Sei sulla pagina 1di 71

Mentre la termodinamica richiedeva solo lo studio delle quantità di energia trasferita sotto forma di calore,

la trasmissione del calore intende valutare la rapidità con cui l’energia è scambiata sotto tale forma.

Il calore può essere trasferito attraverso tre modalità fondamentali di scambio termico: conduzione,
convezione ed irraggiamento.

La conduzione termica
È il trasferimento di energia che si verifica per effetto dell’interazione, a livello molecolare, tra particelle
dotate di maggiore energia ed altre dotate di minore energia.
Può verificarsi:
o Nei gas e nei liquidi, dove è dovuta alle collisioni tra molecole nel loro moto casuale
o Nei solidi, dove è dovuta sia alle vibrazioni delle molecole in prossimità delle loro posizioni di
equilibrio nel reticolo, sia in virtù del trasporto di energia da parte di elettroni liberi.

Si consideri la conduzione termica stazionaria attraverso una grande parete


piana di spessore x=L ed area superficiale A, soggetta alla differenza di
temperatura tra le due facce ΔT=T2-T1.
Dall’esperienza si osserva che la potenza termica trasmessa è proporzionale
alla differenza di temperatura ΔT attraverso lo strato ed all’area A della
superficie alla direzione della trasmissione del calore, ed è inversamente
proporzionale allo spessore dello strato.

 T1  T2 T
Q cond    A     A  (W)
x x
Il coefficiente di proporzionalità λ introdotto è la conducibilità (o conduttività) termica del materiale.

Nel caso limite di Δx→0, la precedente espressione diventa:


 Postulato di Fourier
Q cond  A
dT
W per la conduzione
dx
Tale postulato, che afferma la proporzionalità della potenza termica al gradiente della temperatura,
presenta un segno "–" la cui origine può essere, con riferimento alla parete, facilmente interpretata:
 Con riferimento all’orientamento positivo assunto per l’asse x, la presenza di una Qcond positiva
(quindi diretta concordemente all’asse x) si riscontra se dT/dx<0, ossia se la temperatura è
decrescente nella direzione dell’asse x
Il segno "–" compare quindi perché la potenza termica fluisce nella direzione delle temp. decrescenti!

La monodimensionalità del problema non fa cogliere tutta la


[ q ]=W/m 2

forza del postulato di Fourier. T1>T2>T3>T4


q
In un campo generico di temperature a tre dimensioni, esso n
ci dice che si può definire un vettore flusso termico: ∆ q
(t)
n
q ∆
(t)
  T  T  T  
q    T      i j k 

(t)
n
 x y z  n
q

Per ogni generica areola comunque orientata (di normale n), vale: (t)

 T1 T 2 T3 T4
  
 Qcond  q  n  dA    dA  T   n
La conducibilità termica è una misura della capacità di un materiale di condurre calore.
Tuttavia NON DOVETE MAI DEFINIRLA COSI’, in quanto essa è definita, con rigore, proprio dalla relazione
analitica nella quale l’abbiamo utilizzata:
Guardando solo
 T  x
   W  m
al modulo…
Q cond    A     Q cond
x A  T m 2  C o K 
Si osserva che la conducibilità termica è quantitativamente definita come la potenza termica che
attraversa l’unità di superficie di una parete, allorquando questa presenta spessore unitario e tra
le sue facce è imposta una differenza di temperatura unitaria.

Nella tabella sono riportati i valori di λ di alcuni materiali di interesse.

È molto importante che un ingegnere abbia presente l’ordine di grandezza


(non il valore esatto, per quello ci sono i manuali!) della conducibilità per
diverse tipologie di sostanze.

Nei gas, poiché la conducibilità è legata alla capacità delle particelle di


trasmettersi energia attraverso i loro urti, ed essendo questi più
significativi in caso di elevato moto di agitazione molecolare, si deduce
(teoria cinetica dei gas):

T
gas 
M
Nei liquidi, che presentano conducibilità intermedie tra quelle dei solidi e
quelle dei gas, λ in genere decresce al crescere della temperatura (tranne che
per l’acqua). I metalli liquidi (mercurio, ecc.) hanno conducibilità molto
superiori agli altri liquidi.

Nei solidi, che hanno in genere le conducibilità più elevate, giocano a


favore dello scambio termico siail flusso libero di elettroni (nei buoni
conduttori elettrici), sia il grado di ordine della struttura cristallina (vedi i
solidi cristallini, come il diamante) e semiconduttori come il silicio.

Dispositivo per il rilievo sperimentale della conducibilità λ

Aspettando l’estinzione
del transitorio termico,
si è certi che:
Qdissipata=Qtrasmessa
Esaminiamo una parete perimetrale di un edificio, in inverno …
tutto quanto proveremo ad elaborare vale, a rigore, per la sola
regione centrale …
La necessità di sviluppare problemi
monodimensionali, per semplificare la
soluzione analitica, ci porta a doverci
allontanare dalle discontinuità
geometriche dove si verificano effetti di
bordo significativi … pertanto,
tracciando una parete piana, la
considereremo sempre indefinita nella
direzione trasversale a quella del flusso
termico, e la tracceremo come in figura.

Si osserva come le sezioni trasversali della parete siano caratterizzate da


medesimi valori della temperatura (ossia T=T(x)), e si può quindi affermare
che sia trascurabile la propagazione di calore lungo ciascuna sezione della
parete e detu tutto dominante quella trasversale ad essa.
Il bilancio di energia della parete fornisce:
 potenza termica   potenza termica   potenza termica 
       
 entrante   uscente   accumulata 
  dE parete   Per un processo stazionario, il
ossia: Q e  Q u   Qe  Qu flusso termico attraverso la parete
dt
deve rimanere costante!
La costanza del flusso termico attraverso una parete in condizioni
stazionarie ha precise implicazioni derivabili dal postulato di Fourier:
 dT
Q cond    A 
dx
Infatti, essendo costante dT/dx, il profilo di temperatura all’interno
della parete non può che essere lineare.

La temperatura all’interno di una parete piana indefinita che osserva


un flusso termico in condizioni stazionarie varia linearmente lungo
una sezione trasversale.

Integrando da x=0 ad x=L, dopo aver separato le variabili, si ha:

L  T2
x 0
Q cond , parete dx   
T T1
  A  dT

e quindi:
 T1  T2
Q cond , parete    A  [W]
L
Parentesi sullo scambio termico per convezione ed irraggiamento
Esaminiamo brevemente i fondamenti dello scambio termico basato sulle ulteriori due modalità di
trasmissione del calore, ossia la convezione e l’irraggiamento, senza entrare in alcun dettaglio riguarda
all’approccio quantitativo agli stessi (calcolo di h o calcolo di ε, ad esempio) e solo al fine di rendere più
fruttuoso lo studio della conduzione che stiamo avviando.
Convezione
La potenza termica trasmessa per convezione tra una superficie solida A, a temperatura superficiale
Tparete, ed un fluido che presenta una temperatura indisturbata T∞ vale:

Legge di Newton della convezione, che lungi dal

 
Tparete  rappresentare una semplice formulazione del
Q conv  h  A  T parete  T [W] problema, può essere intesa come definizione
T∞ del coefficiente convettivo h [W/(m2°C)], di
derivazione empirica piuttosto complessa

Irraggiamento
La potenza termica trasmessa per irraggiamento tra una
superficie S ed una di area molto più grande, che la ingloba
interamente, vale:

 

Qirr      AS  TS4  Tamb
4
[W]
La Resistenza Termica  T1  T2
Si provi a riformulare l’espressione ottenuta nei seguenti termini: Q cond , parete  [W]
R parete
dove ovviamente: L  C 
R parete  W
A  
E si osservi come questa espressione risulti formalmente simile a quella utilizzata per il flusso di energia
elettrica in un conduttore di resistenza elettrica Rel:

V1  V2
I [W] con: Rel 
L
ohm
Rel  el  A

Sussiste una perfetta analogia fisica tra i due fenomeni (da cui la denominazione di analogia elettrica),
che vedono:

o La presenza di una driving force che innesca il flusso, rappresentata nei due casi dal ∆T e dal ∆V
o La presenza di un termine di flusso, rappresentato nei due casi da Qcond e da I
o La presenza di un termine di resistenza al flusso, rappresentato nei due casi da Rparete ed Rel (in
entrambi i casi, compare un parametro dipendente dal mezzo, rispettivamente λ e σel)
Abbiamo già compreso come esprimere Rparete per il calcolo della potenza termica che attraversa, per
conduzione, una parete piana.

L’analogia elettrica però si presta alla modellizzazione più o meno semplice anche delle altre modalità di
propagazione del calore.

In convezione, essendo: Qconv  h  AS  TS  T  vale:

 TS  T  C 
Q conv  h  AS  TS  T  
1
 Rconv  W
Rconv h  AS  
Rconv   1

1
h AS  W
 m2
m C
2

In irraggiamento la cosa è un po’ più artificiosa … essendo:

      

Qconv      A  TS4  Tamb
4
 A  TS2  Tamb
2
 TS2  Tamb
2
 A  TS2  Tamb
2
 TS  Tamb   TS  Tamb 

  T
La cosa è più artificiosa perché si è
e ponendo: hirr      TS2  Tamb
2
S  Tamb  voluto modellizzare come dipendente
da T un fenomeno che invece dipende
dalle differenze delle 4° potenze di T …
 TS  Tamb
si ha: Q conv  hirr  A  TS  Tamb  
1 tuttavia ciò è comodo per tutti i casi di
 Rirr 
Rirr hirr  A presenza di più fenomeni combinati di
scambio termico.
L’analogia elettrica è soprattutto importante per la possibilità di modellizzare problemi complessi di
scambio termico sulla base della composizione di reti di resistenze termiche, che seguono gli stessi
principi di composizione delle reti di resistenze elettriche …

… si consideri il caso banale di una parete esposta a due fluidi, a temperatura T∞1 e T∞2, con T∞1>T∞2. Il
problema sia stazionario. Risulta ovviamente:
 potenza termica   potenza termica   potenza termica 
     
 convettiva 
  conduttiva 
  convettiva 
 verso la parete   attraverso la parete   dalla parete 
     

  T1  T2 
Q fluido 1 parete  h1 AT1  T1   Q cond,parete  λ  A  Q parete fluido2  h2 A  T2  T 2 
L
Tale unica Q si può quindi scrivere:
 T1  T1 T1  T2 T2  T 2
Q   
1 L 1
h1 A λ A h2 A
 T1  T1 T1  T2 T2  T 2
Q  
Rconv ,1 Rcond Rconv ,2
La cosiddetta proprietà del comporre (o regola del componendo) ci dice che:

a c e ace
Se   
b d f bd  f
Nel nostro caso, ovviamente:


Q
T1  T1 T1  T2 T2  T 2
 
T  T   T1  T2   T2  T 2  
 1 1
T1  T 2
Rconv ,1 Rcond Rconv ,2 Rconv ,1  Rcond  Rconv ,2 Rconv ,1  Rcond  Rconv ,2

 T1  T 2 T T
Q  1  2 con: RTotale  Rconv ,1  Rcond  Rconv ,2
Rconv ,1  Rcond  Rconv ,2 RTotale

Il sistema complessivo che comprende due resistenze convettive ed una conduttiva tra esse
interposta, si comporta come un’unica resistenza, pari alla somma delle tre resistenze disposte
in serie, cui è applicata una driving force (differenza di temperatura) pari a quella esistente tra
gli estremi del sistema in esame.

N.B.
Tale additività delle resistenze per il calcolo della Rtotale discende dal fatto che queste sono disposte in serie …
esattamente come nell’analogo elettrico la disposizione in serie discende dal fatto che tutte le Relettriche sono
attraversate da una medesima corrente, la disposizione in serie di Rtermiche discende dal fatto che, per la
conservazione dell’energia, le resistenze devono essere attraversate da una medesima potenza termica!!
Classica tipologia di problema:
- Siano note sono le temperature estreme T∞1 e T∞2, e gli elementi geometrici utili al calcolo di
ciascuna resistenza termica
- Si intendano determinare la potenza termica trasmessa ed il profilo di temperatura (ossia tutte le
temperature intermedie, essenzialmente T1 e T2)

 T1  T 2 T T
L’espressione: Q  1  2 consente di rispondere al 1° quesito …
Rconv ,1  Rcond  Rconv ,2 RTotale

e l’applicazione iterativa dell’espressione inversa: T  Q R permette di ricostruire il profilo di T.

 T1  T1 
Q  T1  T1  Q Rconv ,1
Rconv ,1
Trovato T1, il valore di T2 può essere trovato in due diversi modi:
"andandoci da sinistra" "andandoci da destra"
 T1  T2   T2  T 2 
Q  T2  T1  Q Rcond Q  T2  T 2  Q Rconv ,2
Rcond Rconv ,2
La metodologia acquisita può essere applicata a situazioni monodimensionali e stazionarie di
qualsivoglia complessità …

… consideriamo ad esempio il problema delle pareti piane multistrato, molto utili perché nella pratica
sia gli involucri edilizi, sia vari elementi deputati all’isolamento termico o alla dissipazione di calore,
possono essere modellizzati come multistrato …
Essendo ovviamente ancora un
sistema di resistenze disposte in
serie, valgono le relazioni:
 T1  T 2
Q
RTotale
con:
RTotale  Rconv ,1  R parete ,1  R parete ,2  Rconv ,2 
1 L L 1
  1  2 
h1 A 1 A 2 A h2 A
e più in generale, per un n° arbitrario di strati:

Lj

1 1
RTotale   
h1 A jstrati  j A h2 A
Oltre alle ormai note relazioni utili a determinare il profilo di
temperatura, riflettiamo su alcuni punti:
 Andamento della temperatura in seno ai fluidi, in
prossimità delle pareti. Sebbene entreremo nel merito
solo studiando la convezione, osserviamo che al di là di
δT,1
una certa distanza δT (spessore di uno strato limite
termico) è ovvio che le temperature non risentano più
della presenza della parete … il fenomeno è quindi simile a λ1 λ2
quanto già visto con lo strato limite meccanico, sebbene
per il filetto fluido a contatto con la parete non valga T=0 δT,2
(analogo al w=0 nel fenomeno meccanico), bensì T=Tparete;
 Pendenza dei profili di temperatura nelle due pareti
piane, nel caso in cui λ1≠ λ2. Potremmo intuitivamente
pensare che il più elevato salto di temperatura (che nella
nostra mente associamo al passaggio di calore) si verifichi
nel materiale più conduttore … nulla di più sbagliato,
perché essendo i due corpi in serie, e quindi attraversati
dalla stessa potenza termica, varrà:

 T1  T2  dT   T T  dT 
Q parete 1  1 A  1 A     Q parete 2  2 A 2 3  2 A    Ciò è evidente se si pone L1=L2 e
L1  dx 1 L2  dx  2 si pensa che bassa λ significa alta
R, ed è ovvio che per far passare
 dT   dT  Il materiale con la maggiore
e quindi: 1     2    conducibilità presenta una pendenza lo stesso flusso (Q) su una
 dx 1  dx  2 resistenza maggiore ci vuole una
del profilo di temperatura minore … maggiore forzante (∆T)
Resistenza termica di contatto
Non è vero che, in pareti multistrato,
all’interfaccia si abbia un’unica temperatura
(come T2 di poc’anzi), in quanto ciò
implicherebbe che l’interfaccia tra le pareti
non comporti alcuna resistenza al passaggio di
calore.
In realtà, poiché a livello microscopico
l’interfaccia appare come un’alternanza tra
punti di contatto tra asperità superficiali ed
una serie di micro-cavità, si ha una piccola
resistenza (e quindi un piccolo ∆T a cavallo tra
le due superfici), che per semplicità è trattato
tramite un’espressione simile alla legge di
Newton: Qualora si volesse utilizzare l’analogia elettrica, al fine di
 poter trovare tabellati i valori delle resistenze di contatto,
Q  hcontatto  A  Tint erfaccia è comodo scrivere la resistenza in maniera leggermente
differente, ossia per unità di superficie:
dove hcontatto dipende dalla rugosità della Tint erfaccia  m 2 C 
1
superficie, dalle proprietà dei materiali, ma Rcontatto     
anche dalla pressione, dalla temperatura e hcontatto  W 
Q A
dal tipo di fluido presente tra le cavità
dell’interfaccia! Tipici valori di Rcontatto variano tra 5×10-6 e 5×10-4 m2°C/W.
Pertanto, questa resistenza è trascurabile in pareti
multistrato nelle quali almeno uno strato sia mediocre-
cattivo conduttore del calore (come avviene quasi sempre).
Reti non-semplici di resistenze termiche
Può capitare di voler determinare lo scambio termico attraverso strutture non
semplici, composite, nelle quali il calore possa fluire in maniera un po’ meno
ovvia di come visto fino ad ora.

L’analogia elettrica permette di risolvere simili configurazioni, modellizzando le


resistenze termiche non solo disposte in serie, ma anche in parallelo.

Vediamolo con riferimento ad un sistema particolarmente semplice:

La schematizzazione corretta del problema è quella di un


parallelo tra R1 ed R2 (conduttive), che poi sono in serie ad R3
ed Rconv. Infatti:
 La somma delle potenze che attraversano gli strati 1 e 2
attraversa poi lo strato 3 (si veda l’isolante attorno!) e
passi poi verso il fluido.
  T1  T2 T1  T2
  1 1 
Q  Q1  Q 2    T1  T2   
R1 R2  R1 R2 
 T  T2 R1 R2
e definendo: Q  1 vale Rtot ,1 2 
Rtot ,1 2 R1  R2

R1R2
Infine: Rtot   R3  Rconv
R1  R2
Trasmissione del calore in uno strato cilindrico
È di grande interesse pratico, per lo studio delle tubazioni che trasportano
fluidi caldi o freddi, la trasmissione del calore in uno strato cilindrico come
quello in figura.

Il libro prefigura quasi all’inizio, e come un’ovvia assunzione, il fatto che in un


simile strato il calore debba propagarsi radialmente e che la temperatura del
tubo debba risultare indipendente dall’angolo azimutale, e quindi dipendente
solo dal raggio, ossia T=T(r).
In realtà questa è una conclusione che discende da una serie di ipotesi, che
meritano assoluta attenzione!

Ipotesi 1. Condizioni al contorno assialsimmetriche, ossia indipendenti dall’angolo azimutale.

Sia che la condizione al contorno sia di temperatura superficiale


(T1 e T2) o di temperatura del fluido che lambisce la parete (T∞1 e
T∞2), nulla deve variare con θ. Infatti, nulla di quanto diremo
sarebbe più valido se una sezione angolare del cilindro fosse
esposta ad una temperatura diversa dalle altre!
Ipotesi 2. Materiale omogeneo ed isotropo Rame

 L’omogeneità del materiale indica che l’intero cilindro è costituito da un


unico materiale, appunto. Ciò serve a garantire che assuma ovunque un
medesimo valore. Qualora un cilindro fosse costituito, come in figura, da 2
materiali diversi, nulla di quanto diremo varrebbe più.
Acciaio
 L’isotropia del materiale, con riferimento allo scambio termico, indica
l’assenza di direzioni preferenziali (in seno alla matrice del materiale) per lo
λparallelo alle fibre
scambio del calore. In parole semplici, indica che λ è indipendente dalla
direzione. Tipico materiale anisotropo è il legno, in quanto in relazione
all’orientamento delle fibre, esso tende a propagare differentemente il
calore nelle diverse direzioni. λortogonale alle fibre

Ipotesi 3. Cilindro snello (o "non tozzo")


Affinchè risultino trascurabili gli effetti di Cilindro snello
bordo, e si isntauri quindi un campo di Cilindro tozzo
temperature realmente piano (lungo
ciascuna sezione perpendicolare all’asse
del cilindro), occorre che la dimensione
longitudinale L dello stesso risulti molto
superiore a qualsiasi dimensione
trasversale, per cui in sintesi: re
re
L
L >> re
L
Se tutte queste ipotesi sono verificate, allora l’approccio analitico al problema è semplificato in quanto:

 Il problema di scambio termico risulta piano (non vi è calore propagato nella direzione dell’asse)
 Il porblema è assialsimmetrico, per cui nulla cambia al variare dell’angolo di azimut, e quindi la
temperatura non può che dipendere solo dal raggio, T=T(r)
 Pertanto, ogni cilindro concentrico all’asse è una superficie isoterma, e per una corona cilindrica di
spessore dr infinitesimo possiamo assumere un unico valore di T=T(r)
 In virtù del postulato di Fourier, il calore si trasmette esclusivamente lungo la direzione radiale (ossia
ortogonalmente alle superfici isoterme)

Se le condizioni al contorno sono rappresentate dalle temperature


T2
superficiali T1 (interna) e T2 (esterna), note, e se il problema è
stazionario, poiché non può accumularsi energia in alcuna corona
circolare, sarà:
  r1
Q cond .cil . r   Q cond .cil .  cos t r

Per la monodimensionalità del problema, il postulato di Fourier è: r2


r2 T1
dT
Qcond .cil .    A  [w]
dr
dove A=2πr×L è la superficie cilindrica attraversata, in corrispondenza
della generica corona circolare infinitesima di raggio r.

A differenza di quanto non avvenisse nella parete piana, si nota che qui A dipende da r, e cresce man
mano che si considerano corone circolari via via più esterne e quindi lontane dall’asse del cilindro.
 dT
Nell’equazione: Q cond .cil .    A  [w] è possibile separare le variabili e passare all’integrazione
dr
tra la superficie interna e quella esterna del cilindro (le uniche due in corrispondenza delle quali conosco
le temperature):
 dT  dr
Q cond .cil .    2 rL   Q cond .cil .   2 L  dT 
dr r
r2  
Q cond .cil .    2 L  dT  Q cond .cil .  ln r  r12  2 L  T  T12 
dr T2
 
r T
r1 r T1

Questa è la ricercata espressione della


  T T
Q cond .cil .  ln  2 L  T1  T2   Q cond .cil .  2 L  1 2
r2 potenza termica che attraversa il mio
r1 r cilindro, quando tra le sue superfici
ln 2 interna ed esterna è applicata una
r1 differenza di temperatura T1-T2

L’analisi condotta sopra può essere ripetuta per uno strato sferico, semplicemente ponendo A=4π r2 e
pervenendo alla seguente espressione (che comunque avrà una rilevanza pratica molto inferiore a quella
dell’espressione ricavata per il cilindro):
 T1  T2 r2  r1
Q strato sferico  con: Rstrato sferico 
Rstrato sferico 4 r 1r2 

Entambe queste espressioni, per cilindri e sfere, sono state ottenute imponendo condizione al contorno
di Dirichlet (ossia, uno specifico valore della temperatura sulla superficie).
Cilindri e sfere con condizione al contorno convettiva*
Qualora ad essere note siano non più le temperature delle
facce interna ed esterna del cilindro, ma quelle del fluido che
scorre in esso e di quello che lo lambisce esternamente, si ha
ovviamente una serie di resistenze termiche in serie ed è
possibile calcolare la potenza termica trasmessa come:

 T1  T 2
Q
Rtotale
con:
1 lnr2 / r1  1
Rtotale  Rconv ,1  Rcil  Rconv ,2   
2 r1L  h1 2 L 2 r2 L  h2
e similmente, nel caso in cui ad essere lambita dai fluidi interno ed esterno sia una sfera, vale:

Rtotale  Rconv ,1  Rstrato sferico  Rconv ,2 


1

r2  r1   1
   
4 r12  h1 4 r1r2  4 r22  h2

* Per completezza, oltre alle tipologie di condizioni al contorno denominate "di Dirichlet" e
"convettiva", è frequente considerarne una terza, denominata "di Neumann", che consiste
nell’imposizione su una parete di un flusso termico costante (e quindi, visto il postulato di Fourier,
nell’imposizione di dT/dn=costante).
Cilindri e sfere multistrato
Nel caso in cui più cilindri o sfere (in genere di
materiale diverso, e quindi con diversi valori
di λ), rispettivamente coassiali e concentrici,
siano disposte una consecutivamente all’altra,
trattandosi di resistenze in serie esplicitabili,
ciascuna, secondo le relazioni già ottenute, si
può scrivere:
 T1  T 2
Q
Rtotale

Rtotale  Rconv ,1  Rcil ,1  Rcil ,2  Rcil ,2  Rconv ,2 


1 lnr2 / r1  lnr3 / r2  lnr4 / r3  1
    
2 r1L   h1 2 L1 2 L2 2 L3 2 r4 L   h2
e per strati sferici: Rtotale  Rconv ,1  Rstr .sferico ,1  Rstr .sferico ,2  Rstr .sferico ,3  Rconv ,2  ...
È ovviamente ancora possibile determinare una generica temperatura intermedia, a partire da una nota,
in funzione della potenza termica e delle resistenze interposte tra i due punti:
 T T T1  T2   1 ln r2 / r1  
Es.: Q  1 2   T2  T1  Q   
R fluido1r2 1 ln r2 / r1   h 2 r L  2  L  
 1 1 1
h1 2 r1 L  2 L1
Il raggio critico di isolamento
Nel caso di parete piana, l’aggiunta di isolamento riduce sempre la trasmissione di calore, in quanto l’area
di scambio termico A è costante e l’aggiunta di isolante quindi fa monotonicamente aumentare la
resistenza termica della parete ….

… al contrario, nel caso di tubo cilindrico o guscio sferico, l’isolamento addizionale fa senz’altro aumentare
la resistenza conduttiva, ma riduce la resistenza convettiva esterna in quanto aumenta l’area della
superficie di scambio termico convettivo con il fluido esterno.

Si assuma come riferimento un cilindro, di raggio esterno r1, che supponiamo si voglia isolare
tramite la collocazione al suo esterno di uno strato isolante che avrà ovviamente raggio interno r1 e
raggio esterno r2 ….

… immaginiamo che la temperatura T1 esterna del


cilindro da isolare sia mantenuta costante … ipotesi
spesso realistica, se ad esempio si tratta di un tubo
metallico (quindi pressochè privo di salto termico tra
interno ed esterno) che trasporta un fluido con
elevata conducibilità … in tali casi, T1 non sarà troppo
dissimile da T∞1.

… come vedete, nessun aspetto termico relativo al tubo


è incluso nel problema … l’attenzione è posta sul solo
isolamento, per comprendere gli effetti che induce!
Chiariamo, con riferimento all’espressione della
potenza termica, quanto enunciato poc’anzi:

 T1  T 2 T1  T 2
Q 
Risol .  Rconv lnr2 / r1   1
2L h  2 r2 L 
Cresce al
crescere di r2 Decresce al
crescere di r2

Si può analiticamente osservare che la funzione potenza termica


(e quindi quella Rtotale) possiede sempre un valore r2 estremante
(da verificare se si tratti di un massimo o un minimo).

dRtotale
L’approccio analitico è ben più semplice se si studia in luogo di d Q , in quanto si evita lo
dr2 dr2
sviluppo di derivate un minimo più laboriose. Si ha allora:
L’uguaglianza a 0
nasce dall’obiettivo
dRtotale d  lnr2 / r1  1  1 r1 1 1  1 di determinare
          2   0 l’estremante, che è
dr2 dr2  2 L 2 hL  r2  2 L r2 r1 2 hL  r2  tale (pur se inverso)
anche per la
1 1  Con lo sviluppo analitico della funzione o con potenza termica.
  0  r2  (m) la derivata seconda si verifica che Rtotale ha lì
 h  r2 h un minimo e Q quindi un massimo!
Si può osservare come, facendo aumentare r2 a partire da r1
(valori inferiori non hanno significato, poiché l’isolante è
posto al di fuori del tubo … non si confonda r2 con lo
spessore dell’isolante!!!), la potenza termica dispersa
dapprima aumenta (!!) per poi, arrivati in corrispondenza
del raggio critico cui compete la massima potenza dispersa
possibile, cominciare a ridursi.

Se si desidera isolare, ossia ridurre le dispersioni termiche,


ciò è conveniente solo se si aggiunge, con riferimento alla A
figura, uno strato cilindrico di isolante con raggio superiore
ad rA!

Problemino:
Si desideri isolare una tubazione in acciaio (λacciaio=54 W/(m°C)) rA
entro cui fluisce un liquido in ebollizione (h1=7400 W/(m2°C)), - Si osservi che i dati sulla
di spessore pari ad 1 mm e diametro esterno pari a 3,4 cm. conducibilità dell’acciaio e sul
L’isolante in esame è lana (λlana di vetro=0,040 W/(m°C)). Il tubo coefficiente convettivo interno non
sia immerso in aria (h2=5 W/(m2°C)) sono stati considerati
Si valuti la convenienza ad effettuare l’isolamento o meno. - Si provi a tracciare il grafico di cui
sopra per la situazione in esame
 0,040 - Si osservi come è in ogni caso
r2    0,008 (m)  8 mm conveniente, dal punto di vista della
h 5 riduzione di Q, l’aggiunta di isolante
per il caso in esame!
Con riferimento allo scambio termico tra un fluido ed una superficie solida, l’Eq. di Newton:

Q conv  h A Ts  T 
si osserva che, per aumentare la potenza termica scambiata, qualora le temperature Ts e T∞ siano, come
accade in genere, vincolate dalle condizioni al contorno, si può agire solo:
 Aumentando h, ad esempio aumentando tramite pompe o ventilatori la velocità del fluido (ma si
aumentano conseguentemente le perdite di carico ed i costi, ed inoltre ricordando come la
convezione sia una sorta di conduzione potenziata dal flusso di materia, se il fluido è poco conduttivo
i valori di h rimarranno limitati)
 Aumentando A, cosa che si fa tramite l’adozione di superfici estese, denominate alette, spesso
prodotte per estrusione o tramite saldatura di materiale aggiuntivo

Lo studio analitico si basa sull’assunzione di condizioni stazionarie,


senza generazione di calore e si assume la conducibilità termica λ
del materiale costante.

Inoltre, ipotesi più gravosa, si assume h costante lungo tutta la


superficie dell’aletta. Ciò a rigore non è vero, in quanto h dipende
fortemente dal moto del fluido rispetto alla superficie, e quindi è in
genere molto minore alla base dell’aletta rispetto a quanto non sia
alla sua estremità.
Ecco che nasce il problema dell’ottimizzazione: qualora si
aumentasse eccessivamente la densità delle alette, il moto del
fluido potrebbe risultare "soffocato" ed avremmo quindi un effetto
opposto rispetto a quello auspicato.
Equazione dell’aletta
Per un generico volumetto di aletta di spessore ∆x, sezione
trasversale AC, perimetro p ed avente posizione x rispetto alla
base dell’aletta, nell’ipotesi di condizioni stazionarie si può
scrivere:

 potenza trasmessa   potenza trasmessa 


     potenza trasmessa 
 per conduzione nel   per conduzione fuori   
 volumetto in 
  dal volumetto in    per convezione dal 
     
 posizione x   posizione x  Δx   volumetto al fluido 
   

ossia:   
Q cond,x  Q cond,x Δx  Q conv


Q conv  h   px   T  T 
dove:

 
Q cond ,x  x  Q cond ,x
e sostituendo e dividendo per ∆x:  h  p  T  T   0
x

d Q cond
Passando al limite per ∆x→0, si ha:  h  p  T  T   0
dx
 dT
Peraltro, dalla legge di Fourier sappiamo che: Q cond  AC
dx
d  dT 
e quindi la precedente diventa: 
 CA   h  p  T  T   0
dx  dx 
Questa equazione, piuttosto complicata da risolvere quando AC ed il perimetro p dell’aletta dipendono
dalla posizione x, è di più semplice risoluzione quando si considerino alette a sezione trasversale
costante e con conducibilità termica costante.

Infatti, una volta introdotta una variabile θ=T-T∞, denominata eccesso di temperatura, l’Eq. si può scrivere:

d 2T d 2 h p
AC 2  h  p  T  T   0  2  m 2  0 m 
2
dove
dx dx   AC
La soluzione generale di questa equazione differenziale lineare, omogenea, del secondo ordine ed a
coefficienti costanti è la combinazione lineare di due soluzioni linearmente indipendenti … per come è
stato sviluppato il modello, le due soluzioni linearmente indipendenti sono:
d1 d 21 d 2 d 2 2
1  e ...
mx
 me ... 2  m 2 e mx  m 21
mx
2  e  mx
...  me ... 2  m 2 e  mx  m 2 2
 mx

dx dx dx dx

Pertanto, la soluzione generale è:


 x   C1 e mx  C2 e  mx dove C1 e C2 vanno determinati tramite
l’imposizione di 2 condizioni al contorno.
Una condizione al contorno che conduce ad una semplice soluzione, seppur non realizzabile praticamente
è quella di aletta di lunghezza L così elevata da poter supporre la punta dell’aletta alla stessa temperatura
del fluido, ossia:
 L  TL  T  0 per L  0

Tra le funzioni emx ed e-mx, la soluzione generale non può, in presenza di questa condizione al contorno,
includere il termine emx che per x→∞ tende anch’esso ad infinito. La condizione al contorno di cui sopra ci
dice quindi che deve essere:

C1  0 e quindi:  x   C2 e  mx
La condizione al contorno alla radice dell’aletta

 0  b  C2  em0  C2
ci porta quindi a trovare C2:

e quindi:
 x  mx La temperatura lungo l’aletta
 x   b  e mx  e decresce esponenzialmente
b da Tb a T∞.
ossia: Ciò comporta che la parte

T x   T
h p dell’aletta più prossima alla
 x
  AC
 e  m x  e radice è molto più efficace,
Tb  T in termini di potenza
trasmessa, della zona più
lontana!
Efficienza dell’aletta
Consideriamo un elemento di superficie Ab alla temperatura Tb, esposto al
contatto con un fluido a T∞. La potenza scambiata per convezione tra tale
elemento ed il fluido varrà:

Q  h  Ab  Tb  T 
Supponiamo ora che sulla sezione Ab sia applicata, con contatto
termico perfetto, un’aletta di sezione trasversale Ac=Ab e che lungo
l’aletta la trasmissione di calore avvenga, come ovvio, per Superficie senza aletta
conduzione, mentre tra superficie dell’aletta e fluido avvenga sempre
per convezione con il medesimo coefficiente convettivo h (supposto
non inficiato dalle mutate condizioni di efflusso del fluido).

Nel caso in cui la conducibilità λ del materiale che costituisce l’aletta


sia infinita, la temperatura dell’aletta potrà essere considerata
uniforme e pari al valore che essa assume alla base dell’aletta, Tb.
Di ciò mi posso accorgere in diversi modi:

Superficie con aletta


Lungo la linea rossa, il
dT/dx deve esistere per
Nell’espressione di prima:
permettere il passaggio
T x   T
h p
della potenza termica da  x
 m x   AC
dissipare a valle … ma e e
Tb  T
solo se è finito,
altrimenti sarà dt/dx=0! se λ→∞, T(x)=Tb per ogni x>0.
Tale aletta "ideale", di conducibilità infinita e quindi isoterma, disperderà una potenza termica "massima":

Q aletta,max  h  Aaletta  Tb  T 
In realtà, poiché la temperatura dell’aletta diminuisce lungo il suo sviluppo, lo scambio termico reale
dell’aletta sarà sempre inferiore a tale potenza massima, perché localmente la driving force per lo scambio
convettivo sarà T(x)-T∞<Tb-T∞!

Si definisce pertanto un’efficienza dell’aletta, data dal rapporto:



Q aletta potenza termica reale trasmessa dall' aletta
 aletta  
 1
Q aletta,max potenza termica ideale trasmessa dall' aletta
se tutta l' aletta fosse alla temperatura della base

Se si è in grado, tramite espressioni analitiche o sviluppate in formato grafico o tabulare, di trovare ηaletta,
la potenza realmente dissipata si calcolerà tramite l’espressione inversa:
 
Q aletta,max   aletta  Q aletta,max   aletta  h  Aaletta  Tb  T 

Tipiche Tipiche
soluzioni soluzioni
in forma in forma
analitica: grafica:
Efficacia dell’alettatura
Le alette si usano per aumentare lo scambio termico, ma il loro uso su una superficie può non essere
conveniente se il miglioramento non giustifica il costo addizionale, le accresciute perdite di carico nel
fluido, ecc.
Inoltre non vi è, a priori, sicurezza che l’aggiunta di alette produrrà un incremento dello scambio termico,
e si introduce quindi un parametro, l’efficacia dell’aletta εaletta, che provi a quantificare l’effetto connesso
all’aggiunta dell’aletta:
potenza termica trasmessa
 
Q aletta Q aletta dall' aletta di area di base A b
 aletta   

Q senza aletta hAb Tb  T  potenza termica trasmessa
dalla superficie di area A b
Si può verificare che risulti:
 εaletta=1 – L’aggiunta di alette non influisce affatto sullo scambio termico
 εaletta<1 – L’aletta di fatto agisce come un isolante. Questa situazione, in
genere non riscontrata nella realtà, si può avere se l’aletta è realizzata
con materiale poco conduttore
 εaletta>1 – Le alette contribuiscono ad aumentare lo scambio termico tra
superficie e fluido
Pur indiando concetti diversi, c’è una semplice relazione tra εaletta ed ηaletta:
 
Q aletta Q aletta   hAaletta Tb  T  Aaletta
 aletta    aletta   aletta

Q senza aletta hAb Tb  T  hAb Tb  T  Ab
Per l’aletta infinitamente lunga esaminata per il calcolo di un profilo teorico di temperatura, si otterrebbe:

Q aletta  p
 aletta molto lunga  
 ... 
Q senza aletta h  Ac
Deduciamo da tutto quanto visto che:
 La conducibilità termica λ del materiale che costituisce l’aletta deve essere più elevata possibile. Ciò
spiega perché le alette sono in genere realizzate in rame, alluminio, ecc.
 Il rapporto tra perimetro p ed area della sezione dell’aletta Ac, p/Ac, deve essere il più elevato
possibile. Pertanto si realizzano spesso alette a lamina sottile o a spillo

 L’uso delle alette è più efficace nelle applicazioni in cui si


ha un coefficiente convettivo h molto basso!! Pertanto
l’uso delle alette è molto più giustificato, ad esempio,
quando il fluido è un gas (rispetto al caso di un liquido) o
quando il fluido è stagnante (convezione naturale) piuttosto
che messo energicamente in movimento da una forzante
esterna (convezione forzata)

Il progettista deve fare attenzione alla giusta lunghezza dell’aletta.


Poiché la temperatura dell’aletta decresce esponenzialmente, la
parte di altezza oltre una certa distanza dalla base non
contribuisce allo scambio termico, e rappresenta spreco di
materiale, aumento di peso ed ingombro ed immotivato ostacolo
al flusso di fluido, riducendo il coefficiente convettivo.
La convezione forzata in flusso esterno su lastra piana
Chiariamo innanzitutto la distinzione tra convezione forzata e convezione naturale. Tale distinzione è
basata sulla causa che origina il moto:

 Nella convezione forzata il fluido è costretto a scorrere su una superficie o in un condotto da


dispositivi o fenomeni esterni, come una pompa, un ventilatore o il vento. Tale moto è quindi
presente indipendentemente dalla temperatura a cui si trovano la piastra ed il fluido

 Nella convezione naturale il moto del fluido è dovuto al fenomeno del galleggiamento, che provoca
la risalita del fluido più caldo (ad esempio in prossimità di una parete calda) rispetto a quello più
freddo, per effetto della variazione di densità con la temperatura. Quindi, poiché tale moto è indotto
direttamente dallo scambio termico, esso si presenta solo se il fluido lambisce una parete a
temperatura diversa dalla sua temperatura indisturbata, e non è dovuto ad alcuna forzante esterna.

Nel testo il capitolo in esame è molto corposo, perché vengono simultaneamente introdotti tutti i
concetti legati all’interazione termica e fluidodinamica tra la corrente fluida e la lastra piana.

Invero, noi abbiamo già affrontato i fenomeni fluidodinamici, che qui richiamiamo brevissimamente:

 Strato limite meccanico, ossia regione in cui si risente del disturbo della piastra in termini di velocità
dei filetti fluidi, definito convenzionalmente come regione delimitata da una linea che rispetta la
condizione w(y=δ(x))=0,99 w∞.
 Condizione di scorrimento nullo alla parete, ossia profili di velocità in ogni generica sezione
trasversale a distanza x dal bordo di attacco tali che w(y=0)=0
 Transizione da strato limite laminare a turbolento in corrispondenza di una ascissa critica xcr tale che
risulti, in essa, Recr=5×105
Noi invece esamineremo adesso tutte quelle grandezze che interessano il fenomeno dello scambio
termico convettivo (o questo unitamente ai fenomeni fluidodinamici), governato dall’Eq. di Newton:

Q conv  h  Asup  Tsup  T  W  q conv  h  Tsup  T   2 


 
W
m 
Flusso termico specifico, spesso
più comodo da studiare perché
riferito all’unità di superficie

Si osservi che la condizione di scorrimento nullo ha implicazioni non solo fluidodinamiche, ma anche
termiche. Infatti se il filetto fluido più prossimo alla piastra è fermo, non può che essere, a regime
stazionario, alla stessa temperatura della piastra (abbiamo visto più volte perché il profilo di
temperatura non può avere né salti, né punti angolosi)…

Inoltre poiché il primo filetto fluido è fermo, attraverso di esso il calore fluisce dalla piastra al fluido per
conduzione, ossia deve valere:   T
q conv  q cond   fluido 
y y 0

dove T rappresenta la funzione temperatura in seno al fluido e T y y 0 indica il gradiente del
profilo di temperatura all’interfaccia tra solido e fluido.

Pertanto, il flusso termico scambiato per conduzione tra parete e fluido altro non è che il flusso
termico conduttivo scambiato dalla superficie solida con lo straterello di fluido ad essa adiacente.
Dall’eguaglianza tra le due espressioni del flusso convettivo si ricava:

T  fluido  T y y 0
h  Tsup  T    fluido  h
y y 0
Tsup  T
Quest’espressione, pur corretta, non viene praticamente utilizzata per il calcolo di h perché non
conosciamo nel dettaglio la funzione T=T(y), che peraltro varia da sezione a sezione, e quindi non possiamo
calcolarne la derivata …

… l’approccio pratico che si segue è quello basato sulla derivazione di risultanze sperimentali …e poiché
come già visto per Δpl, anche il coefficiente convettivo dipende da numerosi parametri (tra cui μ, λ, ρ, cp,
w∞, L), il problema viene nuovamente approcciato tramite l’uso di parametri adimensionali …
Il parametro utilizzato per rendere adimensionale il coefficiente h è il numero di Nusselt:

h  Lc
W
m in cui λ è la conducibilità termica

Nu   W   Nu 
2
m C del fluido ed Lc è una grandezza
 caratteristica del problema.
m 2 C
Interpretazione fisica di Nusselt
Consideriamo uno strato di fluido di spessore L
tra due superfici, sottoposto ad un ΔT=T2-T1.

Fluido in quiete: scambio per conduzione Fluido in moto: scambio per convezione
 T 
q cond  q conv  h  T
L
Dal rapporto tra le precedenti relazioni si ha:

q conv h  T h  L
   Nu

T 
q cond 
L
Il numero di Nusselt, quindi, rappresenta l’incremento della potenza termica trasmessa per convezione
attraverso uno strato di fluido rispetto a quella trasmessa per convezione attraverso lo stesso strato.

Un valore di Nu pari a 1 indica che la trasmissione del calore avviene per conduzione (non vi è incremento
di potenza per effetti convettivi, ossia legati al trasporto di massa), mentre valori di Nu elevati indicano un
fenomeno convettivo sempre più intenso ed efficace nell’aumentare la potenza termica trasmessa.

Tuttavia non bisogna esasperare il significato fisico del valore numerico del numero di Nusselt … infatti,
la definizione di sopra era volta a farne intuire un significato fisico, ma è stata derivata per una specifica
geometria: strato fluido di spessore L, assunto come grandezza caratteristica!

Invece l’Lc inserito nella generica espressione di Nusselt è una grandezza caratteristica generica, che è
scelta in maniera differente per ogni geometria (a) in modo da identificare una lunghezza che influenza
il fenomeno dello scambio termico e (b) in modo che sia specificata, per ogni serie di correlazioni
sperimentalmente ricavate, così che la comunità scientifica sappia come usare le correlazioni per
calcolare Nu e poi, tramite questo, h.

Per la piastra piana, ad esempio, la lunghezza caratteristica è quella L della piastra, ed è una situazione ben
diversa da quella dello strato di fluido, perché L qui non è nella direzione della propagazione del calore …
quindi non interpretate un Nu=1,73 come un’indicazione che la potenza trasmessa per convezione è del
73% superiore a quella trasmessa per conduzione!
Lo strato limite di temperatura
Esattamente come in seno al fluido che lambisce la piastra si crea una regione in cui il fluido risente del
disturbo di velocità connesso alla presenza della piastra, così esiste una regione in prossimità della piastra
in cui questa influenza il profilo di temperatura in seno al fluido. Tale regione si chiama strato limite
termico o di temperatura.

Indicato con δt(x) lo spessore dello strato limite in corrispondenza di una generica distanza x dal bordodi
attacco, si verifica ancora che δt(x=0) =0 (cioè lo spessore dello strato limite è nullo al bordo di attacco) e
crescente con x (perché nel verso di avanzamento del fluido, il disturbo termico della piastra va pian
piano propagando i suoi effetti verso filetti fluidi più lontani. Occorre tuttavia una definizione
convenzionale di δt(x), esattamente come visto per lo strato limite meccanico o di velocità:
T ( x )  Tsup
 t ( x )  y( x ) |
T  Tsup
 0,99 ossia: 
T ( y , x )  Tsup  0,99  T  Tsup 
Si osservi come non si sia imposto: T  t  x   0 ,99  T
come nello strato meccanico, dove si era fissato:
w  x   0 ,99  w
Ciò perché è diversa la condizione al contorno che pone la δm
piastra (non più w(y=0)=0, bensì T(y=0)=Tsup!
Il significato dello spessore di strato limite permane: la
distanza dalla piastra alla quale il fluido ha coperto il 99%
della variazione delle sue proprietà (w o t) dalla condizione
di contatto con la piastra a quella dei filetti indisturbati!
δm
Nella figura di prima sono mostrati i profili di
temperatura tipici, in una sezione, per il caso
con T∞>Tsup.
In questa figura, invece, è mostrato il tipico
profilo di temperatura in una sezione nel caso
in cui valga T∞<Tsup.

Nelle due figure è mostrato anche l’andamento della linea convenzionale che delimita lo strato limite
meccanico.
In maniera del tutto casuale (e quindi senza nessuna relazione col fatto che in un caso la piastra sia più
fredda e nell’altro più calda della corrente fluida!) si è mostrato come lo strato limite meccanico possa
essere più ristretto o più esteso di quello termico.

Ma da cosa dipende la relazione tra gli andamenti di questi strati limite, ossia quando il disturbo
connesso all’influenza meccanica della piastra sul moto dei filetti si propaga maggiormente del disturbo
termico connesso alla presenza della piastra ad una a figura di prima sono mostrati i profili di temperatura
tipici, in una sezione, per il caso conTsup≠ T∞>?

Introduciamo un ulteriore numero adimensionale di grande importanza, il numero di Prandtl:

v diffusività molecolare della quantità di moto


Pr  
 diffusività molecolare del calore
Tali due diffusività sono definite come:
m W J
kg  m2 
 m2   m2
  v  s       m C  s 
 kg s   cp kg

J J s
m3 m 3 kg C
Il significato di tali due grandezze è assolutamente intuitivo: esse rappresentano la tendenza del fluido a
propagare nello spazio, rispettivamente per effetto della viscosità dinamica e della conducibilità termica,
il calore; al denominatore delle due diffusività vi sono delle componenti collegate all’inerzia alla
propagazione della quantità di moto e del calore. Si rifletta su queste espressioni.

Poiché il calore si diffonde molto più velocemente della quantità di


moto nei metalli liquidi (Pr<<1) e molto più lentamente neglio oli
(Pr>>1), lo strato limite di temperatura è molto più spesso di quello di
velocità per i metalli liquidi e molto più sottile per gli oli.

Ancora una volta, si eviti di spingere questa assunzione allle estreme


conseguenze, deducendo che un valore di 1,3, ad esempio per l’acqua in
determinate condizioni, implichi che δw/δt=1,3.
Nel calcolo dei suddetti parametri, occorre considerare lo stato del fluido, che influenza i parametri
termofisici e che varia con continuità all’interno dello strato limite. Per il calcolo delle proprietà si
introduce la temperatura di film, definita come:
Tsup  T
T film 
2
Nello studio dello scambio termico si deducono teoricamente espressioni del numero di Nusselt locale o,
tramite integrazioni, globale, con parametri calcolati tutti alla temperatura di film e nei quali i valori delle
costanti devono essere verificati sperimentalmente. Le espressioni per una parete piana sono del tipo:

Nu  C  Re m  Pr n
Le espressioni analitiche ottenute, con riferimento al problema termico, sono le seguenti:
hx x
Nux   0,332  Re x0 ,5 Pr1 3 laminare

hx x
Nux   0,0296  Re x0 ,8 Pr1 3 turbolento

Essendo Re basato su x, si osserva che hx viene a essere
proporzionale a x-0,5 per regime laminare, con valore
teoricamente infinito al bordo di attacco e decrescente con la
radice della distanza dallo stesso.
La transizione al regime turbolento provoca un repentino
incremento di h, che decresce poi con x secondo il fattore x-0,2.

Il numero di Nusselt medio sull’intera piastra vale:


hL
NuL   0,664  ReL0 ,5 Pr1 3 laminare (ReL<5×105)

hL
Nu   0,037  Re L0 ,8 Pr1 3 turbolento
 0,6<Pr<60
(5×105<ReL<107)
Convezione forzata interna: correnti fluide entro tubi

Abbiamo visto come, nel caso di moto entro tubo, non sussistano condizioni di sufficiente distanza
(infinita) dalla parete perché il fluido sia indisturbato, per cui si usa come riferimento una Tmed, tale che in
ogni sezione trasversale la quantità:
 
E fluido     c p  T r   ur  dAc  m c p  Tmed
AC
sia una misura del flusso di energia associato alla corrente fluida in moto.
In trasmissione del calore, infatti, se tutto va qualitativamente un po’ come già visto in fluidodinamica
delle correnti entro tubi, è pur vero che lungo la parete il fluido va scambiando calore …
… per cui non ha senso, ad esempio, chiedersi… ma la T al centro assume valore maggiore di quella
all’inizio, in virtù della formazione di un profilo pseudoparabolico di temperatura … NO, perché nella
fluidodinamica a farci dedurre queste cose era la conservazione della portata … qui non vi è (se il tubo
non è adiabatico), nel qual caso Tparete=Tcentro, alcuna conservazione dell’energia in seno al fluido!
Ancora una volta, la condizione di filetti fluidi fermi sulla parete del tubo ci dice che nella regione
termicamente sviluppata* si può scrivere: Termine che si mostra indipendente

  T r r  R
da x, in quanto se avanzando lungo
T
 
 
l’asse del tubo il fluido perde
q conv  hx  Tsup  Tmed  q cond   fluido   hx 
r r R Tsup  Tmed energia, è vero che decresce il
numeratore ma lo stesso fa il
denominatore … questo è un
Sebbene questa relazione non sia affatto comoda per il calcolo di h rapporto che dipende da un profilo
(come avveniva per la lastra piana), essa ci fa notare come il coefficiente di temperatura adimensionalizzato.
Dimostrazione nel libro non
convettivo locale non varia con x, e quindi come esso sia costante. necessaria!

Anche nel moto entro tubi, in flusso laminare il numero di Prandtl


è una misura dell’accrescimento relativo degli strati limite di
temperatura e di velocità. Ovviamente, lo strato limite che cresce
più rapidamente è quello che raggiunge prima la condizione di
pieno sviluppo del profilo in sezione.

Limbocco ,la min are  0,05 Re  D Lt imbocco ,la min are  0,05 Re  Pr D

Nel flusso turbolento, il rimescolamento nasconde gli effetti della


diffusione molecolare e le lunghezze termica ed idrodinamica sono
prossime tra loro ed indipendenti da Prandtl:

Lidrod .turbolento  Ltermico ,turbolento  1,359  D  Re1/ 4  Li ,la min are


Nel flusso turbolento la lunghezza di imbocco è molto minore di quella nel laminare, e
questo era intuitivo. In molti casi di interesse pratico si può considerare il flusso turbolento
sviluppato ad una distanza dall’imbocco nell’ordine dei 10 D.
Analisi termica
In assenza di scambi di lavoro, l’Eq. dell’energia per un volume di controllo in
seno al tubo si scrive:
 
Q  m c p  Tu  Te 

dove Te e Tu sono
. le temperature medie del fluido all’ingresso ed all’uscita del
tubo, mentre Q è la potenza scambiata attraverso le pareti.

.
Rispetto a quanto facevamo all’inizio del corso, adesso per noi Q non è più un oggetto misterioso, ma un
flusso termico che calcoliamo integrando sulla superficie un flusso termico specifico (o superficiale):

  W

q  hx  Tsup  Tmed  2
m 
Il problema viene approcciato ponendo un paio di più significative condizioni al contorno, ossia:

1. Temperatura superficiale costante (Tsup=cost): tale condizione si realizza con sufficiente


approssimazione quando, ad esempio, sulla superficie esterna di un tubo si ha un cambiamento di
fase come l’ebollizione o la condensazione
.
2. Flusso termico superficiale costante (q=cost): tale condizione approssima bene quelle situazioni
in cui il tubo è riscaldato, per irraggiamento o con resistenza elettrica, in modo uniforme in tutte
le direzioni
.
Flusso termico superficiale costante (q=cost) Zona d’imbocco,
. con h variabile
Nel caso di q=cost, la potenza termica è espressa come:
  
Q  q Asup  m c p  Tu  Te  W 

La temperatura media del fluido all’uscita del tubo risulta:



q Asup
Tu  Te  
m c p
Si nota come la temperatura media del fluido aumenta linearmente
nella direzione del moto, in quanto lo stesso fa l’area di scambio
Asup (pari al perimetro per la lunghezza percorsa del tubo).

La temperatura superficiale, in corrispondenza di ogni sezione, si


può calcolare come: 

 
 q
q  h  Tsup  Tmed  Tsup  Tmed 
h
Nella regione sviluppata Tsup cresce linearmente nella direzione del flusso, perché h è costante
(compatibilmente con le variazioni delle proprietà termofisiche del fluido) …

La pendenza della Tmed e della Tsup su un diagramma T-x è facilmente determinata dal bilancio dell’energia:

  q p
m c p dTmed  q  p dx 
dTmed
 
dx
m cp
Sono determinare, per via teorica nel caso di regime di moto laminare (come visto per il calcolo dei fattori
di attrito), i numeri di Nusselt per entrambe le tipologie di condizioni al contorno imposte:
1. Condizione di flusso termico specifico costante, moto laminare:
hD
NuD   4,36

2. Condizione di temperatura superficiale costante, moto laminare:
hD
NuD   3,66

Tuttavia, di ben maggiore interesse pratico sono le correlazioni sviluppate per i fluidi in moto turbolento
all’interno di condotti (Re > 10000) … tra queste quella di gran lunga più nota è la seguente:

h D  0,7  Pr  160
NuD   0,023  ReD0 ,8  Pr n  
- n=0,4 per fluido in riscaldamento
  Re  10000 
- n=0,3 per fluido in raffreddamento

Questa è nota come Equazione di Dittus-Boelter, la quale somiglia molto all’Eq. di Colburn, da cui
differisce solo perché quest’ultima fissa n=1/3 sia per il riscaldamento che per il raffreddamento di fluidi.
Il libro presenta poi un’ampia gamma di correlazioni valide per spcifiche applicazioni, specifici valori delle
proprietà termofisiche dei fluidi o specifiche regioni del tubo (ad esempio quella d’ingresso).

Non esistendo nel nostro caso una T, allorquando non sussiste una notevole differenza di temperatura
tra parete e fluido, i valori delle proprietà sono spesso calcolati alla temperatura media del fluido tra
ingresso ed uscita, Tm=(Te+Tu)/2
Convezione naturale
In numerosissime situazioni pratiche osserviamo un corpo che,
immerso in un fluido inizialmente stagnante ed a temperatura più
elevata o più bassa rispetto alla propria, riceve o cede calore per
convezione.

Se il corpo, ad esempio l’uovo caldo in figura, fosse circondato


da un fluido impossibilitato al moto, ben presto lo strato di fluido
adiacente al corpo si riscalderebbe e lo scambio termico
avverrebbe, per mera conduzione, tra il corpo caldo ed il fluido
caldo che lo circonda, risultando decisamente poco efficace.

Accade invece che il fluido, più caldo o più freddo di quello a


notevole distanza dalla superficie calda o fredda, viene ad avere
significativa differenza di densità rispetto a tale fluido indisturbato a
T∞, così che si possano innescare, per effetto di galleggiamento,
fenomeni di moto detti correnti di convezione naturale, che
agiscono nella direzione di un ricambio del fluido caldo o freddo
vicino alle pareti con fluido «nuovo» …

… tale ricambio favorisce quindi un incremento della potenza


termica, che si dice scambiata per convezione naturale.
L’approccio quantitativo allo studio della convezione naturale richiede che si espliciti il valore della forza di
galleggiamento cui è soggetto un elemento (solido o fluido che sia) immerso in un determinato fluido:

Fgall   fluido  g Vcorpo Spinta di Archimede

Il bilancio di forze di un corpo, parzialmente o totalmente immerso in un fluido, fornisce quindi:

Fnetta  P  Fgall  corpo  g Vcorpo   fluido  g Vcorpo  corpo   fluido  g Vcorpo

La forza netta è quindi proporzionale alla differenza tra la densità dell’elemento/corpo in esame e quella
del fluido in cui è immerso.
Questo principio è utilizzato in tantissimi sistemi, e governa fenomeni quali
il galleggiamento delle imbarcazioni (peso imbarcazione < peso volume
d’acqua della parte sommersa), lo smaltimento dei fumi caldi per effetto
camino, ecc.
Poiché nei problemi di nostro interesse l’effetto di galleggiamento è indotto
da una differenza di temperatura tra il fluido che risente del disturbo
termico della parete (con Tsup>T∞ o Tsup<T∞ ), è utile caratterizzare la
tendenza del fluido a cambiare la sua densità al variare della temperatura.

Si introduce quindi un coefficiente di dilatazione cubica (o volumetrica) β:

1  V  1     1 
        
V  T  p   T  p  K 
Nel nostro caso, il gradiente fondamentale che spinge al galleggiamento è la differenza tra la densità ρ∞
che il fluido presenta a distanza "infinita" dalla parete e quella ρ che il fluido presenta ad una generica
temperatura T in prossimità della parete. In tali casi può essere utile esprimere β, in maniera
approssimata utilizzando differenze finite:
1  1   
   a p costante
 T  T  T
e quindi:         T  T  a p costante
E’ evidente come la differenza di densità (commisurata alla forza di galleggiamento):
1. Aumenta con la differenza di temperatura T∞-Tsup
2. Aumenta con il coefficiente di dilatazione cubica β
Il coefficiente di dilatazione cubica ha un’espressione agevole da calcolare per i gas perfetti:

 RT
 pv  RT  v 
 p

1 v
  
p R 1
  a p costante
 gas ideale v T RT p T

Omettiamo nella nostra trattazione la derivazione analitica dell’Eq. del moto del fluido per effetto del
fenomeno di galleggiamento indotto dallo squilibrio termico.
Adotteremo quindi un approccio descrittivo-interpretativo, piuttosto che un’accurata rappresentazione
fenomenologica.
Descrizione qualitativa del problema termofluidodinamico
Il problema in esame è di più intuitiva rappresentazione con
riferimento ad una parete verticale, in cui si instaura una regione
disturbata dalla superficie, o strato limite, di agevole
rappresentazione dal punto di vista qualitativo.

La rappresentazione sarebbe ben meno agevole con riferimento ad


una superficie orizzontale, nel qual caso si ha in realtà una diffusa ed
irregolare vorticosità in prossimità della parete.

Si osserva:
 La formazione di uno strato limite, di forma simile a quella osservata
per la convezione su piastra piana, il cui bordo d’attacco (sezione con
δ=0) può tuttavia essere in alto o in basso, a seconda che la parete sia
più calda o più fredda rispetto alla parete, ossia Tsup>T∞ o Tsup<T∞
 Osserviamo il tracciamento di un solo strato limite … è quello
termico o quello meccanico? Entrambi!!! Infatti, in questo caso il
moto è determinato dall’esistenza del gradiente termico, e quindi il
moto cessa (w=0) dove cessa il gradiente di temperatura … si osservi
che la condizione al contorno dello strato limite in questo caso è w=0
(in quanto in questo caso w∞ =0)
 Attenzione alla forma del profilo di velocità e del profilo di
temperatura (a rischio di errore quello in figura) per i casi Tsup>T∞ e
Tsup<T∞
Approccio quantitativo al problema
L’omessa trattazione dell’eq. del moto ed una conseguente adimensionalizzazione della stessa equazione,
presentata dal vostro testo ma omessa nel nostro corso, consente di identificare un numero
adimensionale, denominato numero di Grashof, che determina le caratteristiche del moto (cosa che,
invece, in convezione forzata era affidata al numero di Reynolds!):
m 1
  
g    Tsup  T  L3c
3
K m
GrL   K2 2  
2
s
GrL 
2 
m s 
Si osservi come la presenza di g, β , ΔT al numeratore e ν al denominatore è, in qualche misura, intuitiva
… si rifletta ad esempio sull’assenza di scambio per convezione naturale al di fuori di un campo
gravitazionale, o come la viscosità si opponga al moto indotto dai gradienti di densità.

Il significato fisico del numero di Grashof, infatti, è quello di rapporto tra spinta
di galleggiamento e forza viscosa agenti sulla superficie dell’elemento di fluido.

Il numero di Grashof gioca, nella convezione naturale, il ruolo che il numero di


Reynolds giocava nella convezione forzata, determinando la transizione dal
regime di moto laminare a quello turbolento all’interno dello strato limite!

- Per piastre verticali, ad esempio, si osserva sperimentalmente che un valore


di Grashof critico è prossimo a 109, e che per Grashof più elevati il flusso che si
instaura è certamente turbolento.
Per pareti esposte all’esterno, si ha spesso il problema di capire se l’effetto del galleggiamento è
significativo, o se è dominato dall’esistenza di un campo di velocità w∞≠0, e se quindi ci troviamo di
fronte ad un problema di convezione naturale, forzata o mista naturale-forzata, si studia il rapporto:
Gr
 1 Convezione naturale
Re 2
Gr Gr
1 Convezione mista naturale-forzata
Re 2 Re 2
Gr
 1 Convezione forzata
Re 2

La trasmissione di calore per convezione naturale dipende dalla geometria della superficie e, come
intuitivo, anche dal suo orientamento!

Il problema, in virtù della natura piuttosto complessa del moto che si instaura, non è in genere
approcciato tramite formulazioni analitiche ma tramite studi sperimentali, sviluppati per ciascuna
geometria.
Pressochè tutte le relazioni empiriche semplici sono riconducibili alla seguente forma:
h  Lc
 C  GrL  Pr   C  Ra Ln
I valori delle costanti C ed n dipendono dalla geometria e
Nu 
n
dall’orientamento della superficie, e dal regime di flusso

dove si è introdotto il numero di Rayleigh, Ra, prodotto dei numeri di Grashof e Prandtl:

Ra L  GrL  Pr 
 
g    Tsup  T  L3c
 Pr
2
Tutte le proprietà termofisiche del fluido, utili alla
determinazione dei numeri adimensionali, sono
calcolate alla temperatura di film Tfilm=(Tsup+T∞)/2

Ra La ,b ,c  7.65  10 8
Interessante applicazione nel testo:

a) W
Data una piastra: Nu  113 .3  h  5.3 2  Qa  115 W
a a
m
 di geometria fissata (0,6 m × 0,6 m),
seconda faccia termicamente isolata
 con T∞ (30°C) e Tsup (90°C) fissate 
. b) W
Nu b  31 .75  hb  5.94  Q b
 128 W
Si calcoli la Q trasmessa per: m 2

a) Piastra verticale

b) Faccia calda rivolta verso l’alto W
c) Nu  15 .87  h  2.97 2  Qc  64 .2 W
c c

c) Faccia calda rivolta verso il basso m


Irraggiamento termico: introduzione
Un corpo caldo collocato in una camera a vuoto con pareti a temperatura
ambiente, si raffredda fino a raggiungere l’equilibrio termico con l’ambiente,
cedendo quindi calore …
… tale calore non può essere stto scambiato, tuttaia, né per conduzione né
per convezione, in quanto entrambi questi meccanismi non si possono
verificare nel vuoto, in quanto richiedono la presenza di un mezzo.
Pertanto, tale scambio termico è dovuto avverire attraverso un altro
fenomeno legato all’emissione di energia sensibile dal corpo: l’irraggiamento.

L’irraggiamento differisce notevolmente dai due fenomeni di trasmissione del calore già studiati (affini al
punto che abbiamo definito la convezione «una conduzione potenziata da effetti legati al trasporto di massa»):

1. L’irraggiamento può avvenire attraverso il vuoto, ossia non


necessita di un mezzo per aver luogo;
2. È la modalità di trasporto del calore più veloce, in quanto
avviene alla velocità della luce nel mezzo di trasmissione;
3. Mentre la trasmissione di calore per conduzione o convezione
ha luogo strettamente nel verso delle temperature
decrescenti, quella per irraggiamento può avvenire anche in
presenza di un mezzo di separazione più freddo rispetto ad
entrambi i corpi scambiantisi calore (esempio: radiazione
solare che attraversa gli strati esterni e freddi dell’atmosfera)
Cenni su fondamenti teorici
Nel 1864 Maxwell ipotizzò che cariche accelerate o correnti elettriche variabili
danno luogo a campi elettrici e magnetici in rapido movimento, detti onde
elettromagnetiche o radiazione elettromagnetica.
Tali onde elettromagnetiche trasportano, come tutte le onde, energia che come
osservato da Max Planck nel 1900, si trasferisce per "pacchetti discreti", detti
fotoni o quanti, ciascuno caratterizzato dalla frequenza v e dall’energia:
La radiazione di lunghezza
d’onda molto piccola possiede
e  h  
hc h  6,625  10 34 J  s 
fotoni a più elevata energia (e
quindi più pericolosi)
 Costante di Planck

essendo c la velocità della luce nel mezzo (dipendente dall’indice di rifrazione n del
mezzo stesso), alla quale si propaga la radiazione elettromagnetica, e λ la lunghezza
d’onda (anch’essa dipendente da n, mentre v non dipende da n)

Nell’ambito dell’intero spettro elettromagnetico, ossia intervallo di onde con


lunghezze d’onda comprese tra 10-10 μm e 1010 μm, di particolare interesse
sono i seguenti intervalli di lunghezze d’onda:
 0,1-100 μm : campo della radiazione termica, l’unica di interesse per la
trasmissione del calore, emessa a causa dei moti vibratori e rotatori delle molecole,
atomi ed elettroni di una sostanza
 0,39-0,78 μm (o 390-780 nm): campo della radiazione visibile (interno a quello
della radiazione termica!), composto da bande di colore dal violetto (0,39-0,44 μm)
al rosso (0,63-0,78 μm). Il campo della radiazione termica, fuori dal visibile al di là
della banda del rosso, si denomina “radiazione infrarossa”, mentre il campo fuori
dal visibile al di là della banda del violetto si chiama “radiazione ultravioletta”.
Essendo la T una misura dei moti vibratori e rotatori delle molecole che generano
la radiazione termica, ed essendo tali moti presenti in ogni corpo a T superiore
allo zero assoluto, la radiazione termica è continuamente emessa da tutta la
materia a T > 0 K, in maniera più intensa dai corpi a temperatura più elevata.

La radiazione solare, ossia quella elettromagnetica emessa dal Sole, è compresa


quasi tutta nella banda di lunghezze d’onda 0,1-3 m, e quindi:
- comprendendo tutta la regione del visibile, all’interno della quale ricade quasi la
metà dell’energia emessa. Emettendo radiazione nel campo del visibile, il Sole
viene denominato “sorgente di luce”
- emettendo parte della propria energia sotto forma di radiazioni
elettromagnetiche nel campo dell’infrarosso e dell’ultravioletto

La luce bianca corrispondente ad un flusso di radiazione elettromagnetica alle diverse lunghezze


d’onda corrispondenti a tutte le tonalità cromatiche, nell’esatta proporzione con cui si associa
l’energia nelle diverse bande di lunghezza d’onda all’interno della radiazione solare (es. prisma).

Il colore nero, invece, lo comprenderemo più avanti quando introdurremo il comportamento dei corpi rispetto alle
radiazioni elettromagnetiche su esse incidenti.

Il testo vi riporta una serie di spunti, per voi affascinanti per la comprensione della realtà, quali:
 La dannosità della radiazione ultravioletta ed il potere schermate che l’ozono, O3,
presenta rispetto alla sua notevole incidenza nella radiazione solare al di fuori
dell’atmosfera
La funzionalità del forno a microonde, basata sulla produzione di onde
elettromagnetiche con λ=102÷105 μm, riflesse dai metalli, trasmesse da vetro e plastica
ma capaci di trasmettere moto alle molecole d’acqua contenute nel cibo, riscaldandolo.
Essendo l’emissione legata al moto degli atomi dei corpi a T > 0 K,
l’irraggiamento è ovviamente un fenomeno volumetrico.
Tuttavia, per solidi opachi, esso è spesso modellizzato come fenomeno
superficiale, in quanto la radiazione emessa dalle zone interne è assorbita
entro pochi μm dal punto di emissione, e non può raggiungere la superficie.

La radiazione di un corpo nero


Un corpo a T> 0 K emette radiazione in tutte le direzioni ed in un vasto campo
di lunghezze d’onda, ma in maniera dipendente dalla lunghezza d’onda, dal
materiale del corpo, nonché dalla condizione e temperatura della superficie.
Al fine di semplificare l’analisi ed avere un riferimento unico, si definisce un corpo ideale, detto corpo
nero, identificato come perfetto emettitore ed assorbitore di radiazione.
L’attributo “perfetto” assume due diversi significati, con riguardo all’emissione ed all’assorbimento:

1. Il corpo nero è perfetto emettitore poiché emette (in maniera


diffusa, quindi uniformemente in tutte le direzioni), ad ogni
temperatura e lunghezza d’onda, la massima radiazione
rispetto a qualsiasi corpo reale
2. Il corpo nero è perfetto assorbitore poiché assorbe tutta la
radiazione incidente, indipendentemente dalla sua lunghezza
d’onda e dalla sua direzione
La potenza radiante emessa da un corpo nero, per unità di area superficiale, è detta potere emissivo del
corpo nero, ed è espressa dalla seguente relazione di Stefan (di derivazione sperimentale):

W
En T     T 4  2  … e non “energia emessa da un corpo
per irraggiamento”!!!
m 
dove σ=5,67 10-8 W/(m2K4) è la costante di Stefan-Boltzmann e T è la temperatura assoluta della
superficie. Si osservi come, per il valore molto piccolo di σ, ed in virtù del fatto che la potenza irradiata per
m2 aumenta con la 4° potenza di T, il fenomeno dell’emissione di radiazione termica diventa molto più
significativo alle elevate temperature (per questo non ci sentiamo investiti dalla radiazione dei banchi o
delle pareti, ma da quella solare)

Il corpo nero, se esistesse, apparirebbe alla nostra vista di colore nero … tuttavia dobbiamo distinguere
chiaramente i corpi che percepiamo come neri dal “corpo nero termodinamico” che abbiamo definito:
 Una superficie che assorbe tutte le radiazioni nel campo della lunghezza d’onda del visibile (0,39-
0,78 μm), ossia tutta “la luce”, appare ai nostri occhi nera … infatti, trattenendo tutta la radiazione
visibile che la investe, essa non permette che radiazione visibile giunga al nostro occhio e ciò dà la
percezione del colore nero*

 Il “corpo nero” che abbiamo definito, invece, assorbe tutte le radiazioni su esso incidenti a tutte le
lunghezze d’onda, anche al di fuori del campo del visibile. Pertanto, un corpo che ci appare nero può
benissimo comportarsi diversamente dal “corpo nero” da noi definito, se non assorbe interamente le
radiazioni elettromagnetiche al di fuori della banda del visibile.

* Un corpo che, alla luce naturale, ci appare bianco, riflette tutta la radiazione nel campo del visibile
Un corpo nero è ben approssimato da una grande cavità con una piccola apertura.
La radiazione entrante attraverso l’apertura di area A subirà infatti riflessioni
multiple sulla superficie interna della cavità, avendo così elevata probabilità di
essere interamente assorbita dalle superfici prima che possa uscire dall’areola A …

La legge di Stefan-Boltzmann fornisce il potere emissivo totale del corpo nero, En, che è somma della
radiazione emessa su tutte le lunghezze d’onda. Per diverse ragioni, tuttavia, è utile studiare il c.d. potere
emissivo monocromatico En,λ del corpo nero, ossia la potenza radiante emessa dal corpo nero per unità
di lunghezza d’onda:
dE T 
En ,  ,T   n
d

La relazione analitica che esprime l’andamento del potere emissivo monocromatico del corpo nero, al
variare di λ e T, è nota come legge della distribuzione di Planck:
 8  W  m 
4
C1  2 h c0  3,74177  10 
2

En ,  ,T  
C1  m2 
 
con:  
C2 T 
 e
5
1 
 1,43878  10 4 m  K 
h c0
C
 2 
k

Questa relazione è di estrema importanza, ed è valida per una superficie che emette nel vuoto o in un
gas, mentre è modificata sostituendo C1 con C1/n2 nel caso di emissione in un mezzo con indice di
rifrazione n.
Osserviamo che:
1. La radiazione emessa è una funzione continua
della lunghezza d’onda e che, fissata la T della
superficie emittente, all’aumentare di λ la
radiazione emessa prima aumenta, fino a un
picco, e poi decresce
2. Fissata λ, la radiazione emessa aumenta con T

3. All’aumentare di T le curve diventano più


ripide, e si spostano a sinistra nella zona
delle lunghezze d’onda più corte, per cui a
temperatura più elevata una frazione
crescente dell’energia è irradiata a basse λ
4. La radiazione emessa dal Sole, assimilabile
a corpo nero a circa 5800 K, raggiunge il
suo picco proprio nella zona visibile dello
spettro, in perfetta sintonia con la nostra
sensibilità visiva (è il nostro occhio che si è
adeguato al Sole). Superfici a T<800 K
emettono quasi interamente nella regione
infrarossa, ed il loro irraggiamento
termico non è quindi visibile all’occhio
umano (essi risultano visibili solo per la loro
riflessione di luce proveniente da altre sorgenti, ed
il loro colore è dovuto alla riflessione differente alle
varie λ)
La lunghezza d’onda alla quale si verifica il picco delle curve di emissione del corpo nero varia, con la
temperatura, in accordo con la legge dello spostamento di Wien:
Quindi vale che
  T max potenza  2897 ,8  m  K  max 
1
T
Riflettiamo sul legame tra l’energia complessivamente irradiata, misurata dal potere emissivo, e quella
monocromatica o spettrale … dalla definizione di En,λ si ha:
 W 
dEn T   En ,  ,T   d  En(T)   En ,  ,T   d    T 4  2 
0 m 
Pertanto il potere emissivo (detto “totale” perché esteso a tutte le lunghezze
d’onda!) ad una data temperatura ha, sul piano En,λ-λ, il significato grafico di area
sottesa dalla curva che descrive l’andamento del potere emissivo monocromatico.

Per ragioni pratiche, sono disponibili integrali (già tabellati) estesi a specifici intervalli di lunghezze d’onda:

 che è più comoda da trattare nella forma fλ(T), definita a


En ,0  (T)   E   ,T   d
0
n, seguire, che indica la frazione dell’energia che un corpo
nero a T irradia per lunghezze d’onda comprese tra 0 e λ.


 En ,  ,T   d
Si verifica che fλ dipende solo dal
prodotto λT, e quindi è possibile
f  (T)  0
tabellarlo come qui accanto.
T 4

ed ovviamente: f 1 2 (T)  f 2 (T)  f 1 (T)


Il comportamento dei corpi reali rispetto al fenomeno dell’irraggiamento
Emissività
Si definisce emissività ε di una superficie il rapporto tra la radiazione che essa emette e quella emessa
dal corpo nero alla stessa temperatura.
L’emissività dipende sia dalla lunghezza d’onda, che dalla direzione. Si dovrebbe quindi per una data
superficie o corpo definire una emissività monocromatica direzionale, ελ,θ, ma si preferisce utilizzare una
proprietà radiativa media, riferita a tutte le direzioni e pertanto detta emissività emisferica spettrale ελ:
E  ,T 
  ( ,T) 
En ,  ,T 

Si può altresì definire una emissività emisferica totale ε, che esprima il rapporto tra l’energia emessa per
irraggiamento in tutte le direzioni ed a tutte le lunghezze d’onda da una generica superficie/corpo ed un
corpo nero alla medesima temperatura:
E T  Valgono ovviamente le relazioni:
(T)  0≤ελ(λ,T)≤1 e 0≤ε(T)≤1
En T  in quanto abbiamo definito il corpo
nero come “perfetto emettitore”
Essendo il comportamento dei corpi rispetto alle
radiazioni elettromagnetiche, si cercano di adottare
semplificazioni … approssimando le emissività a
funzioni a gradino … ed introducendo schematizzazioni
di superfici ideali quali quelle grigie e diffondenti:
o Superficie diffondente: se le sue proprietà non
dipendono dalla direzione (lo sono i corpi neri)
o Superficie grigia: se le sue proprietà non dipendono
dalla lunghezza d’onda λ.
Il comportamento dei corpi reali rispetto alla radiazione incidente
Indichiamo con G la radiazione incidente su una superficie (perché
emessa da altri corpi) per unità di area e per unità di tempo (misurata
quindi in W/m2): tale quantità è detta irradiazione.

Quando tale radiazione colpisce una superficie, essa viene in parte


assorbita, in parte riflessa ed infine la rimanente parte è trasmessa
oltre, come mostrato in figura per un materiale semitrasparente.
Si definiscono pertanto:
radiazione assorbita Gass
 Coeff. di assorbimento:    ,0  1
radiazione incidente G
radiazione riflessa Grif
 Coefficiente di riflessione:    ,0   1
radiazione incidente G
Ovviamente:
radiazione trasmessa Gtr
 Coefficiente di trasmissione:    , 0   1      1
radiazione incidente G

Come già l’emissività, anche i coefficienti di assorbimento, riflessione e


trasmissione dipendono da λ della radiazione incidente, e vanno definiti come:
G   G   G  
      ,ass ;       ,rif ;       ,tr
G   G   G   

e si possono nuovamente calcolare valori medi di tali coefficienti, come: 


   G d
0
;   ...;   ...

 G d
0
La legge di Kirchoff
Il libro dimostra, tramite un semplice esperimento teorico (che non studieremo), il seguente principio,
denominato legge di Kirchoff: “Con riferimento alla radiazione proveniente da un corpo nero ad una
data T, per qualsiasi corpo il coefficiente di assorbimento emisferico totale alla stessa T eguaglia
l’emissività emisferica totale del corpo stesso”, cioè:
 ( T )  ( T )
Questa espressione, unitamente a quella valida per un corpo opaco (cioè avente τ=0):     1
ci fa comprendere come per un corpo opaco, ove fosse nota una sola tra le grandezze α(T), ρ(T) ed ε(T),
è possibile determinare il valore delle altre due.

Radiazione solare incidente al suolo


A fronte di una potenza media (perché
leggermente variabile per effetto del moto di
rivoluzione) incidente sul m2 di superficie
disposta ortogonalmente alla radiazione solare ed
ai limiti dell’atmosfera terrestre:
W
G  1353 Costante solare
m2
arriva al suolo una potenza ben inferiore, e molto
variabile, a causa degli assorbimenti (per bande,
da parte dei gas costituenti i diversi strati
dell’atmosfera) e delle riflessioni in eventuali
formazioni nuvolose.
L’effetto serra
Un’automobile lasciata al sole si riscalda ben al di sopra della Tambiente, a causa di un fenomeno connesso
all’irraggiamento e denominato “effetto serra”. La spiegazione del fenomeno è agevole, considerando
l’andamento del coefficiente di trasmissione τ(λ) del vetro, e confrontandolo con le curve di emissione
di un corpo nero alla temperatura del sole ed alla temperatura dell’abitacolo dell’auto:
Banda di λ corrispondente a buona parte
dell’energia reirradiata dall’abitacolo

Si osserva come il coefficiente


τ(λ) abbia un andamento ad U
rovesciata, con elevata
trasparenza del vetro a
lunghezze d’onda 0,3 μm < λ
<3 μm, ed una rapida
transizione al comportamento
di solido opaco a più elevate λ.

Il diverso comportamento del vetro, in relazione alle radiazioni nel visibile


e nell’infrarosso, genera una sorta di “trappola” per il calore, non
consentendo una reirradiazione efficace dall’abitacolo verso l’esterno.

Un simile fenomeno si ha, su larga scala, per il nostro pianeta: gas come la
CO2 ed il vapore d’acqua trasmettono la radiazione solare ma assorbono
Banda di lunghezze d’onda corrispondente
quella infrarossa emessa dalla superficie della Terra verso la volta celeste a buona parte dell’energia contenuta nella
(temperatura apparente del cielo compresa tra 6-8°C in condizioni di radiazione solare incidente
estrema nuvolosità, a -50 °C circa per cielo perfettamente limpido)
Premesse allo scambio termico tra superfici: i fattori di vista
È esperienza comune che ponendosi in prossimità di un fuoco, se un oggetto scherma alla nostra vista la
fiamma, il flusso termico verso di noi si riduce repentinamente … ciò in quanto le radiazioni elettromagnetiche,
propagandosi, incontrano l’ostacolo frapposto tra noi e la fiamma e vengono lì parzialmente o interamente
assorbite o riflesse ….
In parole povere, potremmo dire che la sorgente di radiazione elettromagnetiche “non vede” il nostro corpo, e
quindi una frazione nulla dell’energia da essa emessa ci investe …

Tale principio vale, anche in assenza di ostacoli, quando si considerino diverse posizioni relative tra una sorgente
di radiazioni ed un corpo:
-Se proviamo ad allontanare un po’ il corpo dalla sorgente (pur se interposto ad essi vi è un mezzo che
non assorbe radiazioni!!) si osserva una minore potenza termica incidente sul corpo;
- Se il corpo viene ruotato in modo da esporre prima una più elevata superficie, poi una più modesta, nel
1° caso la potenza trasmessa al corpo è più elevata che nel 2°

Tutte queste esperienze hanno un’unica, ovvia ragione:


Lo scambio termico per irraggiamento tra due corpi risente della posizione reciproca tra essi, in misura
dell’impatto che questa ha sulla frazione dell’energia emessa da un corpo che va ad incidere sull’altro

Si definisce un fattore puramente geometrico, denominato “fattore di vista tra una superficie i ed una j”:

Fi  j  frazione della radiazione emessa dalla sup erficie"i"


che incide direttamente sulla sup erficie "j"
Questa notazione vuole rendere
intuitivo che “i” è la sorgente che
emette e “j” è la superficie che riceve
Poiché ciascun elementino di superficie, sia di un corpo teorico perfettamente diffondente che di uno reale,
emette in ogni direzione nell’emisfero posto di fronte, riguardo al fattore di vista di ciascuna superficie rispetto a
se stessa (ossia, “Fi→i”) si hanno le seguenti situazioni:

Superficie piana Superficie convessa Superficie concava

Si osservi che il fattore di vista è un fattore esclusivamente geometrico; non ha quindi alcun legame con le
proprietà della sorgente o della superficie captante … non si è infatti specificato nulla su cosa debba accadere
della radiazione incidente, una volta raggiunta la superficie (è indifferente che essa venga assorbita, riflessa, ecc.)
Valori limite dei fattori di vista:
Le superfici “i” e “j” non si vedono, ossia
Fi  j  0 l’energia emessa da i non incide nemmeno
in minima parte sulla superficie j
La radiazione emessa da “i” va interamente
Fi  j  1 ad incidere sulla superficie “j”. Caso tipico:
la superficie “i” è contenuta in quella “j”.

Utili espressioni per il


calcolo dei fattori di vista
sono disponibili per un
gran numero di geometrie
semplici e più complesse
Le relazioni tra i fattori di vista
Valgono tra i fattori di vista alcune semplici regole, che aiutano nella loro determinazione in diversi casi:
1. Regola di reciprocità. Utilizzando le espressioni analitiche che definiscono il fattore di vista, si può
verificare la validità della seguente relazione:

Ai Fi  j  A j F j i 1 1

2 3
In un caso come quello in figura, è chiaro che A1→2<A1→3, ma non è
intuitivo quantificare tale differenza … essendo però ovvio che
F2→1=1 e che F3→1=1, la relazione di sopra ci consente agevolmente
di calcolare sia F1→2 che F1→3 .

2. Regola della somma per una cavità. Per il principio di conservazione dell’energia,
poiché tutta la radiazione emessa dalla superficie i interna di una cavità deve essere
intercettata dalle superfici della cavità stessa, si ha che la somma dei fattori di vista della
superficie i di una cavità verso tutte le altre, essa stessa inclusa, è sempre uguale ad 1:
N

F
j 1
i j 1

3. Regola della sovrapposizione. Se il fattore di vista non è


disponibile nelle tabelle, è possibile esprimere la geometria data
in forma di somma o differenza di geometrie con fattori di vista
noti ed applicare la regola della sovrapposizione: il fattore di vista
tra una superficie i ed una j è pari alla somma dei fattori di vista
tra la superficie i e le parti che compongono la superficie j.
La trasmissione di calore per irraggiamento tra superfici nere
I fondamenti acquisiti sul fenomeno dell’irraggiamento ci consentono ora di
determinare la potenza termica scambiata tra superfici. Tale calcolo, che è
complicato dal fenomeno della riflessione quando si ha a che fare con superfici reali,
è molto semplice per superfici nere, che non presentano riflessioni (α=1, ρ=0).

Consideriamo due superfici nere, di forma arbitraria, mantenute a temperature


uniformi T1 e T2. Se supponiamo T1>T2, è chiaro come valga:
Si tratta quindi di potenza che viaggia nelle due
 radiazione emessa dalla   radiazione emessa dalla 
     direzioni … prevale quella dal corpo più caldo a
Q12   sup erficie 1 che incide    sup erficie 2 che incide  quello più freddo, ma differentemente che nella
conduzione e nella convezione, la potenza
 sulla sup erficie 2   sulla sup erficie 1 
    viaggia anche in direzione opposta

ed alla luce dell’espressione del potere emissivo del corpo nero e della definizione data dei fattori di vista:

Q12  A1 En1 F12  A2 En 2 F21

la quale, essendo A1F1→2= A2F2→1 per la regola di reciprocità, si può più agevolmente scrivere come:

 

Q12  A1 F12  En1  En 2   A1 F12    T14  T24

Tale espressione rimane valida nel caso in cui T1<T2, in quanto in tal caso la potenza termica trasmessa
risulta negativa, ad indicare che il suo verso è opposto a quello ipotizzato.
Piccola applicazione numerica: interposizione di schermi oscuranti
T2 T2
Una piccola premessa è utile, per capire come per pareti piane
indefinite si possa supporre che le superfici abbiano intanto un
fattore di vista unitario, e come in termini equivalenti si possa
supporre che il trasferimento di calore per irraggiamento avvenga A A
direttamente da ciascuna area A sulla parete 1 alla corrispettiva
area A sulla parete 2. A A

La potenza trasferita, per unità di area, in assenza di schermi T1



T1
oscuranti varrà: 
Q
 
q12  12  F12    T14  T24    T14  T24
A
 
 

q
 13 
Q13
A
 
 F13    T14  T34    T14  T34   Replicando l’analisi sulla base
T2  dell’interposizione di un


   
Q numero arbitrario di schermi,
q 32  32  F32    T34  T24    T34  T24 ciascuno che si comporti
A  A
come un corpo nero, si
A regime le potenza nette assorbite e cedute dallo osserva la validità della
A schermo oscurante devono eguagliarsi, e quindi: seguente relazione:

T14  T24  q senza schermi
T3 T1  T3  T3  T2  T3 
4 4 4 4 4
q con N schermi 
2 N 1
  q

T1    T14  T24
q con schermo  q13  q 32    senza schermo
2 2

Potrebbero piacerti anche