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"Pier Paolo Pasolini:

l’intervista sotto l’albero".


Gideon Bachmann. Salò (1975)

Pier Paolo Pasolini: l’intervista sotto l’albero (Italia/1975, 23’) Gideon Bachmann
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– Questo film che significato ha, precisamente, nell’ambito della nella nostra società odierna?

– Come lei sa il film è preso dalle “120 giornate di Sodoma” di De Sade, ma è ambientato durante
la Repubblica di Salò, cioè circa il ‘44 - ‘45. Quindi, c’è molto sesso, ma il sesso presente nel
film è il tipico sesso di De Sade, cioè un sesso la cui caratteristica è esclusivamente
sadomasochistica, in tutta l’atrocità dei suoi dettagli e delle sue situazioni. Ora, a me interessa
questo sesso appunto, come interessa a De Sade, per quello che è. Ma nel mio film tutto questo
sesso assume un significato particolare, ed è la metafora di ciò che il potere fa del corpo umano,
è la mercificazione del corpo umano, la riduzione del corpo umano a cosa, che è tipica del
potere, di qualsiasi potere. Quindi, il mio film è un film contro qualsiasi forma di potere e
precisamente contro quello che io chiamo “l’anarchia del Potere”. Ed è questa la ragione per cui
io ho scelto Salò e la Repubblica fascista di quel periodo, perché mai come in quel momento il
potere è stato anarchico, è stato completamente arbitrario e gratuito. Poteva fare qualsiasi cosa.
Naturalmente oltre l’anarchia del Potere, il mio film è anche un film sull’eventuale e
inesistenza della storia. Cioè un film in polemica contro l’idea della storia che ha la cultura
eurocentrica, cioè il razionalismo e anche l’empirismo borghese da una parte e il marxismo
dall’altra.

– Quindi, in fondo, è un film attuale?

– Sì, vuol essere estremamente attuale. E questa attualità segna un salto, un vero e proprio salto
rispetto ai film precedenti che ho fatto finora cioè “La trilogia della vita”, “Il Decameron”, “I
racconti di Canterbury” e “Le Mille e una notte”.

– Qual è il significato attuale di questo film su Salò?

– Il fondo del film è preso dal libro di De Sade, “Le 120 giornate di Sodoma”, e la trasposizione
viene appunto a Salò durante la Repubblica fascista nel ‘44 - ‘45. Tutto il sesso di De Sade, cioè
il sadomasochismo di De Sade, ha dunque una funzione ben specifica, ben chiara, cioè quella di
rappresentare quello che il Potere fa del corpo umano. La riduzione del corpo umano a cosa, la
mercificazione del corpo. Cioè praticamente l’annullamento della personalità degli altri,
dell’altro. Quindi un film, non soltanto sul potere, ma su quella che io chiamo l’anarchia del
Potere, perché nulla è più anarchico del potere. Il potere fa ciò che vuole, e ciò che il potere
vuole è arbitrario o dettato dalle necessità di carattere economico che sfuggono alla logica
comune. Ma oltre che sull’anarchia del Potere questo film vuole essere un film sull’inesistenza
della storia. Cioè la storia così com’è vista dalla cultura eurocentrica, il razionalismo,
l’empirismo occidentale da una parte e il marxismo dall’altra, nel film vuole essere dimostrato
come inesistente.
– Secondo te, la tematica sessuale che c’è in De Sade ha un riferimento specifico nei nostri giorni?

– No, il sadomasochismo è una categoria eterna dell’uomo sia al tempo di De Sade sia oggi. Ma non
è questo che m’importa. Cioè m’importa anche questo, ma il reale senso del sesso nel mio film è
quello che dicevo, una metafora del rapporto del potere a chi gli è sottoposto.

– Oggi, la lezione di questo film potrebbe essere capita o applicata dai giovani che ci circondano?

– Mah! Io credo che i giovani non lo capiranno. Non mi illudo di essere capito dai giovani perché
con i giovani è impossibile instaurare un rapporto di tipo culturale perché i giovani vivono nuovi
valori con cui i vecchi valori in nome dei quali io parlo sono incommensurabili.

– Quindi, a chi il film si indirizza?

– Sì indirizza a tutti, tra l’altro a me stesso.

– C’è un intento di correggere i modi di comportamento...

– No. Non ho nessuna intenzione di correggere i modi di comportamento. Questo è un intento


pedagogico o didascalico che io non ho.

– Nei tuoi film precedenti tu hai sempre detto che il passato si può insegnare, quindi ti sei immerso
nel passato per farci insegnare delle cose che noi, nella nostra società, potremmo applicare.
Quindi avendo strada e facendo un film che in fondo è un film attuale, non vuoi fare le lezioni di
questo genere?

– Assolutamente no, neanche a loro volevo farle. Io ho rievocato il passato cioè un tipo di essere
uomo o di far l’amore del passato, semplicemente per fare un confronto oggettivo col presente e
quindi, contestare il presente. Ma non mi illudevo affatto che le cose del passato fossero un
insegnamento.

– In questo film, tutto il sesso, e tutta la crudeltà avviene come un rito. Invece, nei film precedenti
era come una gioia. Quindi, tu il potere lo vedi come una cosa che elimina la gioia del
comportamento umano?

– Sì, io penso che durante l’età cosiddetta repressiva il sesso era una gioia perché avveniva di
nascosto ed era un’irrisione di tutti gli obblighi i doveri che il potere repressivo imponeva.
Invece nella società tollerante, come se dichiara la nostra, quella in cui viviamo, il sesso è
semplicemente nevrotizzante perché, la libertà concessa è falsa, e soprattutto è concessa dall’alto
e non conquistata dal basso. Quindi non si tratta di vivere una libertà sessuale ma di adeguarsi a
una libertà che ci viene concessa.

– In che modo in questo film, il rito del sesso si applica alla struttura del potere?

– Il potere è sempre codificatore e rituale, senza volerlo mi sono trovato in questo film a
rappresentare sia la vita perbene piccolo borghese con i suoi salotti, i suoi tè, i suoi doppio petti
ecc da una parte, dall’altra mi sono trovato a rappresentare la cerimonia nazista, in tutta la sua
solennità macabra, così tetra e povera. Perché il potere è rituale oltre che essere codificatore. Ma
ciò che ritualizza e che codifica è sempre il nulla, cioè il suo arbitrio, cioè la sua anarchia.
– Il rituale è una cosa che ha mantenuto le strutture sociali? E quindi, facendo vedere che il potere
è rito si dice forse che anche il potere, la sua esecuzione sul debole, fa parte dei nostri riti
sociali.

– Sì, non c’è dubbio. La messa è stato un rito che ha cristallizzato per millenni un credo religioso,
ecco. Ed effettivamente, tutti i poteri hanno i loro riti io, [evo]con il mio film i riti della piccola
borghesia perbene che si riceve, prende il tè ecc ecc oppure i riti della borghesia fascista
militaresca di Hitler quindi con le piazze imbandierate, i palchi ecc ecc. Però, ripeto, ogni potere
ha i suoi riti. Oggi i riti sono di altro tipo, per esempio l’essere in fila davanti a una televisione,
l’essere in fila in una coda di macchine nel weekend, o fare la merenda in un prato sempre nel
weekend... Ogni potere ha le sue forme di rito.

– Perché, secondo te, l’uomo ama talmente sottoporsi ai riti, anche se sono esecuzioni su di lui
dalla parte del potere?

– Ma l’uomo è sempre stato conformista. Cioè la caratteristica principale dell’uomo è quella di


conformarsi, a qualsiasi tipo di potere o di qualità di vita trovi nascendo.

– Quindi, è quasi una qualità biologica.

– Per me è una qualità sociale, direi, dell’uomo. Biologicamente l’uomo è narciso, ribelle, ama la
propria identità ecc. ma è la società che lo rende conformistico. Lui ha chinato la testa una volta
per sempre di fronte agli obblighi della società.

– Secondo te c’è una speranza che l’uomo torni a un momento storico in cui non chinava la testa?

– No, non c’è affatto questa speranza. Questo è un fatto individuale che delle volte poi può avere
delle ripercussioni, in un certo ambito sociale, ma non credo che ci sia mai una società in cui
l’uomo sia libero.

– Quindi è inutile sperarci’

– Mah, non bisogna mai sperare niente. La speranza è una cosa orrenda inventata dai partiti per
tener buoni i suoi iscritti.

– Allora, il lavoro dell’artista nella società in fondo non serva a nessun scopo salvo l’autosoddi-
sfazione?

– No, no, ha uno scopo ed è quello di posi come esempio di anarchia.

– Ma di una altro tipo di anarchia, non quella che tu dimostri...

– No, perché quando siamo in due ad essere anarchici quella non è più anarchia.

Pier Paolo Pasolini intervistato da Gideon Bachmann nel set del film Salò o le 120 giornate di
Sodoma (1975) Trascrizione integrale dell’intervista.

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