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Ananas nel mosaico romano: le legioni arrivano in America?

Girando nel Museo del Palazzo Massimo alle Terme di Roma si può fare una scoperta incredibile. Su un
pavimento a mosaico del secondo piano, nella galleria dedicata agli affreschi, mosaici e stucchi del mondo
classico, si nota qualcosa di molto particolare. Il mosaico datato agli inizi del I secolo dopo Cristo,
riproduce un cesto di frutta che nasconde un vero mistero. In esso, sono riprodotti partendo da sinistra,
alcuni fichi, delle mele cotogne, un grappolo di uva nera, alcune melagrane e un alimento impossibile: un
ananas. La presenza di questo succoso frutto ha lasciato senza parole, perché la pianta dell'Ananas
sativus, appartenente alla famiglia delle Bromeliacee, arrivò nel vecchio continente solo dopo i viaggi di
Cristoforo Colombo. Quindi prima della scoperta dell'America gli Occidentali non potevano conoscere
questo frutto tropicale. La storia dell'arte è ricca di enigmi e di stranezze, infatti, questo dell'ananas
impossibile non è l'unico caso di incongruenze.
Il Museo nazionale romano è uno dei siti archeologici più importanti di Roma, che ospita collezioni
riguardanti la storia e la cultura della città in epoca antica. La struttura si trova negli ambienti del convento
costruito nel Cinquecento nelle terme di Diocleziano. Dopo la scoperta del frutto tropicale nel mosaico
romano le visite al museo sono diventate più suggestive, poiché i turisti vogliono vedere con i loro occhi
l'esistenza di questo frutto impossibile. In realtà non è la prima volta che compare un figura simile a quella
dell'ananas in un'opera romana, un affresco trovato nella casa dell'efebo a Pompei mostra un ananas ed
una statuetta romana, conservata a Ginevra, rappresenta un bambino che tiene per il ciuffo un ananas.
Impossibile parlare solo di coincidenze, è evidente, anche se non si sa come, che i romani all'inizio del I
secolo dopo cristo conoscessero già l'ananas.
Il mistero dell'ananas è un vero rebus che ha aperto la strada a varie ipotesi, come riportato da Wikipedia.
Si è pensato alla possibilità di scambi commerciali oltreoceano o di importazioni dall'Africa occidentale,
dove l'ananas è coltivato. Un'ipotesi più plausibile è che l'artista che ha realizzato il mosaico, in realtà,
avrebbe cercato di raffigurare una pigna, ornandola con un ciuffo di foglie, ottenendo un risultato
ingannevole per i posteri. Altra possibilità è che il mosaico sia stato sottoposto ad un restauro integrativo
che ha portato all'introduzione dell'insensata presenza, da parte di un'artista molto creativo e con qualche
pecca sulla storia. Quale che sia la spiegazione, l’immagine di un ananas in un mosaico dell’antica Roma
rimane comunque avvolta in un alone di mistero.
Questa è il mais sulla chiesa di
Caramanico Terme, nella frazione di
San Tommaso, si trova una chiesa
intitolata in origine a San Thomas
Becket, l'arcivescovo di Canterbury,
assassinato nella sua cattedrale nel
1173. La chiesa fu fondata negli anni
immediatamente successivi
DOCUMENTI STORICI
Ecco le ‘prove’ dei viaggi
dei romani fino in America
Gli scambi tra il Mediterraneo e l’America in epoca romana sono provati anche dalle numerosissime
rappresentazioni di ananas ritratti in mosaici, pitture e sculture di età Imperiale

Ecco le ‘prove’ dei viaggi dei romani fino in America

Le navi romane erano attrezzate per lunghe navigazione ed erano in grado di raggiungere le sponde del
continente americano: potevano, infatti, navigare controvento ed erano “rinforzate” in piombo per affrontare
in sicurezza le traversate transatlantiche. La loro velatura, in particolare, era strutturata per la navigazione di
bolina sfruttando il vento contrario. La scoperta di questo dettaglio è dello studioso e divulgatore scientifico
Elio Cadelo che ha dedotto la presenza del fiocco di prua nella rappresentazione di numerose navi romane
ritratte nei bassorilievi di diverse città romane tra cui Leptis Magna. Le nuove prove sui viaggi dei romani in
America sono contenute nell’ultima edizione del volume di Elio Cadelo “Quando i Romani andavano in
America – Scoperte geografiche e conoscenze scientifiche degli antichi navigatori”, appena uscita in libreria
per Palombi Editore (pagine 325, euro 15) che confermano che in epoca romana ci furono contatti e scambi
tra le due sponde dell’Oceano Atlantico. Ma non basta. Nell’ultima edizione vengono descritte navi greche e
romane, recentemente portate alla luce dagli archeologi sia in Italia sia in Francia, che erano “foderate” di
piombo. Una scoperta che ha lasciato di stucco gli archeologi e che dimostra che queste navi erano
destinate a lunghi periodi di navigazione e che erano in grado di raggiungere l’America. E le prove di questi
scambi tra il Mediterraneo e l’America in epoca romana sono nelle numerosissime rappresentazioni di
ananas ritratti in mosaici, pitture e sculture di età Imperiale. Questo frutto, che nelle case romane costituiva
un lusso da esibire, poteva provenire solo dall’altra sponda dell’Atlantico poiché è originario del centro
America. Da tempo Elio Cadelo aveva acceso l’attenzione sullo spostamento in età romana di numerose
piante di origine americana in Europa e tra queste, oltre all’ananas, ritratta in numerosi mosaici di età
imperiale, sono stati identificati numerosi frutti tropicali tra i quali la Anona squamosa, detta anche “mela di
zucchero”, frutto originario e tipico delle coltivazioni mesoamericane. Per non parlare del mais, una pianta di
sicura origine americana, le cui pannocchie sono descritte già da Plinio il Vecchio nella Storia Naturale 1500
anni prima della scoperta del Nuovo Mondo e del girasole i cui semi sono stati ritrovati in una imbarcazione
del I° secolo affondata al lardo dell’Isola del Giglio. I Romani, quindi, andarono in America molto prima di
Cristoforo Colombo. La tesi, da tempo sostenuta da Elio Cadelo, ha aperto un ampio dibattito nella comunità
scientifica. Infatti, sono numerose le pubblicazioni che hanno seguito le ricerche di Cadelo che in
quest’ultima edizione si arricchisce di una importante parte dedicata alla cartografia romana. Anche in
questo campo i Romani dimostrarono una incredibile attenzione alle scienze riuscendo a perfezionare la
cartografia e migliorando le loro conoscenze geografiche. Le prove dimostrano che i Romani avevano
realizzato carte geografiche e portolani estremamente precisi che furono la base delle carte geografiche del
‘500. Infatti, riguardando con attenzione la mappa del Mondo di Claudio Tolomeo si scopre che nel II secolo
era già indicata la costa dell’America del sud. (IS. SER.)

http://www.liberoquotidiano.it/news/bib ... --dei.html

oltre all'ananas i romani erano a conoscenza di altri alimenti propri delle americhe,anke se ritengo le navi
cartaginesi + adatte nell'attraversare l'atlantico,cmq la storia magari non e' proprio come quella propinataci

Sono andati ben oltre......

I soldati di una legione fantasma, di cui nel mondo antico non si seppe più nulla dopo una spedizione in
Oriente, fondarono l'unico centro romano presente in Cina, ossia la città di Liquian, sito archeologico della
provincia orientale di Gansu. A parlare della scoperta della città e delle sorti dei legionari dispersi è il
periodico Archeologia Viva nel numero in edicola. La legione scomparsa era al comando di Licinio Crasso,
triumviro al pari di Cesare e Pompeo, che avviò una campagna contro i Parti in Turchia durante la quale il
suo esercito fu sgominato e lui stesso venne decapitato.Plinio racconta che i sopravvissuti caddero tutti
prigionieri e furono trasferiti dai Parti in una regione al nord dell'attuale Afghanistan. Tuttavia,quando nel 20
a.c. Romani e Parti firmarono la pace e si accordarono per la restituzione dei prigionieri, i superstiti della
sfortunata legione erano spariti nel nulla. Al mistero avrebbe dato risposta Bau Gau, un cronista dell'Impero
Han (206-220 d.c.). Secondo Bau Gau quegli stessi prigionieri vennero sconfitti da un condottiero cinese nel
36 a.c. Questi "stranieri" vennero deportati in Cina per difendere la strategica provincia orientale di Gansu. E'
qui che i superstiti della legione fondarono Liquian, nome con cui in Cina ancora si indica la romanità."
- Quei legionari romani che abitavano in Cina

PECHINO - CAI Junnian ha i capelli biondi, il naso aquilino e gli occhi verdi. Vive a Liqian, un villaggio al
margine del deserto nella contea di Yongchang, nel Gansu. È un cinese, ma ha l'aspetto da europeo. I
compaesani lo chiamano "Cesare", lo prendono in giro e sono convinti che discenda da un' antica famiglia
romana. Il test del Dna ha stabilito che il 58% dei suoi geni sono occidentali. Nella regione è una celebrità.
Mangia con i soldi di chi, con un vago sgomento, paga per vederlo.

Luo Ying è la copia di un gladiatore del Colosseo e per tutti è "Luoma", il romano. Un' azienda di Shanghai,
dopo averlo visto in tv, lo ha assunto come «uomo immagine» per trattare con i clienti del Mediterraneo. Il
villaggio dimenticato dell' Asia dove i cinesi hanno la faccia da romani sta diventando famoso e potrebbe
custodire un segreto. Proprio qui, lungo le tracce cancellate della Via della Seta, si sarebbe persa una
legione di 6000 soldati romani, guidati dal primogenito del generale Marco Crasso. Era il 53 a.c. e per la
storia quei legionari, sfuggiti alla guerra contro i Parti, sono misteriosamente scomparsi.

I discendenti delle milizie di Crasso, decapitato dagli antenati dei persiani nei territori dell' attuale Iran, si
sarebbero stabiliti tra Tibet e Turkestan, oggi Qinghai, per evitare di essere eliminati dai guerrieri cinesi
dell'imperatore Wu, dinastia Han. Furono i primi, involontariamente, a collegare Oriente e Occidente,
travolgendo le convinzioni geografiche dell' epoca. Per antropologi e archeologi sarebbe la conferma di una
scoperta rivoluzionaria: proverebbe che i due imperi più potenti dell' umanità, il romano e quello cinese, non
si limitarono a sfiorarsi grazie al commercio, ma entrarono direttamente in contatto. I libri di storia oggi
raccontano che prima di Marco Polo, nel tredicesimo secolo, solo una visita di diplomatici di Roma, nel 166
dopo Cristo, riuscì a raggiungere Pechino.

Gli studiosi dell' università di Lanzhou sono certi che presto i testi dovranno essere riscritti. Nel corso di una
campagna di scavi hanno riportato alla luce a Liqian i resti di un' antica fortificazione. Ha forma e sistema
costruttivo uguali alle strutture di difesa seminate dai romani in Europa, Asia e Africa. Identica anche la
canalizzazione dell' acqua. Un gruppo di antropologi ha scoperto che gli abitanti del villaggio, che non hanno
mai viaggiato al di fuori della regione, adora i tori e organizza giochi simili alla tauromachia. Un esame
genetico ha stabilito che alcune famiglie sono inspiegabilmente di origine caucasica, elemento che induce gli
esperti a concludere che discendono dai legionari perduti dell' esercito di Crasso.

La leggenda sta appassionando la Cina ed è sulle prime pagine dei giornali. Archeologi e antropologi italiani
e cinesi, riuniti nel nuovo Centro di studi italiani dell' Università di Lanzhou, in primavera amplieranno così gli
scavi fino a ripercorrere verso ovest i 7000 km della Via della Seta.
«Contiamo di dimostrare- dice Yuan Honggeng, direttore del Centro - che le relazioni tra i due più straordinari
imperi della storia vanno anticipate di parecchi secoli».
La cinesizzazione delle milizie scomparse solleva però anche scetticismo.
«Il Dna europeo degli abitanti di Yongchang - dice Yang Gongle, storico dell' Università Normale di Pechino -
non prova l' origine romana».
Speranze e dubbi degli accademici non scoraggiano però l'entusiasmo popolare: i sosia dei legionari sono
star di tv e giornali. -

(Possiamo commentare l'articolo ricordando che le autorità cinesi non sono molto contente che dei cittadini
cinesi si vantino di una prossimità col mondo europeo seppure antico, per cui non è facile, anche se fosse
vero, che possano riscontrare l'agognato DNA occidentale mediterraneo.)

NEL DESERTO DEL GOBI VIVE UNA POPOLAZIONE CON TRATTI SOMATICI «ROMANI»

«Noi cinesi, discendenti delle legioni di Crasso»


Secondo gli studiosi di Pechino, in alcuni villaggi il 46% degli abitanti ha legami genetici con gli europei.
Il contadino Luo Ying: «Gli italiani mi somigliano?»

Ai confini del deserto del Gobi, in una modesta fattoria spazzata da un vento glaciale, a volte Luo Ying sogna
l' Italia: «Mi piacerebbe andare a vedere se i romani mi somigliano».
Naso diritto e affilato, occhi castani, sopracciglia folte e statura alta, questo contadino cinese ventiseienne
viene considerato un «europeo» dai propri vicini...
In questi villaggi del distretto di Yongchang, nella provincia di Gansu, sono qualche centinaio a presentare
tratti somatici stranieri. Certi hanno capelli castani, rossi o ricciuti, altri hanno occhi chiari oppure un naso
troppo grosso per essere Cinese. La carta d' identità di Luo Ying è però categorica: lui è proprio d'etnia han,
cioè cinese.
«Siamo cinesizzati da molto tempo - afferma Song Guorong, il portavoce di questi cinesi non proprio come
gli altri -. Ma noi discendiamo sicuramente dai legionari romani venuti qui duemila anni fa».

COMPOSIZIONE DI UNA LEGIONE ROMANA


A 7000 Km da Roma, la spiegazione è piuttosto sorprendente. Alcuni legionari romani sarebbero quindi
vissuti in Cina tredici secoli prima di Marco Polo? Addossato ai monti Quinlan - al di là dei quali si entra in
territorio tibetano - il villaggio di Zhelaizhai, una decina di chilometri a sud di Yongchang, domina il corridoio
di Hexi, antico passaggio strategico della via della seta.
Dal 1994, un bizzarro padiglione dalle colonne doriche vi ospita un cippo commemorativo.
«Un tempo - afferma Han Wenyang capo del piccolo borgo - c'era una legione romana in questo posto, che
si chiamava Liqian».
Fu Homer Hasenpflug Dubs, un sinologo americano, a proporre per primo, nel 1955, questa spiegazione
basata sugli scritti di Plutarco, di Plinio e sul libro degli Han dell est (dinastia cinese, 25-220 d.c.).
Ecco la sua teoria:
- nel 53 a.c. Marco Licinio Crasso, triumviro di Roma con Cesare e Pompeo, inizia una campagna contro i
Parti con 42.000 uomini. Crasso viene ucciso a Carre, nell'attuale Turchia ed una parte delle sue truppe,
caduta nelle mani del nemico, viene inviata in Asia centrale (Turkmenistan) per combattere gli antenati degli
unni. Poi se ne perdono le tracce. -

Nel 36 ac., un esercito cinese riesce per proprio conto a catturare la capitale degli unni (oggi Tashkent, in
Uzbekistan) e ne fa decapitare il capo, il quale minacciava da anni il fianco occidentale dell' Impero di
mezzo. Fonti cinesi dell'epoca descrivono fortificazioni e formazioni di battaglia conosciute a quel tempo
soltanto dai romani. I cinesi accettano la resa di un migliaio di combattenti e ne portano con sé 145, in
cattività. Per Dubs, non c' è dubbio: si tratta dei resti della legione perduta di Crasso.

Tratti somatici particolari. Restava ancora da localizzare Liqian. Nella primavera del 1989, uno storico
cinese, Guan Yiquan, ed un ricercatore australiano, David Harris, identificano come sito più probabile
Zhelaizhai. Guan Yiquan stava per pubblicare un lavoro sull'argomento quando morì, nel 1998. Il manoscritto
rimase poi in un cassetto, malgrado i tentativi del figlio di farlo pubblicare. Nel frattempo, diversi storici cinesi
tentarono di demolire la tesi di Dubs.
All'università di Lanzhou, capoluogo del Gansu, lo storico Chen Zhengyi continua però a credervi. Nei mesi
scorsi, ha fatto anche una nuova scoperta: Liqian in realtà dev'essere pronunciata «Lijian», e si tratterebbe
della trascrizione fonetica della parola latina «legio» (legione).
Il corridoio di Hexi è stata un' importante via di passaggio per i mercanti arrivati dall'ovest, precisa Chen
Zhengyi. Dunque, vi è sempre stata una mescolanza di popolazioni, ma solo la zona di Yongchang presenta
una simile concentrazione d'abitanti dai tratti somatici così particolari. Nel 1999, alcuni genetisti venuti da
Pechino hanno esaminato il sangue a 2000 persone provenienti dal paese. Secondo lo storico, il 46 per
cento dei test ha rilevato una forma di legame genetico con gli europei; ma questo non dimostra ancora
niente.

Contattati dall' Università di Pechino all'inizio dell' anno, alcuni genetisti italiani hanno ribattuto che le legioni
erano costituite soprattutto da mercenari greci. A tutt'oggi, il mistero di Zhelaizhai resta totale. Da una decina
d'anni, però, numerosi abitanti di quest'angolo perduto del Gansu si compiacciono di credere di aver forse
avuto per antenati dei gloriosi legionari romani.
«Roma antica o meno, tutto ciò non è molto chiaro - ammette Luo Ying con un sorriso da seduttore latino -.
Ma non trova che ci somigliamo, lei ed io?»

POSIZIONE DELLA LEGIONE


La legione perduta è arrivata in CinaVicino al deserto dei Gobi, a un passo dalla Mongolia, c'è un paese i cui
abitanti hanno tratti europei. Secondo una teoria, sarebbero i discendenti di una legione romana dispersa nel
53 ac.

Gu Jianming vive a Liqian, un piccolo centro a 300 chilometri dalla città più vicina, nel nord della Cina.
Quando è nata sua figlia è rimasto molto sorpreso nel constatare che aveva i capelli biondi. "Li abbiamo
tagliati, ma sono ricresciuti dello stesso colore. A scuola la chiamano 'capelli gialli'". Gu Jianming non sapeva
nulla, come nessuno dei suoi concittadini, di una teoria sviluppata da un professore di Oxford, Homer Dubs,
negli anni Cinquanta, anche perché in epoca maoista questo genere di idee venivano rifiutate a priori.

Dubs aveva raccolto storie e leggende mettendo assieme una teoria per spiegare la strana diffusione di tratti
caucasici a Liqian. Secondo Dubs tutto ebbe inizio nel 53 a.c., quando Crasso fu sconfitto dai Parti
nell'attuale Iran.

Una legione dell'esercito romano allo sbando avrebbe perduto la strada e avrebbe cominciato a vagare fino
ad arrivare in Cina. Dubs collegava questa ipotesi a documenti storici cinesi che racconterebbero della
cattura da parte degli Unni, diciassette anni dopo, di 145 uomini che si schieravano "a lisca di pesce", una
formazione identificata nella "tartaruga" romana. Gli Unni erano un potente gruppo nomade multietnico
stanziato tra la Mongolia e il nord della Cina, proprio nella zona in cui si trova Liqian. Ora una spedizione
scientifica eseguirà dei test del DNA per verificare l'eventuale presenza di caratteri riconducibili alle
popolazioni europee.

Questi test lavorano sul DNA mitocondriale e soprattutto sul cromosoma Y, la cui catalogazione dei marcatori
ha già permesso l'elaborazione della storia della diffusione della razza umana nel mondo a partire dall'Africa
50.000 anni fa.

La strada di europei e cinesi si è divisa circa 35.000 anni fa, quando le popolazioni centro-asiatiche
contraddistinte dal marcatore M9 si sono divise in popoli europei, siberiani e americani, contraddistinti dal
marcatore M45, e in quelli est asiatici, contraddistinti dai marcatori M175 e M122. Trovare una forte
percentuale di marcatori M45 o M173 negli abitanti del villaggio proverebbe l'origine europea.

Naturalmente più di questo non sarebbe possibile provare geneticamente, quindi l'ipotesi della Legione
Perduta, che richiama alla mente le storie di Harry Turtledove, difficilmente può trovare conferme definitive.

www.mondocina.it

DOMENICA, 21 NOVEMBRE 2010 08:23

LANZHOU – Quando i primi archeologi arrivarono a Liqian, nella provincia del Gangsu, rimasero
immediatamente colpiti dall’aspetto degli abitanti del villaggio. Alcuni di loro avevano occhi grandi e verdi,
nasi pronunciati e capelli biondastri. I loro tratti somatici erano europei, più che cinesi. Ma questa era solo la
prima di una serie di sorprese. Perché, quando si misero al lavoro, gli archeologi scoprirono i resti di una
fortificazione che aveva una struttura molto simile a quelle dell’antica Roma.

I fatti in questione risalgono al 1998. Qualche anno più tardi, gli abitanti di Liqian furono sottoposti a una
serie di test genetici che evidenziarono le loro origini caucasiche. Alcuni studiosi, a quel punto, non ebbero
più dubbi: era qui, in quest’area remota ai bordi del deserto del Gobi, che erano arrivati i 5.000 legionari di
Crasso sopravvissuti alla disfatta di Carre.

SCAVI ARCHEOLOGICI PER CONFERMARE LA TESI

E’ per confermare questa tesi, che lascia spazio a molti dubbi, che il Centro di studi italiani dell’Università di
Lanzhou ha deciso di eseguire degli scavi lungo l’antica Via della Seta, il reticolo di percorsi che collegava
due dei più grandi imperi dell’antichità. La speranza è di ritrovare i resti della legione perduta di Crasso, o
quelli delle fortificazioni che i soldati romani avrebbero costruito durante la loro permanenza in Cina.

La leggenda della legione perduta di Marco Licinio Crasso, il generale romano che fondò il primo triumvirato
con Cesare e Pompeo, parte dalla terribile sconfitta che i suoi legionari subirono a Carre. Era il 53 a.c. e
l’esercito della Repubblica romana, forte di oltre 40.000 soldati, fu spazzato via da 10.000 parti. Anche
Crasso fu ucciso nella battaglia, ma lo storico e filosofo Plutarco, nelle sue “Vite Parallele”, racconta che
5.000 romani riuscirono a sfuggire alla morte. Nessuno di loro, tuttavia, fece ritorno a Roma. Da qui l’ipotesi
che si siano spinti ad Oriente, arrivando fino all’attuale provincia cinese del Gangsu.

Gli archeologici cinesi non sono i primi a ipotizzare questa tesi. Nel 1957, nel suo studio “A Roman City in
Ancient China”, il sinologo statunitense Homer H. Dubs si spinse anche oltre, arrivando a ipotizzare che
intorno al 35 a.c. vi fu uno scontro sul fiume Talas tra soldati cinesi e soldati romani. Fonti cinesi parlano di
una formazione a scaglia di pesce, che secondo Dubs sarebbe la classica formazione a testuggine utilizzata
dai romani. E sempre secondo Dubs, i soldati in questione sarebbero quelli sopravvissuti, 18 anni prima, alla
disfatta di Carre.

TRA MITO E REALTA’

Una tesi, quella di Dubs e degli archeologi cinesi, che è certamente affascinante, ma che è ancora lontana
dall’essere provata. Gli indizi a favore non mancano. Tanto per dirne una, il villaggio dove vivrebbero i
discendenti dei legionari di Crasso, Liqian, ha un nome molto simile a quello utilizzato nella Cina antica per
indicare l’Impero Romano, vale a dire Lijian. E poi ci sono i test genetici, che proverebbero che in una
manciata di cinesi di oggi scorre il sangue dei romani di un tempo.

Ma si tratta, per l’appunto, soltanto di indizi. E di indizi che possono essere tutti confutati. I test genetici, ad
esempio, mostrano esclusivamente che gli abitanti di Liqian hanno discendenze caucasiche. Ma non hanno
discendenze caucasiche anche gli uiguri, gli abitanti della vicina provincia della Xinjiang?

Eppure gli uiguri non sono imparentati con gli antichi romani, ma con i turchi.E chi può provare che le tracce
di sangue caucasico non derivino dai mercanti che, partendo da Occidente, sono arrivati in queste aree in
epoche successive a quella dell’antica Roma? Marco Polo, ad esempio, arrivò da queste parti 1.300 anni
dopo la disfatta di Carre.

Si può dubitare anche dell'indizio dell'antica fortificazione di Liqian, dall'aspetto vagamente romano. A Liqian
vi sono soltanto un cumulo di rovine da cui non è possibile carpire alcuno stile architettonico. L'unica cosa
riconoscibile è la pianta della fortificazione, che si snoda attraverso strade perpendicolari, ma questo è un
particolare che accomuna le città dell'antica Roma con quelle di diverse dinastie imperiali cinesi.

Eppure è fuori di dubbio che l'impero romano e quello cinese avessero una reciproca conoscenza
dell'esistenza dell'altro. Le merci dell'uno arrivavano, attraverso l'Asia Centrale e il Medio Oriente, fino ai
mercati dell'altro: ne sono un esmpio le sete che venivano indossate dai patrizi romani, in un tempo in cui era
la Cina l'unico luogo in cui si confezionava il prezioso tessuto. Sembra inoltre quasi accertato che, a partire
dai primi anni del II secolo d.c., diversi inviati romani siano giunti nel Regno di Mezzo, come testimoniano le
fonti del tempo.

Ma affermare che una legione romana si sia stabilita in Cina nel 53 a.c., e che quella legione fosse formata
dai resti dell'esercito romano sconfitto a Carre, è un'ipotesi che rimane piena di dubbi. Gli scavi archeologici
dell’Università di Lanzhou mirano a dissiparli. Ma non sarà un’impresa facile.

“I Romani arrivarono in America. E tornarono pure”


13 ottobre

Arriva in questi giorni in libreria la seconda edizione del saggio di Elio Cadelo, “Quando i Romani andavano
in America”, con la prefazione dell’astrofisico Giovanni Bignami, (Edizioni Palombi, p.310, 19 euro). La prima
edizione è andata esaurita in soli due mesi così l’editore Palombi ha deciso di pubblicare una nuova edizione
più ampia della precedente. Infatti, oltre ad un indice analitico e a nuove immagini alla nuova edizione sono
state aggiunte nuove prove che confermano che i Romani visitarono l’America.

di Lena Stamati, da AgenziaRadicale

Il saggio, scritto da Elio Cadelo, caporedattore e inviato speciale del Giornale Radio Rai, affronta con rigore
scientifico un tema che ha appassionato nei secoli. Furono, infatti, proprio gli antichi navigatori a misurare le
proprie conoscenze scientifiche sfidando gli oceani per arricchire sia il loro sapere, sia i loro commerci.

Il saggio di Elio Cadelo si legge come un romanzo d’avventura: tutto d’un fiato. Capitolo dopo capitolo, si
vedono crollare tutte le idee preconcette sull’antichità e anche gran parte delle nozioni scolastiche circa le
conoscenze scientifiche del mondo antico.

Innanzi tutto, testi alla mano di Plinio, Cicerone, Plutarco, Lucrezio, Tolomeo, Seneca, Diodoro Siculo, e
quant’altri, Cadelo spiega che gli antichi Romani, ma anche i Greci, gli Indiani ed i Babilonesi, erano al
corrente che il mondo fosse una sfera che “galleggiava” nell’universo. E tutti, anche prima che Aristotele lo
scrivesse, erano certi che si potesse raggiungere l’India navigando verso Ovest. Nella letteratura antica non
c’è traccia della credenza di un mondo piatto. Abbiamo incontrato Elio Cadelo e gli abbiamo posto alcune
domande sul suo ultimo lavoro.

Come spiega il successo del suo libro?

Credo che alla base del successo di vendite ci siano due ragioni. La prima è che negli ultimi anni il mondo
accademico sta affrontando il tema della navigazione nel mondo antico e di conseguenza anche delle
scoperte geografiche dei Romani. Infatti, sono in corso diversi censimenti da parte degli archeologi. Uno
riguarda la catalogazione delle monete romane scoperte in tutto il mondo. La seconda è quella della
catalogazione delle diverse imbarcazioni nel mondo antico per conoscerne le capacità di navigazione. La
seconda ragione sta nel fatto che di questo tema se ne è sempre parlato, ma non è stato mai approfondito. Il
mio saggio affronta in maniera comprensibile anche per un vasto pubblico un tema spinoso e complesso che
ridisegna tutta la storia dall’antichità ad oggi.

Lei, nel suo libro, sostiene che gli Antichi Romani scoprirono l’America, ma ne avevano i mezzi e le capacità?

Non, non è esatto. Il libro si intitola “Quando i Romani andavano in America” in quanto i Romani andarono e
tornarono dal Nuovo Continente, ma non sapevano che si trattava di una nuova terra. Erano convinti che si
trattasse delle coste orientali dell’India, errore che rimarrà fino a Colombo. Anche se molti scienziati Greci
avevano teorizzato che tra l’India e l’Europa doveva esserci un continente che divideva l’oceano in due, i
Romani, al contrario, erano conviti della veridicità di quanto affermato da Aristotele e cioè “che si potesse
raggiungere l’India navigando verso Ovest”.

E per quanto riguarda le loro capacità nautiche?

Recenti scavi archeologici hanno dimostrato che sia i Greci sia i Romani avevano navi foderate di piombo
per proteggerle dai molluschi che divorano il legno in mare. Questo dimostra che si trattava di navi che
rimanevano per lungo tempo in mare e quindi dovevano avere una certa affidabilità. Inoltre tutti i popoli
antichi possedevano carte stellari che in realtà erano carte nautiche che servivano per mantenere la rotta e
carte geografiche molto affidabili.

Ma nell’antichità si pensava che il mondo fosse piatto…

E’ un’affermazione priva di alcun fondamento. Non c’è traccia nella letteratura latina, ma anche in quella
greca, di un mondo piatto, al contrario, Cicerone, Plinio, Tolomeo, Seneca, Strabone, Plutarco, Diodoro
Siculo e Giulio Cesare, solo per citarne alcuni, erano certi che il mondo fosse sferico – che fosse una sfera
perfetta – e che ruotasse intorno al Sole. D’altro canto, spiegano molto bene che il giorno e la notte
dipendono dal fenomeno di rotazione. Quello che è interessante sono invece le diverse spiegazioni date per
comprendere il fatto che l’acqua degli oceani rimanesse allo stesso livello tutta intorno a questa “palla” che
ruotava su se stessa nello spazio.

E le Colonne d’Ercole?

E’ un altro mito che non ha alcun fondamento di verità. Per fare un esempio riportato nel libro, Giulio Cesare
fece una importante battaglia navale contro i Veneti (cioè i Galli) in pieno oceano Atlantico al largo delle
coste francesi. La descrizione è puntuale. La flotta romana era comandata dall’ammiraglio Bruto ed era forte
di 240 navi, la flotta dei veneti era forte di 220 navi più grandi di quelle romane. Vinta la battaglia Cesare
chiede rinforzi a Roma per conquistare la Britannia e da Roma gli viene inviata una flotta che trasportava
due legioni, cavalli compresi. Tutto questo è descritto nelDe Bello Gallico senza alcuna enfasi perché era
cosa normale andare oltre lo stretto di Gibilterra.

Ma non furono i Romani i primo a superare le Colonne d’Ercole?

E’ giusto. Le Colonne d’Ercole furono superate dai Fenici, dai Cartaginesi, dagli Etruschi, dai Greci, dagli
Egiziani e così via. Insomma tutti i popoli che abitarono il Mediterraneo si spinsero, per curiosità o per
necessità al di làdelle Colonne d’Ercole. Non dobbiamo dimenticare che le coste Atlantiche dell’Europa
erano abitate da popoli marinari ed i Veneti ne sono una prova.

Ma dalle coste dell’Europa all’America il viaggio è lungo.

Non tanto. Vede, i Romani avevano un porto commerciale in India, Arikamedu, dove ogni anno, in età
Imperiale, approdavano 150 navi mercantili scortate da navi militari romane. Sulla tomba di Augusto, a Largo
Augusto Imperatore a Roma, è scritto: “Incrementò i traffici con l’India”. Ma navi romane giunsero in Cina.
Sappiamo che San Paolo andò in Cuna a predicare il Cristianesimo, e a Canton è stata trovata un’agenzia
di cambio del II secolo d.C.. Sappiamo che navi romane giunsero in Indonesia dove si procuravano il pepe
(che valeva più dell’oro) e spezie. Ma tracce della presenza romana sono state trovate in Corea, in Nuova
Zelanda, e sappiamo che raggiunsero l’Australia.

Sì, ma l’America è lontana…

Certamente, ma vediamo cosa sappiamo ancora dei viaggi della marina Imperiale. E’ certo che
circumnavigarono l’Africa e a Nord sottomisero le Orcadi e si spinsero fino in Islanda. Tiberio, per esempio
navigò con la sua flotta lungo tutto il mar Baltico. Sappiamo che avevano un porto alle Isole Fortunate (le
Canarie) e a Madeira. Ora, dato che erano a conoscenza che il mondo è sferico e che navigando lungo un
parallelo si deve giungere dalla parte opposta allo stesso luogo, cosa li doveva fermare?

Ma ci vogliono prove, non si può costruire una tesi solo con prove indiziarie.

Nel libro ci sono una quantità impressionante di prove, cominciando dalla copertina in cui è raffigurata una
statua romana del III secolo con un ananas in mano. E rimanendo sull’ananas ne ho trovate raffigurate a
Pompei, una a Roma, e così via. Insomma da sole sarebbero sufficienti a dimostrare che tra le due sponde
ci furono contatti, anche se non continui. Ci sono brani della letteratura del ‘500 in cui si parla del
ritrovamento di tombe romane in America, e sono descritte puntualmente. Poi abbiamo la presenza del mais
prima che Colombo lo importasse ufficialmente. Plinio ne parla e dice che era molto coltivato nella pianura
Padana. Ma poi c’è la prova principale che è il planisfero di Claudio Tolomeo nel quale dimostrò che è
rappresentata la costa del Sud America e che la città di Cattigara (che significa porto dei cinesi) era
frequentato perché da lì si importava l’oro da tutto l’Oriente ma anche dal Mediterraneo ed è proprio Tolomeo
a indicarci la rotta per giungere in America da quella parte.

Quindi, l’America era nota anche ad altri popoli antichi?

In conclusione si può dire che l’America era nota a tutti. I polinesiani ci andavano spesso ed hanno lasciato
tracce genetiche evidenti ancor oggi. I cinesi e gli indiani la raggiunsero da Oriente, e da occidente
sicuramente i Fenici, i Greci, i Cartaginesi e i Romani e forse anche dagli Etruschi. D’altro canto come
avrebbe potuto l’Imperatore Giulianoaffermare che “l’Oceano Atlantico è più grande del Mar Mediteranno, ma
al pari di esso è stato completamente esplorato ed è sotto il dominio di Roma”?

Inserito su www.storiainrete.com il 13 ottobre 2009

Le conoscenze che ebbero i romani furono tratte dai Cartaginesi,quando Roma ancora doveva nascere
Cartagine era già una potenza marinara incontrastata con espansione non solo verso tutto il mar
Mediterraneo Occidentale (quello Orientale i Greci ne avevano il dominio) ma anche verso rotte
Atlantiche,tant'è vero che i Romani nelle guerre navali contro i Cartaginesi perdevano sempre,le navi
Cartaginesi erano per allora la formula uno degli Oceani,allora i Romani dopo tante battaglie perse si sono
inventati un sistema di aggancio alle navi nemiche,il quale è stata la chiave di volta per batterli.
Se i Romani fossero andati realmente fino alle Americhe state tranquilli che non portavano solo gli Ananas e
il Mais,ma anche tante altre cose frutto di civiltà molto più avanti di loro che erano li da tanti millenni.

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