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CLASSE: INDIRIZZO:
A032 MUSICA E SPETTACOLO
PERFORMANCE TEATRALE
‘ NTERR’ ‘A ‘MMACULATELLA’
( SCALO MARITTIMO)
PROFESSORE STUDENTI:
PASQUALE SCIALO’ BARBATO EUFEMIA
CAPASSO GIANLUCA
FUSCO VITTORIO
LOMBARDI LUCA
NAPOLITANO STEFANIA
ROSATO ANTONIETTA
TONTI ANTONELLO
SAULLE LOREDANA
MAZZA STEFANIA
SPAGNUOLO BRUNELLA
1
MODULO DIDATTICO
Tempi: 16 ore
2
Prerequisiti specifici
1. Capacità di ascoltare
2. Capacità di ripetere
3. Capacità di riconoscere
4. Capacità di analizzare
5. Capacità di memorizzare
6. Senso ritmico
7. Sensibilità affettivo-espressiva
8. Utilizzo della notazione
9. Capacità di rielaborazione
10.Capacità di esecuzione
Obiettivi educativi:
Indicatori
3
Obiettivi specifici
Obiettivi trasversali
Metodi
Mezzi o Materiali
1. Libro di testo
2. Lucidi e lavagna luminosa
3. Materiale audio-visivo
4. Registratore, videoregistratore, lettore cd
5. Strumentario didattico
6. Carta pentagrammata e millimetrata, colori, pennarelli, fogli
7. Strumenti, ecc.
Verifica in itinere
4
Valutazione
Proposte interdisciplinari
5
Unità didattica n°1
Attività:
Lettura e comprensione dei dialoghi.
Esecuzione e interpretazione della musica nella commedia di Raffaele
Viviani.
Lezione frontale sulla storia dell’autore e sull’importanza sociale e
culturale di questa commedia.
Lettura di altre opere di Viviani.
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presso la Gelateria Siciliana situata nell’Esposizione in Piazza d’Armi. Qui
ha l’opportunità di recitare alla presenza del re Vittorio Emanuele III,
accompagnato dalla nipote Maria Letizia, presentando la sua macchietta
più apprezzata, Lo scugnizzo. Dopo la chiusura dell’Esposizione viene
scritturato al Teatro Morisetti a Milano e, in seguito, al Concerto Emilia di
Torino; di qui passa all’Alcazar di Genova e al Concerto Roma di
Alessandria, dove recita insieme alla sorella.
Viviani continua la sua attività nell’Italia settentrionale per alcuni anni,
fino ad approdare al Teatro Eden di Bologna, luogo prestigioso dove
passano gli artisti più celebri e dove solo a fatica si ottiene la
consacrazione del successo. Dopo una prima accoglienza piuttosto fredda
da parte di un pubblico di studenti distratti e vocianti, alla fine di una lunga
serie di rappresentazioni, lo scugnizzo riesce a fare breccia nell’animo dei
più attenti, tanto che all’ultimo spettacolo ottiene finalmente un’ ovazione.
Dopo un breve rientro a Napoli, nel 1907, guadagna un contratto estivo a
Malta. Di nuovo a Napoli, debutta al Teatro Eden, dove presenta sei nuove
composizioni che consacrano il suo genere e che nascono da un impegno e
da uno studio della grammatica e della musica estremamente faticoso per
un uomo che resta comunque un illetterato.
Nel 1908, al Teatro Nuovo di Napoli, Viviani conosce la sua futura
moglie, Maria Di Maio, che è solita assistere alle rappresentazioni da un
palco di sua proprietà, in compagnia di una zia. L’artista rimane
conquistato dalla giovane, che all’epoca ha appena quattordici anni, e
riesce a farsela presentare. La sua richiesta di matrimonio viene
inizialmente respinta dalla famiglia Di Maio, sia per la giovane età della
ragazza sia per la condizione economica e la professione del pretendente.
La popolarità di Viviani, intanto, si consolida e si estende anche all’estero.
Nel febbraio del 1911, infatti, è scritturato dal Fòwarosi Orpheum di
Budapest, con l’impegno di rappresentarvi per un mese alcune delle sue
più celebri macchiette. Artista ormai affermato, Viviani ottiene finalmente
il consenso al matrimonio che verrà organizzato in appena due giorni e
celebrato il 9 settembre 1912. Dal matrimonio nasceranno Vittorio,
Yvonne, Luciana e infine Gaetano. Dopo la lunga e formativa esperienza
artistica nel Varietà, Viviani sente l’esigenza di organizzare in una forma
compiuta i numerosi tipi del repertorio macchiettistico.
Scritto e rappresentato negli ultimi mesi del 1917, il Vicolo è il primo atto
unico di Raffaele Viviani, in cui per la prima volta egli assembla i
personaggi delle macchiette, i tipi del varietà e le canzoni in un’opera
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finita e organica. Partendo anche da un’esigenza pratica - la chiusura dei
teatri di Varietà dopo la sconfitta di Caporetto e l’esigenza di offrire al
pubblico dei reduci uno spettacolo più edificante - Viviani fa rivivere
attraverso la sua sofferenza di uomo e la straordinaria versatilità di attore, i
comici, le macchiette, gli acrobati e i tipi del mondo dello spettacolo d’arte
varia.
È l’autore stesso a spiegare, nelle pagine della sua autobiografia, il
passaggio dal Varietà al teatro drammatico: «Pensai di creare all’artista
quella rispettabilità che avevo saputo dare all’uomo [...] e debuttai al
Teatro Umberto di Napoli, con un atto "O Vico" (il vicolo) scritto da me,
improvvisato tra i tipi del mio repertorio, legati con un certo filo logico...
In queste scene dì vita popolare, si vede il Viviani più grande, lo scopritore
di una Napoli europea di cui mette a nudo le miserie morali e materiali,
non certamente per il puro gusto del compiacimento, ma al contrario, per
lanciare attraverso la finzione scenica, un messaggio molto aspro e
pungente, fatto di espressioni dialettali forti e originali.
Teatro dell’azione è il Borgo Loreto nel quale vive e soffre una folla
vociante di individui i più disparati, e la via del Chiatamone, famosa per le
sue fonti di acqua sulfurea, che gli acquaioli vendono nelle caratteristiche
mummere di creta.
In Piazza Ferrovia, atto unico scritto nel 1918 e più volte rappresentato
con l’aggiunta di nuove scene, Viviani riporta un tale successo da ottenere
«applausi a scena aperta», come scrive «Il Nuovo Giornale di Firenze» del
10 marzo 1924.
In questa breve pièce, doti Raffaele fotografa il variopinto mondo che
ruota intorno alla Piazza della Stazione di Napoli, ritagli di vita del
marciapiede, popolati da piccole macchiette e da personaggi
drammaticamente veri.
Dell’atto unico Parta Capuana Raffaele Viviani compone prosa e musica,
rappresentandolo più volte nell’arco del 1918 con notevole successo.
Il lavoro prende il nome dall’antico varco che si trova all’interno del
quartiere della Vicaria, centro d’intensa attività commerciale e sede di un
colorito mercato alimentare, popolato di ambulanti e girovaghi, che
rallegrano e attirano i compratori con le loro caratteristiche voci. Proprio
nel coro dei venditori si può individuare l’elemento di coesione della
commedia, poiché essi singolarmente si dichiarano disposti a fare da
garanti nei rapporti di un quartiere difficile, in cui vivono e operano
persone diversissime, costantemente in lotta tra loro. Emerge chiaramente
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che le simpatie di Viviani vanno alle categorie umane più deboli.
Scalo Marittimo, atto unico conosciuto anche con il titolo di ‘Nterr’ ‘a
‘Mmaculatella, è scritto nel 1918 e più volte rappresentato, meritando
grandi elogi della stampa locale per l’affiatamento dimostrato dagli attori
della Compagnia, i quali, fatto insolito per l’epoca, recitano a memoria
senza l’aiuto del suggeritore.
In linea con la «retorica dell’emigrante», in questa commedia l’autore
descrive la triste condizione di chi, costretto da una miseria senza sbocchi,
vede nell’emigrazione verso l’America l’unica possibilità di
sopravvivenza, pur conoscendone i rischi e gli imprevisti.
Il secondo dei due atti di Borgo Sant’Antomo, recitato autonomamente,
preesisteva al primo. Nella stesura originaria la commedia è messa in
scena al Teatro Umberto di Napoli il 13 settembre 1918; l’anno seguente il
lavoro viene rappresentato nella versione definitiva con grande successo di
un pubblico, divertito dalla fresca spontaneità dei personaggi-macchiette e
colpito nella fantasia da sonorità musicali di indiscusso sapore etnico.
La commedia prende il nome da un rione popolare di Napoli, che s’insedia
tra Piazza Carlo III e la Ferrovia, zona particolarmente familiare a Viviani
che da bambino abitava in vico Finale al Borgo
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Titolo: Le forme minori del teatro tra fine 800 e primo 900
Tempi: 2ore
Il Varietà rientra nelle forme cosiddette minori del teatro fine Ottocento e
primo Novecento. Nei café-restaurants, nei piccoli teatri, persino negli
stabilimenti balneari in cui viene allestito e proposto, lo spettacolo di
varietà addensa, entro una durata volutamente contenuta (circa un’ora e
mezzo, con notevoli possibilità di repliche, tra matinées, cioè spettacoli
diurni, e serali), una rassegna il più possibile varia di piccole forme
sceniche, ognuna delle quali è affidata a uno specialista: canzonettista,
macchiettista, comico, prestidigitatore, fantasista, imitatore, illusionista,
acrobata. Ciascuno di questi numeri obbedisce, al suo interno, a precise
convenzioni e all’inderogabile brevità d’ogni prestazione; il numero che
maggiormente attira il pubblico è la cosiddetta macchietta (piccolo
componimento comico, in cui si delineano i tratti salienti di un
personaggio).
Per Raffaele Viviani il numero è quello del tipo: la caratterizzazione in
prosa e verso di una figura colta dal vivo e scenicamente ricreata nello
spazio di cinque sei minuti dì esibizione.
La prima grande novità di Viviani rispetto agli altri macchiettisti, è quella
di affidare alla canzone il compito di caratterizzare il personaggio,
scrivendo i versi e le musiche dei propri pezzi avvalendosi dell’aiuto di
pochi collaboratori fidati (i musicisti Enrico Cannio e Eduardo Lanzetta).
Un’altra caratteristica saliente di Viviani è il rapido passaggio dalla
macchietta a un solo personaggio (come ‘O Scugnizzo, ‘O Sapunariello,
‘O Pisciavinolo, ‘O Scupatore) a quella a più personaggi o polifonica. E il
caso di Piedigrotta, che vede la luce al Teatro Nuovo nel 1908, in cui
riesce a restituire in poco più di una trentina di battute «una vivacissima
immagine del gran baccanale partenopeo», come si espresse l’autorevole
grecista Ettore Romagnoli. I personaggi a cui l’attore presta voce sono
oltre una dozzina: il capofamiglia, la vecchia, l’imbonitore da baraccone, il
pizzaiolo, il posteggiatore, due innamorati, il monello, e persino un
piccirillo ... sperduto mmiez’ ‘a folla.
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Viviani ebbe la sua consacrazione nel 1904 al Petrella, il teatro a Basso
Porto, nelle vesti di ‘O Scugnizzo, la macchietta di Capurro e
Buongiovanni:
Lo Scugnizzo fu interpretato per la prima volta da Peppino Villani, al
Teatro Umberto I, con grande successo.
Un successo accordatogli non soltanto dal pubblico, ma anche dalla critica,
secondo il giudizio di Gigi Michelotti, famoso giornalista e autorevole
critico teatrale:
«Viviani è... lo scugnizzo (....) Innegabilmente dei caratteri dello scugnizzo
c’è molto nell’arte di questo nostro magnifico attore. L’intelligenza, la
sincerità, la facoltà di vedere la vita con occhi nuovi, la possibilità di fare
di un nulla un motivo di gioia, la mania dell’indipendenza, la possibilità di
essere ragazzo e di sentirsi uomo».
Anche il famosissimo commediografo Eduardo Scarpetta, grande
ammiratore di Raffaele Viviani ,esprime il suo giudizio a favore della
famosa macchietta ‘O Scugnizzo: «Si ride anche qui. ma fra il riso spunta,
ad un tratto, cocente una lagrima; e il dramma infine prorompe con un
crescendo ed una chiusa efficacissima».
Nel 1905 segue Totonno ‘e Quagliarella, scritta dal poeta Giovanni
Capurro e musicata da Francesco Buongiovanni che aveva avuto come
primo interprete Peppino Villani.
Sarà proprio questa macchietta che il famoso poeta e musicista E.A. Mario
gli chiederà di riproporre nel 1947, in occasione della rievocazione del
glorioso Teatro Eden, che aveva visto la luce neI 1894 ad opera dei fratelli
Resi e che nei 1931 fu trasformato definitivamente in una sala
cinematogratica.
NeI 1910 Viviani ha 22 anni ed è ormai un notissimo artista di Varietà. Ne
è passata di acqua sotto i ponti da quel 1904 in cui si andava affermando al
Teatro Petrella nelle vesti di ‘O Scugnizzo e dalle peregrinazioni per i vari
teatri italiani. Viviani è ormai una vedette popolarissima, apprezzata dal
pubblico per il suo singolarissimo temperamento artistico. Non sorprende,
quindi, che illustri suoi contemporanei esprimano, proprio allora, delle
opinioni sulla sua arte: giudizi lusinghieri come quelli di Ferdinando
Russo, Ernesto Murolo, Libero Bovio, Ugo Ricci, Rocco Galdieri, Gaspare
Di Martino, Eduardo Pignalosa, o severi come quello di Salvatore Di
Giacomo: «Nelle cosi dette "macchiette spiritose" composte di volgarità,
di sudicerie, di doppi sensi, scritte nella ibrida lingua degli scarafaggi
letterarii da’ quali questa nostra povera Napoli è ammorbata, mi dispiace
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dirlo, Viviani è uno che somiglia a tutti gli altri e m’è insopportabile».
Quindici anni dopo Viviani non è più solo un artista di varietà, ma un
affermato autore di opere teatrali. I giudizi sul suo lavoro diventano,
quindi, più articolati e scatenano vere e proprie discussioni sul reale valore
della sua arte. Ne è un esempio un articolo di Ferdinando Russo pubblicato
sul «Corriere d’Italia» nell’aprile del 1925 che innesca una vera e propria
battaglia a mezzo stampa con il critico Lucio D’Ambra.
Nel 1911 Raffaele Viviani si qualifica al concorso bandito dal giornale
«La Tavola Rotonda» con due canzoni: Nce vevo ‘a coppa!, di cui egli è
l’autore dei versi sulla musica di G. Sales, e L’abitué dei concerti, di cui
ha composto sia i versi che la musica. Quest’ultima sarà poi inserita in
Eden Teatro.
Viviani porta nel suo varietà tipi presi dalla strada, appartenenti talvolta
alla più squallida realtà napoletana, gente alla deriva che vive di
espedienti; ne costituisce un esempio la macchietta ‘O delinquente
(conosciuta anche come ‘O malandrino, il cui protagonista sarà introdotto
in seguito nella commedia Via Toledo di notte col nome di Filiberto
Esposito).
Alcuni personaggi creati da Viviani commettono atti criminosi, pur non
essendo delinquenti, perché spinti dalla gelosia: ad esempio, nella
macchietta Ar tribbunale, scritta in romanesco in collaborazione con Luigi
Carini e musicata da Enrico Cannio, il marito accoltella l’amante della
moglie dopo aver sorpreso i due fedifraghi; Viviani la rappresenta per la
prima volta al Teatro Eden di Napoli nel 1909.
In vernacolo romanesco l’artista scrive anche Fiamme der core, in cui un
marito tradito si vendica incendiando il pagliaio dove giacciono la moglie
e il suo amante. Fra il 1908 e il 1909 da questo brano verrà tratto un film
dal titolo L’accusato.
Raffaele Viviani ama esibirsi in dialetti diversi da quello napoletano:
interpreta in romanesco La serenata di Cesare Pascarella e in siciliano
Turiddu Spitu di Nino Martoglio; in quest’ultima macchietta l’artista ritrae
la figura di un mafioso con una caratterizzazione esemplare che ha
assimilato da Giovanni Grasso, suo antagonista nel film, andato perduto,
Amore selvaggio (1909).
unità didattica n° 4
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Titolo: Performance di gruppo
Tempi:
ecc….
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