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Lo sfruttamento del lavoro minorile

“I padroni del business dove lavoravo ci dissero che è l’America che chiedeva loro di schiavizzare i
bambini. Agli americani piacciono i tappeti, le coperte, gli asciugamani a poco prezzo che noi
facciamo. Quindi loro vogliono che il lavoro schiavizzato vada avanti.
Io mi appello a voi che fermiate le persone dall’usare i bambini come manodopera perché i bambini
hanno bisogno di una penna piuttosto che strumenti di lavoro.” Iqbal Masih -
Conferenza Boston – 1995

Lo sfruttamento minorile: una persistente piaga per l’umanità


Possiamo definire il lavoro minorile o sfruttamento minorile una qualsiasi attività lavorativa che
vieta lo studio e la libertà del minore, ne lede la dignità e influisce negativamente sul suo sviluppo
psico-fisico. (cit. Wikipedia)

Sebbene il lavoro minorile, che riguarda i minori di 18 anni secondo la definizione


dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), interessa moltissimi giovani che sono applicati
in attività lavorative sia formali (con regolari contratti) che informali (come ad esempio l’aiuto
domestico o nell’ambito dell’attività di famiglia), lo sfruttamento dello stesso è una piaga che non
ha confini ed è difficilmente eradicabile. Purtroppo è sintomo di estrema povertà e mancanza di
adeguate politiche occupazionali ed educative soprattutto nei paesi in via di sviluppo e in quelli
meno sviluppati, e che è troppo spesso sostenuto da aziende internazionali che hanno sede nei
paesi cosiddetti “avanzati”.

Lo sfruttamento odierno
Il fenomento di sfruttamento della manodopera minorile, in una delle sue forme peggiori, inizia al
tempo della prima rivoluzione industriale dove masse di operai, provenienti dalle campagne,
venivano assorbiti dalle manifatturiere cittadine e dove il lavoro minorile, insieme a quello
femminile, era ampiamente sfruttato e veniva altrettanto ampiamente sottopagato. Nell’Italia del
1800 un bambino che lavorava fino a 12 ore al giorno guadagnava 50 centesimi: un chilo di pane,
della qualità peggiore, ne costava dai 30 ai 40 centesimi.

Nel mondo d’oggi sono ancora 152 milioni i fanciulli — 68 milioni di bambine e 88 milioni di
bambini — vittime di lavoro minorile, un terzo dei quali impiegati in attività pericolose sia
fisicamente che psicologicamente.

Che siano manifatturiere, piantagioni di tabacco o cacao, miniere di cobalto o terre rare, in questo
momento ogni 10 adulti che vi lavorano (anch’essi sfruttati) almeno tre sono minori, che spesso
lavorano in stato di schiavitù.

Come il piccolo Iqbal Masih (1983 - 1995), ridotto in schiavitù in una fabbrica di tappeti pakistana,
che, nella sua breve vita stroncata probabilmente dalla “mafia dei tappeti”, è riuscito a ribellarsi, a
divenire il simbolo dei tanti bambini che vivono in condizione di sfruttamento e sopraffazione e
grazie al quale è venuta alla luce questo aspetto terribile del profitto a tutti i costi.

Multinazionali della schiavitù


Per ottenere il massimo profitto a zero costi, è abitudine delle grandi multinazionali delocalizzare la
produzione in paesi dove la povertà è endemica e i governi sono conniventi con gli sfruttatori e
dove si possono tenere in condizione di semischiavitù adulti e bambini.
Alcuni casi eclatanti:
• Philips Morris - 72 bambini di circa 10 anni (quelli di cui si è saputo) e altri adulti in
condizione di schiavitù erano costretti a lavorare nelle piantagioni di tabacco. Nonostante la
pressione internazionale sembra che ancora la situazione non si sia risolta.
• Victoria’s Secret - sebbene dichiari di utilizzare esclusivamente cotone “fair trade” a
garanzia di essere contro lo sfruttamento lavorativo nelle piantagioni, sembra che alcuni
produttori del Burkina Faso sfruttassero il lavoro minorile per raggiungere gli obiettivi di
prouzione. A seguito di ciò Victoria’s Secret ha pensato bene di far rimuovere il marchio
“fair trade” dai suoi prodotti...
• Kye - manifattura cinese che produce per marchi come Microsoft e HP è stata accusata di
schiavismo per aver reclutato studenti minori e donne che pagava intorno ai 65 centesimi
l’ora. Anche Apple e Nokia hanno ammesso di appaltare presso fabbriche cinesi implicate in
casi di sfruttamento.

E in Italia
In Italia il lavoro minorile è regolamentato dalla legge 977/1967 che individua le attività lavorative
dove i bambini e gli adolescenti possono essere impiegati e ne specifica i diritti come orario di
lavoro più breve, ferie più lunghe e le attività vietate.
La legge distingue tra adolescenti e bambini e se hanno concluso la scuola dell’obbligo per stabilire
se e in quali lavori possono essere assunti.
Il lavoro dei bambini è generalmente vietato tranne in casi quali attività culturali, sportive,
pubblicitarie e nello spettacolo.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nell’articolo 32, rafforza questo concetto:

“Il lavoro minorile è vietato. L'età minima per l'ammissione al lavoro non può essere inferiore
all'età in cui termina la scuola dell'obbligo … I giovani ammessi al lavoro devono beneficiare di
condizioni di lavoro appropriate alla loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o
contro ogni lavoro che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, psichico, morale o
sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione.”

Nonostante tutto questo però I casi di sfruttamento del lavoro minorile sono all’ordine del giorno.
Una stima non ufficiale parla di circa 150.000 minori di 15 anni che lavorano, un quinto dei quali
subiscono sfruttamento. I minori sono impiegati principalmente nei bar, nella ristorazione, nel
settore alberghiero e nell’agricoltura, con una punta massima, relativa alla distribuzione geografica,
nel nord-est del nostro paese. Purtroppo sono anche molti i minori in Italia coinvolti in attività
criminose e nello sfruttamento della prostituzione.

Ma questa è soltanto la punta dell'iceberg: il peggioramento della situazione economica di tante


famiglie a causa della crisi economica e della pandemia di Covid-19, fa sì che lo sfruttamento
spesso resti sommerso e che si vada intensificando.

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