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L’INEGUAGLIANZA NELLO SPORT: (S)COPRIAMO LE ATLETE

Introduzione

“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha il potere di unire le persone in un
modo che poche altre cose fanno. Parla ai giovani in una lingua che comprendono. Lo sport può portare
speranza dove una volta c’era solo disperazione”.

Con queste parole Nelson Mandela ha descritto l’importanza dello sport.


Sin dalle civiltà più antiche, lo sport ha sempre avuto un ruolo fondamentale nelle nostre vite e gli
insegnamenti che possiamo trarne sono infiniti e non si limitano all’attività fisica, ma sono trasversali: la lealtà,
il rispetto dei compagni come quello degli avversari, l’impegno, il lavoro di squadra, la capacità di riprendersi
dopo una sconfitta, la cultura per il benessere del corpo così come quello della mente, sono solo alcuni valori
e competenze trasferibili anche in altri contesti di vita.
Lo sport è un bene di tutti e chiunque ha il diritto di praticarlo nel rispetto della propria persona, o almeno
così dovrebbe essere. Sfortunatamente, succede troppo spesso che l’uguaglianza di genere non sia all’ordine
del giorno. Questo saggio breve prenderà in esame le ineguaglianze di cui le atlete, in Italia e nel mondo, sono
soggette, tra la sessualizzazione dei loro corpi e le battute sessiste dei giornalisti e telecronisti sportivi,
trattando anche dei movimenti nati per opporsi a queste ingiustizie sociali e le leggi approvate per
salvaguardare le donne nel mondo dello sport.

Screditate e offese: le donne dipinte dai commenti sessisti dei cronisti sportivi

Non importa la disciplina, non importa la nazionalità e non importa nemmeno se chi viene preso in causa non
è l’attore principale di quella scena, il sessismo nel mondo dello sport è trasversale.
Battute e offese ormai entrano a far parte della regolarità nelle telecronache sportive; la competizione così
come gli attori cambiano ma la vittima rimane sempre e solo una, la donna.
La natura di questa tipologia di atteggiamenti non è finalizzata alla risata ma all’affermare l’appartenenza a
un gruppo, sottolineando il diritto gerarchico di un gruppo su un altro, ovvero quello degli uomini su quello
delle donne. Questi comportamenti danno adito, dunque, all’oggettivazione sessuale, ovvero valorizzare un
individuo esclusivamente in base alla sua capacità di attrarre sessualmente l’altro, tralasciando qualunque
altro aspetto. La sessualizzazione dei corpi femminili affonda le sue radici nella cultura maschilista e
patriarcale che, oramai, dovrebbe essere stata abbandonata per una cultura giusta e uguale, dove chiunque,
sia uomini che donne, possano essere valutati per i loro meriti e non per i loro corpi.
Sfortunatamente, ancora nel 2024 il fenomeno della sessualizzazione non accenna a diminuire e sono
molteplici i casi degli ultimi anni che ci inducono a chiederci se questa situazione cambierà mai.
Uno tra gli esempi più eclatanti e sconcertanti della telecronaca italiana fa sicuramente riferimento ai
commenti sessisti e razzisti del giornalista di Rai Sport, Lorenzo Leonarduzzi, e il collaboratore tecnico,
Massimiliano Mazzucchi, durante i Mondiali di Nuoto, categoria tuffi, del luglio 2023.
Durante la riproduzione in diretta della competizione sportiva, i due cronisti si sono scambiati dei commenti
del tutto inappropriati nei confronti delle atlete:
“Le olandesi sono grosse.” “Come la nostra Vittorioso.” “Eh.” “È grande eh.” “Ma tanto a letto sono tutte alte
uguali.”

“Questa si chiama Harper, è una suonatrice d’arpa, come si suona l’arpa? La si…?” “La si tocca?” “La si pizzica.”
“Si La Do.” “È questo il vantaggio, gli uomini devono studiare sette note, le donne soltanto tre.” “Lo sapevo
che continuava, Si La Do, Sol Sol Fa.”
Queste sono solo alcune delle frasi pronunciate dai due e che sono finite sotto le luci dei riflettori, e al centro
della polemica, grazie a uno spettatore che ha assistito alla gara in diretta e che ha denunciato la telecronaca
raccogliendo quanto detto in un commento su Twitter e inviando poi una segnalazione alla Rai.
La Rai ha preso provvedimenti e ha avviato una procedura di contestazione disciplinare, dopo aver verificato
l’effettiva colpevolezza dei due commentatori, sostituendo anche la telecronaca del servizio pubblico dei
Mondiali di Nuoto, con altri due cronisti.
Non era la prima volta che Lorenzo Leonarduzzi finiva al centro delle polemiche per commenti razzisti
pronunciati durante altri eventi sportivi o condivisi sui suoi profili social, però la replica all’accaduto lascia
interdetti:

“[…] Non si tratta assolutamente di commenti sessisti, ho solo detto una barzelletta da bar sul “Si la do” al mio
commentatore durante la pausa del tg […]. Chiedere scusa? Sì, ma solo ai telespettatori che hanno sentito la
barzelletta a causa di un errore tecnico. Prendo le distanze da quanto accaduto e dalle accuse di sessismo.”

Delude ma non sorprende come non vi sia nessuna presa di coscienza né alcun assumersi le proprie
responsabilità da parte di questo giornalista in merito al suo comportamento senza dubbio sessista.
In questi atteggiamenti si riflettono una cultura e una società malsane che non danno né il rispetto, né il giusto
valore e merito alle donne nel mondo dello sport, e che vedono i fenomeni della sessualizzazione e
dell’oggettivazione dei corpi femminili espandersi a macchia d’olio tramite la diffusione sui social network da
parte dei mass-media. Con questa sempre maggiore e rinnovata importanza data ai social media, le atlete si
trovano non solo ad affrontare dure competizioni ma a sopportare ciò che viene condiviso, in rete e non solo,
sulle loro prestazioni sportive, ovviamente non nei termini della bravura dimostrata, ma scatti, video e anche
testate giornalistiche che si concentrano maggiormente sul loro aspetto fisico o sulla loro tenuta da gara.
Le capacità tecniche vengono difatti troppo spesso messe in secondo piano rispetto al corpo e
all’abbigliamento delle atlete, basti pensare al titolo del quotidiano bolognese “Il Resto del Carlino”
pubblicato dopo il bronzo italiano al tiro con l’arco femminile alle Olimpiadi di Rio nel 2016. “Il trio delle
cicciottelle”, ecco come vengono definite le tre atlete italiane Guendalina Sartori, Claudia Mandia e Lucilla
Boari dopo il loro podio olimpica; l’attenzione viene spostata da quello che dovrebbe essere visto come un
orgoglio nazionale alla derisione a causa del corpo femminile, che non trova alcuna giustificazione.
Nemmeno nel momento in cui la donna non è direttamente coinvolta nella competizione sportiva, i commenti
non si fanno attendere, come nel caso della pilota di rally italiana Christine Giampaoli Zonca mentre
presenziava al Gran Premio di Formula 1 in Spagna, durante il mondiale del 2023. La donna, inquadrata di
spalle, ignara, è stata presa di mira dai commenti dei due ex piloti Davide Valsecchi e Matteo Bobbi,
commentatori sportivi di Sky, che hanno definito il suo lato b con le frasi: “Lì c’è un bel pacchetto di
aggiornamenti.” “Purtroppo mi hanno detto che non si può testarli”, il tutto in presenza dell’inviata Federica
Masolin che, imbarazzata, ha cercato di proseguire con il programma.
I commenti non tardano però ad arrivare nemmeno in quello che si potrebbe definire lo sport nazionale per
eccellenza, il calcio, dove la presenza così come la competenza femminile non vengono accettate dai cronisti.
Durante la partita Agropoli – Sant’Agnello, giocatasi nel 2019, il telecronista Sergio Vessicchio non si è lasciato
sfuggire l’opportunità di denigrare Annalisa Moccia, guardalinee durante la partita, rivolgendole questo
commento:

“Chiederei alla regia di inquadrare l’assistente donna, che è una cosa inguardabile. È uno schifo vedere le
donne che vengono a fare dunque gli arbitri su un campionato dove le società spendono centinaia di migliaia
di euro. Ed è una barzelletta della Federazione una cosa del genere.”

Ma questo non è stato l’ultimo episodio simile verificatosi; difatti, nel 2021, questa volta in Gran Bretagna,
durante la partita Liverpool – Wolves, la professionalità della guardalinee Sian Massey-Ellis è stata
completamente messa alla berlina dai telecronisti Richard Keys e Andy Gray dopo che la donna aveva
segnalato un fuorigioco, nonostante si fosse dimostrato corretto durante i controlli video fatti in seguito:
“Qualcuno farà meglio a scendere e spiegare il fuorigioco a Massey.” “Sì, lo so. Puoi crederci? Guardalinee
femmine. Probabilmente non conoscono la regola del fuorigioco”.
È pertanto evidente come le capacità delle atlete e le loro competenze passino in secondo piano e vengano
sminuite in quanto figure femminili, senza considerare la loro persona e la loro abilità specifica nella disciplina.
È implicito, chiaramente, che sessualizzare e commentare con pensieri e parole fuori luogo la fisicità di un
atleta, anche se uomo, è ugualmente sbagliato. Screditare la professionalità di un individuo utilizzando come
metro di misura il suo genere vede però soprattutto le donne come protagoniste perché, è evidente che, se
quegli episodi avessero visto come figure principali degli atleti uomini, quei commenti, probabilmente, non
sarebbero mai stati proferiti e, al contrario, sarebbe stata evidenziata la loro bravura così come le loro capacità.

Scomode e imbarazzanti: le divise sportive al centro della polemica internazionale

Body aderenti, top striminziti, pantaloncini succinti, insomma divise imbarazzanti che poco lasciano
all’immaginazione. Così le atlete devono partecipare alle competizioni sportive, senza che vengano
considerati disagio e pudore nel trovarsi semi nude davanti a un pubblico, a una giuria ma anche alle
telecamere. Inoltre, non vengono neppure considerati i disagi che potrebbero derivare dai naturali processi
fisiologici del corpo femminili, come perdite imbarazzanti durante il ciclo mestruale. La divisa sportiva diventa
dunque non solo fonte di imbarazzo ma anche di oggettivazione sessuale, per questo, negli ultimi anni, molte
atlete hanno portato il problema alla luce del sole con delle piccole rivoluzioni nelle loro discipline.
La prima polemica si è aperta durante i campionati europei di Beach Pallamano che si sono tenuti nel 2020,
dopo che le giocatrici della nazionale norvegese hanno scelto di scendere in campo con un paio di
pantaloncini aderenti, simili a quelli utilizzati dalle squadre maschili, e quindi rifiutandosi di indossare gli slip
eccessivamente scoprenti previsti dal regolamento. In seguito a questo comportamento ribelle rispetto al
bikini sessista, del quale da tempo si richiede modifica, la squadra è stata multata per la violazione, ma lo
scandalo ha avuto un impatto mondiale. Molteplici sono state le proteste nate dal provvedimento preso dalla
Federazione e più donne hanno fatto sentire la propria voce in merito a supporto delle atlete norvegesi, come
la ministra per la Cultura e lo Sport norvegese, Abid Raja, che ha definito “del tutto ridicole” le regole sulle
divise femminili. La cantante statunitense Pink si è offerta di pagare la sanzione per “abbigliamento improprio”
inflitta alla squadra; anche l’attrice e attivista Talitha Stone si è schierata dalla parte delle giocatrici
affermando: “Spero che ciò sia l’inizio della fine del sessismo e dell’oggettivazione delle donne e delle ragazze
nello sport”. A seguire questa indignazione collettiva, si è aggiunto il clamore per le ginnaste della nazionale
tedesca, durante le Olimpiadi di Tokyo 2020: le atlete, infatti, hanno scelto di gareggiare con una tuta aderente
fino alle caviglie al posto del solito body. Il gesto è stato apprezzato internazionalmente, trovando supporto e
comprensione, ed è stato motivato a parole durante l’intervista della BBC, della ginnasta tedesca Sara Voss,
durante la quale l’atleta ha spiegato come quella loro piccola rivoluzione fosse dovuta al fatto che:

“Alcune ragazze abbandonano questo bellissimo sport proprio perché sono costrette a indossare il body, ecco
perché questa è un’ottima opzione per tutte per rimanere nello sport che amano e non doversi preoccupare
per il loro corpo, concentrandosi solo sulla loro performance.”

Anche nel momento in cui la divisa da gara fa sentire a proprio agio, non mancano commenti che lasciano
senza parole, come nel caso dell’atleta paralimpica inglese Olivia Breen, richiamata da una funzionaria di gara
dopo i campionati di salto in lungo britannici a causa degli slip che ha ritenuto “troppo corti e inappropriati”.
La stessa atleta ha confermato, replicando sui social, che quella tipologia di slip da gara era la stessa da molti
anni e che non aveva mai avuto problemi a riguardo, inoltre ha affermato: “Spero di indossarli a Tokyo. Mi
chiedo se a un concorrente maschio sarebbe stato criticato allo stesso modo. E mi auguro che non capiti a
nessun atleta ai Giochi Olimpici di sentirsi a disagio”.
L’immagine che le divise da gara rimandano, dunque, risulta essere il focus centrale durante le competizioni
rispetto alla performance dell’atleta, che passa in secondo piano anche quando a scendere in campo ci
potrebbero essere i più grandi campioni del mondo. L’attenzione al corpo nello sport non risulta però
simmetrica, difatti, rispetto agli uomini sono soprattutto le donne, più nello specifico i loro corpi, i soggetti su
cui ci si concentra e che non diventano altro che oggetti sessuali.
Per aumentare la consapevolezza mondiale delle ineguaglianze a cui sono soggette le donne nel mondo dello
sport, sono nati anche dei movimenti internazionali che si sono diffusi tramite un hashtag grazie ai social
media. Il movimento, nato all’estero, che più ha avuto impatto e che si è diffuso su internet a una velocità
sorprendente è il #CoverTheAthlete, che vede nello stesso nome un duplice significato sfruttando l’ambiguità
del verbo cover, lo slogan può difatti essere tradotto letteralmente con “Copriamo l’atleta” ma lo stesso verbo
fa riferimento anche al reportage giornalistico che segue le interviste agli atleti. Questa campagna, infatti,
mira a sottolineare e accentuare il modo sessista in cui i media ritraggono le atlete, con telecronache sessiste,
domande durante le interviste del tutto inappropriate e articoli focalizzati solo sull’aspetto fisico; tutto ciò
non solo banalizza i traguardi raggiunti dalle donne, ma manda anche un chiaro messaggio di come il valore
delle atlete non si misura con le loro abilità, ma solo sul loro aspetto.
Il video che è diventato il simbolo del movimento combina delle domande che sono state poste realmente
alle atlete, con le reazioni perplesse e interdette (risultato di altre domande che non avevano nulla a che
vedere con quelle presenti nel video) di alcuni atleti famosi. Il video punta a evidenziare sia l’assurdità delle
domande fatte alle atlete e che non verrebbero mai poste a degli atleti uomini, ma anche la necessità di
interviste corrette e che non discriminano gli sportivi in base al loro genere.

Un passo verso l’uguaglianza nel mondo dello sport

Passo dopo passo, una piccola rivoluzione alla volta, le atlete stanno sconvolgendo il mondo troppo
maschilista dello sport per renderlo più giusto ed eguale e per richiamare l’attenzione sulle ingiustizie che un
po’ troppo spesso passano inosservate agli occhi di chi non fa parte di quel mondo.
Non si tratta di grandi cambiamenti sconvolgenti, ma di piccoli traguardi che danno fiducia, giorno dopo
giorno, nel fatto che qualcosa sta effettivamente migliorando, un piccolo passo in più per fare quel salto e
raggiungere finalmente l’uguaglianza e la parità di genere tanto agognata nello sport.
Grazie al gesto di protesta della squadra norvegese menzionato poc’anzi la Federazione internazionale di
pallamano ha finalmente modificato il regolamento inerente alla divisa delle atlete, a cui verrà permesso,
d’ora in avanti, di scegliere anche un’altra divisa più comoda e simile a quella indossata dai loro colleghi maschi
rispetto alla divisa bikini, composta da un top e uno slip.
Anche la Federazione internazionale di beach volley ha modificato il regolamento sulla tenuta da gara,
permettendo per la prima volta nel 2020 una triplice scelta alle atlete, che potranno scegliere tra slip e
pantaloncini di diversa lunghezza. Inoltre, dal 1° gennaio 2022 sono state estese le tutele sul lavoro anche per
quanto riguarda gli sport femminili ed è stata promossa la parità di genere.
Molte Federazioni hanno preso posizione in seguito al movimento nato in America #MeToo, che ha visto delle
vittime di violenza sessuale al centro della campagna, per contrastare i gravi episodi di violenza verificatosi
anche nel mondo dello sport. Alcune tra queste sono state la Federazione di Arrampicata Sportiva Italiana
(FASI) che ha introdotto un articolo a protezione delle atlete per scongiurare abusi sessuali; la Federazione
Italiana di Sport Equestri (FISE) che ha approvato il Codice etico e comportamentale; e anche la Federazione
Internazionale di Scherma (FIS) che ha adottato una politica di salvaguardia per sensibilizzare, prevenire e
contrastare le molestie alle atlete.

Conclusioni
Alla luce di quanto esposto in questo breve saggio, l’augurio è quello di assistere alle prossime Olimpiadi di
Parigi ascoltando telecronache che evidenzino la bravura delle atlete, la loro competenza nelle singole
discipline e il grande impegno profuso per poter partecipare a questa grande competizione.
Sarebbe davvero scoraggiante dover sentire nuovamente opinioni personali riguardanti i corpi delle atlete o
le loro divise e ascoltare commenti sessisti come se questi non fossero altro che una battuta da bar, in cui un
uomo dà di gomito all’altro e ammicca per creare un cameratismo basato sull’apprezzamento sessuale.
Qualcosa si sta muovendo, il mondo dello sport sta prendendo in considerazione queste disuguaglianze, ma
molto rimane da fare, partendo dai bambini che si avvicinano allo sport. In queste squadre dilettantistiche è
importante che gli allenatori e i dirigenti insegnino fin da subito a comprendere che le fisicità possono essere
molteplici per scongiurare anche approcci sbagliati ad un’alimentazione corretta. Inoltre, la dirigenza delle
varie Federazioni dovrebbe comunque considerare una modifica al loro regolamento e permettere alle atlete
di poter scegliere tra più divise regolamentari o considerare un’unica divisa unisex.
In generale, comunque, è l’approccio globale che deve cambiare da parte di tutti, cronisti, social media e
anche spettatori: che l’atleta sia visto come tale e come suggerisce il suo nome invariabile, l’atleta.
SITOGRAFIA

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https://www.marieclaire.it/attualita/news-appuntamenti/a44123955/battute-sessiste-giornalisti/

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https://ecointernazionale.com/2021/07/divise-atlete-diversi-sport-stesso-problema/

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https://ublawsportsforum.com/2023/09/11/could-you-give-us-a-twirl-sexism-in-media-coverage-of-female-
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https://www.psicologidellosport.it/il_corpo_non_va_sessualizzato/

Messina, Elisa. “Tokyo 2020, il sessismo nello sport spiegato (anche) grazie a un paio di slip”. Il Corriere della Sera.
Ultima modifica 5 agosto, 2021. https://27esimaora.corriere.it/21_agosto_04/sessismo-sport-olimpiadi-tokyo-
2020-ginnastica-tute-tedesche-uniformi-sportive-7976fd9c-f4f2-11eb-be09-a49ff05c6b25.shtml

“Pallamano, stop a bikini ‘sessisti’: la Federazione internazionale cambia il regolamento sulle divise femminili”.
Tgcom24. 2 novembre, 2021. https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/pallamano-stop-a-bikini-sessisti-la-
federazione-internazionale-cambia-il-regolamento-sulle-divise-femminili_40246252-202102k.shtml

Polidoro, Daniele. “Le frasi razziste e sessiste della telecronaca Rai dei Mondiali di nuoto”. Wired. 17 luglio, 2023.
https://www.wired.it/article/rai-mondiali-nuoto-commenti-sessisti-leonarduzzi-mazzucchi/

“Riforma dello Sport e parità di genere”. Fisco no profit. 20 dicembre, 2022.


https://www.fisconoprofit.it/2022/12/20/riforma-dello-sport-e-parita-di-genere/

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