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L’esposizione dei ragazzi ad un flusso informativo continuo ed esteso può portare alla rottura
della tradizionale gerarchia genitore-figlio nella trasmissione delle conoscenze, sottraendo
spazio al tradizionale concetto di autorità e introducendo elementi di reciprocità, di bilateralità.
Inoltre il big-bang digitale porta nella nostra quotidianità una dimensione virtuale, che rischia di
sostituire quella reale, di togliere spazio e tempo alla relazione face-to face tra genitore e figlio,
al contatto fisico, alla comunicazione verbale e non verbale, fondamentali per lo sviluppo affettivo
ed emotivo.
Bambini incollati al tablet anche a tavola (che era un momento di incontro), o durante un viaggio in
macchina (quando prima si parlava, si facevano giochi, indovinelli, canzoni), ma anche genitori
“distratti” che prestano più attenzione allo smartphone che ai figli (e qui ci sarebbe anche una
riflessione da fare su come le nuove tecnologia della comunicazione abbiano radicalmente
cambiato la dimensione lavorativa, che non è più ristretta agli spazi e ai tempi del luogo di lavoro,
ma si allarga, ti rincorre ovunque tu sia).
(Il bambino è predisposto geneticamente a sviluppare un legame di attaccamento con chi si
prende cura di lui poiché da sicurezza. L’attaccamento va per tappe: dal riconoscimento della
madre al riconoscimento di familiari e del mondo, da un attaccamento direzionato dal primo anno
di vita all’emergere di differenze individuali tenendo sempre presente le figure di attaccamento. Da
questo dipende come poi la persona vedrà se stessa, la realtà e le sue relazioni: l’attaccamento
resterà immutabile e condizionante anche se un po’ varia in base alle esperienze come spiega
Bowlby.)
Ed ecco che i genitori assumono delle posizioni divergenti:
I proibizionisti, coloro che rinnegano l’utilizzo delle tecnologie poiché si intravedono
pericoli e rischi per il fanciullo e allora meglio non farcelo giocare. meglio rimanere attaccati alle
attività tradizionali, ma come dice Freud la regola è fatta per essere trasgredita e loro lo faranno,
anche per non rischiare di rimanere fuori dal mondo dei coetanei. E’ bene ricordare che i divieti
spesso si accompagnano a una comunicazione negativa, che genera incomprensioni che
aumenteranno nell’adolescenza.
I troppo permissivi, spesso indaffarati, che non hanno tempo di dedicare attenzioni al figlio a
causa del lavoro, di una vita troppo frenetica e delegano la loro funzione educativa non più solo ai
nonni, agli educatori, ai circoli sportivi o ricreativi, ma anche ai dispositivi elettronici, che
intrattengono il bambino proiettandolo per ore e ore in un mondo immaginario di esperienze e
relazioni virtuali (con una cornice valoriale spesso dubbia)
Qualsiasi tipo di atteggiamento il genitore adotterà questo si ripercuoterà sul bambino
influenzando a loro volta l’apertura o chiusura al mondo tecnologico.
L’IDEALE: il genitore dovrebbe fare in modo che il bambino abbia la possibilità di avvicinarsi al
mondo tech, avendo presa di coscienza della sua esistenza. è bene che non lo si lasci solo fino a
quando non si avrà la sicurezza che li utilizzi nel modo più idoneo, con lo scopo ludico prefissato.
Bisogna stargli vicino, chiedergli cosa sta facendo, conversare con lui. L’immigrato digitale che
vive idoneamente con il nativo digitale non farà altro che vivere insieme il cambiamento.
La famiglia non è più l’unica agenzia educativa da tempo: ma oltre ai sistemi scolastici, alle varie
realtà sociali, culturali sportive, oggi si aggiungono mass media e nuove tecnologie sempre più
pervasive nella vita anche dei giovanissimi. In questa pluralità realtà formative, di fonti
informative, di messaggi spesso discordanti cui sono esposti i bambini è essenziale che la
famiglia assuma un ruolo di mediatore, che accompagni i bambini e selezioni le esperienze
secondo criteri di coerenza educativa.
SCUOLA I bambini digitali non sono solo figli digitali, ma anche alunni digitali. La tecnologia
influenza non solo la relazione genitore-figlio ma anche quella insegnante-allievo. Se il bambino
sta modificando il suo modo di apprendere l’insegnante deve modificare il suo modo di insegnare.
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Insegnanti ed educatori devono fare i conti con il cambiamento tecnologico, rimodellando la
didattica e la relazione educativa nella sua complessità, considerandone non solo degli aspetti
cognitivi ma anche degli aspetti emozionali ed affettivi, che costituiscono il motore del processo di
apprendimento.
L'attività didattica è un'attività complessa che consiste in tre dimensioni interconnesse:
la dimensione cognitiva cioè la trasmissione di conoscenze, competenze, abilità pratiche, in
relazione alle fasi di sviluppo cognitivo e agli stili di apprendimento del singolo alunno;
la dimensione affettiva, che è motore dell’apprendimento, riguarda la motivazione ad
apprendere, il senso di autostima e di autoefficacia, dipende dalla qualità della relazione
educatore-bambino;
la dimensione morale, cioè la trasmissione dei valori etici conformi a quelli prevalenti nella
società, (funzione predominante in passato in una visione “omologatrice” e uniformante
dell’educazione tesa a imporre modelli dominanti, oggi in parte superata da una visione più
autonoma dell’educazione).
Si è detto che le nuove tecnologie abbiano aperto le porte all’autoistruzione, ma questo non vuol
dire che la scuola possa essere sostituita da un pc o l’insegnante da un tablet. Le tecnologie non
possono sostituirsi alla funzione di socializzazione e alla relazione educativa.
-La scuola deve mantenere la sua funzione di socializzazione (accompagnare il bambino nel
passaggio dalla dimensione familiare a quella sociale)
- Lo sviluppo avviene solo in un contesto di relazione sociale. Nel processo di apprendimento
aspetti cognitivi e aspetti emotivi sono strettamente legati. L’affettività, la comunicazione anche
non verbale, la condivisione e la collaborazione sono componenti imprescindibili della relazione
educativa.
La relazione educativa deve rimanere ben salda anche con la rivoluzione digitale. Al di là
degli strumenti e delle strategie è la relazione educativa che da linfa al processo di
apprendimento.
La didattica non si baserà solo sul digitale, ma è molto importante che questa ne faccia parte cosi
che i ragazzi ritrovano nella scuola il loro ambiente che ormai non può più non esistere senza
tecnologie, solo cosi possono essere compresi e possono essere motivati.
La scuola rimane la depositaria principale della funzione relativa al processo socializzativo
successivo alla fase primaria,
la scuola è un luogo che riproduce-produce la cultura.
Gli insegnanti italiani però si ostinano a credere che l'approccio tradizionale sia quello più idoneo.
Ma non possono rimanere indietro con i tempi perciò c'è bisogno di aggiornarsi. Nel 1974 la
formazione è vista come un diritto-dovere di ciascun docente e poi vista solo come diritto nel
1994. Chi segue i corsi di aggiornamento per le lavagne interattive sono veramente pochi. Anche
se molti tirano il freno, altri si sono sistemati sul web attraverso due gruppi social quali i docenti
virtuali e gli insegnanti 2.0 dove fanno dei meeting per incontrarsi e discutere su come agire.
I bambini potranno realizzare, anche nei confronti delle tecnologie, un'ampia esplorazione diretta,
accompagnata da occasioni di riflessione, della loro realtà culturale come cita il documento
programmatico per la scuola d'infanzia statale dove si pone l'obiettivo di incrementare un’
intelligenza tecnologica.
Tutte le materie sono arricchite con il digitale.
La LIM viene utilizzata anche per la didattica speciale destinata all'inclusione di studenti con
disturbi dell'apprendimento.
Caterina Cangià dice ancora che gli educatori sono obbligati a stare al passo con il tempo e
abbandonare quei metodi che rischiano di diventare obsoleti per la e-generation.
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Capitolo 3: EDUCARE OGGI TRA RISCHI E OPPORTUNITA’
La crisi attuale: lo scenario
La società odierna globalizzata pone all'educazione delle sfide. Si è evidenziata l'esigenza di una continua
ridefinizione degli interventi educativi per colpa del vivere accelerato, l'insicurezza, il prevalere di logiche di
mercato. Ormai l' io ha subito una degenerazione e si fa affidamento solo all'immagine, alla quotidiana
finzione, e la propria umanità non serve più, non ha valore. Dietro l'opulenza di società ( lo psichiatra Ivan
Goldberg indica un disturbo ossessivo - compulsivo dovuto a un eccessivo uso della rete) si nasconde una
povertà relazionale proprio perché il computer porta a questo. Nessuno può dirsi solo perché siamo
sempre connessi con gli altri, eppure tutti in qualche misura ci sentiamo soli perché non abbiamo più
scambi profondi. Si è data importanza a una crescita economica illimitata che non porta felicità, anzi
aumenta casi di depressione e di criminalità. Bauman cita un'incapacità di attuare piani perché incerti del
futuro, perché non ci sono più punti di riferimento. Beck dice che siamo eterni viandanti perché siamo
frammentati, abbiamo e assumiamo ruoli diversi e ci spostiamo ovunque e chi ne soffre di più? i giovani. I
giovani avvertono una società vuota di futuro, dove ci sono lavori volatili, disoccupazione, progetti nati
morti, speranze frustate come dice Bauman.
Bogdan Suchodolsky distingue 6 tipi di giovani:
1: quelli che legano il loro destino al mondo in atto
2: quelli che organizzano la loro vita in vista del successo
3: quelli che minimizzano il pericolo degli attuali conflitti, accettano la posizione di alcune nazioni e godono
degli incanti di una vita ricca
4: quelli che non guardano ai valori umanistici della vita ma pensano solo al progresso
5: giovani sperduti in questo mondo attaccati al suo male e di solito si rassegnano alcolizzandosi e poi
finendo in carcere
6: giovani arrabbiati idealmente ribelli.
Bisogna convertire la pedagogia attuale in quella di una speranza ma anche del coraggio perché educare
ha significato affrontare il rischio, distruggere le radici del conformismo interessato, nella salvaguardia delle
dimensioni dell'essere quali l'amore, l'amicizia, la gioia con la natura.
Rischi vs Opportunità
La pedagogizzazione della società viene usata da Giesecke per mettere in guardia da una deriva causata
dall'eclissi dell'educazione borghese. In poche parole la pedagogizzazione mette in crisi i genitori e cadono
nel tranello del fallimento dei propri figli a scuola per altri motivi. Quanto maggiore diventa l'offerta di
prestazioni terapeutiche, tanto maggiore diventa la tentazione di sfruttarle quale carico di responsabilità. la
pedagogizzazione porta alla deresponsabilizzazione personale e all'indifferenza.
E’ necessario un progetto di vita. Si tratta di:
riscoprire e riattualizzare l'educazione emancipatrice partendo dalla convinzione che ogni persona sia
in grado di auto-determinarsi,di interpretare informazioni di diventare un agente attivo del proprio
percorso. l'educatore deve essere in questo un facilitatore;
arginare la deriva aziendalistica: bisogna rompere lo schema seduttivo del marketing per ridare ai
ragazzi ciò che viene costantemente rubato e manipolato;
sburocratizzare le pratiche educative: educare è un compito difficile segnate da pesantezze
oggettive( la situazione di vita dell'educatore) e soggettive( emozioni e difficoltà che possono influire)
come dice don Luigi Ciotti.
All'educatore oggi è richiesto di intervenire e di evidenziare quei bisogni educativi emergenti,ancora poco
chiari, non classificati ma che hanno bisogno di interventi tempestivi e di un percorso di intervento che
comprende 4 tappe: lettura del contesto, rilevazione dei bisogni, analisi delle potenzialità/ possibilità, azioni
per il cambiamento.
Il problema è la burocrazia che allontana la passione dall'educatore, che lo distrae dalla missione.
Occorre valorizzare le risorse del territorio, in specie le organizzazioni no profit come quelle del terzo
settore, cioè un complesso di enti privati che propongono servizi utili per la società.