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Piero Bertolini, Auspicabile cooperazione tra pedagogia e medicina

Nel saggio il pedagogista riflette criticamente sui vantaggi conseguenti alle possibili
connessioni epistemologiche e metodologiche tra la Pedagogia e la Medicina, entrambe
scienze dell’uomo e per l’uomo. Il ragionamento muove dalla constatazione delle differenze
esistenti fra le due scienze, per approdare alla valorizzazione della loro significativa
continuità

Che tra due scienze, o anche soltanto tra due saperi, che si occupano sia pure da punti
di vista diversi, dell'uomo e delle sue modalità di «essere nel mondo» ci possa o addirittura
ci debba essere un incontro significativo, non deve in alcun modo stupire. La realtà, infatti, è
sempre altamente complessa e fortemente unitaria, e per ciò stesso si dispone ad essere
indagata e conosciuta per effetto delle molte «unità di senso» con cui viene interpretata,
«letta» - addirittura «costituita» - intersoggettivamente (e quindi mai una volta per tutte).
È così legittimo sostenere che nessun ordine di realtà, come nessun tipo di fenomeno, ha
la proprietà di cadere per se stesso in un solo determinato ambito disciplinare o di sottrarsi
alla possibilità interpretativa di qual-cun altro di essi.
Da un punto di vista epistemologico, ciò comporta almeno tre considerazioni.
1. Nessuna scienza è autorizzata a ritenersi la principale fonte di conoscenza (o la più
credibile scientificamente) di una esperienza «altra» rispetto a quella di propria pertinenza,
pur essendo legittimata ad occuparsene.
2. Per nessuna scienza è accettabile un atteggiamento ed un comportamento
«autocentrati» o addirittura «autarchici».
3. Volgendo in positivo il discorso appena sviluppato, la prospettiva e-pistemologica che
emerge come la più convincente non consiste solo nella disponibilità di ciascuna scienza a
riconoscere le altre e di farsi riconoscere da esse, ma nello stabilire un dialogo teorico e
pratico tra esse, allo scopo di evidenziare le eventuali reciproche connessioni teoretiche, gli
eventuali o-rientamenti metodologici comuni, nonché le inevitabili differenze esistenti sui
due piani. Ciò nella consapevolezza che solo operando in questo modo si è in grado di
problematizzare il sapere e, insieme, di indicare interessanti aree di consapevole e
programmabile cooperazione fra le scienze.

Connessioni epistemologiche di pedagogia e medicina


Al ragionamento fin qui sviluppato non si sottraggono la pedagogia e la medicina. In
particolare, per quanto si riferisce alla pedagogia, la prospetti va in cui essa va collocata è
quella di un sapere che, emergendo da un'analisi empirica dell'esperienza educativa
(prospettandosi così come scienza empirica), è in grado di coglierne i significati
originari (proponendosi così come scienza eidetica), ed è capace per ciò stesso di
orientare opportunamente la prassi educativa (con ciò risultando anche scienza pratica).
Nel fare questo però, essa deve rinunciare alla tentazione o, peggio, alla pretesa di stabilire
aprioristicamente (e perciò rigidamente) le mete e le strategie, consapevole come deve
essere che i suoi protagonisti sono comunque sempre dei soggetti. Per quanto si riferisce
alla medicina, la prospettiva in cui va collocata è quella di un sapere che, pur riferendosi in
prima istanza alla realtà corporea dell'uomo, è consapevole di dover trascendere o di dover
andare al di là di ogni interpretazione e di ogni trattamento di essa che risultassero pu -
ramente ed ingenuamente «oggettivistici», dal momento che il corpo dell'uomo
acquista il suo autentico significato solo se considerato nella sua inscindibile unità con la
mente.
Sappiamo bene che nella realtà di tutti i giorni (per certi versi, si po trebbe persino dire
«tradizionalmente»), le cose non stanno così, né per la pedagogia né per la medicina. Ed
infatti molto più spesso di quanto non si creda, la pedagogia si riduce ad essere una sorta di
definizione, tanto più apprezzata quanto più possibile particolareggiata e congruente al
proprio interno, delle modalità attraverso le quali trasmettere alle nuove genera zioni dei
contenuti pre-dati, secondo una prospettiva di massima integra zione sociale.
Analogamente, la medicina molto più spesso di quanto non si creda, si riduce ad essere un
insieme di tecniche o di indicazioni, tanto più apprezzate quanto più oggettive ed
inequivocabili possibile, attraverso cui aggiustare quelle parti del corpo umano che
risultassero non più funzionanti a dovere o non congruenti con un modello di esso
considerato come una vera e propria norma generalizzata.
Con ciò non voglio certo negare che tali modalità di realizzazione non siano o non
debbano essere presenti nella pedagogia e nella medicina. Affermare qualcosa del genere
equivarrebbe senza dubbio ad una ingenuità. Ciò che intendo sostenere è che ove queste due
scienze ritenessero di poter limitare o di poter caratterizzare tutto il loro sapere ed il loro
operare secondo quelle modalità, esse perderebbero la loro connotazione di scienze
dell'uomo e per l'uomo. L'uomo infatti, non importa se piccolo e immaturo o malato, non è
mai riducibile ad una cosa impunemente manipolabile vuoi per imprimervi delle tracce
durature, vuoi per imporgli degli aggiustamenti dall'esterno.

Reciproco riconoscimento della pedagogia e della medicina.


È possibile affermare che tra le due scienze, forse sarebbe meglio dire tra i due tipi di
sapere (poiché è ben raro che la medicina ufficiale sappia cosa è la pedagogia e tanto meno
che accetti l'idea che essa sia una scienza) non esiste una tradizione di reciproca
considerazione ed autentica collaborazione.
Così, al di là delle forme negative di pregiudiziale ed ambiguo rapporto, e proprio allo
scopo di superarle con vicendevole vantaggio e soprattutto con evidente vantaggio per i
soggetti cui le due scienze si rivolgono, c'è una prima considerazione epistemologica da fare.
Essa consiste nel sottolineare il possibile apporto che l'una scienza è in grado di dare all'altra
per ciò che riguarda il riconoscimento delle proprie legitti mità, nonché la rilevanza delle
rispettive competenze per il destino dell'uomo, tanto se considerato nella sua individualità
quanto se considerato nella sua generalità di specie animale. È così che mi paiono assai
significative per la pedagogia due sottolineature che la medicina è andata sempre più
facendo. Da un lato, quella che ha condotto al riconoscimento dell'impos sibilità di ridurre il
fenomeno della «nascita» ad un evento puramente biofisiologico; dall'altro lato, quella che
ha suggerito l'opportunità di intendere il concetto stesso di «salute» in modo più allargato
rispetto ad una concezione esclusivamente fisicista. Sia nel primo caso sia nel secondo,
infatti, viene chiamato in causa il fattore «educazione», dal quale si è oggi sempre più
convinti che dipenda una corretta crescita innanzitutto fisica del bam bino e la realizzazione,
in tutto l'arco della vita umana, di una soddisfacente qualità della salute. Ciò vale comunque,
anche se delle conseguenze epistemologiche che andrebbero ricavate da una tale
constatazione la medicina si mostra ancora scarsamente consapevole, se è vero come è vero
che troppo spesso essa trae da ciò l'ingenua convinzione di essere lei stessa chiamata a
determinare gli opportuni orientamenti educativi.
Per le stesse ragioni ed analogamente, mi pare assai significativo, per la medicina (e
segnatamente per una sua giusta collocazione nel comparto delle scienze dell'uomo) la
sottolineatura che la pedagogia è andata sempre più facendo, non solo e non tanto in
astratto quanto sulla base di indicazioni emergenti addirittura nella prassi quotidiana, circa
l'importanza del fattore corpo e in particolare del suo stato di salute, ai fini di una convin-
cente formazione globale dell'individuo, nonché della conquista da parte di quest'ultimo di
una soddisfacente qualità della vita.

Continuità tra medicina e pedagogia


Certo, nessuno può negare che, anche da un punto di vista epistemolo gico, vi siano tra
le due scienze in questione delle importanti differenze. Tra queste ultime, mi pare spicchi
soprattutto quella che si riferisce al loro specifico oggetto nonché, correlata con essa, quella
che potremmo indicare come la dimensione temporale del loro caratteristico operare. In
breve, credo sia da non sottovalutare il fatto che, se è certamente vero che entrambe le
scienze si rivolgono o hanno a che fare innanzitutto con un soggetto, è altrettanto vero che,
mentre l'oggetto della pedagogia è la costruzione di un percorso formativo il cui obiettivo è
ad un tempo lontano nel tempo e non individuabile con precisione, quello della medicina è
la costruzione di un percorso terapeutico il cui obiettivo è vicino nel tempo e facilmente
individuabile (la guarigione o, quanto meno, la scomparsa dei sintomi patologici), anche se
il quadro tende ora a modificarsi almeno in parte nella misura in cui essa è sempre più
chiamata a confrontarsi con la cronicità di molte malattie.
Per entrambe le scienze, dunque, il punto di partenza è il presente di un individuo (o di
un gruppo sociale) per la cui comprensione appare necessario un adeguato sguardo al suo
passato, e per entrambe la dimensione del loro operare è il «futuro». Ma, se il futuro
dell'operare medico, essendo legato alla presenza/assenza di una condizione di morbilità, ha o
è costretta ad assumere - di solito - una prospettiva di breve o media durata e soprattutto è (o
si esige che sia) facilmente constatabile da chiunque (e non solo dal diretto interessato), il
futuro dell'operare pedagogico ha di solito una prospettiva di lunga durata, tanto che
raramente e solo per certi aspetti limitati può essere verificabile da coloro che ne sono in
qualche modo coinvolti o che ne sono direttamente interessati.

In quanto scienze per l'uomo, fanno ricorso a metodologie individualizzate


Sul piano metodologico, 1'incontro/confronto tra la medicina e la pedagogia suggerisce
importanti considerazioni. La prima fa riferimento alla loro comune qualifica di scienze
dell'uomo e per l'uomo e quindi alla constatazione secondo la quale entrambe hanno
individuato il motivo principale del loro stesso costituirsi più che in una intenzione scientifica
di tipo tradizionale (per la quale le ricerche vengono effettuate per amore della ri cerca), in un
desiderio esplicito di aiutare l'uomo in carne e ossa a vivere la propria esistenza il meglio
possibile: o favorendone un normale processo formativo o contribuendo a neutralizzare gli
eventuali ostacoli di natura fisica o psichica. Ciò significa sostenere che tanto per la medicina
quanto per la pedagogia la preoccupazione principale consiste nello studio e nell'inte-
ressamento per ciascuna singola individualità (paziente o educando che sia), e che dunque
esse debbono far riferimento anche ad una metodologia individualizzata. Il che, tuttavia,
non comporta che esse siano o, peggio, che debbano essere sorde a problematiche sociali o
socio-culturali, né che esse siano o, peggio, debbano essere insensibili ai risultati di una seria
ricerca scientifica. Vero è piuttosto il contrario, da un lato perché tendere alla salute
psicofisica o ad un «livello d'esistenza» il meglio integrato possibile, rinvia necessariamente a
problematiche interpersonali e a prospettive di valore super-individuali; e perché qualsiasi
pretesa di «trattare» l'individuo avulso da un contesto naturale e sociale ben più ampio sarebbe
non solo ingenuo in quanto non corrispondente alla realtà stessa dell'individuo, ma addirittura
colpevole, e condurrebbe a un sicuro fallimento. Dall'altro lato, perché rifiutare le indicazioni
fornite dalla ricerca scientifica, anziché utilizzarle problematicamente, significherebbe negare
aprioristicamente e perciò ideologicamente l'esistenza di una base materiale dell'essere
dell'uomo e quindi rinunciare ad un contributo fondamentale, seppur non sufficiente, per
evitare di perdersi nell'estemporaneo e nell'approssimativo.
Il necessario ricorso ad una metodologia individualizzata richiama invece la necessità per
entrambe le scienze di far riferimento alla (e quindi di rispettare la) soggettività degli
individui con cui hanno a che fare. Ciascun individuo, infatti, non è caratterizzato soltanto da
una «versione» corporea propria dell'uomo considerato in generale, ma anche dalla sua
capacità «intenzionale». D'altro canto, appartiene all'esperienza tanto dell'operatore
dell'educazione quanto del medico - sempre che l'uno e l'altro non sia no vittime di veri e
propri pregiudizi conoscitivi - la constatazione secondo cui, al di là dei contenuti «oggettivi»
che sostanziano o mediano il rapporto educativo o quello clinico - che nessuno intende negare
o sottovalutare - si danno sempre i vissuti individuali o, se si preferisce, i significati
particolari, spesso addirittura fortemente diversificati, che quei contenuti finiscono per avere
per ciascun individuo.
Da un punto di vista metodologico, quindi, si impone per le nostre due scienze non solo il
riconoscimento della dimensione soggettiva dei propri oggetti di riferimento, ma un
adeguato rispetto e persino una consapevole utilizzazione di quella stessa dimensione.
L'elemento soggettivo, infatti, che, come abbiamo visto, connota le realtà cui la pedagogia e
la medicina hanno a che fare, non rappresenta tanto o soltanto un «limite» o un insieme di
limiti di cui occorre tener conto (se non si vuole condurre un «discorso» comunque violento
con l'educando e/o con il paziente, ai quali si imporrebbero modalità esistenziali improprie
perché di fatto standardizzate); ma rappresenta - o può rappresentare - una ricchezza da
«sfruttare».
Né va sottaciuto, sempre a proposito della presenza significativa e significante della
dimensione soggettiva nelle problematiche educative e in quelle mediche, che quella
dimensione caratterizza anche le due figure di operatori chiamate in causa, l'educatore e il
medico. Anch'essi, infatti, sono e devono riconoscersi come dei soggetti e dunque come dei
protagonisti attivi e responsabili delle decisioni che assumono, e non dei semplici «esecutori»
di interventi prescrittivamente emergenti da un sapere rigidamente dato cui attenersi il più
scrupolosamente possibile. Certo, entrambi devono far riferimento ad un sapere costituito (di
cui peraltro conoscono l'elevato grado di problematicità e di non-definitività), così come
devono potersi rifare, seppur mai pedissequamente, alle «esperienze precedenti»; ma en-
trambi, nel momento in cui operano direttamente, sono delle singole soggettività la cui
caratteristica è appunto quella di intervenire attivamente sulla realtà di riferimento
contribuendo a darle un certo significato o a farla essere in un certo modo. Come dire,
insomma, che tanto l’educatore quanto il medico intervengono nel singolo evento cui si
riferiscono attraverso la loro capacità di «interpretare», tanto che il loro incontro con
l’educando o con il paziente, essendo un incontro tra soggetti, tende a diventare, più che un
freddo scambio di domande e di risposte, una sorta di vero e proprio commercio spirituale.

[P. Bertolini, “Un possibile (necessario?) incontro tra la pedagogia e la medicina”, in G.


Bertolini (a cura di), Diventare medici. Il problema della conoscenza in medicina e nella
formazione del medico, Milano, Guerini Studio 1994, pp. 55-78; adattamento dalle pp.
55-65]

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