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La donna bello sport

Nella società attuale nell’ambito sportivo è complicato fare paragoni tra il mondo femminile e
quello maschile. Spesso gli uomini sono conosciuti al grande pubblico, mentre le donne
faticano ad emergere. Questo deriva dall'enorme disparità che ancora esiste fra mondo
maschile e femminile a livello strutturale nella società.

SESSISMO NELLO SPORT


Per lungo tempo si è ritenuto che lo sport non fosse qualcosa di adatto alle donne, poiché la
visione della società si orientava su una visione della donna dedicata alla cura della casa e
della famiglia e ben lontana dai valori sportivi, tradizionalmente associati al mondo maschile.
La donna sportiva è stata pertanto identificata come qualcosa di diverso dall'ordinario, quasi
mascolina. Valori come la grazia, la bellezza, l'eleganza e la femminilità scomparivano, nella
visione patriarcale, di fronte a discipline considerate propriamente maschili come, ad
esempio, il calcio.

Molte donne rifiutano lo sport in prima persona, ritenendo che alcuni sport possano
escluderle dalla società.
La scelta di "andare controcorrente" quindi diventa difficile e coraggiosa per le donne con
una forte passione sportiva, soprattutto quando si tratta di scegliere questo tipo di strada a
livello professionale e non solo per hobby.
Questo è dovuto anche ai modelli che il mercato propone: donne magre e curate, con
lineamenti graziosi e muscolatura poco o per nulla pronunciata: una figura ben lontana dalla
donna sportiva e poco desiderabile per la maggioranza delle donne che si affidano e ispirano
a quei modelli.

DURANTE I REGIMI TOTALITARI

I regimi totalitari che fioriscono tra le due guerre, il fascismo in Italia e il nazismo in
Germania in particolare, hanno anch'essi un atteggiamento ambivalente nei confronti della
partecipazione femminile allo sport. Certo l'attività fisica sotto forma di ginnastica è
chiaramente uno strumento in più per governare e disciplinare la popolazione e promuovere
le proprie ideologie.
Durante il fascismo, per es., viene istituita l'Opera Nazionale Balilla che arriva a esercitare un
vero e proprio monopolio sulle attività ginnico-sportive. Le giovani donne sono incoraggiate a
svolgere anche attività propriamente sportive, come il nuoto, e a competere nel tiro con
l'arco.

Però, il regime fascista rimane comunque tendenzialmente ostile alle competizioni atletiche
femminili in pubblico: alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932, anche per l'opposizione di papa
Pio XI, nella squadra nazionale italiana non figurano donne, laddove il team maschile miete
numerosi e significativi successi.
Le italiane si prendono la rivincita alle successive Olimpiadi di Berlino, dove l'unica medaglia
d'oro di tutta la spedizione azzurra è vinta da Ondina Valla negli 80 m a ostacoli. Ponendosi
non solo come un fiore all'occhiello del regime ma anche come una potenziale sfida alla
supremazia maschile.

Il fascismo, soprattutto una volta consolidato il suo potere e anche per rispondere ai severi
moniti della Chiesa cattolica, tende ad avere un atteggiamento profondamente ambiguo
rispetto allo sport femminile: alcune atlete eccezionali vengono incoraggiate poiché possono
dar lustro al regime a livello internazionale, ma si ritiene che per la maggioranza delle donne
possa bastare un'educazione fisica salutista, l'unica giudicata davvero compatibile con
l'immagine relativamente tradizionalista della donna e delle sue funzioni che il regime
sostiene.

ONDINA VALLA
La sua carriera sportiva sembra essere segnata fin dall’età di undici anni, quando il campione
italiano della staffetta 4×400, Francesco Vittorio Costa, ne nota l’agilità durante lo
svolgimento della “Coppa Bologna”. Le sue specialità sono quelle dell’atletica leggera: corsa
a ostacoli, 50 metri piani, 100 metri piani, salto in lungo e salto in alto. 
Ondina cresce sulla pista, prende immediatamente confidenza con il mondo dello sport e la
sensazione della vittoria, conoscendo però anche la rivalità tra avversarie
I numerosi successi ottenuti, a livello italiano e internazionale, portarono Ondina Valla a
conquistarsi di diritto un posto nella nazionale femminile in occasione delle Olimpiadi di
Berlino del 1936.
Con un tempo di 11”7, Ondina conquistò la medaglia d’oro, prima donna italiana a centrare
questo obiettivo ai Giochi olimpici. 

L’enorme successo, faticosamente raggiunto in pista, portò Ondina Valla a diventare un


esempio nel mondo. Tuttavia, questa vittoria spaccò l’Italia in due parti: da un lato, chi
condivideva l’approccio del Vaticano alla questione sportiva femminile; dall’altro, chi riteneva
che fosse giunto il momento per le donne di esprimere sé stesse anche attraverso
l’affermazione nel mondo dello sport. 
Il primato di Ondina Valla deve ricordarci che lo sport non è una questione di genere ma
rappresenta una possibilità per chiunque voglia approcciarvisi.

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