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Lezione del 29 marzo

Oggi finalmente chiudiamo il discorso relativo alla stabile organizzazione. Avete visto che sulla
stabile organizzazione ci stiamo davvero dedicando tanto tempo, e questo per tre ragioni. La prima è
che la stabile organizzazione è da sempre uno degli istituti più importanti, ma anche più controversi
nell’ambito della tassazione internazionale, e quindi del diritto tributario internazionale. Il secondo
motivo è che attorno alla stabile organizzazione si stanno formando i dibattiti più interessanti e anche
più incerti sul nuovo modo di essere del diritto tributario internazionale nell’era dell’economia
digitale. E terzo perché comunque attorno al dibattito e ai temi della stabile organizzazione abbiamo
potuto introdurre alcune riflessioni che vanno anche oltre la tematica specifica della stabile
organizzazione, alcuni li ritroveremo poi più avanti quando, per esempio, parleremo di fondi del
diritto tributario internazionale, di cooperazione fiscale tra gli Stati, e così via. Quindi, è un tema
molto fecondo quello della stabile organizzazione. E oggi, dicevo, concludiamo il nostro esame delle
problematiche legate alla stabile organizzazione, finendo quello che ci è rimasto ancora da dire a
proposito della stabile organizzazione nell’ordinamento italiano e poi completando l’esame, che in
parte abbiamo già fatto nelle primissime lezioni, delle soluzioni proposte a livello di Unione Europea,
e quindi con le proposte di direttiva 147 e 148 del 2018, ormai a tutti abbastanza note, perché le
abbiamo richiamate più volte.
Ma torniamo, quindi, al nostro ordinamento, quindi all’art. 162 del TUIR. Vi ricordate, quello che è
emerso fino ad ora dal nostro esame dell’art. 162 del TUIR è che il legislatore italiano, da un lato, si
è rifatto ampiamente all’elaborazione internazionale sia prima del 2003, quando non esisteva una
definizione espressa ai fini del nostro ordinamento tributario di stabile organizzazione, e quindi ci si
rifaceva direttamente all’esperienza internazionale e alla definizione che si trovava nel modello
OCSE, e a maggior ragione ancor più dopo il 2003, quando il nostro ordinamento si è per l’appunto
dotato di una definizione ad hoc, propria di stabile organizzazione, che, però, come abbiamo visto,
salvo qualche piccola modifica, qualche piccolo aggiustamento, ricalca, anche proprio nella struttura,
la definizione che si trova a livello internazionale, anche proprio nella struttura riferendomi alla
suddivisione tra stabile materiale e stabile personale, alle varie lista positiva, lista negativa,
esattamente come la definizione è strutturata a livello di modello OCSE, e quindi a livello
internazionale.
Però, quando ci siamo lasciati lo scorso martedì, vi ricordate, stavamo analizzando uno di quei casi
che sono abbastanza frequenti nei quali il legislatore italiano è andato un po’ oltre, ha fatto un passo
un po’ più lungo del suo modello internazionale, passi che, per il nostro approccio legato alle
problematiche dell’economia digitale, sono abbastanza importanti, in particolare quello attraverso il
quale nel nostro art. 162, c. 5 a un certo punto è stato introdotto il riferimento al server, vi ricordate
che è stato introdotto per escludere che il server, ancorché localizzato sul territorio italiano, potesse
costituire una stabile organizzazione quando il server è utilizzato per raccogliere e eventualmente
trasmettere dati e informazioni funzionali poi alla vendita di beni o servizi da parte dell’impresa non
residente che è titolare di quei server.
E questo è un caso emblematico di un approccio estremamente moderno del legislatore italiano,
moderno perché, nel momento in cui è stata introdotta questa norma, l’OCSE si dibatteva ancora su
cosa dovesse essere del server, cioè se il server potesse o meno e eventualmente in quali condizioni
potesse configurare una stabile organizzazione. Quindi, qui l’ordinamento italiano è andato un po’
per conto suo anche senza aspettare la formazione di un indirizzo a livello internazionale ed è andato
per conto suo nel senso di escludere la riconducibilità al server di una stabile organizzazione. Di fatto,
l’idea era quella che il server che servisse solo per raccogliere, immagazzinare e trasmettere
informazioni svolgeva una di quelle attività ausiliarie e preparatorie che, secondo la lista negativa
(non si sente) perché si tratta di attività che si pongono a lato, e quindi secondarie rispetto all’attività
realmente produttiva di reddito, che è quella appunto di cessione di beni o di vendita, prestazione di
servizi.

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Questa posizione del nostro legislatore, come vi accennavo in chiusura la scorsa settimana, era
diventata ormai obsoleta, perché questa esclusione del server da stabile organizzazione significava
rinunciare a riconoscere una stabile organizzazione nei casi più eclatanti di attività delle
multinazionali digitali in Italia.
E quindi, tra il 2017 e il 2018, non a caso, significativamente dopo la conclusione della prima parte
dei lavori del BEX, questa disposizione ha subito una serie di modifiche. In particolare, è stato
eliminato questo riferimento al server nel c. 5 dell’art. 162 e, in concomitanza con questa abrogazione,
si è assistito, da un lato, all’introduzione, su cui ora ci soffermeremo, nella lista positiva di una nuova
ipotesi, di una nuova fattispecie di stabile organizzazione nella lettera f-bis del c. 2 dell’art. 162 e,
allo stesso tempo, si è assistito all’introduzione dell’imposta sui servizi digitali, cioè quella che viene
definita comunemente come web tax, a cui abbiamo fatto più volte riferimento, quell’imposta
indiretta sui ricavi gravante sulle multinazionali digitali che svolgono una parte della loro attività
appunto attraverso piattaforme digitali nel nostro Paese.
Quindi, questi 3 interventi sono stati strettamente legati tra di loro. Da un lato, bisognava eliminare
questa disposizione sulla non configurabilità di una stabile organizzazione da server, perché
evidentemente mantenere questa norma avrebbe tagliato le gambe all’origine ad ogni tentativo di
intercettare, invece, una presenza tassabile in Italia attraverso un’attività legata alla raccolta e alla
profilazione dei dati degli utenti, ma, dall’altra parte, bisognava riempire di contenuto il vuoto che
veniva a generarsi a seguito di questa abrogazione e la scelta del legislatore è stata proprio quella di,
almeno apparentemente, perché ora andremo un po’ più nel dettaglio, ma, almeno apparentemente,
quella di dare attuazione, senza aspettare l’approvazione delle direttive 147 e 148 dell’Unione
Europea, all’assetto immaginato da entrambe le proposte di direttiva, perché ora ci torneremo, ma vi
ricordate, l’abbiamo detto sin dalle primissime lezioni, l’assetto voluto dal legislatore europeo, o
meglio dalla Commissione, che per ora non è stata seguita dal Consiglio, e quindi dal vero legislatore
europeo, è stato quello di introdurre un’imposta indiretta sui ricavi, la c.d. web tax, in via transitoria
e poi, più in avanti, sostituire questo regime transitorio con il regime definitivo che ruota attorno alla
nuova definizione di stabile organizzazione attraverso la significativa presenza digitale.
Ecco, sembrerebbe che il legislatore italiano abbia seguito questa impostazione, introducendo la web
tax, quindi l’imposta indiretta sui ricavi delle multinazionali digitali e, dall’altra, modificando, o
meglio, ampliando il concetto di stabile organizzazione in modo tale da ricomprendervi anche la
significativa presenza digitale.
In realtà, sebbene, guardate, alcuni commentatori, soprattutto i primissimi commentatori di queste
modifiche abbiano in parte applaudito a queste iniziative proprio affermando che l’Italia andava
avanti sulla via segnata dalla Commissione europea senza aspettare che le direttive fossero approvate,
cosa che, ripeto, ancora oggi non è avvenuta per ragioni sostanzialmente di blocco politico,
ricordiamoci che le direttive in materia fiscale, questo lo sapete già dal corso di tributario e lo
riprenderemo più avanti, per essere adottate necessitano dell’unanimità dei consensi in Consiglio,
quindi ogni Stato ha di fatto un potere di veto nei confronti dell’adozione di queste norme, quindi più
che altro sono ragioni politiche che impediscono l’adozione di misure fiscali di questo genere. E
quindi, però, nonostante questo, alcuni hanno detto: che bello, l’Italia, il legislatore italiano, sebbene
unilateralmente, ha portato avanti, ha portato a compimento la strada indicata dalla Commissione
europea.
Però, in realtà, questo non è pienamente vero. È vero che il legislatore italiano ha scelto, così come
qualche altro Stato, per esempio la Francia, di andare avanti nella realizzazione unilaterale della
soluzione transitoria, cioè l’introduzione dell’imposta sui servizi digitali, che di fatto è entrata in
vigore in modo efficace soltanto adesso, sta entrando in vigore, la norma è già entrata in vigore, ma
operativamente questa imposta viene applicata adesso, è uscita un mese fa la circolare esplicativa
dell’Agenzia delle Entrate e ora si aspettano i primi versamenti. Però, probabilmente, la scelta del
legislatore italiano di conformarsi al modello europeo si ferma qui, cioè si ferma all’imposta sui
servizi digitali. Perché dico questo? Ora andiamo a vedere come il legislatore italiano ha trattato
questa nuova fattispecie di stabile organizzazione, che alcuni dicono è simile alla significativa

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presenza digitale di origine europea, ma, prima ancora di entrare nel merito, c’è una differenza
fondamentale tra l’approccio europeo e l’approccio italiano, perché, lo abbiamo ricordato prima,
l’approccio europeo, quello delle proposte di direttiva 147 e 148, si basa sull’alternatività tra le due
misure, cioè l’idea è che imposta sui servizi digitali europea e nuova definizione di stabile
organizzazione fondata sulla significativa presenza digitale non possono mai convivere. Una,
l’imposta sui servizi digitali, è una soluzione transitoria, e però, lo trovate espressamente scritto nelle
proposte di direttiva, quando gli Stati membri raggiungeranno l’accordo per introdurre una nuova
fattispecie di stabile organizzazione, l’imposta sui servizi digitali verrà abrogata, cioè l’una esclude
l’altra. La soluzione a regime, quando entrerà in vigore, mette da parte la soluzione transitoria.
E, invece, se fosse vero – ricordatevi questa affermazione ipotetica – che la nuova fattispecie di stabile
organizzazione introdotta nella lettera f-bis dell’art. 162 corrispondesse alla significativa presenza
digitale dell’Unione Europea, allora saremmo già fuori dal rispetto del modello europeo, perché
significherebbe che imposta sui servizi digitali italiana e nuova stabile organizzazione verrebbero a
convivere nello stesso momento l’una e l’altra quando, invece, il modello europeo ne prevede
un’alternatività.
E, in realtà, non è così, nel senso che, a mio avviso, ma sono in buona compagnia in questo, la nuova
fattispecie, che ora appunto andiamo ad analizzare, di stabile organizzazione introdotta nell’art. 162
non ha niente a che vedere con la significativa presenza digitale di origine europea, e quindi, di fatto,
non si sta violando il modello europeo nel senso di prevedere contemporaneamente l’imposta sui
servizi digitali e la nuova fattispecie di stabile organizzazione, perché la nuova fattispecie di stabile
organizzazione italiana, di fatto, non corrisponde, non ha niente a che vedere con la significativa
presenza digitale di cui parla la proposta di direttiva 147.
Ma, per rendersi conto di quello di cui stiamo parlando, vediamo che cosa dice questa nuova
fattispecie. Allora, intanto ricordo, l’ho già detto prima, ma lo ricordo, che questa nuova fattispecie,
lettera f-bis del c. 2 dell’art. 162, si trova, appunto, nel c. 2 della norma, quindi all’interno della lista
positiva che, vi ricordate, è quell’elencazione non esaustiva, non perentoria di casi che sicuramente
per il legislatore costituiscono un’ipotesi di stabile organizzazione materiale, e ci si riconnette alla
definizione del c. 1 dell’art. 162, che, come ricordiamo, definisce la stabile organizzazione materiale.
Che cosa ci dice la lettera f-bis? La lettera f-bis ci dice che costituisce stabile organizzazione “una
significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da
non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso”. Ora, questa norma non è un esempio
di chiarezza, già nella lettura è un po’ involuta, “significativa e continuativa presenza economica nel
territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio
dello Stato”, non brilla per qualità della redazione normativa. Del resto, probabilmente, avendo fatto
l’esame di diritto tributario o avendo seguito le lezioni del corso di diritto tributario, vi siete resi conto
che le norme tributarie il più delle volte sono norme scritte maluccio e alimentano i problemi
interpretativi proprio per questo. Ma insomma, al di là di questa notazione, vedete come questa
disposizione sia per certi aspetti ambigua, nel senso che è basata sul riferimento a una serie di elementi
che non vengono definiti e che, quindi, contribuiscono a lasciare un po’ vaghi i confini di questa
fattispecie.
Per esempio, “significativa e continuativa presenza economica”, questi due aggettivi, significativa e
continuativa, sono due aggettivi estremamente vaghi, cosa significhi significativa, qual è il livello al
di sopra del quale una presenza è significativa o al di sopra del quale, in termini temporali, una
presenza è continuativa non viene indicato dalla norma, il che significa che non basta leggere questa
disposizione per avere chiari gli strumenti per la sua applicazione, ma occorre un’attività
interpretativa che, di fatto, lascia all’interprete e, in prima battuta, all’amministrazione finanziaria un
margine di manovra abbastanza ampio. Certo, si potrebbe dire: poiché qui il legislatore italiano sta
ispirandosi alla nozione di significativa presenza digitale di cui alla proposta di direttiva 148, si può
fare riferimento a questa proposta di direttiva e al suo contenuto per cercare di specificare cosa
significhi significativa e continuativa presenza economica, però è chiaro che non c’è scritto da
nessuna parte che questo può essere fatto, e quindi è pur sempre una scelta discrezionale

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dell’interprete che, quindi, non aiuta ad avere un quadro certo, un quadro definito di riferimento per
l’applicazione e l’interpretazione di questa norma.
L’altro profilo interessante è che qui si parla di “presenza economica nel territorio dello Stato” e
questo, in prima battuta, sembrerebbe davvero il sintomo dell’aspirazione del legislatore nostrano a
intercettare con questa disposizione fenomeni di inserimento nel nostro ordinamento di imprese non
residenti, inserimento attuato non in termini materiali, non attraverso una sede, non attraverso una
presenza fisica, una presenza materiale, e quindi, se la norma si fermasse a questo, quindi se la norma
fosse costruita “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato”, forse
la tesi di coloro che sostengono che attraverso questa disposizione il legislatore italiano si è ispirato
alla significativa presenza digitale della proposta di direttiva dell’Unione Europea potrebbe avere
senso, il fatto di dire presenza economica sembra che attraverso questa espressione si voglia prendere
le distanze dalla presenza materiale, dalla presenza fisica, che è quella tipica della stabile
organizzazione materiale.
Il problema è che la norma non finisce qua. La norma della lettera f-bis continua, prosegue e ci dice
che questa presenza economica è costruita in modo tale da non fare risultare una consistenza fisica
nel territorio dello Stato, e capite che questa ultima espressione, “costruita in modo tale da non fare
risultare una consistenza fisica nel territorio dello Stato”, rende molto difficile sostenere, come
avremmo potuto fare se la norma si fosse fermata appunto alla prima parte, che attraverso di essa si
cerca di intercettare la presenza delle multinazionali digitali, quindi la presenza dematerializzata nel
nostro ordinamento, perché questo inciso finale della lettera f-bis sembra richiedere comunque una
presenza materiale dell’impresa non residente nel nostro ordinamento, presenza materiale che si cerca
di nascondere, occultare, costruita in modo tale da non fare risultare una consistenza fisica, cosa vuol
dire non fare risultare? Che la consistenza fisica c’è e si cerca in qualche modo di nasconderla. Ecco
perché molti interpreti, e francamente io condivido questa tesi per quello che può valere, hanno detto:
guardate, non ci sbagliamo, qui il legislatore non ha affatto inteso fare propria il concetto di nexus
immateriale, di stabile organizzazione digitale o quant’altro, ma ha voluto semplicemente introdurre
una norma antiabuso, una norma antielusiva, cioè una norma che mirasse a colpire quei fenomeni nei
quali le imprese multinazionali, pur avendo una presenza materiale nel nostro ordinamento, cercano
di occultarla in modo tale da non fare risultare una stabile organizzazione, e quindi in modo da non
dovere assoggettare all’imposizione italiana i redditi generati attraverso quella stabile organizzazione
materiale. Sembrerebbe, anzi, e non so se a qualcuno di voi viene in mente, che questa disposizione,
in realtà, non faccia altro che tradurre in termini positivi quell’indirizzo giurisprudenziale, che
abbiamo analizzato, in particolare la sentenza della Cassazione del caso “Philip Morris”, che mira a
intercettare i casi di stabile organizzazione occulta, la stabile organizzazione che c’è, stabile
organizzazione materiale, ma che la si vuole in qualche modo nascondere, la si occulta in qualche
modo. Leggendo questa disposizione con gli occhi della stabile organizzazione occulta, sembra
davvero una codificazione di quell’indirizzo giurisprudenziale, che, peraltro, ve lo ricordate, era stato
avversato dall’OCSE, e quindi sembrerebbe, se questa fosse la lettura, che il legislatore italiano voglia
insistere su questa ricostruzione.
Però, al di là di questo, cioè se questa fattispecie sia riconducibile oppure no al caso “Philip Morris”,
al caso della stabile organizzazione occulta, a me pare che comunque quello che si debba escludere è
che questa nuova fattispecie possa essere ricondotta alla nozione di stabile organizzazione digitale,
cioè di presenza completamente dematerializzata, proprio perché qui c’è questo riferimento alla
finalità del non fare risultare una consistenza fisica che difficilmente può essere ricondotta al caso
dell’economia digitale, perché la multinazionale digitale tendenzialmente non ha una presenza fisica
nel nostro ordinamento, ed è questo tra l’altro il problema, non ha una presenza fisica in nessuno degli
ordinamenti nei quali opera, perché opera, ormai lo sappiamo, attraverso strutture dematerializzate,
attraverso il sito internet, ha delle controllate che fanno altro, quindi l’idea è, se dentro quella
controllata si scopre che, in realtà, sta agendo direttamente sul territorio dello Stato la casa madre,
allora sì, saremmo in presenza di una stabile organizzazione occulta, e quindi qui forse la norma
potrebbe essere invocata, ma, se l’impresa straniera opera unicamente in termini dematerializzati nel

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nostro ordinamento, sembra davvero difficile poter invocare il nuovo criterio di collegamento rivisto
dalla lettera f-bis del c. 2 dell’art. 162 del TUIR, che rappresenta comunque una forma di presenza
materiale, ancorché nascosta, occultata, nel nostro ordinamento.
Ma, guardate, rispetto a questo, che probabilmente è già di per sé sufficiente, basta leggere come è
scritta la norma per, probabilmente, poi non so se qualcuno di voi, ditemelo, ha una lettura diversa,
ma a me pare che la semplice lettura critica di questa disposizione, per come è costruita, ci consenta
di dire che siamo in una situazione, in un ambito diverso rispetto a quello della stabile organizzazione
digitale. Ecco, a conferma di questo, sta un’altra considerazione, e cioè che questa nuova fattispecie
sta nel c. 2 dell’art. 162, quindi sta nella lista positiva, che è lista positiva di cosa? Della stabile
organizzazione materiale definita nel c. 1 dell’art. 162. Quindi, siamo in una situazione nella quale il
riferimento di tutte queste fattispecie elencate nella lista positiva, e quindi anche della significativa e
continuativa presenza economica di cui alla lettera f-bis, è pur sempre la stabile organizzazione
materiale, definita nel c. 1 della disposizione. E questo, a meno che non si voglia dire che il legislatore
italiano ha preso fischi per fiaschi, e quindi si è dimenticato che siamo nell’ambito della lista positiva,
è un ulteriore elemento che depone a favore del fatto che qui probabilmente non si aveva idea, non si
aveva l’intenzione di codificare una stabile organizzazione digitale, ma semplicemente di agire con
riferimento e nel contesto della definizione tradizionale di stabile organizzazione appunto materiale.
Quindi, probabilmente, bisogna un po’ raffreddare l’entusiasmo rispetto a questa norma, comunque
c’è questa nuova fattispecie di cui bisogna tener conto nel nostro ordinamento, non dimentichiamoci,
però, che, essendo una norma unilaterale, cioè introdotta con una disposizione interna dal legislatore
italiano, essa si applicherà soltanto nei rapporti con Stati dove è residente la casa madre
sostanzialmente con i quali non è vigente una Convenzione contro le doppie imposizioni, e quindi
dove non esiste una definizione alternativa di stabile organizzazione prevista dalla Convenzione,
perché nei rapporti con gli Stati con i quali c’è una Convenzione contro le doppie imposizioni, e
quindi c’è una definizione di stabile organizzazione dentro la Convenzione è ovvio che prevarrà la
definizione convenzionale. Qui non vi sto dicendo niente di nuovo. È il sistema della gerarchia delle
fonti, dove le fonti di rango convenzionale, i Trattati tendenzialmente prevalgono rispetto alle norme
interne unilaterali. Quindi, a maggior ragione, questa è una fattispecie che avrà un’applicazione
piuttosto ristretta, limitata, se teniamo conto, anche questa è una cosa che ho detto tante volte, che
l’Italia ha un network di Convenzioni contro le doppie imposizioni estremamente ampio, cioè sono
pochi gli Stati con i quali manca una Convenzione contro la doppia imposizione nei rapporti con
l’Italia.
Ora, resta un ultimo tema, poi torniamo un attimo al concetto di stabile organizzazione digitale e
cerchiamo di scavarlo un po’ di più alla luce dei documenti, e quindi del testo delle due proposte di
direttiva che ormai avete sotto gli occhi da tempo, però, prima di fare questo, volevo chiudere il
cerchio sulla regolamentazione vigente di stabile organizzazione dicendo due parole sul metodo
attraverso il quale si determina il reddito attribuito alla stabile organizzazione, e quindi sul quale lo
Stato della fonte, cioè lo Stato dove si trova la stabile organizzazione, può legittimamente applicare
le proprie norme fiscali.
Torno un attimo indietro al modellino, schemino scritto a mano che vi ho inserito nelle slides. Qui
avevamo la casa madre nello Stato A che nello Stato B vende direttamente per 100, e questo ci
interessa il giusto, ma nello Stato C e nello Stato D vende anche attraverso due stabili organizzazioni,
stabile organizzazione 1 nello Stato C e stabile organizzazione 2 nello Stato D. E abbiamo visto che,
se è 30 il reddito che la stabile organizzazione 1 produce nello Stato C e 40 il reddito che la stabile
organizzazione 2 produce nello Stato D, questi 70, 30 + 40, vanno ad essere computati nella base
imponibile della casa madre, e quindi ad essere tassati nello Stato A, ma, in quanto redditi della stabile
organizzazione, sono anche tassati rispettivamente in C e in D e, per eliminare, sterilizzare la doppia
imposizione, lo Stato A della casa madre concede alla casa madre un credito di imposta, quindi una
possibilità di scomputare dalle imposte dovute dalla casa madre quelle che sono già state assolte nei
due Stati C e D dove si trovano le stabili organizzazioni.

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Ora, il punto che voglio provare un attimo a chiarire insieme a voi è: fin qui tutto bene, ma come si
fa a stabilire che la stabile organizzazione 1 nello Stato C produce un reddito pari a 30 e la stabile
organizzazione 2 nello Stato D produce un reddito pari a 40? Quali sono le regole che ci consentono
di enucleare, nell’ambito del reddito complessivo world-wide generato in tutto il mondo da una casa
madre residente in A, quel pezzetto di reddito che appartiene alla stabile organizzazione 1 nello Stato
C e appartiene alla stabile organizzazione 2 nello Stato D.
Qualcuno di voi potrebbe dire: di cosa stiamo parlando? Qual è il problema? Basta andare a vedere
quali sono le attività, le operazioni poste in essere dalla stabile organizzazione 1 e dalla stabile
organizzazione 2 e il gioco è presto fatto.
La cosa, in realtà, non è così semplice, scontata, perché? Perché, in realtà – e qui torno a uno dei temi
importanti che ho introdotto la settimana scorsa a proposito della stabile organizzazione che non
bisogna mai dimenticarsi – la stabile organizzazione non è un soggetto autonomo e separato e distinto
rispetto alla casa madre. Abbiamo una società, la casa madre, residente in A. Questa società svolge
la sua attività di impresa anche nello Stato C e nello Stato D attraverso stabili organizzazioni, ma quel
reddito che viene prodotto attraverso le stabili organizzazioni nello Stato C e nello Stato D è un
reddito che comunque affluisce nella casa madre, nella società residente in A e si confonde in qualche
modo con tutte le altre fonti di reddito – alcune interne dentro lo Stato A, altre in altri Stati – che sono
proprie della casa madre. Non è possibile contabilmente separare il pezzetto di reddito che viene dallo
Stato A, Stato B, Stato C. Pensate se in un certo Stato estero la casa madre sia vende direttamente sia
si avvale di una stabile organizzazione. Il reddito che viene da quello Stato unitariamente confluisce
nei bilanci della casa madre. Quindi, è difficile, se non impossibile, individuare al centesimo qual è
la parte di reddito prodotta direttamente e qual è la parte di reddito che passa dalla stabile
organizzazione. Per cui occorre individuare dei metodi che consentano, almeno approssimativamente,
di enucleare dai redditi complessivi world-wide della casa madre quel pezzetto di reddito che
appartiene alla stabile organizzazione, che è il frutto della presenza della stabile organizzazione in un
certo ordinamento.
Questo è il tema: come si fa a determinare quanto reddito della casa madre deve rimanere tassato
nello Stato della stabile organizzazione. E qui in astratto possono essere proposte varie soluzioni. Fra
queste ce n’è una che, ancora una volta un po’ in controtendenza rispetto agli orientamenti dell’OCSE
e agli orientamenti della prassi internazionale, è stata scelta per tanti anni dall’ordinamento italiano.
Cioè, l’ordinamento italiano, in tema di determinazione del reddito della stabile organizzazione, per
tanti anni ha seguito una strada sua, senza curarsi del fatto che gli altri Stati e la stessa OCSE
criticassero questa scelta. E qual era il metodo scelto dall’ordinamento italiano? Era il c.d. metodo
della forza di attrazione della stabile organizzazione. Che cosa voleva dire forza di attrazione? Voleva
dire che l’Italia, rispetto ad un’impresa non residente, riteneva di poter attrarre ad imposizione tutto
il reddito prodotto in Italia dall’impresa non residente, sia esso realizzato attraverso una stabile
organizzazione sia esso realizzato direttamente. Cosa voglio dire? Facciamo il caso che la casa madre
residente in A venda in Italia direttamente beni per 30, quindi senza passare attraverso la stabile
organizzazione, ed abbia poi una stabile organizzazione in Italia attraverso la quale vende per 20. Uno
dice: 20 è la stabile organizzazione, reddito tassabile in Italia, i 30 della vendita diretta non devono
appartenere alla tassazione dell’ordinamento italiano. Però, come abbiamo detto, 20 + 30 = 50 non
possono essere facilmente scorporati, non è facile individuare cosa appartiene alla stabile
organizzazione e cosa è il frutto, invece, della vendita diretta da parte dell’impresa non residente.
Allora, l’Italia, per semplificarsi la vita, seguiva questa regola secondo la quale, se un’impresa non
residente ha in Italia una stabile organizzazione, tutto il reddito prodotto in Italia da quella impresa
non residente, sia quello realizzato attraverso la stabile organizzazione sia quello realizzato
direttamente, veniva attratto ad imposizione in Italia. Ecco il criterio della forza di attrazione della
stabile organizzazione. Ovviamente, se l’impresa non residente non ha una stabile organizzazione in
Italia, allora si applica pacificamente la regola per cui il reddito di quell’impresa non residente è
tassato solo nello Stato di residenza dell’impresa, ma, se l’impresa non residente ha una stabile
organizzazione in Italia, allora l’Italia, secondo questo metodo della forza di attrazione, è legittimata

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ad assoggettare ad imposizione tutto quanto il reddito prodotto in Italia, sia che passi dalla stabile
organizzazione sia che non ci passi.
Da un certo punto di vista, questa soluzione facilitava il compito dell’Italia: tutto quello che deriva
da clienti italiani, dal mercato italiano può essere assoggettato ad imposizione in Italia. Però, d’altra
parte, e questo è stato il motivo principale di critica che a livello internazionale, a livello OCSE è
stata avanzata nei confronti di questo approccio da parte dell’Italia, questo metodo della forza di
attrazione finiva per violare, contraddire quella regola generale – che abbiamo ripetuto più volte – in
materia di tassazione dei redditi internazionali di un’impresa residente in uno Stato, cioè la regola per
cui, se non c’è una stabile organizzazione o se un’impresa produce reddito in un altro Stato, pur non
avvalendosi di una stabile organizzazione, quel reddito può essere tassato solo ed unicamente dallo
Stato di residenza. La forza di attrazione, di fatto, finisce per contraddire questa regola, perché
riconduce alla stabile organizzazione, e quindi al potere impositivo dello Stato dove si trova la stabile
organizzazione, anche quella parte di reddito che l’impresa non residente realizza senza passare
attraverso la stabile organizzazione. E quindi l’idea era che con questo metodo si legittimasse una
sorta di violazione della regola dell’art. 7 del modello OCSE, e quindi la regola aurea di tassazione
del reddito di impresa a livello internazionale.
E così, a fronte di queste critiche, sempre negli ultimi anni, a partire dal 2015 in particolare con un
decreto che si è chiamato “Decreto Internazionalizzazione” che faceva riferimento a tutta una serie
di modifiche normative appunto aventi ad oggetto i rapporti internazionali, col Decreto
Internazionalizzazione del 2015 il legislatore italiano ha cambiato il suo approccio e si è adeguato al
metodo di determinazione del reddito della stabile organizzazione vigente e riconosciuto a livello
internazionale, cioè quello dell’entità funzionalmente separata, traduzione italiana dell’espressione
inglese “functionally separete entity”, entità funzionalmente separata. Che cosa significa? Significa
che il reddito attribuibile alla stabile organizzazione lo si determina attraverso una finzione, cioè
fingendo che quella stabile organizzazione sia una società o un’entità separata, autonoma rispetto alla
casa madre, cosa che abbiamo detto non è sul piano concreto, perché la stabile organizzazione è solo
un’emanazione della società non residente, cioè della casa madre, però, ai fini e solo ai fini della
determinazione del reddito attribuibile a quella stabile organizzazione, si finge che quella struttura
sia una società autonoma, un ente separato dalla casa madre al quale sono attribuite le stesse funzioni
che svolge la stabile organizzazione, al quale sono attribuiti gli stessi rischi commerciali che sopporta
la stabile organizzazione e al quale sono attribuiti determinati beni, asset, quindi determinati beni
strumentali per lo svolgimento di quell’attività. E, attraverso questa analisi funzionale, che si basa poi
sulla consultazione di banche dati dove sono riportati i dati di bilancio di un grandissimo numero di
società, si vede quanto normalmente una società con quelle funzioni, con quegli asset, con quei rischi,
se fosse stata una società autonoma, avrebbe dovuto ricavare dallo svolgimento della sua attività,
quindi una media statistica, un’astrazione. Quel reddito determinato in questo modo lo si attribuisce
alla stabile organizzazione, e quindi è tassabile in capo alla stabile organizzazione, e quindi è
assoggettabile ad imposizione da parte dello Stato della fonte. Quindi, non necessariamente è
l’effettivo reddito che è passato dalla stabile organizzazione, ma dalla impossibilità – quello che vi
dicevo prima – di determinare al centesimo, esattamente quanto del reddito complessivo della casa
madre è stato generato dalla stabile organizzazione si assume questa finzione, che poi è anche una
finzione che – vi ricordate – ha un po’ alimentato nel tempo questo equivoco sulla natura giuridica
della stabile organizzazione per cui si dice: è un soggetto autonomo, tanto è vero che, quando si va a
determinare il reddito, si tratta come un soggetto autonomo. Sono due cose diverse: un conto è la
soggettività che non c’è; un conto è il metodo della determinazione del reddito, che solo con una
finzione attribuisce la soggettività a quella stabile organizzazione.

- Domanda studente: stavo immaginando se, dato che il sistema è un sistema di self-assessment,
quindi è lo stesso contribuente che deve presentare poi una propria determinazione, questo avesse,
per esempio soprattutto la locazione, dei rischi, delle ripercussioni su altre discipline. Io stavo
pensando al transfer pricing.

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- Risposta professore: pensava bene, nel senso che questo genere di analisi, cioè quanto reddito può
essere attribuito a una certa struttura che ha determinate caratteristiche – di funzioni, di asset, di rischi,
ecc. – è l’analisi tipica poi della ricostruzione del valore normale, quindi del valore di libero mercato
nelle transazioni infragruppo, nel transfer price di cui parleremo poi nelle lezioni successive. La
matrice è esattamente la stessa.
- Studente: volevo sapere se, per esempio, l’autorità competente, l’Agenzia delle Entrate tiene un
registro, cioè, nel momento in cui poi si va ad occupare del prezzo delle transazioni, fa riferimento a
quanto già detto dal contribuente oppure si muove per conto proprio su altre banche dati.
- Professore: ma quando il contribuente l’avrebbe detto?
- Studente: alla fine del periodo fiscale nel momento in cui poi deve presentare una dichiarazione.
- Professore: certo, quello è il punto di partenza evidentemente, ma poi l’amministrazione finanziaria
ricostruisce – più che altro in prima battuta per confrontare i valori, poi eventualmente per rettificare
il valore dichiarato – sulla base delle sue banche dati. Ci sono banche dati molto complesse in uso
all’amministrazione finanziaria dove, indicando le stesse caratteristiche indicate dal contribuente
come elementi caratterizzanti la stabile organizzazione, si va a vedere quali altre imprese in questo
database hanno caratteristiche simili a quelle dichiarate, si vede la media dei ricavi dichiarati e si
confronta con quello che è stato dichiarato sulla stabile organizzazione dal contribuente.

- Domanda studente: avrei una domanda sulla forza di attrazione. Quando veniva applicato quel
metodo, si determinava una doppia imposizione con riferimento a quella porzione di reddito o,
viceversa, veniva riconosciuto un credito di imposta?
- Risposta professore: non si può dare una risposta, nel senso che dipendeva un po’ dall’atteggiamento
dello Stato di residenza della casa madre, perché l’idea è che lo Stato di residenza della casa madre
concede il credito di imposta, ma solo per la parte che deriva dalla stabile organizzazione. Se lo Stato
della fonte allarga la parte riconducibile alla stabile organizzazione, c’è un problema di definizione
di stabile organizzazione, c’è un problema di attribuzione del reddito, e quindi si rischia di avere una
doppia imposizione, perché è ovvio che lo Stato della casa madre non vuole rinunciare alla tassazione
sul pezzetto che gli appartiene, e quindi doppia imposizione, probabilmente controversia
internazionale, procedura amichevole, tentativo di risoluzione. Erano situazioni complicate,
soprattutto per l’impresa, che veniva messa in mezzo a una plurima tassazione che rischiava di non
avere una soluzione. Ci torneremo, però ricordatevi – l’abbiamo già detto – che le procedure
amichevoli tendenzialmente introducono un obbligo di mezzi, ma non un obbligo di risultato, cioè
l’obbligo di eliminare la doppia imposizione una volta per tutte.

Vediamo ora l’ultima parte di questo nostro lungo excursus sulla stabile organizzazione, dando uno
sguardo un po’ più approfondito a quelle proposte dell’Unione Europea che anche oggi, ma non solo
oggi, abbiamo più volte evocato, e cioè la proposta di direttiva 147 e la proposta di direttiva 148. Le
ho lasciate per ultime non perché siano poco importanti, ma per una ragione molto pratica, cioè si
tratta di mere proposte ancora, quindi non sono regole positive con le quali in qualche modo ci
dobbiamo necessariamente confrontare, sono allo stato delle mere proposte di normativa che hanno
sì un interesse interpretativo, ma niente di più. Sia la 147 che la 148 affrontano, da punti di vista
diversi, il tema che ci ha accompagnato in queste lezioni, cioè il tema del nexus, il tema cioè del
collegamento di una certa fattispecie con un ordinamento diverso da quello dove risiede la società o
l’ente che pone in essere quell’attività. Naturalmente, le due proposte di direttiva affrontano questa
tematica con occhi diversi, perché diversa è la funzione delle due direttive. La direttiva 148 è quella
che introduce la soluzione temporanea, transitoria, e quindi introduce un’imposta indiretta sui ricavi,
quindi al loro dei costi generati nel territorio dello Stato dalla multinazionale digitale, mentre la 147
introduce la soluzione a regime, che si basa per l’appunto su una nuova definizione di stabile
organizzazione. Però, come ora vedremo, sebbene da punti di vista diversi, entrambe queste proposte
di direttiva giungono al medesimo risultato. E qual è questo risultato? Il risultato è che, nell’era
dell’economia digitale, la Commissione europea si rende conto che il nexus, cioè l’elemento che

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consente il collegamento di una fattispecie con un certo ordinamento, non può più passare dal
riferimento al soggetto che pone in essere la condotta, quindi l’impresa multinazionale digitale, e
neppure dall’oggetto della condotta, perché l’impresa multinazionale non è tendenzialmente residente
in un dato ordinamento e, anzi, la sua residenza tende ad essere estremamente sfumata, così come
l’elemento di collegamento non può essere l’oggetto dell’attività, perché il più delle volte l’oggetto
dell’attività della multinazionale digitale è qualcosa di intangibile, di puramente astratto, e quindi non
è quell’oggetto che può presentare un collegamento con un ordinamento. E quindi entrambe le
proposte di direttiva finiscono per valorizzare come elemento di collegamento della fattispecie con
un certo ordinamento che cosa? L’elemento finale della transazione, quindi l’utente, dove si trova
l’utente. Dove si trova l’utente è considerato in entrambe le direttive un elemento discriminante per
valutare l’inserimento o meno dell’impresa multinazionale digitale in un dato ordinamento. Quindi,
non più la residenza dell’impresa, non più l’oggetto, quindi l’attività produttiva dei ricavi, ma il
mercato, il luogo dove si trovano gli utenti.
Ecco, vi dicevo che le due proposte di direttiva – ora le prendo e magari, se ce le avete sottomano
anche voi, può essere utile – raggiungono questo risultato da due strade diverse. Ecco, proviamo un
attimo a ricostruire questo.
Per quanto riguarda la proposta di direttiva 148, quella sull’imposta sui servizi digitali, l’art. 5 – vi
ricordate, l’abbiamo già analizzato in una delle prime lezioni – è chiarissimo nel paragrafo 1 nel senso
di valorizzare il luogo dove si trovano gli utenti. Il paragrafo 1 ci dice: “ai fini della presente direttiva,
i ricavi imponibili ottenuti da un’entità in un periodo di imposta sono considerati ottenuti in uno Stato
membro in tale periodo di imposta se gli utenti di tale servizio imponibile si trovano in tale Stato
membro in detto periodo di imposta”. Quindi, quello che conta sono gli utenti. Finiamo il discorso e
poi faccio un chiarimento su questo. E poi come si fa a stabilire che un utente sta in uno Stato piuttosto
che in un altro? L’art. 5 al paragrafo 5 ci dice: “ai fini del presente articolo, lo Stato membro in cui è
utilizzato un dispositivo dell’utente è determinato con riferimento all’indirizzo di protocollo internet
(IP) del dispositivo o, se più accurato, a qualsiasi altro metodo di geolocalizzazione”. Quindi, cosa
vuol dire? Vuol dire che, ai fini dell’applicazione dell’imposta sui servizi digitali – questo lo
ritroviamo anche nella versione italiana della web tax – conta dove sta l’utente e l’utente
tendenzialmente sta dove è collocato l’apparecchio, il dispositivo che l’utente utilizza per accedere
alla piattaforma o comunque per usufruire del servizio digitale messo a disposizione dal soggetto non
residente e, a sua volta, questo dispositivo si ritiene sia utilizzato in Italia se per accedere alla
piattaforma viene utilizzato un indirizzo digitale italiano o se si vede che quel dispositivo sta in Italia
sulla base di un qualsiasi altro metodo di geolocalizzazione. Quindi, qui è chiarissimo il messaggio
per cui quello che conta non è chi fornisce il servizio, non è il contenuto del servizio, la piattaforma
digitale, ma è dove sta colui che utilizza quel servizio, dove sta colui che accede, attraverso un
particolare dispositivo, alla piattaforma digitale.
Guardate, questo esempio della direttiva 148 ve l’ho fatto perché ci introduce questo concetto di
rilevanza dell’utente, della localizzazione dell’utente, che è elemento essenziale anche nel concetto
di significativa presenza digitale di cui alla proposta di direttiva 147, ma – non ci sbagliamo – la 148
sta parlando dell’imposta sui servizi digitali, e quindi qui l’utente e la presenza dell’utente
nell’ordinamento attraverso il suo dispositivo serve solo come strumento per calcolare quanta parte
del reddito complessivamente prodotto nel mondo dalla multinazionale digitale può essere
spacchettato e attribuito un po’ ad uno Stato e un po’ all’altro. Dipende dal numero di utenti – sto
semplificando, il meccanismo è molto più complicato – sulla base sostanzialmente di una
proporzione: dato 100 di reddito complessivo, lo suddivido in proporzione al numero di utenti che
accedono a quel servizio con dispositivi registrati all’interno di ciascuno Stato membro. Ma, al di là
del funzionamento poi di questo meccanismo, ciò che conta è che qui il collegamento del reddito
tassabile con un certo ordinamento passa attraverso gli utenti, coloro che accedono al servizio digitale.
E questo è per l’appunto l’elemento distintivo anche della proposta di direttiva 147 del 2018, che è
quella che ci interessa più da vicino a noi che stiamo parlando di stabile organizzazione, perché – vi
ricordate, questo è un altro passaggio che vi ho già letto – l’art. 1 di questa proposta di direttiva fa

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proprio riferimento alla stabile organizzazione, ci dice: “la presente direttiva stabilisce norme intese
ad ampliare il concetto di stabile organizzazione allo scopo di includere una presenza digitale
significativa attraverso la quale è esercitata, in tutto o in parte, un’attività”. Qui – l’abbiamo già
ricordato – la Commissione si muove nell’ambito della vecchia nozione di stabile organizzazione e
ci sta dicendo che anche i fenomeni dell’economia digitale possono essere governati attraverso
l’utilizzo del concetto di stabile organizzazione, purché questo concetto sia arricchito, ampliato anche
a situazioni ulteriori, diverse rispetto a quelle a cui si riferiva il concetto tradizionale di stabile
organizzazione. E infatti dice “allo scopo di includere una presenza digitale significativa”. Quindi,
per la Commissione la presenza digitale significativa non è qualcosa di diverso dalla stabile
organizzazione, è un nuovo modo di essere della stabile organizzazione che evidentemente si
aggiunge alle forme tradizionali di stabile organizzazione che abbiamo visto finora (stabile
organizzazione materiale, stabile organizzazione personale, e così via).
Ed è qui il punto su cui si discute: come si definisce la presenza digitale significativa? Perché la
Commissione ci dice che questa nuova fattispecie di stabile organizzazione si chiama presenza
digitale significativa, e quindi bisogna capire che cos’è. Tornando al caso che facevamo prima della
lettera f-bis del c. 2 dell’art. 162, vedete la differenza: là si parla di significativa e continuativa
presenza economica; qui si parla semplicemente di presenza digitale significativa, punto, senza
ulteriori specificazioni, quindi manca tutto quell’appendice sul nascondimento che è tipica della
definizione italiana.
Questa rilevanza della presenza digitale significativa la troviamo poi nell’art. 4 della proposta di
direttiva, che, non a caso, si chiama proprio “presenza digitale significativa”. E qui ci sono alcuni
profili che è importante mettere in evidenza di questa disposizione, dell’art. 4.
Il primo lo troviamo nel 2° paragrafo, perché ci dice che la presenza digitale significativa, che
costituisce questo nuovo modo di essere della stabile organizzazione, “si aggiunge, senza limitare né
incidere sulla sua applicazione, a qualsiasi altro criterio ai sensi del diritto dell’Unione o nazionale
volto a determinare l’esistenza di una stabile organizzazione in uno Stato membro”. Questa è quella
che viene definita la disposizione di compatibilità e conferma quello che vi dicevo prima. Qui
l’intenzione della Commissione non è quella di cancellare la definizione tradizionale di stabile
organizzazione e sostituirla con questo nuovo concetto di significativa presenza digitale, tutt’altro.
L’idea è quella di arricchire una definizione che resta, però, nelle parti non toccate, quella
tradizionale. Qui ce lo sta dicendo. Non limita la definizione di stabile organizzazione già presente
negli ordinamenti nazionali, semplicemente la arricchisce con riferimento a cosa? Con riferimento ad
un settore ben preciso, cioè quello della fornitura di servizi digitali o di altro tipo.
E allora questo concetto, questa definizione di presenza digitale significativa come viene pensata,
quale contenuto ha per la Commissione? Qui ci aiuta il paragrafo 3 dell’art. 4 dove ci dice che la
presenza digitale significativa in uno Stato membro esiste se, nel corso di un periodo di imposta,
l’attività svolta attraverso questa presenza digitale significativa consiste interamente o in parte nella
fornitura di servizi digitali tramite un’interfaccia digitale. Quindi, in primo luogo, c’è questo profilo
completamente dematerializzato, perché ci sta dicendo che la presenza digitale significativa c’è,
innanzitutto, è la prima condizione, ora vediamo ce ne sono altre, ma la prima condizione è che ci sia
nello Stato, nel corso del periodo di imposta, la fornitura di servizi digitali attraverso un’interfaccia
digitale. Quindi, completa digitalizzazione, completa dematerializzazione del servizio,
dematerializzazione dell’interfaccia, della piattaforma, quindi manca del tutto una presenza fisica,
materiale dell’operatore non residente, quindi questo è il primo requisito.
E qui è interessante perché la definizione parla di servizi digitali e noi troviamo, a sua volta, la
definizione di servizi digitali nell’art. 3 della proposta di direttiva, che appunto è dedicato a dare le
definizioni. È interessante il punto 5 di questo art. 3, che ci dice che per servizi digitali si intendono
“i servizi forniti attraverso internet o una rete elettronica la cui natura rende la prestazione
essenzialmente automatizzata e richiede un intervento umano minimo”. Quindi, ecco perché dicevo
che questa fattispecie non ha niente a che vedere con la fattispecie dell’f-bis dell’art. 162, perché qui
è una presenza dematerializzata e che dal lato della fornitura, cioè di chi fornisce quel servizio, è

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anche deumanizzata, cioè richiede un intervento umano minimo, che vuol dire sostanzialmente
predisporre il servizio, che, però poi, anche grazie agli strumenti di intelligenza artificiale, va per
conto suo. Quindi, la dematerializzazione qui è completa ed è l’elemento caratterizzante questa
fattispecie.
E poi l’altro profilo, perché il primo profilo della presenza digitale significativa è questo, cioè la
fornitura di servizi digitali del tutto automatizzati, e poi dice – e questo è il secondo elemento – “se
sono soddisfatte una o più delle seguenti condizioni”, che sono tre condizioni quantitative che
troviamo sempre nel paragrafo 3 dell’art. 4:
a) la parte dei ricavi totali ottenuti nel corso del periodo di imposta derivanti dalla fornitura di tali
servizi digitali a utenti situati nello Stato membro considerato nel corso del periodo di imposta è
superiore a 7 milioni di euro
b) oppure il numero di utenti nello Stato di questi servizi digitali è superiore a 100.000
c) oppure il numero dei contratti commerciali per la fornitura dei servizi digitali con utenti situati
nello Stato membro è superiore a 3.000.
Quindi, per aversi presenza digitale significativa, occorre la fornitura di servizi dematerializzati e il
superamento almeno di una di queste tre soglie quantitative, che sono tre soglie diverse, pensate in
modo diverso (una riguarda la porzione dei ricavi riconducibili allo Stato, l’altra il numero degli
utenti, l’altra il numero di contratti commerciali), ma qual è l’elemento che unifica queste tre
fattispecie? Gli utenti, perché, se leggete: a) i ricavi totali derivanti da utenti; b) il numero di utenti;
c) il numero di contratti commerciali con utenti.
Quindi, anche qui, come abbiamo visto rispetto al caso della proposta di direttiva 148, l’idea di fondo
è che il collegamento dell’impresa digitale non residente con un certo ordinamento passa attraverso
la presenza degli utenti. Il servizio è dematerializzato, il servizio è pienamente digitale e che cos’è
che consente di agganciare quel servizio dematerializzato ad un certo ordinamento? Gli utenti.
Naturalmente, devono essere superate determinate soglie, ma, di fatto, quello che conta anche qui è
l’anello conclusivo della catena, l’anello conclusivo della transazione. Conta dove stanno gli utenti.
E infatti, al 6° paragrafo dell’art. 4, troviamo la stessa formula che abbiamo visto nella proposta di
direttiva 148: gli utenti stanno dove è utilizzato il dispositivo che serve per accedere al servizio
digitale e il dispositivo si trova nello Stato se è agganciato ad un indirizzo di protocollo internet (IP)
di quello Stato oppure se si trova nello Stato sulla base di un qualsiasi altro metodo di
geolocalizzazione.
Quindi, qui ci sono due concetti importanti che vanno tenuti presente. Il primo è quello che qui si sta
arricchendo la nozione di stabile organizzazione, che quindi resta centrale anche nell’epoca
dell’economia digitale. E l’altro è che il nexus, l’elemento di collegamento di questa fattispecie
dematerializzata con l’ordinamento della fonte, l’ordinamento dove si trova la presenza digitale
significativa, dove si trova questa stabile organizzazione digitale è il mercato, sono gli utenti che
accedono, attraverso dispositivi collocati, situati nel territorio, alla piattaforma.
Se vogliamo – ora sto davvero ragionando con voi a voce alta – questa caratterizzazione della proposta
di direttiva 147, si colloca davvero molto nell’alveo della visione classica, tradizionale del diritto
tributario internazionale, cioè davvero qui il tentativo della Commissione è quello di non buttare
all’aria tutto quello che è stato fatto nei decenni precedenti, ma semplicemente di far sì che quei
concetti tradizionali possano valere anche in un contesto così nuovo, diverso. Perché dico questo?
Perché il tema del collegamento, dei criteri di collegamento, anche quelli tradizionali basati su una
presenza materiale, è che un soggetto può essere chiamato a contribuire alle spese pubbliche di un
certo ordinamento pagando le relative imposte se ha un inserimento in quell’ordinamento tale da
essere ad un tempo causa delle spese pubbliche e potenziale destinatario dei servizi finanziati
attraverso le spese pubbliche. E quando si dice che il collegamento sta nella presenza del dispositivo
attraverso cui ci si collega alla piattaforma digitale in Italia, si sta dicendo, di fatto, la stessa cosa,
perché si sta dicendo che, se io ho un dispositivo che può connettersi in Italia alla piattaforma, è
perché in Italia sono stati fatti degli investimenti pubblici nelle infrastrutture che consentono a) alla
piattaforma digitale di essere presente in Italia e b) al singolo dispositivo di agganciarsi, attraverso

11
queste infrastrutture pubbliche, attraverso la rete, al dispositivo. Quindi, di fatto, mutatis mutandis, è
sempre lo stesso approccio. Siccome io multinazionale digitale sto godendo di una posizione
privilegiata, e quindi svolgendo la mia attività economica avvalendomi delle infrastrutture messe a
disposizione anche dallo Stato, è giusto che contribuisca alle spese pubbliche pagando le imposte su
quella parte di redditi che sono attribuibili a questa nuova forma di stabile organizzazione digitale.
Naturalmente, questo tema delle soglie, in particolare – lasciamo perdere il fatto che la norma non è
ancora entrata in vigore e non si sa se mai entrerà in vigore, perché anche l’Unione Europea, in realtà,
sta attendendo cosa verrà fuori dai dibattiti che si stanno svolgendo in seno all’OCSE – queste soglie
oltre le quali soltanto si ha presenza digitale significativa hanno fatto discutere, perché si è detto che
esse rischiano di introdurre delle discriminazioni.
Prendiamo, per esempio, la soglia dei 100.000 utenti. Quindi, la significativa presenza digitale c’è se
la multinazionale digitale sta offrendo dei servizi digitali e nel corso di un periodo di imposta ha un
numero di utenti di questi servizi pari o superiore a 100.000. Si è detto: questo per gli Stati più grandi
dell’Unione Europea (l’Italia, la Francia, la Germania) è evidentemente una soglia che ha senso, ma
una soglia così ha senso per gli Stati più piccoli (il Lussemburgo, l’Irlanda)? Stati piccoli dove magari
la soglia di 100.000 utenti è molto alta, perché in proporzione alla popolazione è una soglia molto più
alta rispetto ad altri Stati grandi dell’Union Europea.
Per cui si è detto: queste soglie, in realtà, rischiano di lasciare aperto un varco di ordinamenti nei quali
è difficile che queste soglie vengano raggiunte, quindi la presenza digitale significativa non può
verosimilmente essere invocata, e quindi in quegli stessi ordinamenti, che poi sono i più piccoli, quelli
che tradizionalmente hanno fatto da paradiso fiscale all’interno dell’Unione Europea, si rischia di
avere la possibilità per le multinazionali digitali di continuare ad avere una presenza senza
l’imposizione che deriva dalla significativa presenza digitale.
È chiaro che qui il tema è ancora aperto, non si sa bene dove arriverà l’Unione Europea, ma a tal
punto il dibattito è vivace che, a prescindere dall’esito di queste proposte di direttiva, oggi nell’ambito
dell’Unione Europea si stanno proponendo soluzioni alternative all’individuazione del nexus, quindi
di un livello minimo di presenza per poter configurare una presenza tassabile nell’ordinamento di
un’impresa non residente.
E qui vi cito un caso – poi magari vi mando un piccolo commento che avevo un fatto un paio di anni
fa su questo caso – che non è stato deciso, in realtà, dalla Corte di giustizia. Era una controversia
pendente di fronte alla Corte di giustizia che riguardava Google e l’Ungheria, perché? Perché
l’Ungheria aveva introdotto una legge che sottoponeva ad imposizione i redditi derivanti a Google
dalla vendita di spazi pubblicitari per il solo fatto che questi annunci pubblicitari ospitati sul sito di
Google utilizzassero la lingua locale, la lingua ungherese. Cioè l’idea era: non importa se sei presente
fisicamente oppure no; il fatto che la piattaforma utilizzi la lingua locale significa che si sta rivolgendo
a quel mercato, e quindi c’è una presenza significativa dell’impresa non residente sul mercato stesso.
E Google aveva contestato questa norma dicendo: sta di fatto introducendo un’idea di stabile
organizzazione che non corrisponde minimamente con quanto condiviso a livello internazionale.
Ecco, l’avvocato generale Kokott della Corte di giustizia nelle sue conclusioni presentate alla Corte
aveva avvallato questa scelta del governo ungherese dicendo: in un momento come questo, nel quale
i problemi dell’economia digitale sono sotto gli occhi di tutti e vi è l’impossibilità di individuare
soluzioni condivise, quello che conta è che ci sia un certo collegamento della fattispecie con un
ordinamento, e questo collegamento potrebbe essere dato anche dalla lingua attraverso la quale
l’impresa non residente si rivolge al mercato locale, quindi addirittura a prescindere dal flusso di
redditi che derivano poi da quelle inserzioni pubblicitarie, basta la potenzialità, basta l’astratta
idoneità di quel messaggio pubblicitario a solleticare l’interesse del mercato locale perché fatto nella
lingua comprensibile agli utenti di quel mercato.
Poi la Corte di giustizia nella sentenza, che è dell’inizio del 2020, non ha affrontato questo tema,
perché ha risolto la controversia sotto altri profili, però questo è interessante perché dà l’idea, pur
nell’impasse della Commissione, di quanto il tema sia impellente e di quanto, però, sia altrettanto
impellente un intervento unificatore dell’Unione Europea, perché sennò si rischia che ciascuno Stato

12
membro faccia la sua scelta autonoma, unilaterale, magari in conflitto con altre scelte fatte da altri
Stati. Ed è proprio nella mancanza di coordinamento tra le norme unilaterali interne che da sempre le
imprese multinazionali riescono ad ottenere i maggiori vantaggi.

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