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Introduzione

Riconsiderazione dei movimenti di un racconto


La pubblicazione delle Opere di Carlo Emilio Gadda presso Garzanti ha reso accessibile alla lettura
molti scritti finora dispersi in varie riviste. Raccogliendo gran parte della produzione gaddiana, la
fatica di Dante Isella e dei suoi collaboratori ha reso più agevole e proficuo lo studio dell’opera e
dell’autore, soprattutto se si considera che non di rado gli scritti d’occasione o comunque
considerati minori forniscono chiavi interpretative per le opere maggiori. Vi è ora da sperare che
agli odierni cinque volumi che costituiscono le Opere ne saranno un giorno affiancati altri, non
meno preziosi, in cui troveranno posto, oltre agli scambi epistolari già editi in singole raccolte o
pubblicati in rivista, anche tutti quegli scritti, letterari e non, per ora depositati in fondi o vincolati
alla discrezione di privati.
Un passo in questa direzione è stato fatto con la pubblicazione dei Disegni milanesi (Gadda 1995)
ad opera di Dante Isella, Giorgio Pinotti e Paola Italia, che dal fondo Garzanti hanno portato alla
luce i quaderni che contengono i diversi materiali compositivi del San Giorgio in casa Brocchi,
dell’Incendio di via Keplero e di Un fulmine sul 220, tre ambiziosi progetti che hanno impegnato
Gadda nella prima metà degli anni Trenta.
Oggetto di studio del presente lavoro è per l’appunto uno di questi progettati racconti lunghi, e
precisamente l’Incendio di via Keplero, al quale i Disegni milanesi restituiscono l’originale seppur
frammentaria fisionomia. Il racconto dato alle stampe, infatti, non è che l’emergenza ultima di un
più ampio disegno che attorno a via Keplero articolava le sue membra. Non a caso, quando fu
pubblicato nel 1940 sulle pagine del Tesoretto, il racconto si fregiava di una didascalia («Studio 128
per l’apertura del racconto inedito») che non solo lasciava intendere l’estrema elaborazione a cui
erano state sottoposte quelle pagine, ma anche l’esistenza di un più ambizioso progetto che prima o
poi sarebbe stato dato alle stampe. Così non è stato, e si è finito per dimenticare quella didascalia,
peraltro omessa da Gadda stesso a partire dalle successive edizioni in volume del racconto. E
quando Gadda, negli Accoppiamenti giudiziosi, porrà in calce all’Incendio gli estremi elaborativi
1930-1935, una sorta di epitaffio a segnalarne la parabola quinquennale, su quelle date peserà il
dubbio d’iperbolica indicazione che già aveva bollato lo «studio 128».
Quanto di relativamente iperbolico vi fosse in realtà nella datazione estensiva degli Accoppiamenti
giudiziosi e nello «studio 128» del Tesoretto lo chiariscono i materiali compositivi dell’Incendio
pubblicati nei Disegni milanesi. Questi svelano non solo le successive elaborazioni cui fu sottoposta
la descrizione dell’incendio vero e proprio (quella che poi arrivò all’edizione a stampa), ma anche
quel «racconto inedito» preannunciato nell’edizione in rivista. I materiali compositivi, suddivisi
nelle tre fasi elaborative che hanno ritmato l’evolversi del racconto e corredati da un puntuale
apparato critico mostrano altresì l’accanita elaborazione che accompagna quasi ogni pagina
gaddiana.
Per facilitare la lettura si è deciso di mantenere le diciture dei quaderni utilizzate nei Disegni
milanesi, pur non trovandoci sempre d’accordo con alcune suddivisioni interne. Le indichiamo qui
di seguito:
quaderno NDL1
ospita la Fase A (Un possibile preambolo)
quaderno TDL
ospita la Fase B che comprende:
B1 (Prima descrizione dell’incendio)
B2a (La comitiva della «Lingera»)
B2b (La chiromante che fa i massaggi)
B2c (La visita di Gadda alla poetessa)
App. I (Digressione su due ritratti)
App. II (Un’abbozzata conclusione)
App. III (Rifacimento della Fase A)
App. IV (Nota su Bruno e Keplero)
quaderno IVK
ospita la Fase C (Rielaborazione di B1)
Nelle parti I-III di questo lavoro si prendono in considerazione le tre fasi elaborative dell’Incendio.
Di ognuna si riassume e commenta il contenuto, vedendo al tempo stesso quali elementi, e in che
misura, entrano a far parte del racconto dato alle stampe e quali invece trovano una ripresa o
prosecuzione in altri scritti. Nella parte IV si dà un’edizione commentata dell’Incendio di via
Keplero, non prima di aver ripercorso la tradizione a stampa del racconto e aver messo in evidenza
le principali tendenze operanti nel passaggio dalle tre successive versioni della descrizione
dell’incendio (B1, C, vulgata). Nel ripercorrere la storia editoriale dell’Incendio, si tenta anche di
capire quando e per quali motivi il disegno originario è stato definitivamente dimesso. Nella sezione
conclusiva (parte V), infine, si fanno i conti con l’incendio di via Boltraffio, fatto di cronaca del
giugno 1929 che sembra rivelarsi senza possibilità di equivoco non solo ispirazione, ma anche vero
e proprio modello, se non matrice, dell’Incendio gaddiano.
Avendo in due casi riprodotto l’apparato critico, è necessario indicare i segni convenzionali e le
sigle utilizzate (Gadda 1995: 106):
< a> integrazione di lettera o di parole mancanti
<…> parola non decifrata
<> spazio lasciato in bianco
a< > inizio di parola lasciata in tronco
>a< espunzione di lettere o di parola cassate
agg. aggiunto
ascr. ascritto
cass. cassato
da lezione ricavata da altra (per correzione, ricalco, inserimenti)
ins. lezione inserita interlinearmente o in altro spazio disponibile
interl. interlineo, -eare
l. lettera
marg. margine
p. parola
prima lezione cassata che precede in rigo
segue lezione cassata che segue in rigo
spscr. a soprascritto a lezione cassata in rigo
stscr. a sottoscritto a lezione cassata in rigo
su ricalcato su altra lezione
trasp. trasposto
var. altern. variante alternativa

Fase A — Un possibile preambolo


Il quaderno (1) che ospita, alle pp. 155-169, la prima fase dell’Incendio di via Keplero è aperto dalla
prima stesura di Notte di luna (pp. 7-51) (2) e quindi prosegue con Il trattato di morale e
L’onomastico di Gigi, doppia stesura del San Giorgio in casa Brocchi (pp. 57-153). (3) Sul
frontespizio del quaderno, Gadda annota: «27 luglio 1930. Sterkrade. Kaiserhof». (4) Ma le pagine
relative all’Incendio non sono datate, cosicché non è possibile stabilire con esattezza il momento
della stesura, tanto più che per leggerle bisogna andare fino alla fine del quaderno. (5)
Pressoché certa, comunque, l’anteriorità di questo frammento rispetto a quelli compresi nella Fase
B (contenuti in un secondo quaderno — siglato TDL — che reca la data del 16 giugno 1931). Da
una parte, è indubbia la filiazione di alcune pagine di TDL da quelle che compongono questa prima
fase; dall’altra, per esplicita dichiarazione di Gadda, conosciamo i termini di composizione del
racconto (1930-1935), (6) ciò che ci permette di ridurre al minimo l’incertezza e di inscrivere la
composizione della Fase A tra la fine di luglio e la fine di dicembre del 1930.
Alle pp. 155-169 di NDL1 troviamo dunque la prima fase che certifica la volontà di Gadda di
scrivere un racconto imperniato sull’evento cardine di un incendio, di primo acchito situato in via
Keplero. Esplicito ed inequivocabile, a questo proposito, il titolo, che reca: «L’incendio di via
Keplero — (Note, tocchi diversi, impromptus)». (7) E, di fatto, se non fosse per il titolo, non
potremmo nemmeno sospettare di trovarci davanti ad una prima stesura di quella che sarà poi la
versione a stampa del racconto, tanto esigui e tanto insignificanti sono i punti di contatto tra l’una e
l’altra.
L’abbozzo si articola in cinque scene distinte: l’incontro della signora Adalgisa Cavazzoni vedova
Carpioni con il commendator Unghioni nello studio di quest’ultimo, il malore della signora una
volta ritornata a casa, l’irrisione di cui è oggetto nella Tabaccheria di piazzale Modena, la migliore
accoglienza che le è riservata nell’osteria di Amilcare Zavatta e, infine, con uno spostamento del
tutto improvviso, di nuovo a casa della Carpioni nell’imminenza di un temporale, dove il
frammento s’interrompe. Questa l’articolazione generale; vediamo ora più in dettaglio.
Dopo un’apertura di racconto, in seguito cassata, in cui si trovava la signora Carpioni oramai
disfatta e rassegnata alle volontà del commendator Unghioni, padrone di casa-Minosse dell’edificio
in cui abita la sventurata inquilina, (8) Gadda decide di fare un piccolo passo indietro e di
rappresentarcela, trepidante ed ansiosa, in un mattino d’estate, davanti alla porta dell’Unghioni,
ancora in attesa di essere ricevuta.
Le viene aperto dalla domestica e viene fatta accomodare nello studio del commendatore che
l’aveva convocata per comunicarle l’aumento del canone d’affitto: «per essere in regola» con la
legge, si giustificherà poi. Segue quindi il dialogo tra i due (inframmezzato da un’impellente
considerazione ironica sulla «eletta» categoria dei padroni di casa e sulla legge che
immancabilmente li favorisce), in cui si trovano di fronte la vittima e il carnefice (e l’onomastica
concorre a suggerirlo). Da una parte l’arpagonico padrone di casa, «grosso maschio dal viso
porcino», con un’ampia giacca blu da milionario che «condescende a vostra facultate», dall’altra la
dimessa affittuaria, «dal sorriso pieno di umiltà dilatoria e di signorilità fallimentare». (9)
è evidentemente uno scontro impari, la cui conclusione è scontata. Poco vale alla signora Carpioni
tentare i tasti della commozione: che è inquilina di lunga data, trentaquattro anni!, che non si può
certo metterla in strada, che non si conoscono da ieri, che son quasi cresciuti insieme, che
un’accomodazione si può sempre trovare. Il commendator Unghioni sembra poco sensibile alla
commozione; semmai sfrutta lo stato d’animo dell’inquilina, spacciando il nuovo canone, «date le
nuove disposizioni di legge», come sacrificio bilaterale: dopotutto l’appartamento che la signora
Carpioni occupa, pagandolo seimila lire mensili, potrebbe essere affittato al doppio, cosicché le
novemila lire del nuovo canone sono una cosa ragionevole, una cosa giusta: «Metà per uno il
sacrifizio […] meno non posso fare», conclude l’Unghioni. La Carpioni, disfatta, si scoglie in
lacrime mentre il commendatore le guarda venir giù le lacrime e soffiarsi il naso «con quella
pazienza con cui il mandriano aspetta e lascia pisciare la vacca».
Ritornata a casa sua («quel possessivo valeva novemila lire»), la Carpioni si sente male nei servizi
dell’appartamento. Lo stato dello «sgabuzzino trapezoidale» e del dissestato e rappezzato «cesso»
che vi è incassato occupano in una precisa ed impietosa descrizione le competenze tecniche
dell’ingegnere. (10) Il malore della Carpioni è causato dalla «caparbia tendenza al disservizio» dei
«servizî», cui poco giovano i suoi interventi:
[…] il vaso di Pandora s’era rivelato inopinatamente pieno de’ più impressionanti
donativi che una simile cornucopia possa promettere, nei suoi momenti di espansione e
di reversibilità del ciclo. I tentativi di medicazione e di soccorso erano prontamente
intervenuti da parte della Signora: ma primamente la catenella le si era strappata nella
rappezzatura più eccelsa quasi presso la scatola ad acqua: secondariamente poi aveva
tentato con brocche e catinelle. In terzo luogo con un ferro e del fil di ferro: una specie
di pratica illecita nei riguardi del bizzarro utero della latrina. Ma fu qui il dissesto,
chissà quale ingorgo c’era! ché, invece di purgarsi, il vaso tremendamente rigurgitò. Fu
questo rigùrgito a darle il colpo di grazia: a consentirle di «sentirsi male» in piena
regola. (11)

Esce quindi di casa alla ricerca di qualcosa di forte. Animata da un nuovo vigore, si reca prima di
tutto alla Tabaccheria di piazzale Modena (12) per bere un caffè, dove però viene schernita
dall’irriverente garzone: «Scontrino alla cassa, signora» le dirà il ragazzo facendo alla tabaccaia un
cenno di motteggio. L’intervento della tabaccaia («Ma faglielo pure, anche senza scontrino…
Giovanni… non vedi che è la Signora?…») accende di sdegno la Carpioni, che se ne va tentando di
sbattere la porta: ma la «maledetta creatura», malvagiamente, resiste all’impeto, quasi a volerla a
sua volta irridere.
Entra allora, poco oltre, da «Amilcare Zavatta — Negozio di Vini», dove si fa servire, dopo
numerose esitazioni e civetterie, (13) un bicchiere di rhum della Giamaica che beve d’un fiato. Lo
Zavatta gliene versa quindi un altro, assicurandole che le farà dimenticare tutti i dispiaceri. «…
L’unico dispiacere è la gente villana…», sentenzia allora la Carpioni.
Proprio nel momento in cui le «note» di Gadda s’interrompono, compare inaspettatamente sulla
scena un nuovo personaggio che in un primo momento spiazza il lettore:
Lampi lividi fecero elettrico il cielo, come rabide se< rpi>. La signora Adalgisa aveva
una paura pazza dei temporali, le secche esplosioni della folgore erano la sola cosa che
le potesse dissolvere la sua energia e farle dimenticare il suo prediletto epifonema «a
morir di paura c’è sempre tempo». Allora la sua volontà diventava semplicemente
un’angosciosa speranza come quella che è il solo palpito possibile nelle creature
umiliate dal destino. Interpellava la Caterina «che cosa le pare?…» «Di che cosa?…»
«Crede < >». (NDL1 169; Gadda 1995: 246)

Soccorre, nell’interpretazione di quest’ultimo abbozzato paragrafo, l’Appendice III compresa nella


Fase B, dove si verrà a sapere che la Caterina altri non è che la «vecchia serva» della signora
Carpioni. Se ne deduce, quindi, che vi è stato un cambiamento di scena e che la Carpioni non si
trova più nell’osteria dello Zavatta, ma a casa propria, atterrita dal temporale e in compagnia della
domestica.
Posto che il racconto avrebbe dovuto essere imperniato sull’evento cardine dell’incendio, vi è da
credere che le poche pagine contenute in questo quaderno rappresentino una sorta d’introduzione in
cui l’autore presenta il personaggio principale del racconto, la signora Adalgisa Cavazzoni vedova
Carpioni, nonché l’antefatto dell’incendio. In una nota compositiva, che si trova a p. 27 di TDL, si
accenna ad un pezzo narrativo, mai sviluppato, riguardante le «cause dell’incendio e pezzo satirico
sulle macchine del caffè espresso, pellicole (Berlino) e benzina (Parma)».
Paola Italia propone di ravvisare in questa nota un possibile riferimento alla Carpioni. Gadda,
infatti, alla p. 166 di NDL1, nel momento in cui la Carpioni entrava nel Bar Tabaccheria di piazzale
Modena per prendere un caffè, aveva aggiunto una postilla a matita rossa: «introdurre la questione
degli espressi» (Gadda 1995: 247). Italia ipotizza: «non è del tutto improbabile che lo scoppio
dell’incendio potesse essere dovuto […] proprio ad un’azione diretta o indiretta della donna alle
prese con una macchina da caffè, una volta tornata a casa (e in uno stato di semi ubriachezza) non
perfettamente padrona di sé e quindi non in grado di padroneggiare correttamente gli utensili
domestici», e quindi aggiunge: «l’associazione delle macchine per caffè espresso con le pellicole di
Berlino e con la benzina di Parma può spiegarsi con episodi da citare iperbolicamente nel previsto
pezzo satirico» (Italia 1994: 275).

Lasciando per ora stare le pellicole e la benzina, che peraltro non trovano alcun riscontro in questa
prima fase, mi sembra che l’ipotesi, per quanto prudentemente avanzata, sia molto verosimile.
Sarebbe l’iperbolico aboutissement di una parabola votata al disastro che vede nella Carpioni la
rappresentante delle «creature umiliate dal destino»: una parabola che comincia dalla visita
all’arpagonico padrone di casa, passa attraverso l’irriverenza del garzone della Tabaccheria e la
pietà della tabaccaia stessa, senza dimenticarsi del rigurgito del «vaso di Pandora» e della «fredda
malizia» che trattiene la porta della Tabaccheria dallo sbatacchiamento. Forse non è casuale neppure
l’accenno, poco prima che la stesura s’interrompa, all’imminente arrivo del temporale,
preannunciato da fulmini che atterriscono l’animo della Carpioni.
Si pensi al fulmine che nella Cognizione si abbatte sulla Villa Maria Giuseppina durante una
furibonda grandinata (RR I 586 sgg): seppur grottesco avvenimento, era stato come la
prefigurazione della tragedia o, quantomeno, segno del destino avverso che incombeva su quelle
terre; oppure, sempre nella Cognizione, al temporale che coglie la madre che vaga sola nella casa
(RR I 675 sgg). O ancora si pensi, nel capitolo conclusivo del racconto La Madonna dei Filosofi,
all’aggressione di Emma Renzi all’ing. Baronfo, dove il temporale non solo prefigura il dramma,
ma lo incornicia pure (RRI 96-106). Insomma, niente di più facile che anche la macchina
dell’espresso, conformemente all’ordine delle cose ormai stravolto in cui si muove la Carpioni, non
fosse destinata ad emanare aroma di caffè, ma puzzo di brucio e fiamme serpigne.
Si potrebbe anche proporre, come ipotesi alternativa, di vedere non nella Carpioni, ma nella
domestica Caterina l’agente diretto responsabile dell’incendio. Nell’opera di Gadda non mancano
certo le domestiche maldestre che fanno più danni che altro (una su tutte, la Maria al servizio dei
Cavenaghi in Quando il Girolamo ha smesso…, Adalgisa, RR I 319-20) e, in genere, le persone di
servizio sono accomunate dalla diffidenza che Gadda riserva loro (diffidenza che raggiunge il
parossismo nella Cognizione, con Gonzalo delirante che sogna di far piazza pulita dei «maiali» che
infestano la casa, RR I 735-36). Pure la Caterina, come vedremo meglio nell’Appendice III, non ha
guadagnato la fiducia della padrona che, anzi, la considera una delle persone più sospette dalla
quale difendere tutta la sua «roba».
Non stupirebbe quindi se proprio la Caterina, materializzando le angosce della Carpioni, fosse la
responsabile dell’incendio che manderà in fumo le quattro carabattole che costituiscono il misero
patrimonio domestico della padrona. Altro indizio che potrebbe scagionare la Carpioni è la sua
presenza in B2a, cioè nell’episodio in cui Gadda descrive lo scontro tra i pompieri in arrivo e la
sgangherata comitiva della Lingera: la signora Carpioni assiste in qualità di spettatrice alla scena,
ciò che escluderebbe una sua responsabilità diretta nell’incendio del caseggiato. (14)
La versione definitiva, sostanzialmente, conserva di questa prima fase soltanto il titolo. A voler ben
guardare, è vero, ci sono altri elementi che possono ricordare la «catastrofica lavanderia»
dell’Incendio; (15) ma questi elementi, vista e considerata la nota economia gaddiana, non
sarebbero sufficienti, da soli, ad indicarci una via che porti da questa prima fase alla vulgata.
Alcuni elementi specifici contenuti in questa prima fase confluiranno invece in altri scritti gaddiani:
è il caso della citazione dantesca, che ritroviamo in nota a Tirreno in crociera (Castello, RR I 209,
n. 1); della descrizione del garzone della tabaccheria alle prese con la macchina dell’espresso
(«dietro la cattedrale Nikelata degli espressi girava annoiato e rapidissimo manici d’ebano con la
naturalezza del macchinista patentato» — NDL1 166; Gadda 1995: 245), che ricompare a ben altre
latitudini in Verso Teramo («dal bar della piazza […] s’intravedeva in un elisio di luce a girar
manòpole il garzone a tutto vapore, d’attorno la cattedrale nichelata degli espressi», Anni, SGF I
236); oppure ancora della figura del «facchino patentato» presente nell’osteria dello Zavatta («un
grosso tangherone, con un berretto rosso a lettere d’oro facchino patentato aveva l’aria di volersi
addormentare tranquillo: il naso rotondo e spugnoso diceva della sua bonomia» — NDL1, 168;
Gadda 1995: 246) che ritroviamo ancora una volta in Quando il Girolamo ha smesso… («il vecchio
facchino patentato dal berretto scarlatto con su scritto a oro Facchino patentato col naso patentato
dalla grappa, viceversa: peperonato: e, più che uno stizzone, rubente», RR I 308).
Inoltre in queste pagine è testimoniata la nascita, perlomeno in sede letteraria, di alcuni temi che
saranno delle costanti nell’opera di Gadda. Pensiamo all’«ossessione edilizia», (16) che qui si attua
in due direzioni: quella generica (in cui Gadda accusa gli architetti di «trapezoidismo» nella
costruzione delle case) e quella specifica (in cui è preso di mira il malvezzo dei «razionali»
architetti milanesi di ricavare una latrinuccia di rincalzo — all’atto pratico inservibile — dal primo
ripostiglio che trovano). (17) Inoltre, al di là delle poco idonee dimensioni dei servizi, le pessime
condizioni del gabinetto forniranno lo spunto per altre pagine gaddiane: la latrina intasata la
ritroviamo, come già accennato, in Quando il Girolamo ha smesso… (RR I 319-20) dove
l’intasamento «della verginale maiolica» è causato dall’incuria della domestica Maria, che aveva
provato a farle inghiottire un cavolfiore, nonché uno scopettino a spazzola; e ancora nell’edizione in
rivista del Pasticciaccio, dove l’intasamento della latrina del commissariato è posto in analogia
implicita con la paralizzante burocrazia (RR II 412).
Sulla descrizione dello stato del vaso, e in particolar modo dello sciacquone, Gadda ritornerà ne Le
bizze del capitano in congedo (RR II 973-75), pubblicato proprio nello stesso anno dell’Incendio di
via Keplero in Corrente di Vita giovanile, con delle pagine che ricordano molto da vicino quelle
contenute in questa prima fase dell’Incendio. Interessante, sempre nelle Bizze, quanto Gadda
annota: «[…] le catenelle del water-closed che ti rimangono in mano, sono altrettanti simboli di
quello che può essere, anche nella attività dello spirito, l’inizio esiguo di una grossa stortura, d’un
malanno, d’una catastrofe». Ciò che conferma, semmai ce ne fosse bisogno, l’ineluttabile cammino
che dalla Fase A avrebbe dovuto portare all’incendio vero e proprio del caseggiato, preparato e
idealmente determinato da tutta una serie di storture che coinvolgono il personaggio principale.
Altra tematica (ed altra idiosincrasia) che fa qui la sua prima apparizione è quella del padrone di
casa, anche se, in questa sede, il disprezzo tributatogli è tutto sommato molto mitigato se
paragonato alle pagine in appendice alla Cognizione (Gadda 1987a: 515-17), dove al padrone di
casa saranno attribuiti i titoli di «affitta porcili», «immondo usuraio» e «ributtante pachiderma».
Tema poi incluso nel programmatico Tendo al mio fine («moverò lite al padron di casa»), troverà in
seguito sfogo in altri testi gaddiani. (18)
La Fase A dell’Incendio segna pure la nascita di un personaggio che avrà molta fortuna: la signora
Adalgisa Carpioni vedova Cavazzoni che, ribattezzata Adalgisa Borella vedova Biandronni, sarà la
protagonista dell’eponimo racconto nell’Adalgisa (e, ovviamente, di Un fulmine sul 220). Come
osserva giustamente Paola Italia, «la signora Adalgisa è personaggio ben conosciuto ai lettori
dell’ingegnere, potremmo anzi dire che nella fattività ed efficienza lombarde che emergono in
questo abbozzo, offre buone credenziali per essere annoverata tra gli immediati antecedenti della
più celebre Adalgisa» (Italia 1994: 271).
Ma al di là di questa possibile filiazione letteraria, più interessante appare l’accostamento proposto
da Roscioni, che nell’arrendevolezza della Carpioni di fronte all’arpagonico padrone di casa coglie
un immediato riferimento alla madre di Gadda, Adele Lehr (Roscioni 1997: 295). Il rifiuto della
madre di lasciare le sei stanze dell’appartamento di via S. Simpliciano, oramai troppo grande dopo
la morte del marito Francesco e del figlio Enrico (Giornale, SGF II 865), e le sempre maggiori
pretese del padrone di casa che, ben sapendo dello stato d’animo della signora, (19) approfittava
della situazione, erano «motivo, in casa Gadda, di incessanti, risentite polemiche di Carlo con la
madre» (Roscioni 1997: 295). Sarà anche casuale, ma il 5 luglio del 1929 Gadda scriveva da Terni
alla sorella Clara: «Io cerco di fare economia, sempre in vista di riprendere i miei studî […]. Per
quanto riguarda l’appartamento di Milano, anche prima di partire ho fatto presente alla Mamma la
necessità di ridursi ma essa non ne vuol sapere. Il 30 giugno 1930 si torna a regime libero e ci sarà
certamente un aumento». (20) Non sappiamo se il paventato aumento sia avvenuto effettivamente
alla data indicata; comunque, quello che colpisce è l’estrema prossimità della temuta scadenza con
la data che sigla NDL1: 27 luglio 1930.
A dar consistenza alla lettura autobiografica concorre pure la classificazione della signora Adalgisa
Carpioni fra le «creature umiliate dal destino» (NDL1 169; Gadda 1995: 246). Sebbene a questa
categoria appartengano molti dei personaggi gaddiani (soprattutto femminili), è significativo che le
uniche volte in cui ritroviamo esplicitamente negli scritti di Gadda la formula qui applicata alla
Carpioni, essa si riferisca all’autore stesso. Una prima volta, nel programmatico Tendo al mio fine:
«Umiliato dal destino, sacrificato alla inutilità, nella bestialità corrotto, e però atterrito dalla vanità
vana del nulla». Una seconda, in Un’opinione sul neorealismo, Gadda si definisce «un romantico
preso a calci dal destino». Altre due volte, in endiadi di dostoevskiana memoria, in Intervista al
microfono (in cui Gadda parla della «sua vita di umiliato e offeso») e in Eros e Priapo (dove è
questione dell’anagrammatico Alì Oco De Madrigal e della «sua vita di umiliato e offeso»). (21)
Non sarà più peregrino, a questo punto, far notare la parziale sovrapponibilità onomastica di
Adalgisa e Adele. (22)
Inoltre, una volta ammessa la lettura autobiografica, si sarà in grado di dare un referente oggettivo
all’avido commendator Unghioni. Si tratterebbe di un certo Castelli, il cui nome «germanizzato»
(Roscioni 1997: 170) si ritrova nel già citato frammento della Cognizione:
Egli [Gonzalo] le diceva [alla madre] appena entrato: «… Com’è grasso, l’affitta-
porcili! Il tuo sangue gli fa bene alla salute. Il tuo affitto, cavato dalla tua sporca
miseria, gli fa sviluppare il culo di giorno in giorno. Vai, vai, paga, paga, pisciagli fuori
l’affitto allo Schlösser». (Gadda 1987a: 515, rr. 32-46)

Ed è significativo che l’avido operato del Castelli si inserisca, nel prosieguo di questo stesso
frammento, nelle immutabili leggi di Keplero:
I matemi e le quadrature di Keplero riportavano ai cittadini, con puntualità indefettibile,
il 29 marzo e il 29 settembre [= San Michele]: il campo della gravitazione ellittica aveva
rossi fuochi in perielio, tra i frumenti e i papaveri di San Giovanni [il Midsummer Day,
il 24 giugno — ma perielio e afelio, rispettivamente il 1° gennaio e il 1° luglio, sono
scambiati tra loro], e una culla col bove e l’asino a fiatare sul Nato in afelio: e a metà
strada! A metà strada il zannuto affittaporcili del Puentacho [il Pontaccio] si benignava
di concederle l’onore di non rifiutar nulla… nulla… nemmeno l’ultimo centesimo…
l’ultima goccia di sangue… (23)

Bisognerebbe fare delle ricerche in tal senso, ma credo che si possa comunque ragionevolmente
supporre, sulla scorta di indicazione che ritroviamo in vari scritti gaddiani, (24) che le date qui
indicate corrispondano ad altrettante scadenze legali che regolavano i contratti di affitto.
Non stupisce allora che l’incendio, ancor prima che Gadda si confronti con il problema della sua
descrizione, venga d’emblée situato in via Keplero. Dar fuoco al caseggiato di via Keplero non
voleva solo dire distruggere il motivo di tanti screzi domestici (quasi a voler significare che l’unico
mezzo per sradicare la madre caparbiamente abbarbicata ai cari ricordi di via S. Simpliciano fosse il
mandarle a fuoco la casa), ma anche colpire il padrone di casa Unghioni-Castelli in quanto aveva di
più caro, e cioè il denaro che si «benignava» di estorcere ai suoi inquilini e in particolar modo alla
miseria di Adalgisa-Adele. E se il moto dei pianeti era regolato dalle immutabili leggi di Keplero, il
latrocinio del padrone di casa, e contrario, trovava il suo supporto nelle contingenti leggi degli
uomini e di un periodo, che si ponevano appetto alle prime in patente contraddizione, seppure su
quelle regolassero la loro perversa astronomia giuridica. (25)
Se è vero che ben poco di questa prima fase arriverà a far parte del racconto dato alle stampe
(fornendo però, d’altra parte, non pochi spunti per temi, personaggi e caratteri che saranno
riutilizzati e sviluppati in altre sedi), è altresì vero che la conoscenza dei materiali preparatori
dell’Incendio ci permette di meglio comprendere il racconto definitivo, che nel suo progetto
originario non prevedeva solo la rappresentazione di un incendio in un caseggiato, ma anche, e
soprattutto, una sorta di fuoco liberatore come iperbolico esito di una polemica a trecentosessanta
gradi che investiva, oltre che gli affetti familiari, tutta la società degli anni ’20-’30, quasi a dar
sfogo alla nevrastenia dell’ing. Baronfo, «conseguenza della guerra, del dopoguerra, e della crisi
degli alloggi» (Madonna, RR I 87). Lo spessore polemico, fin qui però tutto sommato ancora
limitato a pochi temi, si arricchirà in modo considerevole nel passaggio alla Fase B, di gran lunga la
più complessa e la più articolata.
Université de Genève

Note
1. Così lo descrive Giorgio Pinotti (Gadda 1995: 110): «il quaderno presenta una copertina
cartonata (di cm 25 x 17,5 con una bella unghiatura) rivestita all’esterno in carta Varese beige a
quadratini verde scuro e ocra e all’interno in carta verde scuro: la stessa che riveste la facciata
contigua dei robusti fogli di risguardo; il taglio superiore è tinto di rosso, gli altri sono seghettati.
Consta di 196 pp. Di carta bianca non rigata, da noi numerate su recto e verso a matita nera».
2. Ora in RR II 1071-106. Proprio per il fatto di essere aperto dalla prima stesura di Notte di luna, al
quaderno è stata applicata la dicitura NDL1.
3. Ora in Gadda 1995: 127-166 (con relativa nota di G. Pinotti alle pp. 109-114). Per una più
circostanziata descrizione del contenuto di questo quaderno, cfr. la Nota al testo di D. Isella a Notte
di luna (RR II, n. 17, 1332-333).
4. Gadda fu più volte ospite del «consueto Kaiserhof» (cfr. Gadda 1982c: 31) Hotel di Sterkrade
(Essen) durante i suoi viaggi di lavoro per conto dell’Ammonia Casale.
5. Per quanto questo possa voler dir qualcosa, vista l’irregolarità con cui Gadda distribuisce il
materiale nei suoi quaderni, lasciando delle pagine bianche, saltando di pagina in pagina,
riutilizzando in un secondo tempo pagine vuote o già parzialmente occupate.
6. Termini indicati nel 1963, in calce al racconto confluito negli Accoppiamenti giudiziosi.
7. Quanto alle tre denominazioni, al di là della dicitura «impromptus» che si addice perfettamente
allo stato di abbozzo di questa prima fase, si noterà che «note» e «tocchi» sono usuali designazioni
che Gadda stesso applica a quanto scrive: si veda, per fare solo due esempi, RR II 1057 («come
abbiamo già accennato, con qualche nostro tocco sapiente») e RR I 119 («quello si arà da sentire
nelle mie note»).
8. Cfr. Gadda 1995: 247, apparato critico relativo alla p. 155 di NDL1. Si segnala fin d’ora che il
rimando alla pagina specifica dei quaderni (e alla pagina dei Disegni milanesi in cui si trova), è fatto
solo nel caso di citazioni di una certa lunghezza.
9. La descrizione, in vero utilizzata da Gadda per definire i clienti morosi dell’ing. Baronfo
(Madonna dei Filosofi, RR I 84), si adatta perfettamente alla nostra signora Carpioni.
10. Si ricorda che tra i compiti che Gadda svolse in Argentina per la Compañia general de Fósforos
ci fu anche la costruzione del «gabinetto per le donne della Cartiera» (Gadda 1984a: 95). Si veda
anche la notizia che ne dà in Novella seconda (RR II 1038-039, con l’originario titolo di Dejanira
Classis).
11. NDL1 164-65, in Gadda 1995: 244-45. Varianti alternative: a esuberanza e controespan<
sione> b quando il ciclo diventa irreversibile.
12. L’attuale cartina di Milano non riporta nessun Piazzale Modena. Esiste tuttavia via Modena, che
si trova non molto distante dalla Città degli Studi e si incrocia con via Ciro Menotti, la via in cui lo
Zavattari di Incendio avrebbe il suo negozio «di pesce atlantico» (cfr. Incendio, rr. 264-65). Si
avverte sin d’ora che tutti i rinvii alla vulgata dell’Incendio si riferiscono all’edizione commentata
approntata qui di seguito.
13. Lo scambio di battute fra lo Zavatta e la Carpioni («Vuole un cognac?…». «Sarà poi vero
cognac?») ricorda un analogo scambio di battute, nella Locandiera di Goldoni, tra il decaduto
Marchese di Forlipopoli e il ricco Cavaliere di Ripafratta (Atto II, scena V): «è Borgogna quello?».
«Si, è Borgogna». «Ma di quel vero?». Si cita da I capolavori di Carlo Goldoni (Milano:
Mondadori, 1978), 148. Va peraltro detto che il sospetto della Carpioni è meno civettuolo di quello
del Marchese, visto che la qualità di cui testimoniano le tre stelle che effigiano il cognac dello
Zavatta sembra essere messa in dubbio dall’usura del turacciolo. La pertinenza del rinvio, e quindi
dell’implicita analogia tra la signora Carpioni e il decaduto Marchese, è certificata dall’apparato
critico, che registra, prima della scelta del raffinato cognac, due altre alternative: «della grappa»
prima, poi «uno strega» (Gadda 1995: 250, apparato critico relativo a NDL1 167; «strega» è lezione
congetturale nostra).
14. Va peraltro fatto notare che la certezza di un argomento di questo tipo deve pagar pegno alla ben
nota volubilità gaddiana e in genere alla provvisorietà dell’intero disegno.
15. La signora Carpioni, oltre che essere nominata nel catalogo iniziale dell’Incendio, può ricordare
l’Arpàlice Maldifassi per quel tratto di sussiego che le fa sentenziare «l’unico dispiacere è la gente
villana», laddove la Maldifassi avrà a recriminare contro «l’egoismo […] degli inquilini del quinto
[piano]» (cfr. Incendio, r. 166), anche se è vero che è un tratto piuttosto comune delle gaddiane
«nobildonne lombarde»: si pensi alla pennuta signora descritta in Cinema (RR I 67), che viene
risucchiata nella sala strillando «Villani, villani e villani!», o ancora a Racconto, SVP 490 («Gli
uomini in fondo non sono antipatici, ma perché sono così villani?»); nel vecchio Zavattari
dell’Incendio converge l’onomastica dell’oste Amilcare Zavatta e i tratti di un «facchino patentato»
stordito dalla sbornia e sul punto di addormentarsi che troviamo nell’osteria dello Zavatta stesso
(cfr. NDL1 168; Gadda 1995: 246); il facchino sarà, nell’Incendio, Gaetano Pedroni, sulla cui
«robusta galanteria» nei confronti della Isolina Fumagalli «il signore è quasi certo che dovesse aver
chiuso un occhio», che a sua volta ricorda un’analoga concessione da accordare alle esplorazioni
orografiche dell’Unghioni giovane tra le «tette delle serve» (cfr. NDL1 160; Gadda 1995: 243).
16. Così la definisce Claudio Vela in Gadda 1990a: 130.
17. Molto spesso le due si accompagnano, come in Cognizione (RR I 584-86), dove le ville
brianzole e i loro «cessi» vengono accomunati nel giro della stessa polemica, o ancora in Quattro
figlie ebbe e ciascuna regina (RR I 355-56); altre volte viene sviluppata solo la polemica generica
nei confronti degli architetti, come in Pianta di Milano — Decoro dei palazzi (SGF I 57-62) o in
Libello (SGF I 87-96). Si veda poi, e contrario, La casa (RR II 1109-132), dove l’Autore è intento a
costruirsi la sua casa ideale, un «Vittoriale da burla, che degnamente celebri la sua nomina a
Principe dell’Analisi» (la felice definizione è di Alberto Grimoldi, Il gaddesco architetto Basletta,
in Renzi 1994: 44).
18. Cfr. RR I 83; RR I 159 e 166; nonché un ciclo di favole (159, 165, 168 e 169) in SGF II. La
citazione da Tendo al mio fine è in RR I 122. E alla pagina precedente era pure menzionata la
polemica edilizia («loderò l’ingegnoso ingegnere, quello che fa tante belle case a Milano»).
19. Si vedano le già citate favole 167 («La madre non voleva lasciare la casa, poiché vi aveva
nutrito e allevato “tutti ” i suoi figli») e 168 («Il padron di casa ben sapeva che la madre non voleva
lasciare la casa»), SGF II 53.
20. Lettera inedita alla sorella, riportata in Roscioni 1997: 296. Adele si deciderà nell’ottobre del
1931 a cambiare casa. Ma con gran disappunto del figlio rimarrà nello stesso palazzo, trasferendosi
in un appartamento di cinque locali al primo piano, il cui affitto era stato fissato a £ 5.000 (Roscioni
1997: 296 — altre due lettere inedite alla sorella, la prima del 12 ottobre, la seconda del 23 ottobre
1931). Non so quanto possa essere pertinente questa osservazione, ma è possibile, tenuto conto
dell’affitto del nuovo appartamento (£ 5.000 per cinque stanze), che la pigione dell’appartamento di
sei stanze occupato precedentemente ammontasse a £ 6.000, e cioè giusto giusto quanto pagava la
Carpioni prima dell’aumento del canone.
21. Le citazioni sono tratte, nell’ordine, da RR I 119, SGF I 629, 503, SGF II 309. A queste quattro
occorrenze andrà poi aggiunta, in ambito epistolare, quella della lettera a Gianfranco Contini del 18
dicembre 1947 (Gadda 1998: 46).
22. Si noterà che il nome della madre in Cognizione è giunto all’approdo onomastico di Elisabetta
passando per Adalgisa prima ed Adelaide poi (cfr. Gorni 1972: 94, n. 6).
23. Gadda 1987a: 515. Le note tra parentesi quadre sono di Manzotti. Per una migliore intelligenza
del testo, riportiamo altre due note dello stesso Manzotti. La prima sui «matemi e le quadrature di
Keplero»: «quadratura: […] come antico equivalente di “integrazione” (= soluzione): delle
equazioni differenziali che esprimono le tre leggi di Keplero. La loro quadratura fornisce, in
corrispondenza di opportuni valori iniziali, la traiettoria dei corpi celesti […]. I matemi (ardue
formule e calcoli)» (Gadda 1987a: 258-59, nota alla r. 40). La seconda sul «Puentacho»: «è la via
milanese del Pontaccio, contigua a via San Simpliciano (dove la famiglia G. abitava, al n. 2, in un
edificio all’angolo delle due vie)» (Gadda 1987a: 516, nota alla r. 42).
24. Il 30 giugno (= afelio) è indicato nell’appena citata lettera alla sorella Clara, nonché
dall’ambientazione di questa prima fase; il 29 marzo è esplicitamente menzionato nel passaggio
appena riportato, e si pone giustamente «a metà strada» tra perielio e afelio; anche il 29 settembre è
esplicitamente citato nel passaggio, ed è anche indicato in Gadda 1984b: 126 («Sto a Milano, fino al
29 settembre: il maiale e strozzino usuraio nonché affitta-porcili detto padrone di casa ha la legge
dalla sua fino al 29 settembre»). Per quanto riguarda il 1° gennaio (= perielio), anche se non se ne fa
menzione in altri luoghi, si inscrive naturalmente nella scansione quadrimestrale dell’anno.
25. Ci informa inoltre Roscioni che Gadda chiamava «stelle fisse» i fornitori di casa, fornitori che la
madre non avrebbe cambiato per nessuna ragione al mondo (Roscioni 1997: 297).

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