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Ciò che lessi nel Libro nero costituì una terribile forma di
preparazione alle notizie che entro breve tempo avrei appreso
dai giornali e agli eventi più immediati che s'imposero alla mia
attenzione nella primavera 1932. Non ricordo esattamente quan-
do cominciarono a colpirmi le notizie sempre più frequenti di
interventi della polizia contro bizzarre e fantastiche sette religio-
se, in Oriente o altrove; ma fra maggio e giugno mi resi conto
che in tutto il mondo era in corso una sorprendente e insolita at-
tività da parte di organizzazioni occulte, segrete ed esoteriche
normalmente tranquille, e di cui non si sentiva mai parlare.
Non è probabile che avrei collegato queste notizie con le idee
di von Junzt o con l'eccezionale interesse suscitato dalla mum-
mia e dal cilindro custoditi nel museo, se non fosse per alcune
parole e insistenti somiglianze (che la stampa enfatizzava in
massimo grado) riscontrate nei riti e nei discorsi dei vari cele-
branti e quindi portate alla pubblica attenzione. In effetti, non
potei non notare con inquietudine la frequente ricorrenza di un
nome che, sia pure in forme corrotte, costituiva il punto focale
del culto in tutte le sette, e che era evidentemente considerato
con un misto di reverenza e terrore. Alcune forme del nome,
stando ai giornali, erano G'tanta, Tanotah, Than-Tha, Gatan e
Ktan-Tah: non furono necessari i suggerimenti dei miei corri-
spondenti nel campo dell'occulto, ormai numerosi, per farmi ve-
dere in queste varianti un'orribile e suggestiva relazione con il
nome mostruoso che von Junzt aveva reso come Ghatanothoa.
Ma c'erano altri aspetti inquietanti. Sempre più spesso le no-
tizie parlavano di accenni vaghi e pieni di timore al "vero roto-
lo", qualcosa da cui sembravano dipendere tremende conse-
guenze e che era tenuto in custodia da un certo "Nagob", chiun-
que o qualunque cosa fosse. Ma anche un altro nome era ripetu-
to con insistenza, e suonava di volta in volta come Tog, Tiok,
Yog, Zob o Yob, e che la mia coscienza sempre più eccitata col-
legò al nome dello sfortunato eretico T'yog, così come reso dal
Libro Nero. Il nome era citato di solito in relazione a frasi miste-
riose come "Non è altri che lui", "Colui che vide il suo volto",
"Egli sa tutto, anche se non può vedere e sentire", "Ha conserva-
to la memoria di migliaia di anni", "Il vero rotolo lo libererà",
"Nagob possiede il vero rotolo", "Egli può dire dove trovarlo".
C'era nell'aria qualcosa di indubbiamente insolito, e non mi
meravigliai quando i miei corrispondenti nel campo dell'occulto,
e del resto i supplementi domenicali sensazionali, collegarono
l'anomala attività delle sette con le leggende di Mu da una parte
e con la spaventosa, recente sensazione provocata dalla mum-
mia. Gli articoli diffusi dalla prima ondata di pubblicità, che le-
gavano insistentemente la mummia, il cilindro e il rotolo con il
racconto del Libro Nero e costruivano in proposito fantastiche
teorie, sono forse responsabili di aver suscitato il fanatismo la-
tente in centinaia di gruppi segreti e occulti di cui abbonda il no-
stro mondo complesso. Né i giornali smisero di soffiare sul fuo-
co: perché i resoconti sull'attività delle sette erano ancora più e-
sagitati dei precedenti.
Durante l'estate gli addetti al museo notarono un nuovo e cu-
rioso elemento nelle turbe di visitatori che - dopo una tregua se-
guita al primo scoppio di pubblicità - furono attratte verso l'isti-
tuzione dal secondo clamore. Sempre più frequenti erano le per-
sone di aspetto strano o esotico: scuri asiatici, gente dai lunghi
capelli e dall'aspetto indefinibile, uomini bruni e barbuti che non
portavano con naturalezza gli abiti europei; costoro chiedevano
invariabilmente dove fosse la sala delle mummie e in seguito
venivano sorpresi ad ammirare l'orribile esemplare del Pacifico
in preda a una vera e propria estasi. In quella marea di eccentrici
forestieri c'era un blando, sinistro legame sotterraneo che im-
pressionò il personale del museo, e da cui fui turbato io stesso.
Non potei fare a meno di pensare che i membri delle sette in agi-
tazione fossero proprio personaggi come questi e al legame che
univa le sette, a loro volta, con miti pericolosamente vicini alla
spaventosa mummia e al cilindro con il rotolo.
A volte ero tentato di ritirare la mummia dall'esposizione, e la
tentazione si fece più forte quando un inserviente mi disse che
aveva notato parecchi stranieri fare gesti di devozione al suo co-
spetto e aveva sentito borbottare cantilene simili a inni o riti
propiziatori, il tutto durante le ore di minor afflusso della folla.
Uno dei custodi sviluppò una strana forma di allucinazione nei
confronti dell'orrore pietrificato che occupava la solitaria vetrina
di cristallo: gli sembrava di notare, di giorno in giorno, vaghi e
quasi impercettibili mutamenti nella disperata flessione delle di-
ta adunche e nel volto incartapecorito ma stravolto dal terrore.
Non riusciva a liberarsi della terrificante idea che quegli orribili
occhi sporgenti stessero per spalancarsi da un momento all'altro.
Ai primi di settembre, quando la folla dei curiosi diminuì e il
padiglione era spesso vacante, venne compiuto un tentativo di
arrivare alla mummia tagliando il cristallo della vetrina. Il col-
pevole, un polinesiano dalla pelle scura, fu scoperto in tempo da
un custode e ridotto all'impotenza prima di poter fare qualsiasi
danno. Le indagini dimostrarono che si trattava di un hawaiano
noto per la sua attività in circoli religiosi segreti e con un lungo
dossier della polizia a suo carico: si parlava di riti inumani e di
sacrifici. Alcuni giornali trovati nella sua stanza si rivelarono
misteriosi e inquietanti: ne facevano parte numerosi fogli coperti
di geroglifici che somigliavano fortemente a quelli riprodotti sul
rotolo del museo e sul Libro nero di von Junzt; ma nessuno riu-
scì a farlo parlare di quest'argomento.
Circa una settimana dopo l'incidente, un altro tentativo di ar-
rivare alla mummia (stavolta scassinando il lucchetto della ve-
trina) portò a un secondo arresto. Il reo, un cingalese, aveva un
lungo e poco piacevole curriculum per disgustose attività all'in-
terno di una setta, proprio come l'hawaiano, e mostrò un'identica
riluttanza a parlare con la polizia. Ciò che rese il caso doppia-
mente interessante - anche se più sinistro - fu il particolare che il
custode aveva notato quest'uomo molte altre volte e l'aveva sen-
tito rivolgere alla mummia un canto particolare in cui veniva in-
confondibilmente ripetuta la parola "T'yog". Dopo questo nuovo
incidente raddoppiai la sorveglianza nella sala delle mummie e
ordinai agli uomini di non perdere di vista il famoso esemplare
neanche per un momento.
Come si può ben immaginare, la stampa sfruttò al massimo i
due incidenti e ricominciò a parlare dell'antica e favolosa Mu,
affermando spavaldamente che l'orribile mummia altri non era
che l'eretico T'yog, pietrificato da qualcosa che aveva visto nella
fortezza preumana da lui invasa, e conservatosi per 175.000 anni
attraverso la storia turbolenta del pianeta. Fu inoltre ripetuto e
sottolineato nel modo più sensazionale che i misteriosi adepti
coltivavano una religione derivata da Mu e che adoravano la
mummia, o cercavano addirittura di riportarla in vita con incan-
tesimi e sortilegi.
Gli autori degli articoli sottolinearono l'insistenza delle vec-
chie leggende sul fatto che il cervello delle vittime pietrificate
da Ghatanothoa rimanesse cosciente e in funzione: fatto che ser-
vì come base alle ipotesi più fantastiche e improbabili. La men-
zione del "vero rotolo" ricevette altrettanta considerazione, per-
ché la teoria popolare più in voga voleva che il talismano rubato
a T'yog contro Ghatanothoa esistesse ancora, e che i membri
delle sette cercassero di usarlo su T'yog per i loro scopi. Come
risultato di questa terza campagna stampa, una nuova ondata di
allibiti visitatori inondò il museo per contemplare la mummia
maledetta che formava il nucleo e la base dell'intera vicenda.
Fu tra questa folla di spettatori, molti dei quali tornavano più
volte, che cominciarono a diffondersi le voci sugli impercettibili
cambiamenti della mummia. Per mio conto immagino - nono-
stante la nervosa confessione di un custode qualche mese prima
- che il personale del museo fosse troppo abituato alla vista di
oggetti stravaganti per fare grande attenzione ai particolari; co-
munque, furono le voci eccitate dei visitatori che alla lunga spin-
sero i guardiani a notare il sottile mutamento che si andava ma-
nifestando da qualche tempo. E quasi nello stesso tempo la
stampa ci si buttò a pesce, con gli spettacolari risultati che si
possono immaginare.
Ovviamente esaminai la questione con la massima attenzione,
e verso la metà di ottobre decisi che la mummia andava incontro
a un processo di definitiva disintegrazione. Attraverso l'influsso
chimico o fisico dell'aria le fibre per metà pietrificate e per metà
dure come cuoio sembravano rilassarsi poco a poco, provocando
percettibili variazioni nell'angolazione delle membra e in alcuni
particolari del volto contorto dalla paura. Dopo mezzo secolo di
perfetta conservazione era uno sviluppo quanto meno sconcer-
tante, e chiesi al tassidermista del museo, il dottor Moore, di e-
saminare il sinistro reperto parecchie volte. Moore ammise che
era in atto un generale rilassamento e ammorbidimento e spruz-
zò la mummia di due o tre strati di astringente, ma non osò
compiere passi più drastici nel timore che la corruzione venisse
accelerata e il reperto andasse in frantumi.
L'effetto di tutto questo sulla folla dei visitatori fu strano. Fi-
no a quel momento ogni nuova rivelazione fatta dalla stampa
scandalistica ci aveva portato ondate di pubblico che si guardava
intorno con tanto d'occhi, bisbigliando; ma ora - benché i giorna-
li blaterassero a più non posso sui cambiamenti della mummia -
il pubblico sembrava dominato da un senso di paura ben preciso
che aveva la meglio anche sulla curiosità morbosa. Pareva che la
gente avvertisse un'aura sinistra aleggiare sul museo, e le fre-
quenze calarono dal massimo storico a un livello che scendeva
addirittura sotto il normale. La ridotta presenza di visitatori fa-
ceva risaltare ancor più il flusso di eccentrici stranieri che conti-
nuavano a infestare il museo, e il cui numero non sembrava af-
fatto diminuito.
Il 18 novembre un peruviano di sangue indio fu colto da un
attacco epilettico davanti alla mummia, e in seguito gridò dal
suo letto d'ospedale: "Ha cercato di aprire gli occhi! T'yog ha
cercato di aprire gli occhi e di guardarmi!". A questo punto pen-
sai di vietare l'esposizione del reperto, ma consentii all'austero
collegio dei nostri direttori - riunitosi in seduta - di farmi recede-
re dall'intento. Mi accorsi, tuttavia, che il museo cominciava a
godere di pessima fama nel suo tranquillo e severo quartiere.
Dopo quest'ultimo incidente ordinai che a nessuno fosse per-
messo di sostare davanti alla terrificante reliquia del Pacifico per
più di qualche minuto.
Il 24 novembre, dopo la chiusura del museo alle cinque, uno
dei custodi notò una minuscola apertura sotto le palpebre della
mummia. Il fenomeno era limitato e non si vedeva che una pic-
cola mezzaluna bianca in ciascun occhio, ma era ugualmente
della massima importanza. Il dottor Moore, chiamato in fretta,
stava per esaminare con una lente d'ingrandimento la porzione
dell'occhio così rivelata, quando nel muovere la mummia le pal-
pebre spesse come cuoio si chiusero di nuovo. Qualsiasi sforzo
di aprirle con cautela fallì e il tassidermista non se la sentì di u-
sare mezzi più drastici. Quando tutto questo mi fu comunicato
per telefono, provai un senso di paura che non era facile attribui-
re solo all'episodio in questione. Per un attimo condivisi l'opi-
nione popolare secondo cui un imprecisato, malefico destino che
aveva origine nelle insondate profondità del tempo e dello spa-
zio incombesse, oscuro e minaccioso, sopra il museo.
Due sere dopo un cupo filippino cercò di nascondersi nei lo-
cali dopo l'ora di chiusura. Arrestato e condotto alla polizia, ri-
fiutò di dare persino il suo nome e fu trattenuto come persona
sospetta. Nel frattempo, la stretta sorveglianza della mummia
sembrava scoraggiare l'orda dei forestieri dal frequentarla. Se
non altro, dopo la messa in atto dell'ordine di "scorrere" il nume-
ro dei visitatori stranieri diminuì.
Il culmine orrendo della vicenda venne nelle prime ore del
mattino di giovedì primo dicembre. Verso l'una tremende urla di
terrore e agonia risuonarono nel museo, e una serie di telefonate
preoccupate da parte dei vicini portò in fretta e contemporanea-
mente sul posto una squadra di polizia e parecchi funzionari del
museo, fra cui io stesso. Una parte dei poliziotti circondò l'edifi-
cio, mentre altri, insieme a noi del museo, entrarono cautamente.
Nel corridoio principale trovammo il guardiano notturno morto
per strangolamento, con un pezzo di canapa indiana ancora stret-
to al collo; così ci rendemmo conto che nonostante le precauzio-
ni uno o più malintenzionati erano riusciti a penetrare nell'edifi-
cio. Ora un silenzio di tomba gravava su tutto e noi esitavamo a
salire al piano superiore, verso l'ala del museo dove sapevamo
che doveva annidarsi il cuore del problema. Dopo aver acceso
gli interruttori centrali che si trovavano nel corridoio, e aver i-
nondato il palazzo di luce, ci sentimmo un po' più tranquilli; e
finalmente, sia pur con riluttanza, salimmo la scala a chiocciola
e superammo il grande arco che immetteva nel padiglione delle
mummie.