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Lo sguardo curioso e irriverente di Gianfranco Cecchin (una proposta per il counseling sistemico).

Scopo di questo articolo non quello di proporre un percorso di lettura organico ed esaustivo dellintera opera di Cecchin: sarebbe impossibile farlo in uno spazio cos ridotto e comunque eccederebbe le mie capacit. Ho scelto piuttosto di isolare pochi argomenti, alcune idee: in parte per far risaltare meglio la coerenza della sua proposta rispetto ad alcune cruciali questioni di fondo; in parte con intenti, per cos dire, euristici. Anche se Gianfranco Cecchin si sempre occupato e ha sempre scritto di psicoterapia, a mio parere i presupposti epistemologici e metodologici del suo lavoro sono tali da giustificare il tentativo di fondare, con essi e a partire da essi, anche un modo di fare counseling. Va precisato che le questioni di cui parler non sempre sono esplicitate da Cecchin nei libri e articoli da lui scritti attraverso le stesse parole-chiave qui utilizzate; e va da s che le

Gianfranco Cecchin, nato nel 1932 e morto nel 2003, stato uno dei pionieri della terapia sistemica in Italia. Fu uno dei membri con Mara Selvini Palazzoli, Luigi Boscolo e Giuliana Prata di quel gruppo di Milano che divenne famoso in tutto il mondo per lapproccio innovativo alla terapia familiare, sviluppato a partire da una rilettura originale delle idee di Bateson e del gruppo del Mental Research Institute di Palo Alto. Nel 1980 lequipe originaria si sciolse, e Cecchin insieme a Boscolo inizi ad affiancare alla clinica una sempre pi intensa attivit di formazione. Fu questultima, forse, il principale motore di unulteriore, radicale evoluzione del quadro teorico e metodologico che faceva da sfondo allattivit del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, che nel frattempo aveva ampliato il proprio campo di intervento: non pi limitato alle famiglie con pazienti gravi ma anche esteso alle terapie e consulenze con i singoli, le organizzazioni, etc. I due pur privilegiando temi diversi nei rispettivi lavori diedero forma ad un modello di intervento clinico fondato sulla rinuncia allutilizzo di tecniche strategiche, sullinclusione dellosservatore nel campo terapeutico, sullidea di ecologia della mente.

mie scelte sono opinabili. Credo tuttavia di non aver tradito, in questa esposizione, la sostanza pi profonda delle sue idee e delle sue proposte. Macchine banali e non
Lillusione di influenzare gli altri un credo essenziale della vita di relazione. Non diventeremmo terapeuti professionisti, agenti di cambio, politici o qualsiasi altra cosa se non pensassimo di avere la capacit di convincere gli altri a seguirci fedelmente. Se, da un lato sembra che gli uomini effettivamente si influenzino vicendevolmente, dallaltro, purtroppo, non possiamo prevedere i risultati delle nostre manipolazioni. Dio salvi il terapeuta (e il suo cliente) in preda allillusione di riuscire a prevedere gli effetti delle proprie azioni. 1

Uno dei temi pi ricorrenti, addirittura fondamentali, dellintera attivit clinica, scientifica e formativa di Gianfranco Cecchin, credo possa essere individuato nella questione della banalizzazione del soggetto umano. Il termine banalizzazione, qui, costituisce un esplicito richiamo alla terminologia di Heinz von Foerster, epistemologo e pioniere della cibernetica. Per von Foerster, le macchine banali sono quegli aggregati funzionali caratterizzati da una relazione biunivoca tra input (o stimoli, o cause) e output (o risposte, o effetti). Si tratta di sistemi deterministici in quanto la relazione tra input e output sempre la stessa, determinata una volta per tutte e soprattutto prevedibili nel loro comportamento. Le macchine che costruiamo, per quanto possa essere complessa la loro tecnologia, sono quasi sempre macchine banali: e questo logico, poich la nostra interazione con esse presuppone necessariamente la loro prevedibilit di funzionamento. Le macchine non-banali, allestremo opposto, presentano una relazione tra input e output non invariante, ma determinata dagli
G. Cecchin, G. Lane, W.A. Ray (1997), Verit e pregiudizi. Un approccio sistemico alla psicoterapia, Milano, Cortina, p. 35.
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output forniti in precedenza. Pi che dagli stimoli loro forniti, in altre parole, queste macchine sono determinate dalla loro stessa storia. Si tratta pur sempre di sistemi deterministici vale a dire che le loro risposte non sono casuali, n insensate ma ai fini pratici, il pi delle volte imprevedibili. Difficilmente esse presenteranno due volte consecutivamente la stessa identica relazione tra input e output (o tra cause ed effetti). Gli organismi viventi, esclusi forse quelli pi primitivi e semplici, sono evidentemente macchine non-banali, in quanto capaci di apprendimento. Il punto , come gi rilevato dallo stesso von Foerster, la necessit di non confondere le prime con le seconde e conseguentemente saper discernere i casi in cui utile presupporre la prevedibilit dellaltro e quelli in cui questa strategia della banalizzazione (ossia la riduzione del non-banale al banale) si riveli ingiustificata:
Nelle nostre speranze, tutte le macchine che costruiamo e compriamo dovrebbero comportarsi da macchine banali. Il tostapane [dovrebbe] tostare il pane, la lavatrice dovrebbe lavare, lautomobile dovrebbe rispondere in modo prevedibile ai comandi del conducente. In effetti, tutti i nostri sforzi sono indirizzati verso un unico scopo, quello di creare macchine banali o, se ci imbattiamo in macchine nonbanali, di trasformarle in macchine banali. [] Sebbene in un certo dominio la nostra pre-occupazione di banalizzare lambiente possa essere utile e costruttiva, in un altro essa diviene inutile e distruttiva. La banalizzazione diviene una panacea pericolosa quando luomo lapplica a se stesso.2

Lillusione della banalizzazione si rende particolarmente evidente in tutti quei contesti umani che prevedono lintervento di operatori su e con altri soggetti: e il counseling uno di questi, ovviamente. In tali situazioni, a volte, lintervento delloperatore pu prendere la forma che segue:

H. Von Foerster (1987), Sistemi che osservano, Roma, Astrolabio, p. 129. Il corsivo mio.
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1. un essere umano crede di poter spiegare3 il comportamento di un suo simile 2. avendolo spiegato crede di poterlo prevedere (ovvero: crede di prevedere le risposte dellaltro alle proprie azioni) 3. conseguentemente, crede di poterlo controllare (ovvero: si convince di poterlo cambiare) I sistemi umani, fa notare von Foerster, tendono spesso a degenerare verso una tale illusione. Per citare lesempio di cui egli stesso si serve, potremmo dire che la scuola pu essere vista, almeno in parte, come un articolato complesso di pratiche al quale demandare la produzione di esseri umani informati, competenti, socializzati. In una parola, prevedibili. Tanto che il criterio di valutazione a cui sottoposto lo studente da rintracciarsi nella misura dello scostamento della sua risposta da quella giusta (che quella data dal libro, ovviamente). Considerazioni simili valgono aggiungiamo noi per i sistemi deputati alla cura delle persone. Il grado di successo di queste pratiche, infatti, spesso esplicitamente definito come il grado di adeguamento dellindividuo alla risposta considerata corretta in quella data situazione: un paziente, per esempio, guarito nella misura in cui si conforma ai criteri di normalit o maturit previsti nei manuali di riferimento del suo terapeuta. Daltra parte, il grado di frustrazione presto o tardi sperimentato da chiunque per quanto animato dalle migliori intenzioni e sostenuto dai pi sofisticati apparati teorico-metodologici si proponga di cambiare
Le forme di spiegazione possibili in proposito, sono molteplici: da quelle di ordine morale (o moralistico), a quelle scientifiche o sedicenti tali, a quelle, infine, di carattere psicodiagnostico, che rappresentano talvolta uninteressante mescolanza delle precedenti. Ecco allora che diventa possibile spiegare il comportamento di un individuo X: perch X un criminale (o un santuomo) oppure perch si tratta di un comportamento geneticamente determinato o, ancora, perch schizofrenico (nevrotico, depresso, etc.). Tali spiegazioni si poggiano quasi sempre su procedure di carattere tipologico, indispensabili per la ricerca, ma che come ci ricorda Bateson appartengono ad un livello logico differente da quello dellazione terapeutica.
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laltro, e cio di educarlo, o disintossicarlo, o curarlo, o convertirlo, ci rivela la strategia della banalizzazione per ci che effettivamente : unillusione, appunto. difficile non cogliere la sintonia di queste considerazioni con quelle di Gregory Bateson. Chi intende utilizzare strumenti di qualsivoglia natura magici o scientifici che siano e per Bateson, di fatto, cattiva scienza e magia hanno molto in comune con lo scopo dichiarato di modificare una porzione dellecosistema (questa modalit di operare viene definita finalit cosciente), va incontro al fallimento:
La formulazione della finalit tende ad assumere la forma seguente: D desiderabile; B conduce a C; C conduce a D; quindi D pu essere raggiunto tramite B e C. Ma se la mente complessiva e il mondo esterno non posseggono in generale questa struttura rettilinea, allora imponendo loro a forza questa struttura, ci impediamo di scorgere le circolarit cibernetiche dellio e del mondo esterno. [] In particolare il tentativo di indurre un cambiamento in una data variabile, situata nellio o nellambiente, sar probabilmente intrapreso senza comprendere la rete omeostatica che circonda quella variabile. 4

Onnipotenza e impotenza La strategia della banalizzazione, in un certo senso, il pensiero di tipo magico che sostiene la finalit cosciente. La scorciatoia offerta dal pensiero magico, daltra parte, esercita un richiamo irresistibile, per quanto perverso. Il pi delle volte, infatti piuttosto che fare i conti con la nostra incapacit di esercitare una concreta, misurabile e prevedibile influenza sulla vita dellaltro preferiamo percorrere altre strade. La pi immediata certamente la riconduzione di ogni responsabilit allaltro polo della relazione: se, nonostante tutti i nostri sforzi, laltro pervicacemente si ostina a restare quello che , ci evidentemente dovuto al suo scarso impegno o alla sua immaturit o alla sua cattiveria o, al limite, alla sua pazzia. Per
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G. Bateson (1977), Verso unecologia della mente, Milano, Adelphi, p. 485

tornare alla terminologia di von Foerster, ci equivale alla riduzione dellaltro ad una macchina forse difettosa, o addirittura rotta, ma certamente ancora banale. I sistemi di spiegazione di cui ci serviamo, daltra parte, sono quasi sempre abbastanza raffinati da includere anche la previsione di tali fallimenti, cosicch questi ultimi finiscono per rafforzare, anzich mettere in dubbio, le ipotesi di partenza. Lesempio pi noto non certo lunico dato dalla psicoanalisi nella sua versione pi ortodossa, con lidea di resistenza alla terapia. Unaltra possibilit, diversa solo in parte, quella della revisione dellinsieme di presupposti teorici alla base del nostro intervento: potremmo dire in altre parole che se laltro ancora non cambia, e se il suo comportamento resta per noi incomprensibile, il problema sta nel fatto che non possediamo un modello teorico adeguato alla spiegazione della situazione, e/o alla programmazione di un intervento efficace. Strada diversa solo in apparenza, si diceva, poich sposta a monte la collocazione del difetto, ma non modifica limpostazione generale della questione: cambiata la teoria, infatti, si suppone di poter recuperare capacit di previsione e controllo. E quindi? Quali conseguenze trarre per noi psicologi, counselor, professionisti della relazione daiuto in genere? Salvaguardare intatta limmagine della nostra onnipotenza a sostegno di unidentit professionale sempre fragile e incerta, ma a spese della banalizzazione dellaltro costa un notevole sforzo, e come abbiamo visto non ci garantisce dal continuo ricomparire, sotto spoglie sempre diverse, del fantasma dellimpotenza. Il dilemma tra questi due poli dilemma che molti operatori dei contesti ai quali abbiamo fatto cenno ben conoscono potrebbe essere in realt ricondotto, seguendo la proposta di Cecchin, allincapacit delloperatore di stesso di riflettere sul ruolo che egli gioca nel cocreare una relazione che evolve, e sui modi per renderne levoluzione favorevole5.

G. Cecchin (1997), Linguaggio Azione Pregiudizio, Connessioni, 1, p. 27.

Attori, non artefici La via duscita suggerita instancabilmente da Cecchin, attraverso la quasi totalit dei suoi scritti, molto chiara, e costituisce al tempo stesso una sfida profonda e continua. Il punto di partenza del ragionamento poggia sullosservazione di una evidente simmetria tra la condizione delloperatore, cos come labbiamo descritta, e quella del suo cliente: una delle motivazioni principali dietro alla decisione di rivolgersi ad un esperto del cambiamento risiede infatti nellincapacit di comprendere e accettare che i propri sforzi di influenzare e controllare il prossimo falliscono regolarmente.
In questi casi bene chiedersi: come pu un terapeuta far s che il paziente rinunci allidea di poter cambiare la propria moglie, o viceversa, se il terapeuta stesso convinto di poter cambiare il proprio paziente? Accade che una terapia termini bene quando il paziente diviene capace di vedersi come attore, cio come partecipante attivo piuttosto che come vittima delle circostanze. [] Tuttavia questo cambiamento difficilmente pu avere effetti duraturi [] qualora anche il terapeuta non si sappia attore, cio persona che partecipa ad un processo evolutivo influenzando ed essendo influenzato, ma che non pu mai considerarsi artefice e causa del cambiamento.6

In altri termini. Mettere in atto processi di riflessione sul modo in cui io counselor contribuisco alla creazione e al mantenimento del setting di consulenza, entro il quale laltro cliente mi sottopone una situazione-problema, non da considerarsi mero precetto deontologico, parte di una sorta di bon-ton del counseling, in virt del quale accollarsi un fardello simile a quello di chi, nella stessa stanza, si sta avviando ad un processo talvolta doloroso, sempre comunque faticoso di riflessione su di s. N pu essere esclusivamente ricondotto ad una necessit di ordine tecnico-metodologico, come pratica di
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Ibidem, p. 29

messa a punto del proprio apparato percettivo, allo stesso modo in cui la maggior parte delle scuole di psicoterapia prevedono un percorso di analisi per il futuro terapeuta, come se questo fungesse da garanzia della sua sanit e maturit, ossia della sua capacit di non confondere realt oggettiva e realt soggettiva. Tale attivit, piuttosto, costituisce il cuore stesso del processo evolutivo, processo che coinvolge necessariamente entrambi i poli della relazione. In tal senso Cecchin suggerisce alloperatore che si propone di agire per il cambiamento un percorso riassumibile in due fondamentali passaggi, che lo porti ad assumere una posizione che terapeutica e etica al tempo stesso7. Punto uno. Curiosit = piacere = rispetto Il primo passaggio consiste nella sostituzione di una cornice di tipo scientifico con una di tipo estetico. Nella cornice scientifica, come abbiamo gi discusso sopra, sono interessato alla ricerca di una spiegazione plausibile dei fenomeni da me osservati. Questo necessariamente comporta unattivit di confronto tra diverse descrizioni e/o spiegazioni, alla ricerca della migliore (la pi logica, la pi corretta, la pi vera). Il criterio di valutazione, inoltre, sar quasi inevitabilmente di tipo quantitativo. Allinterno di una cornice estetica, invece, il focus della nostra attenzione scivola su un piano completamente diverso. Alle procedure quantificatorie si sostituisce la curiosit, volta allindividuazione di patterns (configurazioni, ridondanze, strutture).
Fare riferimento ad un pattern infatti, genera una sorta di curiosit per ilo modo in cui le descrizioni di tutti membri della famiglia possano andar bene insieme. Come fanno queste ad adattarsi alle nostre descrizioni (cliniche)? Com che queste particolari descrizioni
G. Cecchin, G. Lane, W.A. Ray (1993). Irriverenza. Una strategia di sopravvivenza per i terapeuti. Milano, Franco Angeli, p. 22.
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possono essere simili? Com che possono essere diverse? E perch proprio queste descrizioni in questo momento specifico? Quali spiegazioni sono state precedentemente offerte nella storia della famiglia? Quali descrizioni si potrebbero costruire in futuro? Eccetera, eccetera. Si noti lelevato livello di curiosit che una cornice estetica pu generare. Noi non scegliamo la descrizione migliore; cerchiamo piuttosto un pattern che giustifichi la coesistenza delle descrizioni. E pi curiosi siamo circa la possibilit di creare infiniti patterns, pi piacevolmente estetica diventa la nostra analisi.8

Latteggiamento estetico comporta labbandono della pretesa di modificare laltro: al tentativo di instaurare uninterazione istruttiva definizione coniata da Maturana e Varela, per indicare lazione volta ad istruire laltro su come comportarsi9 si sostituisce il piacere di una inesauribile ricerca di nessi, per quanto provvisori, tra spiegazioni diverse, che producano perturbazioni allinterno del contesto nel quale operiamo. Sar il sistema poi a riorganizzarsi a seguito di tali perturbazioni, in un modo e con esiti certamente sensati, ma non prevedibili dallesterno.
ciascun sistema ha una sua logica. Questa logica non n buona n cattiva, n giusta n sbagliata; semplicemente operativa. In questottica noi rispettiamo lintegrit del sistema. E ricorsivamente, il nostro rispetto per il sistema induce alla curiosit su come le idee, i comportamenti e gli eventi contribuiscano a creare e mantenere lintegrit del sistema.10

Paradossalmente o forse non tanto il rispetto dellaltro alimentato dal piacere del counselor nel portare avanti la propria esplorazione.

G. Cecchin (1987), Hypothesizing, circularity and neutrality revisited. An invitation to curiosity. Family Process, 26, pp. 405-413. 9 H. Maturana, F. Varela (1984), Lalbero della conoscenza. Trad. it. Milano, Garzanti, 1997. Maturana e Varela precisano che 10 G. Cecchin, Hypothesizing, circularity and neutrality revisited. An invitation to curiosity. Op. cit. Il corsivo mio.
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Punto secondo. Irriverenza = responsabilit Il secondo passaggio riguarda la ridefinizione delle basi della propria responsabilit come operatori. Il fatto di aver invocato la necessit di una cornice essenzialmente estetica al lavoro del counselor, non esime da un vincolo ben preciso: qualunque spiegazione o ipotesi, qualunque sistematizzazione per quanto provvisoria dei dati che raccogliamo implica la scelta di un insieme coerente di asserzioni di natura teorica al quale fare riferimento. Ignorare questo dato in nome di una meccanica e pervasiva applicazione del motto tutto fa brodo, significa condannarsi nel migliore dei casi ad un eclettismo vacuo; e nel peggiore allapprossimazione e alla trascuratezza che derivano dallassenza di strumenti. Inoltre, non si pu ignorare il fatto che il pi delle volte essere a-teorici significa solo avere una cattiva teoria11, senza nemmeno esserne consapevoli! Il dilemma a questo punto rischia di essere paralizzante: abbracciare un corpus teorico e il suo rassicurante corredo di previsioni e prescrizioni operative sapendo che questo non ci metter al riparo dal rischio del fallimento, e anzi ci esporr a quello di diventare i custodi dellortodossia e del controllo? O rinunciare definitivamente al tentativo di comprendere laltro entro i nostri schemi, finendo fatalmente per perdere curiosit nei suoi confronti? Persino il rifiuto di qualunque strategia fondata sul tentativo di controllo dellaltro una volta tradotto in pratica diventa a propria volta una strategia: il fantasma della banalizzazione, cacciato dalla porta, rientra cos dalla finestra, nella versione appena pi sofisticata per cui non controllare il modo migliore per influenzare laltro Di fronte allillusione di poter uscire dallimpasse assumendo il ruolo di esperto, di colui che si fa personalmente carico della vita del cliente, Cecchin e i suoi colleghi americani ci ricordano che
Poich implicita, e quindi non comunicabile, e perch priva di alcun apparato di verifica, perci tautologica.
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questa posizione , al contrario, irresponsabile, non etica, perch il terapeuta che ladotta non in grado di valutare le conseguenze pratiche del suo comportamento. Non si rende conto che questo modo di agire e di pensare pu diventare parte del problema.12

La soluzione, una volta chiuse tutte le strade apparentemente percorribili, arriva come sempre in questi casi attraverso un salto logico paragonabile a quello del delfino pi volte citato da Gregory Bateson13. Il counselor, cio, seguendo la proposta di Cecchin, Lane e Ray, dovrebbe diventare irriverente rispetto alle teorie e alle ipotesi di cui si serve, soprattutto rispetto a quelle che pi profondamente condivide. Per usare una loro espressione, questo significa non lasciarsi irretire da un modello, per quanto affascinante e convincente ci possa apparire. Significa giocare con le idee, sapendo che il gioco non privo di regole, ma piuttosto che queste sono relative, convenzionali, provvisorie: possono cio, mutate le circostanze e il contesto, mutare a propria volta. Leffetto dellirriverenza duplice: essa salva il counselor dallinsostenibile posizione di esperto del cambiamento, senza per questo negare valore a tutte le conoscenze e competenze faticosamente acquisite nel corso della propria formazione. Al tempo stesso risulta utile al cliente, dal momento che consente listituirsi del contesto di counseling come contesto di apprendimento o meglio di deutero-apprendimento in cui tutto pu essere costantemente rimesso in discussione, anche e soprattutto le idee e le convinzioni che generano sofferenza.
Il terapista irriverente sabota i modelli e le storie che vincolano la famiglia entro schemi prefissati, seminando confusione e incertezza e creando cos le condizioni perch i clienti possano sviluppare modelli e punti di vista diversi e possibilmente meno costrittivi. 14
G. Cecchin e a., Irriverenza, op. cit., p.21. Il corsivo mio. Cfr., per esempio, G. Bateson, Verso unecologia della mente, op. cit., pp. 300-1. 14 G. Cecchin e a., Irriverenza, op. cit., p.22.
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Il counselor irriverente si pone nellunica posizione efficace e sostenibile per chi voglia aiutare laltro a cambiare visione del mondo: mettere in discussione, per prima, la propria. In questo modo egli recupera efficacia, attraverso lassunzione della responsabilit per le proprie sensazioni, le proprie ipotesi, che verranno abbandonate non appena risultino inadeguate alla situazione, o superate dagli eventi.
Le ipotesi sono per lui descrizioni di ci che vede o crede di vedere, non spiegazioni.15

La posizione di irriverenza una posizione evolutiva anche per un altro, cruciale, motivo: grazie ad essa, infatti, vengono reintrodotte nella situazione di counseling le variabili tempo e misura, cos frequentemente cristallizzate nella vita e nel racconto del cliente. Posso credere ad unipotesi, per il tempo in cui essa mi utile; posso trattare un cliente come non-competente, fino a quando sceglier di farlo (e fino a quando il cliente me lo consentir); posso credere ad una spiegazione di un comportamento, senza mai prenderla troppo sul serio; posso persino irriverentemente rispetto alle stesse idee esposte qui sopra adottare un atteggiamento direttivo, nella piena consapevolezza di farlo, e solo fintanto che ritenga di potermene assumere la responsabilit. Provvisoriet e mutamento di prospettiva diventano cos le parole dordine di un lavoro in perpetua ridefinizione di s stesso. Ragionare secondo la logia e/e e non secondo quella o/o, autorizzer il cliente a fare altrettanto, se e quando lo vorr. Limperativo etico Nel delineare come indispensabile allattivit clinica un atteggiamento di irriverenza e di curiosit, Gianfranco Cecchin
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Ibidem, p. 24

pone le basi per un percorso di ricerca e riflessione che lo porter, nel tempo, allesplorazione di altri temi, che dei primi risultano la naturale evoluzione: in particolare quello dellinterazione tra i pregiudizi del cliente e quelli del terapeuta, e quello delle idee perfette, trappole per le menti troppo innamorate dei propri prodotti16. Si tratta di un lavoro ricco di spunti e, come si diceva in apertura, intimamente coerente, ma che daltra parte poggia le basi sulle stesse fondamenta etiche ed epistemologiche qui delineate. Qui perci non ne tratter ulteriormente. Von Foerster ci ha offerto lo spunto per tentare di sistematizzare alcune idee di Cecchin; sembra giusto tornare alle sue parole in chiusura. Lo scienziato austriaco voce tra le pi autorevoli del costruzionismo produce molteplici esempi a sostegno dellidea che la percezione sia un processo molto pi attivo di quanto siamo abituati a pensare, perch condizionata e plasmata dalle azioni che compiamo in quanto agenti autonomi per esplorare il mondo17. Tale posizione conduce Von Foerster fino alla conclusione che ritiene ineludibile, e che definisce come imperativo etico: agisci sempre in modo da accrescere il numero delle possibilit di scelta. Se il mondo una costruzione del soggetto, in altre parole, spetta al soggetto stesso la responsabilit di costruirlo come un mondo di libert, e non come un mondo di costrizioni. La proposta fatta qui, e cio di utilizzare irriverenza e curiosit come fondamenti metodologici del lavoro di counseling credo vada appunto nella direzione proposta da Von Foerster. Se il counseling , per definizione, una pratica volta allattivazione delle risorse del soggetto, responsabilit prima del counselor costituirsi come osservatore capace di vedere tali risorse nelle situazioni in cui interviene. Con curiosit e irriverenza.

Il riferimento, ovviamente, a Verit e pregiudizi. Un approccio sistemico alla terapia, scritto ancora con Lane e Ray e pubblicato in Italia da Raffaello Cortina (1997), e a Idee perfette. Hybris delle prigioni della mente, scritto con Tiziano Apolloni e pubblicato da Franco Angeli nel 2003, lanno della sua morte. 17 Cfr. in particolare Sistemi che osservano, op. cit., in particolare il saggio Sulla costruzione di una realt.
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