Marcel Carné trasse l’omonimo film. Orlan
aveva pubblicato su “Paris-Soir” dei reportage sulla mise-
ria a Berlino, che poi erano usciti in volume con disegni di
Grosz. Certamente non prevede il terrore totale che le squa-
dracce naziste, arruolate in massa nella polizia del Reich,
avrebbero di lì a poco esercitato contro comunisti, ebrei e
tutti gli altri avversari, compresi i loro soci nel governo. È
in buona compagnia: anche una militante operaista come Si-
mone Weil scriveva in quei giorni ai genitori dalla capitale
tedesca che Berlino è la città più calma del mondo, vive in
una situazione di attesa.
Simenon irride agli editoriali sul perché “è impossibile
che prevalga il partito della violenza”, alle valutazioni con-
traddittorie del fenomeno Hitler: “È l’uomo di Papen! È
l’uomo del Principe della Corona! È l’uomo di Hugenberg!
È un fantoccio! È il nuovo Siegfried!”. Soprattutto vede
un’incongruenza tra tutte queste valutazioni e il consenso
crescente che percepisce attorno a Hitler.
Azzarda un tentativo di spiegazione: “Il governo? Il so-
cialismo? Il bolscevismo? La politica internazionale?”. Mac-
ché. Il mito di Hitler si alimenta di débauche sessuale. “Si
fermano per strada ragazzini e ragazzine di sedici, diciassette
anni per organizzare orge. Un ragazzo è stato ucciso dal fra-
tello in una crisi di gelosia. Il macellaio Haarmann faceva a
pezzi nella sua macelleria le piccole vittime che violentava. E
poi il maniaco sessuale di Düsseldorf…”
Il riferimento è a Fritz Haarmann, detto anche “il Lupo
mannaro di Hannover”, notissimo personaggio della crona-
ca nera. Adescava ragazzi di strada nei dintorni delle stazioni
ferroviarie. Li uccideva mordendoli alla gola, nella frenesia
dell’atto sessuale. Poi li faceva a pezzi. Durante il processo,
seguito dall’opinione pubblica con attenzione morbosa ai

30

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 30 02/04/19 17:19


dettagli, si era sparsa la voce che avesse venduto la carne del-
le sue vittime al mercato nero, spacciandola per carne di
maiale. Questo non fu provato, così come non fu mai accer-
tato se le vittime erano state ventiquattro, o ventisette, o un
numero ancora maggiore. Era stato giustiziato nel 1925, ma
se ne parlava ancora. Più fresco era il processo a Peter
Kürten, che preferiva violentare e uccidere bambine preado-
lescenti. Le stuprava, tagliava loro la gola con un coltello o
con delle forbici, e poi ne beveva il sangue. Gli furono attri-
buiti oltre una trentina di omicidi commessi tra 1929 e 1930.
Pare che fosse stato lui stesso a condurre la polizia sulle pro-
prie tracce, come avviene spesso nella serie tv americana Cri-
minal Minds. Arrestato nel maggio 1930, fu decapitato nel
luglio del 1931, dopo un processo seguito in modo morboso.
Tra arresto ed esecuzione di Kürten c’erano state le elezioni
per il Reichstag del 1930, quelle in cui per la prima volta ave-
va sfondato il partito di Hitler.
Torniamo al reportage di Simenon. “Che cosa vi dice-
vo un attimo fa? Ah sì. Le partouzes, il nudismo, il tasso di
usura, il freudismo, i ragazzini e le ragazzine, lo squilibrio e
la febbre, lo sport, l’eroina, la cocaina, e chissà cos’altro…
Ebbene, ci sono alcune decine di milioni di tedeschi che
hanno l’impressione che tutto questo è finito, che hanno ri-
trovato un equilibrio… Hitler li ha messi in riga…”. Sime-
non trascura una cosa sola: che per i nazisti il debosciato,
il maniaco sessuale, il serial killer, il perverso, il corruttore
di ragazzini e ragazzine innocenti è per definizione l’ebreo.
“Pensate a Berlino, affacciatevi sulla Friedrichstrasse. E lì
vedrete passare un ragazzo ebreo dopo l’altro avvinghiato a
una ragazza tedesca. E ricordatevi che ogni notte migliaia e
migliaia di sorelle del nostro sangue vengono contaminate,
vanno perse in un istante, e con loro perdiamo anche i nostri
figli e i nostri nipotini…” Chi l’ha detto? Chi è mai questo
maniaco? Avete indovinato: nient’altri che Hitler in perso-
na, nel discorso pronunciato in occasione della ricostituzio-
ne del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, il 25
febbraio 1925, otto anni prima che lo facessero cancelliere.

31

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 31 02/04/19 17:19


La foto del mostro in pagina

L’articolo di Simenon sulla Germania era uscito correda-


to da foto. Una di queste mostrava un uomo coi baffetti alla
Hitler. “Non è Hitler, anche se gli somiglia. È Kürten, il
Vampiro di Düsseldorf”, cioè un “serial killer psicopatico
che aveva ucciso molte donne e bevuto il loro sangue”, dice-
va la didascalia. Analisi politica? Una sorta di profezia degli
orrori a venire? O semplice constatazione della strana fasci-
nazione che la Germania di quegli anni aveva per i delitti
truculenti, in particolar modo quelli commessi contro le
donne?
Jack lo Squartatore l’aveva creato l’Inghilterra vittoriana.
A Parigi ce la stavano mettendo tutta per andare oltre Sade e
Lautréamont. Ma furono i tedeschi ad applicarsi con più im-
pegno al Lustmord, il delitto a sfondo sessuale. Assassino,
speranza delle donne, è il titolo dell’atto unico teatrale che
Oskar Kokoschka aveva scritto ancora nella Belle Époque.
Può fungere da didascalia a molti suoi dipinti. Le eleganti
Passeggiatrici di Kirchner nella Berlino di prima della Gran-
de Guerra, e i suoi nudi nel bordello ritraggono giovani don-
ne libere e disinibite, sicure di sé. Sanno benissimo quel che
fanno, sembrano condurre loro il gioco. Eppure è scontato
che finiranno per essere vittime, verranno sacrificate alla
“modernità”.
Grondano sangue, straripano di donne martoriate, sven-
trate, fatte a pezzi le opere degli espressionisti tedeschi. Ab-
bondano di figure femminili trafitte, martoriate, seviziate dai
loro sogni con la testa d’uccello i surreali romanzi-collage,
per immagini, di Max Ernst. Otto Dix ritrae a più riprese
corpi femminili martoriati e sviscerati. In Assassino sessuale:
autoritratto, del 1920, il pittore ritrae se stesso nelle vesti di
un clown che fa a pezzi una donna spargendone le membra
in tutte le direzioni. Non è l’unico a identificarsi con l’assas-
sino piuttosto che con la vittima. L’Autoritratto con Eva Pe-
ter nello studio dell’artista di George Grosz è del 1918. La
modella si specchia, mentre l’autore si autoritrae in procinto
di aggredirla da dietro lo specchio con un pugnale acumina-

32

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 32 02/04/19 17:19


to. Anche questo è solo uno dei moltissimi dipinti che Grosz
dedica al Frauenmörder, il femminicidio. Lui e la bellissima
Eva si sarebbero poco dopo sposati. Si salvarono salpando
per l’America a metà gennaio 1933. Il dipinto sarebbe finito
nel mucchio di quelli bollati dai nazisti come “arte degenera-
ta”. È andato perso, ne è rimasta solo una foto in bianco e
nero.
Il tema ricorre ossessivo anche nella letteratura, nel cine-
ma. Finisce fatta a pezzi da un maniaco cui sta per prostituir-
si la Lulu già concepita da Wedekind a fine Ottocento, poi
interpretata da Louise Brooks nel film di Pabst del 1929. Del
1931 è il film M di Fritz Lang, impareggiabilmente interpre-
tato da Peter Lorre nei panni dell’assassino di bambine. A
dargli la caccia sono, in gara gli uni con gli altri, la polizia e le
bande criminali del quartiere, perché il Mostro disturba i lo-
ro traffici. Arriveranno primi a catturarlo i criminali, verrà
processato da un tribunale di ladri, prostitute e assassini.
Negli stessi anni in cui la detective story americana creava i
suoi investigatori privati puri e duri, irriducibilmente indivi-
dualisti, la fantasia del tedesco Lang anticipava l’isteria col-
lettiva, la delazione di massa, la caccia agli ebrei e agli altri
che sarebbero stati additati come mostri dal regime. “Visto il
film M di Lang. Fantastico! Contro la spazzatura umanitaria.
A favore della pena di morte! Un giorno o l’altro Lang sarà
dei nostri” annotò Goebbels in data 21 maggio 1931, dopo
aver visto il film al cinema.
Lang poi raccontò che, divenuto ministro della Propa-
ganda nel 1933, Goebbels l’avrebbe chiamato e gli avrebbe
offerto di dirigere l’industria cinematografica tedesca. Lui
avrebbe obiettato: “Ma sono ebreo!”. Al che Goebbels
avrebbe replicato: “Non faccia lo stupido, Herr Lang! Qui
decidiamo noi chi è ebreo e chi no!”. Lang a questo punto si
sarebbe precipitato alla stazione e sarebbe scappato in esilio.
Questa parte probabilmente è un’invenzione a posteriori del
grande regista, che di fantasia ne aveva da vendere.
Uno dei personaggi chiave nell’Uomo senza qualità di
Musil è l’assassino Moosbrugger.

33

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 33 02/04/19 17:19


Aveva ammazzato una donna, una prostituta di infimo grado, in mo-
do raccapricciante. I cronisti avevano descritto minutamente una fe-
rita al collo che andava dalla gola alla nuca, due coltellate al petto
che attraversavano il cuore, due al lato sinistro del dorso, e la recisio-
ne delle mammelle che erano quasi staccate; essi esprimevano, sì,
tutta la loro esecrazione, ma non rinunziavano a elencare anche le
trentacinque trafitture nel ventre, e il taglio che si estendeva dall’om-
belico fino quasi alla colonna vertebrale e si prolungava in una quan-
tità di tagli più piccoli su per la schiena, mentre il collo recava segni
di strangolamento.

“Se l’umanità fosse capace di un sogno collettivo, sogne-


rebbe Moosbrugger”, la riflessione di Ulrich, il protagonista,
nella prima parte del romanzo. Che, guarda caso, uscì ap-
punto nel 1933. Non potevano ancora saperlo, ma il sogno si
stava realizzando.

Cento, mille casi Pamela Mastropietro

Non passava giorno senza che sulla stampa – non solo i


rotocalchi, anche i giornali “seri” – si parlasse di fatti di san-
gue orripilanti, di donne squartate e fatte a pezzi. Con sadica
insistenza sui dettagli. Era martellante, quasi come una pun-
tata di Chi l’ha visto? Un bombardamento mediatico non
stop come quello della ragazzina fatta a pezzi dal pusher ni-
geriano. Ha qualcosa a che fare con l’ascesa al potere di Hit-
ler? È anche questo un sintomo della paura, dell’insicurezza
collettiva, diffusa, che pervadeva la Germania e portava a
invocare l’Uomo forte? Forse l’orrore con tutti i particolari
in cronaca era quello che i lettori volevano sentirsi racconta-
re. Rispondeva in quel momento ai gusti, alla domanda del
pubblico. Se no, non si spiegherebbe perché, dagli anni venti
alla fine della Repubblica di Weimar, il genere di reportage
favorito da tutti i giornali di Berlino, anche, anzi soprattutto
dai giornali di area liberal-democratica, fosse non la cronaca
politica, ma quella giudiziaria.
L’attenzione era proporzionale alla durata e alla copertu-
ra mediatica dei processi. Poco dopo la condanna di Haar-

34

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 34 02/04/19 17:19


mann, nel 1924 era stato arrestato e si era suicidato in carce-
re a Münsterberg, nella Prussia orientale, un altro serial
killer, Karl Denke. Ammazzava e poi faceva a pezzi con l’a-
scia i vagabondi che bussavano alla sua porta. Solo dopo il
suicidio gli inquirenti si erano dati la pena di perquisire la
sua casa. Lì avevano scoperto centinaia di frammenti di ossa
umane, carne umana in salamoia e giare di grasso umano. Un
taccuino dell’assassino cannibale registrava scrupolosamen-
te i nomi di trentuno delle sue vittime. Non c’era stato pro-
cesso, e quindi se n’era parlato molto meno che dei casi Ha-
armann e Kürten. Un grande e rispettato giornale liberal, il
“Frankfurter Zeitung”, aveva tirato in ballo addirittura la
crisi economica, ipotizzando che l’assassino si fosse dato al
cannibalismo per sopravvivere dopo che era stato rovinato
dall’inflazione.
L’atteggiamento della stampa variava secondo l’orienta-
mento politico. L’organo comunista “Rote Fahne” (Bandiera
rossa) si era pronunciato contro la condanna a morte del “lu-
po mannaro” Haarmann con l’argomento che il serial killer
in definitiva aveva fatto in piccolo nient’altro che quello che
“lo Stato capitalista” fa in grande: un massacro di innocenti.
Non era un atteggiamento isolato né estremo. Era comune
tra gli intellettuali dell’epoca di Weimar considerare i crimi-
nali come “vittime della società”, “capri espiatori di una so-
cietà ipocrita”. Anche per gli assassini, persino per i serial
killer, le cronache giudiziarie cercavano spiegazioni sociali,
attribuivano le esplosioni di furia omicida a “fatali concate-
nazioni di eventi”, oppure alla Guerra, all’Inflazione, all’In-
giustizia. Prestavano attenzione ai traumi e alle umiliazioni
subite dagli accusati nella loro infanzia e nel corso della loro
vita travagliata. Li psicoanalizzavano.
Non solo sui giornali di sinistra o liberal, anche su quelli
di destra. Daniel Siemens, uno studioso tedesco che ha pas-
sato in rassegna tutte le cronache giudiziarie apparse sui
giornali berlinesi dal 1919 al 1933, nota che Alfred Karrasch,
cronista giudiziario del “Berliner Lokal-Anzeiger”, uno dei
giornali dell’impero mediatico Hugenberg, esprimeva co-
stantemente simpatia per gli accusati, con la sola eccezione

35

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 35 02/04/19 17:19


dei “comunisti”. Li definiva non delinquenti ma “disperati”,
“disgraziati”, “tragici buffoni”, “vittime del destino”. Non
era per niente di sinistra, e nemmeno moderato: nel 1932 si
sarebbe iscritto al partito nazista. Ma alla pari dei suoi colle-
ghi dei giornali liberal esprimeva sentimenti di pietà, invoca-
va clemenza per i malfattori. Così facendo davano quasi l’im-
pressione di volerli giustificare, in qualche modo difendere.
Si prestavano all’accusa di stare più dalla parte dei delin-
quenti che delle loro vittime, delle quali in effetti sui giornali
si parlava assai meno o per niente.
La reazione fu violenta. Ci fu chi, come Ernst Jünger, tac-
ciò l’eccesso di “umanità” dei cronisti giudiziari nei confron-
ti degli accusati come qualcosa “al limite della perversità”. I
giornali di destra martellavano contro la “confusione mora-
le”, il lassismo, la colpevole condiscendenza verso i delin-
quenti. Invocavano tolleranza zero, pugno di ferro. Non c’e-
ra neanche bisogno che qualcuno evocasse la castrazione per
i crimini sessuali. C’era già. Nel romanzo autobiografico po-
stumo di Hans Fallada, Il bevitore, il protagonista si ritrova
in cella con uno stupratore seriale al quale era stata fatta ba-
lenare la possibilità di essere liberato se si fosse sottoposto a
una castrazione volontaria. Lui accetta, ma i giudici ci ripen-
sano e lui resta in carcere. L’obiettivo dichiarato dei nazisti
era invece “lo sterminio dei criminali di professione”. Parola
del futuro capo della Polizia Kurt Daluege. Il passo dallo
sterminio dei criminali allo sterminio per motivi di razza sa-
rebbe stato breve. Anche perché le due categorie venivano a
sovrapporsi, finirono per combaciare. Che tutte le grandi fir-
me “buoniste”, “umanitarie”, della cronaca giudiziaria aves-
sero cognomi ebraici divenne un’aggravante.

36

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 36 02/04/19 17:19


4.
Ebrei, cioè immigrati

Venivano dall’Est. Fuggivano guerre, stragi e povertà.


Nelle fantasie alimentate dalla stampa erano ladri, as-
sassini e stupratori. Uno dei primi provvedimenti del
nuovo governo fu un “Decreto immigrazione” che bloc-
cava ogni ulteriore arrivo di ebrei. I nazisti non ave-
vano remore a passare per “cattivi”. Anzi ci tenevano.
Tanto più che l’odio verso gli immigrati andava a brac-
cetto con l’odio per le élite.

Chi erano gli Ost-Juden, gli ebrei orientali? Stando a quel


che ne dice Joseph Roth, nel suo Ebrei erranti, pubblicato
nel 1927 dalla casa editrice Die Schmiede di Berlino, sono
gente che vuole “abbandonare quel Paese dove ogni anno
potrebbe scoppiare una guerra e ogni settimana un po-
grom”, gente che “emigra a piedi, col treno o per mare verso
i paesi occidentali dove li attende un nuovo ghetto, magari
un po’ migliore ma non meno inumano, pronto ad accogliere
nelle sue tenebre i nuovi ospiti scampati semivivi alle vessa-
zioni dei campi di concentramento”. L’ebreo che viene
dall’Oriente è l’eterno emigrante, il rifugiato di ogni tempo,
compreso il nostro. È l’eterno illuso, che “non sa nulla
dell’ingiustizia sociale dell’Occidente, nulla del dominio che
il pregiudizio esercita sui modi, le azioni, i costumi e le con-
cezioni dell’europeo medio occidentale; nulla dell’angustia
dell’orizzonte occidentale, tutto orlato di centrali elettriche e
dentellato di ciminiere… [che non sa] nulla dell’odio, già
così forte che lo si custodisce gelosamente come strumento
di sopravvivenza (mentre esso toglie la vita), quasi fosse un
fuoco eterno al quale si riscalda l’egoismo di ogni individuo
e di ogni paese”. “Per l’ebreo orientale l’Occidente è libertà,

37

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 37 02/04/19 17:19


possibilità di lavorare e di estrinsecare il proprio talento, è
giustizia…” Ma non sa cosa lo aspetta.

L’ebreo orientale “vive con la paura addosso”, “ha solo


doveri e nessun diritto, fuorché quelli scritti sopra un pezzo
di carta che, com’è noto, non garantisce nulla”, “dai giornali,
dai libri e dagli emigranti ottimisti ha sentito dire che l’Occi-
dente sarebbe un paradiso…”. Non sempre ha un mestiere.
Per lo più “girano il mondo come accattoni e venditori am-
bulanti”. Fanno il vu’ cumprà. Sono disprezzati da tutti.
Specie dagli altri ebrei che si sono già sistemati, “sono diven-
tati ebrei occidentali, anzi europei occidentali”.
Non è neanche detto che si vogliano fermare in Germa-
nia. Berlino ha un quartiere ebraico, ma è solo una “stazione
di transito”. Vi giungono “emigranti che vogliono andare in
America via Amburgo e Amsterdam”. O a Parigi, dove non
mancano gli antisemiti “dell’Action Française”, della destra
xenofoba, ma almeno “possono vivere come vogliono”, e i
loro figli, se “nati a Parigi, possono diventare cittadini fran-
cesi”. “Tra gli ebrei orientali che risiedono a Berlino ci sono
anche dei delinquenti. Borsaioli, specialisti in truffe matri-
moniali, impostori, falsificatori di banconote, speculatori
sull’inflazione…” L’ossessione di ogni ebreo orientale, in
qualunque paese sia emigrato, sono i documenti. “Dalla lot-
ta ‘documenti sì, documenti no’ un ebreo orientale può af-
francarsi solo se combatte la società con mezzi delittuosi. Il
delinquente ebreo-orientale, nella maggior parte dei casi, era
già un delinquente nella sua terra. Arriva in Germania senza
documenti oppure con documenti falsi. Non si presenta
all’ufficio di polizia.”
Non provate anche voi un senso di déjà écouté nel leggere
Roth? L’ebreo è uno straniero, è un immigrato. I migranti
sono delinquenti. Quindi gli ebrei sono criminali. Tutti gli
ebrei sono criminali. Questo il sillogismo che avrebbe porta-
to allo sterminio. Nella versione attuale basta sostituire ad
“ebrei” l’espressione “migranti clandestini”, o anche solo
“migranti”, per antonomasia indesiderati. Se sono stranieri,

38

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 38 02/04/19 17:19


allora ci vogliono male. Gli ebrei (o gli islamici, o i messicani,
o quelli che ce l’hanno con noi in Europa o nel resto del
mondo), sono stranieri. Quindi ce l’hanno con noi. Se sono
ebrei (o sono immigrati), allora sono anche criminali, ladri,
ricettatori, sfruttatori di prostitute, seduttori di fanciulle in-
nocenti, portatori di malattie, spacciatori di stupefacenti, sa-
botatori dell’economia nazionale, maniaci sessuali e assassi-
ni, e ovviamente terroristi.

Il “Decreto immigrazione”

Uno dei primissimi provvedimenti del ministro degli In-


terni del governo Hitler, Wilhelm Frick, fu chiudere le porte
agli immigrati. Per “immigrati” si intendevano soprattutto
gli ebrei. Erano arrivati a milioni in Germania dall’Est, dalla
Russia e dalla Polonia. Fuggendo a ondate, prima i pogrom
zaristi, poi la Grande Guerra, poi la guerra civile in Russia, e,
in continuazione, la povertà dello shtetl, dei villaggi-ghetto.
Erano arrivati via terra. Molti non volevano neppure fermar-
si, sognavano solo di ripartire per mare, verso l’America o li-
di ancora più lontani. L’ordinanza del ministero degli Interni
imponeva a tutti i Länder tedeschi – anche, anzi soprattutto a
quelli che continuavano ad accogliere gli immigrati – di: 1.
Vietare ogni ulteriore immigrazione di ebrei orientali; 2.
Espellere gli ebrei orientali privi di permesso di soggiorno; 3.
Mettere fine alla naturalizzazione degli ebrei orientali. Poco
dopo fu deciso di revocare la cittadinanza tedesca anche a
quelli che già ce l’avevano, a tutti quelli che l’avevano otte-
nuta tra la fine della Grande Guerra e il 30 gennaio 1933.
Quella dell’invasione da parte di profughi e immigrati
era un’ossessione che andava di pari passo con la psicosi
dell’assassino, dello stupratore, del rapinatore a ogni angolo
di strada. La propaganda nazista l’avrebbe indirizzata verso
un obiettivo preciso: gli ebrei provenienti dall’Oriente, i pro-
fughi, gli “estranei” al corpo di una nazione altrimenti felice
e compatta che vi introducono corruzione, dissolutezza, cri-
minalità, terrorismo, contagio, malattie. Un esempio egregio

39

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 39 02/04/19 17:19


di propaganda in questo senso è il documentario Der Ewige
Jude, l’eterno ebreo, prodotto nel 1940. Ricorreva a dati, ta-
belle, animazioni, sovrapposizioni di immagini di migranti
laceri e topi immondi che scendono dai barconi, per illustra-
re “scientificamente” quanto fosse perniciosa l’invasione
dell’Europa da parte di una razza estranea proveniente dal
Medio Oriente. Lo si trova facilmente in internet. A me dà
una sferzata di déjà vu. Provare per credere. Comunque
sfondavano una porta aperta: bisogna che ci sia già una forte
predisposizione, un pregiudizio già radicato per suscitare
adesione così ampia ed entusiastica all’odio contro i diversi.
Era evidente che non si sarebbero limitati a chiudere
frontiere e porti agli indesiderati. Bisognava sbarazzarsi an-
che di quelli che erano già entrati, magari si annidavano da
generazioni. Oltre l’80 per cento degli ebrei residenti in Ger-
mania fino al 1933 aveva la cittadinanza. Si sentivano tede-
schi, a pieno titolo. Ne andavano fieri. Si erano integrati.
Molti erano convinti di non avere niente a che fare con quei
poveracci che continuavano ad arrivare dall’Est. La loro pa-
tria era la Germania. Alcuni avevano combattuto con onore,
si erano distinti nella Grande Guerra, avevano non solo me-
daglie ma cicatrici a riprova della lealtà alla nazione di cui si
sentivano parte. Molti avevano avuto successo, esercitavano
professioni prestigiose, erano professori, medici, avvocati,
giudici, scienziati. Alcuni erano diventati celebri anche a li-
vello mondiale. Non erano affatto emarginati. Anzi, faceva-
no parte a pieno titolo delle élite.

Ciò non li avrebbe esentati dal disprezzo, dall’espulsio-


ne, più tardi dallo sterminio. Certo qualcuno poteva obietta-
re che “ci sono anche ebrei perbene”. Così come, bontà loro,
c’è chi, di questi tempi, non contesta che ci siano “immigrati
perbene”, “islamici perbene” e così via. Quante volte l’ab-
biamo sentito dire anche da chi gli immigrati non li ama? Un
opuscolo redatto nel 1930 da un alto funzionario statale sim-
patizzante con i nazionalsocialisti tagliava corto con un argo-
mento che non ammette repliche: “Sì, forse. Ma se uno dor-

40

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 40 02/04/19 17:19


me in un letto d’albergo pieno di cimici, non chiede a ogni
singola cimice: sei una cimice perbene o disonesta? la schiac-
cia e basta”.

“La pacchia è finita”

Al Decreto immigrazione seguì quella che, ricorrendo a


un’immagine militare, definirono “guerra al crimine”. Si sus-
seguivano arresti e retate per “mettere i delinquenti in galera”.
Arriva il pugno duro, titolarono in prima pagina i giornali. La
caccia ai criminali – non solo agli avversari politici bollati co-
me criminali – era scattata subito, anche prima che ci fosse
l’incendio del Reichstag ed entrassero in vigore le leggi specia-
li “per la sicurezza del Reich”. La polizia aveva ottenuto im-
mediatamente poteri di “arresto preventivo” per combattere i
comunisti. Si fondava sulla pratica della “custodia preventi-
va”, già prevista nei casi particolari in cui bisognava sottrarre
un sospetto al linciaggio da parte della folla. Divenne la moti-
vazione standard con cui si poteva arrestare e mandare chiun-
que in qualsiasi destinazione decisa dalle autorità, senza che ci
fosse bisogno dell’autorizzazione di un magistrato, e trattener-
lo indefinitamente, senza che ci fosse bisogno di un processo.
È nel 1933 che vengono allestiti i primi campi di concen-
tramento, affidati alle SS di Himmler. Inizialmente erano ri-
servati ai comunisti e agli avversari politici. Poi la pratica fu
estesa ai ladruncoli, ai profittatori, ai truffatori. Poi agli im-
migrati clandestini, agli accattoni, ai vagabondi, ai senza fissa
dimora per qualunque motivo. Poi ancora ai “lavativi”, ai
“pesi morti”, agli “scrocconi”, ai “piantagrane”. Infine agli
omosessuali, e agli zingari, ai rom, ai sinti, che venivano ini-
zialmente recintati nei loro stessi campi nomadi. Se badate
bene, il catalogo degli indesiderabili è rimasto più o meno
quello. I cittadini venivano incoraggiati a denunciarli e se-
gnalarli alla polizia, a non farsi impietosire, e, se proprio sen-
tivano il bisogno irresistibile di generosità, a fare donazioni
solo alle associazioni propriamente registrate. Furono messi
in guardia dal buttar via il loro denaro per finanziare “traffi-

41

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 41 02/04/19 17:19


canti di carne umana”, associazioni criminali che reclutava-
no e sfruttavano immigrati, questuanti molesti e prostitute.
Nel settembre 1933 fu lanciata una gigantesca retata per “ri-
pulire Berlino da vagabondi e accattoni”. Ne arrestarono ed
espulsero 100.000 in un giorno solo. Fu la più grande opera-
zione di polizia e di arresti di massa che si fosse vista fino ad
allora in Germania.

L’opinione pubblica applaudiva. I nazisti appena arrivati


al governo si erano arrogati il controllo di quello che si pote-
va o non poteva pubblicare. Fecero in modo che la stampa
desse il massimo rilievo all’istituzione dei campi di concen-
tramento dove gli oppositori, gli indesiderabili, potevano es-
sere rinchiusi senza processo. Non facevano nulla per na-
scondere, anzi vantavano l’efficacia del loro nuovo sistema di
“giustizia di polizia”. Per sapere dei campi, della Gestapo,
delle persecuzioni e della discriminazione “bastava leggere i
giornali,” ha scritto Christa Wolf. Non si limitavano a sapere
quel che succedeva. La maggioranza approvava. Qualcuno
approvava con entusiasmo. Erano soddisfatti che i nazisti
mantenessero la promessa di “ordine, disciplina, regole”. La
mano pesante, e persino le brutalità, lungi dal danneggiare la
reputazione di Hitler, raccoglievano ampio consenso. Il pub-
blico avrebbe continuato ad applaudire quando assieme agli
altri “asociali” furono portati via zingari ed ebrei.
C’era consenso per la pena di morte. Specie per i delitti
sessuali. E poi più tardi per gli attentati alla “purezza della
razza”, la miscegenazione, la mescolanza di sangue (altret-
tanto, se non addirittura più grave se tra partner consenzien-
ti). Non si versarono lacrime per la durissima persecuzione
della “gioventù bruciata”, sbandati, piccoli delinquenti, ma
anche semplicemente ragazzi e ragazze che rifiutavano l’ir-
reggimentazione (obbligatoria dal 1939 in poi) nella Gioven-
tù hitleriana, preferivano ascoltare jazz, ballare. Che si riu-
nissero in bande giovanili (famosi i “Pirati”) divenne
un’aggravante punibile con la pena di morte. Non si registra
particolare orrore nell’opinione pubblica tedesca quando si

42

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 42 02/04/19 17:19


cominciò a impiccarli in piazza. Perché avrebbero dovuto
commuoversi quando infine si passò allo sterminio sistemati-
co e di massa?
Era svanita da un giorno all’altro la grande tradizione
“romantica” di simpatia verso i ribelli e i non integrati, dal
Schiller dei Masnadieri, al Michael Kohlhaas di Kleist, al
Brecht dell’Opera da tre soldi. Protagonista del romanzo La
ribellione di Joseph Roth è il mutilato di guerra Andreas
Pum, che realizza il suo sogno quando gli concedono la li-
cenza di mendicare. Il mondo gli crolla addosso quando, in
seguito a un banale litigio col bigliettaio del tram, gliela tol-
gono, lui reagisce e viene internato. Scomparvero da un gior-
no all’altro dalle strade i suonatori ambulanti, i mendicanti, e
anche le grida dei raccoglitori di “Stracci, ferro, vestiti vec-
chi, carta”. Alla gente non dispiaceva. I nazisti gli avevano
tolto un fastidio. Molto dopo la fine ignominiosa del Terzo
Reich, c’era gente che ricordava con nostalgia l’epoca in cui
le leggi erano severe, non si vedevano più accattoni e prosti-
tute per strada, i ladri venivano giustiziati e “nessuno si per-
metteva di portare via qualcosa che apparteneva a qualcun
altro”.

Sulla severità i nazisti avrebbero costruito un mito. “I no-


stri amici criminali hanno preso nota che dal 1933 in Germa-
nia soffia un vento diverso, più fresco e più sano. Non ci so-
no più sentimentalismi nei nostri penitenziari e nelle nostre
prigioni,” proclamò trionfalmente il “Der Angriff” (L’Attac-
co) di Goebbels. Come dire: “La pacchia è finita”. I nazisti
non avevano complessi a passare per cattivi. E su questo fon-
davano una parte importante del loro sostegno popolare. Gli
rendeva consenso sonante. Il buonismo fu bandito a furor di
popolo. Ma anche con il plauso degli addetti ai lavori, non
solo delle forze dell’ordine ma anche dei criminologi e dei
giudici. I Principi della punizione criminale adottati nel 1923,
agli albori della Repubblica di Weimar, prescrivevano che i
carcerati, dovessero essere trattati “in modo giusto e uma-
no”, “rispettando la loro dignità e rafforzando il loro senso

43

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 43 02/04/19 17:19


dell’onore”. Un decennio dopo i giuristi prendevano sempre
più le distanze da questo approccio da “cuore tenero”. Già
nel 1932 alla conferenza annuale della sezione tedesca
dell’Unione internazionale dei criminologi c’era stato chi
aveva attaccato l’eccesso di umanità nei confronti dei carce-
rati con l’argomento che “andando avanti di questo passo,
tra trenta o quarant’anni, non ci saranno più punizioni per
nulla”. Ci fu chi teorizzò che “l’idea di punizione è troppo
profondamente radicata nell’opinione popolare sulla finalità
della giustizia perché sia soppiantata”.

Tutto sempre colpa degli ebrei

“È proprio tutta, ma tutta colpa degli ebrei!” faceva il ri-


tornello sull’aria della habanera della Carmen musicata da
Felix Hollaender, già celebre come autore delle canzoni di
Marlene Dietrich nell’Angelo azzurro.

Se piove e se fa freddo,
Se il telefono è occupato,
Se la vasca da bagno perde,
Se ti sbagliano la dichiarazione dei redditi,
È proprio tutta, ma tutta colpa degli ebrei!
Se quel che mangi sa di sapone,
Se la domenica piange il piatto,
Se il Principe di Galles è un finocchio…
È tutta colpa degli ebrei!
È proprio tutta, ma tutta colpa degli ebrei!

Andò in scena nel 1931 al cabaret Tingel-Tangel. Prende-


va in giro le ossessioni degli antisemiti con la tecnica dell’e-
lenco, infilando uno dopo l’altro, tra una ripetizione del ri-
tornello e l’altra, i fatti più disparati, dall’attualità politica ai
motivi del malumore diffuso, alle cronache di costume. L’as-
surdo comico rifletteva l’assurdo del reale. Paradossalmente

44

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 44 02/04/19 17:19


la canzoncina faceva parte di uno spettacolo di satira politica
che prendeva principalmente di mira non i nazisti ma la Re-
pubblica di Weimar. “Bugiardo, bugiardo, bugiardo, ma co-
me vorrei che le bugie fossero vere…”, faceva il ritornello di
Münchasen, la canzone dei delusi dalle bugie della politica e
dalla democrazia. C’era però anche un cameo su Hitler, nei
panni di uno spiritello di seconda categoria, che si limitava a
fare lo spauracchio: “Ah, ah! Sono il piccolo Hitler, e ora mi
metto a mordere. Vi metto tutti nel sacco, uh, uh, uahuhh”.
Era profetico, ma ancora in sordina, quasi inconsapevolmen-
te. Lo spiritello ancora in fasce in realtà stava già azzannando
con ferocia inaudita.
Il cabaret si presta bene alla compenetrazione intima tra
assurdo e tragico. Willy Rosen aveva inaugurato nel 1924 il
Kabarett der Komiker musicando Quo vadis, una parodia
dei nazisti quando ancora erano lontani dal potere e pochi si
curavano di loro. Si dice che sul vagone piombato che da
Theresienstadt lo portava ad Auschwitz continuasse a canta-
re: “Qualcuno di cui si ride c’è sempre in ogni luogo / In
ogni luogo c’è qualcuno che scherza / Qualcuno destinato a
recitare la parte del buffone…”. Nessuna risata sa essere tra-
gica quanto quella forzata del clown. È il buffone a cogliere
sfumature che altrimenti si perderebbero. Nel suo bel libro
Ridere rende liberi. Comici nei campi nazisti (Quodlibet,
2016), Antonella Ottai riporta, tra molti altri, uno sketch del
“conferenziere” Franz Engel, ucciso poi ad Auschwitz come
moltissimi altri comici ebrei:
Vado verso mezzogiorno dal mio barbiere, come ogni giorno. Vedo
un uomo catapultato fuori dalla porta. Non me lo spiego. Chiedo al
mio barbiere: Che succede? Perché ha buttato fuori questo signore?
Mi dice: Stia attento. Il tipo viene nel mio locale e fa: ‘Mi rada!’. Non
potrebbe dire come tutti: ‘Sia così gentile da radermi?’… A un tratto
fa: ‘Qui puzza!’. ‘Scusi,’ gli faccio io, ‘credo che lei si sbagli, ma di
cosa dovrebbe esserci puzza?’. Tiro fuori il rasoio e comincio a ra-
derlo. E lui: ‘Continua a esserci puzza’. Comincio a essere un po’
seccato. Dico: ‘Le faccio notare, signore, che il mio locale viene di-
sinfettato ogni giorno, non vedo proprio di cosa dovrebbe puzzare’.
Continuo a radere, e lui: ‘Eppure puzza’. Allora mi arrabbio e dico:
‘Di cosa dovrebbe puzzare? Non è che è lei che puzza?’. Mi dice: ‘Lo

45

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 45 02/04/19 17:19


so io di che cosa puzza. Probabilmente puzza degli ebrei che sono
passati di qui’. Ah no, esplodo. Stia a sentire che cosa gli ho risposto:
‘Faccia attenzione a quel che dice, signore, tra la mia clientela ho
ebrei di prim’ordine, gente di riguardo, uomini d’affari onesti… chi
offende un ebreo offende anche me’. E allora lui: ‘Mi sa che sei ebreo
anche tu’. Capito cosa ha avuto la faccia tosta di dirmi? Schiaffeg-
giarlo e buttarlo fuori è stata questione di un attimo. Non mi faccio
mica offendere così io!

Non erano stati i nazisti a inventare l’antisemitismo. Si


sarebbero limitati a portarlo alle estreme conseguenze. L’a-
vevano trovato già bell’e diffuso, con radici in profondità
nell’anima nazionale, nella cultura popolare, e persino in
molti settori della cultura d’élite. Sin dal Medioevo non era-
no mai cessate le accuse agli ebrei di omicidio rituale, di dis-
sanguare bambini cristiani per condire le azzime pasquali, di
vampirismo e perversioni sessuali. Eppure la Germania era
anche il paese che più aveva integrato gli ebrei nella propria
cultura. Peter Gay ricorda nel suo memoir My German Que-
stion una lite furibonda che ebbe alla Columbia University
col suo collega Franz Neumann. Neumann, ebreo e tedesco
come lui, aveva lasciato da esule la Germania nel 1933. Il suo
Behemoth sarebbe divenuto per generazioni di studiosi il te-
sto di riferimento sul sistema nazista. Gay racconta che ci li-
tigò perché continuava a sostenere una tesi assurda: che pri-
ma dell’arrivo al potere dei nazisti i tedeschi erano il popolo
meno antisemita in Europa. E che poi, ripensandoci, gli ven-
ne il dubbio che potesse avere ragione.
In Europa i tedeschi erano stati surclassati in zelo antise-
mita dagli intellettuali francesi. In fatto di astio a furor di po-
polo erano superati dai polacchi. Pogrom è una parola russa.
I russi non sono mai andati leggeri in fatto di pregiudizi po-
polari contro gli ebrei. Era stata la polizia zarista a inventare
i Protocolli dei Savi di Sion. C’è una continuità in questo, da-
gli zar fino a Solženicyn. La paranoia antisemita di Stalin
avrebbe raggiunto il parossismo nel dopoguerra: era proba-
bilmente davvero convinto che i medici ebrei complottasse-
ro per ammazzarlo. In fatto di martellante propaganda sulla
cospirazione ebraica mondiale, Hitler aveva trovato in Ame-

46

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 46 02/04/19 17:19


rica un maestro, se possibile ancor più fanatico, nel magnate
dell’automobile Henry Ford. C’era davvero qualcosa che
predisponeva più di altri la Germania allo sterminio?

Contro le élite e contro i disperati

Ma perché ce l’avevano tanto con gli ebrei? Tra le molte


spiegazioni possibili ce n’è una a prima vista bizzarra: l’invi-
dia. È quella avanzata nel 1933 da Siegfried Lichtenstaedter,
alto funzionario bavarese in pensione, ebreo e al tempo stes-
so tedesco sino al midollo. A tempo perso scriveva romanzi
colmi di profezie per il futuro. E spesso ci azzeccava. Lo in-
contreremo ancora in questa veste nelle pagine che seguono.
Sosteneva che gli antisemiti ce l’hanno con gli ebrei per invi-
dia. Invidiano gli ebrei perché sono colti, sono ricchi, hanno
successo, sono più felici di loro. L’invidia è una ragione suffi-
ciente per odiare. L’invidioso si rode, ma non ammetterà mai
di voler imitare l’oggetto della propria invidia. Anzi lo deni-
gra, dice che gli fa ribrezzo, gli dà del ladro, del farabutto,
dell’immorale, dell’imbroglione, del furbo se ha successo,
del parassita se non ce l’ha, dell’essere spregevole in ogni ca-
so. Nega di voler diventare come lui. L’unica impagabile sod-
disfazione è se l’invidiato finisce in disgrazia, perde quelli
che l’invidioso considera vantaggi e privilegi. La lingua tede-
sca ha persino un termine specifico per indicare il godimen-
to, la gioia per la disgrazia altrui: Schadenfreude.
Un’altra spiegazione è che ce l’avessero con gli ebrei per
la ragione opposta, perché molti ebrei – e in particolare gli
immigrati – erano al livello più basso della scala sociale, po-
veri tra i poveri, ignoranti, insomma “brutti, sporchi e catti-
vi”. In realtà queste due spiegazioni addotte come origine
dell’odio non sono in contraddizione. Si può essere infastidi-
ti, odiare, chi sta peggio, e al tempo stesso invidiare, odiare,
chi sta meglio. Le due cose si tengono per mano, sono com-
plementari. Lo vediamo ogni giorno: coloro che più ce l’han-
no con gli immigrati, i poveracci arrivati dal Medio Oriente,
dall’Afghanistan, dall’Africa (o dal Sudamerica), sono anche

47

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 47 02/04/19 17:19


quelli che più ce l’hanno con le élite, con chi viene accusato
di non comprendere, anzi di prosperare sul malessere del
“popolo”, dell’uomo qualunque, dei “dimenticati”.
Mentre scrivo ascolto in tv il nostro ministro dell’Interno
dire che quelli che si impietosiscono per gli immigrati, i pro-
fughi, i naufraghi lasciati a vomitare l’anima sulla nave che li
ha raccolti, dovrebbero invece avere a cuore il disagio degli
italiani in difficoltà. Quelli sì che soffrono, sono stati abban-
donati, mentre gli immigrati sono accolti in “hotel a tre stel-
le”, finiscono in testa alle graduatorie per l’assistenza, viene
martellato in continuazione. Scrosciano gli applausi. Ecco
uno che parla come il popolo che lo vota. Prima gli italiani,
Americans first, Les Français d’abord. Tutto già sentito nel
1933. Nella puntigliosa rassegna degli orrori di quell’anno,
che sarebbe stata pubblicata, postuma, solo nel dopoguerra
col titolo La terza notte di Valpurga (in riferimento al viaggio
infernale di Faust in Goethe), Karl Kraus si sovviene di un
episodio di cui era stato testimone a Berlino, che lo aveva
portato “alla radice del problema”, lo aveva portato “a intui-
re ciò che è così difficile dire”: una giornalaia tedesca che
pubblicizzava a squarciagola il titolo: Perché l’ebreo guada-
gna di più e più presto di noi?

La domanda ricorrente, che tutti continuiamo a porci è:


ma perché tanto odio? È la domanda delle domande, secon-
do lo storico e giornalista tedesco Götz Aly, che ha provato a
rispondere in un libro ricco di suggestioni, tradotto in italia-
no con il titolo: Perché i tedeschi? Perché gli ebrei? Ugua-
glianza, invidia e odio razziale 1800-1933.
Ma chi glielo faceva fare? Quale guadagno poteva deriva-
re dal coltivare, ingigantire, mettere al centro della propria
politica, anzi al centro di tutto, un tale odio per gli ebrei?
Che senso aveva? Non avrebbero potuto fare esattamente
tutto quello che hanno fatto senza doversela per forza pren-
dere, e con tanta ferocia, con gli ebrei? Imporre una dittatu-
ra al posto della democrazia di Weimar, eliminare ogni op-
posizione politica, compresi gli alleati di governo fino al

48

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 48 02/04/19 17:19


giorno prima, perseguire una politica ultranazionalista, esal-
tare “la Germania per i tedeschi”, consolidare l’economia
interna, finanziare il riarmo, persino fare una guerra di con-
quista: tutto questo avrebbero potuto farlo lo stesso, senza
bisogno di aizzare all’odio degli ebrei. O no?
C’è chi ha tirato in ballo le psicosi di Hitler. Altri il fanati-
smo dei suoi seguaci. Victor Klemperer, che lo visse sulla
propria pelle e annotò giorno per giorno nel suo diario il
progredire dell’odio anche sul piano linguistico, ha una ri-
sposta molto semplice: lo fecero perché gli conveniva. A fare
i trucidi avevano tutto da guadagnare, poco da perdere.

Un guadagno enorme, tanto enorme da farmi ritenere che l’antisemi-


tismo dei nazisti non sia un’applicazione particolare della più gene-
rale teoria della razza, ma che essi abbiano ripreso e sviluppato la
teoria generale solo per dare un fondamento durevole e scientifico
all’antisemitismo. L’ebreo è la persona più importante nello stato hit-
leriano: è la testa di turco, il capro espiatorio più popolare, l’antago-
nista del popolo, il denominatore comune più evidente, la parentesi
più adatta a racchiudere i diversi fattori. Se al Führer fosse finalmen-
te riuscita l’auspicata eliminazione di tutti gli ebrei, ne avrebbe do-
vuti inventare di nuovi, perché senza il diavolo ebraico – Chi non co-
nosce l’ebreo non conosce il diavolo stava scritto sulle bacheche dello
“Stürmer” – senza l’ebreo tenebroso non sarebbe esistita l’immagine
luminosa del tedesco nordico. Del resto il Führer non avrebbe fati-
cato a trovare altri ebrei, visto che più volte autori nazisti hanno defi-
nito gli inglesi come discendenti di una tribù ebraica scomparsa…

Il ragionamento fila perfettamente, quasi come un’e-


quazione algebrica, se al termine “ebreo” sostituiamo il ter-
mine “straniero” o, peggio, l’oggi ancor più spregiativo
“immigrato”.
L’antisemitismo non era il solo argomento della propa-
ganda nazista. Ce l’avevano anche con le “influenze interna-
zionali venefiche e appestanti”, con “la ragnatela internazio-
nale della finanza”, con le organizzazioni economiche
mondiali che volevano imporre alla Germania “la miseria”,
con la scusa che era troppo indebitata, e ovviamente ce l’ave-
vano con la “minaccia bolscevica” e il “terrore comunista”.
Ma all’origine di tutto questo, nel ruolo di cerniera del gran-

49

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 49 02/04/19 17:19


de complotto internazionale contro la Germania c’erano
sempre e comunque gli ebrei. Negli anni 1930-33 per i nazi-
sti fu l’antisemitismo a costituire “la struttura portante emo-
zionale”. Hitler, fa notare Aly, “pizzicava la corda della razza
quasi incidentalmente, come una nota smorzata e ricorrente
nel basso continuo delle sue arringhe”. E “bastava”, perché
questo era ciò che la sua audience voleva sentire. A riprova
cita anche un ricordo di famiglia. Suo zio August, che allora
era studente a Monaco, va ad ascoltare un discorso di Hitler
e nota che “parlava senza mostrare astio, con una tale cautela
che fu il pubblico a condire il discorso con le consuete inte-
riezioni ‘ebrei’, ‘traditori’, ‘canaglie’”. Insomma: “Oratore e
pubblico facevano dell’antisemitismo uno spettacolo interat-
tivo”. Interattivo come Facebook e Twitter.
Facendo dell’antisemitismo la loro principale ragione so-
ciale, i nazisti ampliavano la loro base di consenso, facevano
leva su qualcosa di già molto diffuso nell’opinione pubblica.
Cavalcare il pregiudizio e l’isteria di massa che avevano rin-
focolato non era più un optional, era per loro una via obbli-
gata. Come l’apprendista stregone, non potevano più con-
trollare le forze infernali che avevano evocato ed esasperato,
nemmeno se le avessero volute rinnegare. Perché proprio su
questa esasperazione si erano affermati, avevano riscosso
una parte consistente del loro dividendo elettorale. Ma è
chiaro che sono condizionato dall’attualità. Non c’è bisogno
di essere nazisti per seminare odio e prendersela con gli im-
migrati. Basta che porti voti.

50

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 50 02/04/19 17:19


5.
L’inferno è lastricato di elezioni

Negli otto mesi precedenti la “presa del potere” da parte


dei nazisti, i tedeschi avevano votato due volte per la
presidenza della Repubblica, tre volte per il Reichstag,
senza contare un’infinità di elezioni locali. Un’intuizio-
ne di Gramsci: i populisti di Hitler erano diventati par-
tito “di centro”? Cadute le coalizioni di centro-sinistra
e di centro-destra, quaglia un’alleanza inattesa.

“Trentaquattro partiti! I lavoratori hanno il loro partito.


Ma non uno solo. Sarebbe troppo poco! Ne hanno tre, quat-
tro. La classe media, che è così intelligente, deve averne per
forza anche un numero maggiore. Quelli che hanno interessi
economici hanno i loro partiti. Gli agricoltori hanno un par-
tito tutto loro. Anzi, ne hanno due, tre. I proprietari di case
devono avere i loro specifici interessi di natura politica e filo-
sofica rappresentati in un partito! E naturalmente non si
possono trascurare i signori inquilini in affitto. Devono avere
un partito i cattolici. E uno i protestanti. Ci vuole un partito
per la Turingia e uno tutto loro per i cittadini del
Württemberg…” Era uno dei numeri preferiti da Hitler nei
comizi. Il sarcasmo suscitava inevitabilmente risate tra gli
ascoltatori. Poi scoppiavano applausi fragorosi quando con-
cludeva: “Il mio obiettivo è spazzare via questi trentaquattro
partiti dalla Germania. Non vogliamo essere i rappresentanti
di una professione, di una classe, di una sola religione o di
una sola regione. Noi vogliamo che i tedeschi si sentano un
solo popolo”. Si rivelò di parola. Spazzati via tutti gli altri
partiti, non ci sarebbe stata più neanche necessità di elezioni.

51

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 51 02/04/19 17:19


L’antipolitica nazista trovava una sponda a sinistra. Kurt
Tucholsky prende di mira il moltiplicarsi di partiti e partitini
con argomenti che somigliano a quelli di Hitler:

Alle origini c’era L’ASSOCIAZIONE. Una, ma diventano subito


due – fenomeno conosciuto come partenogenesi – ed è immediata-
mente guerra: i loro segretari avranno pur diritto all’esistenza! E le
associazioni non hanno cariche sufficienti per tutti. Primo presiden-
te, secondo presidente, terzo presidente, direttori, direttori generali,
direttori esecutivi, membri onorari. E poi? Rimane ancora un consi-
derevole numero di persone che non sono un bel niente, persone
grigie, anonime, persone senza gioia. Questo affligge il Buon Dio. Si
accarezza la barba e inventa una cosa nuova. Un’opposizione!!! Co-
me si genera un’opposizione? Di solito un presidente bocciato si tro-
va uno di quelli che a ogni riunione semina assiduamente zizzania e
insieme cominciano a far guerra al presidente in carica e a rumoreg-
giare: è attraverso il baccano che si afferma l’esistenza dell’uomo.
Urlano anche nel sonno finché una dose di valeriana e un cazzotto
della moglie li riduce a più miti consigli. Ma in associazione purtrop-
po mancano le mogli e, in assenza di cazzotti, presto i due diventano
quattro che, tornando a casa, si fermano a ogni lampione, e per stra-
da urlano quello per cui, in associazione, non gli era bastata la saliva.
Finché, al più grigio dei quattro, sale in bocca la frase: ‘Signori, do-
vremmo organizzare la nostra opposizione in modo più concreto’.
Sono le 11 e 20 di una notte metropolitana. È lì, all’angolo fra la
Genthiner e la Lützowstrasse, che il tempo si ferma: è nata ufficial-
mente l’opposizione. Un presidente – ovviamente quello bocciato
nell’associazione – un secondo presidente, cassiere e addetto al pro-
tocollo. Li abbiamo detti tutti, erano in quattro, no? Bisognava solo
trovare la carica giusta per l’eventualità di un quinto iscritto! In bre-
ve si arriva a contare cinquantatré persone, e quarantotto cariche. E
un bel giorno successe che nel corso di una riunione in cui si era de-
ciso su quale articolo votare contro in assemblea, la Presidenza chie-
se il voto e due membri votarono contro. Caos completo, stava cre-
scendo una nuova opposizione per combattere la vecchia
opposizione e nella nuova opposizione, così autonominatasi, si gene-
ra un’ala di sinistra da cui a sua volta si genera un’ala radicale. Alla
fine era stato raggiunto l’ideale dello Stato tedesco. A ogni uomo il
suo partito! Oops!!! Scusate, ho detto partito. Ma queste cose i par-
titi non le farebbero mai. Parlavamo solo di associazioni.

Sulla scheda di carta riciclata giallognola per le due ele-


zioni politiche del 1932 figuravano quasi una sessantina di

52

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 52 02/04/19 17:19


partiti. Non con simboli ma con i nomi stampati in caratteri
gotici. Alcuni partiti, di cui non s’era sentito prima e non si
sarebbe sentito in seguito, riuscirono persino a eleggere de-
putati. Ma il problema non era tanto l’inflazione di partiti e
partitini, quanto la moltiplicazione all’infinito delle elezioni.
Nella Germania di Weimar – così chiamata perché i padri
costituenti avevano deciso di riunirsi nella città di Goethe e
Schiller anziché a Berlino – si votava in continuazione, a tut-
to spiano. Votavano tutti, senza distinzione di censo o di ge-
nere. La Germania era stata tra i primi in Europa a introdur-
re nel 1918, subito finita la Grande Guerra, il suffragio
femminile. Si votava liberamente per una molteplicità di par-
titi e liste. Si votava con il proporzionale puro, il metodo più
democratico che si possa concepire: un cittadino, un voto.
Avevano “la Costituzione più bella del mondo”, che garanti-
va eguali diritti a tutti.
Le libere elezioni sono il sale della democrazia. Ma trop-
pe elezioni non le fanno per niente bene. Anzi, rischiano di
ucciderla. Nella Germania degli anni trenta andare a votare
e rivotare era un sintomo dell’incapacità di dare risposte po-
litiche alla crisi. Si votava e si rivotava perché nessun partito,
e nessuna delle possibili coalizioni aveva una maggioranza.
Ma tornare e ritornare a votare nella speranza che il risultato
futuro sia più favorevole di quello passato non ha mai soppe-
rito all’assenza di iniziativa politica, di soluzioni politiche
all’impasse. La voglia di rivincita non paga né alle elezioni né
al casinò, anzi è il modo più sicuro per perdere.
Per il Reichstag si votò nel 1928, nel 1930, nel luglio
1932, nel novembre 1932 e poi si sarebbe rivotato ancora nel
marzo 1933. Cinque elezioni politiche in cinque anni, una
ogni anno! In queste cinque tornate di elezioni il Nsdap (Na-
tionalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Partito nazional-
socialista dei lavoratori tedeschi) di Hitler aveva ottenuto ri-
spettivamente 800.000, 6,4 milioni, 13,7 milioni, 11,7 milioni
e 17,3 milioni di voti. I voti ai nazisti erano cresciuti in pro-
gressione geometrica. Ma nello stesso periodo era cresciuto
costantemente anche il numero totale dei votanti: da 30,4 a
39,3 milioni. Per i nazisti votarono anche coloro che si erano

53

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 53 02/04/19 17:19


astenuti, avevano disertato le urne, si erano allontanati di-
sgustati dalla politica nelle tornate precedenti. Secondo una
stima, dei 16,5 milioni di voti conquistati in cinque anni dai
nazionalsocialisti, 7 milioni sarebbero voti che prima erano
andati ai vecchi partiti di destra o di centro-destra, 1 milione
proverrebbero da elettori che prima votavano per i partiti
della sinistra, e ben 8,5 milioni da “elettori nuovi”, da gio-
vani che votavano per la prima volta o da elettori che nelle
precedenti consultazioni non avevano votato.
Il caso Weimar è un esempio clamoroso di come alla ca-
tastrofe ci si può arrivare non per disaffezione al voto ma
addirittura per più ampio coinvolgimento dell’elettorato.
Per anni quella Repubblica si era dovuta confrontare con
l’incubo ricorrente della violenza rivoluzionaria e controri-
voluzionaria, delle barricate, dei putsch, con la minaccia
continua di un intervento dei militari per por fine al caos. E
invece fu distrutta dopo una serie di elezioni a suffragio uni-
versale, con partecipazione crescente degli elettori.
Negli anni settanta del secolo scorso la mia generazione
si era assuefatta all’idea che libere elezioni fossero la garanzia
assoluta della libertà e della democrazia, e che la minaccia
venisse dai colpi di Stato. Con libere elezioni andavano al
governo i buoni, come Allende in Cile. Con i golpe erano i
militari cattivi, come Pinochet, a rovesciare i governi legitti-
mi. Da esecrare era chi ordiva i golpe: la Cia, ma anche il
Kgb, in Cecoslovacchia nel 1968, o in Afghanistan dieci anni
dopo. Coup d’État si intitolava un agile volumetto pubblica-
to nel 1968 da un allora giovane e già disinvolto studioso e
aspirante consulente dei servizi: Edward Luttwak. “Un ma-
nuale pratico”, prometteva il sottotitolo.
Ce l’eravamo raccontata a lungo in questa maniera. Quel
modello di narrazione non prestava però abbastanza atten-
zione a quel che era successo quarant’anni prima nel paese al-
lora più democratico d’Europa. Forse anche perché lo si con-
siderava irripetibile. Poteva succedere, e in effetti successe di
tutto. Ma c’era la certezza che non ci sarebbe più stato un
1933. Perlomeno non in Europa. Non in America. Era davve-
ro necessario che trascorressero quasi altri cinquant’anni per

54

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 54 02/04/19 17:19


riscoprire che la strada per l’inferno può essere lastricata di
elezioni, almeno quanto lo è di colpi di Stato?

Campagna elettorale permanente

Nel 1932, l’anno prima che Hitler andasse al governo, i te-


deschi avevano votato due volte per l’elezione diretta del pre-
sidente della Repubblica, il 13 marzo e poi ancora il 10 aprile
per il ballottaggio. Aveva perso Hitler e vinto Hindenburg,
grazie anche all’appoggio dei socialisti (ma non dei comuni-
sti che al ballottaggio avevano ripresentato il loro candida-
to). Nello stesso anno avevano votato due volte quasi di se-
guito anche per il Parlamento. Una prima volta il 31 luglio, e
poi di nuovo il 6 novembre. Avrebbero rivotato, per la terza
volta in meno di otto mesi, il 5 marzo 1933. La prima cosa
che Hitler fece appena diventato cancelliere fu sciogliere il
Reichstag e tornare alle urne un’altra volta ancora, in cerca
di una maggioranza che continuava a non avere, nemmeno
sommando gli alleati nel governo. Oltre alle Politiche e alle
Presidenziali, nei mesi precedenti c’era stato un susseguirsi
ininterrotto di altri appuntamenti elettorali. Pochi giorni do-
po il ballottaggio alle Presidenziali, il 24 aprile, gli elettori
tedeschi erano tornati alle urne per eleggere la Dieta della
Prussia, che da sola rappresentava tre quinti del territorio e
della popolazione tedesca, e le assemblee di altri Länder. Tra
un’elezione di portata nazionale e l’altra c’erano poi elezioni
locali a non finire. Anziché a una “rivoluzione permanente”
erano condannati a una campagna elettorale permanente. Fi-
nita una campagna ne ricominciava subito dopo un’altra. È
difficile governare facendo propaganda elettorale in conti-
nuazione. Difficile pure fare l’opposizione.
Ogni elezione, anche locale, veniva usata non per quello
che era, ma come leva per modificare i rapporti di forza, o
anche solo per farsi valere di più a livello nazionale. Decisive
nel condurre Hitler alla cancelleria erano state ad esempio le
elezioni, a metà gennaio 1933, nel Lippe, il più piccolo degli
Stati tedeschi, tanto minuscolo che è difficile trovarlo dise-

55

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 55 02/04/19 17:19


gnato nelle carte geografiche. I nazisti vi avevano messo in
campo tutte le risorse di cui potevano disporre. Hitler si era
impegnato di persona, battendo anche ogni piccolo centro.
Aveva tenuto quindici comizi in undici giorni. Più che alle
presidenziali. Ogni suo comizio era una vera e propria per-
formance teatrale. Il risultato fu che i nazisti ottennero 5000
voti più che alle Politiche di novembre, ma 3500 in meno che
a quelle di luglio. “Ha infilzato una mosca con la spada”, iro-
nizzò il giornale antinazista “Berliner Tageblatt”. Quella
manciata di voti in più erano stati però decisivi. Gli erano
serviti per dimostrare che il suo partito non era in inarresta-
bile declino come tutti pensavano in quel momento. E anche
per zittire i malumori e la fronda interna al movimento.

Se gli elettori preferiscono i ciarlatani

Il Partito nazista all’inizio veniva considerato come un fe-


nomeno poco più che folcloristico. Aveva un impatto locale
(limitato alla Germania meridionale, a Monaco e dintorni).
Il fanatismo chiassoso degli adepti suscitava derisione. Le
violenze venivano considerate un problema di ordine pub-
blico più che una minaccia alla democrazia. Elettoralmente
faticavano a superare il 2 per cento. Quando nel 1923 aveva-
no tentato il putsch gli era andata male. E quella volta non
erano nemmeno soli, avevano l’appoggio degli ultrà naziona-
listi, dai quali poi si erano separati. L’esercito era intervenuto
contro. Hitler era finito in prigione, sia pure a scontare una
pena mite. Non era detto ci riprovassero.
Il punto di svolta, il raggiungimento della massa critica
per poter sfondare c’era stato alle elezioni politiche del 14
settembre 1930 quando i nazionalsocialisti erano saliti al
18,2 per cento. Non erano ancora il primo partito. Si erano
piazzati al secondo posto, dopo i socialisti dell’Spd al 24,3 e
prima dei comunisti del Kpd, al 13,3. Mutatis mutandis, non
c’è da andare molto indietro nella storia delle recenti elezioni
italiane per rendersi conto di quel che un leader aggressivo e
spregiudicato può combinare con poco più del 17 per cento,

56

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 56 02/04/19 17:19


e anche se il suo partito non è arrivato neppure secondo ma
terzo o quarto. Il “Berliner Tageblatt”, il più prestigioso dei
giornali berlinesi di allora, aveva definito “mostruoso” che
“sei milioni di elettori abbiano in questo civilissimo paese
votato per la più bassa, volgare, rozza ciarlataneria”.
Ben detto, ma cosa avrebbero dovuto dire quando nel
1932 questi elettori divennero quasi 14 milioni? E poi 17 mi-
lioni? È forte la tentazione di dare la colpa agli elettori, al po-
polo che si è lasciato irretire. Lo si è sentito dire per Trump,
Erdoğan, Modi, Orbán, Bolsonaro. Anche per Putin che è
stato plebiscitato nelle Presidenziali russe. Per Xi Jinping
no, ma solo perché in Cina non si vota. Spero solo che non
diventi quello il modello di riferimento. È sempre forte la
tentazione di dare la colpa agli elettori, al popolo. Verrebbe
da rispondere, parafrasando l’ironia di Brecht: “Se siete de-
lusi dai risultati elettorali, vi suggerisco di sciogliere il popo-
lo ed eleggerne un altro”.

Chi votava per Hitler?

“Ma c’è già tutto nei romanzi”, risponde una segretaria


d’ufficio all’interlocutore nell’esordio del saggio del 1930 su
Gli impiegati di Siegfried Kracauer. Si apprende molto dai
romanzi dell’epoca. Anche (sarei tentato di scrivere specie)
se non parlano direttamente delle vicende politiche. Vale an-
che per un argomento arido come le elezioni. E adesso, po-
ver’uomo? di Hans Fallada è del 1932, l’anno in cui ci fu il
maggior numero di elezioni. È la storia di una giovane cop-
pia di sposi di Berlino in lenta discesa nei gironi dell’inferno
della disoccupazione. Non sono nazisti, anzi. Lui non si oc-
cupa di politica. Lei viene da una famiglia con tradizioni di
sinistra, ha un padre socialista, un fratello comunista. Ha
un’innata avversione alle ingiustizie. È una persona sempli-
ce: “Ha solo un paio di concetti di fondo: che la maggioranza
della gente è cattiva solo perché la si è fatta diventare così;
che non bisogna giudicare nessuno perché non si sa cosa si
farebbe al suo posto”. Percepisce la rabbia che monta.

57

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 57 02/04/19 17:19


“Comportandosi così stanno facendo venire su soltanto del-
le belve feroci. E presto se ne accorgeranno”, dice al marito.
“Certo che se ne accorgeranno, le risponde lui. Da noi la
maggior parte è già passata ai nazisti”. “Grazie tante! Lo so
io per chi voteremo invece noi”, gli ribatte lei. “Beh! E per
chi? Per i comunisti?” “Si capisce”, fa lei, che sa il fatto suo.
“Bisogna che ci pensiamo ancora un po’. Non è che non mi
piacerebbe, ma non riesco a decidermi”, conclude lui. “E va
bene, amore, alle prossime elezioni ne riparliamo”, accondi-
scende lei.
Se non avessimo l’edizione integrale, pubblicata per la
prima volta da Sellerio nel 2008, non sapremmo neanche che
discutono anche di queste cose. La traduzione italiana del
1933 uscita nella Medusa le aveva censurate, assieme a interi
capitoli osé, dove si parla di sesso e altre cose “laide”, offen-
sive, a detta del traduttore, per il “più pudico orecchio lati-
no”. Il romanzo non ci fa sapere come voteranno davvero i
due protagonisti. Col senno di poi si può tirare a indovinare
che finiranno anche loro per votare Hitler.

Chi e perché aveva votato per i nazisti? È da decenni una


delle questioni più studiate. Non basterebbe un’intera bi-
blioteca a contenere le risposte che sono state date. Le elezio-
ni della Repubblica di Weimar sono state analizzate, se possi-
bile, più in profondità di quanto lo siano quelle dei nostri
giorni. Sappiamo ormai per filo e per segno chi votava e per
chi. C’è una caterva di studi sul perché e per come i voti si
spostarono verso il partito nazista e si prosciugarono quelli
verso i socialdemocratici o quelli ai partiti di centro, che a
turno avevano preso parte al governo, o avevano appoggiato
il susseguirsi di maggioranze. Ci sono interpretazioni a non
finire sul se si spostarono seguendo l’appartenenza di classe,
le proprie tendenze religiose o ideologiche, le promesse e la
propaganda. Ultimamente prevale l’opinione degli studiosi
che ritengono e provano che i tedeschi votavano soprattutto
seguendo i propri interessi economici, votavano per i partiti

58

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 58 02/04/19 17:19


che si curavano di più dei loro problemi, o promettevano di
curarsene di più.

Difficilmente i grandi spostamenti elettorali dipendono


da una sola causa. Intervengono in genere più concause, una
molteplicità di fattori diversi, i più disparati. Il risultato può
dipendere dal per chi si vota quanto dal contro chi si decide
di votare, da interessi concreti e materiali quanto da grandi
idee, da piccolezze quanto da considerazioni di più ampio
respiro, da quanti si recano alle urne e quanti invece non
vanno a votare.
Permettetemi un piccolo aneddoto. Non dimenticherò
mai la conversazione orecchiata in treno, nella Pianura pada-
na, nel 1976, l’anno di massimo successo per il Pci. Nello
scompartimento strapieno tutti annunciavano che avrebbero
votato Pci. Ma per ragioni diverse, anche opposte: uno per-
ché i comunisti avrebbero messo a posto i delinquenti, “co-
me faceva Stalin in Russia”, un altro perché difendevano la
democrazia, uno perché stavano dalla parte dei lavoratori,
un altro perché in Emilia governavano bene, uno perché non
facevano compromessi, erano diversi dagli altri, un altro per-
ché condivideva il compromesso storico, l’impegno per uni-
re, uno perché suo nonno era stato partigiano, un altro per-
ché ce l’aveva con quel fascista di suo padre… Se sui treni
non fossero tutti attaccati all’iPhone, e si conversasse ancora,
forse capiremmo sui flussi elettorali più di quanto ci viene
raccontato.

Un’intuizione di Gramsci

C’è una curiosa pagina di Gramsci nei Quaderni, una del-


le ultime, redatta nell’anno della presa del potere da parte di
Hitler. Definisce il partito hitleriano come “di centro”, men-
tre “estremisti”, sarebbero Hugenberg e Papen, esponenti di
una destra più tradizionale. Una svista? O un’osservazione
estremamente profonda?

59

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 59 02/04/19 17:19


Come molte delle note di Gramsci, non è un testo com-
piuto. È soprattutto un programma di lavoro. Non del tutto
“in chiaro”. È criptato tenendo in considerazione le mani in
cui potrebbe finire: i suoi carcerieri, i suoi compagni. Proba-
bilmente parla a nuora perché suocera intenda. Non menzio-
na la Russia sovietica, ma seguendone la logica si potrebbe
concludere che, non diversamente dai giacobini, sono diven-
tati “centro” anche i bolscevichi. Intende dire che “centro”,
per definizione, è chi governa, mentre “estremisti”, sempre
per definizione, sono i movimenti “demagogici”, populisti,
prima che arrivino al governo? Prende un abbaglio – peral-
tro condiviso da molti in quel momento – nell’ipotizzare che
siano i partiti della destra “storica”, Hugenberg e Papen, a
manipolare Hitler e i nazisti, e non viceversa? L’unica cosa
che non si può dire è che non sappia di cosa parla. Benché
prigioniero, Gramsci seguiva con attenzione tutto quel che si
andava pubblicando sulla politica europea, e in particolare
sulla Germania.
Rileggiamola:

Uno studio accurato dei partiti di centro in senso largo sarebbe ol-


tremodo educativo. Termine esatto, estensione del termine, cambia-
mento storico del termine e dell’accezione. Per esempio, i giacobini
furono un partito estremo: oggi sono tipicamente di centro; così i
cattolici (nella loro massa); così anche i socialisti, ecc. Ma credo che
un’analisi dei partiti di centro e della loro funzione sia parte impor-
tante della storia contemporanea.
E non lasciarsi illudere dalle parole o dal passato: è certo per esempio
che i “nichilisti” russi sono da considerarsi partito di centro, e così
perfino gli ‘anarchici’ moderni. La quistione è se per simbiosi un parti-
to di centro non serva a un partito ‘storico’, esempio il partito hitleria-
no (di centro) a Hugenberg e Papen (estremisti: estremisti in un certo
senso, agrari e in parte industriali, data la storia tedesca particolare).
Partiti di centro e partiti “demagogici” o borghesi-demagogici.
Lo studio della politica tedesca e francese nell’inverno 1932-33 dà
una massa di materiale per questa ricerca, così la contrapposizione
della politica estera a quella interna (mentre è sempre la politica in-
terna che detta le decisioni, s’intende di un paese determinato: infat-
ti è chiaro che l’iniziativa, dovuta a ragioni interne, di un paese, di-
venterà ‘estera’ per il paese che subisce l’iniziativa).

60

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 60 02/04/19 17:19


Nella Germania degli anni trenta nel corso di appena po-
co più di un decennio c’era stato un cambiamento di fondo
nell’atteggiamento degli elettori. A cui pochi avevano fatto
caso, specie tra gli addetti ai lavori, cioè tra i politici e i gior-
nalisti. Dal 1919 al 1933, cioè in quattordici anni, avevano
avuto tredici cancellieri e ventuno governi. I governi conti-
nuavano a essere volatili. Ma nel contempo – per buona par-
te di quel periodo, cioè per oltre un decennio – l’elettorato
era rimasto sostanzialmente stabile nelle sue scelte. Si sposta-
va all’interno di ciascun campo, ma poco tra uno schiera-
mento e l’altro. Gli elettori si esprimevano con una costanza
simile a quanto succedeva da noi nella cosiddetta Prima Re-
pubblica. Lo spartiacque era tra destra e sinistra.
Poi arrivò un partito che sin dal nome teneva a dichiarar-
si “né di destra né di sinistra”, ma “del popolo”. Si dicevano
allo stesso tempo “nazionalisti” e “socialisti”, oltre che parti-
to “dei lavoratori”. Beninteso dei “lavoratori tedeschi” e ba-
sta, non dei “lavoratori di tutto il mondo”. Forzando un po’
in direzione dell’attualità si potrebbe dire che si presentava-
no allo stesso tempo come “sovranisti” e “populisti”. Quasi
da un momento all’altro l’elettorato tedesco, che prima oscil-
lava con regolarità tra i poli tradizionali, divenne mobile.
Con gli elettori in libera uscita gli spostamenti assunsero un
carattere impetuoso, torrentizio, incontrollabile. Erano cam-
biati i parametri. Ci furono partiti in precedenza promettenti
che evaporarono all’istante. “Abbiamo visto il Partito demo-
cratico sparire in una sola notte”, scrisse il berlinese “8
Uhr-Abendblatt”, riferendosi al crollo del Ddp, Deutsche
Demokratische Partei, progressista e di centrosinistra, che
aveva governato con il Zentrum cattolico e l’Spd socialdemo-
cratico dal 1924 al 1928.
Alle Politiche del 31 luglio 1932, cioè di appena due anni
successive a quelle del 1930, il Nsdap era più che raddoppia-
to, balzando al 37,4 per cento e 230 seggi. Ed era diventato il
primo partito, superando per la prima volta il glorioso So-
zialdemokratische Partei Deutschlands (Spd). Ci sarebbero
stati ancora alti e bassi, ma era cambiato l’asse, il perno, il
“centro”. A novembre del 1932 il Partito nazionalsocialista

61

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 61 02/04/19 17:19


avrebbe subito una battuta d’arresto, scendendo al 33,1 per
cento, ma restando sempre il primo partito.
Si confermava la presenza stabile di un “terzo polo”, di-
verso da quelli tradizionali. Tra sinistra, destra e populisti le
combinatorie possibili aumentavano, a seconda di quali due
si fossero accordati contro il terzo. Tra coloro che avevano
colto la novità ci fu il leader del Zentrum cattolico, monsi-
gnor Kaas. Chiamato a consultazioni dal Presidente della
Repubblica dopo le elezioni del novembre 1932, gli aveva
detto: “Ci sono 12 milioni di tedeschi che si trovano all’op-
posizione da destra [gli elettori del Nsdap di Hitler], ce ne
sono 13,5 all’opposizione da sinistra [i 6 milioni che avevano
votato per il Kpd e i 7,3 milioni che avevano votato per
l’Spd]”. Non si poteva evitare di coinvolgere gli uni o gli altri
nel governo. Se non si voleva rischiare che si unisse e pren-
desse l’iniziativa la sinistra si sarebbe dovuto per forza coin-
volgere nel governo Hitler. La cosa di cui non si era proba-
bilmente reso conto è che così sarebbe stato il Partito nazista
a diventare l’ago della bilancia, il vero centro.

Una volta al governo, il Nsdap alle Politiche del 5 marzo


1933 avrebbe addirittura sfiorato la maggioranza assoluta
col 43,9 per cento e oltre 17 milioni di voti. Ma quelle già
non erano più elezioni né libere né normali: si erano svolte
subito dopo l’incendio del Reichstag, tra messe al bando di
partiti e giornali della sinistra, in mezzo a ondate di arresti e
intimidazioni a tappeto, in un clima di sospensione delle ga-
ranzie costituzionali.

È la coalizione, stupido!

I numeri elettorali sono importanti. Ma più importan-


te ancora è come possono combinarsi. Dal 1930 in poi in
Germania non era cambiato solo il peso elettorale relativo
di ciascuno dei partiti. Era cambiato qualcosa di ancora più
importante, anzi decisivo, in un sistema elettorale proporzio-

62

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 62 02/04/19 17:19


nale: la possibile combinatoria con cui potevano interagire
gli uni con gli altri, entrare in coalizione con altri partiti. Non
corrisponde meccanicamente ai “blocchi sociali” che si van-
no via via formando. Né meccanicamente ai “blocchi ideolo-
gici”. Dipende da una molteplicità di fattori. Ma da uno in
modo particolare: dalla capacità di iniziativa politica.
Nel 1919 la coalizione, l’accordo di governo tra socialde-
mocratici, centro e partiti “borghesi” poteva contare addirit-
tura sul 76,4 per cento dei voti. Alla vigilia della nomina di
Hitler a cancelliere quella coalizione di un tempo, sempre
che fosse riproponibile, risultava dimezzata, poteva contare
su non più del 36,3 per cento dei voti. Sulla carta una coali-
zione delle sole forze di sinistra, Spd più Kpd, avrebbe potu-
to contare su una percentuale anche superiore: 37,3 per cen-
to. Centro più Sinistra avrebbero potuto contare sul 53,3 per
cento. Forse poco per governare in quelle condizioni. Il fatto
è che comunque nessuno ci provò. Non presero nemmeno in
considerazione la possibilità di un’alternativa.
Non aveva una maggioranza nemmeno la coalizione
Nsdap-Dnvp su cui poggiava il governo Hitler: non supera-
va il 41,5 per cento di voti. Gli altri partiti, e tutti gli addetti
ai lavori, erano assolutamente convinti che fosse impossibile
che andassero al governo insieme, che non sarebbero mai
riusciti a mettersi d’accordo, e che, se anche per caso ci fos-
sero riusciti, non sarebbe durata. In fin dei conti ci avevano
già provato una volta, fallendo miseramente: quando la de-
stra, nell’ottobre 1931, si era unita nel Fronte di Harzburg
(dal nome della località della Bassa Sassonia in cui si tenne il
raduno di massa) per far cadere il governo Brüning, “tollera-
to” dai socialdemocratici. Avevano finito per litigare furiosa-
mente anziché unirsi. Molti erano convinti che sarebbe
andata così anche nel 1933. Non tenevano però conto né
della capacità di iniziativa politica dei nazisti, né del fatto che
c’era davvero, indipendentemente dalle posizioni dei partiti,
un blocco sociale e di opinione che non vedeva l’ora di tro-
vare uno sbocco politico.

63

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 63 02/04/19 17:19


Coalizioni potenziali ed effettive
SPD+ SPD+
DDP+Z+ DVP+ Coalizione
SINISTRA CENTRO DESTRA DDP+ DDP+
DVP DNVP effettiva
Z Z+DVP
1919 45,5 38,6 16,3 76,4 80,8 43 16,3 76,4

1920 41,7 26,3 32 48 62 40,3 32 48/40,3


1924 I 33,7 22,5 43,4 42,9 52,1 31,7+ 36,8 55,5
1924 II 35,2 41 23,4 49,8 59,7 33,7+ 37,6 41
1928 40,7 28,8 29,9 50 58,6 28,8+ 35,9 58,6
1930 37,7 18,5 43,8 43,1 47,7 23,1+ 25,5 36,9
1932 I 35,9 16,8 47,2 38,4 39,5 20,9 10,1 …

1932 II 37,3 … … 36,3 38,3 21,5 14 41,5

Risultati elettorali per i principali partiti


KPD Z LISTE
SPD DDP DVP DNVP NSDAP Astenuti
(USPD) (+ BVP) LOCALI

1919 7,7 37,8 18,6 20 4,4 1,6 10,3 … 17,3


1920 20 21,7 8,3 18 14 3,1 14,9 … 21,6
1924 I 13,3 20,4 5,8 16,7 9,2 8,2 19,4 6,6 23,7
1924 II 9,2 26 6,3 17,5 9,9 7,3 20,4 3 22,3
1928 10,7 29,8 5 15,2 8,6 13 14,3 2,6 25,5
1930 13,1 24,6 3,7 14,8 4,6 13,8 7,1 18,3 18,6
1932 I 14,3 21,6 1,1 15,7 1,1 3 6 37,1 16,5
1932 II 17 20,3 0,9 15,1 2 3,5 8,5 33 20
1933 12,2 18,4 0,8 14 1 1,5 7,9 44,2 12,1

Kpd. Kommunistische Partei Deutschlands (Partito comunista di Germania)


Spd. Sozialdemokratische Partei Deutschlands (Partito socialdemocratico di Germania)
Ddp. Deutsche Demokratische Partei (Partito democratico tedesco)
Z. Zentrum (Partito di centro tedesco)
Bvp. Bayerische Volkspartei (Partitolo del popolo bavarese)
Dvp. Deutsche Volkspartei (Partito del popolo tedesco)
Dnvp. Deutschnationale Volkspartei (Partito nazionale del popolo tedesco)
Nsdap. Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (Partito nazionalsocialista tedesco dei
lavoratori)
Rettangoli linea continua: coalizioni governative
Rettangoli tratteggiati: appoggio esterno
Linee punteggiate verticali: separazioni schieramenti Sinistra, Centro, Destra

64

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 64 02/04/19 17:19


I socialdemocratici avevano fondato la Repubblica, ave-
vano governato per quasi un ventennio, erano i più strenui
difensori degli interessi dei lavoratori. Erano il partito che
con più coerenza difendeva la Costituzione e la legalità re-
pubblicana. Il problema era che una parte consistente degli
elettori tedeschi aveva cessato di credere nella Repubblica e
nella Costituzione, era delusa dalla democrazia. Preferiva
votare per chi gli prometteva altro.
L’apice del successo elettorale l’Spd l’aveva conseguito
nel 1928, con quasi il 30 per cento. Un terzo dei voti è, anche
in gran parte delle democrazie della nostra epoca, il peso cri-
tico che consente di candidarsi a governare. Ma il 30 per
cento non basta per governare da soli in un sistema propor-
zionale. Occorre una coalizione. I socialdemocratici avevano
governato a lungo in una Grosse Koalition con i centristi. Ma
poi questa coalizione si era rotta. E nemmeno sui grandi
principi, su quisquilie. Il governo di coalizione del socialde-
mocratico Hermann Müller era caduto nel 1930 su un cavil-
lo: a chi far pagare l’assicurazione contro la disoccupazione,
se ai lavoratori o alle imprese. “I socialdemocratici si sono
dati una randellata in testa perché erano infastiditi da una
mosca”, il commento impietoso del “Frankfurter Zeitung”.
I socialdemocratici non erano più riusciti a ricostruire
una coalizione, né aprendo al centro né aprendo alla sinistra.
Erano ancora un gigante, ma privo di leadership e di strate-
gia. I veti incrociati tra le diverse lobby in cui si divideva il
partito avevano finito col paralizzarlo. Nel luglio 1932, l’an-
no in cui anche i nazisti avevano superato il fatidico 30 per
cento dei voti, i socialisti avevano perso solo una decina di
seggi. I comunisti ne avevano guadagnato una dozzina. Nien-
te di così drammatico a prima vista. A subire un salasso era-
no stati i partiti che facevano concorrenza ai nazisti da de-
stra. Ma a sinistra si guardarono bene dal fare un’analisi
approfondita di quel che era successo. In particolare, non si
accorsero che era cambiata la possibile combinatoria politi-
ca, che nazisti e destra nazionalista, sino a quel momento ap-
parentemente incompatibili, avrebbero potuto mettersi in-
sieme.

65

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 65 02/04/19 17:19


Non si accorsero che quel tipo di compromesso tra po-
pulisti e destra era un possibile sbocco dei malumori, delle
delusioni, delle recriminazioni, della stanchezza, e degli
egoismi di tutte le parti sociali. Peggio: non si accorsero che
la priorità assoluta, l’unica cosa per cui sinistra e centro
avrebbero potuto riscattarsi, sarebbe stato far di tutto, anche
sacrificare i propri interessi di partito se necessario, per im-
pedirlo.

Magari era impossibile. Forse non ci sarebbero mai riu-


sciti. La cosa decisiva è che nemmeno ci provarono. Anzi.
Sembrava che sfidassero, quasi incoraggiassero la destra e il
centro a fare un governo con Hitler. Vero, non arrivarono a
dire: ci provino, tocca a loro che hanno vinto le elezioni for-
mare il governo, vediamo cosa sono capaci di fare. È vero
anche che nessuno gli propose formalmente di far parte di
una coalizione diversa.
A essere più precisi qualcuno ci aveva pure provato. A
coinvolgere in uno schieramento in funzione antinazista e
anticomunista i sindacati, se non direttamente il partito so-
cialdemocratico, c’aveva provato, in extremis, il generale
Kurt von Schleicher, l’ultimo dei cancellieri senza maggio-
ranza scelti dal presidente Hindenburg. Non era però l’uo-
mo giusto. Dopo aver fatto carriera a capo di uno speciale
Ufficio affari politici delle Forze armate, ed essere diventato
consigliere del Presidente della Repubblica, era stato lui, in
combutta con l’altro favorito di Hindenburg, Franz von Pa-
pen, a fare e disfare tutti governi che si erano succeduti nel
1932. Era stato lui a far cadere il governo Brüning, e poi a far
nominare cancelliere Papen dopo che dalle elezioni di luglio
non era emersa alcuna maggioranza praticabile. Papen era
stato ignominiosamente battuto, con 42 voti a favore, e ben
544 contro, in un voto di fiducia richiesto dai nazisti e dai
comunisti in un inatteso accordo. Lui sospettò che ci fosse lo
zampino di Schleicher. Da quel momento in poi la sua osses-
sione divenne fargliela pagare. Non bisognerebbe mai sotto-
valutare il ruolo delle ripicche personali, specie tra alleati e

66

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 66 02/04/19 17:19


compagni di partito. Ci fosse stata l’usanza del passaggio
della campanella, Papen a Schleicher gliel’avrebbe tirato in
testa. Si era così andati, per la seconda volta in tre mesi, a
elezioni anticipate. Ancora una volta nessun partito aveva la
maggioranza. Né si profilava all’orizzonte una coalizione che
potesse avercela. Fu nominato cancelliere Schleicher. Senza
che il Reichstag fosse consultato, anzi neppure convocato.
Schleicher vantava l’appoggio dell’esercito. Aveva an-
nunciato l’intenzione di formare un governo “al di sopra dei
partiti”, mandava segnali sia a sinistra che a destra. Corteg-
giava Hitler perché entrasse nel governo, o almeno in mag-
gioranza. E allo stesso tempo strizzava l’occhio ai sindacati e
alla sinistra. Diceva di voler perseguire una politica econo-
mica “né socialista né capitalista”. Trotsky lo definì “un enig-
ma con le spalline”. I sindacati gli fecero un’apertura di cre-
dito. “Noi in quanto sindacati non abbiamo la facoltà, anzi
nemmeno la possibilità di sostenere un governo… Come sin-
dacato dobbiamo però fare i conti con ogni governo, anche
se non ha la nostra fiducia”, la dichiarazione solo apparente-
mente sibillina di Theodor Leipart, il leader della Allgemei-
ner Deutscher Gewerkschaftsbund (Adgb), la Cgil tedesca di
allora. Malauguratamente il “ni” a Schleicher sarebbe diven-
tato poco dopo praticamente un “sì” a Hitler. I socialdemo-
cratici gli risposero invece con un no. Con tutta probabilità
dovuto anche al timore di farsi complici di un colpo di Stato
militare nel caso il generale Schleicher avesse fatto interveni-
re la Wehrmacht per sciogliere le contrapposte milizie di par-
tito. Per i difensori a oltranza della Costituzione e della lega-
lità repubblicana questo era inaccettabile, fosse stato anche
l’unico modo per fermare Hitler.
Hitler pretendeva la nomina a cancelliere sin da quando
il suo era diventato il partito più votato e con più deputati.
Più o meno tutti i cancellieri che nel 1932 si avvicendarono
alla testa di governi privi di una maggioranza parlamentare
gli avevano proposto di entrare nel governo, o almeno in
maggioranza. Ma non erano disposti a cedergli la cancelleria
né a lasciarlo governare da solo. Il presidente Hindenburg
sembrava irremovibile. Gliel’aveva detto chiaro e tondo, in

67

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 67 02/04/19 17:19


faccia, durante il loro primo incontro dopo le elezioni in lu-
glio: non era conciliabile con la sua coscienza e il suo giura-
mento alla Costituzione “consegnare tutti i poteri a un parti-
to solo, e per giunta a un partito così intollerante verso gli
altri”; un siffatto governo rischiava di sfociare inevitabilmen-
te in “una dittatura di partito”.
Hitler dal canto suo rifiutava ostinatamente ogni coinvol-
gimento parziale. “Tutti mi chiedono: Herr Hitler, perché lei
rifiuta di salire sul treno di un governo di coalizione? La mia
risposta è sempre la stessa: perché mai dovrei salire su un
treno da cui sarei costretto a scendere subito, visto che non
posso appoggiare le azioni dei reazionari che guidano il tre-
no?”. Noi non siamo come gli altri, non siamo disposti a
compromessi, non ci prestiamo a giochetti parlamentari, era
il refrain. E comunque “quando prenderemo il potere non
lasceremo che ce lo tolgano”, aggiungeva. Nei comizi per le
elezioni di novembre aveva pronunciato varianti di questo
discorso almeno quarantacinque volte.
La pretesa del “tutto o niente”, il rifiuto di governare coi
vecchi arnesi “corrotti” e “reazionari”, condusse però anche
una parte degli elettori che avevano votato per lui al secondo
turno delle Presidenziali, e poi così numerosi alle Politiche
di luglio, ad abbandonarlo. Potevano andargli bene la “pu-
rezza”, l’aggressività verbale nei confronti di tutti gli altri
partiti. Ma non il fatto che rifiutando l’idea stessa di un con-
fronto con gli altri, il Partito nazista si condannasse alla steri-
lità, finisse col non avere nessuna influenza sulle scelte di go-
verno. Alle Politiche di novembre del 1932 il Nsdap ebbe
una pesante battuta d’arresto. Aveva perso 2 milioni di voti e
34 deputati. Erano ancora il primo partito. Ma isolati e ar-
roccati rischiavano l’irrilevanza.
La strategia del “nessun compromesso”, “nessuna anda-
ta al governo dalla porta di servizio”, veniva contestata an-
che all’interno del partito nazista. Gregor Strasser, camerata
della prima ora, aveva cercato di convincere Hitler a cambia-
re linea. Era considerato l’esponente di punta dell’ala “di si-
nistra” del partito. Suo fratello Otto era stato uno dei teorici
del “bolscevismo prussiano” – una mescolanza di idee nazio-

68

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 68 02/04/19 17:19


naliste, anticapitaliste e razziste – e guidava un gruppo scis-
sosi dal Nsdap. Gregor aveva invece scelto di stare con Hit-
ler. Tacciato di traditore, additato nelle sezioni del partito
come Giuda, anzi come “ebreo”, si era dimesso da ogni inca-
rico di partito e se n’era andato in vacanza all’estero. Non in
America Latina come Dibba, ma nella più vicina Italia. Sulla
stampa cominciò a correre voce che si accingesse a guidare
anche lui una scissione nel movimento, che stesse trattando
in segreto con il generale Schleicher per entrare nel governo.
Non era vero, ma Hitler se la sarebbe legata al dito.
La vendetta venne servita fredda: Hitler avrebbe fatto am-
mazzare un anno e mezzo dopo dalle SS, la sua guardia per-
sonale, che nel frattempo avevano assunto il pieno controllo
della Polizia segreta di Stato, sia Strasser che il generale Sch-
leicher (quest’ultimo con l’intera famiglia). Era il 30 giugno
1934, la stessa “Notte dei lunghi coltelli” in cui fu giustiziato
sommariamente Ernst Röhm, il capo carismatico delle SA, le
famigerate milizie di partito, che scalpitavano per “continua-
re la rivoluzione nazionalsocialista”. Hitler soprattutto non
tollerava concorrenti. Pare che la rapidità con cui si era sba-
razzato dell’opposizione interna, con un colpo al cerchio e
uno alla botte, avesse impressionato molto Stalin.

69

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 69 02/04/19 17:19


6.
La filologia dell’odio

Insulti, sconcezze, troll che spacciano rivelazioni e no-


tizie taroccate. Nelle pagine dello “Stürmer” c’era già
quasi tutto il peggio dei social online. La rubrica del-
le lettere dava sfogo a tutte le lagne, tutte le stupidate,
davvero “bagatelle per un massacro”. È sui tecnici nella
pubblica amministrazione che si abbatte la prima “me-
gavendetta” del nuovo governo, accompagnata dall’a-
strusa nomenclatura di quelli che vanno eliminati.

È la politica che cambia il linguaggio o è il linguaggio a


cambiare la politica? Uno dei documenti più straordinari e
profondi sui mutamenti nel modo di esprimersi in quegli an-
ni è la Lingua Tertii Imperii del filologo Victor Klemperer,
una riflessione fondata sui diari che aveva scrupolosamente
tenuto dal 1933 in poi. C’è qualcosa che accomuna il Klem-
perer dei Diari e il Gramsci dei Quaderni. Nelle loro rifles-
sioni si sforzano di cercare le ragioni profonde di quanto è
successo, Gramsci del perché del fascismo e della sconfitta
del movimento di cui era leader, Klemperer del perché la sua
Germania si era consegnata anima, corpo e lingua a Hitler.
Diverse le personalità, diversi i tempi, diverse le circostanze.
Ma curioso: entrambi erano stati linguisti.
Sin dall’inizio i nazisti si mostrano campioni dell’insulto,
dell’iperbole polemica, della volgarità rivolta agli avversari e
agli ebrei e a tutti gli estranei al “popolo” con cui si identifica-
no. La loro ascesa è accompagnata da un “Vaffa” continuo,
ripetuto, scandito all’infinito. Non è solo sfogo plebeo. È stu-
diato, voluto, recitato. C’era già molta violenza, anche verbale,
nelle continue campagne elettorali, nei comizi e nelle discus-
sioni politiche dell’epoca di Weimar. Una violenza teatrale.

70

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 70 02/04/19 17:19


Il pubblico non si limitava ad ascoltare, presenziare pas-
sivamente. Partecipava rumoreggiando, applaudendo, scan-
dendo slogan. Sembrava di assistere a un talk-show televisi-
vo dei giorni nostri, con comportamenti aggressivi codificati,
prevedibili, anzi previsti dalle regole, come in un gioco di
ruolo. Grida, boati, sibili, insulti, bestemmie, maledizioni ri-
volte agli avversari facevano parte integrante del repertorio.
Così come i gesti, il saluto a braccio teso contro il pugno
chiuso. I comizi, le parate, più tardi le adunate e le celebra-
zioni del regime nazista si sarebbero trasformati in eventi,
con regia e scenografie sempre più spettacolari.
L’insulto sarebbe stato il filo conduttore anche della più
ricca e importante mostra d’arte esposta durante il Terzo
Reich. L’esposizione Entartete Kunst, Arte degenerata, inau-
gurata a Monaco nel luglio 1937 esibiva 650 opere proibite
già dal 1933. Tra gli altri van Gogh, Cézanne, Chagall, Mon-
drian, Klee, Kandinsky… Era organizzata in nove sezioni,
con titoli tipo: “Idioti, cretini e deformi”, “Bordelli, putta-
ne, ruffiani”, e così via. Una era intitolata semplicemente:
“Ebrei”.
Faccio zapping in tv. Mi fermo su una puntata di Piazza
pulita di Formigli su La7. Intervistano dei ragazzi in un bar
del litorale ostiense dopo il pestaggio di un giovane di colo-
re. “Se vedo un nero lo insulto.” Ma perché? “Mi piace of-
fendere”, “Mi diverte”, le risposte. Il giorno dopo su Face-
book c’è chi si lamenta. Del servizio, non degli odiatori.
“Perché non fate vedere anche le persone pestate… le ragaz-
ze stuprate e massacrate sempre da queste brave persone
[sottinteso: di colore]”, fa un post. E un altro: “Millemila
puntate su un ragazzo di colore pestato da dei deficienti…
Ma non vedo mai puntate sugli accoltellamenti da parte dei
ragazzi di colore a danno di poliziotti, passanti ecc. Per non
parlare degli stupri…”.
Confesso una tremenda sensazione di già ascoltato nei
toni concitati, negli scambi di insulti, nelle insinuazioni, nel-
la propensione al linciaggio verbale, sempre più spesso an-
che personale cui si assiste – non da adesso, ormai da anni –
negli slogan gridati allo stadio o in piazza, nelle risse in

71

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 71 02/04/19 17:19


Parlamento, in televisione, ma soprattutto in rete. Insulto,
ergo sum.

Un giornale per la Verità

Tutta la contemporaneità degli insulti virali via social,


delle fake news spacciate come rivelazioni, dell’odio appa-
rentemente genuino e spontaneo, che poi in realtà è colti-
vato ad arte, dei troll che moltiplicano il messaggio si trova
già nelle colonne dello “Stürmer”. Era un giornaletto del
Sud, fondato negli anni venti dal boss del partito nazista in
Franconia, Julius Streicher, un ometto calvo con i baffi alla
Hitler. All’inizio solo quattro paginette, senza illustrazioni e
pochissima pubblicità. Circolava in poche migliaia di copie,
solo a Norimberga e dintorni. “Settimanale della lotta per la
verità” recitava la testata. Strano destino delle parole: più si
mente, più si è faziosi, più ci si erge a soli che dicono il vero.
“Pravda”, Verità, si chiamava l’organo del Partito comunista
dell’Unione Sovietica. Non saprei se è in base a questi pre-
cedenti che è stato scelto “La Verità” come testata del nuovo
giornale di Maurizio Belpietro. Lo “Stürmer” mi richiama
piuttosto la galassia di siti web fiancheggiatori che si dichia-
rano portatori di “verità”, si pretendono “fuori dal coro”,
si vantano di “rivelare”, in modo libero e irriverente, “sen-
za guardare in faccia nessuno” quel che i media tradizionali
cercherebbero di “tenere nascosto” al popolo.
Imperversano in tutto il mondo, in tutte le lingue. Tan-
to per restare in casa e limitarsi ai siti che parlano italiano:
Profugo trascina via bambino per attirare in trappola mamma
e stuprarla, Immigrata nigeriana partorisce e getta il feto nel
secchio, Se sei immigrato il terreno da coltivare te lo regala lo
Stato. Così pagine web che si intitolano “Informare per re-
sistere”, “Catena umana”, “Tutti i crimini degli immigrati”,
“Vox News”, “Piove governo ladro”, “Stop invasione”. Basta
sostituire “ebrei” a “immigrati” e sarebbero copie carbone
delle “verità” spacciate nella Germania degli anni trenta.
La ragione sociale dello “Stürmer” era esplicita sin dal

72

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 72 02/04/19 17:19


primo numero: “Finché l’Ebreo continuerà a occupare la
nostra Casa, saremo schiavi dell’Ebreo. Perciò l’Ebreo deve
andarsene. Chi deve andarsene? L’Ebreo!”. L’ebreo, al sin-
golare, non gli ebrei: l’intero popolo, non singoli possibili
malfattori! Era una fabbrica di odio, gestita magistralmente.
Non c’era numero in cui non fossero riferiti scandali, malver-
sazioni, delitti, stupri, perversioni sessuali, invariabilmente
attribuiti agli ebrei, o alla sinistra, che a ogni modo per i na-
zisti erano la stessa cosa. All’inizio il bersaglio era soprattut-
to politico. Poi si aggiunsero le vignette, disegni e foto osé di
donnine nude o discinte, e un’aggressività che superavano in
violenza, volgarità e turpiloquio qualsiasi altra pubblicazio-
ne nazionalsocialista, compresi il “Völkischer Beobachter”,
l’organo ufficiale del Nspd, e il “Der Angriff” di Goebbels.
Molti nazisti lo giudicavano eccesivo, controproducente
per l’immagine del partito. Fu Hitler a intuire che gli forniva
un servizio impagabile, ancor più efficace della maschera di
perbenismo.
Streicher divenne intoccabile. Era un accentratore infati-
cabile: continuò a occuparsi della sua creatura, a seguire di
persona ogni minimo dettaglio redazionale anche quando il
giornale aveva centinaia di migliaia di copie di tiratura e un
organico redazionale di oltre trecento redattori. Secondo un
rapporto commissionato alla Gestapo da Göring, della reda-
zione faceva parte anche un ebreo, Jonas Wolk, che firmava
con lo pseudonimo Fritz Brand alcuni degli articoli più vele-
nosi contro gli ebrei. Streicher, a quanto pare, lo pagava pure
bene. Ma, trattandosi di ebreo, rifiutava di stringergli la mano.
Ecco quel che dice del suo stile un lettore che dichiara di
non essere né ebreo né antinazista. “Streicher pubblica in
ciascun numero del suo ‘Stürmer’ qualcosa che attira l’atten-
zione. Porta sempre alla luce qualcosa di marcio. Tiene i suoi
lettori in uno stato costante di suspense. Dà ai lettori quello
che vogliono: sensazione e porcherie… cattivo gusto… Ma
chi sono i suoi lettori? Soprattutto adolescenti, che su queste
pagine imparano tutto su argomenti come omosessualità e
prostituzione…”
Anche la nudità serve a propagare odio. Ad esempio, una

73

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 73 02/04/19 17:19


prima pagina del 1926 è per oltre la metà occupata da un di-
segno in cui si vede una bella ragazza nuda, bianchissima,
biondissima, col seno costretto da lacci che evocano un bon-
dage erotico sadomaso, attorniata da tre uomini dalle fattez-
ze stereotipate dell’ebreo, dall’espressione luridamente libi-
dinosa, che si apprestano a seviziarla. La vignetta è intitolata:
La ragazza polacca massacrata. Subito sotto campeggia, a tut-
ta pagina, uno dei motti preferiti della testata: “Gli ebrei so-
no la nostra disgrazia!”. Furono immagini pornografiche co-
me questa, presenti in gran copia in ogni numero del
giornale, a contribuire al successo della pubblicazione. An-
dava a ruba soprattutto tra i ragazzini, che se lo passavano di
mano in mano e lo leggevano di nascosto, un po’ come più
tardi i ragazzini americani avrebbero fatto con “Playboy” e
la mia generazione con “Il Borghese” di Mario Tedeschi
(non me ne sarei accorto non fosse per un compagno delle
medie che a casa aveva l’intera raccolta del settimanale, e an-
che un busto di Mussolini) e poi le copertine di “Panorama”
e dell’“Espresso” (quelle di una volta, s’intende).
Lo “Stürmer” martellava a ogni numero con mezza doz-
zina di articoli e vignette sugli stessi argomenti. Dopo il 1933
le tirature dei numeri monografici dedicati all’omicidio ritua-
le praticato dagli ebrei, alla criminalità ebraica, alla cospira-
zione mondiale ebraica, ai crimini sessuali ebraici, e così via,
superarono i 2 milioni di copie. Il numero sull’omicidio ritua-
le era stato bandito, ma solo dopo che la tiratura era andata
esaurita, e solo perché “offendeva i cristiani” mettendo sullo
stesso piano rituale il cannibalismo attribuito agli ebrei e la
comunione con l’ostia consacrata, il corpo di Cristo. La diffu-
sione e la visibilità erano anche superiori alla tiratura: bache-
che espositive affidate all’iniziativa e all’ingegnosità dei lettori
entrarono a far parte del paesaggio in tutta la Germania. Il
materiale sembrava inesauribile. Veniva fornito, in parte, da
specialisti della denuncia e del ricatto, i quali talvolta cercava-
no di farsi pagare sia dal ricattato che dal giornale a cui pro-
ponevano foto e documenti compromettenti. Lo “Stürmer”
aveva, dal 1933 in poi, anche un formidabile archivio, che
comprendeva testi e documenti provenienti da fonti ebraiche

74

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 74 02/04/19 17:19


e, in particolare, una fornitissima sezione iconografica, com-
prese foto pornografiche, che, a detta di Streicher, servivano a
documentare scientificamente la parte più “sozza” della que-
stione ebraica. A fornire qualsiasi cosa che collegasse gli ebrei
alla pornografia, ai delitti a sfondo sessuale e alla criminalità
comune fu mobilitata anche la Gestapo. Quando qualche uf-
ficiale protestò che non era questo il loro mestiere, Streicher
si rivolse in alto per farli mettere in riga. La cosa spaventosa è
che la stragrande maggioranza del materiale accusatorio, ve-
rosimile o inverosimile che fosse, veniva fornito entusiastica-
mente, e gratis, dagli stessi lettori.

Piccola posta dell’odio

Una donna scrive dell’usanza ebraica di “gettare dei sas-


si” (in realtà poggiare dei sassolini) sulla tomba dei congiun-
ti. E la commenta nel modo seguente: “E dicono: salutami
Abramo, Isacco e Giacobbe, e quando incontri il figlio del
carpentiere [Gesù] lanciagli un sasso in testa”. La lettera
proviene da una regione rurale della Germania. È improba-
bile che l’autore della lettera abbia orecchiato o si sia fatto
tradurre una preghiera ebraica per i defunti. L’odio è riserva-
to ai “diversi”. Senza il minimo sforzo per cercare di capire
esattamente in che cosa sono diversi.
Il diverso per antonomasia è quello che mangia diversa-
mente da te. Quindi è comprensibile che gran parte delle
missive trattino di questioni legate al cibo, al cosa cucinano e
al modo in cui lo cucinano, e alla compravendita dei generi
alimentari. Non ci sono allusioni alla puzza della loro cucina,
come avviene in situazioni contemporanee, perché in realtà
non c’è vicinanza, il diverso è immaginato da lontano, inven-
tato di sana pianta, come quando si attribuisce agli ebrei l’in-
tenzione di prendere a sassate Gesù. Una massaia è scanda-
lizzata che un’ebrea cerchi di vendere a non ebrei un’oca che
il suo rabbino ha giudicato non kosher. Non c’è ovviamente
la minima conoscenza di cosa renda “puro” o “impuro” un
animale da macello. La conclusione del lettore indignato è

75

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 75 02/04/19 17:19


una variante del “dagli all’untore” e all’avvelenatore di poz-
zi: gli ebrei non si fanno scrupolo di avvelenare i gentili per
avidità e odio, spacciando cibo andato a male. Un’altra ra-
gazza, figlia di un capoccia locale nazista, è stata a servizio da
una famiglia cristiana, finché un giorno le viene servito un
polpettone fatto con carne comprata da una macelleria
ebraica. Evidentemente per anni le hanno raccontato di co-
me gli ebrei a Pasqua dissanguino i ragazzini cristiani per
condire le azzime e inquinino deliberatamente con chissà
quali schifezze la carne che poi vendono ai non ebrei. Lei ri-
fiuta inorridita. Tiene testa ai datori di lavoro che la prendo-
no in giro per i suoi pregiudizi assurdi. E, piuttosto di man-
giare quel pasto orrendo, si licenzia. A raccontare con
fierezza la storia sulla pagina delle lettere dello “Stürmer” è il
padre della ragazza. Il direttore del giornale, Julius Streicher,
loda come esemplare il comportamento di figlia e padre.

Una categoria a sé stante di lettere denuncia gli appetiti


smisurati e le depravazioni sessuali. Prerogativa anche que-
sti, manco a dirlo, degli ebrei. Non è detto che abbiano letto
il Mein Kampf, il passo in cui Hitler immagina “il ragazzo
ebreo dai capelli neri e crespi”, capace di “attendere per ore
in agguato, con un’espressione di gioia satanica sul volto per
la ragazza ignara che insozzerà col suo sangue, allontanando-
la così dal suo popolo…”. Lo sanno e basta. Gliel’hanno ri-
petuto così tante volte che è verità ovvia. Chi non sa che gli
ebrei, orridi, ma vogliosi e superdotati, seduttori nati, non
pensano ad altro, aspettano solo l’occasione di inguaiare, o
stuprare, fanciulle ariane? Se non l’hanno visto coi propri
occhi, l’hanno immaginato in modo vivido.
Un lettore racconta la scena a cui ha assistito al cinema:
una Fräulein si alza e se ne va lasciando in asso l’uomo che le
siede accanto. Non ha dubbi: evidentemente si tratta di uno
sporcaccione ebreo che ha molestato un’ariana sussurrandole
qualcosa di sconveniente. Altri raccontano di approcci inde-
centi di pedofili (ovviamente ebrei) a ragazzine e ragazzini (ov-
viamente ariani) nei parchi. Lo sanno tutti: i maniaci sessuali

76

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 76 02/04/19 17:19


degli anni trenta erano ebrei, mentre quelli dei giorni nostri
sono negri o maghrebini, comunque immigrati. I nostri eroi
epistolari si sentono moralmente in dovere di intervenire e de-
nunciare. Uno scorge una ragazzina che discorre con un uomo
più anziano, dalle “pronunciate fattezze giudaiche”. Segue la
ragazza, la ferma e le fa una ramanzina. La lettera esprime in-
dignazione per il fatto che a quel punto interviene un poliziot-
to, il quale chiede i documenti a lui, il salvatore, anziché dar la
caccia al sospetto aspirante violentatore.
Sto attingendo alle lettere della più becera delle pubblica-
zioni naziste raccolte dallo storico americano Dennis Showal-
ter in Little Man, What Now: Der Stürmer in the Weimar
Republic. Showalter non si è limitato a riprodurre quelle pub-
blicate, ha ritrovato in quel che è sopravvissuto degli archivi
dello “Stürmer” anche gli originali, scritti a mano con grafia
stentata e infantile, a volte quasi incomprensibile, con le loro
sgrammaticature e gli errori di ortografia, su carta di ogni ori-
gine e formato, per lo più su fogli di quaderno. Sono scritte
da persone di ogni condizione sociale, commercianti, profes-
sionisti, professori di liceo, ma anche casalinghe e operai. So-
prattutto sono scritte da povera gente frustrata e rancorosa,
che crede di aver individuato il bersaglio delle proprie frustra-
zioni negli ebrei, in quelli che “guadagnano alle loro spalle”,
nei privilegiati e negli intellettuali da cui si sentono trattati con
sufficienza, nei politici “traditori del popolo” da cui si sento-
no abbandonati. Si rivolgono ai soli che sembrano disposti ad
ascoltarli, che danno sfogo alle loro frustrazioni, che non li
rimproverano di maleducazione, non gli danno lezioni di bon
ton, anzi li incitano a vuotare il sacco, premiano l’autenticità
del loro parlare “come mangiano”. Le loro rimostranze trasu-
dano ignoranza, rancori, odio, fanatismo. Magari fossero ope-
ra di cretini, di gente che dà di matto. La cosa tremenda è che
sono autentica vox populi.

Il potere della lagna

Per lo più è un florilegio di lamentele, lagnanze, richieste


d’aiuto spicciole. Evidentemente i nazisti avevano intuito

77

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 77 02/04/19 17:19


con molto anticipo il “potere della lagna”. Una madre si la-
menta di essersi data inutilmente da fare nel vano tentativo
di ottenere dalle autorità municipali la pubblica assistenza
che le spetterebbe (siamo nella primavera del 1932). Un let-
tore racconta la storia di un reduce di guerra carcerato. Sta
scontando una condanna a otto anni per avere minacciato
con un coltello una fruttivendola (presumibilmente ebrea).
Non è forse comprensibile che a un vecchio soldato saltino i
nervi di fronte a tanta avidità? I commercianti sono sempre
più avidi, gli ebrei sono tutti commercianti, quindi gli ebrei
sono avidi: questo il sillogismo. Un’altra lettera racconta il
caso di un nazionalsocialista con famiglia numerosa. Ha do-
dici figli. Uno di questi vorrebbe fare l’apprendista meccani-
co. Ma l’unico meccanico del luogo non lo vuole assumere,
non ama i nazionalsocialisti, è uno che simpatizza e vota per i
nazionalpopolari di Hugenberg (come per Lega e 5 Stelle,
non si poteva ancora immaginare che i due partiti sarebbero
andati al governo insieme). Non potrebbe il giornale fare
qualcosa per trovare lavoro a un ragazzo volenteroso discri-
minato per la sua fede politica? Un miliziano delle SA si ar-
ruola in polizia. Gli dicono che deve scegliere tra rinunciare
alla sua tessera di partito o rinunciare al lavoro in polizia. Il
padre, impiegato delle Poste, teme “rappresaglie politiche”,
è troppo impaurito per aiutare il giovane. Il giovane finisce
sulla strada, dorme nelle stazioni, vive di elemosina. Non lo
si potrebbe aiutare?
Altri lamentano la dignità ferita, la mancanza di buona
educazione. Un uomo anziano va dal sindaco di Norimber-
ga, il democratico Hermann Luppe, chiedendogli di aiutarlo
con l’assegnazione di una casa popolare perché è costretto a
dormire coi figli in garage. Quello non lo fa nemmeno acco-
modare, gli risponde sgarbato che dovrebbe fare meno figli.
“Io sono un uomo semplice. Possibile che le persone istruite
si comportino a questo modo?” Una donna racconta la pro-
pria complicatissima vicenda giudiziaria, cause e ricorsi su
questioni di eredità, in cui a un certo punto sono coinvolti
anche degli uomini d’affari e degli agenti immobiliari ebrei.

78

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 78 02/04/19 17:19


Il marito è “un debole”, la figlia è malata di cuore, il figlio è
soldato. “Mi tiene in vita solo il pensiero che Hitler vincerà e
gli ebrei saranno cacciati dal nuovo Reich,” conclude.
Nelle lettere allo “Stürmer” il malumore si sfoga in gene-
re su piccolezze, cose di poco conto. Un lettore racconta di
una donna che occupa un intero sedile di un vagone di terza
classe coi propri bagagli. Le chiedono di far posto ai passeg-
geri in piedi. Lei fa finta di niente. Uno gli dice: lei deve esse-
re proprio ebrea, ché nessun tedesco sarebbe così maleduca-
to. La risposta che indigna il lettore: e allora? Discendete
comunque da noi. Un’altra lettera racconta di una donna
anziana costretta a viaggiare in piedi perché un genitore
ebreo rifiuta di prendersi sulle ginocchia il figlioletto che oc-
cupa un posto.
Spesso si inciampa in paranoie surreali. Un cliente la-
menta di essere entrato in un negozio per comprare un cap-
potto e che il commesso ebreo insisteva invece per vendergli
una giacca estiva. Una cliente si lamenta dell’etichetta del
vestito che ha comprato in una sartoria di ebrei. Dice: “Tutto
a credito, nessun anticipo, nove mesi per pagare”. L’elucu-
brazione: è un modo per offendere le clienti, dargli delle put-
tane, insinuare che “pagheranno” restando incinte. Una let-
tera denuncia la cospirazione ebraica per rendere piatti i
piedi delle signore ariane: diffondere l’uso dei tacchi alti.

Bagatelle per un massacro

Insomma bazzecole, piccinerie. Vere e proprie “Bagatelle


per un massacro” viene da dire, riprendendo il titolo di uno
dei libri più disgustosi di un campione di antisemitismo co-
me Céline. Guai a trascurare le piccole ripicche, le irritazioni
per un nonnulla. L’aggravarsi della crisi fa uscire all’aperto il
Mr. Hyde, la bestia che si cela in ciascuno di noi. Basta po-
chissimo a trasformare i piccoli malumori, il fastidio bonario
di quelli dell’“io non sono razzista, però…”, in odio impla-
cabile, in ferocia che non vuol sentire ragioni, come il lupo
della favola verso l’agnello che beve allo stesso ruscello.

79

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 79 02/04/19 17:19


Innumerevoli le lettere in cui chi scrive lamenta di essere
stato “imbrogliato” dagli ebrei. In genere si tratta di picco-
lezze, di risentimenti per una compera di cui si è pentiti, per
aver pagato un prezzo eccessivo, della sensazione di non es-
sere stati trattati con rispetto, dell’essere stati trascurati dal
commesso del negozio, dal medico curante della mutua, da
chi avrebbe dovuto occuparsi della pratica che giace inevasa
negli uffici, dall’impiegato allo sportello… Scortesi, quindi
per forza ebrei. Particolarmente curiosa questa recrimina-
zione, di mancanza di cortesia, rivolta a chi viene odiato per
il fatto stesso di esistere, a chi in realtà dovrebbe lamentarsi
lui di essere insultato in continuazione.
La calamita di tutte le lagnanze, il luogo di tutte le nefan-
dezze è il commercio. È al mercato, nei negozi, nei grandi
magazzini di loro proprietà che gli ebrei imbrogliano, suc-
chiano il sangue, cioè i soldi degli ignari tedeschi. Showalter,
che ha analizzato migliaia di queste lettere, osserva che molti
di coloro che si lamentano con tanta veemenza degli “imbro-
gli” a loro danno, semplicemente non hanno gli strumenti
aritmetici per poter tener dietro ai rapidi mutamenti subiti
dai prezzi nell’alternarsi di momenti di inflazione e deflazio-
ne, di stagione alta delle vendite e stagione di saldi. La fru-
strazione causata dal non riuscire più a seguire e a capire
quel che sta succedendo all’economia porta facilmente a
concludere che qualcuno sta cercando di fregarti.
Ci sono molti modi per declinare il “piove, governo la-
dro”. Tutta colpa della burocrazia, dei corrotti, dei privile-
giati, degli immigrati, dell’etnicamente altro. Il gioco consi-
ste nel cercare di attribuire la responsabilità di tutto a
qualcuno su cui si possa dirigere il risentimento. Nella Ger-
mania di quegli anni assumeva principalmente le sembianze
degli ebrei. I quali poi erano anche stranieri, immigrati, bol-
scevichi o i politicanti dell’odiata Repubblica “giudaica” di
Weimar. O, ancora, gli ebrei che controllano la finanza inter-
nazionale, i governi di Francia e Inghilterra, le Borse. Ai
giorni nostri, se non è zuppa è pan bagnato: ancora gli immi-
grati, le élite, la casta, la Borsa, i poteri forti, i pensionati d’o-
ro, i burocrati dell’Europa, e delle istituzioni “che non az-

80

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 80 02/04/19 17:19


zeccano mai i conti”. Con la crisi economica che mordeva, il
messaggio martellante, il sentire condiviso tra la gente diven-
ne: i soldi ci sono, ma qualcuno vi imbroglia e ve li ruba,
qualcuno che vi vuole male, ce l’ha con il popolo tedesco,
cioè con voi. Com’è che ho l’impressione di sentire tutti gior-
ni qualcosa di analogo? Si ripete nei discorsi orecchiati al
bar, nelle dichiarazioni in tv, persino nelle immagini di reper-
torio sempre identiche che nei telegiornali accompagnano le
notizie economiche: una macchina che stampa montagne di
banconote da 50 euro…

Questione di nomi

Presi di mira in modo particolare sono gli ebrei che non


sembrano nemmeno ebrei. Quelli che non si fanno riconosce-
re, non hanno i tratti somatici dell’“orientale emaciato”, ma si
nascondono dietro fattezze tedesche, talvolta addirittura die-
tro nomi tedeschi. Un lettore scrive allo “Stürmer” di essere
stato imbrogliato, anzi costretto a “tradire il proprio popolo”,
comprando sigari da un tabaccaio di cognome Borchardt, per
poi scoprire inorridito che il signor Borchardt ha un nome
che più giudeo di così non si può: Isidore.
Solo un tipo di gente gli è più odiosa dei pezzenti che so-
no immigrati dall’Est: gli ebrei che si travestono da tedeschi,
anzi sembrano più tedeschi dei tedeschi. Sono i più pericolo-
si: così travestiti si infilano nelle università, inquinano la cul-
tura tedesca, inquinano l’economia, minacciano la purezza
della razza germanica. Sono insieme élite e reietti. Si merita-
no doppio disprezzo, dai tedeschi in quanto ebrei, e dagli al-
tri ebrei in quanto tedeschi e privilegiati. Il nuovo regime si
sarebbe preso cura di proibire per legge simili travestimenti.
Molte famiglie ebraiche erano talmente integrate nella cultu-
ra tedesca che si tramandavano ormai da padre a figlio, a ni-
pote, nomi teutonici. Nelle sue memorie dell’infanzia a Ber-
lino negli anni trenta Peter Gay (in realtà Peter Israel
Fröhlich, l’Israel imposto dai nazisti), ricorda che sua madre
aveva il nordico nome Helga e ben due suoi zii si chiamava-

81

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 81 02/04/19 17:19


no Siegfried. “Se l’intenzione era mascherare le origini ebrai-
che risultò controproducente: si diceva che solo agli ebrei
potevano piacere nomi siffatti”, osserva. Comunque furono
obbligati a cambiar nome, o almeno aggiungere un secondo
nome che denunciava l’origine ebraica. Fossi nato nella Ger-
mania nazista mi avrebbero obbligato a chiamarmi Israel an-
ziché Siegmund, fossi stato donna mi avrebbero obbligato a
chiamarmi Sara. Era il primo passo verso l’imposizione della
stella gialla.

“Nella strada deserta un’auto di passaggio frena, la testa


di uno sconosciuto si sporge dal finestrino: ‘Sei ancora vivo,
porco maledetto? Bisognerebbe schiacciarti, passarti sopra
la pancia!...’”
“Sto per salire sul tram, dove mi è permesso sostare solo
sulla piattaforma anteriore, a patto che sia separata dall’in-
terno della carrozza (posso usare questo mezzo solo per an-
dare in fabbrica, purché questa disti più di sei chilometri da
casa mia); sto dunque per salire, è tardi e se non arrivo pun-
tuale al lavoro il capo mi può denunciare alla Gestapo. Da
dietro qualcuno mi tira giù violentemente. ‘Ma vai a piedi
che ti fa meglio!...’”
Quante volte, in quanti luoghi, in quante epoche e mo-
menti diversi abbiamo assistito a scene come queste?
Sono due tra le molte notazioni di Victor Klemperer sulla
sua condizione di ebreo a Norimberga dopo l’introduzione
obbligatoria della stella gialla. “Oggi torno a farmi la stessa
domanda che ho posto centinaia di volte a me stesso e alle
persone più diverse: quale è stato il giorno più difficile per
gli ebrei in quei dodici anni infernali? Tanto io quanto gli al-
tri abbiamo sempre dato una risposta univoca: il 19 settem-
bre 1941. Da quel giorno ci fu obbligo di portare la stella di
David a sei punte…”

82

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 82 02/04/19 17:19


“Ebrei per intero [Volljuden]”, “ebrei per metà [Halbju-
den], i “misti [Mischlinge] di primo grado”, quelli di grado
diverso, i “discendenti da ebrei” [Judenstämmlinge].
E, aggiunge Klemperer, i “privilegiati”.
Questa è l’unica invenzione a proposito della quale ignoro se gli au-
tori fossero totalmente consapevoli della diabolica malvagità di quel-
lo che avevano escogitato. I privilegiati apparivano come tali solo nei
gruppi di ebrei che lavoravano in fabbrica; il loro privilegio consiste-
va nel non dover portare la stella e nel non dover abitare nelle “case
degli ebrei”. Si era privilegiati avendo contratto un matrimonio mi-
sto, purché da questo matrimonio fossero nati dei figli “allevati come
tedeschi”, vale a dire non registrati nella comunità ebraica. Questo
paragrafo, la cui interpretazione oscillante portò spesso a grottesche
cavillosità, fu forse escogitato soltanto per tutelare una parte di citta-
dini sfruttabili per fini nazisti; certo, nessun altro provvedimento eb-
be su un gruppo di ebrei un effetto più devastante e demoralizzante
di questa denominazione capace di suscitare tanta invidia e tanto
odio. Poche altre frasi ho sentito pronunciare con maggiore amarez-
za e frequenza di questa: “È un privilegiato”, cioè: paga meno tasse
di noi, non deve abitare nella casa degli ebrei, non porta la stella, in
certo qual modo può mimetizzarsi… E quanta superbia, quanta mi-
serabile gioia maligna – sì miserabile, perché in fin dei conti erano
nel nostro stesso inferno, anche se in un girone migliore e alla fine i
forni crematori hanno divorato anche i privilegiati – quanto insistito
distacco si avvertiva spesso in quelle due parole: “Sono privilegia-
to”!... Nella rubrica del mio lessico dedicata agli ebrei, “privilegiato”
occupa il secondo posto fra le parole peggiori; al primo rimane sem-
pre la stella.

La Nomenclatura dell’odio

La prima definizione di chi debba essere considerato


ebreo e chi no risale all’aprile 1933. È contenuta nel decreto
modestamente intitolato: Per la ristrutturazione del pubblico
impiego, che prevede il licenziamento o il pensionamento
forzato di tutti i dirigenti e funzionari pubblici che “non sia-
no di discendenza ariana”. Non si erano limitati ad annun-
ciare per l’anno successivo – come ha fatto il nostro Rocco
Casalino – la “megavendetta” contro i tecnici sospetti di

83

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 83 02/04/19 17:19


ostilità, di mettere i bastoni fra le ruote all’azione del nuovo
governo. La misero in atto subito, per decreto. Senza nean-
che aspettare che ci fosse opposizione o boicottaggio. La leg-
ge prevedeva la rimozione di tutti i funzionari ritenuti a giu-
dizio insindacabile del governo “inadeguati” o politicamente
inaffidabili. E in particolare di tutti i funzionari e dirigenti
pubblici “le cui precedenti attività politiche non garantisca-
no che diano in ogni circostanza il loro pieno sostegno allo
Stato nazionale”. Un’attenzione particolare è ovviamente de-
dicata agli ebrei, politicamente inaffidabili per definizione. Il
decreto definisce “non ariano” chiunque “discenda da geni-
tori o nonni non ariani, ed ebrei in particolare”. E precisa:
“È sufficiente che uno solo dei genitori e dei nonni sia non
ariano”.
Il provvedimento fu accolto con entusiasmo. Liberava
posti di lavoro. Nel 1933, malgrado i tagli ancora in vigore
alla spesa pubblica e il blocco delle assunzioni, il licenzia-
mento in massa degli ebrei permise di assumere il 60 per
cento degli aspiranti al posto di insegnante. Nelle università
si liberarono di colpo oltre 5000 posti in organico per laurea-
ti, professori a contratto che non avevano passato i concorsi,
per altri che aspettavano da tempo il posto fisso. La qualifica
richiesta era essere simpatizzanti dei nazisti.
Poi le definizioni si faranno sempre più sottili e complica-
te. Da far invidia all’ars definitoria medievale. Il primo para-
grafo delle leggi “Per la protezione del Sangue e dell’Onore
tedesco” annunciate a Norimberga nel 1935 stabiliva: “È
proibito il matrimonio tra Ebrei e cittadini di sangue Germa-
nico o affine. Matrimoni contratti in violazione di questa
norma sono nulli”. Il decreto di attuazione precisava che era
da considerarsi pienamente “ebreo” qualsiasi persona che
avesse almeno tre nonni ebrei. Chi avesse due nonni ebrei
era da considerarsi Mischling, misto (di primo grado). Ma
tornava a essere ebreo a pieno titolo se al momento dell’en-
trata in vigore della legge (o successivamente) professava la
religione ebraica o aveva una moglie ebrea. Irrimediabilmen-
te ebrei erano anche i figli concepiti, non importa se in matri-
monio o fuori del matrimonio, in violazione delle leggi raz-

84

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 84 02/04/19 17:19


ziali. Chi avesse un solo nonno ebreo era considerato “misto”
di secondo grado, quasi ariano. Si spaccava il capello in
quattro, anzi all’infinito. Si aggiunsero anno dopo anno nuo-
vi supplementi alla legge “Per la protezione del Sangue tede-
sco”. Ben 5 nel solo biennio 1936-37. Ognuno introduceva
nuove restrizioni.
Agli ebrei era stato proibito avere impieghi pubblici, poi
gli fu proibito insegnare, esercitare la professione di medico
o dentista, fare l’avvocato, essere titolari di ristoranti o bar,
poi essere titolari di qualsiasi attività. Dovevano solo andar-
sene, andarsene tutti. L’obiettivo dichiarato era rendergli la
vita impossibile, per spingerli alla “totale emigrazione”. Ma
verso dove? A parole la comunità internazionale esprimeva
comprensione e solidarietà. Nell’estate del 1938 fu convoca-
ta, su iniziativa del presidente americano Roosevelt, una con-
ferenza internazionale a Evian per distribuire i profughi.
Parteciparono trentadue paesi. Si concluse in un fallimento
clamoroso. Il “Völkischer Beobachter” titolò soddisfatto:
Nessuno li vuole.
Quelli che furono costretti o vollero restare vennero
schedati con gran zelo. Sapevano dove andarli a cercare. Il
censimento del 1933 non teneva ancora conto di tutte le di-
stinzioni bizantine sul grado di ebraicità. Il censimento del
1939 registrò invece pure la presenza di un solo nonno ebreo.
Anche nella Germania nazista i dati individuali ufficialmente
erano riservati ai soli fini statistici. E invece vennero trasmes-
si agli schedari di polizia (ormai in mano alle SS), con nome,
cognome, mestiere, gradi di inquinamento della razza, muta-
menti di domicilio. Se ne sarebbero serviti nella conferenza
di Wannsee in cui si decise la “soluzione finale”.

85

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 85 02/04/19 17:19


7.
Il lupo si traveste da agnello

Hitler moderato? Quando ne poteva avere un torna-


conto. Lo fa per ingraziarsi gli industriali. Poi per farsi
dare il potere di governare senza più il Parlamento. Gli
faceva un baffo comparire davanti ai giudici, lo usava
per farsi propaganda. Riuscì persino a farsi passare per
“uomo di pace”. Solo a guerra iniziata si sarebbe per-
messo di dare dell’“ubriacone” all’uomo “che governa
l’Inghilterra”, cioè a Churchill.

Una delle cose che mi pare di rivivere se dal presente tor-


no al 1933 è il costante alternarsi di momenti di estrema ag-
gressività a momenti di apparente moderazione e ragionevo-
lezza. Sauna e doccia fredda. “Andiamo avanti costi quello
che costi”, “non ci fermerà nessuno”, “nessun compromes-
so”. E poi il momento dopo: “Discutiamo”, “trattiamo”,
“vedete come siamo generosi e ragionevoli”. Un momento
barricadieri, sovversivi, violenti. Il giorno dopo a presentarsi
come moderati, rispettosi e ligi alle regole del gioco demo-
cratico.

Un momento di moderazione c’era stato immediatamen-


te prima dell’assunzione del cancellierato, volto a rassicurare
soprattutto gli industriali. Invitato dal magnate dell’acciaio
Fritz Thyssen, Hitler era andato a parlare a una loro assem-
blea a Düsseldorf, nel cuore della Ruhr. Per l’occasione ave-
va indossato un completo blu, si era tolta dal braccio la fascia
con la svastica. Sorprendente per moderazione era anche il
discorso che rivolse via radio alla nazione il primo febbraio,
appena diventato cancelliere. Un discorso pacato, misurato,

86

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 86 02/04/19 17:19


da uomo di Stato, niente a che vedere con le tirate fanatiche
e bellicose cui il suo pubblico era abituato. Chiamava all’uni-
tà nazionale. Si diceva impegnato appieno “nella preserva-
zione e nel mantenimento della pace, di cui il mondo ora più
che mai ha bisogno”. Esprimeva “gli auguri più sinceri per il
benessere dell’Europa, anzi del mondo intero”. Un giorno
Mister Hyde, l’indomani Doctor Jekyll.

Il lento suicidio del Parlamento

Un altro momento memorabile di moderazione ci fu nel


marzo del 1933. Hitler chiedeva i pieni poteri, cioè la possi-
bilità di promulgare qualsiasi legge senza nemmeno consul-
tare il Parlamento. Il titolo era quasi neutro: Legge per porre
rimedio alle difficoltà dello Stato e del popolo. Veniva dopo
settimane di fuoco e fiamme e piombo. C’erano già stati gli
arresti in massa degli oppositori, l’ordine di “sparare a vista”
impartito da Göring all’ormai “sua” polizia, con gli organici
rimpolpati da energumeni delle milizie naziste, la messa al
bando del Partito comunista, l’istituzione della Geheime
Staatspolizei, la polizia politica segreta poi nota come Gesta-
po, affidata ai fedelissimi delle SS. Hitler avrebbe potuto a
quel punto dire: adesso ci prendiamo tutto. Ma per farsi vo-
tare i pieni poteri dal Reichstag aveva bisogno di una mag-
gioranza di due terzi. Quindi li chiese con un’argomentazio-
ne in apparenza moderata e “ragionevole”: la Germania
doveva far fronte alla crisi economica interna e internaziona-
le con una dimostrazione di unità nazionale, che le desse la
possibilità di contare di più nelle sedi internazionali, aver più
voce nei negoziati in corso con le altre potenze europee.
I nazisti erano in quel momento particolarmente preoc-
cupati della cattiva stampa di cui il nuovo governo godeva
all’estero (il problema della cattiva stampa all’interno l’ave-
vano già risolto con le buone, minacciando e ricattando gli
editori dei giornali non amici, o con le cattive, chiudendoli,
arrestando direttori e giornalisti). Una cattiva immagine ri-
schiava di rovinargli l’intenso lavorio di relazioni pubbliche

87

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 87 02/04/19 17:19


all’estero, di turbare l’immagine di una Germania forte e
unita che gli serviva proiettare in quel momento. La mano
tesa si estese anche ai nemici irriducibili, a quelli che chiama-
vano con disprezzo “marxisti”, cioè i socialdemocratici
dell’Spd. Quelli gli risposero che erano ben disposti ad ap-
poggiare qualsiasi “proposta positiva”, sia sul piano interno
che in politica estera, ma a una sola condizione: che fosse
aderente alla lettera e allo spirito della Costituzione. I pieni
poteri violavano il ruolo che la Costituzione di Weimar asse-
gnava al Parlamento, in pratica lo esautoravano. Questo era
il motivo per cui avrebbero votato contro, annunciarono tra
boati e fischi degli sgherri nazisti che occupavano l’aula. Era-
no rimasti soli a opporsi. Gli 87 deputati comunisti erano già
stati arrestati o costretti alla clandestinità. Tutti gli altri parti-
ti avevano capitolato, compreso il Zentrum cattolico che pu-
re aveva rifiutato di far parte del gabinetto Hitler.
Il primo a intervenire e a pronunciare la dichiarazione di
voto del suo partito era stato il presidente dell’Spd e capo-
gruppo parlamentare Otto Wels. Qualcuno l’aveva avvertito
che rischiava la vita, lo aveva implorato di non esporsi, di la-
sciare il compito a un deputato più giovane. Otto deputati
Spd erano già agli arresti, uno era finito in ospedale dopo es-
sere stato picchiato dalle SA ormai ufficialmente riconosciu-
te come “polizia ausiliaria”. Solo 94 dei 120 eletti dell’Spd
erano riusciti a entrare, tra due ali di miliziani nazisti urlanti,
nella Krolloper dove, causa inagibilità del Reichstag, era stato
provvisoriamente convocato il Parlamento. La riunione era
presieduta da Göring. Dietro di lui campeggiava un’enorme
bandiera con la svastica. SA in uniforme occupavano i pal-
chi, si aggiravano anche in mezzo ai deputati, scandendo:
“Vogliamo i pieni poteri, se no la pagherete cara!”. Wels,
smentendo la fama di grigio uomo d’apparato, fece un bel
discorso. “Non riuscirete a far tornare indietro la ruota della
storia… Noi socialdemocratici ci impegniamo solennemente
a sostenere i principi di umanità e giustizia, libertà e sociali-
smo”, disse rivolto al governo. E rimasero soli. La legge sui
pieni poteri fu approvata con 444 voti a favore, 94 contro.

88

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 88 02/04/19 17:19


Così si suicidò il Parlamento della Repubblica di Weimar.
Ma in realtà il suicidio era iniziato molto prima. Il Reichstag
aveva cessato almeno dal 1929 in poi di essere il luogo in cui
si manifestava la sovranità popolare. Le decisioni cruciali
erano diventate gradualmente prerogativa di una cerchia
sempre più ristretta. Prima erano stati i partiti ad arrogarsi le
decisioni più importanti lasciando ai parlamentari rappre-
sentanti del popolo il compito di eseguirle, votando come gli
veniva comandato. Poi cominciarono a non contare più
niente nemmeno le direzioni e le segreterie dei partiti, e da
un certo punto in poi nemmeno i ministri. Nel 1932 a deci-
dere la sorte dei governi, le alleanze, gli accordi al vertice era
già un numero ristrettissimo di persone. Dentro e fuori dai
partiti, e addirittura più fuori che dentro il governo. Quelli
che oggi vengono chiamati i “poteri forti”, la Banca centrale,
gli altri banchieri, le lobby, i rappresentanti della grande in-
dustria, delle corporazioni, delle associazioni, dei singoli
gruppi di interesse. La Rdi (Reichsverband der Deutschen In-
dustrie, la Confindustria tedesca) da una parte e i sindacati
dall’altra contavano e decidevano più dell’intero Parlamen-
to. I sindacati preferivano trattare direttamente col padrona-
to, anziché rivendicare una legislazione. Piuttosto che ai de-
putati del Reichstag, tutti preferivano affidarsi all’expertise
di think tank privati. Sarebbe stato un momento d’oro per la
Casaleggio associati. Un gruppo di interesse particolare, di
cui tutti gli altri dovevano tener conto, erano poi le Forze
armate.
Il Partito nazionalsocialista era favorito dal fatto di avere
un leader indiscusso e indiscutibile, deciso a eliminare bru-
talmente ogni dissidenza interna, a schiacciare spietatamen-
te, se necessario eliminare fisicamente tutti i potenziali rivali,
chiunque fosse sospetto di disobbedienza o sfida alla sua au-
torità. Se c’era da trattare con altri trattava solo lui, o tramite
qualcuno di cui potesse fidarsi in modo assoluto.
Il Parlamento era stato esautorato di fatto già molto pri-
ma che Hitler lo rendesse anche formalmente inutile facen-
dosi dare i pieni poteri. Erano stati i governi che avevano
preceduto quello di Hitler ad abusare sistematicamente

89

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 89 02/04/19 17:19


dell’articolo 48 della Costituzione di Weimar che consentiva
– ma solo in casi eccezionali – di legiferare per decreto presi-
denziale, anziché con leggi regolarmente discusse e approva-
te dal Parlamento. A ricorrere in modo sistematico ai decreti
presidenziali era stato il governo Brüning, “tollerato” – in
pratica sostenuto – dai socialdemocratici. Nel 1930 il Reich-
stag aveva fatto 98 leggi, il Presidente della Repubblica ne
aveva fatte per decreto solo 5. Nel 1931 le leggi approvate
per via parlamentare erano state 32, ma i decreti presidenzia-
li 44. Nel 1932 il Parlamento era riuscito a farne solo 5, men-
tre il numero dei decreti presidenziali era balzato a 66.

Zitti per carità di patria

I nazisti accusavano i socialdemocratici di remare contro


l’interesse nazionale, di diffondere all’estero notizie false e ne-
gative sulla situazione in Germania, di minare la tenuta del
marco, mettere a repentaglio i conti del “Sistema Paese”. Wels
negò che fossero i socialisti a sparlare della Germania e met-
terla in cattiva luce. “Con i legami internazionali che ha il suo
partito, allora non dovrebbe esservi difficile ristabilire la veri-
tà… sono proprio curioso di vedere quanto valgono i vostri
collegamenti internazionali”, la replica sardonica di Hitler dai
banchi del governo. Era un ricatto, una proposta di scambio:
voi state zitti e sostenete la nostra immagine all’estero, noi vi
lasciamo respirare un attimo. Il concetto fu ribadito qualche
giorno dopo da Göring in un incontro con la stampa estera.
Un altro dirigente Spd, l’ex presidente del Reichstag, Paul
Löbe, andò da Göring per chiedergli di levare il bando sui
giornali socialisti. Quello gli rispose che prima o poi si sareb-
be fatto, gli chiese solo di pazientare ancora un poco e ag-
giunse ironico: “A che vi servirebbe poter stampare il
‘Vorwärts’ se poi i distributori vengono attaccati dalle SA e
le copie vengono bruciate?”. Wels era convinto che coi nazi-
sti si potesse trattare la sopravvivenza del partito e della sua
stampa, la cui chiusura aveva gettato diecimila dipendenti
sul lastrico. Era una menzogna come tante altre: il “Vorwärts”

90

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 90 02/04/19 17:19


non riprese più le pubblicazioni. Ancora poche settimane e
oltre ai suoi giornali fu messo fuori legge il Partito socialde-
mocratico. A luglio avrebbe fatto seguito lo scioglimento di
tutti gli altri partiti, compresi quelli che avevano votato a fa-
vore dei pieni poteri a Hitler. Nel tentativo di rabbonire i
nazisti, Wels era arrivato a chiedere pubblicamente all’Inter-
nazionale socialista di smettere di pubblicare notizie “false”
ed “esagerate” su persecuzioni in corso in Germania, su pre-
sunte “atrocità” commesse dalle orde nazionalsocialiste.
Quelli giustamente rifiutarono di farsi condizionare. E Wels
ritirò polemicamente il rappresentante dell’Spd dall’Interna-
zionale.
Una sedicente Associazione degli ebrei nazional-tedeschi
fece anche di più. Pubblicò addirittura un libro intero, tradot-
to in diverse lingue, per smentire che ci fossero persecuzioni.
Si intitolava: La propaganda dell’orrore è una propaganda di
menzogne! Le vittime che fanno propaganda ai loro persecu-
tori! È il colmo per Karl Kraus, il brillante polemista vienne-
se che da maggio a settembre del 1933 annota e chiosa con
sferzante ironia tutti gli orrori e tutte le stupidaggini di cui
gli giunge notizia dalla Germania (quasi cinquecento pagine,
raccolte sotto il titolo La terza notte di Valpurga, che doveva-
no essere un quaderno speciale della sua rivista “Die Fackel”,
la Fiaccola, ma furono pubblicate solo nel dopoguerra).
“Cosa mai è impossibile in un manicomio in cui l’infermo
può aggredire l’infermiere e diventare subito Presidente del
Consiglio dei ministri?”
In realtà di “esagerato” c’era solo la pretesa che tutto pro-
cedesse normalmente, e l’illusione che si potesse andare a un
accomodamento coi nazisti. Le “atrocità” c’erano, eccome. Le
immagini del 21 marzo 1933 mostrano un Hitler in abiti civili
che si inchina al Presidente della Repubblica Hindenburg in
divisa militare. Sino a quasi un attimo prima la stampa nazi-
sta lo aveva vilipeso perché rifiutava di nominare Hitler can-
celliere, ne chiedevano l’impeachement. Proprio lo stesso 21
marzo era stato inaugurato a Dachau, una ventina di chilo-
metri da Monaco, il primo campo di concentramento per
oppositori politici. Ad annunciarlo alla stampa, con tanto di

91

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 91 02/04/19 17:19


foto che mostravano l’amenità del luogo e molta insistenza
sull’umanità del trattamento riservato ai primi 5000 prigio-
nieri “comunisti” e altri “nemici del Reich”, fu Himmler,
nella sua carica di neopresidente della polizia di Monaco. Al-
leviava, spiegò, il sovraffollamento nelle carceri. Gli ospiti vi
sarebbero stati trattenuti il tempo necessario alla loro “rie-
ducazione”. Quando vi mandarono gli ebrei, dissero che era
una misura per “proteggerli” dal furore del popolo. Il cam-
po era gestito direttamente dalle SS, entrate negli organici
della Polizia di Stato. Un lager modello, tanto che all’inizio ci
portavano persino i turisti in visita.
A Berlino continuavano intanto a funzionare a pieno re-
gime le camere di tortura “ufficiose” gestite dalle SA. Ecco la
descrizione che ne fa, non un oppositore, non una vittima,
ma l’allora capo della Gestapo Rudolf Diels, fresco di nomi-
na da parte di Göring, dopo avervi fatto irruzione nella sua
nuova veste ufficiale: stanze buie e nude, da cui erano stati
rimossi i mobili, il pavimento ricoperto di paglia, sporco di
sangue e urina; i prigionieri ridotti a scheletri, denutriti, disi-
dratati, la testa penzolante sulle spalle, “come di fantocci”,
costretti a stare in piedi, per giorni, senza cibo e acqua, tra
una sessione di tortura e l’altra, tra un pestaggio e l’altro, im-
partiti a turni da una dozzina di bruti delle SA con spranghe
di ferro, manganelli di gomma, fruste di cuoio…“Un inferno
peggiore di quelli descritti da Hieronymus Bosch e Pieter
Bruegel”, il commento di Diels, nelle memorie che avrebbe
pubblicato dopo la guerra, Lucifer ante portas.
Ma perché scrivo di questo? Non ci sono camere di tor-
tura nel nostro presente, o almeno così pare, se qualcuno
dalla parte dell’ordine sgarra, viene processato e punito.
Non ci sono campi di concentramento, solo centri di acco-
glienza per stranieri non in regola. O no? Il déjà vu si an-
nida in un dettaglio apparentemente secondario: nel mini-
mizzare, negare tutto, anche l’evidenza. Chiunque denunci
o racconti qualcosa di non gradito, “mente” per definizione.
Sono “favole”, “esagerazioni”, “invenzioni”, insomma solo
propaganda malevola per mettere in cattiva luce il governo
del cambiamento.

92

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 92 02/04/19 17:19


Né leader né Congresso per l’opposizione

E l’opposizione in tutto questo? I socialdemocratici era-


no tutti presi a litigare al loro interno, mentre evaporava con
rapidità impressionante la loro formidabile organizzazione,
si spezzavano una dopo l’altra le radici che avevano in pro-
fondità nella società tedesca, si sgretolavano il Reichsbanner,
la potentissima struttura di autodifesa e gestione del tempo
libero, il Fronte di ferro antifascista, con il suo simbolo delle
Tre frecce che spezzano la svastica, l’organizzazione giovani-
le, i sindacati, che contavano milioni di membri. Erano stati
il partito più solido della sinistra, un partito di governo. Uno
dei grandi misteri su cui continuano a discutere gli storici è
perché, a differenza di quel che era successo appena una
decina di anni prima, non ci sia stata quasi reazione, mobi-
litazione popolare contro la “presa del potere” da parte dei
nazisti.
C’era una spaccatura tra la leadership socialista che era
rimasta a Berlino e quelli che erano riparati all’estero. Quelli
ancora in Germania avevano convocato a fine aprile una con-
ferenza nazionale di un numero limitato di delegati prove-
niente da ciascun distretto del paese, in una sala del vecchio
Reichstag non distrutta dall’incendio. Non ci provarono
nemmeno a chiamarlo Congresso. I nazisti li lasciarono fare,
evidentemente a quel punto non avevano molto da temere,
anzi gli faceva comodo la pochezza degli avversari. I socialde-
mocratici polemizzavano con il resto dell’opposizione, litiga-
vano, si esercitavano in rabbiose recriminazioni, anziché cer-
care di capire cos’era successo, trovare rimedi e unirsi contro
i nazisti. L’unica decisione che riuscirono a prendere fu rotta-
mare i vecchi dirigenti e affidare il partito a tre funzionari che
avevano rispettivamente 31, 32 e 45 anni. Il partito in esilio
aveva un centro in Svizzera, uno a Praga, uno a Parigi, l’uno
ai ferri corti con l’altro. Gli storici, compresi quelli più di
parte, che non nascondono simpatie per la sinistra di matrice
socialdemocratica, sono esterrefatti di fronte alla rapidità di
questa disgregazione. Una delle spiegazioni che sono state
avanzate è l’incapacità a esprimere un leader carismatico che

93

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 93 02/04/19 17:19


sapesse imporsi alle molte anime del partito, così come Hitler
si era imposto alle molte anime del movimento nazionalsocia-
lista e poi alle ancora più numerose anime del blocco che uni-
va destra e populisti.

Alla prima riunione del nuovo governo era stato Hugen-


berg, non Hitler a proporre l’immediata messa al bando del
Partito comunista e l’arresto dei dirigenti e deputati. Hitler e
Göring si erano opposti, argomentando che non era al mo-
mento opportuno, così si rischiava di scatenare disordini.
Chi era il moderato e chi l’estremista? La proposta di Hu-
genberg era strumentale: sperava, cancellando la delegazio-
ne comunista al Reichstag, che ci fosse una maggioranza sen-
za dover andare a nuove elezioni. Anche la moderazione di
Hitler era strumentale: voleva nuove elezioni subito per ridi-
mensionare l’alleato. Comunque la caccia ai comunisti era
già iniziata. Molti dirigenti, deputati e militanti furono arre-
stati. Il partito passò all’attività clandestina, cui era già abi-
tuato. Si attardarono per molto tempo ancora a denunciare il
“disegno del grande capitale” e le responsabilità dei social-
democratici nella catastrofe. Continuarono a essere distratti
da lotte al coltello all’interno del gruppo dirigente.
Avrebbe provveduto Stalin a mettere in riga i litiganti. La
punizione per i loro “errori politici” fu tremenda. Dei mem-
bri dell’ufficio politico del Kpd cinque sarebbero stati uccisi
dai nazisti. Ma ben sette dai compagni sovietici. Dei sessan-
totto membri del Comitato centrale del Kpd rifugiatisi a pro-
seguire la lotta in Urss, ben quarantuno (quasi due terzi) sa-
rebbero finiti internati nei gulag o fucilati. Negli anni delle
purghe, il “luxemburghismo” veniva considerato una va-
riante del “trotzkismo”. Poi si cominciò a considerare spie
dei nazisti tutti i tedeschi rifugiati in Unione Sovietica. Dopo
la firma del patto Molotov-Ribbentrop nel 1939, i sovietici
riconsegnarono a Hitler i tedeschi prigionieri nei gulag.
Tra le testimonianze più toccanti di questo capitolo tri-
stissimo, le memorie di Margarete Buber-Neumann: Prigio-
niera di Stalin e di Hitler. Aveva sposato il figlio di Martin

94

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 94 02/04/19 17:19


Buber, ma non lo aveva seguito in Palestina quando questi
emigrò con le figlie. Militante e funzionaria comunista, era
diventata la compagna di Heinz Neumann, uno dei massimi
dirigenti del Kpd. Dopo la presa del potere da parte dei na-
zisti si erano rifugiati a Mosca. La coppia viveva nell’Hotel
Lux, come gli altri dirigenti del Comintern. Nel 1937 Neu-
mann fu arrestato dalla Nkvd. Di lui non si è più saputo nul-
la, non c’è alcuna notizia affidabile sulla data, il luogo, le cir-
costanze della morte. La colpa? Aver contestato nel 1932 la
linea di rottura coi socialdemocratici imposta da Stalin?
Averla attuata con troppo zelo? Non si sa. Margarete aveva
cercato inutilmente e a lungo di avere notizie del marito. Poi
commise un altro errore: cercò di riavere il passaporto tede-
sco, che, come per tutti gli ospiti del Lux, veniva ritirato al
momento dell’arrivo. Forse voleva raggiungere la sorella Ba-
bette, moglie di Willi Münzenberg, l’importante agente del
Comintern che era riuscito a farsi mandare a Parigi. Invece
l’arrestarono e la spedirono in Siberia. Dalla Siberia sarebbe
poi stata rispedita in Germania, dove i nazisti la rinchiusero
nel campo di concentramento per donne di Ravensbrück. A
Ravensbrück avrebbe conosciuto e fatto amicizia con la gior-
nalista e scrittrice Milena Jesenská, ingiustamente ricordata
solo come fidanzata di Kafka.

Come furono addomesticati i sindacati

Hitler mise ulteriormente in difficoltà la sinistra giocan-


do la carta dell’apertura al mondo del lavoro (che già for-
mava buona parte del suo elettorato) e ai sindacati. Ripri-
stinò il Primo maggio, la Festa dei lavoratori, che i governi
precedenti avevano proibito per ragioni di sicurezza, ag-
giungendo solo un aggettivo: lavoratori sì, ma “tedeschi”.
Gli iscritti ai sindacati di sinistra marciarono dietro bandie-
re rosse sì, ma con la svastica. Theodor Leipart, il presiden-
te della Confederazione dei sindacati tedeschi, Allgemeine
Deutsche Gewerkschaftsbund, che contava 3 milioni e mez-
zo di iscritti ed era sempre stata tradizionalmente legata

95

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 95 02/04/19 17:19


all’Spd, dichiarò la sua organizzazione politicamente “neu-
tra” e disse che avrebbero giudicato il nuovo governo “alla
prova dei fatti”, sul concreto delle politiche economiche e
nei confronti dei lavoratori.
In realtà il governo aveva già deciso e molti dirigenti di
categoria avevano già negoziato la confluenza di tutte le orga-
nizzazioni sindacali preesistenti in un unico sindacato sotto
controllo nazista. Buona parte dei vecchi gruppi dirigenti
aveva aderito con convinzione, alcuni entusiasticamente. Se-
guivano la loro base, si potrebbe dire a loro giustificazione.
Operai, impiegati e disoccupati già avevano abbandonato in
massa la sinistra nelle urne, votando per i nazisti. Da non cre-
dersi? Ho letto da qualche parte che un terzo dei quadri della
Cgil ha simpatie o ha votato per la Lega o i 5 Stelle. Io non ci
credo. Ma il ’33 mi dice che non è affatto impossibile. Chi
non voleva adeguarsi, o non era di pura razza germanica ven-
ne messo da parte, o peggio. Lo stesso Leipart, che nel 1933
aveva superato la sessantina, fu trattenuto in una delle fami-
gerate camere di tortura che le SA operavano a Berlino. Il 9
maggio, pochi giorni dopo il Primo maggio “unitario” che
avrebbe dovuto riconciliare nazisti e organizzazioni dei lavo-
ratori, fu sottoposto a un’indagine per “tradimento”. Non ar-
rivò mai a conclusione, ma inviarono Leipart “per sua prote-
zione” in un campo di concentramento. Lo liberarono perché
in cattive condizioni di salute. Ma gli tolsero la pensione.

Carinerie verso gli ebrei

Ci fu un momento in cui sembrava che Hitler avesse persi-


no smesso di dare addosso agli ebrei. Dal gennaio 1933 in poi
aveva cessato di menzionarli esplicitamente nei suoi discorsi.
A dire il vero aveva parlato poco della “questione ebraica” an-
che durante le campagne elettorali del 1932. Tanto l’odio anti-
semita era nel Dna del suo partito, a rinfocolarlo ci pensavano
gli altri, il “Der Angriff” di Goebbels e lo “Stürmer” di Julius
Streicher, mentre le SA continuavano a cantare: “Affilate i col-

96

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 96 02/04/19 17:19


telli / affondiamoli nel petto dell’ebreo / noi ci caghiamo sulla
libertà di questa Repubblica giudaica”.
In apparenza il governo prendeva le distanze dagli episodi
quotidiani di arresti arbitrari, intimidazioni, umiliazioni, sac-
cheggi a danno di ebrei, delle loro proprietà, dei loro negozi
e delle sinagoghe. Erano “spontanei”, si diceva. Quando il 9
marzo, pochi giorni dopo le elezioni, le squadre di Camicie
brune invasero il quartiere ebraico di Berlino e fecero una re-
tata di ebrei provenienti dall’Est, il governo non ebbe da ri-
dire: dopotutto era un’operazione di polizia contro immigrati
irregolari. Così come nessuno fece una piega per le retate e le
perquisizioni nelle case di ebrei sospettati di detenere armi.
Arrestavano i detentori anche quando si trattava di cimeli di
guerra, sciabole da ufficiale conservate accanto alle medaglie
al valore. Non valeva che esibissero regolari denunce di pos-
sesso, porto d’armi in piena regola, magari appena rinnovato.
L’ebreo era delinquente e terrorista per definizione, anche se
la persona in questione era un affermato professionista, faceva
l’avvocato o il giudice. O magari era stato commissario o ad-
dirittura capo della polizia. Contro Bernhard Weiß, vicepresi-
dente della polizia di Berlino, era stato spiccato un mandato
di cattura il giorno dopo la nomina di Hitler a cancelliere. L’a-
vrebbero di certo mandato a Dachau se non avesse già lasciato
il paese. Non era uomo di sinistra, tutt’altro. Era un servitore
dello Stato che faceva con solerzia il suo mestiere. Ma non gli
perdonavano di essere ebreo (nei comizi, Goebbels lo irride-
va chiamandolo Isidore) e uomo delle istituzioni (cioè fedele
servitore della Repubblica di Weimar, repubblica “giudaica”
secondo i nazisti).
Quando a Breslau invasero l’aula del tribunale e caccia-
rono via giudici e avvocati ebrei, si disse che era “un’azione
indipendente”, non autorizzata. Hitler continuava a non
parlare pubblicamente della “questione ebraica”. Ma quan-
do le organizzazioni ebraiche americane ed europee lancia-
rono un boicottaggio dei prodotti tedeschi, fu lui a incarica-
re Julius Streicher, il più rabbioso antisemita nei ranghi
nazisti, di organizzare per il primo aprile un boicottaggio a
tappeto dei negozi, dei grandi magazzini e degli studi profes-

97

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 97 02/04/19 17:19


sionali di ebrei. “Tedeschi, difendetevi. Non comprate dagli
Ebrei”, era la parola d’ordine. Goebbels la presentò come
risposta alla “dichiarazione di guerra economica” che era ve-
nuta dall’“ebraismo mondiale”.
Il boicottaggio economico durò, per espresso ordine della
cancelleria, solo nove ore, nel giorno per cui era stato procla-
mato, il primo aprile 1930. Aveva prodotto un crollo alla Bor-
sa di Berlino. La stampa americana riferì che il ministro degli
Esteri von Neurath aveva minacciato le dimissioni se si fosse
andati avanti su questa strada. La Germania stava correndo
veloce verso la bancarotta. Il vicecancelliere Papen si era rivol-
to al presidente Hindenburg perché intervenisse. Hindenburg
avrebbe chiamato Hitler, gli avrebbe fatto “una lavata di ca-
po” e gli avrebbe chiesto di smetterla. Il Presidente avrebbe
minacciato altrimenti la proclamazione della legge marziale e
il decadimento del governo. Non ci sono prove che sia andata
proprio così. Probabilmente è solo un’invenzione giornalistica
per spiegare perché Hitler fosse addivenuto a più miti consi-
gli. A me però fa venire in mente i giorni convulsi di quando
lo spread aveva ripreso a correre a rotta di collo, il paese ri-
schiava sanzioni, si riaffacciava lo spettro del default, finché il
governo non aveva deciso di trattare con Bruxelles.
Non per questo erano cessate le polemiche. Intervenen-
do alla Federazione dei medici tedeschi, Hitler se la prese
con le proteste in America, sostenendo che gli americani era-
no gli ultimi a potersi permettere di criticare l’antisemitismo
in Germania, dal momento che erano stati “i primi a trarre
conclusioni pratiche e politiche dalla differenza tra le razze”.
E non mancò di ricordare che erano le leggi sull’immigrazio-
ne americane a impedire l’ingresso negli Stati Uniti dei “co-
siddetti profughi ebrei dalla Germania”. Sarò fissato, ma mi
fa venire in mente i “senti un po’ chi ci critica” rivolti alla
Francia di Macron.

Nessuno mi può giudicare

Hitler e gli altri dirigenti nazisti si trovavano a loro agio


nei procedimenti giudiziari. Soprattutto in quelli a loro cari-

98

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 98 02/04/19 17:19


co. Sarebbero stati davvero “assolutamente tranquilli” in ca-
so di richiesta di autorizzazione a procedere. Anzi, non
aspettavano altro, ne avrebbero approfittato. Erano habitué
delle aule di giustizia, maestri nel trarre vantaggio politico
dai processi, nel trasformarli in tribune da cui fare propa-
ganda. A cominciare da quello in cui erano finiti sul banco
degli accusati per il putsch della Birreria a Monaco nel 1923,
conclusosi con condanne peraltro abbastanza miti.
Nel 1930 Hitler aveva fatto un gran numero al processo a
Lipsia contro tre giovani ufficiali accusati di aver fatto pro-
paganda per un intervento dei militari a fianco dei nazisti.
Aveva preso le distanze da coloro che nel partito “si gingilla-
vano con la parola rivoluzione” e ribadito che il suo movi-
mento avrebbe perseguito il potere solo nell’assoluta legalità
costituzionale. Prevedeva, aveva aggiunto, di conquistare la
maggioranza nel giro di altre due o tre tornate elettorali. “Al-
lora sì che modelleremo lo Stato secondo il nostro volere”,
“e cadranno molte teste”, aveva concluso, tra applausi e urla
di “bravo”, interrotte dal presidente della corte che ammonì
il pubblico ricordando che non ci si trovava “né a teatro né a
un raduno politico”.
Nel maggio 1931 un giovane avvocato ebreo di Berlino,
ancora neanche ventottenne, era riuscito a portare Hitler in
tribunale. Non come imputato ma come testimone a un pro-
cesso a carico di tre militanti nazisti che avevano attaccato il
Tanzpalast Eden, una sala da ballo frequentata, a loro dire,
da stranieri e comunisti. Non era il peggiore dei fatti di san-
gue di quei tempi. Ma la presenza del Führer al processo lo
trasformò in un avvenimento mediatico. Fotografi e giornali-
sti presero d’assalto la sede del tribunale penale nel quartiere
di Moabit. Hitler era stato convocato come persona infor-
mata dei fatti su richiesta dell’avvocato di parte civile, in rap-
presentanza dei feriti nell’assalto. Si presentò significativa-
mente in completo blu scuro, non nell’uniforme abituale. Il
presidente della corte mise a tacere i sostenitori che al suo
ingresso nell’aula 664 erano scattati in piedi nel saluto nazi-
sta. Poi rivolse al testimone la prima domanda. Gli chiese se

99

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 99 02/04/19 17:19


era a conoscenza di squadre punitive organizzate dal suo
partito.
Hitler negò decisamente che ci fossero squadre punitive
organizzate e ispirate sotto la sua leadership. Sostenne, come
aveva fatto in altre occasioni, che il Partito nazionalsocialista
rifiutava la violenza e si atteneva rigorosamente a metodi le-
gali nella lotta politica. Disse che le sue SA, Sturmabteilung,
squadre d’assalto, avevano solo il compito di difendere il
partito dagli “assassini rossi” (al che il presidente della corte
lo pregò di moderare il linguaggio). Lui insistette: “Non mi
piace l’attuale Costituzione. Ma so bene che andare al potere
contro la Costituzione comporterebbe un bagno di sangue.
Se dovessi trascinare i miei seguaci in una tale sciagura tradi-
rei la fiducia che hanno riposto in me…”.
Ma l’avvocato di parte civile, calmo ma implacabile, ave-
va continuato a chiedergli di spiegare, verbali e ritagli in ma-
no, le contraddizioni tra quel che diceva in aula e quel che lui
stesso aveva affermato in altre circostanze, e veniva ribadito
ogni giorno nelle pubblicazioni naziste. Se così stavano le co-
se, se il Partito nazista rispettava la legalità, allora perché
Goebbels insisteva che avrebbero “fatto la rivoluzione”,
“mandato il Parlamento al diavolo”, fatto sentire agli avver-
sari “i pugni dei tedeschi”? L’interrogatorio durò tre ore.
Finché Hitler perse le staffe e si mise a inveire.
L’avvocato Hans Litten l’avrebbe pagata cara: subì un
vero e proprio linciaggio da parte della stampa nazista. Fu
insultato, minacciato, arrivarono persino a vendicarsi sui suoi
famigliari, accusando suo padre di evasione fiscale. Era un
avvocato militante, come molti altri colleghi impegnati nei
processi politici degli anni venti, accusati dai socialisti al go-
verno di voler “politicizzare” e “spettacolarizzare” la giusti-
zia. In effetti, la consegna da parte del Partito comunista era
“non limitarsi a ridurre le condanne ma trasformare in ogni
occasione i processi in palcoscenici della rivoluzione”. Lui
non era comunista, ma si era fatto notare come difensore in
tutti i processi intentati contro militanti della sinistra rivolu-
zionaria. Quando al governo giunsero i nazisti finì in campo

100

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 100 02/04/19 17:19


di concentramento, e fu sottoposto a brutalità inenarrabili.
Morì suicida a Dachau (o almeno così dissero i suoi aguzzini).
L’anno dopo, nel 1932, Hitler cambiò maschera. Si levò
quella del moderato e difese a spada tratta i militanti nazisti
che avevano ucciso in una spedizione punitiva nella cittadina
mineraria di Potempa, in Bassa Slesia, un operaio comunista
immigrato dalla Polonia. La stampa nazista scrisse che “era
un onore difendere chi aveva messo a tacere quel polacco”.
Le nuove leggi per arginare le violenze politiche avevano in-
trodotto la pena di morte per questo tipo di reati. Papen, che
allora era cancelliere e non voleva inimicarsi troppo Hitler,
commutò la pena in ergastolo. Nel 1934 gli assassini di Po-
tempa sarebbero stati amnistiati. Evidentemente in quel mo-
mento gli faceva più comodo mostrarsi feroce.
Il 1933 avrebbe messo una pietra tombale sull’indipen-
denza della magistratura. Nessun giudice contestò i decreti
di emergenza. Nessuno tra i colleghi protestò quando venne-
ro rimossi dai loro incarichi i giudici e gli avvocati ebrei o
socialdemocratici. Anzi, c’era soddisfazione per i posti che si
liberavano e le possibilità di carriera. Nel 1934 sarebbero
state create le “Corti del popolo”, un vecchio sogno del nazi-
smo forcaiolo delle origini. Carl Schmitt teorizzò che era il
Führer a impersonare la giustizia, quella viva fondata sul po-
polo, non quella che si impantana nei “cavilli”. “Il Führer è
sempre anche il Giudice… Non è subordinato alla Giustizia
ma è lui stesso la Giustizia”, così l’“insigne giurista” avrebbe
giustificato la “Notte dei lunghi coltelli”, in cui Hitler si era
arrogato in contemporanei, i ruoli di accusatore, giudice,
giuria e boia.

Un “uomo di pace”

Sulla scena internazionale Hitler si presentava come “uo-


mo di pace”. Non minacciava di smettere di pagare i debiti
della Germania, né di abbandonare il tavolo della Conferen-
za sul disarmo a Ginevra o altre organizzazioni internaziona-

101

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 101 02/04/19 17:19


li. Men che meno parlava di guerre, conquiste, imposizioni
con la forza su altri popoli “inferiori” a quello tedesco.
Non usava un linguaggio violento o insultante nei con-
fronti degli altri leader mondiali. Non si sarebbe permesso di
dare dell’ubriacone e neanche del burocrate a quelli che gli
stavano sullo stomaco. Lo fece solo molto più tardi, a guerra
già inoltrata. Era il 30 gennaio 1942 quando in un discorso
trasmesso e ritrasmesso dalla radio (lo stesso in cui promet-
teva “occhio per occhio, dente per dente” agli ebrei, se la
prese con “l’ubriacone che governa l’Inghilterra” [Chur-
chill] e con quel ”pazzo alla Casa bianca” [Roosevelt].
Questo voler apparire un agnello era assolutamente in-
tenzionale. È il Führer in persona a spiegarlo in un incontro
con un gruppo scelto di giornalisti tedeschi nel novembre
1938:
Per decenni le circostanze mi hanno costretto a parlare quasi esclusi-
vamente di pace. Perché solo mettendo costantemente l’enfasi sul
desiderio di pace e le intenzioni pacifiche potevo acquisire i prere-
quisiti per il passo successivo. È evidente che questa propaganda di
pace martellata per decenni poteva anche avere effetti indesiderati.
Poteva ad esempio dare a molti l’impressione erronea che l’attuale
regime fosse disposto a preservare la pace a qualunque costo e con-
dizione… io ho parlato per anni di pace in condizioni forzate. Ma
adesso è giunto il momento di preparare psicologicamente a poco a
poco il popolo tedesco al fatto che ci sono cose che non si possono
ottenere con mezzi pacifici. Ci sono cose che si possono conseguire
solo con l’uso della forza...

“L’uomo della pace” era riuscito a trarre in inganno, nei


mesi successivi la nomina a cancelliere, quasi tutta la stampa
internazionale e i leader di mezzo mondo. Ma non il filologo
Victor Klemperer:
Nella Prima guerra mondiale gli Alleati credettero di vedere nel no-
stro inno Deutschland Deutschland über alles la prova della nostra
volontà di conquista, ma sbagliavano: questo über alles non esprime
una volontà di espansione bensì solo una valutazione positiva del
sentimento del patriota nei confronti della sua patria. Più spiacevole
era sentire i soldati cantare: “Vogliamo, vittoriosi, battere la Francia,
la Russia e il mondo intero”. Comunque, anche questo non è una

102

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 102 02/04/19 17:19


prova valida di un vero imperialismo… non si parla dell’annessione
di territori nemici… Ma si veda invece uno dei canti più caratteristici
del Terzo Reich, che già nel 1934 fu accolto nel Singkamerad, raccol-
ta di canti per le scuole della gioventù tedesca… “Tremano le fradi-
cie ossa/ del mondo davanti alla rossa guerra/ Abbiamo infranto il
grande timore, / per noi è stata una grande vittoria./ Continueremo
la nostra marcia/ quando tutto va in rovina, / perché oggi ci appar-
tiene la Germania/ ma domani il mondo intero.” Il canto è in gran
voga subito dopo la vittoria interna, quindi dopo l’ascesa al governo
di Hitler, il quale in ogni discorso insiste sulla volontà di pace… Ep-
pure nel canto si parla di mandare tutto in rovina per arrivare a con-
quistare il mondo. E per non lasciare alcun dubbio sulla certezza di
questa volontà di conquista, nelle due strofe che seguono si ripete,
prima che ridurremo “il mondo intero a un mucchio di macerie”,
poi che invano i “mondi” (al plurale!!) si opporranno a noi, mentre
per ben tre volte il ritornello assicura che domani il mondo intero ci
apparterrà… Il Führer teneva un discorso di pace dietro l’altro e i
suoi ragazzi della Hitlerjugend, grandi e piccini, erano costretti a
cantare anno dopo anno questo testo pazzesco…

Sempre Klemperer racconta di come, finita la guerra, al


termine di una conferenza sulla Lingua Tertii Imperii, un
ascoltatore l’avesse apostrofato chiedendogli perché volesse
“calunniare i tedeschi” attribuendogli una volontà di domi-
nio che nel testo non ci sarebbe stata affatto: “Lei è sicura-
mente in errore, professore. Le porterò io il testo giusto”. E,
in effetti, l’interlocutore l’indomani gli aveva portato un’edi-
zione successiva, del 1942-43, a cura dell’Opera del Soccor-
so invernale del popolo tedesco, in cui il canto veniva ritoc-
cato, sostituendo a “oggi ci appartiene [Gehören] la
Germania, domani il mondo intero”, un assai più innocente
“e oggi ci ascolta [Hören] la Germania, domani il mondo in-
tero”. Anzi, in quell’anno in cui il mondo era stato già effetti-
vamente ridotto in macerie, e le armate naziste, dopo aver
conquistato buona parte dell’Europa, erano arrivate quasi a
Mosca, ma erano state fermate a Stalingrado, era stata ag-
giunta una quarta strofa, in cui si deploravano le interpreta-
zioni malevole al testo originario: “Non vogliono capire il si-
gnificato del canto, pensano a schiavitù e guerra / mentre i
nostri campi maturano, sventola, vessillo della libertà. / Con-

103

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 103 02/04/19 17:19


tinueremo a marciare quando tutto va in rovina / la libertà è
sorta in Germania e domani le apparterrà il mondo”.
Basterebbe la metamorfosi di questa sillaba a giustificare
la superiorità della filologia sulla diplomazia e sul giornali-
smo. Ma non c’era bisogno di essere filologi, e nemmeno
profeti, per intuire dove si andava a parare. Sarebbe bastata
un pochino di memoria, ricordarsi quel che dicevano i di-
scorsi e gli slogan di poco prima della andata al governo (lo-
ro la chiamavano Machtergreifung, “presa del potere”). In
questo caso il déjà vu riguarda una malattia diffusissima, en-
demica in tutto il mondo: l’amnesia, l’Alzheimer dei popoli,
la coazione a dimenticare e far dimenticare quel che si è det-
to poco prima.
L’illusione che in realtà Hitler fosse un moderato, che fa-
ceva la voce grossa per accontentare la sua base, ma in fondo
in fondo voleva trattare, non rompere, voleva la pace, non
una nuova guerra, sarebbe durata fino all’ultimo. Chamber-
lain era assolutamente sincero e convinto quando tornò a
Londra da Monaco nel 1938 sventolando un pezzo di carta
su cui aveva sottoscritto assieme a Hitler l’impegno per cui
Germania e Inghilterra non si sarebbero mai più fatte la
guerra e disse le ultime parole famose: “Ecco la pace del no-
stro tempo”. E dire che la Germania era uscita già nell’otto-
bre del 1933 sia dalla Conferenza per il disarmo di Ginevra,
sia dalla Lega delle Nazioni.
Per confermare questa decisione nel modo più solenne
possibile avevano indetto un referendum. I Ja, sì, furono
39.350.000, il 95,1% dei votanti. L’esito era scontato: la pace
imposta a Versailles alla fine della Prima guerra mondiale era
estremamente impopolare. E comunque guai a sgarrare. A
votar contro si veniva incriminati come traditori della patria.
Giacché gli elettori venivano convocati alle urne, ne appro-
fittarono per accompagnare al plebiscito anche nuove elezio-
ni per il rinnovo del Reichstag. La volta prima era stata il 5
marzo, erano passati appena sette mesi. Ormai però non si
poteva più parlare propriamente di elezioni. Era solo un’e-
sercitazione formale, un’occasione di mobilitazione e di pro-
paganda. Di partiti da votare non ne restava che uno solo: il

104

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 104 02/04/19 17:19


Partito nazionalsocialista. Gli altri erano stati soppressi, o si
erano suicidati. Già dal 14 luglio erano stati aboliti tutti gli
altri partiti, ed era stato formalmente vietato di fondarne di
nuovi. La lista del Nsdap ottenne 39.650.000 voti, addirittu-
ra qualcuno in più che nel referendum.
Dalle elezioni politiche del 5 marzo in poi in Germania si
fecero solo plebisciti. Con esito scontato e sempre con le
stesse fantastiche percentuali di adesione. Alla morte del
Presidente Hindenburg i tedeschi furono chiamati alle urne
il 19 agosto 1934 per ratificare l’unificazione del ruolo di
cancelliere e presidente della Repubblica, nella persona ov-
viamente del Führer. Si fece poi un altro referendum nel
1936 per approvare la rioccupazione della Renania in barba
alle clausole del Trattato di Versailles. E poi ancora un refe-
rendum per l’Anschluss, la riunificazione con l’Austria, nel
1938. A fatto, cioè invasione compiuta, peraltro. Non era più
possibile esprimere dissenso, anzi non era nemmeno conce-
pibile.

Eppure, studi recenti hanno mostrato che il consenso


non era affatto così unanime come appare. E talvolta il dis-
senso costringeva persino Hitler a compromessi, a posporre,
o rivedere certe decisioni. Sa quasi dell’incredibile, alla luce
della brutalità con cui venivano imposte le scelte del regime,
che i malumori nell’opinione pubblica lo costringessero a ri-
dimensionare nell’agosto 1941 i programmi per l’eutanasia
degli adulti, e che le proteste della Rosenstrasse, inscenate
dalle mogli ariane degli ebrei di Berlino, cioè da una mino-
ranza fragilissima, lo costringessero a sospendere nel 1943
gli ordini già emanati per la deportazione dei loro mariti. È
la sfera del privato, non quella della politica, a mostrare ca-
pacità di resistenza inaspettate, insospettabili, anche nelle
più feroci dittature.

105

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 105 02/04/19 17:19


8.
Uomini che odiano i giornali

I nazisti al governo arraffarono il monopolio assoluto


delle trasmissioni. Poi misero in riga tutti i giornali,
con un misto di intimidazioni e di offerte che gli edi-
tori, indeboliti dalla crisi economica e dalle liti in fa-
miglia, “non potevano rifiutare”. Eppure la Germania
aveva alcuni tra i giornali più diffusi, più letti e più pre-
stigiosi in Europa. A essere crudeli si potrebbe dire che
quella fine ingloriosa se l’erano pure cercata.

Ai tempi della dinastia Ming viveva in Cina un boia di


straordinaria abilità. Si chiamava Wang Lun. Era famoso per
la destrezza e la velocità con cui procedeva alle decapitazio-
ni. La sua fama si estendeva in tutte le province dell’impero.
La sua tecnica consisteva nel tranquillizzare i condannati con
un sorriso, e vibrargli il colpo prima ancora che questi finis-
sero di salire la scala per il patibolo. Ma non gli bastava. Il
suo sogno era riuscire a decapitare i condannati senza che
questi neanche si accorgessero di aver perso la testa. Si eser-
citò alacremente per oltre cinquant’anni, a prezzo di sforzi
enormi. Era ormai settantenne quando riuscì a realizzare la
sua ambizione. Quel giorno aveva sedici teste da tagliare. Ne
aveva fatte rotolare già undici, quando il dodicesimo, arriva-
to in cima alla scaletta senza che gli fosse successo nulla pro-
testò: “Boia crudele, perché prolunghi il mio supplizio? Ep-
pure con gli altri avevi avuto compassione, avevi fatto in
fretta”. Fu allora che Wang Lun comprese che aveva rag-
giunto la perfezione che aveva cercato tanto a lungo. “Sii
gentile, fai di sì con la testa. Ti accorgerai che ti ho già accon-
tentato.”
Arthur Koestler racconta nella sua autobiografia questa

106

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 106 02/04/19 17:19


storiella che circolava a Berlino tra i suoi colleghi dei giornali
del gruppo Ullstein, nel quale era stato assunto come redat-
tore scientifico. Rende un’idea del clima complessivo di in-
certezza che attraversava la Germania. Anche se è riferito in
modo specifico all’aria che spirava nelle redazioni del mag-
gior gruppo editoriale progressista della Germania, prima
ancora della nomina di Hitler a cancelliere. Erano iniziati da
tempo i licenziamenti, i prepensionamenti, le riduzioni del
personale. Nessuno, neanche le grandi firme, poteva essere
sicuro che la prossima testa a cadere, senza preavviso, non
fosse la propria. La crisi continuava a mordere pubblicità e
vendite.
Il gruppo Ullstein era un gigante, pubblicava alcuni dei
quotidiani più prestigiosi, tra cui il “Vossische Zeitung”,
portabandiera del giornalismo liberale e progressista. Aveva
sede nella Kochstrasse, in pieno centro di Berlino, dove oc-
cupava un intero isolato. Per Casa Ullstein lavoravano dieci-
mila persone. Il loro quartier generale era una città nella cit-
tà, un alveare di testate, direttori, caporedattori, giornalisti,
segretarie, fattorini. Solo per spolverare e lucidare, svuotare i
cestini della carta nella sede di questo impero editoriale era-
no impegnate trecento donne delle pulizie. Ma più un grup-
po editoriale era grande e potente, più era vulnerabile ai ri-
catti. Gli Ullstein erano una famiglia ebraica. Ma gli eredi
erano meno interessati alla difesa della democrazia repubbli-
cana e della libertà di stampa di quanto fosse stato il fonda-
tore. Cambiava pure, sia pure in maniera non dichiarata, la
linea. Si adeguava ai mutamenti nell’opinione pubblica. Ad
esempio, i giornali del gruppo Ullstein avevano sempre con-
dotto una battaglia appassionata contro la pena di morte.
Ma sull’onda dell’emozione suscitata dai processi ai serial
killer, il “Lupo mannaro di Hannover” Haarmann e il “Vam-
piro di Düsseldorf” Kürten, era stata data indicazione alle
redazioni di abbandonare la campagna contro le esecuzioni
capitali “perché non ce lo possiamo più permettere”. Koestler
racconta di aver visto sparire dal giornale le firme più presti-
giose, gli opinionisti più indipendenti, i cronisti più corag-
giosi. “Si vedevano volti nuovi, sparivano le vecchie mae-

107

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 107 02/04/19 17:19


stranze… Benché gli Ullstein fossero ebrei, le vittime
dell’epurazione erano tutti ebrei, i rimpiazzanti, a quanto mi
ricordo, tutti ariani... benché gli Ullstein avessero opinioni
progressiste, quelli che venivano mandati via erano tutti di
sinistra, quelli che venivano assunti tutti nazionalisti.”
Non era ancora scontato che arrivassero al potere i nazi-
sti. Anzi. C’erano, ricorda Koestler, gli ottimisti per profes-
sione, e gli ottimisti per temperamento. “I primi ingannava-
no i propri lettori, gli altri ingannavano se stessi. C’era chi
diceva: ‘Non possono essere così cattivi’; gli altri: ‘Sono trop-
po deboli, non ce la faranno’. Altri ancora: ‘Sono troppo for-
ti, bisogna giungere a un accomodamento con loro’; altri an-
cora: ‘Vi fate spaventare da uno spauracchio, siete paranoici’.
Qualcuno predicava: ‘Odiarli non serve a niente, bisogna
cercare di comprenderli, dargli fiducia’; e c’erano altri che
semplicemente rifiutavano di ‘pensarci’.”

Contro puttane e pennivendoli

I nazisti odiavano i giornali e i giornalisti. Sin dagli inizi


del loro movimento. Guazzavano nella disaffezione, anzi nel
disprezzo crescente dei lettori verso i giornali e la politica.
Lo fomentavano. Non sono sicuro che gli dessero delle “put-
tane” o dei “pennivendoli”. Non c’era però discorso, comi-
zio, articolo sulla loro stampa in cui non si scagliassero con
estrema violenza contro la Lügenpresse, la stampa bugiarda.
Ce l’avevano in particolare con i giornali di sinistra, la “stam-
pa marxista”. Con altrettanta se non maggiore violenza ce
l’avevano con la “stampa ebraica”, con i grandi giornali
“borghesi”, di orientamento liberale e democratico, i cui
editori, e molte delle grandi firme, avevano cognomi ebraici.
Ce l’avevano in special modo con la stampa berlinese, colpe-
vole di non avergli mai lisciato il pelo. Ma ce l’avevano anche
con la campana opposta, i tabloid e i giornali della destra
nazionalista, quelli che facevano capo all’impero mediatico
di Alfred Hugenberg. Senza il minimo riguardo, la minima
gratitudine per il fatto che proprio i giornali di Hugenberg

108

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 108 02/04/19 17:19


gli avessero tirato per anni la volata, e fossero più beceri, più
reazionari, più violentemente avversi alla sinistra, alla demo-
crazia liberale, e agli ebrei, delle stesse pubblicazioni naziste.
Forse qualche motivo, o per lo meno qualche pretesto
per essere additati all’odio i giornali dell’epoca lo offrivano.
Weimar aveva grandi giornali, grandi giornalisti e grandi edi-
tori. Ma sarebbe vano cercare la grandeur leggendaria che,
negli stessi anni, aleggia sulla stampa americana. Il cinema
tedesco non avrebbe mai potuto produrre un personaggio
del calibro del Citizen Kane impersonato e diretto nel 1940
da Orson Welles (Quarto potere, il titolo italiano). Se c’è tra
le due guerre una mistica del poliziesco, del detective e del
delitto tedeschi, non identici ma paragonabili a quella ameri-
cana, più difficile è ritrovare un’analoga mistica del giornali-
smo e della libertà di stampa.

I giornali in verità non fanno gran bella figura nei romanzi


e nei memoir dell’epoca. Forse anche perché molti scrittori so-
no anche giornalisti. Certe cose le hanno vissute dall’interno.
Abbiamo visto che ne pensa il giovane redattore Koestler.
Un altro che sa bene di cosa parla è Rudolf Ditzen, in arte
Hans Fallada. Alla fine degli anni venti si era fatto le ossa in
un piccolo giornale di provincia, nello Schleswig-Holstein. Il
primo romanzo che gli diede notorietà come scrittore uscì
nel 1931, era intitolato Bauern, Bonzen und Bomben (Conta-
dini, bonzi e bombe). I contadini sono furibondi per la crisi.
Subiscono la concorrenza dei prodotti importati dal resto
d’Europa, sono massacrati dalle tasse, e se non riescono a
pagarle devono subire pignoramenti, gli agenti del fisco gli
portano via mucche e vitelli. I bonzi (del termine è rimasta
traccia anche in italiano, fino ai giorni nostri) sono i politici e
i funzionari dei sindacati di sinistra. Le bombe sono quelle
messe da chi cavalca la protesta. Non è un saggio di sociolo-
gia o di storia, è un romanzo, quasi interamente fatto di dia-
loghi, di parlato quotidiano. Ma è una miniera di suggestioni
sul perché le cose andarono come andarono. Ci sono i parti-
ti, tutti i partiti, dai socialdemocratici, che governano la città,

109

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 109 02/04/19 17:19


ai democratici, al centro cattolico, al partito dell’economia,
che rappresenta classi medie e commercianti, ai nazionalpo-
pulisti del Volkspartei che ce l’hanno soprattutto con la “de-
mocrazia corrotta” di Weimar e con gli ebrei, ai comunisti
che seguono la politica dettata da Mosca e si preoccupano
più che altro di fare le scarpe ai socialisti, cui danno dei “so-
cial-fascisti”. E, ovviamente, ci sono pure i nazisti, anche se
contano ancora poco. Sono i soli che capiscono la rabbia dei
contadini e la cavalcano. Proprio nell’anno in cui Fallada
scriveva il suo romanzo, nella cittadina descritta col nome
fittizio di Altholm (in realtà Neumünster), i nazionalsociali-
sti sarebbero balzati dal 4 al 27 per cento.
Tutti i partiti sono più o meno corrotti. Divisi in fazioni e
correnti che si sbranano. Leader e uomini dell’apparato han-
no un tratto comune: si fanno le scarpe a vicenda, sgomitano
per fare carriera. Qualcuno resta “per bene”. Tra questi, il
sindaco socialista della cittadina. Governa talvolta con mezzi
poco ortodossi. Ma tutto sommato con integrità, non è un
corrotto, non pensa ad arricchirsi. Un po’ di disinvoltura fa
parte del mestiere. Solo una categoria è ancora più “disinvol-
ta” dei politici: i giornalisti. I giornali sono messi male, ven-
dono poco, perdono lettori, sono in deficit, hanno bilanci
colabrodo. Sono a caccia perenne di notizie sensazionali per
vendere più copie, di introiti pubblicitari per non fallire. Gli
editori tramano ardite operazioni finanziarie, se li passano di
mano in mano, talvolta senza che i dipendenti e i lettori
neanche se ne accorgano. È un vortice di compravendite di
testate, di acquisizioni ostili, quasi sempre segrete, fusioni
opache.
Il titolo che originariamente l’autore aveva apposto al
manoscritto, e che, stando a quel che lui stesso ci racconta,
avrebbe di gran lunga preferito a quello con cui poi uscì il
romanzo, era: “Un piccolo circo”. Si riferisce a un episodio
narrato nel prologo: un piccolo circo arriva in città e non
vuole pagare la pubblicità sul giornale locale; insomma resi-
ste a una pratica ricattatoria. Il direttore del giornale si ven-
dica commissionando ai suoi redattori una stroncatura dello
spettacolo. Lo scrittore è uno che nei giornali di provincia ha

110

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 110 02/04/19 17:19


lavorato, quindi si può presumere che stia scrivendo con co-
gnizione di causa. A uscirne male però non sono solo giorna-
li, editori e giornalisti. È la politica nella Germania di quegli
anni. Non la politica delle grandi idee, delle passioni infuo-
cate che si scontrano a Berlino e in altre importanti città,
bensì la politica degli interessi angusti, delle recriminazioni
sorde e accumulate, degli asti a lungo compressi, in una real-
tà marginale, periferica, ancora legata all’agricoltura e all’al-
levamento.
“Il mio obiettivo era dire ‘Povera Germania’, non ‘poveri
contadini’”, avrebbe poi precisato Fallada. “Magari non è
arte eccelsa, ma è spaventoso quant’è realistico…” il giudi-
zio, da sinistra, di Kurt Tucholsky.

La conquista della Rai, pardon della radio

Per non sapere né leggere né scrivere, appena arrivati al


potere i nazisti si impadronirono immediatamente, e com-
pletamente, del mezzo di comunicazione che si sarebbe rive-
lato più importante di tutta la stampa messa insieme. Misero
le mani sulla Rai, pardon sulla radio. È vero, la prima mossa,
nella primissima riunione del governo Hitler, era stata proi-
bire l’uscita dei giornali della sinistra. Era seguita l’intimida-
zione di tutti gli altri giornali, finché li costrinsero all’obbe-
dienza, a mettere il bavaglio ai giornalisti sgraditi, a licenziare
i direttori ostili, o dei quali non si fidavano. Gradualmente
sarebbero riusciti a metterli fuori gioco, farli chiudere,
espropriarli o sottrarli ai precedenti proprietari. Anzi, la
maggior parte dei giornali si sarebbe adeguata spontanea-
mente al nuovo regime prima ancora di esservi costretta. Ca-
pita, nelle migliori famiglie. Ma la mossa decisiva, quella più
lungimirante, fu la conquista della radio e il potenziamento
di tutto quello che le nuove tecnologie della comunicazione
potevano offrire.
Prima del 30 gennaio 1933, i nazisti praticamente non
avevano nessuna influenza sulla radio e sui contenuti delle
trasmissioni. Dal primo febbraio alle elezioni del 5 marzo in-

111

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 111 02/04/19 17:19


vece usarono la radio per fare una martellante campagna
elettorale quotidiana. Monopolizzarono le assunzioni, bloc-
cando l’accesso a tutti gli altri partiti, compreso il Dnvp del
magnate dei media Hugenberg, loro alleato nel governo. I
nazisti avevano compreso la potenza del mezzo, avevano im-
parato a utilizzarlo. Il colpo di genio fu l’accoppiata radio-al-
toparlanti, trasmissione a distanza più effetto stadio. Ecco il
commento di Goebbels al discorso di chiusura della campa-
gna elettorale, pronunciato da Hitler il 4 marzo a Königs-
berg e trasmesso in diretta: “Resoconto grandioso. Hitler
fantastico. Preghiera di ringraziamento e suono delle campa-
ne. 30-40 milioni di ascoltatori…”.
Victor Klemperer, in una pagina del suo Lingua Tertii
Imperii, racconta di aver assistito alla diffusione di quell’e-
vento davanti alla facciata dell’albergo vicino alla stazione
di Dresda, tutta illuminata, da cui un altoparlante diffonde-
va il discorso. “Non l’ho mai visto, né l’ho ascoltato parlare
direttamente, agli ebrei era vietato…Del discorso afferrai so-
lo dei brani, in realtà più suoni che frasi… Non sono mai
riuscito a capire come con quella voce tutt’altro che melo-
diosa, sforzata fino all’urlo, con quelle frasi rozze, spesso
neppure in buon tedesco, con quella retorica scoperta, del
tutto estranea al carattere della lingua tedesca, abbia potuto
conquistare le masse, tenendole avvinte per un tempo spa-
ventosamente lungo…” “Il medium è il messaggio”, avrebbe
potuto rispondergli Marshall McLuhan.
Goebbels curava di persona la regia delle trasmissioni, si
improvvisava cronista radiofonico. Le sue radio e cinecrona-
che sono accessibili su YouTube. Il tono di voce, il sapiente
dosaggio di alti e bassi fa venire in mente, alla mia generazio-
ne, le grandi radiocronache del calcio che fu. Sembrava di
esserci, allo stadio. Si riusciva a seguire tutto anche senza ve-
dere. Ora in televisione la partita si vede. Ma almeno io non
riesco più a seguirla: la moda, a quanto pare, è che i com-
mentatori dialoghino tra di loro, anziché raccontare quel che
succede in campo. Distraggono anziché aiutare, si scambia-
no un fuoco di fila di battute che io non capisco. Goebbels è
odioso, ma nessuno può dire di non capire quel che dice.

112

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 112 02/04/19 17:19


Alla Fiera internazionale della Radio di Berlino del 1933 era
stato presentato un ricevitore radio economico, alla portata
di tutte le tasche. Lo chiamarono Volksempfänger 301, rice-
vitore del popolo, 301 stava per la data della nomina di Hit-
ler a cancelliere. Fu il ministro della Propaganda del Reich a
ordinarne la produzione e diffusione di massa. Fino ad allora
la radio non aveva avuto grandi effetti sulle elezioni, era stata
politicamente neutrale o solo leggermente dalla parte dei go-
verni in carica e della democrazia di Weimar. Coi nazisti di-
venne onnipresente e onnipotente. Anche se si dovette
aspettare il 1939 perché il 70 per cento delle case tedesche
avesse una radio. Solo il cinema superava la radio in popola-
rità, e anche sul cinema il controllo divenne totale. Era
Goebbels a decidere che film si dovevano e potevano fare.
Possiamo solo immaginare cosa sarebbero riusciti a fare se
avessero avuto anche le televisioni e i social.

Come misero in riga la stampa “bugiarda”

Il giornale del Partito comunista “Rote Fahne” era stato


bandito immediatamente. Il pretesto: avevano proclamato
uno sciopero generale per il 31 gennaio, giusto l’indomani
della nomina di Hitler a cancelliere. Tre giorni dopo fu sop-
presso anche il “Vorwärts”, l’organo dell’Spd. Il pretesto fu
un editoriale che invitava i cittadini a difendere i propri dirit-
ti costituzionali. Anche se al tempo stesso li esortava alla cal-
ma, a non cadere in provocazioni.
I socialdemocratici non avevano aderito all’appello dei
comunisti per uno sciopero generale, non avevano mobilita-
to le milizie di partito e sindacato del Reichsbanner (tre mi-
lioni e mezzo di membri, almeno sulla carta, più numerosi
anche se meno combattivi delle milizie naziste). Una delle
ragioni addotte per la mancata mobilitazione era non dare a
Hitler pretesti per scatenare “legalmente” la violenza. “In-
sorgere già quella prima notte [della nomina di Hitler a can-
celliere] ci avrebbe resi tecnicamente violatori della Costitu-
zione che volevamo difendere.”

113

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 113 02/04/19 17:19


Una seconda ragione era dettata dal timore, tipico delle
paranoie imperanti nella sinistra, che i comunisti ne appro-
fittassero per “pugnalare alle spalle” i socialisti. Se sciopero
generale e protesta fossero sfociati in scontri sanguinosi tra
le milizie di sinistra e quelle naziste si rischiava di provocare
l’intervento dell’esercito. Contro i comunisti e di riflesso
contro l’intera sinistra. Mentre l’Spd pensava, sperava, di
potere ancora mobilitare la Reichswehr contro i nazisti.
Un’altra ragione ancora, non del tutto peregrina, era che
“uno sciopero generale difficilmente può riuscire quando ci
sono così tanti disoccupati”.
Alla messa al bando dei giornali della sinistra seguì la
proibizione di pubblicare qualsiasi notizia sgradita su qual-
siasi giornale. Il decreto “Per la protezione del popolo tede-
sco” del 4 febbraio 1933 prevedeva la messa al bando delle
“notizie scorrette”. A decidere cosa fosse “corretto” o “scor-
retto” era il ministro dell’Interno. E ministro dell’Interno,
anche se da pochi giorni, era il nazista Frick. Gli Interni ai
nazisti sembravano poca cosa in un governo zeppo di mini-
steri assegnati a esponenti non nazisti. E invece si rivelarono
decisivi.
“Ora abbiamo anche una leva contro la stampa. Le messe
al bando si susseguiranno a raffica. Il ‘Vorwärts’ e l’‘8 Uhr-A-
bendblatt’, e tutti gli altri organi ebraici che ci hanno causato
tanti fastidi e lutti, spariranno una volta per tutte dalle strade
di Berlino”, notò nel suo diario Goebbels.
Interessante l’accostamento. Il “Vorwärts” era un giorna-
le di partito, di quello che era stato a più riprese il primo
partito in Germania. L’“8-Uhr-Abendblatt” era invece un
giornale d’opinione, con simpatie liberal, anzi “progressi-
ste”, come amavano definirsi, ma non di partito. Appartene-
va alla famiglia Mosse, che l’aveva acquisito nel 1927, ag-
giungendolo al “Berliner Tageblatt” e ad altri giornali già in
loro possesso.
I giornali del gruppo Mosse erano molto prestigiosi. Lo
stesso Goebbels aveva cercato di farsi assumere al “Berliner
Tageblatt”, prima di diventare il braccio destro di Hitler e
prima di pubblicare un giornale tutto suo, “Der Angriff”.

114

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 114 02/04/19 17:19


Farsi assumere dal “Berliner Tageblatt” era il massimo cui
un giornalista tedesco degli anni venti e trenta potesse aspi-
rare. Il direttore storico, e padre fondatore, del “Berliner Ta-
geblatt”, Theodor Wolff, si vantava spesso e volentieri di ri-
cevere in continuazione richieste di assunzione anche da
giornalisti del gruppo rivale, quello di Hugenberg.

I conti in tasca agli eredi dell’editore

In realtà i grandi giornali erano già stati messi in riga,


ben prima che arrivassero al potere i nazisti. Da governi di
centro-destra o di centro-sinistra. Si erano macchiati della
colpa di essere troppo indipendenti. Per ultimo dal gover-
no Brüning, che aveva l’appoggio esterno dei socialisti.
Non gli si perdonava di essere stati troppo critici. Non è
certo inaudito che i governi, di sinistra o di destra che sia-
no, non amino giornali troppo indipendenti, non sopporti-
no di buon grado le critiche, che se ne lamentino con gli
editori, che esercitino pressioni. Come tutti gli altri giorna-
li, anche quelli della famiglia Mosse erano in difficoltà fi-
nanziarie. La crisi aveva dimezzato gli introiti pubblicitari.
Alla morte del fondatore del gruppo, Rudolf Mosse, erano
subentrati la figlia e il genero. Gli eredi però soprattutto
non volevano perderci soldi, della continuità della linea del
giornale gli importava assai meno. Litigavano coi direttori e
l’amministratore scelti e blindati dal fondatore per garanti-
re continuità. Avevano assunto un nuovo amministratore
più esperto in pubblicità e in taglio dei costi che in giornali-
smo. Avevano progettato la trasformazione del giornale in
modo da renderlo più “popolare”. Avevano di conseguenza
già ridotto gli organici, sfoltito, e di parecchio, le firme che
scrivevano di politica e argomenti considerati troppo “se-
riosi”. Così facendo avevano continuato a perdere lettori.
Erano alla mercé del nuovo governo senza che ci fosse
nemmeno bisogno di proibirli.

115

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 115 02/04/19 17:19


Gli editori si erano piegati a mandar via i giornalisti sgradi-
ti prima ancora che a imporglielo fosse il nuovo regime. A co-
minciare da quelli di razza sbagliata. Tra le prime vittime illu-
stri ci fu la cronista mondana della “Vossische Zeitung”, Bella
Fromm. Il suo licenziamento suscitò parecchio clamore negli
ambienti diplomatici. La giornalista conosceva tout le monde a
Berlino ed era conosciuta da tutti. Era adorata dai lettori. Pia-
ceva anche all’editore. Ma aveva un difetto: era ebrea.
Ebrei erano anche i proprietari dell’impero Ullstein.
Pubblicavano numerosi tabloid, tra cui il “Berliner Zeitung”
(“B.Z.”), 200.000 copie, il “Berliner Morgenpost”, oltre
mezzo milione, il “Berliner Illustrierte”, 2 milioni, il “Grüne
Post”, 1 milione, nonché l’avveniristico e l’illustratissimo
giornale della sera “Tempo”. Erano tabloid, non giornali po-
litici, con circolazione di massa e grandi raccolte pubblicita-
rie. La perla dell’impero Ullstein era il “Vossische Zeitung”,
equivalente in prestigio al “Times” di Londra e al “Le
Temps” di Parigi. Con fior fiore di firme, dal poeta Kurt Tu-
cholsky all’autrice di Grand Hotel Vicki Baum, a Erich Ma-
ria Remarque, il quale vi aveva pubblicato a puntate nel 1928
il suo Niente di nuovo sul fronte occidentale. L’avevano affet-
tuosamente soprannominata Tante Voss, Zia Voss (giornale,
in tedesco, è al femminile). Per i berlinesi di peso era inam-
missibile non venire menzionati, naturalmente a pagamento,
nelle colonne della vecchia Zia Voss nel giorno della nascita,
del matrimonio o dei funerali.
Sembra una costante nella storia delle famiglie proprieta-
rie di grandi giornali, una maledizione che arriva fino ai gior-
ni nostri: anche gli eredi Ullstein litigavano tra di loro, anzi
uno dei fratelli aveva intentato causa agli altri. Anche loro
perdevano soldi molto malvolentieri. Anche loro erano inte-
ressati ai conti e al rendimento più che alla linea del giornale,
ai valori della democrazia e alla libertà di stampa. Anche loro
erano esposti alle pressioni e al ricatto degli inserzionisti e
dei cancellieri di turno. Nei primi mesi del 1933 sembrava
che la stampa, tutta la stampa, fosse in sia pure leggera ripre-
sa dopo anni di crisi. L’avvento di Hitler e le minacce alla li-
bertà di stampa apparentemente avevano ridestato l’interes-

116

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 116 02/04/19 17:19


se dei lettori, alle notizie se non alla politica. Non bastò però
a salvare i giornali. Gli Ullstein furono costretti a chiudere
“Tempo” e il prestigioso “Vossische”, e infine a cedere la
maggioranza azionaria di tutto quel che restava del loro im-
menso impero, su cui non tramontava mai il sole (produce-
vano a ciclo orario continuo: giornali del mattino, del pome-
riggio e della sera), a una cordata di imprenditori “ariani”
graditi ai nazisti.
Il quotidiano più prestigioso di tutti era il “Frankfurter
Zeitung”. Fondato dal banchiere Leopold Sonnemann a
metà Ottocento era rimasto un gioiello di famiglia per quasi
un secolo. In realtà nel 1933 era già passato da un paio d’an-
ni in modo riservato, senza dare troppo nell’occhio, sotto il
controllo della IG Farben, il colosso della chimica. Fino ad
allora era sempre stato un giornale di centro-sinistra. Aveva
caldeggiato negli anni venti la cooperazione tra l’Spd e i cen-
tristi del Ddp, difendeva a spada tratta i valori della Costitu-
zione di Weimar e della giustizia sociale. Gli antisemiti lo
avevano costantemente attaccato come massima e più perni-
ciosa espressione della Judenpresse. Nel Mein Kampf Hitler
aveva dedicato più invettive al “Frankfurter Zeitung” che a
qualsiasi altro giornale, lo considerava l’organo della cospi-
razione giudaica mondiale. Eppure, come quasi tutti gli altri
grandi giornali in Europa, il “Frankfurter” aveva la vocazio-
ne a posizionarsi dalla parte del governo, chiunque fosse al
governo. Pur continuando a rivendicare equidistanza e indi-
pendenza di giudizio. L’editoriale del 31 gennaio, firmato dal
capo dell’ufficio berlinese, Rudolf Kircher, trasudava rassi-
curazioni al lettore: l’esuberante esultanza dei nazionalsocia-
listi non sarebbe durata a lungo; i compiti del nuovo governo
erano formidabili; i partner di Hitler nel governo erano gen-
te seria, non fantocci; il nuovo ministro della Difesa, il gene-
rale Blomberg (che godeva della fiducia del Presidente della
Repubblica), non avrebbe mai permesso l’instaurazione di
una dittatura; il fatto stesso che Hitler avesse accettato di en-
trare nel governo dimostrava che lo si poteva “addomestica-
re”. Esempio egregio di “ultime parole famose”. Ma ben me-
ditate dal punto di vista del tornaconto.

117

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 117 02/04/19 17:19


Il “Frankfurter Zeitung”, che per anni si era presentato
come il più strenuo difensore della legalità e della Costitu-
zione, sarebbe finito in ginocchio, anzi sdraiato di fronte ai
nuovi padroni della Germania. Il punto più basso fu quando
giunse a giustificare i pieni poteri a Hitler, che esautoravano
il Parlamento. “Il Parlamentarismo? Siamo gli ultimi a rim-
piangere che qualcuno ne metta in luce i limiti, che noi stessi
avevamo fatto notare ai politici di partito. Una riorganizza-
zione più rigorosa della vita politica era inevitabile; anzi di
più: era una necessità vitale.” Questo il commento del solito
Kircher. Il quale, grazie a queste giravolte, sarebbe stato pre-
miato, promosso da notista politico a direttore del quotidia-
no. Direttore lo era ancora quando nel 1939 il “Frankfur-
ter” fu acquisito dal Franz-Eher Verlag. Il boss dell’editoria
nazista, Max Amann, l’aveva comprato per farne dono al
Führer, in occasione del suo compleanno. Kircher ne sareb-
be rimasto direttore fino all’agosto del 1943, quando il gior-
nale fu chiuso per espresso ordine del Führer. L’occasione è
una delle poche volte in cui nel suo diario Goebbels dissente
da Hitler: dice di avere cercato inutilmente di convincerlo
che tenere in vita il giornale sarebbe stato assai più utile che
chiuderlo.

Stampa ebraica in perfetta armonia col governo

C’era stato un momento in cui i nazisti erano riusciti a


strumentalizzare persino l’odiata “stampa ebraica”. “La stam-
pa ebraica se la sta facendo sotto. Tutte le organizzazioni
ebraiche proclamano la loro lealtà al governo”, l’annotazione
di Goebbels nel suo diario per il 27 marzo 1933. Ancora più
entusiastica quella del primo aprile: “La stampa sta lavorando
[con noi] in completa armonia”. E una settimana dopo: “Che
splendida stampa abbiamo!”. Non era un risultato spontaneo,
ma il frutto di un intenso lavorio. C’erano state minacce diret-
te e messaggi di tipo mafioso, assalti alle redazioni, intimida-
zioni ai giornalisti, ma soprattutto ai raccoglitori di abbona-
menti e ai grandi inserzionisti. Il messaggio era: siete ebrei, se

118

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 118 02/04/19 17:19


non vi adeguate vi facciamo chiudere, sapete benissimo che ne
abbiamo i mezzi. Il 6 aprile Hitler incontrò gli editori e gli dis-
se chiaro e tondo che i loro giornali gli servivano ancora per
una sola cosa: alleviare le apprensioni internazionali sul suo
governo. Quelli ringraziarono e obbedirono.
Sessantasei quotidiani, quattromila testate, per lo più lo-
cali, con una circolazione media di cinquemila copie. Non
c’erano mai stati tanti giornali in Germania quanti ce n’erano
all’inizio degli anni trenta. Né ce ne sarebbero stati tanti in
seguito. In Germania si pubblicavano allora più giornali che
in Gran Bretagna, Francia e Italia messe insieme. Le famiglie
Mosse e Ullstein controllavano metà dei venti milioni e passa
di copie vendute all’inizio degli anni trenta. Erano su posi-
zioni liberali, oggi si direbbe di centro-sinistra. L’altra metà
faceva capo a Hugenberg, ultranazionalista, antisemita, filo-
monarchico, nemico feroce della Repubblica e della demo-
crazia di Weimar. I giornali di Hugenberg avevano sostenuto
per oltre un decennio tutte le campagne di odio e di denigra-
zione contro la sinistra, gli immigrati, gli ebrei, tutti coloro
che nel mondo volevano male alla Germania, che magari
pretendevano che rispettasse gli impegni internazionali e che
non smettesse di pagare i propri debiti.
Praticamente erano stati i giornali di Hugenberg a creare
il clima di opinione, l’isteria xenofoba, antigiudaica e anti-
bolscevica, le fandonie sulla “pugnalata alla schiena”, sul
“complotto internazionale” su cui sarebbero cresciuti i nazi-
sti. Hitler avrebbe dovuto essergliene grato. E invece mal
gliene incolse pure a lui. Anche l’impero mediatico di Hu-
genberg fu smembrato e fagocitato. Senza troppi compli-
menti, non appena il co-firmatario del contratto di governo
con Hitler fu scaricato dal suo partner. I suoi giornali, le sue
agenzie di stampa e le sue case di produzione cinematografi-
ca finirono assorbite nella galassia di aziende dei media che
facevano capo a Max Winkler e rispondevano direttamente
ai vertici nazisti. Neanche Hugenberg, gli Ullstein e i Mosse
messi insieme erano riusciti ad accumulare tante aziende e
tanto potere. Era come se un nuovo magnate venuto dal nulla
si pappasse, uno dopo l’altro, il gruppo Repubblica-Espresso,

119

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 119 02/04/19 17:19


il “Corriere della Sera”, Mediaset e Sky. Allora come oggi,
non ci sono limiti alla voglia di saltare sul carro dei vincitori,
allo zelo nel servire i nuovi padroni. Winkler, prima di diven-
tare il fiduciario di Hitler per giornali e film, era stato funzio-
nario delle Poste, poi deputato centrista. “Ho servito diciot-
to governi. Perché mai non avrei dovuto mettermi al servizio
di un diciannovesimo?” Così Winkler avrebbe spiegato lo
zelo, anzi l’entusiasmo con cui si prese cura della concentra-
zione dei media nelle mani del regime nazista.

Tradizione di linciaggi mediatici

Si potrebbe obiettare che ci fu continuità tra il prima e


il dopo. La stampa, tutta la stampa, aveva reso un buon ser-
vizio ai nazisti da ben prima che finisse nelle loro mani o gli
fosse dato il benservito. Erano stati i giornali a fomentare
anno dopo anno l’avversione alla politica e ai politici, il di-
sgusto per la democrazia parlamentare. Era stata la stampa
– e non solo la stampa di destra – a inventare la leggenda
della “pugnalata alla schiena”, ai danni di una Germania
che avrebbe potuto vincere la Grande Guerra se non fosse
stata tradita dall’interno, dagli ebrei in combutta con i loro
correligionari dalla parte opposta del fronte, dai socialisti e
dai pacifisti, dai bolscevichi, dai profittatori e dalla finanza
internazionale, a loro volta tutti ebrei o in combutta con gli
ebrei.
La prima grande campagna di stampa era stata quella di-
retta contro l’“Ebreo Erzberger”. Matthias Erzberger era in
realtà un esponente del centro cattolico, in coalizione con la
sinistra nel primo governo repubblicano. Da segretario di
Stato in carica aveva guidato, in accordo con l’Alto coman-
do militare, la delegazione tedesca nelle trattative per l’ar-
mistizio. Lo accusavano di aver accettato condizioni umi-
lianti, anzi peggio: di aver “venduto” la Germania alle
potenze vincitrici della Grande Guerra. Lui aveva querelato
i detrattori. Al termine della quarta udienza in tribunale, un
ufficiale in congedo ventenne, avido lettore dei giornali di

120

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 120 02/04/19 17:19


Hugenberg, gli aveva sparato. Erzberger era sopravvissuto:
il proiettile era stato deviato dalla catena d’oro dell’orolo-
gio. Il mancato assassino aveva ricevuto una condanna lieve,
a soli diciotto mesi di detenzione. La corte gli credette quan-
do affermava che non aveva l’intenzione di uccidere, ma vo-
leva solo costringerlo a dare le dimissioni. Il processo per
calunnia era andato avanti per mesi. Finché un giornale di
destra, il “Deutsche Zeitung”, aveva introdotto un nuovo
argomento, pubblicando le dichiarazioni dei redditi di Erz-
berger, e accusandolo di evasione fiscale. Lui, per meglio di-
fendersi, si era dimesso da ministro delle Finanze, esigendo
che le sue dichiarazioni dei redditi venissero passate a un
vaglio approfondito e rigoroso. L’indagine si era conclusa
rilevando solo qualche errore marginale dovuto alla com-
plessità delle norme fiscali in tempo di guerra, ma assolven-
dolo dalle più gravi accuse di falso ed evasione fiscale. Non
bastò: la campagna di stampa gli aveva irrimediabilmente
rovinato la reputazione. Era stato abbandonato anche dai
giornali di sinistra, che gli davano addosso quanto quelli di
destra. Nell’agosto 1921 gli spararono nuovamente, stavolta
senza mancare il bersaglio.
Gli assassini si sarebbero giustificati citando per filo e per
segno quel che a proposito delle malefatte della loro vittima
avevano letto sui giornali. Ci sarebbe voluto, quasi a ruota, un
altro assassinio clamoroso di un esponente politico additato
come ebreo, quello del ministro degli Esteri Walther Rathe-
nau, per far passare una legge contro la calunnia a mezzo
stampa. In realtà quella legge non venne mai applicata. I gior-
nali continuarono a macinare scandali politici. In compenso,
la misura era a doppio taglio: nell’intento di difendere l’onore
della politica dalle calunnie a mezzo stampa creava un terribile
precedente. Ne avrebbero approfittato tutti i successivi can-
cellieri della Repubblica di Weimar, socialisti quanto centristi
e conservatori. Ma a portarla alle estreme conseguenze, met-
tendo il bavaglio a qualsiasi critica a mezzo stampa al proprio
governo, sarebbero stati i nazisti.

121

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 121 02/04/19 17:19


Indigestione di scandali finanziari

Lo sport preferito dalla stampa tedesca negli anni venti


erano gli scandali che coinvolgevano uomini d’affari e politi-
ci. Contendevano le prime pagine all’altro argomento di cui i
giornali, tutti i giornali, sembrava non potessero fare a meno:
la cronaca che gronda sangue, i delitti sessuali, con attenzio-
ne spasmodica alle storie di scempio del corpo femminile.
L’un genere e l’altro di notizie faceva vendere copie. Assai
più dell’ideologia. Gli editori potevano giustificarsi soste-
nendo che davano al pubblico quello che il pubblico gli chie-
deva. Finché qualcuno ebbe un’idea geniale: mischiare i ge-
neri, dargli insieme odio e ideologia, scandali e finanza, sfogo
e denuncia, mezze verità e pure invenzioni, sesso e delitto.
All’inizio il tema preferito era quello del politico corrot-
to, che si vende a speculatori senza scrupoli. Esemplare il ca-
so Barmat, che coinvolse addirittura un Presidente della Re-
pubblica in carica, il socialdemocratico Friedrich Ebert, e un
ex cancelliere, anche lui socialdemocratico, Gustav Bauer. I
sette fratelli Barmat erano affaristi ebrei di origine russa. Si
erano arricchiti durante la guerra trafficando con l’Olanda in
generi alimentari. Poi avevano creato società di investimento
impegnate in speculazioni valutarie e altre attività finanziarie
dubbie. Quando a fine 1924 le loro società fallirono e i Bar-
mat furono arrestati, venne fuori che erano Stati finanziati
dalle Poste e dalla Banca di Stato della Prussia. Peggio: che
vantavano amicizie politiche con l’Spd e finanziavano gior-
nali e associazioni benefiche del partito.
A dar fuoco alle polveri, in questo caso, non erano stati
neanche i giornali conservatori o di destra. Tanto meno i fo-
gli nazisti (il “Völkischer Beobachter” di Hitler vendeva an-
cora pochissime copie, era perennemente sull’orlo del falli-
mento e della chiusura). La bordata iniziale era venuta dal
giornale del Partito comunista, il “Rote Fahne”, con l’obiet-
tivo di smascherare la corruzione del governo socialdemo-
cratico, portar via voti all’Spd alla vigilia delle Politiche del
1924. Non gli era servito a niente. L’impatto sul risultato
elettorale era stato modesto, anzi in senso opposto alle atte-

122

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 122 02/04/19 17:19


se: i comunisti avevano perso un milione di voti, i socialisti
ne avevano guadagnati due.
Solo in un secondo momento si era unita all’inseguimen-
to della preda, una volta sentito odore di sangue, la muta fe-
roce dei giornali di Hugenberg. Che avevano rilanciato e tra-
sformato in caccia spietata al marxista e all’ebreo quello che
inizialmente poteva apparire come uno scambio di dispetti
tra i due principali partiti della sinistra. Bauer dovette dimet-
tersi da deputato. Ebert dovette sottoporsi a una commissio-
ne d’inchiesta del Parlamento prussiano.
La stampa di destra non aveva mollato l’osso neppure
dopo le elezioni. Anzi, aveva approfittato – esattamente co-
me era successo anni prima col caso Erzberger – di un pro-
cesso per calunnia intentato dal Presidente Ebert contro un
giornalista che l’aveva accusato di “alto tradimento” per aver
appoggiato, sul finire della guerra nel 1918, uno sciopero in
una fabbrica di munizioni a Berlino. Rivangare quella vec-
chia storia aveva trasformato in men che non si dica Ebert da
querelante in difesa del proprio onore in accusato di aver
pugnalato la patria alle spalle. La magistratura dal canto suo
ci aveva aggiunto il proprio carico da novanta. Con una biz-
zarra sentenza, definita “mostruosa” anche dai conservatori,
il giudice aveva condannato a tre mesi di carcere il giornali-
sta per ingiurie, riconoscendo che dare del “traditore” al
Presidente della Repubblica significa insultarlo. Ma al tempo
stesso lo aveva assolto dal reato di calunnia, sostenendo che
indire uno sciopero in tempo di guerra sarebbe stato in effet-
ti “tradimento”.
Il primo presidente della Repubblica di Weimar fu assol-
to, otto mesi dopo, con formula piena, da tutte le inchieste, e
da tutte le accuse. Ma il Partito socialdemocratico non si ri-
prese mai del tutto da quello tsunami di fango. La sinistra
comunista ce l’aveva con Ebert almeno quanto ce l’aveva la
destra nazionalista. Non gli perdonava che avesse fermato e
represso i moti rivoluzionari nel 1918-19. Lo consideravano
complice, se non mandante diretto, dell’assassinio di Karl
Liebknecht e Rosa Luxemburg. Ebert ci lasciò la pelle. An-
che se non per mano di un assassino. I continui attacchi, il

123

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 123 02/04/19 17:19


linciaggio quotidiano a mezzo stampa l’avevano fiaccato.
Morì di peritonite prima che scadesse il suo mandato da Pre-
sidente della Repubblica.
Non si era ancora del tutto spenta l’eco dei processi a ca-
rico di Ebert, che esplose l’affaire Sklarek. Stavolta a lanciare
e fomentare in modo sistematico la campagna fu direttamen-
te la stampa nazionalsocialista, l’“Angriff” del Gauleiter del
Nsdap per Berlino, Goebbels. Gli Sklarek erano tre fratelli
di origine ebraica immigrati dall’Est, proprio come la fami-
glia Barmat finita nel ciclone qualche anno prima. Avevano
praticamente il monopolio della fornitura di divise alla poli-
zia e ad altri servizi municipali di Berlino. Erano stati arresta-
ti nel settembre 1929 con l’accusa di aver corrotto i dirigenti
socialdemocratici di Berlino per aggiudicarsi le commesse. Il
“Berliner Lokal-Anzeiger” (del gruppo Hugenberg) fu il pri-
mo a insistere sul fatto che i fratelli Sklarek erano grandi fi-
nanziatori dell’Spd e delle sue organizzazioni fiancheggiatri-
ci. La stampa comunista si accodò subito a quella nazista nel
denunciare la corruzione dell’amministrazione socialdemo-
cratica. Nell’articolo di prima pagina in cui dava notizia del
nuovo scandalo il “Welt am Abend” di Willi Münzenberg,
il “Paese Sera” della Berlino anni trenta, insisteva che gli
Sklarek erano iscritti all’Spd. Come dire: vedete quanto so-
no corrotti i socialisti. Il “Rote Fahne” implicò come desti-
natario delle mazzette anche il sindaco di Berlino, il centrista
del Ddp Gustav Böss. In realtà, come succede nelle migliori
famiglie e di frequente anche ai giorni nostri, gli Sklarek ave-
vano dato contributi a pioggia a tutte le forze politiche. Non
solo ai politici socialdemocratici (tra cui due sindaci di circo-
scrizione) ma anche ad almeno un paio di consiglieri comu-
nali comunisti. Avevano buoni rapporti anche con politici
dell’opposizione di destra, e persino coll’editore del giornale
antisemita “Wahrheit”. I tabloid moderati e liberali, il “Tem-
po” della famiglia Ullstein e l’“8 Uhr-Abendblatt” della fa-
miglia Mosse si buttarono pure loro a pesce a denunciare lo
scandalo, e deplorare il “sistema” di potere socialista. Berli-
no ebbe molto prima di Roma la sua Mafia Capitale. I cui
protagonisti non erano sinti ma ebrei.

124

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 124 02/04/19 17:19


Tutti facevano a gara a rivelare, spesso a ricamare, talvolta
a inventare, nuovi particolari. Comunque il più bravo e fanta-
sioso, nonché il più implacabile, si rivelò l’“Angriff” di Goeb-
bels, con raffiche di titoli a effetto, per quanto privi di riscon-
tri, tipo Cassaforte segreta nella villa degli Sklarek oppure
Fagiani, champagne, aragoste. L’argomento faceva presa. Ren-
deva voti. Continuò a essere evocato in continuazione dai na-
zisti in tutte le campagne elettorali, fino al ’33. I socialdemo-
cratici, che in quegli anni non ne indovinavano una,
sbagliarono clamorosamente strategia sulla “questione mora-
le”. Minimizzavano, se la prendevano con il “sensazionali-
smo” della stampa avversaria. Non avevano del tutto torto,
sensazionalismo era. Ma l’opinione pubblica ne trasse la con-
clusione che volevano nascondere i panni sporchi in casa.
Punì chi minimizzava, non gli spacciatori di sensazionalismo.
È la stampa, bellezza! Il pubblico era ammaliato dalla
dovizia di particolari, si beveva avidamente qualunque cosa
gli venisse propinata. Ancora una volta è la letteratura a dare
un’idea del clima. In un romanzo del 1931 di Gabriele Tergit
(pseudonimo maschile della cronista giudiziaria del “Berli-
ner Tageblatt” Elise Hirschmann, ebrea, poi profuga nel
1933), il protagonista, un giornalista rampante, alle obiezio-
ni di un collega più anziano che gli rimprovera mancanza di
scrupoli e sensazionalismo al posto di analisi accurate, ri-
sponde: “A cosa servono gli scrupoli? Gli scandali rendono
molto di più”.
Fu in buona misura grazie allo scandalo Sklarek che il
giornale comunista poté vantare l’acquisizione di cinquemila
nuovi lettori, i giornali di Ullstein aumentarono del 20 per
cento la tiratura, quelli di Hugenberg raggiunsero vendite
record. Ma più ancora lettori acquisì il nazista “Angriff”, che
grazie a questa campagna, da bisettimanale divenne quoti-
diano.
Il tutto avveniva alla vigilia delle elezioni del 1929 a Berli-
no e in Prussia, che rappresentarono una batosta per i centri-
sti e il centrosinistra, e portarono i nazisti a triplicare i voti. I
giornali avevano guadagnato qualche copia in più. Ma a caro
prezzo: l’affossamento della Repubblica e della democrazia.

125

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 125 02/04/19 17:19


9.
Come fu comprato il popolo

Istruzioni per ottenere il consenso universale: renderlo


obbligatorio e, soprattutto, pagarlo in contanti. Il catti-
vo uso della parola “popolo”, e la definizione di chi ne
fa parte e chi no. Avevano inventato il reddito di citta-
dinanza e mantenuto la promessa di pensioni per tutti.
Ma poi finirono col mandarle in fumo. Si dichiaravano
il Partito dell’onestà, ma la nuova nomenclatura era
più vorace di quella vecchia.

Già nei primi mesi del 1933 il saluto nazista con il brac-
cio teso si era diffuso dappertutto. Heil Hitler! aveva sosti-
tuito il Guten Tag di Berlino, il Moin di Amburgo, il Grüss
Gott della Baviera. Nel luglio 1933 una direttiva del ministro
dell’Interno Frick avrebbe reso questo saluto obbligatorio
per i dipendenti pubblici. Presto divenne contagioso, assun-
se la forma di rito propiziatorio collettivo. A scuola e nelle
università gli insegnanti entravano in classe salutando gli stu-
denti con Heil Hitler! Erika Mann, la figlia dello scrittore e
lei stessa brillante autrice di cabaret, stimò che i bambini
usassero l’Heil Hitler! una cinquantina, o forse un centinaio
di volte al giorno. Tutti lo usavano molto più spesso dei salu-
ti neutri di prima.
Quanto era spontaneo? Non farlo poteva essere rischio-
so. Era diventato routine per il console americano a Berlino
occuparsi dei turisti che venivano malmenati per strada per-
ché non facevano il saluto nazista. Comparvero nelle vetrine
dei negozi cartelli con l’invito perentorio: “I tedeschi si salu-
tano con Heil Hitler!”. La selva di braccia alzate ai raduni è
una delle immagini che rendono l’idea del grado di adesione
di massa, di consenso al regime. Non a caso fu ampiamente

126

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 126 02/04/19 17:19


utilizzata dalla propaganda nazista. Ma al tempo stesso ren-
dono conto di quanto possa essere difficile sottrarsi, resistere
alla corrente. Quando tutti fanno un gesto, non farlo equiva-
le ad autodenunciarsi come dissidente, diverso, nemico della
maggioranza, quindi nemico del popolo. Il “chi non salta co-
munista è” può far sorridere. Rifiutarsi ostentatamente di fa-
re il “saluto tedesco” aveva ben altre conseguenze.
Tra le molte foto dell’epoca ce n’è una ritrovata solo nel
1991 e pubblicata dal quotidiano “Die Zeit”. Mostra le mae-
stranze dei cantieri Blohm und Voss di Amburgo che saluta-
no col braccio teso. Uno solo rifiuta ostentatamente di farlo,
tiene le braccia conserte. Non si sa con certezza chi fosse e
che fine abbia fatto. Irene Eckart, che ha scritto un libro sul-
le vicende della propria famiglia, ritiene che si tratti di suo
padre, l’operaio August Landmesser, allora tra le maestranze
del cantiere. Era un iscritto al Partito nazista sin dal 1931.
Ma era innamorato di una ragazza ebrea. Per la precisione
mezza ebrea, con due nonni ebrei e due no. Avevano avuto
due figlie, lui le aveva riconosciute, ma le leggi razziali aveva-
no impedito che si potessero sposare. Non è chiaro se a per-
derli fu la recidiva nel reato di “oltraggio alla purezza della
razza”, o quel gesto clamoroso di protesta. Lui scontò trenta
mesi in campo di concentramento, poi i lavori forzati, e infi-
ne l’arruolamento coatto, fino alla morte in Croazia. Lei,
passata per diversi campi di concentramento, fu eliminata in
un’istituzione per malati mentali. Le figlie finirono in orfano-
trofio, furono separate, poi affidate a parenti e tutori diversi.
L’Hitler Gruss, il saluto a Hitler, era diventato un’abitudi-
ne. Quasi un tic. Persino in privato, in casa, tra amici, tra mari-
to e moglie ci si salutava così. E forse non solo per il timore di
venire denunciati. Ma c’è chi ha fatto notare che proprio la
diffusione del rito, il fatto che venisse considerato un saluto
universale, lo trasformava in luogo comune, proteggeva in
qualche modo nell’anonimato della folla chi si conformava
all’esercizio del saluto, ma aveva dubbi sul regime. Paradossal-
mente, i visitatori stranieri del Terzo Reich lo notano di più
agli inizi del regime. Forse perché è una novità. Così come al-
tri attribuiscono importanza a quel che percepiscono come ri-

127

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 127 02/04/19 17:19


torno ad altre forme di saluto. A Monaco “hanno smesso di
dire Heil Hitler!”, scrive il corrispondente della Cbs William
Shirer nel 1940. Victor Klemperer nota che al terzo mese della
guerra contro l’Unione Sovietica, a Dresda la gente comincia a
dire più spesso buongiorno o buonasera. Si mette a contare
chi nei negozi saluta in un modo e chi nell’altro. “Pare che i
buongiorno stiano aumentando. Dal panettiere Zscheichler
cinque donne hanno detto Guten Tag e due Heil Hitler!” Ma
“dal pizzicagnolo hanno detto tutte Heil Hitler!”. Si mette a
contare per strada chi saluta in un modo e chi nell’altro anche
il sociologo americano Theodore Abel, che nel 1934 era venu-
to a Berlino per completare il suo studio sul come e perché di
Hitler al potere.
Lo storico Peter Fritzsche nel suo Vita e morte nel Terzo
Reich mette però in guardia dal considerare il saluto nazista
come misura del consenso, o del dissenso. Osserva che “Heil
Hitler! poteva servire anche per rivendicare un riconosci-
mento sociale, in quanto sostituiva nell’uso quotidiano saluti
più deferenti. Quando il postino salutava i vicini con un
ostentato Heil Hitler! segnalava che era un Volksgenosse, un
compagno del popolo e un loro pari. Allo stesso modo, il ca-
po che all’ingresso della mensa in fabbrica accoglieva col
braccio teso gli operai in precedenza esclusi dal saluto, non
cancellava le differenze sociali, ma riconosceva i nuovi diritti
di cui godevano i suoi dipendenti”. Insomma, dava anche un
senso di parità, comunanza di propositi, come per “compa-
gno” nella sinistra del tempo che fu, tovarišč in Russia, ton-
gzhi in Cina. “Mettere [il nuovo saluto] solamente in bocca
ai fanatici significa ignorare che i tedeschi si adeguarono più
o meno volontariamente all’ideale unitario della Comunità
del popolo (Volksgemeinschaft).”

Volk qua, Volk là

La parola di cui si fa più uso nel Terzo Reich è indubbia-


mente “popolo”. Dilaga in tutte le salse, in tutti i composti
possibili. Annota Victor Klemperer il 20 aprile 1933: “Anco-

128

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 128 02/04/19 17:19


ra un’occasione celebrativa, un nuovo giorno festivo per il
popolo: il compleanno di Hitler. Attualmente la parola po-
polo [Volk] si usa tanto spesso, parlando e scrivendo, quanto
il sale nelle pietanze; su tutto si aggiunge un pizzico di popo-
lo; festa del popolo, membro del popolo, compagno del po-
polo [Volksgenosse], comunità di popolo [Volksgemein-
schaft], vicino al popolo [Volksnah]. Il popolo si definisce
anche in base a chi viene considerato estraneo al popolo
[Volksfremd], o addirittura nemico del popolo [Volksfeind]”.
E ancora: Hitler è il Volkskanzler, il cancelliere del popo-
lo. Si può essere Volksbewußt, cosciente, curante del popolo,
oppure, al contrario, Volksschädling, parassita del popolo.
Uno dei vanti del regime fu la costruzione e diffusione della
Volkswagen, l’auto del popolo. C’è una foto di Hitler con-
tento come un bambino mentre gli mostrano un modellino
del “maggiolino”. Völkisch è la parola chiave, il grimaldello
passe-partout che indica continuità e discontinuità allo stes-
so tempo. La parola popolo distingue i nazisti dai “borghesi”
e, allo stesso tempo, gli consente continuità col nazionalismo
esasperato dei loro predecessori ideologici. D’altra parte, an-
che i cosiddetti partiti “borghesi” non riuscivano a fare a me-
no del popolo nella propria denominazione: Deutsche Volk-
spartei si chiamava la formazione liberale che tanta parte
aveva avuto nelle fasi iniziali della Repubblica di Weimar,
Deutschnationale Volkspartei quella nazionalista e di destra.
“Le idee fondamentali del movimento nazionalsocialista so-
no populiste (völkisch) e le idee populiste (völkisch) sono na-
zionalsocialiste”, sentenzia Hitler nel Mein Kampf.
È un’orgia, un’indigestione continua di popolo. E di po-
pulismo.

Loro infatti dicono di andare verso il popolo… Questi movimenti


fascisti si autodefiniscono dappertutto movimenti populisti. Spesso
usano un tono molto aspro contro i ricchi, specialmente quando
questi lesinano le sovvenzioni al partito, mostrando di non capire il
proprio tornaconto. Io però sono convinto che conta proprio il pic-
colo contributo. E quanto più severamente tuonano contro i ricchi,
tanto più lautamente affluisce il piccolo contributo, e tanto più ricchi
diventano loro. In contraccambio però, devono pur fare qualcosa. In

129

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 129 02/04/19 17:19


generale oggigiorno si pretende troppo… Non è meraviglia che non
riescano ad adeguarsi a queste tremende pretese. Si pretende, per
esempio, che siano assolutamente disinteressati. Vorrei sapere come
potrebbero esserlo, e perché proprio loro. Ma loro devono continua-
mente assicurare che non ne ricavano nulla...

Ecco come la mette uno dei due interlocutori costretti


all’esilio, nei Dialoghi di profughi di Bertolt Brecht. L’ironia è
a doppio taglio. Smaschera i nazisti, ma anche la dabbenag-
gine della sinistra che non era riuscita a impedire che si im-
padronissero del potere. I dialoganti sembrano la parodia
del solenne scambio di stupidaggini nel Bouvard e Pécuchet
di Flaubert. Brecht li aveva scritti nei giorni dell’esilio in Fin-
landia, dall’aprile 1940 al maggio 1941. Poi li aveva messi da
parte, forse per non infierire sul fallimento della sua parte
politica. Erano stati pubblicati postumi, nel 1961.

Nella Germania nazista il popolo si definisce principal-


mente per esclusione di chi non fa parte del popolo. Il punto
4 del programma originario del 1920 del Partito nazionalso-
cialista recitava: “Solo un compagno del popolo può avere la
cittadinanza. Solo chi è di sangue tedesco, indipendente-
mente dalla sua confessione religiosa, può essere considerato
un membro del popolo. Di conseguenza nessun ebreo può
essere un membro del popolo…”.

Il reddito di cittadinanza

Il protagonista di E adesso, pover’uomo? di Hans Fallada


si reca alla sede della Cassa mutua, per verificare lo stato del-
la domanda di contributo per puerperio e allattamento.
“Tessera d’iscrizione”, gli intima l’impiegato allo sportello.
“Eccola… vi ho scritto.”
“Certificato di nascita.”
“Vi ho scritto e vi ho mandato i documenti che mi hanno
dato all’ospedale.”
“Be’, cosa vuole ancora?”

130

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 130 02/04/19 17:19


“Volevo chiedere se la cosa s’è risolta. Se il denaro è stato
spedito. Ne avrei bisogno.”
“Che ne so. Se lei ha avanzato l’istanza per iscritto, le ver-
rà dato corso anche per iscritto.”
“Potrebbe accertarsi se la pratica è stata evasa?”
L’addetto allo sportello si allontana bofonchiando: “Solo
fastidi inutili...”. Si infila in un uscio dove c’è una targhetta
che l’utente non riesce a leggere da lontano. Ma più guarda e
più si convince che ci sia scritto: “Toilette”. Gli monta den-
tro una gran rabbia. Dopo un po’ di tempo, anzi dopo un bel
po’ di tempo, l’impiegato ricompare, prende la tessera d’i-
scrizione e la posa sul banco: “La pratica è stata evasa”.
Tornato a casa il protagonista trova una busta conte-
nente una lettera e due questionari da compilare. Gli chie-
dono un certificato di nascita “ad uso cassa malattia”, quel-
lo rilasciato dall’ospedale non gli basta. Poi gli chiedono gli
attestati delle casse malattie a cui sono stati iscritti negli ul-
timi due anni… Il senso della lettera è così ironicamente
riassunta dall’autore del romanzo: “È vero che siamo per-
fettamente al corrente del fatto che i medici propendono a
ritenere che una gravidanza dura solo nove mesi… ma può
darsi che in questo modo i costi possiamo accollarglieli ad
un’altra cassa malattia… Abbia la compiacenza di pazien-
tare fintanto che non ci saranno pervenuti i documenti ne-
cessari…”. Lui vorrebbe andarli a cercare e strozzarli. La
moglie cerca di calmarlo.
Una testimonianza giornalistica di fine anni venti da Co-
lonia dà un’idea della variegata “clientela” della miriade di
uffici a cui rivolgersi per l’assistenza sociale: “Sono le otto
del mattino. Nell’ufficio distrettuale si affolla gente di ogni
genere, ogni classe, unite solo dal fatto di essere recipienti di
un sussidio. Ecco la domestica licenziata dopo vent’anni con
lo stesso datore di lavoro, che ha perso i risparmi… accanto
a lei il giovane che non ha ancora trovato un lavoro… il pic-
colo commerciante che non ce l’ha fatta..., l’operaio vittima
di un incidente sul lavoro a cui non basta la pensione di inva-
lidità…”. Non più solo i “poveri”, ma quelli che prima se la
cavavano, quello che chiamavano Mittelstand, ceto medio.

131

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 131 02/04/19 17:19


Dal 1927 al 1932 era cambiata a fondo la distribuzione dei
tipi di recettori di Welfare, non più solo i disoccupati e i pen-
sionati. Ed era cambiata la distribuzione geografica: avevano
un loro Sud.
Quel che li univa era la rabbia. Ecco, a caso, un’altra te-
stimonianza del 1932, da Düsseldorf, da parte di uno che sta
dall’altra parte dello sportello, un assistente sociale:

Quando oggi sono arrivato in ufficio, alle 8 meno 5, [i richiedenti del


sussidio] avevano già invaso la sala d’attesa. In piedi, serrati uno ad-
dosso all’altro, la fila continuava nel corridoio, e anche oltre, per stra-
da. Facendo forza come potevo, riuscii a farmi strada sino al mio uffi-
cio. Mi si era strappata la giacca. Quando cercai di uscire, tanta era la
calca che non riuscii ad aprire la porta dall’interno. Dovetti scavalcare
la finestra. Alle dieci circa una giovane assistente sociale a contratto
cercò anche lei di uscire. Ma non riuscì ad aprire la porta. Dovette an-
che lei usare la finestra. Poco prima delle undici arrivò un commesso
con i dossier. Con molto sforzo riuscì ad entrare negli uffici. Ma non
riuscì più ad uscire. Hai voglia gridare e battere pugni sulla porta. La
gente in attesa gli urlava contro: “Stia al suo posto a lavorare. È da sta-
mattina che siamo in fila”. Con l’aiuto degli altri assistenti sociali riuscì
finalmente ad aprire la porta. Ma ne scaturì un tafferuglio, si venne alle
mani…

La Germania di Weimar aveva la più estesa, ramificata e


complicata rete di assistenza sociale e sanitaria in Europa. Il
guaio è però che un’assistenza che non funziona o funziona
male crea ancora più malcontento e odio della mancanza di
assistenza. Negli anni trenta i socialdemocratici e i partiti al
governo avevano tagliato i ponti con la parte più in difficoltà
della popolazione. Venivano identificati irrimediabilmente
con politiche per la casa e l’assistenza che non funzionavano
granché, erano percepite come clientelari, specie a livello lo-
cale. In realtà le amministrazioni locali di sinistra si erano
date da fare come potevano, avevano fatto sforzi sovrumani
per l’assistenza ai più deboli in un momento in cui c’era una
tragica mancanza di fondi. Ma l’attivismo, anziché premiarli,
gli si era ritorto contro.

132

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 132 02/04/19 17:19


“Investire nella felicità!”

La crisi post-1929 aveva prodotto un picco senza prece-


denti di disoccupati. Dei 6,1 milioni disoccupati censiti uffi-
cialmente nel 1933 solo 900.000 ricevevano un sussidio dal
sistema nazionale. Gli altri si dovevano rivolgere all’assisten-
za a carico degli enti locali. Appena giunti al governo nel
1933 i nazisti smantellarono tutte le organizzazioni caritate-
voli, solidali, indipendenti, municipali, religiose, non gover-
native. Vi sostituirono un ente unico e centralizzato: il
Nationalsozialistische Volkswohlfahrt (Direzione per il be-
nessere del popolo). Lo vantavano all’epoca come “la più
grande istituzione sociale del mondo”. Viene ancora oggi
considerato l’architrave dell’ingegneria sociale nazista. Ge-
stiva le pensioni, gli affitti, i sussidi di disoccupazione e inva-
lidità, gli ospizi, i prestiti senza interessi per le giovani cop-
pie, il sostegno alle famiglie e l’assicurazione sanitaria.
Avevano inventato persino il reddito di cittadinanza, un
reddito minimo per tutti. A dire il vero non proprio per tutti,
solo per i cittadini di pura e comprovata razza ariana, di lin-
gua e cultura tedesca, che potessero dimostrare di essere in
regola in fatto di cittadinanza e residenza, e potessero prova-
re di essere disoccupati ed effettivamente in cerca di lavoro.
La platea iniziale fu enorme: 14 milioni di tedeschi. I sus-
sidi potevano essere spesi solo in negozi tedeschi (e non ad
esempio in quelli di proprietà di ebrei o stranieri). Si suppo-
neva che dovessero stimolare l’economia e i consumi nazio-
nali. Dovevano venire utilizzati solo per acquistare beni di
prima necessità (e nulla che l’austera cultura protestante
considerasse inutilmente frivolo o “immorale”). Gli uffici
della Volkswohlfahrt gestivano le offerte di lavoro e propo-
nevano impieghi ai disoccupati. Per chi non trovava impiego
c’erano i lavori “socialmente utili”.
La parola Volksgemeinschaft, la comunità di popolo (c’è
chi preferisce tradurre “comunità di razza”), combinava le
promesse di “nazione”, “socialismo”, “lavoro” presenti nel
nome stesso del Partito. Premiava gli eletti, dannava gli

133

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 133 02/04/19 17:19


esclusi (stranieri, ebrei, oppositori, asociali). Univa utile e di-
lettevole, mobilitazione e propaganda.
Hitler veniva chiamato “primo lavoratore della nazione”.
Una delle immagini propagandistiche più suggestive del re-
gime nazista è il dipinto a olio del 1936 di Ferdinand Staeger
dal titolo I soldati del lavoro che mostra una squadra di lavo-
ratori che avanza con le vanghe in spalla come fossero fucili.
Occasioni di “fraternizzazione”, “cameratismo” tra il popo-
lo furono il moltiplicarsi delle feste comandate, con relative
teatrali e fastose celebrazioni di massa: l’anniversario della
“presa del potere” il 30 gennaio, quello della fondazione del
Partito nazista il 24 febbraio, il Giorno degli Eroi e dei Mar-
tiri del movimento in marzo, il compleanno del Führer il 20
aprile, la nuova festa del lavoro, anzi “Festa nazionale del
Popolo tedesco”, il Primo maggio, e ancora, il raduno reso
“perpetuo” a Norimberga, la celebrazione del putsch del
1923… Il Winterhilfe, la raccolta di fondi e vestiario per
l’aiuto invernale alle famiglie in difficoltà, che in realtà era
stato introdotto nel 1931 dal governo Brüning, divenne una
colossale esercitazione di solidarietà, peraltro obbligatoria,
in seno al popolo. Giganteschi programmi vennero creati e
gestiti dal Deutsche Arbeitsfront, l’organizzazione statale del
Fronte tedesco del lavoro che nell’estate 1933 aveva assorbi-
to e rimpiazzato i sindacati. Suggestive le denominazioni:
Kraft durch Freude, Forza mediante la gioia, e Schönheit der
Arbeit, Bellezza del lavoro. La prima si occupava di tempo
libero e vacanze, la seconda dell’igiene e delle mense in fab-
brica.
Capirete perché ho avuto un brivido quando ho sentito i
due vicepremier parlare a proposito dell’ultima finanziaria
di “investimento per la felicità degli italiani”. Il più infelice
degli slogan pubblicitari è quello che evoca, magari senza sa-
perlo, qualcosa di vomitevole. “Il lavoro nobilita” (Arbeit
adelt) e “Il lavoro rende liberi” (Arbeit macht frei) erano slo-
gan molto in voga prima di diventare grotteschi sui cancelli
di Auschwitz.

134

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 134 02/04/19 17:19


Onesti ma mica tanto

La punta di diamante della propaganda nazista contro il


marcio nella Repubblica di Weimar era stata diretta contro
la corruzione degli ebrei, della sinistra e della politica. Calò
immediatamente la scure sui favoritismi e il sistema clientela-
re del passato. Ne venne introdotto uno nuovo. Per avere un
lavoro si dovevano presentare credenziali ineccepibili di pu-
rezza di razza e di fede politica. I primi a trovare un posto
fisso furono i miliziani delle SS e delle SA, inquadrati prima
come ausiliari e poi come organici nella polizia, nei servizi di
sicurezza e nelle forze armate. Poi anche tutti gli altri. Nel
luglio del 1933 il numero due del partito e braccio destro del
Führer, Rudolf Hess, aveva promesso un lavoro a tutti colo-
ro che fossero membri del Partito da prima del 30 gennaio
1933. Già in ottobre la promessa fu mantenuta: fu trovato un
posto a tutti i membri del Partito nazista che avessero un nu-
mero di tessera sotto il 300.000.
Si continuò così anno dopo anno. Il 90 per cento dei nuo-
vi posti di lavoro impiegatizi nella pubblica amministrazione
fu assegnato ai “vecchi combattenti” per la causa del nazi-
smo. Le Poste fecero un concorso in cui 30.000 posti erano
riservati a “nazionalsocialisti meritevoli”. E così nelle Ferro-
vie. Anche per le promozioni valeva l’anzianità di partito. La
conseguenza fu che, per far spazio agli “aventi diritto”, si
moltiplicarono posizioni amministrative di cui non vi era ne-
cessità e a molti furono conferiti incarichi di direzione per
cui erano del tutto inadeguati. Alcuni ricevevano lo stipen-
dio senza nemmeno presentarsi in ufficio. Avevano buone
ragioni per essere grati al nuovo regime.
La nomenclatura aveva appetiti smisurati. Tenere rap-
porti con la nuova classe dirigente divenne indispensabile
per chi voleva fare affari. Si affermò un mestiere inedito: la
persona che tiene i contatti, il consulente con buone relazio-
ni in alto loco che si procura licenze e permessi. Tangenti e
regali costosi erano la norma. Particolarmente clamoroso il
caso di Anton Karl, il capo del Dipartimento costruzioni del
Fronte del lavoro, il quale distribuì somme enormi in regali

135

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 135 02/04/19 17:19


per assicurarsi le commesse. Sepp Dietrich, il capo della
guardia personale di Hitler, prese nota di quel che aveva ri-
cevuto per favorire l’assegnazione dell’appalto della nuova
caserma per i suoi uomini: camicie di seta, un orologio d’oro,
fucili da caccia, un viaggio in Italia per la moglie. L’andazzo
imbarazzava i campioni, fino a poco prima, della moralizza-
zione. Corsero ai ripari: dal 1934 al 1941 si contano ben
11.000 processi per appropriazione indebita di fondi del
partito.
Era dominio comune. Tutti sapevano come funzionava,
circolavano barzellette a non finire sulla corruzione nel
Terzo Reich. Ma con la dovuta prudenza. Il comico Werner
Finck recitò nel 1934 dal palcoscenico del cabaret Kata-
kombe una storiella in cui il cliente col braccio alzato nel
saluto nazista, davanti al sarto che gli prende le misure e gli
chiede che tipo di giacca desideri, risponde: “Con le tasche
belle larghe, come di moda adesso”. La battuta gli costò il
campo di concentramento.
La peggiore corruzione, come aveva intuito Monte-
squieu, è quella del popolo, che pertanto tende a tollerare i
corruttori. I rapporti clandestini inviati dall’interno ai centri
esteri del Partito socialdemocratico segnalano irritazione tra
la gente per la corruzione e gli stili di vita sfarzosi del Fronte
del lavoro (Deutsche Arbeitsfront), e in particolare del suo
capo carismatico, Robert Ley. Altro che “bonzi”, come veni-
vano spregiativamente chiamati i funzionari del sindacato
all’epoca della Repubblica di Weimar! Ma non sembra che la
nomea abbia avuto conseguenze né su Ley né su Göring né
sugli altri alti papaveri che ostentavano proprietà e stili di vi-
ta sfarzosi. Hitler era fuori causa: aveva rinunciato persino
allo stipendio da cancelliere e al relativo rimborso spese, era
indicato come il campione di onestà e moralità. Le cose non
stavano esattamente così. Era spesato di tutto, accumulava
residenze ufficiali, aveva un fondo spese segreto illimitato, i
diritti del Mein Kampf, divenuto lettura obbligatoria, i diritti
per la sua immagine sui francobolli, le donazioni gli consen-
tirono di accumulare un ingente patrimonio personale. E co-

136

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 136 02/04/19 17:19


munque parlar male del Führer era reato, passibile di con-
danna a morte.

La rapina delle pensioni

Le pensioni erano state il cardine del consenso sin da


quando Bismarck le aveva introdotte, anticipando il resto
dell’Europa, a fine Ottocento. Nel 1933 il sistema pensioni-
stico tedesco copriva i quattro quinti della popolazione, ga-
rantiva il futuro a 21,6 milioni di lavoratori che continuava-
no a versare i contributi, oltre 4 milioni già ricevevano una
pensione, altri milioni di superstiti godevano della reversibi-
lità. Ai pensionati il regime promise di tutto e di più. Alla fi-
ne gli avrebbe tolto ogni cosa.
Robert Ley propose una riforma del sistema pensionisti-
co per cui tutti avrebbero potuto andare in pensione all’età
che gli pareva, cessare di lavorare prima del previsto, o conti-
nuare a lavorare oltre il previsto. L’età minima era 65 anni
per la maggior parte, 55 anni per i lavori usuranti. Non era
Quota 100 ma ci somigliava. Il piano garantiva una pensione
minima a tutti. Tutti, esclusi ovviamente ebrei e stranieri.
Ley, fanatico antisemita, sognatore sino all’ultimo di utopie
anticapitalistiche, aveva molto a cuore il potere d’acquisto di
salari e pensioni. Purché, beninteso, andassero solo ai “veri
tedeschi”.
Il ministro del Lavoro, Franz Seldte, si rivolse diretta-
mente a Hitler sostenendo che Ley creava aspettative e false
speranze che non avrebbero potuto essere realizzate, che per
farlo si sarebbero dovuti aumentare i contributi a carico dei
lavoratori, o aumentare le tasse. Ley replicò che l’ufficio stu-
di del suo Daf prevedeva che grazie all’aumento del numero
di lavoratori che versavano i contribuiti, le pensioni avrebbe-
ro potuto anche triplicare. La discussione andò avanti per un
decennio. A guerra già iniziata il Daf avrebbe proposto nuo-
vamente un raddoppio delle pensioni, oltre a un meccani-
smo automatico legato al costo della vita, insomma la scala
mobile, che sarebbe stata poi realizzata solo negli anni cin-

137

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 137 02/04/19 17:19


quanta. Hitler avrebbe continuato a mediare sino all’ultimo
tra le diverse anime della sua amministrazione, tra esigenze
del bilancio ed esigenze del consenso. Propendeva per non
scontentare la sua constituency. La guerra era già avanzata
quando nel 1941, l’anno dell’invasione dell’Unione Sovieti-
ca, una riforma delle pensioni diede aumenti uguali a tutti,
quindi proporzionalmente maggiori di quelle più basse.
“Con visibile soddisfazione e grande gioia”, anche perché gli
aumenti erano retroattivi e furono pagati subito tre mesi di
arretrati. Ci fu chi persino alla fine, nell’autunno 1944, so-
stenne la necessità di un rapido aumento delle pensioni. Cu-
rioso: nella discussione interna i propugnatori più accesi del-
la generosità assistenziale a ogni costo erano anche i più
convinti sostenitori delle politiche per lo sterminio.
Finirono con lo scardinare e distruggere completamente
il sistema pensionistico. Non perché fosse in deficit ma per-
ché era diventato un boccone troppo ghiotto. Da prima an-
cora del 1933 i fondi pensionistici avevano continuato ad
accumulare ingenti riserve grazie alla ripresa dell’occupazio-
ne. Le riserve per le pensioni operaie aumentarono di 6 volte
dalla fine del 1932 alla fine del Terzo Reich nel 1945, le riser-
ve delle pensioni degli impiegati di 5 volte, quelle dei mina-
tori di 11,5 volte. Furono costretti a investirle in obbligazioni
del Reich, in debito pubblico. Che servì a finanziare le auto-
strade e le ferrovie, ma soprattutto il riarmo. Ai fondi pen-
sione avrebbero continuato ad attingere per finanziare la
guerra. Quando la guerra fu persa e il valore del debito del
Reich si azzerò, i fondi avevano perso il 90 per cento delle
riserve, e i pensionati restarono con un pugno di mosche.

Il prezzo del consenso

Il consenso aveva un prezzo. In moneta sonante. Come i


nazisti comprarono il popolo tedesco è il sottotitolo dell’edizio-
ne inglese dello studio del 2005 di Götz Aly. I beneficiari di
Hitler suona il titolo. (Il titolo della traduzione italiana, Lo
stato sociale di Hitler è più corrispondente all’originale tede-

138

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 138 02/04/19 17:19


sco.) È una miniera di notizie su come fu finanziato il mante-
nimento del consenso, anche attraverso una politica assisten-
ziale. Sin dall’inizio ci fu uno straordinario dispiegamento di
“fantasia finanziaria” da parte dei “tecnici” fedeli al nuovo
regime per “dare al popolo” spennando gli “estranei al popo-
lo”. Nell’estate del 1935, il ministro delle Finanze indisse per-
sino un concorso di idee tra i suoi funzionari su come arrivare
a un miglior saccheggio fiscale a danno degli ebrei. Fu ripetu-
to nel 1938. Con la guerra, la “fantasia finanziaria” si scatenò
ulteriormente. La esercitarono senza più alcuna remora
nell’esproprio degli ebrei acquisiti nei territori occupati, nella
rapina sistematica delle risorse materiali, finanziarie e umane
di tutta l’Europa sottomessa. “Chi non vuole parlare dei van-
taggi che ne trassero milioni di semplici tedeschi farebbe me-
glio a tacere, sul nazionalsocialismo e sull’Olocausto”: questa
la conclusione di Aly.

I nazisti furono generosissimi in sussidi ai disoccupati, ai


più poveri (e infine agli orfani e alle vedove delle guerre che
avevano scatenato). Durante la Seconda guerra mondiale il
Reich dedicò per il sostegno alle famiglie somme enormi. I
famigliari dei tedeschi chiamati alle armi ricevettero in me-
dia, per tutta la durata del conflitto, il 72 per cento dell’ulti-
mo reddito di pace del loro congiunto. Era il doppio di quel
che ricevettero le famiglie statunitensi (36,7 per cento) e bri-
tanniche (38,1 per cento). Poco gli importava che le risorse
provenissero dalle espropriazioni a danno degli ebrei (ai
quali tolsero le “pensioni d’oro” ben prima di strappargli i
denti d’oro) e infine dalle conquiste militari e dalla riduzione
in schiavitù dei non ariani.
Propagandarono il tutto come “stare dalla parte del po-
polo”. Niente di nuovo sul fronte occidentale del populismo.
Furono anche fortunati. Potevano vantare un “miracolo
economico”. Anche se tutti gli storici dell’economia ultima-
mente concordano nel sostenere che c’è molto “mito” su
quel miracolo. La ripresa non fu quello che volevano far cre-
dere. E si fondava in gran parte sulle politiche dei governi

139

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 139 02/04/19 17:19


precedenti. Era già in atto quando Hitler prese il potere. Nel
1933 Hitler aveva promesso ai 6 milioni di disoccupati: “La-
voro, lavoro, lavoro”. Già nell’ottobre 1933 Hitler, intervi-
stato dal corrispondente del “Daily Mail”, poteva vantare di
aver “reinserito nel processo produttivo 2,25 milioni di di-
soccupati su 6 milioni”. Nel 1936 i disoccupati erano scesi a
2,5 milioni, nel 1937 a 1,6 milioni. Tra il 1933 e il 1938 l’eco-
nomia tedesca crebbe a tassi che oggi diremmo cinesi: 9,5%
all’anno in media.
C’è un acceso dibattito tra gli storici su come abbiano
fatto, su quanto ci sia da fidarsi di queste statistiche e quanto
siano state invece manipolate, su quanto sia dipeso dai gran-
di progetti per infrastrutture, e poi dalla spesa per il riarmo,
e quanto invece sia dovuto alla ripresa in Europa e nel mondo.
Altri paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, si erano ripresi dalla
crisi del 1929 con tassi di crescita simili, o anche più elevati di
quelli della Germania nazista. La stessa Germania aveva cono-
sciuto il tasso più rapido di ripresa non sotto Hitler ma a metà
anni venti. I programmi per la creazione di posti di lavoro
erano simili per dimensione e risorse a quelli nell’America di
Roosevelt: in entrambe le situazioni avevano assorbito il 2,5
per cento del Pil. Ma più ancora del tasso di crescita effettivo
valse la capacità di creare la sensazione che le cose andavano
molto meglio. I nazisti seppero insomma “vendere” meglio
di altri i successi economici. Anzi, fecero ancora di più: riu-
scirono – come osserva efficacemente Peter Fritzsche in Vita
e morte nel Terzo Reich – a “rivendere il futuro all’infinito”,
non solo e non tanto le realizzazioni ma la pura e semplice
promessa di prosperità. Non si può ovviamente dire come sa-
rebbe andata se l’economia tedesca, anziché crescere, fosse
tornata indietro, come sta succedendo in Italia.
Il mistero del consenso a Hitler non è però spiegabile so-
lo in termini di propaganda. I nazisti toccavano tasti cui la
gente era sensibile, blandivano interessi reali e diffusi (non
solo gli interessi del grande capitale, come voleva la vulgata
di sinistra). A elargizioni concrete corrispondeva consenso
reale, crescente e formidabile. La cosa che più impressiona, e
si fa più fatica a comprendere, è come siano riusciti a trovare

140

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 140 02/04/19 17:19


consenso anche sui comportamenti più atroci e disumani del
regime. Per basso tornaconto? Possibile?
Ci sono molti tipi di consenso. “Su tutto splendeva il sole,
c’era felicità, gioia, allegria”, il modo lirico in cui Hans Frank,
lo spietato boia della Polonia, scrive degli anni trenta nel me-
moir vergato poco prima che lo impiccassero come criminale
di guerra a Norimberga. C’è il consenso fanatico e c’è il con-
senso d’interesse. Poi c’è il consenso d’assuefazione.

Un’atmosfera pesante, fosca, soffocante è calata sul paese, così che la


gente è giù di corda e scontenta di tutto, ma, per contro, è disposta a
incassare qualunque cosa senza protestare e perfino senza stupirse-
ne. Situazione tipica dei periodi di tirannide. Il malcontento genera-
le, considerato sempre dagli osservatori superficiali come un indice
della fragilità del potere, in realtà testimonia l’esatto contrario. Un
malcontento sordo e diffuso è compatibile con una sottomissione
pressoché illimitata per decine e decine d’anni; quando al sentimen-
to della sventura si unisce l’assenza di speranza, come sta accadendo
ora, gli uomini obbediscono sempre, fino a quando uno shock ester-
no non restituisca loro la speranza.

Così scriveva nel 1940 Simone Weil al fratello André, il


grande matematico. Non si riferiva alla Germania ma alla
Francia di quel momento. Simone Weil era una patita delle
analogie.

141

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 141 02/04/19 17:19


10.
Mefistofele all’Economia

Due giudizi su Hitler economista e una domanda attua-


le: ci erano o ci facevano? Alla conferenza economica di
Londra del 1933 la Germania è la sorvegliata speciale.
Hugenberg vuole fare la voce grossa. Ma Hitler decide
che “non è ancora il momento”. La sua priorità è riar-
mare, senza dare nell’occhio. Schacht gli trova i soldi,
con lo stesso trucco del diavolo nel Faust di Goethe.

“La nostra esistenza dipende tutta e completamente


dall’economia: faccenda talmente complicata che, per com-
prenderla tutta e bene, si richiese tanta intelligenza quanta
non ne esiste nemmeno… Poiché non si trovavano superuo-
mini capaci di comprendere questa economia così com’era, e
certuni già proponevano di semplificarla radicalmente per
renderla più chiara e pianificabile, ecco che in tale situazione
trovarono ascolto alcuni individui che annunziarono la loro
ferma decisione di non tenere in nessuna considerazione l’e-
conomia.”
“Il Comediavolosichiama [il riferimento qui è a Hitler,
ma, nello spirito del nostro libro il lettore ha ovviamente li-
cenza di mettere qualunque altro nome gli passi per la men-
te (NdA)] fu d’un tratto sulle labbra di tutti. Quest’uomo
eminente già da anni aveva raccolto intorno a sé, in una città
di provincia… una quantità di piccoli borghesi, assicurando
loro, con una verbosità insolita nel nostro paese, che stava
per inaugurarsi una grande Epoca. Dopo essersi esibito
qualche anno al circo, si guadagnò la fiducia del Presidente
del Reich, un generale che aveva perso la Prima guerra mon-
diale e che lo mise in grado di preparare la seconda. Io però,

142

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 142 02/04/19 17:19


che una grande epoca l’avevo già vissuta in gioventù, mi cer-
cai in fretta un posto a Praga e lasciai il paese in quattro e
quattr’otto”. Così Bertolt Brecht, nei suoi Dialoghi di profu-
ghi, in un brano che suona autobiografico.
Un po’ diversa l’opinione di un’altra testimone dei tempi,
Simone Weil. Anche lei, come Brecht, non mastica molto di
economia. Ma è una che su molte altre cose aveva intuito più
di altri suoi contemporanei. “Se Hitler disprezza l’economia,
probabilmente non è semplicemente perché non ne capisce
niente. È perché sa (…) che l’economia non è una realtà in-
dipendente, e quindi non ha leggi davvero proprie, dal mo-
mento che l’economia, come tutte le sfere dell’attività uma-
na, è governata dalla forza… Mi sembra difficile negare che
Hitler abbia una sua concezione, e una concezione ben chia-
ra, di una sorta di fisica della materia umana… Possiede una
nozione esatta del potere della forza…”, annota la Weil in un
testo inedito del 1942.
Due valutazioni diverse, da parte di contemporanei non
specialisti, non economisti: uno scrittore schierato, comuni-
sta, la cui analisi ricalca un’interpretazione “di classe” del fe-
nomeno Hitler: populismo “bonapartista”, che raccoglie il
consenso della piccola borghesia incarognita e poi del gran-
de capitale; una filosofa ebrea e operaista, che non sopporta
nessun tipo di interpretazione canonica. In che cosa consiste
il déjà vu, quale analogia con l’attualità? In qualcosa, lo am-
metto, di molto personale. Nel fatto che giorno dopo giorno,
di fronte alle dichiarazioni pubbliche sull’economia, sulla Fi-
nanziaria, sullo spread, sui mercati, non so decidermi su co-
me prenderle, non riesco a capire se ci sono o ci fanno…

Sorvegliata speciale sul debito

La Germania era da anni una sorvegliata speciale nei


mercati internazionali e nelle sedi di decisioni economiche.
Era indebitata sino al collo. Nel 1931 il debito estero aveva
superato il cento per cento del Pil. Tra i grandi paesi indu-
strializzati era quello che aveva subito più pesantemente i

143

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 143 02/04/19 17:19


contraccolpi della crisi del 1929 e della recessione mondiale
che vi era seguita. Restava il fanalino di coda in fatto di cre-
scita, anche quando gli altri avevano già iniziato la ripresa. I
suoi sei milioni di disoccupati arrabbiati erano causa perma-
nente di preoccupazione per la stabilità politica e per lo stato
dei conti pubblici. Rischiava in continuazione il default, e
con questo di trascinare giù nel gorgo di una nuova recessio-
ne anche gli altri. Tutti i governi della Repubblica di Weimar
si erano trovati di fronte a un dilemma impossibile: seguire le
regole imposte dai creditori internazionali, o smettere di pa-
gare, col rischio di subire le conseguenze: non solo una “pro-
cedura d’infrazione” ma forse anche un intervento armato,
come era avvenuto per la Ruhr.
Tutti i paesi avevano subito la Grande Depressione. Non
tutti ne sarebbero usciti alla stessa maniera. La crisi aveva
sconvolto dappertutto le vecchie certezze di dottrina e le
vecchie alleanze sociali. Non ci sono spiegazioni semplici e
univoche sul perché in America, dove pure i disoccupati era-
no non 6 ma 25 milioni, ne uscirono col New Deal di Roose-
velt e in Germania invece con Hitler, sul perché in Inghilter-
ra e in Francia resse il sistema democratico e in quasi tutto il
resto d’Europa no. Più o meno tutti seguirono all’inizio ri-
cette deflazionistiche e di mantenimento a ogni costo della
stabilità monetaria. Poi passarono a una politica di spesa
pubblica e a svalutazioni competitive del dollaro e della ster-
lina. Solo la Germania non svalutò, perché tutto poteva sop-
portare, tranne un ripetersi dell’esperienza devastante della
iper-inflazione del 1921-23, quando il marco si era svalutato
miliardi di volte. Nessuno, neanche Hitler, poteva fare o dire
nulla che rinfrescasse nell’opinione tedesca quella horror
story.
Piuttosto che rischiare inflazione e svalutazione, il gover-
no Brüning, col sostegno esterno dei socialdemocratici, ave-
va perseguito anche dopo il 1929 una politica di austerità,
deflazionistica. Il che salvò il marco e impedì la bancarotta,
ma gli mise contro tutti. C’è chi ha fatto notare che l’Spd si
era trovato in una tenaglia insostenibile: da una parte l’essere
costretti ad appoggiare un governo impopolare per difende-

144

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 144 02/04/19 17:19


re la Costituzione e la democrazia di Weimar dall’assalto del-
la destra e della sinistra comunista, dall’altra subire le conse-
guenze di una politica deflazionistica e rispettosa degli impe-
gni internazionali. La tenaglia aveva finito col frantumare il
consenso. La politica di cooperazione tra lavoro e capitale
negli anni venti aveva consentito una certa dose di benesse-
re, alti salari, l’affermarsi dei diritti in fabbrica e la miglior
assistenza sociale in Europa. Ma tutto questo si era inceppa-
to col crescere a dismisura della disoccupazione. Hitler inve-
ce prometteva qualcosa a tutti, fregandosene dell’ortodossia
economica, dell’indebitamento e dei rapporti internazionali.
Il corrispondente da Berlino del “New York Evening Post”,
H.R. Knickerbocker, riferisce nel 1932 di operai che si la-
mentano dei dazi altrui che penalizzano i prodotti tedeschi,
concludendo che con Hitler le cose “certo non potranno an-
dare peggio”. Sono convinti che solo lui “manderà al diavo-
lo” francesi e inglesi.

La fine del contratto di governo

Alla Conferenza economica di Londra del 12 giugno


1933 parteciparono rappresentanti di sessantaquattro nazio-
ni, fu una delle riunioni più ampie mai tenutesi in Europa.
Dovevano concordare misure per rianimare il commercio in-
ternazionale e stabilizzare i cambi delle monete. Il momento
sembrava favorevole, la ripresa era già in corso. La riunione
aveva l’obiettivo di consolidarla. Ma non sarebbero riusciti
a trovare alcun accordo. Le divisioni passavano tra paesi e
all’interno di ciascuna delegazione. C’era chi puntava a una
maggiore cooperazione internazionale, a ridurre le tariffe
doganali, alla rimozione degli ostacoli al commercio. E c’e-
rano invece i sostenitori del nazionalismo economico, quelli
del “prima i nostri interessi e al diavolo gli accordi interna-
zionali”, quelli che oggi si direbbero sovranisti e vorrebbero
fare come Trump.
Erano divisi anche in seno alla delegazione tedesca. Il mi-
nistro degli Esteri Konstantin von Neurath, quello delle Fi-

145

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 145 02/04/19 17:19


nanze Schwerin von Krosigk e il governatore della Banca
centrale Hjalmar Schacht, tutti e tre tecnici, erano per accor-
di e cooperazione internazionali. In un’intervista alla radio,
ripresa dal “New York Times”, Schacht aveva dichiarato che
per i partecipanti alla Conferenza c’erano due modi di uscire
dalla crisi: “separarsi e accettare standard di vita più bassi”,
oppure “la cooperazione internazionale”, insomma “separa-
zione e povertà, oppure cooperazione e prosperità”. Il mini-
stro dell’Economia e dell’Agricoltura Hugenberg era invece
per la linea dura sul debito, protezionista sul commercio,
specie in favore degli agricoltori tedeschi, avverso ad accordi
internazionali, che riteneva “ingerenze” nella politica inter-
na tedesca. Diffuse di sua iniziativa, senza l’approvazione del
capo delegazione, un memorandum nel quale accanto a rife-
rimenti razzisti tipo “la subumanità che cresce in seno alle
nostre nazioni”, alla rivendicazione di colonie per la Germa-
nia e a un appello all’autosufficienza delle nazioni, si attri-
buiva la crisi interamente all’“intreccio internazionale del
debito”. Era una posizione soprattutto propagandistica. La
destra aveva sempre usato l’argomento delle pesantissime ri-
parazioni di guerra imposte alla Germania come clava con-
tro i governi democratici di Weimar, accusandoli di suddi-
tanza a chi “voleva male alla Germania”. Sotto il regime del
Piano Dawes dal 1924 al 1928 la Germania aveva acquisito,
soprattutto dagli Stati uniti, nuovi prestiti pari al 25% del
Pil, molto più di quanto avesse pagato in riparazioni. Nel
1929 Hugenberg e Hitler alleati avevano promosso un refe-
rendum contro il nuovo Piano Young di dilazione nei paga-
menti del debito tedesco (in base al principio che non anda-
va più ripagato nulla). Era un’iniziativa comparabile a quel
che sarebbe oggi un referendum contro l’euro. E avevano
perso. Le riparazioni di guerra erano da sempre l’argomento
più efficace per dare la colpa di tutto a chi si ostinava a “pu-
nire” la Germania. Esattamente come oggi si dà la colpa di
tutto all’Europa e ai “burocrati” di Bruxelles. In realtà le ri-
parazioni non erano già più un problema: la Germania
sull’orlo della bancarotta aveva già sospeso unilateralmente i

146

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 146 02/04/19 17:19


pagamenti, e alla conferenza di Losanna del 1932 le ripara-
zioni di guerra erano già state praticamente cancellate.
Neurath si appellò al Presidente della Repubblica Hin-
denburg e al cancelliere Hitler facendo notare che l’atteggia-
mento irresponsabile di Hugenberg aveva creato ostilità nei
confronti della Germania nelle altre delegazioni. Hitler non
si pronunciò apertamente, ma col suo silenzio in sostanza
diede ragione a Neurath. Già in febbraio, durante la prepa-
razione della conferenza, si era opposto a Hugenberg che
chiedeva più protezionismo e la cancellazione degli accordi
economici giudicati sfavorevoli alla Germania con l’argo-
mento che “violazioni dei trattati senza motivi persuasivi
scuoterebbero la fiducia nel [nuovo] governo tedesco”. “Era
troppo presto per mettersi contro tutti”, avrebbe poi spiega-
to. Il 27 giugno Hugenberg diede le dimissioni dal governo.
Hitler lo costrinse a sciogliere anche il suo partito. Il “con-
tratto di governo” si era rotto dopo neanche sei mesi. Dei
due contraenti uno scalzava l’altro e prendeva tutto il potere.
Non è chiaro nemmeno agli storici se a Hitler interessasse la
controversia riguardante l’economia. Il potere invece gli in-
teressava, eccome. Abbiamo già visto nel capitolo preceden-
te l’importanza che i nazisti attribuivano alla creazione del
consenso, a qualunque costo, piuttosto che alle leggi dell’e-
conomia. Ma chi pagava, e come? C’è chi dice: col metodo di
Mefistofele.

Un’invenzione diabolica

L’aveva già previsto il genio di Goethe. Nella seconda


parte del Faust l’impero è in preda al disordine, si ruba e si
ammazza, languiscono commerci e industria, l’illegalità le-
galmente comanda, le forze dell’ordine reclamano la paga, le
casse del Tesoro sono vuote, sembra di vivere un incubo. Ar-
riva Mefistofele in veste di nuovo buffone, individua l’origine
di tutti i problemi e offre la soluzione, il modo di acconten-
tare tutti. “Dove mai a questo mondo non manca qualcosa?
All’uno manca questo, all’altro quello. Ebbene, qui manca il

147

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 147 02/04/19 17:19


denaro…” Bella trovata, lo sappiamo tutti, ma come si fa a
reperire del denaro? La risposta del demonio: ce n’è a iosa,
sepolto sottoterra, sin dall’epoca in cui “fiumane di popoli si
riversarono, sommergendo paesi e genti, e molti, colti da pau-
ra, seppellirono i propri tesori nei luoghi più disparati”. Ma
l’idea geniale è che non occorre neanche scavarli quei tesori.
Basta un pezzo di carta, garantito da quei tesori irraggiun-
gibili. Spetta al cancelliere esporre la cosa al popolo: “Udi-
te dunque tutti e contemplate il fatidico pezzo di carta che
tramuta ogni pena in felicità. Rendiamo noto che questo bi-
glietto vale mille corone. A sicura garanzia del suo valore sta
il tesoro incalcolabile sepolto nel sottosuolo. Si è provvedu-
to affinché l’oro appena scavato sia sostituito alla carta…”.
Si sente puzza non di zolfo ma di imbroglio, di “delitto”, di
“frode immane”. Ma nessuno protesta, finché funziona.
Il Mefistofele di Hitler si chiamava Hjlmar Schacht. Ge-
minello Alvi ha tracciato di lui un ritratto in poche righe,
straordinario per concisione ed efficacia, ripubblicato in Uo-
mini del Novecento. Non gli è per nulla simpatico. Più che il
talento di economista e banchiere, mette in rilievo la sua va-
nità e l’attitudine a mentire e servire il potente di turno.
Schacht era stato presidente della Reichsbank, si era dovuto
dimettere una prima volta nel 1930 per aver messo in imba-
razzo l’allora governo tedesco di centro-sinistra proponendo
il ripudio tout court delle riparazioni e dei debiti con l’estero.
Dire non vogliamo più pagare i nostri debiti equivaleva in
quel momento al proporre oggi il default e un piano di uscita
dall’euro. Era stato Hitler a richiamarlo in servizio nel ’33.
Contava sulla sua abilità, sulla sua dimestichezza con tutti i
banchieri del mondo e sulle sue relazioni internazionali, spe-
cie a Londra e negli Stati uniti. Poi gli aveva affidato anche il
ministero dell’Economia. Era stato proprio Schacht a intro-
durre Hitler prima della sua nomina a cancelliere nei salotti
buoni della finanza, e a presentargli quel banchiere, Schröder,
che nel dicembre 1932 avrebbe salvato il Partito nazista dalla
bancarotta per debiti e avrebbe organizzato a casa sua i pri-
mi fatidici incontri segreti del futuro Führer con Papen. Poi
però Schacht avrebbe dato a Hitler un’idea ancora più ge-

148

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 148 02/04/19 17:19


niale: su come finanziare la ripresa economica, creare occu-
pazione e accontentare il popolo senza provocare inflazione,
e al tempo stesso riarmare pesantemente la Germania facen-
do finta di non farlo.
Lo strumento diabolico fu la creazione di un apparente-
mente innocente Istituto di ricerca per l’industria metallur-
gica (Metallforschungsgesellschaft, nota anche come Mefo).
L’istituto emetteva certificati di scambio con cui venivano
pagate le commesse militari all’industria pesante. I certificati
erano garantiti dalla Banca centrale e potevano essere sconta-
ti presso tutte le banche. Per attrarre ulteriormente gli inve-
stitori offrivano anche un tasso d’interesse del 4% annuo, più
alto di quello delle normali obbligazioni commerciali. Era un
azzardo. A far cassa ci aveva già provato nel 1932 Papen con
“certificati fiscali” fruttiferi, basati sulle tasse dovute all’e-
rario. Nessuno aveva abboccato. Se il gioco dei Mefo fosse
andato storto si rischiava il crollo delle banche e dell’intero
sistema finanziario tedesco. E invece funzionò. Per evitare
il rischio che gli acquirenti dei Mefo pretendessero davvero
di scambiarli con denaro sonante, la maturazione a 90 giorni
fu continuamente estesa, fino a 5 anni. Il 70 per cento delle
astronomiche spese per il riarmo tedesco dal 1934 al 1939 fu
finanziato in questa maniera. Le spese militari rappresenta-
vano già nel 1937 il 42 per cento della crescita del Pil. Il mar-
chingegno permetteva inoltre di prendere diversi altri piccio-
ni con la stessa fava. I Mefo consentivano di aggirare la norma
che proibiva alla Reichsbank di finanziare direttamente la
spesa pubblica; consentivano di escludere queste spese dai
conti pubblici, disinnescandone gli effetti inflattivi: e infine
gli consentiva di nascondere il finanziamento del riarmo, che
era proibito dal Trattato di Versailles, fino a quando Hitler lo
rivelò a sorpresa al mondo intero nel marzo 1935.
Nemmeno il diavolo avrebbe potuto far durare l’imbro-
glio all’infinito. Per mantenere le promesse (sussidi ai disoc-
cupati e ai poveri, lavoro e felicità) il governo nazista spende-
va molto più di quanto incassasse. Quando si aggiunsero le
spese per il riarmo, la Germania si ritrovò sull’orlo della ban-
carotta. Lo stesso Schacht dovette mettere fine al sistema dei

149

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 149 02/04/19 17:19


buoni Mefo perché ormai fuori controllo. Provò a emettere
più tradizionali Buoni del Tesoro. Riuscì a piazzare le prime
tranche, ma la quarta asta andò deserta. Non esisteva ancora
lo spread, ma il segnale era chiaro.
Persino Goebbels, che irrideva agli esperti di cose finan-
ziarie chiamandoli “poveracci”, annotò nel suo diario che si
aveva a che fare con un “deficit folle”. Schacht scrisse a Hitler,
avvertendo che “l’illimitata crescita delle spese dello Stato va-
nifica ogni tentativo di impostare un bilancio ordinato, porta,
nonostante l’enorme pressione esercitata sulla leva fiscale, le
finanze statali sull’orlo del tracollo”.
Tutto sta a indicare che Hitler aveva sin dall’inizio idee
chiare su cosa voleva fare: la guerra, la conquista di spazio
vitale, Lebensraum, all’Est. E per questo non gliene poteva
importare meno di tecnicalità come spread e deficit. L’unico
documento di politica economica attribuibile a Hitler è il co-
siddetto “Memorandum sul Piano quadriennale” stilato di
suo pugno nell’estate del 1936. Era un documento ultrase-
greto. Il testo completo fu dato solo a Göring e al ministro
della Guerra Blomberg. Il commissario ai Rifornimenti per
la guerra Speer ne sarebbe venuto a conoscenza solo nel
1942. Schacht non lo vide mai. Indicava senza mezzi termini
le priorità economiche: “I. L’esercito tedesco deve essere
operativo entro quattro anni; II. L’economia tedesca deve es-
sere pronta alla guerra entro quattro anni”. La scelta di sca-
tenare la guerra viene confermata dagli appunti segreti presi
dall’attaché militare del Führer, il colonnello Friedrich Hos-
sbach, a una riunione ristrettissima, il 5 novembre 1937, con
Göring, nella sua capacità di responsabile del piano qua-
driennale e comandante della Luftwaffe, il ministro della Di-
fesa, quello degli Esteri e i capi di Stato maggiore. Hitler gli
spiegò che il futuro della Germania dipendeva interamente
dalla possibilità di risolvere il problema dello “spazio vitale”.
Per tre ore illustrò le opzioni per procurarsi le materie pri-
me, concludendo che il problema si sarebbe potuto risolvere
solo con la forza. Detto, fatto.

150

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 150 02/04/19 17:19


La fine dei “tecnici”

In rotta di collisione con Hitler, fu ovviamente Schacht a


doversi dimettere un’altra volta, prima da ministro dell’Eco-
nomia, poi da governatore della Banca centrale. Era troppo
intelligente per non sapere con chi aveva a che fare quando
accettò di servire i nazisti. Eppure era stata la sua spregiudi-
cata fantasia finanziaria a reperire le risorse per il riarmo e la
guerra. Sul banco degli imputati nazisti al processo di No-
rimberga avrebbe avuto la faccia tosta di dire: “Mi sarei mes-
so d’accordo con chiunque, anche col diavolo, per la gran-
dezza della Germania”. Sapeva come tenere i piedi in più
scarpe. Ecco cosa riferiva nel 1936 al Foreign Office di un
colloquio con lui l’ambasciatore britannico a Berlino, Sir
Eric Phipps: “Schacht iniziò col dirmi che qualunque Paese
estero che si fidi delle promesse dell’attuale regime avrà una
cocente delusione... che è ridicolo pensare che Hitler tornerà
a far parte della Società delle Nazioni, se non per demolir-
la… che in Germania prevale l’anarchia… che i suoi telefoni
sono intercettati e che per quanto ne sapeva una pattuglia di
SS può fare in qualsiasi momento irruzione nel suo ufficio e
sparargli…”. Da documenti diplomatici americani viene
fuori che dopo aver scritto nel 1939 la lettera a Hitler in cui
esprimeva allarme per le dimensioni del deficit, ed essere sta-
to di conseguenza dimissionato, Schacht aveva tentato di
chiedere asilo in America. Ma non se n’era fatto nulla. A No-
rimberga se la sarebbe cavata per il rotto della cuffia. Solo
perché aveva preso le distanze al momento giusto. Anzi, do-
po la congiura di Stauffenberg e dei generali contro Hitler
era finito anche lui a Dachau.
Il conte Schwerin von Krosigk era un tecnico di carriera.
Era stato ministro delle Finanze già nei governi Papen e Sch-
leicher. Lo rimase nel governo Hitler. Si destreggiò ad aiutar-
lo a mantenere le sue promesse. Le sole estorsioni a danno
degli ebrei arrivarono a fornirgli un margine di manovra nien-
te affatto trascurabile: intorno al 10 per cento del Pil. Quan-
do non bastarono più nemmeno estorsioni e rapine, al mini-
stero delle Finanze presero in considerazione di far

151

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 151 02/04/19 17:19


condividere i sacrifici fiscali anche alla constituency nazista, ai
beneficati dal regime. Goebbels se la prese con gli “sterili bu-
rocrati” che “non sanno essere abbastanza creativi”.
Anche gli altri “tecnici” che facevano parte del governo
Hitler furono dimissionati nel 1937, uno dopo l’altro, nel gi-
ro di pochi mesi. Il ministro della Guerra Blomberg, l’uomo
che aveva fatto giurare alla Wehrmacht fedeltà al Führer, in-
cappò in apparenza in una faccenda privata. Si era innamo-
rato e aveva deciso di sposare una donna molto più giovane,
una “ragazza del popolo” che faceva la commessa. Mentre
erano in luna di miele, la Gestapo aveva scoperto che la nuo-
va Frau Blomberg aveva un passato da prostituta. Peggio an-
cora: aveva posato nuda per il fotografo ebreo con il quale
conviveva. Hitler si sarebbe infuriato: “Se un feldmaresciallo
tedesco sposa una puttana, allora può davvero succedere di
tutto”. L’avevano costretto alle dimissioni. Poco dopo subì la
stessa sorte il comandante supremo dell’esercito, il generale
Werner von Fritsch, falsamente accusato di omosessualità. E
fu dimissionato anche il ministro degli Esteri von Neurath,
per far posto al successore von Ribbentrop. Li accomunava
una sola cosa: l’aver espresso riserve sui piani di conquista
esposti da Hitler nella riunione segreta di cui ci restano solo
gli appunti del colonnello Hossbach.
Donald Trump ha già perso più di metà del suo governo.
Che farà il professor Tria qualora si accorgesse che i suoi da-
tori di lavoro ci sono e non solo ci fanno, ma ci vogliono dav-
vero portare nel baratro?

152

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 152 02/04/19 17:19


11.
Pronostici e profezie

I più non si erano resi conto. Qualcuno però aveva visto


giusto con molto, anzi troppo anticipo. Hitler si vanta-
va a ogni piè sospinto di essere un profeta. Le sue prime
profezie sullo sterminio degli ebrei erano volgari ricatti
per costringere gli altri paesi a farsi carico dei profughi.
La maledizione di tutti i populisti: mantenere le pro-
messe, anche le più atroci.

Si dice che Erich Ludendorff abbia inviato, il giorno del-


la nomina di Hitler a cancelliere, una nota manoscritta al
Presidente Hindenburg, col quale era in rapporti di familia-
rità sin da quando, nella Prima guerra mondiale, condivide-
vano il comando supremo delle armate del Kaiser: “Faccio
una profezia solenne: che quest’uomo maledetto porterà il
Reich nell’abisso e causerà sofferenze inenarrabili alla nostra
nazione. Le generazioni future ti malediranno nella tomba
per quel che hai fatto”. Il generale Ludendorff non era un
tipo raccomandabile, era un reazionario dichiarato, fanatico
e antisemita, nemico giurato della democrazia e della Repub-
blica di Weimar. Ma conosceva bene Hitler: erano stati soci
nel fallito tentativo di putsch a Monaco nel 1923.
Furono in molti a non accorgersi invece granché di quel
che stava succedendo. Non è che si disinteressassero a Hitler
e al suo movimento. Al contrario: sulla stampa non si parlava
d’altro. Il governo Brüning sin dal 1930 aveva dedicato inte-
re sedute ad analizzare e discutere le ragioni della presa elet-
torale e le prospettive politiche del movimento nazista. An-
che la sinistra si era esercitata a capire, non solo a esorcizzare.
Menti egregie, intellettuali prestigiosi, politici con lunga

153

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 153 02/04/19 17:19


esperienza alle spalle furono però colti del tutto di sorpresa
nel 1933. Non recepirono appieno la gravità della sindrome
in atto. Alcuni di loro avrebbero continuato a non accorger-
sene a lungo. Altri invece l’avevano intuito da ben prima che
succedesse. Forse addirittura troppo e troppo presto.
La città senza ebrei è il titolo di un libro pubblicato a
Vienna nel 1922. Un romanzo di dopodomani, recitava il sot-
totitolo. Ebbe un grande successo. Ne furono vendute un
quarto di milione di copie. Due anni dopo ne fu tratto anche
un film. Si riteneva che la pellicola fosse andata ormai perdu-
ta, quando ne fu recentemente scoperta una copia in un mer-
cato delle pulci parigino. La si può vedere integrale su You-
Tube. Ma, credetemi, è meglio il libro (una traduzione
italiana è uscita da Donzelli). L’autore, Hugo Bettauer, era il
rampollo di una famiglia ebraica agiata, originaria della Gali-
zia. Lui si era convertito a diciotto anni al cristianesimo. Ave-
va girato il mondo, aveva acquisito la cittadinanza america-
na, era poi tornato in Europa per fare il giornalista a Berlino.
La città nel romanzo non viene nominata. Ma è la Vienna
di inizio secolo. Tra i malumori creati dalla crisi economica
(“Dopo il cosiddetto risanamento, durato due anni, le finanze
si erano di nuovo ritrovate in disordine”), il popolo elegge alla
carica di cancelliere un populista che promette la soluzione di
tutti i problemi: espellere gli ebrei. I socialdemocratici “si era-
no presentati alle elezioni senza un nuovo programma” e ave-
vano subìto una batosta, alla pari dei comunisti e dei liberali.
“Persino le masse dei lavoratori avevano votato al grido di
‘Fuori gli ebrei!’.”
Il nuovo cancelliere illustra in un appassionato discorso
in Parlamento il decreto “Per l’esclusione di tutti i non aria-
ni”. Impone l’espulsione, nel giro di sei mesi, di tutti i
500.000 ebrei che vivono nel paese. Prevede la pena di morte
per chi cerchi surrettiziamente di restare o tenti di “portare
via somme maggiori di quelle consentite”. Vieta espressa-
mente eccezioni per vecchi e malati, e anche per coloro “che
si sono guadagnati meriti particolari verso lo Stato”. Unica
esenzione prevista quella per “i figli dei figli nati da matrimo-
ni misti”, purché i genitori non si siano di nuovo mischiati

154

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 154 02/04/19 17:19


con ebrei. I socialdemocratici dichiarano che voteranno con-
tro questo documento di “umana ignominia”. Ma vengono
zittiti, bersagliati da cartacce e altri oggetti. La legge viene
approvata persino dall’unico deputato sionista. All’uscita il
cancelliere viene accolto da una folla festante, fanciulle ri-
denti gli offrono fiori, viene baciato e abbracciato. “La sera
si scatena la gioia infinita del popolo.”
È una profezia precisa nei minimi particolari, persino nor-
mativi e legislativi, di quel che sarebbe successo decenni dopo
in Germania. Non basta: ci sono anche i suicidi, i treni in cui
vengono stipati i deportati, “con l’aiuto di locomotive prese
in prestito dagli Stati vicini”, e con l’accortezza di far partire
i convogli “soprattutto di notte” e da “stazioni di manovra
fuori città”. C’è l’entusiasmo, la soddisfazione popolare, “an-
che all’interno della classe dei lavoratori”, se non altro perché
la partenza degli ebrei alleggerisce la carenza abitativa.
L’unica differenza rispetto a quel che poi sarebbe succes-
so davvero è il lieto fine, l’happy ending, che forse l’autore ha
mutuato dal suo lungo soggiorno negli Stati Uniti: senza
ebrei la città va in rovina, languiscono l’economia e la vita
culturale. La gente comincia a provare nostalgia e rimpianto,
gli ebrei vengono richiamati a furor di popolo.
Bettauer avrebbe pagato caro le sue profezie. Fu sotto-
posto a un vero e proprio linciaggio da parte della stampa di
destra, per i suoi romanzi e anche per il settimanale di educa-
zione sessuale che dirigeva, “Er und Sie”, Lui e Lei, “setti-
manale di vita, cultura ed erotismo”, additato come “sozze-
ria” volta a minare la morale della gioventù ariana. Nel 1925
un odontotecnico disoccupato gli sparò e lo uccise. Al pro-
cesso l’assassino fu difeso da un collettivo di avvocati nazisti.
Fu dichiarato malato di mente e liberato dopo quattordici
mesi in manicomio.
Un altro “profeta” notevole fu Siegfried Lichtenstaedter.
Lo abbiamo già incontrato in queste pagine che teorizzava
l’invidia come fattore scatenante dell’odio verso gli ebrei.
Era anche lui ebreo, laureatosi in Giurisprudenza e Lingue
orientali a Erlangen e Lipsia. Di giorno faceva il funzionario
delle Finanze bavaresi, di notte scriveva romanzi pieni di

155

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 155 02/04/19 17:19


pronostici sulle minacce gravanti sulla sua epoca. Secondo
Götz Aly, che me lo ha fatto scoprire, la vita di Lichtenstaedter
ricorda un po’ quella di un altro fantasticatore profetico a lui
quasi suo contemporaneo: Franz Kafka. Incredibile la quanti-
tà di previsioni di cose ancora a venire che era riuscito a im-
broccare. In un’opera in due volumi dal titolo Il nuovo Stato
mondiale, contributo alla storia del XX secolo, la definiva divi-
nazione storica o storiografia del futuro. Pubblicata tra il
1901 e il 1903, l’opera aveva preannunciato per il 1910 lo
sbarco delle truppe italiane a Tripoli (avvenne in realtà nel
1911) e il marasma nei Balcani, “angolo instabile dell’Euro-
pa”. La sua fiction di inizio secolo preannunciava un “racca-
pricciante” massacro perpetrato dai turchi a danno degli ar-
meni in Anatolia nel 1912. Puntualmente si sarebbe
verificato. Aveva correttamente fantasticato un’azione puni-
tiva della Germania contro Praga, e l’Anschluss con l’Austria
per il 1939. Sempre del 1903 è l’incredibilmente esatta pro-
fezia che nel 1945 si sarebbe stabilito a Praga un “commissa-
rio russo per l’Amministrazione dei paesi slavi occidentali li-
berati”. Nel 1926, quando i nazisti erano ancora lontani dal
potere, aveva pubblicato una raccolta di racconti “un po’ se-
ria, un po’ allegra, un po’ vera, un po’ inventata” intitolata
Antisemitica, in cui si prevedeva l’attribuzione agli ebrei del-
le colpe più nefaste. Molti dei suoi pronostici di fantasia si
sarebbero realizzati. Incorse naturalmente anche in qualche
piccolo errore: in uno dei racconti la vicenda che scatena
l’ondata di odio si svolge nel 1999…
A partire dal 1933, Siegfried Lichtenstaedter si adoperò
perché il maggior numero possibile di ebrei lasciasse la Ger-
mania. Invitava a “non ostinarsi in modo ottuso o rassegnato
a restare in un luogo che non apparteneva più agli ebrei”.
“Dio voglia che non sia troppo tardi”, scriveva nel 1937. Ar-
rivò a predire che, a differenza di quanto ci viene raccontato
dell’esodo biblico, stavolta il mare avrebbe potuto anche
non aprirsi per far passare il popolo di Israele e poi richiu-
dersi per distruggere i suoi persecutori. Lui stesso emigrò,
ormai settantatreenne, in Palestina nel 1938. Era pensionato
dal 1932. Ma poi inspiegabilmente decise di tornare in Ger-

156

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 156 02/04/19 17:19


mania. Come molti che vedono lontano era cieco sull’imme-
diato? Come nome ebraico imposto allora per legge al posto
del teutonico Siegfried non volle prendere Israel bensì Sami.
Nel giugno 1942 fu deportato a Theresienstadt, dove morì
nel dicembre dello stesso anno.

Il Novecento è il secolo delle grandi profezie letterarie.


Fu spesso la fantasia degli scrittori a vedere con più chiarez-
za quel che stava per succedere. A volte con notevole antici-
po. Noi di Evgenij Zamjatin era stato scritto a Mosca nel
1920. Immaginava uno “Stato unico”, retto da un “Grande
benefattore”, rieletto per la quarantottesima volta dai suoi
beneficati, all’unanimità dopo che sono stato estirpati i “ne-
mici della felicità”. Non si riferisce esplicitamente alla Russia
sovietica. Intuirono di cosa trattava e non gli permisero di
pubblicarlo (un’edizione integrale in Russia sarebbe uscita
solo nel 1988, giusto alla vigilia della caduta dell’Urss). Lui si
rivolse nel 1931 personalmente a Stalin, chiedendo il per-
messo di emigrare. Gli fu concesso. A Parigi, dove avrebbe
vissuto fino alla fine dei suoi giorni (nel 1937), scrisse poco.
Ma si fece un’autointervista ironica – ritrovata e pubblicata
solo nel 1972 – sul senso del suo romanzo: “Una volta nel
Caucaso sentii raccontare una favola persiana in cui si parla-
va di un gallo che cantava un’ora prima degli altri galli. Dava
così fastidio che il padrone gli tirò il collo. Noi è un po’ come
quel gallo persiano…”.
Altre due grandi distopie profetiche, 1984 di George
Orwell e No, il mondo degli accusati di Walter Jens sono più
tarde, furono pubblicate rispettivamente nel 1949 e 1950. In
qualche modo sono profezie post factum. Parlano di incubi
totalitari proiettati nel futuro, ma sulla base di cose che han-
no percepito nel loro presente o nel loro immediato passato.
La profezia consiste nel cogliere, o interpretare in altra luce,
cose che erano sfuggite, o non erano state notate a sufficien-
za, neanche da coloro che quegli avvenimenti li avevano sot-
to gli occhi, li vivevano in diretta. In 1984 c’è anche la mani-
polazione della storia e la manipolazione della lingua, il

157

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 157 02/04/19 17:19


“newspeak” che serve – avrebbe spiegato lo stesso Orwell –
“a far sembrare verità le bugie e rispettabile l’assassinio”.
Parrebbe lo stesso argomento di cui si occupa Victor Klem-
perer nella Lingua Tertii Imperii. In Nein, del professore di
retorica Jens, si immagina una società da incubo retta da un
Giudice supremo nella quale tutti sono o accusati, o testimo-
ni contro gli accusati, o giudici. C’è però chi ha osservato
che, specie in Germania, entrambi i romanzi furono letti
all’epoca della loro uscita come denuncia dello stalinismo,
più che del nazismo, che pure era fresco nell’esperienza.
Molte profezie partorisce l’ironica fantasia di Erich
Kästner. Ne ha una tremenda il romanzo Fabian. Storia di un
moralista ovvero l’andata a puttana (o anche come suggeriva
Cesare Cases “l’andata a remengo”), pubblicato da Marsilio
nel 2010. Il protagonista sogna di una “macchina enorme...
intorno alla quale si affaccendano operai seminudi, armati di
badili, che infornavano centinaia di migliaia di piccoli bam-
bini in una caldaia gigantesca in cui ardeva un vivissimo fuo-
co” e di altre scene infernali e di distruzioni belliche. Il ro-
manzo fu pubblicato nel 1931. Come faceva Kästner a
prevedere Auschwitz, la Seconda guerra, i bambini inforna-
ti, le città che bruciano distrutte dai bombardamenti?
Non occorre nemmeno che le profezie siano esplicite e
particolareggiate. Né che le profezie siano ex ante. Ancora
più efficaci sono quelle criptiche, come i responsi della Pizia
dell’Oracolo di Delfi. Credo che nessuno abbia saputo esse-
re profeta delle angosce profonde di quei tempi, e anche del
nostro tempo, quanto Franz Kafka. Hans Fallada è un eccel-
lente testimone della Germania degli anni trenta, ma ancor
più profetico degli altri romanzi è forse l’autobiografico Il
bevitore, pubblicato nel dopoguerra. Non parla esplicita-
mente di politica. Racconta di una discesa personale, indivi-
duale, nell’inferno della tossicodipendenza, martella impie-
tosamente su quanto questa passi per la menzogna, il mentire
continuamente agli altri, ma innanzitutto a se stessi. La men-
zogna più grande consiste nel dirsi in continuazione: posso
smettere quando voglio. Era anche la grande menzogna col-

158

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 158 02/04/19 17:19


lettiva che raccontavano a sé stessi i tedeschi dal 1933 in poi.
Stiamo continuando a raccontarcela?

Trovo a volte qualcosa di profetico anche nelle favole.


Nella favola dei fratelli Grimm, che ebbe molta fortuna all’e-
poca del Terzo Reich, i bambini di Hamelin seguono incan-
tati, anzi gioiosi il Pifferaio che li sta trascinando nel burro-
ne. Così i tedeschi seguirono volenterosi Hitler che li portava
alla catastrofe. La cosa più strana, e più difficile da spiegare,
è un’altra: come mai in tanti continuarono a credere cieca-
mente in Lui anche quando nel burrone erano già precipita-
ti. Fanatismo? Abitudine? Paura? Mancanza di alternative?
Una favola scritta da un geniale populista americano di
inizio Novecento dà una possibile risposta. Sul finire del ro-
manzo, il terribile Mago di Oz viene smascherato per quel-
lo che è: un imbroglione. Che però gode del consenso per-
ché dà alla gente quello che la gente desidera. È lui stesso a
confessare di essere solo un ciarlatano agli eroi della favola:
la bambina, lo spaventapasseri e l’uomo di latta. E quelli a
chiedergli dopo un po’, imperterriti, ancora un piccolo mi-
racolo...

Ricatti a mezzo profezia

Hitler ci teneva molto a passare da profeta. La più famo-


sa e agghiacciante è la profezia pronunciata il 30 gennaio
1939 nel discorso al Reichstag: “Sono stato sovente profeta
nel corso della mia vita. Sovente hanno riso di me, ma ho
sempre visto giusto. All’epoca della lotta per il potere gli
ebrei ridevano di me quando dicevo che avrei assunto la lea-
dership della nazione… Ridevano forte, ma ora quella risata
gli si è spenta in gola. Voglio essere ancora una volta profeta:
se la finanza internazionale ebraica, in Europa e fuori, doves-
se riuscire ancora una volta a far precipitare il mondo in una
guerra, allora il risultato non sarebbe la bolscevizzazione del

159

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 159 02/04/19 17:19


pianeta, e quindi la vittoria dell’ebraismo, ma la distruzione
della razza ebraica in Europa”.
Ci sarebbe tornato ripetutamente. Nel discorso alla “vec-
chia guardia” nazista a Monaco dell’8 novembre 1941: “Pos-
sono [gli ebrei] ancora riderne oggi, come hanno riso delle
altre mie profezie. Ma i prossimi mesi e anni dimostreranno
che anche in questo ho visto giusto”. Era in corso l’Opera-
zione Barbarossa contro l’Unione Sovietica, le Einsatzgrup-
pen, le unità operative composte da uomini delle SS, della
polizia e della Wehrmacht stavano già procedendo al massa-
cro sistematico di ebrei e comunisti nelle zone conquistate. E
poi ancora il 30 settembre 1942, quando già lo sterminio
procedeva a pieno regime: “Sappiamo che questa guerra può
finire con lo sterminio dei popoli ariani, o con la scomparsa
degli ebrei dall’Europa… questa guerra – e sapete che non
faccio previsioni avventate – non finirà come hanno immagi-
nato gli ebrei, bensì con la distruzione del giudaismo. Mette-
remo per la prima volta in atto il vecchio detto ebraico: oc-
chio per occhio, dente per dente…”. E ancora: “Dichiarai
che... gli ebrei sarebbero stati annientati... Gli ebrei risero
nuovamente in Germania delle mie profezie. Non so se stia-
no ancora ridendo, o se la loro risata si sia spenta. Ma questo
solo posso affermare: la loro risata si spegnerà dovunque”. E
ancora, nel febbraio 1943: “Mi hanno sempre deriso come
profeta. Moltissimi di coloro che allora risero oggi non rido-
no più, e quelli che ancora ridono forse tra poco non ride-
ranno più”.
Strana ossessione, per i nazisti, questa del ridicolo, del far
spegnere le risate degli avversari. Anche Goebbels così regi-
strava compiaciuto nel suo diario nel 1933 la “conquista di
Berlino”, la città in cui i nazisti avevano avuto più difficoltà
ad affermarsi, e avevano dovuto a lungo assediare dalle
“campagne”: “La nostra fortuna fu che i marxisti e la stampa
ebraica non ci presero sul serio per tutto quel periodo […].
In seguito avrebbero dovuto spesso e amaramente rimpian-
gere di non averci assolutamente conosciuti o, quando ci co-
noscevano, di aver solo saputo sorridere di noi…”.
Si è molto romanzato sulle superstizioni di Hitler, la sua

160

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 160 02/04/19 17:19


passione per l’occulto, la frequentazione del “mago” (in real-
tà cabarettista illusionista) di origine ebraica Erik Jan Ha-
nussen che gli aveva predetto le vittorie elettorali del 1932, la
nomina a cancelliere, e poi era misteriosamente sparito. In
realtà non occorreva essere chiaroveggenti per “vedere”
quello, sarebbe forse bastato essere un pochino meno ciechi.
Volendo si potrebbero trovare profezie ovunque. Divertenti,
quanto del tutto insulse, tanto per fare un esempio, le nume-
rosissime profezie su Hitler e dintorni che qualcuno s’è dato
la pena di reperire nelle quartine cinquecentesche di Nostra-
damus. Qui sono interessato a un altro tipo di profezia: quel-
la che enuncia un programma, assume l’aspetto di una pro-
messa. È noto: la promessa di Hitler riguardo gli ebrei fu
mantenuta, la profezia venne spietatamente realizzata. Meno
noto è il contesto in cui fu formulata la prima volta nel 1939:
un vero e proprio ricatto al resto dell’Europa e al mondo in
tema di accoglienza agli immigrati.
C’era stata l’anno prima la Conferenza sull’emigrazione a
Evian, con la partecipazione di 32 paesi, invitati ad accollarsi
una quota degli ebrei di cui i nazisti volevano sbarazzarsi.
L’aveva promossa Roosevelt, sotto pressione perché l’opinio-
ne pubblica americana era allarmata dalla campagna populi-
sta contro l’“invasione” di profughi. Roosevelt stava per can-
didarsi per la terza volta alla Casa Bianca. Temeva di essere
sconfitto sul tema immigrazione. A Evian c’era stata gran
bella retorica sulla necessità di accogliere i profughi e sulla
condivisione dell’onere. Ma nulla di fatto, tutti nicchiavano,
specie dopo che il governo tedesco aveva annunciato che
non avrebbe più consentito agli ebrei di portare fuori risorse
finanziarie. Erano in corso negoziati tra Berlino e inviati di
Washington per il finanziamento dell’emigrazione di 150.000
ebrei, che sarebbero stati raggiunti in seguito dalle famiglie.
Hitler minacciò di far saltare tutto perché c’erano “paesi ter-
zi che di punto in bianco rifiutano di accogliere ebrei, ac-
campando ogni possibile scusa”. Come dire: se non ve li ac-
collate, li stermino. Fossero stati in mare avrebbe detto: se
non li prendono tutti, un po’ per uno, non li faccio sbarcare,
piuttosto affoghino.

161

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 161 02/04/19 17:19


Il linguaggio becero, la maschera da cattivo, le sparate re-
toriche, le iperboli sono una componente costante del lin-
guaggio populista. Servono a “parlare come il popolo”, a
“farsi capire dal popolo”. Ma non sono mai neutri, innocen-
ti. La propaganda costringe chi la fa a mantenere la parola,
osservava lo storico tedesco Martin Broszat a proposito della
retorica incendiaria e apocalittica di Hitler. Notava che la
popolarità di Hitler era dovuta in buona misura al fatto che
diceva apertamente, brutalmente, a voce alta quello che la
sua audience pensava tra sé e sé. Hai voglia ad assumere pose
da moderato, da statista una volta giunto al governo, se pri-
ma per anni hai sbraitato contro gli ebrei attribuendogli la
volontà di distruggere e assassinare la Germania, dandogli
dei parassiti, sanguinari, vermi, bacilli che infettano la nazio-
ne, oppure te la sei presa con gli immigrati, dandogli dei de-
linquenti, stupratori, terroristi, portatori di malattie.
Quello che dicono prima di andare al governo non sono
sempre parole al vento. Sarà meglio prenderne nota. È ricor-
rente l’illusione (o la speranza) che certe esuberanze siano
solo esagerazioni, artifici retorici, intemperanze passeggere,
iperboli appunto. Ma c’è un tratto comune ai populisti che
arrivano al governo: la smania di mantenere le promesse fat-
te in campagna elettorale, fare quello che hanno detto, ca-
schi il mondo, costi quello che costi. Come se avessero il ter-
rore di essere tacciati di inadempienza, volessero distinguer-
si dai loro predecessori accusati di dire una cosa e farne
un’altra. Trump aveva promesso il Muro antimigranti, e su
quello continua a testa bassa, a costo di sbattere contro lo
shutdown del governo, aveva promesso protezionismo, e
procede imperterrito nell’imporre tariffe doganali, incurante
delle conseguenze sull’economia mondiale… Salvini aveva
promesso di fermare gli sbarchi, di mettere fine ai diktat
dall’Europa… Leggo ogni tanto che l’opposizione li rimpro-
vera di non aver adempiuto le promesse. Visto gli anteceden-
ti, davvero non saprei se dobbiamo davvero augurarci che
mantengano quello che hanno detto e hanno promesso.

162

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 162 02/04/19 17:19


Contare fino a mille

Per marcare la discontinuità con i governi precedenti, la


Germania nazista aveva deciso di chiamarsi Terzo Reich. I
nazisti si dicevano rivoluzionari. A noi, che di superamenti
della Prima Repubblica ne abbiamo già avuto annunciati
non so più quanti, ultimamente a ritmo accelerato, una nuo-
va Repubblica e un cambiamento rivoluzionario quasi ogni
giorno, può sembrare modesto che la Germania hitleriana si
sia fermata appena alla Terza. La Francia, che di rivoluzioni
vere ne ha fatte parecchie, è ferma alla Quinta, la Repubblica
presidenziale di De Gaulle. In compenso noi siamo più sobri
sulla durata, si ragiona in termini vaghi, tipo “a lungo”, o in
termini di “legislatura”, se proprio ci si vuole “allargare”, co-
me dicono a Roma. Vero: qualcuno ha detto “decenni”, anzi
“per sempre”, ma è stata presa come battuta di spirito, non
come profezia, nemmeno come pronostico benaugurale. Il
Terzo Reich doveva durare un millennio e di più. Ragionava-
no a grandi numeri. “La difesa dell’Europa dal bolscevismo
è il nostro compito per i prossimi duecento o trecento anni”,
aveva detto Hitler a tre vescovi cattolici che aveva ricevuto
nel 1934, appena qualche giorno prima della “Notte dei lun-
ghi coltelli”. Darsi tempi secolari o addirittura millenari de-
nota un bel po’ di insicurezza. Sarebbe in realtà durata poco,
una dozzina di anni appena, dal 1933 al 1945. Un soffio. Ma
anche la riprova che è possibile fare danni incalcolabili in
pochissimo tempo.

L’era Trump potrebbe durare trent’anni, diceva l’efficace


titolo dell’articolo di uno dei più autorevoli commentatori
del “Financial Times”, Gideon Rachman. Per “Era Trump”
intendeva non solo e non tanto la Presidenza degli Stati Uni-
ti (che comunque più di due mandati, cioè otto anni, non
può durare), ma la più generale “era populista”, quella della
Brexit, del marasma in Europa, di Bolsonaro in Brasile, di
Orbán in Ungheria, di Salvini in Italia, degli altri ammiratori
di Trump nel mondo. Era evidentemente una provocazione,

163

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 163 02/04/19 17:19


forse anche un po’ scaramantica. Abbiamo avuto, a partire
dal secolo scorso, cicli che sono durati effettivamente diversi
decenni: le trente glorieuses, i trenta anni di crescita impe-
tuosa in Occidente dal 1945 al 1975, poi l’era neo-liberista di
Reagan e della Thatcher, a sua volta screditata dalla crisi fi-
nanziaria globale del 2008. In Cina al trentennio maoista era
seguita l’era dell’apertura economica di Deng Xiaoping, che
sostanzialmente è ancora in corso. Ora i nodi stanno venen-
do di nuovo al pettine, potrebbe esserci nell’aria una nuova
svolta. Ma per durare un trentennio l’“era populista” do-
vrebbe essere in grado di mantenere non solo e non tanto il
momento elettorale (cosa anche possibile), ma la promessa
dello sviluppo (cosa che al momento è in dubbio).

Il fascino delle grandi democrazie rappresentative è che


i trend elettorali vanno e vengono. Nessuno può essere si-
curo di vincere l’elezione successiva, neanche se ne ha la
certezza, o magari l’ha provocata. Cambia, si alterna chi sta
al governo. Arthur Schlesinger, grande studioso dei cicli
politici, scriveva di “pendolo” a proposito dell’alternarsi di
cicli di apertura e chiusura nella democrazia americana. Ma
neanche la pendolarità è una certezza. Nulla garantisce che
il meccanismo che abbiamo assunto sinora come modello
continui a funzionare. Quello a cui stiamo assistendo po-
trebbe anche essere sintomo di una sindrome più grave e di
più lunga durata. Lo psicanalista freudiano ortodosso Eri-
ch Fromm, costretto a fuggire dalla Germania l’anno suc-
cessivo all’ascesa al governo di Hitler perché ebreo, aveva
individuato pulsioni profonde all’origine della generalizza-
ta “fuga dalla libertà” nell’Europa di quegli anni. Yascha
Mounk nel suo brillante Popolo vs Democrazia torna a ve-
dere una fuga generalizzata dalla democrazia liberale, che
ci eravamo abituati, anzi adagiati a ritenere irreversibile,
almeno in Nordamerica e in Europa occidentale. Anche
nella Germania di Weimar si erano adagiati a considerare
irreversibile la democrazia rappresentativa, le libere elezio-

164

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 164 02/04/19 17:19


ni, la concorrenza tra più partiti. Invece più votavano più si
impantanavano. S’è visto come andò a finire.

Pronostici? Nessuno. Lo scopo di questo libro non era


fare pronostici, tanto meno profezie. Non servirebbe co-
munque a molto. Cassandra, la figlia di Ecuba e Priamo, ave-
va il dono di fare profezie veridiche, ma nessuno le credeva.
Quando annunciò la caduta di Troia per poco la linciavano.
Si sa che i profeti sono antipatici, soprattutto alla propria
gente (nemo propheta in patria). Rischiano di passare per la-
gnosi o per menagramo. Popolarissimi sono invece in genere
i falsi profeti. La divinazione era in grande auge nell’antica
Cina e nell’antica Roma. Poi, verso il IV secolo dell’impero
romano venne severamente proibita. C’era la pena di morte
per gli indovini, gli aruspici, gli astrologi (mathematici), in-
somma per tutti coloro che predicevano il futuro, e, tranne
per un breve periodo, anche per tutti quelli che li consulta-
vano. La ragione, convergono gli studiosi, è principalmente
politica: chi è al potere non vuole che circolino previsioni, se
non ufficiali e autorizzate, sul proprio conto.
Le analogie non sono previsioni. Che sia andata una vol-
ta, in circostanze simili, in quel modo, non significa che deb-
ba andare allo stesso modo. Incrociando le dita, potrebbe
andare anche peggio. Per dirla con Shakespeare: “O Dei!
Chi può dire “Sono al peggio”? / Io sto peggio di come mai
sia stato / E posso stare anche peggio; / non siamo al peggio
finché possiamo dire / “questo è il peggio”.

O gods! Who is’t can say “I am at the worst”?


I am worse than e’er I was.
….
So and worse I may be yet: the worst is not
long as we can say “This is the worst”.

King Lear, atto IV, scena I.

165

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 165 02/04/19 17:19


Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 166 02/04/19 17:19
Letture su 1933 e dintorni

Tutto quello che volete sapere (e anche qualcosa di cui


fareste volentieri a meno) sul potere cognitivo delle analogie
lo trovate in Surfaces and Essences: Analogy as the Fuel and
Fire of Thinking (Superfici ed Essenze: l’analogia come car-
burante e fuoco del pensiero) di Douglas Hofstadter ed Em-
manuel Sander (Basic Books 2013). A proposito di analogie,
trovo molto di analogo al mio nel modo di affrontare gli anni
trenta in rapporto alla nostra attualità nel documentatissimo
Sintomi morbosi. Nella nostra storia di ieri i segnali della crisi
di oggi dello studioso di Storia europea comparata Donald
Sassoon (Garzanti 2019), che purtroppo ho avuto modo di
scoprire solo quando ormai questo libro era già in bozze.

Il boom anni trenta

La letteratura su “Germania 1933”, caduta della Repub-


blica di Weimar, presa del potere da parte dei nazisti, Hitler
al governo è sterminata. Qui mi limito a elencare, sperando
che sia utile al lettore, ma senza la minima pretesa di comple-
tezza, solo alcuni dei titoli a cui mi sono rifatto, indicando
dove esiste, la traduzione italiana.
Alla classica Storia del Terzo Reich dell’allora corrispon-
dente della Cbs a Berlino William Shirer, pubblicata nel 1960,

167

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 167 02/04/19 17:19


considerata a lungo il testo di riferimento, e più volte ristam-
pata in traduzione italiana da Einaudi, si sono aggiunte molte
altre opere di ampio respiro, trattazioni globali che mirano a
essere esaustive. C’è chi ha notato che nel campo degli studi
sul Terzo Reich, e specie per le biografie di Hitler, si va a cicli.
A momenti di stanca, in cui sembra sia già stato detto tutto
quel che si poteva dire, seguono momenti di rinnovato interes-
se, anzi di vero e proprio boom, a detta dei curatori dell’ulti-
ma edizione del Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, pubblica-
to dall’Istituto per la Storia contemporanea di Monaco e
Berlino, dedicato alle nuove ricerche su Hitler (German
Yearbook of Contemporary History. Hitler New Research, vo-
lume 3, 2018). A quanto pare siamo nel pieno di un nuovo
boom, almeno dal 2015 in poi. Non si fa che pubblicare e
scrivere sugli anni trenta, sul fascismo e su Mussolini, su Hit-
ler e sul nazismo. Visti i tempi, il vento che tira, e le novità
politiche da un capo all’altro del pianeta, forse succede
pour cause. Del resto non faccio fatica a confessare che l’in-
terpretazione in termini di déjà vu in questo libro viene
dall’attualità.
E forse non è un caso nemmeno che molti autori delle ri-
cerche più recenti non siano storici di professione ma gior-
nalisti. Ad esempio, storico e giornalista (del “Die Zeit” di
Amburgo) è Volker Ullrich, autore di una nuova monumen-
tale opera su Hitler, in tre ponderosi volumi, di cui il primo,
di oltre mille pagine, è uscito nel 2013 in tedesco (ce n’è una
traduzione in inglese, Hitler. Volume I: Ascent 1889-1939,
ma non ancora in italiano). Altrettanto monumentali gli stu-
di, sempre dedicati a Hitler pubblicati nel 2015 dagli storici
tedeschi Wolfram Pyta e Peter Longerich.
E dire che era parso che il mercato per le biografie di Hit-
ler fosse ormai saturo quando nel 1998 uscì in due enormi
volumi Hitler di Ian Kershaw (ora disponibile in volume uni-
co da Bompiani). Sempre di Kershaw, Laterza aveva pubbli-
cato nel 1997 una sintesi dal titolo molto (forse troppo) pro-
mettente: Hitler e l’enigma del consenso (il titolo originale è
Hitler e basta). Un altro volumetto agile ma denso, The Hit-
ler of History, del 1997, è quello dello storico americano di

168

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 168 02/04/19 17:19


origine ungherese John Lukacs, autore nel 2005 di un pre-
veggente Democracy and Populism. Solo a elencare quello
che è stato pubblicato di biografie di Hitler occorrerebbe un
volume assai più ampio di quello che avete sottomano. Qui
non si è trattato per nulla di argomenti tipo la personalità di
Hitler, la vita privata di Hitler, la biblioteca di Hitler, le ma-
nie di Hitler e così via. Le analogie toccano l’azione politica, i
fatti, non i personaggi. Per cui mi limito a segnalare, tra le ope-
re di carattere generale da cui ho tratto riferimenti, il freschis-
simo Thomas Childers, The Third Reich: A History of Nazi
Germany, Simon & Schuster, 2017 (non ancora disponibile in
italiano).

Le elezioni

Uno dei temi che più mi ha appassionato è quello delle


elezioni. Sempre di Childers, da poco in pensione dopo
aver insegnato nelle principali università in America e in
Europa, per ultimo alla University of Pennsylvania, uno
studio estremamente dettagliato dell’elettorato nazista: The
Nazi Voter: The Social Foundations of Fascism in Germany,
1919-1933, The University of North Carolina Press, 2010.
Era stato preceduto negli anni ottanta dall’altrettanto den-
so Who Voted for Hitler? di William Hamilton, Princeton
University Press, 1982. Ho trovato ancora utilissimo il vec-
chio The Collapse of the Weimar Republic di David
Abraham (e soprattutto la seconda edizione da cui ho trat-
to le tabelle a p. 64), Holmes & Meier, 1986), da cui ho
tratto le cifre sulle coalizioni potenziali e attuali, nel para-
grafo “È la coalizione, stupido!”. Trovo assolutamente af-
fascinante la complessità dei flussi elettorali nella Repub-
blica di Weimar, che smentisce ogni semplificazione. Per
Hitler avevano votato non solo i piccolo borghesi e i botte-
gai arrabbiati, e non tanto i capitalisti come voleva la vulga-
ta di sinistra, ma elettori di ogni origine sociale, compresi
moltissimi operai, oltre a buona parte dei disoccupati. Ave-
vano votato i protestanti ma non i cattolici. Avevano votato

169

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 169 02/04/19 17:19


in certe regioni, ma non in altre. Per una discussione estesa
delle diverse posizioni e degli approfondimenti emersi in
decenni di ricerche sul tema: Gary King, Ori Rosen, Martin
Tanner, Alexander F. Wagner, Ordinary Economic Voting
Behavior in the Extraordinary Election of Adolf Hitler, in
“The Journal of Economic History”, volume 68, n. 4, de-
cember 2008. Un’estesa analisi sulle basi sociali del voto
partito per partito, e non solo per quello nazista: The Social
Bases of Political Cleavages in the Weimar Republic, 1919-
1933 di Jürgen W. Falter, in “Historical Social Research”,
Supplement, 2013; e William Brustein, The Logic of Evil:
The Social Origins of the Nazi Party, 1925-1933, Yale Uni-
versity Press, 1998.
Il testo di Kurt Tucholsky sul moltiplicarsi di partiti e
partitini è adattato da Antonella Ottai per lo spettacolo Gro-
tesk! Ridere rende liberi, basato sul suo Ridere rende liberi.
Comici nei campi nazisti (Quodlibet 2016) e interpretato e
diretto da Bruno Maccallini. Così come la scena di Kabarett
sul barbiere.

Il populismo al governo

Sulle vicende politiche, le manovre, gli intrighi che porta-


rono Hitler alla cancelleria il riferimento resta I trenta giorni
di Hitler dello storico dell’Università di Yale Henry Ashby
Turner Jr. (Mondadori, 1997). Suo anche lo studio su Ger-
man Big Business and the Rise of Hitler, Oxford University
Press, 1985, che smentisce il mito per cui furono gli indu-
striali tedeschi a portare Hitler al governo. Certo, alcuni di
loro lo avevano finanziato, quasi tutti si accodarono e ci gua-
dagnarono, ma era stata la politica, compresa la politica sba-
gliata del centro e quella suicida della sinistra, a portarlo al
governo, non la finanza. Altro punto di riferimento essenzia-
le sul 1933 l’agile ma denso Germans into Nazis, (Harvard
University Press, 1998) del professore di origine tedesca
dell’Università dell’Illinois Peter Fritzsche. Suoi anche il leg-
gibilissimo Vita e morte nel Terzo Reich, Laterza 2010, da cui

170

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 170 02/04/19 17:19


ho attinto le notizie sull’Heil Hitler! e su alcuni aspetti del
consenso, e Rehearsals for Fascism: Populism and Political
Mobilization in Weimar Germany, Oxford University Press,
1990, sullo sfaldamento dei partiti del Bürgerblock, il cen-
tro-destra “borghese”, culminato con elezioni del 1930. Un
testo di riferimento sullo squagliamento dei vecchi partiti di
centro e centro-destra resta: Larry Eugene Jones, German
Liberalism and the Dissolution of the Weimar Party System,
1918-1933, University of North Carolina Press, 1988.
Sul “socio” di Hitler nel contratto di governo del 1933, il
magnate dei media e capo del Partito nazionale del popolo
tedesco, Alfred Hugenberg, lo studio più recente è: The Fa-
teful Alliance: German Conservatives and Nazis in 1933: the
Machtergreifung in a New Light di Hermann Beck, Berghahn
Books, 2008. Documenta con dovizia soprattutto la rottura e
lo spesso violento sgomitamento del Dnvp di Hugenberg da
parte del Nsdap di Hitler nei mesi immediatamente successi-
vi all’andata insieme al governo. In confronto il comporta-
mento della Lega di Salvini nei confronti dei 5 Stelle di Di
Maio è un campione di lealtà e savoir faire. Ma anche su que-
sto aspetto mi sono servito molto di un testo più vecchio:
Larry Eugene Jones, The Greatest Stupidity of My Life: Al-
fred Hugenberg and the Formation of the Hitler Cabinet, Ja-
nuary 1933, in “Journal of Contemporary History”, vol. 27,
1992; così come, sempre di Jones, Franz von Papen, Catholic
Conservatives, and the Establishment of the Third Reich,
1933-1934, in “Journal of Modern History”, 83, giugno
2011.
Sul dibattito in seno alla sinistra resta insuperato lo stu-
dio di Gian Enrico Rusconi su La crisi di Weimar. Crisi di si-
stema e sconfitta operaia pubblicato da Einaudi nel 1977. Più
recente è German Social Democracy and the Rise of Nazism di
Donna Harsch, The University of North Carolina Press,
1993 e una scelta di fonti c’è in The German Left and the
Weimar Republic. A Selection of documents, a cura di Ben
Fowkes (Haymarket Books, 2014). Ma ho attinto molto allo
studio di parecchio precedente di Lewis J. Edinger, German
Social Democracy and Hitler’s National Revolution of 1933: A

171

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 171 02/04/19 17:19


Study in Democratic Leadership, “World Politics”, Volume 5,
Issue 3, aprile 1953.

Rossobrunismo

Un discorso a sé, spesso trascurato, è quello sulle conver-


genze oggettive, e talvolta soggettive, tra sinistra estrema e
nazisti. Oggi si è soliti chiamarlo “rossobrunismo”. Il tema,
con ampi riferimenti al “bolscevismo prussiano” di Otto
Strasser e di altri esponenti dell’estrema destra nazionalista
tedesca, viene affrontato in un saggio scritto in pieno fasci-
smo da Delio Cantimori, all’epoca probabilmente già comu-
nista, ripubblicato recentemente in Carl Schmitt, Stato, mo-
vimento, popolo. Con un saggio sul nazionalsocialismo di
Delio Cantimori (Si24, 2018). Tra gli studi più recenti sull’ar-
gomento: Pamela E. Swett, Neighbors and Enemies: The Cul-
ture of Radicalism in Berlin, 1929-1933, Cambridge Univer-
sity Press, 2004; Conan Fischer, The German Communists
and the Rise of Nazism , St. Martin’s Press 1991; e ancora:
Eve Rosenhaft, Beating the Fascists?: The German
Communists and Political Violence 1929-1933, Cambridge
University Press, 1983.

Caro Diario

Sono un’infinità le testimonianze fornite dai diari, dalle


lettere, dai reportage, persino dalle opere di fiction dei con-
temporanei. La scelta ovviamente è estremamente parziale.
Gli articoli di Simenon sull’Europa del 1933 sono raccolti
nel volume Mes Apprentisages, Reportages 1931-1946, a cura
di Francis Lacassin (Omnibus, 2016). Sulla gran fuga dalla
democrazia nell’Europa tra le due guerre: Conan Fischer,
Europe Between Democracy and Dictatorship 1900-1945, Wi-
ley-Blackwell, 2011.
Riguardo l’ossessione dell’epoca per serial killer e delitti
sessuali: Maria Tatar, Lustmord: Sexual Murder in Weimar

172

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 172 02/04/19 17:19


Germany (Princeton University Press, 1997), con imponente
documentazione iconografica.
Di molti dei giudizi di visitatori stranieri sulla Germania
degli anni trenta sono debitore al bel libro di Luigi Forte,
Berlino città d’altri. Il turismo intellettuale nella Repubblica
di Weimar, Neri Pozza, 2018, a Reisen ins Reich:1933 bis
1945 – Ausländische Autoren berichten aus Deutschland,
Eichborn, 2004, a cura di Oliver Lubrich (tradotto anche in
inglese: Travels in The Reich 1933-1945, The University of
Chicago Press 2004), e a Travellers in the Third Reich: The
Rise of Fascism Through the Eyes of Everyday People di Julia
Boyd, Elliott & Thompson, 2018. I diari del sindacalista
americano Abraham Plotkin sono stati ritrovati negli archivi
della Cornell University e commentati da Catherine Collomp
e Bruno Groppo in An American in Hitler’s Berlin: Abraham
Plotkin’s Diary, 1932-33, University of Illinois Press, 2009.
Un classico è La peste Brune del militante trotskista Daniel
Guérin sul suo viaggio in Germania tra 1932 e 1933, da non
confondersi con La peste bruna. Diari 1931-1935 di Klaus
Mann, figlio di Thomas Mann e nipote di Heinrich Mann.
Sui diari di protagonisti e personaggi con ruoli di primo
piano nelle fasi iniziali del regime e che poi divennero pro-
fughi (Putzi Hanfstaengl, intimo di Hitler della prima ora,
poi suo addetto stampa, Rudolf Diels, il primo capo della
Gestapo) e su quelli degli osservatori stranieri che li fre-
quentavano (Martha, la figlia brillante e avvenente dell’am-
basciatore americano Wiliam Dodd, i suoi principali colla-
boratori, i corrispondenti esteri nella Berlino di quegli
anni), si basano due magnifiche ricostruzioni, rigorose nel-
le fonti e al tempo stesso leggibili come se fossero romanzi:
1933. L’ascesa al potere di Adolf Hitler di Philip Metcalfe
(Neri Pozza, 2018, ma pubblicato per la prima volta in
America nel 1988) e Il giardino delle bestie: Berlino 1934 di
Erik Larson (Neri Pozza, 2014). A chi avesse voglia di leg-
gere solo un libro soltanto sulla Germania del 1933-34,
consiglierei uno di questi due. Ne ho goduto la lettura e vi
ho attinto senza scrupoli.
Un discorso a parte meriterebbero le testimonianze e i

173

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 173 02/04/19 17:19


diari di chi fu nazista convinto. Nel 1934, a giusto un anno
dalla nomina di Hitler, Theodore Abel, un sociologo della
Columbia University di origine ebraica, si era rivolto diretta-
mente al governo tedesco per poter condurre un’indagine
sulle motivazioni dell’adesione al Partito nazionalsocialista.
Il ministero per la Propaganda di Goebbels decise di aiutar-
lo. Lui inviò circa 600 questionari. Era prevista una ricom-
pensa in denaro per “le migliori storie di vita di aderenti al
movimento di Hitler”. Dalle risposte ai questionari Abel ri-
cavò Why Hitler Came to Power, pubblicato per la prima
volta nel 1938 e più di recente ripubblicato con una prefa-
zione di Thomas Childers (Harvard University Press, 1986).
Anche Milton Mayer, ebreo di origine tedesca, giornalista,
sociologo in America, si era recato nel 1935 per un mese a
Berlino, ospite dell’ambasciatore Dodd, per cercare di capi-
re cosa stava succedendo. Aveva inutilmente cercato di inter-
vistare Hitler. Ci sarebbe tornato all’inizio degli anni cin-
quanta a intervistare alcuni ex nazisti convinti, gente del
popolo, bancari, insegnanti, negozianti, artigiani, poliziotti,
studenti. Il risultato è They Thought They Were Free. The
Germans. 1933-1945, ora ripubblicato con la postfazione di
Richard J. Evans dalla University of Chicago Press. William
Sheridan Allen avrebbe negli anni cinquanta passato alcuni
mesi in un borgo dello stato di Hannover con appena dieci-
mila abitanti. Ne sarebbe scaturito Come si diventa nazisti,
più volte ripubblicato da Einaudi.
Infine, ci sono i diari dei dirigenti nazisti, o amici dei na-
zisti, più o meno apologetici, più o meno pentiti. Goebbels
teneva un diario e periodicamente lo rimaneggiava per la
pubblicazione, in funzione di autopromozione. Hanno scrit-
to memorie Papen, Weizsäcker, Speer, Schacht, e anche mili-
tari come il feldmaresciallo Keitel e l’ammiraglio Dönitz.
Tutti ovviamente da prendere con le pinze. Così come le Me-
morie di Gerusalemme di Adolf Eichmann, le memorie sotto
la forca, Im Angesicht des Galgens, del boia di Varsavia Hans
Frank o Comandante ad Auschwitz di Rudolf Höss, pubbli-
cato da Einaudi con una prefazione di Primo Levi. Un’araba
fenice, una bufala ricorrente sono poi i Diari di Hitler, quan-

174

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 174 02/04/19 17:19


to quelli di Mussolini, come racconta da grande affabulatore
Pasquale Chessa nel suo Il romanzo di Benito, Utet, 2018. A
me sono bastati e avanzati i discorsi ufficiali nella monumen-
tale raccolta di Max Domarus, Hitler: Reden und Proklama-
tionen, 1932-1945, disponibile anche in inglese in quattro
volumi: Hitler: Speeches and Proclamations 1932-1945: The
Chronicle of a Dictatorship, Bolchazy-Carducci Publishers,
1988.

È la stampa, bellezza!

Una fonte inesauribile e ricchissima sono naturalmente i


giornali dell’epoca. Sulla stampa di Weimar, e la sua brutta
fine sotto il nazismo, prezioso mi è stato Bernhard Fulda,
Press and Politics in the Weimar Republic, Oxford University
Press, 2009. Ma anche l’assai più vecchio Modris Ekstein,
Limits of Reason: The German Democratic Press and the Col-
lapse of Weimar Democracy, Oxford University Press, 1975 e,
sul passaggio sotto controllo nazista, The Captive Press in the
Third Reich (Princeton University Press, 1964) di Oron J.
Hale, l’ufficiale dell’intelligence americana che interrogò do-
po la sua cattura il gran patron della stampa nel Terzo Reich,
Max Amann. Julius Streicher di Randall L. Bytwerk sul padre
padrone dell’arci-antisemita “Stürmer”. E sulla sua “piccola
posta assassina”: Showalter Dennis E., Little Man, What
Now: Der Stürmer in the Weimar Republic, Archon Books,
1982. Sui siti web italiani che fanno venire in mente lo
“Stürmer”: I fiancheggiatori del web in soccorso di Salvini do-
po il crollo sui social, di Matteo Pucciarelli, “La Repubblica”,
sabato 11 gennaio 2019, p. 11.
Sull’atteggiamento della stampa americana, molto docu-
mentato: Adolf Hitler and the Third Reich in American Ma-
gazines, 1923-1939 di Michael Zalampas, Popular Press of
Bowling Green State University 2001.

175

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 175 02/04/19 17:19


Ebrei come immigrati

Per Ebrei erranti di Joseph Roth, ho utilizzato la tradu-


zione di Flaminia Bussotti in Opere 1916-1930, Bompiani,
1987. Il testo canonico sulle persecuzioni e le leggi razziali,
almeno per la prima fase, è Saul Friedländer, La Germania
nazista e gli ebrei (1933-1938), Garzanti, 1988. Ma sullo spe-
cifico degli Ost-Juden e i loro rapporti con gli ebrei integrati
nella cultura tedesca, ho utilizzato Jack Wertheimer, Unwel-
come Strangers: East European Jews in Imperial Germany,
Oxford University Press, 1987 (Studies in Jewish History) e
William I. Brustein, Roots of Hate: Anti-Semitism in Europe
before the Holocaust, Cambridge University Press, 2003.
Sull’ebreo come criminale nato: Michael Berkowitz, The Cri-
me of My Very Existence. Nazism and the Myth of Jewish Cri-
minality, University of California Press, 2007. Dell’idea circa
il sovrapporsi dell’odio verso i più disperati all’invidia e
all’odio nei confronti dei privilegiati e delle élite, sono debi-
tore a Götz Aly, Perché i tedeschi? Perché gli ebrei? Ugua-
glianza, invidia e odio razziale 1800-1933, Einaudi, 2013.

L’enigma del consenso

Su come fu comprato il popolo tedesco, sempre di Aly,


Lo stato sociale di Hitler. Rapina, guerra razziale e nazionalso-
cialismo, Einaudi, 2007. Come i nazisti comprarono il popolo
tedesco, è il sottotitolo dell’edizione inglese dello studio del
2005 di Götz Aly. I beneficiari di Hitler suona il titolo. (Il ti-
tolo della traduzione italiana, Lo Stato sociale di Hitler è più
corrispondente all’originale tedesco, Hitlers Volksstaat).
Aly documenta anche la pressoché sconosciuta rapina ai
danni degli europei e anche degli alleati, Italia compresa
(molti documenti erano stati deliberatamente distrutti dalla
Banca centrale tedesca nel dopoguerra). Sulla versione italia-
na della rapina a danno degli ebrei il recentissimo 1938, l’Ita-
lia razzista. I documenti della persecuzione contro gli ebrei di

176

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 176 02/04/19 17:19


Fabio Isman, con una prefazione di Liliana Segre (il Mulino,
2018).
Sul sistema di assistenza sociale, prima e dopo Hitler:
David F. Crew, Germans on Welfare: From Weimar to Hitler,
Oxford Univesity Press, 1998. Fondamentale, sull’argomen-
to del consenso, anche sugli aspetti più orripilanti del regi-
me, è il documentatissimo Backing Hitler: Consent and Coer-
cion in Nazi Germany di Robert Gellately, Oxford University
Press, 2001. Ma non tutti si lasciarono sedurre e corrompere
dal Pifferaio. Non bisogna trascurare il peso che ebbe l’op-
posizione interna, in particolare sui temi che riguardavano la
famiglia, la sfera del privato, l’affetto per i propri cari con-
trapposto alle politiche per l’eutanasia delle “vite indegne di
essere vissute”, degli handicappati e dei malati di mente. Su
questo il giornalista tedesco e poi professore di Studi sull’O-
locausto alla Florida State University Nathan Stoltzfus, Hit-
ler’s Compromises: Coercion and Consensus in Nazi Germany,
Yale University Press, 2016.

Nessuno mi può giudicare

Sulla connivenza tra la giustizia e il regime nazista: Ingo


Müller, Hitler’s Justice: Courts of the Third Reich, I.B. Tauris
1991. Sulla giustizia come spettacolo, virtuosimo degli avvo-
cati d’assalto e “continuazione della lotta di classe” nella
Germania di Weimar: Henning Grunwald, Courtroom to Re-
volutionary Stage: Performance and Ideology in Weimar Poli-
tical Trials, Oxford University Press, 2012. Su Hans Litten,
l’avvocato che riuscì a portare Hitler in tribunale e a metter-
lo in difficoltà: Benjamin Carter Hett, Crossing Hitler: The
Man Who Put the Nazis on the Witness Stand, Oxford Uni-
versity Press, 2008. Dello stesso autore, ex giurista e avvoca-
to, prestato alla City University of New York: The Death of
Democracy: Hitler’s Rise to Power and the Downfall of the
Weimar Republic, William Heinemann, 2018.

177

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 177 02/04/19 17:19


Misteri dell’economia

Tra gli enigmi su cui si continua a discutere tra gli specia-


listi ci sono il “miracolo economico” di Hitler, l’assorbimen-
to di quasi tutti i sei milioni di disoccupati negli anni succes-
sivi all’ascesa di Hitler al governo, un tasso di crescita quasi
cinese e come si finanziò prima il riarmo e poi la guerra senza
un’inflazione micidiale come quella del 1923, e senza delu-
dere troppo i beneficati dal regime. L’orientamento degli
studi più recenti è che fu in realtà meno miracolo di quanto
appare, molto fumo e non tutto arrosto. Furono obbligati a
fare la guerra di rapina al resto d’Europa e all’Est, anche per-
ché altrimenti sarebbero falliti.
Anche sulle ragioni economiche del collasso della Germa-
nia di Weimar e sulla politica economica del Terzo Reich c’è
un’infinità di studi. Una miniera di notizie e interpretazioni
fornisce ancora The German Slump: Politics and Economics,
1924-36 di Harold James (Oxford, 1987). James si pone, da
specialista, lo stesso dilemma che mi pongo attraverso i giu-
dizi contrastanti dei non specialisti Brecht e Weil, insomma è
tra i primi storici a chiedersi se Hitler sull’economia c’era o ci
faceva: “Molti storici hanno tentato di interpretare il pensiero
di Hitler sull’economia, ma hanno dovuto rinunciare perché
quel che scoprivano era del tutto vago e nebuloso… Per Ma-
son l’economia per Hitler è solo una questione di politiche
sociali. Stone conclude che ‘non è che Hitler ne sapesse mol-
to di economia, agiva in base al senso comune’… Ma cosa si-
gnificava fare ‘politica sociale’ nelle circostanze specifiche del
1932, 1933, 1934? Solo molto tardi, a cominciare da Turner,
Barkai e Herbst, gli storici hanno cominciato a interessarsi
alla visione economica di Hitler…”.
Gli studi più recenti che ho consultato sono: Albrecht
Ritschl, Reparations, Deficits, and Debt Default: The Great
Depression in Germany in Nicholas Crafts, Peter Fearon
(a cura di); The Great Depression of the 1930s: Lessons for
Today, Oxford University Press, 2013; Richard Overy, The
German Economy 1919-1945 in Panikos Panayi, Weimar
and Nazi Germany: Continuities and Discontinuities, Long-

178

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 178 02/04/19 17:19


man Pearson, 2001. Più fresco, ma un pochino dispersivo,
col rischio di perdersi nella marea di documentazione: Adam
Tooze, The Wages of Destruction: The Making and Breaking
of the Nazi Economy, Penguin, 2007. From Recovery to Cata-
strophe: Municipal Stabilization and Political Crisis in Weimar
Germany di Ben Liberman (Berghahn Books, 1998, Mono-
graphs in German History) tocca un argomento importante
ma raramente affrontato: la distruzione delle finanze locali.
Su Schacht, oltre al delizioso profilo di Geminello Alvi
in Uomini del Novecento (Adelphi, 1995), John Weitz, Hit-
ler’s Banker: Hjalmar Horace Greeley Schacht (Little Brown,
1997). L’idea del trucco simile a quello di Mefistofele nel
Faust di Goethe, da Guido Preparata, brillante e poliedrico
economista italiano prestato alla University of Washington,
e in particolare dal suo Hitler’s Money: The Bills of Exchange
of Schacht and Rearmament in the Third Reich, in “American
Review of Political Economy”, volume 1, n. 1 (pp. 15-27) ot-
tobre 2002. Utili su Schacht, riarmo e politiche di gestione
del debito anche Pierpaolo Barbieri, L’impero ombra di Hit-
ler. La guerra civile spagnola e l’egemonia economica nazista,
Mondadori, 2015, e Fabio Casini, Schacht e Norman. Politi-
ca e finanza negli anni fra le due guerre mondiali, Rubettino,
2018.
Per gli operai tedeschi convinti che con Hitler le cose
“certo non potranno andare peggio”, e che solo lui “man-
derà al diavolo” francesi e inglesi: H. R. Knickerbocker, The
German Crisis, Farrar & Rinehart, 1933. La lettera di Simo-
ne Weil al fratello matematico André è in L’arte della mate-
matica, Adelphi, 2018.

Mancati pronostici e vecchie profezie

La città senza ebrei di Bettauer me l’ha fatta riscoprire la


mia amica Antonella Ottai, studiosa degli anni trenta grazie
anche all’“Ora di Berlino”, i racconti di suo padre che in
quella che era allora la capitale del mondo in fatto di moder-
nità era vissuto da studente. Per la scoperta di Lichtenstae-

179

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 179 02/04/19 17:19


dter sono indebitato a Götz Aly. Zamjatin, Orwell e Jens so-
no vecchie conoscenze. Ho sempre pensato che la
fantascienza non servisse a profetizzare il futuro ma a meglio
capire il presente. La scoperta di Primo Levi scrittore di fan-
tascienza non fa che confermarmelo. I peggiori profeti sono
sempre stati quelli che pensano di essere profeti. Su Hitler
profeta dello sterminio degli ebrei, almeno inizialmente per
ricattare il resto del mondo affinché accogliesse gli immigrati
di cui voleva disfarsi, l’idea mi è venuta da un seminario sulla
Conferenza di Evian del 1938 organizzato da Gianantonio
Caggiano all’Università di Roma Tre. Gli atti saranno pub-
blicati.
Tra le moltissime cose usate sulla fascinazione nazista per
l’occulto, e in particolare sul veggente Hanussen: Mel Gor-
don, Il mago di Hitler. Un ebreo alla corte del Führer, Monda-
dori 2004. Se qualcuno volesse divertirsi sulle profezie di
Nostradamus in cui si parlerebbe di Hitler, segnalo la compi-
lazione di Robert Arthur apparsa nel volume 51, numero
339, del gennaio-febbraio 1959 di “The Military Engineer”:
The Rise and Fall of Hitler As Foreseen by Nostradamus.

180

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 180 02/04/19 17:19


Indice dei nomi

Abel, Theodore 128, 174 Breitscheid, Rudolf 16


Alessandro I di Jugoslavia (Ales- Brooks, Louise 33
sandro Karad¯ord¯ević) 28 Broszat, Martin 162
Allende, Salvador 54 Bruegel, Pieter 92
Allen, William Sheridan 174 Brüning, Heinrich 63, 66, 90, 115,
Alvi, Geminello 148 134, 144, 153
Aly, August 50 Buber, Martin 95
Aly, Götz 48, 50, 138, 139, 156, 180 Buber-Neumann, Margarete 94, 95
Amann, Max 118, 175 Buber, Rafael 94
Auden, Wystan Hugh 18
Caggiano, Gianantonio 180
Barmat, famiglia 122, 124 Carné, Marcel 30
Barth, Karl 16 Carol II di Romania 28
Bauer, Gustav 122, 123 Casalino, Rocco 83
Baum, Vicki 116 Cases, Cesare 158
Belpietro, Maurizio 72 Céline, Louis-Ferdinand 79
Bettauer, Hugo 154, 155, 179 Cézanne, Paul 71
Bismarck, Otto von 137 Chagall, Marc 71
Blomberg, Eva (Gruhn) 152 Chamberlain, Arthur Neville 104
Blomberg, Werner von 117, 150, Churchill, Winston 86, 102
152 Conti, Carlo 22
Bolsonaro, Jair 57, 163
Borchardt, Isidore 81 Daluege, Kurt 36
Boris III di Bulgaria 28 Dawes, Charles 146
Bosch, Hieronymus 92 Deng Xiaoping 164
Böss, Gustav 124 Denke, Karl 35
Brand, Fritz 73 Dibba, Alessandro Di Battista detto
Brecht, Bertolt 43, 57, 130, 143, 69
178 Diels, Rudolf 92, 173

181

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 181 02/04/19 17:19


Dietrich, Marlene 44, 136 Goethe, Johann Wolfgang von 48,
Di Maio, Luigi 20, 171 53, 142, 147, 179
Dix, Otto 32 Göring, Hermann 10, 12, 73, 87,
Döblin, Alfred 24 88, 90, 92, 94, 136, 150
Dodd, Martha 173 Gramsci, Antonio 51, 59, 60, 70
Dodd, William 173 Grimm, fratelli (Wilhelm Karl e Ja-
Dollfuss, Engelbert 28 cob Karl) 159
Dönitz, Karl 174 Grosz, George 30, 32, 33
Duce, vedere Mussolini, Benito Guérin, Daniel 173
Düsterberg, Theodor 10, 11, 20
Haarmann, Fritz 30, 34, 35, 107
Ebert, Friedrich 122-124 Hanfstaengl, Ernst “Putzi” 173
Eckart, Irene 127 Hanussen, Erik Jan 161, 180
Edoardo VIII, re di Gran Bretagna Hess, Rudolf 135
e Irlanda 29 Himmler, Heinrich 41, 92
Eichmann, Adolf 174 Hindenburg, Paul Ludwig von 12,
Engel, Franz 45 19, 20, 55, 66, 68, 91, 98, 105,
Erdoğan, Recep Tayyip 57 147, 153
Ernst, Marx 32 Hitler, Adolf 9-20, 22, 23, 25-32,
Erzberger, Matthias 120, 121, 123 34, 39, 42, 45, 46, 49-53, 55-60,
62, 63, 66-70, 72, 73, 76, 79,
Fallada, Hans, pseudonimo di Ru- 86-91, 94-105, 107, 111-114,
dolf Ditzen 24, 36, 57, 109- 116-120, 122, 127, 128, 129,
111, 130, 158 134-138, 140, 142-153, 159-
Finck, Werner 136 164, 167-171, 173-175, 177-
Flaubert, Gustave 130 180
Ford, Henry 47 Hollaender, Felix 44
Formigli, Corrado 71 Horthy von Nagybánya, Miklós 28
Franco, Francisco 28 Hossbach, Friedrich 150, 152
François-Poncet, André 14 Höss, Rudolf 174
Frank, Hans 141, 174 Hugenberg, Alfred 9-13, 16, 19,
Frick, Wilhelm 12, 39, 114, 126 20, 30, 35, 59, 60, 78, 94, 108,
Fritzsche, Peter 128, 140 112, 115, 119, 121, 123, 125,
Fromm, Bella 116 142, 146, 147, 171
Fromm, Erich 164
Führer,vedere Hitler, Adolf Isherwood, Christopher 15, 19

Gallimard, Gaston 26 James, Harold 178


Gaulle, Charles-André-Josep- Jens, Walter 157, 158, 180
h-Marie de 163 Jesenská, Milena 95
Gay, Peter (Peter Israel Fröhlich) Jung, Edgar 12
46, 81 Jünger, Ernst 36
Goebbels, Paul Joseph 29, 33, 43,
73, 96-98, 100, 112-114, 118, Kaas, Ludwig 13, 62
124, 125, 150, 152, 160, 174 Kafka, Franz 95, 156, 158

182

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 182 02/04/19 17:19


Kaiser, Guglielmo II di Prussia e Marx, Karl 24
Germania detto 153 Mastropietro, Pamela 34
Kandinsky, Wassily 71 Mayer, Milton 174
Karl, Anton 135 McLuhan, Marshall 112
Karrasch, Alfred 35 Meißner, Otto 11
Kästner, Erich 158 Metaxas, Ioannis 28
Kautsky, Karl 16 Modi, Narendra Damodardas 57
Keitel, Wilhelm 174 Molotov, Vjačeslav 94
Kircher, Rudolf 117, 118 Mondrian, Piet 71
Kirchner, Ernst Ludwig 32 Montesquieu, Charles-Louis de Se-
Klee, Paul 71 condat barone di La Brède e di
Kleist, Heinrich von 20, 43 136
Kleist-Schmenzin, Ewald von 20 Mosse, famiglia 114, 119, 124
Klemperer, Victor 49, 70, 82, 83, Mosse, Rudolf 115
102, 103, 112, 128, 158 Mounk, Yascha 164
Knickerbocker, Hubert Renfro 145 Müller, Hermann 65
Koestler, Arthur 106-109 Münzenberg, Babette (Thüring) 95
Kokoschka, Oskar 32 Münzenberg, Willi 95, 124
Kracauer, Siegfried 57 Musil, Robert 33
Kraus, Karl 48, 91 Mussolini, Benito 9, 15, 16, 22, 25,
Kun, Béla 28 28, 74, 168, 175
Kürten, Peter 31, 32, 35, 107
Neumann, Franz 46, 95
Landmesser, August 127 Neurath, Konstantin von 98, 145,
Lang, Fritz 33 147, 152
Lautréamont, le Comte de 32 Nostradamus, pseudonimo di Mi-
Leipart, Theodor 67, 95, 96 chel de Nostredame 161, 180
Levi, Primo 180
Ley, Robert 136, 137 Ochs, Adolph 19
Lichtenstaedter, Siegfried 47, 155, Orbán, Viktor Mihály 57, 163
156, 179 Orlan, Marc 30
Liebknecht, Karl 123 Orwell, George 157, 158, 180
Litten, Hans 100, 177 Ottai, Antonella 45, 179
Löbe, Paul 90
Lorre, Peter 33 Pabst, Georg Wilhelm 33
Ludendorff, Erich 153 Papen, Franz von 10-13, 19, 20, 30,
Luppe, Hermann 78 59, 60, 66, 67, 98, 101, 148,
Luttwak, Edward 54 149, 151, 174
Luxemburg, Rosa 123 Päts, Konstantin 28
Peter, Eva 33
Macron, Emmanuel 98 Phipps, Eric 151
Mann, Erika 18, 126 Piłsudski, Józef 28
Mann, Heinrich 173 Pinochet, Augusto José Ramón 54
Mann, Klaus 18, 173 Pio XI, papa 12
Mann, Thomas 18, 173 Plotkin, Abraham 17, 173

183

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 183 02/04/19 17:19


Pound, Ezra 22 Stauffenberg, Claus Schenk von
Primo de Rivera y Orbaneja, Mi- 20, 151
guel 28 Strasser, Gregor 68, 69, 172
Putin, Vladimir 57 Strasser, Otto 69
Strauss, Leo 25
Rachman, Gideon 163 Streicher, Julius 72, 73, 75, 76, 96,
Rathenau, Walther 121 97
Reagan, Ronald 164 Sulzberger, Arthur 19
Remarque, Erich Maria 116
Renzi, Matteo 20 Tedeschi, Mario 74
Ribbentrop, Joachim von 94, 152 Terenzio Afro, Publio 24
Röhm, Ernst 12, 69 Tergit, Gabriele, pseudonimo di
Roosevelt, Franklin Delano 29, 85, Elise Hirschmann 125
102, 140, 144, 161 Thatcher, Margaret 164
Rosen, Willy 45 Thyssen, Fritz 86
Roth, Joseph 24, 37, 38, 43 Trotsky, Lev 27, 67
Trump, Donald 25, 29, 57, 145,
Sade, Donatien-Alphonse-François 152, 162, 163
marchese di 32 Tucholsky, Kurt 24, 52, 111, 116
Salazar, António de Oliveira 29
Salvini, Matteo 20, 162, 163, 171 Ullstein, famiglia 107, 108, 116,
Schacht, Hjalmar 146, 148-150, 117, 119, 124, 125
151, 174, 179 Ulmanis, Kārlis 28
Schiller, Friedrich 43, 53
Schleicher, Kurt von 10, 19, 20, 66, Van Gogh, Vincent 71
67, 69, 151
Schlesinger, Arthur 164 Wagner, Richard 18
Schmitt, Carl 101 Wang Lun 106
Schwerin von Krosigk, Johann Lu- Wedekind, Frank 33
dwig conte di 10, 146, 151 Weil, André 141, 179
Seldte, Franz 10, 11, 137 Weil, Simone 30, 141, 143, 178, 179
Shakespeare, William 165 Weiß, Bernhard 97
Shirer, William 128, 167 Welles, Orson 109
Showalter, Dennis 77, 80 Wels, Otto 88, 90, 91
Siemens, Daniel 35 Werner von Fritsch, Thomas Lu-
Simenon, Georges 26, 27, 29-32, dwig 152
172 Winkler, Max 119, 120
Simpson, Wallis 29 Wolf, Christa 42
Sklarek, famiglia 124, 125 Wolff, Theodor 16, 115
Smetona, Antanas 28 Wolk, Jonas 73
Sonnemann, Leopold 117 Xi Jinping 57
Speer, Albert 150, 174
Spender, Stephen 19 Young, Owen Daniel 146
Staeger, Ferdinand 134
Stalin, Iosif Vissarionovič 46, 59, Zamjatin, Evgenij 157, 180
69, 94, 95, 157 Zogu, Ahmet, Zog I di Albania 28

184

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 184 02/04/19 17:19


Indice

9 1. Cose già viste nel ’33


Contratto di governo con mediatore, 9; Scene di giubilo dal bal-
cone, 13; “Hitler non è Mussolini, la Germania non è l’Italia”,
15; “La carnevalata durerà poco”, 16; Chi se ne importa delle
chiusure domenicali, 17; “La situazione politica a Berlino è
molto noiosa”, 18; Più sono furbi più casca l’asino, 20

21 2. Analogie e scaramanzia
Breve nota sul perché di questo libro

26 3. Europa, dica 33
Con Hitler in ascensore, 29; La foto del mostro in pagina, 32;
Cento, mille casi Pamela Mastropietro, 34

37 4. Ebrei, cioè immigrati


Il “Decreto immigrazione”, 39; “La pacchia è finita”, 41; Tutto
sempre colpa degli ebrei, 44; Contro le élite e contro i disperati, 47

51 5. L’inferno è lastricato di elezioni


Campagna elettorale permanente, 55; Se gli elettori preferisco-
no i ciarlatani, 56; Chi votava per Hitler?, 57; Un’intuizione di

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 185 02/04/19 17:19


Gramsci, 59; È la coalizione, stupido!, 62; Coalizioni potenziali
ed effettive, 64; Risultati elettorali per i principali partiti, 64

70 6. La filologia dell’odio
Un giornale per la Verità, 72; Piccola posta dell’odio, 75; Il po-
tere della lagna, 77; Bagatelle per un massacro, 79; Questione
di nomi, 81; La Nomenclatura dell’odio, 83

86 7. Il lupo si traveste da agnello


Il lento suicidio del Parlamento, 87; Zitti per carità di patria,
90; Né leader né Congresso per l’opposizione, 93; Come furono
addomesticati i sindacati, 95; Carinerie verso gli ebrei, 96; Nes-
suno mi può giudicare, 98; Un “uomo di pace”, 101

106 8.Uomini che odiano i giornali


Contro puttane e pennivendoli, 108; La conquista della Rai,
pardon della radio, 111; Come misero in riga la stampa “bugiar-
da”, 113; I conti in tasca agli eredi dell’editore, 115; Stampa
ebraica in perfetta armonia col governo, 118; Tradizione di lin-
ciaggi mediatici, 120; Indigestione di scandali finanziari, 122

126 9. Come fu comprato il popolo


Volk qua, Volk là, 128; Il reddito di cittadinanza, 130; “Investi-
re nella felicità!”, 133; Onesti ma mica tanto, 135; La rapina
delle pensioni, 137; Il prezzo del consenso, 138

142 10. Mefistofele all’Economia


Sorvegliata speciale sul debito, 143; La fine del contratto di gover-
no, 145; Un’invenzione diabolica, 147; La fine dei “tecnici”, 151

153 11. Pronostici e profezie


Ricatti a mezzo profezia, 159; Contare fino a mille, 163

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 186 02/04/19 17:19


167 Letture su 1933 e dintorni
Il boom anni trenta, 167; Le elezioni, 169; Il populismo al go-
verno, 170; Rossobrunismo, 172; Caro Diario, 172; È la stam-
pa, bellezza!, 175; Ebrei come immigrati, 176; L’enigma del
consenso, 176; Nessuno mi può giudicare, 177; Misteri dell’e-
conomia, 178; Mancati pronostici e vecchie profezie, 179

181 Indice dei nomi

Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 187 02/04/19 17:19


Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 188 02/04/19 17:19
Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 189 02/04/19 17:19
Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 190 02/04/19 17:19
Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 191 02/04/19 17:19
Ginzberg_Sindrome 1933_49257-0.indd 192 02/04/19 17:19

Potrebbero piacerti anche