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Bisogni Educativi Emergenti: ridefinire un percorso

Capitolo 2: INCLUSIONE DI TECNOLOGIE INTEGRATIVE

2.1 Scuola 2.0: per un futuro digitalizzato della scuola


L’educazione formale, scolastica esiste da millenni, esistevano realtà scolastiche già tra egizi e
persiani, che si sono poi evolute, con diverse forme fino alle istituzioni scolastiche di oggi,
pubbliche, di massa.
La scuola è cambiata con il cambiamento della società, ma in linea di massima ha sempre
mantenuto le sue due principali funzioni: trasmettere il sapere (il patrimonio di conoscenze
accumulato dal genere umano dal passato al presente) e preparare l’individuo a vivere nelle
società cui appartiene, dandogli strumenti adeguati di partecipazione alle vita civile, politica,
lavorativa (e possibilmente anche strumenti di critica).
La società cambia, la scuola, lentamente, si adegua. Il problema oggi è che il progresso
tecnologico e i cambiamenti sociale e culturali che ne derivano è talmente veloce che la scuola
(che per vari motivi viaggia ad una velocità innovativa inferiore a quella della società) fa fatica a
seguirlo, fa fatica a perseguire in modo armonioso le sue due funzioni, trovandosi anzi spesso
nella contraddizione di prediligerne una a discapito dell’altra.
E' evidente che in un contesto così dinamico non si può accettare che la cultura scolastica resti
immobile.
In un quadro di cambiamenti lenti si poteva accettare che la prima parte della vita fosse dedicata
alla acquisizione sistematica delle competenze da utilizzarsi nell'età adulta. Nella società liquida
di oggi, caratterizzata da mutamenti continui e da percorsi scolastici prolungati, si rischia di
trasmettere conoscenze che sono destinate ad essere rapidamente superate dal progresso della
ricerca e dagli sviluppi della tecnologia.
Un aspetto essenziale della formazione scolastica è quindi l'acquisizione della capacità di
adattamento: bisogna fornire le conoscenze che possono costituire il fondamento sul quale
appoggiare nuove conoscenze. Non conta solo ciò che si è imparato a scuola, ma quanto e come
si è in condizione di imparare dopo la scuola, bisogna insegare ad imparare, in una prospettiva di
long-life learning ormai imprescindibile.
Detto questo la scuola non può ignorare la tecnologia che domina la società odierna e la
rivoluzione digitale che presenta risvolti in ogni campo della vita, a livello sociale, psicologico,
politico e addirittura antropologico poiché ha cambiato il modo di comunicare, lavorare, vivere.
La rivoluzione digitale ha raggiunto ogni angolo del globo, ma è ancora presente il digital divide tra
paesi ricchi e paesi poveri. Cina, Stati Uniti, Giappone e Nord Europa sono i più digitalizzati.
L’Italia no.
La scuola comunque si sta trasformando in scuola 2.0 (la scuola del 21 secolo, che integra la
nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione basate sul web - ICT, information and
communication technology)
Anche la scuola Italiana che fino allo scorso decennio riscontrava un grave ritardo tecnologico, si
sta lentamente adeguando all’introduzione di nuove tecnologie nei processi di insegnamento e
apprendimento e nella gestione amministrativa, nei limiti della perenne carenza di fondi e di una
discontinuità progettuale dei governi che si sono avvicendati negli ultimi anni.
Secondo i dati dell’Osservatorio del MIUR al 2015 il 70% delle classi italiane è connessa in
Rete in (ma generalmente con una connessione inadatta alla didattica digitale), il 40% è dotata di
LIM e il 6% di proiettore interattivo. Il 99.3% delle istituzioni scolastiche ha un proprio sito web, il
58.3% utilizza forme di comunicazione scuola–famiglia online, il 69.2% utilizza una tipologia di
registro elettronico.
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Ma il punto cruciale non è solo introdurre la tecnologia nelle classi, ma la formazione e
l’aggiornamento di coloro che fanno scuola, gli insegnanti, che per forma mentis sono molto
lontani dai loro alunni, ormai tutti nativi digitali.
E, punto ancor più cruciale, serve un’ampia e profonda riflessione in termini pedagogici
condotta sulla base di dati e ricerche per valutare possibilità e limiti della digitalizzazione
scolastica, valutando le conseguenze di questo big bang digitale sulle nuove generazioni.
Si tratta di una sfida che porta grandi possibilità ma anche grandi rischi, ancora più grandi in un
quadro di scarsa interazione tra politica, ricerca e pratica educativa.
La scuola digitale in Italia
L’INDIRE, cioè istituto nazionale di documentazione innovazione e ricerca educativa, svolge un attività di
ricerca che mira a comprendere i cambiamenti di apprendimento e comunicazione delle nuove generazioni.
All’Europa spetta il compito di fare in modo che ogni singolo stato promuova l’impiego dell’ ICT, information
and communication technology, (o il TIC, italiano) in campo didattico, amministrativo e organizzativo.
Sono importanti tre tappe del sistema italiano in materia di digitalizzazione scolastica:
 2002: nasce il Piano Nazionale di Formazione Insegnanti sulle Tecnologie dell’Informazione e della
Comunicazione;
 dal 2005 al 2007 è stato realizzato il progetto DIGI scuola;
 nel 2008 nasce il Piano Scuola Digitale.
L’Italia segue la strategia Europa 2020 promulgata dalla commissione europea, cioè una strategia per una
crescita intelligente, sostenibile e solidale. Una strategia dove istruzione, economia, occupazione compiono
dei passi insieme per raggiungere i fini prefissati.
Nel Piano Scuola Digitale si mette in evidenza quanto gli studenti sono immersi in ambienti ricchi di stimoli
culturali contraddittori. Occorre un’ organizzazione didattica che superi la frammentazione delle
conoscenze e le integri e questo si può fare attraverso una trasformazione degli ambienti scolastici, con
l’integrazione delle nuove tecnologie nei processi di insegnamento-apprendimento e nella stessa
organizzazione del lavoro scolastico. Si dà avvio a una serie di introduzioni tecnologiche nella scuola e Il
Piano Scuola Digitale del 2008 propone l’introduzione di apparati tecnologici nelle classi che avranno la
denominazione di 2.0.
 LIM ( lavagna interattiva multimediale) che va sostituita con la lavagna di ardesia. Questa fa in
modo che l’aula diventi uno spazio più incentivante e che i ragazzi partecipano di più.
 CLASSI 2.0 dove tutti avranno un dispositivo elettronico.
 TABLET: verrà utilizzato dai bambini per fare i compiti e studiare, e si potranno fare lavori di gruppo
interagendo tra ragazzi.
 EDITORIA DIGITALE SCUOLA: prodotti multimediali le cui singole componenti possono essere
utilizzate dai docenti per lo sviluppo di materiali didattici personalizzati.
 AURORA, OLTRE L ‘@AURORA: progetti per l’introduzione delle tecnologie destinati ai minori che
scontano le pene in carcere, a coloro che si trovano in ambienti di reclusione, che sono in ospedale.
L’Italia rimane sempre indietro rispetto agli altri paesi dell’Ocse proprio perché mancano i finanziamenti e
infatti le scuole digitalizzate nel 2007 erano solo il 6%. Mancano soldi, motivazioni degli insegnanti che
dovrebbero affrontare corsi di formazione per includere al meglio i nativi digitali.
Con il governo Monti (2011-2013), il ministro dell’Istruzione Profumo un decreto in materia di adozioni dei
testi scolastici e libri digitali. A partire dal 2014 le scuole dovranno avere gli e-book ed eliminare il cartaceo.
Decreto duramente criticato dall’AIE, associazione italiana editori e che comunque non vide applicazione.
Con il governo Letta (durato meno di un anno tra il 2013 e il 2014) il nuovo ministro (Maria Chiara
Carrozza) abroga il decreto firmato da Profumo e firma il nuovo decreto per il passaggio graduale dal
cartaceo all’e-book, che lascia autonomia di decisione alle scuole e agli insegnanti. Con il governo Renzi
(2014-2016) il ministero presieduto dalla Giannini adotta un parziale cambio di rotta, dando priorità alla
sicurezza e alla edilizia scolastica. Per quando riguarda l’introduzione delle nuove tecnologie nella didattica
punta a una preparazione dei docenti, alla diffusione di LIM e tablet, ma non nasconde le sue riserve nei
confronti dei libri elettronici, ribadendo l’importanza della lettura del testo cartaceo come esercizio cognitivo
che non può essere abbandonato. Salvaguarda il patrimonio scritto e lo accompagna alla tecnologia,
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avviando un nuovo Piano nazionale per la scuola digitale nell’ambito della riforma per la “buona scuola”, un
piano che, se ho capito bene, viene portato avanti anche dall’attuale governo (ministro bussetti).

2.2 Cambiamenti ludici e relazionali educativi ai tempi dei digital kids


Il bambino tech di oggi è diverso da quello analogico di ieri, la rivoluzione tecnologica influenza
l’ambito educativo, relazionale, sociale, ludico. E’ diverso il rapporto che ha con la famiglia, amici,
con il gioco.
Tra il bambino e l’adulto (educatore o genitore) c’è una gap non solo generazionale… ma
tecnologico!
Nel 2001 il sociologo statunitense Marc Prensky ha coniato il termine Nativi Digitali per
identificare la prima generazione, quella nata intorno al 1985, cresciuta a contatto quotidiano con
la tecnologia digitale e con l’informatica di massa (con i computer e i cellulari).
Le persone che sono nate prima di questa data vengono invece denominate con il termine
“immigrati digitali” poiché si sono approcciate al “linguaggio digitale” in una fase di vita
successiva (non per questo hanno necessariamente meno dimestichezza con la tecnologia, non
dimentichiamo che l’universo digitale è stato creato da…immigrati digitali!).
Ma a questa distinzione si deve aggiungere ora anche quella dei bambini digitali, i bambini 2.0
o “generazione touch”, che fin dalla nascita hanno vissuto a stretto contatto con le svariate
tecnologie che abbiamo visto emergere e diffondersi in modo impressionante negli ultimi anni, non
solo computer ma tablet, smartphone che grazie al sistema touch-screen vengono maneggiati con
disinvoltura da bambini di due anni.
Sembra che il sistema touch screen venga appreso grazie a una sorta di facoltà innata che
richiede solo di essere osservata un paio di volte per poterla sfruttare. Per Jerome Bruner è tutto
merito della capacità di rappresentazione enattiva, quella che i bambini utilizzano nei loro primi
tentativi di esplorazione del mondo, che è principalmente tattile: le loro mani sono il
prolungamento dei loro pensieri, prima ancora di acquisire il pensiero simbolico e il linguaggio.
Le nuove tecnologie plasmano il modo di apprendere, di conoscere, di comunicare, influenzando
la dimensione ludica, le relazioni familiari, la relazione educativa a scuola.
- GIOCO La familiarità dei bambini con una tale varietà di “dispositivi interattivi”, plasma il loro
modo di apprendere, di conoscere, di comunicare, cambiando anche una dimensione
fondamentale per lo sviluppo del bambino: l’attività ludica.
E’ nato un mercato di app pensate apposta peri piccolissimi, ricchi di stimoli luminosi, colori vivaci
e suoni
Ci si chiede quali sono gli effetti dell’uso di tablet e smartphone sullo sviluppo cognitivo nei primi
anni, difficile rispondere, dibattito aperto, necessita di dati ancora da raccogliere e valutare.
Gli esperti che si occupano di analizzare la funzione ludica nella vita infantile hanno messo in luce
rischi e vantaggi che l’utilizzo di dispositivi tecnologici nel gioco potrebbe comportare.
Senz’altro i nuovi giochi tecnologici contribuiscono a sviluppare attenzione, memoria,
percezione uditiva, visiva ma inibiscono la corporeità e la relazione con l’altro. Rimangono quindi
fondamentali il gioco libero, la sperimentazione e l’esplorazione, i giochi motori, immaginativi e di
finzione, le attività creative e collaborative, il gioco di gruppo, non solitario ma condiviso. Il gioco
tecnologico può associarsi, ma non sostituirsi a quello tradizionale.
E qui è chiamata in causa la responsabilità degli adulti, a partire dai genitori, dalla famiglia, da cui
dipende il modo in cui i bambini sono esposti al mondo tecnologico.
- FAMIGLIA Occorre rilevare come l’avvento delle ICT stia modificando la dimensione educativa,
a partire da quella familiare della relazione genitore-figlio. Genitori analogici, figli digitali…

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L’esposizione dei ragazzi ad un flusso informativo continuo ed esteso può portare alla rottura
della tradizionale gerarchia genitore-figlio nella trasmissione delle conoscenze, sottraendo
spazio al tradizionale concetto di autorità e introducendo elementi di reciprocità, di bilateralità.
Inoltre il big-bang digitale porta nella nostra quotidianità una dimensione virtuale, che rischia di
sostituire quella reale, di togliere spazio e tempo alla relazione face-to face tra genitore e figlio,
al contatto fisico, alla comunicazione verbale e non verbale, fondamentali per lo sviluppo affettivo
ed emotivo.
Bambini incollati al tablet anche a tavola (che era un momento di incontro), o durante un viaggio in
macchina (quando prima si parlava, si facevano giochi, indovinelli, canzoni), ma anche genitori
“distratti” che prestano più attenzione allo smartphone che ai figli (e qui ci sarebbe anche una
riflessione da fare su come le nuove tecnologia della comunicazione abbiano radicalmente
cambiato la dimensione lavorativa, che non è più ristretta agli spazi e ai tempi del luogo di lavoro,
ma si allarga, ti rincorre ovunque tu sia).
(Il bambino è predisposto geneticamente a sviluppare un legame di attaccamento con chi si
prende cura di lui poiché da sicurezza. L’attaccamento va per tappe: dal riconoscimento della
madre al riconoscimento di familiari e del mondo, da un attaccamento direzionato dal primo anno
di vita all’emergere di differenze individuali tenendo sempre presente le figure di attaccamento. Da
questo dipende come poi la persona vedrà se stessa, la realtà e le sue relazioni: l’attaccamento
resterà immutabile e condizionante anche se un po’ varia in base alle esperienze come spiega
Bowlby.)
Ed ecco che i genitori assumono delle posizioni divergenti:
 I proibizionisti, coloro che rinnegano l’utilizzo delle tecnologie poiché si intravedono
pericoli e rischi per il fanciullo e allora meglio non farcelo giocare. meglio rimanere attaccati alle
attività tradizionali, ma come dice Freud la regola è fatta per essere trasgredita e loro lo faranno,
anche per non rischiare di rimanere fuori dal mondo dei coetanei. E’ bene ricordare che i divieti
spesso si accompagnano a una comunicazione negativa, che genera incomprensioni che
aumenteranno nell’adolescenza.
 I troppo permissivi, spesso indaffarati, che non hanno tempo di dedicare attenzioni al figlio a
causa del lavoro, di una vita troppo frenetica e delegano la loro funzione educativa non più solo ai
nonni, agli educatori, ai circoli sportivi o ricreativi, ma anche ai dispositivi elettronici, che
intrattengono il bambino proiettandolo per ore e ore in un mondo immaginario di esperienze e
relazioni virtuali (con una cornice valoriale spesso dubbia)
Qualsiasi tipo di atteggiamento il genitore adotterà questo si ripercuoterà sul bambino
influenzando a loro volta l’apertura o chiusura al mondo tecnologico.
L’IDEALE: il genitore dovrebbe fare in modo che il bambino abbia la possibilità di avvicinarsi al
mondo tech, avendo presa di coscienza della sua esistenza. è bene che non lo si lasci solo fino a
quando non si avrà la sicurezza che li utilizzi nel modo più idoneo, con lo scopo ludico prefissato.
Bisogna stargli vicino, chiedergli cosa sta facendo, conversare con lui. L’immigrato digitale che
vive idoneamente con il nativo digitale non farà altro che vivere insieme il cambiamento.
La famiglia non è più l’unica agenzia educativa da tempo: ma oltre ai sistemi scolastici, alle varie
realtà sociali, culturali sportive, oggi si aggiungono mass media e nuove tecnologie sempre più
pervasive nella vita anche dei giovanissimi. In questa pluralità realtà formative, di fonti
informative, di messaggi spesso discordanti cui sono esposti i bambini è essenziale che la
famiglia assuma un ruolo di mediatore, che accompagni i bambini e selezioni le esperienze
secondo criteri di coerenza educativa.
SCUOLA I bambini digitali non sono solo figli digitali, ma anche alunni digitali. La tecnologia
influenza non solo la relazione genitore-figlio ma anche quella insegnante-allievo. Se il bambino
sta modificando il suo modo di apprendere l’insegnante deve modificare il suo modo di insegnare.

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Insegnanti ed educatori devono fare i conti con il cambiamento tecnologico, rimodellando la
didattica e la relazione educativa nella sua complessità, considerandone non solo degli aspetti
cognitivi ma anche degli aspetti emozionali ed affettivi, che costituiscono il motore del processo di
apprendimento.
L'attività didattica è un'attività complessa che consiste in tre dimensioni interconnesse:
la dimensione cognitiva cioè la trasmissione di conoscenze, competenze, abilità pratiche, in
relazione alle fasi di sviluppo cognitivo e agli stili di apprendimento del singolo alunno;
la dimensione affettiva, che è motore dell’apprendimento, riguarda la motivazione ad
apprendere, il senso di autostima e di autoefficacia, dipende dalla qualità della relazione
educatore-bambino;
la dimensione morale, cioè la trasmissione dei valori etici conformi a quelli prevalenti nella
società, (funzione predominante in passato in una visione “omologatrice” e uniformante
dell’educazione tesa a imporre modelli dominanti, oggi in parte superata da una visione più
autonoma dell’educazione).
Si è detto che le nuove tecnologie abbiano aperto le porte all’autoistruzione, ma questo non vuol
dire che la scuola possa essere sostituita da un pc o l’insegnante da un tablet. Le tecnologie non
possono sostituirsi alla funzione di socializzazione e alla relazione educativa.
-La scuola deve mantenere la sua funzione di socializzazione (accompagnare il bambino nel
passaggio dalla dimensione familiare a quella sociale)
- Lo sviluppo avviene solo in un contesto di relazione sociale. Nel processo di apprendimento
aspetti cognitivi e aspetti emotivi sono strettamente legati. L’affettività, la comunicazione anche
non verbale, la condivisione e la collaborazione sono componenti imprescindibili della relazione
educativa.
La relazione educativa deve rimanere ben salda anche con la rivoluzione digitale. Al di là
degli strumenti e delle strategie è la relazione educativa che da linfa al processo di
apprendimento.

La didattica non si baserà solo sul digitale, ma è molto importante che questa ne faccia parte cosi
che i ragazzi ritrovano nella scuola il loro ambiente che ormai non può più non esistere senza
tecnologie, solo cosi possono essere compresi e possono essere motivati.
La scuola rimane la depositaria principale della funzione relativa al processo socializzativo
successivo alla fase primaria,
la scuola è un luogo che riproduce-produce la cultura.
Gli insegnanti italiani però si ostinano a credere che l'approccio tradizionale sia quello più idoneo.
Ma non possono rimanere indietro con i tempi perciò c'è bisogno di aggiornarsi. Nel 1974 la
formazione è vista come un diritto-dovere di ciascun docente e poi vista solo come diritto nel
1994. Chi segue i corsi di aggiornamento per le lavagne interattive sono veramente pochi. Anche
se molti tirano il freno, altri si sono sistemati sul web attraverso due gruppi social quali i docenti
virtuali e gli insegnanti 2.0 dove fanno dei meeting per incontrarsi e discutere su come agire.
I bambini potranno realizzare, anche nei confronti delle tecnologie, un'ampia esplorazione diretta,
accompagnata da occasioni di riflessione, della loro realtà culturale come cita il documento
programmatico per la scuola d'infanzia statale dove si pone l'obiettivo di incrementare un’
intelligenza tecnologica.
Tutte le materie sono arricchite con il digitale.
La LIM viene utilizzata anche per la didattica speciale destinata all'inclusione di studenti con
disturbi dell'apprendimento.
Caterina Cangià dice ancora che gli educatori sono obbligati a stare al passo con il tempo e
abbandonare quei metodi che rischiano di diventare obsoleti per la e-generation.
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Capitolo 3: EDUCARE OGGI TRA RISCHI E OPPORTUNITA’
La crisi attuale: lo scenario
La società odierna globalizzata pone all'educazione delle sfide. Si è evidenziata l'esigenza di una continua
ridefinizione degli interventi educativi per colpa del vivere accelerato, l'insicurezza, il prevalere di logiche di
mercato. Ormai l' io ha subito una degenerazione e si fa affidamento solo all'immagine, alla quotidiana
finzione, e la propria umanità non serve più, non ha valore. Dietro l'opulenza di società ( lo psichiatra Ivan
Goldberg indica un disturbo ossessivo - compulsivo dovuto a un eccessivo uso della rete) si nasconde una
povertà relazionale proprio perché il computer porta a questo. Nessuno può dirsi solo perché siamo
sempre connessi con gli altri, eppure tutti in qualche misura ci sentiamo soli perché non abbiamo più
scambi profondi. Si è data importanza a una crescita economica illimitata che non porta felicità, anzi
aumenta casi di depressione e di criminalità. Bauman cita un'incapacità di attuare piani perché incerti del
futuro, perché non ci sono più punti di riferimento. Beck dice che siamo eterni viandanti perché siamo
frammentati, abbiamo e assumiamo ruoli diversi e ci spostiamo ovunque e chi ne soffre di più? i giovani. I
giovani avvertono una società vuota di futuro, dove ci sono lavori volatili, disoccupazione, progetti nati
morti, speranze frustate come dice Bauman.
Bogdan Suchodolsky distingue 6 tipi di giovani:
1: quelli che legano il loro destino al mondo in atto
2: quelli che organizzano la loro vita in vista del successo
3: quelli che minimizzano il pericolo degli attuali conflitti, accettano la posizione di alcune nazioni e godono
degli incanti di una vita ricca
4: quelli che non guardano ai valori umanistici della vita ma pensano solo al progresso
5: giovani sperduti in questo mondo attaccati al suo male e di solito si rassegnano alcolizzandosi e poi
finendo in carcere
6: giovani arrabbiati idealmente ribelli.
Bisogna convertire la pedagogia attuale in quella di una speranza ma anche del coraggio perché educare
ha significato affrontare il rischio, distruggere le radici del conformismo interessato, nella salvaguardia delle
dimensioni dell'essere quali l'amore, l'amicizia, la gioia con la natura.

La globalizzazione come spazio critico: sperequazioni e opportunità


Il fallimento di macro-obiettivi della globalizzazione in ambito educativo è tanto più evidente quanto più
ampliamo lo sguardo sulle promesse non mantenute dalle organizzazioni mondiali. Nella dichiarazione di
Jomtien del 1990 si doveva assicurare un’ educazione a tutti entro il 2000 e poi è stato spostato fino al
2015 e poi ancora non ha avuto un attuazione perché oggi ci sono ancora 150 milioni di bambini che non
completano le scuole primarie.
La banca mondiale pur dichiarando come priorità la scuola di base, osserva che i suoi costi sono
insostenibili per i paesi meno sviluppati.
Le attese di costruire una cittadinanza globale e multidimensionale in senso pedagogicamente inteso, in
ambito di scelte politiche, contrastano con altre istanze che non sembrano propense a promuovere un
progetto educativo. Intolleranza, ingiustizia sociale, sollecitazioni al consumismo contribuiscono a far fiorire
la delinquenza e le organizzazioni criminale che sono tra i più efficienti utilizzatori delle autostrade della
globalizzazione abili a coinvolgere giovani in condizioni difficili e a promettere l'avvio di una vera e propria
carriera deviante. Bisogna fare in modo di tenere a mente una globalizzazione solidale che tiene conto in
ogni momento il rispetto di sé e dell'altro e non subordini questo principio ad altra ragione.

La ricerca di “nuove rotte”: alcune direttrici


Edgar Morin individua sei assi strategici direttivi per l'educazione.
1. conservatore/ rivoluzionante: un'azione paradossale che riesca a preservare, salvaguardare le diversità
culturali e naturali e sappia creare le condizioni nelle quali l'umanità si realizzerà come società-mondo.
2. progredire resistendo: dovrebbe essere di stimolo per contrastare gli eventuali ritorni della violenza,
odio, dominazione e le moderne forze burocratiche anonime di disumanizzazione.
3. E’ una condizione per il progresso dell'ominazione, cioè di un processo di umanizzazione planetaria da
attuarsi attraverso una concezione di sviluppo che deve combattere gli arroganti per un rispetto di tutte
le culture, avendo come finalità il vivere nella comprensione e per la solidarietà.
4. pensiero globale/ azione locale e
5. pensiero locale/ azione globale vengono usati per generare
6. nuove entità planetarie.
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L'educazione deve rafforzare i comportamenti e superare gli ostacoli prodotti dalla burocrazia e dalla
politica. Si tratta di attuare un progetto di nuovo umanesimo. Può essere riletto il mito della caverna
esposto da Platone nel settimo libro de La Repubblica. L'uomo è prigioniero della caverna e deve
riconquistare la capacità di decidere pensare con la propria testa, andare oltre il fuoco attraverso il
coraggio. Servono però persone che ci liberino da false certezze che ci facciano uscire fuori dalla caverna
per vedere la realtà. Per avere una testa ben fatta ci rifacciamo alla filosofia di intervento di Morin
attraverso tre finalità:
1. scommettere sulle reali capacità dell'individuo e rilanciare anche il life long learning come percorso di
metodo perché si ha sempre l'esigenza di ampliare conoscenze e competenze. l'apprendimento
diventa una condizione sistematica.
2. ricostruire e dare senso all'esistenza a chi rischia, chi è marginale
3. recuperare un benessere psicofisico perché il pensare bene ha bisogno di un benessere fisico.

La mediazione come risorsa


La mediazione, di tipo sociale, familiare, interculturale in una società dove le agenzie educative sono in
crisi, ha assunto un ruolo importante. La mediazione sta emergendo sempre di più come uno strumento
educativo potente perché può attuare dei percorsi di crescita, cura e guarigione. E’ utilizzata nelle scuole
per trasformare atti di bullismo in occasioni di riflessioni e cambiamento. Il ruolo del mediatore che opera in
un ambito sociale è simile a colui che opera in contesi giudiziari di carattere penale: per quest’ ultimo è più
evidente riconoscere il reato perché è dichiarato mentre in educazione è più difficile definire l'evento. In tutti
e due i casi si cerca di ricomporre un equilibrio. Per Dewey la mediazione è sintesi che scaturisce da un
urto già in atto, connessione dialettica tra opposti e viene costruita nel tempo a contatto con la natura. A
proposito di natura si ricorda l'Emilio di Rousseau che è accompagnato dal maestro in un percorso indiretto
ma che è intenzionale perché lo guida nelle scelte sicure. Ogni percorso di mediazione si basa sulla libera
volontà dei partecipanti di aderire o meno, di lasciar il percorso poiché l'intervento è gratuito. La mediazione
ha bisogno del patto metodologico, cioè di regole di percorso. Il mediatore cerca di far emergere i bisogni e
gli interessi delle parti proponendo soluzioni di riconciliazione. Si parla di mediazione umanista con
Jacqueline Morineau e con la sua scuola che si fonda sul dialogo delle due parti. Maria Montessori dice
che solo offrendo un’ educazione di vastità che permetta a ciascuno di superare i propri egoismi sarà
possibile l'inizio di un percorso di pace grazie al rinnovamento spirituale del'uomo.

Rischi vs Opportunità
La pedagogizzazione della società viene usata da Giesecke per mettere in guardia da una deriva causata
dall'eclissi dell'educazione borghese. In poche parole la pedagogizzazione mette in crisi i genitori e cadono
nel tranello del fallimento dei propri figli a scuola per altri motivi. Quanto maggiore diventa l'offerta di
prestazioni terapeutiche, tanto maggiore diventa la tentazione di sfruttarle quale carico di responsabilità. la
pedagogizzazione porta alla deresponsabilizzazione personale e all'indifferenza.
E’ necessario un progetto di vita. Si tratta di:
 riscoprire e riattualizzare l'educazione emancipatrice partendo dalla convinzione che ogni persona sia
in grado di auto-determinarsi,di interpretare informazioni di diventare un agente attivo del proprio
percorso. l'educatore deve essere in questo un facilitatore;
 arginare la deriva aziendalistica: bisogna rompere lo schema seduttivo del marketing per ridare ai
ragazzi ciò che viene costantemente rubato e manipolato;
 sburocratizzare le pratiche educative: educare è un compito difficile segnate da pesantezze
oggettive( la situazione di vita dell'educatore) e soggettive( emozioni e difficoltà che possono influire)
come dice don Luigi Ciotti.
All'educatore oggi è richiesto di intervenire e di evidenziare quei bisogni educativi emergenti,ancora poco
chiari, non classificati ma che hanno bisogno di interventi tempestivi e di un percorso di intervento che
comprende 4 tappe: lettura del contesto, rilevazione dei bisogni, analisi delle potenzialità/ possibilità, azioni
per il cambiamento.
Il problema è la burocrazia che allontana la passione dall'educatore, che lo distrae dalla missione.
Occorre valorizzare le risorse del territorio, in specie le organizzazioni no profit come quelle del terzo
settore, cioè un complesso di enti privati che propongono servizi utili per la società.

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