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Governare
l’ingovernabile:
Agamben e il concetto
di “dispositivo”
DI MATTIA GIORDANO

02/04/2021 · FILOSOFIA · 10 MINUTI DI LETTURA

I
n un breve testo molto intenso intitolato Che cos’è un dispositivo? (acquista),
eco di un altro dal medesimo titolo di Gilles Deleuze, Giorgio Agamben esplora un
concetto chiave della prospettiva filosofica di Michel Foucault, tracciandone la
genealogia, e integrandola agli sviluppi originali da lui stesso apportati. Foucault, che non
ha mai affrontato direttamente la questione, ne ha dato però una definizione precisa
contenuta nei Dits et Ecrits, di cui qui si riporta un estratto dal passo citato da
Agamben:

… co l t e r m i n e d i s p o s i t i v o , i n t e n d o u n a s p e ci e [ … ] d i fo r m a z i o n e che
i n u n cer t o m o m ent o s t o r i co ha av u t o co m e fu nzi o ne es s enzi al e d i
r i s p o nd er e a u n’ u r genza. [ … ] Ho d et t o che i l d i s p o s i t i v o è d i
natur a essenzi alm ente str ategi ca, i n che i m pli ca che si tr atti di
u n a cer t a m a n i p o l a z i o n e d ei r a p p o r t i d i fo r z a , d i u n i n t er v en t o
r azi o nal e e co ncer t at o d ei r ap p o r t i d i fo r za, s i a p er o r i ent ar l i i n
u n a cer t a d i r ez i o n e, s i a p er bl o cca r l i o p er fi s s a r l i e u t i l i z z a r l i . Il
d i s p o s i t i v o è s em p r e i s cr i t t o i n u n g i o co d i p o t er e e, i n s i em e,
s em p r e l eg a t o a d ei l i m i t i d el s a p er e, che d er i v a n o d a es s o e, n el l a
s t es s a m i s u r a , l o co n d i z i o n a n o . Il d i s p o s i t i v o è a p p u n t o q u es t o : u n
i ns i em e d i s t r at egi e d i r ap p o r t i d i fo r za che co nd i zi o nano cer t i t i p i
d i s a p er e e n e s o n o co n d i z i o n a t i [ 1 ] .

Dunque, il dispositivo è quell’articolazione di potere-sapere, in cui i due poli si


trovano in reciproca relazione, della quale il filosofo francese ha dato esempi e letture
soprattutto dagli anni Settanta. Agamben, come Deleuze, aggiunge[2] che un dispositivo,
non avendo fondamento nell’essere, ma in insiemi di rapporti strategici mutevoli, non può
essere diviso dalla produzione dei soggetti, in altri termini, dall’innescare, dal
comportare processi di soggettivazione per poter effettivamente funzionare.
Da qui, ne consegue che ogni “sostanza”, cioè il vivente opposto ai dispositivi, è toccato e
attraversato da una molteplicità di tali processi, tra loro anche contraddittori,
mobili e in cambiamento, con il soggetto che si trasforma nel risultato di un divenire
di interazioni e di pieghe, in realtà, continuo.

Al tempo stesso, è qui, nel costituirsi della soggettività, che si danno le linee di frattura, di
bordo, le celebri “linee di fuga”, laddove, dice Deleuze: «Foucault […] intuisce che i
dispositivi da lui analizzati non possano essere circoscritti da una linea che li inglobi, senza
che altri vettori passino al di sotto o al di sopra di essa».[3] Ovvero, il sorgere di
soggettività inaudite, impensate, di «grovigli da sciogliere»[4], proprio a partire da quel
punto in cui un dispositivo, soprattutto non essendo unico, né stabile né perfettamente
coerente, è impossibilitato a richiudersi nella sua stessa presa. Per quanto, come
nelle istituzioni totali, sembrava poterci riuscire. Comunque, la soggettività e l’Aperto
stanno lì.

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Giorgio Agamben

Arricchito dalle ricerche che scandagliano la tradizione teologica occidentale, e


riprendendo il concetto di Gestell in Heidegger, Agamben estende l’idea di dispositivo
potenzialmente a tutto, in una torsione concettuale forte:

C hi a m e r ò l e t t e r a l m e n t e d i s p o s i t i v o q u a l u n q u e co s a a b b i a i n
q u a l che m o d o l a ca p a ci t à d i ca t t u r a r e, o r i en t a r e, d et er m i n a r e,
i nt er cet t ar e, m o d el l ar e, co nt r o l l ar e e as s i cu r ar e i ges t i , l e
co nd o t t e, l e o p i ni o ni e i d i s co r s i d egl i es s er i v i v ent i . [… ] Il
l i n g u a g g i o s t es s o è fo r s e i l p i ù a n t i co d ei d i s p o s i t i v i . [ 5 ]

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È impossibile, dunque, pensare processi di soggetivazione che avvengano al di


fuori dei dispositivi, così come è impossibile separare nettamente l’individuale dal sociale
e, lacanianamente, il soggetto dal significante e dal discorso. Ma Agamben aggiunge
come, in realtà, oggi si assista a una «accumulazione e proliferazione»[6] dei dispositivi:
nella conseguente moltiplicazione dei processi di soggettivazione, si hanno, parimenti,
processi di desoggettivazione sganciati e indifferenti. Qui, con ironia caustica, forse un po’
miope per l’estremismo, Agamben usa le figure dello zappeur imbambolato davanti alla
televisione, dell’utilizzatore del cellulare o del cittadino democratico che esegue i suoi
doveri circondato dalle telecamere della città: essi non ottengono soggettivazioni in
cambio del contatto col dispositivo, se non in una forma “larvata”, “spettrale”[7]. Del
resto il potere disciplinare si indirizza alla produzione di corpi docili e addomesticati, ma
nella ricomposizione di un nuovo soggetto (es. il criminale) dopo una sua preliminare
desoggettivazione.

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Un potere riesce a funzionare nella misura in cui, potremmo dire, cerca di suturare la
distanza, la scissione, il taglio, tra soggetto dell’enunciato e soggetto dell’enunciazione.
Agamben cita, non a caso, la confessione cristiana[8], di cui possiamo cogliere il
funzionamento in quell’ “appartenenza essenziale”[9] del soggetto all’io-peccatore, suo
negativo, da scovare, indagare, far parlare e redimere. È qui, in modo estremamente
interessante, che si possono innestare tali concetti nell’ambito di una sistemazione
intellettuale ambiziosa, come Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff.

Nella sua inquietante disamina delle procedure di datificazione, raccolta, quantificazione,


analisi, manipolazione, di ogni minimo aspetto dell’esperienza umana, basate su
un’antropologia di derivazione comportamentista e da utopie di società in cui si
potranno finalmente evitare le “imperfezioni” della natura umana grazie al controllo
perenne[10], il tutto indirizzato a un nuovo campo di accumulazione e sfruttamento
capitalistici, l’autrice mostra non solo quella tendenza, indicata da Agamben,
all’intensificazione e proliferazione dei dispositivi, ma anche come tali
procedure necessitino di far fare, di spingere all’azione, in modo da sviluppare
previsioni più minuziose e accurate, generando un un circolo vizioso di condizionamento,
volto all’estrazione di un “surplus comportamentale” sempre maggiore, fonte diretta del
guadagno odierno.

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La previsione, insieme al diktat dell’assicurazione, vuoi per le assicurazioni private


statunitensi o l’assicurazione dello Stato contro ogni devianza (es. i crediti sociali cinesi),
diventa il mezzo attraverso cui, con il rafforzamento di una sorveglianza
panoptica[11] variegata, avviene l’azione del potere. In effetti, esso può funzionare nella
misura in cui non solo siano stati raccolti più dati possibili (aspetto quantitativo), ma che
sia accorciata, e colmata, la distanza tra l’immagine renderizzata dell’individuo e
il suo corpo vivo attraversato dai processi di soggettivazione, piegati dal singolo nel suo
divenire specifico esistenziale (aspetto qualitativo); schiacciare tale immagine, estratta
dalle tracce della sua interazione con i dispositivi, sul suo corpo desiderante, in modo da
implementare e orientare il suo comportamento. In altri termini, far collimare il soggetto
dell’enunciato, dove gli enunciati sono i dati prodotti, raccolti e analizzati, e il soggetto
dell’enunciazione, cioè raggiungere il punto stesso di emissione degli enunciati e della
possibilità, tutta umana, di torcerli creativamente e soggettivamente. Alcuni lo
chiamano inconscio. In altre parole: governare l’Ingovernabile umano e,
soprattutto, trarne profitti.

Mattia Giordano

Note:
[1] M. Foucault, Dits et ecrits, vol. III, pp. 299-300, cit. in G. Agamben, Che cos’è un
dispositivo?, Milano, Nottetempo 2006, pp.6-7
[2] G. Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Milano, Nottetempo, 2006, p.19
[3] G.Deleuze, Che cos’è un dispositivo?, trad. it. Antonella Moscati, Napoli, Cronocopio,
2007, p.16
[4] Ivi, p.20
[5] G. Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Milano, Nottetempo 2006, pp. 21-22
[6] Ivi, p. 23
[7] Ivi, pp. 30-33
[8] Ivi, pp. 29-30
[9] M. Foucault, La volontà di sapere, trad. it. Pasquale Pasquino e Giovanna Procacci,
Milano, Feltrinelli, 1978, p.58
[10] Riecheggia l’intuizione deleuziana del Poscritto sulle società di controllo (1990)
[11] vedi, M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, trad. it. Alcesti
Tarchetti, Collana Paperbacks, n. 77, Torino, Einaudi, 1976

Immagine di copertina: Photo by Rodion Kutsaev on Unsplash

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Mattia Giordano
Classe 95', milanese, laurea magistrale in Psicologia, appassionato di
psicoanalisi, filosofia, teoria critica, letteratura per lo più italiana e francese.
Anche di cinema e teatro, perché ci sono, e ci saranno sempre, film e
spettacoli belli. Musicista e scrittore a tempo perso, si spera un giorno a
tempo pieno. Ha fatto un po' di tutto, quindi, probabilmente, niente.

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