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C.O.D.A.S.

Centro Osservazione e Divulgazione Astronomica


Siracusa

Presenta

GLI SPAZI COSMICI E L’ASSENZA DI GRAVITÀ


SULL’UOMO

A cura della Dott.ssa Danila Zappalà

Sin da quando, ai primordi della civiltà, l’uomo ha alzato gli occhi al cielo ed ha ammirato,
stupefatto, lo spettacolo che si presentava ai suoi occhi, ha focalizzato la propria attenzione sullo
studio e la conoscenza dei fenomeni celesti. Man mano che la ricerca proseguiva e nuove
conoscenze si aggiungevano alle precedenti, egli ha cominciato a fantasticare e ad immaginare che
ci fosse la vita in altri mondi. Le numerose leggende sorte tra molti popoli antichi testimoniano
quelle che, da semplici fantasie, finirono, con il tempo, col diventare vere e proprie speranze.
Presso i popoli della Mesopotamia, per esempio, si raccontava che Etana, intrepido protagonista di
una delle leggende più famose, avesse chiesto ad un’aquila, che era l’animale che si riteneva
potesse volare più in alto di tutti, di essere portato a visitare i cieli dei vari pianeti; ma siccome volle
volare troppo in alto, Etana ebbe le vertigini e precipitò.
Nel periodo ellenistico Luciano di Samosata, nella sua originalissima opera “La Storia Vera”,
descrive voli interplanetari e popoli extraterrestri dalle fisionomie assai singolari, precorrendo
quella che è la fantascienza contemporanea.
Nei secoli successivi, poi, il celebre Cirano di Bergerac, narra di una fantasiosa avventura negli
imperi del Sole e della Luna. E senza numero sono gli scrittori che da allora, a vari livelli, si sono
susseguiti, occupandosi sempre più intensamente dell’argomento.
Le fantasie, però, non sono mai state sufficienti ad indicare il modo attraverso il quale si sarebbe
potuto realizzare quel sogno. Edgar Allan Poe, scrittore celebre per i suoi racconti dell’orrore,
descrivendo il viaggio sulla Luna di Hans Pfall, protagonista di uno dei suoi racconti, fu il primo a
tentare di fornire una spiegazione scientifica sul sistema adottato dal suo protagonista per
raggiungere il nostro satellite. Tuttavia, solo all’inizio del nostro secolo ci si preoccupò di studiare
in maniera seria e razionale la possibilità di lasciare la Terra e di esplorare lo spazio. Da allora i
passi compiuti dall’Astronautica sono stati notevoli, ed i voli interplanetari con equipaggio a bordo
non sembrano più tanto lontani. La certezza che un giorno l’uomo conquisterà lo spazio segna,
infatti, le caratteristiche della cultura del nostro tempo e poiché il diritto e la giurisprudenza si
occupano di disciplinare tutti gli aspetti nei quali si concretizza la nostra vita sociale, a livello
internazionale non si poteva non disciplinare questo nuovo aspetto della realtà.
Il regime degli spazi cosmici ha formato, infatti, oggetto di numerose convenzioni promosse ed
elaborate dall’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite); fondamentale, in tal senso, è, per
esempio, il Trattato del 27 gennaio 1967 sui “Principi relativi alle attività degli Stati in materia

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d’Esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra - atmosferico, inclusi la Luna ed altri corpi
celesti”. Tale Trattato, oltre ad affermare che gli spazi cosmici non possono essere sottoposti alla
sovranità d’alcuno Stato (art. I e II), e definisce gli astronauti come “inviati dell’umanità” ed
impegna gli Stati che lo hanno ratificato a dar loro ogni possibile assistenza in caso d’incidenti,
pericolo od atterraggio d’emergenza (art. V); inoltre, prevede la responsabilità dello Stato nazionale
e dello Stato dal cui territorio l’oggetto spaziale è lanciato per i danni procurati dalle attività
cosmiche (art. VI e VII) ed attribuisce allo Stato nel quale l’oggetto è registrato piena “giurisdizione
e controllo” sull’oggetto medesimo (art. VIII). Quindi, non solo vi è libertà di navigazione degli
spazi cosmici, in virtù del principio sulla libertà di sorvolo degli spazi nullius, ma lo Stato che
lancia il satellite, o la navicella spaziale, ha diritto al governo esclusivo di questi ultimi.
Tra le altre convenzioni ricordiamo, poi: l’Accordo del 22 aprile 1968 sul salvataggio e ritorno degli
astronauti e sulla restituzione degli oggetti lanciati nello spazio extra – atmosferico; la Convenzione
del 25 marzo 1972 sulla responsabilità per danni causati da oggetti lanciati nello spazio extra –
atmosferico e l’Accordo del 5 dicembre 1979 sulle attività degli Stati, sulla Luna e su altri corpi
celesti.
Il Trattato del 27 gennaio 1967 sancisce i principi generali cui gli Stati devono attenersi
nell’esercizio delle loro attività cosmiche; i trattati che sono seguiti dopo (io ne ho citati solo alcuni)
disciplinano, invece, le fattispecie in maniera più specifica.
Inoltre, rileva il fatto che anche per gli spazi cosmici può parlarsi di risorse naturali, anche se (per
ora) solo con riferimento all’utilizzabilità a fini di radio e telecomunicazioni, ed in particolare alle
frequenze d’onda ed alle orbite utilizzate dai satelliti.
Gli Stati possono liberamente utilizzare gli spazi a fini di radio e telecomunicazioni, però, solo
osservando il consueto limite del rispetto delle libertà libertà altrui. Infatti, si ritiene che siano
limitati, sia lo spettro delle onde radio (almeno adesso che le nostre conoscenze tecniche non ce ne
consentono uno sfruttamento integrale), sia la cosiddetta orbita geostazionaria, cioè l’orbita
circolare intorno all’equatore nella quale i satelliti ruotano con lo stesso periodo di rotazione della
Terra, restando praticamente fissi rispetto a questa. Poiché l’orbita geostazionaria è particolarmente
indicata per le telecomunicazioni, e poiché presenta caratteristiche uniche nel suo genere, è stata
fatta più volte oggetto di una rivendicazione di sovranità da parte di alcuni Paesi equatoriali
(Brasile, Indonesia, Kenya, Zaire, ed altri), i quali hanno, però, com’è ovvio, incontrato
l’opposizione di quasi tutti gli altri Stati del mondo che, ritenendo tale rivendicazione assolutamente
priva di fondamento, l’hanno privata dell’auspicata rilevanza internazionale.
Il principio che l’utilizzazione dell’orbita geostazionaria e dello spettro delle onde radio debba aver
luogo nel rigoroso rispetto delle libertà di tutti è ribadito anche dallo Statuto dell’ITU
(International Telecommunication Union, che è un Istituto specializzato dell’ONU come lo sono la
FAO, Food and Agricultural Organization, l’UNESCO, United Nations Educational Scientific and
Cultural Organization, l’ICAO, International Civil Aviation Organization, etc.).
L’art. 33 del suddetto Statuto ITU stabilisce, infatti, che gli Stati si “sforzeranno” di limitare il più
possibile il numero delle frequenze e di utilizzare le frequenze stesse e l’orbita geostazionaria “in
maniera efficace ed economica… al fine di permettere un accesso equo… ai diversi Paesi… tenuto
conto dei bisogni particolari… e della situazione geografica di taluni Paesi”.
Come si vede, quindi, lo spazio extra – atmosferico e l’Universo nel suo insieme non sono più
fantascienza ma realtà, una realtà talmente attuale da rendere necessaria una specifica ed attenta
disciplina giuridica internazionale.
Ma che dire del fattore umano? E com’è navigare nello Spazio?
In proposito il Col. Pogue dichiara: “Durante i primi giorni, a causa dello spostamento dei liquidi
interni del corpo, la faccia si gonfia, dando agli europei un aspetto orientale. Si hanno difficoltà di
respirazione e congestioni auricolari per le prime dodici settimane. Vi sono, poi, alterazioni nella
produzione di globuli rossi, alterazioni che scompaiono dopo circa nove settimane.Sono inevitabili
versamenti involontari di urina. Immaginabili le difficoltà dovute all’assenza di peso, con gli oggetti
più disparati (compresi i contenitori di rifiuti) che volano nella cabina. I pasti vanno appositamente

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studiati perché devono contenere una quantità ottimale di minerali; ma la dieta adottata non basta a
saziare gli astronauti. Altri problemi sono connessi con l’igiene personale (anche radersi richiede
più tempo che sulla Terra); invece, le piccole ferite si rimarginano presto.
Dal punto di vista emotivo si ha un notevole grado di irritabilità, provocata dalle difficili condizioni
in cui si opera. Ogni piccolo inconveniente è amplificato e desta non poche preoccupazioni. Con
l’andare del tempo si ha sempre più bisogno di svaghi e di riposo, ed uno dei passatempi preferiti
sembra l’osservazione dell’esterno dell’astronave”.
Nel corso degli EVA (Extra Vehicular activity, ovvero passeggiate spaziali) i controlli medici degli
astronauti monitorati hanno mostrato notevoli irregolarità del battito cardiaco.
Aritmie e battiti irregolari del cuore erano stati riscontrati anche negli astronauti delle Missioni
Apollo durante le loro escursioni lunari, ma i medici della NASA cedettero che il fenomeno fosse
dovuto ad una carenza di potassio nella dieta che si ripercuoteva sul muscolo cardiaco e costrinsero
così alcuni equipaggi a bere grandi quantità di una sgradevole bibita color arancio, molto ricca di
potassio. Tuttavia, si capì, in seguito, che la carenza di potassio avrebbe potuto non essere la causa
del fenomeno. In assenza di peso, il muscolo cardiaco non deve più lottare con la forza di gravità
per pompare il sangue nella parte superiore del corpo e, quindi, riduce il suo volume, così come
accade a qualsiasi muscolo che non sia più utilizzato. Potrebbe essere che la diminuzione di volume
sia associata a modificazioni cellulari, le quali rendono il muscolo cardiaco meno stabile
elettricamente e, quindi, più soggetto ad aritmie.
Un altro serio problema degli astronauti che operano in assenza di peso è, poi, il senso di
disorientamento e nausea che, in alcuni casi, provoca anche il vomito. Ciò è dovuto al fatto che
l’apparato vestibolare dell’orecchio, che regola il nostro equilibrio, non essendo più soggetto alla
forza di gravità, invia al cervello segnali contraddittori e disorientanti che gli impediscono la
percezione dell’alto e del basso, dando luogo alla cosiddetta “sindrome d’ adattamento allo spazio”
che, nei casi più gravi, riduce di non poco la capacità degli astronauti di svolgere efficacemente le
loro mansioni. Di solito i sintomi tendono a sparire in due o tre giorni, ma non è detto; i tempi per
l’adattamento allo spazio possono, infatti, variare da soggetto a soggetto.
Un altro effetto dell’assenza di gravità sull’uomo è la diminuzione della percentuale di globuli rossi
nel sangue. La causa di questo fenomeno è sconosciuta, ma si ipotizza che esso sia dovuto alla
progressiva atrofia generale cui vanno incontro le cellule dei tessuti in assenza di peso.
La riduzione del volume del sangue non sembrerebbe di per sé grave, se non fosse per il fatto che
non si sa se il midollo osseo, dal quale sono prodotti i globuli rossi, reagirebbe normalmente nel
caso in cui un astronauta dovesse presentare un’emorragia da ferita o da ulcera.
Inoltre, l’esperienza generale prevede una perdita del calcio delle ossa, poiché la permanenza nello
spazio, in assenza di peso, sortisce lo stesso effetto di un riposo prolungato a letto. Il calcio, infatti,
è depositato sulle ossa dal flusso sanguigno in reazione ad effetti elettrochimici prodotti dagli sforzi
sostenuti dal loro normale uso. All’interno di un’astronave in caduta libera non c’è alcun tipo di
sforzo su nessun osso del corpo e, di conseguenza, non è mantenuta la normale perdita fisiologica di
calcio delle ossa.
E’ risultato anche che l’assenza di peso favorisce la comparsa della presbiopia, che è un difetto
della vista, generalmente dovuto alla vecchiaia, che non consente di distinguere chiaramente gli
oggetti vicini.
L’esposizione alle radiazioni nello spazio, inoltre, potrebbe provocare (anche se non se n’è del tutto
certi) un aumento del tasso di formazione dei tumori a causa dei suoi effetti sul sistema
immunitario.
Anche a livello psicologico, comunque, tali esperienze segnano la vita. Gli astronauti, infatti,
venendo a contatto con una realtà di cui non hanno mai avuto esperienza prima (il cosmo)
subiscono (per fortuna non sempre) uno shock mentale che, come del resto è facilmente
immaginabile, può lasciare dei segni a livello nervoso ed emotivo.
Alcuni esperti hanno catalogato i sintomi che gli astronauti hanno presentato al ritorno dai loro
viaggi nello spazio: insonnia e turbe del sonno in genere, disturbi somatici, disorientamento spaziale

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e temporale, stress mentale, irascibilità ed ansia sembrano essere i più comuni. Si ritiene, però, che
un prolungato riposo ed un adeguato trattamento “antistress” si possa rimediare a quelle che sono
reazioni psicologiche normali alle quali non potrebbero sottrarsi nemmeno i soggetti dal carattere
più forte.
L’uomo, comunque, possiede una capacità d’adattamento alle situazioni difficili, oserei dire unica
nel suo genere, e, quindi, ritengo che simili problemi saranno superati quando i voli nello spazio
saranno diventati quotidianità per tutti e sarà superata, quindi,la necessità di “adattarsi allo spazio”.
Gli scienziati della NASA hanno concluso, infatti, che nonostante gli inconvenienti, non c’è nulla
nel corpo e nella mente umana cui non si possa rimediare e che possa precludere i viaggi
interplanetari o la lunga permanenza dell’uomo nello spazio.
Se lo dicono gli esperti, possiamo senza dubbio crederci, soprattutto in considerazione del fatto che
la NASA ha già da tempo in programma i primi volo con equipaggio a bordo verso Marte.

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