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Il Silenzio e Le Forme

20 e 21 febbraio 2020
Martina MOLLO
EA/03958
Lingue, Letterature e Culture dell’Europa e delle Americhe
Nei giorni 20 e 21 febbraio 2020 presso l’università degli studi Napoli “L’Orientale” nella
sede di Palazzo Du Mesnil, in via Chiatamone 61/62 si è tenuto il convegno sul tema
comune “il silenzio e le forme”. Organizzato da alcuni docenti della medesima università,
facenti parte del comitato scientifico i docenti: Vincenzo Arsillo, Laura Cannavacciuolo,
Michele Costagliola d’Abele, Giuseppina Notaro e Germana Volpe e del comitato
organizzativo i docenti: Camilla Accetto e Ivana Calceglia. Diversi i relatori che hanno
partecipato al convegno, provenienti da varie parti dell’Italia (Verona, Roma, Pisa, Bari,
Torino, Viterbo, Genova e Napoli) e dell’estero (Spagna), che hanno messo in luce le varie
forme che può assumere il silenzio attraverso le varie lingue e letterature.
Dopo una breve introduzione tenutasi dalla professoressa Carmela Maria Laudando
direttrice del dipartimento di studi letterari, linguistici e comparati su come il silenzio possa
assumere diverse forme, ad esempio, nelle lingue attraverso delle parole o dei colori, nella
musica attraverso dei vuoti di note musicali, ma anche nelle arti figurative come la pittura
attraverso i simboli. Ha inizio il convegno.
Attraverso i vari interventi dei diversi docenti delle molteplici discipline si evince che il
silenzio può assumere tante forme e tanti significati diversi ma vi è una complessità nel
definire questo concetto, in quanto “può essere visto e ascoltato ma non letto e scritto, al
massimo descritto” citazione del professor Manica dell’università degli studi di Roma Tor
Vergata. È difficile poter dare al silenzio una connotazione concreta a causa del suo
astrattismo.
Il silenzio erroneamente viene visto come qualcosa di passivo: stare in silenzio vuol dire
tacere, non comunicare. In realtà il silenzio non ha niente a che fare con il mutismo, in
quanto in determinate situazioni è più ricco di contenuti che non fiumi di parole. Le persone
taciturne quando parlano sono molto più sensate di quelle loquaci, in quanto attraverso il
silenzio l’uomo è capace di scavare nel proprio subconscio ed essere sicuro che ciò che stia
dicendo sia veritiero e coinciso. Invece, le persone loquaci spesso si perdono nelle proprie
parole, perdono il filo del discorso e non trovano più la retta via per tornare a ciò che
volevano dire ed esprimere il proprio pensiero.
Il silenzio viene considerata un’arte, che va imparata nel corso del tempo e di cui, non tutti
sono destinati ad apprendere, come ad esempio ci dice il professor Gambin docente
dell’università di Verona, che, importante è “l’educazione al silenzio” che imponeva
Pitagora ai suoi discepoli obbligandoli a serbare il silenzio per un arco di tempo di circa
cinque anni, in quanto, il silenzio è potere e bisogna avere saggezza nel saperlo usare. Cito,
nuovamente, il professor Gambin “il demente, quando tace, non è diverso dal sapiente. In
quanto è la parola a mostrare la sua stoltezza”, da ciò si evince che il silenzio può essere
saggezza e non sempre tacere connota il non saper rispondere. Il silenzio è profondo ed è
uno scudo che aiuta l’uomo a difendersi da una realtà fatta di chiacchiere e frivolezze.
Oltre ciò il silenzio è presente nelle poesie, sottoforma di punteggiatura che contribuisce a
portare il silenzio tra le parole. Il professor Rotiroti dell’università degli studi di Napoli
“L’Orientale” di fatti, ci mostra un libro di un autore rumeno del XX secolo dal titolo “La
voici la voie silanxieuse” di Gherasim Luca che non è altro che una raccolta di immagini
create dall’autore stesso, dove si utilizza l’elemento più semplice della scrittura, il punto.
Attraverso queste creazioni puntiformi l’autore crea dei giochi di parole. Il punto, visto
come singolo elemento sembra non avere un suo significato, ma l’autore utilizzando tanti
punti messi uno vicino all’altro rivela delle immagini, regalando un’esperienza visiva al
suo lettore. “cerca di esprimere l’inesprimibile, con la rappresentazione
dell’irrappresentabile” cit. Professore Rotiroti.
Un intervento molto interessante è stato quello del professor Francavilla docente
dell’università degli studi di Genova, il quale ha voluto mostrare il rapporto che ha il
silenzio con l’afasia (un disturbo neurologico, incapacità di comunicare mediante la parola
o la scrittura). Ciò si collega nuovamente al caso della difficoltà nel sapere trovare le parole
o la parola giusta per descrive il silenzio. Il professore ci mostra questo collegamento
attraverso l’opera “De profundis, valsa lenta” di José Cardoso Pires un autore portoghese
affetto improvvisamente da un’ischemia cerebrale e che si ritrova a vivere il peggior incubo
di uno scrittore, quello di non saper più né leggere e né scrivere e, quindi, di avere a che
fare con la parola scritta e parlata. L’autore guarisce e racconta della sua esperienza, in
quanto generalmente chi subisce un'ischemia oltre ad avere un ritardo cognitivo del
linguaggio ha anche difficoltà nel ricordare, caso contrario in Cardoso Pires che una volta
guarito, ricorda tutto e quindi racconta come si è sentito intrappolato per un certo periodo
in un corpo, che per lui, non era più il suo, dove non era in grado di poter comunicare ciò
che stava provando.
Il silenzio è una dimensione dove l’uomo cerca rifugio dalla società moderna, frenetica e
rumorosa. Il silenzio permette ad ognuno di noi di pensare, concentrarsi, ritrovare sé stessi
e conoscersi. Trovare la propria pace interiore per affrontare questo mondo fatto di brutture,
ma soprattutto per imparare a conoscere il proprio subconscio e quello che nascondiamo
all’interno della nostra mente.
Da questo convengo, molto interessante, ho imparato la bellezza del silenzio, del suo
potere, della sua importanza, ma soprattutto la difficoltà nel descriverlo in quanto il silenzio
è una sensazione che possiamo solo udire ma non vedere o toccare materialmente.

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